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MEDICINA LEGALE
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In realtà, un dato evento non è quasi mai il prodotto esclusivo di un solo fattore causale, ma di una pluralità
di fattori (concausa). In tal senso, il rapporto di causalità (RC) andrebbe considerato come “una catena in cui
ciascun anello trasmette a quello successivo un impulso verso un fine determinato, impulso che a sua volta
ha ricevuto dall’anello precedente e così via”.
Gli anelli più importanti di questa catena sono, in genere, l’ultimo (ossia l’evento finale di danno) ed il primo
(evento lesivo iniziale): tutti gli anelli della catena, tuttavia, sono importanti (e studiarli è imprescindibile) al
fine di una corretta valutazione ML.
Pertanto, la corretta valutazione del RC si propone di identificare la causa unica oppure, più frequentemente,
i molteplici antecedenti concausali, stabilendo in questo caso, secondo un criterio comparativo, il diverso
peso specifico di ciascuno di essi nel determinismo dell’evento considerato.
Quindi, in senso ML, la causa viene considerata quell’antecedente da cui dipende necessariamente ed
invariabilmente (da sola od in concorsa con altri fattori) l’avverarsi della modificazione peggiorativa dello
stato anteriore. Pertanto, la differenza fondamentale tra causa ed insieme di concause è che la prima è da sé
sola sufficiente alla produzione dell’evento.
In sostanza, rilevare se effettivamente un danno derivi causalmente o concausalmente dalla condotta del
colpevole o dal fatto illecito considerato (“an debeatur”), è uno dei principali aspetti ML.
Ovviamente, se non viene accertato il RC, il soggetto in questione non sarà chiamato a risponderne in sede
penale o civile. È interessante, inoltre, ricordare come questa estraneità viene, talora, accertata e confermata
a livello psichiatrico, come assenza psichica dell’autore al momento del fatto, ossia come sua alienazione,
intendendo con questo termine l’incapacità di intendere o di volere al momento del fatto o dell’assenza di
dolo o di colpa nella produzione dell’evento dannoso considerato.
In altre parole, nella attribuzione delle responsabilità, il Magistrato pone attenzione non solo alla paternità,
ovvero alla produzione materiale o fisica o biologica od anatomo-patologica del danno in esame, ma anche ai
cosiddetti fattori psichici, cioè alla paternità mentale della condotta delittuosa od illecita posta in essere dal
colpevole e delle sue conseguenze dannose immediate ed a distanza.
In definitiva, il RC si basa su due ordini di aspetti:
• RC giuridico-materiale od anatomo-patologico (RC materiale: imputatiofacti): studia il rapporto
fisico od oggettivo esistente tra una certa condotta illecita (attiva od omissiva), o più in generale tra
un antecedente fatto di rilevanza medica e giuridica, ed un determinato evento dannoso, pur esso di
rilevanza medica e giuridica (danno biologico). Si attua sulla vittima
• RC psichica (imputactioiuris): si intende con causalità psichica il rapporto psicologico soggettivo
che intercorre tra la personalità del soggetto, autore della specifica condotta considerata e
l’insorgenza dell’evento dannoso in esame. Solo dopo valutati entrambi i RC, il giudice potrà, infine,
valutare in modo corretto e completo il caso in esame ed emettere la sua sentenza. Si attua sul
soggetto ritenuto responsabile
RC giuridico-materiale
• Art. 40 del Codice Penale: rapporto di causalità: “nessuno può esser punito per un fatto preveduto
dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato non è
conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico
di impedire, equivale a cagionarlo
o Dovere di attivarsi per impedire un evento: deve avere carattere giuridico, cioè derivare da
legge, regolamento, contratto professionale, consuetudine. Peraltro, non è punibile chi non
impedisce un evento venendo meno od un obbligo etico/morale. Quindi, nell’omissione
sono importanti:
Non aver impedito l’evento
Aver avuto l’obbligo giuridico di impedirlo
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o Conseguenza: perché quel determinato fatto, previsto dalla legge come reato, sia punito,
occorre dimostrare che esso è stato effettivamente prodotto, cioè causato, dalla condotta
(azione od omissione) del soggetto imputato. Conseguenze dirette ed indirette, immediata,
mediata e tardiva, si equivalgono.
o Principio della “conditio sine qua non”: di fronte alla molteplicità delle cause ed alla
molteplicità dei fattori eziologici delle malattie, il Magistrato centra generalmente la sua
attenzione su un fattore unico e specifico, di interesse e valore giuridici (ossia la condotta
illecita), senza il quale, probabilmente, l’evento in questionenon si sarebbe verificato
o Criterio comparativo: ai fini dell’attribuzione delle responsabilità, è decisiva la prova che
nello specifico caso la condotta umana in questione, confrontata con tutti gli altri
antecedenti, che abbiano avuto un ruolo causale nella produzione del danno, li sovrasta al
punto da far ritenere quell’evento come sua propria conseguenza
o Comma 2: stabilisce l’equivalenza tra azione ed omissione e l’obbligo giuridico di
impedire l’evento (vedi sopra)
• Art. 41 del CP: concorso di cause: “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute ,
anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità
fra l’azione od omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità
quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione
precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le
disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o
sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
o Concausa: uno degli antecedenti causali, pur esso di rilevanza medica e giuridica, che
concorre con gli altri alla produzione dell’evento finale di danno, sicché senza di esso
l’evento dannoso non si sarebbe verificato nonostante l’attualità degli altri fattori
produttivi. Pertanto, la concausa, pur se necessaria, non è da sé sufficiente e determinante a
produrre l’evento dannoso (o pericoloso) in questione. In tal senso, gli eventi concausali
sono di gran lunga più frequenti di quelli causali (cioè con una sola causa) ed andrebbero
considerati come diversi attori di una “rappresentazione teatrale”, a ciascuno dei quali
compete una parte, più o meno importante, a cui il Magistrato dovrà fornire, sulla base
delle valutazioni ML, la giusta rilevanza giuridica.
o Compito del ML: è quello di precisare il ruolo delle concause, cioè di stabilire, con la
massima accuratezza e seguendo criteri scientificamente corretti, il peso specifico che quel
determinato antecedente assume nei riguardi della produzione dell’evento finale di danno;
ne consegue, inoltre, la necessità del confronto fra quello stesso antecedente ed altri, che
pure abbiano avuto un certo ruolo nel determinismo dell’evento considerato.
In definitiva, l’art. 41 c.p. dispone espressamente che il rapporto di causalità non è escluso,
ove alla produzione dell’evento dannoso o pericoloso abbiano contribuito, oltre
all’antecedente giuridicamente rilevante considerato, anche altre eventuali concause
preesistenti, simultanee o sopravvenute, pur se indipendenti dall’azione od omissione del
colpevole
o Rilevanza penale: il soggetto imputato, dunque, sarà colpevole e risponderà non solo del
rapporto causa/effetto determinato dalla sua condotta, ma anche di tutte le conseguenze
determinate da altre cause (concause). Infatti, il rapporto causa/effetto non presuppone la
parità delle cause o la predominanza di una sulle altre, ma la partecipazione delle diverse
cause alla produzione dell’evento
Concause preesistenti
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Un esempio può esser quello di un soggetto portatore di aneurisma aortico, che muore a causa di
un’emorragia da rottura dell’aneurisma stesso prodottasi per trauma contusivo toracico (pugno, impatto del
torace contro il volante dell’auto), sebbene di modesta efficienza lesiva.
In tal caso, l’aneurisma aortico, nei riguardi dell’evento mortale finale, va considerato non solo come
antecedente condizionale, cioè come semplice predisposizione, ma come vera e propria concausa
preesistente di lesione, poiché concorre in modo efficiente con il trauma toracico nel determinismo
dell’exitus.
Difatti, se la persone non avesse avuto l’aneurisma, probabilmente non sarebbe morto a causa del trauma
subito. Pertanto, poiché le concause non escludono comunque il nesso causale- qualsiasi sia stata l’intensità
dell’insulto lesivo inferto- il colpevole risponderà di omicidio, ma a titolo diverso a seconda delle diverse
risultanze dell’analisi del rapporto di causalità psichica (omicidio doloso, colposo o preterinitenzionale).
In sostanza, al ML tocca il compito di distinguere quando determinati antecedenti, che fanno parte dello stato
anteriore del danneggiato ed il più delle volte sconosciuti prima di una specifica indagine, assumono il
significato di semplici antecedenti condizionali e quando quello di concause preesistenti nella produzione del
danno (si ricordi che questo è fondamentale proprio nelle vertenze ML in ambito medico, data l’ovvia
tipologia di soggetti: quanto una determinata azione od omissione ha effettivamente influito sull’evoluzione
dl caso in questione? Ndr).
Altro esempio tipico è quello di un calcio (o di altro evento lesivo) sferrato ai quadranti inferiori di una
donna gravida e che produca un aborto: posta, ovviamente, la gravidanza come “conditio sine qua non”
dell’evento, il significato del calcio sarà ben diverso, rispetto a quello sferrato ad un donna la cui gravidanza
proceda fisiologicamente, in una donna la cui gravidanza sia patologica, complicata, dunque, ad esempio, da
distacco di placenta (in tal caso la gravidanza, da semplice fattore condizionale, viene ad assumere
significato concausale) o aborto in atto (caso estremo in cui sarà la gravidanza stessa ad assumere significato
causale ed il calcio sarà solo “rivelatore” di un aborto già in atto).
Comunque, le concause preesistenti possono esser distinte in:
• Anatomiche: decorso anomalo di vasi, situsvisceruminversus, esistenza di organi ectopici etc.
• Fisiologiche: gravidanza, fragilità ossea costituzionale o senile (osteoporosi), distensione gastrica
post-prandiale, distensione vescicale: questi ultimi sono fattori che possono concorre a fratture ossee
o rottura di viscere
• Patologiche: aneurisma aortico, DM, echinococcosi epatica (piccolo trauma > rottura cisti > shock
allergico >exitus: dunque, in simili casi, da un lato la lesione precedente ha un rilevante significato
concausale, dall’altro il colpevole dovrà comunque rispondere dell’evento mortale) , neoplasie,
emofilie, esiti di lesioni pregresse
Concause simultanee
Ad esempio, è il caso di una ferita inferta con uno strumento contaminato, come la lama sporca di un
pugnale, per cui, oltre alla ferita da taglio o da punta e taglio causata dal pugnale, il colpevole risponderà del
quadro infettivo causato dagli agenti microbici introdotti nell’organismo dalla lama e dei suoi esiti eventuali.
Ciò è vero anche per danni iatrogeni, causati non solo dall’erroneità di un atto medico, ma anche, ad
esempio, dalla mancata asepsi di strumenti o ambienti (ndr).
Concause sopravvenute
È il caso, ad esempio, di una persone ferita in modo non grave che muore per una successiva complicanza
settica della ferita stessa, per un inadeguato trattamento da parte dei medici o per una scarsa cura da parte
dello stesso ferito. Il feritore , dunque, sarà chiamato a rispondere della morte, sia pure a titolo diverso da
quello di omicidio doloso (ad esempio, di omicidio preterintenzionale).
In talune circostanze, peraltro, le concause sopravvenute interrompono certamente il rapporto di causalità;
tuttavia, l’art. 41 del c.p. è molto rigoroso a riguardo, stabilendo che esse escludono il nesso di causalità
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“solo quando sono state da sé sole sufficienti a determinare l’effetto”. Si dovrebbe, pertanto, in questi casi,
parlare di “cause”, piuttosto che di “concause”.
In conclusione, ai fini dell’interruzione del rapporto di causalità le concause sopravvenute debbono
possedere i seguenti attributi:
• Eccezionalità e, dunque, imprevedibilità
• Atipicità: deve esser intervenuto un quid novi rispetto alla condotta considerata od alla normale
evoluzione di un certo quadro morboso
• Indipendenza dal fatto del colpevole: tuttavia, si ricorda che “nel caso di lesioni personali seguite da
decesso della vittima dell’azione delittuosa, l’eventuale negligenza od imperizia dei medici non elide
il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell’agente e l’evento morte. La colpa dei medici, infatti,
anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento
dell’agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l’intervento dei sanitari”
• Capacità di essere da sole sufficienti a provocare l’evento: sono casi alquanto rari, come quelli in cui
una persona ferita sia vittima di un incidente stradale mortale o di un crollo nella degenza
ospedaliera o domiciliare. La causa sopravvenuta, inoltre, può consistere anche in un fatto doloso o
gravemente colposo della stessa vittima, che pone in essere un comportamento lesivo sulla propria
persona (ad esempio, una persona con grave lesioni, specie dopo violenze od abusi, a seguito di
sovvenuti episodi depressivi, si suicida: tuttavia, andrà valutato il RC tra eventi traumatici e stato
depressivo)
Occasione
È una circostanza favorevole, ma sostituibile con altre simili ed incapace di produrre effetti: sono questi i
casi di un aneurisma addominale rotto a seguito di un banale trauma addominale (caso in cui, tuttavia, va
prestata attenzione alla sequenza temporale, in quante nei primi giorni successivi al trauma, il sangue
emorragico può formare una sorta di tappo attorno al vaso emorragico, bloccando per qualche giorno
l’emorragia stessa e la sintomatologia) o di una complicanza embolica instauratosi su di una tromboflebite
della gamba a seguito di una banale contusione della gamba stessa.
In sostanza, in questi casi, il trauma agirebbe, piuttosto che come agente causale o concausale, quale “goccia
che fa traboccare il vaso”.
Si deve, in ogni modo, distinguere l’occasione, intesa dunque come una varietà o come ultimo degli
antecedenti causali, riconoscendole pertanto una, sia pur minima, efficienza causale, dal cosiddetto momento
rivelatore (o sciogliente), assolutamente privo di qualsiasi effetto causale (“ciò che rivela non causa”).
Quindi, l’occasione va intesa come momento liberatore (piuttosto che rivelatore), caratterizzato dall’essere:
• L’ultimo degli antecedenti causali
• Teoricamente sostituibile
• Generico
• Sprovvisto di capacità lesiva rispetto all’uomo sano e normale
• Equiparabile quantitativamente agli atti ordinari fisiologici e vegetativi (tossire, starnutire, defecare,
coire, etc.)
• Esiguo rispetto alla gravità dell’effetto dannoso
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Criteri scientifici
• Probabilistico: stabilisce la frequenza con cui determinati antecedenti provocano determinati eventi
• Della sussunzione: in virtù dell’esistenza di leggi scientifiche, un determinato antecedente viene
considerato causale per un dato evento
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Altre considerazioni
• Collegio medico per accertamento della morte: nominato dalla Direzione Sanitaria e composto da
un ML (o in sua mancanza da un medico della DS o da un anatomo-patologo), da un medico
specialista in anestesia e rianimazione e da un neurofisiopatologo (o in sua mancanza da un
neurologo o neurochirurgo esperto in EEG)
• Periodo di osservazione
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o Durata
6 ore per adulti e bambini di età > 5 anni
12 ore per bambini di 1-5 anni
24 ore per bambini < 1anno
NB: in caso di danno anossico cerebrale, il periodo di osservazione non può iniare
prima di 24 ore dall’insulto anossico
o Rilevazione: 3 volte: all’inizio, a metà ed alla fine del periodo di osservazione
o Regolamento della Polizia Mortuaria atta ad evitare l’inumazione di persone in stato di
“morte apparente” (allorquando non esistano adeguati mezzi e strutture per una corretta
diagnosi di morte): prevede che venga rispettato un più lungo periodo di osservazione,
esteso fino alla comparsa di fenomeni tanatologici certi.
Nessun cadavere, infatti, deve essere chiuso in cassa, sottoposto ad autopsia od a
trattamenti conservativi, a conservazioni in celle frigorifere, né inumato,
tumulato, cremato od imbalsamato, prima di 24 ore dal momento del decesso e di
48 ore nei casi di morte improvvisa o di sospetto di morte apparente
Si fa eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento e per quelli in cui il
medico necroscopo abbia accertato la morte mediante l’ausilio EEG
In caso di morte per malattie infettive o diffusibili, di iniziale putrefazione o di
ragioni speciali, il Sindaco, su proposta del coordinatore sanitario dell’Asl, può
ridurre la durata dell’osservazione a meno di 24 ore
• Visita del medico necroscopo: deve essere effettuata non prima di 15 ore dal decesso, salvo casi
particolari (decapitazione, maciullamento, etc.), nonché quelli sottoposti ad accertamento precoce
della morte (soggetti sottoposti a manovre rianimatorie, a fini di espianto di organi per trapianto
terapeutico), e non dopo le 30 ore.
o NB: l’accertamento della morte eseguito dall’apposito Collegio medico secondo le
modalità prima indicate esclude ogni ulteriore accertamento da parte del medico
necroscopo e l’obbligo della certificazione della morte (denuncia delle cause) compete (in
qualità di medico necroscopo) al componente ML, o di chi è stato designato a sostituirlo,
del suddetto Collegio
• Certificato di morte:
o Tipi
Certificato di constatazione del decesso: può esser chiesto a qualsiasi medico che
abbia prestato assistenza al morente o che sia intervenuto a decesso appena
verificatosi. È un’attestazione scritta, nella quale il medico dà atto dell’avvenuto
decesso e, ove siano riconoscibili, delle cause immediate del suo verificarsi e
delle eventuali terapie attuate
Denuncia delle cause di morte: è obbligatorio solo per chi realmente conosce la
concatenazione causale degli eventi, che hanno condotto all’exitus il paziente.
Tale obbligo vale in genere per il medico curante o per il medico necroscopo
o Note
In caso di segni certi o sospetti di morte violenta, il medico avrà anche l’obbligo
di stilare il referto e di mettere quindi la salma a disposizione dell’Autorità
giudiziaria (AG)
In caso di riscontro di parti di cadavere o di resti mortali o di ossa umane, chi ne
fa la scoperta deve immediatamente informare il Sindaco (S), il quale dà
comunicazione all’AG, a quella di Pubblica Sicurezza (PS) ed all’Asl competente.
Quest’ultima incarica dell’esame del materiale rinvenuto il medico necroscopo e
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comunica i risultati degli accertamenti eseguiti al S ed alla stessa AG, che rilascia
il nulla osta per la sepoltura
• Autorizzazione alla sepoltura del cadavere: ad eccezione dei summenzionati casi di riscontro di
resti mortali, l’unica certificazione con valore giuridico ai fini del rilascio dall’Ufficio di Stato
civile (o dall’AG) è il certificato del medico necroscopo, ovvero la denuncia delle cause di morte.
Solo quando queste risulteranno accertate, il cadavere potrà esser sepolto (o cremato)
• Denuncia sanitaria delle cause di morte: è una denuncia obbligatoria da inviare entro le 24 su
apposita scheda di morte, dall’accertamento del decesso; con essa il medico precisa, avendone
piena coscienza, quali siano state le cause iniziali, intermedie e tardive , di morte dell’assistito.
L’obbligo della denuncia della causa di morte vale anche per i medici incaricati di eseguire
autopsia giudiziaria o di effettuare un riscontro diagnostico. Le schede-denuncia di causa di morte
hanno valore statistico-sanitario ed epidemiologico.
Catastrofi naturali
Morte in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di polizia
Cadaveri non identificati o resti scheletrici
• Riscontro diagnostico: esame sistematico del cadavere eseguito, su disposizione dell’Autorità
sanitaria, per finalità meramente cliniche, quando si tratta di accertare la causa della morte nel caso
di cadavere di persone decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale od in un obitorio
o in un deposito di osservazione o nel caso di cadaveri di persone decedute in ospedali, cliniche
universitarie o private, tutte le volte che lo dispongano i rispettivi direttori sanitari, primari o medici
curanti per il controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti medico-scientifici.
o Può anche esser chiesto dal medico di famiglia (ed in questo caso a disporlo sarà il
coordinatore sanitario dell’Asl di competenza) quando si tratta di persone decedute a
domicilio a causa di una malattia infettiva o diffusiva o sospetta di esserlo, per la
precisazione della diagnosi
o Il medico anatomo-patologi, che nel corso del riscontro diagnostico abbia il sospetto che la
morte sia da riferire ad una causa violenta (dolosa o colposa) deve sospendere l’indagine e
presentare il referto, mettendo la salma a disposizione dell’Autorità giudiziaria
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• Morte improvvisa: il decesso si verifica in modo istantaneo o rapido, inatteso od inopinato, rispetto
alle condizioni cliniche preesistenti il decesso
• Morte iatrogena: è rappresentata da quei decessi nella cui genesi assumono importanza fattori legati
al trattamento medico o chirurgico instaurato od a reazione dannose o tossiche o allergiche ai
farmaci somministrati etc.
• Morte violenta: il decesso è causato dal comportamento violento di terzi oppure della persona su se
stessa (omicidio, suicidio, accidente)
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o Evoluzione
2-3 ore dopo il decesso: palpebre
Successivamente: muscoli mimici del volto > resto della muscolatura della testa e
del collo > muscolatura del tronco, dell’addome, degli arti inferiori e dei piedi
o Note
Il processo, che prosegue in direzione cranio-caudale, si completa in 8-12 ore,
raggiunge un massimo fra le 36-48 ore dopo la morte ed inizia a regredire man mano
che l’autolisi distrugge le proteine muscolari
La risoluzione del rigor inizia in corrispondenza dei primi muscoli irrigiditisi (quindi
anche la risoluzione procede in direzione cranio-caudale)
Tuttavia, numerosi sono i casi in cui il processo di risoluzione della rigidità segue un
decorso anomalo, in virtù della notevole variabilità di fattori intrinseci ed estrinseci
(clima, umidità, costituzione dell’individuo, cause di morte, trasporto del cadavere)
Rigidità catalettica: il cadavere conserva lo stesso atteggiamento degli ultimi
momenti di vita (ad esempio, un soldato morto durante un’operazione bellica)
o AP: la rigidità cadaverica consiste in un processo post-mortale di gelificazione
dell’actomiosina, con conseguente retrazione della fibra muscolare; il muscolo, di
conseguenza, rimane in stato di contrattura (per retrazione delle miofibrille), sino a che non
iniziano i fenomeni putrefattivi e, più precisamente, la distruzione autolitica dei ponti
gelificati di actomiosina. Entro un certo intervallo di tempo la rigidità può ancora
ricostituirsi grazie al non interessamento nel processo di gelificazione di alcune fibra, ma
superate le 12-14 ore la ricostituzione della rigidità dopo riduzione meccanica non è più
possibile
• Ipostasi: venuta meno l’energia pressoria prodotta dalle contrazioni del cuore, il sangue si raccoglie
nelle parti declivi, sotto la spinta della forza di gravità e della funzione vasale residua. Le ipostasi
indicano, dunque, la posizione assunta dal corpo dopo la morte e concorrono, con altri dati, a
stabilire l’epoca del decesso (potendo, talvolta, fornire utili dati circa le cause stesse di morte)
o Ipostasi in rapporto alla posizione del corpo:
Cadavere in posizione supina: macchie ipostatiche su nuca, dorso e faccia posteriore
degli arti
Cadavere in posizione prona: macchie ipostatiche sulle regioni anteriori e ventrali
Cadavere in decubito laterale: sull’emifianco di decubito (ad eccezione dei punti di
appoggio)
Cadavere impiccato: sangue nelle parti distali degli arti con disposizioni tipiche a
guanto od a calzino
NB: ipostasi antigravitarie: si formano in zone non declivi, per ostacolo al deflusso
ematico verso le regioni declivi. Può costituirsi per:
• Pseudo-circolazione post-mortale: è causata dalla rigidità dei muscoli, che
può spingere il sangue nelle sedi a monte
• Aumento putrefattivo della pressione addominale
o Fasi temporali: in linea generale, in assenza di ipostasi, si può supporre che non siano
trascorse più di 2 ore dalla morte; sempre in linea generale, le ipostasi aumentano di
intensità fino alla 12° ora. Tuttavia, in alcune morti improvvise od asfittiche, a causa di una
maggior fluidità del sangue, le macchie ipostatiche possono comparire prima delle 2 ore dal
decesso, presentandosi anche più intense. Comunque, si distinguono:
Fase di migrabilità assoluta o totale (fino a 6-8 ore dal decesso): muovendo il
cadavere, le ipostasi possono spostarsi completamente dalla prima sede e
ricomparire nella nova diventata declive
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rancido. Si forma una specie di corazza untuosa, che sembra fatta di calce o di lardo, che
circonda tutto il corpo del cadavere
o Esordio: quando presente, già dopo 6 mesi dalla morte
• Mummificazione: si verifica quando il processo putrefattivo si arresta negli stadi iniziali, in quanto
il cadavere (specie se di soggetto magri), posto in ambiente asciutto, assai caldo e ventilato, va
incontro ad una rapida e massiva perdita di liquidi. Il corpo assume un colorito bruno,
pergamenaceo, a tipo cuoio vecchio (a differenza di quello lucido, a tipo cuoio da concia, tipico
della corificazione, vedi sotto)
• Corificazione: processo trasformativo tipico del 1°-2° anno di inumazione specie con casse di zinco.
La cute assume un caratteristico aspetto di cuoio recente o da concia, lucente; sul fondo della cassa,
inoltre, si osserva una certa quantità di liquame cadaverico
• Macerazione: è il processo trasformativo cui va incontro il feto in caso di morte in utero e di
mancata o ritardata espulsione, dovuto prevalentemente ad azione di enzimi autolitici ed del liquido
amniotico
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cerebrale, provocata dallo scuotimento della massa encefalica all’interno della scatola cranica con
perdita di coscienza transitoria di gravità variabile
• Sindromi inibitorie: sono rappresentate dalla comparsa di riflessi di inibizione determinati da uno
stimolo meccanico esercitato, generalmente, su aree particolarmente recettive (zone reflessogene)
con esito potenzialmente fatale:
o Sindrome del seno carotideo
o Sindrome labirinto-vasomotoria (morte a seguito di immersione in acqua fredda)
o Sindrome oculo-cardiaca (dopo compressione dei bulbi oculari)
o Sindrome del plesso celiaco (per traumi in sede epigastrica)
o Ecchimosi: sono rappresentate da uno stravaso di sangue in seno ad i tessuti, prodotto dalla
rottura dei vasi sanguigni, senza lacerazione dei tessuti sovrastanti
Meccanismi
• Schiacciamento: per la lacerazione della parete vasali tra i tessuti compressi
• Trazione: per lo stiramento dei tessuti
• Suzione (o decompressione): diminuzione della pressione esterna con
conseguente sovradistensione dei vasi sanguigni e loro rottura
• Sforzo: brusco aumento della pressione sanguigna con rottura dei vasi
Caratteristiche
• Variazioni cromatiche in rapporto al tempo trascorso dalla loro produzione
• Forma in rapporto al mezzo contundente e con le caratteristiche anatomiche
del tessuto e con la quantità del sangue travasato: si determinano, inoltre,
casi particolari come:
o Ecchimosi figurate: per impronta sul torace del volante
dell’automobile
o Ecchimosi quadrangolari: colpi di martello
o Ecchimosi allungate: frustate, colpi di karatè, bastonate
• DD ecchimosi vitali e lesioni post-mortali: assenza in quest’ultime del
reticolo di fibrina: in tal caso, il sangue, non essendo aderente ai tessuti, può
esser facilmente asportato, lasciando cadere un filo d’acqua sui tessuti
interessati, previa incisione degli strati superficiali
• DD con le ipostasi:
o Ecchimosi: indicano sempre lesioni vitali e mostrano, all’incisione,
un’autentica infiltrazione, con conseguente colorazione rossastra
alla superficie di taglio, non completamente asportabile con il
lavaggio
o Ipostasi: presentano superfici di taglio lavabili, biancastre, con
fuoriuscita di gocce di sangue dai vasi recisi
• Possibili anche ecchimosi viscerali
o Ferite lacere e lacero-contuse: sono soluzioni di continuo della cute, eventualmente
interessanti anche le parti molli sottostanti, prodotte per azione di un corpo contundente.
Meccanismi
• Ferite lacere: di trazione
• Ferite lacero-contuse: trazione + fenomeni di compressione e strisciamento
(“pestamento” e “cincischiamento” dei margini)
• NB: sono possibili “effetti da scoppio” allorché un oggetto privo di spigolo
(bastone, bottiglia) agisce con meccanismo di percussione su di una
superficie corporea convessa, ricca di tessuto adiposo o connettivo lasso
sottocutaneo (ad esempio, cuoio capelluto)
AP
• Irregolarità dei margini
• Scollamento della cute rispetto ai piani sottostanti
• Margini e fondo infiltrati di sangue
• Ponti di tessuto tra i bordi della ferita: sottili fascetti fibrosi o fini lacinie
connettivali
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o Perdita di sostanza
Mezzi tipici: accollando i margini della ferita, non si nota perdita di sostanza
Mezzi atipici: può realizzarsi una minima distruzione tissutale
o Altre caratteristiche
Possibili fenomeni di escoriazioni (orletto ecchimotico-escoriato)
Orifizio di ingresso di dimensioni lievemente inferiori rispetto alla sezione dello
strumento vulnerante (in relazione alla distensione ed alla successiva retrazione della
cute)
Tipologia
• A fondo cieco
• Trapassanti
o Riscontro in caso di:
Accidente
Suicidio: sono tipicamente interessate sedi autoaggredibili, in particolare quella
precordiale
Omicidio: le ferite sono generalmente molteplici (collo, torace, addome),
corrispondono ad organi vitali e possono associarsi a lesioni da difesa (tipicamente
alle mani)
• Ferite da taglio: sono rappresentate da soluzioni di continuo della cute e dei tessuti molli prodotte da
mezzi taglienti
o Mezzi
Tipici: bisturi, rasoi, lame di coltello, spade, etc.
Atipici (o impropri): sono quelli che, pur non essendo concepiti per l’azione
tagliente, posseggono un’analoga capacità lesiva: lamiere metalliche, frammenti di
vetri, etc. Tra questi vanno anche annoverati coltelli dotati di margine seghettato,
seghe e motoseghe (casi in cui la velocità della forza aumenta la lesività della ferita
e che si esplicano con duplice meccanismo, da pressione e da scorrimento)
o Caratteristiche
Estensione in superficie
Regolarità e nettezza dei margini
Estremità acute
Presenza delle codette: sono prolungamenti superficiali del taglio:
• In entrata: data la maggior pressione, il mezzo si affonda rapidamente e la
codetta è breve
• In uscita: la codetta è più lunga
Fondo regolare e privo di ponti di tessuti o di briglie
Forma lineare
o Varietà tipiche
Ferite da difesa: indicative di omicidio, si producono sul palmo della mano della
vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione e sono dovute ai tentativi di
afferramento della lama per cercare di strappare l’arma all’aggressore (ferite a
lembo: con margine libero fluttuante) o di proteggere le parti vitali
Ferite da svenamento: indicative di suicidio, si rilevano in zone autoaggredibili
(polsi, pieghe dei gomiti, regioni inguinali), nelle quali i vasi decorrono in posizione
relativamente superficiale e sono quindi raggiungibili dal mezzo tagliente. Sono,
generalmente, multiple, ravvicinate tra loro, di profondità differente. Le più
superficiali corrispondono, tipicamente, a “ferite da prova”, ossia a tentativi messi in
atto prima del colpo decisivo
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Grandi traumatismi
Sono definito grandi traumatismi gli eventi traumatici caratterizzati da gravità, molteplicità, multiformità e
multipolarità delle lesioni corporee. Si osserva quasi sempre la contemporanea presenza di diversi tipi di
lesioni (escoriazioni, ferite lacero-contuse, fratture, lesioni interne), dovute a meccanismi lesivi complessi.
Gli effetti sono spesso mortali o comunque di gran rilevanza antomo-funzionale.
Sono così classificati:
• Precipitazione
o Da piccola o media altezza (< 10 m)
Cadute: fino a 2 m
Precipitazione da piccola altezza: da 2-5 m
Precipitazione da media altezza: da 5-10 m
o Da grande altezza (> 10 m)
• Schiacciamento
• Esplosione
• Incidente aviatorio
• Incidente nautico
• Incidente ferroviario
• Incidente del traffico stradale
o Investimento di pedone
o Lesioni dei trasportati
o Lesioni del conducente
o Lesioni dei motociclisti e dei ciclisti
Dunque, si considerano:
• Precipitazione: è rappresentata dal passaggio di un corpo privo di appoggio da un piano superiore ad
uno inferiore, per azione della forza di gravità e di eventuale altra forza che a questa possa
appoggiarsi. Ciò avviene quando l’individuo non parte da fermo, ma da una situazione di lancio, in
cui l’individuo possiede una velocità iniziale che va a sommarsi a quella di gravità, o perché è spinto
nel vuoto da una forza esterna, o perché ha acquisito tale velocità iniziale mediante una rincorsa. In
tal senso, va distinta dalla caduta, in cui il soggetto cade al suolo, ma a partire da una situazione di
contatto col suolo stesso (< 2 m).
o Meccanismi lesivi
Urto del piano del corpo contro il piano di arresto
Repentina decelerazione del corpo (soprattutto per quelle da grandi altezze): in tal
caso, infatti, l’arresto del corpo nella sede d’impatto non si accompagna all’arresto
simultaneo di tutti gli organi interni, i quali proseguono per inerzia il loro
movimento, subendo lacerazioni o rotture a livello degli apparati di sostegno
o Tipi fondamentali di precipitazione:
Cefalica: con elettiva concentrazione della lesività in ambito cranio-cervicale
Podalica: caratterizzata da fratture multiple degli arti inferiori e del bacino, del
rachide e, talvolta, della base cranica
Toraco-addominale: tipica quella posteriore, con caduta sul dorso posteriore
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o Investimento
Quadro lesivo:
• Ferite lacero-contuse con margini notevolmente escoriati
• Gravi fratture scheletriche
• Sezione di segmenti di arti o del tronco, sino al depezzamento ed alla
decapitazione
Tipologia
• Accidentale
• Suicidaria: lesioni con andamento trasversale rispetto alla lunghezza del
corpo depongono per il suicidio
• Omicidaria: rarissima (ma di una certa attualità, vedasi i casi di passeggeri
spinti sotto la metro, come a NY, ndr)
• Incidenti del traffico stradale
o Investimento di pedone:
Tipologia
• Tipico: può esser definito come quel complesso di lesioni contusive
direttamente od indirettamente esercitate su una persona da un veicolo in
movimento
• Atipico: si verifica l’urto del corpo in movimento contro un veicolo fermo
Dinamica: si svolge in 5 fasi, anche se non obbligatoriamente subentranti l’una
all’altra:
• Urto: momento di contatto tra veicolo e corpo umano
• Proiezione ed abbattimento al suolo del corpo urtato: può avvenire
anteriormente, lateralmente o posteriormente al veicolo
• Propulsione od accostamento: si verifica per l’azione di spinta in avanti che
il veicolo esercita sul corpo sbattuto al suolo
• Arrotamento o sormontamento: il veicolo transita con le ruote sul corpo
steso al suolo
• Trascinamento: può avvenire quando il corpo, talora mediante gli
indumenti, rimane impigliato in parti sporgenti del veicolo. Queste ultime
due fasi sono più rare
• NB: caricamento: se il corpo viene urtato al di sotto del baricentro da un
veicolo avente un basso frontale, anziché abbattersi in avanti, può esser
proiettato sul cofano e sul parabrezza e progredire sul tetto e sul
portabagagli, subendo urti secondari
Tipi di lesioni
• Urto: lesioni dirette, come fratture del bacino e degli arti inferiori, associate
ad escoriazioni ed ecchimosi
• Proiezione: lesioni da caduta: escoriazioni e ferite lacero-contuse (LC d’ora
in avanti, ndr) del cuoio capelluto, fratture craniche, lesioni meningo-
encefaliche; escoriazioni e lesioni LC di ginocchia, gomiti e dorso delle
mani
• Propulsione o accostamento: ferite lacere e LC con ampi scollamenti dei
margini (per i fenomeni di trazione della cute tra suolo e ruote)
• Arrotamento: lesioni da schiacciamento con guasti ossei e viscerali, fratture
pluriframmentarie, spappolamenti di organi interni
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Fattori
• Mezzo
• Urto contro ostacoli resistenti (suolo, altro veicolo)
Quadri lesivi: sono rappresentati soprattutto da traumi cranio-encefalici (quindi, si
ricorda l’obbliga del casco)
• Lesioni cutanee da strisciamento: escoriazioni, ferite LC
• Da percussione: ecchimosi
• Fratture
• Lesioni di nervi cranici od organi interni
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Nella maggior parte dei casi, il diametro del foro cutaneo è leggermente più piccolo del
diametro del proiettile, a causa dell’elasticità della cute
Cercine (od orletto) di escoriazione: presente all’estremo della soluzione di
continuo, rappresenta la caratteristica di maggior rilievo nei colpi emessi da lontano
• Formazione: si determina per azione del proiettile che, prima di perforare la
cute, la infossa a dito di guanto, creando un cono di depressione, all’interno
del quale contunde ed escoria tutte le porzioni di tessuto stirato (superfici
laterali), ma perfora solo l’apice del cono. Quindi, una volta cessata l’azione
di introflessione e riassunta la posizione originaria da parte della cute, si
osserverà un cercine escoriato intorno all’orifizio cutaneo
• Caratteristiche:
o Dimensioni di alcuni mm: dipendono dall’estensione del cono di
depressione, ossia dal grado di infossamento della cute, a sua volta
in rapporto con l’elasticità e lo spessore distrettuale della cute, con il
calibro e la forza viva del proiettile
o Colore rosso scuro (nerastro se esploso su soggetto già cadavere)
o Forma (in caso di penetrazione di superfici piane)
Concentrica: penetrazione perpendicolare
Eccentrica: penetrazione obliqua
o NB: non è possibile, dalle caratteristiche dell’orletto, ricavare
conclusioni circa la distanza di sparo: esso costituisce
un’indicazione solo per l’individuazione del foro d’entrata
Orletto di detersione: presente attorno al foro d’entrata, rappresentato da un alone
untuoso, di colore nerastro, costituito dal materiale grassoso che il proiettile
raccoglie nel passaggio attraverso la canna dell’arma e deposito sul bersaglio, si
osserva bene sugli indumenti, ma male attorno alla ferita, in quanto mascherato
dall’orletto escoriato
• NB: la presenza dell’orletto di detersione (sugli abiti e/o sulla cute)
costituisce un elemento che avvalora la natura di foro di entrata della lesione
in esame: a tal scopo, nei casi dubbi, è utile la ricerca, anche microscopica,
di fibre tessili lacerate nell’orifizio e nella parte del tramite, che si suppone
iniziale
o Colpi da vicino ed a contatto ( < 50 cm per le armi a canna corta e proiettile singolo):
Colpi a contatto: il contatto diretto dell’arma con la cute influenza la morfologia
della ferita per azione sia dei gas sia della stessa arma
• Caratteristiche
o Orletto di escoriazione
o Dimensioni superiori al calibro del proiettile
o Aspetto irregolare, frastagliato (forma stellare): infatti, quando la
bocca dell’arma è applicata sulla cute al momento dello sparo, i gas
usciti dalla canna a forte pressione penetrano unitamente al
proiettile e si espandono nel sottocute, scollando la cute intorno alla
ferita.
o NB: in caso di ferite al cranio, l’aspetto irregolare è particolarmente
evidente, in quanto i gas, penetrando nella porzione iniziale del
tramite, trovano resistenza nella teca cranica e sono costretti ad
espandersi radialmente nel sottocute, esaltando i fenomeni da
scoppio suddetti
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o Forma: si presenta, in genere, come canale scavato nello spessore dei tessuti, delimitato da
pareti anfrattuose ed infiltrate di sangue, con materiale necrotico e, talvolta, corpi estranei
trasportati dal proiettile sano. Il canale può essere:
Virtuale: nel tessuto muscolare
Reale: a livello di organi parenchimatosi ed ossa: a livello delle ossa, il tramite
assume un aspetto tipicamente imbutiforme, slargandosi verso l’uscita. Tale
fenomeno è particolarmente evidente a livello delle ossa piatte. Il rilievo è di
notevole rilevanza per ricostruire la direzione del colpo in cadaveri putrefatti ed in
caso di esumazione ed, in genere, in tutte le situazioni in cui i reperti cutanei sono
alterai (come per cadaveri sottoposti ad azione di fiamma). Si ricorda, inoltre, che il
foro d’entrata, in caso di lesioni ossee, è sensibilmente più piccolo del calibro del
proiettile (soprattutto per l’elasticità del tessuto osseo)
o Possibile tramite completo ma senza foro d’uscita: il proiettile ha perforato l’intero corpo,
ma non è stato in grado di perforare la cute in uscita e la pallottola resta intrappolata in una
fibra terminale tra le fibre connettivali, risultando palpatoriamente apprezzabile nel sottocute
ed asportabile mediante incisione cutanea
o Proiettili ad elevata velocità: la penetrazione non determina solo effetti diretti, cioè legati al
passaggio della pallottola ed alle sue proprietà statiche, ma anche lesioni secondarie
riconducibili alla cessione di elevate quantità di energia ai tessuti medesimi
Cavità temporanea pulsante: si determinano, infatti, in successione temporale:
• Repentina e temporanea espansione delle strutture tissutali attraversate
(cavità)
• Collasso per l’instaurarsi di pressione negativa al suo interno
• Proseguimento e formazione di nuove cavità (espansione > collasso) fino
all’esaurimento energetico
Morfologia
• Tubo di necrosi: zona centrale di distruzione tissutale
• Manicotto di devitalizzazione: fenomeni di dispersione energetica
o Fratture ossee
o Rottura di organi cavi ripieni di liquidi e raggiunti dall’onda d’urto
• Caratteri del foro d’uscita:
o Forma: il foro d’uscita può presentarsi sotto forme assai varie in relazione alle proprietà
dinamiche del proiettile; si possono, infatti, osservare ferite circolari, ovalari, stellari
(tipicamente nel cuoio capelluto) od anche piccole fenditure lineari
o Grandezza: possono presentarsi fori d’uscita più grandi rispetto a quelli d’entrata o più
piccoli, specie quando la forza viva del proiettile all’uscita è quasi del tutto esaurita. In ogni
caso, la maggior grandezza del foro d’uscita sembra correlata a:
Diminuzione di stabilità cui il proiettile va incontro a causa della perdita del
movimento rotatorio durante l’attraversamento dei tessuti (per la loro maggior
densità rispetto all’aria): da tale diminuzione di stabilità può derivare anche una
deviazione od anche il capovolgimento del proiettile
Deformazione eventualmente subito lungo il tragitto intrasomatico
o DD con foro d’entrata:
Caratteristiche distintive: la DD non si basa su forma e grandezza, ma su
• Aspetti negativi, quali l’assenza di effetti secondari della carica di lancio e,
soprattutto, dell’orletto di escoriazione
• Estroflessione dei margini: i fori d’entrata, invece, sono per lo più introflessi
Caratteristiche confusive
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intensità (basso voltaggio) o penetra in punti del corpo a resistenza ridotta (cute
bagnata)
Aspetto: ha forma irregolarmente rotondeggiante, ma non di rado può riprodurre a
stampo parte o tutta la forma del conduttore. Presenta due tipi fondamentali:
• Tipo senza perdita di sostanza: costituito da un rilievo cutaneo, di forma
variabile in rapporto a quella del conduttore, delle dimensioni di pochi mm,
con margini netti, depresso al centro, di colorito bianco-grigiastro, sarebbe
dovuto allo scollamento dell’epidermide con formazione di vacuoli
contenenti aria
• Tipo con perdita di sostanza di derma ed epidermide: la lesione si presenta a
forma di cratere a stampo, con margini sottominati, talora carbonizzati, e
con fondo di colore giallo-grigiastro o rosso-scuro se vi sono delle piccole
emorragie
Punti di uscita: piccole escavazioni crateriformi dello strato corneo dell’epidermide
o Metallizzazione: deriva da fenomeni di archi voltaici, che inducono fenomeni di fusione dei
metalli dei conduttori (ferro, rame), che si depositano sulla cute (o sui vestiti) e possono
essere rilevati con vari metodi
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Ustioni
• Patogenesi generale delle ustioni
o Mezzi fisici: calore, elettricità, radiazioni, energia nucleare
o Mezzi chimici: sostanze caustiche o corrosive
o Mezzi biologici: alcuni insetti o pesci, meduse, alcune piante
o NB: si tratteranno in questa sede solo le ustioni da calore
• Caratteristiche generali delle ustioni da calore: il contatto tra superficie corporea e fonte di calore
determina a livello cutaneo effetti lesivi (dermatite acuta); se, invece, la superficie corporea
interessata è vasta, agli effetti locali si aggiungono effetti sistemici
• Patogenesi delle ustioni da calore
o Agente termico liquido
o Gas o vapori surriscaldati
o Azione diretta di una fiamma o di corpi arroventati
• Gradi: in rapporto a temperatura del mezzo urente, durata e superficie di azione, caratteristiche del
tessuto colpito, le ustioni sono distinte in 4 gradi di gravità:
o I (superficiali o epidermiche):
Aspetto
• Eritema cutaneo a margini sfumati
• Tumefazione della zona colpita (indotta da vasodilatazione ed aumento di
permeabilità)
• Zona circostante pallida (per vasocostrizione)
AP
• Vasi dermici dilatati contenenti emazie conglutinate
• Edema del connettivo con precoce migrazione di PMN
• Vacuolizzazione delle cellule epiteliali con picnosi nucleare
Guarigione: 4-5 giorni senza reliquati
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o II (profonde o dermiche):
Flittene: si evidenzia un’intensa essudazione intraepidermica con liberazione di
serotonina ed istamina e formazione di flittene, circondato da un alone iperemico
• Contenuto: siero-ematico con numerosi PMN
• Fondo: costituito dal derma o dalle cellule dello strato basale degeneranti
• Dimensioni
o Minori: le bolle si afflosciano, con riassorbimento del liquido e
trasformazione in croste
o Maggiori: vanno incontro a rottura con possibile sovrainfezione
batterica
Guarigione: in 2-3 settimane con formazione di tessuto di granulazione e restitutio
ad integrum
• NB: cicatrice in caso di interessamento anche del derma
o III (necrotiche o a tutto spessore):
Necrosi: interessa tutta la cute e talora anche i tessuti profondi, sotto forma di:
• Gangrena secca: escare secche di colore rosso-bruno, a margini netti, se
l’ustione è stata prodotta da una fiamma
• Gangrena umida: escare umide, di colore giallastro, a margini sfumati, se è
stata causata da liquidi o vapori surriscaldanti
Evoluzione: l’escara va incontro a progressivo rammollimento e, dopo circa 2-3
settimane, cade mettendo a nudo un tessuto di granulazione, facilmente infettabile,
dal quale prende inizio il processo di cicatrizzazione, che si completa poi in senso
centripeto. Poiché la necrosi interessa tutti gli elementi epiteliali, non vi è possibilità
di una riepitelizzazione: residua, di conseguenza, una cicatrice spessa, aderente ai
piani sottostanti, retratta, talora evolvente in cheloide
o IV
Patogenesi: esclusivamente per effetto di fiamma o corpi solidi urenti
Carbonizzazione dei tessuti: questi assumono un aspetto nerastro e friabile, con
possibile coinvolgimento anche di muscolo ed osso
• Carbonizzazione dell’osso: questo diviene leggero e fratturabile
(calcinazione)
• NB: quando, invece, sono presenti in contemporanea lesioni di I, II e III
grado, ma non di IV (cioè manca la carbonizzazione), l’aspetto assunto è “a
carta geografica”
• Calcolo della percentuale della superficie corporea colpita: si suddivide il corpo in multipli di 9
o Valori (in %)
Capo e collo: 9
Tronco: 18 (9 anteriore + 9 posteriore; ciascuna divisibile in superiore ed inferiore)
Arto inferiore: 18
Arto superiore: 9 (NB: gli arti sono, ovviamente, distinguibili in zona anteriore e
zona posteriore)
Regione perineale, genitali compresi: 1
NB: nei bambini i valori sono leggermente diversi, in relazione al maggior sviluppo
della testa ed al minor sviluppo degli arti inferiori
• Capo e collo: 18 fino ad 1 anno e 14 fino a 5 anni
• Arto inferiore: 14fino ad 1 anno e 16 fino a 5 anni
o Significato clinico e prognostico: è valutato in addizione alla valutazione del grado di
ustione, secondo una corretta associazione di parametri quantitativi e qualitativi
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• Malattia da ustione: per ustioni che interessino almeno il 15-20% della superficie corporea si
determina una risposta sistemica generata dalle alterazioni anatomiche, biochimiche ed
emodinamiche delle zone lese:
o Fase iniziale: dolore, angoscia, agitazione, shock precoce di origine neurogena
o Fase della shock ipovolemico: cianosi, sudorazione fredda, ipotermia, tachicardia ed
ipotensione, convulsioni, dispnea, obnubilamento del sensorio
Patogenesi: l’alterata permeabilità capillare causata dall’ustione determina edema
interstiziale con perdita di Sali ed albumina, con ipovolemia ed aumento della
viscosità ematica
o Fase terminale dello shock: si instaurano condizioni favorevoli alla formazione di trombi
(ipercoagulabilità, danno della parete vasale, e rallentamento del circolo), con evoluzione in
CID. Il consumo dei fattori della coagulazione predispone poi all’insorgenza di gravi e
diffuse emorragie parenchimali
Sindrome da insufficienza respiratoria acuta: è causata dalla CID e dalla produzione
di fattori tossici che inibiscono la formazione di surfattante
o Fase di risoluzione: miglioramento delle condizioni generali 48-72 ore dopo l’instaurarsi
dello shock
o Fase della tossicosi:
Sintomi generali: febbre, cefalea e nausea
Interessamento viscerale: gastrite erosiva od ulcere emorragiche, fino alla peritonite
Gravi reazioni sistemiche di tipi anafilattoide o insufficienza renale per il
riassorbimento di sostanze tossiche dai tessuti ustionati
o Fase della sepsi: si verifica alla caduta delle escare, per comparsa di tessuto di granulazione,
che va facilmente incontro ad infezione (soprattutto di Gram-) e può evolvere fino alla
MODS (disfunzione multiorgano associata a sepsi)
• Cicatrizzazione anomala: nel sopravvissuto può svilupparsi, a seconda del grado dell’ustione e delle
caratteristiche individuali, una cicatrizzazione patologica di tipo ipertrofico, distrofico o cheloideo
o Cicatrice ipertrofica: rilevata sul piano cutaneo, presenta superficie irregolare e colore
rossastro, ma preserva i limiti e la forma della cicatrice primitiva
o Cicatrice distrofica: è biancastra, con epitelio sottile e senza peli, facilmente soggetta ad
ulcerazioni anche per traumi; può evolvere verso lesioni precancerose
o Cheloide: è una placca cicatriziale rilevata ed irregolare, che tende all’accrescimento, non
conserva il limiti e la forma della lesione primitiva e spesso recidiva dopo escissione
o NB: le cicatrici localizzate in corrispondenza di superfici articolari possono evolvere in
cicatrici retraenti, tali da generare una notevole limitazione funzionale dell’articolazione
interessata
• Considerazioni ML
o Identificazione del mezzo urente
Azione diretta della fiamma: si producono ustioni estese, di superficie irregolare e
mal definita. Di norma si osservano aree di necrosi circondate da flittene e, più
esternamente, da un alone eritematoso; l’azione diretta della fiamma, inoltre, è in
grado di provocare cicatrizzazione dei tessuti. Altre caratteristiche sono:
• Peli e capelli più o meno completamente bruciati
• Ruolo favorente di indumenti infiammabili ed inibenti di indumenti poco
infiammabili (cintura, scarpe)
• Possibile interessamento anche delle vie aeree in caso di gas infiammabili
Corpi solidi arroventati: si caratterizzano per un’estensione limitata dell’ustione, che
in genere riproduce a stampo la forma dell’agente ustionante
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• Edema cerebrale
• Aumento del liquor
• Emorragie subaracnoidee
• Edema e congestione polmonare
MI: alterazioni di tipo degenerativo dei neuroni della corteccia, dell’ipotalamo e del
tronco encefalico
o Aspetti ML
Raffreddamento del cadavere ritardato
Intense e precoci rigidità e putrefazione
Diffuse ipostasi
o Prognosi: possibili disturbi cerebrali e cerebellari nei sopravvissuti
• Colpo di sole: simile al colpo di calore (soprattutto il rapido esordio), si verifica quando l’individuo
espone lungamente all’azione dei raggi solari il capo (ed, in particolare, il rachide cervicale)
o Patogenesi: irraggiamento (piuttosto che ipertermia come nel colpo di calore) con azione a
livello encefalico e troncoencefalico
o Clinica: cefalea intensa, vertigini, nausea e vomito, rigidità nucale, temperatura elevata, cute
calda e sudata (a differenza del colpo di calore); nei casi più gravi, allucinazioni, delirio,
perdita di coscienza, coma e morte
o AP: simile al colpo di calore
o Quadri caratteristici
Piede da trincea
Piede da immersione
Iperbaropatie
Comprendono una serie di quadri clinici legati a particolari attività lavorative od a pratiche sportive
(palombari, cassonisti, sommozzatori, pescatori, subacquei):
• Insorgenza
o In fase di compressione:
L’immissione troppo rapida di aria compressa nei cassoni o nelle apparecchiature
subacquee, eseguita allo scopo di equilibrare la pressione idrostatica circostante, può
determinare nei cassonisti o nei palombari la comparsa di sintomi quali dolori
auricolari ed acufeni (per l’aumentata pressione endotimpanica), bradipnea,
bradicardia ed ipotensione
Sindrome degli alti fondali: si manifesta durante l’immersione a grandi profondità
con scafandri od autorespiratori ed è dovuta all’azione dell’azoto inalato a forte
pressione, che determina senso di eccitazione e di euforia, cui fanno rapidamente
seguito torpore, attenuazione dell’attenzione ed incoordinazione motoria, fino alla
morte
o In fase di decompressione: è la fase più pericolosa, quando eseguita in maniera non graduale
Patogenesi: la maggior quantità di azoto disciolta nei tessuti (specie in quello
adiposo) nella fase di compressione (allorché era stata respirata aria sotto pressione)
si libera dai tessuti sotto forma di bolle gassose, che penetrano nei tessuti,
determinando fenomeni di aeroembolismo
Clinica: si osservano forme:
• Lievi:
o Dolori articolari accompagnati da rialzo febbrile, epistassi, dolori
addominali e vomito
o Possibile comparsa diverse ore dopo la decompressione
o Regressione in qualche giorno
• Gravi: sintomatologia
o Cerebrale: emiplegia, convulsioni, coma
o Midollare: paraplegie, disturbi sfinterici
• Fulminanti: caratterizzate da sintomatologia asfittica, sono dovute ad
embolismo polmonare:
o Edema polmonare emorragico
o Enfisema acuto
• Reliquati
o Esiti neurologici, visivi od acustici (ipoacusie)
o Osteoartropatie croniche
Formazioni cistiche
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Ipobaropatie
• Malattia degli aviatori: per la bassa pressione si determina comunque sovrasaturazione di azoto, con
quadri simili alle iperbaropatie
• Mal di montagna
o Patogenesi
Diminuzione della pressione atomosferica
Carenza di ossigeno nell’aria
Abbassamento della temperatura
Effetto dei raggi solari
o Disturbi
A 1.500-2.000 m: dispnea, sintomi vegetativi, stato di ebbrezza
Oltre i 3.500 m: tachipnea, tachicardia, acufeni, secchezza delle fauci, vomito,
eccitazione
o Terapia: somministrazione di ossigeno e ritorno graduale ad altitudini più basse
• Male cronico delle altitudini: è caratterizzato da manifestazioni che insorgono in soggetti dimoranti
sopra i 3.500 m, nei quali siano venuti meno i processi di assuefazione
o Sintomatologia: cefalea, vertigini, modificazioni del carattere, fenomeni allucinatori,
poliglobulia, enfisema polmonare, ipertrofia ventricolare destra
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Tra le cause non meccaniche, ma che comunque danno un quadro simile, si ricordano:
• Da edema polmonare acuto per intossicazione acuta da oppiacei: “marea montante” con
configurazione del fungo mucoso (vedi dopo) a livello delle labbra. Tipici sono i casi di
tossicodipendenti che passano da un rivenditore che fornisce droghe tagliate al 10% a rivenditori più
“onesti”, che tagliano al 30%. Inoltre, il tossicodipendente può morire per:
o Enfisema acuto: si ha un blocco centrale con fame d’aria, impossibilità a respirare ed edema
lieve
o Arresto o permanenza in comunità > diminuzione della tolleranza > ripresa delle stesse dosi
> overdose
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• Da cause sistemiche
o Patologie acute cardiocircolatorie
o Patologie respiratorie
Acute: polmonite interstiziale acuta da influenzavirus o VRS nei bambini
Croniche: pneumoconiosi
AP dell’asfissia meccanica
Il quadro AP è caratterizzato da una serie di reperti, esterni ed interni, nessuno dei quali patognomonico, ma
che nell’insieme possono indirizzare verso una diagnosi di morte per asfissia:
• Reperti esterni
o Cianosi del volto, del collo e talora del terzo superiore del torace, associata o meno alla
protrusione dei globi oculari
o Petecchie emorragiche (specie sottocongiuntivali)
o Fenomeno del “fungo schiumoso”: schiuma che fuoriesce dagli orifizi respiratori, di colorito
bianco-rosaceo, aspetto cotonoso
Patogenesi: si produce nelle vie respiratorie a causa del miscuglio di aria, secrezione
mucosa e sangue, per effetto degli atti respiratori dispnoici che favoriscono la rottura
dei capillari ematici
Caratteristiche particolari:
• In caso di annegamento il fungo schiumoso è più evidente in questi casi, in
quanto favorito dalla penetrazione di acqua nell’albero respiratorio
• In caso di putrefazione avanzata, invece, i gas putrefattivi intestinali
costituiscono un ulteriore elemento di evidenziazione del fungo
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Fungo rubro schiumoso: colorito rossastro per la rottura di piccoli vasi sanguigni
(non patognomonico in quanto può verificarsi in altre condizioni quali edema
polmonare acuto, intossicazione da KCN, etc.)
o Ipostasi (ipostasi “a mutanda” che arrivano fino ai piedi: si può affermare che il corpo era
completamente sospeso per aria)
• Reperti interni
o Enfisema polmonare acuto con rottura dei setti alveolari
o Edema polmonare
NB: un certo ruolo, secondo alcuni Autori, sembrerebbero avere i macrofagi
• Numero ridotto: asfissia rapida
• Numero considerevole (specie negli spazi interstiziali): asfissia protratta
o Petecchie emorragiche sierose
o Iperemia viscerale diffusa
o Anemia splenica
o Stasi circolatoria
o Dilatazione delle sezioni destre del cuore
o Colore rosso scuro del sangue: per l’alterato scambio gassoso indotto dalla dispnea (ipossico
ed ipercapnico)
o Fluidità: è alterata in rapporto all’ipercapnia ed alle alterazioni della fibrinolisi e della
disgregazione piastrinica
Impiccamento
L’impiccamento rappresenta una forma di asfissia meccanica caratterizzata dall’ostruzione delle vie aeree
attuata mediante la violenta costrizione degli organi del collo con un laccio fisso ad un sostegno situato, ad
impiccamento avvenuto, in posizione superiore al capo e che si tende a causa del peso del corpo, che viene
così ad essere sospeso nel vuoto:
• Definizione
o Tipologie
Tipico: il pieno dell’ansa corrisponde alla faccia anteriore del collo ed il nodo
scorsoio è situato in sede occipito-nucale
Atipico: il nodo scorsoio si trova in altra pozione (anteriormente o di lato) ed il
pieno dell’ansa è situato in posizione diametralmente opposta
o Completezza
Completo: tutto il corpo rimane sospeso, gravando quindi con l’intero peso sul
sistema di ancoraggio del laccio
Incompleto: il corpo poggia con i piedi e le gambe (o con altre parti del corpo) sul
piano del terreno o su di un altro sostegno
o Simmetria
Simmetrico: il nodo è posizionato sulla linea mediana del collo
Asimmetrico: il nodo è posto nelle regioni laterali del collo
• Fenomenologia della morte per impiccamento: è condizionata dal concorso simultaneo o successivo
di 3 determinismi lesivi: asfittico, circolatorio e nervoso
o Meccanismo asfittico: la trazione degli organi del collo esercitata dal laccia comporta, oltre
ad un ostacolo diretto del flusso dell’aria nelle vie respiratorie per compressione delle
stesse, un sollevamento verso l’alto dell’osso ioide e della base della lingua, con occlusione
della faringe ed impedito accesso dell’aria nell’albero respiratorio
o Meccanismo circolatorio: si verifica un’ostruzione per stiramento sia delle giugulari sia
delle carotidi, cui consegue una stasi cerebrale per ostacolo al circolo refluo, con perdita di
coscienza ed arresto della circolazione cerebrale
o Meccanismo nervoso: il laccio esercita, sulle aree reflessogene del seno carotideo e del vago
una stimolazione per compressione e per stiramento con induzione di un meccanismo
inibitorio semplice
• Solco: è la lesione cutanea di natura ecchimotico-escoriata prodotta sul collo dall’azione del laccio;
può essere molle o dura, a seconda che il laccio eserciti o meno un’apprezzabile azione escoriante
o Caratteristiche
Obliquo dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto nelle forme tipiche
(longitudinale)
Discontinuo in corrispondenza del nodo (possibile anche una discontinuità per
interposizione di piani di protezione rappresentati da capi di vestiario)
Profondità diseguale, maggiore in corrispondenza del pieno dell’ansa, a causa del
maggior peso del corpo nel punto di sospensione, e minore a livello del nodo
scorsoio
Localizzazione al di sopra della cartilagine tiroidea
Solitamente unico
Possibile fondo escoriato (solco duro): in rapporto sia alla natura del mezzo di
sospensione utilizzato sia al gravare del peso del corpo
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o Altri aspetti ML
Presenza di creste o punteggiature emorragiche e vescichette sierose o siero-
ematiche : dimostrano la vitalità della lesione (di una certa importanza nella DD tra
impiccamento e sospensione del cadavere) e si verificano soprattutto in presenza di
notevoli caratteristiche di ruvidità da parte del laccio (come nelle corde di canapa).
L’impronta che ne deriva può facilitare il riconoscimento del mezzo utilizzato per la
sospensione (solco figurato)
Riscontro, al di sopra del solco, di ipostasi formatesi a causa dell’ostacolo al
deflusso del sangue per gravità (ipostasi antigravitarie)
• Segni esterni
o Contusioni: utili per ricostruire la dinamica, possono trovarsi, ad esempio, a livello delle
falangi distali; il soggetto, infatti, iniziata l’azione lesiva, tende istintivamente a rimuovere
il laccio dal collo rimanendo, per la subitanea perdita di coscienza, con uno o più dita
impigliate tra corde e collo
o Escoriazioni: possono osservarsi a seguito dei movimenti convulsivi, che fanno oscillare il
corpo con possibili urti, specie negli arti inferiori (quindi, anche l’ispezione del luogo ha
notevole valenza ML)
o Lesioni, specie contusive, per rottura del meccanismo sospensore: caduta al suolo del corpo,
già cadavere od in limine vitae
o Disposizione delle macchie ipostatiche
Ipostasi a calza (a livello degli arti inferiori): per impiccamento completo
Ipostasi a guanto (a livello delle estremità degli arti superiori): per impiccamento
completo
o Altri segni esterni meno costanti
Sporgenza della lingua: deriva dallo spostamento in alto degli organi del collo,
dovuto alla rigidità cadaverica per contrazione di muscoli masseteri
Ecchimosi sottocongiuntivali
Sperma nell’orifizio uretrale esterno: è dovuto al rilasciamento sfinterico ed alla
contrazione agonica delle vescichette seminali
Turgore penieno: da replezione dei corpi cavernosi per fenomeni ipostatici
• Segni interni
o Reperti generici di asfissia (vedi dietro)
o Rilievi specifici
A carico degli organi del collo: sono dovuti allo stiramento
• Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (soprattutto SCM)
• Lesione trasversale dell’intima delle carotidi comuni, specie al di sotto
della biforcazione (segno di Amussat)
• Lesione del nervo vago
• Piccole emorragie della parete delle carotidi (segno di Friedberg) e dei
linfonodi situati in profondità a livello del laccio (segno di Jankovich)
• Ecchimosi retrofaringea per compressione da parte della base della lingua
spinta in alto dal laccio (segno di Browardel)
• Rottura della cartilagine tiroidea e dei corni dell’osso iodi (rara)
• Fratture o lussazioni delle prime vertebre cervicali e frattura del dente
dell’epistrofeo con compressione bulbare: nei casi di esecuzione capitale
mediante impiccagione
• Tipologie
o Suicidaria: la più frequente
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Strangolamento
È una forma di asfissia meccanica che si realizza mediante costrizione delle vie aeree dall’esterno, ottenuta
con l’uso di un laccio posto attorno al collo o di un altro mezzo equivalente, cui comunque è applicata una
forza agente secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo.
Quindi, si differenzia dallo stozzamento per l’utilizzo di un qualsiasi mezzo meccanico agente circolarmente
in senso centripeto in modo da produrre una progressiva costrizione del lume delle vie aeree al fine di
impedire il normale flusso dell’aria; si differenzia, inoltre, dall’impiccamento per l’assenza di sospensione
totale o parziale del corpo:
• Mezzi impiegati: corde, lacci, fili metallici, fili elettrici, cinghie
• Tipologia
o Tipico: l’azione lesiva si esplica sul collo in ogni parte della sua circonferenza
o Atipico (od incompleto): pur agendo sempre a livello del collo, l’azione lesiva viene attuata
con lacci non avvolti completamente (come per aggressione dalle spalle) o con mezzi non in
grado di cingere completamente il collo (bastoni, avambraccio o ginocchio dell’aggressore)
NB: questi quadri più propriamente si configurano come compressioni atipiche del
collo
Garrotameto: in passato utilizzato come pena capitale, indica casi di strangolamento
effettuati mediante costrizione di un laccio attorno al collo mediata da un’asta od un
bastone che, attorcigliando il laccio, determina la progressiva chiusura delle vie
aeree
• Meccanismo
o Asfittico puro
o Nervoso: determina morte rapidamente e non si osserva il classico quadro asfittico
o Vascolare: ostruzione dei vasi venosi (completa) ed arteriosi (incompleta) > stasi circolatoria
nel territorio a monte > aumento delle pressioni intravascolari > rottura dei capillari >
perdita di coscienza e della possibilità di difesa da parte della vittima
• AP: il quadro è quello tipico delle morti asfittiche
o Segni esterni
Solco cutaneo impresso sulla superficie del collo: ha caratteri proprio, utili nella DD
con il solco da impiccamento:
• Disposizione trasversale (e solo raramente obliqua)
• Più frequente a livello od al di sotto della cartilagine tiroidea (quindi in
posizione più bassa rispetto a quello dell’impiccamento)
• Continuo in caso di strangolamento tipico
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Strozzamento
Lo strozzamento rappresenta un tipico meccanismo asfittico per compressione dall’esterno delle vie
respiratorie e conseguente loro occlusione realizzata esercitando con una o due mani una violenta costrizione
del collo.
In alcuni casi, l’azione compressiva sul collo può coinvolgere aree reflessogene (seno carotideo: in caso di
sindrome del seno carotideo, anche una modesta compressione può determinare l’exitus), la cui stimolazione
induce meccanismi inibitori cardiaci in grado di provocare l’exitus anche repentinamente, escludendo, di
conseguenza, i meccanismi asfittici e le relative alterazioni AP, pur in presenza di una lesività esterna ben
documentabile.
Riguardo, invece, fattori vascolari, appaiono di scarsa rilevanza.
• Lesività: nelle forme tipiche il quadro AP ricalca quello delle morti asfittiche, mentre la lesività
specifica è caratterizzata da:
o Segni esterni
Lesioni ecchimotiche localizzate alle superfici antero-laterali del collo: spesso di
tipo figurato, riproducono la forma delle dita e dei polpastrelli (> informazioni sulla
dinamica dell’omicidio)
Lesioni escoriate: lineari od a forma di semiluna, prodotte dalle unghie
dell’aggressore, sempre localizzate nelle regioni AL del collo
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NB: è utile esaminare, nel sospetto omicida, la sede subungueale, alla ricerca di
frustoli di materiale dermo-epidermico rimasti intrappolati
Possibili segni esterni da collutazione
o Segni interni
Infiltrazioni emorragiche, di solito scarse, dei fasci muscolari, del fascio vascolo-
nervoso del collo e dell’intima delle carotidi
Lesioni delle strutture cartilaginee laringo-tracheali e dell’osso ioide: possibile
rottura delle cartilagini tiroidea e cricoidea della laringe
• Forme
o Omicidiaria: frequente, con sproporzione, come visto per il soffocamento, fra aggressore e
vittima
NB: in questa forma, come anche in caso di soffocamento, la perdita di coscienza
non è immediata e ci vogliono anche 15-20 minuti per uccidere la vittima, minuti nei
quali la vittima può opporre una certa resistenza: difatti, risultano lesioni
ecchimotico-escoriate sul corpo della vittima, quali, appunto, espressione di una
avvenuta colluttazione
NB: è, invero, frequente il tentativo di mascheramento dello strozzamento tramite,
ad esempio, precipitazione o impiccamento (per simulare un suicidio)
NB: particolare è anche lo strozzamento negli infanticidi, data la scarsissima
resistenza opposta
Annegamento
È una forma di asfissia meccanica caratterizzata dall’ingresso di un mezzo liquido esterno all’organismo
nell’albero respiratorio, con sostituzione del contenuto aereo dei polmoni ed impedimento dei normali
scambi gassosi; si realizza, in pratica, un’occlusione interna delle vie respiratorie:
• Tipologia
o Tipica: il mezzo liquido penetra dall’esterno nell’apparato respiratorio attraverso gli orifizi
respiratori e la superficie corporea si trova in gran parte o totalmente immersa
nell’ambiente liquido
o Atipica: consegue alla brusca chiusura della glottide per fenomeno riflesso indotto dalla
presenza nella laringe di acqua anche in quantità minima: ciò accade quando solo gli
orifizi respiratori, per la posizione supina assunta dal corpo, sono immersi nel liquido e vi
permangono per un tempo sufficientemente lungo a causa dell’impossibilità del soggetto di
sottrarsi a tale posizione. Il meccanismo asfittico risulta, dunque, favorito dall’azione
dell’elemento liquido. È tramite questo meccanismo che si simula un annegamento con la
pratica della tortura del waterboarding (ndr).
• Qualità del mezzo liquido:
o Ipotonico: come l’acqua dolce, passa velocemente nel sangue e lo diluisce, causando
ipervolemia ed anemia da emodiluizione; contemporaneamente si ha emolisi, con
liberazione del potassio. L’iperpotassiemia, unitamente allo squilibrio plasmatico ed
all’anossia, induce una fibrillazione ventricolare ad esito rapidamente mortale (3-5 minuti)
o Ipertonico: come l’acqua salata, richiama negli alveoli plasma dai capillari, determinando
da una parte edema polmonare acuto, dall’altra emoconcentrazione con ipovolemia e
deficit della pompa cardiaca; l’andamento sarà un po’ più lento, con morte in 6-8 minuti
• AP
o Segni esterni
Cute anserina: è prodotta dalla contrazione post-mortale dei muscoli piloerettori a
causa di stimolazioni termiche o meccaniche derivanti dall’ambiente liquido
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Morte in acqua
Sono morti che conseguono all’immersione in acqua, senza tuttavia riconoscere una genesi asfittica:
• Meccanismi
o Nervoso: di tipo inibitorio, sarebbe scatenato dall’improvvisa immersione del corpo in acqua
fredda con stimolazione della mucosa nasale e faringo-laringea venuta a contatto con il
mezzo liquido; a ciò conseguirebbe un’inibizione cardiaca riflessa, che può esitare
nell’arresto cardiaco e respiratorio immediato
o Immunitario: in altri casi, la brusca stimolazione esercitata dall’acqua fredda su soggetti in
fase di digestione, in presenza di intensa congestione viscerale, provocherebbe il passaggio
in circolo di proteine alimentari non digerite, che si comporterebbero come allergeni in
grado di stimolare una reazione anafilattica
o Circolatorio: per vasodilatazione reattiva
• Diagnosi: è di esclusione e si basa sulla mancanza di segni di asfissia (talvolta, tuttavia, presenti, ad
esempio in caso di sovvenuta sincope con caduta in acqua ed annegamento
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Asfissie da aspirazione
Sono rappresentate dall’ostruzione dall’interno delle vie aeree, causata dalla penetrazione di corpi di natura
eterogenea, aventi tutti, come caratteristiche comuni, la provenienza esterna rispetto all’organismo e la
consistenza solida del mezzo occludente (diagnosi ML agevole in caso di riscontro del mezzo occludente).
Realizzano il quadro asfittico dell’intasamento ed è tipico il caso di morte da bolo alimentare (che ostruisce
la laringe determinando exitus).
Sommersione interna
È costituita dall’inondazione delle vie respiratorie da parte di un fluido proveniente dall’interno
dell’organismo; caratteristiche distintive sono, dunque, fluidità del mezzo occludente e natura endogena
dello stesso:
• Sangue: da rottura di grossi vasi, da lesioni da arma da fuoco
• Altro
o Pus da sacche ascessuali
o Liquido idatideo per rottura di cisti da echinococco
o Contenuto GI risalito in caso di vomito
Immobilizzazione toracica
È una forma di asfissia meccanica, che si realizza per insufficiente ventilazione polmonare provocata
dall’impedimento dei normali movimenti respiratori sia dei muscoli costali che del diaframma.
Segni esterni caratteristici sono:
• Aumento pressorio nel distretto della cava superiore
• Maschera ecchimotica: cianosi intensa di collo, volto e regioni superiori del torace (distribuzione a
mantellina)
• Ecchimosi ed emorragie congiuntivali, ma anche nasali ed auricolari.
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Capacità di intendere
Non è valutabile separatamente dalla capacità di volere: il c.p. vigente subordina l’acquisizione
dell’imputabilità al possesso sia della capacità di intendere sia della capacità di volere.
In ogni caso, un aspetto della capacità di intendere è che il soggetto sia consapevole di ciò che accade, cioè
che abbia una normale consapevolezza di sé e del mondo (coscienza della realtà).
Quindi, la persona deve rendersi conto della realtà in cui vive e delle stimolazioni che gli arrivano
dall’ambiente esterno: è ovvia, in tal senso, l’importanza delle funzioni sensoriali, della percezione e
dell’integrazione degli stimoli a livello cerebrale.
Peraltro, il soggetto deve essere in grado di cogliere ed interpretare i segnali interni ed esterni, dando loro il
giusto peso e significato. Quanto considerato finora rientra nel concetto di “coscienza” di sé e della realtà
esteriore.
Tuttavia, il soggetto deve rendersi conto anche della propria possibilità di rapportarsi col mondo esterno,
quindi della sua capacità di modificare la realtà esteriore (oltre che interiore) agendo su di essa, e quindi di
poter causare e produrre delle modifiche della realtà circostante. Egli acquista, così, consapevolezza delle
azioni od omissioni poste in essere dal proprio comportamento e delle conseguenze derivabili
(“consapevolezza comportamentale”; secondo alcuni Autori la “consapevolezza consequenziale” sarebbe una
facoltà distinta).
In definitiva, la capacità di critica, ossia la valutazione critica e la scelta del comportamento da tenere nella
situazione concreta, rappresenta un aspetto di primaria importanza.
Capacità di volere
Parlando di capacità di volere ci si riferisce non all’atto di volontà concreto, poiché la volontà è una
prerogativa del fatto realmente avvenuto, quanto all’idoneità del soggetto di volere quel comportamento e
quelle conseguenze.
Si deve, dunque, provare che il soggetto possedeva realmente quelle capacità (di intendere e di volere), prima
ancora di averle concretamente utilizzate in un atto concreto di volontà.
In ogni caso, il giudizio sull’atto concreto di volontà è preceduto da quello sulla capacità di volere.
In sostanza il processo “di intendere e di volere” potrebbe schematizzarsi nelle seguenti fasi:
• Prima fase: momento sensoriale-percettivo
• Seconda fase: momento ideativo ed associativo (“appercettivo”)
• Terza fase: momento deliberativo: il soggetto valuta, anche inconsciamente, pro e contro, fattibilità
ed eseguibilità
• Quarta fase: momento della decisione: su questa agiscono fenomeni intrinseci (cultura, educazione,
etica, etc.) ed estrinseci (bisogno materiale, etc.), tra i quali spicca la forza intimidativa della
sanzione penale (consapevolezza della pena). Quest’ultima farebbe nascere nel soggetto una
sensazione spiacevole, in contrasto con quello piacevole indotta dal pensiero del reato, che può
tradursi in un potente stimolo inibitorio all’azione. Tale consapevolezza della pena sarebbe meno
forte nei delinquenti abituali, “abituati” alla pena. Se la decisione non matura, quindi, la volontà
degrada per inerzia e l’atto volitivo abortisce
• Quinta fase: momento esecutivo: l’individuo realizza l’atto ideato, deliberato e deciso. L’esito
conclusivo è subordinato anche alla maggiore o minore facilità con cui in un certo individuo ad un
eccitamento psico-sensoriale segue la reazione corrispondente, cioè la trasformazione dell’idea in
atto.
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Vizio di mente
• Art. del c.p.
o 88: vizio totale di mente: “ non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto,
era, per infermità, in tale situazione in tale stato di mente, d escludere la capacità di
intendere o di volere”
o 89: vizio parziale di mente: “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era per infermità
in tale stato di mente da scemare gradatamente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di
volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”
• Considerazioni sugli art.
o In essi non si parla segnatamente di infermità psichica né di semi-infermità, quindi
comprendono anche le infermità fisiche e le forme di semi-infermità e semi-imputabilità
sono scorrette
o Il giudizio sull’esistenza del vizio totale o parziale è di tipo “storico”, nel senso che deve
essere riferito dal perito al preciso momento in cui quella data persona ha commesso il fatto
• Valutazione di:
o Natura ed entità dell’infermità da cui il soggetto era affetto
o Gravità delle eventuali ripercussioni di quell’infermità sulla capacità di intendere e di volere
o Esclusione totale o la notevole compromissione anche di una sola delle due capacità: di
quella di intendere o di quella di volere
o Derivazione causale diretta fra vizio di mente obiettivato e comportamento delittuoso in
discussione: ad esempio, se un paranoico uccide il suo presunto persecutore, non vi saranno
dubbi circa l’esistenza del vizio totale di mente; ma se egli commetterà un omicidio al di
fuori del suo contesto delirante, l’imputabilità sarà diversamente valutata. Dunque, far
diagnosi di malattia mentale, non significa far già una valutazione circa l’esistenza di un
vizio totale o parziale di mente
• “Infirmitas”: la parola latina da cui deriva il concetto di “infermità” ha, in realtà, un significato più
ampio, indicando qualcosa di non fermo, instabile, caotico. Infatti, possono assumere carattere di
infermità anche condizioni cliniche prive di caratteri di sistematicità tali da configurarle come
malattia. In ogni caso, l’infermità di mente deve sempre dipendere da una causa patologica tale da
alterare i processi intellettivi o volitivi, con esclusione o grande diminuzione della capacità di
intendere o di volere. Quindi, altre anomalie dipendenti dalla sfera del carattere, dell’etica o del
sentimento non vanno considerate come infermità: l’art. 220 c.p.p. stabilisce infatti che “non sono
ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità del reato, la tendenza a delinquere, il
carattere e la personalità dell’imputato ed, in genere, le qualità psichiche indipendenti da cause
patologiche”
• Alienazione del comportamento: indica una deviazione dal piano abituale di comportamento di una
certa persona, significando che la condotta non è più rivelatrice di quella personalità. In altre parole,
non è l’infermità in sé che il perito deve ricercare, ma il rapporto che essa assume con quella
condotta e con quella personalità, cioè appunto l’alienazione eventuale del soggetto rispetto al
comportamento tenuto e di questo rispetto al normale vivere sociale. In definitiva, compito del perito
è quello di stabilire l’effettivo grado di compromissione della capacità di intendere o di volere che
quel soggetto manifesta col suo comportamento e valutare (a differenza del clinico che pone la
diagnosi) se quello stato patologico sia tale da escludere o da scemare grandemente le menzionate
capacità a fondamento dell’imputabilità
• Simulazione di malattia mentale: è la produzione intenzionale di sintomi psichici falsi o
grossolanamente esagerati, finalizzati ad ottenere l’esenzione totale o parziale della pena. I sintomi,
tuttavia, non sono motivati né giustificati dalla storia clinica pregressa né da dati documentabili o
clinici. Spesso, piuttosto che stabilire “aut..aut” circa l’infermità mentale o la simulazione, bisogna
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Imputabilità e colpevolezza
L’imputabilità nel soggetto adulto è presunta e può essere esclusa solo quando ricorrono determinate
situazioni patologiche (vizio totale o parziale di mente, cronica intossicazione da alcool o da sostanze
stupefacenti).
La colpevolezza del reo (e la sua responsabilità penale) non è mai presunta, va dimostrata in ogni caso e può
essere diversamente fondata (dolo, colpa, preterintenzione).
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è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a
causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline.
La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle
contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi
effetto giuridico.”
Quindi:
• Il delitto è volontario o doloso quando il reo ha coscienza e volontà dell’azione
• Il delitto preterintenzionale (omicidio preterintenzionale) si realizza solo in un caso, quando cioè il
soggetto ha coscienza o volontà di ledere l’altro, ma ha in mente di produrre un evento diverso
(lesione personale) da quello che poi si è verificato, ovvero la morte
• Nel delitto colposo, invece, vi sono coscienza e volontà dell’azione (o dell’omissione), prevedibilità,
forse previsione dell’evento, ma in nessun caso volontà od intenzione di produrre l’evento stesso.
Questo, tuttavia, si verifica indipendentemente dalla volontà dell’agente, a causa di imprudenza,
imperizia, negligenza od inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
o NB: culpa lata dolo coequatur: la colpa grave sconfina ed è assimilata al dolo:
Dolo eventuale: rappresentazione della concreta possibilità della realizzazione del
fatto
Colpa cosciente: rappresentazione della possibilità astratta della realizzazione del
fatta, quindi accompagnata dalla fiducia che il fatto non si realizzerà
• NB: quindi la differenza risulta in un diverso atteggiamento psicologico:
nel primo caso si accetta il rischio, nel secondo lo si respinge
o Natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione delittuosa
o Gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato
o Intensità del dolo o grado della colpa
• Capacità a delinquere del colpevole: è desumibile da:
o Motivi a delinquere e carattere del reo
o Precedenti penali e giudiziari e condotta e vita del reo antecedenti al reato
o Condotta contemporanea o susseguente al reato
o Condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo
Misure di sicurezza
Accertata la sussistenza della pericolosità sociale in un soggetto prosciolto per vizio totale di mente, il
giudice ne ordina il ricovero in un ospedale psichiatrico.
Se si tratta di un soggetto imputabile ma con vizio parziale di mente, il giudice ne ordina dapprima la
detenzione per scontare la pena. Una volta scontata la pena, si dovrà effettuare un riesame della pericolosità e
fissare quindi l’eventuale misura di sicurezza.
L’art. 202 c.p. stabilisce che “ le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone
socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato. La legge penale
determina i casi in cui a persone socialmente pericolose possono esser applicate misure di sicurezza, per un
fatto non preveduto dalla legge come reato”.
Le misure di sicurezza possono esser diverse e, per ogni tipo la legge stabilisce un minimo di durata; in caso
di riconosciuta persistente pericolosità, il giudice può ordinare l’applicazione per un periodo indeterminato e
senza limiti di tempo codificati. Le misure di sicurezza sono revocabili in ogni momento se la pericolosità
viene a cessare.
Le misure di sicurezza personali detentive di interesse ML sono:
• Ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario
• Assegnazione ad una casa di cura e di custodia
• Assegnazione ad una colonia agricola o casi di lavoro
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Par. I:Omicidio
Introduzione
L’art. 575 del c.p. stabilisce che “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non
inferiore ad anni 21”.
L’omicidio rappresenta il più grave dei delitti e, perciò, è sempre punito con pene assai severe, a meno che
non ricorrano cause specifiche di non punibilità, espressamente contemplate dal codice e, fra queste.
• Esercizio di un diritto o l’adempimento di in dovere (art. 51 c.p.): “L'esercizio di un diritto o
l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
autorità, esclude la punibilità.Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'autorità, del
reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine.Risponde del reato altresì chi ha
eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell'ordine”.
• Legittima difesa (art. 52 c.p.): “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto
dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa
ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e
secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se
taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o
altro mezzo idoneo al fine di difendere:
o a) la propria o la altrui incolumità
o b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto
all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o
imprenditoriale”.
• Uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.): “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti,
non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso
ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla
necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'autorità, e comunque di impedire
la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro
ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale
gli presti assistenza.La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un
altro mezzo di coazione fisica”.
• Stato di necessità (art. 54 c.p.): “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da
lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al
pericolo.Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al
pericolo.La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è
determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata
risponde chi l'ha costretta a commetterlo”.
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Omicidio preterintenzionale
Il colpevole, con la propria condotta, ha causato la morte dell’altro, sebbene con essa egli né si riprometteva,
né voleva uccidere l’altro, ma intendeva solo percuoterlo a lederlo
Secondo l’art. 584 del c.p. “chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581
e 583, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da 10 a 18 anni”
Circostanze aggravanti, secondo l’art. 585 c.p., sono armi, materie esplodenti e gas asfissianti od accecanti.
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Omicidio colposo
Secondo l’art. 589 del c.p. (nuovo testo), “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con
la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina
della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione
da due a sei anni.
Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla
disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si
applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo,
ma la pena non può superare gli anni quindici”.
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Reperti AP
Sono da ricondurre alle tipiche modalità suicidarie: precipitazione, impiccamento, avvelenamento, colpi
d’arma da fuoco, scannamento, dissanguamento per sezione di vasi arteriosi o venosi del polso,
annegamento, arrotamento, asfissia.
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Considerazioni ML
• Rape trauma syndrome: è una sindrome, evidenziabile anche a distanza di tempo dall’aggressione
sessuale, caratterizzata da una destrutturazione della personalità e da un profondo sovvertimento
della capacità della persona offesa di relazionare con gli altri
• Aspetti ML
o In ogni caso di stupro, l’esame clinico dovrebbe esser effettuato il più prontamente possibile
e prima che la vittima si lavi, anche se l’impulso a pulirsi costituisce spesso la sua più
immediata necessità. Dopo un colloquio rassicurante, si cercheranno i:
o Segni fisici dello stupro
Regioni genitali: lacerazioni od abrasioni della mucosa
• Lacerazioni acquisite del disco imenale: profonde, a margini combacianti,
ecchimotici e contusi
• Lesioni contusive a carico delle zone erogene: mammelle, capezzoli, glutei,
bocca, superficie interna delle cosce
Extragenitali: escoriazioni, abrasioni, graffiature, unghiature, ecchimosi
• Sedi tipiche a livello dei polsi, avambracci, viso, collo
• Possibili lesioni da difesa a livello delle mani
• Possibili frustoli di tessuto a livello delle unghie
NB: i segni lesivi possono mancare nei casi in cui la vittima abbia perso conoscenza
• “Violenza presunta” e “violenza abusiva”: in queste ipotesi, non è richiesta alcuna prova
dell’esistenza dei segni fisici della violenza subita; in questi casi, infatti, la violenza è implicita nella
stessa commissione dell’atto per le qualità specifiche della vittima (minor età: violenza sessuale
presunta) o per le qualità specifiche del colpevole (autorità abusante o soggetto che abusi delle
condizioni di inferiorità della vittima: violenza sessuale abusiva)
o Violenza sessuale presunta
Art. 609 quater c.p.: “soggiace alla pena stabilita dall'articolo 609 bis chiunque, al di
fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al
momento del fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore,
anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni
di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o
che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza.
Fuori dei casi previsti dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo,
o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di
educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia
con quest'ultimo una relazione di convivenza, che, con l'abuso dei poteri connessi
alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni
sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 609
bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la
differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Si applica la pena di cui all'articolo 609 ter, secondo comma, se la persona offesa
non ha compiuto gli anni dieci”.
In tutti questi casi, si dà per scontato che non vi sia consenso valido da parte della
vittima (pur se esso sia stato prestato) e, dunque, in ogni caso l’atto sessuale sarà
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• Incesto: compie questo delitto chiunque compia rapporti sessuali con un discendente o con un
ascendente, con una sorella od un fratello, o con un affine in linea retta (suocero e nuora; suocera e
genere), in modo che ne derivi pubblico scandalo. In questi casi, il bene giuridico offesa è prima di
tutto la morale della famiglia, la morale pubblica ed il buon costume
Il fatto materiale
Il fatto materiale punito è l’uccisione del neonato immediatamente dopo il parto o l’uccisione del feto
durante il parto.
Si ricorda che, da un punto di vista ostetrico, si ritiene lecito parlare di parto solo quando la durata della
gravidanza abbia almeno superato il 180° giorno: al di sotto, qualsiasi azione volta all’interruzione della
gravidanza dovrebbe esser considerata come manovra abortiva, poiché il prodotto del concepimento, una
volta fuoriuscito dell’alvo, con ogni probabilità non sopravviverà (un feto è considerato vitale dopo il 180°
giorno di vita).
Quindi, poiché si realizzi la fattispecie delittuosa dell’infanticidio e non quella dell’omicidio, è richiesto che
la consumazione del delitto avvenga immediatamente dopo il parto o durante il parto.
L’immediatezza va intesa, poi, non nel senso letterale, ma nel senso clinico-psicologico: infatti, solo
nell’immediatezza del parto può esistere uno shock psichico, tale da giustificare, sia pure in parte il
comportamento criminoso della donna, mentre nel periodo successivo dovrebbe prevalere l’istinto della
maternità.
Si ricorda che presupposto necessario per la configurazione del reato è la situazione di abbandono materiale
e morale che abbia determinato la madre a cagionare la morte del proprio neonato: tale situazione deve
ritenersi concretizzata quando la madre è lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza sicché ella
senta di trovarsi in uno stato di isolamento che non lascia prevedere l’intervento di terzi né un qualsiasi
soccorso materiale o morale per cui disperi di poter assicurare la sopravvivenza al neonato.
Se poi la donna uccide il neonato diverso tempo dopo l’espulsione, quando cioè l’eventuale stato di
alterazione mentale connesso al parto è sicuramente cessato, si configurerà la fattispecie dell’omicidio e non
quella dell’infanticidio.
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Si ricorda, inoltre, che il c.p. estende la sua tutela anche al feto durante il parto: il feto, infatti, pur non
potendo considerarsi “nato” ai sensi del diritto civile (poiché ancora non ha vita autonoma, non ha
“respirato”e quindi non ha capacità giuridica), è però sicuramente un essere vivente.
La capacità giuridica, infatti, si acquista solo con la nascita e si considera “nato” il prodotto del
concepimento, cronologicamente vitale (cioè che abbia superato il 6° mese di vita) e che abbia respirato.
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della persona, il medico che abbia omesso volontariamente il soccorso, potrà esser chiamato a
rispondere di omicidio preterintenzionale o doloso
Dinamismo
La malattia è un fenomeno dinamico ed evolutivo: ha un momento di inizio, una durata ed un termine.
L’inizio è solitamente in rapporto con l’azione di un ben preciso antecedente di rilevanza giuridica: la sua
esatta individuazione ha rilievo soprattutto ai fini della verifica del rapporto di causalità e della diagnosi
eziologica della malattia.
L’evoluzione e la durata assumono pur esse particolare rilievo giuridico, dal momento che da esse potranno
derivare conseguenze diverse sul piano penale ed, in primo luogo, sulla gravità della pena. Ad esempio, una
durata della malattia superiore ai 40 giorni configurerà una circostanza aggravante della lesione personale
(lesione personale grave).
Quanto al termine del processo di malattia, esso può consistere nella guarigione con restitutio ad integrum,
nell’adattamento a nuove condizioni di vita o nel conclamarsi di esiti, nella cronicizzazione del processo
morboso stesso od, infine, nella morte.
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Se la malattia si esaurisce con esiti, a seconda della qualità e della gravità degli stessi, potrà o meno
configurarsi un indebolimento permanente di un senso o di un organo, la perdita dell’uso di un organo, etc.
Se la malattia non si esaurisce o non è prevedibile il suo spegnersi entro un arco di tempo ragionevole, potrà
invece realizzarsi la malattia certamente o probabilmente insanabile (lesione personale gravissima).ù
Dunque, tenendo conto della diversa durata della malattia, oltre che della diversa gravità degli esiti, sarà
possibile distinguere in vario modo le lesioni personali.
Disordine funzionale e sofferenza individuale organica o psichica con le sue ripercussioni sulla vita di
relazione
Mentre in medicina la lesione di un organo o di un tessuto, da cui non derivi alcun disordine funzionale,
neppure momentaneo o localizzato, non deve considerarsi malattia, ciò non significa che il
signumspecificationis della malattia non è l’alterazione anatomica, come sembra dedursi dalla
giurisprudenza in materia, quanto piuttosto l’esistenzadel disordine funzionale, da cui deriverà l’altro
importante requisito del danno alla vita di relazione.
Quindi, in giurisprudenza il concetto di malattia si basa sul presupposto che dal processo di alterazione
funzionale o di modificazione peggiorativa dello stato anteriore derivi una sofferenza per l’individuo che ne
è affetto, sofferenza che si traduce anche in disturbi soggettivi riferiti dal paziente oltre che in segni clinici
obiettivi e che limita la vita di relazione del paziente.
Inoltre, il codice parla non solo di malattia del corpo, ma anche di malattia della mente (nevrosi reattiva,
sindrome ansiosa, shock emotivo).
La necessità dell’intervento terapeutico, la disfunzionalità, l’abnormità dei processi morbosi, il loro
dinamismo nel tempo, la loro evolutività, la sofferenza derivata, impegnano necessariamente l’arte sanitaria
attraverso l’esercizio diagnostico-terapeutico, il quale compromette la capacità individuale di autogestire la
propria condizione di sofferenza.
In sostanza, ricordando l’importanza dell’impatto sulla vita di relazione, il processo di alterazione funzionale
diventa ML importante in quanto si ripercuote sulla vita di relazione della persona e la limita, causando
perciò una disfunzione non solo della vita individuale ma della stessa vita collettiva o sociale.
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Se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa,
ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un
tempo superiore ai quaranta giorni;
Se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;
o La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto
deriva:
Unamalattia certamente o probabilmente insanabile;
La perdita di un senso;
La perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita
dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave
difficoltà della favella;
La deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;
Altre considerazioni
• Lesione personale e gravidanza
o Ipotesi aggravanti che rientravano nell’art. 583:
Acceleramento del parto (grave)
Aborto (gravissima)
o Legge 194 art. 18: “Chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza
il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come
non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l'inganno. La
stessa pena si applica a chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette
a provocare lesioni alla donna.
Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l'acceleramento del parto.
Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna si applica
la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica
la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è
diminuita. Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna è minore
degli anni diciotto”
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• Lesione personale colposa: art. 590 c.p.: “chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale
è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro
619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni
gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per
le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.
Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto di cui al terzo comma è
commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c),
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto
l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e della reclusione da sei
mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro
anni.
Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle
violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli
anni cinque.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo
capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia
professionale”.
• Contagio di malattie a trasmissione sessuale: è considerato una lesione personale, personale grave o
personale gravissima
• Delitto di epidemia (art. 438 c.p.): “Chiunque cagiona un' epidemia mediante la diffusione di germi
patogeni è punito con l'ergastolo”.
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durante tutto l’espletamento del parto e quindi ancor prima dell’inizio della vita
autonoma
Docimasie
Il termine deriva dal greco δοχιµαζω “provo” o “verifico” e si riferiva a quella sorta di esame di idoneità, cui
la legge sottoponeva il cittadino ateniese, eletto per voto o scelto per sorteggio ad una carica pubblica.
Da un punto di vista ML significa, invece, accertare se il prodotto del concepimento abbia respirato o meno,
e quindi vissuto di vita autonoma: in sostanza, l’indagine concerne la verifica diagnostica, effettuata post-
mortem, dell’avvenuta respirazione in vita.
Le prove docimasiche possono esser così distinte:
• Docimasie polmonari (o respiratorie)
o Metrica: consiste nel verificare l’espansione del torace, misurandone la circonferenza e
confrontandone i valori con quelli teorici, così da trarne indizi circa l’eventuale respirazione.
Tuttavia, da solo ha scarso valore
o Radiologica: nel polmone che ha respirato si riscontrano:
Maggior trasparenza dei campi polmonari
Abbassamento eventuale del diaframma
Dimensioni e forma degli angoli costo-frenici
Espansione dei campi polmonari
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o Diaframmatica: esamina, dopo un’adeguata apertura del torace e dell’addome con sezione
dei vari piani tissutali, la posizione della cupola diaframmatica:
Respirazione avvenuta: apparirà abbassata e, quindi, apprezzabile a livello del 5°-6°
spazio intercostale
Respirazione non avvenuta: apparirà sollevata e la sua convessità potrà esser
apprezzata non oltre il 4° spazio intercostaòe
o Polmonare ottica: dopo apertura del collo, legatura della trachea (per evitare il passaggio
passivo di aria nei polmoni) ed incisione della cavità toracica, si esaminano le superfici
polmonari ad occhio nudo o valendosi di una lente ottica e si potranno riscontrare:
In caso di assenza di respirazione:
• Polmoni acquattati nelle docce costo-vertebrali, con margini anteriori sottili
e rossi
• Parenchima polmonare rosso-scuro o rosso-lilla (colore in rapporto alla
quantità di sangue contenuta)
In caso di avvenuta respirazione
• Polmoni espansi (ricoprono l’aia cardiaca), con margini arrotondati
• Parenchima di colore rosa o viola sfumato
o Polmonare galenica od idrostatica: il polmone che non ha respirato ha un peso specifico di
poco superiore a quello dell’acqua e quindi affonderà se immerso in una bacinella. Invece, se
il polmone ha respirato, galleggerà, in virtù del peso specifico inferiore, seppur di poco, a
quello dell’acqua. Tuttavia, le cause di errore sono così tante che la prova non ha quasi più
alcun valore
o Polmonare palpatoria
Respirazione non avvenuta: consistenza dei polmoni compatta, carnea
Respirazione avvenuta: consistenza soffice e crepitante
o Polmonare istologica: è la prova più importante; il metodo più comunemente utilizzato è
quello dell’ematossil-eosina ed, in alternativa, può esser utilizzato anche quello di Weigert al
fine di evidenziare meglio la fine struttura elastica del polmone
Nel polmone che ha respirato
• Distensione dell’alveolo: questo apparirà ampio, con cavità di forma
poligonale, contornato da setti in genere sottili e pieni di sangue
• Maggior presenza di capillari settali ripieni di sangue: si è, infatti, instaurata
la nuova circolazione polmonare al posto di quella placentare e viene
richiamato sangue a livello dei setti
Nel polmone che non ha respirato
• Cavità alveolari collabite con alveoli difficilmente riconoscibili
• Setti larghi e spessi con vasi di calibro piccolo e pochi globuli rossi
• Fibre elastiche tortuose e molto voluminose
• Pneumociti II evidenziabili solo a partire dalla 35° settimana
In caso di insufflazione artificiale di aria
• Cavità alveolari collabite in larga parte, ma con altre cavità espanse
• Setti intralveolari talora abnormemente distesi o rotti
• Alveoli, a causa della rottura dei setti, confluenti in un’unica cavità
In caso di enfisema putrefattivo
• Enfisema putrefattivo interstiziale: si rilevano bolle di gas, soprattutto nel
connettivo interstiziale interlobulare. Intorno alle bolle, si possono
evidenziare i germi della putrefazione gassosa, giunti per via linfaticca dalle
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fauci (nel polmone che non ha respirato) o per via aerea (nel polmone che ha
respirato)
• Enfisema putrefattivo alveolare: le bolle di gas sono più fini e diffuse. In tal
caso può essere difficile stabilire se il polmone ha respirato anche se per
pochissimo tempo
o Polmonare biochimica: si basa sul dosaggio di lipidi, per il 90% derivati dal surfactante, film
di sostanza tensioattiva che si deposita sulla parete alveolare. Il dosaggio, che quindi è una
stima sulla quantità di surfattante, serve per valutare il grado di maturità fetale
• Docimasie extrapolmonari
o Placentare e cordone ombelicale: è importante soprattutto l’inversione del circolo, da
placentare a polmonare
o GI: con la respirazione il feto deglutisce aria, lasciando riscontrare aria nello stomaco (breve
durata di vita extrauterina) e nell’intestino (lunga durata)
o Alimentare: ricerca dei residui alimentari
o Auricolare: nel soggetto che non ha ancora respirato l’orecchio medio contiene una massa
gelatinosa costituita da un residuo di tessuto mucoso fetale o da liquido amniotico; tale
massa viene eliminata poi con l’inizio della respirazione e l’ingresso di aria
o Renale: ricerca di cristalli di acido urico
o Batterica: ricerca di bacilli coliformi nel contenuto intestinale
Tuttavia, la capacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, o di conoscere le regole della
morale comune, necessaria ai fini della definizione dell’imputabilità e della responsabilità penale, richiedono
sostanzialmente un’età meno avanzata che non la somma di nozioni e di esperienze da cui dipende la capcità
di agire.
È per queste ragioni che, mentre in penale la presunzione di assoluta non imputabilità è collocata al di sotto
del 14° anno, in sede civile il limite di età, al di sotto del quale sussiste presunzione di incapacità di agire, è
elevato al 18° anno.
Riguardo, invece, la capacità di prestare lavoro, essa è disciplinata da leggi speciali che fissano, in genere, il
limite minimo di età al raggiungimento del 15° anno, ridotto a 14 anni per lavori agricoli, familiari e leggeri
non industriali, aumentato a 16 o 18 per lavori pesanti o pericolosi.
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Incapacità naturale
La minor età, l’interdizione legale e l’interdizione giudiziaria costituiscono situazioni di incapacità ad agire
stabilite dalla legge (incapacità legale).
Quando, invece, si parla di incapacità naturale ci si riferisce a quella persona che, sebbene legalmente
capace, e quindi di maggior età e non interdetta, si trovi in situazioni cliniche tali che la rendono, in un dato
momento, incapace di fatti a comprendere il significato giuridico e le conseguenze dell’atto che compie.
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Secondo l’art. 428 c.c. (atti compiuti da persona incapace di intendere o di volere), “Gli atti compiuti da
persona che, sebbene non interdetta328, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace
d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti possono essere annullati su istanza della
persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore.
L'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o
possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta
la malafede dell'altro contraente.L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l'atto o il
contratto è stato compiuto. Resta salva ogni diversa disposizione di legge.
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Danno biologico
È il primo dei parametri ML utilizzato ai fini della valutazione complessiva del danno alla persona in
responsabilità civile. Pur essendo, nella pratica, utilizzati i termini di “danno alla salute” e “danno alla
vitalità” utilizzati come sinonimi di danno biologico, essi non lo sono: ad esempio, secondo Cesare Gerin “
una cicatrice cutanea in parti non scoperte del corpo o peggio un intervento demolitore, che però può ridare
quell’efficienza psico-fisica che prima dell’intervento non esisteva, sono danni biologici ma non danni alla
salute.
Con la dizione “danno biologico” si intende, dunque, esprimere un concetto esclusivamente medico, quale è
quello del pregiudizio all’incolumità od all’integrità psico-fisica preesistente indipendentemente da qualsiasi
riferimento o ripercussione sulla capacità di produrre reddito.
Il DL 23/00 n.38 ha definito che “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei
criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai
fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il
danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della
persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla
capacità di produzione del reddito del danneggiato”.
Il danno biologico, dunque, è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione
di reddito del danneggiato; in altre parole, “il danno biologico consiste nella menomazione, permanente o
temporanea, dell’integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali, dinamico-
relazionali, passabili di accertamento e di valutazione ML ed indipendente da ogni riferimento alla capacità
di produrre reddito”.
Quindi, da un punto di vista giuridico, non la sola lesione o meglio la sola menomazione biologica di questo
o quell’organo devono esser considerate ai fini del risarcimento, quanto piuttosto il pregiudizio alla validità
od alla salute che esse comportano.
Pertanto, occorre considerare gli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico: quel che conta, infatti, ai
fini risarcitori è stabilire non solo la compromissione anatomo-funzionale, ma anche le conseguenze che da
quella menomazione biologica derivano sulla capacità di relazione sociale della persona considerata; l’essere
umano, in altre parole, non è mai considerato in modo statico come mera entità biologico-clinica, ma come
persona immersa in una rete di rapporti sociali.
Secondo Gerin, concetto fondamentale del danno biologico è la validità: valido è colui, infatti, che sia pronto
e capace fisicamente, psichicamente e spiritualmente ad espandersi liberamente nell’ambito nell’ambito della
vita di relazione, in maniera coerente alla propria personalità e nel rispetto delle leggi vigenti.
In conclusione, ai fini risarcitori, il primo dei parametri per la valutazione del danno alla persona in RC è il
danno biologico, che deve quindi esprimersi in termini di invalidità e cioè di pregiudizio della validità della
persona considerata; inoltre, ai fini di un’esatta valutazione del grado di invalidità permanente, vanno
precisati sia i cosiddetti aspetti statici sia quelli più propriamente dinamico-relazionali del danno biologico.
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Si ricorda che, secondo Gerin, “tutti i lavori sono specifici: anche il lavoro di manovalanza, non qualificato, è
un lavoro specifico, che richiede speciali qualità fisiche che non sono di tutti”.
È utile, comunque, chiedersi se quella persona potrà continuare o meno a svolgere la sua attività
professionale, se quella persona sia capace di svolgere un altro lavoro che appartenga alla sua stessa categori
professionale o no.
Quindi, si stabilirà, dopo esame clinico dell’ammalato e valutazione prognostica, se e come quella
menomazione, della quale si è precisato l’esatto valore invalidante, si ripercuote sfavorevolmente,
limitandola, sulla capacità lavorativa specifica.
Secondo Gerin, si potrà dunque realizzare una delle seguenti ipotesi:
• Invalidità senza ripercussione sull’attività lavorativa esercitata
• Invalidità con ripercussioni sull’attività lavorativa con incompatibilità parziale
• Invalidità incompatibile con l’attività professionale esercitata, ma compatibile con professioni della
stessa categoria
• Invalidità incompatibile con l’attività professionale esercitata e con professioni della stessa
categoria, ma compatibile con altre categorie professionali
• Invalidità incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa
• NB: in conclusione, sempre secondo Gerin, occorre tener distinte “le due valutazioni, quella di
invalidità e quella di incapacità lavorativa, lasciando al magistrato di fissare per quest’ultima la cifra
percentuale, in base sia agli elementi biologico-professionali, fornitigli dal perito, sia ad elementi
economico-sociali di competenza non medica”
Incapacità di guadagno
Capacità di guadagno significa capacità di utilizzare o sfruttare economicamente la propria forza lavora,
determinata da fattori intrinseci ed estrinseci (economico-ambientali).
Dunque, la valutazione della capacità di guadagno è sempre preceduta dalla definizione dell’invalidità e della
validità residua.
Danno estetico
• Danno fisionomico: riguarda il volto ed ha rilevanza penale (sfregio); in sede civile, invece, ogni
danno alla funzione fisionomica va considerato come danno fisiognomico
• Danno fisiognomico: la funzione fisiognomica è la funzione estetica della donna, svolta non solo dai
tratti estetici del volto, ma anche dalle proprietà estetiche del corpo tutto (anche olfatto, ad esempio.
Il danno alla funzione fisiognomica, proprio perché visibile ictu oculi (a colpo d’occhio” è rimesso
alla valutazione diretta del Magistrato
Danno morale
Riguarda il Magistrato.
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Par. II: Legge 22 maggio 1978 n. 194: Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria di gravidanza
Premessa
• Art. 1 (contro la limitazione delle nascite): “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e
responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo
delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze,
promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo
aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”
• Particolare attenzione va posta all’interruzione cosiddetta “urgente” della gravidanza, che ricorre
quando sussista imminente pericolo per la vita della donna, al comportamento da seguire nei casi di
possibilità di vita autonoma del feto, all’interruzione della gravidanza nel caso della minore o di
donna psichicamente incapace
Procedura e doveri del medico di fronte alla donna che chiede IVG entro i primi 90 giorni
Secondo l’art. 5 della legge 194, “il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i
necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di
interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari
sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta,
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nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito,
le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla
interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di
promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia
durante la gravidanza sia dopo il parto.
Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel
rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove
la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come
padre del concepito, anche sulla base dell'esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la
determinano a chiedere l'interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi
di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie.
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l'esistenza
di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante
l'urgenza.
Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione
della gravidanza.
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell'incontro il medico del consultorio o della struttura
socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla
base delle circostanze di cui all'articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna,
attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i
sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento
rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate”.
In definitiva, il medico è tenuto ad accertare e certificare:
• Identità della donna
• Esistenza della gravidanza
• Epoca della stessa
• Richiesta e motivi > attività dissuasiva
• Avvenuta informazione sui consultori, sulle strutture socio-sanitarie od ospedaliere dove, trascorsi i
7 giorni, la donna potrà rivolgersi
• Data del rilascio, così da certificare che la donna ha chiesto l’interruzione all’epoca indicata
• NB: nel caso di coppia sposata, l’interruzione della gravidanza da parte della donna senza il
consenso del marito può esser ritenuta ingiuria grave ai fini dell’eventuale giudizio
sull’addebitabilità della separazione
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persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri
tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le
procedure di cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio
parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna
e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la
donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.
Qualora il medico accerti l'urgenza dell'intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di
diciotto anni, indipendentemente dall'assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice
tutelare, certifica l'esistenza delle condizioni che giustificano l'interruzione della gravidanza. Tale
certificazione costituisce titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento e, se necessario, il ricovero. Ai fini
dell'interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, si applicano anche alla minore di diciotto anni
le procedure di cui all'articolo 7, indipendentemente dall'assenso di chi esercita la potestà o la tutela”.
Se il giudice negherà l’autorizzazione, la donna potrà fare ricorso al tribunale dei minori.
In caso di pericolo di vita, oltre i 90 giorni la procedura è identica a quella della maggiorenne.
Obiezioni di coscienza
Consiste nel rifiuto motivato da ragioni etiche e di coscienza di adempiere ad un obbligo imposto dalla legge:
secondo l’art. 9, infatti, “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte
alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi
obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata
al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al
direttore sanitario, entro un mese dall'entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della
abilitazione o dall'assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della
gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l'esecuzione di tali
prestazioni.
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L'obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente
comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico
provinciale.
L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle
procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della
gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle
procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti
secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche
attraverso la mobilità del personale.
L'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie
quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita
della donna in imminente pericolo.
L'obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l'ha sollevata prende parte a
procedure o a interventi per l'interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di
cui al comma precedente”.
Diritto all’anonimato
L’ospedale, la struttura socio-sanitaria, il consultorio od il medico di fiducia della donna devono garantire il
diritto all’anonimato: quindi, non devono essere segnalate le generalità della persona che abbia effettuato
l’interruzione (altrimenti si è imputabili di delitto di rivelazione di segreto professionale o di segreto
d’ufficio).
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Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità
• Art. 2: Ai fini del presente testo unico:
a) per "congedo di maternita'" si intende l'astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice;
b) per "congedo di paternita'" si intende l'astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al
congedo di maternita';
c) per "congedo parentale", si intende l'astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore;
d) per "congedo per la malattia del figlio" si intende l'astensione facoltativa dal lavoro della
lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa;
e) per "lavoratrice" o "lavoratore", salvo che non sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti,
compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di
lavoro nonche' i soci lavoratori di cooperative.
• Art. 6:
o 1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle
lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di eta' del figlio, che hanno
informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto
salvo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 8.
o 2. La tutela si applica, altresi', alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in
affidamento, fino al compimento dei sette mesi di eta'.
o 3. Salva l'ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario
nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie
pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che
delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela
della maternita', in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal
decreto del Ministro della sanita' di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto
legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purche' prescritte secondo le modalita' ivi indicate.
• Art. 7
o 1. E' vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonche' ai lavori
pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati
dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026,
riportato nell'allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti
sociali, provvede ad aggiornare l'elenco di cui all'allegato A.
o 2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di
esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell'elenco di cui all'allegato B.
o 3. La lavoratrice e' addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale e' previsto il divieto.
o 4. La lavoratrice e', altresi', spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del
Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di
lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.
o 5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione
corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonche' la qualifica originale. Si
applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la
lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.
o 6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del
Ministero del lavoro, competente per territorio, puo' disporre l'interdizione dal lavoro per
tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17.
o 7. L'inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 e' punita con l'arresto
fino a sei mesi.
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• Art. 8
o 1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attivita' in zone classificate o,
comunque, essere adibite ad attivita' che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che
ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza.
o 2. E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di
gravidanza, non appena accertato.
o 3. E' altresi' vietato adibire le donne che allattano ad attivita' comportanti un rischio di
contaminazione
• Art. 16: E' vietato adibire al lavoro le donne:
o a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo
20;
o b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la
data effettiva del parto;
o c) durante i tre mesi dopo il parto;
o d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data
anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di
maternita' dopo il parto
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Definizione
Secondo l’art. 2 L. 30/03/1971 n.118, si considerano mutilati ed invalidi civili: cittadini affetti da minoranza
congenita od acquisita, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di
carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, che
abbiano subito una permanente riduzione della capacità lavorativa in misura non inferiore ad un terzo, se si
tratta di persone di età compresa tra 18 e 65 anni; oppure, se si tratta di minori di 18 anni o di
ultrasessantacinquenni, se abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro
età.
Quindi, si nota che non vi rientrano i malati psichiatrici in quanto rinchiusi nei manicomi nel 1971 (oggi
negli OPG).
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Difficoltà persistente a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età dei minori e negli anziani
In questi casi non ha significato condizionare il giudizio sull’invalidità alla valutazione della residua capacità
di lavoro delle persone esaminate. Si tratta, infatti, di soggetti che non svolgono alcuna attività lavorativa o
che si presume non abbiano ancora delineata alcuna attitudine al lavoro.
Quindi, per essi si prefigura un riferimento valutativo alle difficoltà a persistenti a svolgere i compiti e le
funzioni proprie dell’età considerata: pertanto, il minore o l’anziano hanno diritto di essere riconosciuti
invalidi civili allorché presentino difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni tipiche della loro età
ed è perciò evidente che deve trattarsi di una difficoltà obiettivamente grave.
Indennità di frequenza
Si tratta di una prestazione mensile concessa ai mutilati ed invalidi civili minori di 18 anni, che presentino
difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, nonché ai sordi parziali, quando
si riconosce che essi abbiano necessità di frequentare scuole e centri di formazione professionale e
riabilitazione.
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Legge 5.02.1992 n. 104: Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone
handicappate
• Art. 1: Finalità: la Repubblica:
a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona
handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella
società;
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il
raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata
alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;
c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e
sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle
minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;
d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona
handicappata.
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Nel Testo Unico 1124/65 e nelle tabelle allegate sono indicati i lavoratori che devono essere assicurati, le
percentuali di inabilità delle diverse menomazioni permanenti e le malattie professionali indennizzabili.
Oggi la tutela è estesa anche ad i lavoratori domestici, alle casalinghe, ai medici radiologi etc.; recentemente,
inoltre, il DL vo 38/2000 ha introdotto la tutela del danno biologico anche in ambito INAIL, con una nuova
tabella valutativa articolata in due distinti allegati, uno per la valutazione del danno otoiatrico e l’altro
contenente due ulteriori tabelle valutative relative alla patologia respiratoria.
Esistenza del rischio: il concetto di rischio nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro
Uno dei principali attributi dell’infortunio indennizzabile è la sua imprevedibilità specifica concreta: in altre
parole, deve sussistere il rischio, intendendosi con tale termine il grado di probabilità del verificarsi di un
evento dannoso incerto sul se, sul come, sul quando e sul chi.
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Ai fini della tutela previdenziale non basta la sola dimostrazione dell’esistenza di un rischio generico: deve
trattarsi di un rischio lavorativo o di rischio protetto, nel senso che il lavoro deve esso stesso condizionare ed
in qualche modo aggravare la natura e l’entità del rischio
• A seconda, inoltre, del maggior o minor grado del rischio, gli eventi infortunistici possono esser in
generale distinti in diverse categorie:
o Eventi impossibili a realizzarsi: il rischio di quell’evento in quell’ambiente di lavoro è pari a
zero
o Eventi possibili: l’evento può accadere
o Eventi probabili
o Eventi certi
• Categorie tecnico-assicurative di rischio:
o Rischio generico: indica la semplice possibilità del verificarsi di un evento dannoso (ad
esempio, tutti sono sottoposti al rischio di un terremoto o di un fulmine)
o Rischio generico aggravato: sussiste la probabilità del verificarsi dell’evento stesso. Tale
maggior probabilità del rischio deriva dalla stessa attività espletata, che costringe il
lavoratore ad esporsi maggiormente a determinati fattori di rischio (manutenzione di strade,
più esposti al rischio di incidenti stradali)
o Rischio specifico: esiste un’elevata probabilità del verificarsi del danno: si tratta di un
rischio che grava soltanto su coloro che svolgono una certa attività e quindi dipende proprio
dalle particolari caratteristiche dell’attività espletata (lavoratore addetto alla bonifica di
campi minati od alla preparazione di gas o sostanze tossiche)
o NB: perché sussista la tutela previdenziale occorre che il lavoro abbia prodotto almeno un
aggravamento del rischio generico, che si tratti, cioè, di rischio aggravato o rischio specifico.
Presupposti fondamentali per l’intervento sono:
Espletamento dell’attività protetta
Esistenza di un valido nesso di causalità fra antecedente lesivo e danno lavorativo o
biologico (principio della presunzione di pericolosità e dell’esistenza del rischio nel
caso si tratti di lavorazioni protette)
Occasione di lavoro
A giustificare la tutela previdenziale è il particolare collegamento fra danno lavorativo ed attività prestata
(attività protetta): questa, nell’ambito dell’assicurazione contro gli infortuni, non è di per se stessa causa del
danno, come è invece nel caso della malattia professionale.
Il lavoro costituisce la condizione per la quale la causa violenta può agire ed agisce sulla persona del
lavoratore.
Occasione non sta dunque a significare un rapporto di derivazione diretta come da causa ad effetto tra lavoro
e danno, quanto invece un rapporto più ampio (rapporto “occasionale”, “atmosfera lavorativa” secondo il
Gerin), nella quale si verifica l’incontro tra causa violenta e corpo umano.
Non basta, tuttavia, la semplice correlazione cronologica o topografica od un collegamento solo marginale
fra attività lavorativa e sinistro: l’evento dannoso deve dipendere direttamente dal rischio (generico
aggravato o specifico) inerente l’attività espletata e deve quindi accadere in stretta connessione con il
perseguimento delle specifiche finalità di lavoro.
Occasione significa, in conclusione, soprattutto “finalità di lavoro”.
Infortunio in itinere
È l’infortunio che il lavoratore subisce nell’andare dalla propria abitazione verso il luogo di lavoro o nel
ritornare da esso: se esposto al solo rischio generico nel corso del tragitto, l’eventuale infortunio sarà escluso
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dalla tutela assicurativa. Se, invece, la prestazione lavorativa, comporta un aggravamento del rischio (rischio
generico aggravato o rischio specifico), sarà lecito parlare di infortunio indennizzabile.
“Salvo il caso di interruzioni o deviazioni del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate,
l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di
andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante ilnormale percorso che collega due luoghi
di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale ,
durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei
pasti.
L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad
esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.
L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano,
in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso
non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione inoltre non opera nei confronti del
conducente sprovvisto della prescritta abilitazione alla guida“.
La causa si considera “violenta” quando agisce in modo rapido e concentrato nel tempo: l’unità cronologica
di misura è il turno lavorativo. Si considera concentrata nel tempo l’azione lesiva di quell’antecedente
causale la cui durata non superi un turno lavorativo.
Questo è il criterio fondamentale per poter differenziare l’infortunio sul lavoro dalla malattia professionale
(causalità lenta e diluita nel tempo).
Ovviamente, poi, ad una causa concentrata non seguiranno, solitamente, effetti concentrati nel tempo: le
conseguenze, infatti, possono non solo manifestarsi anche tardivamente, ma protrarsi anche a lungo.
Danno indennizzabile
• Tipologie
o Morte dell’assicurato
o Inabilità permanente assoluta al lavoro
o Inabilità permanente parziale
o Inabilità temporanea assoluta (astensione per più di 3 giorni)
o Inabilità temporanea assoluta per meno di 3 giorni
o Inabilità temporanea parziale (non indennizzabile dall’INAIL)
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determinato di volta in volta tenendo conto di quanto, in conseguenza dell'infortunio, e per effetto della
coesistenza delle singole lesioni, è diminuita l'attitudine al lavoro”.
Ai sensi del DL vo 38/2000 per gli eventi successivi al 25.07.2000 dovrà tenersi conto non della attitudine al
lavoro, ma del grado di menomazione dell’efficienza psico-fisica individuale, ossia del danno biologico.
Si parla di coesistenza quando la minorazione preesistente non ha alcuna influenza sul decorso e sugli esiti
della lesione infortunistica e di concorrenza quando la menomazione preesistente incide sullo stesso organo
funzionale che subisce l’evento infortunistico attuale o su sistemi fra loro connessi.
Inoltre, si è soliti distinguere le menomazioni plurime monocrone (cioè prodotte nello stesso infortunio) da
quelle policrone (cioè prodotte in più infortuni). Per le prime, occorre effettuare una valutazione complessiva
ed unica del danni.
Per le seconde, corrispondenti, dunque, ad infortuni riportati in epoche diverse, occorre distinguere se ci si
trova di fronte a menomazioni preesistenti dovute a fatti extra-lavorativi o lavorativi.
Qualora il titolare di una rendita di inabilità (cioè effetto da menomazioni preesistenti in conseguenza di fatti
lavorativi) sia colpito da un nuovo infortunio lavorativo indennizzabile, si procede alla costituzione di
un’unica rendita, rappresentata non dalla somma aritmetica delle due somme, ma proporzionale al grado di
riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro, determinata dalle menomazioni determinate dal precedente
infortunio sul lavoro e dal nuovo, in caso di menomazioni precedenti al 25.07.2000.
In epoca successiva, possono aversi due ipotesi:
• Le preesistenze lavorative erano state indennizzate con rendita: il grado della menomazione
conseguente al nuovo infortunio viene valutato con riguardo alle nuove Tabelle, senza tener conto
delle preesistenze (perché già indennizzate). Alla vecchi rendita, dunque, si aggiungerà la nuova,
calcolata in base alla nuova disciplina
• Le preesistenze lavorative non erano indennizzate in rendita: se ne terrà conto ai fini del calcolo
dell’indennizzo dovuto, solo se concorrenti (cioè aggravanti) con le nuove menomazioni. Se invece
si tratta di preesistenze dovute a fatti extralavorativi occorre distinguere:
o Coesistenza: non se ne terrà conto
o Concorrenza: il grado di riduzione permanente complessivo che residua al nuovo infortunio
deve esser rapportato non all’attitudine al lavoro, ma all’integrità psico-fisica ridotta per
effetto della preesistente inabilità (o del preesistente danno biologico > formula di Gabrielli).
Di conseguenza, la seconda minorazione subita per infortunio sul lavoro sarà valutata con
una percentuale di danno più elevata rispetto a quanto stabilito dalla tabella per un soggetto
teoricamente sano o normale
NB: formula di Gabrielli: (attitudine al lavoro preesistente – attitudine al lavoro
residuata all’infortunio da valutare)/attitudine al lavoro preesistente: (C – Cl)/C
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lavoro, purché frequentato a causa delle lavorazioni stesse (ad esempio, ipoacusia o sordità da rumore),
anche se queste sono materialmente eseguite da un soggetto diverso da quello colpito.
È importante considerare il diverso significato che assume il nesso causale nell’infortunio sul lavoro e nella
malattia professionale: per l’infortunio indennizzabile, infatti, deve sussistere, oltre al danno biologico od al
danno lavorativo, la causa violenta in occasione di lavoro, rapida e concentrata nel tempo.
Per la malattia professionale, invece, la causa è diluita (il lavoratore è esposto al rischio lavorativo per
l’intero arco della sua attività) ed agisce in modo lento, cioè con azione graduale e protratta nel tempo.
La natura dell’antecedente causale può, inoltre, esser la stessa: ciò che cambia è soprattutto la diversa
modalità d’azione della causa.
Quindi, mentre negli infortuni di lavoro l’eziologia professionale è generalmente accertabile con una certa
facilità, essendo l’evento lesivo ben evidenziabile in quanto collegabile con immediata evidenza a quello
infortunistico ed all’occasione di lavoro, più difficile diventa accertare il nesso causale con l’attività
lavorativa nel caso delle malattie professionali.
È proprio in considerazione di tale difficoltà che il legislatore aveva inizialmente scelto di fondare la tutela
delle malattie professionali sul sistema lista chiusa (o tabellare): secondo tale sistema, sono ritenute malattie
professionali, e quindi comprese nella tutela previdenziale, solo quelle tassativamente elencate nelle apposite
tabelle e riferite ad attività o lavorazioni, sempre che si manifestino entro un determinato intervallo di tempo,
pur esso ben indicato nell’apposito elenco, a partire dal momento dell’abbandono o cessazione della
lavorazione morbigena (periodo di massima indennizzabilità).
In pratica, secondo il sistema tabellare, perché si dia luogo alla rendita INAIL, occorrono le seguenti
condizioni:
• La malattia patita dal lavoratore deve essere contemplata fra quelle contenute nella menzionata
tabella di legge
• Deve essere contratta nell’esercizio ed a causa di lavorazioni od a causa di noxae patogene
tassativamente indicate nella tabella
• La manifestazione clinica della malattia deve essersi verificata entro un certo limite di tempo dalla
cessazione dell’attività in questione; anche tale limite è indicato nella tabella
• Dalla malattia in questione deve essere derivato un danno biologico > 6% od un’inabilità permanente
> 11%
Nel sistema tabellare, dunque, vale la presunzione d’origine della malattia obiettivata, presunzione in base
alla quale la malattia, allorché ricorrano le surricordate condizioni, viene definita “professionale” senza
ammettere prova in contrario: in sostanza, non occorre provare il nesso causale, ma basta che la lavorazione
rientri fra quelle protette e che la malattia rientri fra quelle in tabella.
Tuttavia, alcune malattie non rientravano in tabella: a ciò ha ovviato la Corte Costituzionale, grazie alla
quale la tutela assicurativa delle malattie professionali è estesa anche a quelle malattie non comprese nella
tabella, sempre che sia dimostrato con certezza il nesso di causalità fra malattia stessa ed attività lavorativa.
L’onere della prova spetta al lavoratore che chiede la rendita.
Peraltro, ai fini dell’esclusione dell’indennizzabilità non ha più rilievo l’eventuale notevole intervallo
temporale intercorso dall’abbandono della lavorazione, poiché la Corte Costituzionale ha dichiarato
illegittimo che la malattia professionale si dovesse verificare entro il cosiddetto periodo massimo di
indennizzabilità.
In definitiva, qualsiasi malattia di cui sia accertata la derivazione causale dall’esercizio di una delle
lavorazioni previste è indennizzabile; in sostanza, è venuta meno la tassatività od esclusività del sistema
tabellare.
L’attuale sistema di tutela si definisce, quindi, “misto”, poiché ammette sia l’indennizzabilità delle malattie
contemplate nel sistema lista chiusa sia delle altre per le quali venga comunque dimostrato il nesso causale
(sistema di lista aperto).
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Grandi invalidi
Sono definiti grandi invalidi del lavoro colore che, in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di malattia
professionale, riportino un’inabilità permanente pari o superiore all’80%.
In aggiunta a quelli ordinari concessi dall’INAIL sono previsti trattamenti speciali:
• Medico-chirurgici
• Economici
o Assegni continuativi mensili
o Sovvenzione di contingenza
o Assegno di contingenza per grandi invalidi (inabilità 100%)
o Elargizioni integrative di fine anno
o Distintivi di onore mutilato (elargizione di denaro)
• In caso di morte dell’assicurato per malattia non collegata causalmente agli esiti inabilitanti, vedove
ed orfani hanno comunque diritto ad uno speciale assegno continuativo mensile
• In caso di morte correlata con le indennità cui fu costituita la rendita, spetterà la rendita ai superstiti:
o Coniuge: 50-100%
o Figli minori o studenti: 20%
o Figli inabili al lavoro proficuo
o Collaterali od ascendenti a carico
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Mobbing
Si riferisce alle vessazioni sul lavoro, ossia alla condotta persecutoria od emarginante, discriminante ed
offensiva subita dal lavoratore nello svolgimento della sua attività
In alcuni casi, al reiterarsi di quella condotto, può derivare un vero e proprio danno biologico, con
conseguente diritto della stesso al completo ristoro del danno subito.
La patologia da mobbing non è tabellata: quindi, il lavoratore, ai fini dell’indennizzo, deve provare il nesso
di causalità, ossia deve dar corso ad una causa di lavoro contro l’INAIL o chiedere il risarcimento del danno
subito al datore di lavoro, dimostrando, appunto, di esser stato oggetto di vessazioni.
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Osteoarticolari
BPCO ed altre patologie croniche dell’apparato respiratorio
Neuropsichiatriche
Tumori
Altro: DM, IRC, obesità
• Pensione ordinaria di inabilità:
o “Si considera inabile l’assicurato, il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale si
trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”
o La misura della pensione di invalidità è superiore a quella dell’assegno ordinaria di
invalidità, per la situazione di maggior bisogno.
o Viene calcolata come se l’assicurato avesse versato i contributi sino al raggiungimento
dell’età pensionabile
o Cause più frequenti
Insufficienza coronarica grave
DM grave scompensato
Para- od emiplegia
Sclerosi multipla
Distrofia muscolare progressiva
Morbo di Parkinson in fase avanzata
• Assegno mensile per l’assistenza personale e continuata ai pensionati per inabilità
o È una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene
accertata l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
I pensionati di inabilità, che si trovano nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto
permanente di un accompagnatore e che non sono in grado di compiere gli atti quotidiani
della vita, possono presentare domanda per ottenere l'assegno per l'assistenza personale e
continuativa.
o Menomazioni
Riduzione dell’acuità visiva
Perdita di 9 dita della mano, compresi i 2 pollici
Lesioni del SN con paralisi totale flaccida dei due arti inferiori
Amputazione bilaterale dei due arti inferiori
Perdita di una mano o di ambedue i piedi, nonostante la possibile applicazione di
protesi
Perdita di un arto superiore e di uno inferiore
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sanitario rilevi che sussistono fondati motivi per procedere alla revisione, l'eventuale provvedimento
modificativo del trattamento in atto ha effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di
presentazione della relativa domanda.
4. Ove l'interessato rifiuti, senza giustificato motivo, di sottostare agli accertamenti disposti dall'Istituto
nazionale della previdenza sociale, quest'ultimo sospende, mediante apposito provvedimento, il
pagamento delle rate di assegno o di pensione, per tutto il periodo in cui non si rende possibile
procedere agli accertamenti stessi.
5. L'eventuale revoca o riduzione della prestazione ha effetto dalla data del provvedimento di
sospensione o da quella, successiva, alla quale sia possibile far risalire in modo non equivoco il
mutamento delle condizioni che hanno dato luogo al trattamento in atto.
6. Quando, a seguito della revisione, risulti che l'interessato non può ulteriormente essere considerato
invalido o inabile, la prestazione è revocata, ovvero, qualora si tratti di pensione di inabilità e sia
accertato il recupero di parte della validità dell'assicurato entro i limiti di cui al precedente articolo 1,
è attribuito l'assegno di invalidità.
7. Quando il titolare dell'assegno di invalidità venga riconosciuto inabile gli è attribuita la pensione di
cui all'articolo 2. L'importo della pensione non può essere inferiore a quello calcolato sulla base delle
retribuzioni considerate per la determinazione dell'assegno precedentemente goduto.
8. In caso di aggravamento delle infermità, documentato ai sensi del terzo comma del articolo,
l'interessato può chiedere la estensione del provvedimento di rettifica o di revoca della prestazione.
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Facoltà di curare
Il medico non ha nessun “diritto” di curare, ma ha semmai il dovere di assistere e di curare nei limiti del
consenso valido, espresso dalla persona assistita.
I trattamenti, dunque, sono volontari e richiedono la libera partecipazione di colui che li richiede, ad
eccezione di:
• TSO
• Trattamenti sanitari resi obbligatori da disposizioni di legge:
o Cura delle malattie veneree in fase contagiosa
o Trattamenti relativi alle malattie infettive e diffusive
o Vaccinazioni obbligatorie
o Trattamenti disposti dall’Autorità in caso di persone dedite all’uso di sostanza stupefacenti
o psicotrope
• Accertamenti ordinati dall’autorità giudiziaria
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capacità di reagire, da una serie di fattori anteriori, dalle circostanze ambientali in cui l’intervento si esplica,
dall’adeguatezza della struttura organizzativa ove la prestazione è effettuata, dal sovrapporsi di altri eventuali
fattoti causali, da complicanze difficilmente prevedibili, etc.
In conclusione, l’obbligo di ciascun sanitario col proprio assistito riguarda l’obbligo di comportarsi con
perizia, prudenza e diligenza, d’agire secondo il rispetto delle leggi, delle norme deontologiche, del
consenso, del programma diagnostico-terapeutico concordato con la persona stessa.
Altre considerazioni
• Comprensione da parte del paziente
• Autenticità del consenso
• Libertà del consenso
• Tipi di consenso
o Implicito: nei casi di prestazione esente da rischio o scevra da controindicazioni (consenso
tacito o presunto)
o Esplicito (specifico e documentato): nei casi di rischi concreti; in particolare, deve essere
sempre espresso nei casi di trasfusione di sangue e di anestesia
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Imperizia
Si parla di imperizia quando l’errore professionale deriva dall’essersi il medico discostato da quelle regole di
condotta che la maggioranza dei suoi colleghi avrebbe osservato di fronte allo stesso caso. Comunque,
secondo la giurisprudenza, “l’accertamento della colpa professionale del sanitario deve essere valutata con
larghezza di vedute e comprensione per la peculiarità dell’esercizio dell’arte medica e per la difficoltà dei
casi particolari”.
Infatti, specie in presenza di casi particolari, il rischio di errore diventa maggiore, anche per medici esperti.
Allorché la colpa professionale sia addebitata all’imperizia, si deve ritenere generalmente valido il principio
stabilito dall’art. 2236 c.c., secondo cui “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo e colpa grave”.
La Corte di Cassazione, inoltre, ha precisato che la speciale difficoltà sussiste ogni volta che la perizia
richiesta per la risoluzione di quel certo caso trascende i limiti di quel che si esige dal professionista medio,
poiché quel caso presenta caratteristiche eccezionali, straordinarie, non adeguatamente studiate dalla scienza
medica o perché pone in essere sistemi e metodi diagnostici, terapeutici o chirurgici dibattuti ed
incompatibili fra loro.
Nella pratica forense, quindi, la colpa grave, richiamata dall’art. 2236 c.c., si riscontra nell’errore
inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali
attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso di mezzi manuali o
strumentali adoperati nell’atto medico o chirurgico e che ogni medico deve essere sicuro di poter adoperare
correttamente.
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Perciò, non è imperito chi non sa, ma chi non sa e non sa fare quello che un altro medico o la maggioranza
dei suoi colleghi di pari qualifica, esperienza o specializzazione avrebbe dovuto sapere e saper fare nella
medesima circostanza.
Negligenza ed imprudenza
Non potrà esser mai invocata a giustificazione del mal operato del medico la difficoltà del caso concreto, se a
fondamento della colpa sono la negligenza e l’imprudenza del professionista.
Imprudente è quel medico che mostra di non tener conto dei rischi cui espone il proprio assistito (cioè si
dimostra incapace di prevederli e dunque di prevenirli); non è quindi imprudente chi usa mezzi diagnostici o
terapeutici rischiosi o pericolosi, ma chi li usa senza una effettiva necessità, anzi con avventatezza ed in
condizioni in cui la maggioranza dei colleghi li eviterebbe e senza le dovute cautele i precauzioni.
Negligente, infine, è quel medico che mostra col suo comportamento trascuratezza, disinteresse e
superficialità nei confronti dell’assistito, che omette, senza giustificato motivo o ragione, di fare quegli
accertamenti o di attuare quelle terapie che la maggioranza dei suoi colleghi nelle medesime condizioni
avrebbe attuato.
Fra tutte, la negligenza è la più inescusabile delle mancanze addebitabili al professionista, con la
conseguenza della maggior severità delle censure che ne derivano.
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Nella responsabilità extracontrattuale, invece, il danneggiato si troverà di fronte alla più complessa necessità
di dimostrare sia il nessi di causalità materiale sia la colpa del professionista.
La prescrizione, infine, è decennale nella responsabilità contrattuale, quinquennale in quella
extracontrattuale.
Il referto in casi d’obbligo rappresenta una “causa giusta imperativa” di rivelazione del segreto professionale
(SP), ma se viene redatto in quelle circostanze ove non ci sia l’obbligo, l’esercente compie reato di
rivelazione di SP (art. 622 c.p.).
La finalità del referto è duplice: non solo la repressione, ma anche la prevenzione della criminalità, poiché
consente allo Stato di individuare ed isolare la persona che ha compiuto l’azione criminosa e di attuare
misure anche di ordine preventivo, di difesa sociale e di recupero, peraltro sempre insite nell’attività di
giustizia penale.
Il sanitario, dunque, deve ritenersi esonerato dall’inoltrare il referto nella sola ipotesi in cui con esso
esporrebbe la persona assistita a procedimento penale: difatti, se non vi fosse tale eccezione, la persona che
avesse commesso un reato perseguibile d’ufficio, eviterebbe di recarsi dal medico per farsi curare, con la
certezza di esporsi a pericoli anche gravi per la sua salute o la sua vita.
Quindi, in tali circostanze, sulle finalità di difesa sociale e di repressione della criminalità e dunque
sull’obbligo giuridico di presentare il referto, prevale il diritto alla salute del cittadino e l’interesse della
collettività a tutelarla con il conseguente dovere da parte del medico di assisterlo con perizia, prudenza e
diligenza, rispettando il segreto professionale.
In tutti gli altri casi, il referto costituisce “giusta causa imperativa” di rivelazione del segreto professionale.
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Titolarità dell’obbligo
Il referto, si ricorda, deve essere presentato da “chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria abbia
prestato la propria assistenza od opera”.
Poiché si parla di professione sanitaria senza altre distinzioni, debbono ritenersi obbligati non solo coloro che
esercitano una professione sanitaria principale (medico, farmacista, veterinario, biologo), ma anche coloro
che esercitino un’altra professione (infermiere, ostetrica, etc.).
L’obbligo scaturisce dall’esercizio stesso della professione sanitaria, ossia dall’aver prestato assistenza od
opera in un caso che può presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio.
Il referto deve contenere l’esatta descrizione delle lesioni riscontrate, se possibile il giudizio diagnostico ed
in ogni caso il giudizio prognostico, cioè la previsione fondata della durata della malattia.
Delitti nei quali non v’è obbligo di referto poiché si esporrebbe la persona assistita a procedimento
penale
• Uso delle armi in duello
• Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale
• Rissa
• Fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona
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Tali finalità possono, talvolta, essere in contrasto con il diritto personale alla privacy; tuttavia, le denunce
sanitarie costituiscono giusta causa imperativa di rivelazione del segreto professionale.
Il sanitario, nella loro stesura dovrò indicare solo le notizie ed i dati di interesse per la salute pubblica:
qualsiasi altra segnalazione riguardante la sfera privata del singolo e priva di effettivo interesse per la tutela
della salute pubblica può esser considerata indebita e rende quindi punibile la condotta per rivelazione del
SP, ove la persona offesa presenti querela.
A differenza del certificato medico obbligatorio, non è l’assistito che chiede di redigere il documento in
questione, né esso viene rilasciato nell’interesse diretto dell’assistito.
A differenza del referto, poi, la finalità è diversa: essa, infatti, non consiste nella repressione della
criminalità, ma nella prevenzione e nella tutela della salute collettiva.
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Prelievo da viventi
Non sono consentiti i prelievi d’organo da viventi quando cagionino una diminuzione permanente
dell’integrità fisica e psichica del donatore, secondo l’art. 5 c.c. (atti di disposizione del proprio corpo).
Entro i limiti di questo articolo sono consentiti la donazione di sangue (si ricorda che il sangue era
considerato un liquido), i prelievi circoscritti di lembi di pelle, di frammenti di osso, di lambi di cartilagine,
di capelli, etc.
La persona può disporre di tali parti, ma solo a titolo gratuito, cioè senza ricevere alcun compenso.
È anche consentita, per espressa deroga di legge (26.06.1967), la donazione di rene: la deroga vale per
genitori, figli, fratelli germani e non germani del paziente e solo nel caso di loro assenza, o quando nessuno
di essi sia idoneo o disponibile, l’espianto può riguardare altri parenti o donatori estranei al nucleo parentale.
In ogni caso, è necessario il consenso esplicito libero ed informato della persona sottoposta a prelievo e tale
consenso non può esser soddisfatto da alcuno stato di necessità, né la persona deve ritenersi mai obbligata a
prestarlo.
Il trapianto di rene non è un intervento che mira a salvaguardare la vita dell’assistito, come nel caso di
trapianto di cuore o di fegato, ma soprattutto la qualità di vita: pertanto, il medico ha tutto il tempo di
effettuare in modo esauriente le prove di compatibilità, di valutare approfonditamente le condizioni del
donatore e del ricevente e di prepararli in modo adeguato all’intervento.
Comunque, ora in Italia anche questi altri trapianti sono eseguiti.
Soprattutto, va esclusa l’esistenza di malattie trasmissibili sulla persona del donatore, così da evitare che il
ricevente sia esposto al rischio di malattie gravi o mortali (ad esempio, epatite, AIDS).
La L. 1.16.1999 n. 483, infine, consente di disporre a titolo gratuito di parti di fegato, al fine di trapianto tra
persone viventi.
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Una volta accertata la morte del paziente, accertata anche la volontà di donare (vedi dopo), si manterranno
gli organi vitali in vita per 48 ore, nell’attesa dell’equipe dell’espianto.
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Sanzioni penali
• Trapianto a scopo di lucro: chiunque a scopo di lucro procura un organo od un tessuto di persona di
cui sia stata accertata la morte o ne fa in qualsiasi modo commercio, è punito con la reclusione da 2 e
5 anni e con una multa elevata. Se si tratta di sanitario viene inflitta in aggiunta l’interdizione
perpetua dall’esercizio della professione
• Trapianto abusivo: chi, senza scopo di lucro, procura un tessuto od un organo prelevato
abusivamente da una persona di cui sia stata accertata la morte, è punito con la reclusione fino a 2
anni. Se si tratta di sanitario, viene inflitta in aggiunta l’interdizione dall’esercizio della professione
fino ad un massimo di 5 anni
• Uso illegittimo di cadavere
• Distruzione di cadavere
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Art. 10 c.d.
“Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o di cui venga a conoscenza
nell’esercizio della professione. La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto.
Il medico deve informare i suoi collaboratori dell’obbligo del segreto professionale. L’inosservanza del
segreto medico costituisce mancanza grave quando possa derivarne profitto proprio o altrui ovvero
nocumento della persona assistita o di altri.
La rivelazione è ammessa ove motivata da una giusta causa, rappresentata dall’adempimento di un obbligo
previsto dalla legge (denuncia e referto all’Autorità Giudiziaria, denunce sanitarie, notifiche di malattie
infettive, certificazioni obbligatorie) ovvero da quanto previsto dai successivi artt. 11 e 12.
Il medico non deve rendere al Giudice testimonianza su fatti e circostanze inerenti il segreto professionale.
La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico dagli obblighi del presente articolo”.
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La rivelazione non legittima del segreto costituisce, oltre che un delitto penalmente perseguibile, una grave
violazione del c.d.; ha, inoltre, particolare gravità quando ne derivi profitto proprio od altrui o nocumento
della persona o di altri.
Non costituisce rivelazione del segreto professionale, ma semplice trasmissione, l’affidamento della notizia
ad una persona che pur essa è vincolata da segreto professionale.
La rivelazione, comunque, è legittima solo se sussiste una giusta causa; le giuste cause possono essere:
• Imperative: sono quelle che impongono la rivelazione del segreto:
o Notifiche e denunce sanitarie obbligatorie
o Certificati obbligatori
o Referto (art. 365 c.p.)
o Denuncia giudiziaria
o Perizia e consulenza tecnica
o Ispezione corporale ordinata dal giudice
o Visite ML di controllo (controllo dell’incapacità temporanea al lavoro)
o NB: in tutti questi casi, il medico è chiamato ad ottemperare ad un preciso obbligo giuridico
ed il non assolverlo fedelmente e nel modo dovuto può esporlo a sanzioni penali. Inoltre, il
medico sarà tenuto al più stretto riserbo circa le notizie irrilevanti ai fini dell’espletamento
dell’incarico
• Permissive: sono cause che permettono o consentono (ma non obbligano) di rivelare il segreto
o Cause che escludono l’antigiuridicità del fatto: consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.)
NB: nella valutazione della giusta causa permissiva, è opportuno che il medico
tenga conto della natura della malattia di cui l’assistito è affetto, della volontà o
meno di mantenere il segreto e dell’eventuale richiesta o autorizzazione
dell’assistito. Quindi, di fronte ai parenti che chiedono informazioni sullo stato di
salute di un loro congiunto, il medico può accettare di rispondere solo se ciò è in
linea con la volontà e l’esplicito consenso del suo assistito
o Cause che escludono la colpevolezza (cause scrminiative)
Caso fortuito o forza maggiore (art. 45 c.p.)
Costringimento fisico (art. 46 c.p.)
Errore di fatto (art. 47 c.p.)
Errore determinato dall’altrui inganno (art. 48 c.p.)
Stato di necessità (art. 54 c.p.)
Difesa legittima (art. 52 c.p.)
L. 31.12.1996 n.675: Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali
Per dato personale si intende qualunque informazione relativa ad una persona fisica, la cui conoscenza da
parte di terzi violi i diritti alla libertà, alla riservatezza ed all’identità personale.
Pertanto, la legge garantisce che il trattamento dei dati in questione si svolga nel rispetto del consenso
dell’interessato e salvaguardando il suo diritto alla privacy.
Per trattamento si intende qualsiasi operazione consistente nella raccolta, conservazione ed utilizzo dei dati
personali.
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I dati personali riguardanti in particolare salute e vita sessuale vengono definiti “dati sensibili” ed in generale
possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del
Garante.
Art. 26 c.d.
La cartella clinica delle strutture pubbliche e private deve essere redatta chiaramente, con puntualità e
diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica e contenere, oltre ad ogni dato obiettivo
relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate.
La cartella clinica deve registrare i modi e i tempi delle informazioni nonché i termini del consenso
del paziente, o di chi ne esercita la tutela, alle proposte diagnostiche e terapeutiche; deve inoltre registrare il
consenso del paziente al trattamento dei dati sensibili, con particolare riguardo ai casi di arruolamento in un
protocollo sperimentale.
Osservazioni ML
La responsabilità della regolare compilazione della tenuta e della custodia della cartella clinica, fino alla
consegna nell’Archivio centrale dell’Azienda, spetta al Primario del reparto.
Questi deve anche vigilare sull’esattezza dei contenuti tecnici della cartella, sull’aderenza alla realtà obiettiva
al quanto vi è riportato e deve verificare la correttezza degli accertamenti richiesti, della diagnosi formulata e
della terapia prescritta e praticata.
Al Direttore sanitario compete, invece, il controllo sull’archivio centrale delle cartelle cliniche; sotto sua
responsabilità, inoltre, viene rilasciata, inoltre, agli aventi diritto copia delle stesse cartelle e di ogni altra
certificazione sanitaria riguardante i malati assistiti in ospedale.
La cartella clinica, inoltre, rientra nella categoria degli atti pubblici, in quanto esplicazione del potere di
certificazione e della natura pubblica dell’attività sanitaria cui si riferisce.
L’art. 2699 c.c. intende per “atto pubblico” “il documento redatto con le richieste formalità dal pubblico
ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo ove l’atto è formato”.
L’atto pubblico, inoltre (art. 2700 c.c.: efficacia probatoria dell’atto pubblico), fa fede e quindi costituisce
prova fino a querela di falso “della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato,
nonché delle dichiarazione delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti”.
Se l’assistito dovesse riscontrare la non rispondenza tra quanto da lui dichiarato ai sanitari curanti e quanto
documentato in cartella, è tenuto a chiedere la rettifica del testo ufficiale del documento.
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Inoltre, secondo l’art. 2702 “La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza
delle dichiarazioni di chi la ha sottoscritta se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la
sottoscrizione, ovvero se quella è legalmente considerata come riconosciuta”
Contenuto
La correttezza e la completezza con cui le cartelle vengono redatte depongono per la perizia e la diligenza
dei sanitari curanti.
In essa devono esser riportate in primo luogo, ossia sul frontespizio. le generalità del paziente, accertate con
l’esibizione di un documento di riconoscimento valido.
Si dovranno segnare, sempre sul frontespizio, la data dell’ingresso in ospedale e l’ora in cui il ricovero è
avvenuto, nonché la diagnosi e lo status all’ingresso. Si avrà cura di scrivere in modo completo ed esauriente
anamnesi familiare, personale, fisiologica, patologica remota e prossima.
Si debbono poi indicare le visite effettuate, il loro esito e l’obiettività rilevata, la diagnosi formulata
all’ingresso, gli esami di laboratorio e strumentali, gli accertamenti specialistici, le terapie praticate, il
decorso della malattia durante la degenza, la diagnosi e lo status alla dimissione, le prescrizioni o i
provvedimenti adottati al momento della dimissione, la data e l’ora in cui questa avviene, il tipo di
dimissione, il trasferimento eventuale ad un altro ospedale, etc.
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Nella cartella devono esser contenute le dichiarazioni esplicite di consenso del paziente, il che è necessario
tutte le volte che l’atto medico o chirurgico ecceda la normale routine.
In sostanza, secondo sentenza della Cassazione, la cartella adempie all’esigenza dell’attestazione delle
attività espletate nel reparto, ha la funzione di diario della giornata, segnale il decorso della malattia, dà atto
dell’attività terapeutica svolta dai curanti, delle analisi effettuate, degli interventi praticati.
In sostanza, essa deve contenere tutti gli elementi che consentano di ricostruite in dettaglio l’attività clinica e
chirurgica svolta durante la degenza.
Scheda di dimissione ospedaliera e disciplina del flusso informativo sui dimessi dagli istituti di ricovero
pubblici e privati
Il DM 28.12.1991 ha stabilito l’obbligatorietà del rilascio della cosiddetta “scheda di dimissione
ospedaliera”; l’art. 1 di tale decreto stabilisce che la scheda di dimissione ospedaliera è lo strumento
ordinario per la raccolta delle informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di ricovero
pubblici e privati su tutto il territorio nazionale.
Essa, quindi, persegue soprattutto finalità di tipo statistico-epidemiologico e di controllo della qualità
dell’assistenza sanitaria.
È parte integrante, inoltre, della cartella clinica, assumendo dunque carattere di atto pubblico: la sua non
autenticità può configurare i delitti di cui agli artt. 476 e 479 del c.p.
Essa deve recare la firma del medico che l’ha materialmente redatta e quella del responsabile della divisione
o del reparto.
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Una copia va consegnata al dimesso assieme a quella della cartella; va conservata anch’essa per un periodo
di tempo illimitato.
L’obbligatorietà di redigere la scheda di dimissioni riguarda tutti gli istituti di ricovero esistenti nel Paese, sia
che si tratti di strutture pubbliche sia che si tratti di strutture convenzionate o private.
Definizione
Il certificato può essere definito alla stregua di testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente
apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può condurre all’affermazione di particolari diritti soggettivi
previsti dalla norma ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo o della società,
aventi rilevanza giuridica o amministrativa.
Il certificato, dunque, è l’”attestazione scritta di un fatto di natura tecnica, destinato a provare la verità”
(Gerin).
L’etimologia di certificato e certificazione è da riportare ai termini latini di “certus” (certo) e “facere”
(fare) per cui il Giusti sottolinea come non vi sia alcun dubbio “nel ritenere che ciò che qualifica e
caratterizza il certificato è l’attestazione di verità che esso presuppone”.
In tal senso si deve affermare che “per il medicotale concetto di verità non potrà altro che corrispondere
esattamente a quanto sia da lui obiettivabile e quindi clinicamente constatabile”
Il certificato, dunque, si pone come trait d’union ideale tra la sfera personale e privata del paziente e la sfera
sociale, rivelando immediatamente la sua grande rilevanza sia sul piano deontologico che su quello
strettamente giuridico.
Esso può assumere il significato di acclaramento, cioè di una mera dichiarazione di scienza; o di
accertamento, cioè di un atto che fa fede fino a querela di falso o fino a prova contraria; oppure di
certificazione in senso stretto.
Il criterio distintivo tra accertamento e certificazione dipende dall’appartenenza o meno del fatto attestato
alla sfera di attività del pubblico ufficiale, nel senso che acquista valore di certificazione solo
quell’attestazione scritta di un fatto che il medico ha direttamente compiuto o è caduto sotto la sua stretta
percezione, nella sua qualità di pubblico ufficiale.
Sotto tale riguardo, la certificazione ha lo stesso valore degli atti di stato civile.
I certificati, inoltre, possono essere obbligatori, quando imposti da tassativi dispositivi di legge, o facoltativi,
se richiesti dall’interessato a sua discrepanza ed a proprio vantaggio.
Quelli obbligatori (certificato di assistenza al parto, certificato di constatazione di decesso, etc.) rientrano tra
le giuste cause imperative di rivelazione di segreto professionale.
I certificati possono essere rilasciati, oltre che dai medici della pubblica amministrazione, anche dai medici
Privati –o soggetti equiparati -- i quali potranno o meno esercitare pubbliche funzioni, in quanto a ciò
espressamente abilitati dalla legge.
Per la dottrina medico--legale–– oltre ai certificati obbligatori che devono essere redatti in ottemperanza a
norme di legge––il medico non può e non deve esimersi dal rilasciare i certificati medici che gli vengono
richiesti dal paziente; ciò è valido anche per i certificati cosiddetti facoltativi e, cioè, per quelli per i quali
non esiste nessuna norma di legge che ne pone l’obbligo.
Il medico comunque non potrà rifiutarsi di redigere un certificato quando questo sia un certificato
complementare e/o attestante il realizzarsi di una prestazione sanitaria.
Il certificato è atto pubblico quando redatto da un “pubblico ufficiale” (art. 357 c.p.) o da un “
incaricato di pubblico servizio” (art. 358 c.p.); è scrittura privata quando redatto da un
“esercente un servizio di pubblica necessità.
Secondo l’art. 22 c.d. “il medico non può rifiutarsi di rilasciare direttamente al cittadino certificati relativi
al suo stato di salute. Il medico, nel redigere certificazioni, deve valutare e attestare soltanto dati clinici
che abbia direttamente constatato”.
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Secondo l’art. 24, inoltre, “il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di
salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati.
Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati e
alla formulazione di giudizi obiettivi escientificamente corretti”.
Nel primo periodo dell’art. viene precisato che il medico non può rifiutarsi di redigere e consegnare un
certificato al paziente che ne fa richiesta, ma ha il dovere di rifiutarlo a persone diverse dal paziente, quando
violerebbe il segreto professionale e tradirebbe comunque la fiducia del paziente medesimo.Il certificato è da
consegnarsi direttamente al soggetto interessato o ad altro richiedente cui la legge dia diritto.
Inoltre, il medico non può rilasciare il certificato sulla base di quanto riferitogli da terzi o su quanto egli non
abbia constatato. Poiché il certificato è redatto previa richiesta del paziente e può riportare sintomi riferiti
dallo stesso, non sempre obiettivabili, il medico deve distinguere tra quanto obiettivamente da lui riscontrato
e quanto riferito.
Il certificato contiene inoltre un giudizio clinico che si fonda sulla base dei dati rilevati; è opportuno che il
medico giustifichi la formulazione di questo giudizio clinico sulla base dei dati rilevati e di quelli forniti dal
Paziente.
Il secondo periodo sottolinea in modo rigoroso la necessità di una constatazione diretta, che
non può prescindere dall’anamnesi e dall’esame clinico del paziente e la conoscenza clinica del paziente è
solo un elemento tecnico ulteriore per una corretta ed adeguata compilazione dell’atto.
Nel certificato, inoltre, devono essere attestati solo i dati clinici per i quali il paziente ha chiesto la
certificazione, diversamente si incorrerebbe in rivelazione di “segreto professionale”.
Secondo l’art. 25, “il medico deve, nell’interesse esclusivo della persona assistita, mettere la documentazione
clinica in suo possesso a disposizione della stessa o dei suoi legali rappresentanti o di medici e istituzioni da
essa indicati per iscritto.
Costituenti
• Dati attestanti la veridicità
o una scrittura, stilata a mano o con mezzi meccanici che utilizzino inchiostro indelebile;
o l’autore dell’attestazione, che risulti dalla sottoscrizione dell’atto, con le generalità e la
qualifica del certificante;
o il destinatario, cui la certificazione è diretta, che risulta evidente quando l’attestato sia
redatto nei moduli prestabiliti;
o la data, dalla quale risulti il tempo ed il luogo in cui il certificato è stato compilato
• Requisiti
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Considerazioni ML
• Art. 480 c.p.: falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati od in autorizzazioni
amministrative: “il pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in
certificati od autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è
punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni”
• Art. 481 c.p.: falsità ideologica in certificati commessa da persona esercente un servizio di pubblica
necessità: “chiunque nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di
pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la
verità, è punito co la reclusione fino ad un anno o con multa tra 51 e 516 euro. Tali pene si
applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro”.
• NB: poiché sussista il delitto di falso (artt. 480 e 481) occorre che sia provato il dolo del certificante,
che il medico cioè abbia voluto certificare proprio il falso. La falsità è riferita più spesso alla
obiettività clinica riportata nella certificazione (obiettività che non trova riscontro nella realtà),
piuttosto che al giudizio od alla valutazione personale che il medico abbia eventualmente espresso
(certificato falso e compiacente). La falsità può riguardare anche gli atti compiuti dal sanitario, le
prestazioni e l’epoca in cui esse sono state erogate, etc.
Metodo
Il certificato deve rispondere a due quesiti fondamentali del metodo ML: il rigorismo obiettivo e la
dominante conoscenza del rapporto giuridico cui il fatto si riferisce.
Pertanto, una volta compiuto l’esame obiettivo e formulate la diagnosi e la prognosi, occorrerà proiettare il
giudizio clinico nell’ambito del particolare rapporto giuridico entro il quale sarà fatta valere la certificazione
(diritto civile, penale, infortunistico, previdenziale, etc.).
In sostanza:
• Il medico deve informarsi sul perché quel certificato gli viene richiesto e segnalato per iscritto
• L’assistito deve esser stato preliminarmente visitato
• Il certificato deve riportare i dati salienti dell’esame clinico, della diagnosi e della prognosi
• Ciò che si scrive deve essere assolutamente conforme a quanto obiettivato ed alla prestazione
effettivamente eseguita
• La data deve essere quella in cui il certificato viene compilato
• Va consegnato direttamente nelle mani del paziente o delle persone che ne hanno diritto
• Il certificato compiacente è, in ogni caso, un certificato falso che espone il medico all’imputazione di
falso ideologico
• Quando il certificato costituisce il completamento della visita effettuata al paziente, per esso non va
richiesto alcun onorario aggiuntivo
• Il certificato costituisce un’affermazione di verità
• I certificati obbligatori vanno distinti dalle denunce sanitarie obbligatorie: il referente di queste
ultime, infatti, è una ben precisa autorità sanitaria. La denuncia, inoltre, risponde a finalità di ordine
statistico preventivo; il certificato, invece, viene sempre rilasciato all’assistito che lo richiede o
quando è obbligatorio (certificato di gravidanza, certificati riguardanti assistenza sociale, etc.). Il
certificato, dunque, assolve a finalità di ordine amministrativo nell’interesse stesso della persona alla
quale viene rilasciato.
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Autocertificazione
Consiste nella facoltà riconosciuta ai cittadini di presentare, in sostituzione delle tradizionali certificazioni
richieste, propri stati e requisiti personali, mediante apposite dichiarazioni sottoscritte (firmate)
dall'interessato. La firma non deve essere più autenticata.
L'autocertificazione sostituisce i certificati senza che ci sia necessità di presentare successivamente il
certificato vero e proprio. La pubblica amministrazione ha l'obbligo di accettarle, riservandosi la possibilità
di controllo e verifica in caso disussistenza di ragionevoli dubbi sulla veridicità del loro contenuto.
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La seconda ipotesi di reato, configura un delitto di messa in mora: fuori dei casi previsti dal I comma, è
punito il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi
abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
Nel delitto di omissione di atti di ufficio il dolo è:
• Generico quando è sufficiente la sola previsione e volontà senza ulteriori fini specifici (omicidio
doloso).
• Specifico quando richiede un fine particolare (omicidio doloso ai fini di eredità).
Altre considerazioni ML
Trattandosi di una condotta omissiva, esso richiede la conoscenza dei presupposti del dovere di attivarsi.
Conformemente alla nuova strutturazione della fattispecie incriminatrice, è dunque necessario che il pubblico
ufficiale si rappresenti mentalmente le due situazioni tipiche previste nei due commi: è cioè necessaria la
consapevolezza, rispettivamente, delle ragioni (giustizia, sicurezza, igiene, sanità) che qualificano l’atto di
ufficio da compiere (art. 328 comma 1) o della richiesta di adempimento formulata dall’interessato (art. 328
comma 2).
Costituenti
• Interesse tutelato: fede pubblica ed attitudine a nuocere;
• Soggetto attivo: pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio);
• Oggetto materiale: documento (atto pubblico o scrittura privata) e, cioè, qualsiasi atto che sia
destinato a provare un fatto giuridicamente rilevante compiuto dal suo autore o da lui percepito, a
documentare la regolarità degli adempimenti ai quali è obbligato adempimenti ai quali è obbligato –
–ovvero circostanze di fatto ad essi ricollegabili fatto ad essi ricollegabili –– o che, comunque,
costituisca o concorra a costituire un diritto o un obbligo per la pubblica amministrazione o per
privati;
• Elemento oggettivo: contraffazione (relativa a fatti descritti nel certificato del tutto falsi) e/o
alterazione (relativa a correzioni e variazioni su di un atto originale);è l’integrazione della falsità
materiale;
• Elemento soggettivo: dolo.
Raffaele Vanacore
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TOSSICOLOGIA FORENSE
Tossicologia forense
È la disciplina che ha per oggetto la chimica analitica dei veleni, contenuti in qualsiasi materiale, la cui
ricerca sia eseguita a fini di giustizia. Sia la produzione del dato analitico che la sua interpretazione sono,
pertanto, finalizzati alla produzione della “prova” e del “nesso causale” ovvero alla dimostrazione
dell’osservanza o meno di una norma.
Quindi, suoi obiettivi fondamentali sono:
• Fornire la “prova”
o Predisporre idonee misure per raccolta e conservazione dei campioni da esaminare
o Isolare, identificare, quantificare i tossici
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Tipi di veleni
• Gruppo I: gas: CO, CN-
o Sintomi (S): apnea, asfissia, dispnea, vomito, colorito roseo o rosso della pella
o Insorgenza dei sintomi (I): rapida insorgenza di malattia o morte
o Luoghi di intossicazione (L): ospedali e cliniche odontoiatriche (per gas anestetici), siti
industriali, laboratori di ricerca, miniere, macchine, cucine
o Lavorazione (Lv): industrie chimiche, fornaci, industrie di colla, miniere
o Esaminazioni aggiuntive (E): esame degli strumenti e dei vestiti; esame di polmone e
cervello post-mortem
• Gruppo II: sostanze volatili: glicoli, fenoli, aniline, nitrobenzene
o S: dolori addominali (fenoli), convulsioni (glicoli), delirio, comportamento da ubriachi
(atassia, sonnolenza, alterazioni del linguaggio, allucinazioni visive), ittero (anline,
nitrobenzene), tremori, vomito
o I: rapida se inalati, lenta se ingeriti per os
o Storia clinica: alcolismo, sniffatori di colla (tipica dei bambini)
o L: luoghi domestici, ospedali e laboratori di ricerca, altri luoghi comuni
o Lv: pittori, fabbriche di plastica, siti di lavorazione del petroli, siti di produzione di profumi
e gomme
o E: bottiglie e contenitori rinvenuti vicino alla vittima (anche se vuoti), vestiti; esami di
sangue ed urine in vita; esami di polmoni e cervello post-mortem; esame dell’umor vitreo,
specie se il corpo è decomposto
• Gruppo III: farmaci (solventi solubili)
o S: variabili, ma tipici per categoria:
Analgesici: irritazione gastrica, ematuria, sudorazione, coma, convulsioni
Oppiacei: miosi pupillare, fibrillazioni muscolari, bradipnea, coma, ipotensione
Sedativi ed ipnotici: atassia, stupor, coma
Stimolanti ed antidepressivi: midriasi, bocca secca, cefalea, tachicardia, tremori,
convulsioni
o I: lenta, a meno che non siano iniettati
o L: soprattutto tra i 16 ed i 30 anni (colleges, discos, clubs, etc.), in seguito soprattutto
autoprescrizioni o pazienti psichiatrici
o E: esami di sangue ed urine ante-mortem, esami post-mortem del liquido nasale, ricerca di
segni di iniezione, controllo del colorito cutaneo
• Gruppo IV: metalli
o S: anemia, crampi, diarrea, dolore gastrico, perdita dei capelli (tallio e selenio), gusto
metallico, paralisi, neurite periferica, salivazione, ritenzione urinaria, perdita di peso
o I: solitamente dopo qualche ora; morte dopo qualche giorno
o L: industrie, laboratori
o Lv: lavorazioni agricole e chimiche, della ceramica, del vetro, del petrolio, etc.
o E: esami di sangue ed urine ante-mortem; esame post-mortem di reni, contenuto intestinale,
ossa, capelli, unghie
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Aspetti legislativi
• D.P.R. 309/1990: testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanza
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza: finalità sono:
o Perseguimento dell’abuso e del traffico illecito (art. 73: sanzioni per spaccio, etc.)
o Recupero del tossicodipendente
Sanzioni amministrative (art. 75)
Sospensione della pena detentiva per reati connessi in relazione al proprio stato do
tossicodipendenza
o Uso terapeutico di medicinali a base di sostanze stupefacenti che possono esser oggetto di
abuso per il loro potere tossicomanigeno
o NB: art. 13:
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o Autoprescrizione: solo per i medicinali compresi nell’All. III-bis, per uso professionale
urgente > ricettario speciale
o NB: per la prescrizione dei medicinali tab. II-A, B, C: per le normali esigenze terapeutiche la
richiesta dovrà esser fatta in triplice copia
1) le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezioni A o B, da sole
o in associazione con altri principi attivi quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa
e per le modalita' del loro uso, presentano rischi di abuso o farmacodipendenza di grado inferiore
a quello delle composizioni medicinali comprese nella tabella II, sezioni A e C, e pertanto non sono
assoggettate alla disciplina delle sostanze che entrano a far parte della loro composizione;
2) le composizioni medicinali ad uso parenterale a base di benzodiazepine;
3) le composizioni medicinali per uso diverso da quello iniettabile, le quali, in associazione con
altri principi attivi non stupefacenti contengono alcaloidi totali dell'oppio con equivalente
ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in peso espresso come base anidra; le
suddette composizioni medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello
stupefacente con facili ed estemporanei procedimenti estrattivi;
f) nella sezione E della tabella II sono indicati:
1) le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezioni A o B, da sole
o in associazione con altri principi attivi, quando per la loro composizione qualitativa e
quantitativa o per le modalita' del loro uso, possono dar luogo a pericolo di abuso o generare
farmacodipendenza di grado inferiore a quello delle composizioni medicinali elencate nella tabella
II, sezioni A, C o D.
2. Nelle tabelle I e II sono compresi, ai fini della applicazione del presente testo unico, tutti gli
isomeri, gli esteri, gli eteri, ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonche' gli
stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze ed ai preparati inclusi
nelle tabelle, salvo sia fatta espressa eccezione.
3. Le sostanze incluse nelle tabelle sono indicate con la denominazione comune internazionale, il
nome chimico, la denominazione comune italiana o l'acronimo, se esiste. E', tuttavia, ritenuto
sufficiente, ai fini della applicazione del presente testo unico che nelle tabelle la sostanza sia indicata con
almeno una delle denominazioni sopra indicate, purche' idonea ad identificarla.
4. Le sostanze e le piante di cui al comma 1, lettera a), sono soggette alla disciplina del presente
testo unico anche quando si presentano sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela .
Intensità dell’abuso
o Criteri chimico-tossicologici: accertamenti clinici e di laboratorio
• Schema di intesa CSR n.99 30.10.2007 e CSR 18.09.2007: Procedure per gli accertamentisanitari di
assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanzestupefacenti o psicotrope in lavoratori
addetti a mansioni checomportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumita' e lasalute di
terzi
• DL 09.04.2001 n. 81: testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro > verifica di assenza di condizioni di alcol-dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope
e stupefacenti (tramite visite mediche)
Abuso di alcol
• Legge quadro sull’alcol 30.03.2001 n. 125 art. 15:
o 1: “Nelle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero
per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi (addetti alla sanità, insegnati, ndr),
individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il
Ministro della sanità, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, è fatto divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e
superalcoliche”
o 2: “Per le finalità previste dal presente articolo i controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro
possono essere effettuati esclusivamente dal medico competente ai sensi dell’articolo 2,
comma 1, lettera d), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive
modificazioni, ovvero dai medici del lavoro dei servizi per la prevenzione e la sicurezza
negli ambienti di lavoro con funzioni di vigilanza competenti per territorio delle aziende
unità sanitarie locali”
o 3: “Ai lavoratori affetti da patologie alcolcorrelate che intendano accedere ai programmi
terapeutici e di riabilitazione presso i servizi di cui all’articolo 9, comma 1, o presso altre
strutture riabilitative, si applica l’articolo 124 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza,”
o NB: il problema è che bisogna trovare una strategia che rispetti la riservatezza del
lavoratore, per non invadere la sfera dei dati sanitari sensibili, pur tutelando il datore di
lavoro (responsabile di eventuali incidenti). Pertanto, vi è tutta una serie di protocolli
operativi, stabiliti in ambito Stato-Regioni-Ministero della Salute, tra i quali in ultimo (nel
2009) si è stabilito che il controllo vien fatto anche come visita preassuntiva o dopo un
cambio di mansioni, nonché in caso di adozione di un minore
• Conseguenze: il C.d.S. è una disciplina civile, ma gli artt. 186 e 187 sono reati penali
• Tipologie di indagini
o Diagnosi di attualità d’uso: la prima sanzione, in caso di test positivo, è il ritiro della patente
o Controlli per le commissioni mediche: servono per definire il tipo di vita della persona,
valutando quindi l’abitudine all’uso
• Linee guida dei controlli tossicologici
o Catena di custodia: il campione deve essere suddiviso in più aliquote, la prima delle quali
viene usata per lo screening, la seconda per l’analisi di conferma e la terza per l’eventuale
contraddittorio richiesto dalla persona
o Metodi di screening adeguati per cut-off ai livelli di applicazione dei controlli
o Analisi di conferma effettuate con spettrometria di massa: è l’unica metodologia analitica in
grado di identificare la struttura chimica della sostanza definita
o Dosaggio quantitativi da effettuarsi con standard di riferimento: l’accessibilità allo standard
è riservata a strutture sanitarie, di ricerca o universitarie iscritte ad un apposito elenco del
Ministero della Salute
o Responsabilità professionale per scorretto utilizzo dei mezzi
Dati istituzionali
• Indagini per la Magistratura (art. 73)
• Indagini per la Prefettura (art.75)
• Dati provenienti dalle carceri (vengono svolti controlli su soggetti che usufruiscono di permessi
premio, permessi lavorativi o misure alternative)
• Dati provenienti da ospedali, centri di igiene mentale, centri di PS, SERT, commissioni mediche
locali
• NB: dai dati provenienti dalle indagini tossicologiche svolte in questi ambiti si fa la relazione
annuale al Parlamento
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essere in grado di soddisfare il rigorismo metodologico imposta dalla ML. Con il termine di
procedura analitica si intende sia la scelta appropriata del campione biologico, sia l’applicazione di
metodi analitici idonei per il raggiungimento del fine desiderato.
• Approccio metodologico: pur se diversificato a seconda della finalità dell’indagine, non potrà
prescindere dall’applicazione della classica criteriologia ML di avvelenamento. Lo studio di questi
criteri (vedi Cap. precedente) consentirà di orientare la nostra indagine tossicologica verso una
determinata causa di intossicazione e solo la loro concordanza e la valutazione integrata dei ddati,
scaturiti dai diversi criteri, può dare la certezza della diagnosi.
Matrici convenzionali
La scelta del campione biologico, convenzionale od alternativo, dipende dalla disponibilità del campione,
dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’analita e, soprattutto, dalla finalità dell’accertamento
• Sangue: è il campione biologico di elezione
o Caratteristiche principali
Direttamente correlato allo stato di intossicazione
Conoscenza farmacodinamica e farmacocinetica di numerosi tossici
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Matrici alternative
Il loro utilizzo ha assunto grande importanza in tossicologia forense (TF) sia per il monitoraggio di droghe e
farmaci che per la valutazione dell’esposizione prenatale a sostanze illecite, controllo antidoping o in caso di
mansioni lavorative. Vantaggi rispetto alle tecniche convenzionali sono:
• Campionamento non invasivo
• Non richiesta una supervisione speciale perché difficilmente adulterabili
• Aumento considerevole della finestra di reversibilità per numerose droghe
• Correlazione con la concentrazione ematica (saliva
• Richiesta di tecnica di conferma altamente sensibili
Le più utilizzate sono:
• Capelli
• Saliva
• Sudore
• Umor vitreo
• Meconio
Protocollo analitico
• Identificazione di un tossico
o Conoscenza del tossico e della sua farmacocinetica (metabolismo, accumulo)
o Scelta del campione biologico da esaminare
Finalità dell’indagine
Intossicazione in atto o pregressa
Caratteristiche fisico-chimiche del tossico (metalli, pesticidi)
Via d’introduzione
o Tecnica analitica e strumentale da adottare
Metodica estrattiva, derivatizzazione
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Head-Space, etc.
o Dose terapeutica, tossica, letale: interpretazione del dato
• Tipologie di analisi: il tossicologo ha a disposizione una vasta gamma di tecniche strumentali e
procedure analitiche per condurre un’indagine tossicologica; potrebbe anche usare una combinazione
di più procedure analitiche per coprire una gamma più vasta di possibili sostanze, che non rientrano
nelle normali procedure di screening. Comunque, le analisi possono riguardare:
o Screening (metodi immunochimici, test colorimetrici): analisi preliminare volta
all’identificazione di grandi gruppi di sostanze, determina, in riferimento a cut-off
prestabiliti, la positività o la negatività di un campione
Mezzi: tecniche immunochimiche: si basano sulla reazione competitiva tra la
sostanza da identificare (antigene) e la stessa sostanza marcata (antigene marcato),
nei confronti di un anticorpo specifico
• EMIT: enzima
• RIA: I125
• FPIA: fluorescina
Parametri caratterizzanti le tecniche immunochimiche
• Sensibilità: è la più piccola quantità che il metodo riesce a dosare. Tanto più
è sensibile il sistema analitico, tanto più piccola sarà la sostanza dosabile. È
influenzata dal marker utilizzato
• Specificità: è la capacità del metodo analitico di dosare solo il composto in
esame; dipende dal tipo di anticorpo utilizzato
• Accuratezza: è la differenza tra il valore reale ed il valore medio ottenuto da
un certo numero di determinazioni
• Precisione: indica la concordanza tra misure ripetute sullo stesso campione
• Cut-off: rappresenta un limite di concentrazione (valore soglia) definito per
stabilire se un campione è positivo o negativo; viene utilizzato sia per le
procedure di screening che per quelle di conferma
o Variabilità in rapporto a:
Matrice biologica
Metodologia utilizzata
Finalità dell’indagine
o Da indicare chiaramente nel referto, deve essere condiviso ed
omogeneamente applicato in tutti i laboratori coinvolti nelle stesse
tipologie di analisi
Vantaggi
• Campione biologica tal quale ed in piccola quantità
• Velocità di risposta di un’indagine
• Possibile analisi di più sostanze con una stessa determinazione
• Sensibilità elevata per la finalità dell’indagine
• Bassi costi di esercizio
Svantaggi
• Possibili falsi negativi e falsi positivi per adulterazione
• Scarsa specificità
• Sensibilità variabile all’interno di una stessa famiglia di sostanze
• Metodiche validate prevalentemente su matrice unitaria
o Conferma (spettrometria di massa): analisi più specifica, conferma, identifica e/o quantifica
una sostanza ed i suoi metaboliti
Preparazione
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o Sofferenza epatica: da diminuzione della sintesi degli enzimi necessari alla metabolizzazione
delle droghe e quindi conseguente aumento della concentrazione ematica e dell’emivita delle
droghe nell’organismo
o Via di assunzione ev: vengono oggi così assunte anche droghe un tempo tradizionalmente
assunte per via inalatoria o per via orale (cocaina, metadone, psicofarmaci). Considerazioni
ulteriori riguardano:
Variazione della DL
Complicanze infettive: epatite virale, infezione tetanica, AIDS
Patologie derivanti dall’uso di farmaci destinai ad uso orale: eccipienti per
compresse, se somministrati ev, possono portare alla formazione di emboli
o Condizioni fisiche del soggetto assuntore: patologie plurifattoriali, degenerative o
immunitarie possono predisporre e/o condizionare l’effetto tossico della sostanza
stupefacente, la quale quindi può espletare la sua azione in dosi sub-letali, inidonee a
giustificare il processo
Indagini chmico-tossicologiche
• Capacità interpretative
o Scelta dei reperti biologici ed indicazione del sito di campionamento
o Interpretazione del dato
• Esatto campionamento: può limitare l’errata interpretazione dei dati tossicologici. Il campione
ematico di scelta per le analisi tossicologiche è il sangue femorale, perché riflette la concentrazione
ematica ante-mortem e perché il sangue periferico è meno soggetto alla ridistribuzione (potrebbe
provenire soltanto dal tessuto muscolare adiacente o dal grasso). La ridistribuzione verso i vasi
centrali, invece, è maggiore poiché proviene dal tratto GI, dal fegato o dai polmoni, per cui la
concentrazione del sangue a livello centrale risulta maggiore.
• Interpretazione del dato: vari fattori contribuiscono alle criticità interpretative del dato tossicologico
e non sempre vengono evidenziate concentrazioni tali da poter formulare una diagnosi certa di
avvelenamento:
o Tolleranza individuale
o Variabilità biologica interindividuale
o Interazione tra droghe e farmaci
o Presenza/assenza di patologie preesistenti
o Tempo di sopravvivenza (metabolismo)
o Stabilità delle droghe
Cocaina: viene idrolizzata dalle colinesterasi sieriche, per cui nella valutazione
occorre tener conto anche della concentrazione dei metaboliti
Morfina glucuronide: nel sangue cadaverico può esser convertita in morfina libera in
caso di contaminazione batterica, che può scindere il legame con l’acido glucoronico
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Oggi, tuttavia, il riscontro di sostanze oppioidi naturali come stupefacenti è alquanto diminuito, essendo
largamente aumentato il consumo di sostanze sintetiche o semisintetiche, che possono avere una struttura
chimica anche completamente diversa, ma che comunque si legano agli stessi recettori.
In definitivi, gli oppioidi ad attività analgesica possono essere:
• Naturali: morfina, codeina, tebaina
• Semisintetici: eroina, diidromorfina
• Sintetici: meperidina, metadone, buprenorfina> sono utilizzati nel trattamento analgesico di pazienti
neoplastici
Farmacodinamica
È bene ricordare come vi siano oppioidi endogeni (encefaline, endorfine, dinorfine), che, pur con una
struttura diversa da quelli esogeni (sono polipeptidi) agiscono sugli stessi recettori.
Essi, infatti, sono secreti in maniera abbondante in condizioni di stress psico-fisico (sistema di difesa) ed
hanno sostanzialmente un effetto narcotico-analgesico:
• Meccanismo d’azione
o Inibizione adenilato-ciclasi
o Diminuzione cAMP
o Modifica del potenziale di membrana
o Inibizione della trasmissione dello stimolo doloroso
• Recettori: hanno azione si diversi recettori:
o µ1: analgesia sovraspinale, motilità intestinale, euforia > processo iniziale di abuso di
oppioidi
o µ2: depressione respiratoria e dipendenza
o κ: analgesia, sedazione, miosi (segno tipico di intossicazione acuta)
o δ: analgesia spinale
o σ: disforia ed allucinazioni
o NB: un elevato numero di recettori si trova anche nell’addome; infatti, consumatori cronici
di oppioidi presentano, tipicamente, crampi addominali, stipsi, nausea, vomito.
Farmacocinetica
• Assunzione
o Ev: pratica tipica, è stata in parte abbandonata per la diffusione di patologie infettive
correlate allo scambio di siringhe; oggi è per lo più utilizzata per il costo minore
o Inalazione di polveri (sniffing) o fumi (snorting): uso saltuario :l’assorbimento dell’eroina
per via inalatoria ed il suo passaggio attraverso la mucosa rinofaringea, pur se rapidi,
producono effetti farmacologici pari a circa il 10-20% di quelli legati all’assunzione ev
NB: per l’aumento dell’utilizzo di questa via non si riscontra più il tipico segno
dell’agopuntura
o Orale
• Metabolismo:
o Rapida distribuzione a tessuti molto irrorati: polmone, rene, fegato
o Rapida conversione (10-15 minuti) in monoacetilmorfina (6-MAM) e poi, più lentamente (4-
6 ore), in morfina (e codeina): la prima (MAM) è individuabile nell’urina in funzione della
frequenza di abuso, mentre la seconda (morfina) in relazione all’assunzione abituale e fino a
4-5 giorni
NB: la codeina è un metabolita minore dell’eroina, ma è un metabolita anche di altri
oppioidi: pertanto, risulta fondamentale il rapporto codeina/morfina, che, se elevato,
può indirizzare un riscontro positivo al test verso l’assunzione di farmaci a base di
codeina (o di farmaci che hanno la codeina come metabolita) piuttosto che di eroina
NB: il 6-MAM, metabolita primario dell’eroina, è l’elemento cardine per la diagnosi
da dipendenza da eroina. La ricerca della sostanza, tuttavia, si fa prevalentemente su
matrici alternative (capelli, sudore, unghia, saliva): in tali matrici, organi di deposito
del composto primario piuttosto che dei metaboliti, si troverà l’eroina piuttosto che
la 6-MAM (e codeina nei casi di assunzione di farmaci a base di codeina)
o Quota convertita a livello epatico con morfina glucuronata (coniugata): questa viene
riespulsa con la bile, la quale darà informazioni circa la ritualità dell’uso (concentrazioni
elevate di eroina nella bile per accumulo da abuso cronico)
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• Escrezione urinaria nei consumatori abituali: l’urina dà informazioni sulla sostanza consumata negli
ultimi 2-3 giorni e dipende dalla modalità di assunzione:
o Dopo iniezione ev: 65% della dose somministrata
o Dopo somministrazione per via nasale: 26%
o Dopo inalazione del fumo: 14%
• Studio dell’uso pregresso: capello di almeno 8 cm: consente di fare una retrodatazione delle
abitudini voluttuari degli ultimi 8-9 mesi (in quanto i capelli crescono al ritmo medio di 1 cm al
mese)
Caratteristiche cliniche
• Segni clinici connessi all’abuso
o Miosi
o Depressione del respiro fino all’apnea con cianosi
o Sintomi correlati: ipotensione e bradicardia, ipotermia, iporeflessia
o Stupor o coma
o Edema polmonare
o Alterazione della funzionalità GI: spasmo pilorico, diminuzione della peristalsi, spasmo
delle vie biliari
o Alterazioni dell’accomodazione visiva e fotofobia
o Perdita della sensibilità dolorifica
o Assoluta incapacità di concentrazione mentale
o Astenia agli arti inferiori
o Perdita completa dell’istinti sessuale (nella donna anche alterazioni del ciclo ed amenorrea)
o Sudorazione e tremori
• Caratteristiche della dipendenza
o Psichica: si manifesta come una spinta prepotente a continuar a prender droga ed a
procurarsela ad ogni costo
o Fisica: si instaura rapidamente e facilmente ed aumenta con l’aumentare della dose
o Tolleranza: richiede aumento della dose
• Fattori determinanti il narcotismo acuto (superamento della soglia di tolleranza)
o Assunzione di dosi superiori al livello di tolleranza individuale (anche per cambio di
fornitori, che forniscono dosi con quantità superiori di principio attivo)
o Uso di sostanze ad elevata purezza
o Poliabuso (altre droghe, alcol, BDZ): particolarmente pericoloso è l’utilizzo di lidocaina
come sostanza da taglio
o Overdose nei body-packer da rottura di ovuli
• Intossicazione acuta:
o Sintomatologia: euforia, prurito cutaneo, miosi, sonnolenza, diminuzione della frequenza e
dell’ampiezza del respiro, ipotensione, bradicardia, diminuzione della temperatura corporea:
tale sintomatologia può evolvere in depressione respiratoria, apnea, coma e morte
o Terapia:
Ventilazione del paziente in oblio respiratorio
Naloxone: la sua durata d’azione è inferiore a quella degli oppiacei (e quindi i
sintomi possono ripresentarsi nel giro di poche ore); pertanto, si richiedono
successive eventuali somministrazioni (> osservazione del paziente per 24 ore)
• Sintomi e segni della sindrome da astinenza
o Midriasi
o Tachicardia
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Inoltre, dà minore dipendenza fisica e la sintomatologia astinenziale è blanda. Tuttavia, con l’utilizzo
domiciliare di bubrenorfina si corre il rischio di morte accidentale perché il soggetto se la
somministra ev,
Considerazioni farmacologiche
• Metabolismo
o Via delle esterasi in plasma e fegato
Metabolita principale: benzoil-ecgonina> urine
Metaboliti secondari: ecgoninametil-estere, ecgonina
o Via della metilazione dell’azoto della cocaina (via secondaria) >norcocaina
• Farmacodinamica: l’azione stimolante è indotta dal blocco della riassunzione di alcuni
neurotrasmettitori
o Quando le molecole di neurotrasmettitore vengono liberate dalle vescicole, esse attraversano
la fessura sinaptica e stimolano le cellule nervose successive. Una parte delle molecole viene
ricaptata
o In presenza di cocaina il reuptake non avviene perché bloccato e l’azione stimolante
aumenta con l’aumento della concentrazione di tali mediatori nella fessura sinaptica
Considerazioni cliniche
• Effetti dell’uso cronico
o Dipendenza psicologica
o Dipendenza fisica assente o scarsa
o Tolleranza inversa o sensibilizzazione comportamentaòe
o Psicosi, depressione, impotenza
o Polydrug use
o Perdita del ritmo sonno/veglia
o Allucinazioni
o Violenza
o Perdita di peso
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Amfetamine
Sono sostanze di sintesi con effetti stimolanti simili alla cocaina; inducono dipendenza e tolleranza inversa.
Le complicanze legate all’uso sono simili a quelle indotte dalla cocaina.
L’ecstasy (o MDMA: metilendiossimetamfetamina) è una droga di sintesi empatogena o entactogena: il
deficit di ST che si instaura a seguito dell’assunzione di ecstasy è responsabile delle depressione che segue
l’effetto stimolante dell’ecstasy.
L’intossicazione acuta da ecstasy si manifesta con gli stessi sintomi del colpo di calore; gli effetti stimolanti
pregiudicano la capacità di stimare i rischi connessi a determinati comportamenti (es. guida veloce).
Metaclorfenilpiperazina
È una molecola di sintesi appartenente alla classe delle piperazine, in grado di svolgere effetti sia
antidepressivi che stimolanti.
Viene usata a scopo ricreativo (discoteche, rave party) ed ha effetti sul sistema ST (ansia, confusione,
tremori, vomito, paura di perdere il controllo, ipersensibilità a luce e rumore).
Altri
• Ketamina: è un anestetico dissociativo per uso veterinario ed umano
o Piccole dosi: dissociazione psichica, lieve analgesia
o Dosi più elevate: allucinazioni “pre-morte”, percezione di “entità disincarnate”, visioni del
futuro
o Nella fase di risveglio
Eccitazione
Sogni vividi
Confusione mentale
Comportamento irrazionale
Aumento del tono della muscolatura scheletrica con comparsa di movimenti tonici e
clonici
• LSD
o Allucinazioni e visioni mistiche
o Depersonalizzazione
o Disintegrazione degli schemi spazio-temporali
o Sensazione di separazione dal carpo
• Psilocybe: ipertermia, stato epilettico, disordini della percezione
• Peyote: mescalina
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Avvelenamento da CO
È una delle forme più comuni di morte suicidaria o accidentale: difatti, nonostante la sostituzione del gas
illuminante col metano, la relativa facilità di formazione del CO da ogni processo di combustione non
consente di escludere il rischio di intossicazione.
Oggi, una significativa produzione di CO deriva dalla presenza di questo gas nei fumi di scarico dei motori a
scoppio, costituendo di fatto un reale problema di inquinamento, con conseguenti fenomeni di intossicazione
acuta e cronica.
Peraltro, il fumo di sigarette contiene, per il 3-6%, CO e ciò giustifica i livelli del 2-3% di
carbossiemoglobina trovati nel sangue dei fumatori (normalmente sono minori dell’1%).
Il CO, infatti, si lega reversibilmente all’Hb, formando HbCO (carbossiemoglobina), ma con un legame 240
volte più forte di quello con l’ossigeno: pertanto, un’inalazione di una concentrazione relativamente bassa di
gas può influenzare significativamente la capacità dell’ossigeno di legarsi all’Hb nei globuli rossi.
Di conseguenza, se la molecola di Hb è legata al CO, diminuisce l’ossigeno disponibile per i tessuti insieme
alla pressione parziale dell’ossigeno e questa situazione causa ipossia dei tessuti.
Il CO si lega, oltre che all’Hb, alla mioglobina ed alla citocromoossidasi intracellulare che incrementa
l’ipossia cellulare e dei tessuti.
Comunque, la saturazione del sangue in HbCO dipende, oltre che dal contenuto in CO nell’aria ambientale,
dal tempo di esposizione e dalla ventilazione polmonare.
Numerosi fattori influenzano la saturazione del sangue in HbCO e bambini, sofferenti di malattie che
stimolano il metabolismo basale, gli anemici e coloro che soffrono di disturbi CV sono più sensibili agli
effetti tossici del CO.
Il monossido di carbonio attiva cyclaseguanilico, che produce GMP ciclico e ossido nitrico sintase, che fa
NO, ma danneggia anche il metabolismo dell’energia mitocondriale e la funzione dei citocromi, necessarie
per la disintossicazione. Il monossido di carbonio innesca anche uno stress vascolare ossidativo (per
produzione di cellule endoteliane di NO e di perossinitrito) e perossidazione dei lipidi del cervello. Molto
significativamente, il monossido di carbonio agisce come un neurotransmettitore gassoso nella modulazione
di molte funzioni critiche tra cui la frequenza della respirazione, del battito cardiaco, la
vasodilatazione,l’apprendimento, la memoria e l’adattamento durevole agli stimoli sensoriali (es. odori).
Possono aversi:
• Avvelenamento acuto
o Segni: sono il risultato dell’anossia di tutti i tessuti, ed in particolare di encefalo e miocardio,
e si correlano alla carbossiemoglobinemia:
0-10% : assenza di segni clinici
11-20%: emicrania modesta, dispnea e rossore (per dilatazione dei capillari)
21-30%: emicrania, pulsazioni alle tempie, debolezza, adinamia occasionale
31-40%: emicrania, disturbi visivi, nausea, vomito, adinamia, collasso
41-50%: collasso, sincope, aumento delle pulsazioni
51-60%: sincope, coma, convulsioni
61-70%: convulsioni intermittenti, depressione circolatoria e respiratoria, coma
71-80%: polso debole, respiro irregolare, morte entro 2 ore
81-90%: morte entro un’ora
> 90%: morte entro 30 minuti
o Note fisiopatologiche
Emicrania: sarebbe il risultato di un edema cerebrale da vasodilatazione
Morte: deriva soprattutto da ischemia miocardica, che può causare irregolarità della
pressione e del ritmo cardiaci
Evoluzione
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• Morte
• Sopravvivenza: lo stato del paziente ritorna normale, anche se uno stato
comatoso prolungatosi per più di 24 ore lascia segni irreversibili a carico del
SNC
o Reperti post-mortem
Color rosso vivo (rosso ciliegia) delle ipostasi
Organi parenchimatosi e muscolatura di color rosa brillanti
Sangue di color rosso brillante
Polmoni distesi ed edematosi
Piccolissime emorragie sotto la pleura
Encefalo edematosa ed emorragico
o Diagnosi: determinazione della carbossiemoglobinemia: si ricorda che una concentrazione
post-mortale di carbossiemoglobinemia elevata può formarsi anche in corpi sommersi in
acqua per un periodo prolungato ed è dovuta all’azione di microrganismi presenti nell’acqua
che causano la decomposizione anaerobica di mioglobina ed emoglobina
• Avvelenamento cronico: è una malattia relativa ai lavori che si svolgono in un ambiente contenente
CO (garage, ambienti cittadini fortemente trafficati ed altri luoghi in cui la concentrazione di HbCO
può superare il 3-5%.
o Clinica: poiché l’avvelenamento cronico da bassi livelli di monossido di carbonio danneggia
l’ossigenazione dei tessuti, qualsiasi organo può essere interessato, insieme al cervello, al
cuore e ai polmoni poiché sono i più sensibili agli effetti del monossido di carbonio. I
sintomi più comuni dell’avvelenamento cronico da monossido di carbonio sono in effetti gli
stessi di quelli dell’avvelenamento acuto, salvo che possono variare notevolmente nel tempo
siccome si acutizzano e diminuiscono in risposta alle esposizioni da monossido di carbonio,
non solo esogene, ma anche in risposta a qualsiasi stimolo cronicamente stressante, poiché
tutti questi stimoli producono HO-1 per rompere le proteine eme in monossido di carbonio.
I sintomi più comuni sono:
1. Cefalea
2. Fatica, debolezza
3. Dolori muscolari, crampi
4. Nausea, vomito
5. Disturbi allo stomaco, diarrea
6. Confusione, perdita della memoria
7. Vertigine, incoordinazione
8. Dolore al torace, tachicardia
9. Respiro difficile o superficiale
10. Alterazioni dell’udito, della vista, dell’olfatto, del gusto o del tatto
• NB: Siccome tutti questi sintomi sono comuni a così tanti disturbi, nessuno
singolarmente è considerato diagnostico dell’avvelenamento da monossido
di carbonio, ma il monossido di carbonio dovrebbe essere sospettato ogni
volta che la maggioranza di questi sintomi sono riferiti insieme e nessuna
altra causa è determinabile, specialmente se gli stessi sintomi sono riportati
da più di un occupante dello spazio chiuso (edificio, veicolo, barca o aereo).
• NB: E.A. Poe, che probabilmente aveva subito un’intossicazione da CO,
dovuta all’illuminazione con lampade a petrolio, descrisse, in un celebre
racconto, i 30 sintomi tipici
o Diagnosi
Scansione SPECT del cervello (molto sensibile, ma molto costosa)
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Bevande alcoliche
Per bevanda alcolica si intende ogni prodotto contenente alcol alimentare con gradazione superiore a 1,2 ° di
alcol e per bevanda superalcolica ogni bevanda con gradazione alcoli superiore al 21% di alcol in volume:
• Fermentate
o Vino: prodotto che si ottiene dalla fermentazione alcolica totale o parziale del mosto di uva
fresca (da parte dei saccaromiceti), con gradazione alcolica minima non inferiore all’8%
o Birra: si ricava dalla fermentazione del malto d’orzo
Normale: 3%
Doppio malto: > 5%
o Sidro: è ottenuto dalla fermentazione del mosto di mele ed ha un contenuto alcolico sino al
7%
o Idromele: è ottenuto dalla fermentazione del miele ed ha un contenuto di alcol fino al 5%
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• Distillate (acqueviti): sono ottenute per distillazione dei mosti fermentati di frutta o cereali diversi.
Hanno un elevato contenuto alcolico, generalmente superiore al 40%
o Acquavite
o Brandy
o Cognac
o Gin
o Grappa
o Rum
o Vodka
o Whiskey
• Liquorose: sono ottenute aggiungendo zucchero a distillati di frutta o di erbe (limoncello), hanno un
contenuto alcolica fra 25 e 50%
Cutanea
• Ingestione di alcol e curva alcolemica: questa è caratterizzata da una relativa rapida parte ascendente,
corrispondente alla fase di assorbimento post-ingestione, e da una lenta parte discendente,
corrispondente alla fase di degradazione. In sostanza, dopo l’ingestione la concentrazione di alcol nel
sangue cresce rapidamente, ma il successivo ritorno a valori normali avviene lentamente. Ne
consegue un pericolo mortale legata all’ingestione troppo rapida di elevate quantità di alcol: la
lentezza della fase di degradazione rende conto del pericoloso fenomeno di accumulo, sino al
raggiungimento della fase tossica mortale.
• Meccanismo d’azione dell’alcol: l’alcol è un depressore del SNC, tramite azione sul sistema
GABAergico (specie quindi in associazione con altre sostanze con quest’effetto). La stimolazione
che si avverte dopo l’assunzione di alcol è legata all’inibizione di centri inibitori
• Manifestazioni cliniche: dipendono dalla quantità assunta e dall’assorbimento
o Concentrazioni ematiche di 0,2 mg/dL: socievolezza, espansività, rossore al volto, aumento
della secrezione gastrica, errori alla guida
o Concentrazioni ematiche 0,5-0,8 mg/dL: diminuzione dei freni inibitori, deficit delle
capacità prestazionali (anche sessuali) e visive con restringimento del campo visivo. Tali
concentrazioni, in media, si raggiungono con:
4-5 bicchieri di vino
6-7 boccali di birra
4-5 bicchierini di superalcolici
o Concentrazioni ematiche 0,8-1,2 mg/dL: azione depressiva sui centri motori con perdita
dell’autocontrollo, disturbi dell’equilibrio, movimenti grossolani, insicurezza nella
deambulazione (e talora nella stessa stazione eretta); deficit delle prestazioni intellettuali,
riduzione dei tempi di reazione, torpore psichico, sonnolenza, sopore; cefalea, nausea,
malessere generale al risveglio
o Concentrazioni 1,2-2 mg/dL: stato di evidente ubriachezza con incoordinazione motoria,
atassia ed agrafia
o Concentrazioni > 2 mg/dL: stupor, coma, morte per paralisi dei centri respiratori e
vasoparalisi
• Reperti AP: la morte si manifesta per l’azione depressiva sulla SR del tronco con collasso
cardiocircolatorio ed insufficienza respiratoria:
o Alterazioni cerebrali
Edema della sostanza bianca
Marcata congestione vasale
Fini emorragie del parenchima
Degenerazione delle cellule corticali
Dilatazioni dei capillari delle leptomeningi e dei plessi corioidei
Atrofia cerebrale diffusa
Alte manifestazioni
• Ebbrezza patologica: si verifica quando in un certo individuo esiste un’anomala reattività all’alcol,
cosicché esso si intossichi anche con dosi minime. L’esordio è generalmente brusco con agitazione
psicomotoria e disturbi della stato di coscienza
• Intossicazione cronica
o Reperti somatici
Epatopatia alcolica sino alla cirrosi epatica (con evoluzione verso il carcinoma
epatico)
Gastrite cronica
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Pancreatite cronica
Miocardiopatia tossica
Alterazioni endocrine: amenorrea, ipotrofia dei testicoli
Alterazioni metaboliche: sindromi pellagroidi
Encefalopatia porto-sistemica: è dovuta ad uno shunt porta-cava, per cui una parte
del sangue del sistema portale passa direttamente nel sistema cavale, con quadro di
iperammonemia, cui è legata l’insorgenza di coma profondo e morte. Segni tipici
sono:
• Foeturhepaticus: dovuto all’eliminazione respiratoria di un derivato della
metionina
• Flappingtremor: tremore di posizione, lento e ad ampie scosse
o Reperti neurologici
Polinevrite alcolica
Deficit sensoriali
Disturbi della visione
Tremori
Crampi muscolari
Alterazioni dei riflessi
Incertezza nella deambulazione e nel mantenimento della stazione eretta
Incertezza nella coordinazione motoria
o Markers
Alcolemia diretta: etanolo ematico
• > 50 mg/dL: ebbrezza alcolica
• > 100: ubriachezza
• > 150: intossicazione cronica
Alcolemia indiretta: etilometro
Alcoluria
Markers di danno epatico
o Reperti AP
Miopatia acuta alcolica: si verifica nell’alcolista cronica per intossicazione acuta
Epatite cronica e cirrosi alcolica
Pancreatite cronica
Gastrite cronica ed ulcere
• Sindrome fetale alcolica: se la donna assume alcolici durante la gravidanza, questi potranno superare
la barriera feto-placentare ed essere immessi nella circolazione feto-placentare, con gravi effetti
tossici sul normale sviluppo del nascituro (epatociti fetali incapaci di contrastare l’insulto alcolico)
ed azione teratogena. L’azione dell’alcol può quindi dare un quadro clinico tipico:
o Alterazioni del setto interventricolare
o Anomalie dei grossi vasi
o Tetralogia di Fallot
o Ritardo mentale: è l’aspetto più rilevante e costante
o Disturbi della motricità fine
o Palatoschisi
o Anomalie dei genitali esterni
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Sindrome d’astinenza
La brusca sospensione dell’assunzione di alcol provoca la comparsa di gravi sintomi di astinenza
nell’alcolista cronico consistenti in:
• Tremori grossolani a carico della lingua e dell’estremità distale degli arti superiori
• Ansia ed angoscia
• Insonnia
• Convulsioni
• Stato confusionale
• Ipertensione arteriosa
• Allucinazioni uditive e visive nelle forme più gravi
Dipendenza
• Tolleranza
• Addicttion
• Craving
• Occupazione di gran parte della giornata ed interruzione delle attività lavorative e sociali
Inquadramento giuridico della professione medica
Il medico non ha una qualifica giuridica unica ed universalmente valida.
A seconda dell’attività svolta, può rientrare in una delle seguenti figure, rilevanti per il DIRITTO PENALE:
1. Pubblico ufficiale
2. Incaricato di pubblico servizio
3. Esercente un servizio di pubblica necessità
Pubblico ufficiale
Secondo l’articolo 357 del C.P.,
agli effetti della legge penale, sono Pubblici Ufficiali Pubblica funzione: attività svolta da un soggetto non
coloro i quali esercitano una pubblica funzione nel proprio interesse ma in quello della collettività
legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti, è pubblica la funzione amministrativa 1 disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti
autoritativi e 2 caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica
amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Il potere autoritativo è quel potere che permette alla pubblica amministrazione di realizzare i suoi fini
mediante veri e propri comandi, rispetto ai quali il privato si trova in una posizione di soggezione.
Il potere certificativo è quello che attribuisce al certificatore la facoltà di attestare un fatto, avente valore di
prova, fino a querela di falso.
Acquistano la qualifica di Pubblico Ufficiale:
I consulenti tecnici ed i periti di ufficio
I direttori sanitari di ospedali
I medici di accettazione e di Pronto Soccorso
I Primari ma anche gli aiuti che, in assenza del Primario, svolgono mansioni dirigenziali sostitutive
I medici preposti dalla pubblica amministrazione a controllare l’effettiva sussistenza di una malattia del
dipendente e quindi la legittimità dell’assenza dal lavoro
I medici INPS ed i medici INAIL, nello svolgimento dei compiti di Istituto
Incaricato di pubblico servizio
Secondo l’articolo 358 C.P.,
agli effetti della legge penale sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano
un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione –
quindi da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi – ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di
quest ultima – autoritativi e certificativi – senza però che si qualifichi come semplice mansione d’ordine (mansione
assegnata senza alcun margine di autonomia) o come prestazione d’opera meramente materiale.
In definitiva, incaricato di pubblico servizio è chi svolge la sua attività per soddisfare bisogni ed interessi
della collettività la cui tutela è stata assunta dallo Stato e che viene realizzata a mezzo di persone
appositamente incaricate, prive, tuttavia, dei poteri tipici della funzione pubblica.
Esempi di incaricati di pubblico servizio sono:
Medici ospedalieri ed universitari nelle loro funzioni assistenziali, quando non rivestano la qualifica di
pubblici ufficiali.
M.M.G. convenzionati con il SSN
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Esercenti un servizio di pubblica necessità
Secondo l’articolo 359 del C.P,
agli effetti della legge penale, sono persone esercenti un servizio di pubblica necessità:
1. privati cittadini che svolgono professioni forensi, sanitarie o altro, il cui esercizio sia per legge vietato
senza una speciale abilitazione dello Stato, quando, della loro opera, il pubblico sia, per legge, obbligato
a valersi.
2. privati cittadini che, non esercitando una pubblica funzione, ne prestando un pubblico servizio,
adempiono ad un servizio dichiarato di pubblica necessità, mediante un atto della pubblica
amministrazione.
In pratica, la differenza tra pubblico servizio e servizio di pubblica necessità sta nel fatto che, il primo, viene
espletato dallo Stato, mediante persone appositamente incaricate, mentre, l’altro, è espletato da privati
che abbiano ottenuto, dallo Stato, regolare abilitazione.
N.B L’ordinamento giuridico tiene conto che le professioni sanitarie (e quella medica in particolare) costituiscono un
servizio di pubblica utilità, in quanto la salute dei cittadini è un bene individuale e collettivo, alla cui tutela lo Stato è
interessato (art.32 della Costituzione).
Per tali motivi, l’attività del medico è assoggettata al controllo dello Stato, che garantisce l’esclusiva del servizio,
obbligando i cittadini a rivolgersi ai medici abilitati.
Ne deriva il fatto che la professione si svolge in regime di monopolio poiché solo i medici abilitati possono esercitare la
medicina.
L’istituzione delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio risulta funzionale a due distinti ordini
di motivazioni:
1. Tutelare la pubblica amministrazione ed i privati cittadini dagli abusi o dalle mancanze eventualmente commessi
da funzionari e dipendenti pubblici che possono essere soggetti attivi di numerosi reati esclusivi, quali:
concussione, rifiuto di atti d’ufficio, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, omesso rapporto, falso
materiale o ideologico in atti pubblici.
2. Tutelare coloro che esercitino una pubblica funzione o un pubblico servizio, fornendo loro una particolare
protezione contro i comportamenti illeciti di privati
Agli effetti della LEGGE CIVILE, invece, il medico assume la qualifica di esercente una professione
intellettuale, per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi Albi o Elenchi.
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Fondamenti della responsabilità professionale del medico
In tema di responsabilità professionale,
Chiunque, per imperizia, imprudenza, negligenza, ovvero per inosservanza di regolamenti, ordini o
discipline, nello svolgimento della propria arte o professione, cagioni ad altri danni fisici, psichici o la morte,
soggiace, in sede penale, a sanzioni restrittive della libertà personale, in sede civile, ad obblighi risarcitori ed
in sede ordinistica o deontologica, a sanzioni disciplinari.
I presupposti necessari, per parlare di responsabilità professionale del medico, sono quindi:
1. la prova del verificarsi del danno, della sua natura e della sua gravità
2. l’accertamento del nesso di causalità fra condotta (attiva od omissiva) ed evento dannoso
3. la prova della colpa professionale, ossia dell’imperizia, dell’imprudenza o della negligenza del medico
oppure della sua inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, che renda l’errore professionale
commesso inescusabile, perché prevedibile e quindi prevenibile.
4. la prova che proprio tale comportamento colposo ha materialmente causato il danno e che, invece, con
una condotta diversa esso si sarebbe certamente o molto probabilmente evitato oppure sarebbe stato
contenuto entro limiti più modesti di quelli reali
L’imperizia sussiste se il medico si discosta da quel comportamento tecnico che la maggior parte degli altri
medici avrebbe osservato in presenza dello stesso caso.
N.B. Qualora la colpa professionale sia addebitata all’imperizia, se la prestazione implica la soluzione di problemi
tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, fatta eccezione per i casi di dolo o colpa
grave.
La colpa grave si riscontra nell’errore inescusabile derivante dalla mancata applicazione delle cognizioni generali e
fondamentali della professione medica o dal difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica che non deve mai
mancare in chi esercita tale professione.
Imprudenza
Imprudente è quel medico che mostra di non tener conto dei rischi a cui espone il proprio assistito.
Non è quindi imprudente chi usa mezzi diagnostici o terapeutici rischiosi, ma chi li utilizza senza un’effettiva
necessità, con avventatezza, in condizioni nelle quali la maggior parte dei colleghi li eviterebbe e senza le
dovute cautele o precauzioni.
Negligenza
Negligente è quel medico che mostra, con il suo comportamento, trascuratezza, disinteresse e superficialità
nei confronti dell’assistito; che omette, senza giustificato motivo, di fare quegli accertamenti o di attuare
quelle terapie che la maggior parte dei suoi colleghi, nelle medesime condizioni, avrebbe attuato.
N.B. Qualsiasi decisione in materia di colpa professionale spetta al magistrato che giudica.
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RESPONSABILITÀ CIVILE
La responsabilità civile insorge quando un’azione o un’omissione, dolosa o colposa,
provoca un danno ingiusto ad una persona giuridica e consiste nell’obbligo di
risarcire il danno, per chi lo ha provocato.
In sede Civile, al medico di cui sia stata provata la colpa professionale, viene imputato il danno ingiusto
subito dalla persona del pz, essendo la finalità del Diritto Civile principalmente risarcitoria.
Infatti, sec. l’art. 2043 del CC “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Per danno ingiusto s’intende una qualsiasi lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento giuridico
(come, ad esempio, il diritto alla salute).
Il danno ingiusto – e perciò risarcibile – della persona può appartenere a 3 diverse categorie:
1. Danno biologico (temporaneo o permanente)
2. Danno patrimoniale, a sua volta distinguibile in:
‐ Danno emergente (perdita economica sofferta dal danneggiato)
‐ Danno da lucro cessante (mancato guadagno che la persona subisce in conseguenza del danno)
3. Danno non patrimoniale o morale, inteso come la sofferenza morale che deriva alla vittima dal
prodursi del danno.
È risarcibile solo quando il fatto che lo determina costituisca reato.
La sua definizione è di esclusiva competenza del magistrato.
N.B.
Il danno risarcibile è non solo quello attuale – già realizzatosi e ben obiettivabile nel momento in cui se ne
valuta l’esistenza – ma anche quello futuro.
Il danno futuro è quel danno che, pur non essendosi ancora verificato al momento dell’esame obiettivo
(visita peritale), con ogni probabilità verrà a determinarsi nel futuro.
Un esempio può essere la deviazione scoliotica della colonna vertebrale il cui realizzarsi nel futuro è molto
probabile in un individuo che ha riportato una frattura del femore con sfondamento dell’acetabolo ed
accorciamento residua dell'arto inferiore di più di 3 cm.
Pertanto, anche la scoliosi, rientrerà fra gli esiti dannosi risarcibili.
Danno biologico
Viene ritenuto come una menomazione temporanea o permanente dell’integrità psico‐fisica della persona,
comprensiva degli aspetti personali, dinamico‐relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico‐
legale, ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito.
Nella nozione di danno biologico rientrano, pertanto, tutte le figure di danno non reddituale: danni estetici,
alla vita di relazione, alla sfera sessuale.
È definito temporaneo quel danno biologico i cui effetti si estinguano entro un lasso di tempo più o meno
breve dall’azione o dall’omissione umana illecita considerata.
Viene espresso come:
‐ Giorni di inabilità temporanea assoluta
‐ % di inabilità riconosciuta per ciascun giorno, nel caso in cui l’inabilità risulti < 100%
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Il danno biologico è invece definito permanente qualora non sia prevedibile il recupero o il ritorno allo
status quo ante, entro un ragionevole limite di tempo.
Viene espresso in % di invalidità permanente.
Ai fini della valutazione, bisogna considerare, non solo, l’entità della menomazione biologica ma, anche, le
ripercussioni negative che, da essa, derivano sulla capacità di relazione sociale della persona considerata.
Pertanto, mentre il giudizio relativo alla menomazione dell’integrità psico‐fisica individuale può avvenire
secondo criteri clinici uguali per tutti – con l’unica variante dell’età – mediante baréme o tabelle di
valutazione, quello relativo al suo impatto dinamico‐relazionale deve essere sempre personalizzato.
Il sistema attualmente preferito per la liquidazione del danno biologico (permanente) è quello del punto
variabile o tabellare.
Tale sistema mantiene l’idea – precedentemente introdotta – della liquidazione per mezzo del “valore
punto” (importo per ogni punto di invalidità permanente), ma ne determina le oscillazioni sulla base di due
funzioni:
‐ Funzione crescente, rappresentata dalla % di invalidità permanente, che fa alzare il valore punto in
relazione all’aggravarsi della patologia
‐ Funzione decrescente, rappresentata dall’età del danneggiato, che fa ridurre il valore punto, in
proporzione all’anzianità
Una volta precisato l’esatto valore invalidante – in termini dinamico‐relazionali – della menomazione,
bisogna stabilire se e come essa si ripercuota sfavorevolmente sulla capacità lavorativa specifica (capacità,
cioè, di espletare una ben precisa attività lavorativa).
N.B. La diminuzione della capacità lavorativa specifica non costituisce un danno risarcibile in sé bensì
rappresenta la causa del danno da riduzione della capacità di guadagno, che va comunque dimostrata per il
configurarsi di un danno da lucro cessante.
In sede Civile, la responsabilità professionale del medico può assumere la forma di responsabilità:
‐ Contrattuale
‐ Extracontrattuale
La responsabilità contrattuale è quella derivante dall'inadempimento di una preesistente obbligazione,
quale che ne sia la fonte.
I medici, infatti, nel prestare assistenza sanitaria su richiesta di un pz, concludono un contratto di
prestazione d’opera intellettuale in virtù del quale sorge, a carico del medico, un’obbligazione che deve
essere adempiuta con la diligenza del “regolato ed accorto professionista”.
Nella responsabilità contrattuale, per il risarcimento del danno, al pz basterà la prova del suo effettivo
verificarsi.
Sarà invece il professionista (o l’Azienda) che dovrà dimostrare di non essere in colpa, di aver eseguito la
prestazione con perizia, prudenza e diligenza e che, ciononostante, il danno si è verificato per causa a lui
non imputabile.
Si parla, invece, di responsabilità extra‐contrattuale quando il medico agisce al di fuori di un accordo
specifico con il pz, come accade, ad esempio, nel caso di traumi della strada e di prestazioni d’urgenza.
In tali circostanze, il medico è chiamato a rispondere dei danni eventualmente cagionati solo quando si
dimostri che abbia violato il principio generale del non ledere nessuno.
Nella responsabilità extracontrattuale, per il risarcimento del danno, sarà il danneggiato a dover dimostrare
sia il nesso di causalità materiale sia la colpa del professionista.
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RESPONSABILITÀ PENALE
La responsabilità penale sussiste quando il medico, con la propria condotta, violi uno degli articoli del CP,
commettendo un reato, come ad esempio quello di:
‐ Omissione di referto (art. 365 e 334 c.p.)
‐ Falsità ideologica (art. 479 c.p.) e falsità ideologica in certificati (art. 481 c.p.)
‐ Lesioni personali (art. 582 o 590 c.p.)
‐ Omicidio (art. 589 c.p.)
‐ Rivelazione di segreto d’ufficio o professionale (art. 326 o 622 c.p.)
‐ Violenza privata (art. 610 c.p.)
N.B.
‐ la responsabile penale è accollabile esclusivamente a persone fisiche.
‐ l’accertamento del nesso causale s’inspira al criterio “dell’altamente probabile o della quasi certezza”
‐ l’onere della prova è a carico della pubblica accusa
DIFFERENZE TRA RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE
In RC, ciò che viene imputato è il danno ingiusto, In RP, ciò che viene imputato è il reato, essendo la
essendo la finalità del Diritto Civile principalmente finalità del Diritto Penale principalmente
risarcitoria sanzionatoria
La RC può essere riferita, non solo a persone fisiche, La RP è riferita esclusivamente a persone fisiche
ma anche a persone giuridiche (per persona (persona fisica è l'essere umano in quanto soggetto
giuridica s’intende un complesso organizzato di di diritto e, quindi, dotato di capacità giuridica)
persone e di beni ai quali l'ordinamento giuridico
attribuisce capacità giuridica, facendone, così, un
soggetto di diritto)
In RC, l’accertamento del nesso causale s’inspira al
In RP, l’accertamento del nesso causale s’inspira al
criterio “del più probabile che non” criterio “dell’altamente probabile o della quasi
certezza”
In RC, è onere del medico e della struttura In RP, l’onere della prova è a carico della pubblica
ospedaliera dimostrare che il danno ingiusto non sia accusa
dipeso da un fatto a loro imputabile
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Cartella clinica
È un atto pubblico, a formazione progressiva, che consiste nel complesso ordinato e scritto dei vari dati
sanitari (anamnestici, obiettivi, specialistici, strumentali, documentali) raccolti via via dai medici, sulla
persona del malato, durante la sua degenza in regime di ricovero ordinario o di day hospital.
Secondo l’articolo 2699 del CC,
per atto pubblico s’intende un documento redatto, con le richieste formalità, da un Pubblico Ufficiale,
autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, nel luogo dove l’atto viene formato.
Per l’articolo 2700 del CC, inoltre, l’atto pubblico fa fede – e, quindi, costituisce prova* – fino a querela del
falso, 1 della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha firmato, 2 delle dichiarazioni delle
parti e 3 di tutti gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
*Prova: strumento che fornisce al giudice gli elementi di conoscenza necessari per formulare un giudizio di verità o falsità circa
l’esistenza di fatti rilevanti ai fini della decisione
N.B. In sede penale, la nozione di atto pubblico è più ampia, comprendendo qualsiasi documento formato
da un Pubblico Ufficiale o da un pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio con l’intento di
comprovare un fatto giuridico** o di attestare fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi
rilevanza giuridica.
**Fatto giuridico: situazione prevista da una norma giuridica
L’importanza di tale documento è molteplice, risultando:
1) Clinica
2) Medico‐legale, per la sua efficacia probatoria, per il suo valore storico‐documentale e per l’attestazione
del consenso informato
3) Statistico‐sanitaria
4) Scientifica
Requisiti che una cartella clinica deve possedere, sono:
1) Veridicità
Conformità, cioè, di quanto descritto con quanto direttamente constatato
2) Completezza
3) Correttezza
4) Chiarezza
5) Contemporaneità della redazione con l’evento che si descrive
Quest’ultimo requisito richiede che :
la redazione avvenga in pendenza di degenza
gli eventi vadano registrati in sequenza cronologica
N.B. La cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazione ad ogni singola annotazione, la quale
esce dalla disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui viene registrata.
I dati trascritti nella cartella clinica possono essere rettificati solo componendo nuove annotazioni che
lascino inalterate le precedenti e che consentano di riconoscerne autore e data.
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La responsabilità della regolare compilazione, della tenuta e della custodia della cartella clinica, spetta al
Primario del reparto, fino alla consegna nell’archivio centrale dell’Azienda.
L’aiuto collabora direttamente con il primario e lo sostituisce in caso di sua assenza, impedimento, urgenza.
Le cartelle cliniche, dopo la dimissione del pz, vengono conservate, ciascuna con numero progressivo,
nell’archivio centrale dell’Azienda, sotto il controllo del Direttore sanitario.
Le cartelle cliniche, unitamente ai relativi referti, devono essere conservate illimitatamente perché
rappresentano un Atto Ufficiale, indispensabile a garantire la certezza del diritto, oltre a costituire fonte
documentaria per le ricerche di carattere storico‐sanitario.
Le radiografie ed altra documentazione diagnostica vanno conservate per almeno 10 anni; per almeno 20,
se relative a soggetti infra‐diciottenni.
Possibile è la conservazione mediante microfilmatura o su supporto informatico.
Dal I gennaio 2006, la cartella clinica può nascere o esser trasmessa sotto forma di documento informatico,
inteso come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.
Rilascio di cartella clinica o di copia autentica
Sono legittimati a chiederlo l’assistito medesimo o chi ne ha la delega legale.
Il rilascio avviene sotto la responsabilità del Direttore Sanitario.
La cartella clinica può essere inoltre trasmessa da un’azienda ad un’altra; al medico curante; ad istituti
previdenziali; all’Autorità giudiziaria.
Reati connessi
La qualifica di Atto Pubblico della cartella clinica si riflette sulla maggiore severità con cui viene valutato, in
sede penale, il delitto di falso commesso da chi la redige.
Relativamente alla cartella clinica, la falsità documentale, può essere giuridicamente qualificata come:
1. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art.476 CP)
2. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 CP)
La falsità materiale si realizza quando:
‐ il documento è stato redatto da persona diversa da quella a cui competeva (cartella contraffatta)
‐ il documento contiene modifiche successive alla sua stesura definitiva (cartella alterata)
Nella falsità ideologica, invece, l’atto, pur essendo materialmente corretto (quindi non contraffatto, né
alterato) contiene informazioni non rispondenti al vero.
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SEGRETO PROFESSIONALE
In ambito medico, deve ritenersi tale ogni notizia 1 riguardante qualsiasi aspetto della vita privata
dell’assistito, 2 che quest’ultimo abbia interesse a che non venga rivelata e 3 della quale il medico sia
venuto a conoscenza in quanto “medico” (pertanto professionale).
La rivelazione di segreto professionale, secondo l’art. 622 del CP, costituisce un delitto, commesso da
chiunque, avendo notizia – in ragione del proprio stato o ufficio o della propria professione o arte – di un
segreto, lo riveli, senza giusta causa, o li impieghi a proprio o altrui profitto, se dal fatto può derivare
nocumento.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
L’obbligo di mantenere il segreto viene quindi esteso a “chiunque” si trovi, in virtù di situazioni personali,
quali stato, ufficio, professione ed arte, nelle condizioni di ricevere un segreto.
‐ Con il termine di stato, ci si riferisce non soltanto a chi esercita un’attività professionale, ma anche a
coloro che si trovano, con il professionista, in relazione di convivenza, di dipendenza, di amicizia o di
altro rapporto, che faciliti la conoscenza del segreto.
‐ Il termine di ufficio, indica qualsiasi compito o dovere che deve essere assolto.
‐ Con il termine di professione o arte, ci si riferisce ad attività praticate da persone qualificate come
professionisti o artisti.
Rivelare il segreto professionale significa comportarsi in modo tale che, senza giusta causa, una o più
persone, non vincolate al segreto, siano messe a conoscenza del segreto stesso.
Caso, ad esempio, della pubblicazione di lavori scientifici da cui si evincano le generalità di un certo
assistito.
N.B. Non costituisce rivelazione di segreto professionale, ma semplice trasmissione, l’affidamento della
notizia ad una persona, pur essa vincolata al segreto professionale.
La rivelazione del segreto professionale è legittima solo se sussiste una giusta causa.
Le giuste cause di rivelazione del segreto professionale vengono distinte in imperative e permissive.
Le giuste cause imperative sono quelle che impongono la rivelazione del segreto.
Si tratta, cioè, di doveri espressamente stabiliti dall’ordinamento giuridico.
È questo il caso di:
1) Denunce
‐ Amministrative
‐ Sanitarie
‐ All’autorità giudiziaria (referto e rapporto)
2) Perizie e consulenze tecniche
3) Ispezione corporale ordinata da giudice
4) Visite medico‐legali di controllo, espletate per conto di una struttura sanitaria pubblica
Anche in tali casi, tuttavia, il medico dovrà osservare il più rigoroso riserbo su tutte quelle notizie irrilevanti
ai fini dell’espletamento dell’incarico.
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Le giuste cause permissive sono quelle che permettono, appunto, di rivelare il segreto.
Tra esse rientra, innanzitutto, il consenso dell’avente diritto. Non è, infatti, punibile chi lede o mette in
pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne.
Oltre al consenso dell’assistito, altre giuste cause permissive sono quelle definite “scriminative”:
1) Caso fortuito o forza maggiore
2) Costringimento fisico
3) Errore di fatto
4) Errore determinato da altrui inganno
5) Stato di necessità
6) Difesa legittima
Un’ulteriore causa permissiva è rappresentata dal voler difendere un diritto (come quello alla vita o
all’incolumità fisica di terzi) che è più importante rispetto all’offesa arrecata con l’eventuale violazione del
segreto.
N.B.
La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto.
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CONSENSO
Per il medico, sussiste l’obbligo di munirsi del valido consenso della persona assistita, intendendo, con il
termine di consenso, partecipazione, consapevolezza, libertà di scelta e di decisione.
Ciò trova riscontro nell’articolo 32 della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge” e che “la legge in nessun caso può
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Per essere giuridicamente valido, il consenso della persona assistita deve qualificarsi come:
1) Informato
2) Esplicito
3) Libero
4) Autentico
5) Immune da vizi
La correttezza dell’informazione preliminare da rendere al pz, impone al medico di essere preciso ed
esauriente su: I natura della malattia, II indicazioni e controindicazioni della prestazione che andrà ad
effettuare, III rischi ad essa connessi, IV eventuali complicanze, V alternative, VI obiettivi perseguiti, VII
risultati prevedibili.
In particolare, l’informazione deve essere :
1. Semplice, perché il paziente non è generalmente esperto di cose mediche
2. Personalizzata, adeguata cioè al livello di cultura dell’assistito
3. Esauriente 1
4. Veritiera
5. Sorretta dalla speranza più che dal pessimismo.
Rientra, poi, tra i doveri del medico accertarsi che il paziente dia segni esteriori tali da far ritenere che sia in
grado di I prestare attenzione alle indicazioni lette o ascoltate, II di comprenderle e III di usarle in modo
razionale per arrivare ad una decisione.
Di conseguenza, il medico deve astenersi dal procedere all’acquisizione del consenso proprio in momenti
nei quali il malato appaia in uno stato fisico o emotivo tale da rendere improbabile I la consapevole
acquisizione e II la ragionata elaborazione delle informazioni ricevute.
Il consenso va sempre richiesto in forma esplicita, e cioè scritta, qualora l’atto medico‐chirurgico comporti
il pericolo concreto di una menomazione dell’integrità psico‐fisica individuale.
Può essere ritenuto implicito nella stessa richiesta di prestazione d’opera, solo se la prestazione sia esente
da rischi o da controindicazioni.
Il paziente, essendo una persona libera e capace di agire, ha il diritto di accettare o rifiutare ciò che il
medico gli propone o gli prescrive.
Il medico non è mai legittimato ad agire contro la volontà consapevole ed esplicita dell’altro, se non per
disposizione di legge.
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Nel caso di minori, il consenso deve essere fornito da entrambi i genitori.
Ove sussista disaccordo tra volontà dei genitori e parere dei medici curanti, quest’ultimi dovranno
rimettere la decisione all’Autorità giudiziaria (giudice tutelare).
Nel caso di soggetti interdetti, il consenso deve essere fornito dal tutore; nel caso di soggetti inabilitati, dal
curatore.
Qualora appaia impossibile ottenere un valido consenso da parte del pz, per sospetta incapacità di
intendere e di volere, ma non sussista interdizione, va richiesta una consulenza psichiatrica per accertare
tale incapacità. Una volta accertata l’incapacità di intendere e di volere del pz, il consenso può essere
richiesto ai familiari.
In mancanza di familiari, il medico può rivolgersi all’Autorità giudiziaria per ottenere il permesso di
assurgere al ruolo di tutore del pz, in materia di scelte relative a procedure diagnostico‐terapeutiche.
L’unica condizione nella quale il medico è esonerato dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso
dell’avente diritto, è quella contemplata dall’art. 54 CP (stato di necessità).
Secondo l’art. 54 del CP, infatti, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla
necessità di salvare, sé stessi o altri, dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non
volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo.
Uno stato di necessità è quello che si configura nelle condizioni di urgenza in cui è il medico a divenire il tutore
del pz.
Tuttavia, agire senza il consenso, per il sussistere di uno stato di necessità, è cosa diversa che agire contro il 2
consenso. Vale, in quest’ultima ipotesi, l’obbligo di astenersi dalla prestazione.
Il rifiuto alle cure, comunque, deve configurarsi coma una manifestazione
1. chiaramente espressa
2. non equivocabile
3. informata
4. compresa
5. attuale e, cioè, contestuale alle evento lesivo che richiede la prestazione verso cui viene espresso il
dissenso.
La violazione del dovere di munirsi preventivamente del valido consenso della persona assistita può
esporre il medico, in sede penale, all’imputazione dei delitti di violenza privata, lesioni personali, omicidio,
ecc…
In sede civile, la mancanza del consenso informato, può costituire, di per sé, una vera e propria
inadempienza contrattuale, con conseguenti obblighi risarcitori.
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ATTIVITÀ INFORMATIVA DEL MEDICO
Una delle prerogative della professione medica è rappresentata dalla “potestà di certificare”, che riconosce la sua
matrice giuridica nell’abilitazione all’esercizio professionale.
Relativamente al rapporto con il pz, tuttavia, tale potestà si traduce nel “dovere di certificare”, che deriva dagli
obblighi normativi e deontologici dell’esercizio professionale, sebbene non sia sempre imperativo.
Il documento redatto dal medico può essere definito, in linea generale, “certificato”.
La dottrina medico‐legale è concorde nel ritenere il certificato come “attestazione scritta inerente a fatti e
condizioni di indole tecnica, 1di cui il certificato è destinato a provare la verità, 2propri della persona alla
quale si riferisce, 3aventi rilevanza giuridica ed amministrativa”.
Per aversi un certificato autentico, che attesti la verità di un fatto giuridicamente rilevante, occorrono:
1) una scrittura, stilata a mano o con mezzi meccanici, che utilizzino inchiostro indelebile;
2) l’autore dell’attestazione, che risulti dalla sottoscrizione dell’atto, con le generalità e la qualifica del
certificante;
3) il destinatario, a cui la certificazione è diretta;
4) la data ed il luogo in cui il certificato è stato compilato.
I requisiti che un certificato deve necessariamente possedere sono:
1) Chiarezza
Deve essere, cioè, comprensibile e completo 1
2) Veridicità
Vi deve essere, cioè, conformità di quanto descritto con quanto direttamente constatato
Per quanto riguarda la natura giuridica della certificazione, il certificato è:
‐ Atto pubblico, quando redatto da un “pubblico ufficiale” o da un “incaricato di pubblico servizio”
‐ Scrittura privata, quando redatto da un “esercente un servizio di pubblica necessità”.
Secondo l'art. 2699 del CODICE CIVILE "l'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da
un pubblico ufficiale, autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato".
All'atto pubblico, inoltre, viene conferita l’efficacia di prova legale dall'art. 2700 del CODICE CIVILE, per il
quale l’atto pubblico "fa piena prova, fino a querela di falso , I della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, nonché II delle dichiarazioni delle parti e III degli altri fatti che il pubblico ufficiale
attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti".
N.B. la NOZIONE PENALISTICA di atto pubblico è più ampia di quella civilistica comprendendo tutti quei
documenti formati da un pubblico ufficiale o da un pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio con
l’intento di comprovare un fatto giuridico o di attestare fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed
aventi rilevanza giuridica.
N.B. Gli atti pubblici vanno distinti dalle certificazioni amministrative, il cui presupposto essenziale è
comunque quello di esser redatte da un medico nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale o di
incaricato di pubblico servizio.
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Le certificazioni amministrative differiscono dagli atti pubblici perché attestazioni di verità o di scienza
estranee I alla documentazione di attività direttamente esercitate dal pubblico ufficiale (o da un incaricato
di pubblico servizio) o II alla prova di quei fatti che sono avvenuti in sua presenza.
Tale distinzione è rilevante per la maggiore severità con cui vengono puniti gli illeciti nella redazione degli
atti pubblici.
Esempi di certificazioni amministrative:
‐ Certificato di idoneità all’attività sportiva agonistica per atleti professionisti e non
‐ Certificato attestante l’esonero all’uso delle cinture di sicurezza per controindicazione derivante da
malattia
Per il MEDICO, i certificati possono essere:
‐ Obbligatori
‐ Facoltativi
Sono obbligatori per il medico quei certificati che egli deve inoltrare di sua iniziativa, e non in relazione alla
richiesta di un privato, sulla base di un dovere che la legge pone a carico del sanitario per tutelare i pubblici
interessi.
Sono, invece, facoltativi quando non esiste nessuna norma di legge che ne impone l’obbligo.
Il medico, comunque, non può e non deve esimersi dal rilasciare certificati ai pz che ne fanno richiesta,
anche quando facoltativi.
Ciò trova riscontro nell’art. 24 del CD del 2006 secondo cui “il medico è tenuto a rilasciare al cittadino
certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o
oggettivamente documentati. 2
Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati ed alla formulazione di
giudizi obiettivi e scientificamente corretti”.
Tale articolo del CD, pertanto, pone al medico, una serie di obblighi:
‐ Obbligo del rilascio del certificato su richiesta del pz e direttamente al pz medesimo o ad altro
richiedente a cui la legge dia diritto.
‐ Obbligo della corrispondenza del certificato con la realtà constatata.
N.B. Nel certificato devono essere attestati solo i dati clinici per i quali il paziente ha chiesto la
certificazione. Diversamente, si incorrerebbe in rivelazione di segreto professionale.
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Certificazioni obbligatorie per il medico sono le denunce.
La denuncia è l'atto col quale il sanitario informa una pubblica autorità relativamente a fatti o notizie che
apprende nell'esercizio della professione, di cui è obbligato per legge a riferire.
Costituisce una giusta causa imperativa di rivelazione del segreto professionale.
Le caratteristiche delle denunce sono:
1) Obbligatorietà
Hanno, cioè, carattere inderogabile, derivando da una disposizione di legge.
È però necessario che il medico sia venuto a conoscenza del fatto per diretta acquisizione, prestando la
propria attività professionale in circostanze strettamente inerenti al fatto stesso.
2) Iniziativa del denunciante
Il medico è, cioè, tenuto a redigere la denuncia e ad inviarla all’autorità competente di propria
iniziativa.
Deve pertanto conoscere quali sono le denunce che gli competono.
N.B. In ambito ospedaliero, spetta al primario del reparto redigere le denunce, mentre è compito del
direttore sanitario curarne la trasmissione all'autorità competente.
3) Professionalità
Deriva dalla qualifica del denunciante e dalla natura tecnica del fatto segnalato.
4) Oggetto riguardante fatti di interesse pubblico e che può essere in contrasto con gli interessi
dell'assistito.
5) Destinatario costituito da una pubblica autorità, quale il sindaco, l‘ASL, l'autorità giudiziaria, l'autorità di
pubblica sicurezza, gli enti infortunistici o altre strutture socio‐sanitarie.
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6) Sanzione
L'omissione o il ritardo della denuncia, infatti, comporta una contravvenzione.
Si distinguono denunce:
‐ Amministrative
‐ Sanitarie
‐ All’autorità giudiziaria
Denunce amministrative
Sono quelle che interessano l’attività della pubblica amministrazione.
Esempi:
‐ Dichiarazione di nascita e di morte, entrambe da inoltrarsi all’ufficiale di stato civile ai fini della
formazione, rispettivamente, dell’atto di nascita e di quello di morte
‐ Denuncia delle cause di morte
‐ Denuncia di infanti deformi
‐ Denuncia di neonati immaturi
Dichiarazione delle nascite
Va inoltrata all'ufficiale di stato civile, entro i 10 giorni successivi al parto.
È obbligatoria per il medico quando:
‐ Ha presenziato al parto e mancano le persone legalmente tenute alla denuncia (padre o suo procuratore)
‐ Ha fondati motivi di ritenere che esse omettano di farla
N.B. La dichiarazione deve essere fatta anche dei bambini nati morti e il dichiarante deve specificare se il bambino è
nato morto o è morto dopo la nascita.
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Dichiarazione delle morti
Deve essere fatta entro 24 ore dal decesso all'ufficiale di stato civile del luogo, da uno dei congiunti, da persona
convivente o da un loro delegato.
L’obbligo della dichiarazione interessa il medico, nelle vesti di direttore sanitario di un ospedale, di una casa di cura o
di riposo, qualora ad essere deceduto sia un degente della struttura.
Denunce delle cause di morte
Vanno fatte entro 24 ore dall'accertamento del decesso al sindaco ed all'ufficiale sanitario.
Per le persone decedute con assistenza medica, la denuncia spetta al medico curante, privato o ospedaliero; per le
persone decedute senza assistenza medica, la denuncia spetta al medico necroscopo; l'obbligo della denuncia riguarda
anche i medici che abbiano potuto accertato le cause di morte mediante indagini anatomo‐patologiche.
Qualora sorga il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico denunciante deve darne comunicazione
all'Autorità Giudiziaria.
Denuncia degli infanti deformi.
Entro 2 giorni dal parto, al quale abbia prestato assistenza, il medico deve denunciare al sindaco e all'ufficiale sanitario
la nascita di ogni infante affetto da deformità congenite, con particolare riguardo alle anomalie ed ai difetti
dell'apparato locomotore.
Denuncia dei neonati immaturi
Deve essere fatta entro 24 ore dal parto all'ufficiale sanitario del comune.
È considerato immaturo ogni neonato di peso inferiore ai 2.500 grammi, indipendentemente dalla durata della
gravidanza.
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Denunce sanitarie
Riguardano fatti attinenti alla tutela dell’igiene e della sanità pubblica, generalmente in correlazione con le
attività di prevenzione.
Tra queste rientrano:
1. Denuncia di lesioni invalidanti, 2. di malattie infettive e diffusive, 3. di malattie veneree, 4. delle malattie
di interesse sociale, 5. delle vaccinazioni obbligatorie, 6. dei casi di intossicazione da antiparassitari, 7. di
detenzione di apparecchi radiologici e di sostanze radioattive, 8. di interruzione volontaria della gravidanza
(non nominativa).
Per ciò che concerne il settore previdenziale, sono obbligatorie le seguenti denunce:
1. Denuncia degli infortuni sul lavoro industriale, agricolo ed artigiano; 2. delle malattie professionali
nell’industria e nell’agricoltura; 3. di lesioni dei medici esposti a radiazioni ionizzanti.
Denunce all’autorità giudiziaria
Referto e rapporto (o denuncia di reato)
Referto
Ai sensi dell’art. 365 CP, il referto è l’atto obbligatorio con il quale, ogni esercente una professione sanitaria,
comunica all’autorità giudiziaria quei casi, a cui ha prestato la propria assistenza, che possono presentare i
caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio.
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Materiale elaborato da Luigi Aronne
Il sanitario deve ritenersi esonerato dall’obbligo di inoltrare il referto qualora esponga:
a) la persona assistita a procedimento penale, è questo il caso di:
‐ Rissa
‐ Uso di armi in duello
‐ Infanticidio, se la persona assistita è la madre
b) se stesso o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà e dell’onore
In tutti gli altri casi, il referto costituisce una giusta causa imperativa di rivelazione del segreto
professionale.
I delitti perseguibili d’ufficio – con conseguente obbligo di referto – di maggior interesse medico‐legale
sono:
1) Delitti contro la vita, come quelli di:
‐ Omicidio volontario, colposo e preterintenzionale
2) Delitti contro l’incolumità individuale, come quelli di:
‐ lesione personale
Le lesioni personali che vengono perseguite d’ufficio, imponendo al medico l’obbligo di referto, sono:
Tutte le lesioni personali volontarie, comprese quelle lievissime, qualora concorrano circostanze
aggravanti previste dagli art. 583 e 585 del CP (caso ad esempio di lesione personale volontaria
lievissima provocata da armi o sostanze corrosive)
Lesioni personali colpose, gravi o gravissime, limitatamente a fatti commessi in violazione delle
norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o all’igiene del lavoro o che abbiano
portato ad una malattia professionale
3) Delitti contro la libertà individuale
4) Delitti contro l’incolumità pubblica
5) Delitti contro la libertà sessuale
6) Interruzione di gravidanza al di fuori dei casi legittimi, stabiliti dalla legge 194/78
7) Delitti contro l’assistenza familiare, come quello di maltrattamenti in famiglia 5
Il referto deve contenere:
1) Generalità della persona che ha richiesto l’assistenza del sanitario
2) Luogo, tempo ed altre circostanze dell’intervento
3) Generalità dell’offeso o quant’altro serva per identificarlo
4) Ogni notizie utile per stabilire circostanze e cause del delitto, mezzi con i quali è stato commesso lo
stesso, effetti procurati o potenziali
Il referto deve essere indirizzato al Procuratore della Repubblica nelle località sede di Tribunale. In
subordine a:
‐ Ufficiali di Polizia Giudiziaria
‐ Sindaco, qualora nel comune non vi siano Ufficiali di Polizia Giudiziaria.
Chi redige il referto deve farlo pervenire all’autorità competente entro 48 ore o, se vi è pericolo di ritardo,
immediatamente.
Rapporto o denuncia di reato
È una denuncia all’autorità giudiziaria il cui obbligo riguarda quei medici che, per il lavoro svolto, assumono
la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.
I medici con tali qualifiche hanno infatti l’obbligo di denunciare tempestivamente all’autorità giudiziaria
qualsiasi reato (delitto o contravvenzione), per il quale si debba procedere d’ufficio e di cui abbiano avuto
notizia nell’esercizio ed a causa delle loro funzioni.
L’obbligo non sussiste se si tratta di un reato perseguibile a querela della persona offesa e non vale per i responsabili
delle comunità terapeutiche socio‐riabilitative, limitatamente ai fatti commessi da persone tossicodipendenti.
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DIFFERENZE TRA REFERTO E RAPPORTO
Riguardano:
1. Titolare dell’obbligo
2. Fatto
3. Contenuto
4. Esimenti
5. Termini di presentazione
Referto Rapporto
Obbligo di … sussiste per: esercenti una professione medici che assumono la qualifica
sanitaria di pubblico ufficiale o incaricato
di pubblico servizio
Quanto al fatto … Ha come oggetto solo i delitti Ha come oggetto ogni tipo di
procedibili di ufficio reato (delitto o contravvenzione)
procedibile di ufficio
Quanto al contenuto … Implica un giudizio tecnico di Si limita alla pura
natura diagnostica e prognostica. notizia di reato, indicando il reo,
In particolare, deve riportare ogni la vittima, il testimone e gli
notizia che serva a stabilire elementi di prova raccolti
circostanze e cause del delitto,
mezzi con i quali è stato
commesso lo stesso, effetti
procurati o potenziali
Quanto all’esimente … Non vi è obbligo di referto da parte del sanitario qualora esponga la
persona assistita a procedimento penale oppure se stesso o un 6
proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà
e dell’onore
Il rapporto, invece, non prevede tali esimenti
Quanto ai termini di Deve pervenire entro 48h Deve essere trasmessa senza
presentazione … all’Autorità competente, salvo alcun ritardo
pericolo di ritardo
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N.B.
I certificati medici, inoltre, possono esser distinti in obbligatori e facoltativi per il cittadino, a seconda che
la loro esibizione da parte dell’interessato dipenda da un obbligo o da una facoltà.
Sono obbligatori, quando il cittadino ha l’obbligo di presentarli se vuol far valere un suo diritto che sia
subordinato all’esistenza di una realtà sanitaria della quale il certificato medico è destinato a far fede.
Tali certificati sono cioè necessari per dare l’avvio ad un determinato iter amministrativo.
Sono facoltativi i certificati che vengono richiesti sulla base di un interesse della persona assistita, al fine di
essere esibiti ad Enti Pubblici o privati per documentare lo stato di salute.
Reati connessi con la certificazione medica
1. Falso materiale
2. Falso ideologico
3. Violazione del segreto professionale
4. Omissione di atti d’ufficio
Falso materiale
Il medico risponde di falso materiale se redige un certificato del tutto o in parte falso (certificato
contraffatto) o se ne altera uno vero.
Il Codice Penale, relativamente alla falsità materiale, distingue:
1. Falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici
2. Falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative
7
3. Falsità materiale in certificati, commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità
La differenza risiede essenzialmente nell’entità delle pene previste che sono più severe quando il reato di
Falsità materiale è commesso da un pubblico ufficiale (o da un incaricato di pubblico servizio) in atti
pubblici
Falso ideologico
Il medico risponde di falso ideologico se, nella redazione del certificato, attesta fatti non corrispondenti al
vero o consapevolmente diversi da quelli rilevati.
Il Codice Penale, relativamente alla falsità ideologica, distingue:
1. Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici
2. Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative
3. Falsità ideologica in certificati, commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità
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CAPACITÀ CIVILE
INSIEME DELLA CAPACITÀ GIURIDICA E DELLA CAPACITÀ DI AGIRE
CAPACITÀ GIURIDICA
Acquistare capacità giuridica significa diventare “persona” e, cioè, soggetto di diritto inteso come
destinatario delle norme stabilite dall’ordinamento giuridico e, quindi, titolare di diritti e di doveri.
Per le persone fisiche, la capacità giuridica, si acquista con la nascita e si perde con la morte. 1
CONCETTO DI NASCITA
In campo civile, per nascita, s’intende la completa fuoriuscita dal corpo materno di un feto vivo e
cronologicamente vitale, che abbia respirato.
Ai fini dell’acquisizione della capacità giuridica occorre, quindi, che il prodotto del concepimento:
1. Sia completamente fuoriuscito dall’alvo materno
La fuoriuscita può avvenire per espulsione, come nel parto naturale o per estrazione, come nel parto
cesareo.
2. Sia in possesso di vitalità cronologica, conferita dal raggiungimento del 180° giorno di vita intrauterina
3. Abbia respirato
Se concepito, infatti, muore nella fase apnoica della vita extrauterina, pur essendo completamente
fuoriuscito dall’alvo materno, non acquisterà capacità giuridica.
L’avvenuta respirazione può essere documentata, post‐mortem, mediante le prove docimasiche e
costituisce un segno diretto della vita autonoma del neonato, indipendentemente dalla sua durata
effettiva: è sufficiente infatti anche un solo atto respiratorio autonomo.
N.B. In ambito penale, il concetto di persona è differente da quello previsto in sede civile.
Il ambito penale, infatti, la tutela viene estesa anche al prodotto del concepimento durante il parto e
durante la fase apnoica della vita extrauterina, quando non ha ancora respirato.
L’attributo della vita autonoma non è quindi necessario per il configurarsi dei delitti di infanticidio e di
omicidio.
In sede penale, comunque, perché si possa parlare di infanticidio o di omicidio occorre accertare che il
prodotto del concepimento, durante il parto o alla nascita, fosse vitale e, cioè, dotato dell’attitudine alla
vita autonoma.
Per verificare se il prodotto del concepimento fosse effettivamente vitale, nel momento in cui è stato
commesso il delitto, le prove docimasiche sono dirimenti solo quando dimostrano l’avvenuta respirazione
spontanea del concepito che ne implica, necessariamente, la vitalità.
Non è invece sempre vero il contrario, dato che il delitto può esser stato commesso durante il parto o
durante la fase apnoica della vita extrauterina, quando un prodotto del concepimento, pur vitale, non ha
ancora respirato.
Prove docimasiche negative per avvenuta respirazione spontanea, non consentono quindi di escludere la
vitalità del prodotto del concepimento al momento del delitto.
Un giudizio relativo alla vitalità del concepito, deve pertanto tener conto anche di:
‐ Raggiungimento della cdt soglia di vitalità cronologica (fissata al termine del 6° mese di vita
intrauterina)
‐ Eventuale presenza di malformazioni, arresti di sviluppo e patologie congenite che non permettano il
mantenimento della vita extrauterina
Depongono, inoltre, per la vitalità del concepito al momento del delitto:
‐ Segni di reazione vitale come il cdt tumore da parto
‐ Riscontro, sul corpo, di lesioni vitali, come ecchimosi e soffusioni emorragiche
‐ Dimostrazione istologica, in sede di lesione, del reticolo di fibrina
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Docimasie
Il termine “docimasia” significa accertare se il prodotto del concepimento abbia o meno respirato e, quindi,
vissuto di vita autonoma.
L’indagine, quindi, concerne non la teorica idoneità del polmone di respirare, ma la verifica diagnostica,
effettuata post‐mortem, dell’avvenuta respirazione in vita.
Tale prova è un requisito essenziale per affermare, in ambito civile, la nascita della persona e quindi per
l’acquisizione della capacità giuridica.
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Le prove docimasiche respiratorie possono essere distinte in:
‐ Docimasie polmonari
‐ Docimasie extrapolmonari
Docimasie polmonari
Includono:
1. Docimasia metrica
Consiste nel verificare l’espansione del torace, misurandone la circonferenza e confrontandone i valori
con quelli teorici
2. Docimasia radiologica
Consiste nel dimostrare la maggior radiotrasparenza dei campi polmonari che si osserva se il polmone
ha respirato.
Attraverso l’esame radiografico, inoltre, si potranno avere ragguagli su:
‐ Eventuale abbassamento del diaframma
‐ Dimensioni e forma degli angoli costo‐frenici
‐ Espansione dei campi polmonari
3. Docimasia diaframmatica
Consiste nell’esaminare la posizione della cupola diaframmatica.
Quest ultima, infatti, se la respirazione è avvenuta, apparirà abbassata e potrà essere apprezzata a
livello del V o del VI spazio intercostale.
Se la respirazione non è avvenuta, invece, la cupola apparirà sollevata e la sua convessità potrà essere
apprezzata non oltre il IV spazio intercostale.
L’indagine può essere effettuata visivamente oppure con opportuno esame radiologico.
Cause di errore:
‐ Enfisema putrefattivo post‐mortale, in virtù del quale si può osservare un abbassamento della
cupola diaframmatica anche nel polmone che non ha respirato
‐ Rigidità del diaframma, dovuta a condizioni patologiche che ne impediscono l’abbassamento,
nonostante l’avvenuta respirazione.
4. Docimasia ottica
Prevede:
1. Doppia legatura della trachea, in sede cervicale, al fine di evitare la penetrazione passiva di aria nei
polmoni
2. Apertura della cavità toracica
3. Esame delle superfici polmonari, ad occhio nudo
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In assenza di respirazione,
1) i polmoni sono acquattati nelle rispettive docce costo‐vertebrali;
2) i loro margini anteriori appaiono sottili e lasciano scoperta l’aia cardiaca;
3) il colorito del parenchima è rosso‐scuro;
4) la superficie di taglio si dimostra compatta e lascia fuoriuscire un modesto gemizio di sangue.
In caso di avvenuta respirazione,
1) i polmoni sono espansi, con margini anteriori arrotondati che ricoprono l’aia cardiaca;
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2) hanno un colorito roseo;
3) l’aspetto della loro superficie è marezzato o vescicolare.
Cause di errore:
‐ Insufflazione artificiale di aria nel polmone che non ha respirato.
In tal caso, tuttavia, l’espansione del parenchima polmonare apparirà irregolare
‐ Enfisema putrefattivo.
In tal caso è, tuttavia, possibile osservare delle bolle di gas putrefattivo a livello della superficie
parenchimale sottopleurica.
5. Docimasia polmonare palpatoria
Consiste nel valutare, alla palpazione, la consistenza del polmone.
Se il polmone non ha respirato, avrà una consistenza compatta, carnea.
Se la respirazione è avvenuta, il polmone acquisterà una consistenza soffice e crepitante.
Cause di errore:
‐ Insufflazione artificiale d’aria
‐ Enfisema putrefattivo
6. Docimasia idrostatica galenica
Consiste nel valutare se il polmone affondi o meno quando immerso in una bacinella d’acqua.
Poiché il polmone che non ha respirato ha un peso specifico di 1.08, poco superiore a quello dell’acqua,
quando immerso nella bacinella di prova, affonda.
Il polmone che ha respirato, invece, galleggia, poiché il suo peso specifico è di circa 0.8.
N.B. Il test va inizialmente effettuato sull’intero blocco trachea‐polmoni‐cuore, dopo legatura e sezione
della trachea. Se infatti tale blocco galleggia, si può esser certi che il galleggiamento è dovuto a
fenomeni putrefattivi.
Si prosegue, poi, in modo analogo su ciascuno dei due polmoni, su parti di polmone ed infine su
frammenti di tessuto polmonare.
Cause di errore
Condizioni responsabili del galleggiamento di un polmone che non ha respirato sono:
‐ Incompleta chiusura della trachea, con ingresso post‐mortem di aria nelle vie respiratorie
‐ Enfisema putrefattivo post‐mortale.
‐ Introduzione artificiale di aria post‐mortem
‐ Aspirazione, durante la vita intrauterina, di vernice caseosa e di liquido amniotico che hanno un
peso specifico inferiore a quello dell’acqua
Condizioni responsabili del mancato galleggiamento di un polmone che ha respirato sono:
‐ Atelettasie polmonari e processi flogistici acuti
‐ Conduzione dell’esame nella fase colliquativa del periodo putrefattivo
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7. Docimasia polmonare istologica
È la prova più importante per esprimere un giudizio circa l’avvenuta respirazione.
Il metodo di colorazione dei campioni tissutali polmonari più comune è quello dell’ematossilina‐eosina
oppure quello di Weigert (resorcina‐fucsina), che consente meglio di evidenziare la struttura elastica
del polmone.
Il principale segno istologico di avvenuta respirazione consiste nella distensione degli alveoli che
appaiono ampi, con cavità di forma poligonale e contornate da setti sottili e pieni di sangue.
Ciò dipende dal fatto che, con l’inizio della respirazione, s’instaura la nuova circolazione polmonare, al
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posto di quella feto‐placentare.
Nel polmone che non ha respirato,
‐ le cavità alveolari sono collabite
‐ i setti sono molto larghi e spessi con vasi di piccolo calibro, contenenti pochi globuli rossi
‐ le fibre elastiche sono tortuose e molto voluminose
Nel caso di insufflazione artificiale di aria, gli alveoli sono, per lo più, collabiti ma, accanto ad essi, se ne
osservano altri irregolarmente espanse, con pareti iperdistese ed interrotte. Ciò fa sì che gli alveoli
interessati possano confluire in un’unica cavità.
In presenza di enfisema putrefattivo, si possono distinguere:
‐ enfisema putrefattivo interstiziale, nel quale sono apprezzabili bolle di gas soprattutto all’interno
dell’interstiziale.
‐ enfisema putrefattivo alveolare, nel quale le bolle di gas sono più fini e diffuse.
Docimasie extrapolmonari
Le docimasie respiratorie extrapolmonari si prefiggono di provare l’avvenuta respirazione spontanea,
dimostrando la presenza di aria in distretti corporei diversi dai polmoni.
1. Docimasia gastro‐intestinale
Si basa sul fatto che, con l’inizio della respirazione, il feto deglutisce aria, pertanto riscontrabile
all’interno del tubo digerente.
L’indagine prevede, innanzitutto, l’asportazione dello stomaco, dopo aver praticato una doppia legatura
a livello del cardias e del piloro.
Lo stomaco asportato viene quindi posto in acqua, per verificare se esso galleggi o meno.
Con lo stesso sistema, si può prelevare un tratto più o meno lungo di intestino.
La docimasia gastro‐intestinale può inoltre fornire informazioni circa la durata della vita extrauterina.
La presenza di aria nello stomaco indica, infatti, una breve durata della vita extrauterina (circa 1 ora);
nell’intestino, una durata della vita extrauterina di 12‐15 ore; in tutto il tubo gastrointestinale, di 24
ore.
Causa di errore:
‐ Presenza di gas putrefattivi nel apparato digerente.
2. Docimasia auricolare
Si fonda sul fatto che, in assenza di respirazione, l’orecchio medio contiene una massa gelatinosa,
costituita da tessuto mucoso fetale o da liquido amniotico, il quale viene eliminato con gli atti
respiratori e sostituito con aria.
Per valutare il contenuto dell’orecchio medio occorre mettere allo scoperto la membrana timpanica che
va, quindi, punta, dopo aver posto la testa in acqua.
Se il feto ha respirato, dall’orecchio medio fuoriesce una bollicina di aria.
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N.B. L’inizio della vita autonoma può essere provato ricercando eventi diversi dalla respirazione spontanea
mediante docimasie non respiratorie.
1. Docimasia alimentare
Consiste nella ricerca dei residui alimentari della digestione all’interno del canale gastro‐intestinale. La
presenza di tali residui confermano la vita autonoma del prodotto del concepimento.
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2. Docimasia batterica
Consiste nella ricerca dei bacilli coliformi all’interno del contenuto intestinale. La loro presenza
conferma la vita autonoma del prodotto del concepito.
3. Docimasia renale
Consiste nella ricerca, all’interno dei tubuli renali, di cristalli di acido urico, che compaiono durante i
primi giorni della vita extrauterina. Tale reperto indirettamente conferma che il prodotto del
concepimento è nato vivo e che ha continuato a vivere per un certo periodo di tempo.
4. Docimasia del nervo ottico, di cui viene valutata l’avvenuta mielinizzazione.
ESTINZIONE DELLA CAPACITÀ GIURIDICA
Sebbene non esista una vera e propria norma che stabilisca in quale momento cessi la capacità giuridica di
un individuo, è da ritenere che essa venga meno al momento della morte.
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CAPACITÀ DI AGIRE
Con la nascita, l’essere umano acquisisce la capacità giuridica ma è soltanto con il raggiungimento della
maggiore età (18° anno di vita) che egli viene ritenuto capace di curare i propri interessi e di compiere gli
atti della vita civile.
Pertanto, il minore di anni 18, pur avendo capacità giuridica, non possiede ancora la capacità di agire,
intesa come l’attitudine ad esercitare diritti e ad adempiere ad obblighi, compiendo manifestazioni di
volontà produttive di effetti giuridici. 6
I presupposti della capacità di agire sono:
1. Capacità giuridica, che si acquisisce al momento della nascita
2. Maggiore età, fissata dal Codice Civile al compimento del 18° anno
3. Capacità di intendere e di volere
‐ Capacità d’intendere
È l’attitudine a prevedere la portata e le conseguenze della propria condotta.
Può essere quindi intesa come la coscienza dell'agire.
Pertanto, il soggetto dotato della capacità di intendere è in grado di stabilire correttamente se le
sue azioni siano buone o cattive (valore morale), siano lecite o illecite (valore giuridico), siano utili o
dannose all'interesse comune (valore sociale).
‐ Capacità di volere
È la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta adatta ad uno scopo.
Può essere quindi intesta come la libertà dei propri atti.
INTERDIZIONE
L’interdizione è il procedimento giudiziale che priva totalmente della capacità di agire e che pone
l’interdetto in stato di tutela.
All’interdetto, si applicano le stesse norme previste per i minori.
Si tratta di un istituto di protezione creato appositamente per la tutela degli interessi di persone incapaci.
Devono essere interdetti “il maggiore di età ed il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di
abituale infermità di mente, che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi” (art. 414 C.C.).
Presupposti clinici per l’interdizione
1. Esistenza di un’infermità di mente, intesa come qualsiasi malattia psichica ad effetto durevole, che
comporta gravi difetti della coscienza, dell’affettività, dei poteri associativi e soprattutto di quelli
volitivi.
2. Carattere abituale dell’infermità mentale
Implica un giudizio prognostico di lunga durata o di cronicità del decorso clinico
3. Gravità della stessa, che deve essere tale da rendere il soggetto incapace di provvedere ai suoi
interessi.
Il giudizio di gravità va quindi espresso rapportando l’entità della minorazione psichica obbiettivata alla
complessità degli interessi – soprattutto patrimoniali – che la persona deve curare.
L’interdizione può essere richiesta dalle persone interessate alla conservazione del patrimonio
dell’incapace (coniuge, parenti ed affini).
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Viene disposta dal Giudice (perciò giudiziale) che deve accertarsi, di persona, dell’infermità mentale; in tale
esame, può avvalersi di un consulente tecnico, disporre ogni mezzo istruttorio, interrogare i parenti
prossimi dell’interdicendo.
Il procedimento è obbligatorio, qualora sia stata accertata l’assoluta incapacità di provvedere ai propri
interessi.
Se interdetta, la persona verrà rappresentata da un tutore, nominato espressamente dal Giudice.
Il tutore rappresenta l’interdetto in tutti gli atti civili che lo riguardano e ne amministra i beni.
L’interdizione determina, infatti, l’incapacità assoluta ai negozi patrimoniali e familiari. In particolare,
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l’interdetto non può
‐ stipulare contratti
‐ fare testamento
‐ contrarre matrimonio
‐ riconoscere figli naturali
Di conseguenza, gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione, possono essere annullati
su istanza del tutore, dell’interdetto stesso o dai suoi eredi.
N.B. La donna interdetta può richiedere ed ottenere l’interruzione di gravidanza, con le modalità previste
dalla legge.
INABILITAZIONE
L’inabilitazione è il procedimento giudiziale che priva il soggetto della capacità di compiere gli atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione e che gli impone l’assistenza da parte di un curatore.
N.B. Gli atti di straordinaria amministrazione sono quelli che possono alterare o modificare la struttura e la
consistenza del patrimonio (caso, ad esempio, della compravendita di immobili).
Gli atti di ordinaria amministrazione, invece, sono quelli diretti alla gestione del patrimonio e che non
determinano un rischio di alterazione dello stesso (caso, ad esempio, di riscossione della pensione)
Possono essere inabilitate (art. 415 C.C.) le seguenti categorie di soggetti:
1. Il maggiore di età, infermo di mente, il cui stato non è talmente grave da imporre l’interdizione
(deficienza psichica). Deve cioè presentare un’alterazione psichica che ne riduce le attitudini intellettive
o volitive in modo notevole ma non così severo da causare la totale incapacità di provvedere ai propri
interessi.
È implicito che l’infermità debba essere durevole.
2. Coloro che, per prodigalità – abitudine, cioè, a dissipare i propri beni – o per abuso abituale di bevande
alcoliche o di stupefacenti, espongono sé stessi o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
3. Il sordo ed il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non abbiano ricevuto un’educazione
sufficiente, salva l’applicazione dell’interdizione quando risulta che essi siano del tutto incapaci di
provvedere ai loro interessi.
L’inabilitazione – che è una forma semplice di limitata capacità di agire – non è obbligatoria come
l’interdizione, bensì facoltativa e viene dichiarata da sentenza giudiziaria, con le stesse formalità richieste
per l’interdizione.
L’inabilitato può:
‐ compiere gli atti non eccedenti l’ordinaria amministrazione dei propri beni
‐ contrarre matrimonio
‐ disporre per testamento
Per gli atti eccedenti, è assistito da un curatore.
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N.B. L’inabilitazione, come l’interdizione, costituisce un provvedimento revocabile qualora sia cessata la
causa per la quale essa è stata pronunciata.
Se il magistrato ritiene che l’interdetto abbia riacquistato solo parzialmente e non totalmente la capacità di
agire, egli può revocare l’interdizione e dichiarare inabilitato l’infermo medesimo.
N.B. La minore età, l’interdizione e l’inabilitazione costituiscono situazioni di incapacità di agire che
vengono stabilite dalla legge (incapacità legale).
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Si parla, invece, di incapacità naturale quando persona legalmente capace –quindi maggiore di età, non
interdetta e non inabilitata – si trovi in situazioni cliniche tali che la rendono, in un dato momento, di fatto
incapace di comprendere il significato giuridico e le conseguenze degli atti che compie.
Tali atti possono essere annullati, su istanza della persona medesima o dei suoi eredi.
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Nel sistema di sicurezza sociale, garantito dalla Costituzione, si delineano due fondamentali ordini di
intervento, da parte dello Stato, a favore del cittadino che versi in situazioni di bisogno:
1. Interventi di tipo assistenziale
2. Interventi di tipo previdenziale
Interventi di tipo assistenziale
Sono rivolti a cittadini – anche non lavoratori – invalidi (invalidi civili), non altrimenti tutelati, ed il loro
finanziamento è garantito dallo Stato.
1
Sono quindi esclusi dal novero degli invalidi civili: invalidi di guerra, invalidi del lavoro, invalidi per causa di
servizio, invalidi pensionabili INPS, ciechi civili e sordi, per i quali provvedono specifici disposti di legge.
Interventi di tipo previdenziale
Sono rivolti ai lavoratori beneficiari di assicurazioni sociali ed il loro intento è quello di prevenire situazioni
di bisogno derivanti dal verificarsi di eventi che il Legislatore individua in infortuni, malattie, invalidità,
vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Il finanziamento degli interventi previdenziali è di tipo contributivo.
Invalidità civile
Secondo la legge n. 118, del ‘71, sono considerati mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazione
congenita o acquisita, anche a carattere progressivo – compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di
carattere organico o dismetabolico ed insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali* – che
abbiano subito una permanente riduzione della capacità lavorativa, in misura non inferiore ad un terzo,
se si tratta di persone di età compresa fra i 18 ed i 65 anni.
I minori di anni 18 e gli ultrasessantacinquenni, sono invece considerati invalidi civili se abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
* La legge n. 118 del ’71, pertanto, escludeva dalla categoria degli invalidi civili, i pz psichiatrici, per i quali
era prevista, come tutela, il ricovero in manicomio.
Ciò è stato superato con il DL n. 509 dell’88.
Il DL n.509 dell’88 precisa che le minorazioni congenite o acquisite, della legge 118 del’71, comprendono
gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportino un danno funzionale
permanente.
I parametri di giudizio, quindi, per la valutazione dell’invalidità civile, nelle persone di età compresa fra 18 e
65 anni, sono:
‐ Danno funzionale permanente, sotteso dall’infermità
‐ Entità della riduzione della capacità lavorativa
N.B. Non ha senso parlare di capacità lavorativa generica. Si dovranno, cioè, verificare come le
accertate infermità si ripercuotano sulla capacità lavorativa specifica o in occupazioni confacenti alle
attitudini della persona esaminata.
Il giudizio valutativo conclusivo viene espresso in percentuali di invalidità permanente, considerando le
tabelle di legge ed il sistema valutativo tabellare, secondo quanto stabilito nel DM Salute del 5 febbraio del
‘92. N.B. Le nuove tabelle introdotte con tale DM differiscono da quelle riportate nel DL n. 509 dell’88,
perché 1. più restrittive in termini di percentuali di invalidità permanente assegnate alle diverse infermità e
perché 2. non includono la condizione di tossicodipendenza (a cui veniva assegnata una percentuale di
invalidità permanente del 46%).
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La legge distingue diversi gradi di invalidità, a seconda dei quali sono previsti benefici diversi:
‐ Se l’invalidità è superiore ad un terzo (dal 34% in poi), la persona ha diritto alla qualifica di invalido
civile e quindi alla concessione eventuale di prestazioni protesiche ed ortopediche.
‐ Se l’invalidità supera il 45%, la persona ha il diritto all’iscrizione in liste speciali per l’assunzione
obbligatoria al lavoro.
2
N.B. Il collocamento lavorativo delle persone invalide, con la Legge Biagi del 2003, è stato reso mirato. Tiene
conto, cioè, delle capacità lavorative delle persone invalide, in modo da inserirle nel posto ad esse più adatto,
quando disponibile. A differenza del passato, quindi, non ci si attiene più solo alla posizione in graduatoria
dell’invalido.
‐ Se l’invalidità è pari o superiore al 74%, la persona ha diritto all’assegno mensile, come invalido
parziale.
L’assegno mensile, come invalido parziale, è reddituale nel senso che, per essere percepito, il soggetto
non deve disporre di un reddito annuo personale superiore ad una determinata soglia.
‐ Se l’invalidità è del 100%, la persona ha diritto alla pensione di invalidità, come invalido totale.
Anche la pensione di invalidità, come invalido totale, è reddituale.
Un soggetto invalido totale, non deambulante o non autosufficiente, inoltre, ha diritto all’indennità di
accompagnamento.
Si tratta di un beneficio economico che viene concesso agli invalidi civili totali, nei cui confronti le
apposite Commissioni Sanitarie, presso le ASL competenti per territorio, abbiano accertato che si
trovino nell’impossibilità di deambulare, senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, o di
compiere gli atti quotidiani della vita*, avendo quindi bisogno di un’assistenza continua.
Basta che venga accertata l’esistenza anche di una sola delle due condizioni.
* Per atti quotidiani della vita bisogna intendere non solo il nutrirsi, il lavarsi ed il vestirsi ma anche la
capacità di poter chiedere soccorso, di accendere la tv o la radio. Tra le patologie che rendono il
soggetto non più in grado di compiere gli atti quotidiani della vita vi sono, ad esempio, quelle
demenziali.
L’indennità di accompagnamento:
1. È indipendente dall’età della persona
2. Non è subordinata a limiti di reddito
3. È compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa
4. Non è reversibile (cioè non si trasmette agli eredi dopo la morte dell’invalido)
Nel caso di minori di anni 18 e di soggetti ultrasessantacinquenni non ha significato far dipendere il giudizio
di invalidità dalla valutazione della residua capacità di lavoro.
Si tratta, infatti, di soggetti che non svolgono alcuna attività lavorativa.
Per tale motivo, in queste fasce di età, il Legislatore ha indicato, come riferimento valutativo, le difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età considerata.
Agli invalidi civili, minori di 18 anni, può esser concessa un’indennità di frequenza o di accompagnamento.
Lo scopo dell’indennità di frequenza è quello di fornire un aiuto alle famiglie di minori invalidi che devono
sostenere spese legate alla frequentazione di una scuola, pubblica o privata, o di un centro specializzato per
terapie o riabilitazione.
L’indennità di frequenza viene pagata mensilmente ed il suo importo è stato equiparato a quello
dell’assegno mensile, percepito dagli invalidi civili parziali.
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A differenza della indennità di accompagnamento, l’indennità di frequenza è concessa ai bisognosi. La
Legge, quindi, stabilisce un reddito annuo che non deve essere superato, pena la non ricevibilità
dell’indennità.
N.B. L’indennità di frequenza è concessa anche ai sordi parziali minori di anni 18, quando si riconosce che
essi abbiano la necessità di frequentare centri specializzati nel trattamento o nella riabilitazione della
specifica infermità.
L’indennità di accompagnamento viene concessa ai minori che si trovino nell’impossibilità di deambulare,
3
senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitando,
quindi, di un’ assistenza continua.
Per quanto riguarda gli invalidi civili ultrasessantacinquenni, al compimento del 65° anno di età, in
sostituzione dell’assegno e della pensione di invalidità, viene corrisposto, da parte dell’INPS, un assegno
sociale, reddituale.
All’invalido civile ultrasessantacinquenne, inoltre, può essere concessa un’indennità di accompagnamento,
se non deambulante o non autosufficiente.
Modalità per ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile
La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile può essere presentata:
‐ dall’interessato che si ritiene invalido;
‐ da chi rappresenta legalmente l’invalido (genitore, nel caso di minori; tutore, nel caso di interdetti);
‐ da chi cura gli interessi dell’invalido (curatore, nel caso di inabilitati).
La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile va presentata all’INPS territorialmente competente.
Dal 1° gennaio 2010 la presentazione della domanda avviene in modo informatizzato ed è necessario
coinvolgere, in prima battuta, il medico curante, il cui compito è quello di attestare la natura delle infermità
invalidanti, compilando appositi modelli di certificazione (certificato introduttivo), predisposti dall’INPS. Dal
1° gennaio 2010, quindi, il medico curante diviene il medico certificatore.
L’invalidità civile è riconosciuta dall’ASL che decide in materia attraverso una specifica Commissione. La
Commissione è composta da un medico specialista in medicina legale – che assume le funzioni di
presidente – e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro.
Dal 1° gennaio 2010, la Commissione è integrata da un medico INPS quale componente effettivo.
Alla Commissione partecipa, infine, un sanitario in rappresentanza dell’Associazione nazionale dei mutilati
ed invalidi civili (ANMIC).
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TUTELA DELLE PERSONE AFFETTE DA CECITÀ TOTALE O PARZIALE
Rientrano nel novero dei CIECHI CIVILI solo quelli che lo sono dalla nascita e quelli che lo sono divenuti a
causa di malattie o di infortuni, escludendo quelli che lo sono diventati per cause di guerra, di servizio o di
lavoro, per i quali provvedono altri dispositivi di legge.
Secondo la normativa vigente, si definiscono:
4
Ciechi totali
1. Coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi
2. Coloro che hanno la mera percezione dell'ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli
occhi o nell'occhio migliore
3. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento
Ciechi parziali
1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore ad 1/20 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore,
anche con eventuale correzione
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento.
Ipovedenti gravi
1. Coloro che hanno residuo visivo non superiore ad 1/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore
(anche con eventuale correzione)
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30%.
Ipovedenti medio‐gravi
1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore
(anche con eventuale correzione)
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50%.
Ipovedenti lievi
1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore,
anche con eventuale correzione
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60%.
Le provvidenze economiche per il cieco totale sono la pensione e l'indennità di accompagnamento, data la
necessità di assistenza continua, con possibilità di un ulteriore aumento del 45% nel caso di minori ciechi
assoluti pluriminorati.
I ciechi parziali si distinguono in:
‐ Ventesimisti, che hanno diritto alla pensione di invalidità
‐ Decimisti, che hanno diritto all’assegno di invalidità, sempre se sussistono determinati limiti reddituali
previsti dalla legge.
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TUTELA DELLE PERSONE AFFETTE DA SORDITÀ
La nuova disciplina in favore dei minorati auditivi (Legge n.95 del 2006) stabilisce la sostituzione del
termine di sordomuto con quello di sordo in tutte le disposizioni legislative vigenti.
Ciò è stato fatto al fine di superare una qualifica impropria sul piano medico‐fisiologico, socialmente
discriminante per ragioni culturali e, soprattutto, irrispettosa delle possibilità di miglioramento – in termini
di acquisizione del linguaggio parlato – garantite dalla riabilitazione.
5
Agli effetti di tale Legge, si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito, affetto da sordità congenita o
acquisita durante l’età evolutiva – entro 12 anni – che gli abbia compromesso il normale apprendimento del
linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica.
Si parla quindi di compromissione del normale apprendimento del linguaggio parlato e, non più, di
impedimento – come nel testo originario del ’70 – includendo così anche quei casi in cui l’ipoacusia abbia
solo ridotto o reso difficoltoso tale apprendimento.
Per Decreto Ministeriale, viene ritenuta compromettente il normale apprendimento del linguaggio parlato,
un’ipoacusia >/= 75 dB HTL di media tra le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz, nell’orecchio migliore.
Le prestazioni concesse dall’INPS ai sordi sono:
1. Indennità di comunicazione
2. Pensione
Indennità di comunicazione
Viene concessa ai sordi per il solo titolo della minorazione, indipendentemente dallo stato di bisogno
economico, dall’età o dall’eventuale ricovero in istituto.
Ai fini della concessione di quest’indennità, se il richiedente non supera i 12 anni di età, l’ipoacusia deve
essere pari o superiore a 60 decibel HTL di media tra le frequenze 500, 1000, 2000 Hz, nell’orecchio migliore.
Qualora il richiedente abbia superato tale età, l’ipoacusia deve essere pari o superiore a 75 decibel HTL e
deve essere dimostrata l’insorgenza dell’ipoacusia prima del compimento del dodicesimo anno.
N.B. Per quanto riguarda i minorenni, l’indennità di comunicazione è incompatibile con l’indennità di
frequenza, ammettendo la facoltà di opzione per il trattamento più favorevole.
Nel certificato medico che si rilascia ai fini del riconoscimento dell’indennità di comunicazione occorre
indicare:
1. Quando si è manifestata la sordità (epoca prelinguale o meno)
2. Grado di sviluppo del linguaggio
3. Valutazione audiometrica recente
4. Possibilità effettive di recupero
5. Necessità di protesi
Pensione
I requisiti richiesti per aver concessa la pensione come sordo sono:
1. Età compresa tra 18 e 65 anni
2. Prova della sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva (entro 12 anni), con ipoacusia >/=
75 dB HTL di media tra le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz, nell’orecchio migliore, che abbia reso
difficoltoso il normale apprendimento del linguaggio parlato
3. Reddito annuo personale non superiore ad una certa soglia
Al conseguimento del 65° anno di vita la pensione è sostituita dall’assegno sociale.
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Assicurazioni sociali
Differenze delle assicurazioni sociali rispetto a quelle private
1. Nelle assicurazioni sociali, il soggetto assicuratore è esclusivamente un Ente Pubblico (INAIL o INPS),
istituito da apposite leggi dello Stato, che ne controlla la gestione.
Nelle assicurazioni private, invece, il soggetto assicuratore è una delle numerose compagnie private che 7
gestiscono il mercato assicurativo e che sono sottoposte alla vigilanza dell’ISVAP (Istituto per la
Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di interesse collettivo)
2. Nelle assicurazioni sociali, l’assicurante è il datore di lavoro che deve denunciare l’inizio del rapporto di
lavoro del dipendente e che deve assicurare quest’ultimo pagando, nei modi e tempi stabiliti, i
contributi fissati dalle leggi (le assicurazioni sociali sono, infatti, obbligatorie).
Nelle assicurazioni libere, invece, è un cittadino privato che sceglie e sottoscrive una polizza.
3. Nelle assicurazioni sociali, le prestazioni erogate sono automatiche: al realizzarsi del rischio, infatti,
esse vengono concesse al lavoratore dipendente, in ogni caso, anche quando il datore di lavoro non
abbia adempiuto né agli obblighi di denuncia dell’inizio del rapporto di lavoro né a quelli contributivi.
Nelle assicurazioni private, invece, ai fini della validità della garanzia assicurativa, è necessario che
l’assicurato fornisca la prova del pagamento della polizza.
4. Le assicurazioni sociali esulano da ogni scopo di lucro.
Le assicurazioni private, invece, agiscono secondo le leggi del mercato e del profitto.
5. Nelle assicurazioni sociali, le prestazioni economiche e sanitarie, sono erogate sulla base di criteri
uniformi e correlate alla gravità del danno biologico e delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli che
ne derivano.
Nelle assicurazioni private, invece, le prestazioni sono, generalmente, di carattere economico e variano
a seconda dei massimali garantiti dalla polizza.
6. Le assicurazioni sociali non si limitano ad indennizzare i danni derivanti al lavoratore dagli eventi
pregiudizievoli che lo colpiscono, ma perseguono anche scopi preventivi, assistenziali e riabilitativi,
essendo parte integrante del sistema di sicurezza sociale.
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INAIL e assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
Il T.U. per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, contenuto nel D.P.R n.1124 del 1965, stabilisce
l’obbligo, per il datore di lavoro, dell’assicurazione contro i danni fisici ed economici che il lavoratore
subisce a causa di infortuni sul lavoro e malattie professionali.
Dispone inoltre che l’ente pubblico erogante l’assicurazione sia rappresentato dall’INAIL.
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Il T.U. si articola in 4 titoli, per complessivi 296 articoli, concernenti il settore dell’industria, quello
dell’agricoltura, i cdt regimi speciali e particolari categorie di lavoratori.
Oggi la tutela viene estesa anche ai lavoratori domestici, alle casalinghe ed ai medici radiologi.
Infortunio sul lavoro
Gli elementi costitutivi della figura giuridica dell’infortunio sul lavoro, indennizzabile dall’INAIL, sono:
1. L’esistenza del rischio
2. L’occasione di lavoro
3. La causa violenta
4. Il danno lavorativo, per eventi antecedenti al 25 luglio del 2000
5. Il danno biologico e le sue eventuali conseguenze patrimoniali, per gli eventi successivi al 25 luglio del
2000
Esistenza del rischio
Per quanto riguarda il concetto di rischio, quest ultimo viene inteso come il grado di probabilità del
verificarsi di un evento dannoso.
Tuttavia, ai fini della tutela previdenziale, non basta la sola dimostrazione dell’esistenza di un rischio
generico.
Deve piuttosto trattarsi di un rischio lavorativo o rischio protetto, nel senso che il lavoro deve, esso stesso,
condizionare, ed in qualche modo, aggravare la natura e l’entità del rischio.
Da un punto di vista tecnico‐assicurativo e giuridico, si parla di:
‐ Rischio generico, per indicare la semplice possibilità del verificarsi di un evento dannoso.
È il rischio a cui è sottoposta la generalità degli appartenenti ad una data collettività.
Tutti, ad esempio, sono sottoposti al rischio di un terremoto.
‐ Rischio generico aggravato, quando sussiste la probabilità del verificarsi dell’evento stesso.
Tale maggiore gravità del rischio deriva dall’attività lavorativa espletata, che costringe il lavoratore ad
esporsi a determinati fattori di rischio.
Per esempio, gli addetti alla manutenzione delle strade sono più esposti di altre persone ad essere
vittima di incidenti stradali.
‐ Rischio specifico, quando la probabilità che si verifichi l’evento dannoso risulta elevata.
È un rischio che grava soltanto su coloro che svolgono una certa attività e che quindi dipende dalle
particolari caratteristiche dell’attività espletata.
Un rischio specifico, ad esempio, sussiste nel caso di lavoratori addetti alla bonifica di campi minati e di
elettricisti addetti alla riparazione di impianti o circuiti elettrici.
N.B. Affinché sussista la tutela previdenziale è necessario che l’evento dannoso sia correlato ad un rischio
generico aggravato o specifico.
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Occasione di lavoro
Si riferisce al fatto che, per sussistere la tutela previdenziale, l’evento dannoso deve accadere in stretta
connessione con il perseguimento delle specifiche finalità di lavoro.
Inciso
su
infortunio in itinere
9
È l’infortunio che il lavoratore subisce nell’andare dalla propria abitazione verso il luogo di lavoro o nel
ritornare da esso.
Quando, nel corso del tragitto, il lavoratore è esposto al solo rischio generico, come tutti i cittadini,
l’eventuale infortunio sarà escluso dalla tutela assicurativa.
Se, invece, il compiere tale tragitto comporti un aggravamento del rischio generico o un rischio specifico di
lavoro (caso ad esempio della necessità di attraversare a piedi l’unica strada percorribile e particolarmente
accidentata), sarà lecito parlare di infortunio indennizzabile.
Causa violenta
Per causa violenta s’intende qualsiasi fattore o antecedente lesivo che produca il danno, agendo sul corpo
umano dall’esterno, in modo sufficientemente intenso e rapido nel tempo.
Le caratteristiche della causa violenta sono quindi:
1. Esteriorità
La causa del danno deve, cioè, agire dall’esterno e, più precisamente, deve derivare dall’ambiente di
lavoro.
2. Sufficiente intensità lesiva
La causa deve essere, cioè, quantitativamente idonea a produrre l’effetto dannoso
3. Azione rapida e concentrata nel tempo
Si considera concentrata nel tempo, l’azione lesiva di quell’antecedente causale la cui durata non superi
quella di un turno di lavoro.
Si tratta, questo, di un elemento di giudizio importante ai fini della DD tra infortunio sul lavoro e
malattia professionale (nella quale si parla di causa lenta e diluita nel tempo).
Le cause di infortunio sul lavoro possono essere di natura:
‐ Fisica (energia meccanica, elettrica, elettromagnetica e termica)
‐ Chimica (sostanze tossiche)
‐ Microbica
‐ Psichica (grave stress emotivo ricollegabile al lavoro svolto dall’assicurato)
Danno indennizzabile
Può consistere in:
1. Morte dell’assicurato
2. Inabilità permanente assoluta al lavoro
3. Inabilità permanente parziale
4. Inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più 3 gg
5. Danno biologico (allorché si superi la franchigia del 6%) con le eventuali conseguenze patrimoniali
N.B. l’indennizzabilità del danno biologico è stata introdotta dall’art.13 del DL n.38 del 2000 e riguarda i
soli eventi denunciati a partire dal 25 luglio dello stesso anno.
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Inabilità
L’inabilità e, cioè, la riduzione o la perdita della capacità lavorativa, rappresenta il parametro di valutazione
per stabilire l’indennizzabilità degli eventi infortunistici precedenti al 25 luglio del 2000.
Sono indennizzabili INAIL:
‐ Inabilità permanente assoluta
‐ Inabilità permanente parziale
‐ Inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più 3 gg
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Sec. l’art.74 del T.U. 1124/65 deve ritenersi
‐ Inabilità permanente assoluta, la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale che
tolga, completamente, e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro.
‐ Inabilità permanente parziale, la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale che
diminuisca, in parte, e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro
La valutazione dell’inabilità permanente viene fatta tenendo conto delle tabelle valutative annesse al T.U.
che riportano, per ciascuna delle menomazioni citate, valori di inabilità permanente, uguali per tutti i
lavoratori appartenenti allo stesso settore considerato, senza alcuna differenza a seconda della diversa
attività espletata.
Caso per caso si valuta , quindi, l’incidenza della menomazione biologica sull’attitudine al lavoro, intesa non
in senso specifico né in senso generico. Viene piuttosto riferita a tutte quelle attività che il lavoratore
potrebbe svolgere nel settore di appartenenza (industria o agricoltura).
N.B. La rendita per inabilità permanente, erogata dall’INAIL, ha la funzione di indennizzare il danno subito
dal lavoratore, non per le conseguenze fisiche o psichiche in sé, ma per le ripercussioni negative che da
esso derivano sull’attitudine al lavoro proficuo dell’assicurato (danno lavorativo).
La rendita per inabilità permanente, quindi, costituisce, per l’assicurato, un corrispettivo economico della
ridotta capacità di trarre un guadagno dalla propria forza lavoro.
Pertanto, prima delle recenti norme (DL n.38/2000), restavano esclusi il danno estetico e quello della
funzione sessuale.
Danno biologico
Consiste nella menomazione della integrità psico‐fisica della persona – comprensiva degli aspetti personali
e dinamico‐relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico‐legale – ed indipendente da ogni
riferimento alla capacità di produrre reddito.
Con DL n.38 del 2000, quello biologico, diventa il tipo di danno da valutare, ai fini dell’indennizzo, per gli
infortuni sul lavoro verificatisi dal 25 luglio del 2000.
‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è inferiore al 6%, il lavoratore non
ha diritto a nessun indennizzo.
‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è pari o superiore al 6% e sino al
15% compreso, vi sarà un indennizzo in capitale del solo danno biologico.
‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è pari o superiore al 16%, si
costituirà una rendita, di cui una quota, per danno biologico ed un quota aggiuntiva, per le
conseguenze patrimoniali della menomazione.
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Il decreto in questione è completato dalle seguenti tabelle:
1. Tabella delle menomazioni, per la valutazione del danno biologico, in cui rientrano anche
menomazioni dell’integrità psico‐fisica che, nel passato, non erano considerate (caso del danno estetico
e del danno alla sfera riproduttiva e sessuale).
2. Tabella di indennizzo del danno biologico
È improntata ai seguenti criteri:
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1) È areddituale.
Si presume, cioè, che il grado di menomazione dell’integrità psico‐fisica produca lo stesso
pregiudizio alla salute in tutti gli essere umani, indipendentemente dal diverso reddito da lavoro
prodotto.
2) È crescente, nel senso che l’indennizzo cresce, col crescere del grado di menomazione.
3) È variabile a seconda dell’età (decresce, cioè, con il crescere degli anni, per la diminuzione del
tempo di vita residua) e del sesso (per la maggiore longevità delle donne).
4) È ugualmente valida per tutti i settori lavorativi (industria e agricoltura)
3. Tabella dei coefficienti
Serve per calcolare l’ulteriore quota di rendita, qualora il danno biologico abbia anche conseguenze
patrimoniali.
Tale quota aggiuntiva viene commisurata all’incidenza della menomazione sulla capacità
dell’infortunato di produrre reddito, grazie al proprio lavoro.
Tiene conto del settore di appartenenza dell’assicurato e della sua ricollocabilità in esso.
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NESSO CAUSALE NELL’INFORTUNISTICA INAIL
La causalità (rapporto, cioè, tra antecedente e susseguente), nell’infortunistica INAIL, deve essere valutata
sulla basa dei seguenti criteri di giudizio:
1. Criterio cronologico, per il quale l’epoca in cui i postumi o gli esiti dannosi si consolidano, deve essere
compatibile con la natura, l’entità e la modalità d’azione della causa.
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2. Criterio quantitativo, secondo cui occorre che vi sia adeguatezza fra l’intensità della forza lesiva e
l’entità degli effetti prodotti.
3. Criterio qualitativo, secondo cui deve esserci compatibilità tra la natura della causa e quella delle
manifestazioni cliniche prodotte.
4. Criterio modale, secondo cui la causa deve agire in modo rapido e concentrato nel tempo (turno
lavorativo).
5. Criterio topografico, secondo cui deve esserci corrispondenza fra le sedi di applicazione del trauma e
quelle delle manifestazione cliniche.
6. Criterio della continuità fenomenologica, secondo cui deve esistere un continuum di sintomi e di segni
clinici fra la lesione iniziale e gli esiti dannosi finali.
7. Criterio di esclusione
8. Criterio epidemiologico
Condizioni necessarie ma non sufficienti a produrre un evento vanno sotto il nome di concause
Le concause possono essere:
‐ preesistenti
‐ simultanee
‐ sopravvenute
‐ di lesione
‐ di infortunio.
Si parla di concause preesistenti di lesione quando le conseguenze lesive dirette dell’infortunio si innestano
su di una condizione morbosa preesistente, indipendente dall’infortunio stesso, con la conseguenza di
produrre effetti lesivi più gravi di quelli che il semplice evento infortunistico avrebbe prodotto da sé solo.
Esempi: diabete o emofilia preesistenti che complicano il decorso di un banale infortunio.
Concause simultanee o sopravvenute di lesione sono, ad esempio, rappresentate dalle conseguenze
dannose di una cattiva assistenza o di un inadeguato trattamento.
Per quanto riguarda le concause sopravvenute di lesione, esse escludono il rapporto causale solo quando
sono estranee al lavoro e da sé sole sufficienti a determinare l’evento.
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Le concause di infortunio sono quelle che aumentano il rischio del verificarsi dell’evento infortunistico.
Esempi: preesistenti deficit deambulatori e visivi.
N.B. Le concause di infortunio non escludono il rapporto di causalità ed anzi, in alcuni casi, l’aggravamento
del rischio di infortunio, dovuto a condizioni cliniche pre‐esistenti del lavoratore, può configurare una
fattispecie di colpa per il datore di lavoro.
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Malattia Professionale
Si definiscono malattie professionali, del lavoro o tecnopatie quelle che colpiscono i lavoratori assicurati
INAIL, esposti in modo protratto al rischio tutelato (rischio generico aggravato e rischio specifico) e per le
quali sia certa la derivazione causale dall’attività espletata.
In particolare, l’assicurato deve contrarre la tecnopatia “nell’esercizio” ed “a causa della lavorazione
espletata” oppure “a causa di una specifica noxa patogena (piombo, cromo, idrocarburi, …)” verso cui è
esposto, per l’assolvimento della propria attività.
N.B. La causa delle malattie professionali può essere la stessa degli infortuni sul lavoro.
Quel che cambia è la diversa modalità d’azione della causa: ad esempio, una determinata noxa patogena,
come una sostanza tossica presente nella lavorazione, potrà causare un infortunio sul lavoro, se agisce in
modo rapido e concentrato nel tempo (intossicazione acuta) oppure una malattia professionale, se agisce
in modo lento, reiterato o protratto nel tempo (intossicazione cronica).
Nelle malattie professionali, quindi, la causa è diluita, con il lavoratore che risulta esposto al rischio
lavorativo per l’intero arco della sua attività.
Ne deriva che, mentre negli infortuni sul lavoro, l’eziologia professionale è generalmente accertabile con
una certa facilità, più difficile diventa accertare il nesso causale con l’attività lavorativa, nel caso delle
malattie professionali.
Per tale motivo, il Legislatore, ha scelto inizialmente di fondare la tutela delle malattie professionali sul
sistema della lista chiusa.
Secondo tale sistema, sono ritenute malattie professionali, solo quelle tassativamente elencate in apposite
tabelle, allegate al TU 1124/65 e riferite ad attività o lavorazioni anch’esse riportate in tabella, sempre che
si manifestino entro un determinato intervallo di tempo dal momento della cessazione della lavorazione
morbigena (cosiddetto periodo massimo di indennizzabilità).
Perché si dia luogo alla rendita INAIL, occorre inoltre che dalla malattia professionale in questione debba
essere derivato un danno biologico =/> 6% – per gli eventi denunciati dopo il 25 luglio 2000 – o
un’inabilità permanente in misura pari o superiore all’11%, per gli eventi denunciati in precedenza.
Il sistema della lista chiusa, tuttavia, presenta notevoli inconvenienti in quanto la tutela è limitata
tassativamente alle sole malattie elencate nella lista.
È intervenuta pertanto la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 179 del 1988, ha esteso la tutela
assicurativa delle malattie professionali anche a quelle non comprese nelle tabelle di legge, sempre che sia
dimostrato, con certezza, il nesso di causalità tra la malattia stessa e l’attività lavorativa.
L’onere della prova spetta al lavoratore che richiede la rendita.
L’attuale sistema di tutela si definisce, quindi, misto poiché ammette sia l’indennizzabilità delle malattie
contemplate nel sistema di lista chiusa sia di quelle per le quali venga dimostrato il nesso causale con la
lavorazione espletata (sistema di lista aperta).
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La stessa sentenza della Corte Costituzionale, inoltre, ha definito illegittimo il cdt “periodo massimo di
indennizzabilità”. Pertanto, anche il periodo massimo di indennizzabilità può essere diverso da quello
stabilito nelle tabelle di legge, purché si fornisca la prova dell’esistenza del nesso causale.
Valutazione del rapporto di causalità nelle malattie professionali
Relativamente alla valutazione del nesso causale, va detto che le malattie professionali differiscono dagli
infortuni in termini di influenza del lavoro nella genesi del danno: mentre negli infortuni il lavoro funge da
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mera occasione del danno – che deriva da un evento fortuito, imprevisto ed abnorme – nelle malattie
professionali, il lavoro rappresenta, esso stesso, non solo l’occasione ma, anche, la causa specifica del
danno. Nelle malattie professionali, pertanto, il danno – essendo intrinseco alla stessa lavorazione – non è
mai imprevisto, bensì imprevedibile.
Proprio perché la malattia professionale non rappresenta un evento fortuito, gli stessi datori di lavoro devono
impegnarsi nella tutela preventiva della salute del lavoratore.
Ove si accerti una colpa del datore del lavoro nella mancata adozione di misure preventive, esso potrà essere
chiamato in causa dal lavoratore, per il risarcimento integrale del danno biologico e dall’INAIL, per la rivalsa di quanto
corrisposto al lavoratore come indennizzo.
Esempi di malattie professionali
Pneumoconiosi
Malattie polmonari causate dall’accumulo di polveri inorganiche.
Esempi:
Silicosi, dovuta all’inalazione di silice cristallina o di silice libera
Asbestosi, dovuta all’inalazione di polveri d’amianto
Pneumoconiosi da silicati (escluso l’asbesto) e calcari
Per le pneumoconiosi, non è prevista l’indennità per inabilità temporanea assoluta, ma solo un assegno
giornaliero per i giorni in cui il lavoratore deve sottoporsi ad accertamenti diagnostici.
Infatti, una volta raggiunta la certezza diagnostica della malattia, si presume che il danno sia valutabile in
termini di permanenza, vista l’impossibilità di una reversione clinica.
Sordità e ipoacusie professionali da rumore
L’attività lavorativa è considerata genericamente dannosa quando espone il lavoratore a rumori
subcontinui di intensità che oscilla intorno agli 80 decibel.
I rumori di più alta intensità (oltre gli 80 decibel) sono da considerarsi certamente dannosi, specie se la
persona vi rimane esposta per tutto l’arco lavorativo giornaliero.
Il DL 277/91 stabilisce una soglia minima di 80 decibel oltre la quale il datore di lavoro ha l’obbligo di
informare il lavoratore del rischio a cui è esposto, di assumere le dovute misure di prevenzione e sicurezza
e di sorvegliare che esse vengano rispettate.
La diagnosi di otopatia da rumore si fonda sui dati anamnestici e sui reperti dell’audiometria tonale,
effettuata almeno 15 ore dopo la cessazione dell’attività lavorativa.
Viene considerata un danno irreversibile poiché le cellule acustiche non sono cellule che si riproducono.
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Prestazioni erogate dall’INAIL
Accertata l’esistenza del diritto, le prestazioni erogate dall’INAIL, sono automatiche, vengono cioè concesse
al lavoratore automaticamente ed indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro abbia o meno
soddisfatto l’obbligo contributivo.
Possono esser distinte in due categorie:
Sanitarie
Economiche
15
Le prestazioni sanitarie consistono in:
1. Cure mediche e cure chirurgiche ordinarie, fornite dalle strutture del S.S.N.
2. Cure specifiche disposte dall’INAIL, al fine di recuperare la capacità lavorativa
3. Forniture e rinnovo di protesi, se utili a ridurre il grado di inabilità permanente
4. Avviamento alle cure termali
L’assicurato non è mai obbligato a curarsi. Sono, tuttavia, previste conseguenze di ordine economico
qualora non sussistono giustificati motivi a fondamento del suo rifiuto.
Prestazioni di ordine economico
1. Indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, a partire dal IV giorno, mentre i primi 3 giorni
sono a carico del datore del lavoro.
Non viene concessa nel caso di silicosi e di asbestosi tranne che per i soli giorni necessari ad eseguire gli
accertamenti diagnostici.
2. Indennizzo in capitale o rendita per l’inabilità permanente assoluta o parziale, allorché l’inabilità
permanente superi il 10%.
Per gli eventi successivi al 25 luglio del 2000, indennizzo in capitale o rendita per danno biologico con
franchigia =/> 6% ed eventuali conseguenze patrimoniali (dal 16% in poi).
3. Assegno per l’assistenza personale continuativa agli invalidi del lavoro al 100%
4. Rendita ai superstiti, più assegno “una tantum”, nel caso di morte del lavoratore
5. Assegno continuativo erogato alla vedova o agli orfani di un grande invalido del lavoro (80%), nel caso
in cui la morte sia avvenuta per cause non dipendenti dall’infortunio o dalla malattia professionale
6. Rendita di passaggio
Viene riconosciuta solo per silicosi ed asbestosi e solo per un anno.
È motivata dal fatto che, quando il lavoratore abbandona il lavoro, è costretto a cercarsi una nuova
occupazione che non comporti il rischio pneumoconiotico. Nel periodo di passaggio gli viene
riconosciuto il diritto a questa particolare previdenza economica.
7. Assegno di incollocabilità
Viene concesso a coloro che abbiano:
‐ Riduzione della capacità lavorativa in misura non inferiore al 34%
‐ Età non superiore a quella prevista per essere ammesso al collocamento d’obbligo (55 anni)
‐ Impossibilità di beneficiare dell’assunzione obbligatoria a motivo della natura o del grado di
invalidità permanente.
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N.B.
La prestazione INAIL costituisce indennizzo e non risarcimento.
L’indennizzo, infatti, è il pagamento dovuto ad un soggetto per un pregiudizio da lui subito che, però, non
consegue ad un atto illecito e quindi a responsabilità civile.
Ciò consente all’INAIL di:
‐ Applicare la franchigia (parte di danno che resta a carico dell’assicurato)
‐ Non tenere conto, in nessun caso, del cdt “danno morale”.
16
Istituto della revisione
La rendita per inabilità permanente o per danno biologico può essere sottoposta a revisione su richiesta
dell’assicurato (revisione attiva) oppure su disposizione dell’Istituto (revisione passiva).
In caso di infortunio, la revisione può essere richiesta entro 10 anni dalla costituzione della rendita; in caso
di malattia professionale, entro 15 anni.
Grandi invalidi del lavoro
Coloro che, in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di malattia professionale, riportino un’inabilità permanente
pari o superiore all’80%.
In aggiunta a quelli ordinari concessi dall’INAIL, sono previsti trattamenti speciali.
Consistono essenzialmente in prestazioni economiche integrative alla rendita
DIFFRENZE INFORTUNIO SUL LAVORO/MALATTIA PROFESSIONALE
Infortunio sul lavoro Malattia professionale
Il lavoro funge da mera occasione del danno che, Il lavoro rappresenta, esso stesso, non solo
pertanto costituisce un evento fortuito, imprevisto l’occasione ma, anche, la causa specifica del danno.
ed abnorme Sono infatti professionali quelle malattie contratte
nell’esercizio ed a causa della lavorazione espletata
oppure a causa di una specifica noxa patogena
verso cui il lavoratore è esposto per l’assolvimento
della propria attività.
Il danno, quindi, essendo intrinseco alla stessa
lavorazione non è mai imprevisto, bensì
prevedibile.
La causa agisce in modo rapido e concentrato nel La causa agisce in modo lento, reiterato o protratto
tempo nel tempo
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INPS
L’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) è un ente pubblico deputato ad erogare prestazioni di
tipo previdenziale e di tipo assistenziale.
Le prestazioni previdenziali INPS traggono il loro fondamento da un rapporto assicurativo obbligatorio che
devono contrarre tutti i lavoratori dipendenti, pubblici o privati, e quei lavoratori autonomi privi di una
propria cassa previdenziale. Si tratta, quindi, di prestazioni che vengono riservate a lavoratori ed il cui 17
finanziamento è di tipo contributivo.
L’erogazione di tali prestazioni è subordinata al verificarsi di eventi legalmente qualificati, quali: vecchiaia,
invalidità, inabilità, ecc…
La tutela previdenziale INPS, pertanto, riguarda, almeno in parte, il prodursi di eventi certi, come la
vecchiaia.
1
Ciò la differenzia dall’assicurazione obbligatoria INAIL che tutela eventi (infortuni sul lavoro e malattie
professionali) il cui verificarsi è sempre incerto.
2
Un’ulteriore differenza risiede nel fatto che, in sede INPS, l’invalidità e l’inabilità tutelate vengono prese in
considerazione indipendentemente dalla loro eventuale connessione con il lavoro. In sede INAIL, invece, gli
eventi tutelati devono sempre trovarsi in relazione con l’attività lavorativa svolta che, negli infortuni sul
lavoro, funge da mera occasione del danno; nelle malattie professionali, da occasione e da causa specifica
dello stesso.
3
L’INPS differisce dall’INAL anche per come viene intesa la capacità lavorativa. In sede INPS, infatti, si valuta
l’incidenza della menomazione sulla capacità del soggetto di svolgere occupazioni confacenti alle sue
attitudini. In sede, INAIL, invece, si valuta l’incidenza della menomazione sulla capacità del lavoratore di
svolgere ogni possibile attività prevista dal settore di appartenenza (industria o agricoltura). L’INAIL si
prefigge infatti di stabilire se il lavoratore sia o meno ricollocabile in esso.
Le prestazioni di natura previdenziale erogate dall’INPS sono:
1. Pensione di vecchiaia, concessa all’assicurato al raggiungimento dell’età pensionabile
2. Pensione di reversibilità, indirizzata agli aventi diritto dopo la morte del lavoratore assicurato
3. Assegno ordinario di invalidità, la cui concessione è subordinata al riconoscimento dello status di
invalido pensionabile INPS.
Viene riconosciuto invalido pensionabile INPS, l’assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni
confacenti alle sue attitudini sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità, difetto fisico o
mentale, a meno di un terzo.
Per la concessione dell’assegno ordinario di invalidità si valutano:
1) Sussistenza dei requisiti contributivi.
Occorrono, infatti, almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio che precede la
richiesta di pensionamento
2) Natura e gravità delle infermità e dei difetti fisici e psichici
3) Permanenza di tali infermità
4) Attitudini lavorative dell’assicurato
5) Riduzione permanente della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini
dell’assicurato
6) Misura di tale riduzione che deve essere > 66% della predetta capacità
I benefici previdenziali vengono pertanto concessi con maggiore facilità di quelli assistenziali. Per ottenere
infatti l’assegno mensile come invalido civile parziale (prestazione assistenziale) è richiesta una riduzione
permanente della capacità lavorativa, non dal 67%, ma dal 74% in poi.
La ragione di ciò risiede nel fatto che il finanziamento delle prestazioni previdenziali è di tipo contributivo.
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L’assegno ordinario di invalidità è:
‐ Ancora cumulabile con la retribuzione, ma fino all’importo pari al minimo di pensione.
‐ Incompatibile con il trattamento a favore degli invalidi civili parziali.
‐ Non reversibile
‐ Concesso per tre anni, rinnovabili, qualora permangono le condizioni di invalidità. Dopo tre
riconoscimenti consecutivi, l’assegno verrà automaticamente confermato.
La trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia avviene al compimento dell’età
18
pensionabile.
Le infermità che giustificano la concessione dell’assegno ordinario di invalidità, in ordine di frequenza
decrescente, sono:
1) Malattie cardiovascolari
2) Patologie osteo‐articolari
3) Broncopneumopatie croniche
4) Affezioni del sistema neuro‐psichico
5) Tumori
4. Pensione di inabilità, la cui concessione è subordinata al riconoscimento dello status di inabile
pensionabile INPS.
Si considera inabile, l’assicurato il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi
nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa
Viene calcolata come se l’assicurato avesse versato contributi fini al raggiungimento dell’età
pensionabile per vecchiaia.
È incompatibile con:
‐ Compensi o retribuzioni per il lavoro autonomo e subordinato
‐ Iscrizioni negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli, dei lavoratori autonomi, nonché negli albi
professionali
‐ Trattamenti di disoccupazione ordinaria e speciale, di cassa integrazione, per temporanea
incapacità di lavoro.
È reversibile ai superstiti.
5. Assegno privilegiato di invalidità e pensione privilegiata di inabilità
Tali prestazioni previdenziali vengono erogate quando:
‐ l’invalidità e l’inabilità risultano in rapporto diretto con finalità di servizio (causa di servizio).
‐ dall’evento non deriva un diritto di rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali.
6. Pensione privilegiata ai superstiti, se la morte dell’assicurato dipende da causa di servizio
7. Assegno una tantum ai superstiti, se l’assicurato deceduto non aveva i requisiti contributivi minimi
8. Assegno integrativo speciale per l’assistenza personale e continuativa
Viene concesso ai pensionati per inabilità, non deambulanti o non capaci di svolgere atti ordinari della vita quotidiana.
Non è reversibile.
9. Indennità ordinaria oppure sussidio straordinario, nel caso di disoccupazione involontaria
10. Sussidio per la tubercolosi
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11. Indennità di malattia, per i lavoratori dipendenti ammalati, dopo i terzo giorno
12. Assegno per il nucleo familiare
Si concede per i familiari a carico
13. Retribuzione del lavoratore, nei casi di sospensione o di riduzione dell’attività di impresa, dipendenti da impossibilità
soggettiva sopravvenuta o da forza maggiore 19
14. Trattamento di fine rapporto
15. Pagamento dei crediti di lavoro, dovuti negli ultimi 3 mesi, in caso di insolvenza del datore di lavoro
Il titolare delle prestazioni riconosciute dall’INPS può essere sottoposto ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato di
invalidità o di inabilità, ad iniziativa dell’INPS.
La revisione può essere richiesta anche dall’interessato in caso di mutamento delle condizioni che hanno dato luogo al trattamento
in atto, comprovato da apposita certificazione sanitaria.
Ove l’interessato rifiuti, senza giustificato motivo, di sottoporsi agli accertamenti disposti dall’INPS, quest’ ultimo sospende il
pagamento delle rate di assegno o di pensione.
Quando a seguito della revisione risulti che l’interessato non possa ulteriormente essere considerato invalido o inabile, la
prestazione viene revocata.
Norme in tema di lavoro usurante
Debbono considerarsi lavori usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impiego psico‐fisico particolarmente
intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee.
Per coloro che svolgono lavori usuranti, il limite di età pensionabile è anticipato di 2 mesi per ogni anno di lavoro fino
ad un massimo di 5 anni di occupazione.
Sono considerate attività particolarmente usuranti quelle concernenti l’espletamento di:
‐ Lavoro notturno continuativo
‐ Lavori alle linee di montaggio con ritmi vincolanti
‐ Lavori in galleria, cave o miniere
‐ Lavori espletati dal lavoratore in spazi ristretti
‐ Lavori in altezza
È stato stabilito che a tali lavori sono assimilati quelli svolti dal personale addetto ai reparti di pronto soccorso,
rianimazione e chirurgia d’urgenza.
L’INPS, inoltre, eroga prestazioni di natura assistenziale indirizzate al sostegno di ogni persona, lavoratrice
o no, che si trovi in uno stato di bisogno.
Tali prestazioni attingono i propri mezzi dal finanziamento pubblico (imposte fiscali).
Tra le prestazioni di natura assistenziale erogate dell’INPS rientrano:
1. Prestazioni relative ad invalidità civile
2. Pensione sociale, concessa agli anziani oltre il 65° anno di età che non abbiano altra pensione o reddito.
La legge 335/95 dispone che in luogo di detta pensione venga erogato un assegno sociale.
N.B. Le prestazioni assistenziali non sono: 1) reversibili ai superstiti, 2) cedibili, 3) prorogabili, 4)
sequestrabili
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Reato
“Ogni fatto illecito al quale l'ordinamento giuridico collega come conseguenza una pena”
Secondo l’Art. 39 del c.p., i reati si distinguono, dicotomicamente, in delitti e contravvenzioni, sulla base
della qualità delle pene comminate:
I delitti sono i reati più gravi, puniti con l’ergastolo, la reclusione o la multa
Le contravvenzioni sono i reati meno gravi, puniti con l’arresto o l’ammenda
Terminologia
Oggetto del reato
Individuo o cosa su cui cade l'azione del reo.
Soggetto attivo del reato
Individuo che compie l'azione o l’omissione alla base del reato stesso.
Il c.p. indica il soggetto attivo coi nomi di agente, di colpevole, di autore, di reo.
Soggetto passivo del reato
Titolare del bene o interesse protetto dalla legge: persona offesa dal reato o vittima
Danneggiato
Qualunque persona alla quale il reato ha cagionato un danno.
Elementi costitutivi del reato
Si distinguono in ESSENZIALI ed ACCIDENTALI.
1
Gli elementi ESSENZIALI sono quelli indispensabili per l'esistenza del reato stesso.
Comprendono un elemento materiale o oggettivo ed un elemento psicologico o soggettivo.
L’elemento materiale o oggettivo del reato si compone di una condotta e di un evento, con quest ultimo
che deve essere legato alla condotta da un rapporto di causalità.
L’elemento psicologico o soggettivo del reato può assumere le diverse forme del dolo, della colpa e della
preterintenzione il cui comune presupposto è comunque quello della coscienza e della volontà della
condotta.
Secondo questa bipartizione, quindi, il reato richiede "una volontà colpevole e un fatto materiale".
Considerando l’elemento materiale del reato,
‐ per condotta, s’intende il comportamento umano che produce o non impedisce una modificazione del
mondo esteriore;
‐ per evento, s’intende la modificazione del mondo esteriore prodotta o non impedita dalla condotta
umana
N.B. Tra la condotta e l’evento è necessario che sussista un nesso di causalità.
Secondo l’articolo 40 del Codice Penale (nesso di causalità), infatti:
“Nessuno può essere punito per un fatto, preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui
dipende l’esistenza del reato non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
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Il nesso di causalità consiste nel nesso che intercorre tra due fenomeni, di cui uno assume la qualità di
causa, l’altro di effetto.
La causa può essere definita come l’antecedente, necessario e sufficiente a produrre l’effetto: fenomeno
susseguente, legato in modo invariabile ed incondizionato all’antecedente.
Requisiti fondamentali della causa sono quindi:
1. Antecedenza
Il requisito dell’antecedenza è comprensibile in quanto un fenomeno non può produrne un altro se non
lo precede nel tempo.
L’antecedenza, tuttavia, non esprime di per sé un nesso causale: essa può infatti indicare un rapporto
sia cronologico che eziologico, a seconda se si abbia una semplice successione o una vera connessione
di fenomeni.
2. Necessità
È un elemento di definizione negativo, ossia un criterio di esclusione.
È necessario tutto ciò che non può essere eliminato senza l’eliminazione parziale o totale del risultato.
Il requisito della necessità implica quindi che, senza l’intervento del fenomeno antecedente, quello
susseguente non avrebbe potuto prodursi.
3. Sufficienza
È un elemento di definizione positivo, rappresentando l’idoneità effettuale e, cioè, l’intrinseca
attitudine a cagionare un determinato evento.
Un fenomeno si dice sufficiente quando è capace di produrre un evento da solo, senza bisogno che
intervenga un altro fenomeno.
2
N.B. La causa differisce da una concausa poiché quest ultima, pur trattandosi di un antecedente necessario,
non è da sola sofficiente alla produzione dell’evento dannoso.
Si riconoscono:
‐ Concause preesistenti
‐ Concause simultanee
‐ Concause sopravvenute
Le concause preesistenti possono esser distinte in:
Anatomiche
Esempi: decorso anomalo di un vaso; situs viscerum inversus; organi in sede ectopica
Fisiologiche
Esempi: fragilità ossea dovuta al fisiologico processo di invecchiamento; fisiologica distensione della
vescica che può concorrere alla rottura del viscere, in occasione di traumi.
Patologiche
Esempio: aneurisma aortico, che può esser responsabile della morte del portatore, per rottura, in
seguito ad un trauma toracico contusivo, anche di modesta entità
Un esempio di concausa simultanea è quello di una ferita inferta con uno strumento contaminato.
In questo caso, il colpevole dovrà rispondere, oltre che della ferita, anche del quadro infettivo causato dagli
agenti microbici contaminanti lo strumento.
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Un esempio di concausa sopravvenuta è quello di una persona ferita in modo non grave che muore per una
successiva complicanza settica della ferita stessa.
In questo caso, il feritore sarà comunque chiamato a rispondere della morte del soggetto, anche se a titolo
diverso di quello di omicidio doloso.
N.B. Secondo l’articolo 41 del Codice Penale:
“Il concorso di (con)cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od
omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento.
Le (con)cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità unicamente quando sono state da sé sole
sufficienti a determinare l’evento”
Più precisamente, ai fini dell’interruzione del rapporto di causalità, le concause sopravvenute devono,
possedere i seguenti attributi:
1. Eccezionalità e, perciò, imprevedibilità
2. Atipicità.
Deve essere cioè intervenuto un qualcosa di nuovo rispetto alla normale evoluzione di un certo quadro
morboso.
3. Indipendenza dal fatto del colpevole
4. Capacità di essere da sé sole sufficienti a determinare l’evento
È questo il caso del decesso di una persona ferita durante la degenza in Ospedale, per crollo dello stesso.
N.B. Nel valutare il valore causale effettivo da attribuire ad un determinato antecedente lesivo, va
considerata la circostanza dell’occasione.
Relativamente al concetto di occasione, bisogna distinguere tra l’occasione, intesa come momento 3
sciogliente o liberatore, dal cdt momento rivelatore.
L’occasione, intesa come momento sciogliente o liberatore, è caratterizzata
1. dall’essere l’ultimo degli antecedenti causali
2. dalla sua teorica sostituibilità, risultando quindi generica
3. dall’assenza di capacità lesiva nell’uomo sano
4. dalla sua equiparabilità agli atti ordinari della vita
5. dall’esiguità del fatto lesivo rispetto alla gravità dell’effetto dannoso
Si tratta, quindi, di un antecedente – l’ultimo – dotato di una sia pur minima efficienza causale che rende
possibile la messa in azione della reale causa di un evento già maturo per la sua realizzazione. Può pertanto
essere equiparato alla classica “goccia” che fa traboccare un vaso ormai colmo.
Un esempio di occasione, intesa come momento sciogliente o liberatore, è l’emozione o il minimo sforzo
che porta alla morte improvvisa, un soggetto affetto da una grave cardiopatia ischemica, che costituisce la
reale causa della morte.
Il momento rivelatore è invece quella circostanza che accidentalmente richiama l’attenzione su di un
fenomeno prodotto da altri fattori causali.
Risulta quindi privo di una qualsivoglia efficienza causale relativamente al fenomeno considerato.
Un esempio è quello di trauma, in occasione del quale, per l’esecuzione di una radiografia del torace, si
scopre una neoplasia polmonare.
Coincidenza
Circostanza di luogo o di tempo indifferente alla messa in azione della causa ed alla produzione dell’evento
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Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale
1. Criterio cronologico, secondo cui:
Occorre dimostrare che tra la possibile causa e l’evento dannoso sia trascorso un lasso di tempo
sufficiente ai fini dell’ammissione del nesso causale
2. Criterio qualitativo, secondo cui:
La qualità dell’antecedente lesivo deve essere compatibile con la qualità dell’effetto prodotto.
Ad esempio la somministrazione di un certo veleno causerà l’insorgenza di determinati disturbi e non di
altri
3. Criterio quantitativo, secondo cui:
L’entità dell’azione lesiva iniziale deve essere compatibile con la gravità dell’effetto prodotto, tenendo
comunque conto della variabilità soggettiva dello stato anteriore.
4. Criterio modale, secondo cui:
Vi deve essere corrispondenza tra la sede di applicazione di un trauma o la via di somministrazione di
un farmaco e la modalità di comparsa di certi disturbi
5. Criterio della continuità fenomenologica, secondo cui:
Vi deve essere un continuum di sintomi e segni tra lesione iniziale e danno conclusivo.
È tuttavia nota l’esistenza di sindromi con intervallo libero (es. ematoma extradurale post‐traumatico)
6. Criterio di esclusione, secondo cui:
Occorre che si escluda l’importanza di altri fattori causali, diversi da quelli considerati, nel
determinismo dell’evento dannoso in esame.
4
Nessuno criterio è però da solo sufficiente a provare l’esistenza del nesso causale.
Solo la concordanza dei dati, che emergono dall’analisi dei vari criteri, può condurre ad un giudizio
motivato in materia di ammissione o esclusione del nesso causale.
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Elemento psicologico del reato
È un elemento essenziale – quindi indispensabile – del reato che consiste nella coscienza e nella volontà
della condotta attiva o omissiva, responsabile dell’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza
del reato.
Ciò trova riscontro nell’articolo 42 del C.P. secondo cui “nessuno può essere punito per un'azione o
un’omissione, prevista dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà”.
È pertanto richiesta l’esistenza di un nesso psichico tra l’agente ed il fatto il quale si viene a creare:
1. tutte le volte che la condotta è posta in essere volontariamente
e
2. quando, anche se non sussisteva tale esplicita volontà, la condotta integrante il reato poteva essere
evitata dal soggetto con uno sforzo del volere. Ci si riferisce, in questo caso agli atti abituali o
automatici ed a quelli compiuti in stato emotivo
L’elemento psicologico del reato può assumere diverse forme – dolo, colpa e preterintenzione –
distinguibili in base alla volontà o intenzione dell’autore di cagionare l’evento dannoso o pericoloso (art. 43
C.P.)
Dolo
È la forma più tipica di volontà colpevole.
Consiste nella previsione e nella volontà dell’evento quale conseguenza della propria azione od omissione.
Si distinguono:
‐ Dolo intenzionale (diretto): in cui vi sono previsione e volontà dell’evento
‐ Dolo eventuale (indiretto): in cui vi è la previsione ma non la volontà dell’evento, pur accettandone il
rischio (caso ad esempio di un automobilista in fuga tra la folla).
È al confine con la colpa cosciente, in cui l’autore prevede l’evento, ma non lo ritiene probabile, in virtù
delle proprie capacità e abilità. 5
La linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste quindi nel diverso atteggiamento
psicologico dell'agente:
Nel primo caso, infatti, l’agente accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente
voluto.
Nel secondo caso, invece, respinge il rischio, confidando nella propria capacità di controllare
l'azione.
Preterintenzione
Si caratterizza per la volontà di un evento minore, che ne rappresenta la base dolosa, e la non volontà di un
evento più grave, neppure a titolo di dolo eventuale.
Colpa
Nella colpa, l’autore non vuole l’evento ma lo determina per Negligenza: violazione di norme che
negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica) o per non aver prescrivono determinate modalità di
osservato leggi, regolamenti, ordini, discipline (colpa specifica). condotta.
N.B. Vi è colpa soltanto quando era prevedibile che dall’azione Imprudenza: violazione di norme che
sarebbe derivato l’evento nocivo. vietano certe azioni o modalità di esse.
Se l’evento non era prevedibile nessun rimprovero si potrà infatti Imperizia: violazione di particolari
muovere all’agente. regole tecniche per lo svolgimento di
La prevedibilità si riferisce alla possibilità che una certa determinate attività.
popolazione di persone, nelle stesse condizioni dell’agente,
poteva ragionevolmente aspettarsi quell’evento come conseguenza, non voluta, dell’azione o
dell’omissione.
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Omicidio (Art. 575 C.P.)
Costituisce il più grave dei delitti.
Il Codice Penale, tenendo conto dell’elemento psicologico del reato, distingue tre diverse ipotesi:
Omicidio doloso
Omicidio colposo
Omicidio preterintenzionale
Nell’omicidio doloso o volontario la morte della vittima è prevista e voluta dell’autore come conseguenza
della propria azione o omissione.
La prova dell’animus necandi (volontà di uccidere) può derivare dalla valutazione dei seguenti dati:
1. Natura dei mezzi impiegati
2. Natura e gravità delle lesioni riscontrate nel cadavere, come lesioni da difesa
3. Particolari circostanze ambientali in cui il delitto è avvenuto
4. Concrete possibilità di difesa e di reazione della vittima
Si parla, inoltre, di omicidio doloso circostanziato quando ricorrono particolari circostanti aggravanti:
Fra quelle che possono avere maggiore importanza medico‐legale vi sono:
L’aver adoperato sevizie ed agito con crudeltà
L’aver adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso. Tali vanno considerati quei mezzi che
limitano la capacità di difesa della vittima. Caso di:
‐ Sostanze tossiche
‐ Colture di batteri o virus patogeni 6
‐ Corrente elettrica
‐ Radiazioni ionizzanti
Aver ucciso nell’atto di commettere violenza sessuale o atti di libidine violenti
Premeditazione
Nell’omicidio preterintenzionale la morte della vittima va oltre la volontà dell’autore, il cui intento era solo
quello di percuoterla o lederla.
Nell’omicidio colposo la morte della vittima, pur prevedibile, non era voluta dall’autore, che tuttavia l’ha
determinata per imperizia, imprudenza, negligenza o per non aver osservato leggi, regolamenti, ordini o
discipline.
Quesiti posti dal magistrato, in tema di omicidio, al medico legale
1. Identificare la vittima
2. Stabilire se si sia trattato di omicidio, suicidio o accidente
3. Accertare la causa o le cause anatomo‐patologiche della morte, tenendo conto dell’eventuale concorso
di fattori concausali
4. Accertare a quando risale la morte
5. Stabilire con quali mezzi essa è stata causata
6. Valutare come essi sono stati impiagati
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Suicidio
Con il termine di suicidio ci si riferisce a quelle condotte attive o omissive pregiudizievoli per la vita, che
l’individuo compie su stesso, con l’intenzione di cagionarsi la morte.
Si distinguono un suicidio diretto, quando la morte viene ricercata direttamente ed un suicidio indiretto,
nel quale la morte è la conseguenza di un comportamento che generalmente persegue nobili fini.
Si parla di:
‐ Suicidio allargato o di omicidio‐suicidio quando, in una coppia, l’uno uccide l’altro e poi dà la morte a
se stesso.
‐ Suicidio simulato quando invece la morte è di natura omicidiaria o accidentale
‐ Suicidio dissimulato, se lo stesso suicida o altri dissimulano la causa suicidiaria, cercando di attribuirla
ad un accidente o ad un’azione omicida.
N.B. Il codice penale non punisce la condotta suicidaria. Il suicidio, tuttavia, può essere imputabile a terzi a
titolo di omicidio colposo o di istigazione al suicidio.
Le modalità di più frequente attuazione del suicidio sono:
1. Precipitazione
2. Avvelenamento
3. Colpi d’arma da fuoco
4. Impiccamento
5. Annegamento
6. Dissanguamento, per sezione dei vasi arteriosi o venosi del polso
N.B. È stata rilevata una certa diversità, nelle modalità di attuazione del suicidio, fra uomo e donna.
‐ Nell’uomo, infatti, è più frequente il suicidio per impiccamento e per colpi di arma da fuoco
‐ Nella donna, quello per avvelenamento, per annegamento e per svenamento
7
Nel caso di lesioni da arma da fuoco, la DD tra omicidio, suicidio ed accidente, si basa su di una valutazione
complessiva degli elementi di indagine, che sono di natura biologica e circostanziale.
Tali elementi includono:
1. Sede della ferita
Il suicida predilige, infatti, regioni che garantiscano un decesso sicuro e rapido, quali regioni laterali del
capo e precordio.
Lesioni a carico di distretti non auto‐aggredibili ed arti superiori, invece, depongono per omicidio.
2. Distanza da cui è stato esploso il colpo, deducibile in base ai caratteri del foro di entrata.
Nel suicidio, la distanza è infatti breve, non potendo superare la lunghezza del braccio. Pertanto, i
caratteri del foro d’entrata, sono quelli del colpo a contatto o a bruciapelo.
3. Direzione del proiettile, ipotizzabile valutando:
‐ Posizione del foro d’entrata e di quello di uscita
‐ Caratteristiche del tramite che, ad esempio, nelle ossa piatte, assume un tipico aspetto
imbutiforme, slargandosi verso l’uscita
Nel suicidio, presumendo che il soggetto sia destrimane e che prescelga la regione laterale dx del capo,
la traiettoria intracranica del proiettile sarà generalmente diretta da dx verso sin, dal basso verso l’alto
e dall’avanti all’indietro.
Per quanto riguarda i colpi esplosi nella cavità orale, in caso di suicidio, il tramite sarà obliquo
dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto; in caso di omicidio e di accidente, invece, il tramite sarà
più frequentemente orizzontale.
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4. Numero dei colpi
Non rappresenta un elemento diagnostico differenziale decisivo, sebbene la molteplicità dei fori di
ingresso deponga, in genere, per omicidio, soprattutto se le ferite interessano anche gli arti superiori
(lesioni da difesa) e regioni non auto‐aggredibili.
Il suicidio solitamente avviene mediante un colpo unico ma si possono osservare anche casi suicidiari in
cui sono stati esplosi più colpi. In tali circostanze, comunque, i colpi vengono sparati tutti da vicino,
generalmente nella stesse sede e per ledere organi vitali.
Suggeriscono, inoltre, una dinamica suicidiaria:
5. Denudamento della parte colpita
6. Rinvenimento dell’arma nell’ambiente
7. Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima
8. Affumicatura del dorso della mano della vittima
9. Segno di Felc
Piccola lesione lineare escoriata in corrispondenza del solco interdigitale, tra pollice ed indice, che può
formarsi per il pizzicamento della cute tra il carrello ed il corpo di un’arma automatica.
10. Presenza di tracce di polvere da sparo sulla mano della vittima, ricercate mediante il metodo
tradizionale del guanto di paraffina o con l’impiego di un apposito tampone adesivo (“stub”)
Nel caso di ferite d’arma bianca, 8
‐ varietà di ferite da taglio, indicative di suicidio sono quelle da svenamento
‐ in presenza di ferita da punta o da punta e taglio, depongono per una dinamica suicidiaria la
concentrazione delle lesioni a livello di regioni auto‐aggredibili, che garantiscono un decesso sicuro e
rapido, come quella precordiale e l’assenza di ferite da difesa.
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Eutanasia
Il termine eutanasia indica una condotta diretta a produrre, ad accelerare o a non far nulla per evitare o
ritardare la morte della persona assistita, allorché questa sia affetta da una malattia:
‐ Inguaribile
‐ Caratterizzata da una sintomatologia dolorosa grave
‐ Giunta allo stadio terminale e perciò con previsione di evento mortale a breva scadenza, con l’unico
intento di porre fine alle sue sofferenze.
Per il nostro ordinamento giuridico, di fronte a situazioni del genere, il medico non è mai legittimato, quale
che siano la diagnosi e la prognosi, ad attivarsi per accelerare l’evento mortale.
Può infatti incorrere nei seguenti reati:
‐ Art. 579 cp: omicidio del consenziente
‐ Art. 575 cp: omicidio volontario
‐ Art. 580 cp: istigazione o aiuto al suicidio
Si è soliti distinguere:
‐ Eutanasia attiva o diretta
‐ Eutanasia passiva o indiretta
Eutanasia attiva
Si verifica per commissione e consiste nell’intervenire attivamente, somministrando al paziente sostanze
letali.
Si tratta di un delitto penalmente perseguibile.
Eutanasia passiva 9
Si basa su una condotta omissiva o astensionista nella quale, di fronte a pazienti in fase terminale, si
sospendono intenzionalmente cure essenziali al mantenimento della vita del paziente.
Anche questo comportamento è di regola penalmente sanzionabile, a meno che esso assuma il significato
di rifiuto dell’accanimento terapeutico e vengano contestualmente attuate cure palliative a tutela della
dignità della vita del morente.
In fatto di accanimento terapeutico, il Codice Deontologico è perentorio nell’affermare che il medico deve
astenersi dall’ostinazione in trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la
salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita.
Oggi si preferisce parlare di mezzi proporzionati e di mezzi sproporzionati rispetto ai benefici che è possibile
ottenere nella situazione concreta.
Sono leciti, legittimi e doverosi, in ogni caso, i mezzi proporzionati; illeciti, gli altri.
Ad esempio, non è un mezzo terapeutico proporzionato, un intervento chirurgico gravemente demolitore,
effettuato quando sussistano tutti i motivi per ritenere che esso sia obiettivamente e provatamente inutile
e che al pz resti comunque poco da vivere.
Nel prendere una qualsiasi decisione sospensiva del trattamento, si dovrà comunque sempre tener conto
del desiderio dell’ammalato e della sua volontà; nel caso di incapacità del pz, è utile consultare i familiari
dello stesso. Secondo l’Art. 34 del c.d., infatti, il medico, non può non tener conto di quanto
precedentemente manifestato dal pz, se esso non è in grado di esprimere la propria volontà, in caso di
grave pericolo di vita.
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Tale articolo fa implicitamente riferimento alle cosiddette “direttive anticipate” espresse dal paziente in
epoca non sospetta e che possono essere distinte in:
‐ Living will o testamento in vita
Si tratta di una dichiarazione di volontà redatta dallo stesso assistito in epoca non sospetta e nella
quale si forniscono indicazioni concernenti il consenso circa gli eventuali accertamenti e trattamenti
sanitari da assumere in caso di perdita della propria capacità di decisione autonoma
‐ Durable power of attorney
Delega ad un’altra persona della facoltà di esprimere un consenso valido in sostituzione propria, nel
caso di sopravvenuta incapacità
‐ Advance directive
Dichiarazione di volontà comprensiva di entrambe le ipotesi precedenti
Per quanto riguarda l’assistenza del malato inguaribile, l’articolo 37 del codice deontologico suggerisce che
l’intervento medico debba perseguire le seguenti finalità:
1. Assistenza o sostegno morale
2. Risparmio di inutili sofferenze all’assistito (cure palliative)
3. Tutela della qualità della vita residua
Cure palliative
Complesso integrato e coordinato di quei trattamenti terapeutici atti a sollevare dal dolore il malato
inguaribile e terminale.
La medicina palliativa è specificamente finalizzata alla cura dei sintomi accusati dal paziente terminale in
modo che il malato conservi quanto più possibile la propria autonomia, le proprie abitudini ed il proprio
ruolo familiare. 10
È in atto un programma nazionale per la realizzazione di strutture dedicate alle cure palliative e
denominate “hospice”.
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DIAGNOSI DI MORTE E DENUNCIA DELLE CAUSE DI MORTE
DIAGNOSI DI MORTE
Il momento centrale, ai fini della diagnosi di morte, è costituito dal rilievo della cessazione globale e
definitiva, perciò irreversibile ed inemendabile, di tutte le funzioni dell’encefalo (Legge n. 578/93).
Secondo l’art.2 della legge 578/93, anche la morte per arresto cardiaco si ritiene avvenuta qualora la
respirazione e la circolazione siano cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita
irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
La morte per arresto cardiaco deve essere infatti accertata da un medico mediante monitoraggio
elettrocardiografico continuo, protratto per non meno di 20 min.
Diagnosi di morte cerebrale
È richiesta nei pz con cuore battente ma con lesioni encefaliche che impongono misure rianimatorie – come
la ventilazione artificiale – al fine di stabilire se tali misure possano essere interrotte per la dimostrata
cessazione, globale ed irreversibile, di tutte le funzioni dell’encefalo.
Secondo il DM Sanità n. 582 del 1994, l’accertamento della morte cerebrale è subordinato alla provata
coesistenza delle seguenti condizioni:
1. Stato di incoscienza
2. Assenza dei riflessi corneale, fotomotore, oculo‐cefalico, oculo‐vestibolare, carenale e di risposta agli
stimoli dolorifici portati nel territorio di innervazione del trigemino
3. Assenza di respiro spontaneo, accertata mediante sospensione della ventilazione artificiale fino al
raggiungimento di un’ipercapnia di 60 mmHg, con pH ematico minore di 7,4
4. Silenzio elettrico cerebrale, all’EEG, intenso come un tracciato che non contenga potenziali elettrici
maggiori di 2 microvolts, registrati per una durata continuativa di 30 min, da qualsiasi regione della teca 1
cranica
In alcune situazioni vanno inoltre effettuate indagini complementari atte ad evidenziare l’assenza di flusso ematico
cerebrale:
1. Bambini di età < 1 anno
2. Presenza di fattori quali farmaci depressori del SNC, ipotermia, ipotensione sistemica, alterazioni endocrino‐
metaboliche capaci di interferire con il quadro clinico complessivo
3. Situazioni che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o che impediscono l’esecuzione dei riflessi del
tronco o dell’EEG
Collegio medico per l’accertamento della morte cerebrale
È nominato dalla Direzione Sanitaria ed è composto da:
1. Medico legale (o, in mancanza, da un medico della Direzione Sanitaria o da un anatomo‐patologo)
2. Medico specialista in anestesia e rianimazione
3. Medico neurofisiopatologo (o, in mancanza, da un neurologo o da un neurochirurgo esperto in
elettroencefalografia)
Periodo di osservazione
La durata dell’osservazione, per l’accertamento della morte cerebrale, non deve essere minore di:
‐ 6 h, negli adulti e nei bambini di età > 5 anni
‐ 12 h, nei i bambini di età compresa tra 1 e 5 anni
‐ 24 h, nei i bambini di età < 1 anno
È stabilito, inoltre, che in tutti i casi di danno anossico cerebrale il periodo di osservazione non possa
iniziare prima di 24h dall’insulto anossico.
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La simultaneità dei requisiti clinici e strumentali per la diagnosi di morte cerebrale deve essere ricercata,
dall’apposito collegio medico, per almeno 3 volte: all’inizio, a metà ed alla fine del periodo di osservazione.
Il momento della morte coincide con quello in cui vengono simultaneamente riscontrati i requisiti richiesti.
N.B. L’accertamento della morte cerebrale, eseguito dall’apposito collegio medico, esclude ogni ulteriore
accertamento da parte del medico necroscopo e l’obbligo di certificazione delle cause di morte compete, in
qualità di medico necroscopo, al componente medico‐legale del collegio.
CERTIFICAZIONE DELLA MORTE
Occorre distinguere tra:
‐ Certificato di constatazione del decesso
‐ Denuncia delle cause di morte
Certificato di constatazione del decesso
Può essere richiesto a qualsiasi medico che abbia prestato assistenza al morente oppure che sia
intervenuto a decesso appena verificatosi.
Serve ad attestare la cessazione irreversibile delle funzioni vitali.
In suo possesso i parenti del defunto o un loro delegato informano l’Ufficiale di Stato Civile dell’avvenuto
decesso di una persona nel territorio comunale di competenza.
Costituisce il presupposto per l’accertamento della morte da parte del medico necroscopo.
I medici necroscopi sono nominati dalle ASL, eccetto che negli ospedali dove le relative funzioni vengono
direttamente attribuite al Direttore Sanitario che, di norma, le delega ad altri medici ospedalieri.
Il Regolamento di Polizia Mortuaria stabilisce che la visita da parte del medico necroscopo debba essere
effettuata non prima di 15 h dal decesso – salvo casi particolari, come decapitazione, maciullamento … – e
non dopo le 30 h. 2
Tale Regolamento dispone, inoltre, che nessun cadavere venga chiuso in cassa, né sottoposto ad autopsia o
a trattamenti conservativi, prima che siano trascorse 24 h dal momento del decesso; 48, nei casi di morte
improvvisa o nel sospetto di morte apparente. Si fa eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento e
per quelli nei quali il medico necroscopo abbia accertato la morte anche mediante l’ausilio di un
monitoraggio elettrocardiografico continuo la cui durata non deve essere inferiore ai 20 min.
Ove la morte sia dovuta ad una delle malattie infettive o diffusive comprese in un apposito elenco
pubblicato dal Ministero della Salute e nei casi in cui il cadavere presenti già segni di iniziata putrefazione,
su proposta del coordinatore sanitario dell’ASL, il Sindaco può ridurre la durata del periodo di osservazione
a meno di 24 h.
Per concludere, nessun cadavere può avere sepoltura senza l’autorizzazione dell’Ufficiale di Stato Civile che
la concede solo dopo l’accertamento della morte da parte del medico necroscopo ed al termine del periodo
di osservazione previsto dal Regolamento di Polizia Mortuaria.
Denuncia delle cause di morte
È obbligatoria solo per il medico che realmente conosce la concatenazione causale degli eventi che hanno
condotto all’exitus il paziente.
Tale obbligo in genere vale per il medico curante o per il medico necroscopo, nei casi di decessi avvenuti
senza assistenza medica. L’obbligo vale, inoltre, per i medici incaricati di eseguire autopsie o riscontri
diagnostici.
È diretta al Sindaco del Comune di residenza, nella sua veste di autorità sanitaria.
Va inviata entro 24 ore dall’accertamento del decesso su apposita scheda di morte stabilita dal Ministero
della Salute d’intesa con l’Istituto Nazionale di Statistica, la cui finalità è anche statistico‐sanitaria ed
epidemiologica.
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La scheda ISTAT comprende due sezioni:
‐ Sezione A, da compilarsi a cura del medico
‐ Sezione B, da compilarsi a cura dell’Ufficiale di Stato Civile
La sezione A, a sua volta, è costituita da due riquadri: uno per la morte dovuta a cause naturali, l’altro per
la morte da causa violenta.
In caso di morte per cause naturali, il medico dovrà indicare quali siano state le cause iniziali, intermedie e
finali che, a suo giudizio, hanno determinato la morte del suo assistito.
In caso di morte violenta, il medico dovrà precisare se si sia trattato di suicidio, omicidio, accidente,
infortunio sul lavoro.
Sussiste, inoltre, l’obbligo di presentare referto all’Autorità Giudiziaria, per ogni medico che, nel prestare
assistenza al morente o nell’intervenire a decesso appena verificatosi, abbia il sospetto di una morte per
cause violente.
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ESAME DEL CADAVERE E SOPRALLUOGO GIUDIZIARIO
ESAME DEL CADAVERE
È necessario distinguere tra:
RISCONTRO DIAGNOSTICO
AUTOPSIA GIUDIZIARIA
RISCONTRO DIAGNOSTICO
Esame sistematico del cadavere eseguito su disposizione dell’Autorità Sanitaria, per finalità meramente
cliniche.
Viene effettuato nel caso di:
1. Persone decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale o in un obitorio, per accertare la
causa della morte
2. Persone decedute in ospedali, cliniche universitarie, istituti di cura privati, tutte le volte che lo
dispongano i rispettivi Direttori Sanitari, su richiesta di primari o medici curanti, per il controllo della
diagnosi o il chiarimento di quesiti medico‐scientifici.
Il riscontro diagnostico può anche essere richiesto dal medico di famiglia qualora si tratti di persone
decedute a domicilio per una malattia infettiva diffusiva o sospetta di esserlo, con l’intento di precisare la
diagnosi.
Il medico anatomo‐patologo che, nel corso del riscontro diagnostico, abbia il sospetto che la morte sia da
riferire ad una causa violenta (dolosa o colposa) deve sospendere l’indagine e presentare il referto,
4
mettendo la salma a disposizione dell’autorità giudiziaria.
AUTOPSIA
Viene ordinata dal Magistrato quando ritenuta necessaria per l’identificazione del cadavere e per stabilire
la causa, i mezzi, l’epoca e la modalità della morte, ai fini del giudizio di responsabilità.
Secondo le raccomandazioni del Consiglio della Comunità Europea, le autopsie andrebbero praticate in tutti i casi di
morte non naturale, certa o sospetta. Pertanto, nei casi di:
1. Omicidio certo o sospetto
2. Suicidio
3. Morte improvvisa, anche infantile
4. Sospetta violazione dei diritti umani (tortura, maltrattamento)
5. Morte iatrogena o in rapporto a “malpractice” professionale
6. Decessi a seguito di:
‐ Incidenti stradali
‐ Infortuni sul lavoro
‐ Malattie professionali
‐ Incidenti domestici
‐ Catastrofi
7. Morte in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di polizia
8. Cadaveri non identificati o resti scheletrici
È considerata un accertamento tecnico non ripetibile giustificando, pertanto, la richiesta di incidente
probatorio.
Se si procede con l’incidente probatorio, il verbale dell’autopsia assumerà valore di prova e come tale potrà
essere utilizzato dalle parti nel dibattimento in aula, sebbene l’autopsia sia stata condotta durante le
indagini preliminari.
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L’autopsia si articola in un esame esterno del cadavere ed in un esame degli organi interni.
Le principali finalità dell’esame esterno del cadavere sono:
1. Accertare l’identità del cadavere
2. Stabilire l’epoca della morte, attraverso la valutazione dei fenomeni cadaverici
3. Descrivere segni esteriori di lesività, senza modificare lo stato fisico del cadavere
4. Obiettivare eventuali reperti morbosi in atto all’epoca del decesso o esito di malattie pregresse.
Esame degli organi interni
Solitamente, si procede aprendo, dapprima, la cavità cranica, poi la cavità toracica, quindi il collo, la cavità
addominale, il bacino e gli arti.
In genere, viene praticata un’incisione che parte bilateralmente da dietro l’orecchio e che corre lungo la faccia
postero‐laterale del collo, fino alla clavicola.
Si effettua quindi un’incisione trasversale che passa per il manubrio sternale.
Segue un’incisione toraco‐addominale mediana fino al pube.
Si praticano poi due tagli obliqui, uno per parte, sino alle pieghe inguinali.
I lembi toraco‐addominali vengono rovesciati verso i lati, il lembo cutaneo del collo viene rovesciato verso l’alto.
Relativamente all’esame del capo, si effettua un taglio bi‐mastoideo passante per il vertice, rovesciando un lembo in
avanti e l’altro indietro.
Per l’apertura della teca cranica viene praticato un taglio osseo circolare passante sopra la glabella e la protuberanza
occipitale esterna e si completa la sezione aiutandosi con uno scalpello ad azione di leva posto in corrispondenza delle
incisure frontali e temporo‐occipitali.
Ogni organo estratto dalla sua cavità va studiato nei suoi aspetti topografici, fisici ed istologici. 5
N.B. Il sangue necessario per l’eventuale determinazione dell’alcool e di qualsiasi altra sostanza
stupefacente, va prelevato preferibilmente dalla vena femorale piuttosto che dal cuore. Infatti, nei
campioni prelevati dal cuore durante l’autopsia, il sangue cardiaco tende ad essere mescolato con quello
proveniente dal viscere epatico attraverso la vena cava inferiore e ciò può alterare i valori dell’alcolemia.
Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post‐mortali
Talora, nello studio medico‐legale del cadavere, ci si trova difronte alla necessità di dover distinguere se
determinate lesioni siano state prodotte in vita (lesioni vitali) o dopo la morte (lesioni post‐mortali)
I segni che depongono per il carattere pre‐mortale o vitale di una lesione sono:
1. Reazione flogistica a carico dei margini, nonché dimostrazione istologica di una loro infiltrazione
leucocitaria
2. Infiltrazione emorragica degli stessi margini, indicativa del sussistere di pressione sanguigna al
momento in cui la lesione è stata prodotta
3. Emostasi e formazione del reticolo di fibrina
4. Trombosi vasale, distinguendo, comunque, i trombi – che all’esame istologico presentano abbondante
fibrina – dai cosiddetti pseudo‐coaguli post‐mortali (agglomerati gelatinosi più o meno compatti di
leucociti ed emazie)
5. Formazione di essudato
N.B. L’essudazione si fa soprattutto evidente quando sono trascorse almeno 48 h dal momento in cui la
lesione è stata prodotta
6. Presenza di monociti nell’essudato
7. Reazione fibroblastica del tessuto circostante la ferita e comparsa di fibrille collagene
8. Formazione di croste sierose, ematiche o siero‐ematiche
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Il verbale di autopsia consta generalmente di tre parti:
‐ Nella prima, si descrivono i dati anatomo‐patologici raccolti durante l’esame delle parti esterne ed
interne.
‐ Nella seconda, si formula la diagnosi anatomo‐patologica delle alterazioni riscontrate.
‐ Nella terza, si precisa e si motiva la diagnosi medico‐legale relativa a causa, mezzi, modalità ed epoca
della morte, tenendo conto delle informazioni avute dal Magistrato e rispondendo ai quesiti posti da
quest ultimo.
Giudizio conclusivo sulla causa della morte
A seconda delle cause che la provocano, si parla di:
1. Morte naturale, se il decesso rappresenta la naturale conclusione – perciò prevedibile e prevista – di
un processo di malattia
2. Morte improvvisa, se il decesso si verifica in maniera istantanea o rapida, risultando inatteso rispetto
alle condizioni cliniche pre‐esistenti
3. Morte iatrogena, se il decesso è causato dal trattamento medico o chirurgico instaurato
4. Morte violenta, se il decesso è provocato dal comportamento violento di terzi oppure dalla persona su
se stessa (caso di omicidio, suicidio, incidente)
LUOGO DELLA MORTE ED INDAGINI DI SOPRALLUOGO
Le indagini di sopralluogo sono tutte quelle che vengono effettuate sullo stesso luogo di ritrovamento del
cadavere o dove si suppone sia stato commesso un delitto. 6
N.B. I medici che, per primi, giungono sulla scena sono generalmente quelli del 118, chiamati in loco allo
scopo di accertare se il soggetto rinvenuto sia morto o vivo e se vi sia la necessità di un trattamento
d’urgenza.
Fondamentale è che i medici del 118 non inquinino la scena del crimine. Devono, pertanto, astenersi
dall’effettuare manovre rianimatorie qualora appaia evidente che il soggetto sia deceduto, con la conferma
del decesso che andrebbe possibilmente ricercata senza spostare il cadavere.
Nel corso dell’intervento, il medico del 118 dovrebbe registrare quante più informazioni possibili relative
alla scena ed alla vittima, meglio se con l’ausilio di foto.
Inoltre, poiché la morte del soggetto può configurare un delitto perseguibile d’ufficio, il medico del 118,
rivestendo la qualifica di Pubblico Ufficiale, deve tempestivamente presentare rapporto all’autorità
giudiziaria.
Particolarmente utile sarebbe la partecipazione, alle indagini di sopralluogo, di un medico legale, come
Ausiliario delle Polizia Giudiziaria oppure come Consulente del Pubblico Ministero.
Il medico legale, convocato sulla scena, deve prendere nota, mediante appunti, disegni, fotografie di:
1. Luogo dove giace la salma
2. Atteggiamento generale del corpo
3. Posizione degli arti, del capo e delle singole parti in dettaglio
4. Oggetti che sono sul corpo, sotto di esso o nelle mani
5. Stato delle vesti
6. Oggetti, macchie e tracce presenti nelle vicinanze del corpo
7. Dati anatomo‐patologici utili alla definizione dell’epoca della morte
8. Segni esteriori di azione lesiva
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EPOCA DELLA MORTE E MODIFICAZIONI TANATOLOGICHE DEL CADAVERE
I segni osservabili nell’organismo dopo la morte possono essere classificati in due gruppi:
‐ NEGATIVI o ABIOTICI, da cessazione delle funzioni vitali
‐ POSITIVI o TRASFORMATIVI, da processi nuovi che avvengono nel cadavere
SEGNI NEGATIVI o ABIOTICI
A loro volta, si distinguono in:
‐ Segni immediati, rappresentati dalla stessa cessazione definitiva delle funzioni respiratoria,
cardiocircolatoria e nervosa (cdt tripode vitale di Bichat)
‐ Segni consecutivi
Tra i segni negativi o abiotici consecutivi rientrano:
1. Perdita dell’eccitabilità muscolare
Può essere valutata con un martelletto da riflessi.
In genere, l’eccitabilità della muscolatura striata si attenua 5h dopo la morte e svanisce dopo 8‐12h.
2. Raffreddamento del cadavere (algor mortis)
Subito dopo il decesso, la temperatura del corpo diminuisce sino a raggiungere l’equilibrio con
quella ambientale, generalmente più bassa dei 37 °C di temperatura corporea interna media. 7
Il decremento termico, tuttavia, non segue le comuni leggi fisiche, per la presenza, anche dopo la
morte, di processi biochimici capaci di produrre calore.
In particolare, si riconoscono:
‐ Fase di discesa lenta: durante le prime 4 h, in cui la temperatura decresce di ½ grado l’ora
‐ Fase di discesa rapida: durante le successive 10 h, in cui la temperatura decresce di circa 1
grado l’ora
‐ Fase di nuova discesa lenta: fra la 15a e la 24a h dal momento del decesso. Durante questa fase,
la temperatura scende dapprima di ¾ di grado per h, poi di ½ grado, quindi di ¼ di grado
raggiungendo, infine, i valori ambientali.
‐ Fase dell’equilibrio termico: oltre la 24a ora.
I fattori che influenzano il raffreddamento del cadavere sono distinguibili in:
‐ Intrinseci
‐ Estrinseci
Per quanto riguarda i fattori Intrinseci, l’età neonatale e giovanile, lo scarso sviluppo della massa
corporea, il minore spessore del grasso sottocutaneo, aumentano la dispersione del calore
corporeo, accelerando il raffreddamento del corpo.
Tra i fattori intrinseci che condizionano il raffreddamento del cadavere, rientra anche la
temperatura del corpo al momento della morte.
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Una morte in ipertemia, per colpo di calore, colpo di sole, infezioni acute, intossicazioni acute da
amfetamine e cocaina, rallenta infatti il raffreddamento del cadavere.
Una morte in ipotermia, per cachessia, inanizione, etilismo acuto, invece, lo rende più rapido.
Fattori Estrinseci
Sono rappresentati da temperatura ambientale, umidità, ventilazione dei luoghi, periodo
stagionale, indumenti che, specie se di lana, proteggono dalla dispersione del calore. Se essi sono
bagnati, tuttavia, favoriscono il raffreddamento del cadavere, per l’evaporazione dell’acqua che
trascina con sé calore.
N.B.
Se la temperatura ambientale è maggiore di quella corporea, affinché quest ultima possa
equipararsi alla prima, il cadavere subisce una marcata disidratazione. Ciò conduce ad una forma
anomala di decomposizione: la mummificazione.
La temperatura post‐mortale va rilevata più volte con un termometro di laboratorio, introdotto nel
retto, e confrontata con quella ambientale.
3. Rigidità cadaverica (rigor mortis)
Consiste nell’irrigidimento dei muscoli volontari ed involontari che si manifesta dopo una fase
iniziale di flaccidità post‐mortale.
Generalmente, la rigidità cadaverica inizia verso la 2a‐4a h successiva al decesso nei muscoli della
mandibola; diffonde quindi, in senso cranio‐caudale, ai muscoli di nuca, arti superiori, tronco ed 8
arti inferiori, completandosi nel giro di 12‐24 h.
Regredisce poi gradualmente, secondo lo stesso ordine cranio‐caudale, per svanire del tutto dopo
circa 72 h dal decesso.
La causa del rigor mortis risiederebbe nella scomparsa post‐mortale dell’ATP, con conseguente
“gelificazione” dei filamenti di miosina e di actina, che manterrebbe le fibre muscolari in uno stato
di contrazione.
La risoluzione spontanea della rigidità cadaverica sarebbe invece dovuta all’autolisi post‐mortale
dei miofilamenti, con distacco dell'actina dalla miosina.
Diversi fattori influenzano la comparsa, l’entità ed il decorso della rigidità cadaverica.
Tali fattori possono essere distinti in estrinseci ed intrinseci.
Tra i fattori estrinseci rientra principalmente la temperatura ambientale.
‐ Una temperatura ambientale bassa ritarda infatti la comparsa e la diffusione della rigidità
cadaverica, ma la conserva più a lungo.
‐ Una temperatura ambientale elevata, invece, accelera l’andamento del rigor mortis, facendolo
prima comparire e prima risolvere.
I fattori intrinseci sono costituiti da condizioni individuali e dal tipo di morte.
Ad esempio, quanto più la muscolatura è valida, tanto più intensa sarà la rigidità cadaverica.
Relativamente al tipo di morte,
nelle morti violente, la rigidità cadaverica è più spiccata, ma compare più tardi;
nelle morti lente di persone defedate, invece, è più precoce, ma meno intensa e durevole.
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Notevole importanza nella comparsa della rigidità cadaverica ha inoltre lo sforzo sopportato dal
muscolo prima della morte.
Uno sforzo intenso prima della morte accelera, infatti, l’inizio del rigor che può essere così precoce
da far conservare al cadavere lo stesso atteggiamento degli ultimi momenti di vita.
Si parla, in questo caso, di rigidità catalettica, che può insorgere anche dopo traumi al capo.
4. Ipostasi
Sono prodotte – venuta meno la contrazione del cuore – dal deflusso passivo, per gravità, del
sangue nelle parti declivi del cadavere, dove riempiendo i vasi del derma, induce la comparsa, sulla
cute, di una colorazione generalmente rosso‐vinosa, che rende manifesto il fenomeno all’esterno.
La sede delle ipostasi varia a seconda della posizione assunta dal corpo dopo la morte (che così può
essere desunta):
‐ Nella posizione supina, esse, si formano alla nuca, alle orecchie, al dorso ed alla faccia
posteriore degli arti
‐ Nella posizione prona, le ipostasi sono ventrali
‐ Nel decubito laterale, interessano l’emi‐fianco di decubito
N.B. i punti di appoggio vengono tipicamente risparmiati, poiché, a questo livello, i vasi del derma
sono compressi.
Possibile comunque è anche il riscontro di ipostasi anti‐gravitarie, localizzate cioè in zone non
declivi, la cui comparsa dipende da un ostacolo al deflusso ematico verso le regioni declivi.
Tale ostacolo può dipendere da:
‐ Lacci ed indumenti stretti 9
‐ Aumento delle resistenze del piccolo circolo, ad esempio per l’edema polmonare acuto che
accompagna le morti asfittiche, e responsabile della comparsa di ipostasi anti‐gravitarie a
mantellina in corrispondenza di volto, collo e terzo superiore del torace.
Per quanto riguarda l’entità del fenomeno, le ipostasi sono scarse quando c’è poco sangue nei vasi
(caso di morte dopo lunghe malattie o emorragie profuse); sono, invece, abbondanti nelle morti
improvvise ed asfittiche, data la maggiore fluidità del sangue.
Cronologia delle ipostasi
In linea generale, quando non si vedono ipostasi sul corpo, è possibile supporre che siano trascorse
meno di 2 h dal momento della morte (fanno eccezione le morti improvvise o asfittiche nelle quali,
per la maggiore fluidità del sangue, la comparsa delle ipostasi è più precoce).
Una volta manifestatesi, le ipostasi attraversano 4 fasi successive:
1. Fase della migrabilità assoluta o totale
Muovendo il cadavere, le ipostasi possono spostarsi completamente dalla prima sede e
ricomparire nella nuova sede declive.
In questo caso, è lecito pensare che non siano trascorse più di 6‐8 h dal momento della morte.
2. Fase della migrabilità parziale
Muovendo il cadavere, le macchie ancora si spostano, ma solo parzialmente.
Ciò depone per un maggior tempo trascorso rispetto al momento del decesso: solitamente, da
8 a 12 h.
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3. Fase della fissità relativa
Si estende dalla 12a alla 72a h.
In questa fase, le macchie ipostatiche possono ancora spostarsi dalla posizione originaria ma
solo esercitando un’azione pressoria locale, più o meno intensa (digitopressione).
4. Fase della fissità assoluta
Parte dalla 72a h successiva alla morte.
La migrabilità delle ipostasi è segno che il sangue è ancora nei vasi.
La progressiva acidificazione dei tessuti, dipendente dall’assenza di ossigeno, porta alla morte delle
cellule, comprese quelle costituenti le pareti dei vasi, consentendo il passaggio dei globuli rossi nel
tessuto sottocutaneo, con riduzione della migrabilità delle ipostasi.
Il fenomeno interessa, prima, le pareti dei capillari con la conseguenza che, al variare del decubito
del cadavere, il sangue si sposta esclusivamente nei vasi di calibro maggiore (fase della migrabilità
parziale).
La necrosi si estende quindi anche alle pareti dei vasi più grandi, consentendo lo spostamento delle
macchie ipostatiche solo mediante digitopressione (fase della fissità relativa).
Con la degradazione dell’emoglobina, infine, la fissità delle ipostasi diviene assoluta.
Sebbene le ipostasi generalmente siano di colore rosso‐vinoso, possono assumere un colorito:
‐ Rosso ciliegia, nell’avvelenamento da CO
‐ Rosso vivo, nell’avvelenamento da cianuro
‐ Bruno, nell’avvelenamento da metaemoglobinizzanti (vapori nitrosi, anilina)
‐ Pallido, nelle morti da shock emorragico
‐ Verdastro, nello stadio colorativo della fase putrefattiva, per la formazione di solfoHb
10
5. Disidratazione
Consiste nella perdita di liquidi, che si verifica per evaporazione, con conseguente disseccamento
post‐mortale.
Assume aspetti particolarmente evidenti a livello oculare, dove viene suggerita da:
‐ Tela di Winslow ovvero opacamento corneale
‐ Macchie sclerali
‐ Infossamento del bulbo e riduzione della tensione endoculare: segno di Louis
Viene condizionata da vari fattori, principalmente ambientali. È, ad esempio, molto rapida in climi
asciutti, caldi e ventilati dove può produrre uno stato di mummificazione naturale.
6. Acidificazione
È dovuta all’accumulo di acido lattico, provocato dalla cessazione dei meccanismi ossido‐riduttivi
cellulari.
Inizia precocemente e si completa tra le 4 e le 7 h dopo la morte. Cessa con il sopraggiungere della
putrefazione, che alcalinizza i tessuti.
Può essere valutata producendo un’escoriazione e saggiando, con una cartina al tornasole, la
superficie scoperta del derma.
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SEGNI POSITIVI o TRASFORMATIVI
1. Autolisi
Per autolisi, s’intende un fenomeno di autodistruzione indipendente dall’azione microbica.
È sostenuta da enzimi lisosomiali che si liberano dopo la morte della cellula.
2. Putrefazione
Processo di distruzione cadaverica dovuto all’azione di microrganismi
Attraversa 4 periodi successivi:
1. Periodo cromatico
2. Periodo gassoso
3. Periodo colliquativo
4. Periodo della scheletrizzazione
Periodo cromatico
Si caratterizza per la comparsa, verso il II‐III giorno dalla morte, della cdt “macchia verde putrefattiva”
sulla cute della fossa iliaca destra, corrispondente alla sede del cieco, dove pullulano germi anaerobi
che conoscono un intenso sviluppo nel momento in cui i tessuti consumano tutto l’ossigeno disponibile.
Quest intenso sviluppo riguarda, per primi, il Clostridium perfringens ed il butirrico.
Tali microrganismi, venuta meno dopo la morte l’azione di barriera della parete intestinale, possano
all’interno dei addominali in cui trovano un ambiente molto favorevole per la loro riproduzione e, nel
moltiplicarsi, si spingono sempre più verso la superficie corporea (andamento centrifugo della 11
putrefazione).
La loro azione principale consiste nel degradare ulteriormente le sostanze proteiche, già scisse
dall’autolisi, trasformandole in composti sempre più semplici, fino alla costituzione di liquidi e gas,
come l’idrogeno solforato (H2S). Quest ultimo, reagendo con l’emoglobina, la converte in solfo‐ e
solfometaemoglobina responsabili del colorito verdastro.
N.B. La macchia verde può esordire anche in altri punti, oltre che all’addome. Ad esempio, si
costituiscono macchie verdastre laddove esistono raccolte purulente o stravasi sanguigni sottostanti.
N.B. Nei feti e nei neonati che non hanno ancora deglutito, il fenomeno inizia in corrispondenza degli
orifizi respiratori a causa della sterilità del canale digerente.
Dopo la sua comparsa, la macchia verde si estende a tutto il corpo, non per continuità diretta, ma
seguendo il decorso dei vasi venosi superficiali, che si rendono evidenti sotto forma di arborizzazioni di
colorito verdastro (reticolo venoso putrefattivo).
Le maglie della rete divengono via via più fitte, con la tinta verdastra che confluisce in aree sempre più
estese, interessando, infine, l’intera superficie corporea.
N.B. La tinta verde risulta più intensa dove maggiore è il contenuto di pigmento ematico e, quindi, nelle
aree ipostatiche.
Il periodo cromatico dura un paio di gg, in estate; oltre 2 settimane, in inverno.
Periodo gassoso o enfisematoso
Inizia verso il III‐IV giorno dalla morte, in estate; entro il 15°‐20° giorno, in inverno.
È caratterizzato dal fatto che la produzione di gas putrefattivi (come l’idrogeno solforato) ad opera di
germi anaerobi gasogeni (Clostridium perfringens e butirrico) raggiunge il suo picco massimo.
A causa dei gas putrefattivi, il cadavere assume un aspetto gigantesco o batraciano, con faccia rigonfia,
occhi che fuoriescono dalle orbite, lingua tumefatta che protrude dalle arcate dentarie, addome
disteso, iniziale e diffuso distacco dell’epidermide.
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La pressione dei gas provoca, inoltre, lo spostamento del sangue dentro i vasi (cdt circolazione post‐
mortale), il sanguinamento delle ferite, la perdita di feci, il prolasso del retto e della vagina e, nelle
donne morte gravide, l'espulsione del feto (cdt “parto nella bara”).
Periodo colliquativo
È caratterizzato dalla colliquazione del cadavere (malacia cadaverica) che si rende manifesta, in estate,
verso il 2° mese; in inverno, solo dopo 4 mesi o più dalla morte.
La colliquazione del cadavere inizia con lo scollamento dello strato epidermico che consente l’accesso
di germi aerobi provenienti dall’esterno. I germi aerobi diffondono dalla superficie in profondità,
conferendo alla putrefazione un andamento centripeto.
I germi anaerobi, invece, non trovano più condizioni favorevoli al loro sviluppo, con la produzione di gas
che si riduce per poi cessare.
Durante il periodo colliquativo,
‐ il cadavere perde l’aspetto gigantesco, per la diminuita sintesi di gas putrefattivi;
‐ il suo colorito, da verdastro, diventa bruno, per formazione di ematina;
‐ il cuore ed i grossi vasi perdono il loro contenuto ematico;
‐ i visceri si rammolliscono, con progressiva trasformazione dei tessuti in un liquame nerastro, di
odore prima putrido, poi tipicamente ammoniacale.
N.B. Tra i diversi organi, il cervello è fra i primi organi a ridursi in una poltiglia omogenea, mentre
l’utero e la prostata si dimostrano i più resistenti, consentendo di identificare il sesso, quando
ormai i genitali esterni sono distrutti.
Periodo della scheletrizzazione
Si completa in genere dopo 3‐5 anni dalla morte.
È più precoce nei cadaveri interrati; più tardivo, nei cadaveri sepolti in casse di zinco. 12
La putrefazione viene influenzata da diversi fattori, distinguibili in:
‐ Intrinseci
‐ Estrinseci
Fattori intriseci
‐ Età
La putrefazione è, infatti, rallentata nei feti, per la sterilità del canale digerente
‐ Costituzione fisica
La putrefazione è, infatti, più rapida nei soggetti pletorici rispetto a quelli magri, per la maggiore
quantità di liquidi presente nei tessuti
‐ Tipo di morte
La putrefazione è precoce e rapida nei soggetti defedati ed in quelli deceduti a seguito di infezioni
sistemiche.
Anche le morti asfittiche accelerano i processi putrefattivi, poiché lo stato fluido del sangue
favorisce la moltiplicazione e la diffusione dei germi.
Per contro, vi sono cause di morte e condizioni che ritardano la putrefazione, caso di morte per
anemia acuta, intossicazione acuta da acido fenico, sali di mercurio, formalina, terapia antibiotica.
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Fattori estrinseci
Sono quelli che maggiormente influenzano l’andamento della putrefazione ed includono:
‐ Temperatura ambientale
Quella compresa tra i 25° e i 35 °C è ottimale per lo sviluppo dei germi putrefattivi.
Il freddo, invece, permette un’ottima conservazione del cadavere, inibendo la moltiplicazione
batterica.
Si ritiene infatti che il grado di putrefazione raggiunto in un'ora nel periodo estivo equivalga a
quello di un giorno nel periodo invernale.
‐ Umidità
Favorisce la putrefazione, mentre un clima secco la rallenta.
Pertanto, salme tolte dall’acqua vanno in rapida putrefazione mentre, fin tanto che vi restano
immerse, si conservano meglio.
Infatti, 1 g di esposizione all’aria equivale a 2 gg di permanenza nell’acqua ed a 4 di permanenza
sotto terra.
‐ Ventilazione
Contrasta la putrefazione, riducendo l’umidità dell’aria e può portare ad una forma anomala di
decomposizione: la mummificazione.
N.B.
Nel periodo della putrefazione, inoltre, il cadavere viene aggredito da numerosi parassiti animali,
principalmente insetti di diversa specie ed in ondate successive.
Nelle fasi più precoci, si osservano larve di mosche. Il rinvenimento di mosche allo stadio larvale, infatti,
indica che sono passate almeno 10h dalla morte. 13
Il raggiungimento del successivo stadio ninfale o pupale indica che è trascorso un tempo maggiore dalla
morte (10‐15 gg).
Le pupe o ninfe sono racchiuse nei pupari. Se in un cadavere si trovano dei pupari già vuoti si può
affermare che, dalla morte, è passato un tempo > 15 gg.
Forme anomale di decomposizione
Si osservano in peculiari condizioni ambientali ed includono:
Macerazione
Interessa cadaveri che giacciono in ambienti umidi o liquidi, pressoché asettici (dove i processi autolitici
prevalgono su quelli putrefattivi).
La macerazione è pertanto tipica dei feti morti in utero ed ivi trattenuti, essendo il sacco amniotico un
ambiente sterile.
Fenomeni di macerazione, comunque, si osservano anche in cadaveri rimasti immersi nell’acqua.
La macerazione consiste nella progressiva imbibizione idropica dei tessuti che, a livello cutaneo, riguarda
soprattutto lo strato corneo dell’epidermide, causandone rigonfiamento.
La macerazione cutanea pertanto comincia e si rende maggiormente manifesta laddove lo strato corneo è
più spesso e privo di ghiandole sebacee: palma delle mani e pianta dei piedi.
Più precisamente, esordisce già dopo poche h, con un colore biancastro della cute dei polpastrelli.
Compaiono, quindi, raggrinzimenti, con lo strato corneo che, imbibito d’acqua, aumenta di volume.
Il fenomeno poi si estende a resto delle dita, mani e piedi, interessando, successivamente, la loro superficie
dorsale, i polsi e le caviglie.
L’epidermide così imbibita infine si distacca “a guanto” o “a scarpa” oppure cade a pezzi, per l’effetto di
urti.
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N.B. Lo stato di macerazione della cute può essere valutato per stabilire la durata dell’immersione di un
corpo. È stato infatti calcolato che la macerazione cutanea, per estendersi al dorso della mano, impiega
circa 5‐8 gg, mentre il completo distacco dell’epidermide avviene in 2‐4 settimane.
Tuttavia, nell’interpretare la macerazione cutanea, occorre considerare una serie di fattori che influenzano
l’andamento del fenomeno:
Temperatura dell’acqua (per imbiancare completamento il palmo delle mani, infatti, bastano 5‐6 h
d’estate e 3‐4 gg, d’inverno)
Contenuto di sale, dato che l’acqua dolce macera più rapidamente di quella marina
Presenza o meno di indumenti, ed in particolare delle scarpe, che rallentano la macerazione della cute
Saponificazione
È un processo trasformativo che si verifica nei cadaveri esposti ad elevata umidità ambientale e scarsa
ventilazione o che restano per molto tempo sott’acqua.
Interessa pertanto:
‐ Corpi inumati in terreno umido, per la superficialità della falda freatica
‐ Cadaveri custoditi in tombe chiuse e bagnate
‐ Soggetti morti per annegamento e rimasti in acqua
‐ Cadaveri sommersi
Il processo – sempre preceduto da un certo grado di putrefazione – si caratterizza per la formazione dell’
“adipocera”, un sapone calcico insolubile, di aspetto lardaceo ed untuoso, di colore bianco‐grigiastro e di
odore sgradevole, derivante dalla combinazione dei grassi neutri dei tessuti con i sali di calcio presenti
nell'acqua o nel terriccio umido, in cui il cadavere giace.
Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo, per poi diffondersi al tessuto adiposo periviscerale.
Si rende evidente dopo alcune settimane e si completa in 6 mesi – 1 anno. 14
Mummificazione
Avviene quando il cadavere si trova in un ambiente asciutto, molto caldo e ben ventilato.
In tali condizioni, infatti, il corpo va incontro ad una rapida e massiva perdita di liquidi, assumendo un
colorito bruno pergamenaceo, a tipo “cuoio vecchio”, differente da quello lucente – a tipo “cuoio di concia
recente”, caratteristico della corificazione.
Il processo si realizza a distanza di 1 anno dalla morte.
Corificazione
Consiste in un marcato rallentamento dei processi trasformativi che interessa salme riposte in casse
metalliche, ermeticamente chiuse, specie se di zinco.
In tale circostanza, la cute si avvalla ed assume l’apparenza del cuoio di concia recente (diverso quindi dal
cuoio vecchio della mummificazione).
Può osservarsi tra il I ed il II anno di inumazione.
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PUNIBILITÀ
La punibilità di un soggetto viene esclusa da:
1. Esimenti che assolvono da una condizione di antigiuridicità e, cioè, di contrasto tra un fatto ed una
norma giuridica
2. Esimenti dalla colpevolezza
3. Non imputabilità del soggetto al momento del fatto 1
Esimenti che assolvono da condizione di antigiuridicità
Si distinguono in:
‐ Generali
‐ Speciali
‐ Non codificate
Esimenti generali
1. Consenso dell’avente diritto (art. 50 CP)
“Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente
disporne”.
Affinché il consenso abbia efficacia scriminante è necessario che:
‐ Sia valido, ossia che provenga dal legittimo titolare del diritto e risulti libero o spontaneo
‐ Abbia ad oggetto diritti disponibili
Rispetto al bene dell’integrità personale, l’art. 5 del C.C. stabilisce che il consenso è irrilevante e
privo di efficacia rispetto a lesioni produttive di una diminuzione permanente dell’integrità fisica o
contrarie alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
N.B. Tra i beni disponibili non rientra quello della vita: il nostro ordinamento giuridico prevede,
infatti, come reato la fattispecie dell'omicidio del consenziente e dell'istigazione al suicidio.
2. Adempimento di un dovere
3. Esercizio di un diritto
4. Legittima difesa
5. Uso legittimo delle armi
6. Stato di necessità
Esimenti speciali
1. Omissione di referto, nel caso in cui si esponga la persona assistita a procedimento penale oppure sé
stessi o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà o dell’onore
2. Prestata assistenza a duellanti
3. Soppressione della coscienza o volontà altrui a scopo scientifico o di cura
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Esimenti non codificate
Sono riconducibili a:
1. Teoria dello scopo: si basa sul principio del giusto mezzo per un giusto fine e considera non contrarie al
diritto quelle azioni che perseguono un fine giusto.
2. Teoria del bilanciamento degli interessi: quando vi sono due beni‐interessi giuridici in collisione è
consentito sacrificare quello di valore minore a vantaggio di quello di valore prevalente.
2
Esimenti dalla colpevolezza
1. Caso fortuito, inteso come l'insieme dei fattori causali sopravvenuti, preesistenti o simultanei che
hanno eccezionalmente reso possibile il verificarsi di un evento che, al momento della condotta, si
presentava come inverosimile
2. Forza maggiore
Consiste in un evento di una forza alla quale non è oggettivamente possibile resistere. Tale evento, per
la sua forza intrinseca, induce la persona a compiere un atto positivo o negativo in modo necessario ed
inevitabile.
3. Violenza fisica
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla
quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.
In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l'autore della violenza
4. Errore sul fatto
Consiste in una falsa rappresentazione della realtà di fatto.
Non imputabilità del soggetto al momento del fatto
Secondo l’art. 85 del CP, “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al
momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di
volere”
Capacità di intendere
È l’attitudine a prevedere la portata e le conseguenze della propria condotta.
Può essere quindi intesa come la coscienza dell'agire.
Pertanto, il soggetto agente, dotato della capacità di intendere, è in grado di stabilire correttamente se le
sue azioni siano buone o cattive (valore morale), siano lecite o illecite (valore giuridico), siano utili o
dannose all'interesse comune (valore sociale).
Capacità di volere
È la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta adatta ad uno scopo.
Può essere quindi intesta come la libertà dei propri atti.
Pertanto, l‘imputabilità consiste nell’idoneità di un soggetto ad essere imputato di un reato e, cioè, nella
condizione occorrente per attribuire, al soggetto agente, il fatto da lui commesso e mettergli in conto le
conseguenze giuridiche della sua condotta.
N.B. Cosa diversa è l’imputazione, che consiste nell’attribuzione di un reato, da parte del un Pubblico
Ministero, a conclusione delle indagini preliminari.
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Nel soggetto adulto, che ha più di 18 anni, l’imputabilità è sempre presunta dal codice e quindi ne viene
sempre data per scontata la sussistenza.
Cause di esclusione dell’imputabilità
Si distinguono in:
Fisiologiche
1. Età < 14 anni (art. 97 CP)
3
Per i minori di anni 14, infatti, sussiste sempre la presunzione assoluta della non imputabilità.
2. Età < 18 anni (art. 98 CP)
È tuttavia imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, pur essendo minore di anni 18 e
maggiore di anni 14, aveva capacità di intendere e di volere. La pena è comunque diminuita.
Per coloro che hanno un’età compresa tra 14 e 18 anni, pertanto, non esiste né presunzione di non
imputabilità (come per i minori di anni 14), né presunzione di imputabilità (come per gli adulti).
L’imputabilità va accertata caso per caso.
N.B. Secondo il CC, il minore è di diritto emancipato con il matrimonio, per poter esercitare la potestà
genitoriale sui figlio, divenendo, al contempo, imputabile.
Patologiche
1. Vizio totale di mente (art. 88 CP)
Non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente
da escludere la capacità d'intendere o di volere.
2. Vizio parziale di mente (art. 89 CP)
Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare
grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la
pena è diminuita.
Il giudizio sull’effettiva esistenza del vizio totale o parziale di mente è di tipo “storico”, nel senso che deve
essere riferito, dal perito, al preciso momento in cui quella data persona ha commesso il fatto.
In riferimento a tale preciso momento, occorre innanzitutto valutare la presenza di un disturbo di un mente
che possa qualificarsi come infermità in senso giuridico, e cioè capace di escludere o diminuire la capacità di
intendere e di volere.
Pertanto, anche disturbi della personalità non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica
possono acquisire rilevanza se di consistenza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di
intendere e di volere.
N.B. La sola diagnosi non è tuttavia sufficiente a produrre un giudizio di difetto di imputabilità.
Tale giudizio può essere infatti formulato solo dimostrando la derivazione causale diretta del
comportamento delittuoso in discussione dal vizio di mente obiettivato.
Ad esempio, se un paranoico delirante, affetto da delirio di persecuzione, uccide il suo presunto
persecutore, non vi potranno essere dubbi circa l’esistenza del vizio totale di mente.
Sarà diversamente valutata l’imputabilità nel caso che lo stesso personaggio risulti responsabile di un
delitto che si collochi al di fuori del suo nucleo delirante.
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Il CP, inoltre, precisa l’impatto sull’imputabilità di altre condizioni, quali:
Incapacità procurata (art. 86 CP)
Se taluno mette altri nello stato d’incapacità di intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato,
del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d’incapacità.
Incapacità preordinata (art. 87 CP)
4
Chi si è messo in stato di incapacità di intendere o volere, al fine di commettere il reato o di prepararsi una
scusa, è imputabile. con la pena che risulta aumentata.
Stati emotivi o passionali (art. 90 CP)
Gli stati emotivi o passionali non escludono, né diminuiscono l'imputabilità.
Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore (Art. 91 CP)
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d'intendere o di
volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. Se l'ubriachezza non
era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di
volere, la pena è diminuita.
Classico è l’esempio della rottura di recipienti contenenti alcool, con conseguente inalazione di vapori
Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata (Art. 92 CP)
L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità.
Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è
aumentata.
Si parla di ubriachezza volontaria, quando il soggetto vuole ubriacarsi e sa di poterlo fare bevendo una
certa quantità di alcol.
Si parla di ubriachezza colposa, quando, pur risultando assente la volontà di ubriacarsi, esisteva una chiara
prevedibilità dell’evento.
Si parla di ubriachezza preordinata, quando il soggetto non solo beve per ubriacarsi ma vuole farlo proprio
allo scopo di commettere un reato o di prepararsi una scusante. In questo caso, l’imputabilità non solo
viene ammessa, ma la pena è aumentata.
Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto
l'azione di sostanze stupefacenti (Art. 93 CP)
Ubriachezza abituale (art. 94 CP)
Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza e questa è abituale, il soggetto che lo ha commesso è
imputabile e la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito
all’uso di bevande alcoliche ed in stato frequente di ubriachezza.
L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte dell’articolo si applica anche quando il reato è
commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti, da chi è dedito all’uso di tali sostanze.
Cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti (art. 95 CP)
Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti si applicano le
disposizioni contenute negli art. 88 ed 89 del CP (vizio totale e vizio parziale di mente).
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N.B. l’intossicato cronico va considerato un malato a tutti gli effetti e pertanto non occorre verificare
ulteriormente quale sia l’origine dello stato di intossicazione.
Nei primi periodi, quando il decadimento volitivo ed intellettuale non è molto accentuato, si potrà
prospettare l’esistenza del vizio parziale di mente. Nei casi avanzati, invece, si potrà configurare il vizio
totale.
Sordomutismo (art.96 C.P.)
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Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della
sua infermità, la capacità di intendere o di volere
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LESIONI DA ENERGIA MECCANICA
1
LESIONI DA CORPI CONTUNDENTI
Si determinano per l’azione di corpi dotati di superficie piana o curva, talora di spigoli, ma mai di margini
taglienti o punte, atti a traumatizzare.
Tra essi rientrano:
‐ Mezzi di offesa e di difesa naturali, come mani, piedi, gomiti e ginocchia
‐ Strumenti contundenti destinati ad offendere, come mazze e sfollagenti
‐ Oggetti contundenti usati occasionalmente per nuocere o che ledono in seguito ad accidente: bastoni,
pietre, martelli, chiavi inglesi
I corpi contundenti possono agire per:
Gravità
Stato di moto
Resistenza opposta a corpi in movimento
Le lesioni da corpi contundenti includono:
1. Irritazioni
Lesioni cutanee che si producono quando l’azione esercitata dal mezzo lesivo non supera la specifica
resistenza della cute.
Si realizzano per un meccanismo di percussione o di sfregamento.
Un tipico esempio di irritazione da percussione è quella dovuta ad uno schiaffo. Tale evenienza
provoca, localmente, una reazione vasomotoria, con impallidimento e successivo arrossamento della
cute, ed una sensazione di bruciore, seguita da torpore ed ipoestesia.
Lo schiaffo, pertanto, va inteso come un’azione violenta responsabile di alterazioni anatomiche, non
accompagnate da alcun disturbo funzionale.
Il fatto, quindi, non generando una malattia penalmente rilevante, configura un delitto di percosse e non di
lesione personale.
L’irritazione da sfregamento può essere acuta, con eritema e formazione di vescicole sierose
sottoepidermiche, oppure cronica, per uno stimolo ripetuto e prolungato nel tempo, con ispessimento
della cute e callosità.
2. Escoriazioni
Consistono nell’asportazione o distruzione dell’epidermide da parte di forze lesive che agiscono
tangenzialmente (strisciamento).
Si distinguono tre gradi di escoriazione:
‐ Primo grado, in cui il distacco è limitato all’epidermide, con esposizione del derma, che non viene
interessato. Determinano uno stillicidio linfatico che porta alla formazione di una sottile crosta
sierosa giallastra.
‐ Secondo grado, in cui la lesione interessa anche le papille dermiche che s’insinuano negli strati
profondi dell’epidermide. La lacerazione dei capillari in esse presenti, provoca piccole emorragie,
con formazione di una crosta siero‐ematica.
‐ Terzo grado, in cui la lesione si estende più profondamente nel derma, causando la lacerazione di
vasi di calibro maggiore, con emorragia copiosa e formazione di una spessa crosta ematica.
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La forma è spesso irregolare.
Esistono, tuttavia, escoriazioni figurate che riproducono la morfologia del mezzo lesivo, come:
‐ Disegno degli pneumatici
‐ Forma “a nastro” dei colpi di frusta
Varietà di escoriazioni figurate, inoltre, sono:
‐ Unghiature, derivanti dalla pressione del margine libero ungueale e che mostrano una tipica forma
semilunare.
‐ Graffiature, prodotte dallo strisciamento dell’unghia sulla pelle e che si presentano come strie
lineari sottili e parallele.
Per quanto riguarda la sede, escoriazioni – come graffiature da unghia – al collo, si osservano in caso di
strozzamento; in regione genitale e sulla faccia mediale delle cosce, nella violenza sessuale; agli arti
superiori ed al viso in caso di colluttazione; in regione periorale, nelle manovre di soffocamento.
La direzione secondo la quale ha agito in mezzo contundente può essere desunta qualora siano
rilevabili piccole esfoliazioni cutanee (lembetti epidermici) che formano, con la superficie escoriata, un
angolo aperto verso la direzione da cui si è mosso lo strumento lesivo.
La DD tra escoriazioni prodotte in vita e dopo la morte si basa sulla presenza della crosta: quelle che si
formano nel cadavere, infatti, ne sono sempre prive.
3. Ecchimosi
Vanno intese come uno stravaso di sangue in ambito tissutale, prodotto dalla rottura di vasi sanguigni,
senza lacerazione dei tessuti sovrastanti. Quando il sangue, anziché infiltrare i tessuti, forma raccolte
voluminose si parla di ematoma.
Meccanismi di formazione:
Schiacciamento, per lacerazione della parete vasale tra tessuti compressi
Trazione, per lo stiramento tissutale
Suzione o decompressione, per diminuzione della pressione esterna, con sovradistensione dei vasi
sanguigni e loro rottura
Sforzo, per brusco aumento della pressione sanguigna
Le ecchimosi possono essere:
Superficiali, sottocutanee
Profonde, muscolari e viscerali
Ecchimosi superficiali
Si presentano sotto forma di macchie di varia estensione, con margini sfumati, non rilevate sulla cute –
che appare integra – e di colore variabile in rapporto all’età della lesione:
‐ La lesione, inizialmente, è di colore rosso, per la presenza, nei tessuti, di Hb ossigenata
‐ Una lesione verificatasi da alcune h, è di colore rosso‐violaceo, per la presenza di Hb deossigenata
‐ Una lesione vecchia di 5‐6 gg, è di colore verdastro, per la trasformazione dell’Hb in biliverdina
‐ Una lesione vecchia di 8‐9 gg, è di colore giallastro, per la riduzione della biliverdina in bilirubina
Le modificazioni cromatiche iniziano alla periferia e progrediscono verso il centro dell’ecchimosi.
La tempistica della variazione cromatica risulta utile per datare l’evento traumatico.
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Di solito, la sede dello stravaso sanguigno sottocutaneo coincide con quella dove è stata esercitata
l’azione contusiva.
Talora, comunque, sono riscontrabili ecchimosi superficiali in sedi diverse dal punto di applicazione
della forza lesiva per un meccanismo di migrazione gravitazionale del sangue lungo vie anatomiche
preformate (dalla base cranica anteriore alle palpebre, dal cuoio capelluto alla nuca, dalle spalle e dai
fianchi, rispettivamente, alla piega del gomito e del ginocchio).
Un dato che attesta la migrazione di un’ecchimosi consiste nella comparsa della stessa con un colore
che indica la già iniziata trasformazione del pigmento sanguigno.
Le ecchimosi superficiali solo di rado riproducono con sufficiente approssimazione la forma dell’oggetto
contundente o della parte di esso cha ha colpito la pelle.
Quando ciò si verifica, le ecchimosi vengono dette figurate. Ecchimosi figurate sono ad esempio quelle
prodotte dall’urto contro il volante di un’automobile.
N.B. Va detto, tuttavia, che anche quando al tempo del traumatismo la somiglianza esiste, essa
progressivamente svanisce per il successivo estendersi e diffondersi dello stravaso.
Ecchimosi profonde
Le ecchimosi profonde – muscolari o viscerali – in genere si formano a causa di grandi traumatismi
contusivi e, meno frequentemente, di colpi localizzati.
Le ecchimosi muscolari possono realizzarsi per:
‐ Azione diretta sul muscolo, specie se contratto, anche senza lesione della cute sovrastante, qualora
il corpo contundente presenti una superficie ampia ed una consistenza soffice (caso di sacchetti di
sabbia)
‐ Trazione, con rottura dei vasellini decorrenti tra i singoli fasci, durante una brusca e violenta
contrazione muscolare.
Le ecchimosi viscerali generalmente riguardano visceri addominali, cervello e polmoni.
Possono verificarsi per:
‐ Diretta trasmissione della violenza al viscere, manifestandosi in stretta connessione topografica con
la sede colpita
‐ Contraccolpo, manifestandosi in un punto opposto a quello che ha subito il trauma
Nel vivente, la presenza di ecchimosi profonde è sospettabile solo se causano turbamenti funzionali;
nel cadavere, invece, sono facilmente diagnosticabili all’esame microscopico.
Le ecchimosi sono sempre lesioni pre‐mortali – dato che lo stravaso del sangue richiede una certa
pressione – e vanno poste in DD con le ipostasi (raccolta di sangue, per gravità, in distretti vascolari
declivi rispetto alla posizione assunta dal corpo dopo la morte, venuta meno la contrazione del cuore).
La DD si basa sul fatto che le ecchimosi, dopo incisione, mostrano una colorazione rossastra della
superficie di taglio, non completamente asportabile con il lavaggio, in quanto i tessuti sono infiltrati dal
sangue stravasato.
Le ipostasi, invece, presentano superfici di taglio biancastre e lavabili, per mancanza di infiltrazione
ematica dei tessuti, con fuoriuscita di gocce di sangue dai vasi recisi.
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4. Ferite lacere e lacero‐contuse
Soluzioni dei continuo della cute, ed eventualmente anche delle parti molli sottostanti, prodotte da un
corpo contundente.
‐ Nelle ferite lacere, prevalgono i meccanismi di trazione
‐ Nelle ferite lacero‐contuse, sono in gioco anche meccanismi di compressione e strisciamento che
rendono pesti e cincischiati i margini della lesione.
Talora, si determinano anche effetti di scoppio allorché un oggetto privo di spigoli agisca con un
meccanismo di percussione su di una superficie corporea convessa, ricca di tessuto adiposo o
connettivo lasso sottocutaneo, come il cuoio capelluto.
Caratteristiche morfologiche comuni:
1. Irregolarità dei margini, che appaiono tanto più pesti e cincischiati (spiegazzati) quanto maggiore è
l’azione di compressione e strisciamento esercitata dal mezzo contundente.
2. Scollamento della cute rispetto ai piani sottostanti
3. Fondo anfrattuoso
4. Infiltrazione ematica di margini e fondo
5. Presenza, tra i bordi della ferita, di ponti di tessuto più o meno integro che hanno resistito
all’azione discontinuante del mezzo lesivo.
Ciò rappresenta il più importante elemento di diagnosi differenziale rispetto a ferite da taglio, in
cui l’azione recidente della lama elimina ogni possibilità di formazione di residui tissutali tra i due
margini della lesione.
La forma delle ferite lacero‐contuse, in genere, non consente di risalire a quella dello strumento
adoperato.
Alcune ferite lacero‐contuse, comunque, mostrano aspetti peculiari. È questo il caso di:
‐ Ferite su cresta ossea (cresta tibiale e cresta sopracciliare), nelle quali la cute, compressa contro la
superficie ossea, viene lesa dall’interno verso l’esterno.
‐ Lesioni da morso di animale o di uomo, specie se prodotte da denti incisivi.
Nei morsi umani, la forma corrisponde a quelle delle arcate dentarie, disposte secondo due
curve che si guardano con le parti concave.
I morsi di cavallo hanno un aspetto simile, ma dimensioni maggiori.
I morsi di cane, invece, producono due filiere rettilinee, tendenti alla convergenza.
N.B. La morfologia delle morsicature consente, non soltanto, di riconoscere la specie animale
responsabile ma, in molti casi di morsi umani, anche di identificare l’individuo che le ha prodotte.
6. Rottura di visceri
Si produce per meccanismi di pressione, trazione, scoppio.
I visceri più frequentemente interessati sono: encefalo, polmoni, cuore, fegato e milza.
‐ A livello encefalico, la lesione può verificarsi nel punto di applicazione della forza, oppure, in caso
di spostamento per inerzia della massa cerebrale all’interno del cranio, nel punto opposto.
‐ A livello polmonare, la lesione è spesso causata dall’azione diretta delle coste fratturate sul
parenchima.
‐ La rottura del cuore può determinarsi per compressione della gabbia toracica.
‐ Il fegato e soprattutto la milza possono andare incontro ad una “rottura in 2 tempi”, per traumi
toraco‐addominali. In tal caso, si forma, prima, un ematoma sottocapsulare, che aumenta
gradualmente di volume, con sovradistensione della capsula e successiva rottura della stessa, causa
di emoperitoneo.
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7. Fratture ossee
Possono essere:
‐ Dirette, se si verificano nel punto di applicazione della forza
‐ Indirette, se si verificano a distanza dal punto di applicazione della forza, per flessione, torsione,
trazione, trasmissione di forza (caso di sfondamento dell’acetabolo in seguito ad un urto sul
ginocchio flesso).
Relativamente alle FRATTURE CRANICHE, tra quelle dirette si distinguono:
‐ Fratture da violenza diffusa
Sono quelle causate dall’urto tra il capo ed una superfice estesa (come il suolo).
Presentano una o più linee di frattura che si dipartono a raggiera dal punto colpito (cdt “fratture
meridianiche”). Tali linee corrispondono al cedimento dei tavoli ossei, prima di quello interno, poi
di quello esterno.
Contestualmente, è anche possibile osservare rime di frattura dall’aspetto di anelli o semicerchi
concentrici al punto di impatto. Si tratta delle cdt “fratture equatoriali”, nelle quali il tavolato
esterno è il primo a rompersi.
La combinazione di fratture meridianiche e di fratture equatoriali produce fratture tipiche, definite
“a ragnatela” o “a mappamondo”.
‐ Fratture da violenza circoscritta
Conseguono all’azione di corpi contundenti con superficie relativamente contenuta. Sono anche
dette “a stampo”.
Se causate da uno spigolo, assumono un aspetto a scalino che riproduce l’inflessione dell’osso
(“fratture a terrazzo”).
Le fratture craniche indirette sono quelle che si verificano a distanza dal punto di applicazione della
forza.
Un esempio è rappresentato dalle fratture della base cranica per caduta sul podice.
Peculiari fratture craniche sono quelle bipolari, tipiche dello schiacciamento. In tale circostanza, il capo
si trova sottoposto all’azione di due forze opposte, di cui una agisce come potenza e, l’altra, come
resistenza.
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LESIONI DA ARMA BIANCA
Sono la conseguenza dell'azione violenta di mezzi dotati di margini affilati o/e di punte acuminate
1. Ferite da punta
Sono dovute a mezzi puntuti, distinguibili in tipici (come chiodi, aghi, frecce, fioretti) ed atipici (come
punte di bastone ed ombrello).
Le lesioni da essi provocate si realizzano mediante un meccanismo di pressione e divaricamento dei
tessuti attraversati.
In questo tipo di ferite, la profondità prevale sulle altre dimensioni.
L’orifizio d’entrata assume una forma ovalare o ellittica ‐ mai rotonda ‐ anche quando il mezzo puntuto
ha sezione circolare.
Accollando i margini, non si nota perdita di sostanza.
Le sue dimensioni sono lievemente inferiori rispetto alla sezione dello strumento vulnerante, per la
distensione e la successiva retrazione della cute, che si verificano in corso di penetrazione.
Le lesioni da punta possono essere a fondo cieco o trapassanti.
La direzione del tramite, essendo influenzata dalla diversa fendibilità dei tessuti attraversati, non
sempre rispecchia il reale angolo di penetrazione dell’agente lesivo.
Possono osservarsi in caso di accidente/suicidio/omicidio.
Nel suicidio, ad essere interessate sono soprattutto regioni auto‐aggredibili, come quella precordiale.
Nell’omicidio, le lesioni sono in genere molteplici e si associano molto frequentemente a lesioni “da
difesa”.
2. Ferite da taglio
Consistono in soluzioni di continuo della cute e dei tessuti molli prodotte da mezzi taglienti. Questi
ultimi possono essere tipici (caso di bisturi, rasoi, coltelli, spade) o atipici (caso di lamiere metalliche,
frammenti di vetro).
L’azione lesiva si esplica con un duplice meccanismo: di pressione, che tende a far affondare lo
strumento nei tessuti e di scorrimento, che fa progredire il mezzo lungo la direzione del filo tagliente.
Le caratteristiche delle ferite da taglio sono:
1) Estensione in superficie, con la lunghezza che si dimostra maggiore della profondità
2) Regolarità e nettezza dei margini
3) Sezione completa dei tessuti a tutti i livelli, senza formazione di ponti o briglie tra i margini
4) Estremità acute
5) Presenza di “codette” e, cioè, di prolungamenti superficiali del taglio, in entrata ed in uscita
All’entrata, essendo più intensa la pressione esercitata, il mezzo affonda rapidamente e la codetta è
breve; più lunga è invece la codetta in uscita.
Talora, le codette, sono presenti ad una sola estremità, di norma interpretabile come punto di
uscita del tagliante.
Nel caso in cui siano coinvolte superfici curve, come il collo o gli arti, le codette possono mancare
del tutto o presentare un aspetto differente, con maggiore lunghezza in entrata (fenomeno
dell’inversione delle codette).
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6) Fondo regolare
7) Forma delle ferite lineare
Costituiscono varietà tipiche delle ferite da taglio:
Ferite da difesa
Indicative di omicidio.
Si producono sul palmo della mano della vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione.
Peculiari ferite da difesa sono quelle “a lembo” – caratterizzate, cioè, da un margine libero fluttuante –
che si formano qualora la vittima cerchi di afferrare l’arma dell’aggressore.
Ferite da svenamento
Indicative di suicidio.
Si rilevano in zone auto‐aggredibili (polsi, pieghe dei gomiti, regioni inguinali) nelle quali i vasi
decorrono in posizione relativamente superficiale.
Sono generalmente multiple, ravvicinate, parallele tra di loro e di profondità differente. Le più
superficiali corrispondono alle cdt “ferite di prova”, ossia a tentativi autolesivi che il suicida si infligge
prima del colpo o dei colpi decisivi.
Ferite da scannamento o sgozzamento
Si osservano nella regione cervicale.
Risultano rapidamente mortali quando si verifica la sezione della carotide, che provoca un’intensa
emorragia, con conseguente shock emorragico.
Anche le emorragie più lievi possono condurre al decesso, per sommersione interna, se il sangue
penetra nelle vie respiratorie.
Più raramente, la morte è causata da embolia gassosa, per penetrazione di aria nella giugulare interna.
Lo scannamento si osserva come eventualità sia omicidiaria che suicidiaria.
Depongono per un’evenienza omicidiaria:
‐ Ampia distribuzione delle lesioni, con riscontro di ferite, oltre che al collo, anche in altri distretti
corporei, specie se in regioni difficilmente autoaggredibili
‐ Presenza di ferite da difesa
Depongono per un’evenienza suicidiaria:
‐ Presenza delle cdt “ferite di prova”
‐ Assenza di ferite da difesa
‐ Concentrazione delle lesioni
‐ Andamento parallelo delle stesse
Ferite da sventramento
Sono prodotte dal filo di un rasoio o di una lama ricurva (sciabola), come nel karakiri, in cui si
determina, a scopo suicida, un largo squarcio nella parete addominale, con fuoriuscita dei visceri.
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3. Ferite da fendente
Sono provocate da strumenti taglienti, dotati di lama pesante (come scuri e mannaie) che agiscono con
un meccanismo combinato, recidente e contundente.
Possono assumere un aspetto:
‐ lineare, quando il mezzo incontra perpendicolarmente il piano cutaneo
‐ a lembo, quando il mezzo vulnerante è impiegato tangenzialmente al piano cutaneo
‐ mutilante, quanto il mezzo vulnerante provoca il distacco di arti, singole dita, parti corporee
sporgenti.
Rara è la formazione di codette.
4. Ferite da punta e taglio
Consistono in soluzioni di continuo della cute e dei tessuti sottostanti dovute a strumenti dotati di
un’estremità acuminata e di almeno un filo tagliente. Tali strumenti possono essere tipici (spade,
pugnali, coltelli da cucina) o atipici (schegge di vetro, frammenti ossei appuntiti e taglienti, forbici).
La ferita si determina per la contemporanea azione penetrante, della punta e recidente, del filo
tagliente.
Le caratteristiche morfologiche principali sono:
1. Nettezza e regolarità dei margini (a meno che la lama non abbia una superficie irregolare)
2. Divaricazione degli stessi, per retrazione dei tessuti
3. Prevalenza della profondità rispetto alla lunghezza
La lunghezza della ferita equivale pressappoco alla larghezza della porzione di lama penetrata se quest’ultima
entra ed esce dalla cute senza che si produca alcuno spostamento lungo l’asse di penetrazione.
Tuttavia, più frequentemente, accade che, nell’estrazione, la lama venga spostata, facendosi strada dal lato
del taglio ed estendendo la ferita in quella direzione. In questo caso, pertanto, la lunghezza della ferita supera
la larghezza della lama.
4. Presenza di un’estremità acuta, corrispondente al filo tagliente della lama e di un’estremità ottusa,
corrispondente al dorso della stessa, se la lama è monotagliente, con la ferita che assume la forme
di un triangolo isoscele allungato.
Se la lama è bitagliente, invece, entrambe le estremità sono ad angolo acuto, con la ferita che
assume una forma ad asola.
Le estremità della ferita mancano di codette, se il filo agisce sulla cute perpendicolarmente.
Se un’estremità della ferita mostra una codetta, è segno che lama è emersa obliquamente rispetto
alla superficie cutanea da quell’estremità.
Siccome, nell’uscire, la lama viene spesso ruotata rispetto alla posizione d’entrata, ne consegue che
lungo uno dei margini della ferita può manifestarsi un’incisura laterale. Questa incisura laterale, anche
nota come “intaccatura complementare a codetta”, è di solito prossima ad una delle estremità della
ferita ed indica da che lato si trovava il filo della lama (nei casi di lama monotagliente).
L’incisura laterale consente, inoltre, di stabilire se la mano che impugnava l’arma era la destra o la
sinistra, poiché la rotazione della lama – da cui dipende la sua comparsa – avviene sempre nel senso della
flessione della mano, per prevalenza dei muscoli flessori sugli estensori, all’atto dell’estrazione della
lama.
Se l’arma era afferrata come si tengono i pugnali – in modo, cioè, da sporgere dalla parte del mignolo –,
una rotazione oraria depone per l’uso della mano sinistra; una rotazione antioraria, per l’uso della
destra.
Il contrario avviene se l’arma era impugnata come una spada, in modo, cioè, da sporgere dalla parte del
pollice.
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Il tramite è per lo più a fondo cieco, rettilineo, con pareti nette e regolari, in quanto non rispetta le
linee di fendibilità dei tessuti: lo strumento da punta e taglio, infatti, non divarica ma recide.
Per tale motivo, a differenza delle lesioni da punta, la direzione del tramite rispecchia piuttosto
fedelmente l’angolo di penetrazione dell’arma nei tessuti.
La lunghezza del tramite non corrisponde quasi mai all’asse maggiore della lama: è più lungo, se la
parte colpita è cedevole; più corto, se l’arma incontra una resistenza ossea, dove si possono formare
intaccature a stampo.
L’eventuale lesione di uscita, nel caso di ferite trapassanti, è in genere di dimensioni minori rispetto a
quella di ingresso, perché prodotta dall’estremità distale dello strumento.
Ferite da punta e taglio con morfologia peculiare sono quelle prodotte da forbici.
‐ Se le branche dello strumento, al momento dell’infissione, risultano chiuse, si genera una soluzione
di continuo a forma di losanga, seguita da un tramite unico.
‐ Se le branche sono aperte, invece, lo strumento determina una coppia di soluzioni di continuo
triangolari e simmetriche che si continuano in due tramiti divergenti.
Lesioni da punta e taglio si osservano con maggiore frequenza in occasione di omicidi ed accidenti.
Più raramente vengono auto‐inferte a scopo suicida.
Depongono per una dinamica omicidiaria:
‐ Ampia distribuzione delle lesioni, con riscontro di ferite, oltre che al collo, anche in altri distretti
corporei, specie se in regioni difficilmente autoaggredibili
‐ Presenza di ferite da difesa
Si producono sul palmo della mano della vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione.
Peculiari ferite da difesa sono quelle “a lembo” – caratterizzate, cioè, da un margine libero
fluttuante – che si formano qualora la vittima cerchi di afferrare l’arma dell’aggressore.
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale tra lesioni in vita e post‐mortali, segni di vitalità della
lesione sono:
‐ Infiltrazione emorragica dei margini
‐ Retrazione degli stessi
‐ Presenza di un tappo emostatico all’esame istologico
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LESIONI DA ARMA DA FUOCO
Le armi da fuoco sono congegni meccanici capaci di lanciare a distanza proiettili, grazie all’energia
sviluppata dall’espansione dei gas che si generano per la combustione di miscugli esplosivi.
Raggiunto il corpo umano, il proiettile vi esercita un’azione contundente (azione di martello), percuotendo
ed introflettendo la cute; quindi la divarica, con un’azione di cuneo.
Può aggiungersi un effetto di scoppio qualora l’energia posseduta dall’agente balistico venga ceduta in
quantità elevata al bersaglio.
FERITE D’ARMA DA FUOCO A PROIETTILE SINGOLO
Consistono in soluzioni di continuo dei tessuti distinguibili in:
Ferite penetranti
Possono essere:
‐ A fondo cieco, in cui si osservano un foro di entrata ed un tramite incompleto, con ritenzione del
proiettile.
‐ Trapassanti o trasfosse, in cui la ferita è costituita da un foro d’entrata, un tramite completo ed un foro
d’uscita.
Il termine trasfosse andrebbe riservato a quelle ferite trapassanti che attraversano una fossa naturale
dell’organismo (come la fossa cranica).
‐ A setone, in cui si osservano un foro d’entrata, un tramite corto ed un foro d’uscita. Differiscono dalle
altre poiché il tramite consiste in un breve percorso che il proiettile scava nel tessuto sottocutaneo.
Ferite non penetranti
Sono anche definite
‐ A doccia o a semicanale
Si producono allorché i proiettili colpiscano la cute in corrispondenza di una superficie curva, “di
striscio”, scavando una sorta di canale, senza penetrare al di sotto dei tegumenti.
CARATTERISTICHE DEL FORO D’ENTRATA
Variano in rapporto alla distanza dalla quale è stato esploso il colpo.
Bisogna pertanto distinguere tra:
1) Colpi da lontano
Il proiettile perfora la cute e produce una ferita di forma circolare o ovalare, con margini finemente
sfrangiati, talora visibilmente introflessi.
La soluzione di continuo vera e propria è circondata da un cercine o orletto di escoriazione.
L’orletto di escoriazione ha dimensioni di alcuni mm e colore rosso scuro. Si determina per l’azione del
proiettile che, prima di perforare la cute, la infossa “a dito di guanto”, creando un cono di depressione,
all’interno del quale escoria tutte le porzioni di tessuto stirato ma perfora solo l’apice del cono.
Il cercine sarà concentrico, se il proiettile colpisce la cute in direzione perpendicolare, eccentrico, se la
direzione è obliqua. In quest’ultimo caso, risulta più esteso dal lato di provenienza.
Intorno al foro d’entrata del proiettile, si può evidenziare anche il cosiddetto orletto di detersione.
Esso consiste in un alone untuoso, di colore nerastro, costituito dal materiale grassoso che il proiettile
raccoglie nel passaggio attraverso la canna dell’arma e deposita sul bersaglio.
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Si osserva bene sugli indumenti ma è generalmente poco apprezzabile intorno alla ferita, perché
mascherato dall’orletto di escoriazione.
La sua presenza, inoltre, è incostante perché le moderne cariche di lancio sporcano di meno.
Può essere messo in evidenza e differenziato dall’orletto di escoriazione lavando, per almeno 12 ore in acqua
fredda, il frammento cutaneo comprendente la ferita. In tal modo, si asporta l’infiltrazione emorragica che
circonda la lesione potendo osservare l’orletto di detersione sotto forma di un anello nerastro grassoso che risulta
insolubile in acqua.
La conferma può essere ricercata istologicamente mediante idonee colorazioni per i lipidi (Sudan III)
2) Colpi da vicino ed a contatto
Sono quelli esplosi nell’arco di 40‐50 cm.
Possono essere schematizzati in tre classi:
1. Colpi a contatto
2. Colpi a bruciapelo
3. Colpi in vicinanza
Colpi a contatto
Sono quelli sparati da un’arma in diretto contatto con la cute.
In tale circostanza, il foro di entrata mostra:
Dimensioni superiori al calibro del proiettile
Aspetto irregolare e frastagliato, con discontinuazione secondaria dei margini, che conferiscono alla
ferita una forma stellare.
Quando infatti la bocca dell’arma è applicata sulla cute al momento dello sparo, i gas che escono
dalla canna a forte pressione, penetrano con il proiettile e si espandono nel sottocutaneo. Ciò
comporta lo scollamento della cute in prossimità della ferita, che risulta interessata da fenditure a
raggiera.
Intorno al foro d’entrata, inoltre, si apprezza, non solo l’orletto di escoriazione, ma anche l’impronta a
stampo, totale o parziale, della bocca dell’arma o di parti prossime ad essa.
Caratteristico è lo stampo prodotto dall’asta di guida dell’otturatore rinculante posta sotto la canna di molte
pistole semiautomatiche (segno di Werkgartner).
Se il contatto è completo mancano gli effetti secondari della carica di lancio, come l’affumicatura ed il
tatuaggio, peraltro riscontrabili nella porzione iniziale del tramite.
Se, invece, il contatto è angolare sarà possibile osservare:
‐ Impronta parziale dell’arma
‐ Cono affumicato, con vertice prossimale e base distale, dove i gas, anziché insinuarsi all’interno
della ferita, urtano la cute, formando un’area contusa, giallo‐bruna, di consistenza pergamenacea.
Colpi a bruciapelo
Sono così definiti in quanto la distanza di sparo è tale da consentire il manifestarsi di effetti di ustione.
In questo caso, il foro d’entrata appare netto ed intorno ad esso si riscontrano, procedendo dall’interno
verso l’esterno:
1) Orletto di escoriazione
2) Eventuale orletto di detersione (se non sono frapposti indumenti)
3) Alone denso, irregolarmente circolare, che può raggiungere anche le dimensioni di alcuni cm, in cui
si apprezzano i cdt “effetti secondari dello sparo”.
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Gli effetti secondari dello sparo includono:
‐ Fenomeni di affumicatura
Dipendono dal deposito, intorno al foro d’entrata, di residui solidi combusti della carica di
lancio e sono asportabili mediante lavaggio.
‐ Tatuaggio
È prodotto da granuli incombusti della carica di lancio che si infiggono nella cute intorno alla
ferita. La colorazione è persistente e non scompare con il lavaggio.
‐ Ustione
È dovuta all’azione di fiamma che può esprimersi mediante la bruciatura di formazioni pilifere.
‐ Fenomeni di contusione del gas
Si caratterizzano per presenza di un’area contusa, giallo‐bruna, intorno al foro di entrata,
causata dalla colonna dei gas che escono a forte pressione dalla canna.
N.B. se la cute è rivestita da indumenti, l’affumicatura, il tatuaggio e l’azione di fiamma vanno
ricercati su questi ultimi.
Gli effetti secondari dello sparo sono osservabili tutti insieme fino a distanze di 5‐10 cm, per armi
caricate con polveri nere; fino a distanze di 5‐6 cm, per armi caricate con polveri infumi.
Colpi in vicinanza
Sono caratterizzati dall’assenza dell’azione di fiamma (ustione) e dal fatto che l’affumicatura, i
fenomeni di contusione dei gas ed il tatuaggio risultano più estesi, sebbene più sfumati.
Entro 15 cm, il tatuaggio, l’affumicatura e l’alone di contusione coesistono.
Tra i 15 ed i 40‐50 cm è apprezzabile solo il tatuaggio.
CARATTERI DEL TRAMITE
Il tramite è rappresentato dal tragitto che il proiettile compie nel bersaglio a causa della forza viva
posseduta.
Può essere:
‐ A fondo cieco, con proiettile ritenuto nel fondo
‐ Completo, comunicante con il foro d’uscita
Esso si presenta come un canale scavato nello spessore dei tessuti, delimitato da pareti anfrattuose ed
infiltrate di sangue.
Il canale è virtuale all’interno del tessuto muscolare, reale a livello degli organi parenchimatosi e,
soprattutto, delle ossa.
Nelle ossa, il tramite assume un aspetto tipicamente imbutiforme, slargandosi verso l’uscita. Tale
fenomeno, ben osservabile a livello delle ossa piatte (come quelle del cranio), è di grande importanza per
stabilire la direzione del colpo, soprattutto nei casi in cui i reperti cutanei siano alterati.
Il tramite assume particolari connotazioni qualora prodotto da proiettili ad alta velocità.
In questi casi, la penetrazione attraverso i tessuti, determina, non solo, effetti di distruzione diretti, ma
anche lesioni secondarie, dipendenti dalla cessione di elevate quantità di energia ai tessuti stessi.
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Dal punto di vista morfologico, il tramite in questione presenterà una zona centrale di distruzione tissutale
(tubo di necrosi) ed una zona periferica (manicotto di devitalizzazione), in cui si esprimono gli effetti
traumatici dovuti alla dispersione di energia: fratture di ossa non direttamente colpite dal proiettile,
scoppio di organi cavi ripieni di liquido e raggiunti dall’onda d’urto.
CARATTERI DEL FORO D’USCITA
Il foro di uscita NON va differenziato dal foro di entrata per forma e dimensioni, che sono variabili, ma per:
1. Elementi di carattere negativo
‐ Assenza dell’orletto di escoriazione e degli effetti secondari della carica di lancio
Va detto, comunque, che talora sono rilevabili fenomeni contusivi intorno al foro di uscita, simulanti la
presenza di un orletto di escoriazione. Ciò si verifica quando, all’uscita, il proiettile incontra una resistenza
esterna (cintura, parete, pavimento).
In particolari condizioni, inoltre, si possono osservare fenomeni di affumicatura in uscita. Si tratta di casi nei
quali il fumo, penetrato in un tramite corto, fuoriuscendo all’esterno, viene trattenuto dagli indumenti e si
deposita sulla cute, intorno al foro di uscita.
2. Estroflessione dei margini
Nei casi di DD difficoltosa tra foro d’entrata e foro d’uscita, si procede alla ricerca di tracce di polvere da
sparo – indicative di foro d’entrata – in corrispondenza della lesione o degli indumenti.
La ricerca può essere effettuata mediante:
‐ Reagenti chimici per nitriti e nitrati
‐ Metodiche che consentano la dimostrazione dei contenuti dei moderni inneschi (piombo, antimonio e
bario). Tali metodiche si avvalgono di microscopio elettronico a scansione + microanalisi (SEM‐EDX).
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FERITE D’ARMA DA FUOCO A PROIETTILI MULTIPLI
Tipicamente consistono nelle lesioni prodotte dai comuni fucili da caccia.
Un cartuccia da caccia, infatti, contiene numerosi pallini che escono dalla canna, ammassati “a palla”.
Dopo circa 1‐2 m di traiettoria, i pallini si distanziano, formando la rosata, che va sempre più allargandosi,
fino a raggiungere la massima estensione (cono diretto).
A questo punto, la rosata si restringe, perché perde progressivamente i pallini periferici, che non hanno
sufficiente energia per raggiungere il bersaglio, con conseguente riduzione della superficie colpita (cono
inverso).
Si possono pertanto osservare diverse tipologie di lesioni:
1. Breccia unica, con margini festonati, prodotta dai pallini ancora ammassati
2. Breccia centrale, contornata da ferite puntiformi, quando è appena iniziata la formazione della rosata
3. Ferite multiple a rosata, osservabili quando i pallini sono totalmente discostati tra loro.
La forma della rosata è circolare, se il colpo viene esploso perpendicolarmente al bersaglio; ovalare o allungata, se
il tiro è obliquo.
Le distanze alle quali sono rilevabili tali quadri lesivi variano a seconda dell’arma e della carica.
Considerando canne di calibro 12, caricate con pallini di medio diametro (2,3‐2,5 mm),
‐ fino ad 1‐1,5 m, la breccia risulta unica
‐ a 5 m, diviene visibile una rosata di 15‐20 cm di diametro
‐ a 10 m, una rosata di 30‐40 cm
‐ a 20 m, di 50‐70 cm
‐ a 30 m, di 80‐100 cm
Se si impiegano pallettoni (il cui diametro è di 5 mm), alle medesime distanze le dimensioni della rosata si riducono di
circa la metà.
È inoltre possibile apprezzare:
‐ Nei colpi esplosi a contatto, l’impronta del piano di volata e, talora, della doppia canna
‐ Nei colpi esplosi da vicino (specie se con polveri nere), effetti secondari della carica di lancio, in
particolare:
Ustione e contusione dei gas, fino a 5‐10 cm
Affumicatura, fino a 50 cm‐1 m
Tatuaggio, fino a 1‐1,5 m
N.B. colpi esplosi da vicino anche la borra (stoppaccio di materiale feltroso frapposto fra la carica esplosiva e
la pallottola) ed eventualmente il cartoncino possono penetrare nella breccia ed essere rinvenuti al suo
interno, fornendo indicazioni utili sul tipo di cartuccia.
Raro è il riscontro di fori di uscita, poiché la forza viva posseduta dal singolo agente balistico è tale da
esaurirsi all’interno dei tessuti colpiti.
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Nel caso di lesioni da arma da fuoco, la dd tra omicidio, suicidio ed accidente, si basa su di una valutazione
complessiva degli elementi di indagine, che sono di natura biologica e circostanziale.
Elementi utili ai fini della dd, sono:
1. Sede della ferita
2. Distanza da cui è stato esploso il colpo
3. Direzione del proiettile
4. Numero dei colpi
5. Eventuale denudamento della parte colpita
6. Rinvenimento dell’arma nell’ambiente
7. Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima
8. Presenza di tracce di polvere da sparo sulla mano della vittima, ricercate mediante il metodo
tradizionale del guanto di paraffina o con l’impiego di un apposito tampone adesivo (“stub”)
Sede della ferita
Il suicida predilige regioni che garantiscano un decesso sicuro e rapido, quali regioni laterali del capo e
precordio.
Lesioni a carico di distretti non auto‐aggredibili ed arti superiori, invece, depongono per omicidio.
Distanza da cui è stato esploso il colpo
È deducibile in base ai caratteri del foro di entrata.
Nel suicidio, la distanza è breve, in quanto non può superare la lunghezza del braccio. Pertanto, i caratteri
del foro d’entrata, sono quelli del colpo a contatto o a bruciapelo.
Direzione del proiettile
È deducibile valutando:
‐ Posizione del foro d’entrata e di quello di uscita
‐ Caratteristiche del tramite che, ad esempio, nelle ossa piatte, assume un tipico aspetto imbutiforme,
slargandosi verso l’uscita
Nel suicidio, presumendo che il soggetto sia destrimane e che prescelga la regione laterale dx del capo, la
traiettoria intracranica del proiettile sarà diretta da dx verso sin, dal basso verso l’alto e dall’avanti
all’indietro.
Per quanto riguarda i colpi esplosi nella cavità orale, in caso di suicidio, il tramite sarà obliquo dall’avanti
all’indietro e dal basso verso l’alto; in caso di omicidio e di accidente, invece, il tramite sarà orizzontale.
Numero dei colpi
Non rappresenta un elemento diagnostico differenziale decisivo, sebbene la molteplicità dei fori di ingresso
deponga, in genere, per omicidio, soprattutto se le ferite interessano anche gli arti superiori (lesioni da
difesa) e regioni non auto‐aggredibili.
Il suicidio solitamente avviene mediante un colpo unico ma si possono osservare anche casi suicidiari in cui
sono stati esplosi più colpi. In tali circostanze, comunque, i colpi vengono sparati tutti da vicino,
generalmente nella stesse sede e per ledere organi vitali.
Denudamento della parte colpita
Rinvenimento dell’arma nell’ambiente Suggeriscono una dinamica
Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima suicidiaria
Affumicatura del dorso della mano della vittima
Ulteriore elemento indicativo di suicidio, apprezzabile sulla mano della vittima:
‐ Segno di Felc
Piccola lesione lineare escoriata in corrispondenza del solco interdigitale, tra pollice ed indice, che può
formarsi per il pizzicamento della cute tra il carrello ed il corpo di un’arma automatica.
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GRANDI TRAUMATISMI
Sono eventi traumatici caratterizzati da gravità, molteplicità, multiformità e multipolarità delle lesioni
corporee.
Nell’ambito dei grandi traumatismi rientrano:
1. INCIDENTI DEL TRAFFICO STRADALE
Comprendono ogni evento sfavorevole derivante dal movimento di mezzi su strada, tra cui:
A) Investimento di pedone
Può essere tipico o atipico
Per investimento tipico s’intende il complesso delle lesioni contusive direttamente o indirettamente
esercitate su di una persona da un veicolo in movimento.
Si definisce investimento atipico, l’urto del corpo in movimento contro un veicolo fermo.
Investimento tipico
La dinamica dell’investimento tipico può essere schematizzata in cinque fasi successive:
1. Urto, momento del contatto tra veicolo e corpo umano
2. Proiezione ed abbattimento al suolo del corpo urtato, che può avvenire anteriormente o
lateralmente al veicolo
3. Propulsione, per l’azione di spinta in avanti che il veicolo esercita sul corpo abbattuto al suolo
4. Arrotamento o sormontamento, in cui il veicolo transita con le ruote sul corpo steso al suolo
5. Trascinamento, che può avvenire quando il corpo rimane impigliato in parti sporgenti del
veicolo
1. Nella fase dell’urto, predominano lesione dirette, in particolare fratture del bacino e degli arti
inferiori. Possibili sono anche lesioni “a stampo”, come l’impronta del paraurti.
2. Nella fase di proiezione, predominano lesioni indirette da caduta: escoriazioni, ferite lacero‐
contuse del cuoio capelluto, fratture craniche.
3. Nella fase di propulsione, si verificano ferite lacere e lacero‐contuse, con ampi scollamenti dei
margini, poiché la cute è sottoposta a fenomeni di trazione tra suolo e ruote.
4. Nella fase di arrotamento, si verificano: escoriazioni ed ecchimosi figurate – che riproducono il
disegno degli pneumatici – e lesioni da schiacciamento, tra cui fratture pluriframmentarie e
spappolamento di organi interni.
5. Nella fase di trascinamento, si possono realizzare ampie discontinuazioni cutanee, con
esposizione di piani muscolari ed ossei.
Talora, se il corpo viene urtato al di sotto del baricentro, da un veicolo che ha un frontale basso,
anziché abbattersi in avanti, può essere proiettato sul cofano o sul parabrezza (caricamento).
In tal caso, si osservano soprattutto lesioni contusive del capo e del collo.
Nel caso del ritrovamento del cadavere di una persona investita, è importante stabilire se
l’investimento sia avvenuto in vita oppure in morte.
Se l’investimento è avvenuto in vita, le lesioni prodotte dal veicolo avranno carattere vitale.
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Se l’investimento è invece avvenuto in morte (caso di persona uccisa e poi esposta all’investimento
di un veicolo o di persona morta su strada per malore improvviso e poi investita), le lesioni
attribuibili all’arrotamento – unica fase osservata dato che il corpo si trova già disteso al suolo –
avranno caratteristiche non vitali.
Può capitare, inoltre, che l’investimento interessi una persona poco prima vittima di un incidente
stradale (caso ad esempio di un motociclista caduto e rimasto esanime sull’asfalto).
In tale circostanza, è possibile distinguere quale dei due incidenti sia stato mortale, qualora si rilevi
il carattere vitale delle lesioni da caduta, tipiche del primo incidente ed il carattere non vitale, delle
lesioni da sormontamento, tipiche del secondo.
La diagnosi differenziale risulta impossibile qualora i due incidenti abbiano provocato lesioni dello
stesso tipo.
B) Lesioni degli occupanti di un autoveicolo
Sono dovute ad urti contro le strutture interne dell’abitacolo o a fattori di decelerazione.
Il conducente dell’automezzo, specie in caso di scontro frontale, presenta elettivo interessamento
del torace e del capo, per urto contro il volante ed il parabrezza.
Il passeggero anteriore, spesso va incontro a lesioni cranio‐facciali, per impatto contro il
parabrezza.
Talora, in caso di notevole decelerazione a cosce flesse e gambe estese, si realizza una lussazione
bilaterale dell’anca.
I passeggeri posteriori, possono presentare lesioni del volto, per urto contro gli schienali dei sedili
anteriori; lussazione dei gomiti, per trasmissione di energia agli arti superiori protesi in avanti a
protezione.
Particolare interesse medico‐legale assumono i traumi indiretti del rachide cervicale (da “colpo di
frusta”).
Questi traumi interessano gli occupanti di una vettura che subisce un urto improvviso da tergo. In
tale circostanza, il capo, per inerzia, si sposta violentemente all’indietro e poi rimbalza in avanti.
N.B. Una sorta di colpo di frusta alla rovescia accade anche nelle persone che occupano la vettura investitrice.
In questo caso, tuttavia, vi è prima l’iperflessione e poi, per rimbalzo, l’estensione.
I traumi indiretti del rachide cervicale, da colpo di frusta, possono produrre gravi conseguenze
quali: lussazioni, fratture cervicali, rotture del legamento cervicale posteriore, danni midollari.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le lesioni consistono in distorsioni muscolari e legamentose di
scarsa entità, che si risolvono favorevolmente dopo alcuni giorni.
Comunque, la probabilità che un tamponamento produca un traumatismo cervicale importante
negli occupanti del veicolo tamponato è tanto più alta quanto maggiore è la massa del veicolo
tamponante rispetto al primo.
N.B. Le lesioni da colpo di frusta sono risarcite solo se la loro esistenza viene visivamente o
strumentalmente accertata nel corso di una visita medico‐legale.
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2. PRECIPITAZIONE
Consiste nel passaggio di un corpo, privo di appoggio, da un piano superiore ad uno inferiore, per
l’azione della forza di gravità o di un’eventuale altra forza che ad essa può aggiungersi.
Va distinta dalla caduta, in cui il corpo urta ugualmente il suolo, ma a partire da una posizione nella
quale mantiene un contatto con il suolo stesso.
La precipitazione può verificarsi da:
‐ Piccola o media altezza (non superiore a 10 metri)
‐ Grande altezza (superiore a 10 metri)
Meccanismi lesivi:
1. Urto del corpo contro il piano di arresto
2. Repentina decelerazione subita dal corpo, che interviene soprattutto nelle precipitazioni da grande
altezza. In tal caso, l’arresto del corpo nella sede di impatto non si accompagna all’arresto
simultaneo di tutti gli organi interni, che proseguono, per inerzia, il loro movimento, potendo
subire lacerazioni o rotture a livello degli apparati di sostegno.
Qualora la precipitazione avvenga da centinaia o migliaia di metri, è presente anche una lesività da
decompressione, dovuta ad una minore solubilità ematica dell’azoto, con fenomeni di aeroembolismo.
N.B. Un corpo che precipiti da un’altezza superiore a quella atmosferica, inoltre, quando entra in
atmosfera, brucia. Ciò dipende dalle temperature elevate che si sviluppano per l’attrito con le
particelle che compongono l’atmosfera. L’attrito, infatti, comporta la dispersione dell’energia cinetica
in calore.
Le conseguenze traumatiche della precipitazione sono condizionate da:
‐ Rigidità del piano di arresto (un piano d’arresto elastico, infatti, minimizza gli effetti lesivi)
‐ Energia cinetica che il corpo acquista in funzione di massa e velocità; Ec = massa x v2/2
velocità, a sua volta, in rapporto di proporzionalità diretta con v = √h x 2 g
l’altezza dalla quale avviene la precipitazione e con l’accelerazione p = massa x g
gravitazionale.
Al momento dell'impatto, infatti, l’energia cinetica si trasforma in forza meccanica che,
sommandosi al peso, incrementa il danno.
Tipica è la sproporzione tra l’entità delle lesioni esterne e quella delle lesioni interne, soprattutto
quando la superfice d’urto è pianeggiante e non presenta asperità.
Le lesioni cutanee, infatti, sono relativamente scarse e di solito consistono in:
‐ Ferite lacere‐contuse, da urto diretto o da esposizione di monconi ossei
‐ Escoriazioni, da strisciamento contro pareti, durante la caduta
Le lesioni scheletriche più caratteristiche sono:
‐ Fratture craniche “a mappamondo”, da urto del cranico contro una superficie estesa, come il suolo.
Sono costituite da linee che si dipartono “a raggiera” dal punto di impatto – fratture meridianiche –
e da uno o più anelli di linee ad esso concentriche – fratture equatoriali.
‐ Frattura indiretta “ad anello” della base cranica, per caduta sulle natiche.
‐ Sfondamento dell’acetabolo da parte della testa del femore, per trasmissione di un urto a carico dei
piedi.
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Possibile è inoltre il riscontro di fratture da strappamento, dovute ad una violenta contrazione dei
muscoli, durante la precipitazione, con distacco osseo, per lo più parcellare, in corrispondenza delle
loro inserzioni.
Questo tipo di frattura è indicativo di una precipitazione in stato cosciente, perché, solo se lo stato di
coscienza è conservato, la contrazione muscolare può essere cosi violenta.
A carico dei visceri, si notano rotture parenchimali e strappi dei legamenti di sostegno.
Ciò accade per:
‐ Urto diretto, caso dello scoppio del cuore da impatto sul torace
‐ Azione di stiramento, dato che, al momento della collisione, sebbene il corpo subisca un arresto
improvviso (decelerazione), i singoli organi interni continuano, per inerzia, il moto nella direzione
della caduta. In tal modo, possono verificarsi:
Distacco del cuore, dai grossi vasi
Distacco dei polmoni, dall’ilo
Rottura da flessione della superficie del fegato e stravasi sanguigni nei suoi legamenti
sospensori
La DD deve essere principalmente posta con l’investimento.
La scarsità delle lesioni cutanee e la concentrazione di quelle più gravi in un punto depongono per la
precipitazione.
Talvolta, però, nella caduta, il corpo incontra ostacoli che producono lesioni. In questo caso, per la DD,
occorre valutare il senso delle escoriazioni e compiere una minuziosa indagine sul luogo della presunta
caduta.
Le precipitazioni avvengono, in genere, per suicidio o accidente.
L’omicidio (defenestrazione) è molto raro e difficilmente l’esame necroscopico può fornire elementi
decisivi per dare corpo all’ipotesi delittuosa, salvo che non si rinvengano segni di colluttazione ed in
generale di violenza.
Meno difficoltosa è la diagnosi di proiezione di cadavere, in cui saranno osservabili:
‐ Carattere non vitale delle lesioni
‐ Presenza di modalità di offesa alternative
3. SCHIACCIAMENTO
Consiste nella compressione del corpo tra una forza di pressione ed un piano fisso
Si parla di schiacciamento propriamente detto, quando il corpo rimane compresso tra un piano
orizzontale ed una forza che agisce dall’alto (caso di crolli di edifici, compressione da parte di macchine
industriali).
Nel tamponamento, invece, il corpo è compresso contro un piano verticale (tipico infortunio dei
ferrovieri).
Nel seppellimento, il corpo rimane interrato da cumuli di terra o di pietrisco, a seguito di frane e
smottamenti.
Se il seppellimento è completo, al fattore traumatico, di tipo meccanico, si possono aggiungere
fenomeni asfittici.
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4. ESPLOSIONE
Consiste in una violenta e repentina espansione di gas o di fluidi, che induce un brusco aumento di
pressione nell’ambiente circostante, con trasmissione di onde d’urto e creazione di uno spostamento
d’aria, denominato “vento di scoppio”.
L’azione esplodente può verificarsi per deflagrazione o per detonazione.
Nella deflagrazione, la combustione è graduale, con progressiva elevazione della pressione.
Nella detonazione, la combustione è quasi istantanea e si accompagna alla propagazione di una
vibrazione – “onda esplosiva” – responsabile degli effetti meccanici sull’ambiente circostante.
Gli effetti lesivi dipendono, non solo, dalle caratteristiche intrinseche dell’esplosione, ma anche
dall’ambiente in cui si verifica.
In ambienti chiusi, i danni sono maggiori, perché la dispersione di energia è inefficace. L’onda d’urto,
infatti, incontrando un maggior numero di ostacoli, si riflette, dando luogo a punti in cui l’onda di
propagazione e quella di riflessione si uniscono, con moltiplicazione degli effetti ed aumento della
capacità di distruzione (effetto Mach).
I maggiori danni per l’organismo riguardano i tessuti disomogenei, ossia caratterizzati da variazioni di
densità all’interno della loro struttura, come i polmoni, a carico dei quali si osservano: emorragie sotto‐
pleuriche o intrapolmonari ed emo‐pneumotorace.
Anche l’apparato gastroenterico risulta particolarmente esposto, con possibilità di emorragie
sottosierose e discontinuazione delle pareti dello stomaco e dell’intestino.
Frequenti, inoltre, sono lesioni uditive (rotture della membrana timpanica), oculari (distacco della
retina), commozioni e contusioni cerebrali.
Le lesioni cutanee dipendono, non solo, dall’onda d’urto, ma anche dalla proiezione di oggetti solidi che
essa provoca.
Agli effetti meccanici possono, infine, aggiungersi:
‐ Effetti termici, dipendenti dalla combustione delle miscele esplosive
‐ Effetti tossici, derivanti dai fumi venefici che si sviluppano per gli incendi
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LESIONI DA ENERGIA ELETTRICA
Quelle da energia elettrica di uso industriale o domestico vengono indicate con i termini di folgorazione o
elettrocuzione.
In riferimento alle lesioni da elettricità atmosferica, si preferisce parlare di fulminazione.
Gli effetti lesivi delle correnti elettriche dipendono da una serie di variabili, quali:
1. Caratteristiche della corrente, in particolare tipo, voltaggio, intensità e durata
2. Fattori propri del conduttore, in particolare resistenza al passaggio della corrente
3. Tipo di contatto (mono o bipolare)
Relativamente al tipo di corrente – continua o alternata – le più pericolose sono le correnti alternate,
specie se di frequenza compresa fra i 30 ed i 60 Hertz, che sono poi quelle impiegate in ambito industriale e
domestico.
Le correnti alternate, infatti, inducono contrazioni tetaniche muscolari che impediscono alla vittima di
staccarsi dalla sorgente di elettricità, aumentando, quindi, la quantità di corrente assorbita.
Inoltre, la ciclicità della corrente alternata incrementa la probabilità che essa giunga al miocardio durante il
periodo vulnerabile (ripolarizzazione dei ventricoli), scatenando una fibrillazione ventricolare.
Considerando l’intensità della corrente (Ampere, A) che circola in un conduttore (come può essere inteso il
corpo umano), secondo la Legge di Ohm, essa è tanto più alta, quanto maggiore è la differenza di
potenziale applicata agli estremi del conduttore (voltaggio, V) e quanto minore è la sua resistenza (R).
I = V/R
La resistenza che il corpo umano offre al passaggio della corrente elettrica varia tra i diversi tessuti, in
rapporto al loro contenuto d’acqua.
La cute, specialmente nelle aree in cui è più spesso lo strato corneo e sono meno numerose le ghiandole
sudoripare, offre la resistenza maggiore, rispetto a tutti gli altri tessuti, proprio per lo scarso contenuto di
acqua.
Tuttavia se il corpo è sudato o bagnato o se sono presenti soluzioni di continuo, la resistenza si riduce
notevolmente è l’intensità della corrente che lo attraversa è più elevata.
Per quanto riguarda il tipo di contatto, quest ultimo può essere:
‐ Unipolare, se il corpo stabilisce un corto circuito tra un conduttore di corrente elettrica e la terra.
In tale circostanza, la corrente, dopo il passaggio attraverso il corpo, si scarica al suolo.
‐ Bipolare, se il corpo stabilisce un corto circuito tra 2 conduttori.
In tale circostanza, la corrente circola continuamente attraverso il corpo.
N.B. Dal tipo di contatto, dipendono le linee di attraversamento del corpo e, quindi, gli organi che la
corrente elettrica incontra e su cui produce i suoi effetti lesivi.
Il contatto bipolare mano‐mano o mano‐piede, soprattutto mano sinistra‐piede destro, è quello più
pericoloso in quanto il passaggio della corrente elettrica interessa il cuore, potendo provocare una
fibrillazione ventricolare.
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MECCANISMI LESIVI DELLA CORRENTE ELETTRICA
Le lesioni prodotte dalla corrente elettrica sono essenzialmente dovute a:
‐ Fenomeni elettrotermici (effetto Joule ed arco elettrovoltaico)
‐ Polarizzazione elettrolitica
‐ Azione elettro‐meccanica
Fenomeni elettrotermici
Effetto Joule
Consiste nel fatto che l’elettricità, attraversando il corpo, produce calore, proporzionalmente alla resistenza
incontrata, all’intensità della corrente ed al tempo di contatto.
Arco elettrovoltaico
Si forma a causa della ionizzazione dell’aria interposta tra un conduttore ad alta tensione e la cute, con
produzione di fiamma. Ciò determina ustioni estese e profonde, con perdita di sostanza e zone di
carbonizzazione tissutale.
Polarizzazione elettrolitica
È causata dai campi elettrici che si creano nell’organismo al passaggio della corrente.
Tale fenomeno induce:
‐ Alterazione dei potenziali delle membrane cellulari con più severe ripercussioni sui tessuti eccitabili
‐ Denaturazione delle proteine ad alto PM
Azione elettro‐meccanica
Consiste nella cessione, ai tessuti corporei attraversati, dell’energia cinetica degli elettroni.
EFFETTI SULL’ORGANISMO UMANO
Considerando le correnti alternate,
Intensità Effetto
0,9‐1,2 mA Formicolio al punto di contatto
5‐15 mA Contratture muscolari deboli con il soggetto che è ancora
in grado di controllare i movimenti e di abbandonare la
presa del conduttore
15‐20 mA Contratture muscolari intense, con il soggetto che non
riesce a mollare la sorgente della corrente elettrica se la
sta stringendo
25‐80 mA Tetanizzazione prolungata dei muscoli respiratori, con
asfissia acuta
80 mA‐3 A Fibrillazione ventricolare
3‐8 A Determinare la paralisi dei centri bulbari, con arresto
cardio‐respiratorio immediato;
N.B. se il cuore è situato entro le linee di attraversamento della corrente elettrica, aritmie fatali possono esser causate
anche da correnti alternate con intensità di soli 10 mA.
Gli effetti sull’organismo delle correnti continue sono sovrapponibili, ma necessitano di valori più elevati di intensità.
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Cause di morte per folgorazione
‐ Asfissia, per spasmo dei muscoli respiratori
‐ Arresto cardiaco, per fibrillazione ventricolare
‐ Paralisi dei centri nervosi bulbari
‐ Shock primario
Gli elettro‐traumi ad elevate tensioni, infatti, dopo una vasocostrizione massiccia, determinano una
imponente vasodilatazione periferica, con collasso cardio‐circolatorio
‐ Shock secondario
Dipende dal fatto che il tetano elettrico protratto determina lesioni muscolari diffuse con liberazione di
eccessive quantità di mioglobina, responsabile di una necrosi tubulare acuta renale
LESIONI CUTANEE DA ELETTRICITÀ
Ustioni
Le ustioni elettriche riconoscono come causa la notevole quantità di calore che si sviluppa per l’elevata
resistenza offerta dalla cute al passaggio della corrente elettrica, in accordo con l’effetto Joule.
Differiscono dalle comuni ustioni da fiamma perché:
1. Ben delimitate
2. Indolori
3. Prive di essudazione
e perché 4. la cute appare secca e di aspetto pergamenaceo.
Ciò è dovuto ad un’intensa necrosi coagulativa dei tessuti, con rapida disidratazione, che si verifica per
surriscaldamento endogeno, in assenza di ossigeno libero. Ne risulta un vero e proprio processo di
mummificazione localizzato.
4. Le cicatrici da ustione elettrica, inoltre, sono di colore biancastro, regolari e scarsamente retraenti,
perché ricche di fibre elastiche.
N.B. Oltre alle ustioni elettriche propriamente dette, sono possibili:
‐ Ustioni da arco voltaico che, agendo come sorgente esogena di calore, induce – in presenza di ossigeno
atmosferico – una combustione completa, con eventuale carbonizzazione
‐ Ustioni a stampo, da conduttore elettrico reso rovente
‐ Ustioni dovute all’incendio delle vesti o dell’ambiente, indotto da una scarica elettrica
Marchio elettrico
È la lesione autenticamente elettrospecifica in quanto attribuibile solo alla coagulazione degli elementi
cellulari, indotta dalla corrente elettrica.
Si localizza, in genere, a livello del punto di contatto fra la cute ed il conduttore di elettricità.
Specie con correnti continue, può anche essere riscontrato in corrispondenza del punto cutaneo di scarico
dell’energia elettrica (di solito la pianta dei piedi).
Il marchio elettrico è molto resistente ai fenomeni putrefattivi e, quindi, spesso ben riconoscibile anche
quando il cadavere viene rinvenuto a distanza di tempo dalla morte.
La sua assenza non consente tuttavia di escludere una morte da folgorazione. Può infatti non formarsi
allorché
‐ la corrente possieda un basso voltaggio (caso ad esempio delle correnti domestiche)
‐ penetri in un punto del corpo dove la resistenza cutanea è molto ridotta (cute sudata o bagnata), ad
esempio per immersione del corpo in una vasca da bagno. In tale circostanza, infatti, il marchio
elettrico è raramente osservabile e, quasi sempre, si tratta di marchi lineari corrispondenti al livello
dell’acqua.
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Il marchio elettrico ha una forma irregolarmente rotondeggiante e non di rado può riprodurre a stampo
quella del conduttore.
Se ne distinguono 2 tipi fondamentali:
‐ Primo tipo, senza perdita di sostanza
È costituito da un rilievo cutaneo, di forma variabile, delle dimensioni di pochi millimetri, a margini
netti, depresso al centro, di consistenza pergamenacea e di colorito giallo‐grigiastro.
Tale aspetto riconosce come causa lo scollamento degli strati profondi dell’epidermide, per formazione
di vacuoli contenenti aria, con integrità del rivestimento corneo. Tali vacuoli si sviluppano per
l’evaporazione – indotta dal surriscaldamento endogeno dei liquidi cellulari ed interstiziali.
‐ Secondo tipo
È caratterizzato da una perdita di sostanza a spese dell’epidermide e del derma. La lesione, pertanto, si
presenta come un cratere con margini sottominati.
Nella sede di contatto con il conduttore elettrico, si possono anche osservare fenomeni di metalizzazione,
originati dalla formazione di archi voltaici, che inducono la fusione dei metalli dei conduttori i quali si
depositano sulla cute o sugli indumenti.
Vi sono varie metodiche utilizzabili per la rilevazione della metalizzazione. Quelle maggiormente impiegate
consistono in metodi istochimici.
N.B. Il fenomeno di metallizzazione cutanea si associa ad una perdita di sostanza metallica a carico del
conduttore. Ciò consente di individuare il conduttore da cui è originata la scarica di elettricità.
FULMINAZIONE
Le lesioni causate dalla fulminazione sono dovute principalmente a fenomeni elettrotermici, sebbene non
siano trascurabili effetti meccanici indiretti.
Si possono quindi produrre tanto ustioni – che vanno da forme lievi all’incenerimento – quanto lesioni da
energia meccanica, quali ecchimosi, ferite lacero‐contuse, ferite da scoppio.
La fulminazione è un evento accidentale, il cui rischio risulta generico, incombendo su qualsiasi individuo. In
sede infortunistica lavorativa può tuttavia assumere connotati di rischio generico aggravato per categorie
lavorative, come agricoltori e boscaioli, che ne sono maggiormente esposte.
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LESIONI DA ENERGIA TERMICA
Possono essere distinte in:
1. USTIONI
2. LESIONI DA CALORE PROPRIAMENTE DETTE (crampo da calore, colpo di calore, colpo di sole,
collasso da calore)
3. LESIONI DA FREDDO (congelamento, perfrigerazione, assideramento)
USTIONI DA CALORE
Possono esser provocate da:
‐ Fiamme
‐ Corpi solidi arroventati
‐ Liquidi, gas e vapori surriscaldati
Vengono classificate in 4 gradi di gravità crescente:
Ustioni di I grado
Si caratterizzano per la comparsa di un eritema cutaneo, da iperemia attiva. I margini della lesione sono
sfumati e degradano progressivamente verso la cute sana circostante, che si dimostra pallida, per
vasocostrizione.
Guariscono in 4‐5 gg, senza reliquati.
Ustioni di II grado
Si caratterizzano per un’intensa essudazione intraepidermica, con formazione di flittene, circondate da un
alone iperemico.
La guarigione, se non sopravvengono infezioni del contenuto liquido, avviene in due o tre settimane, con
restitutio ad integrum. Se, tuttavia, ad essere interessato è anche il derma, si forma una cicatrice.
Ustioni di III grado
Hanno come elemento caratterizzante la necrosi, che interessa la cute e, talora, anche i tessuti profondi.
Si formano, quindi:
Escare secche, di colore rosso‐bruno ed a margini netti, se l’ustione è stata prodotta dalla fiamma
Escare umide, di colore giallastro ed a margini sfumati, se l’ustione è stata causata da liquidi o vapori
surriscaldati.
Le escare vanno incontro ad un progressivo rammollimento e, dopo 2‐3 settimane, cadono, rivelando un
tessuto di granulazione facilmente infettabile, da cui origina il processo di cicatrizzazione.
Poiché la necrosi interessa tutti gli elementi epiteliali, non vi è possibilità di riepitelizzazione.
Residua, pertanto, una cicatrice spessa, aderente ai piani sottostanti, retratta, che può evolvere in cheloide.
Ustioni di IV grado
Sono caratterizzate dalla carbonizzazione dei tessuti, che assumono un aspetto nerastro e friabile. Perché
avvenga la carbonizzazione, è necessario che si verifichi una combustione completa, in presenza di una
adeguata quantità di ossigeno libero e con una temperatura non inferiore a 300 °C.
Le aree interessante dalla carbonizzazione sono alternate a zone di necrosi e di ustioni di grado minore
(aspetto “a pelle di leopardo”).
La contemporanea presenza di ustioni di I, II e III grado, ma non di IV grado, produce un aspetto “a carta
geografica”.
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Per stabilire la % di superficie corporea interessata dall’ustione si fa riferimento ad una suddivisione della
superficie corporea in multipli di 9
Al capo ed al collo, viene attribuito un valore del 9%
Il tronco viene suddiviso in una parte anteriore ed in una posteriore, ciascuna equivalente al 18%
Ogni arto superiore equivale al 9%
Ogni arto inferiore equivale al 18%
L’area del perineo, genitali compresi, equivale all’1%
N.B. per valutare la gravità di un’ustione bisogna stabilire, non solo la % di superficie corporea interessata,
ma anche il grado di sviluppo dell’ustione. Ad esempio, un’ustione di III grado va considerata grave anche
se interessa solo il 10% della superficie corporea.
Se l’ustione interessa almeno il 15‐20% della superficie corporea, possono aversi effetti sistemici.
Inizialmente, s’instaura uno shock ipovolemico, dovuto alla perdita di sali minerali ed albumina dalle aree
ustionate che, per motivi osmotici, trascinano con sé acqua.
All’ipovolemia, contribuisce anche il richiamo di liquidi nell’interstizio, per riduzione della pressione
oncotica del plasma, dipendente dalla perdita di albumina.
Si hanno, pertanto, ipotensione arteriosa, tachicardia, sudorazione algida ed ipotermia.
L’ipovolemia, per la conseguente emoconcentrazione, produce uno stato di ipercoagulabilità, che può
esitare nello sviluppo di una CID.
↓ dopo 48‐72 h, si passa a:
Fase della tossicosi
È legata al riassorbimento di sostanze tossiche dai tessuti ustionati.
Può protrarsi per 15‐20 gg ed è caratterizzata da febbre remittente o continua, associata a nausea, cefalea,
segni di sofferenza poliviscerale.
↓ Tra la seconda e la terza settimana successiva all’ustione, può sopraggiungere
Fase della sepsi
La sepsi si verifica alla caduta delle escare, per la comparsa di un tessuto di granulazione, facilmente
infettabile
Particolare importanza medico‐legale ha l’identificazione del mezzo urente:
1. Nelle lesioni prodotte dall’azione diretta della fiamma, si osservano:
Ustioni estese, con direzione dal basso verso l’alto
Peli e capelli completamente bruciati
L’azione ustionante della fiamma è facilitata dalla presenza di indumenti infiammabili. Tuttavia, alcune
parti corporee possono essere risparmiate dall’azione della fiamma, grazie alla presenza di indumenti
poco infiammabili, come cinture e scarpe.
2. Ustioni prodotte da corpi solidi arroventati
Si caratterizzano per un’estensione limitata che riproduce “a stampo” la forma dell’agente ustionante.
I peli della zona ustionata non sono bruciati, ma ritorti lungo il proprio asse e con disorganizzazione
strutturale.
3. Ustioni determinate da liquido bollente
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Hanno sempre una direzione discendente, per la forza di gravità che porta verso il basso il liquido. Ciò
può risultare determinante per valutare la posizione del corpo o di parti di esso al momento del
trauma.
Non sono particolarmente profonde, per la tendenza allo scorrimento del liquido.
Danneggiano maggiormente le regioni corporee rivestite da indumenti, per il fatto che i vestiti si
impregnano del liquido bollente, causando così un prolungamento dell’azione ustionante.
Non provocano alterazioni apprezzabili di peli e capelli
4. Ustioni da gas e vapori surriscaldati
Hanno dimensioni sono variabili, anche se risultano assai estese quando i vestiti si impregnano del gas o
del vapore surriscaldato, prolungando il tempo di contatto con il mezzo urente.
Non sono particolarmente profonde
Non provocano alterazioni apprezzabili di peli e capelli
È possibile fornire indicazioni circa la cronologia delle lesioni da energia termica.
Nelle ustioni datate meno di 36 ore, le flittene NON sono infette
In quelle comprese fra 36 ore ed alcuni giorni, le flittene contengono pus e mancano dell’alone di
iperemia che circonda inizialmente la lesione.
La presenza di croste indica lesioni evolute già da qualche giorno: quelle superficiali, cadono in circa
una settimana; quelle più profonde, nell’arco di due settimane.
Pertanto, il riscontro di un tessuto di granulazione libero da croste, indica una lesione vecchia di più di
due settimane.
Diagnosi differenziale fra ustioni vitali e post‐mortali
‐ Nelle ustioni di I grado, l’eritema, essendo espressione di iperemia attiva, si osserva solo se lesione è
avvenuta in vita.
Dopo la morte, esso tende a scomparire, nelle zone epistatiche, per il defluire del sangue verso le
regioni declivi; nelle zone ipostatiche, per il mascheramento esercitato dalle ipostasi.
‐ Nelle ustioni di II grado, la presenza di una reazione infiammatoria intorno alle flittene ha un valore di
vitalità, ma solo in regioni non ipostatiche.
Ulteriori segni di vitalità della lesioni sono:
Contenuto essudatizio delle flittene, con prova di Rivalta positiva
Presenza di pus al loro interno
Tale reperto, oltre ad indicare la vitalità dell’ustione, depone anche per una lesione datata non meno di 36h.
Caratteri delle flittene prodotte per ustione del cadavere, sono invece:
Assenza di reazione infiammatoria periferica
Contenuto gassoso
In caso di contenuto liquido, quest ultimo è di natura trasudatizia, con prova di Rivalta negativa
‐ Nelle ustioni di III grado, la presenza di una reazione infiammatoria intorno alle escare ha un valore di
vitalità, ma solo in regioni non ipostatiche.
Aspetti peculiari di un cadavere carbonizzato
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1. Riduzione di volume della superficie corporea, in rapporto all’azione disidratante della fiamma ed alla
retrazione muscolare
2. Intensa rigidità, sempre per disidratazione e retrazione muscolare. Il cadavere pertanto assume una
posizione definita “a lottatore” per l’atteggiamento in flessione degli arti.
3. Cute secca e di colore nerastro
4. Presenza di soluzioni di continuo, prive di caratteri vitali, a livello delle pieghe flessorie delle
articolazioni, da retrazione cutanea. Sono simili alle ferite da taglio rispetto alle quali differiscono per
l’assenza di codette e per la presenza di ponti di tessuto sul fondo, apprezzabili mediante osservazione
microscopica.
5. Formazioni pilifere scarse o assenti
6. Bocca aperta con denti ben visibili, per retrazione labiale
7. Cornea di aspetto opalescente e di colore azzurrognolo
8. Cristallino con cataratta coagulativa
9. Fratture craniche da scoppio per espansione dei gas prodottisi all’interno della scatola cranica
10. Formazione di raccolte di sangue nello spazio epidurale, per suzione provocata dalla riduzione di
volume dell’encefalo e della dura madre (“falso ematoma epidurale”)
11. Amputazioni degli arti, per una loro completa carbonizzazione, che può condurre al loro distacco dalla
superficie corporea
12. Il sangue è spesso coagulato e di colore rosso scuro per formazione di metaHb o per esposizione della
carbossiHb ad elevate temperature
È importante stabilire se la carbonizzazione sia avvenuta in vivo o dopo la morte.
Depongono per una carbonizzazione in vivo:
1. Presenza di fuliggine nelle vie aeree, indice di una attiva inalazione di fumi
2. Percentuale di carbossiHb superiore al 10%, anch’essa segno di attiva aspirazione dei fumi.
La determinazione della carbossiHb andrebbe effettuata sul sangue prelevato dal cuore o dai grossi
vasi, in quanto possibile, a livello dei vasi periferici, la combinazione post‐mortale tra Hb e CO
3. Riscontro di embolie adipose polmonari, indice della sussistenza del circolo ematico al momento della
produzione di emboli adiposi, per effetto del calore sul tessuto sottocutaneo
LESIONI DA CALORE PROPRIAMENTE DETTE
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Collasso da calore
Si verifica per esposizione ad elevate temperature di individui scarsamente acclimatati.
Sotto il profilo patogenetico, non vi è un’alterazione dei meccanismi termoregolatori ma una notevole
diminuzione delle resistenze vascolari periferiche, con riduzione del ritorno venoso al cuore e della gittata
cardiaca. Ne consegue un collasso cardiocircolatorio.
Tipicamente la cute appare pallida, fredda e sudata, per attivazione simpatica.
Colpo di calore
Si verifica soprattutto nei soggetti anziani ed in condizioni che favoriscono una rapida ed intensa
sudorazione.
Presumibilmente s’instaura per un progressivo esaurimento funzionale delle ghiandole sudoripare, con
blocco della sudorazione e conseguente impossibilità di cedere calore all’ambiente. Ciò produce una rapida
ipertermia, con la temperatura corporea che raggiunge i 40‐44 °C, altamente pericolosa per il SNC.
A differenza del collasso da calore,
‐ La cute è arrossata e secca, per blocco della sudorazione
‐ Non vi è emoconcentrazione, né un evidente deplezione di sodio e cloro.
In caso di morte per colpo di calore, il raffreddamento del cadavere è rallentato; intense e precoci sono la
rigidità e la putrefazione; abbondanti e diffuse risultano le ipostasi.
Colpo di sole
Si verifica quando l’individuo espone lungamente, all’azione dei raggi solari, il capo ed in particolare il
rachide cervicale.
Si ritiene che le radiazioni solari, agendo soprattutto sui centri diencefalici, alterino la regolazione del
circolo e del respiro.
La temperatura corporea risulta elevata, come nel colpo di calore, ma la cute è calda e sudata.
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LESIONI DA ESPOSIZIONE A BASSE TEMPERATURE
L’esposizione a basse temperature viene contrastata dall’organismo mediante la produzione di calore
endogeno (termogenesi) e la limitazione della dispersione calorica. Quando tale equilibrio non è più
sostenibile, si verificano effetti locali (congelamento) o generali (assideramento).
Congelamento
Si ha quando l’esposizione a basse temperature riguarda regioni circoscritte del corpo, in genere quelle
periferiche (mani, piedi, orecchie e naso).
Può realizzarsi per temperature comprese tra ‐10°C ed alcuni gradi > 0.
L’effetto locale del freddo inizialmente consiste in uno spasmo arteriolare, seguito, per l’ipossia e
l’accumulo di metaboliti acidi, da una vasodilatazione paralitica veno‐capillare, responsabile di edema
interstiziale. Successivamente, per il rallentamento del flusso sanguigno e l’aumento della viscosità
ematica, si formano trombi endo‐capillari. I trombi endo‐capillari possono indurre:
‐ Necrosi tissutale e gangrena secca, se l’ostruzione vasale è completa
‐ Gangrena umida, se l’ostruzione vasale è incompleta.
N.B. La gangrena umida risulta più severa, perché favorisce il passaggio in circolo di tossine batteriche e di
prodotti di degenerazione tissutale.
Il freddo intenso è anche capace di provocare un danno tissutale diretto, ossia non mediato da fattori
vascolari, in quanto determina la formazione di cristalli che ledono le membrane cellulari, con conseguente
perdita dei gradienti ionici trans‐membrana.
Per il congelamento, si distinguono 3 gradi di gravità crescente:
I grado
È caratterizzato da parestesie, ipo‐anestesia, dolore ed impaccio motorio, eritema di colore rosso‐violaceo,
con lieve edema locale
II grado
È caratterizzato dalla comparsa di un intenso edema cianotico e di flittene dermo‐epidermiche, a contenuto
sieroso o siero‐ematico.
III grado
È caratterizzato da una necrosi superficiale o profonda dei tessuti.
L’interessamento del derma genera escare, alla cui caduta, si formano piaghe che esitano in cicatrici
retraenti.
Frequente è un quadro sistemico, con febbre e stato tossico generale, soprattutto nelle forme umide di
gangrena.
Nel piede da trincea e nel piede da immersione, le estremità inferiori sono esposte lungamente all’azione
del freddo umido. Ciò determina un ipossia locale dovuta sia alla vasocostrizione indotta dalla bassa
temperatura, sia al protratto mantenimento della stazione eretta.
Il quadro clinico non si differenzia da quello dei vari gradi di congelamento.
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LESIONI DA ENERGIA BARICA
Si verificano per variazioni della pressione ambientale in conseguenza di un repentino passaggio da un
ambiente ipercompresso a condizioni pressorie normali (Iperbaropatie), oppure da condizioni pressorie
normali a condizioni di bassa pressione (Ipobaropatie)
Iperbaropatie
Riguardano soggetti che praticano particolari attività lavorative o sportive (caso di palombari, cassonisti,
sommozzatori, pescatori, subacquei)
Disturbi possono insorgere sia nella fase di compressione che in quella di decompressione
Nella fase di compressione, l’immissione troppo rapida di aria compressa nei cassoni o nelle
apparecchiature subacquee può determinare la comparsa di sintomi quali dolori auricolari (per aumento
della pressione endotimpanica), acufeni, bradicardia, ipotensione.
Inoltre, durante l’immersione a grandi profondità, può manifestarsi la cosiddetta “sindrome degli alti
fondali” causata dall’azione dell’azoto inalato a forte pressione che determina senso di euforia e di
eccitazione, seguito da attenuazione dell’attenzione ed incoordinazione motoria.
I disturbi più severi tuttavia compaiono nella fase di decompressione, qualora non venga effettuata con la
dovuta gradualità.
In questo caso, la maggiore quantità di azoto che, durante la fase di compressione, si era disciolta nei
tessuti (con particolare riferimento a quello adiposo), si libera sotto forma di bolle gassose, che entrano in
circolo, determinando fenomeni di aeroembolismo.
Clinicamente, vengono distinte:
Forme lievi, dominate da dolori articolari interessanti le ginocchia, i polsi, i gomiti e le spalle, talora
associati ad epistassi.
I sintomi possono comparire anche diverse ore dopo la decompressione.
Forme gravi, in cui prevale una sintomatologia cerebrale (emiplegia, convulsioni e coma) o midollare
(paraplegia e disturbi sfinterici)
Forme fulminanti, caratterizzate da una sintomatologia asfittica, dovuta ad embolismo polmonare massivo.
Nei casi mortali, l’indagine autoptica va condotta con particolari accorgimenti.
Il cuore deve essere aperto sott’acqua, curando di non ledere le vene giugulari e le succlavie, durante la
sternotomia. In alternativa, si possono asportare in blocco cuore e polmoni, dopo legatura dei grossi vasi in
prossimità del cuore.
In caso aeroembolismo, l’incisione dell’atrio dx e dell’arteria polmonare determina la fuoriuscita di bollicine
gassose.
Il significato diagnostico di tale prova è vanificato in presenza di putrefazione. L’indagine va pertanto
completata mediante analisi gas‐cromatografica del gas cardiaco con l’intento di ricercare idrogeno
solforato, indicativo della componente putrefattiva.
Il quadro anatomo‐patologico è comune a quello delle altre sindromi asfittiche.
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N.B.
Gli operai che hanno lavorato a lungo nei cassoni, possono sviluppare, con il tempo, una forma di osteo‐
artropatia cronica deformante soprattutto a carico delle articolazioni coxo‐femorali e scapolo‐omerali.
Tale condizione, sotto il profilo radiografico, si manifesta, in fase iniziale, con piccole immagini
pseudocistiche epifisarie, esito di necrosi ossea.
In fase avanzata, compaiono deformazione dei capi ossei, con restringimento della rima articolare.
Ipobaropatie
Malattia degli aviatori
Si verifica durante il volo in quota (oltre i 7000 metri), per carente pressurizzazione.
A tali altitudini, infatti, la bassa pressione atmosferica riduce la solubilità ematica dell’azoto, con
formazione di bolle gassose che entrano in circolo, determinando fenomeni di aeroembolismo.
Mal di montagna
È causato da una combinazione di fattori quali:
Diminuzione della pressione atmosferica
Carenza di ossigeno nell’aria
Abbassamento della temperatura
Effetto dei raggi solari
I primi disturbi possono comparire già a 1500‐2000 m, sotto forma di dispnea e stato di ebbrezza, ma si
fanno più evidenti oltre i 3500 m allorché si manifestano tachipnea, tachicardia, acufeni.
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ASFISSIOLOGIA FORENSE
Il campo d’interesse dell’asfissiologia forense è costituito dalle:
ASFISSIE MECCANICHE VIOLENTE
Forme di insufficienza respiratoria determinate da un impedimento alla penetrazione dell’aria nell’albero
respiratorio, come conseguenza dell’azione di una causa generalmente esterna all’organismo, di natura
meccanica e che si estrinseca con consistente energia, in tempi brevi (pertanto violenta).
Caratteri comuni a tali sindromi asfittiche sono quindi:
1. primitività del processo, che deve cioè dipendere da un’azione violenta direttamente esercitata
sull’apparato respiratorio
2. violenza dell’azione, che deve cioè esaurirsi rapidamente
3. natura meccanica dell’ostacolo alla respirazione
Esulano pertanto da questo ambito tutte quelle sindromi che, pur condividendo una condizione di anossia
e, cioè, di mancanza di ossigeno a livello tissutale e cellulare, riconoscono come cause:
‐ Fenomeni intrinseci dell’organismo, come patologie respiratorie, cardio‐circolatorie, neurologiche,
muscolari, ematologiche
‐ Intossicazioni acute
‐ Carenza di ossigeno nell’aria respirata, come accade nel caso del confinamento* e dell’ascensione ad
alta quota
Le asfissie meccaniche violente possono esser dovute a: 1
1. Occlusione degli orifizi respiratori, caso del soffocamento
3. Ostruzione delle vie respiratorie dall’interno, caso di:
Annegamento, in cui mezzo occludente è l’acqua, dolce o salata
Intasamento, in cui il mezzo occludente è di natura solida (come terriccio, pezzi di stoffa, oggetti di
uso domestico, alimenti)
Sommersione interna, in cui il mezzo occludente è un fluido di provenienza endogena (come
vomito, sangue, pus, liquido idatideo)
4. Impedimento degli atti respiratori, per immobilizzazione del torace, caso di: morte nella folla,
seppellimento, crocifissione
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Tutte le sindromi asfittiche meccaniche violente – fatta eccezione per l’annegamento – attraversano 4 FASI
SUCCESSIVE:
I fase, della dispnea inspiratoria, in cui il soggetto tenta di vincere l’ostacolo alla respirazione e di introdurre
aria nei polmoni.
Alla dispnea inspiratoria, si associano:
‐ Aumento della frequenza del polso
‐ Diminuzione della pressione arteriosa, per vasodilatazione periferica
‐ Cianosi del volto
Il soggetto va incontro, più o meno rapidamente, a perdita di coscienza, con cessazione dei movimenti
volontari.
II fase, della dispnea espiratoria, in cui l’ipercapnia, per l’associata acidosi, stimola il centro del respiro ad
indurre espirazione, con lo scopo di eliminare l’eccesso di CO2 (e, quindi, di acidi volatili). In questa fase,
‐ il polso rallenta per poi crescere di nuovo in frequenza ed ampiezza;
‐ la pressione arteriosa aumenta notevolmente e ciò viene ritenuto responsabile delle caratteristiche
ecchimosi puntiformi sotto‐congiuntivali, sotto‐pleuriche, sotto‐epicardiche;
‐ i reflessi non sono più evocabili;
‐ gli sfinteri anale e vescicale si rilasciano, con possibile perdita di feci ed urine;
‐ si hanno convulsioni, per l’eccitazione dei centri motori corticali, legata all’ipercapnia
III fase, dell’apnea, in cui gli atti respiratori cessano, per danno irreversibile dei centri nervosi bulbari, con
immobilità del torace e del diaframma.
Il polso diviene sempre più raro e piccolo.
La pressione arteriosa comincia a diminuire.
IV fase, del boccheggiamento, in cui compaiono movimenti delle pinne nasali e delle labbra, inefficaci ai fini 2
della respirazione e prodotti da residui stimoli terminali dei centri nervosi bulbari.
Tale fase si conclude con l’arresto cardiaco che interessa prima il ventricolo dx e, poi, il sin.
La sindrome asfittica ha una durata di circa 4‐6 min che comunque varia in rapporto alla resistenza
individuale.
QUADRO ANATOMO‐PATOLOGICO DELL’ASFISSIA MECCANICA VIOLENTA
Segni esterni
1. Cianosi del volto, del collo e, talora, del terzo superiore del torace (“a mantellina”)
Riconosce come causa il ristagno di sangue ipossico – con Hb ridotta > 5 g/dL – nel territorio della vena
cava superiore, per l’ingorgo delle sezione dx del cuore che consegue all’aumento delle resistenze del
piccolo circolo. L’aumento delle resistenze del piccolo circolo, a sua volta, dipendente dai fenomeni di
enfisema polmonare, edema polmonare acuto, infiltrazione emorragica dei polmoni che
accompagnano le asfissie meccaniche violente.
La stasi del distretto venoso cervico‐facciale,
‐ Nello strozzamento e nello strangolamento, è dovuta anche alla compressione delle giugulari
‐ Nell’impiccamento, è modesta per la contemporanea ostruzione del circolo arterioso
‐ Nell’immobilizzazione del torace, raggiunge la massima entità poiché viene impedito l’aumento
della pressione negativa endotoracica
N.B. La cianosi diviene presto indistinguibile da ipostasi antigravitarie, sempre con distribuzione “a
mantellina” e sempre riconducibili al difficoltoso scarico delle sezioni dx del cuore, per l’aumento delle
resistenze del piccolo circolo.
Alla stasi venosa cervico‐facciale è ascrivibile anche l’incostante protrusione dei globi oculari.
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2. Macchie ipostatiche precoci ed abbondanti, per l’elevata fluidità del sangue, che ne facilita lo
spostamento verso le parti declivi del cadavere. Tale reperto è comune a tutte le morti rapide, senza
emorragia anche se la distribuzione delle ipostasi può essere peculiare ed orientare circa determinate
tipologie di asfissia meccanica violenta (vedi impiccamento).
3. Fuoriuscita di schiuma dagli orifizi respiratori ‐ cdt “fungo schiumoso” ‐ di colorito biancastro ed
aspetto cotonoso, specie dopo essiccamento.
Si produce nelle lume tracheo‐bronchiale a causa del miscuglio di aria e secrezione mucosa, indotto
dagli atti respiratori dispnoici.
Qualora una sindrome una sindrome asfittica prolungata determini la rottura, su base anossica, dei
capillari polmonari, è possibile che la schiuma assuma, un colorito tenuemente rossastro, da cui la
denominazione di “fungo rubro schiumoso”.
Il fungo schiumoso è più frequente e maggiormente evidente nell’annegamento perché favorito dalla
penetrazione di acqua nell’albero respiratorio.
Compare a distanza di tempo variabile dal decesso, per effetto di:
‐ Retrazione elastica del parenchima polmonare
‐ Rigidità cadaverica
‐ Putrefazione
I gas putrefattivi, infatti, distendendo lo stomaco e le anse intestinali, spingono verso l’alto il
diaframma che comprime il parenchima polmonare
N.B. Il fungo schiumoso, al pari delle ipostasi anti‐gravitarie “a mantellina” e delle macchie ipostatiche
precoci ed abbondanti è apprezzabile in diverse forme di morti rapide da anossia come quelle che si
verificano per insufficienza acuta del ventricolo sinistro e per intossicazione acuta da oppioidi.
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4. Ecchimosi puntiformi, specie sottocongiuntivali, dovute all’ aumento di pressione nelle venule post‐
capillari ed al danno delle pareti vascolari su base anossica.
5. Lentezza del raffreddamento del cadavere
6. Rigidità cadaverica intensa e precoce
7. Putrefazione accelerata, per la particolare fluidità del sangue che agevola la diffusione di germi
putrefattivi.
Sono inoltre osservabili segni esterni di specifiche forme asfittiche.
Segni interni
1. Enfisema polmonare acuto, conseguente agli atti respiratori dispnoici, che inducono una notevole
dilatazione delle cavità alveolari, le cui pareti subiscono iperdistensione ed interruzione.
I polmoni enfisematosi appaiono voluminosi ed espansi e non si acquattano, come di norma, nelle
docce paravertebrali, dopo rimozione del piastrone sternale.
Sulla loro superficie, inoltre, appare impresso il disegno delle coste.
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2. Edema polmonare acuto, di tipo lesionale, da danno della membrana alveolo‐capillare, su base
anossica.
3. Petecchie emorragiche viscerali, specie sotto‐pleuriche e sotto‐epicardiche, riconducibili a:
‐ Rialzo pressorio nelle venule post‐capillari
‐ Danno delle pareti vascolari su base anossica
‐ Aumento della pressione negativa endo‐toracica, che si verifica nella fase della dispnea inspiratoria,
poiché l’espansione del torace e la discesa del diaframma non sono accompagnate da
un’espansione consensuale dei polmoni, per ostruzione delle vie aeree superiori.
4. Dilatazione delle sezione destre del cuore e ristagno in esse di sangue, per incremento delle resistenze
vascolari polmonari.
5. Iperemia viscerale diffusa, conseguente all’ingorgo ematico delle sezioni destre del cuore, che
impedisce il drenaggio del sangue dai territori delle vene cave.
A livello della milza, invece, si riscontra un’anemia da splenocontrazione adrenergica.
6. Fluidità e colore rosso scuro del sangue
La fluidità del sangue sarebbe determinata da un’alterazione del processo coagulativo, per
immobilizzazione di ioni calcio, secondaria agli elevati livelli ematici di CO2 e da un’esaltata fibrinolisi.
L’aspetto piceo, invece, è ascrivibile allo stato di ipossiemia.
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TIPOLOGIE DI ASFISSIA MECCANICA VIOLENTA
SOFFOCAMENTO
Forma di asfissia meccanica violenta dovuta all’occlusione degli orifizi respiratori, attuata esercitando,
contemporaneamente, sulla bocca e sulle narici, un’intensa pressione, mediante l’impiego di tutte e due le
mani oppure di un altro mezzo idoneo allo scopo.
È un’evenienza soprattutto omicidiaria e costituisce la modalità con cui più frequentemente viene
realizzato l’infanticidio.
Nel neonato e nel lattante, è inoltre frequente un soffocamento accidentale, per l’incapacità di rimuovere
dagli orifizi respiratori eventuali mezzi occludenti.
Un soffocamento accidentale, comunque, può anche verificarsi negli adulti, qualora si determini uno stato
di incoscienza o di sonno profondo. Ciò riguarda: epilettici, dopo una crisi di grande male, soggetti in stato
di ubriachezza, soggetti che hanno assunto farmaci ad azione ipnotica o sostanze stupefacenti.
IMPICCAMENTO
È una forma di asfissia meccanica violenta la cui causa risiede nella compressione delle vie respiratorie,
pratica, a livello del collo, dall’estremità annodata ad ansa di un laccio – precedentemente fissato ad un
sostegno – che si tende a causa del peso del corpo.
Può essere:
‐ Tipico
‐ Atipico
L’impiccamento tipico è quello in cui, il pieno dell’ansa, corrisponde alla faccia anteriore del collo, con il
5
nodo scorsoio situato in sede occipito‐nucale.
L’impiccamento è invece atipico quando il nodo scorsoio si viene a trovare in posizione diversa da quella
occipito‐nucale.
Può essere inoltre:
‐ Completo
‐ Incompleto
L’impiccamento si definisce completo, quando tutto il corpo rimane sospeso, gravando quindi, con l’intero
peso, sul sistema di ancoraggio del laccio.
Si definisce incompleto, invece, quando il corpo poggia su qualche sostegno.
Ciò è possibile in quanto, per produrre i meccanismi lesivi dell’impiccamento, è sufficiente che sul collo
gravi, tramite il laccio, un peso anche di soli 3‐5 Kg.
Meccanismi lesivi dell’impiccamento
1. Asfissia, determinata dallo spostamento verso l’alto e l’indietro dell’osso ioide che solleva la base della
lingua e l’epiglottide, portandole contro la parete posteriore della faringe ed il palato molle, con
conseguente chiusura delle vie aeree.
2. Alterazioni circolatorie, per ostruzione da stiramento sia delle giugulari che delle carotidi, con
conseguente arresto della circolazione cerebrale.
3. Alterazioni nervose, per compressione e stiramento delle aeree reflessogene del seno carotideo, con
induzione di un meccanismo inibitorio sincopale
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Segni esterni
L’elemento caratterizzante il quadro lesivo esterno dell’impiccamento consiste nel 1. solco e, cioè, nel
segno lasciato dal laccio sulla cute del collo, per lo spostamento dei liquidi tissutali verso gli strati più
profondi.
Il solco dell’impiccamento risulta:
1. Obliquo, dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto, nelle forme tipiche; con altra direzione, ma
sempre obliqua ed ascendente, nelle forme atipiche.
2. Discontinuo, con interruzione in corrispondenza del nodo.
3. A profondità diseguale, maggiore in corrispondenza del pieno dell’ansa.
4. Localizzato al di sopra della cartilagine tiroidea
5. Spesso unico
6. Di consistenza dura o molle
‐ Un solco duro viene prodotto da lacci ruvidi, capaci di azione escoriante (caso, ad esempio, di una
corda di canapa). In questo caso, si verifica, infatti, un intenso essicamento post‐mortale della
lesione, la cui consistenza pertanto aumenta.
‐ Un solco molle è invece prodotto da un lacci morbidi, privi di potere escoriante (caso, ad esempio,
di una calza di tessuto sintetico o di una sciarpa). In questo caso, l’essiccamento post‐mortale è
meno accentuato con la lesione che conserva una consistenza non dissimile da quella della cute
sana circostante
Nel contesto del solco, inoltre, è possibile apprezzare creste o punteggiature emorragiche e vescichette
sierose o siero‐ematiche, che starebbero a dimostrare la vitalità della lesione, favorendo la DD tra
impiccamento e sospensione di cadavere.
N.B. Queste lesioni si osservano soprattutto quando il laccio presenta notevoli caratteristiche di ruvidità e si
compone di gruppi di fibre attorcigliate, tra cui la cute resta pizzicata.
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Nel quadro lesivo esterno dell’impiccamento, ad essere peculiare è anche la distribuzione delle macchie
ipostatiche.
‐ Se l’impiccamento è completo, le ipostasi si localizzano infatti a livello di:
arti inferiori, regione plantare compresa (ipostasi “a calza”)
estremità degli arti superiori (ipostasi “a guanto”)
N.B. la replezione ipostatica dei corpi cavernosi può inoltre indurre turgore penieno.
‐ Se invece l’impiccamento è incompleto, le macchie ipostatiche si evidenziano nelle zone del corpo rese
declivi dalla modalità di espletamento, con risparmio dei punti di appoggio.
Ciò permette di risalire alla dinamica dell’evento.
Altri segni esterni dell’impiccamento, peraltro incostanti sono:
‐ Sporgenza della lingua, derivante dallo spostamento verso l’alto degli organi del collo.
‐ Presenza di sperma all’orifizio uretrale esterno, attribuito al rilasciamento sfinterico ed alla
contrazione agonica delle vescichette seminali
Il quadro lesivo esterno dell’impiccamento infine comprende:
‐ Eventuali lesioni di tipo contusivo, dovute ai movimenti convulsivi che fanno oscillare il corpo, con urti,
specie degli arti inferiori, contro ostacoli dell’ambiente circostante.
‐ Segni comuni ad altre forme di asfissia meccanica violenta.
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Segni interni
Sono spesso rappresentati dai soli reperti generici dell’asfissia.
In alcuni casi, tuttavia, emergono segni caratteristici a carico degli organi del collo:
1. Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (specie dello SCM)
2. Lesioni trasversali dell’intima delle carotidi (segno di Amussat) e del nervo vago
3. Piccole emorragie della parete delle carotidi, al di sotto dell’avventizia, e dei linfonodi situati in
prossimità del laccio
4. Ecchimosi retrofaringea, per compressione da parte della base della lingua
Possibile è, inoltre, il riscontro di fratture o lussazioni delle prime vertebre cervicali e di frattura del dente
dell’epistrofeo, con compressione bulbare. Quest’ultima lesione è costante e costituisce la causa della
morte nell’IMPICCAGIONE, intesa come modalità d’esecuzione capitale.
Trattandosi di una sentenza giudiziaria è richiesto, infatti, che la morte arrivi in maniera subitanea, evitando
la sindrome asfittica, della durata di 4‐6 min.
Ciò viene ottenuto facendo precipitare il soggetto con il cappio al collo, attraverso una botola, per diversi
metri (circa 4). In questo modo, quando la corda entra in tensione, l’energia cinetica acquisita dal corpo
durante la caduta si trasforma in forza meccanica che, tramite il laccio, provoca la frattura del dente
dell’epistrofeo o, meglio, il suo distacco, con conseguente compressione bulbare.
L’impiccamento è, di norma, un’evenienza suicidaria.
L’accidente è l’evento più frequente dopo il suicidio e può verificarsi nel corso di particolari attività ludiche
e di pratiche erotiche in cui, mediante l’uso di lacci, si cerca di stimolare, per stiramento, il midollo spinale
lombare. In tal caso, l’impiccamento accidentale risulterà generalmente incompleto ed il sopralluogo potrà
di solito fornire chiarimenti decisivi circa la dinamica letale.
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Estremamente rare sono le forme omicidiarie che richiedono un’assoluta sproporzione di forza tra
aggressore e vittima oppure che quest’ultima si trovi, al momento del fatto, in stato di incoscienza.
Possibile è inoltre l’eventualità che il cadavere di un soggetto morto per un’azione delittuosa, sia
successivamente impiccato, allo scopo di simulare un suicidio (SOSPENSIONE DI CADAVERE).
Orientano verso la sospensione di cadavere:
1. Presenza di segni di azione lesiva di altro tipo
2. Mancanza dei segni generici di asfissia, come petecchie emorragiche sottocongiuntivali (a patto che
l’omicidio non sia stato precedentemente attuato mediante altra forma di asfissia meccanica violenta)
3. Distribuzione delle ipostasi non compatibile con un impiccamento, che risulta evidente qualora il
cadavere sia stato sospeso nella fase di fissità delle ipostasi
4. Assenza di lesioni esterne ed interne della regione cervicale con carattere vitale
‐ Lesioni esterne della regione cervicale, a carattere vitale, sono: creste o punteggiature emorragiche
e vescichette sierose o siero‐ematiche, in corrispondenza del solco prodotto dal laccio
‐ Lesioni interne della regione cervicale, a carattere vitale, sono:
Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (specie dello SCM)
Lesioni trasversali dell’intima delle carotidi, che avverrebbe solo a vaso pieno.
Piccole emorragie della parete delle carotidi, al di sotto dell’avventizia, e dei linfonodi situati in
prossimità del laccio
Ecchimosi retrofaringea, per compressione da parte della base della lingua
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STRANGOLAMENTO
Forma di asfissia meccanica violenta la cui causa risiede nella compressione delle vie respiratorie,
effettuata, a livello del collo, mediante l’uso di un laccio o di un altro mezzo equivalente sul quale viene
applicata una forza agente secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo.
Differisce dall’impiccamento, in quanto non vi è sospensione totale o parziale del corpo.
Differisce dallo strozzamento, per l’utilizzo di un qualsiasi mezzo meccanico agente circolarmente, in senso
centripeto, sul collo.
Lo strangolamento è definito tipico o completo quando l’azione lesiva si estrinseca sul collo, in ogni parte
della sua circonferenza.
Si definisce atipico o incompleto quando l’azione meccanica, pur agendo a livello del collo, viene attuata
con lacci non completamente avvolti o con mezzi che, pur produrre un effetto costrittivo sovrapponibile a
quello dei lacci, non sono in grado di cingere il collo in ogni porzione della sua circonferenza (è questo il
caso di bastoni applicati a comprime il collo in senso antero‐posteriore).
Talvolta, la costrizione viene esercitata torcendo il laccio con un'asta (GARROTTAMENTO).
Nello strangolamento, poiché la forza agisce secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del
collo, non avviene la dislocazione del laccio fin sotto la mandibola e lo spostamento verso l’alto degli organi
del collo risulta minore. Pertanto, l’occlusione delle vie respiratorie è spesso incompleta, con la
conseguenza che la sindrome asfittica dura più a lungo. Ciò spiega perché molti dei suoi segni, come 8
esempio le ecchimosi puntiformi, sia più marcati di quelli che si osservano nell’impiccamento.
Al meccanismo asfittico puro possono aggiungersi o sostituirsi alterazioni nervose e circolatorie.
Segni esterni
Segno esterno caratteristico dello strangolamento è il solco cutaneo, che differisce da quello
dell’impiccamento perché:
1. È orizzontale
2. Risulta continuo, interessando tutta la superfice del collo; fanno eccezione i casi di strangolamento
atipico, in cui si reperta un solco incompleto esclusivamente nella regione anteriore del collo.
3. Ha uguale profondità in tutto il suo percorso, dato che il laccio esercita un’omogenea azione
compressiva.
4. Si localizza in posizione generalmente più bassa, di solito a livello o al di sotto della cartilagine tiroidea
5. Può essere singolo o multiplo, a seconda del numero di giri del laccio (con frequente riscontro di un tratto
in cui diventa doppio, per la sovrapposizione dei due capi del laccio che avviene quando si esercita su di essi
trazione).
Inoltre, dato che lo strangolamento è di natura prevalentemente omicidiaria, risulta più frequente,
rispetto all’impiccamento, il riscontro, in prossimità del solco, di lesioni da difesa – come unghiature – che
la vittima si auto‐infligge nel tentativo di allontanare il laccio.
A seconda della consistenza, il solco può essere duro o molle.
‐ Un solco duro viene prodotto da lacci ruvidi, capaci di azione escoriante (caso, ad esempio, di una corda
di canapa). In questo caso, si verifica, infatti, un intenso essicamento post‐mortale della lesione, la cui
consistenza pertanto aumenta.
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‐ Un solco molle è invece prodotto da un lacci morbidi, privi di potere escoriante (caso, ad esempio, di
una calza di tessuto sintetico o di una sciarpa). In questo caso, l’essiccamento post‐mortale è meno
accentuato con la lesione che conserva una consistenza non dissimile da quella della cute sana
circostante
Al solco, infine, si associano segni esterni apprezzabili nelle altre forme di asfissia meccanica.
Segni interni
Sono analoghi a quelli presenti nelle altre forme di asfissia meccanica.
Lo strangolamento, più frequentemente, è di natura omicidiaria.
Lo strangolamento omicidiario, comunque, richiede una rilevante sproporzione di forza tra vittima ed
aggressore, affinché quest ultimo possa effettuare una costrizione del collo sufficientemente prolungata.
La dinamica omicidiaria prevede, pertanto, quasi sempre il fattore sorpresa, che permette di realizzare una
violenta ed inaspettata costrizione del collo, con rapida perdita di coscienza e conseguente impossibilità
della vittima di attuare una valida difesa.
Altre volte l’aggressore rende la vittima impotente somministrandole droghe o alcool oppure
tramortendola con colpi al capo. Sono quindi sempre necessari un accurato esame esterno del cadavere ed
un esame tossicologico.
Rari risultano lo strangolamento suicidiario e quello accidentale.
Quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, si verifica per l’intrappolamento di un laccio, che il soggetto
porta al collo, all’interno di un mezzo meccanico in movimento.
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STROZZAMENTO
È forma di asfissia meccanica violenta la cui causa risiede nella compressione delle vie respiratorie,
praticata, a livello del collo, mediante l’impiego di una o di entrambe le mani.
L’occlusione delle vie aeree si verifica per azione diretta sulla laringe e ciò giustifica il più frequente
riscontro di fratture del suo scheletro – in particolare della cartilagine tiroidea – più frequenti negli anziani,
a causa della calcificazione delle loro strutture cartilaginee.
N.B.
Nello strozzamento, la sindrome asfittica è protratta, potendo richiedere anche 15‐20 min per causare la
morte, poiché la persona aggredita, dibattendosi, interrompe di tanto in tanto la chiusura delle vie aeree.
Talora, l’azione compressiva sul collo coinvolge aree reflessogene (seno carotideo) la cui stimolazione può
indurre fenomeni inibitori a livello cardiaco in grado di provocare l’exitus, anche indipendentemente dai
meccanismi asfittici.
Le alterazioni circolatorie sono meno rilevanti poiché le mani difficilmente possono comprimere, in maniera
durevole, i fasci vascolari del collo.
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Segni esterni che depongono per strozzamento
‐ Ecchimosi localizzate sulle superfici antero‐laterali del collo e spesso di tipo figurato, riproducendo la
forma delle dita o dei polpastrelli dell’aggressore.
‐ Escoriate lineari o a forma di semiluna, prodotte dalle unghie dell’aggressore, sempre sulle regioni
antero‐laterali del collo.
Quindi, nel caso in cui si sospetti che un individuo sia l’esecutore materiale di un omicidio per
strozzamento è estremamente utile ricercare in sede sub‐ungueale frustoli di materiale dermo‐
epidermico appartenenti alla vittima.
Sono inoltre comuni:
‐ Lesioni contusive su tutto il corpo della vittima, espressione di un’avvenuta colluttazione, tenendo
conto che, in corso di strozzamento, non si ha una rapida perdita di coscienza e possono essere
necessari anche 15‐20 minuti per causare la morte.
N.B. Brandelli di cute dell’aggressore possono essere rinvenuti nella regioni sub‐ungueali della vittima.
Segni interni che depongono per strozzamento
‐ Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari e del fascio vascolo‐nervoso del collo
‐ Fratture delle strutture cartilaginee laringo‐tracheali (facilitata negli anziani dalla loro calcificazione) e
dell’osso ioide
Lo strozzamento è un’evenienza tipicamente omicidiaria che, per essere attuata, richiede una notevole
sproporzione di forza tra vittima ed aggressore che consenta, a quest’ultimo, di mantenere la stretta al
collo per un periodo sufficientemente lungo da poter realizzare il meccanismo asfittico. 10
COMPRESSIONE ATIPICA DEL COLLO
Si tratta di una forma di asfissia meccanica violenta realizzata mediante peculiari modalità d’azione,
difficilmente inquadrabili nei classici schemi dello strozzamento, dello strangolamento e dell’impiccamento,
ma che comunque producono la sindrome asfittica per compressione delle vie respiratorie a livello del
collo.
Esempi:
‐ Compressione con l’avambraccio, in senso antero‐posteriore del collo della vittima, da parte di un
soggetto che agisce alle sue spalle
‐ Compressione esercitata sul collo della vittima, in genere stesa a terra, da parte del ginocchio o del
piede dell’aggressone.
ANNEGAMENTO
Forma di asfissia meccanica violenta causata dall’ingresso di un mezzo liquido esterno all’organismo
nell’albero respiratorio, con sostituzione del contenuto aereo dei polmoni ed impedimento dei normali
scambi gassosi.
L’annegamento viene distinto in:
‐ Tipico
‐ Atipico
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L’annegamento è definito tipico se la superficie corporea che si trova totalmente o per la maggior parte
sommersa dall’acqua.
L’annegamento atipico, invece, consegue alla brusca chiusura della glottide, che si verifica per un
fenomeno riflesso, indotto dalla presenza nella laringe di acqua, anche in minima quantità.
Ciò accade quando solo gli orifizi respiratori sono immersi nel liquido e vi permangono per un tempo
sufficientemente lungo a causa della impossibilità del soggetto di sottrarsi a tale posizione.
Si tratta, in realtà, di forme atipiche di soffocamento in cui il meccanismo asfittico è favorito dall’azione del
mezzo liquido.
N.B.
La qualità del liquido che penetra nei polmoni influenza la fenomenologia dell’annegamento.
Un liquido ipotonico, come l’acqua dolce, passa velocemente nel sangue e lo diluisce, causando
ipervolemia ed anemia da emodiluizione. Contemporaneamente, si ha emolisi, con liberazione del
potassio eritrocitario. L’iperpotassiemia, unitamente all’anossia, induce fibrillazione ventricolare, con
morte in 3‐5‐ minuti.
Un liquido ipertonico, come l’acqua salata, invece, richiama negli alveoli plasma dai capillari,
determinando:
‐ Edema polmonare acuto
‐ Emoconcentrazione ed ipovolemia, responsabile di un progressivo deficit della pompa cardiaca.
La morte interviene pertanto più lentamente, nel giro di 6‐8 minuti.
Nell'annegamento, è possibile distinguere 5 fasi successive:
1. Fase della sorpresa 11
Si caratterizza per un unico atto inspiratorio riflesso che l'individuo compie appena caduto in acqua.
2. Fase della resistenza o dell’apnea volontaria in cui il soggetto chiude volontariamente la glottide per
evitare la penetrazione del liquido. Dura da un minimo di 30 sec ad un massimo di 1‐2 min, nel corso
dei quali l'individuo si agita e cerca di riemergere.
3. Fase della dispnea respiratoria
Si realizza quando non è più possibile trattenere il respiro, per l'ipercapnia sopraggiunta, con l’individuo
che rilascia la glottide e che effettua affannose respirazioni sott'acqua.
In questa fase, che dura circa 1 min, una grande quantità di liquido penetra nei polmoni e nel tubo
digerente (intestino compreso).
4. Fase apnoica, caratterizzata da perdita di coscienza, abolizione dei riflessi, arresto del respiro.
5. Fase terminale, in cui si hanno boccheggiamento ed arresto cardiaco
Segni esterni
Tra i diversi segni esterni osservabili in cadaveri rinvenuti nell’acqua, quello maggiormente suggestivo di
annegamento, perché espressione di morte asfittica, è il cdt fungo schiumoso o mucoso da intendere come
la presenza di una schiuma mucosa biancastra agli orifizi respiratori.
Nel caso dell’annegamento, si forma, a livello della trachea e dei bronchi, per la commistione, indotta dagli
atti respiratori dispnoici, del liquido annegante con muco aerato.
In genere, appare agli orifizi respiratori dopo che il corpo viene estratto dall’acqua, per la spinta verso l’alto
che i fenomeni putrefattivi gassosi esercitano sul diaframma.
Non è tuttavia distinguibile da quello osservato nelle altre forme di morte asfittica.
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L’esame esterno di cadaveri tolti dall’acqua può inoltre evidenziare:
‐ Cute anserina, dovuta alla contrazione dei muscoli piloerettori, indotta da stimoli termici o meccanici,
verso cui rimangono sensibili per diverse ore dopo la morte.
Tale reperto, quindi, non indica necessariamente che la persona fosse in vita al momento
dell’immersione.
‐ Modificazioni tanatologiche dipendenti dalla permanenza in acqua del cadavere (non specifiche
quindi di annegamento)
Ipostasi
Di colore rosso‐vivo, per la ri‐ossigenazione che il sangue subisce in ambiente umido e localizzate
elettivamente al viso, agli arti ed al terzo superiore della superficie anteriore del torace, per la
posizione che il cadavere di solito assume nell’acqua: prona, con il capo e gli arti semiflessi in
posizione declive rispetto al resto del corpo. Ciò è dovuto al fatto che l’addome, per il suo contenuto
gassoso, rappresenta la parte più leggera del corpo, che tende a portarlo in superficie.
Rapido raffreddamento del corpo
Trasparenze e lucentezza di cornea e congiuntiva, dato che non subiscono evaporazione post‐
mortale
Diverso andamento della putrefazione
Le salme tolte dall’acqua, infatti, vanno in rapida putrefazione mentre, fin tanto che vi restano
immerse, si conservano meglio.
Macerazione cutanea che consiste in un rigonfiamento, per imbibizione d’acqua, dello strato
corneo della cute. Pertanto comincia e si rende maggiormente manifesta laddove lo strato corneo
risulta più spesso e privo di ghiandole sebacee: palmi delle mani e piante dei piedi. 12
Più precisamente, esordisce già dopo poche h, con una colorazione biancastra della cute dei
polpastrelli.
Compaiono, quindi, raggrinzimenti, con lo strato corneo che, imbibito d’acqua, aumenta di volume.
Il fenomeno poi si estende al resto delle dita, alla palmo delle mani ed alla pianta dei piedi,
interessando, successivamente, la loro superficie dorsale, i polsi e le caviglie.
L’epidermide infine si distacca “a guanto” o “a scarpa” oppure cade a pezzi, per l’effetto di urti.
Lo stato di macerazione della cute viene valutato per stabilire la durata dell’immersione. È stato
infatti calcolato che la macerazione cutanea, per estendersi al dorso della mano, impiega circa 5‐8
gg, mentre il completo distacco dell’epidermide avviene in 2‐4 settimane.
Tuttavia, nello stimare la macerazione della cute, occorre considerare che una serie di fattori
influenzano l’andamento del fenomeno:
Temperatura dell’acqua (per imbiancare completamente il palmo delle mani, infatti, bastano 5‐
6 h d’estate e 3‐4 gg, d’inverno)
Contenuto di sale, dato che l’acqua dolce macera più rapidamente di quella marina
Presenza o meno di indumenti, ed in particolare delle scarpe, che rallentano la macerazione
della cute
Saponificazione
Richiede l’immersione del corpo per alcuni mesi, che non deve entrare in contatto con l’aria.
Avviene in acque particolarmente ricche di calcio e porta alla formazione di un sapone calcico
insolubile, di aspetto lardaceo ed untuoso e di odore sgradevole, detto adipocera, per la
combinazione dei sali di calcio disciolti nell’acqua con i grassi neutri dei tessuti.
Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo per poi diffondersi al tessuto adiposo periviscerale.
La saponificazione si realizza più facilmente d’inverno poiché, in tale stagione, il cadavere tende a
rimane sott’acqua.
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D’estate, invece, la salma tende ad affiorare in superficie, poiché le temperature più elevate
favoriscono la proliferazione batterica e la produzione di gas putrefattivi. Viene quindi a mancare la
condizione necessaria per la produzione del fenomeno: assenza di aria.
Segni Interni
All’esame interno di un cadavere rinvenuto nell’acqua, compatibile con l’annegamento del soggetto, è il
riscontro di segni generici di asfissia.
La diagnosi di annegamento, comunque, necessita della dimostrazione di:
1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del dx, per il passaggio del liquido
annegante dai polmoni al torrente circolatorio.
Tale fenomeno è dimostrabile, in sede autoptica, mediante prova cartometrica che consiste nel far
cadere gocce di sangue, prelevate separatamente dai due ventricoli, su di un foglio di carta bibula,
osservando poi la grandezza dei relativi aloni.
In caso di emodiluizione, il sangue del ventricolo sin lascerà un alone di diametro più grande ed avrà un
colore rosso più chiaro.
N.B. La diluizione del sangue e la sua diversa concentrazione salina, in funzione del liquido annegante,
comporta anche un cambiamento del delta crioscopico e della conducibilità elettrica.
Infatti, il punto di congelamento del sangue si abbassa e la sua conducibilità elettrica aumenta se il
contenuto di sali del liquido annegante è alto.
N.B. La putrefazione della salma non consente l’indagine, poiché le cavità cardiache risultano, in
genere, vuote.
2. Presenza di plancton nel parenchima polmonare e, soprattutto, negli organi irrorati dal grande
circolo, in particolare, fegato, reni e midollo osseo
Per plancton, s’intendono corpuscoli sospesi nel liquido annegante ed incapaci di movimento proprio.
Questi possono essere di natura animale (zooplancton), vegetale (fitoplancton) o minerale 13
(geoplancton).
La ricerca viene effettuata distruggendo chimicamente le componenti organiche dei visceri. L’oggetto
della ricerca è quindi costituito solo da fitoplancton, dotato di guscio calcareo e particolarmente
resistente al trattamento chimico. Un esempio è costituito dalle diatomee che, avendo struttura
cristallina, sono visibili al microscopio polarizzatore.
Tali reperti stanno a dimostrare che, quando il mezzo liquido ha inondato i polmoni, l’attività
cardiocircolatoria era efficiente e che, quindi, il soggetto era in vita, favorendo, pertanto, la DD tra
annegamento e sommersione del cadavere
L’annegamento è un’evenienza prevalentemente suicidaria ed accidentale.
L’evenienza omicidiaria è rara, almeno nell’adulto, in considerazione della sproporzione di forze che deve
sussistere tra l’aggressore e la vittima. Nel sospetto di annegamento omicidiario, particolare attenzione
deve essere posta alla presenza di eventuale lesività traumatica suggestiva di difesa da parte della vittima.
Dall’annegamento va distinta la SOMMERSIONE DI CADAVERE.
In un cadavere rinvenuto nell’acqua, permettono di escludere una morte per annegamento, l’assenza di
segni generici di asfissia. Tuttavia, la conferma che la morte asfittica sia dovuta ad annegamento viene
fornita solo da:
1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del ventricolo dx
2. Rinvenimento di plancton nel parenchima polmonare e, soprattutto, negli organi irrorati dal grande
circolo, in particolare fegato, reni, midollo osseo.
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Inciso
Dall’annegamento va distinta la MORTE IN ACQUA o IDROCUZIONE: morte che consegue all’immersione
in acqua senza riconoscere una genesi asfittica.
I meccanismi ritenuti alla base di questa forma di decesso sono di tipo:
nervoso
circolatorio
immunitario
Meccanismo nervoso
Consiste in un riflesso naso‐laringo‐cardiaco, secondo cui la stimolazione della mucosa nasale e faringo‐
laringea da parte dell’acqua fredda può portare ad arresto cardiaco.
Il meccanismo nervoso può conoscere attivazione anche in seguito a cadute dall’alto, con brusco e violento
impatto dell’addome sulla superficie liquida, per stimolazione del plesso solare.
Meccanismo circolatorio
Interviene soprattutto durante la fase digestiva e consiste in un insufficiente ritorno venoso al cuore, dato
che il sangue, già sequestrato nel distretto gastro‐intestinale con finalità digestive, viene richiamato dalla
muscolatura degli arti, impiegata per mantenere il galleggiamento.
Meccanismo immunitario
Consiste in una massiccia liberazione di istamina e di sostanze istamino‐simili che, in soggetto predisposti,
può essere innescata dal contatto della cute con l’acqua fredda, con conseguente shock anafilattico
(crioanafilassi).
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La diagnosi di morte in acqua è essenzialmente di esclusione e si basa sulla mancanza di segni di morte
asfittica per annegamento.
In alcuni casi, tuttavia, la reazione sincopale iniziale, pur di per sé non mortale, determinando la caduta in
acqua in fase di compromissione dello stato di coscienza, può facilitare il successivo annegamento del
soggetto.
Nel caso del rinvenimento di un cadavere in acqua, ci si può trovare di fronte a tre diverse evenienze:
Annegamento (morte per l’acqua)
Idrocuzione (morte in acqua)
Sommersione di cadavere
All’esame esterno ed interno del cadavere la mancanza di segni generici di asfissia, permette di
escludere l’ipotesi dell’annegamento. In loro presenza, tuttavia, la conferma che la morte sia avvenuta
per annegamento, viene fornita solo dal riscontro di:
1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del ventricolo dx
2. Rinvenimento di plancton nel parenchima polmonare e, soprattutto, negli organi irrorati dal
grande circolo, in particolare fegato, reni, midollo osseo.
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ASFISSIA DA ASPIRAZIONE o INTASAMENTO
Si caratterizza per l’ostruzione delle vie aeree dall’interno, come conseguenza della penetrazione in esse di
corpi estranei di natura eterogenea. Tali mezzi occludenti sono accomunati da:
‐ Provenienza esterna rispetto all’organismo
‐ Consistenza solida
La diagnosi medico‐legale risulta agevole se si rinviene il corpo estraneo che ha causato l’asfissia.
SOMMERSIONE INTERNA
Consiste nell’inondazione delle vie respiratorie ad opera di un fluido proveniente dall’interno
dell’organismo.
Caratteri distintivi sono, dunque:
‐ Fluidità del mezzo occludente
‐ Natura endogena dello stesso
Il fluido più frequentemente responsabile è il sangue, proveniente, ad esempio, da ferite che interessano
contemporaneamente i grossi vasi del collo e le vie respiratorie, come può avvenire nello scannamento o in
ferite da arma da fuoco.
Anche altri fluidi endogeni possono produrre lo stesso meccanismo asfittico. È questo il caso di:
‐ Pus, proveniente dall’apertura di raccolte ascessuali
‐ Liquido idatideo, per rottura di cisti di echinococco
‐ Contenuto gastrico che, con il vomito, risale in esofago e si riversa in trachea
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IMMOBILIZZAZIONE TORACICA
Forma di asfissia meccanica violenta dovuta ad un’insufficiente ventilazione polmonare, per l’impedimento
dei normali movimenti respiratori.
Come segno esterno è frequente, a causa del notevole aumento pressorio nel distretto venoso della cava
superiore, il riscontro della cdt maschera ecchimotica, caratterizzata da un’intensa cianosi del volto, del
collo e delle regioni superiori del torace, con disposizione a mantellina. Si associano ecchimosi diffuse ed
emorragie congiuntivali.
Il quadro anatomopatologico è comune a quello delle altre morti asfittiche.
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*ASFISSIA DA SPAZIO CONFINATO o CONFINAMENTO
Può aver luogo qualora uno o più individui si trovino chiusi in uno spazio circoscritto, privo di ricambio
d’aria.
È questo il caso di:
1. Bambini che restano chiusi in cassapanche
2. Soggetti che affollano ambienti angusti e non ventilati
3. Individui che restano intrappolati sotto le macerie di edifici crollati
4. Soggetti che entrano in containers carichi di grano o di altre graminacee, che consumano ossigeno,
cedendo anidride carbonica
Si tratta, pertanto, di un’evenienza prevalentemente accidentale.
Le prime manifestazioni cliniche compaiono quando l’ossigeno contenuto nell’aria scende al di sotto del
7%. La morte sopraggiunge se tale percentuale diviene minore del 3%.
Agli effetti nocivi della carenza di ossigeno possono aggiungersi quelli causati dall’eccesso di anidride
carbonica e dall’aumento della temperatura ambientale.
La diagnosi si basa su:
‐ Segni generici di asfissia
‐ Elementi di carattere circostanziale
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DELITTI DI PERCOSSE E DI LESIONE PERSONALE
I delitti di percosse e di lesione personale sono collocati fra i delitti contro la persona e, precisamente, fra
quelli contro la vita e l’incolumità individuale.
DELITTO DI PERCOSSE (ART. 581 CP)
Per il configurarsi del delitto di percosse sono richiesti 3 elementi:
1. Condotta violenta diretta a percuotere
2. Effetto materiale dell’atto (sofferenza fisica arrecata)
3. Dolo e, cioè, intenzione di cagionare tale sofferenza
N.B. Dal fatto non deve derivare una malattia del corpo o della mente. In caso contrario si configura il
delitto di lesione personale.
Il delitto di percosse è punibile a querela della persona offesa.
DELITTO DI LESIONE PERSONALE (ART. 582 CP)
Per configurarsi il delitto di lesione personale è sufficiente che la condotta, anche se non violenta (come ad
esempio la somministrazione di cibi nocivi), si trovi in relazione causale con il verificarsi di una condizione di
malattia del corpo o della mente.
Per malattia penalmente rilevante s’intende una modificazione peggiorativa dello stato anteriore, avente
carattere dinamico (soggetta cioè ad evoluzione ovvero a cronicizzazione) e recante un disordine funzionale
apprezzabile di una parte o di tutto l’organismo che si ripercuote sulla vita organica e, soprattutto, di
relazione dell’individuo e che necessita di un intervento terapeutico, anche modesto
Le mere alterazioni anatomiche che non interferiscano in alcun modo con il profilo funzionale della persona
non possono configurare una condizione di malattia penalmente rilevante ma possono costituire fonte di
danno risarcibile in sede civile.
CLASSIFICAZIONE
Le lesioni personali possono essere classificate sulla base di:
Elemento psicologico del delitto
Durata della malattia
In base all’elemento psicologico del delitto, si distinguono:
1. lesione personale volontaria o dolosa
2. lesione personale colposa
Differisce da quella dolosa poiché, nelle lesioni colpose, manca la volontà di produrre l’evento
(malattia).
L’evento malattia, quindi, anche se prevedibile o previsto, non è voluto dall’agente ma si verifica a
causa di negligenza, imperizia o imprudenza oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline.
La lesione personale colposa è perseguibile solo a querela della persona offesa, derivando, da ciò,
l’esenzione dall’obbligo dI referto. Tuttavia, l’art. 590 stabilisce che il delitto è perseguibile d’ufficio,
con conseguente obbligo di referto, qualora si tratti di lesioni personali colpose gravi o gravissime,
conseguenti a fatti compiuti con violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul
lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia professionale.
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In base alla durata della malattia, si distinguono:
1. Lesione personale lievissima, se la durata della malattia non è > 20 gg.
In tal caso, il delitto è perseguile a querela della persona offesa.
2. Lesione personale lieve, se la malattia ha una durata > 20 gg, ma non > 40 gg.
Ove si tratti di lesione personale volontaria, si procede d’ufficio. Sussiste, quindi, per il medico, l’obbligo
di presentare referto. L’obbligo del referto non sussiste, invece, se la lesione personale lieve è colposa e
quindi perseguibile a querela di parte.
3. Lesione personale grave, se la durata della malattia o della capacità di attendere alle ordinarie
occupazioni è > 40 gg o se si realizza alcun altra delle seguenti circostanze aggravanti previste dall’art.
583 del CP:
‐ Dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa
‐ Dal fatto si produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo
Per questo tipo di lesione si procede d’ufficio, con obbligo di referto da parte del medico, se dolosa o se
colposa e conseguente a fatti compiuti con violazione delle norme relative alla prevenzione degli
infortuni sul lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia
professionale.
4. Lesione personale gravissima, se si configura una delle seguenti delle circostanze aggravanti, previste
dall’art. 583 del CP:
‐ Malattia certamente o probabilmente insanabile
‐ Perdita di un senso
‐ Perdita di un arto
‐ Mutilazione che renda l’arto inservibile
‐ Perdita dell’uso di un organo
‐ Perdita della capacità di procreare
‐ Permanente e grave difficoltà della favella
‐ Deformazione ovvero sfregio permanente del viso
Per questo tipo di lesione si procede d’ufficio, con obbligo di referto da parte del medico, se dolosa o se
colposa e conseguente a fatti compiuti con violazione delle norme relative alla prevenzione degli
infortuni sul lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia
professionale.
La distinzione tra lesione personale grave e gravissima, pertanto, viene fatta non solo sulla base della
durata della malattia, ma anche della natura e della gravità delle conseguenze della lesione.
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Circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 CP
che definiscono il reato di lesione personale grave
Malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa
Sotto il profilo medico‐legale, il giudizio di malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa deve
essere inteso come un giudizio diagnostico, espresso sulla base dell’effettiva realtà e gravità della
compromissione delle funzioni cardiaca, respiratoria e nervosa.
Poiché si tratta di un giudizio diagnostico e non di una prognosi quod‐vitam, il pericolo per la vita della
persona offesa deve esser attuale e non solo genericamente potenziale o desunto sulla base di prevedibili
complicanze future.
Esempio di malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa è lo shock emorragico.
Malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 gg
Nel computo del periodo occorre tener conto anche dell’eventuale maggiore durata che, pur indipendente
dal fatto del colpevole, sia stata determinata da preesistenti condizioni patologiche della vittima, da fatti
patologici concomitanti o da complicazioni sopravvenute.
Anche in questi casi non viene escluso il nesso di causalità con il fatto lesivo a meno che non si tratti di
concause sopravvenute, del tutto indipendenti dal fatto del colpevole e da sé sole sufficienti a determinare
la maggiore durata del periodo.
Nel computo della durata rientra anche il periodo di convalescenza, poiché, come nella malattia, anche
durante questa fase il soggetto è costretto a limitare la propria vita di relazione e la propria capacità di
espletare le abituali attività della vita quotidiana.
Per ordinarie occupazioni non si devono intendere solo quelle professionali ma occorre tener conto di
qualsiasi altra occupazione, materiale o intellettuale, che la persona in esame svolge, purché sia abituale e
lecita.
Indebolimento permanente di un senso o di un organo
In ambito medico‐legale, nel parlare di senso ci si riferisce ad un mezzo attraverso cui viene percepito il
mondo esterno; nel parlare di organo non ci si riferisce al viscere in sé bensì alla funzione da esso espletata.
Per alcune funzioni, possono configurarsi due differenti ipotesi: indebolimento e perdita, come nel caso
delle funzioni uropoietica, riproduttiva e masticatoria; per altre, invece, si può parlare solo di
indebolimento, perché la loro perdita coinciderebbe con la morte, caso delle funzioni cardiovascolare,
nervosa e respiratoria.
L’indebolimento si realizza quando la lesione riduca di almeno il 10% la funzione considerata o il senso
interessato.
Al di sopra del 90%, il deficit funzionale si qualifica come perdita, definendo una condizione di lesione
personale gravissima.
N.B. Ai fini valutativi in sede penale deve essere presa in esame la “funzione naturale”, senza considerare
eventuali trattamenti terapeutici o protesici ed eventuali correzioni chirurgiche.
Le ragioni di ciò sono:
‐ nessuna persona può essere costretta, contro la propria volontà, a sottoporsi ad alcun trattamento, per
emendare o contenere un certo danno
‐ nessun trattamento medico‐chirurgico può dare la certezza del risultato
‐ eventuali protesi artificiali sarebbero sostitutive ma non capaci di ripristinare interamente la funzione
naturale
L’indebolimento obiettivato può essere ritenuto permanente qualora il medico abbia la certezza che esso
sia durevole nel tempo.
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che definiscono il reato di lesione personale gravissima
Malattia certamente o probabilmente insanabile
Viene ritenuta tale quando non si conoscono rimedi efficaci e quando il processo patologico diventa
cronico, così da escludere con certezza la possibilità di restitutio ad integrum.
Il Legislatore ha considerato equivalenti la malattia certamente insanabile e quella che può essere definita
tale solo in via di probabilità, trattandosi di un giudizio prognostico.
Esempi di malattia certamente o probabilmente insanabile sono: emisezione traumatica del midollo
spinale, nefrite cronica traumatica, AIDS nella fase di malattia conclamata.
Perdita di un senso
Tale circostanza si configura se dal fatto deriva la riduzione di una funzione sensoriale superiore o uguale al
90%.
Perdita di un arto
Viene intesa non solo come l’asportazione totale di esso (amputazione) ma anche come l’impossibilità
assoluta di utilizzarlo (paralisi).
Mutilazione che rende l’arto inservibile
Tale ipotesi si verifica quando un arto, superiore o inferiore, sia privato di una parte importante come, ad
esempio, la mano o il piede.
Perdita dell’uso di un organo
Poiché, in medicina‐legale, con il termine di organo ci si riferisce alla funzione da esso espletata, per poter
parlare di perdita dell’uso di un organo è richiesta la cessazione definitiva di una ben precisa funzione.
Pertanto, la perdita di un occhio costituisce indebolimento permanente della funzione visiva e non perdita
dell’uso di un organo. Allo stesso modo, sono classificabili la perdita di un rene, a rene adelfo integro; la
perdita di un testicolo, con l’altro vicariante; la perdita monolaterale dell’udito.
Esempi di perdita dell’uso di un organo sono, invece, la perdita del rene, nel soggetto monorenico; la
perdita dell’udito, nel sordo monolaterale; la perdita dell’altro occhio, nel monoculo.
Perdita della capacità di procreare
Nel maschio, la perdita della capacità di procreare può verificarsi a causa di impotentia coeundi e di
impotentia generandi.
Nella donna, si deve tener conto dell’impotentia coeundi, generandi, gestandi, partoriendi.
Esempio: donna che, in esito ad una grave frattura del bacino con viziatura pelvica e conseguente
impervietà assoluta o relativa del canale del parto, sia capace di partorire solo mediante taglio cesareo.
Si parlerà in tal caso di lesione personale gravissima, per perdita della capacità di procreare, dovendosi
considerare il taglio cesareo un rimedio artificiale.
N.B. La capacità di procreare può esser persa anche a causa di menomazioni che non interessano
direttamente, ma solo indirettamente, l’apparato genitale. Ad esempio, nell’uomo, compromissione dei
centri nervosi cerebrali e spinali dell’erezione; nella donna, anchilosi coxo‐femorale bilaterale.
Permanente e grave difficoltà della favella
Per favella, s’intende il linguaggio parlato.
Assumeranno, pertanto, notevole valore i disturbi afasici, disartrici e quelli nei quali il danno foniatrico
consegue a menomazioni permanenti e gravi dell’apparato fonatorio, sia a livello periferico che centrale.
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Deformazione o sfregio permanente del volto
Per sfregio, s’intende qualsiasi minorazione del fregium e, cioè, dell’armonia o della bellezza del volto.
Per deformazione, invece, s’intende un sovvertimento strutturale e, cioè, una deturpazione del volto tale
da renderlo disgustoso.
Quanto ai limiti del volto, essi risultano ben definiti dalla giurisprudenza, secondo cui il volto è delimitato, in
alto, dall’attaccatura del capillizio; in basso, dal margine inferiore della mandibola e del mento; ai lati, dai
due padiglioni auricolari.
N.B. per il configurarsi dell’ipotesi sia di sfregio che di deformazione, non è necessario che la menomazione
interessi direttamente il volto quanto che faccia risentire, su di esso, i suoi effetti sfregianti o deturpanti.
Ad esempio, può verificarsi che il soggetto presenti un deficit paretico del VII, a causa di una frattura della
rocca petrosa della mastoide; che vi siano esiti cicatriziali del collo, con effetti retraenti sulla cute del viso,
per ustioni o causticazioni; che il soggetto abbia riportato una lesione traumatica del simpatico cervicale,
con conseguente sindrome di Claude‐Bernard‐Horner (miosi, enoftalmo, ptosi palpebrale).
Anche in relazione al problema del danno estetico, vale il principio generale che nessuno può essere
obbligato ad un determinato trattamento medico o chirurgico. Il medico, pertanto, terrà conto, nella sua
valutazione del danno, della “funzione naturale”, a prescindere quindi da eventuali miglioramenti ottenibili
con interventi medico‐chirurgici.
Inciso
In diritto penale la procedibilità d'ufficio è la qualità di alcuni reati a seguito della perpetrazione dei quali l'azione
penale deve essere avviata al mero ricevimento della notitia criminis.
A differenza di quanto accade per i reati perseguibili a querela della parte offesa, perciò, non si richiede che taluno che
ne abbia legittimazione debba sollecitare l'avvio dell'azione penale, ma l'autorità giudiziaria deve immediatamente
perseguire il colpevole non appena acquisisca la relativa denuncia, indipendentemente dalla eventuale lesione di diritti
di terzi e dalla loro eventuale facoltà di rivalsa. Inoltre, l'azione avviata d'ufficio è irretrattabile, non è dunque possibile
interromperla come avviene nel caso di remissione della querela.
DIFFERENZE TRA DELITTO DI PERCOSSE E QUELLO DI LESIONE PERSONALE
Percosse Lesione personale
Elemento psicologico del reato Dolo Dolo o colpa
Condotta Attiva Attiva‐omissiva
Evento Assenza di malattia Malattia
Punibilità A querela della persona offesa A querela o di ufficio
Referto Esenzione Esenzione o obbligo
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INFANTICIDIO IN CONDIZIONI DI ABBANDONO MATERIALE E MORALE DELLA
MADRE
Art. 578 CP
La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando
il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da
quattro a dodici anni.
Perché vada a configurarsi la fattispecie delittuosa dell’infanticidio, e non quella dell’omicidio, sono richiesti
due requisiti:
1. Uccisione, da parte della madre, del neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il
parto
2. Dimostrazione delle condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna
Il Codice Penale, pertanto, estende la sua tutela anche al feto durante il parto, pur non potendo quest
ultimo considerarsi nato ai sensi del Diritto Civile, in quanto non ha ancora respirato e, quindi, vissuto di
vita autonoma, cosa che lo rende privo di capacità giuridica.
Occorre comunque dimostrare che il prodotto del concepimento 1.sia in possesso della capacità di vita
autonoma extrauterina, la cui assenza configurerebbe l’ipotesi dell’aborto e non quella del feticidio.
Requisiti necessari affinché un prodotto del concepimento possa essere ritenuto capace di vita autonoma
extrauterina sono:
1) Raggiungimento della cdt “soglia di vitalità cronologica”, fissata dopo la fine del 6° mese.
Il raggiungimento di tale soglia viene denunciato dal riscontro del nucleo di ossificazione dell’astragalo
2) Sufficiente sviluppo degli organi essenziali in grado di assicurare le funzioni vitali
3) Assenza di patologie o malformazioni che non permettano il mantenimento della vita extrauterina
Bisogna quindi:
2. Valutare se vi è stata vita post‐natale e, in caso affermativo, qual è stata la sua durata.
La prova della vita extrauterina viene fornita dalla dimostrazione dell’avvenuta respirazione polmonare,
ottenibile mediante le cdt docimasie respiratorie.
Raggiunta la prova che vi è stata vita extrauterina, sorge l’esigenza di stabilire la sua durata.
Ciò risulta rilevante poiché il Legislatore ammette solo nell’immediatezza del parto la possibile
esistenza di uno shock psichico tale da giustificare, sia pure in parte, il comportamento criminoso della
donna. Se, infatti, la donna uccide il neonato diverso tempo dopo il parto, si configurerà il reato di
omicidio e non quello di infanticidio
La durata effettiva della vita extrauterina può essere dedotta valutando:
‐ Presenza del tumore da parto, che scompare entro 2‐3 gg
‐ Presenza di meconio nell’intestino, che scompare dopo 3‐4 gg
‐ Presenza del funicolo ombelicale, che si distacca intorno al 10° giorno
‐ Aspetto macroscopico del funicolo che, alla nascita, risulta molle e di colorito bianco perlaceo,
trasformandosi, nel volgere dei gg, in un cordone nastriforme e bruno.
3. Accertare la causa della morte, che può essersi verificata per un evento delittuoso, accidentale o
patologico.
Nei casi di infanticidio, la causa della morte può essere ascrivibile a comportamenti omissivi (come
abbandono del neonato in un cassonetto) o a comportamenti attivi che realizzano l’ipotesi delittuosa
soprattutto mediante forme di asfissia meccanica violenta tra cui quelle più frequentemente attuate
sono il soffocamento e l’annegamento. Meno comuni, invece, risultano modalità traumatiche
contusive, trauma cranico in primis.
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Il secondo requisito per il configurarsi di un delitto di infanticidio consiste nella dimostrazione delle
condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna
Le due condizioni devono sussistere congiuntamente ed oggettivamente, non potendo essere
semplicemente supposte
Esse si riferiscono soprattutto a quello stato di particolare solitudine e di reale emarginazione in cui la
donna, specie se minore, può trovarsi all’interno della famiglia.
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DELITTO DI VIOLENZA SESSUALE
Il comportamento sessuale non è soggetto a particolari limitazioni giuridiche, purché:
i soggetti che compiono gli atti sessuali siano capaci liberamente di autodeterminarsi
tale comportamento non arrechi offesa alla collettività
tale comportamento non cagioni danno alla persona del partner e ne si rispetti il consenso
Sec. l’art. 609 bis del CP (violenza sessuale), chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di
autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da 5 a 10 anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1. abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto
2. traendo in inganno la persona offesa per essersi sostituito ad altra persona
Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non eccedente i 2/3.
“Chiunque” significa che il delitto può essere commesso anche da parte del marito sulla moglie, del cliente
sulla prostituta, dell’amante sul partner, ecc… Può realizzarsi anche fra due donne o di una donna
sull’uomo. Il colpevole, insomma, è colui che pretenda e realizzi un atto sessuale non liberamente voluto o
accettato dall’altro e, quindi, in assenza o oltre i limiti del suo valido consenso.
Nel riferirsi alla vittima, il Codice parla di “taluno” senza alcuna limitazione. Né ha importanza verificare, ai
fini del realizzarsi del fatto delittuoso, se la vittima abbia poi concorso al compimento dell’atto. Ciò che
conta è che quest ultima non abbia prestato libero consenso all’atto sessuale
Tale norma riconduce all’unica ipotesi di “violenza sessuale” le due tipologie di reati previste dal vecchio
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regime: congiunzione carnale violenta (violenza carnale) ed atti di libidine violenti, equiparando le sanzioni
penali per esse erogate. In sede peritale e nello svolgimento del processo non vi è quindi più alcuna
necessità di stabilire se vi sia stata o meno congiunzione carnale, o solo atti di libidine violenti, con i
conseguenti riflessi positivi sulla tutela della dignità personale e del diritto alla riservatezza della vittima.
La norma, inoltre, nella sua genericità ed estensività, può includere non solo la congiunzione carnale e gli
atti di libidine, ma anche altre condotte offensive del diritto alla libertà sessuale della persona, sino alle cdt
molestie sessuali.
Segni fisici della violenza subita
In ogni caso di stupro, l’esame clinico deve essere effettuato il più prontamente possibile e prima che la
vittima si lavi (ad esempio per il prelievo di eventuali tracce di liquido seminale).
I segni lesivi possono riguardare qualsiasi sede extra‐genitale, ma, con maggiore frequenza, sono a carico
delle regioni genitali.
Più spesso si tratta di escoriazioni, abrasioni, graffiature, unghiature, ecchimosi soprattutto in
corrispondenza del collo, delle regioni anteriori del torace, della radice degli arti inferiori e di lacerazioni o
abrasioni in sede genitale ed anale.
Le lacerazioni acquisite del disco imenale sono profonde ed arrivano sino al bordo fisso del disco stesso, i
loro margini combaciano e sono ecchimotici e contusi.
Quelle congenite, invece, hanno profondità diversa, ma non raggiungono la zona aderente, sono irregolari,
hanno margini che generalmente non combaciano e non presentano soffusioni ecchimotiche.
Di frequente osservazione sono, inoltre, lesioni di tipo contusivo a carico delle cosiddette zone erogene:
mammelle, capezzoli, glutei, cosce, bocca.
Lesioni da difesa possono essere ricercate a livello delle mani. Sotto le unghie della vittima si possono
trovare piccoli frustoli di cute, utili ai fini dell’identificazione dell’aggressore.
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N.B. Non è richiesta alcuna prova dell’esistenza dei segni fisici della violenza subita quando si tratti di
“violenza presunta” o di “violenza subita”
Violenza sessuale presunta
Secondo l’art.609 quarter del CP, soggiace alla stessa pena prevista, dall’art.609 bis, per la violenza
sessuale, chiunque compia atti sessuali con persona, che al momento del fatto:
Non abbia compiuto 14 anni
Non abbia compiuto 16 anni, qualora il colpevole sia una persona a cui il minore è affidato (…) o che
abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza.
In tutti questi casi si dà per scontato che non vi sia consenso valido da parte della vittima con la
conseguenza che l’atto sessuale sarà sempre qualificato come violento (lesivo cioè della libertà personale
della vittima). Non vi è dunque alcuna necessità di provare l’esistenza dei segni obbiettivi della violenza
subita. Qualora questi siano evidenziati, è da ritenere che vi sia stato anche dissenso, da cui la più grave
violenza fisica e psichica subita. Tali segni costituiranno, pertanto, circostanza aggravante del delitto.
Un’ulteriore circostanza aggravante è rappresentata da un’età della vittima minore di 10 anni.
In tutti i casi, vi è l’obbligo di referto per il medico che abbia prestato la propria assistenza, trattandosi di
delitto perseguibile d’ufficio.
Violenza sessuale abusiva
Si parla di abuso quando il soggetto compie l’atto sessuale abusando della propria autorità oppure delle
condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima, condizioni che devono provarsi esistenti al momento
in cui il fatto è stato commesso.
In questi casi, il consenso della vittima al momento del fatto, pur se esistente, non è ritenuto valido poiché
viziato da fattori estrinseci (condotta abusante del colpevole) e da fattori intrinseci (condizioni di inferiorità
fisica o psichica esistenti al momento del fatto)
Occorrerà pertanto valutare, caso per caso, se il colpevole abbia effettivamente abusato della propria
autorità o delle condizioni di inferiorità della persona offesa al momento del fatto. 2
Circostanze aggravanti il reato di violenza sessuale
1. Violenza sessuale compiuta su persona che non abbia ancora 14 anni di età o che non abbia ancora 16
anni qualora il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo o il tutore.
2. Violenza sessuale condotta mediante l’uso di armi o di sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti
oppure con l’uso di altri strumenti o sostanze gravemente lesive della salute della persona offesa
3. Violenza sessuale condotta da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di
incaricato di pubblico servizio
4. Violenza sessuale compiuta su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale
Atti sessuali tra minorenni
Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis (violenza sessuale), compia
atti sessuali con un minore che abbia compiuto anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore
a tre anni.
È prevista una reclusione da 7 a 14 anni, se la persona offesa non ha compiuto i 10 anni.
Ignoranza dell’età della persona offesa
Qualora i delitti sessuali siano commessi in danno di persona minore di anni 14, anche se consenziente, il
colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa.
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Violenza sessuale di gruppo
Essa consiste nella partecipazione di più persone ad atti di violenza sessuale. È punita dall’art. 609 octies.
La pena consiste nella reclusione da 6 a 12 anni ed è aumentata se concorre taluna delle circostanze
aggravanti previste dall’art. 609 ter.
Il delitto è perseguibile d’ufficio.
È inoltre previsto che l’imputato, anche non consenziente, sia obbligato a sottoporsi ad accertamenti atti ad
accertare l’eventuale esistenza di malattie a trasmissione sessuale, qualora, per le modalità del fatto,
sussista un fondato rischio di trasmissione.
Querela di parte
I delitti sessuali sono generalmente punibili a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione
della querela è stato prorogato a 6 mesi.
È inoltre stabilito che la querela, una volta proposta, sia irrevocabile.
Quesiti posti dal magistrato
I quesiti che più frequentemente il magistrato pone al perito medico‐legale in materia di violenza sessuale
sono:
1. Accertare la natura e l’entità degli eventuali segni di violenza ed a quale epoca essi risalgono
2. Stabilire se il soggetto al momento del fatto era in una condizione di inferiorità fisica o psichica e se vi è
stato abuso di tali condizioni.
3. Stabilire se siano state utilizzate armi o altri mezzi di offesa o se vi sia stato uso di sostanze alcooliche o
di altre sostanze gravemente lesive della persona offesa
4. Verificare quali siano al momento della visita lo stato di coscienza e le capacità di orientamento della
vittima
5. Determinare se il soggetto attivo e/o quello passivo siano affetti da una malattia a trasmissione 3
sessuale
6. Precisare se i dati obiettivi riscontrate all’esame della parte lesa si accordino con le modalità del fatto
indicate negli atti processuali
7. Definire quali siano l’età della vittima e quella dell’aggressore, ove sussistano dubbi sulla realtà
anagrafica delle stesse
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TRAPIANTI D’ORGANO
Prelievo da viventi
Non sono consentiti i prelievi d’organo da viventi quando causino una diminuzione permanente
dell’integrità fisica e psichica del donatore.
Ad essere consentita è la donazione di: sangue, lembi di pelle, frammenti di osso, midollo osseo,
cartilagine, capelli.
La persona può disporre di tali parti, ma solo a titolo gratuito, senza cioè ricevere alcun compenso.
È permessa inoltre, per espressa deroga di legge, la donazione del rene. La deroga vale per i genitori, i figli, i
fratelli germani e non germani del pz e, solo nel caso di loro assenza o quando nessuno di essi sia idoneo o
disponibile, l’espianto può riguardare altri parenti o donatori estranei al nucleo parentale.
In ogni caso, è necessario il consenso esplicito, libero ed informato della persona che viene sottoposta a
prelievo e tale consenso non può essere sostituito da alcuno stato di necessità.
La deroga è stata estesa anche a parti di fegato.
Prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico
Sono prelevabili, a scopo di trapianto di terapeutico, tutti gli organi del cadavere, fatta eccezione per
l’encefalo e per le ghiandole della sfera genitale e della procreazione.
Prelievi e trapianti non sono consentiti a scopo di sperimentazione.
È necessario che l’accertamento della morte cerebrale ed il consenso alla donazione rispettino le procedure
stabilite dalle leggi vigenti.
L’accertamento della morte cerebrale è subordinato alla verifica della coesistenza dei seguenti dati:
1. Stato di incoscienza
2. Assenza dei riflessi del tronco (riflesso corneale, fotomotore, oculo‐cefalico, oculo‐vestibolare, reazioni
a stimoli dolorifici nel territorio del trigemino, riflesso carenale)
3. Assenza di respiro spontaneo dopo sospensione della ventilazione artificiale fino al raggiungimento di
ipercapnia accertata di 60 mmHg, con pH ematico minore di 7.4
4. Silenzio elettrico cerebrale
La contemporanea presenza dei segni citati deve essere accertata per tutto il periodo di osservazione: 6
ore, nei bambini con più di cinque anni e negli adulti; 12 ore, nei bambini di età compresa tra uno e cinque
anni; 24 ore, nei bambini di età inferiore ai 12 mesi.
A provare e certificare la morte cerebrale sarà un collegio di tre medici nominato dalla Direzione Sanitaria:
1. Medico‐legale o, in mancanza, medico della direzione sanitaria o anatomo‐patologo
2. Medico specialista in anestesia e rianimazione
3. Neurofisiopatologo o, in mancanza, neurologo esperto in elettroencefalografia.
I componenti dell’equipe devono essere dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche appositamente
autorizzate e indipendenti dall’equipe che effettuerà il prelievo.
Sarà il magistrato che, a conclusione del periodo di osservazione, autorizzerà o meno l’espianto sulla base
dei dati che gli vengono forniti dal Collegio.
I verbali scritti, il cui originale sarà conservato nell’Archivio dell’Ospedale, andranno trasmessi, entro le 48
ore dal loro completamento, alla ASL competente e al Procuratore della Repubblica, per il controllo della
legittimità delle operazioni di accertamento della morte.
È fondamentale accertare, inoltre, che il donatore sia esente da malattie virali, tumorali o infettive.
Consenso alla donazione d’organo
Le nuove regole, dettate dalle L. n. 91 del 1 Aprile del 1999, introducono il principio del silenzio‐assenso
informato secondo cui è la persona in vita ad essere chiamata a decidere, e non i familiari dopo la morte, se
mettere a disposizione a scopo terapeutico i propri organi in caso di decesso.
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A tal fine, ogni cittadino, compiuto il 16° anno di età verrà informato sull’argomento e sarà chiamato ad
esprimere la propria volontà.
In caso di rifiuto, dovrà rendere nota la sua decisione, con l’obbligo da parte della competente autorità
sanitaria, di trascriverla nel libretto sanitario individuale o su altri documenti di identità, ove verrà riportata
la scelta “n.d.” (non donatore).
Se la persona, dopo l’informativa e la richiesta di pronunciarsi al riguardo, si astiene dal manifestare la sua
volontà entro un termine di 90 giorni, non verrà riportato sul documento alcuna dicitura e quindi si darà
per scontato l’assenso all’eventuale prelievo di organo (principio del silenzio‐assenso informato).
In ogni momento della sua vita il cittadino potrà cambiare parere.
Al di sotto del 16° anno, qualsiasi decisione verrà presa dai genitori o dai rappresentanti legali.
La Legge n. 91 del 99 prevede inoltre:
1. Istituzione di un centro nazionale trapianti, di centri interregionali e di centri regionali che presiedano
alla gestione delle liste di attesa e all’assegnazione degli organi
2. Definizione della figura del coordinatore delle attività di prelievo, finalizzata alla gestione dei rapporti
con i familiari ed all’incremento delle donazioni d’organo.
3. Verifica dell’idoneità degli organi e dei tessuti prelevati che devono essere esenti da malattie
trasmissibili al ricevente
4. Realizzazione di un sistema informatico nazionale dedicato alla gestione ed al coordinamento di tutte le
attività connesse al trapianto
5. Definizione di regole e metodologie condivise ed attuate da tutto il sistema trapianti in modo
trasparente in conformità con i dispositivi di legge
Fino al momento in cui il sistema informatico nazionale non sarà funzionante, è previsto un regime
transitorio durante il quale il prelievo di organi o tessuti potrà essere effettuato se la persona candidata alla
donazione non abbia espressamente negato in vita il proprio assenso e se, nel corso del periodo di
osservazione obbligatorio, il coniuge non separato o, in mancanza, i figli maggiorenni o in mancanza di
questi ultimi il rappresentante legale, non abbiano fatto pervenire in tempo utile opposizione scritta.
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Trattamenti sanitari volontari e non
Tutti i trattamenti sanitari sono volontari e necessitano, pertanto, della libera partecipazione di colui che li
riceve.
Eccezioni sono:
1. Trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale
Secondo l’art. 34 della legge 833 del 1978, perché si disponga un trattamento sanitario obbligatorio per
malattia mentale, in regime di degenza ospedaliera, occorre la coesistenza delle seguenti condizioni:
1) Il pz deve presentare alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici
2) Gli stessi interventi non vengono accettati dall’infermo, perché questi non è in condizioni di
comprenderne la natura, il significato, la necessità
3) Non è possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra‐ospedaliere
Il ricovero deve avvenire rispettando le seguenti modalità:
Proposta motivata da parte del medico curante, che va inoltrata all’ASL
Convalida della proposta da parte di un medico dell’ASL
Invio della proposta motivata al Sindaco, che disporrà il ricovero con ordinanza
Convalida, entro 48h, dell’ordinanza del sindaco da parte del giudice tutelare
2. Trattamenti ed accertamenti sanitari resi obbligatori da disposizioni di legge
‐ Vaccinazioni obbligatorie
‐ Trattamenti relativi a malattie infettive e diffusive, come isolamento e contumacia
‐ Verifica periodica dell’uso recente di alcol e di sostanze stupefacenti in lavoratori dediti a mansioni
che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi
‐ Accertamenti tesi a verificare l’adesione di soggetti tossicodipendenti al programma terapeutico di
recupero
3. Accertamenti ordinati dall’Autorità giudiziaria
Un esempio consiste nella misurazione della temperatura corporea, durante l’epidemia Ebola, in tutti i
soggetti provenienti dai Paesi colpiti, come presupposto per entrare in territorio italiano.
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INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
Secondo l’art.4 della legge n.194 del 1978,
per l’interruzione volontaria di gravidanza, entro i primi 90 gg, la donna che accusi circostanze per le quali la
prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbe un serio pericolo per la sua salute
fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari o alle
circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, può
rivolgersi ad un consultorio pubblico, ad una struttura socio‐sanitaria abilitata dalla regione o ad un medico
di sua fiducia.
In pratica, durante i primi 90 gg, la decisione di abortire, spetta esclusivamente alla donna.
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro, il medico del consultorio o della
struttura socio‐sanitaria, o il medico di fiducia, rilascia alla gestante copia di un documento, firmato anche
dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per 7 gg.
Nel documento, il medico è tenuto ad accertare e certificare:
1. Identità della donna
2. Esistenza della gravidanza
3. Epoca della stessa e che quindi non siano trascorsi i 90 giorni
4. Età della donna
5. Richiesta e motivi
6. Avvenuta informazione sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale a cui può fare
ricorso. Si deve cioè attestare l’avvenuta attività dissuasiva.
7. Avvenuta informazione sui consultori nonché sulle strutture socio‐sanitarie o gli ospedali dove, dopo il
termine di 7 gg, la donna potrà rivolgersi
8. Data del rilascio
Trascorsi i 7 gg, la donna può presentarsi per ottenere l’interruzione della gravidanza, sulla base del
documento rilasciatole, presso una delle sedi autorizzate.
Il padre del concepito potrà essere sentito solo quando la donna lo consenta.
Sec l’art. 6 della legge, l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi 90 gg, può essere praticata:
‐ quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna
‐ quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni
del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
I processi patologici che configurano i casi previsti per l’interruzione volontaria di gravidanza dopo il 90°
giorno, devono essere accertati da un medico dello stesso servizio ostetrico‐ginecologico dell’ente
ospedaliero in cui andrà praticato l’intervento, che ne certifica l’esistenza.
L’art. 7 della legge stabilisce che, qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente
pericolo di vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure
previste negli altri casi ed al di fuori delle sedi autorizzate.
L’eventuale obiezione di coscienza da parte del personale sanitario non può essere mai invocata quando la
donna avversi in siffatte condizioni (art.9).
Interruzione della gravidanza e minore età
Per le minori, è necessario l’assenso di entrambi i genitori o di chi esercita, sulla donna, la potestà o la
tutela.
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Nei primi 90 gg, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone
esercenti la potestà o la tutela, oppure se queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri
difformi, il consultorio, la struttura socio‐sanitaria o il medico di fiducia, dovrà rilasciare alla donna una
copia del certificato, da cui risulta l’avvenuta richiesta, e trasmettere, entro 7 gg, lo stesso, corredato di un
proprio parere, al giudice tutelare (pretore del luogo dove egli esercita la sua professione)
Il magistrato convocherà la minore, ma questa potrà anticiparlo, recandosi di persona al suo ufficio.
Sarà quindi il giudice che, entro 5 gg dalla data in cui ha ricevuto la documentazione medica, potrà
autorizzare l’interruzione della gravidanza.
Se il giudice nega tale autorizzazione, la donna potrà far ricorso al tribunale per i minorenni che deciderà
con procedura d’urgenza.
Se sussistono condizioni di urgenza, il medico rilascerà subito la certificazione che autorizza l’interruzione,
anche senza il consenso dei genitori e senza il parere del giudice tutelare.
Oltre i 90 gg la procedura è identica a quella per le donne di maggiore età.
Interdizione ed i.v.g.
Se la donna è interdetta, la richiesta di i.v.g. può essere presentata:
‐ Personalmente
‐ Dal tutore
‐ Dal marito che non sia legalmente separato
In queste due ultime ipotesi, la gestante deve comunque confermare la richiesta.
Pertanto, anche l’eventuale pronuncia di interdizione (perdita della capacità di agire) non pregiudica che la
donna sia chiamata a convalidare la richiesta avanzata da altri.
In questi casi, l’autorizzazione all’interruzione viene rilasciata unicamente dal giudice tutelare.
Quando sussiste possibilità di vita autonoma del feto (età minima della vita intrauterina di 180 gg), fermo
restando che l’interruzione può essere praticata solo se la gravidanza o il parto comportino un grave
pericolo per la vita della donna, il medico che esegue l’intervento deve fare tutto il necessario per salvare la
vita del feto.
Obiezione di coscienza
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prender parte alle procedure per
l’interruzione della gravidanza quando abbia sollevato abiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.
La dichiarazione va cioè presentata prima che il medico si trovi di fronte alla situazione concreta.
La dichiarazione, per avere effetti pratici, deve essere comunicata all’autorità competente (direttore
sanitario dell’Ospedale) entro 1 mese dall’assunzione.
Costituisce un diritto fondamentale del sanitario.
Non può essere invocata qualora la donna versi in imminente pericolo di vita.
Aborto illegale
È quello effettuato su donna consenziente, senza tener conto dei dettami previsti dalla legge 194; quando
cioè:
‐ è stato ottenuto senza osservare le procedure ed i limiti imposti dalla legge
‐ è stato effettuato fuori dalle sedi autorizzate
Aborto criminoso
Si parla di aborto criminoso quando:
1) l’interruzione della gravidanza è la conseguenza di una lesione personale (dolosa o colposa)
2) l’interruzione della gravidanza è ottenuta con azione dolosa del soggetto attivo diretta ad interrompere
la gravidanza, senza o contro il consenso della donna
La legge prevede sanzioni sino a 12 anni di reclusione o a 16 se si verifica la morte della donna.
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TOSSICOLOGIA
Scienza che studia l’interazione dei tossici con la materia vivente
Al suo interno rientra:
Tossicologia forense
È quella disciplina che ha per oggetto di studio la chimica analitica dei veleni, contenuti in qualsiasi
materiale, la cui ricerca venga eseguita a fini di giustizia.
In essa, sia la produzione del dato analitico che la sua interpretazione sono finalizzate alla produzione della
prova ed alla verifica del nesso causale, ovvero alla dimostrazione dell’osservanza o meno di una norma.
Campi di studio della tossicologia forense
1. Abuso e misuso di droghe, farmaci, sostanze dopanti
2. Avvelenamenti acuti accidentali, volontari, a scopi terroristici
3. Tossicologia iatrogena (che si occupa principalmente del monitoraggio di farmaci)
4. Patologie professionali
5. Tossicologia ambientale
6. Tossicologia alimentare
Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità medico‐legale in materia di abuso e misuso di droghe,
farmaci, sostanze dopanti
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1. Diagnosi di drug‐free
È richiesta con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità a:
Guida, da parte delle Commissioni Mediche Locali (CML) nei casi di ritiro, revisione, sospensione o revoca
della patente
Mansioni militari
Mansioni lavorative che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi
Adozione di minori
Porto d’armi
3. Diagnosi di uso abituale
È richiesta
per disporre misure cautelari alternative al carcere
per documentare lo stato di tossicodipendenza di militari e di lavoratori in genere
per valutare il rispetto dell’obbligo di terapia
nel sospetto di doping
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Per VELENO, s’intende ogni sostanza naturale (minerale, vegetale, animale) o sintetica (organica o
inorganica), solubile o atta a divenirlo che, introdotta nell’organismo in quantità relativamente piccola,
provoca avvelenamento e, cioè, l’alterazione di un equilibrio preesistente, a cui consegue uno stato
morboso di varia natura ed gravità, potenzialmente mortale.
N.B. Le sostanze comunemente definite “farmaci/droghe/veleni” non sono le uniche che possono
provocare danni. Ogni sostanza chimica conosciuta ha, infatti, la potenzialità di produrre, attraverso vari
meccanismi, un danno o la morte. Risulta, pertanto, più corretto parlare di lesività da noxa chimica o di
effetto tossico.
L’effetto tossico può assumere diverse connotazioni, quali:
1. Effetto rivelatore di una malattia clinica ad uno stadio precoce
2. Effetto difficilmente reversibile, che riflette un indebolimento della capacità dell’organismo di
mantenere l’omeostasi
3. Effetto rinforzante la sensibilità dell’individuo ad altri inquinanti o ad altre sostanze tossiche
4. Effetto che sposta al di fuori della norma diversi parametri biochimici, che rappresentano segni precoci
di alterazione di una determinata funzione
5. Effetto che segnala alterazioni metaboliche e biochimiche importanti
Va detto che non è la sola dose ad influenzare la tossicità di una sostanza introdotto nell’organismo. Essa
viene infatti influenzata da diversi fattori, distinguibili in:
Fattori legati alla sostanza
1. Caratteristiche fisiche (come volume delle particelle)
2. Caratteristiche chimiche (come pH, idro o liposolubilità)
3. Tipo di veicolo
4. Eccipienti 2
5. Presenza di impurità o contaminanti
Fattori legati alla modalità d’esposizione
1. Dose
Indici che correlano la dose della sostanza all’effetto prodotto sono:
‐ Dose letale 50 (DL50): dose della sostanza capace di indurre la morte del 50% degli animali da
esperimento a cui è stata somministrata.
Quanto più bassa è la DL50, tanto maggiore sarà la tossicità della sostanza.
N.B. Quando la dose che ricevono gli animali in fase di sperimentazione non è facilmente
determinabile (caso di sostanze presenti nell’aria o nell’acqua) va impiegato, come indice di
tossicità, l’LCt50: concentrazione del gas o del liquido in grado di uccidere il 50% delle cavie in un
certo lasso di tempo.
‐ Dose effetto 50 (DE50): dose della sostanza che provoca l’effetto desiderato nel 50% degli animali a
cui è stata somministrata
2. Via attraverso cui si verifica l’esposizione
‐ Percutanea
‐ Parenterale
‐ Enterale
‐ Inalatoria
3. Durata e frequenza dell’esposizione
4. Momento della somministrazione (ora del giorno, stagione)
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Fattori legati all’individuo
1. Etnia (ad esempio, gli indiani d’America ed i cinesi, essendo poveri di alcol‐deidrogenasi, hanno un
ridotto metabolismo dell’etanolo)
2. Età (i bambini minori 10 anni, ad esempio, mancano di alcol‐deidrogenasi)
3. Sesso (le donna, ad esempio, hanno ¼ delle alcol‐deidrogenasi contenute nella mucosa gastrica degli
uomini. Sono pertanto più sensibile all’intossicazione acuta, perché una maggiore quantità di etanolo
passa in circolo, raggiungendo il cervello ed a quella cronica, perché il fegato viene sovraccaricato 4
volte in più di quello di un uomo)
4. Peso corporeo
5. Grado di abitudine
Introducendo, infatti, piccole dosi di veleno, in modo costante, l’effetto si riduce, per adattamento del
sistema detossificante dell’organismo, con aumento della velocità di escrezione.
Tale fenomeno prende il nome di tolleranza o assuefazione.
Nei soggetti assuefatti ad una determinata sostanza, per ottenere gli stessi effetti di soggetti non
assuefatti è necessario aumentare le dosi.
La tolleranza interessa consumatori di stupefacenti, fumatori ed alcolisti.
6. Eventuale idiosincrasia
Ipersensibilità, geneticamente determinata, verso particolari sostanze.
7. Stato fisiologico e nutrizionale
8. Condizioni patologiche pre‐esistenti 3
Fattori legati all’ambiente
1. Temperatura
2. Umidità (coloro che lavorano in serre molto umide, ad esempio, hanno un maggiore assorbimento
attraverso la cute di anticrittogamici)
3. Pressione barometrica
4. Composizione atmosferica
5. Luce ed altre forme di radiazioni
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Classificazione dei veleni
Può far riferimento a diversi criteri. Quella adottata in tossicologia forense tiene conto delle loro
caratteristiche chimico‐fisiche, che ne condizionano le modalità di estrazione.
Tale classificazione suddivide i veleni in 7 gruppi:
‐ Gruppo 1: gas (come CO, acido cinadrico, gas bellici)
‐ Gruppo 2: sostanze volatili (come glicoli, fenoli, anilina, nitrobenzene)
‐ Gruppo 3: farmaci
‐ Gruppo 4: metalli (come arsenico, mercurio, piombo, tallio)
‐ Gruppo 5: pesticidi (come quelli organo‐fosforici)
‐ Gruppo 6: anionici (come nitrati, solfiti ed ipocloriti)
‐ Gruppo 7: miscellanea
Gas
Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da gas generalmente sono: dispnea, asfissia, vomito,
colorazione rosa o rossa della cute (nell’avvelenamento da CO e da acido cianidrico)
Esodio dei sintomi: molto rapido
Ambienti in cui più frequentemente si verifica l’intossicazione: abitazioni, officine meccaniche, automobili,
miniere, siti industriali, ospedali (nel caso di avvelenamento da gas anestetici).
Categorie lavorative a rischio: meccanici, minatori, lavoratori dell’industria chimica, addetti alla pulizia di
cisterne.
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Materiali su cui viene condotta l’analisi:
‐ Aria, prelevata da ambienti chiusi e da veicoli
‐ Vestiario, se macchiato o impregnato di odori particolari
‐ Campioni biologici post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di polmoni e cervello
Metodo analitico: gascromatografia, con la tecnica detta “analisi dello spazio di testa”
Questa tecnica prevede l’introduzione in colonna non del campione bensì dei vapori da esso sviluppati in
una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita, per un tempo prefissato.
Sostanze volatili
Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da sostanze volatili generalmente sono: dolori addominali
(presenti nell’intossicazione fenoli), convulsioni (presenti nell’intossicazione da glicoli), segni e sintomi da
ubriachezza – come sonnolenza, atassia, disturbi del linguaggio e della vista – ittero (presente nell’anilina e
nitrobenzene), tremori e vomito
Comparsa dei sintomi: rapida, se le la sostanza volatile viene inalata; più lenta, se viene invece assunta per
via orale.
L’anamnesi è spesso positiva per alcolismo e per l’abitudine di sniffare colla
Scene più comuni dell’avvelenamento da sostanze volatili: ambienti domestici, ospedali e laboratori di
ricerca, siti industriali.
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Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015)
Elementi della scena suggestivi di avvelenamento da sostanze volatili: presenza di liquori; presenza di colle
e di prodotti per la pulizia, in buste di plastica.
Categorie lavorative a rischio: addetti alle pulizie, lavoratori dell’industria chimica
Materiali su cui viene condotta l’analisi
‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine
‐ Campioni post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di polmoni, cervello e corpo vitreo
(particolarmente indicato se il corpo è decomposto)
‐ Contenuto di bottiglie ritrovate vicino alla vittima
‐ Vestiario, se macchiato o impregnato di odori particolari
Metodo analitico: gascromatografia, con la tecnica detta “analisi dello spazio di testa”
Questa tecnica prevede l’introduzione in colonna non del campione bensì dei vapori da esso sviluppati in
una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita, per un tempo prefissato.
Farmaci
La sintomatologia dell’avvelenamento da farmaci è variabile.
‐ Nell’avvelenamento da FANS si hanno: ematemesi e melena secondarie ad irritazione gastrica,
ematuria, sudorazione, convulsioni, coma.
‐ Nell’avvelenamento da oppioidi si hanno: miosi, bradipnea, bradicardia, ipotensione, coma
‐ Nell’avvelenamento da sedativi ed ipnotici si hanno: atassia, stupore, sopore e coma
‐ Nell’avvelenamento da stimolanti ed anti‐depressivi si hanno: midriasi, secchezza delle mucose,
tachicardia, tremori, convulsioni
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Esordio della sintomatologia: lento, a meno che la sostanza non sia stata iniettata o inalata
Scene più frequenti dell’avvelenamento da farmaci: ambiente domestico, discoteche e club.
Elementi della scena suggestivi di avvelenamento da farmaci: presenza di sostanze illecite, soprattutto se
l’intossicato ha un’età compresa tra 16 e 30 anni.
Nell’intossicato anziano, invece, sulla scena si riscontrano, di solito, i farmaci da esso abitualmente assunti.
Materiali su cui viene condotta l’analisi:
‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine, se la vittima giunge in ospedale.
‐ Tamponi nasali, matrici biologiche convenzionali e non, dopo la morte
La procedura analitica prevede:
‐ Screening iniziale, mediante tecniche immunologiche (come immunoassay).
‐ Conferma e dosaggio, mediante spettrometria di massa
Metalli
Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da metalli generalmente comprendono: anemia, crampi,
salivazione, sapore metallico, dolore gastrico, diarrea, perdita di peso, paralisi, neurite periferica, caduta di
peli e capelli (presente nell’intossicazione da tallio e selenio).
Comparsa della sintomatologia: solitamente dopo diverse ore. La morte può verificarsi entro 24h ma, più
frequentemente, sopraggiunge dopo alcuni giorni.
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Scena dell’avvelenamento: industrie e laboratori
Materiali su cui viene condotta l’analisi:
‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine
‐ Campioni post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di contenuto gastrico, rene, capelli, unghie ed
ossa
Metodo di analisi: spettroscopia di assorbimento atomico.
Pesticidi
Le principali manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da pesticidi sono: vomito e convulsioni.
Si osservano, inoltre, nell’avvelenamento da composti organo‐fosforici, miosi, salivazione, sudorazione,
dispnea e cianosi; nell’avvelenamento da fenoli e cresoli, febbre, sudorazione, ittero, ematuria.
Esordio della sintomatologia: rapido (entro 30 min), se la sostanza è inalata o se contiene un solvente
derivato dal petrolio. In caso contrario, è lenta (da 1 a 6 h).
Scena dell’avvelenamento: fattorie ed aziende agricole
Metodi di analisi:
Test colorimetrici
Test di inibizione della colinesterasi
Gascromatografia
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Anioni
Le principali manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da anioni sono: vomito violento, diarrea, dolori
addominali, cianosi (secondaria a metaemoglobinemia da agenti ossidanti), colorazione di cute e mucose.
Comparsa della sintomatologia: in genere entro 1h. La morte può verificarsi entro diverse h.
Scena più comuni dell’avvelenamento da anioni: ambienti domestici, lavanderie, aziende agricole, industrie.
N.B. Nel sospetto di avvelenamento da anioni, la ricerca del tossico va estesa anche a tracce di vomito,
vestiti macchiati, tazze, presenti in prossimità della vittima.
Informazioni dirimenti, comunque, sono generalmente fornite dall’analisi del liquido di lavanda gastrica, nel
vivente e del contenuto dello stomaco, nel cadavere.
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Diagnosi di avvelenamento
Si basa su di una serie di criteri, nessuno dei quali è da solo sufficiente per porre diagnosi.
Tali criteri sono:
1. Criterio circostanziale
Tiene conto dell’insieme dei dati che emergono dalle indagini relative alle circostanze spazio‐temporali
del presunto contatto con il tossico.
In particolare, da tali indagini – tra cui rientrano raccolta di testimonianze e sopralluogo giudiziario – si
possono apprendere:
‐ Circostanze, come ingestione di cibi e bevande, assunzione di farmaci, abitudini di vita e di lavoro,
correlabili con l’eventuale intossicazione.
‐ Informazioni utili ad indirizzare i successivi accertamenti tecnici.
‐ Elementi che permettano di ricostruire la dinamica (accidentale, colposa o dolosa) dell’evento
nonché di risalire alla tipologia, alla causa ed ai mezzi d’intossicazione.
2. Criterio clinico‐anamnestico
Tiene conto della sintomatologia che il soggetto ha manifestato – rilevata da un medico o riportata da
testimoni – e di condizioni antecedenti al fatto, come esposizione professionale a sostanze tossiche,
uso pregresso di farmaci, trascorsi di tossicodipendenza.
Talora, la sintomatologia del paziente è utile, non solo ad indurre il sospetto di avvelenamento, ma
anche ad individuare il tipo di veleno coinvolto. Ad esempio:
Fame d’aria, convulsioni, midriasi, colorazione rosso vivo della cute, rapido decorso degli eventi
avvelenamento da cianuri 7
Irritazione gastrointestinale, paralisi acuta ascendente, disturbi psichici, caduta di peli e capelli
avvelenamento da tallio
N.B.
Il criterio clinico non sempre è esaustivo perché alcuni avvelenamenti possono decorrere
silenziosamente o con scarsa sintomatologia oppure perché i sintomi non sono stati apprezzati o sono
stati valutati come espressione di altri processi morbosi, indipendenti dall’avvelenamento.
3. Criterio anatomo‐patologico
Tiene conto delle informazioni fornite dall’esame esterno e da quello interno del cadavere.
Permette di orientare le indagini in due direzioni:
‐ Allontanare l’ipotesi dell’intossicazione acuta quale causa del decesso, nel caso in cui venga
diagnosticata una patologia da sé sola capace di determinare la morte e non correlabile ad una
determinata noxa chimica.
‐ Rafforzare l’ipotesi dell’intossicazione acuta quale causa del decesso, nel caso in cui vengano
evidenziate lesioni anatomiche correlabili a specifiche noxae chimiche o suggestive di
intossicazione acuta mortale.
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All’esame esterno, è necessario
1. Analizzare i fenomeni cadaverici, quali:
‐ Raffreddamento del cadavere che
se rallentato, è compatibile con una morte in ipertermia, secondaria ad intossicazione acuta da
amfetamine
se accelerato, invece, è compatibile con una morte in ipotermia, secondaria ad intossicazione acuta
da etanolo, arsenico, fosforo
‐ Rigidità, che risulta
precoce, negli avvelenamenti da tossici agenti a livello della giunzione neuromuscolare (come
nicotina, stricnina, atropina)
tardiva, negli avvelenamenti da oppiacei e narcotici, arsenico e fosforo
‐ Ipostasi, che appaiono:
di colore rosso ciliegia, nell’avvelenamento da CO
di colore rosso vivo, nell’avvelenamento da cianuri ed acido cianidrico
di colore bruno, nell’avvelenamento da metaemoglobinizzanti (vapori nitrosi, anilina)
‐ Disidratazione, che risulta accelerata da tossici, quali Hg, Br
‐ Putrefazione, che si dimostra
precoce, negli avvelenamenti da oppiacei e da veleno di serpente
ritardata, negli avvelenamenti da formalina ed antibiotici
2. Ricercare
‐ segni di agopuntura, che depongono per un’intossicazione acuta da stupefacenti, oppioidi in particolare;
‐ odori peculiari nella zona del cavo orale
Ad esempio, un odore agliaceo, depone per un avvelenamento da fosforo ed esteri organo‐fosforici; di
mandorle amare, per un avvelenamento da cianuri e nitrobenzolo.
Un odore “sui generis” è invece apprezzabile nell’avvelenamento da alcool, etere, cloroformio, trielina,
benzolo.
‐ lesioni cutanee o della mucosa orale
Eruzioni cutanee, sono osservabili, ad esempio, negli avvelenamenti da cromo, sulfamidici, 8
antibiotici, salicilati
Escare a carico di labbra e mucosa orale si apprezzano nell’ingestione di caustici
‐ alterazioni degli annessi cutanei
Un’alopecia si riscontra nell’avvelenamento da tallio; alterazioni ungueali, nell’avvelenamento da
arsenico.
All’esame interno, bisogna valutare:
Presenza di odori particolari:
‐ Un odore di mandorle amare, è apprezzabile nell’avvelenamento da cianuri e da nitrobenzolo
‐ Un odore agliaceo, nell’avvelenamento da esteri organo‐fosforici
‐ Un odore “sui generis”, nell’avvelenamento da etanolo, cloroformio, trielina
Fluidità ed aspetto del sangue
N.B. Normalmente, il sangue di un cadavere non coagula ed appare come un’emulsione densa e di colore
bruno, per la degradazione emoglobinica.
Nell’intossicazione acuta da CO, invece, il sangue appare di colore rosso ciliegia, risulta poco denso e non
bagna la provetta.
Colorazione dei visceri, che risulta:
‐ Nerastra, nell’avvelenamento da acido solforico
‐ Verdastra, nell’avvelenamento da solfato di rame
Sussistenza di quadri lesivi, anche aspecifici, ma compatibili con particolari intossicazioni acute
Ad esempio:
‐ ulcerazioni del tratto prossimale tubo digerente, si apprezzano nell’ingestione di caustici
‐ un edema polmonare acuto è riscontrabile nelle intossicazioni acute da gas, vapori irritanti, oppioidi
‐ una necrosi epatica si osserva nelle intossicazione acuta da alcool, amanita falloides, fosforo, piombo ed
arsenico
‐ un’aplasia midollare è presente nelle intossicazioni acute da benzolo, sali d’oro ed antimitotici
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L’autopsia, infine, deve essere completata dall’esame istologico dei visceri che può consentire il
riconoscimento di tossici, in particolare metalli pesanti, nelle strutture cellulari colpite.
In corso d’esame autoptico, inoltre, vanno prelevati materiali da avviare alle indagini chimico‐
tossicologiche.
4. Criterio chimico‐tossicologico
Si fonda sull’identificazione ed il dosaggio del tossico in matrici biologiche ed in altri reperti e
sull’interpretazione del dato analitico, sia esso positivo che negativo.
Reperti utilizzabili sono:
‐ Campioni biologici
‐ Miscele, soluzioni, materiale vegetale
‐ Farmaci
‐ Alimenti
‐ Polveri, aria, acqua e rifiuti
N.B. Nelle diverse matrici biologiche, il tossico va sempre quantizzato, perché:
‐ la semplice identificazione qualitativa dello xenobiotico non è sufficiente per formulare la diagnosi
di avvelenamento
‐ la determinazione quantitativa poli‐distrettuale della sostanza è indispensabile per giudicarne
l’idoneità lesiva.
Nel cadavere, sono da indirizzare alle indagini chimico‐tossicologiche: 9
1) campioni di sangue, che va analizzato in toto, avendo l’indagine finalità forense.
Il sangue intero, infatti, contenendo sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti che quella legata
alle proteine plasmatiche, costituisce il campione di scelta per provare la presenza di una sostanza tossica nel
sangue. Il sangue intero, tuttavia, a differenza del plasma e del siero, risulta ricco di interferenti.
I campioni ematici, inoltre, andrebbero prelevati dai vasi femorali.
Il sangue femorale e, più in generale quello periferico, infatti, riflette maggiormente la concentrazione
ematica ante‐mortem, perché meno soggetto alla ridistribuzione post‐mortale della sostanza, dato che
quest’ultima potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare adiacente e dal grasso.
La ridistribuzione post‐mortem verso i vasi centrali è, invece, maggiore, in quanto si verifica a partire dai cdt
“organi di deposito”, tra cui rientrano gli organi cavi, come quelli che compongono il tratto GI, e gli organi
dotati di un’alta capacità concentrativa, quali fegato, polmone e miocardio.
2) campioni di urina
3) tutto il contenuto gastrico
4) bile, prelevando l’intero quantitativo presente nella colecisti che, se contiene alte concentrazioni di
morfina coniugata, suggerisce un abuso cronico di eroina.
5) umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente, meno degli altri, del processo di
putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere.
6) campioni di organi, quali
‐ fegato
‐ reni
‐ milza
‐ encefalo
‐ polmone
N.B. Frammenti di tessuto polmonare sono particolarmente utili nel sospetto di intossicazione da gas e
sostanze volatili
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7) liquido pericardico
8) adipe sottocutaneo
9) capelli
10) unghie
11) denti
Nel vivente, invece, si analizzano:
1. Aria espirata (caso dell’alcolimetria mediante etilometro)
2. Sangue
‐ Nei casi con finalità forense, l’indagine viene solitamente condotta su sangue intero dato che, in questo
campione, sarà presente, e quindi analizzabile, sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti, sia
quella legata alle proteine plasmatiche.
‐ Le indagini con finalità clinica, invece, vengono generalmente eseguite su plasma o siero. Ciò dipende dal
fatto che quasi tutte le concentrazioni terapeutiche dei farmaci, riportate in letteratura, fanno
riferimento al plasma o al siero, in quanto contengono meno sostanze interferenti rispetto al sangue
intero.
3. Urine
4. Eventuali campioni di vomito
5. Liquido di lavanda gastrica
6. Saliva
7. Sudore
8. Meconio
9. Capelli
10
L’indagine chimico‐tossicologica, con finalità medico‐legali, può essere:
‐ Generica
‐ Mirata
Risulta generica, in caso di:
‐ Assenza di dati circostanziali, clinici ed anamnestici
‐ Aspecificità dei reperti anatomo‐patologici
Quando generica, sono richieste tecniche preliminari di screening, più sensibili che specifiche e volte
ad identificare grandi gruppi di sostanze.
Permettono di stabilire, in riferimento a cut‐off predeterminati, la negatività o la positività di un
campione.
Sono essenzialmente rappresentate da metodiche immunochimiche.
Tali metodiche si basano sulla competizione, nei confronti di un anticorpo specifico, tra la sostanza da
identificare all’interno del campione in esame e la stessa sostanza marcata con isotopi radioattivi,
enzimi, fluorescenza o particelle di lattice.
Vantaggi
‐ Possibilità di condurre l’indagine sul campione biologico tal quale ed in piccole quantità
‐ Elevata sensibilità
‐ Possibilità di ricercare gruppi di sostanze con un’unica procedura
‐ Bassi costi di esercizio
‐ Rapidità d’esecuzione
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Svantaggi
‐ Sensibilità non univoca all’interno della stessa classe di sostanze
‐ Bassa specificità
‐ Possibilità di risposte falsamente positive o falsamente negative.
I falsi positivi derivano dalla reazione crociata, con l’anticorpo impiegato, di molecole
strutturalmente simili alla sostanza ricercata.
I falsi negativi, invece, derivano dalla possibilità di falsare il risultato analitico, intervenendo
sulle caratteristiche chimico‐fisiche del campione biologico utilizzato (generalmente urina),
mediante aggiunta di acqua, sapone, tensioattivi in genere, succo di limone.
‐ Prevalente validazione su matrice urinaria
N.B. Un risultato positivo ottenuto con un'analisi di screening non può assumere valenza forense e
necessità di conferma mediante analisi dotate di una maggiore specificità.
Generalmente si utilizzano una o più tecniche cromatografiche abbinate alla spettrometria di massa,
l’unica metodica analitica in grado di confermare la struttura chimica della sostanza.
La determinazione deve essere effettuata in riferimento a standard certificati delle sostanze stupefacenti e dei
relativi metaboliti.
N.B.
Confermare o escludere la presenza di un determinato tossico nell’organismo non costituisce un dato
sufficiente per formulare o negare la diagnosi di avvelenamento.
Ci si può infatti trovare di fronte a due condizioni peculiari:
‐ Veleno senza avvelenamento
‐ Avvelenamento senza veleno
Si parla di “veleno senza avvelenamento” qualora il tossico sia stato rinvenuto nel cadavere ma non
abbia costituito causa di morte.
Possibili spiegazioni:
1. Il veleno è stato introdotto in vita ma in dosi NON sufficienti a causare l’intossicazione
2. Il veleno è stato ingerito in vita – dimostrandosi quindi reperibile nel tratto gastro‐intestinale – ma
non è stato assorbito e trasportato, attraverso il circolo ematico, fino agli organi o agli atri siti
recettoriali, dove esercita i propri effetti
3. Il veleno è stato assorbito dopo la morte, dal cadavere, per trattamento conservativo con
formalina, interramento in terreni ricchi di arsenico (contaminazione ambientale)
4. Il veleno è stato introdotto in modo fraudolento nel cadavere, per simulare un suicidio, un
avvelenamento accidentale, un avvelenamento da parte di un terzo
In questo caso il veleno, sarà riscontrabile solo nella sede di somministrazione, risultando assente
nei fluidi biologici e nei vari organi e tessuti. Non saranno inoltre dimostrabili suoi metaboliti.
5. Formazione, nei tessuti dei cadaveri in decomposizione, di sostanze organiche azotate,
chimicamente simili agli alcaloidi vegetali, dette ptomaine (caso di aconitina cadaverica).
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Si parla di “avvelenamento senza veleno” qualora il quadro clinico sia suggestivo di intossicazione ma
le indagini tossicologiche non abbiano dimostrato la presenza del tossico corrispondente.
Possibili spiegazioni:
1. Veleno di composizione sconosciuta e non facilmente identificabile
2. Sostanze che agiscono a dosi tanto basse da essere difficilmente reperibili alle analisi tossicologiche
(es. LSD)
3. Eliminazione del veleno prima della morte
4. Profonda modificazione metabolica del veleno tale da non consentire l’identificazione della
sostanza assunta
5. Criterio della sperimentazione fisiotossica
Tiene conto della tossicità osservata in animali di laboratorio a cui è stato somministrato lo xenobiotico
sospettato o materiale ottenuto dal cadavere, come il contenuto gastrico.
Risulta utile soprattutto nel sospetto che l’intossicazione sia stata sostenuta da tossine difficilmente
dimostrabili, come quelle di alimenti.
Limiti di tale criterio sono:
‐ Refrattarietà di alcuni animali verso determinati veleni
‐ Capacità di sostanze derivanti dalla putrefazione cadaverica (come le ptomaine) di produrre effetti
tossici negli animali, indipendentemente dalla presenza di veleni esogeni, nel campione biologico
ad essi somministrato.
N.B. 12
La probabilità che un giudizio diagnostico sia corretto è tanto maggiore, quanto più ampia è la convergenza
di tali criteri.
Compiti del medico in caso di avvelenamento
Il medico è tenuto ad informare, mediante referto o rapporto, l'autorità giudiziaria, in caso di:
‐ Intossicazione dolosa o colposa che abbia avuto come conseguenza la morte o una lesione personale
perseguibile d'ufficio.
‐ Suicidio tentato o consumato, potendosi configurare l'istigazione da parte di terzi.
Le intossicazioni professionali verificatesi negli addetti ai lavori agricoli e industriali, comportano, l’obbligo
per il medico, di segnalazione secondo le disposizioni del T. U. per l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali.
Altre denunce richieste sono:
1. Denuncia di intossicazione da antiparassitari
2. Denuncia di persone tossico‐dipendenti
3. Denuncia dei fatti interessanti la sanità pubblica
Riferimenti legislativi
In ambito penalistico, l’utilizzo di sostanze venefiche configura un delitto contro la persona (di lesioni
personali o di omicidio).
In particolare, nei casi di omicidio, l’impiego di sostanze venefiche costituisce una circostanza aggravante,
dato che presuppone premeditazione, da cui scaturisce la pena dell’ergastolo (art. 577)
Il CP prevede, inoltre, anche delitti contro la pubblica incolumità (caso di avvelenamento delle acque e di
sostanze alimentari; adulterazione e contraffazione di alimenti) e vari altri reati di pericolo (come
contraffazione di medicinali e doping).
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AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO
È una delle cause più comuni di morte accidentale e suicidaria.
Il monossido di carbonio si forma ogni qual volta avvenga una combustione incompleta di sostanze
carboniose, siano esse solide, liquide o gassose.
Fonti antropiche di monossido di carbonio sono: traffico veicolare, impianti di riscaldamento domestico,
inceneritori di rifiuti, centrali termo‐elettriche, industrie siderurgiche e raffinerie di petrolio.
Tra le fonti antropiche rientra anche il fumo di sigaretta che contiene il 3‐6% di monossido di carbonio.
Questo spiega gli elevati livelli di HbCO (1,9‐3%) riscontrati nel sangue dei fumatori, considerando che il
contenuto ematico di HbCO dei soggetti non esposti a CO non eccede l’1%.
Un’ulteriore fonte antropica di monossido di carbonio è il cloruro di metile, utilizzato come solvente e
diluente per vernici. Il cloruro di metile, infatti, una volta assorbito per via inalatoria o per contatto
cutaneo, viene convertito dal fegato a monossido di carbonio.
Fonti naturali di monossido di carbonio sono: attività vulcanica, incendi, decomposizione della vegetazione.
Patogenesi
Il CO, inalato ed assorbito attraverso la membrana alveolo‐capillare, si lega reversibilmente all’Hb,
formando COHb.
L’affinità mostrata dal CO per l’Hb è 240 volte superiore a quella dell’ossigeno. Ciò fa sì che possa essere
raggiunta una percentuale del 50% di HbCO quando l’aria ambientale presenta una concentrazione di
monossido di carbonio 240 volte più bassa di quella dell’ossigeno, pari cioè allo 0,08% (o ad 800 ppm).
La saturazione del sangue in HbCO, comunque, è determinata, non solo dal contenuto in CO dell’aria 13
ambientale, ma anche dal tempo di esposizione e dalla ventilazione polmonare. La saturazione del sangue
in HbCO, infatti, sarà tanto più alta quanto più lungo è il tempo di esposizione e quanto maggiore è la
ventilazione polmonare.
Poiché la HbCO non è capace di trasportare ossigeno ai tessuti, s’instaura un’ipossia tissutale.
L’ipossia tissutale viene accentuata dal fatto che la presenza in circolo di HbCO interferisce con la
liberazione dell’ossigeno da parte dell’ossiemoglobina residua, per spostamento a sinistra della curva di
dissociazione di quest’ultima.
All’ipossia tissutale, si aggiunge l’azione istotossica diretta del CO, dipendente dal blocco di tutti i complessi
enzimatici contenenti ferro, come i citocromi.
L’intossicazione ACUTA da CO può essere accidentale o suicidiaria.
La frequenza dell’intossicazione accidentale si è ridotta rispetto al passato per la sostituzione, con metano,
del cdt “gas illuminante” o “di città”, una miscela gassosa contenente CO.
Attualmente, le principali cause di intossicazione acuta accidentale da CO sono:
‐ Scaldabagni, caldaie a gas, stufe a legna e camini con tiraggio inadeguato, per scarsa manutenzione o
difetto dell’impianto
‐ Veicoli con motore tenuto acceso a lungo in ambienti confinati, come le autorimesse.
‐ Presenza di numerosi fumatori in ambienti chiusi e non ventilati
‐ Incendi
Per quanto riguarda, invece, la dinamica suicidiaria, il suicida più spesso ricorre all’inalazione dei gas di
scarico di autoveicoli.
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Le manifestazioni cliniche dell’intossicazione acuta da CO variano in rapporto alla % di HbCO:
‐ 0‐10% non ci sono segni clinici
‐ 11‐20% emicrania modesta, dispnea, vasodilatazione cutanea
‐ 21‐30% emicrania, pulsazione alle tempie
‐ 31‐40% emicrania, disturbi visivi, nausea e vomito, adinamia
‐ 41‐50% sincope
‐ 51‐70% coma, convulsioni, depressione cardio‐respiratoria
‐ >70% morte che spesso sopraggiunge per ischemia miocardica.
N.B. Maggiormente sensibili agli effetti tossici del CO sono quei soggetti con più elevate richieste tissutali di
ossigeno, come:
‐ Bambini
‐ Anemici
‐ Cardiopatici
‐ Pz affetti da patologie stimolanti il metabolismo basale
Se l’avvelenamento acuto non è stato letale, le condizioni del pz possono ritornare nella norma, anche se
uno stato comatoso che sia durato più di 24 h lascia regolarmente segni irreversibili a carico del SNC.
Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, in caso di avvelenamento acuto da CO bisogna:
‐ Allontanare il soggetto dall’ambiente contenente CO
‐ Evitare alla vittima sforzi muscolari, che aumenterebbero la richiesta tissutale di ossigeno
‐ Far respirare al soggetto aria fresca, sufficiente se la concentrazione di HbCO non supera il 15%.
Quando il livello eccede il 15%, va somministrato ossigeno puro. Al di sopra del 40%, è necessaria
un’ossigeno‐terapia iperbarica. 14
Reperti autoptici suggestivi di avvelenamento acuto da CO, sono:
‐ Colore rosso ciliegia delle ipostasi
‐ Colore rosa brillante dei parenchimi e dei muscoli, alla sezione
‐ Colore rosso brillante del sangue, che appare poco denso e che non bagna la provetta
‐ Polmoni edematosi e con petecchie sottopleuriche
‐ Edema cerebrale
La determinazione della COHbemia, con metodo spettroscopico, fornisce una diagnosi inequivocabile di
intossicazione acuta.
L’avvelenamento CONICO da CO si manifesta con: emicrania, anemia, tachicardia, palpitazioni, dolori
precordiali, depressione, irritabilità.
Più esposte all’avvelenamento cronico sono le persone che lavorano in ambienti contenenti alte
concentrazioni di CO: garage, officine, autostrade.
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DIAGNOSTICA TOSSICOLOGICA
L’indagine tossicologica può avere una finalità:
1. Clinica
2. Medico‐legale ed amministrativa
* Relativamente al trattamento di dissuefazione da sostanza d’abuso, è indispensabile effettuare
indagini tossicologiche
‐ in via preliminare, per verificare l’abitudine assuntiva del pz ed impostare la terapia
‐ nel corso del programma terapeutico, per:
implementare la terapia
controllare l’adesione del pz al programma
scongiurare l’eventualità di overdose o di inefficacia terapeutica, come conseguenza
dell’interazione con altri farmaci
Ad esempio, i farmaci che acidificano o alcalinizzano le urine possono avere un effetto importante sulla
farmacocinetica del metadone, in quanto ne modificano l’escrezione urinaria, che aumenta, a pH acido;
si riduce, a pH alcalino.
Inoltre, farmaci che fungono da induttori enzimatici – caso di antiepilettici, come carbamazepina,
fenobarbital, fenitoina, e di alcuni antibiotici, come la rifampicina – esaltando il metabolismo del
metadone, ne riducono le concentrazioni plasmatiche e, quindi, gli effetti farmacologici, con possibile
sindrome di astinenza.
Farmaci, invece, che fungono da inibitori enzimatici dei citocromi CYP1A2 e CYP3A4 – caso di alcuni
antidepressivi come la fluoxetina – riducendo il metabolismo del metadone, ne incrementano le
concentrazioni plasmatiche e, quindi, gli effetti farmacologici, con possibile overdose.
‐ al termine del programma terapeutico ed a distanza di esso, per tenere sotto controllo l’eventuale
assunzione da parte del pz sia della sostanza verso cui si era instaurata la dipendenza che di altre
sostanze.
Le indagini tossicologiche con finalità medico‐legale sono quelle effettuate in applicazione di norme
giuridiche ed hanno il compito di fornire elementi utili per una corretta diagnosi a valenza medico‐legale.
Ciò richiede:
‐ Conoscenza della norma giuridica
‐ Appropriatezza dell’analisi
‐ Correttezza dell’interpretazione
Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità medico‐legale, nelle circostanze di abuso e misuso di
droghe, farmaci e sostanze dopanti sono:
1. Diagnosi di drug‐free
È richiesta per esprimere un giudizio di idoneità a:
Guida, da parte delle Commissioni Mediche Locali (CML) nei casi di ritiro, revisione, sospensione o
revoca della patente
Leva
Mansioni militari
Mansioni lavorative che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi
Adozione di minori
Porto d’armi
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2. Diagnosi di uso recente e valutazione dell’impairment
Vengono richieste per:
Dimostrare una condizione di guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti
(art. 186, 186 bis e 187 del C.d.S)
Monitorare lavoratori addetti a mansioni che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la
salute di terzi
3. Diagnosi di uso abituale
È richiesta
per disporre misure cautelari alternative al carcere
per valutare il rispetto dell’obbligo di terapia
per documentare lo stato di tossicodipendenza di militari e di lavoratori in genere
nel sospetto di doping
Poiché il dato tossicologico può essere utilizzato come prova in sede legale, le indagini tossicologiche
devono necessariamente attenersi ad una rigorosa procedura analitica che può essere scomposta in tre
fasi successive:
‐ Fase pre‐analitica
‐ Fase analitica
‐ Fase post‐analitica
FASE PRE‐ANALITICA
Tra le problematiche da affrontare in fase pre‐analitica vi sono:
1. Scelta del campione biologico
IN TEORIA, tutte le matrici biologiche sono idonee alla rilevazione di sostanze d’abuso e, più in
generale, di sostanze tossiche; quel che cambia è la finestra metabolica – o di rilevabilità – da esse
offerta.
IN PRATICA, la scelta viene condizionata da:
‐ Finalità dell’indagine, che può essere:
Clinica
Forense
‐ Necessità di dimostrare un’intossicazione in atto o pregressa
‐ Caratteristiche chimico‐fisiche della sostanza – come la sua eventuale liposolubilità – che ne
influenzano l’organo‐tropismo
‐ Via di introduzione della stessa
‐ Disponibilità dei vari campioni biolohici
‐ Praticabilità del prelievo
‐ Strumentazioni tecnologiche possedute
Le matrici biologiche utilizzabili si suddividono in:
Matrici convenzionali, rappresentate da:
‐ Sangue
‐ Urine
‐ Contenuto gastrico
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Matrici alternative, rappresentate da:
‐ Capelli
‐ Saliva
‐ Sudore
‐ Meconio
‐ Umor vitreo, limitatamente al cadavere
Matrici convenzionali
Sangue
Gli analiti ricercati nel sangue sono costituiti dalla sostanza tal quale e dai suoi metaboliti, presenti in
concentrazioni basse o moderate.
Il tempo di permanenza nel sangue di tali analiti (finestra metabolica) è di alcune ore, con il sangue che
viene quindi impiegato per porre diagnosi di intossicazione in atto.
N.B. la concentrazione ematica della sostanza si trova in rapporto di proporzionalità diretta con la
quantità della stessa presente a livello dei siti recettoriali. Ciò consente di dedurre la gravità
dell’intossicazione dal tasso ematico della sostanza, comparato alla dose letale, alla dose tossica ed a
quella terapeutica.
Nell’interpretare il tasso ematico della sostanza, tuttavia, bisogna conoscere la distribuzione dei tossici
all’interno dell’organismo, che può non essere uniforme.
Infatti, i tossici che presentano uno spiccato tropismo per un determinato tessuto, avranno, in quella
sede, una concentrazione molto più alta rispetto a quella riscontrata nel sangue (organotropismo).
Ad esempio, i solventi e le altre sostanze liposolubili (come i pesticidi) si accumulano preferenzialmente nel
tessuto adiposo ed in quello cerebrale; la digossina e gli altri glucosidi cardiaci, conoscono accumulo soprattutto
in ambito miocardico; sostanze escrete dal fegato, sotto forma di glicuronidi, come la morfina, mostrano
concentrazioni biliari superiori a quelle ematiche.
Nel sangue, inoltre, la sostanza può concentrarsi prevalentemente all’interno del plasma o degli
eritrociti. Pertanto, se la sostanza si concentra prevalentemente negli eritrociti, come l’acetazolamide,
l’analisi del plasma darà un valore molto più basso.
In particolare, il rapporto eritrociti/plasma varia con:
‐ Natura della sostanza
‐ Presenza di contaminanti (come plastificanti contenuti in alcuni tipi di Vacutainer che possono spostare
farmaci basici dai loro siti di legame con le glicoproteine)
‐ Tempo necessario per raggiungere l’equilibrio
Tenendo conto della distribuzione eritrociti/plasma delle diverse sostanze, nei casi con finalità forense,
l’indagine viene condotta su sangue intero dato che, in questo campione, sarà presente, e quindi
analizzabile, sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti, sia quella legata alle proteine
plasmatiche.
Le indagini con finalità clinica, invece, vengono generalmente eseguite su plasma o siero. Ciò dipende
dal fatto che quasi tutte le concentrazioni terapeutiche dei farmaci, riportate in letteratura, fanno
riferimento al plasma o al siero, visto che contengono meno sostanze interferenti del sangue intero.
Il principale limite legato all’impiego del sangue consiste nel fatto che la tecnica di campionamento
risulta invasiva, con necessità di acquisire preliminarmente il consenso informato del soggetto in
esame.
Il prelievo, inoltre, espone gli operatori sanitari a rischio biologico.
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Urina
È un campione biologico utile per valutare l’eliminazione di una sostanza tossica.
I vantaggi legati all’impiego dell’urina come matrice biologica sono:
1. Facilità del prelievo, che risulta non invasivo
2. Grande quantità di campione biologico disponibile
3. Bassa interferenza, dato che tale matrice biologica è libera da proteine
4. Elevata concentrazione degli analiti, che consistono prevalentemente nei metaboliti della sostanza
tossica
5. Finestra metabolica maggiore di quella del sangue. Il tempo di permanenza nelle urine dei
metaboliti della sostanza tossica oscilla, infatti, tra 2 e 7 gg dall’ultima assunzione.
6. Rapidità dei risultati e disponibilità di cut‐off condivisi, che rendono l’urina utilissima per condurre
indagini di screening
7. Validazione dei risultati da parte di studi clinici
Svantaggi sono:
1. Mancato rispetto della privacy in occasione del campionamento, che deve avvenire in presenza di
un operatore per ridurre il rischio di adulterazione del campione.
2. Possibilità di adulterare il campione urinario, per:
Ottenere un risultato negativo
Ottenere un risultato positivo, al fine di beneficiare di agevolazioni legislative
Invalidare l’indagine
Modalità di adulterazione del campione urinario sono:
‐ Adulterazione esterna, mediante
Diluizione con acqua
Addizione di interferenti (come ossidanti, acidi, basi e detergenti)
‐ Adulterazione interna, mediante ingestione di diuretici, acqua, bicarbonato
‐ Sostituzione
3. Dato urinario non correlabile con gli effetti prodotti.
Relativamente all’interpretazione del risultato,
‐ un accertamento urinario positivo dà indicazioni solo circa l’abitudine assuntiva del soggetto, ma
non sulla dose impiegata, sul preciso momento in cui questa è stata assunta o sulle modalità
d’assunzione.
‐ un accertamento urinario negativo può dipendere da:
Assunzione saltuaria o non recente
Tempo intercorso tra assunzione e prelievo superiore alla finestra di rilevabilità, che può essere
molto ristretta nel caso di sostanze a breve emivita (come alcune BDZ e barbiturici a breve
durata d’azione)
Bassa sensibilità del metodo analitico
Cut‐off non idoneo
Adulterazione del campione
Contenuto gastrico
Presenta alte concentrazioni del tossico immodificato, se assunto per os.
Può fornire indizi immediati circa la natura del tossico, deducibile dall’odore e dagli eventuali alimenti
in esso riscontrati.
Un risultato negativo indica che l’assunzione non è avvenuta per via orale.
Un risultato positivo, invece, non indica necessariamente che la sostanza sia stata ingerita. Basse
concentrazioni possono essere infatti osservate per la diffusione di droghe basiche dal sangue al
contenuto gastrico.
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Matrici biologiche alternative
Sono state affiancate a quelle convenzionalmente usate in tossicologia (come sangue ed urine) poiché
presentano numerosi vantaggi, quali:
1. Campionamento non invasivo
2. Difficoltà di adulterazione, non richiedendo, quindi, una speciale supervisione durante il
campionamento
3. Aumento considerevole della finestra metabolica o di rilevabilità per numerose droghe
4. Possibilità, nel caso della saliva, di correlazione con la concentrazione ematica e con i principali
effetti clinici di droghe e di molte classi di farmaci
Ciò rende tali matrici utili per effettuare controlli su guidatori e su lavoratori impegnati nelle cdt mansioni
lavorative a rischio.
Al loro interno, tuttavia, le sostanze sono presenti in basse concentrazioni imponendo, pertanto, l’utilizzo di
tecniche analitiche altamente sensibili.
Capelli
Al loro interno, la sostanza tal quale prevale sui suoi metaboliti ed è presente in basse concentrazioni.
Permettono un campionamento non invasivo.
Risultano utili per dimostrare un uso pregresso.
Consentono infatti di monitorare l’assunzione di droghe, farmaci e sostanze dopanti in un arco
temporale che si estende da settimane a molti mesi, in funzione della loro lunghezza.
Ad esempio, un capello di 8 cm fornisce informazioni circa le abitudini voluttuarie del soggetto negli ultimi 8 mesi,
considerando che i capelli dei caucasici crescono di 1 cm/mese.
Ulteriori vantaggi sono:
‐ Difficoltà di adulterazione
‐ Facilità di conservazione
Limiti sono:
‐ Impossibilità di correlare l’indagine con la condizione clinica al momento del prelievo
‐ Possibile contaminazione ambientale
‐ Bias razziali
‐ Influenza di trattamenti cosmetici
Saliva
Al suo interno, la sostanza tal quale prevale sui metaboliti ed è presente in basse concentrazioni.
Permette un campionamento non invasivo
Consente di dimostrare un uso recente, che va da poche h a 2 gg.
La concentrazione salivare della sostanza è inoltre correlabile con le alterazioni psico‐comportamentali
del soggetto al momento del prelievo, dato che la saliva costituisce un ultrafiltrato del sangue,
sufficientemente libero da interferenti.
Limiti sono:
‐ Possibile contaminazione, nei casi di assunzione orale, per fumo o intranasale
‐ Assenza di sistemi standardizzati per il campionamento della saliva.
Il prelievo, infatti, con tamponi o mediante vari metodi di stimolazione si è rivelato poco affidabile poiché,
mentre il primo sistema sequestra nel tampone fino a 30% dell’analita, la stimolazione incrementa il pH della
saliva, portandolo su livelli prossimi a quelli plasmatici e rendendo così insufficiente il gradiente di pH che
media il trasferimento della sostanza dal sangue verso il fluido salivare.
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Sudore
Nel suo contesto, la sostanza tal quale prevale rispetto ai relativi metaboliti e presenta basse
concentrazioni.
Permette un campionamento non invasivo che avviene mediante patch.
Il tempo di permanenza in esso delle diverse sostanze oscilla tra 24 h ed 1 settimana dall’ultima
assunzione.
La concentrazione della sostanza nel sudore non è tuttavia correlabile con la dose assunta e con la
frequenza dell’uso.
Ulteriori limiti sono:
‐ Quantità minima di prelievo
‐ Necessità di GC e di MS, non disponibili su larga scala
Meconio
Riflette l’esposizione pre‐natale a farmaci e droghe.
Ciò consente, al momento della nascita, di prevedere l’insorgenza di sindromi astinenziali e,
successivamente, di modulare interventi sociali e sanitari
Ulteriori problematiche da affrontare in fase pre‐analitica:
2. Scelta della tecnica di campionamento, che può avvalersi di vials, siringhe, contenitori.
N.B. Solventi vanno raccolti in contenitori ermetici di nylon, dato che quelli di plastica sono ad essi
permeabili.
3. Eventuale aggiunta di additivi e conservanti
Ad esempio, il fluoruro di sodio è richiesto per prevenire la degradazione di tossici, come la cocaina, da
parte di esterasi ematiche e la fermentazione dell’alcol.
4. Definizione della cdt “catena di custodia”, intesa come quella procedura finalizzata a garantire:
‐ Integrità del campione
‐ Corretta identificazione del soggetto donatore
‐ Conservazione dell’aliquota necessaria per l’analisi di revisione
‐ Trasparenza degli atti e rintracciabilità dell’operato e dell’operatore
5. Etichettamento del campione mediante codice alfanumerico
6. Raccolta di elementi circostanziali, come terapie in corso
7. Scelta della modalità di trasporto
8. Scelta della temperatura di conservazione delle matrici biologiche
Per i solventi e le sostanze volatili, è richiesto il congelamento immediato delle matrici biologiche.
Nel sospetto che l’intossicazione sia stata causata da cianuri, il campione biologico va conservato a
temperatura di refrigerazione. Sono stati infatti descritti fenomeni di neoformazione di cianuri sia a
temperatura ambiente che dopo congelamento a ‐20 °C.
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FASE ANALITICA
Le tipologie di analisi disponibili in fase analitica sono:
‐ Analisi di screening
‐ Analisi di conferma
‐ Tecniche specifiche
Analisi di screening
Analisi preliminari (di I livello) – più sensibili che specifiche – volte Sensibilità: esprime la più piccola quantità di
ad identificare grandi gruppi di sostanze. sostanza che il metodo riesce a dosare.
All’aumentare della sensibilità del metodo
Il loro impiego risulta indispensabile: analitico quindi si riduce la quantità di sostanza
‐ nei casi di emergenza clinica, per la possibilità di ottenere, in dosabile. È influenzata dal marker usato.
poco tempo, una grande quantità di informazioni Specificità: è la capacità del metodo analitico di
dosare solo il composto in esame. Dipende dal
‐ quando vi è la necessità di analizzare un alto numero di tipo di anticorpo utilizzato
campioni in tempi brevi Accuratezza: è la differenza tra valore reale e
‐ quando si ha a disposizione poco campione biologico valore medio ottenuto da un certo numero di
misurazioni
‐ in assenza di dati circostanziali Precisione: indica la concordanza tra misure
Come metodi di screening, ci si avvale di metodi DIRETTI, ripetute sullo stesso campione
generalmente rappresentati da tecniche immunochimiche che si
basano sulla competizione, nei confronti di un anticorpo specifico, tra la sostanza da identificare all’interno
del campione in esame e la stessa sostanza marcata con isotopi radioattivi, enzimi, fluorescenza o particelle
di lattice.
Vantaggi
1. Possibilità di condurre l’indagine sul campione biologico tal quale ed in piccole quantità
2. Elevata sensibilità
3. Possibilità di ricercare gruppi di sostanze con un’unica procedura
4. Bassi costi di esercizio
5. Rapidità d’esecuzione
Svantaggi
1. Sensibilità non univoca all’interno della stessa classe di sostanze
2. Bassa specificità
3. Possibilità di risposte falsamente positive o falsamente negative.
I falsi positivi derivano dalla reazione crociata, con l’anticorpo impiegato, di molecole
strutturalmente simili alla sostanza ricercata.
I falsi negativi, invece, derivano dalla possibilità di falsare il risultato analitico, intervenendo sulle
caratteristiche chimico‐fisiche del campione biologico utilizzato (generalmente urina), mediante
aggiunta di acqua, sapone, tensioattivi in genere, succo di limone.
4. Prevalente validazione su matrice urinaria
N.B.
I metodi di screening, per le loro caratteristiche intrinseche, producono esclusivamente un risultato di tipo
presuntivo, vale a dire la probabile presenza o assenza di un analita o di una classe di sostante, in
riferimento a cut‐off prestabiliti.
Il cut‐off rappresenta un limite di concentrazione (valore soglia) scelto, appunto, per stabilire se un campione sia
positivo o negativo.
Viene utilizzato tanto per le procedure di screening quanto per i metodi di conferma.
Varia in funzione di:
‐ matrice biologica
‐ metodologia utilizzata
‐ finalità dell’indagine
Deve essere condiviso ed omogeneamente applicato da tutti i laboratori coinvolti nelle stesse tipologie di analisi.
Va chiaramente indicato nel referto.
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Pertanto, un risultato positivo ottenuto con un'analisi di screening non può assumere valenza forense e va
necessariamente verificato mediante un’analisi di conferma.
Analisi di conferma
Analisi (di II livello) dotate di una maggiore specificità, da eseguire obbligatoriamente su tutti i campioni
risultati positivi alle analisi di screening, con lo scopo di confermare, appunto, la presenza di una sostanza o
dei suoi metaboliti e di stabilirne la quantità.
A differenza dei metodi di screening – che costituiscono metodi DIRETTI – prevedono:
‐ Estrazione dell’analita dalla matrice biologica
‐ Aggiunta della standard interno
‐ Confronto con standard di riferimento certificati
Va effettuata con spettrometria di massa, l’unica metodica analitica in grado di confermare la struttura
chimica della sostanza, accoppiata a gascromatografia o a cromatografia liquida.
FASE POST‐ANALITICA
È quella in cui si procede all’interpretazione del dato analitico.
In caso di esito negativo, bisogna valutare la possibilità che la sostanza:
‐ non sia stata assunta
‐ sia stata eliminata dai trattamenti ospedalieri
‐ sia stata degradata
‐ si sia dimostrata tecnicamente non rilevabile per:
Campionamento non corretto
Non corretta temperatura di conservazione del campione
Bassa sensibilità del metodo analitico
Ricerca generica non sufficientemente ampia
In caso di esito positivo, bisogna valutare sei dati di laboratorio siano:
‐ congruenti con quanto indicato nella letteratura scientifica
‐ concordanti con gli altri criteri medico‐legali
N.B.
In ogni caso, l’approccio metodologico – pur se diversificato a seconda della finalità dell’indagine – non può
prescindere dall’applicazione della classica criteriologia medico‐legale su cui si basa la diagnosi di
avvelenamento e che correla il dato chimico‐tossicologico con i dati derivanti da un’attenta valutazione di
altri criteri – come quello circostanziale, clinico‐anamnestico ed anatomo‐patologico (su cadavere) – capaci,
tra l’altro, possono orientare l’indagine tossicologica verso una determinata causa d’intossicazione.
Solo la concordanza tra i diversi criteri potrà fornire la certezza della diagnosi.
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INDAGINE TOSSICOLOGICA POST‐MORTEM
Viene richiesta qualora si sospetti l’intervento di una noxa chimica nel determinismo della morte e risulta
indispensabile per stabilire se alcol, droghe o altre sostanze tossiche possano aver causato o contribuito alla
morte di un soggetto.
Morte da droga
Nell’ambito delle morti droga‐correlate rientrano:
1. Morti per intossicazione acuta da stupefacenti o narcotismo acuto, dovuto all’assunzione – volontaria
o accidentale – di una dose di una sostanza risultata letale in funzione del grado di tolleranza
dell’assuntore (overdose).
2. Morti legate ad abuso protratto, per patologie associate, come epatiti e miocarditi.
3. Suicidi ed omicidi connessi con la tossicodipendenza
4. Morti per eventi accidentali causati dalla droga, come incidenti stradali e sul lavoro.
N.B. La definizione di “narcotismo acuto” è andata nel tempo modificandosi,
‐ per la relatività del concetto di “overdose”, che varia in rapporto a sensibilità, grado di dipendenza e di
tolleranza dell’assuntore;
‐ perché non sempre si evidenziano livelli sierici e tissutali di droga tali da giustificare il decesso.
Attualmente, quindi, si preferisce parlare di “reazione acuta alla droga” intesa come un’abnorme reattività
dell’organismo alla sostanza.
Tale evenienza può dipendere – oltre che dall’assunzione di una dose della sostanza in quel momento
eccessiva per la tolleranza del soggetto – anche da:
1. Poliassunzione
2. Sofferenza epatica, con diminuzione della sintesi degli enzimi necessari alla metabolizzazione delle
droghe, con conseguente aumento delle loro concentrazioni ematiche e della loro emivita.
3. Assunzione endovenosa, anche di droghe che tradizionalmente venivano assunte per via inalatoria o
per via orale (cocaina, metadone e psicofarmaci).
L’assunzione endovenosa può infatti determinare:
Variazione della dose letale
Complicanze infettive, come epatite virale acuta, infezione tetanica
Fenomeni embolici, provocati da eccipienti per compresse destinate all’uso orale
4. Condizioni fisiche del soggetto assuntore favorenti l’effetto tossico della sostanza stupefacente.
Una sostanza stupefacente, quindi, può provocare la morte anche in dosi sub‐letali, che sarebbero inidonee
a giustificare il decesso.
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Diagnosi di morte da droga
È posta seguendo lo stesso schema criteriologico a cui si ricorre ogniqualvolta venga considerata l’ipotesi di
un’intossicazione acuta.
Richiede la partecipazione di un’equipe multidisciplinare – composta da tossicologo, medico legale ed
anatomo‐patologo – dove ognuno, nell’ambito della propria competenza specifica, apporta il suo
contributo.
L’approccio tossicologico per un’indagine post‐mortem prevede:
1. Studio degli atti
2. Valutazione dei dati circostanziali e clinico‐anamnestici
3. Richiesta di campioni biologici con indicazione del sito di prelievo
4. Esecuzione di indagini di screening e di conferma
5. Valutazione del dato
I campioni post‐mortem possono essere numerosi e variabili e vengono scelti in base alla storia del caso ed
ai quesiti posti dal magistrato.
Durante l’autopsia, sono routinariamente raccolti:
‐ Campioni di sangue, con l’indagine che, avendo finalità forense, viene eseguita su sangue intero.
Il sangue intero, infatti, contenendo sia la sostanza concentrata negli eritrociti che quella legata alle
proteine plasmatiche, costituisce il campione di scelta per provare la presenza di una droga nel sangue
‐ Campioni di urina
‐ Intero quantitativo di bile presente nella colecisti, che se contiene alte concentrazioni di morfina
coniugata suggerisce un abuso cronico di eroina.
‐ Campioni di organi, in particolare del fegato
‐ Tutto il contenuto gastrico
L’indagine può essere completata dalla raccolta di campioni supplementari e di matrici alternative come:
‐ Capelli
‐ Unghie
‐ Umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente meno degli altri del processo di
putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere.
‐ Campioni di pelle
È necessario prelevare campioni da diversi distretti corporei al fine di valutare se la distribuzione dello
xenobiotico sia polidistrettuale. Ciò risulta infatti indispensabile per giudicarne l’idoneità lesiva.
Comunque, l’eventuale degradazione post‐mortale, con i suoi cambiamenti autolitici e putrefattivi,
potrebbe limitare la selezione e l’utilità dei campioni biologici.
Un’ulteriore problematica risiede nel fatto che la concentrazione ematica post‐mortem non sempre riflette
la concentrazione effettiva della sostanza al momento della morte, perché condizionata dal fenomeno di
ridistribuzione post‐mortale (PMR).
Per PMR, s’intende il movimento della sostanza all’interno del corpo dopo la morte, con conseguente
aumento della sua concentrazione ematica a livello centrale.
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I fattori che favoriscono la PMR sono:
1. Rilascio passivo delle sostanze dai cdt “organi di depositi”, tra cui rientrano: gli organi cavi, come quelli
che compongono il tratto GI, e gli organi dotati di un’alta capacità concentrativa, quali fegato, polmone
e miocardio.
La ridistribuzione da questi organi può avvenire per:
‐ Diffusione attraverso i vasi sanguigni
‐ Diffusione trans‐parietale verso i tessuti circostanti
2. Cambiamenti del pH e della struttura delle proteine, con conseguente rottura del legame farmaco‐
proteico
3. Persistenza di processi metabolici subito dopo la morte
4. Natura e proprietà chimico‐fisiche della sostanza
Le sostanze che più comunemente vanno incontro a PMR sono le basi con grandi volumi di
distribuzione (intendendo, per volume di distribuzione la quantità di sostanza presente nel corpo intero
rispetto a quella presente nel sangue).
È questo il caso di ADT, antistaminici, analgesici narcotici, digossina.
Altri fattori che possono influenzare l’entità della PMR, sono:
1. Temperatura del corpo
La PMR viene, infatti, ritardata dalla refrigerazione a 4 °C
2. Tempo intercorso dall’exitus
La PMR, infatti, aumenta con il ritardo dell’autopsia
3. Condizioni patologiche pre‐esistenti
A causa della ridistribuzione post‐mortale, il campione ematico di scelta per le analisi tossicologiche nel
cadavere è il sangue femorale.
Il sangue femorale e, più in generale quello periferico, infatti, riflette maggiormente la concentrazione
ematica ante‐mortem della sostanza, perché meno soggetto alla ridistribuzione post‐mortale della stessa,
dato che quest’ultima potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare e da quello adiposo adiacente.
Fattori critici che influenzano l’interpretazione del dato analitico
sono:
1. Correttezza del campionamento
2. Tolleranza individuale
3. Variabilità biologica inter‐individuale
4. Interazione tra droghe e farmaci
5. Presenza o meno di patologie pre‐esistenti
6. Tempo di sopravvivenza
7. Stabilità delle droghe
Ad esempio:
la cocaina viene idrolizzata, in vivo ed in vitro dalle colinesterasi sieriche. Per questo, nella
valutazione, bisogna tener conto anche della concentrazione dei metaboliti;
la morfina glicuronide, nel sangue cadaverico, può essere convertita in morfina libera, in caso di
contaminazione da parte di batteri che scindono il legame con l’acido glicuronico;
l’LSD, viene degradata dalla luce.
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Differenze esistenti tra indagine tossicologica su vivente con finalità clinica ed indagine tossicologica
post‐mortem
Indagine tossicologica su vivente con finalità Indagine tossicologica post‐mortem
clinica
1. Viene solitamente eseguita in condizioni di 1. Supporta il medico legale nella diagnosi di
urgenza avvelenamento
2. Supporta il clinico nei casi di avvelenamento 2. Si effettua su sangue intero dato che in esso è
3. Prevede che l’analisi del campione ematico presente e, quindi, analizzabile sia la sostanza
venga condotta sul siero o sul plasma. contenuta all’interno degli eritrociti che quella
Al siero ed al plasma, infatti, cui fa riferimento legata alle proteine plasmatiche. Ciò lo rende –
la quasi totalità delle concentrazioni sebbene ricco di interferenti – il campione di
terapeutiche dei farmaci riportate in scelta per provare la presenza di una droga nel
letteratura, dato che essi contengono meno sangue.
sostanze interferenti del sangue intero 3. Non sempre permette di stabilire l’effettiva
4. Premette di dedurre la gravità concentrazione ematica della sostanza al
dell’intossicazione dal tasso ematico della momento della morte.
sostanza, comparato alla dose terapeutica, alla La concentrazione ematica post‐mortem può
dose tossica ed a quella letale infatti variare in rapporto a fenomeni di
5. Rende possibile risalire alla quantità di sostanza ridistribuzione post‐mortale (PMR).
assunta L’influenza della PMR può comunque essere
limitata prelevando il campione ematico dai
vasi femorali visto che il sangue femorale e, più
in generale, quello periferico, è meno soggetto
a tale fenomeno in quanto la sostanza potrebbe
provenire solo dal tessuto muscolare e da
quello adiposo adiacente.
Il sangue femorale, pertanto, riflette
maggiormente la concentrazione ematica ante‐
mortem della sostanza
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TOSSICODIPENDENZE
Secondo la definizione dell’OMS, la tossicodipendenza è uno stato di intossicazione cronica le cui
caratteristiche sono:
1. Desiderio invincibile da parte del soggetto di fare uso della sostanza (craving)
2. Dipendenza psichica e poi eventualmente fisica dagli effetti della sostanza.
3. Tendenza ad aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti (tolleranza).
4. Grave compromissione della salute, della vita di relazione e della validità individuale.
La dipendenza psichica è una condizione che comporta uno stato di profondo disagio in seguito alla brusca
interruzione del consumo di una sostanza chimica, verso cui l’individuo è stato cronicamente o
ripetutamente esposto.
Lo stato di disagio viene alleviato dalla rinnovata assunzione della sostanza o di un’altra, purché provvista di
effetti farmacologici simili.
Può essere isolata o associarsi a dipendenza fisica.
La dipendenza fisica è una condizione secondo cui l’organismo, per il mantenimento dell’omeostasi,
necessita della presenza della sostanza chimica, verso cui l’individuo è stato cronicamente o ripetutamente
esposto.
Qualora l’assunzione della sostanza venga bruscamente interrotta, si manifestano i segni ed i sintomi della
sindrome di astinenza, generalmente di segno opposto agli effetti della sostanza.
Si accompagna sempre al fenomeno della tolleranza ma non sempre si verifica il contrario.
Una dipendenza psichica grave associata a dipendenza fisica viene osserva con: 1
‐ Oppioidi
‐ Alcool etilico
‐ Barbiturici
‐ Benzodiazepine
Una dipendenza psichica marcata associata a lieve dipendenza fisica si osserva con:
‐ Agonisti‐antagonisti oppioidi (nalorfina, levallorfano, pentazocina)
‐ Anfetamine
‐ Cocaina
‐ Metilfenidato
Una dipendenza psichica isolata viene osservata con:
‐ Cannabis, allucinogeni tipo LSD, solventi, nicotina, caffeina
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OPPIO ED OPPIOIDI
L’OPPIO viene ottenuto dal succo lattiginoso delle capsule immature ed incise del Papaver somniferum
album, coltivato nel Medio e nell’Estremo Oriente.
I costituenti farmacologicamente attivi dell’oppio sono di natura alcaloidea e vengono distinti i 2 categorie
chimiche:
‐ Derivati fenantrenici, quali morfina (costituente il 10% del peso in grammi dell’oppio), codeina e
tebaina ad effetto euforizzante, analgesico e narcotico
‐ Derivati benzilisochinolinici, quali papaverina, noscapina e narceina, ad effetto spasmolitico sulla
muscolatura liscia.
Con il termine di OPPIOIDE s’intende qualsiasi sostanza che produca effetti simili a quelli della morfina.
Tali sostanze includono:
‐ Peptidi oppioidi endogeni (endorfine, encefaline, dinorfine)
‐ Molecole esogene
Naturali (come la stessa morfina, la codeina e la tabaina, anche indicate con il termine di OPPIACEI)
Semisintetiche (come eroina, buprenorfina, idromorfone, ossicodone)
Sintetiche (come metadone, pentazocina, meperidina, propossifene)
Eroina
Si tratta di un oppioide semisintetico (3,6‐diacetilmorfina), ottenuto dalla morfina, acetilando sia l’ossidrile
fenolico che quello alcolico.
La doppia acetilazione aumenta la liposolubilità della sostanza, consentendone un più rapido passaggio,
attraverso la barriera emato‐encefalica, nel SNC. 2
Ciò rende l’eroina, a parità di dose, più attiva della morfina e ne incrementa la tossicità – misurata come
DL50 – di circa 7 volte.
In base alla modalità di preparazione, si distinguono due 2 tipi eroina:
‐ Eroina bianca, che appare come una polvere bianca cristallina
‐ Eroina scura (brown sugar), che appare come granuli di colore bruno
L’eroina bianca è ottenuta estraendo, dall’oppio, esclusivamente la morfina che viene purificata e poi
doppiamente acetilata.
L’eroina scura è invece ottenuta estraendo, dall’oppio, tutti gli alcaloidi, che vengono poi sottoposti ad
un’acetilazione indiscriminata. Il composto risultante, pertanto, contiene non solo i derivati acetilati della
morfina (eroina e monoacetilmorfina) ma anche gli altri alcaloidi dell’oppio e le impurità di origine.
N.B. Sulla base di tali impurità d’origine è possibile tracciare la provenienza della sostanza.
Generalmente, l’eroina viene venduta in singole dosi efficaci – contenenti % variabili di eroina – tagliate
con sostanze farmacologicamente attive (come procaina e caffeina) o con sostanze inerti (come talco, acido
tartarico, mannite, ecc…). L’eroina da strada è, pertanto, una miscela di sostanze.
N.B. la miscela contenente eroina, cocaina ed altre sostanze farmacologicamente attive va sotto il nome di
“speedball”.
Oltre alle singole dosi efficaci, circolano anche “ovuli” di eroina, nei quali la sostanza è racchiusa in stati di
materiale impermeabile, capaci di resistere al pH acido dello stomaco ed a quello alcalino dell’intestino,
dopo deglutizione. Si tratta, pertanto, di una modalità di confezionamento finalizzata al trasporto (cdt
“body‐packing”).
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Farmacodinamica
L’eroina, e più in generale gli oppioidi esogeni, producono i loro effetti farmacologici, per interazione con i
recettori dei peptidi oppioidi endogeni.
Tali recettori appartengono a 5 famiglie:
‐ , responsabili di analgesia sovraspinale, euforia, depressione della motilità intestinale, effetto
emetico
‐ ,che mediano la dipendenza e la depressione respiratoria
‐ , responsabili di analgesia, sedazione, disforia e miosi
‐ , che mediano l’analgesia spinale
‐ , che producono disforia ed allucinazioni
Tali recettori sono accoppiati a proteine Gi che:
‐ Inibiscono l’attività dell’adenilato ciclasi, riducendo i livelli intracellulari di cAMP
‐
Attivano correnti in uscita di K+
‐
Sopprimono correnti in entrata di Ca2+
Ciò produce un’iperpolarizzazione della membrana plasmatica che blocca il rilascio di NT e la conduzione
dello stimolo doloroso in diverse vie neuronali.
L’uso voluttuario dell’eroina può avvenire per:
‐ Iniezione endovenosa ( cdt “buco”), attraverso cui l’effetto compare in pochi minuti (flash) e dura circa
due ore.
Tale modalità di assunzione, prevalente in passato, è stata attualmente ridimensionata per l’alto rischio
di trasmissione parenterale di malattie infettive, correlato allo scambio di siringhe.
Continua comunque ad essere adottata soprattutto dai consumatori cronici di eroina.
‐ Inalazione di polvere (sniffing) o fumi (snorting) 3
Costituisce la più recente modalità di assunzione dell’eroina e giustifica la possibile assenza del segno
dell’agopuntura nei soggetti deceduti per overdose della sostanza.
Viene principalmente adottata dai consumatori saltuari di eroina.
N.B. Sebbene l’assorbimento dell’eroina assunta per via inalatoria sia rapido, gli effetti prodotti sono
pari al 10‐20% di quelli che si osservano dopo assunzione della stessa dose per via endovenosa.
Metabolismo
L’eroina viene de‐acetilata, rapidamente (10‐15 min), a 6‐monoacetilmorfina e poi, più lentamente (4‐6 h),
a morfina, da parte di esterasi presenti nel sangue ed in distretti corporei quali SNC e fegato.
La morfina così ottenuta è, per la maggior parte, metabolizzata, in ambito epatico, mediante coniugazione
con acido glucuronico, promossa da glucuronil‐trasferasi. I metaboliti che si formano sono morfina‐3‐
glucuronide, ed in misura minore, morfina‐6‐glucuronide.
I derivati glucuronati della morfina vengono eliminati, principalmente, per via urinaria e, solo in piccola
parte, per via biliare.
N.B. La quota biliare di morfina coniugata aumenta significativamente nell’assuntore cronico di eroina. Pertanto, il
riscontro all’esame autoptico, di elevate concentrazioni biliari di morfina coniugata consente la diagnosi di abuso
cronico di eroina.
Metaboliti minori dell’eroina sono:
‐ Normorfina, per demetilazione della morfina
‐ Codeina, per metilazione dell’atomo di ossigeno in posizione 3 della morfina
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Matrici biologiche su cui effettuare le indagini chimico‐tossicologiche
Diagnosi di uso recente
Un uso recente di eroina può essere dimostrato ricercandone i metaboliti nelle urine del presunto
assuntore.
Tra i diversi metaboliti urinari dell’eroina, l’unico ad indicare con certezza che il soggetto abbia fatto un uso
recente della sostanza è la 6‐monoacetilmorfina, il cui tempo di permanenza nelle urine, tuttavia, è di sole
poche ore dall’ultima assunzione e varia in funzione della frequenza dell’abuso.
Altri metaboliti dell’eroina, reperibili nelle urine più a lungo (anche fino a 4‐5 gg dall’ultima assunzione,
qualora si tratti di un consumatore abituale), sono:
‐ Morfina‐3‐glucuronide, che rappresenta il 90% dei metaboliti urinari dell’eroina
‐ Morfina‐6‐glucuronide
‐ Morfina libera in percentuali molto piccole
‐ Codeina
Tali metaboliti urinari, tuttavia, a differenza 6‐monoacetilmorfina, non sono esclusivi dell’eroina dato che
possono essere rinvenuti anche nel caso dell’assunzione di altri oppioidi, come ad esempio, la codeina,
contenuta in alcuni preparati analgesici ed in alcuni sciroppi per la tosse. La codeina, infatti, viene, per circa
il 10%, demetilata a morfina, riscontrabile nelle urine, come tale, e come morfina coniugata.
Va detto, comunque, che ad orientare circa un’assunzione recente di codeina e non di eroina è un quadro
urinario caratterizzato da:
‐ Alte concentrazioni di codeina
con un rapporto codeina/morfina > 2
‐ Basse concentrazioni di morfina
‐ Assenza di 6‐monoacetilmorfina
In ogni caso, per la diagnosi differenziale tra consumo voluttuario di eroina ed assunzione terapeutica di
farmaci a base di codeina, alle matrici biologiche tradizionali vengono attualmente preferite matrici 4
alternative, come il capello perché, nel suo contesto, è reperibile la sostanza tale quale, con eventuale
presenza di piccole quantità dei suoi metaboliti.
Pertanto, diagnostico dell’assunzione terapeutica di un farmaco a base di codeina è il riscontro, all’interno
del capello, di codeina tal quale e di piccolissime quantità di morfina, con assenza totale di 6‐
monoacetilmorfina e di eroina.
Diagnostico, invece, dell’assunzione di eroina è il riscontro, nel capello, di eroina tal quale e di basse
concentrazioni di 6‐monoacetilmorfina e di morfina.
N.B.
Le matrici biologiche alternative, come il capello, inoltre, permettono di ottenere informazioni circa l’uso
pregresso di eroina.
La possibilità di retrodatare l’abuso della sostanza stupefacente varia in funzione della lunghezza del
capello: ad esempio, un capello di 8 cm, consente di valutare le abitudini voluttuarie del soggetto negli
ultimi 8‐9 mesi, dato che i capelli dei caucasici crescono di circa 1 cm al mese.
L’intossicazione acuta da eroina e, più in generale, da oppioidi viene anche indicata come “Acute
Narcotism”.
Tale condizione riconosce come cause:
1. Assunzione di una dose della sostanza in quel momento eccessiva per la tolleranza del soggetto
(overdose). Ciò può verificarsi per:
‐ Cambio di fornitore, che procura al tossicodipendente una dose più ricca di principio attivo.
‐ Consumo della stessa dose, dopo un periodo di astinenza (determinato, ad esempio, da custodia
cautelare in carcere o da soggiorno in comunità) durante il quale il grado di tolleranza si è ridotto.
‐ Rottura di ovuli trasportati nel tubo digerente da body‐packers
2. Assunzione combinata con altre sostanze ad effetto depressivo centrale, come BDZ ed alcol
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L’intossicazione acuta da oppioidi è caratterizzata dalla seguente sintomatologia:
‐ Miosi, con pupille a capocchia di spillo
‐ Prurito
‐ Sonnolenza
‐ Diminuzione della frequenza e dell’ampiezza del respiro
‐ Bradicardia
‐ Ipotensione
‐ Diminuzione della temperatura corporea
Tale sintomatologia può evolvere in depressione respiratoria, apnea, coma e morte
Il trattamento d’urgenza prevede:
‐ Ventilazione del pz, il cui respiro è primariamente depresso dagli oppioidi
‐ Somministrazione di naloxone (Narcan), antagonista dei recettori degli oppioidi.
Il naloxone è infatti capace di spiazzare tutti gli oppioidi, esogeni ed endogeni, dai corrispondenti
recettori, mostrando, per tali recettori, un’affinità maggiore. Ne consegue un recupero pressoché
immediato. Tuttavia, poiché la durata d’azione del Naloxone è inferiore a quella degli agonisti oppioidi,
i sintomi di overdose possono ripresentarsi nel giro di poche h. Si richiedono, pertanto,
somministrazioni ripetute dell’antagonista ed un periodo di osservazione > 12 h.
Diagnosi di morte da acute narcotism
Si basa sugli stessi criteri utilizzati per la diagnosi di avvelenamento:
1. Criterio circostanziale
Tiene conto dell’insieme dei dati che emergono dalle indagini relative alle circostanze spazio‐temporali
del presunto contatto con il tossico.
Applicando il criterio circostanziale, depongono per una morte da acute narcotism: 5
‐ Testimonianze relative all’acquisto ed al consumo dello stupefacente da parte del soggetto
‐ Rinvenimento, durante le indagini di sopralluogo, di siringhe, residui di polvere, ecc…
2. Criterio clinico‐anamnestico
Tiene conto della sintomatologia che il soggetto ha manifestato e di condizioni antecedenti al fatto.
Applicando il criterio clinico‐anamnestico, suggeriscono una morte da acute narcotism:
‐ Storia di consumo cronico o occasionale di eroina, precedenti trattamenti di dissuefazione, ricoveri
ospedalieri in seguito a pregressi episodi di intossicazione acuta rivelatisi non fatali.
‐ Evidenza clinica, precedente al decesso, di segni e sintomi di intossicazione acuta da oppioidi.
3. Criterio anatomo‐patologico
Tiene conto delle informazioni fornite dall’esame interno ed esterno del cadavere.
All’esame esterno del cadavere, qualora si sospetti una morte da acute narcotism, vanno innanzitutto
ricercati segni di agopuntura, non solo nelle classiche sedi di iniezione endovenosa (quali piega del
gomito, dorso della mano e dorso del piede), ma anche in sedi insolite (quali vena peniena, vena
giugulare, vene interdigitali dei piedi).
In presenza di un segno di agopuntura, è necessario valutare se la lesione sia recente – e quindi
direttamente correlabile alla morte – o pregressa. Per far ciò, va praticato un piccolo taglio sulla cute,
nella sede dell’agopuntura, con successiva eversione dei lembi cutanei. Depongono per una lesione
prodotta in vita di recente, l’infarcimento emorragico del tessuto sottocutaneo attraversato dall’ago e
la presenza di un coagulo ematico lungo il tragitto dello stesso. Tali reperti, tuttavia, perdono il loro
valore diagnostico qualora il soggetto sia stato soccorso e trasportato in ospedale poiché una delle
prime manovre consiste nel reperimento di un accesso venoso.
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Il riscontro, nella sede dell’agopuntura, non di segni di lesione recente, ma di cicatrici cutanee
pigmentate e di indurimento delle pareti venose, depone invece per un’iniezione pregressa e ripetuta
in quella stessa sede che, sebbene non direttamente correlabile alla morte, suggerisce un consumo
abituale della sostanza.
N.B. L’assenza di segni di agopuntura non consente tuttavia di escludere una morte per intossicazione
acuta da eroina, in quanto la sostanza può anche essere stata assunta per via inalatoria, evenienza
dimostrabile mediante tampone nasale.
Comunque, anche in caso di assunzione della sostanza per via inalatoria, il tampone nasale può
risultare negativo a causa dell’azione di lavaggio esercitata dal cdt “fungo schiumoso”: fuoriuscita, cioè,
di una schiuma di colorito bianco‐rosaceo e di aspetto cotonoso dagli orifizi respiratori.
Il fungo schiumoso costituisce un reperto di frequente riscontro nelle morti da acute narcotism, per la
condizione di edema polmonare lesionale che si realizza in questo tipo di morte.
Tale condizione è responsabile, inoltre, della comparsa di ipostasi anti‐gravitarie a mantellina, per
ristagno di sangue nel territorio della vena cava superiore, secondario alla difficoltà di scarico delle
sezione destre del cuore.
All’esame interno del cadavere, tipico è il riscontro di un edema polmonare acuto (EPA).
L’EPA in questione è di tipo lesionale – dovuto cioè ad un aumento di permeabilità della membrana
alveolo‐capillare – che si verificherebbe per l’ipossia determinata dalla depressione respiratoria.
Il polmone edematoso si presenta aumentato di volume, pallido, di consistenza pastosa e scarsamente
crepitante. La digitopressione lascia sul viscere un’impronta persistente. Dalla superficie di sezione,
umida, fuoriesce abbondante liquido sieroso, finemente schiumoso, incolore o roseo.
Possibile è inoltre osservare spazi cistici “a nido d’ape” più marcati in corrispondenza della periferia dei
lobi inferiori ed espressione di una fibrosi polmonare dipendete dalla deposizione, nei polmoni, di
polveri inerti, come il talco, introdotte attraverso il circolo ematico.
Tale reperto suggerisce l’utilizzo di droghe per via endovenosa da molto tempo.
Il sangue è tipicamente fluido e non bagna la provetta, data la natura asfittica della morte. 6
A carico del SNC, si riscontrano: edema cerebrale acuto, iperemia e petecchie emorragiche.
In corso di autopsia, è necessario inoltre procedere al campionamento di matrici biologiche tradizionali
e non, da avviare alle indagini tossicologiche.
In particolare, si prelevano:
Campioni di:
‐ sangue, prediligendo quello femorale, meno soggetto a fenomeni di ridistribuzione post‐
mortale;
‐ urina
‐ bile, che, se contiene alte concentrazioni di morfina coniugata, suggerisce un abuso cronico di
eroina;
‐ organi, come il fegato;
‐ umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente meno degli altri del processo di
putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere.
Tutto il contenuto gastrico
Capelli ed unghie, importanti soprattutto per dimostrare un abuso cronico .
È necessario prelevare campioni da diversi distretti corporei al fine di valutare se la distribuzione della
morfina, metabolita dell’eroina, sia polidistrettuale, condizione richiesta per la diagnosi di acute
narcotism.
4. Criterio chimico‐tossicologico,
Si fonda sull’identificazione e la quantificazione del tossico in matrici biologiche ed in altri reperti e
sull’interpretazione del dato analitico, sia esso positivo che negativo.
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N.B. Un giudizio conclusivo circa la causa della morte viene formulato integrando le evidenze emerse
dall’applicazione dei vari criteri.
Il consumo cronico di eroina produce uno stato di dipendenza psichica grave associata a dipendenza
fisica.
Diagnosi di dipendenza da oppioidi su vivente
Secondo il DM n. 186 del 1990 deve basarsi su:
1. Riscontro documentale di trattamenti socio‐sanitari per le tossicodipendenze presso strutture
pubbliche e private, di soccorsi ricevuti da strutture di pronto soccorso, di ricovero per trattamento di
patologie correlate all'abuso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, di precedenti accertamenti
medico‐legali
2. Constatazione di segni di assunzione abituale della sostanza
3. Evidenza di sintomi fisici e psichici di intossicazione in atto
4. Constatazione di una sindrome di astinenza in atto, la cui intensità va valutata.
Ciò può essere effettuato mediante varie scale di misurazione, come quella clinica, proposta da Wesson
e Ling, denominata COWS: Clinical Opiate Withdrawal Scale. 7
Tale scala tiene conto di:
1) Frequenza cardiaca a riposo, che risulta aumentata in corso di sindrome di astinenza da oppioidi
2) Sudorazione nell’ultima mezz’ora
3) Irrequietezza
4) Ansia o irritabilità
5) Midriasi pupillare
6) Disturbi gastrointestinali (come nausea, vomito, diarrea, crampi addominali)
7) Tremore
8) Sbadiglio
9) Rinorrea o lacrimazione
10) Pelle d’oca
11) Dolori osteoarticolari
A ciascuno di questi segni e sintomi viene assegnato un punteggio, tanto più alto, quanto maggiore è la
loro entità.
Dalla somma dei singoli punteggi, se ne ottiene uno totale che consente di esprimere un giudizio circa
presenza ed intensità della sindrome di astinenza:
1‐10 = s. di astinenza assente
1‐20 = s. di astinenza moderata
> 20 = s. di astinenza conclamata
N.B. Qualora, al momento dell’esame, non sia presente una sindrome di astinenza è possibile
provocarla, tenendo il soggetto isolato per 10‐12 h, oppure evocarne solo determinate manifestazioni,
mediante l’impiego locale di antagonisti dei recettori degli oppioidi – in particolare del naloxone –
nell’ambito di test specifici, come il pupil test.
Il pupil test prevede la somministrazione topica di un collirio a base di naloxone nella congiuntiva di uno
dei due occhi del soggetto esaminato.
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In caso di dipendenza da oppioidi, il naloxone provoca, nell'arco di 30‐60 minuti, una netta midriasi, che
contrasta visibilmente con la miosi dell'occhio controlaterale.
Ciò si verifica in quanto il naloxone, spiazzando gli oppioidi dai loro recettori, determina una caduta del tono parasimpatico,
cronicamente esaltato nel soggetto dipendente da oppioidi, con conseguente prevalenza della stimolazione adrenergica sul
muscolo dilatatore della pupilla.
In un soggetto non dipendente da oppioidi, invece, non produce alcun cambiamento.
5. Presenza di sostanze stupefacenti e dei loro metaboliti in matrici biologiche del soggetto, dimostrata
mediante indagini chimico‐tossicologiche
La diagnosi di tossicodipendenza da oppioidi – e più in generale da sostanze stupefacenti – è richiesta per:
‐ Concedere misure cautelari alternative al carcere a soggetti tossicodipendenti che accettino di seguire
programmi di riabilitazione
‐ Concedere un’aspettativa dal lavoro a lavoratori tossicodipendenti che decidano di effettuare un
programma di riabilitazione della durata massima di 3 anni
Lo svezzamento dalla dipendenza da eroina può essere ottenuto con:
‐ Metadone
‐ Buprenorfina
Metadone
È un oppioide di sintesi, con effetto farmacologico molto simile a quella della morfina.
Viene impiegato per il divezzamento dell’eroinomane poiché presenta, rispetto all’eroina, una serie di 8
vantaggi:
1. Si assume per via orale.
Ciò, oltre a prevenire la patologia collaterale da uso di siringhe infette, determina un decondizionamento dal
"buco".
2. Ha un effetto farmacologico prolungato, che dura circa 24 ore, consentendo, così, una singola
somministrazione giornaliera.
3. Si associa ad un minor grado di tolleranza verso i suoi effetti farmacologici
Lo svezzamento metadonico dell’eroinomane, che può durare anni, si attua mediante una
somministrazione a scalare, iniziando con la dose minima sufficiente per prevenire la crisi da astinenza. Tale
dose viene quindi ridotta progressivamente fino a cessarne del tutto la somministrazione.
Se, durante la disassuefazione, il tossicodipendente riprende ad assumere eroina, si vanifica la terapia in
corso ed è necessario ricominciare tutto dall’inizio.
Per questi motivi, è necessario che la terapia metadonica di mantenimento sia sempre supportata da
adeguati interventi di tipo psicologico o socio‐riabilitativo.
Buprenorfina
È un oppioide semisintetico (analogo della tebaina) che agisce da agonista parziale dei recettori , verso cui
mostra un’elevata affinità.
La disponibilità di formulazioni retard, che rendono possibile la somministrazione mono o bisettimanale del
farmaco, costituisce un vantaggio rispetto al metadone (la cui somministrazione risulta giornaliera), poiché
permette di ridurre la frequentazione dei SERT e, quindi, degli altri tossicodipendenti, cosa che funge da
rinforzo alla tossicodipendenza.
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Ulteriori vantaggi:
‐ Dipendenza fisica di minore entità e durata rispetto a quella prodotta dal metadone
‐ Blanda sintomatologia astinenziale che si manifesta con ritardo (da 2 gg a 2 w) e che persiste per 1‐2 w
Nel soggetto ex‐tossicodipendente, perfettamente disintossicato, per prevenire le ricadute, si somministra
naltrexone, antagonista dei recettori degli oppioidi a lunga durata d’azione. Il suo uso consente di bloccare
gli effetti farmacologici degli oppioidi esogeni eventualmente assunti.
COCAINA
La cocaina è il principale alcaloide estraibile dalle foglie di Erythroxylon coca, pianta originaria del Perù e
della Bolivia.
La cocaina è disponibile come:
‐ Cocaina cloridrato o solfato
‐ Base libera (crack)
‐ Cocaina “superspeed” (addizionata ad amfetamine)
‐ Crude coca paste (altamente neurotossica perché contenente residui di kerosene)
La cocaina cloridrato o solfato si presenta sotto forma di una polvere bianca cristallina che può essere
assunta:
‐ per sniffing, fiutando, cioè, la polvere 9
‐ per via endovenosa, da sola o mescolata ad eroina (speed‐ball).
Si parla di “stereo‐injection” quando, in un braccio, venga iniettata cocaina ed in un altro eroina.
La base libera della cocaina (crack), invece, si presenta sotto forma di cristalli e può essere assunta
esclusivamente inalando il fumo prodotta dal riscaldamento degli stessi in apposite pipe.
Tale operazione provoca gli scricchiolii che danno origine al suo nome.
La cocaina, quando assunta per via generale (inalatoria o endovenosa), agisce sul SNC dove aumenta la
velocità di produzione e di liberazione delle catecolamine (in particolare di dopamina e noradrenalina),
bloccandone, al contempo, la ricaptazione.
L’eccessiva immissione ed il mancato recupero, portano ad un progressivo impoverimento delle riserve
catecolaminiche, fino al loro azzeramento.
Il cocainomane, quindi, non ottiene più gli effetti desiderati ed è costretto ad un periodo di astinenza,
necessario per consentire la ricostituzione delle riserve catecolaminiche.
Gli effetti della cocaina sono dose‐dipendenti.
In particolare, al crescere delle dose, sia hanno:
‐ Sindrome euforica, caratterizzata da:
Euforia
Iperattività
Insonnia
Ipersessualità
Tendenza al comportamento aggressivo
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‐ Sindrome disforica, caratterizzata da:
Ansia
Pianto immotivato
Anoressia
Apatia
Incapacità di concentrazione
‐ Psicosi paranoide, i cui aspetti sono:
Delirio di persecuzione
Allucinazioni uditive, visive ed olfattive
Comportamento violento
‐ Convulsioni
‐ Morte per arresto cardiaco, da fibrillazione ventricolare
Intossicazione acuta
In USA, l’intossicazione acuta da cocaina è la causa più frequente di morte droga‐correlata e la prima causa
di decesso nei soggetti di età < 35 anni (soprattutto quando assunta come Crack).
In EUROPA, invece, l’intossicazione acuta da cocaina costituisce la seconda causa di morte droga‐correlata,
dopo quella da eroina. La situazione, tuttavia, è ancora incerta poiché:
‐ Le morti da cocaina non sono rapportabili alla dose assunta
‐ L’overdose da sola cocaina è rara, trattandosi più spesso di una poliassunzione
10
Gli elementi caratterizzanti l’overdose da cocaina sono:
‐ Rapidità di insorgenza
‐ Convulsioni tonico‐cloniche
‐ Arresto cardiaco, per fibrillazione ventricolare
L’intossicazione acuta da cocaina può inoltre indurre una sindrome coronarica acuta, potenzialmente
mortale. Il decesso per intossicazione acuta da cocaina può pertanto essere attribuito ad un “attacco
cardiaco”. Da qui la necessità di un’indagine tossicologica nei casi che lascino presumere l’intossicazione.
N.B. La fisiopatologia dell’ischemia miocardica da cocaina è multifattoriale. I fattori coinvolti sono:
‐ Aumento della richiesta miocardica di ossigeno, per incremento di frequenza e contrattilità cardiaca e
per elevazione della pressione arteriosa
‐ Riduzione dell’apporto miocardico di ossigeno
‐ Accelerazione dei fenomeni aterosclerotici
‐ Stato pro‐trombotico
Intossicazione cronica
L’abuso cronico di cronico di cocaina produce una forte dipendenza psichica, con modesta tolleranza e
dipendenza fisica.
La dipendenza da cocaina è denunciata da una sindrome d’astinenza psichica che può comparire sia dopo
un prolungato periodo d’uso a dosaggi elevati, che dopo qualche gg di uso compulsivo.
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La sindrome d’astinenza psichica da cocaina attraversa tre fasi successive:
Prima fase o del crollo (crash), caratterizzata da esaurimento psico‐fisico, per deplezione acuta di
neurotrasmettitori.
In essa, si hanno: ansia, agitazione, depressione, sonnolenza ed intenso craving.
Si estende da qualche h a qualche gg, a seconda della durata e dell’intensità dell’uso.
Seconda fase o dell’astinenza (withdrawal), in cui il soggetto presenta: apatia, abulia, ridotta risposta
emotiva agli stimoli gratificanti, sindrome amotivazionale, moderato stato ansioso, modesto craving.
Qualora l’uso non venga rinnovato, la sintomatologia si riduce, fino ad esaurirsi, nel giro di qualche
settimana.
Terza fase o dell’estinzione (extinction)
Manca di una sintomatologia caratteristica.
In essa, l’individuo è capace di reinserirsi completamente nel contesto sociale anche se mantiene una
particolare sensibilità verso situazioni correlate all’uso di cocaina, che possono indurre la ricomparsa di
craving.
La durata di questa fase è di mesi o anni.
L’uso cronico d cocaina è inoltre responsabile di:
‐ Danni locali, legati all’assunzione della sostanza per sniffing.
La cocaina, infatti, provoca un’intensa vasocostrizone che, nel tempo, può portare alla necrosi della
mucosa ed alla tipica perforazione del setto nasale.
‐ Profonde alterazioni a carico di SNC, apparato CV e fegato che sarebbero la conseguenza di un alto
grado di sensibilizzazione.
La sensibilizzazione, anche nota come tolleranza inversa, consiste nella capacità di una stessa dose della 11
sostanza stupefacente di produrre, dopo un uso prolungato, effetti più marcati.
A carico del SNC, si possono avere:
Alterazioni psichiche
Psicosi paranoide associata ad euforia e disforia, per inibizione della ricaptazione della
dopamina e sensibilizzazione dei recettori dopaminergici
Alterazioni cliniche
Emorragia subaracnoidea
Rottura di aneurismi basilari
Convulsioni
Ipertermia
Tali eventi sono riconducibili all’effetto simpaticomimetico indiretto della cocaina.
A carico dell’apparato CV, possono verificarsi:
Infarto
Aritmie
Rottura dell’aorta ascendente
Rottura di aneurismi
Miocardite, con necrosi dei cardiomiociti
A carico del fegato, può insorgere una:
Necrosi epatica da radicali liberi
Ciò accade qualora la cocaina percorra una via ossidativa minore che prevede la trasformazione
della norcocaina in norcocaina nitrossido, ad opera del citocromo P‐450. La norcocaina
nitrossido può, infatti, tossificarsi, per perdita di un elettrone, in un radicale libero, capace di
indurre deplezione di glutatione, con conseguente necrosi epatica da lipoperossidazione.
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Altri possibili effetti dell’uso cronico di cocaina sono:
‐ Bronchite cronica
‐ Edema polmonare
‐ Ipertonia simpatica, che si manifesta con: tachicardia, ipertensione arteriosa, ipertermia, midriasi, iperglicemia,
aumento del metabolismo basale, vasocostrizione alle estremità
‐ Diminuzione della secrezione gastrica ed intestinale
‐ Rallentamento della peristalsi
‐ Anoressia
Metabolismo della cocaina
La cocaina viene metabolizzata nel plasma e nel fegato da alcuni enzimi, le esterasi, che la trasformano, per
idrolisi, in benzoilecgonina – suo principale metabolita – ed in altri metaboliti minori, quali l’ecgonina
metil‐estere e l’ecgonina.
Una via secondaria di metabolizzazione della cocaina consiste nella sua conversione in norcocaina, per
metilazione dell’atomo di azoto.
N.B. Metaboliti differenti si formano in seguito al consumo della cocaina base, crack, per fumo.
Tali metaboliti sono la metilecgonidina e l’ecgonidina.
Un’importante interazione metabolica si verifica quando cocaina ed alcol sono assunti
contemporaneamente.
In questo caso, infatti, una parte della cocaina viene trans‐esterificata, dalle carbossilesterasi, a cocaetilene,
metabolita attivo, potente quanto la cocaina nel bloccare la ricaptazione delle CA. Ne consegue un
prolungamento degli effetti, con maggiore tossicità a carico di SNC, cuore e fegato.
12
L’approccio tossicologico per dimostrare un uso recente di cocaina, prevede, innanzitutto, un’indagine di
screening, condotta su urina, mediante tecniche immunochimiche (immunoassay), che permettono di
definire, in riferimento a cut‐off prestabiliti, la positività o la negatività del campione urinario per:
‐ Cocaina, la cui permanenza nelle urine oscilla tra le 6 e le 12 h dall’ultima assunzione
‐ Suoi metaboliti, come:
Benzoilecgonina, reperibile nelle urine per 2‐4 gg dall’episodio di abuso
N.B. la positività del campione urinario anche per cocaetilene suggerisce un’assunzione combinata di
cocaina ed alcol.
N.B. Un risultato positivo all’indagine di screening non può assumere valenza forense e richiede
necessariamente conferma.
Per conferma, si effettuano determinazioni quantitative, mediante spettrometria di massa, su sangue
intero, quando l’indagine ha finalità forense; su plasma e siero, quando, invece, ha finalità clinica.
N.B. Il prelievo va necessariamente addizionato con fluoruro di sodio per prevenire la degradazione della
cocaina da parte di esterasi.
N.B. la determinazione quantitativa è indispensabile per l’interpretazione tossicologica del caso.
Il riscontro di misurabili quantità di droga costituisce una prova di assunzione recente.
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AMFETAMINE
Si caratterizzano chimicamente per la presenza del nucleo amfetaminico.
Costituiscono il primo gruppo di sostanze stupefacenti ad essere state completamente sintetizzate in
laboratorio.
Si trovano sotto forma di pasticche, assunte per os.
Hanno un’intensa azione stimolante sul SNC, per potenziamento della neurotrasmissione noradrenergica,
dopaminergica e serotoninergica.
Tali sostanze, infatti, facilitano il rilascio delle amine biogene, ne riducono la ricaptazione e ne ostacolano la
degradazione, inibendo le monoamino‐ossidasi (MAO).
Effetti:
‐ Diminuzione dell’appetito, della sete, della stanchezza e del desiderio di dormire
‐ Aumento dello stato di vigilanza e dell’attenzione
‐ Senso di benessere
‐ Incremento dell’empatia verso gli altri
‐ Riduzione della capacità di stimare i rischi connessi a determinati comportamenti (come, ad esempio,
guida veloce)
L’intossicazione acuta si manifesta con un quadro sovrapponibile a quello del colpo di calore (ipertermia)
L’uso prolungato induce una marcata dipendenza psichica associata ad una lieve dipendenza fisica.
Come per la cocaina è inoltre possibile osservare il fenomeno della tolleranza inversa o sensibilizzazione
secondo cui, una stessa dose della sostanza stupefacente, può produrre, nel tempo, effetti più intensi, con
conseguente aumento della tossicità. 13
L’anfetamina di più largo consumo in Europa ed in Italia – dove è venduta sotto forma di pillole – è l’
ecstasy [Metilen‐Diossi‐Meta‐Amfetamina (MDMA)].
L’ecstasy agisce principalmente esaltando il rilascio di serotonina nel SNC, da cui la possibilità di causare
danni irreversibili a carico dei neuroni serotoninergici cerebrali.
Le amfetamine sono rilevabili in tracce nelle urine a distanza di 48 h dall’assunzione e per 2‐4 gg.
METACLOROFENILPIPERAZINA
Molecola di sintesi appartenente alla classe delle fenilpiperazine in grado di produrre effetti antidepressivi
e stimolanti.
Viene usata a scopo ricreativo in discoteche e rave party.
Alterando la neurotrasmissione serotoninergica, può causare ansia, attacchi di panico, confusione, tremori,
vomito, emicrania, ipersensibilità a luce e rumori.
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CANNABIS
La Cannabis (sativa, indica e ruderalis) è una pianta originaria dell’Asia Centrale di cui si utilizzano, come
sostanze stupefacenti:
‐ Foglie ed inflorescenze femminili, essiccate e sminuzzate (marijuana pd)
‐ Resina estratta dai fiori, che si presenta come una tavoletta di colore variabile chiamata hashish
‐ Olio di hashish
Il principio attivo, con effetto stupefacente, della cannabis è il ‐9‐tetraidrocannabinolo, più concentrato
nell’hashish e, soprattutto, nell’olio di hashish (in cui può anche essere maggiore del 30%).
N.B. (Va detto che) la Cannabis attualmente circolante contiene una quantità di ‐9‐tetraidrocannabinolo
più alta che in passato e > 10%, con piccole quantità di cannabinolo (il precursore) e di cannabidiolo (il
succedaneo).
Ciò è stato reso possibile dalla selezione genetica delle piante e dalla loro coltivazione con tecnica
idroponica, fuori suolo, in condizioni ambientali controllate.
Cannabis e derivati sono principalmente utilizzati insieme al tabacco per confezionare i cosiddetti “spinelli”,
che vengono fumati.
Quando la Cannabis viene fumata, gli effetti si manifestano dopo pochi minuti e la loro durata è di due‐
quattro ore.
Tali effetti includono:
‐ Euforia, associata a sensazione di benessere fisico e psichico
Ciò si verifica in quanto il ‐9‐THC blocca il rilascio di GABA, da parte di neuroni GABAergici inibitori, la
cui funzione è quella di modulare negativamente la liberazione di dopamina, ad opera di altri neuroni,
nel sistema limbico. Tali neuroni liberano, quindi, una maggiore quantità di dopamina, a cui è legato 14
l’effetto euforizzante.
‐ Diminuzione delle inibizioni, con aumento della socializzazione e della loquacità
‐ Riduzione della risposta a stimoli acustici e visivi
‐ Alterazione dei processi di memorizzazione
‐ Aumento dell’appetito
‐ Elevazione della frequenza cardiaca
Il diametro pupillare resta invariato
N.B. La cannabis ha anche effetti antidolorifici mediati da:
‐ Recettori CB1
‐ Recettori CB3
Tramite i recettori CB1, il THC produce un effetto antidolorifico centrale derivante da:
‐ Innalzamento della soglia dolorifica sia a livello cerebrale che spinale
‐ Promozione del rilascio di oppioidi nel sistema discendente di controllo del dolore
Ciò si dimostra efficace nel controllo del dolore neuropatico.
Tramite i recettori CB3, il THC produce un effetto antidolorifico periferico di tipo antinfiammatorio, dovuto
all’inibizione del rilascio di sostanza proinfiammatorie algogene da parte di cellule del sistema immunitario.
L’intossicazione acuta da cannabis si manifesta sotto forma di una psicosi tossica, caratterizzata da:
‐ Stato ansioso, fino all’attacco di panico, con sensazione di morte imminente
‐ Stato paranoideo, con deliri di persecuzione
‐ Allucinazioni ricorrenti
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Vi è accordo sul fatto che il consumo di cannabis generi, con il passare del tempo, un certo grado di
tolleranza. Non si associa però dipendenza fisica anche se sono stati descritti casi di forte dipendenza
psichica.
Il consumo abituale di cannabis ha, inoltre, ripercussioni negative su diversi organi ed apparati.
In particolare,
apparato CV, predisponendo all’angina ed all’infarto del miocardio, per aumento delle richieste
miocardiche di ossigeno, dipendente dall’elevazione della frequenza cardiaca.
apparato respiratorio, a carico del quale si hanno:
‐ Aumento del rischio di BPCO e carcinoma polmonare, causato sia dai cancerogeni che si liberano per la
combustione del tabacco che da cancerogeni specifici, assenti nel fumo di tabacco
‐ Formazione di vescicole sottopleuriche (blebs) che, per rottura, inducono PNX
apparato genito‐urinario, dove si determinano:
‐ Aumento del rischio di malformazioni embrionali
‐ Riduzione della capacità spermatogenica
SNC, a carico del quale possono aversi:
‐ Perdita della memoria recente
‐ Smascheramento di psicosi pre‐esistenti
‐ Sindrome amotivazionale
‐ Atrofia cerebrale
apparato endocrino, dove si determinano:
‐ Riduzione dei livelli di testosterone, GH, LH, FSH
‐ Ginecomastia 15
‐ Incremento del cortisolo
apparato immunitario, con depressione dell’immunità cellulo‐mediata
occhio, a carico del quale si hanno:
‐ Iperemia congiuntivale
‐ Fotofobia
‐ Riduzione del potere di accomodazione
‐ Diminuzione della pressione endoculare
ll delta9‐tetraidrocannabinolo è rilevabile nelle urine anche per molti giorni dall’ultima assunzione.
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ALLUCINOGENI
L’allucinogeno più attivo è l’LSD, dietilammide dell’acido lisergico, alcaloide della segale cornuta, un fungo
che parassita la segale ed altre graminacee.
La sostanza può presentarsi sotto forma di un liquido incolore, simile all’acqua, oppure di piccoli cristalli
bianchi.
Nel commercio clandestino si trova distribuito in piccole ampolle, in capsule gelatinose, spalmato sui
francobolli.
Effetti
‐ Confusione cognitiva e percettiva
‐ Perdita dei confini spazio‐temporali
‐ Allucinazioni geometriche
‐ Flash di colori
‐ Difficoltà di distinguere l’immaginario dalla realtà
I consumatori descrivono l’esperienza di consumo della droga come viaggi o “trip”.
La dipendenza da allucinogeni è esclusivamente di tipo psichico.
L’uso prolungato determina disturbi psicotici.
L’LSD agisce a dosaggi talmente bassi (25 microngrammi) da risultare estremamente difficoltoso il
rilevamento di tracce del tossico nei liquidi organici e nei tessuti.
KETAMINA 16
Anestetico per uso sia veterinario che umano, recentemente oggetto di abuso perché a piccole dosi causa
dissociazione psichica e lieve analgesia.
Dosaggi sub‐anestetici sono infatti capaci di indurre forti allucinazioni visive ed uditive, definite come di
“pre‐morte”, con apparenti visioni del futuro (flashforward) e vista del proprio corpo dall’esterno.
Nella fase di risveglio possono manifestarsi:
‐ Eccitazione
‐ Sogni vividi
‐ Confusioni mentale
‐ Comportamento irrazionale
‐ Aumento del tono della muscolatura scheletrica con comparsa di movimenti tonici e clonici, simili alle
convulsioni
NUOVE SOSTANZE PSICOATTIVE (NPS)
Hanno le seguenti caratteristiche:
1. Natura sintetica ma, in % minore, anche vegetale
2. Notevole potenza ed elevata tossicità
3. Effetti e danni principali su psiche, sistema nervoso e cuore
4. Numero elevato (oltre 1000), con varianti facilmente ottenibili
5. Facile reperibilità, per la possibilità di essere vendute, su Internet e negli smart shop, “mimetizzate” in
co‐marketing con altre sostanze e merci varie
6. Assuntori di età compresa tra 15 e 55 anni, spesso inconsapevoli dei reali contenuti
7. Di difficile individuazione laboratoristica e diagnosi nelle emergenze
8. Non ancora rese illegali in molti paesi
9. Rapida diffusione a livello internazionale
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LEGISLAZIONE IN TEMA DI STUPEFACENTI
Riferimenti normativi
‐ DPR n°309/90 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza)
‐ DL n°60/93 (contenente modifiche al DPR 309/90 in materia di provvedimenti restrittivi da
adottare nei confronti di tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso programmi
terapeutici)
‐ Legge n°49/2006 – cdt “Fini‐Giovanardi” – che include disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al DPR n°309/90
‐ Legge n°38/2010 (relativa alla dispensazione di farmaci per la terapia del dolore)
‐ Sentenza della Corte Costituzionale n°32, del 12 febbraio del 2014 che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale della normativa sugli stupefacenti contenuta nella Legge
n°49/2006, per violazione dell’articolo 77 della Costituzione.
La riforma del DPR n°309 del ‘90, infatti, era stata attuata inserendo, in un DL concernente il finanziamento delle
Olimpiadi invernali di Torino, norme che il Parlamento stava esaminando da tempo e prive della minima coerenza
con l’oggetto del provvedimento d’urgenza adottato dal Governo.
‐ Legge n.79/2014, promulgata per:
superare la situazione di incertezza giuridica dovuta alla pronuncia di incostituzionalità della Legge 17
n°49/2006, da parte della Corte Costituzionale, con la sentenza n°32, del 12 febbraio 2014.
evitare che sfuggissero al controllo del Ministero della Salute quelle sostanze psicoattive introdotte
nel sistema tabellare, sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche, tra la data di entrata in vigore
della Legge n°49/2006 e quella di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte
Costituzionale.
La Legge in questione contiene:
Modifiche al DPR 309/90
Rideterminazione delle tabelle
L’attuale sistema tabellare, così come modificato dalla Leggen°79/2014, identifica 5 tabelle:
‐ Le prime 4, si riferiscono a sostanze stupefacenti e psicotrope in grado di indurre dipendenza
‐ La quinta, a farmaci contenenti sostanze capaci di produrre dipendenza
Tabella I
1. Oppio ed oppioidi
2. Foglie di coca ed alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili
3. Sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale
4. Ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare
dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle precedentemente
indicate
5. Indolici – sia triptaminici che lisergici – e derivati feniletilamminici, che abbiano effetti allucinogeni o
che possano provocare distorsioni sensoriali
6. Sostanze sintetiche o semisintetiche, che siano riconducibili, per struttura chimica o per effetto
farmaco‐tossicologico, al tetraidrocannabinolo
7. Ogni altra pianta, sostanza naturale o vegetale in grado di produrre allucinazioni o gravi distorsioni
sensoriali
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Tabella II
1. Cannabis e prodotti da essa ottenuti
Tabella III
1. Barbiturici con notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonché altre
sostanze con effetto ipnotico‐sedativo ad essi assimilabili.
Sono pertanto esclusi i barbiturici a lunga durata d’azione e di accertato effetto antiepilettico ed i
barbiturici a breve durata d’azione – impiegati come anestetici generali – sempre che tali sostanze non
comportino pericoli di dipendenza.
Tabella IV
1. Sostanze per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di
intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III
Tabella V o “dei medicinali”
Viene suddivisa in 5 sezioni, in relazione al decrescere del loro potenziale di abuso
Sezione A
1. Sostanze analgesiche oppiacee
2. Farmaci riportati nell’allegato III bis al T.U. impiegati per il trattamento del dolore severo (come morfina, idromorfone, codeina
ossicodone, fentanyl) e della tossicodipendenza da oppiacei (come metadone e buprenorfina)
3. Barbiturici capaci di indurre una grave dipendenza psico‐fisica ed altre sostanze con effetto ipnotico‐sedativo ad essi
assimilabili
4. Sostanze di corrente impiego terapeutico capaci di indurre una grave dipendenza psico‐fisica
Sezione B
1. Sostanze di corrente impiego terapeutico capaci di indurre una dipendenza fisica o psichica di intensità minore a quella
prodotta dai medicinali elencati nella sezione A
2. Barbiturici ad azione antiepilettica e barbiturici con breve durata d'azione
3. Benzodiazepine che possono dar luogo ad abuso e farmacodipendenza 18
Sezione C
1. Composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella sezione B, da sole o in associazione con altri principi attivi, per i
quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica.
Sezione D
1. Medicinali contenenti le sostanze elencate nelle sezioni precedenti, da sole o in associazione con altri principi attivi, quando,
per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le loro modalità d’uso, presentino rischi di abuso o di
farmacodipendenza di grado inferiore.
2. Composizioni medicinali per uso parenterale a base di benzodiazepine
3. Composizioni medicinali, per uso diverso da quello iniettabile, le quali, in associazione con altri principi attivi non stupefacenti,
contengono alcaloidi totali dell'oppio con equivalente ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in peso; le
suddette composizioni medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello stupefacente con facili ed
estemporanei procedimenti estrattivi.
Sezione E
1. Medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A o B, da sole o in associazione con altre
sostanze attive ad uso farmaceutico, quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le modalità del loro uso,
presentino rischi di abuso o di farmacodipendenza di grado inferiore a quelli dei farmaci elencati nella tabella dei medicinali,
sezioni A, B, C o D.
Prescrizione dei medicinali tabellati
La prescrizione dei medicinali elencati nella sez. A va effettuata su ricetta ministeriale speciale a ricalco, di
colore rosso, dispensata ai medici che ne fanno richiesta.
Per i medicinali iscritti nell’allegato III bis al T.U., la prescrizione può essere effettuata anche su ricettario del SSN, a
patto che il SSN dispensi il farmaco prescritto.
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La prescrizione dei medicinali indicati nella sezione A può comprendere un solo medicinale, per una cura di
durata non superiore a 30 giorni.
La prescrizione dei farmaci contenuti nell’allegato III bis al T.U. viene invece agevolata e può riguardare: un
medicinale a due diversi dosaggi oppure due diversi medicinali, per una terapia non > 30 gg.
Nella ricetta bisogna indicare:
‐ Cognome e nome dell'assistito
‐ Dose prescritta, posologia e modo di somministrazione
‐ Indirizzo e numero telefonico professionali del medico chirurgo da cui la ricetta è rilasciata
‐ Data
‐ Firma del medico chirurgo prescrittore
‐ Timbro personale dello stesso
La ricetta deve essere compilata in duplice copia a ricalco, per i medicinali non forniti dal SSN e in triplice
copia a ricalco, per i medicinali forniti in regime di SSN:
‐ l’originale è destinata al farmacista (che la deve conservare per due anni dall’ultima registrazione,
eseguita nel registro)
‐ una copia va al SSN (per le prescrizioni in regime di SSN).
‐ una copia deve essere sempre conservata dall’assistito, per giustificare il possesso di tali medicinali.
N.B. La prescrizione dei medicinali compresi nella sezione A, qualora utilizzati per il trattamento di
disassuefazione dagli stati di tossicodipendenza da oppiacei o di alcool‐dipendenza, va effettuata nel
rispetto del piano terapeutico predisposto da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata
autorizzata.
La persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali è tenuta ad esibire, su richiesta di
pubblici ufficiali, la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso.
19
I medici sono autorizzati ad approvvigionarsi dei medicinali contenuti nell'allegato III‐bis, attraverso
autoricettazione – utilizzando la stessa ricetta ministeriale a ricalco – per uso professionale urgente.
In questo caso, una copia della ricetta va conservata dal medico che deve tenere un registro delle prestazioni effettuate,
annotandovi le movimentazioni, in entrata ed uscita, dei medicinali di cui si è approvvigionato e che successivamente ha
somministrato.
Il registro delle prestazioni non è di modello ufficiale e deve essere conservato per 2 anni a far data dall'ultima registrazione
effettuata; le copie delle autoricettazioni vanno conservate, come giustificativo dell'entrata, per lo stesso periodo del registro.
Per i medicinali contenuti nelle sezioni B , C e D, la prescrizione va effettuata su ricetta non ripetibile, che
deve essere trattenuta da parte del farmacista.
I medicinali inclusi nella sezione E sono prescrivibili mediante ricetta ripetibile fino a 5 volte, in 30 giorni; se
viene prescritta più di una confezione, tuttavia, la ricetta diventa non ripetibile.
N.B. È fatto divieto di consegnare sostanze e preparazioni riportate nella tabella dei medicinali a persona minore o manifestamente
inferma di mente.
Nel caso di persona inferma di mente, si consegna il medicinale al tutore o si somministra al pz la singola dose, aspettando che
quest’ultimo l’assuma.
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Registro di entrata e uscita
I responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere devono dotarsi di un registro di
carico e scarico su cui va annotato, in ordine cronologico, il movimento, in entrata ed in uscita, dei farmaci
appartenenti alle sezioni A, B e C della tabella dei medicinali.
Tale registro deve essere conservato per 2 anni dal giorno dell’ultima registrazione.
Anche le UO delle strutture sanitarie pubbliche e private e dei servizi territoriali delle ASL sono obbligate a
detenere il medesimo registro di carico e scarico.
Il registro va vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione.
Il registro deve essere conservato, in ciascuna UO, dal responsabile dell'assistenza infermieristica, per 2 anni dalla data dell'ultima
registrazione.
Il dirigente medico dell’UO è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale dei medicinali di cui
alle sezioni A, B e C della tabella dei medicinali.
Il direttore responsabile del servizio di farmacia compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri di reparto e
redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria.
Sanzioni
Le sanzioni applicate all’utilizzo illecito delle sostanze stupefacenti o psicotrope possono essere di natura:
‐ Penale (art. 73)
‐ Amministrativa (art. 75)
La discriminante tra sanzione penale e sanzione amministrativa risiede nell’uso personale della sostanza.
La sanzione penale scatta, infatti, per chiunque illecitamente detenga sostanze stupefacenti o psicotrope in
quantità maggiori di quelle massime detenibili ad uso personale* – fissate con decreto del ministero della 20
salute – oppure se le modalità di presentazione o le circostanze dell’azione fanno presuppore un uso non
personale.
*La quantità massima di sostanza detenibile ad uso personale viene calcolata stabilendo, innanzitutto, la
singola dose media in mg della sostanza intesa come la quantità di principio attivo, per singola assunzione,
idonea a produrre un effetto stupefacente in un tossicodipendente medio (non si fa quindi riferimento alla
dose farmacologicamente attiva, dato che l’effetto stupefacente viene condizionato dal grado di tolleranza
dell’individuo).
Alla singola dose media della sostanza si applica quindi un fattore di moltiplicazione, che indica il numero di
dosi detenibili dal soggetto.
La sanzione penale viene inoltre applicata a chiunque detenga illecitamente farmaci inclusi nella sez. A della
tabella dei medicinali, in quantità superiori a quelle prescritte dal medico curante.
La si applica anche a chiunque illecitamente produca o commercializzi sostanze chimiche di base o
precursori utilizzati nella produzione clandestina di stupefacenti.
Con la legge n°79/2014, le sanzioni penali vengono rese più miti per le sostanze elencate nelle tabelle II e
IV, in termini sia di durata della reclusione che di ammontare della multa.
Qualora, invece, si configuri una condizione di uso personale, il soggetto viene convocato dal prefetto, il
quale:
1. Valuta le sanzioni amministrative da applicare e la loro durata
sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla;
sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla;
sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.
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2. Invita l’interessato a seguire un programma di riabilitazione presso una struttura qualificata.
Se l’interessato si sottopone al programma di riabilitazione, con esito positivo, le sanzioni
amministrative vengono revocate.
Nel caso in cui l’interessato non si presenti al colloquio con il prefetto, quest’ultimo procede
all’applicazione delle sanzioni amministrative.
Con la legge n°79/2014, la durata delle sanzioni amministrative viene resa più breve per le sostanze
elencate nelle tabelle II e IV
Permangono provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica, art.75‐bis, secondo cui, qualora in relazione
alle modalità o alle circostanze dell’uso personale possa derivare un pericolo per la sicurezza pubblica,
l’interessato che risulti già condannato (per reati contro la persona o il patrimonio, spaccio di stupefacenti,
infrazione del CdS) può essere sottoposto ad una o più delle seguenti misure:
‐ Obbligo di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscirne prima di un ora
prefissata
‐ Divieto di frequentare determinati locali pubblici
‐ Divieto di allontanarsi dal comune di residenza
‐ Divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore
‐ Obbligo di comparire presso comandi di Polizia o Carabinieri negli orari di entrata e di uscita dalle
scuole
Se l’interessato si sottopone al programma riabilitativo con esito positivo, tali provvedimenti vengono
revocati.
21
Tutela del tossicodipendente
In tema di tutela del tossicodipendente, al fine di consentire l’adesione a programmi terapeutici di
dissuefazione da sostanze stupefacenti o abitudini alcoliche, nonché a programmi socio‐riabilitativi di
recupero e reinserimento sociale, il Legislatore ha previsto una serie di agevolazioni per il tossico/alcol
dipendente che è intenzionato a curarsi.
Tali agevolazioni includono:
1. Arresti domiciliari, come alternativa alla custodia cautelare in carcere, quando imputata è una persona
tossicodipendente o alcol‐dipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero e
l'interruzione del programma, come conseguenza della carcerazione, possa pregiudicare il recupero
dell'imputato.
Ciò vale anche se una persona tossicodipendente o alcol‐dipendente, che è in custodia cautelare in
carcere, intenda sottoporsi ad un programma di recupero, previa istanza dell’interessato e
certificazione attestante l’uso abituale o lo stato di dipendenza da alcol e/o stupefacenti
(diagnosticabile mediante la procedura prevista dal Decreto ministeriale n. 186 del 1990).
In questo caso, il Giudice dispone i controlli necessari per accertare l’adesione al programma
terapeutico.
Il responsabile della struttura presso cui si svolge il programma terapeutico di recupero e socio‐
riabilitativo è tenuto a segnalare all'autorità giudiziaria eventuali violazioni commesse dalla persona
sottoposta al programma che comportano la revoca o la sospensione delle agevolazioni.
2. Affidamento in prova al Servizio Sociale
3. Sospensione della pena detentiva
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Tutela della collettività
Gli articoli del DPR 309/90 finalizzati alla tutela della collettività, invece, sono:
‐ Art. 108: Azione di prevenzione ed accertamenti sanitari in occasione delle selezioni per la leva o per
l’idoneità a mansioni militari
‐ Articolo 109: Stato di tossicodipendenza degli arruolati o dei militari in servizio permanente
‐ Articolo 124: Aspettativa dal lavoro per il lavoratore tossicodipendente che si sottopone ad un
programma terapeutico o di riabilitazione, della durata massima di 3 anni
‐ Articolo 125: Accertamenti di assenza di tossicodipendenza in lavoratori destinati a mansioni che
comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi
Le categorie lavorative su cui effettuare accertamenti di assenza di tossicodipendenza sono state
delineate nella tabella stilata dalla conferenza stato‐regioni (CSR) del 2007.
Tra esse rientrano:
‐ Mansioni inerenti le attività di trasporto
‐ Impiego di gas tossici
‐ Fabbricazione e uso di fuochi di artificio
‐ Posizionamento e brillamento mine
‐ Direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari
A stabilire, in tali categorie lavorative, i tempi e le modalità dell’accertamento è il DL n. 81 del 2008 (TU
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).
Secondo l’art. 41 (sorveglianza sanitaria) del DL, infatti, la verifica dell’assenza di condizioni di alcol‐
dipendenza e di assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope va effettuata dal medico competente 22
– con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità alla mansione – in occasione di:
‐ Visita medica preventiva (post‐assuntiva)
‐ Visita medica periodica
‐ Visita medica su richiesta del lavoratore
‐ Visita medica in occasione del cambio della mansione
‐ Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro
Dal 2009, sono state introdotte anche:
‐ Visita medica preventiva, in fase pre‐assuntiva
‐ Visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un periodo di assenza per motivi di salute
della durata superiore ai 60 giorni continuativi
Il medico competente (MC), per accertare che il lavoratore non assuma sostanze stupefacenti e
psicotrope, deve innanzitutto indagare circa:
‐ Pregressi trattamenti per tossicodipendenza
‐ Infortuni lavorativi ed incidenti avvenuti in ambito lavorativo e non
‐ Ritiro della patente di guida o del porto d’armi a seguito di precedenti verifiche medico‐legali
‐ Presenza di segni obiettivi di assunzione abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope
‐ Presenza di segni e sintomi suggestivi di intossicazione in atto da parte delle stesse sostanze
Il MC, qualora rilevi alla visita elementi clinico‐anamnestici indicativi d’uso di sostanze stupefacenti o
psicotrope, rilascia un giudizio di “temporanea inidoneità alla mansione” e invia il lavoratore al SERT
per ulteriori accertamenti, non richiedendo, in tal caso, esami complementari tossicologici di
laboratorio.
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Qualora, invece, NON rilevi segni e sintomi suggestivi di assunzione di sostanze stupefacenti o
psicotrope, procede con accertamenti tossicologici di primo livello che comprendono un test di
screening ed un eventuale test di conferma, in caso di non negatività del primo.
Tali indagini tossicologiche vengono praticate su di un campione urinario di cui il MC è responsabile
della raccolta, che andrà effettuata a vista, per garantirne identità, autenticità e integrità.
Il test di screening può essere praticato dallo stesso MC mediante kit immunochimico di diagnostica
rapida oppure demandato al laboratorio di riferimento regionale.
In caso di negatività del test di screening per ogni classe di sostanze, il MC comunica, per iscritto, al
datore di lavoro ed al lavoratore, un giudizio di “idoneità alla mansione in assenza di altre
controindicazioni”.
In caso di non negatività del test di screening per una o più classi di sostanza, il MC deve richiedere
esami di conferma che andranno eseguiti dal laboratorio di riferimento regionale con tecnica
cromatografica in fase gassosa o liquida, accoppiata a spettrometria di massa.
Se la positività del campione viene confermata, il MC comunica, per iscritto, al datore di lavoro ed al
lavoratore, un giudizio di “temporanea inidoneità alla mansione” e invia il lavoratore alla struttura
sanitaria competente (Ser.T.), per gli accertamenti di secondo livello, il cui scopo è quello di dimostrare
una condizione di tossicodipendenza.
Qualora non venga diagnosticata una condizione di tossicodipendenza, il lavoratore sarà comunque
sottoposto ad uno specifico monitoraggio individualizzato, per almeno sei mesi, a cura del MC.
Qualora, invece, venga diagnosticato uno stato di tossicodipendenza, il lavoratore, per essere
riammesso all’esercizio della mansione, dovrà sottoporsi ad un programma terapeutico
individualizzato.
L’esito positivo del programma terapeutico potrà essere certificato dal Ser.T. solo dopo almeno dodici
mesi di remissione completa dall’uso di sostanze tabellate.
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ALCOLISMO
Per alcolismo, s’intende uno stato di intossicazione acuta o cronica determinata dall’abuso di bevande
alcoliche.
Secondo la legge quadro n. 125 del 2001, per bevanda alcolica, s’intende ogni prodotto contenente alcol
alimentare con gradazione superiore all’1,2% di alcol in volume e, per bevanda superalcolica, ogni
prodotto con gradazione superiore al 21% di alcol in volume.
Intossicazione acuta da alcol
Può verificarsi sia per ingestione di bevande alcoliche o superalcoliche (modalità di assunzione più
frequente) sia per inalazione di vapori di etanolo (quest’ultima evenienza riguarda soprattutto soggetti che
vi sono esposti per motivi professionali).
Assorbimento
L’alcol etilico, assunto per os, viene assorbito, per il 20%, dallo stomaco e, per il restante 80%,
dall’intestino.
Tra i fattori che influenzano l’assorbimento gastro‐intestinale dell’alcol rientrano:
‐ Quantità di bevanda ingerita
‐ Grado di concentrazione alcolica della bevanda assunta: l’assorbimento è, infatti, tanto maggiore
quanto più elevata è la concentrazione di alcol
‐ Concomitante ingestione di cibo che, ritardando lo svuotamento gastrico, rallenta l’assorbimento
dell’alcol.
Il picco di concentrazione plasmatica dell’etanolo viene infatti raggiunto in 5‐10 min, se l’individuo è a
stomaco vuoto; in 40 min, se l’individuo è a stomaco pieno.
‐ Stato della mucosa gastrica che, quando infiammata o lesa, esalta l’assorbimento dell’alcol.
24
I livelli ematici di etanolo sono, inoltre, condizionati da un metabolismo di primo passaggio, che si realizza
ad opera dell’alcol‐deidrogenasi, presente sia nella mucosa dello stomaco che nel fegato.
N.B. Il metabolismo gastrico di primo passaggio dell’etanolo avviene in misura minore nelle donne che negli
uomini e ciò giustificherebbe la maggiore sensibilità mostrata dalle prime verso gli effetti della sostanza.
Il 90‐98% della dose assunta di etanolo viene eliminato per metabolismo epatico, principalmente (90%)
promosso dall’alcol‐deidrogenasi, che converte l’etanolo in acetaldeide, e dall’acetaldeide deidrogenasi,
che trasforma l’acetaldeide in acido acetico, a sua volta, immesso nel ciclo di Krebs.
Ogni passaggio metabolico richiede l’apporto di NAD+, la cui disponibilità limita il metabolismo dell’etanolo
a circa 8 g o 10 mL l’ora, in un individuo adulto di 70 kg.
Il metabolismo dell’etanolo ad opera dell’alcol‐deidrogenasi è influenzato da vari fattori quali:
‐ Età
I bambini fino ai 10 anni, infatti, mancano di alcol‐deidrogenasi
‐ Etnia
Ad esempio, gli indiani d’America e gli asiatici presentano un’isoforma dell'alcol deidrogenasi con
ridotta attività
Negli epatociti, il catabolismo dell’etanolo, oltre che dall’alcol‐deidrogenasi, può anche essere mediato da:
‐ Sistema microsomiale di ossidazione dell’etanolo (MEOS), 8%
‐ Catalasi, 2%
Sebbene si tratti di vie cataboliche minori, l’attivazione dei MEOS può aumentare, in caso di sovraccarico
funzionale da ingestione di alcol, sino al 25% o sino al 50%, nell’alcolista cronico.
Il restante 2‐10% dell’etanolo ingerito viene eliminato immodificato attraverso i reni, i polmoni e la cute.
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Curva alcolemica
La concentrazione ematica dell’etanolo segue una curva caratterizzata dalla relativa rapidità della parte
ascendente, che corrisponde alla fase di assorbimento post‐ingestione, e dalla lentezza della parte
discendente, che corrisponde alla fase di degradazione.
Tale andamento indica che, dopo l’ingestione, la concentrazione dell’alcol nel sangue cresce rapidamente,
mentre il ritorno ai valori normali avviene in modo più lento.
Ciò giustifica il pericolo, anche mortale, legato all’ingestione troppo rapida di elevate quantità di etanolo. La
lentezza della fase di degradazione rende infatti conto del pericoloso fenomeno dell’accumulo, che può
portare al raggiungimento della dose tossica mortale.
Meccanismo d’azione sul SNC
L’alcol è un depressore del SNC che agisce stimolando la neurotrasmissione inibitoria, per attivazione dei
recettori GABAA e riducendo quella eccitatoria, per inibizione dei recettori NMDA del glutammato.
Ciò produce:
‐ Effetti ansiolitici
‐ Innalzamento della soglia di percezione del dolore e del freddo
‐ Diminuzione della coordinazione motoria
‐ Euforia e stimolazione comportamentale, attraverso meccanismi di disinibizione dell’attività di alcuni
centri nervosi, per depressione di quelli più elevati deputati al controllo inibitorio
Le manifestazioni cliniche dell’intossicazione acuta da alcol variano principalmente in rapporto alla sua
concentrazione ematica ma, anche, ad altri fattori, quali:
‐ Tolleranza individuale
‐ Età e stato anteriore del soggetto
25
Alcolemia (g/L)
0,2 Socievolezza, espansività, rossore del volto
0,5‐0,8 Diminuzione dei freni inibitori, per azione depressiva sui centri
superiori della corteccia cerebrale
Deficit delle prestazioni intellettive e sessuali
Restringimento del campo visivo
0,8‐1,5 Disturbi dell’equilibrio e dei movimenti
Aggravamento del deficit delle prestazioni intellettive
Allungamento dei tempi di reazione
Torpore e sonnolenza
> 1,5 Stato conclamato di ubriachezza con atassia ed agrafia
> 2,5 Stato prima stuporoso e poi comatoso fino alla morte che si verifica
per paralisi dei centri respiratori
Ebbrezza patologica
Si parla di ebbrezza patologica quando, in un certo individuo, esiste un’abnorme reattività all’alcol.
L’ebbrezza può pertanto essere provocata da dosi minime della sostanza.
L’esordio è generalmente brusco, con agitazione psicomotoria e disturbi dello stato di coscienza.
Frequentemente si verificano disturbi mnesici, per cui il soggetto può perdere completamente o
parzialmente i ricordi relativi a fatti commessi durante tale stato.
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Intossicazione cronica da alcol
L’intossicazione cronica si manifesta con un lento, ma progressivo, degrado fisico e psichico dell’assuntore,
correlato ad uno stato di dipendenza fisica e psichica dall’alcool (sindrome da dipendenza alcolica).
Le caratteristiche dell’alcolismo cronico ricalcano quelle proprie di qualsiasi altro stato di
tossicodipendenza:
1. Desiderio invincibile di alcolici (craving)
2. Tolleranza, ovvero necessità di aumentare progressivamente le dosi di alcol per ottenere gli stessi
effetti (addiction)
3. Dipendenza, prima, psichica e, poi, anche fisica nei confronti dell’alcol (obligation)
4. Comparsa di crisi di astinenza, in caso di brusca sospensione dell’assunzione cronica di alcol; è una
conseguenza dello stato di dipendenza fisica.
5. Comparsa di disturbi comportamentali nocivi alla vita di relazione dell’alcoolista ed alla collettività.
I diversi quadri clinici dell’intossicazione cronica da alcol si caratterizzano per la coesistenza di alterazioni
somatiche e psichiche, di varia importanza e gravità.
Tra le alterazioni somatiche più rilevanti rientrano:
‐ Epatopatia alcolica, fino a quadri conclamati di cirrosi epatica
‐ Gastrite cronica
‐ Pancreatite cronica
‐ Miocardiopatia tossica
‐ Alterazioni endocrine (amenorrea ed ipotrofia dei testicoli
‐ Polinevrite alcolica
‐ Alterazioni dei riflessi
‐ Incertezza della deambulazione, del mantenimento della stazione eretta e della coordinazione motoria
Per quanto riguarda le sindromi psichiatriche da dipendenza alcolica, vanno menzionate:
‐ Alterazione organica della personalità o pseudo‐psicopatia alcolica. 26
Si manifesta con:
Compromissione dei poteri intellettivi e volitivi
Deperimento del proprio ruolo lavorativo e familiare
‐ Delirium tremens
È caratterizzato da:
Allucinazioni a contenuto terrifico, zoopsie e microzoopsie (i malati vedono, cioè, sul proprio corpo
mostri, animali ed insetti immondi)
Grave episodio di tremore
Insonnia
‐ Psicosi di Korsakow
Consiste in una sindrome amnesica, con incapacità di ricordare esperienze recenti
‐ Allucinazione alcolica
È caratterizzata da allucinazioni prevalentemente uditive (voci) generalmente vissute in condizioni di
lucidità di coscienza e correlate a deliri di tipo persecutorio o a contenuto sessuale
‐ Sindrome di Wernicke
Consiste nell’associazione di: oftalmoplegia, atassia, disturbi mentali di tipo onirico‐confusionale
È stata ricondotta ad un’avitaminosi B1.
Può evolvere verso il coma e la morte.
‐ Demenza alcolica
‐ Delirio di gelosia
‐ Malattia di Marchiafava‐Bignami
Si tratta di un’encefalopatia da avitaminosi B1.
Il quadro clinico è quello di una demenza progressiva
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‐ Sindrome da astinenza alcolica
Colpisce l’alcolista cronico in seguito alla brusca sospensione dell’assunzione di alcol. È una
conseguenza dello stato di dipendenza fisica.
Si manifesta con:
Tremori grossolani più frequentemente a carico della lingua e delle mani
Ansia
Angoscia
Insonnia
Convulsioni
Stato confusionale
Ipertensione arteriosa
Allucinazioni uditive e visive
Diagnosi medico‐legale di abuso di sostanze alcoliche
Un abuso RECENTE di sostanze alcoliche può essere dimostrato mediante la determinazione dell’etanolo
su:
‐ Sangue
‐ Aria espirata
‐ Saliva
‐ Urina
Nel sangue, la concentrazione dell’alcol (alcolemia) è direttamente proporzionale alla quantità assorbita e
risulta in equilibrio con l’alcol presente nell’encefalo, responsabile degli effetti sulla persona.
27
La principale problematica correlata all’utilizzo di tale matrice biologica consiste nell’invasività del prelievo
che non può prescindere dall’acquisizione preliminare del consenso informato dell’interessato.
Il dosaggio dell’alcol sull’aria espirata, mediante etilometro – alcolimetria – risulta particolarmente utile in
quanto permette di estrapolare, in maniera indiretta, il livello di alcol nel sangue, senza ricorrere a
procedure di prelievo invasive.
È noto, infatti, che tra la concentrazione dell’etanolo nel sangue e la concentrazione dello stesso nell’aria
espirata vi è un rapporto costante di 1:2100.
La quantità di alcol contenuta in 2100 ml di aria alveolare espirata è cioè equivalente a quella presente in 1
ml di sangue.
Risulta pertanto necessario che il soggetto espiri almeno 2100 ml di aria.
In passato, ciò veniva verificato mediante il riempimento di un palloncino.
I moderni etilometri, invece, sono capaci di controllare elettronicamente che il volume dell’aria soffiata
nell’etilometro sia quella richiesta al fine di una corretta esecuzione del test diagnostico.
La saliva è stata considerata in passato un potenziale campione biologico alternativo al sangue perché è
noto il rapporto esistente tra la concentrazione alcolica del siero e quella della saliva. Attualmente, tuttavia,
l’uso di questo campione è stato sorpassato, in termini di praticità, dall’impiego dell’aria espirata.
Possibili, inoltre, sono contaminazioni salivari da parte dell’alcol appena introdotto nel cavo orale.
L’urina consente soltanto un’identificazione qualitativa.
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Markers di abuso cronico di alcol
1. Gamma‐glutammil‐trasferasi (gamma‐GT)
2. Volume corpuscolare medio degli eritrociti (MCV)
3. Transaminasi (AST ed ALT)
4. Trasferrina carente di carboidrati (CDT)
Gamma‐GT
Aumenta dopo circa 5 settimane di consistente abuso alcolico (> 60 gr/die uomo; > 40 gr/die donna)
Ha una buona sensibilità ed è in grado di indicare un costante abuso alcolico anche a distanza di 1‐2 mesi
dall’inizio di un’eventuale fase astinenziale.
Manca tuttavia di specificità.
MCV
L’abuso cronico di alcol ne induce un aumento, per deficit di acido folico.
Anche la specificità di tale marker è bassa.
Transaminasi
È stato dimostrato che la frazione mitocondriale dell’AST aumenta significativamente negli alcolisti e che un
rapporto AST/ALT > 2 può discriminare tra danno epatico indotto da abuso alcolico e non.
Tuttavia, la sensibilità di questi parametri è piuttosto scarsa
CDT
Costituisce il marker più sensibile e specifico di abuso cronico di alcol etilico.
L’aumento relativo dell’isoforma “disialo” della trasferrina è evidente già dopo 1‐2 settimane di abuso
alcolico e rimane apprezzabile anche dopo circa 15 gg di astinenza.
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LEGISLAZIONE IN TEMA DI ALCOLISMO
Legge n.125, 30 marzo 2001: legge quadro in materia di alcol e di problemi alcol‐correlati
Le finalità che tale legge intende perseguire sono:
1. Tutelare il diritto delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare,
sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all'abuso di bevande alcoliche e superalcoliche
2. Favorire l'accesso delle persone che abusano di bevande alcoliche e superalcoliche e dei loro familiari a
trattamenti sanitari ed assistenziali adeguati
3. Favorire l'informazione e l'educazione sulle conseguenze derivanti dal consumo e dall'abuso di bevande
alcoliche e superalcoliche;
4. Promuovere la ricerca e garantire adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale che si
occupa dei problemi alcol‐correlati
5. Favorire le organizzazioni del privato sociale senza scopo di lucro e le associazioni di auto‐mutuo aiuto il
cui intento è quello di prevenire o ridurre i problemi alcol‐correlati.
La Legge modifica alcune norme del codice della strada portando, in particolare, il livello di concentrazione
alcolemica tollerabile da 0,8 g/l a 0,5 g/l.
Relativamente alla sicurezza sul lavoro, nelle attività lavorative dove sussiste un elevato rischio di infortunio
o per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi viene fatto divieto di assunzione e di somministrazione di
bevande alcoliche e superalcoliche.
Per tali mansioni sono quindi previsti controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro, con tasso alcolemico
ammesso pari a 0, praticabili esclusivamente dal medico competente o dai medici dei servizi per la
prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro. 29
Le categorie lavorative per le quali è fatto divieto assoluto di assunzione di alcol – e per le quali, quindi,
vengono previsti controlli alcolimetrici – sono riportate nella tabella stilata dalla conferenza stato‐regioni
(CSR) del 2006.
Tra esse rientrano:
‐ Mansioni sanitarie svolte in strutture pubbliche e private
‐ Vigilatrice di infanzia o infermiere pediatrico e puericultrice, addetto ai nidi materni e ai reparti per neonati e
immaturi
‐ Mansioni sociali e socio‐sanitarie svolte in strutture pubbliche e private
‐ Attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado
‐ Mansioni comportanti l’obbligo della dotazione del porto d’armi, ivi comprese le attività di guardia particolare e
giurata
‐ Mansioni inerenti attività di trasporto
Ecc..
A stabilire, in tali categorie lavorative, i tempi e le modalità dell’accertamento è il DL n. 81 del 2008 (TU in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).
Secondo l’art. 41 (sorveglianza sanitaria) del DL, infatti, la verifica dell’assenza di condizioni di alcol‐
dipendenza e di assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope va effettuata, dal medico competente –
con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità alla mansione – in occasione di:
‐ Visita medica preventiva (post‐assuntiva)
‐ Visita medica periodica
‐ Visita medica su richiesta del lavoratore
‐ Visita medica in occasione del cambio della mansione
‐ Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro
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Dal 2009, sono state introdotte anche:
‐ Visita medica preventiva, in fase pre‐assuntiva
‐ Visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un periodo di assenza per motivi di salute
della durata superiore ai 60 giorni continuativi
Ai lavoratori affetti da patologie alcol‐correlate, che intendano accedere a programmi terapeutici e di
riabilitazione, si applica l’art.124 del DPR 309/90: diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutta la
durata del periodo riabilitativo.
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CODICE DELLA STRADA
Alcol e Codice della Strada
La guida in stato di ebbrezza è sanzionata dagli articoli 186 e 186 bis del Codice della Strada.
Secondo l’articolo 186 del CdS, viene fatto divieto di guidare veicoli con un tasso alcolemico > 0,5 g/L.
Va detto, comunque, che il tasso alcolemico ammesso è stato portato a 0 g/L in alcune categorie di
conducenti, definiti “particolari”, dall’articolo 186 bis del CdS, introdotto nel 2010. I conducenti in
questione sono quelli:
‐ professionali
‐ di mezzi pesanti
‐ con età < 21 anni
‐ che hanno conseguito la patente B negli ultimi 3 anni
L’articolo 186 bis del CdS depenalizza inoltre – da sanzione penale ad amministrativa – la guida in stato di
ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,5 ma inferiore a 0,8 g/L.
Per riconoscere lo stato di ebbrezza, gli organi di Polizia possono sottoporre i conducenti ad una
valutazione indiretta, non invasiva, del tasso alcolemico, mediante la misura della concentrazione dell’alcol
nell’aria alveolare espirata (alcolimetria), effettuata con uno strumento definito etilometro.
Il razionale della metodica è costituito dal fatto che tra la concentrazione dell’etanolo nel sangue e la
concentrazione dello stesso nell’aria espirata vi è un rapporto costante di 1:2100.
La quantità dell'alcol contenuta in 2100 ml di aria alveolare espirata è cioè equivalente alla quantità di alcol
presente in 1 ml di sangue.
È pertanto necessario che il soggetto espiri almeno 2100 ml di aria.
In passato, ciò veniva verificato mediante il riempimento di un palloncino.
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I moderni etilometri, invece, sono capaci di controllare elettronicamente che il volume dell’aria soffiata
nell’etilometro sia quella richiesta al fine di una corretta esecuzione del test diagnostico.
Tali strumenti necessitano comunque di una taratura periodica, che deve essere certificata. Il conducente,
al momento del fermo, può chiedere di esaminare il certificato di revisione dello strumento.
Oltre alla perdita di taratura, un’ulteriore fonte di errore risiede nell’incapacità del soggetto di espirare
2100 ml di aria, per condizioni morbose (come l’enfisema polmonare) o per lo stress e le eventuali lesioni
che si determinano in conseguenza di un incidente stradale.
L'esame deve essere ripetuto due volte, a distanza di 5‐10 minuti l'una dall'altra.
Ciò consente di stabilire, in linea di massima, quanto tempo è passato dall’ultima assunzione di alcol,
considerando che la curva alcolemica presenta una morfologia a campana con un tratto ascendente, un
picco (steady state) ed un tratto discendente.
‐ Se la seconda misurazione è superiore alla prima, ci si trova nel tratto ascendente della curva
‐ Se le due misurazioni sono uguali, ci si trova al picco
‐ Se la seconda misurazione è inferiore alla prima, ci si trova nel tratto discendente della curva
La determinazione indiretta non invasiva dell’alcolemia con etilometro (alcolimetria) ha valore legale e non
necessita di conferma mediante dosaggio diretto della concentrazione di etanolo su campione ematico.
Un conducente risultato positivo all’alcolimetria può comunque chiedere di sottoporsi, con finalità di tutela
personale, ad un prelievo ematico di conferma presso una struttura sanitaria, dato che il dosaggio diretto
della concentrazione ematica di etanolo risulta attendibile, riproducibile e privo delle fonti di errore
esistenti per l’alcolimetria.
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Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico è reato ed è punito con le stesse pene previste
per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l:
‐ ammenda da 1500 a 6000 euro
‐ arresto da 6 mesi ad un anno
‐ sospensione patente da 1 a 2 anni
‐ sequestro preventivo del veicolo
‐ confisca del veicolo
Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, l'accertamento del tasso
alcolemico viene effettuato da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate, mediante
prelievo ematico.
A questo proposito, va detto che il prelievo ematico è sempre consentito se persegue finalità di pronto
soccorso, assolvendo i sanitari dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso dell’interessato, dato
che la circostanza configura uno stato di necessità.
I risultati di tale prelievo ematico sono sfruttabili, nei confronti dell’imputato, per l’accertamento del reato,
trattandosi di elementi di prova e restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del
consenso.
Il prelievo ematico praticato con esclusive finalità processuali ed estraneo alla normale procedura di pronto
soccorso, invece, necessita sempre del consenso dell’interessato.
In sua assenza, il prelievo risulta illegittimo e quindi inutilizzabile ai fini del procedimento penale
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Sostanze stupefacenti e Codice della Strada
Il codice della strada fa riferimento alle sostanze stupefacenti nell’art.187 (guida in stato di alterazione
psico‐fisica per uso di sostanze stupefacenti) secondo cui: chiunque guidi in stato di alterazione psico‐
fisica, dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro
6.000 e con l'arresto da sei mesi ad un anno.
All'accertamento del reato, consegue, in ogni caso, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione
della patente di guida da uno a due anni.
Al fine di accertare una stato di alterazione psico‐fisica per uso di sostanze stupefacenti, gli organi di
Polizia possono sottoporre i conducenti ad un’analisi estemporanea, non invasiva, su campioni di saliva.
Tale analisi, tuttavia, a differenza dell’alcolimetria, non ha valore legale è costituisce solo una procedura
preliminare per stabilire quali soggetti condurre presso la più vicina struttura sanitaria, dove dovranno
sottoporsi a prelievi di sangue e di urina.
L’accertamento della presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope in campioni di liquidi biologici del
conducente, non necessita del consenso di quest’ultimo, solo se rientra nell’ambito di un percorso
diagnostico‐terapeutico di Pronto Soccorso, avviato in seguito ad incidente stradale.
Quando invece è estraneo alle normali procedure di Pronto Soccorso ed effettuato con esclusiva finalità
giudiziaria, invece, non può prescindere dal consenso dell’interessato.
In caso di rifiuto dell’accertamento, comunque, il conducente è soggetto alle sanzioni previste per chi guida
in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l:
‐ ammenda da 1500 a 6000 euro
‐ arresto da 6 mesi ad un anno
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‐ sospensione patente da 1 a 2 anni
‐ sequestro preventivo del veicolo
‐ confisca del veicolo
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In materia di CdS, le finalità delle indagini tossicologiche sono:
1. Diagnosi di attualità d’uso
2. Giudizio di idoneità alla guida
Diagnosi di attualità d’uso
È quella richiesta nell’immediatezza del fermo.
Giudizio di idoneità alla guida
Viene formulato dalle Commissioni Mediche Locali per la ri‐attribuzione della patente ed è subordinato alla
verifica di una condizioni di drug‐free, di uso abituale o di dipendenza da alcol e/o stupefacenti.
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04/1212014
./
noti ed an cora ampiame nte studiat i dalla
l'li '-,
TOSSICOLOGIA SPERIMENTALE ji ""' '-
VETERINARlA
{_l
CHE E' LA SCIENZA CHE STUDIA
L' INTERAZIONE DEI TOSSICI FORENSE
CON LA MATERIA VIVENTE
11. In am.t>it() _p~ n a ti sti c() ___ . .I lesioni e/o morte del soggetto,
conseguenti ad un avvelenamento,
l'utilizzo di sostanze venefiche configurano i reati di lesioni personali (artt. 582-
owero di altro mezzo insidioso 583-590 C.P.) e di omicidio (artt. 575-584-589)
configura un "Delitto contro la persona"
L'utilizzo di sostanze venefiche
Oltre ciò il Codice Penale prevede anche
owero di altro mezzo insidioso
"Delitti contro la pubblica incolumità" determina circostanza aggravante (presuppone
(avvelenamento delle acque, di sostanze alimentari , premeditazione) da cui scaturisce la pena
adulterazione e contraffazione di alimenti, (art. 439 - 440-442- 444) dell 'ergastolo (art.577 C.P.).
L'applicazione dell'aggravante si effettua non
e vari altri "Reati di pericolo" solo per l'utilizzo di veleni, ma altresì di
(contraffazione di medicinali, doping etc.) (art. 441 -443- 445 ) qualunque xenobiotico che risulta essere stato
somm inistrato in modo insidioso.
'· - esposizione
2
04112/2014
• Stato nutrizionale
·Via, livello e luogo dell'esposizione
• Stato ormonale (gravidanza)
• Durata e frequenza dell'esposizione
• Condizione del S .N.C .
·Tempo di somministrazione (ora del giorno,
stagione) • Presenza di malattie o di patologie organiche
specifiche
Fattori ambientali :
substances
I n itrob~ nzene
Poisons
Temperatura ed umidità Group3
Group 6 Orugs
Pressione barometrica Anions
nitrate, chlorate, \ Group 5
Composizione atmosferica ambientale
fluoride , nitrite,
fluorocetate, nuorid!!
oi.:alate, sulphite
_/ Pesticides
Sympto ms : Apnoea, asphyxia, dyspnoea, vomitlng ; pink or Symptoms : Abdominal pain (phenols), convulsions
read skin colour (carbon monoxide or cyanide). (especially with glycols), delirium, drunken behaviour
Onset of sy ntoms: Very rapid onset of lllness or death (drowsiness, ataxia, speech and vision disturbance),
jaundice (anilin e, nitrobenzene), tremors, vomiting
Scene:Hospital and dental surgeries (anaesthetic gases)
Industriai sites, Research laboratories; Mines. Victims found in Onset of syntoms : Rapid onset of illness or death when
bathrooms, boats 1 caravans , cars, kitchens. inhaled, slower if taken orally
Qccupation : Chemical industry, fum igation, furnaces, glue Clinica! History: Alcoholism; glue-snifng (more common
factories , tank cleaning, mines. in children and teenagers)
Additional Jn vestigation: Examination of equipment or vehicle, Scene : Domestic locations; hospitals and research
examination of clothing if stained or il odours are noted. Post
I mortem exa mination of lung and brain specimens .
laboratories; industriai locations. Presence of liquor,
methylated spirit or surgical spirit; glues or polishes
I Analysls : Draeger tubes, Diffusion in Conway celi, Head space associated with plastic bags ; unusual siting of
I gascromatografy. anti-free2e or other domestic products _
04/12/2014
METALS ANIONS
Syntoms : Anaemla, cramps, diarrhoea, gastric pain, hair Syntoms: Vlolent vomiUng, dlarrhoea, abdomlnal paln, cyanosis
loss (thalllum and selenlum), metaUic taste, paralysis, (methaemoglobln formed wlth oxldlslng agents), st.alned skln and
peripheral neuritis, sallvatlon, urine retention, weight loss mucosa (permanganate, oxalate, lodlde, and bleachlng agenlS).
Exceptions to these symptoms are fluorlde and bromlde
Onset of symptoms : Usually after several hours; death Onset of symptoms: Usually withln one hour, death may occur
may occur witliin 24 hours but more commonly after wlthln severa! hours (note that the toxlc dose of this group is
several days relatlvely large, >10 g)
~ Agricultural sltes (nllrate, chlorate, lluoride, and
Scene : Industriai locations, laboratories
fluorocetate); Industriai sltes (nitrite, oxalate, and sulphite);
Occupation . Electroplating, smelting; manufacture of Oomestlc sltJ!s, draln and lavatory cleaners (hypochlorite and
agricultural chemicals, alloys, batteries, ceramics, glass persulphate), insect powders (fluoride) Laboratorles.
paint, petroleum products . Occupatlon: Sewerworkers, rat catchers (fluoroacetate), factory
workers
Addit1onal lnvest1gatlon : Antemortem examination of AddiUonal lnvestlgatlons: Vomlt, stained clothing, cups, etc. lound
blood and urine. Postmortem examination of kidney, near victlm, stomach contents or washlng, antemortem blood
intestina! contents, bone, halr, nails Analysis : Visual evldence, Chocolate coloured blood, blood
stalned, vomlt or urine, çrystalline resldues In food
Analys1s : Atomic Absorpt.ion Spectroscopy .
---
I in•~~on• ! I cu~~.
press.ure (convulsions are not a main fealura tor these substan"Ces) Vi•
Organo Phosphates. Contracted pupils, salivation, sweating. sistemica
dyspnoe.a, anoxia, cyanosls ;
Phenols and Ctesols : fever (main symptom), sweating_. anoxia.
haematuria, jaundice '"'> ------ ----
I' /-........ \
Onset o1 symploms: Rapld (wilhln 30 mlnulest Il producL contains a Organi e · Sangue .... Trasformazioni
...
tessuti . . ." - . _ _ , , /
petroleum solvem or ls lnhaled. OU1ewlse. slow (110 6 hours) metaboliche
Sce-ne: Farm and honicufturaJ nurserie.s, food processJng tactories,
domes-tic.
,____
Occupai.on : Man1tacture 01 agr1eu1:ural chemlcals, farm workerg., Eliminazione
gardeners, pe:stlc1de otncers.
~----~--- ,
Analysts Hydroc.arbon solvents, Colorimetric te5ts (Oith1oni1e,
FujiV1::sra) Cllolìne!;tcrasc inhibition test, Solvent ex.trtl:ction into acid or Via cut.ane.a Vi• vi. Via gutto Vu. va.
, ........,s.bo ,-..nal.e •n~Otb lnte~t"nale mammari• l.xnrM..
neutra! group. ECD-NPO- FIO Gas-cf,roinato;t:ity.
ecut1t)
4
04ii2i2014
>
~------------- ...
MATRICI <
-·---........._......_______~
UTILIZZABILI
[___ MATRICl_!~~-LO_G_IC_H_E_ _ _ _ J
---------
da VIVENTE da CADAVERE
-- ARIA ESPIRATA SANGUE
·CAMPIONI BIOLOGICI SANGUE URINA
UR!NA BILE
• MISC ELE (inorganiche o vegetali) SALIVA LIQUIDO PERICARDiCO
LATTE ORGANI
·SOLUZIONI CAPELLI ADIPE SOTTOCUTANEO
UNGHIE UMORVITREO
·FARMACI SUDORE CAPELLI
FECI (Meconio) UNGHIE
·ALIMENTI CONTENUTO GASTRICO DENTI
LIQUIDO SPERMATICO CONTENUTO GASTRICO
· POLVERI. ARIA, ACQUE, RIFIUTI LIQUIDO SINOVIALE
LIQUIDO DI PLASMAFERESI
rappresentano
.
Analogo Escrcz.iooc Escn::ziooe Accumulo
"finestre metaboliche" AUCc ~,,, nri:.ibile pB fnorit:i
Accumulo
su di secrezioni fa,·oril o
ccl alcuoc
nrc
O 2/3ciunii sioo :11
!?.i orni
Jlf"t1!Tei50 11rct1:\li1h:a
formaci e
drn:,::hc.
pregresso
Limitato ;tJ
Rnorc
forrnsc.
5
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-,
~iterio circostan:iale/anamnestico J Criterio clinico-anamnestico
------I
SI avvale dell'anamnesi, della documentaVone
• Detto anche anamnestico o ambientale, è l 'insieme sanitaria e dei sintomi, rilevati dal medico o riferiti da
dei dati emeraenti dalle indaaini attinenti le testimoni, al fine di correlare la sintomatologia c:on la
circostanze spaz10-temporalì del presunto "contatto• probabile causa di Intossicazione
con il tossico.
Da tali indagini (deposizioni testimoniali, ispezioni Il Criterio clinico non sempre è esaustivo poiché
tecniche, verbali di sopralluogo ecc.) si possono alcuni avvelena menti possono decorrere
acquisire circostanze (ingestione di cibi, bevande silenziosamente o con scarsa sintomatologia, oppure
farmaci, abitudini di vita e di lavoro) o reperti utili a i sintomi non sono stati apprezzati o sono stati
indirizzare gli accertamenti tecnici oppure elementi per valutati (dolori addominali, vomito, convulsioni ...}
la ricostruzione della dinamica (accidentale, colposa o come espressione di altri processi morbosi,
dolosa dell'evento) nonché sulla tipologia, causa, e indipendenti dall'avvelenamento.
mezzi dell'intossicazione.
I
L Criterio anatom_o-patofo9_ico _J I Criterio chimico-tossicologico l
V.11uta le •lteru1on1morfologiche acarìco di organi ed app•roU preYeda la ldantlflcazione wd il dosaggio d{lf losslc:o nana
L ouerva11one macro e mtcrcscopica ~.,.rmttt• l'ldenuhcuioneo dt 1~sivi1A matrici biologiche o In altri reperti, nonch6 l'lnterpretazfone e
IOSS•CO-COrfélate. anche H1PICfftch•. u11h I dtfintr• I• CIUH: de-I decesso la valu1a21one del dato, sia esso posiliYO che negativo
Il criterio anatomo-patologlc:o permette
quindi di orier.:are l'Indagine In due direzioni: Si fonda sulla determina:lone quali. qu~nlitativa del tossico
lun~v•oa un cbto lcss:colog1co po~11ivo o Mg ..tJ\lo non s.c-m?rC t: pro,. a
·Escluder• l'into.1slc1ZJone •cu11 quale c1us1 del decesso. quando v11ne-
sutftc.lem.t par a.!'!e..~re a esclud•nt ~na lncoulca.il.:>n• •
d11gnos11cat1 una p.11tolov•• 1tt1 da 1011 a determ1narf la mone feiJOf•n.o
mtocud1co •cuto, 1neunsm1 c:1r1br1l1, lromboembolla potmonut", ftc) V Concantrauor.._ ensuiftei.eme :ac.•tunl• d1 contatto ecc.Oent-.1e o ~
conu1T111~zionc :am~nt~ie.
·Ranonire rigatesi d1 1mossrcaz12n1 as:MJ! quando w•ngono evid~nziar@
Rsiom •natom1cM c.cnnlabtb a •pec..ftel lfenobio1tc1 o 1ugges.ti.e o~ <i- LI oresenu di un tosstco nel tratto g11trolntestrn•le non é Pf'O"•
di
tnto.sicaz1one acut• mon1f.e avwlen.ame.mo pctd"ai se: 11 tosste.o non è 11~10 .u.sortuto e •~spon.ato
sttrave:n.o Il arcoto emat><:o hno 1;li organi ed 1t 1111 racettorntilt, non M
.1 rit..-v1 mactoscop.cl mi1111'\o "' sede 11.1topt1c1 con I ossef"\.'1.2Jone d ..
potv10 tnun.&re ì ptoprl elfem
fH\onMni c1d>•·ertet.. colorn.tane dett. m1cch5* t;>OSlattd~. •ltc~uoni
dtlla ~1d1ta e dFtl'andamenlo dei ftnom•nt putref.rtlv• <- t... posrti\t1U. s:u L"nna con,entll!" d• f:'f'OYlrl" 5cil'l I' assunnO"'lr
• Le\s•f"'.l12Jone dr una J•s1,;1t1 1ouico-<orr•bit1, puo O"'•entue l"indagin• Pf*gtwna di uno .somn.u nspetto 1H'twrtu1 . lnl>tti gli etftttt
t~ss1colo;ica (r5.ed~nu pofmon:ue. 1oangue fluido per morte as.(m1ca fis1opA1oto91ei detr P..soo.11z•ona • nox•• ch1m1ca1 1.1 corref1no solo con
odori. compresse o 1!1to, fr1mment1 d1 c10o. colorito dei vts.cu1 1tc) I• conce:ntniuone tttnahca • t.ssvta._
- -
(
---- -
Criterio chimico-tossicologico
~
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----
INDAGINE TOSSICOLOGICA a fini medico legali
Il tossico i! specificato 1 Dati clìnico-anamne.stici (camlla
~
dinic.a, richiHta sopralluogo
Tossico identiftcato 1
Indagine generica
ASSENZA DI DATI
CIRCOSTANZJAU, CLINICI ED
CONCRETA INDICAZIONE
o ! SI
No
ANAMNESTICI;
Testo Un ico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti ~"Tf~ -.-H
e sosta nze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei ~ ,~ ,.iòalità'~ ~
relativi stati di tossicodipendenza.
Legge n°49/2006
Disposizioni per favorire Il recupero di tossicodipendenti recidivi e
IPersegue l'abuso
e Il traffico illecito
l Consente l'uso
terapeutico di
medicinali a base
di sostanze
modifiche al DPR 309190
i stupefacenti che
Legge n°38 del 15131201 o
I
possono essere
Sanzioni penali • oggetto di abuso
(dlspensazione farmaci per la terapia del dolore etc.) (art 7 ~1 r Recupero del Tossicodipendente per il loro potere
Aggiornamenti tabelle : Decr. 31/3/2010 (G.U. n. 78 del J/412010) per spaccio etc. tossicomanlgeno
Decr. 111612010 (G.U. n. 145 del 24/612010)
Decr. 1616/2010 (G.U. n. 146del 25161201DJ
7
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--
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1-11-lllelV
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• l.11
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O;WtthO....iJO
SOSTANZE 50Slanza
-{ Sezione B I . ev91: .. f4»$
. ...,.... • f\tft9h1. graidO di
endwre~oorm
ITabella IV jl:l§,fJ.j.lfaJ+l!.!j
stupefacenti In grado di
e/o
psicotrope in
Indurre
dipendenui
-{ Sezione C I .°'"'. . . .
6'lotllONUM0t.i
•UllSH.C.
.o.amz:ac:M~ (!abella '2J
Medicinali suddivisi in 5
grado di
-....... _...._,.....
Indurre
-{ Sezione O I ~ ...-........._.. .... NllllaM•
,,...
f'(lCedMt.
...... f'fl . . . ,...,,1 ... -.l!Mln.....
:
. relazione al decrescere oel , -
dipendenza
loro potenziale di abuso-.·,
-{ Sezione E I ::::::;::::~-:-::..-;:::= !
·-·
~
Presertzlone egevolat•: un med1cln1le •due diversi dosag~i ovve.ro Ricettario speciale
due diverso medlcinali per una terapia non superiore • 30 g1oml. Prescri21one medlclnall
Tab. VA Durata della cura: max 30gg
· Buprenorflna
1 solo medicinale
• Fentanyl L•vorf1nGto
·Codeina Dhdrocodein• Trattamento di disassuefazione:
Tabella V rispetto del piano terapeutico
• Oss1codone 0$$im0t1one
(A- O•) • ldn>codon• ldromO<fone O Co0nom1 • nome dell'asishto
·Metadone contenere O
Dose, posologl•. via dJ somministnzione
·Morfina O
D•t•. timbro, nnna del medico per esteso
O
tndlrino • n• tel. professionale del medlco
• Formulazioni diverse da quella Viene data copia alt'acquirenle per giustificare Il possesso del
parenterale medicina li
è la discriminante tra
PrHcrizlone medicinali Ricetta NON ripetibile ISSN o a ricalco)
T1b.Vsez. O {1
PrHC"rizlone medicinali Ricetta rlpellbllt, nno a 5 votte In 30gg
Tab.Vsez_E Se viene prffmtta più di 1 conf. • dlvem
Ricetta Non rlpellbUt
8
.lrL 7:J - l "rudu z ion..-.. traffif·O e d e h · 117.ionc· illf"t-i-Ca ~
e punito con la re clusione 6 - 22 anni+ sa nzj one pecuniaria (l.A?f..«'11•2'11.oau
C:onm1ul: Chiun que, senza aulorizzazione, coltiva, produce, fabbrica, estrae,
(
i
Decreto Mi nistero della Salute ii/4106 *
(G.U. N.9S del 2414/06\ In vi'.lc:-re di!l 9 Pt1i!ooi'.l 2(10S
l
raffina , vende, offre, cede, distribuisce, commercia, trasporta , procura ad altri, Denom inaz ion~ Singola dose Mo ltiplicatore Quantitativi
invi<1, spedisce in transito, consegna a qualunque scopo sostanze Stupefacenti o media in mg m.:ssimi in mg
psicotrope della tabella I
GHB 2000 2 4000
~: Chiunque, senza autorizzazione importa, esporta, acquista, riceve a
qualunque titolo o comunque illecitamente detiene: Amfetamina 100 5 500
Catina 60 5 300
·_sostanze Stupefacenti della tabella I in quantità > dei limrti max fissati con Oecr.
Min. Salute 1114106 , ovvero se le modalità di presentazione {peso lordo Cocaina 150 5 750
complessivo o confezionamento fruionato} o circostanze fanno presupporre un ll'THC 25 10 1000
uso non personale Eroina 25 10 250
•medicinali contenenti sostanze elencate nelle Tabelle successive, che eccedono
il quantitativo prescritto dal medico curante LSD 0,05 3 0.15
Comma 2 bis : Chiunque, illecitamente produce o commerclalizz.a MDMA 150 5 750
a) sost. chimiche di base o precuBori utilizzabili nella produzione clandestina di MDA 200 5 1000
s tupefacenti, MBDB 150 5 750
b) coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da
quelle autorizzate PMA 90 5 450
Se i fatti accertati s ono d i "'lieve entita" Metadone 70 5 350
Riduzione della pena Lavoro di pubblica utilità • n . 170 sostanze in continua revisione
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CONSUMO ~~ ~
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Altre
Cannabis sostanze
Uso Occas~nale
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~ Uso quotidiano
11 .2% 23,9% 73,9% l ,•%
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Regione Campania - Consumatori di sostanze
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CONSUMO
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F•norl chimici e f• nn•eologi ci :
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Uso quohd.ano 15.774 13.s.17 2.338 Fattori pslcologld e sociali:
(POU)
1ftU• tt0t l.i•t UHt • STO • ll-!2' n• - • 111 <- Circostanze ed ambiente In cui vlone ass unta
163.259 66.094 18.336 68.563 .i:· Aspettative del consumatore
TO TAl..E CONSUMATOfU
u.o.1ti.11s 1u nu1 \0$Ul t..1aJ•JiO'f1 1•ou -1n 111 <- Storia e personaliti del consumatore
Num.ro di ToulcodìpoftdOnti In tnuuunento: 15.937
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~ -•.-uW1-"n1il •"<C.cOHU
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f tt11àl..a ~ ... ,,a.u ;...,..,J.o1t•• 1:11orn1.1r...,, "''' " " wa.. O>hf,ç.- 1
l••r• .... 1- • - -..- • •d•r-••• .. ·- - -.. •· ... - · - ............ _...,_.. .. _ _,,,
~
• S<mann do toglio (Procoina, Coflolno, P•routamolo otc.)
rnolflna • """'"""" pkì
facH.,,.nte la i..m.n. ermto
Clreolano pe<ùnto miscele con dlvena clenomlnulone:
oncofollca p..- la~ dol -
Eroina Bianco (cinese) • si presenti come polvere t:rls111/lìna bianca gruppi ...11llcl •I - l o dol -
8town Sugar • si presenta In forma granulare di colore avana onkf~ll (OH) In poohione 3 • s.
~
Spffd Ba/I • Eroina+ Coc•lna +tagli f1nn1cologle1mente attivi
Anche la magg~r• tossldt;i
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<JJ ·n-..11... _ _..
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f•...lA.-•t.O ........_on~
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•MONtMllK
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dell'oroln• rispetto alla motflnl,
mlsuraa c-CHM OLSO, • c:orret:.tta
alla rapldidi con la quate fefOina
att,.veraa ta barrien em.uo
tnc.tallca.:
.__._.._ -1-AM.
~ _
•2~vo1t11Pù
-
"··-·-.................
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..CM, T
O-.< ç
I
.,... e.v. rEtolno
to&llko ~ 7 voft•
Pù tonica do. . MOffiM.
.,.,._.,*" '' AAonoh.,.•A •• ..,__,,._ •••1 .......... -••••o..._~ .. ..-,,,__,. •... ,._,,,.
•-L.'ll •""'·•lrP.
2
Modalità di assunzione de/l'eroina I Segni clinici connessi all'abuso di oppiacei
L'assorbimento dell'eroina per via inalatoria ed il suo passaggio attra verso Snlpt'llo!ocom;i.
Edau.1 ?Cloc1'3ft.
la m ucosa rinofaringea, pur se rapido, produce effetti fannacologici pari a
.~hcr.t2!0t1t ~l\:i f1111r.fo1rt!i1J p.1 1 nénlt~ti.'\:1.lt (<lm'nll ;i l;jl:..J1uo 11ilo1im. c1Jr11i111u-br.e od
circa il 1 ~20% rispetto all'assunzione per e.v. ••»ai..:11ddla:x:i il'l..+.i iut~iilitlc l:l'l.lt.:1•1ù<":-,c11k 1it10Wuc:lk.i ~'llV'lllltlc.UhJ d.ùl• :i.l\•twc.>).
Sp•111n NI:# \it Mlini
DW1iunI.iN~ lldU ditirui (ptr \plmo .1t!nutirn ~ dri nm..,oli d!lla w~lrn : con 111i'uimc
L' esçrezione urinaria do lor~
in consumatori abituali di eroina .-\hauinU ddiit\.'W1111J1.L:u.cu1~ ,i,iwc l\.,.,ofi.Vi.I.
Pnd1u Jdh \.ttl.\:l>'Jci d0Wnf1c-:i
dipende dalla modalita di assunzione pertanto la % di morfina
.~Ull .ID i:1c;i;i;i-.-ità et Olltf'llTJZ::OOt lllelll.J.lt.
rinvenibile nell'urina: .A•ln~ :t~li ani t:J°~L
- dopo iniezione e.v. è circa Il 68% della dose somministrata, f'trdiD CC\11f~l!12dil'istUI0 $>6\>\~t (nd~ (Oiun ; i('!:Hl\'1110 lJ~;iC<L"Dit\ dtl tklo r,P.;C'!Ult
- dopo somministrazione per via nasale è circa il 26% tll!H::.lt1n<:-~ ).
5.n,U1:i;:im: e 11tn1on.
- dopo inalazione da fumo è soltanto il 14%
I I
~~~
11'il"C.'l:tne}d.-:1:munr lt c~Ul.'I~ uuadNÌIO»H-dJ 1.>Jlfl!IC11 (""'~1J !inir.i1 C!!inruiJ~ ~ (4-6 ore) in M orfin a. _ ,._
ort<l"y.o l\tlim:i:i:suuic:Jrdid:~i rJ;:pun;tllil fim'!on~i.itxdti11i'ntio (Clp't I·~ ~icinitd>pO
r la 6-AM è individuabile ...,., M
Hrolp.11t;p;n.1~ !l(L~lt).
n ell'urina in funzione della
"""'"' ~
/
~ Map1ilte
I
loltr:mn
freq uenza di abuso m entre la
m orfina (libera e totale) è ! Co~ll(µli:in 'Y
S\i:n1'V'J Wru1! ll"fo;u1Z;111!bù:C1!3 :I:: Uciu:\k mi:~1.11 1r 1uu-:ifo~<lkLW Pomli:i:i!i Wo!-'
'/""'
,_ ->- "°~
0:A
p:ret110:.:-~ ;6 dfo1i fat11arfo~i:i iiuzi.1l!.
rilevabile fin o a 4-5 giorni "
(nell'assuntore abitu ale).
--
OIJfSK I "o.
I Noormpt~
3
Fattori determinanti /'acute narcotism Metadone
farmaco di alntHt uhRz:zato con :wc.c.uo cA ott,. trtnf'annl
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-·- E\1forù.
DopoJ.,.;f o,..
A$$«tof t
DopoUor"e
Accertamenti clinici
• di laboratorio
-~odrocv~W.
• Segnldl
"6i.mzielrm *""* !
Pt"4f\U <tJ .wt.. •tvp fllo
.....
• V~cl~UfWOf'\ale
•Sintomi rit.ld I
pt.kf'Md ln -'10
metllbolitineilllq"&dt
blologlcl .
• gr.do ~ dJpencMnu
• Slndt ome dli GN KCetQll'Mnd dinid • dJ
• ln~""hti d•,U'abwO UbJMJ\U fn •tto LabofMOf'° "~ «f'f•'1"1H!ti
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c>o 1Jtrul1\H• pubblich9 d4
~con&pedflca
..,.,titnu Ml a.nor•
4
CT'lltlfcll S111u 111:uolo:i.1 vrr Oopc r mn;m uo;t-
SINTOMI E SEGNI CLINICI DELLA SINDROME DA ASTINENZA u ll11C'U.ol t:roln~ :'\lo. &1ci ) hl:itlH.f'
Sc:1.hl Clioic-.1 ner l'ARfocnz~ da On fac · ICOWS. C1inic11! Oni•tl! l f'i1lldnnwa!Scol1!\.. 2003
requenz.a cardiaci • riposo: rrequlete:aa ....,,. .. .....,,adont
l!equRnU ardiK• di IO o lnlerio!t 1iuu • si.e Mdulo lnwlobllt.
fftqU111onUçacdiKlollln-1oa 1 dllficalti • ......, Mdulo i.-oblk,
h~c.diaQdlHt1-n11 ~~h~o~dbfKdalgarolbe
SINTOJ\fl + tllfqlllltftUçacdiau ~ .. •12'1 - rlesct • S1"91'e .-ao~ .ACOndl
pisturbo gastroinlutN!e ~ ma:I"..,. ~'iod!Mwrll"t.I'~
Mssuno~lo
11Ued'oc.a
L=.crim:n:fonc l•-•lsc:I• -Plluenl"
la •i:loneivi~anchl"Wllebnic:c:A onunu- ~ui. o or.dli ln~olhlMf'llle umidi
.21on.~
Sc1u:ar.iurn· ~wo I fn:dd:i t:n.nskmll delt• puptffie nuo dlii! çoY o~ i.hl: a.corr- sulle vu•nu
Pnl.N> cPm~fum: Arh:ritos:.
Punl'"'~io 1n1:ilc:
1.b I :a Ili nr,.:.: IU·lO= :i$tior:n:u1 1ncLli•: >lO• ">lincn-.::i cttncl~lll:al~
~
Cocaina
Erytroxylon Coca: arbusto di altezza variabile 2-Sm.
:.?--<C>
Foglia ova le o lanceolata verde scuro, margini lisci
~:-/'z·ClO•~:·:.
Polvere bianca (cocaina cloridrato} schegge o palline
bianco-sporco o grigie o marrone chiaro (cocaina
base) COCAINA A.UE
. ,.;u~,
C:t.t: CJC
5
Cocaina cloridrato Insorgenza e durata di
azione della Cocaina
·Dosi natl'u.so rtcre.az:Jonale
• 1 O• 120 mg per pr1nclplanll
• Consumatori ablt~ll tollttrano nno a 5g I dia ......
• Consumat0f1 computslvt : 1 • 7 81nches nelle 24 h
• llpologl• di Abuso
• Snlffing I s.-ting
--
• lv - lnjection (Coca In un braccio ed Eroina nell'altro . . .
"l _-r
Stere<Mn}ecllon)
. . ~ Momenlof
Adminb1ration
. . .
M f'dl#•c•blr.IVdl
SWKl..,ia• Vrill _,....._
... .......
J••rVrilt Jlls•rVfllt
..........
-...-.........-
.....,_.pa.aticV-
llYC')
nn
s.n--'-.ftl"•
lSVC')
ltieMHnnA~
-...-..v-.... -...enrtA•l'lile
_....,_,.
-..... .. _-
........,T,,..a;-
-~
',..._,,v_
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~\·~
..
Ld8nr1Atn-.
ùfl:Bnn Vftlitl'klt
'-
.....
LdOnri ,,..,...
.............
-
l.d8ml1.A."-
..... -..-
......
......
c.,.....,And"\
.....
c.r.tWArtrf'\
·-
c.aftlliidAn'1".'
.Q2;Q
,..__ _,,,
Nonnala funzionamento del canale del sodio
L--
~anale del sodio bloccato dalla cocaina
6
Azione stimolante della cocaina Effetti dell'uso cronico di Cocaina
L'azione stimolante e Indotta dal
blocco della rias$unnooe dei - Dipendenza Psicologica+++
principali neurotrasmenitorl - Dipendenza fisica +
(Dopamina, Serotonina,
Noradrenalina): - Tollennz.a a dosi quotidiane +
A) Q~ndo le molecole di
neurotrasmettitore vengono
liberate dal~ vescicc~ esse
attra.ve.rsano a
fessura slnaptica
e s timolano le cellule neJYosa
suc;cesstve.. Una parte delle
mofecole di neurotrasmehitore
che 51 trovano nella fessura
sinaptica viene r1pompata verso il
neurone che.,, ha liberate;
P~tc.1 10 ::.rieC:)rdi.ilcbe:
B) in presenza di Cocaina il - canlionii111m1i:1 tlilat;ui\ :1
reuptake dei neorotrasmettttorf
- ipt·nnJ fi:1i·:u-cli:1r:1
viene bloccato e l'azione
- :11c r11s-.: krtt,_i :1<·('ckr:11:1.
t stimolante aumenta con l'aumento
della concentrazione di tali -mi11c anli1i11C'11n1r:1 t•ti11n· B:tn1l
mediatml dell'Impulso N..:t-ru-.;i
nella fessura sinaptica.
Brain lmaging
Positron Emission Tomography PET Magnetic: Resonance lmaging MRI
= .==::,:::::r~ •
c~~••IMJ'w.tchafllrn,..._.
Induca COC.lne Cn•"'"9-
I effetti euforici
'-----~
J~ e::::::> Ip sicosi paranoide
n
At.as d lh<i! lklill ola ..
a) Sind1ome euforica
b) Sindrome disforica V
Coc;aln,,Us~,...Up-...
.
::"\ .
l'1:T Scans ... , ... Drug Xl.S
. ansia
r e) Psicosi paranoide
~ . pia nto immotivalo
. euforia . delirio di persecuzione
. a umento delle funzioni
. apat.ia
. allucinazioni visive
Intellettuali . m;1linconia
. allucinazioni uditive
. iperattività . anoressia
TNs PETimagels fonned • . allucinazioni olfattive
rrornEne.1gyemftled bya • insonnia . Insonnia
. comportamento violento
~·-..,.,.., ... Ug.... - · • '. . iperse.ssualità . Incapacità di
t~tst:IKtlvfly anKttu to •• '-
Oopamlrie 02 Receptors on . tenden%.a al co ncentrazione
BTain C111:Hto. PET Sludti can comportamento Jl
be- used 10 evalu.ii te and
compare the DIS!rlbutitm and
Density ol Rec•ptDI' or
aggress ivo
IConvulsion i
T1<11nspofter Sttu in Drug Morte per arresto cardiaco
~us:rs :r.= ~lo~~~.
~•-b_io_c_co_r•_•_P_ira_i_o_ri_o_~ <__JÌ
j.....---H~-~ ·-------<
Freqli:ncy et illicit
(SptiSO R.Ssun t.a come Crack) 30 drug ir.volved in
drug relaied
In Europa
La Cocai;:;c é !a seconda causa ofDRD dopo le morti c!a E1oina, IO ] 12
L--r t
deaths (n. 267) in
Campania region
(llaly) overlhe
ma la situazione é ancor.a incerta:
D Cocalne--rclated Denths non sono dosi co1Tebte
LO 1J tt- period 2008 10
2012
O Le O'\'erdosi acute da assunzione di sola Coca ina sono rare (Poliabuso) SOl.NW: t...b. o/
Fw.nskToJCkology-
O La si ndrome acuta da Coca ina prevede: ~dUtW.n:ityol
7
Overdose da cocaina Metabolismo della cocaina
"'----«~
1) R•ptdrd dò inM><genza
~e·
....,
C.,... I
~-·
otpM->1
BEG
EME
0.1101.0 m91L
11103011
44toKh
24to40h
---------·..o..u-
8
1) Sistema Nervoso Centrale 2) Danni cardiovascolari
O Infarto cardiaco
Alterazioni psichiche:
psicosi paranoide associata ad euforia e disforia. Q Aritmogene.si
9 Rottura dell'aorta ascendente
In termini neurobiochimici tali eventi sono ascrivibili alla inibizione della
ricaptazione della dopamina ad alla s ensibilizzazione dei recettori g Rottura di aneurismi
dopaminergici o Miourdite da cocaina con necrosi dei cardiomiociti
4) Altri effetti
COMPLICANZE VASCOLARI ASSOCIATE ALL'USO 01 coc~
a) Bronchite cronica
b) Edema polmonare
c) Aumento del tono simpatico: Nervoso Ernoraggia cereb1ale. inrarto cerebrale , convuls.1oni.
emicrania, V35.CUlile, cecltii
o tachicardia
Ca r dia c o Vasospasmo coronarko, ischemia. int:Jrlo, arl1mie.
o ipertensione mtocard1te . cardiomiopa tia
.
Aumentata
frequenza comunicabilit:ì, na usen ,
pnlpitnzioni, so1111olc11zn .
contrattilità
cardiaca, Consistente dipenùenzn psichica
aumentata
pressione Oosi> J OOmg: fo r te agitazione,
arteriosa ipcr:1 t tivitiì.
Dosi> 20 0 mg: effetto psicotossico
co n a llu cin azioni
9
I Principi atti.,; cont•nutl nella Cannabis Sattva L
I Principali derivati della Cannabis Sativa L
, ... .......
-.....
~ Grc,\M"' 1HC' I'•) ;--....:.
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·- 1
I
:-1
I
Reperti di
~-.,.Mdl
CON•CBOm11
c-ont.nenti
THC> 111'1'..
10
(
SEGNI E SINT.OMI CONNESSI ALL'ABUSO DI CANNABINOIDI
(HASHISH O MARUUANA)
J
1 .Un neurone (in blu) libera
normalmente il GAS~ un
O Euforia associata a sensazione di benessere fisico e psichico
messaggero chimico con
O Alterata percezione del tempo e de.Ilo spaz:io funzione inibitoria.
2..Flss.3ndosl sul suo recettore_
O Riduzione della soglia di risposta a stimoli acustici e visivi
il GASA frena l'attività di Un
O Alterazione dei processi di memorizzazione
O Ansietà, Aggressivit3 1 Aumento dell'appetito
O Pupille invariate, Aumento della frequenza cardiaca
O Orofaringiti, Bronchiti, Asma
O Vasi ciliari "iniettati di sangue"
O Diminuzfone della pressione arteriosa in ortostatismo
O Aumento degli errori su un percorso automobilistico s imulato
(aumentato rischio di incidenti stradali)
KETAMINA
La ke~mlna è un anestetico per U$O r.I• vrtorinar1o che umano
recentemente ogg.,tto di abuso lnl I giovani pen:h6 a piccole dosi
causa dlssoclazlone psichica • lieve an•lgesl•.
Dosaggi sulHlnestetlcl pouono provocare l ortl alluclnazlonl
vl!llvo-audltlve deflnlte come "di pr...morte.., con apparenti vl$10nl
del futuro (nashto1W1Jrd) e vista dol proprio corpo d•ll'esterno.
12
S"IRUTIURA DEGLI ANALOGHI DI SINTESI DELLE AMFETAMINE
Ecstasy
·[ ]-
.1;.a.w......... ~~
r1:>.1.. b'.... cncii
. MDMA + Ketamina
MDMA+ 2C B
solo Caffeina
Scopolamina (•1100%)
. MDMA+medicinali vari Caffeina+Paracer..molo+Udocaina
Paracetamolo+Voltaren
Eroina+Paracetamolo+Cocaina+Caffeina
13
NPS - NUOVE SOSTANZE
PSICOATIIVE
PSICOATTIVE -~
caratteristiche -~ caratteristiche
1. Natura sintetica (%>) ma anche vegetali (%<) 6. Assuntorl da 15 - 55 aa, spesso Inconsapevoli dei
2. Potenti, molto tossiche e pericolose reali contenuti (mlx non dichiarali)
3. Effetti e danni prlndpafl sul sistema nervoso e
psiche ma anche su cuore e altri organi 7. Dì difficile Individuazione laboratorisllca e diagnosi
nelle emergenze
4. Numero elevato (oltre 1000) con varlantl facilmente
ottenlblll 8. In molti paesi non ancora rese Illegali
5. DI facile reperibilità, vendute «mimetizzate• su
9. In rapida diffusione a livello internazionale
Internet e negli smart shop In co-marketlng con atre
sostanz.e e merci varie 1O. Gestite da nuove organizzazioni crlmlnall
0i'°ic.:>I"_, respirate~
S<;dor<?iore
OQlor~ tor•·:tto
All~iNZ•Or;
AQr..:io.'IW
__
Incinse h•mp fl1vour
1 •ut retto ·K•ram. Gokl
_,,,,_."""
~"'' t:Jn«J,.a~J trufil
l;•ftt.AJ Hff"Kf •od~
KMp°"' ol re•ch ol
.,._n Nof lor U.. IO
nwnof' wioer 11. In cu& of
Quesito Anah51 111a1w:a1a ahfentdic.allOlle
di ponapl anlvi Cftlla classe dei cannabtnOld1
consvmpt~ ~•s• contact
your hH•h phyaoç1on.
m1me110 (JWH ltd analoghi) e ncerca d• alln
P• d·ed Wlfl/111211/°'n
pnnopo a111Vl 1abtll111 secondo 11 OPR 309/90 v•ry. M•t» 11) Pnl~
e SUCC- mod
14
EJ
. DESIGNER DRUGS
H:i tffcrti sol sis1ema sero101u ~ico penante rassurWonc:: può proYocare a nsi a ,
1-5 2.7%
confusione, tremori. ' 'omito, 1>a urit di perde re il controUo, emicr:mie,
&- 10 3.8"/.
- ... -· I atfll cchi d i panico, ipcrunsibilicà nUa 1uce e 21 rumore.
.:. .;.·.-.:.·- ·:.! ! =·-- . - IJ-15
L"-19 ! .O'Y.
Fenetilamine e varianti
('NH
..
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BZP
~1
Cl
"'CPP TfMPP
* ..
OUOU 0041 H
POPPER
CA.Jl.DLE NITRITO;
JSOPENIU:E NITRITO)
Modalità di assuoziooc:
Assunto J>er inalazione
dci ,·:apuri.
FormuJ:11 chi.U no
slrvtrur.a:
(CH,):CHCff:CH:ONO
GHB
(llquid Ecstasy)
o
H~OH
Anabolizzante,
Ipnoinduttore,
Socializzante
15
09/1 2/2014
LA DIAGNOSTICA TOSSICOLOGICA
sul vivente e sul cadavere
. è di rigore " l'accuratezza" delle indagini e la " certezza" del dato analitico
1
09/12/2014
Corretta
interpretazione
2
09/12/2014
L'approccio metodologico
il dato chimico-tossicologico
3
09/12/2014
Campioni biologici
Il tossicologo ha la possibilità di sceg liere tra una vasta gamma di
campioni biologici
Matrici convenzionali
Sangue
Urine
Contenuto gastrico
Matrici alternative
Capelli
Saliva
Sudore, Umor vitreo, Meconio, etc.
-.-
• Finalità dell'accertamento
(attualità d' uso, uso
pregresso)
• Matrice disponibile
• Praticabilità del prelievo
• Strumentazioni
Tecnolo iche ossedute
4
09/12/2014
Sangue e saliva
Capelli ·
/Attualità d'uso . /Uso pregresso/remoto
/Invasività del /Prelievo semplice
prelievo ematico /Finestra di rilevabilità:
/Consenso . ampia
informato ./Facile conservazione
/Correlabilità / Difficilmente adulterabile
saliva/sangue
Trasporto
5
09/12/2014
CATENA DJ CUSTODIA
garantisce la privacy, la " non manomissione" e la corretta
identificazione d e l campione biologico
OOrHe13.
-.....-
'fr ~~
\. "
I
~~~~~c_a_t_e_n_a_d_i_c_u_s_to_d_i_a~~~__,]
Garantisce:
"dell'operato e dell'operatore"
6
09/12/2014
Accettazione Smaltimentc
della del
richiesta campione
biologico
- -- - ------------------------
09/12/2014
·~· :.:;.
::;;9:... ·:..
PROCEDURE ANALITICHE
Le tecniche analitiche
SICTIO'.'\ !: O.TrC.OJUZI.~G.·ISA.LYTICAL ITC.~lQTIS
.:i r~~iq";n ~ lb! :aul"':I~ l':drog!-.'l:l;~·:t• imybt'd::~ùia\ tll>: WrE-tr:n:~:1.,-, N~ ~:l :Ila:
di=-.nu:u::a~ -; ..n:. :,t-1• l F'"t!!I t=pt.i e: thf'..• l«l=<jQ• mi.41.> 0tdtt cf d>-:tu!:.u~
.u-r.m:ia":.t! ;w.-.t: 6-t-:DA :e C'
:~~~--~~~~-~·~~--~-·,:-:-:-::-.:-~-=~
-:-~-~-~~-~~-0_11_,;_-~_:!_1<_~_-_~_'>Ctl'_·_;_·~
8
09/12/2014
Tipologie di analisi:
SCREENING
(Metodi imm unochimici, Test colorimetrici)
Analisi preliminare volta alla identificazione di grandi
gruppi di sostanze
Determina , in riferimento a cut-off prestabiliti, la positività
o la negatività di un campione
CONFERMA
(Spettrometria di massa)
Analisi più specifica che conferma , identifica e/o
quantifica una sostanza o i suoi metaboliti
g
09/12/2014
INDAGINE TOSSICOLOGICA
Generica Mirata
ASSENZA DI DATI
CONCRETA INDICAZIONE
CIRCOSTANZIALI, CLINICI ED
ANAMNESTICI;
o
SOSPETTO DELLA PRESENZA DI
SOSTANZA TOSSICA
ASPECIFICITA' DEI RILIEVI
ANATOMO-PATOLOG ICI
10
09/12/2014
Color test
sono "test di tipo qualitativo", basati sulla produzione di
colore derivante dall'interazione
di gruppi cromofori (alcaloidi, fenoli, gruppi insaturi,
composti aromatici, etc.) con agenti ossidanti.
11
09/12/2014
METODI DI SCREENING
Le più utilizzate
I
Enzima (Glucosio-6
fosfato deidrogenasi) cb I
Fluoresceina
I
12
09/12/2014
11
Cosa si intende per cut-off?
Il
~ rappresenta un limite di concentrazione (valore soglia) definito
per stabilire se un campione è positivo o negativo.
Vantaggi e svantaggi
dei metodi di screening
SVANTAGGI
VANTAGGI 0
• falsi positivi I negativi (pH, T ,
13
09/12/2014
Metodi di conferma
Campione b iologico
Analisi strumentale
GC-MS
LC-MS
Il Metodi di conferma
11
14
09/12/2014
FASE ESTRATTIVA
Isolamento
dell'analita dalla
matrice biologica
Rimozione del materiale
proteico e non
(Ammonio solfato)
Concentrazione
dell'analita
Estrazion
Estrazione in fase solida (SPE)
liquido/liquido
(L/L)
Colonnine contenenti adatti adsorbenti
si basa sul principio della (resine polimeriche modificate x l'inserimento
di gruppi funzionali)
ripartizione dell'analita da estrarre,
tra due fasi immiscibili tra loro, in
Si dividono in:
funzione della sua solubilità in esse
Polari
Coefficiente di ripartizione K = eone. fase
organica I fase acquosa Non polari
Punti critici: A scambio ionico
solvente organico,
Q!i (anfoteri, ammoni quaternari) a seconda delle modificazioni subite e
forza ionica. quindi delle interazioni predominanti tra
analita e adsorbente
L'efficienza di una estrazione può
essere migliorata : I principali obiettivi dell'SPE
15
09/12/2014
PUNTI CRITICI
~ scelta del solvente di estrazione
~ pH del campione (anfoteri, ammoni quaternari
~ forza ionica del campione
Estrazione LIQUIDO/LIQUIDO:
esecuzione
.i
V •1
16
09/12/2014
u·.-
••• • • •..,. ·•• •.._.., ,_.1 " ' ""' c u..-.o•yo ..,.
·1~ir ! i
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.. ,, ,•.,.,,,.,,... ,.-:.....r,·,.;.o. ......
: Sono li interferenti che 's1 le ·~mo ". Le molecole dell 'analita rimangono
alla fase adsorbente. legate alla fase adsorbente
17
09/12/2014
Fase
Strumentale
LC-MS
Gascromatografia
18
09/12/2014
0'.:'EN
4 '?"C ORCF"P..l
U=. I A SY"!::t:. ' "
L Gas di
trasporto
19
09/12/2014
DETECTOR { rivelatore)
_[_I___ --!--~-Q~_-_F~m~~--~r_c_. I}
_ __ J
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- FT IR
.J
_I
20
09/12/201 4
La GC-MS
nella letteratura scientifica internazionale, viene proposta come
unica tecnica da utilizzare per l'analisi di conferma
21
09/12/2014
• finalit à dell'accertamento
• data, firma leggibile e timbro del direttore del laboratorio
• data e firma di chi ritira il referto
Copia de l referto dovrebbe essere conservata per a lmeno 3 anni
22
09/12/2014
· NJorte d~ qrog~ .· .
r ~ ·~· • ~ • '!;
23
09/12/2014
morte dovuta ad
overdose
volontaria o
mortedo(. \
a b uso prot ratto
.
(patologie
.
~.
.. d./O . .d.
Suic1 1 m 1c1 1
connessi con la
eventi accidentali
d
t• d
causa 1 a 11a
.
.. t . d" d roga
accidentale correlate:epatit1 oss1co 1pen enza (incidenti stradali
miocarditi) e sul lavoro)
..
*Astinenza x disassuefazione o detenzione, utilizzo di sost.diverse
24
09/12/2014
1. Pofiassunzione:
~ Eterogeneità quali-quantitativa dei principi attivi delle
droghe circolanti ;
. .
}:> Imprevedibilità delle interazioni farmacologiche e farmaco-
tosslcologiche;
. ··~~·
·' .!
"-" ,·~
·Variazione della DL
25
09/12/2014
26
09/12/2014
L'approccio tossicologico
per una indagine post mortem segue lo schema
classico dell'indagine sul vivente:
·s.
;r. '
27
09/12/2014
. '
Overdose da eroina
Campionamento
28
09/12/2014
Campionamento
·-:
come capelli, unghie, -umorvitreo _o campi_oni di pelle
potrebberoessér_g r~~sqtti pèr c«~inpletar~ !'..indagine ·
,, --# " , -
tossicologica. •
V
-"':' · .
~~
•" - .-...
M -~
,
.
~~ J~ """"·
29
09/12/2014
con tale termine viene indicato il movimento del Farmaco a/l'interno del corpo,
dopo la morte
30
09/12/2014
Indagini chimico-tossicologiche
Criticità interpretative:
campionamen~t<? · " ·
31
09/12/2014
O L'esatto campionamento
La ridistribuzione verso i vasi centrali, invece, è > perché proviene dal tratto
gastrointestinale, fegato, polmone, etc.,
per cui
»- Tolleranza individuale;
)> Variabilità biologica interindividuale ;
)> Interazione tra droghe e/o Farmaci
)> Presenza/Assenza di patologie preesistenti
)> Tempo di sopravvivenza (metabolismo)
)> Stabilità delle droghe
32
.... 09/12/2014
Es . la Coc ain a: viene idrolizzata , in vivo ed in vitro (prima e dopo la morte), dal le
colinesterasi seriche per cui nella valutazione dobbiamo tener conto anche della
concentrazione dei metabo liti.
Es. la Morfina glucuronide: nel sa ngue cadaverico, può essere convertita in Morfina
libera in caso di contaminazione batterica che può scindere il legame con
ac.glucuronico.
Es Il buprop ione : ha mostrato una degradazione lineare dipendente sia dalla T0 che
dal pH
33
Medicina del Lavoro
La medicina del lavoro nasce come branca della medicina interna per tutelare lo stato di salute
psicofisica di lavoratori esposti ad agenti di rischio occupazionali, nell'accezione più usata per
rischio si intende una misura della probabilità o della frequenza che si verifichi un evento nocivo o
almeno indesiderato.
In Italia in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti
chimici, fisici e biologici nell'ambiente di lavoro è stato applicato il DL 277/91 che :
• Riguarda 3 principali rischi lavorativi → piombo, amianto e rumore
• Stabilisce responsabilità per datore di lavoro, lavoratori e medico del lavoro
• Chiede una valutazione tramite indagini ambientali mirate del rischio
• Definisce gli obblighi per la riduzione dell'esposizione e per la sorveglianza sanitaria
• Stabilisce l'obbligo di autodenuncia all'USL (organo che deve assicurare l'applicazione del
DL), ricorda che oltre all'USL anche l'ISPESL (Istituto superiore di prevenzione e sicurezza
sul lavoro) è un organo di controllo
Successivamente si aggiunse il DL 629/94 (decreto cardine che per la prima volta ha suddiviso in
capi e titoli le problematiche della sicurezza nei luoghi di lavoro in modo da dare delle direttive
precise a tutte le figure addette al sistema sicurezza su come organizzare questo sistema per ridurre
al minimo l'insorgenza di infortuni) che:
• Estende le misure per la tutela della salute nei luoghi di lavoro a tutti i settori lavorativi
pubblici e privati, eccetto polizia, protezione civile e forze armate
• Estende le misure tutelative anche nei confronti di altri fattori di rischio (cancerogeni, agenti
biologici)
• Stabilisce l'importanza dell'istituzione di un servizio di prevenzione e protezione da parte del
datore di lavoro che deve individuare rischi ed elaborare misure protettive e preventive
nonché informare il lavoratore su tutti gli aspetti di sicurezza e salute
Dopo questi decreti sono stati poi emanati quelli tutt'ora vigenti che sono:
• DL 81/08 e DL 106/09→
◦ Si da carico di responsabilità non solo ai medici del lavoro ma anche ai:
▪ RLS → Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, una persona eletta dai
lavoratori che si interfaccia col datore di lavoro per tutte le problematiche sollevate
dai singoli lavoratori
▪ RSPP → Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, può essere formato
da una o più persone che redigono in un documento di valutazione dei rischi tutti i
rischi presenti nella realtà lavorativa che tutti i responsabili della sicurezza sono
obbligati a firmare per presa visione di questo documento
◦ Si effettuano visite mediche :
▪ Preventive → per controllare eventuali stati pregressi di malattia in atto come una
ipersensibilità che potrà provocare allergia nel soggetto se esposto ad uno specifico
agente di rischio
▪ Periodiche → perchè non è detto che una eventuale patologia di base non possa
slatentizzarsi in seguito all'attività lavorativa
▪ Alla fine del rapporto di lavoro
▪ Quando c'è un cambio di mansioni
◦ Il medico del lavoro è obbligato a redigere una cartella dove sono dettagliate una serie di
caratteristiche anamnestiche e lavorative del soggetto che si sottopone a visita, è molto
Darmix87 - 1
simile ad una cartella di degenza ma sono presenti anche dati relativi all'azienda di
provenienza e l'anamnesi lavorativa (importante per definire uno “stato zero” e capire se
c'è stata una pregressa esposizione ad un agente di rischi
◦ Si rilascia un giudizio di idoneità che può essere →
• Pieno
• Con limitazioni → come ad esempio nei pazienti che hanno una lombosciatalgia
e che fanno lavori con un alto indice MAPO (indice che quantizza il rischio da
movimentazione di pazienti come nei reparti dove ci sono molti pazienti
allettati), questi soggetti ritornano a lavoro dopo un periodo di malattia ma con
un giudizio di idoneità parziale in modo che egli può ridurre il carico di lavoro e
riprendere la sua mansione non rischiando il licenziamento.
• Temporanea → esempio: chirurgo con Epatite C in fase attiva, in tal caso può
interrompere l'attività lavorativa per 6-12 mesi
• Permanente
◦ Il lavoratore ha diritto a confutare il giudizio avverso espresso dal medico del lavoro e
fare ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio, nell'ASL c'è una
sezione definita “organo di vigilanza territorialmente competente” composto da medici
del lavoro e tecnici non medici che valutando la cartella clinica ed il giudizio espresso
esprime un giudizio inderogabile
Darmix87 - 2
videoterminali
• Rischi trasversali → dipendono dalle cosiddette “dinamiche aziendali” , cioè dall'insieme
dei rapporti lavorativi, interpersonali, e di organizzazione che si creano all'interno di un
ambito lavorativo, sono riconosciuti dal 2008 e ritenuti responsabili di provocare stress e
patologie psicologiche lavoro correlate, si tratta di : sindrome del burn out, mobbing, lavoro
a turni
• Allergopatie professionali → alcune forme asmatiche, dermatiti
Rischio biologico
Per rischio biologico si intende non solo l'esposizione diretta ad un agente patogeno ma anche
l'esposizione di un lavoratore in maniera indiretta ad un microrganismo (quindi anche i biologi, i
chimici, i biotecnologi possono essere esposti a rischio biologico).
Si classifica il rischio biologico in:
• Agenti biologici di gruppo 1 → quelli che presentano poche probabilità di causare malattie
negli uomini
• Agenti biologici di gruppo 2 → possono causare un rischio negli uomini ma nei loro
confronti sono quasi sempre presenti misure profilattiche e vaccinali
• Agenti biologici di gruppo 3 → possono causare malattie gravi negli uomini, possono
propagarsi nella comunità e sono quasi sempre disponibili misure profilattiche terapeutiche
• Agenti biologici di gruppo 4 → per i quali non esistono ancora misure profilattiche e
vaccinali (come l'ebola)
Questa classificazione è importante perchè permette di quantizzare il rischio biologico in una
struttura, in realtà la quantizzazione la fa il datore di lavoro, ed il medico del lavoro può solo
esprimere la sua opinione in merito
Quando si parla di rischio biologico, si intende non solo l'uso deliberato (esposizione certa al fattore
di rischio biologico come nei laboratori di microbiologia, ospedali, centri di ricerca) ma anche l'uso
potenziale (esempio videoterminalista che si infetta di legionellosi perchè non c'è stata
manutenzione degli impianti di condizionamento)
La legge 81/08 sancisce che il datore di lavoro che intende esercitare un'attività che comporti uso di
agenti biologici di gruppi 2 o 3 comunichi all'organo di vigilanza territoriale il nome e l'indirizzo
dell'azienda ed un documento che descriva le fasi del processo lavorativo, il numero di lavoratori
addetti alle fasi, i metodi e le procedure adottate ed il programma di emergenza per la protezione dei
lavoratori (se si verificano incidenti che possono provocare la dispersione nell'ambiente di un
agente biologico appartenente ai gruppi 2-3-4, i lavoratori devono abbandonare la zona interessata
ed il datore di lavoro deve informare al più presto l'organo di vigilanza territoriale).
Il datore di lavoro che intende usare un agente biologico del gruppo 4 deve munirsi di
autorizzazione del Ministero della sanità, ha durata di 5 anni ed è rinnovabile,
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Oltre alla tipologia del rischio biologico si tiene conto anche del livello di rischio, identificando:
• Livello di rischio trascurabile → non c'è assistenza diretta al paziente e non vi è
manipolazione dei campioni biologici (es. specializzazioni in igiene e medicina del lavoro)
• Livello lieve → assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici (es.
reparti di un ospedale)
• Livello medio → esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione
• Livello elevato → manipolazione di campioni biologici e condizioni tecniche, procedurali
ed organizzative sfavorevoli
Monitoraggio ambientale
Con tale termine si intende la misura e valutazione degli agenti lesivi per la salute negli ambienti di
lavoro e la valutazione dell'esposizione dei rischi per la salute a essa associati, usando appropriati
limiti di riferimento.
Le finalità del monitoraggio ambientale saranno:
• Verificare le condizioni di inquinamento dell'ambiente di lavoro in rapporto ai limiti di
riferimento
• Studio delle correlazioni tra le concentrazioni di uno o più inquinanti presenti nell'ambiente
di lavoro e la dose nei fluidi biologici dei lavoratori esposti
• Istituzione di un archivio di dati ambientali al fine di definire eventuali relazioni causa-
effetto tra una patologia osservata nei lavoratori ed eventuale esposizione documentata
• Istituzione di un libretto di rischio per ciascun lavoratore che riporti i valori di esposizione
per ogni singola mansione nel tempo
Tra gli obiettivi principali del monitoraggio ambientale vi è la verifica che le concentrazioni
atmosferiche nell'ambiente di lavoro siano entro i limiti di riferimento di esposizione occupazionale
(OEL=Occupational exposure limit) e cioè che la concentrazione nell'aria di una sostanza nociva
che, se le norme vengono rispettate, non ha effetti dannosi sulla salute dei lavoratori esposti 40h la
settimana; il limite di esposizione non è però una linea di separazione assoluta tra concentrzioni
nocive e non, ma solo una sorta di guida per la prevenzione.
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omeostasi) che mantengano inalterate le funzioni organiche, ma quando divengono inefficaci
compare l'insufficienza funzionale.
In italia solo per un numero limitato di sostanze ed agenti fisici sono presenti norme di legge
specifiche, per la restante parte ci si affida alla lista dell'ACGIH (american conference
governmental industrial hygenist) in cui è rilevante soprattutto la lista dei TLV (valori limite di
soglia riferiti a concentrazioni atmosferiche di sostanze alle quali si ritiene che quasi tutti i
lavoratori possano essere esposti ripetutamente senza andare incontro ad effetti nocivi). Si
riscontrano:
TLV-TWA (time weighted average) → concentrazione media per un giorno lavorativo di 8h e per
una settimana lavorativa di 40h, la sua definizione ha lo scopo di garantire buone condizioni di
lavoro in cui possa essere tutelata la salute di quasi tutti i lavoratori
TLV-STEL (short term exposure limit) → limite soglia per esposizioni di breve durata che ha la
finalità di proteggere i lavoratori dall'insorgenza di irritazioni, danni tissutali irreversibili o narcosi
di grado sufficiente ad aumentare il rischio di infortuni. Le esposizioni STEL non devono mai
superare i 15 minuti a non devono essere più di 4 in un turno di lavoro e tra le due esposizioni
successive devono intercorrere almeno 60 minuti
TLV-C (ceiling) → limite per esposizioni di breve durata rappresentato dalla concentrazione da non
superare mai durante l'esposizione lavorativa.
Per rilevare emissioni o fughe di sostanze inquinanti in uno spazio ristretto e per misurare
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l'esposizione professionale in operazioni di brevissima durata in cui non si può effettuare
campionamento di altro tipo si usano le “fiale rivelatrici”, tubicini di vetro riempiti con un supporto
inerte sulla cui superficie si trova un reattivo capace di reagire con la sostanza da misurare, dando
vita a prodotti colorati (il viraggio cromatico indicherà la presenza dell'inquinante, mentre la
concentrazione sarà proporzionale alla lunghezza del tratto che ha cambiato colore). Hanno come
limite le possibili interferenze tra le sostanze presenti nell'ambiente e quelle da ricercare
Monitoraggio biologico
Definito come la misura degli agenti tossici o dei loro metaboliti nei tessuti, secreti, escreti, aria
espirata o in ogni combinazione di queste matrici allo scopo di valutare l'esposizione ed il rischio
per la salute. Sostanzialmente se il monitoraggio ambientale costituisce la prima fase del processo
di prevenzione, il monitoraggio biologico rappresenta la seconda fase e la sorveglianza sanitaria la
terza.
Per quanto concerne i valori di riferimento, tutti i risultati vanno confrontati con degli indicatori
biologici nella popolazione generale non esposta per motivi professionali ad una determinata
sostanza tossica. Abbiamo
• Indicatori biologici di dose interna → per un corretto impiego è indispensabile considerare il
loro comportamento in rapporto alla durata dell'esposizione
◦ Indicatori di esposizione → quando la loro quantità è correlabile con la quantità di
sostanza presente nell'ambiente di lavoro (es. in caso di esposizione professionale al Pb,
esso viene assorbito e per il 90% si lega agli eritrociti, per la restante parte resta libero in
forma diffusibile (metabolicamente attiva). Ne deriva che la piombiemia, valutando le
concentrazioni del metallo nel sangue in toto i cui livelli ematici sono proporzionali alla
quantità presente nell'aria dell'ambiente di lavoro , è un indicatore di esposizione e non
di dose vera)
◦ Indicatori di accumulano → misurano la concentrazione di tossico accumulatasi
nell'organismo in determinati distretti da cui poi può essere rilasciata
◦ Indicatori di dose vera → valutano la quantità di sostanza biologicamente attiva presente
nel sito dove esercita i suoi effetti
• Indicatori biologici di effetto
◦ Indicatori di effetto subcritico → permettono di valutare l'effetto di una esposizione di
un tossico quando ancora non si sono verificate alterazioni cellulari
◦ Indicatori di effetto critico → evidenziano effetti biologici precoci potenzialmente
reversibili
Per un corretto impiego degli indicatori di dose interna è indispensabile considerare il loro
comportamento in rapporto alla durata dell'esposizione, infatti la stessa piombemia è valido
indicatore di esposizione solo se dosata surante o immediatamente dopo l'esposizione stessa,
viceversa i livelli di cadmio nelle urine sono correlabili con l'esposizione solo dopo mesi dall'inizio
dell'attività lavorativa, in quanto il metallo si lega dopo l'iniziale assorbimento alla metallotionina
epatica e solo quando essa è saturata il metallo viene reso disponibile in circolo. Altro aspetto
importante è il tempo di raccolta dei campioni biologici, in quanto per sostanze a rapida escrezione
(emivita < 5 h) è necessario effettuare il dosaggio alla fine del turno lavorativo, per quelli a lunga
emivita a fine settimana lavorativa. Il dosaggio dell'aria alveolare potrebbe essere utilizzato per
valutare l'esposizione professionale a sostanze volatili come i solventi, se la misurazione viene
effettuata durante il turno di lavoro il risultato è indicativo dell'esposizione istantanea, se invece
viene effettuata dopo 16h (inizio del turno successivo) sarà indicativo di accumulo.
I risultati del monitoraggio biologico vanno confrontati con i BEI (indici di esposizione biologici)
cioè le quantità di una sostanza o dei suoi metaboliti nelle matrici (tessuti, liquidi biologici).
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Ricorda → In germania si sono stabiliti BAT (quantità massima tollerabile nell'organismo umano
di una sostanza ad uso industriale o dei suoi metaboliti, per evitare effetti dannosi sulla salute dei
lavoratori) e gli EKA (indici di correlazione tra concentrazione atmosferica del cancerogeno e
valore limite degli indicatori biologici di esposizione, che permettono di valutare la dose assorbita
solo per via respiratoria)
Sorveglianza sanitaria
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◦ Visite mediche di avviamento al lavoro
◦ Visite mediche periodiche
◦ Visite mediche per presunta sopravvenuta incapacità al lavoro nella specifica mansione
Si avrà:
◦ Idoneità assoluta → assenza di condizioni patologiche o modifiche biologiche
◦ Idoneità parziale → possibilità a svolgere la mansione solo in presenza di fattori
associati al rischio professionale (uso di mezzi di protezione) di ridotta attitudine
individuale
◦ Non idoneità → temporanea o permanente, se sono presenti condizioni patologiche negli
organi impegnati nei processi di biotrasformazione dei tossici industriali o quando
l'espletamento della mansione è richiesto ad organi già menomati
Suscettibilità individuale
All'interno di una popolazione diversi individui rispondono in modo diverso all'esposizione a fattori
di rischio, per cui all'interno di essa potranno essere presenti soggetti ipersensibili e resistenti. I
principali fattori che condizionano la suscettibilità sono distinti in:
• Genetici → si parla di ipersuscettibilità congenita che si divide in
◦ Condizionata da fattori genetici → sono i principali responsabili di marcate differenze
quali e quantitative nella risposta a determinate sostanze, si distinguono metabolizzatori
lenti che biotrasformano una sostanza lentamente per cui aumenta il rischio di tossicità
da accumulo e reazioni avverse, rispetto ai soggetti normali o metabolizzatori rapidi in
cui potrebbe verificarsi un'inattivazione troppo precoce della sostanza
◦ Con manifestazioni idiosincrasiche → rappresentano le forme più classiche di
iperreattività congenita che si possono manifestare sin dalla prima esposizione o
▪ Con effetti tossici → da
• Ridotta sintesi di enzimi
◦ Anemia emolitica da deficit di G6PD → enzima importante per mantenere il
glutatione allo stato ridotto nelle emazie, per cui le sostanze che riducono i
livelli di GSH (Pb, NO, arsenico, ozono, derivati aminici o nitrici, benzene)
causano in questo caso una massiva emolisi
◦ Acatalasia → da deficit di catalasi, enzima che idrolizza l'acqua ossigenata in
condizioni fisiologiche, ma che in questo caso si accumula in seguito
all'esposizione a ozono o Hg provocando ulcere gangrenose soprattutto nel
cavo orale
◦ PAI (porfiria acuta intermittente) → da deficit di uroporfirinogeno sintetasi,
scatenate soprattutto dal Pb (che potenzia l'ALA-sintasi)
◦ Metaemoglobinemia → da deficit di metaemoglobina reduttasi, enzima che
mantiene il Fe allo stato ridotto nelle emazie per cui nitriti, idrocarburi
benzenici causano la reazione
◦ BPCO o enfisema → in soggetti con deficit di alfa1-antitripsina e dopo
esposizione a fumo di sigaretta o irritanti respiratori
• Sintesi di enzimi alterati →
◦ Apnea prolungata → causata da organofosforici in soggetti con alterata
prodzione di pseudo colinestersi
◦ Effetti mutageni cancerogeni → da esposizione a sostanze di tale tipo in
soggetti con alterazione del riparo del DNA
▪ Con mancata comparsa dell'effetto atteso
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• Acquisiti
◦ Da fattori fisiologici
▪ Peso corporeo → poiché il volume di acqua corporea è correlato alla massa
dell'organismo, il peso è una variabile che condiziona la risposta ad una sostanza, in
quanto a parità di dose di esposizione l'attività è maggiore nei soggetti magri
▪ Età → poiché nel bambino è ridotto il legame farmaco proteico, eventuali sostanze
assorbite sono più libere nel plasma e ridotta è la clearance renale, viceversa
nell'anziano aumenta la tossicità poiché si riduce l'attività del CYPP450 e diminuisce
la clearance renale
▪ Sesso → poiché nelle donne abbiamo una maggiore attività del CYP3A4
▪ Gravidanza → in quanto vi è un elevato rischio di teratogenesi e di tossicità
◦ Da fattori patologici
▪ Insufficienza epatica → riduzione dei processi di biotrasformazione
▪ Insufficienza renale → riduzione dell'eliminazione
▪ Insufficienza circolatoria → l'ipoafflusso d'organo diminuisce la clearance epatica e
renale
▪ Anemia → maggiore suscettibilità a sostanze mielotossiche
▪ Immunodeficit → ipersuscettibilità a pesticidi, metalli, radiazioni ionizzanti ed
immunosoppressori
◦ Da abitudini voluttuarie → interferenze con sostanze voluttuarie come fumo ed alcol.
Esempio l'alcol inibisce il CYP2E1 interferendo col metabolismo di alcuni tossici
industriali (xilene, stirene, tricloroetilene)
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via inalatoria si incrementa, mentre quello per via cutanea si riduce
• Peso molecolare → al suo diminuire si incrementa la capacità di superare le barriere
biologiche
• Coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua (COA) → esprime il grado di lipofilia, riflette la
capacità di un composto di superare le membrane ma anche di accumularsi negli organismi
dando vita al fenomeno della bioconcentrazione. In relazione alla solubilità in acqua e alla
lipofilia i solventi possono essere polari, apolari o bipolari
• Concentrazione di soglia del riconoscimento dell'odore (TOC) → tutti i solventi hanno un
odore caratteristico che va dall'aromatico dl benzene a pungente degli acidi o dello stirene.
Una bassa TOC può costituire una sorta di avvisatore di pericolo percepito dal lavoratore
• Densità relativa rispetto all'acqua (DRL) → esprime la tendenza di un solvente immiscibile
a restare in superficie o a depositarsi
• Densità relativa rispetto all'aria (DRV) → esprime la tendenza dei vapori di un solvente ad
accumularsi negli strati inferiori dell'atmosfera in uno spazio confinato (per cui con la DRL
permette di valutare la contaminazione degli ambienti di lavoro) ed aumenta col PM
• Punto di infiammabilità
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narcosi nonché irritazione con cheratocongiuntiviti chimiche, irritazioni bronchiali,
polmoniti chimiche . La potenza depressiva sul SNC decresce nell'ordine →
composti alogenati → eteri → esteri → acidi organici → alcoli → alcheni → alcani.
▪ Specifici → acidosi metabolica da metanolo, psicosi acuta da solfuro di carbonio
◦ Effetti cronici → l'esposizione prolungata nel tempo a basse dosi di numerosi solventi
causa effetti tossici soprattutto a carico di :
▪ SNC → toluene, solfuro di carbonio → amnesia, difficoltà di concentrazione,
irritabilità, affaticabilità, depressione e possibile evoluzione in degenerazione
cerebrale o cerebellare
▪ SNP → polinevriti sensitivo-motorie con riduzione della velocità di conduzione,
parestesie, astenia degli arti inferiori e poi superiori fino all'areflessia
▪ Fegato e rene → alcol etilico, triclorometano, tetraclorometano, tetracloroetilene ,
causano epatotossicità centrolobulare, il glicol etilenico causa uropatia con
formazioni di cristalli di ossalato di Ca che precipitano nel lume tubulare
▪ Cute e mucose
▪ Neoplasie
Nella maggior parte dei casi l'esposizione professionale è discontinua per cui la cinetica di
distribuzione comporta fluttuazioni complesse con maggiori concentrazioni tissutali durante la fase
espositiva ed una successiva diminuzione. Una condizione espositiva relativamente costante è
quella che caratterizza la popolazione generale. È noto infatti che: benzene, tetracloroetilene,
metilcloroformio, metiletilchetone sono inclusi nei VOC (volatile organic compounds), una
componente dell'aria quotidianamente inalata. Esse sono sempre quantificabili in ambiente indoor
ed outdoor di giorno e di notte sia nelle aree rurali sia nelle aree densamente abitate.
Oggi le patologie da solventi con intossicazioni acute si riscontrano solo in sporadici casi,
l'esposizione registrata si rivela a più sostanze, discontinua nel tempo e a basse dosi.
Patologie da metalli
I metalli sono elementi chimici solidi a T ambiente (ad eccezione del Hg), buoni conduttori di
elettricità e calore. Tali proprietà dipendono dal basso numero di elettroni negli orbitali più esterni,
per cui hanno una elevata tendenza a perderli formando ioni positivi. Sono distinti in:
• Metalli pesanti → se peso > 5 g/cm3
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• Metalli leggeri → se peso < 5 g/cm3
• Non metalli (Cloro, Iodio, Fosforo, Bromo)→ mancano di elettroni per completare lo stadio
esterno
• Semimetalli (Boro, Silicio, Arsenico)→ con caratteristiche intermedie
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◦ Mutageni e Cancerogeni
Patologia da Pb
Tutta la popolazione risulta esposta al piombo che è presente:
• Nell'aria
• Negli alimenti
• Nell'acqua potabile
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donne in età fertile).
Il Versene! È un chelante del piombo che serve come terapia del saturnismo e determinazione del
piombo urinario chelabile
Silicosi
Patogenesi
Le particelle di silice inalate penetrano nelle vie aeree e si distribuiscono in rapporto alle loro
caratteristiche aerodinamiche e alla densità:
• Particelle di 5-15 micrometri di diametro sono allontanate dalla clearance muco-ciliare
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• Particelle < 0,5 micrometri vengono espirate
• Particelle di 0,5-5 micrometri si depositano a livello bronchiolare ed alveolare e formano la
frazione respirabile della polvere. Le particelle con maggiore potere fibrogeno misurano
circa 0,5-0,7 micrometri, si depositano e richiamano i macrofagi alveolari che le fagocitano,
ma nei confronti dei quali sono propriamente citotossiche e di conseguenza, alterando la
clearance alveolare delle particelle stesse viene favorita la silicosi.
Entro 48h dalla deposizione, gran parte delle particelle sono fagocitate e si trovano all'interno dei
macrofagi alveolari che possono andare incontro ad apoptosi liberando ROS, enzimi lisosomiali,
ossidanti e nuova silice che amplifica in modo vizioso il circuito. Tali sostanze danneggiano sia gli
pneumociti di tipo II che la matrice parenchimale, i macrofagi carichi di polvere migrano poi per
via linfatica ai linfonodi ilari e parailari e vanno incontro a morte inducendo degenerazione fibrotica
e deposizione di sali di Ca (per cui all'rx abbiamo l'aspetto a guscio di uovo). I macrofagi ancora
viventi possono raggiungere in modo ameboide le vie aeree ciliate ed allontanare la silice o
amplificare la risposta infiammatoria richiamando neutrofili e fibroblasti che producono collagene e
quindi fibrosi. Nella patogenesi sono coinvolti anche i linfociti Th2 che si espandono e reclutano
cellule B
• In caso di esposizione intensa al silice si ha una silicosi acuta → iperplasia degli pneumociti
di tipo II e loro attivazione, che può determinare obliterazione dello spazio aereo ed
insufficiente clearance macrofagica (i macrofagi pur essendo numerosi sono insufficienti
rispetto al carico tossico per cui muoiono) → silico-proteinosi (oggi rara) che porta a morte
il paziente per una condizione di distress respiratorio, epato e splenomegalia
• In caso di esposizioni meno intense gli pneumociti attivati producono proteine del
surfattante e fosfolipidi favorendo la formazione di noduli silicotici
Anatomia patologica
• All'esame macroscopico → il polmone appare grigiastro, sono presenti noduli biancastri
lievemente rilevati, di consistenza dura e localizzati, in modo bilaterale, in sede apicale, la
pleura viscerale è ispessita e talvolta fusa con quella parietale, i linfonodi ilari sono
ipertrofici
• All'esame istologico → nodulo silicotico → i macrofagi e i neutrofili si accumulano
nell'alveolo inducendo flogosi e rilasciando prodotti che attivano i fibroblasti che
cominciano a deporre collagene intorno ad una zona centrale di cellule mononucleate, si
formano granulomi le cui cellule successivamente sono rimpiazzate da fibre reticolari e
collagene a disposizione concentrica formando il nodulo con 3 zone distinte:
◦ Esterna → fibre di collagene disposte in modo disordinato + scarsi elementi cellulari
(macrofagi carichi di silice, fibroblasi)
◦ Intermedia → fibre di collagene disposte concentricamente a velo di cipolla
◦ Centrale → acellulare ma ricca di fibre collagene ialinizzate
Ricorda che non bisogna mai confondere il follicolo silicotico definito da Mosinger
(lesione nodulare semplice di 0,5-2 mm di diametro) con il reperto radiografico di
immagini nodulari di 2-5 mm frutto della confluenza di più follicoli silicotici
Quadri clinici
• Silicosi nodulare pura →
◦ A decorso cronico semplice → la forma più classica, con decorso subdolo, a lungo
asintomatico e con comparsa dopo 20 anni di esposizione moderata e sopravvivenza
media di 40 anni. Sono presenti noduli di 1-10 mm + tosse secca + dispnea da sforzo +
emottisi
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◦ A decorso cronico complicato da fibrosi massiva progressiva → compare in soggetti a
dosi cumulative elevate nei quali i noduli confluiscono in masse di grosse dimensioni,
l'evoluzione più grave è verso l'ipertensione polmonare che può configurare un quadro di
cuore polmonare cronico
◦ A decorso acuto o accelerato → rara, compare in soggetti esposti ad alte quantità di
silice cristallina per 4-8 anni. I noduli sono più frequentemente isolati, e le cellule
alveolari vanno incontro a metaplasia cuboide. I sintomi respiratori sono precoci ed
invalidanti
◦ Proteinasi alveolare silicotica → particolarmente grave e porta rapidamente a morte per
ARDS (dispnea da sforzo poi a riposo, cianosi, tosse secca). rara
• Pneumoconiosi a polveri miste → a basso contenuto di silice, i noduli silicotici però sono
immaturi, privi di ialinizzazione o calcificazione e si riscontrano particelle di carbone, ferro
ed altri minerali
• Fibrosi polmonare diffusa
• Silicotubercolosi → azione sinergica tra silice e M. tubercolosis, in quanto il complesso
primario tubercolare interferisce con il drenaggio linfatico ed induce l'accumulo di polvere
che a sua volta riduce le capacità dei macrofagi che non sono più in grado di uccidere il
patogeno per cui se ne incrementa la virulenza
• Sindrome di Caplan → compare nei soggetti con artrite reumatoide esposti a silice
• Sindrome di erasmus → variante di silicosi associata a sclerodermia
Diagnosi →
• Raccolta anamnesi patologica e lavorativa
• E.O. Del torace con regioni apicali appianate, rantoli crepitanti, segni di cuore polmonare
cronico
• Prove di funzionalità respiratoria, normali nella fasi iniziali, ma col tempo possono
documentare un quadro di tipo restrittivo
• Emogasanalisi → che documenta ipossiemia in fase avanzata
• RX del torace che permette la diagnosi di silicosi quando si riscontrano opacità nodulari
rotondeggianti dei lobi superiori bilaterali
DD va fatta con tubercolosi, cancro del polmone, fibrosi interstiziale idiopatica, sarcoidosi,
asbestosi
Pneumoconiosi da carbone
Carbone è il nome generico di un combustibile solido formato da residui di sostanze fossili vegetali
che dopo essere state coperte da roccia sedimentaria, isolate dall'aria e sottoposte a pressione e
calore sono state convertire in composti ricchi di carbonio.
Le particelle di carbone di diametro tra 0,5-5 micrometri possono raggiungere i bronchioli
respiratori e gli alveoli ed ivi depositarsi, vengono inglobate dai macrofagi alveolari per essere
allontanate con la clarance muco-ciliare o raggiungono l'interstizio e si riversano nei vasi linfatici
peribronchiali determinando pneumoconiosi.
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• Microscopicamente → coal dust o anche detto nodulo carbonioso interstiziale, cioè lesione
interstiziale di forma irregolarmente stellata e con diametro di 0,5-3mm, conseguente
all'accumulo sia di particelle libere che fagocitate
La dd con la silicosi consiste nel fatto che nella pneumoconiosi da carbone mancano i noduli
silicotici ed il collagene è simile alla placca ialina dell'asbestosi.
Asbestosi
Con il termine asbesto non si intende un unico materiale, ma un gruppo di silicati idrati di Mg che si
dividono in:
• Asbesti di serpentino → le fibre di amianto di serpentino hanno una lunghezza fino a 5 cm e
diametro tra 0,7 e 1,5 micrometri
• Asbesti di anfibolo → lunghezza fino a 8 cm e diametro fino a 4 micrometri
hanno in comune la struttura chimica, l'alta resistenza alla trazione, l'elevata flessibilità e il potere
coibente.
Patogenesi
Le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più grandi
vengono eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei
bronchioli respiratori dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che
porterà all'insorgenza di fibrosi polmonare che è alla base dell'asbestosi. Non tutti i macrofagi
sopravvivono al contatto con le fibre di amianto, alcuni vanno incontro a citolisi, altri inglobano le
fibre e rilasciano fattori di crescita per le cellule, soprattuto fibroblasi e produzione di fibronectina.
Macrofagi, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo infiammatorio
che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell'asbestosi.
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• Tosse secca
• Toracodinia → dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche
• Alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione ossiemoglobinica, riduzione
dell'ipossiemia, cianosi
• Atelettasia per ispessimento della pleura viscerale
• Mesotelioma (80%) → ha una lunghissima latenza dai 15 ai 40 anni dall'esposizione, ci
aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma per gli ex esposti
• Placche pleuriche → Sono ispessimenti circoscritti che interessano esclusivamente la pleura
parietale (diaframmatica compresa); sono di norma multiple, bilaterali, talvolta
simmetriche, hanno estensione e spessore variabili, risparmiano apici e seni costofrenici e
possono calcificare. Sono un reperto frequente in una popolazione professionalmente
esposta (riscontrabile in un follow up di 30 anni fin nel 50% dei soggetti). Generalmente vi
è un periodo di latenza piuttosto lungo tra inizio dell’esposizione e comparsa delle placche
(dai 10 ai 30 anni). Non è stata dimostrata alcuna correlazione con i livelli di esposizione.
Al contrario, la comparsa delle placche sembra più correlata alla durata dell’esposizione che
alla dose. Placche pleuriche sono descritte anche in relazione a livelli di esposizione
relativamente bassi (esposizioni ambientali). Le placche pleuriche bilaterali localizzate alla
pleura parietale costituiscono una lesione abbastanza specifica da amianto.!
Diagnosi
• Esame metodologico → la differenza tra un esame semeiologico fatto in fase avanzata di
esposizione rispetto ad un esame fatto nei primi due anni è questa: a livello auscultatorio e
percussorio abbiamo assenza completa di rumori in fase iniziale, nelle fasi avanzate si
ascoltano rantoli migranti (perchè presenti su tutti gli ambiti polmonari), crepitii su tutti gli
ambiti polmonari. (domanda d'esame!)
• Prove di funzionalità respiratoria → esame spirometrico
• In fase più avanzata posso fare
◦ Test di diffusione polmonare di CO
◦ Esame dell'espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti
◦ Fibrobroncoscopia
◦ Rx → viene utilizzata la classificazione dell'ILO (International Labour Office) secondo
la quale le fibre che si manifestano come opacità lineari a livello dell'esame radiografico,
vengono distinte a seconda del diametro. Le fibre con opacità di diametro fino a 1,5 mm
sono classificate con lettera S, tra 1,5-3 mm con lettera T, tra 3-10 mm con lettera o
◦ HRTC → tomografia computerizzata ad alta risoluzione , da la possibilità di notare
anche placche pleuriche ed ispessimento a livello della pleura parietale che si verifica
dopo 15-20 anni dall'esposizione all'amianto
Mesotelioma pleurico
Fino agli anni 60 era un tumore maligno considerato molto raro; si erano avuti dei casi manifestatesi
in Africa quindi non se ne aveva conoscenza in Europa. Le prime indicazioni minime sono arrivate
in Europaverso gli anni 50-60: si pensava che il mesotelioma fosse un tumore secondario non
primario, derivante da un adenocarcinoma primitivo. I mesoteliomi che più frequentemente si
osservano collegati nel 95% dei casi all’esposizione all’amianto sono mesoteliomi di tipo epiteliale,
che comunque hanno una tempistica dalla scoperta del mesotelioma al decesso di brevissima durata
ma che fortunatamente rappresentano il 50% rispetto a quelli completamente indifferenziati, a
decesso ancora più rapido che rappresentano il 10% del totale.
Si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1000000; in Europa è previsto un rapporto
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maggiore per i maschi che per le femmine; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione
a fibre di asbesto e nel 20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare che ne è stato esposto.
Dal punto di vista epidemiologico, studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore
determinante l’insorgenza del mesotelioma nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma
il tempo trascorso dalla prima esposizione. È la latenza dalla prima esposizione che fa la differenza
nell’insorgenza.
Altre forme di mesotelioma non a livello della pleura ma a livello di altre sierose sono meno
frequenti ma sono comunque state osservate negli anni e negli ex esposti all’amianto con i loro
familiari: a livello peritoneale, del pericardio, della tunica vaginale . Oggi con la Medicina del
lavoro della SUN è in corso proprio un progetto sui tumori ovarici collegati all’esposizione
all’amianto di donne che ne sono venute a contatto tramite operai esposti fino al 1992.
La sorveglianza sanitaria prevede una Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico
e qualora si abbia una positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame
dell’espettorato). Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGH (ente americano
preposto ai valori limite per l’esposizione a sostanze chimiche per i lavoratori) si può prevedere
un’esposizione (questo vale solo per quelli che lo smaltiscono che sono esposti all’amianto in
condizioni di iperprotezione, utilizzo dell’unità UFP e utilizzo dello scafandro, che vedete che
utilizzano anche le persone esposte all’Ebola) di 0.1fibra per cm3. (cm3 è l’unità di misura che si
utilizza in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova eventualmente a inalare queste
fibre).
Varie segnalazioni anche se rare di mesotelioma si erano manifestate già nei primi anni del 900. Nel
1991 si è avuto il primo decreto legge che parla di regolamentazione dell’esposizione all’amianto.
Nel 1992 l’amianto è stato eliminato. Grazie alla classificazione della IAC (ente preposto al
raggruppamento delle sostanze chimiche cancerogene per l’uomo), nel 1992 con il DL 257
l’amianto è stato eliminato da tutti i processi lavorativi, vietandone l’utilizzo, l’importazione e
l’esportazione. In tutte quelle che sono le attività di protezione e prevenzione del datore di lavoro è
necessario e obbligatorio prevedere una manutenzione di eventuali costruzioni a base di amianto.
Non sempre l’amianto presente negli edifici può essere causa di concentrazioni nell’atmosfera per
le persone che si trovano ad inalarlo. Il problema amianto è molto presente nelle nostre scuole
(recentemente è stata chiusa una scuola, poi riaperta, ai Colli Aminei perché non era sottoposta
periodicamente a questi controlli relativi alla misurazione ambientale di fibre amianto). Non tutti gli
edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli che sono sottoposti più
facilmente a vibrazioni, in quelli dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle
pareti o
se sono in condizioni di non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente
disperdono nell’aria le fibre amianto).
Un datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni di istallazione dell’edificio
e monitoraggio ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto
disperse nell’edificio. Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffatrometria,
spettrometria) che vanno ad analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, vengono
messe su dei vetrini, conteggiate e quantizzate tramite queste metodiche. Con il DL 257 oltre a
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stabilire un valore limite di esposizione per coloro che vengono a contatto con le fibre di amianto,
sono state date delle indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici a
base di amianto. Il DL 257/1992 prevede tre fasi ai fini dell’eliminazione dell’amianto dagli edifici :
rimozione, incapsulamento e confinamento. La rimozione è una tipologia di eliminazione delle fibre
di amianto che prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di fibre; rappresenta un rischio
molto elevato per gli addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli che smaltiscono questa grossa
quantità di fibre. È una pratica che da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro
non viene realizzata perché determina una grossa emissione di fibre e non rispecchia il principio di
protezione e prevenzione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo
l’esposizione. Incapsulamento e confinamento sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate
in tutti gli edifici per rimuovere, eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di
amianto. Vengono utilizzati dei prodotti chimici che vanno ad adsorbire le fibre, ad esempio si
utilizzano delle pellicole di protezione nelle stanze dove è più presente la dispersione rispetto alle
altre. I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la permanenza del materiale di amianto
nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di manutenzione viene fatto ogni anno. Se
questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche vengono fatti ogni anno si può anche
lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una manutenzione periodica. Infine il
confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree, nelle stanze dove è più presente
l’amianto rispetto a quelle in cui non c’è.
Il decreto Ruocco successivamente modificato dal DL 8/11/1997 ha previsto una legislazione
dedicata allo smaltimento dei rifiuti che contengono amianto, per evitare la dispersione delle fibre
nell’aria. I decreti legge che tutelano l’esposizione all’amianto esistono ma non vengono
completamente rispettati. Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in
merito all’amianto.
CASO CLINICO
Lavoratore di 74 anni, inviato al pronto soccorso dal medico curante per un riscontro casuale
aspecifico di crisi ipertensiva.
Anamnesi fisiologica: nella norma. Nega fumo, alcol e assunzione di farmaci. Alimentazione
regolare.
Anamnesi patologica remota: CEI (comuni esantemi infantili), appendicectomia a 16 anni e
un’erniectomia inguinale a 46 anni. Lamenta episodi saltuari e recidivanti di bronchite da quando
era giovane.
Anamnesi patologica prossima: forte astenia, dispnea da sforzo, forti palpitazioni, inappetenza e
perdita di peso di 5kg negli ultimi due mesi.
Anamnesi lavorativa: dall’età di 18 anni fino a 25 anni attività di operaio edile prima in
un’acciaieria del litorale flegreo e in seguito è stato addetto alla coibentazione di tetti, case, edifici a
scopo domestico. Da 15 anni riferisce di essere in pensione.
E.O: assenza di murmure vescicolare, PA con una massima borderline e minima nella norma, FC
140, buona saturazione di O2.
ECG: nella norma. Spirometria: sindrome disventilatoria di tipo misto, con prevalente componente
restrittiva. In fase avanzata di una pneumoconiosi la riduzione dei volumi polmonari determina un
quadro spirometrico di tipo restrittivo. RX torace: calcificazioni di tipo lamellare lungo tutto la
pleura. HRTC: placche pleuriche.
Fatta la diagnosi si procede con le altre indagini (toracocentesi) che vanno a confermare il
mesotelioma pleurico.
Dal 2008, nell’ambito degli agenti di rischio trasversali, lo stress da lavoro viene riconosciuto per la
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prima volta come agenti di rischio a tutti gli effetti. Lo stress da lavoro è una condizione definita
come un insieme di reazioni fisiche ed emotive, non commisurate alle capacità e risorse provenienti
dall’esterno. Lo stress viene studiato in medicina del lavoro perché condizioni di stress insorte sul
lavoro sono facilmente correlate agli infortuni quindi ridurre lo stress significa ridurre gli infortuni.
Lo stress è il secondo problema di salute in Europa, secondo alle problematiche muscolo-
scheletriche. Interessa quasi un lavoratore su quattro. L’accordo quadro europeo nel 2004 già aveva
riconosciuto lo stress come agente di rischio professionale. In Italia solo nel 2008 è stato
riconosciuto come tale ed è stato inserito nel DL 81/2008. Il riconoscimento dello stress da lavoro
era stato fatto dalla legislazione europea per accrescere la consapevolezza e la comprensione dello
stress da parte delle autorità, dei lavoratori e dei
loro rappresentanti. L’accordo europeo offriva un quadro di riferimento per individuare le linee per
gestire le problematiche correlate allo stress da lavoro. L’accordo europeo definiva lo stress come
un insieme di sintomi fisici, psichici e sociali, non inteso come malattia ma come segnale di
malattia che può derivare qualora a livello lavorativo non vengano effettuate le dovute misure di
protezione e prevenzione atte a ridurre al minimo tali manifestazioni. Nell’articolo 28 del DL
81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo stress
presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei
lavoratori e della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono
stressati per motivi lavorativi. Quindi nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo
stress ma non veniva detto come. La circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico
che rappresenta il livello di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di
lavoro. La valutazione dello stress viene fatta in due fasi: una valutazione preliminare e una
valutazione eventuale. Nella valutazione preliminare (obbligatoria) si vanno a valutare degli
indicatori oggettivi. Il datore di lavoro nella fase preliminare o obbligatoria deve fare un’analisi
statistica degli indici di infortuni presenti in quell’azienda, valutare il numero di assenze per
malattia, il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto delle leggi sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro. Oltre a questo, deve andare a valutare degli indicatori di contesto e contenuto.
Viene proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande. Queste
domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto
ai compiti a cui deve assolvere,se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori
sono adeguati. La fase preliminare significa quindi proporre check-list e andare a valutare il numero
di infortuni e malattie perché questo percorso metodologico prevede di capire se ci sono soggetti
stressati che si assentano facilmente per motivi derivati dallo stress. Con queste check-list che si
propongono si va a verificare se il lavoratore è soddisfatto della sua ambientazione lavorativa, dei
suoi rapporti interpersonali e del suo ruolo nell’organizzazione. L’ultima famiglia di indicatori che
si vanno a valutare sono quelli di contenuto lavorativo. Vengono fatte delle domande,ad esempio :
l’illuminazione nella stanza dove lavori è sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue
conoscenze? Com’è la sedia? Tutta questa parte preliminare permette tramite l’analisi di eventi
esterni (numero di infortuni, numero di malattie denunciate, numero di segnalazioni da parte del
medico competente nonché indicatori di contesto e indicatori di contenuto) permette di fare lo
screening preliminare per capire se siamo in un rischio basso di stress lavoro correlato o meno. D: la
valutazione dello stress viene fatta anche per noi studenti? R: la valutazione dello stress nell’ateneo
viene fatta non a tutti, ma a gruppi. La proposta della check-list viene fatta a campione. Esempio:
industria meccanica ha diverse sezioni, a gruppi di 4-5 in base al numero totale vengono proposte
queste check-list per quantizzare questi indicatori. L’esito negativo significa che abbiamo fatto le
check-list a campione nei vari settori, ed è stata espressa una percentuale. Se questa percentuale è
uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza particolari condizioni di
disorganizzazione lavorativa. Non c’è stress. La legge prevede che la rivalutazione si faccia dopo 24
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mesi in maniera obbligatoria. Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio che va dal 25
al 50%, immediatamente il datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali,
organizzativi e strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress nei
lavoratori. C’è un anno per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato
psicologico del lavoratore. Dopo un anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito. Se
l’esito è ancora positivo si passa alla fase
eventuale, seconda fase. Si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo
programma il datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del
lavoro che ha la competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari stress
lavoro correlati. I questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito. La fase eventuale è
obbligatoria e prevede la somministrazione di questionari ad personam. Nella proposta di
questionari ad personam, siamo in fascia medio o alta, entrano in gioco una serie di interventi non
solo a livello strutturale, organizzativo e ergonomico ma si parla di soluzioni terapeutiche
all’individuo, quindi si può arrivare alla proposta di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune
realtà industriali grandi attivano uno sportello fatto da persone competenti dove il lavoratore
stressato va e segue il suo percorso. La legge prevede che dal momento in cui si scopre al momento
in cui si deve risolvere ci siano tutti gli strumenti per eliminare la problematica di stress lavoro
correlato. Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore
stressato. È previsto che il medico del lavoro nell’ambito della sorveglianza sanitaria, da medico
scopra eventuali condizioni di disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica. La
sorveglianza sanitaria viene proposta come occasione per scoprire delle situazioni di disagio
psicologico da segnalare al datore di lavoro. Considerato che il DL 81/2008 alla voce stress
prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc per il mobbing e per il burnout, parlare di mobbing
significa parlare di un’attività persecutoria che in quanto tale può portare all’espulsione del
lavoratore dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso
sfociano in vere e proprie malattie. In psichiatria c’è una classificazione con la quale si parla del
“disturbo post-traumatico da stress” e “disturbo da disadattamento lavorativo”. Solo queste due
condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul territorio preposto al risarcimento da malattia
professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore ha sviluppato “disturbo post traumatico da
stress lavorativo” e “disturbo da disadattamento lavorativo”, indennizza il lavoratore; quindi non il
mobbing né lo stress lavoro correlato, ma patologie psichiatriche sono quelle riconosciute associate
a problematiche come il mobbing e il burnout che l’INAIL eventualmente riconosce. Oggi sono
pochissime le malattie professionali riconosciute da agenti di rischio trasversale e quindi da stress
lavoro correlato. Lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato
coinvolgimento lavorativo o hanno ridotte capacità lavorative. Soggetti bersagliati sono quelli
“diversi”: lavoratori immigrati oppure soggetti con disabilità hanno una soglia individuale più
bassa, sono ipersuscettibili a malattie come il mobbing. Le conseguenze sulla salute sono
inizialmente: cefalea,ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione. In seguito si associa a queste
patologie una vera e propria patologia d’organo. Ecco perché rientrano nel disturbo di adattamento
o nel disturbo post traumatico da stress, che sono le uniche riconosciute dall’INAIL. La sindrome
del burnout è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure professionali d’aiuto.
Nonostante siano state date nuove definizioni del burnout che la classificano come una patologia
che si manifesta con il deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro, in tal senso
farebbero rientrare nella definizione anche non solo figure d’aiuto. Generalmente si parla del
burnout come di una patologia che colpisce figure d’aiuto: educatori, insegnanti, medici, poliziotti,
vigili del fuoco, carabinieri, sacerdoti, operatori assistenziali, psichiatri, psicologi. Queste figure
sono caricate da una duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la persona che
viene assistita. In percentuale la categoria più a rischio è rappresentata dal settore degli insegnanti e
dai video terminalisti che lamentano tutta una serie di fattori di malessere (attività lavorativa
monotona).
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Se non opportunamente trattati sfociano nella fase finale del burnout di logoramento psico-fisico
che è l’apatia. Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:
• Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;
• Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la
possibilità di realizzarle nell’ambiente lavorativo;
• Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;
• Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che
viene definita vera e propria “morte professionale”.
Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi
come in futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.
Sono affezioni multifattoriali dove le particolari mansioni lavorative, con posture inadeguate,
giocherebbero un ruolo concausale. Tra tali affezioni ricordiamo
• Low back pain → lombalgia cronica nella maggior parte dei casi conseguente ad un'ernia
discale
• Cumulative trauma disorders → sindromi del distretto cervico-brachiale, caratterizzate da
affaticamento, impaccio, disabilità o dolore persistente a carico di articolazioni, muscoli,
tendini e tessuti molli
• Affezioni agli arti superiori → movimenti ripetitivi, sindromi da overuso
I principali meccanismi con cui una condizione di lavoro diventa elemento di rischio per la salute
sono
• Sovraccarico meccanico
• Movimentazione manuale dei carichi
• Posture fisse o protratte
Tramite il rapporto peso sollevato/peso massimo sollevabile ricaviamo l'IS (indice di sollevamento),
in base al quale l'operazione sarà accettabile se < 1 o inaccettabile in caso contrario. Bisognerà
considerare i seguenti aspetti
• Il sovraccarico meccanico ha documentato un ruolo nell'insorgenza di danno da
movimentazione manuale
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• L'ernia discale e la discopatia, ma non l'artrosi, rappresentano il terreno di fondo su cui
interviene il danno lavorativo
In generale il medico competente formulerà solo un giudizio di sospetto di malattia professionale
se ricorrono contemporaneamente elementi di
• Esposizione → almeno 5 anni di esposizione a indici di sollevamento > 6 o 10 anni ad indici
>3
• Danno → protrusione o ernia discale
Posizioni di lavoro tendenzialmente fisse e protratte
Il mantenimento di posizioni di lavoro erette sostanzialmente fisse può interferire con il processo
nutritivo dei dischi intervertebrali lombari, innescando precocemente il processo degenerativo.
Sappiamo infatti che il disco viene nutrito attraverso giochi pressori che inducono il passaggio di
sostanze per diffusione, ne deriva che posizioni protratte tali da far persistere condizioni di
sottocarico o sovraccarico comportano dopo poche ore un arresto del ricambio per diffusione, con
conseguente sofferenza discale.
I soggetti più esposti sono impegnati in:
• Lavoro in catena di montaggio
• Confezionamento di indumenti
• Guida professionale di automezzi
Sarà necessario effettuare delle alternanze per almeno 5-10 minuti ogni ora al fine di evitare il
danno da postura prolungata, le posture più sfavorevoli sono la posizione protratta senza schienale
che supporti il tronco, posizione seduta con rachide ed arti superiori supportati
I gesti lavorativi compiuti con gli arti superiori possono divenire elemento di rischio quando
• Sono frequentemente e rapidamente ripetuti per lunghi periodi del turno di lavoro
• Richiedono sviluppo di forza manuale
• Non sono alternati con adeguati periodi di recupero e riposo
Tali elementi inducono la CTD (patologia da sovraccarico degli arti superiori). Il quadro risultante è
dominato dall'affaticamento cronico dei muscoli e dall'irritazione meccanica di tendini e strutture
peritendinee, con possibile coinvolgimento delle guaine. Tra tali sindromi ricordiamo:
• Radicolopatia spinale → parestesie alle mani, ipoestesie degli arti superiori in presenza di
dolore alla pressione delle apofisi cervicali
• Sindrome del tunnel carpale → disturbo canalicolare da compressione del nervo mediano
con parestesie
• Sindrome di De Quervain → dolore nella tabacchiera anatomica e test di Finkeinstein
positivo
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• Manovre di dolorabilità (punti di valleix)
• Manovre che valutano alterazioni della distensibilità muscolo tendinea del rachiede e di
irritazione nervosa
La prevenzione prevede:
• Movimentazione manuale dei carichi → ausili meccanici, automatizzazione dei processi più
gravosi dell'operazione
• Movimenti ripetitivi e posture fisse → automazione dei processi, utilizzo di strumenti di
lavoro più ergonomici
La prevenzione secondaria invece sarà garantita dai controlli sanitari, infatti i lavoratori
potenzialmente esposti a condizioni di sovraccarico muscolo-scheletrico sono soggetti a controlli
sia pre-impiego che periodici
Il posto e l'ambiente di lavoro che comprendono VDT devono essere correttamente progettati e
sottoposti a controllo/manutenzione per evitare lo sviluppo di patologie. Gli impianti di
illuminazione mirano a rendere ben visibile quanto circonda il soggetto, per rendere congrue le
condizioni illuminotecniche di un determinato luogo di lavoro bisogna quindi considerare
• Tipo di illuminazione → lampada a luce fredda o calda
• Flusso luminoso → energia luminosa emessa/tempo espressa in lumen
• illuminamento → flusso per superficie espresso in lux
• Intensità luminosa → espressa in candela
I livelli di illuminazione raccomandati variano a seconda dei compiti visivi e sono
• 200-300 lux → compiti semplici
• 500-700 lux → esigenze elevate
• > 2000 → compiti di notevole difficoltà
Si considera addetto al videoterminale quel lavoratore che lavora al computer almeno 20h alla
settimana.
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Spesso in ambiente di lavoro con VDT coesistono due condizioni di rischio e cioè l'illuminazione
inadeguata e un'attività ad elevato impegno visivo, ne deriva la necessità di realizzare un buon
condizionamento ambientale in grado di ridurre il calore prodotto dalle macchine e dai CDT,
garantire ricambi d'aria, ridurre gli inquinanti aerodispersi ed adeguare l'illuminazione artificiale e
naturale.
L'ergonomia è una metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro, ha come
obiettivo quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l'ambiente all caratteristiche
psico-fisiche del lavoratore (DL 81/08). Il concetto di ergonomia è molto importante in quanto le
patologie che possono insorgere durante un lavoro non ergonomico possono essere molteplici
• Tendiniti, borsiti
• Epicondiliti, trocleiti
• Sindrome del tunnel carpale
La legge 422 del 2000 ha modificato il concetto di monte-ore cioè con questa legge si identifica un
lavoratore al videoterminale non solo quello che utilizza il computer per 4h al giorno per un totale
di 20h alla settimana ma anche quello che utilizza un videoterminale in maniera non continuativa
per un totale di 20h alla settimana (un giorno 6h, un giorno 3h etc). Un altro concetto espresso da
questa legge sono le pause lavorative, i lavoratori sono obbligati a fare una pausa di 15 minuti ogni
2 h di applicazione continuativa al VDT
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concavità e convessità della colonna vertebrale
◦ Poggiapiedi non obbligatorio ma può essere richiesto (esempio da una donna in
gravidanza)
◦ Distanza di 50-70 cm dal pc, con sedia più alta rispetto al monitor (lo spigolo del
monitor deve stare più in basso della visuale che passa tra occhi ed orizzonte)
◦ Cavi lontano (possono far inciampare il lavoratore)
• Adeguato microclima
Il medico del lavoro valuta con questionari random a tutti i lavoratori le condizioni di ergonomia e
di stress, se questo è positivo si passa alla fase soggettiva dove viene proposto un questionario ad
personam, è il datore di lavoro con l'aiuto del medico del lavoro o dello psicologo a preparare questi
questionari
Lo stress da lavoro correlato → può essere definito come l'insieme di reazioni fisiche ed emotive
dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle
capacità, risorse o esigenze del lavoratore. Può influire negativamente sulle condizioni di salute e
provocare infortuni (interessa 1 europeo su 4). La valutazione dello stress lavoro correlato si
articola in due fasi:
• Una preliminare (necessaria) → rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili ove
possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a 3 distinte famiglie:
◦ Assenze per malattia
◦ Indici infortunistici
◦ Segnalazioni del medico competente
◦ Frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori
La valutazione deve consentire di quantificare il livello di rischio secondo una scala
parametrica basso/medio/alto, se la valutazione non rileva elementi di rischio da stress
• Una eventuale → da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di
rischio da stress e le misure di correzione adottate risultino inefficaci
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di ascolto
Principali fattori di stress nel lavoro:
• Rapporto conflittuale uomo-macchina → quando la macchina è difficile da usare, quando
può perdere dati
• Lavoro monotono e ripetitivo
• Carico di lavoro troppo elevato o troppo scarso
• Responsabilità troppo alta o troppo bassa
• Rapporti conflittuali con i colleghi
• Rumori, spazi inadeguati
La sorveglianza sanitaria non costituisce una misura di elezione in tutte le situazioni di stress
lavoro-correlato, andando invece privilegiati gli interventi sull'organizzazione del lavoro
Soggetti colpiti
• Ogni lavoratore, indipendentemente dalle caratteristiche della propria personalità e del
proprio carattere, può essere oggetto di molestie morali. Tuttavia, oltre alla soglia
individuale di resistenza alla violenza psicologica, alcune caratteristiche personologiche o
situazionali possono favorirne l’insorgenza o la diffusione.
• Sono potenziali bersagli soprattutto: • lavoratori con elevato coinvolgimento nell’attività
svolta, o con capacità innovative e creative;
• Soggetti con ridotte capacità lavorative o portatori di handicap collocati obbligatoriamente
nel posto di lavoro, ma osteggiati dal datore di lavoro, dal preposto, dai nuovi compagni di
lavoro;
• diversi” sotto vari punti di vista e tratti socio-culturali (provenienza geografica, religione,
abitudini di vita, preferenze sessuali).
• Lavoratori rimasti estranei a pratiche illecite e/o irregolari di altri di colleghi.
Tenendo conto della sistematizzazione nosografica del DSM-IV, le conseguenze sulla salute che
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possono derivare da una condizione di mobbing dovrebbero essere comprese nell’insieme definito
“Reazioni ad Eventi”. Tali reazioni includono:
• Disturbo dell’adattamento (DA)
•Disturbo acuto da stress (DAS)
•Disturbo post-traumatico da stress (DPTS)
• Secondo alcuni è opportuno includere anche il DAS fra i principali quadri sindromici prodotti da
una condizione di mobbing, poiché, sulla base della loro esperienza, esiste la possibilità che, in un
arco di tempo limitato (inferiore ai sei mesi), si manifestino condizioni di mobbing che determinano
non soltanto manifestazioni patologiche acute, ma anche postumi permanenti. In tal caso si potrebbe
considerare il DAS dovuto a mobbing come un possibile esordio del DPTS con potenziali caratteri
di reversibilità, laddove sia possibile intervenire in tempo emendando la condizione di mobbing, o,
viceversa, come un caso conclamato di DPTS, laddove la condizione di mobbing persista.
Burnout
La sindrome da burnout è l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che
esercitano professioni di aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi
eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere.
Maslach e Leiter (2000) hanno meglio chiarito le componenti della sindrome attraverso tre
dimensioni:
• deterioramento dell'impegno nei confronti del lavoro,
• deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro ed
• un problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di
quest'ultimo.
In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d'aiuto ma
probabile in qualsiasi organizzazione di lavoro.
Chi colpisce?
Il burnout interessa educatori, medici, poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri, sacerdoti
,infermieri, operatori assistenziali, tecnici di radiologia medica, psicologi, psichiatri, educatori
professionali in case psichiatriche protette, assistenti sociali, fisioterapisti, medici ospedalieri,
ostetriche, studenti di medicina, responsabili e addetti a servizi di prevenzione e protezione,
personale della protezione civile, operatori del volontariato, ecc. Queste figure sono caricate da una
duplice fonte di STRESS: il loro stress personale e quello della persona aiutata.
Cosa comporta
•Ne consegue che, se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento
processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità
per sostenere e scaricare lo stress accumulato ("burnout" in inglese significa proprio "bruciarsi").
• Comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al
cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale.I soggetti colpiti
• Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con
entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché
una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. Il burnout si
accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come
l'insonnia, psicologici come la depressione. I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale,
ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l'abuso di alcol, di sostanze psicoattive
ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.
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Le fasi del burnout
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo 4 fasi.
1) preparatoria, è quella dell'entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di
tipo assistenziale.
2) (stagnazione) il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi
conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed
il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.
3) (frustrazione) il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di
insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso
tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente
atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
4) (apatia) l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia
subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale".
• A LIVELLO INDIVIDUALE:
Atteggiamenti negativi verso i clienti/utenti •
Atteggiamenti negativi verso se stessi •
Atteggiamenti negativi verso il lavoro •
Atteggiamenti negativi verso la vita •
Calo della soddisfazione lavorativa •
Calo dell'impegno verso l'organizzazione •
Riduzione della qualità della vita personale •
Peggioramento dello stato di salute
•A LIVELLO ORGANIZZATIVO:
•Aumento dell'assenteismo •
Aumento del turnover
•Calo della performace
•Calo della qualità del servizio
•Calo della soddisfazione lavorativa
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• Industria metalmeccanica
• Industria per costruzioni
• Industria estrattiva
• Industra biochimica
L'apparato uditivo ha la funzione di trasformare un segnale meccanico (onde sonore) in elettrico che
attraverso il nervo acustico raggiunge il cervello e da luogo alla sensazione sonora. Le strutture
sono
• Orecchio esterno → formato da padiglione auricolare, timpano, condotto uditivo e raccoglie
le onde sonore convogliandole verso l'orecchio medio
• Orecchio medio → tuba di eustachio, staffa, incudine e martello che dalla membrana del
timpano trasmette alla finestra ovale l'energia sonora
• Orecchio interno o coclea → la coclea ha due ruoli
◦ Trasmissione del suono → tramite la finestra ovale all'epitelio ciliato dell'organo del
corti
◦ Trasduzione del suono → l'energia sonora è trasformata in impulsi elettrici a livello del
nervo acustico
Quadri patologici
Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell'organo del Corti con
una ipoacusia neurosensoriale irreversibile, le prime strutture ad essere danneggiate sono le cellule
ciliate esterne in cui si ha frammentazione delle ciglia fino alla scomparsa ed una rottura della
membrana cellulare con sostituzione con cellule di sostegno. Per esposizioni a rumori che hanno un
livello costante si osservano alterazioni prima di tipo metabolico-funzionale poi di tipo metabolico-
morfologico, mentre per i rumori impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche più
precoci. In linea generale possiamo dire che il peggioramento dell'udito non è lineare ma il soggetto
inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con progressione anche molto veloce di danno per
i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non cambi l'attività
lavorativa con esposizione ad altro tipo di rumore
• Quando vi è una esposizione ad un rumore che è superiore a 140 Db si causa un dolore
immediato a carico dell'apparato uditivo, nei casi più gravi anche rottura della membrana
timpanica con danno a carico delle cellule ciliate, la lesione in questo caso è sempre
monolaterale in quanto la testa fa da schermo per l'altro orecchio → evenienza rara nei
luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio e non malattia professionale (es. scoppio
di una caldaia). Generalmente nei casi più favorevoli c'è restitutio ad integrum
• Quando vi è una esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile come
un'esposizione ad 80 Db per circa 8h al giorno per molti anni, se non adeguatamente
accompagnata da dispositivi di protezione individuale causerà una ipoacusia da trauma
acustico cronico classificata in più fasi:
◦ Fatica uditiva (o spostamento temporaneo della soglia uditiva) che si traduce in un calo
dell'udito la cui entità è proporzionale all'intensità del rumore ed al tempo di
esposizione. Si distinguono due tipi di fatica uditiva:
▪ STS2 → fisiologica, si misura dopo 2 minuti dall'esposizione al rumore ed ha durata
di 16h, identifica un'innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livello normali, i
rumori industriali provocano una STS2 sulle frequenze di 3000-4000 Hz
▪ STS16 → patologica, permane anche oltre le 16h dall'esposizione allo stimolo
acustico perchè l'orecchio di un soggetto esposto cronicamente al rumore ha perso la
capacità di recupero progressivamente fino ad arrivare all'ipoacusia franca
◦ Fase di latenza → il soggetto non ha sintomi sebbene l'ipoacusia peggiori con
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innalzamento della soglia uditiva di circa 40/50 Db sui 4000 Hz evidenziato all'esame
audiometrico
◦ 3° fase in cui ricompare la sintomatologia → il soggetto non sente il ticchettio
dell'orologio e mostra un'innalzamento della soglia uditiva di circa 60 Db sui 4000 Hz
◦ 4° fase → stadio di sordità
Comporta effetti anche extra-uditivi imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture
acustiche con le altre struttre del SNC come la formazione reticolare;
• Sistema cardio-vascolare → aumenta frequenza, pressione e vasocostrizione
• Sistema endocrino → aumenta produzione ormonale
• Sistema visivo → dilatazione pupillare
• Sistema neuropsichico → disturbi di concentrazione, equilibrio, attenzione
• Sistema GI → diminuzione motilità, aumento ulcere
• Sistema respiratorio → aumento frequenza respiratoria
Bisogna distiguere l'ipoacusia dalla presbiacusia (progressiva riduzione della capacità uditiva
fisiologica, dopo i 40 anni si perdono circa 4,5 db all'anno e si verifica soprattutto per le alte
frequenze )
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conversazioni
▪ Caschi → per attività più rumorose come utilizzo di martelli pneumatici
▪ Archetti
Patologia da vibrazioni
Le vibrazioni costituiscono un rilevante agente lesivo e vengono distinte da Wisner in:
• Basse frequenze (0-2 Hz) → si verificano nei mezzi di comunicazione e trasporto e danno
luogo al mal di trasporto (mal di mare) o chinetosi (nella sua insorgenza sono coinvolte
anche afferenze olfattive ed ottiche, nonché dei meccanocettori cutanei e sottocutanei delle
zone mesenteriche ed addominali)
• Medie frequenze (2-20 hz) → generate da impianti industriali e macchine e determinano
effetti su tutto il corpo ed osteopatie
• Alte frequenze (> 20 Hz) → generate da strumenti vibranti a percussione (scalpello), a
rotazione (perforatrici), a movimento misto (trapani) e causano malattie ostoarticolari ed
angioneurotiche soprattutto degli arti
Le patologie da vibrazioni che si trasmettono a tutto il corpo (basse e medie frequenze) vanno ad
interessare l'apparato osteo-articolare ma anche quello oto-vestibolare con disturbi dell'equilibrio.
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La diagnosi si basa su
• Anamnesi
• EO
• Valutazione emodinamica (ecodoppler)
• DD tra FR di tipo funzionale o organico con prove tecniche (cold test, consiste
nell'immergere nel mani in acqua fredda in soggetto a riposo da 15 minuti e senza fumare da
60 minuti) e farmacodinamiche ( somministrazione di trinitroglicerina sublinguale e
successivo doppler) → il recupero dell'irrorazione si ha dopo 20-25 minuti in un soggetto
con FR organico, dopo molto più tempo in un soggetto con FR da vibrazioni
• Capillaroscopia → mostra alterazioni a livello delle falangi acrali
• Rx del gomito e del distretto scapolo-omerale → segni di artrosi
Il decreto 81/08 afferma che i valore massimo di esposizione giornaliera a vibrazioni total body è
riferito ad una giornata di 8h per 40h settimanali ed il limite di esposizione deve essere di 5 m/s^2,
inoltre il valore d'azione giornaliero (range che non deve essere superato per far si che non si abbia
l'insorgenza di danni) è di 2,5 m/s^2. Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi sempre a livello
più bassi
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• per "lavoro svolto in ambito domestico" si intende l'insieme delle attività prestate all’interno
dell’abitazione abituale, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito, finalizzate alla
cura delle persone e dell'ambiente domestico;
• per "ambito domestico" si intende l'insieme degli immobili di civile abitazione e delle
relative pertinenze ove dimora il nucleo familiare dell'assicurato. Qualora l'immobile faccia
parte di un condominio, l'ambito domestico comprende anche le parti comuni condominiali;
• il lavoro in ambito domestico si considera svolto in via esclusiva allorché l'assicurato non
svolga altra attività che comporti l'iscrizione presso forme obbligatorie di previdenza
sociale.
Tutte le attività lavorative svolte dalla casalinga in questi ambiti possono causarle degli infortuni
con conseguenze invalidanti permanenti, per tale motivo è previsto che la lavoratrice stipuli
un’assicurazione obbligatoria per la tutela dal rischio infortunistico. Tale assicurazione che è gestita
dall’INAIL, deve essere obbligatoriamente sottoscritta da persone aventi un’età compresa tra i 18 e
i 65 anni che svolgono esclusivamente l’attività di casalinga, ed in base ad una modifica apportata
dalla Legge Finanziaria del 2007, attualmente comprende i casi di infortunio dai quali derivi
un’inabilità permanente al lavoro domestico non inferiore al 27%. Non è riconosciuta nessuna
indennità per l’invalidità temporanea. Per poter usufruire della copertura contro gli infortuni
domestici, le casalinghe devono effettuare un versamento di 12,91 € entro il 31 gennaio di ogni
anno, tramite bollettino oppure con pagamento online all’INAIL, che è l’Ente autorizzato a gestire
un apposito fondo in cui confluiscono tutti i premi assicurativi versati dalle casalinghe e che
provvede ad emettere le somme per il risarcimento in caso di infortunio.
Tumori professionali
Si definiscono professionali i tumori nella cui genesi ha agito l'attività lavorativa con esposizione ad
agenti cancerogeni.
Il processo di cancerogenesi si sviluppa in 3 fasi
• Iniziazione → una sostanza mutagena o cancerogena determinerebbe a comparsa di
mutazioni tali da indurre la trasformazione cellulare
• Promozione → sostanze promotrici che modifica l'espressione di geni che regolano la
proliferazione cellulare
• Progressione
Il periodo che intercorre tra l'inizio dell'esposizione al cancerogeno e il tumore è chiamato periodo
di latenza, per i tumori professionali è particolarmente lungo, tanto che la diagnosi può essere fatta
in soggetti gia pensionati.
Sono state realizzate a partire dagli anni 70 delle liste di sostanze (liste IARC international agency
of research on cancer) associate a tumori distinte in 5 categorie
• Gruppo 1 → cancerogeno per l'uomo in cui vi è dimostrato il nesso causale → polmone
(arsenico, asbesto, talco, cadmio), Pelle (arsenico, catrame), vescica (pece, benzidina),
leucemie (benzene)
• Gruppo 2 A → probabile cancerogeno per l'uomo
• Gruppo 2 B → possibilmente cancerogeno nell'uomo (esiste evidenza sufficiente solo in
animali)
• Gruppo 3 → non classificabile circa la cancerogenicità per l'uomo
• Gruppo 4 → probabilmente non cancerogeno
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• Della pelle → sono carcinomi indotti da agenti chimici e fisici ed i lavoratori più a rischio
sono quelli che lavorano in agricoltura (raggi UV), industria estrattiva (raffinazione di
petrolio e estrazione di arsenico), industria del gas (produzione di carbone), industria tessile,
radiologi
• Dell'apparato respiratorio
◦ Tumori di cavità nasali e paranasali → sono molto rari nella popolazione generale ma
aumentati nei lavoratori esposti a nichel e formaldeide
◦ Tumori del polmone → in lavoratori esposti ad arsenico, cromo, nichel, amianto, silicio,
cadmio, ferro e acciaio, radon
◦ Tumori delle sierose → colpiscono pleure e peritoneo, il periodo di latenza è di circa 30
anni ed un ruolo rilevante l'avrebbe l'esposizione all'amianto
• Delle vie urinarie → più colpita è la vescica dove i metaboliti escreti a livello renale
possono concentrarsi sono uro cancerogeni: toluidina, benzidina ed altre amine aromatiche
che provocano uroteliomi di vario grado di malignità
• Del tratto GI → angiosarcoma epatico (da cloruro di vinile ) e adenocarcinoma gastrico
(nei lavoratori della gomma)
• Dell'apparato ematopoietico → leucemie principalmente causate da benzene
Prevenzione
DL 626/94 → un agente è considerato cancerogeno se indicato come R45 (può provocare il cancro)
R49 (può provocare cancro se inalato. Prevenzione
• Primaria → riduzione dell'esposizione ai cancerogeni, esecuzione di monitoraggio
ambientale
• Secondaria → diagnosi precoce con controlli ogni 6 mesi
Gli addotti molecolari sono prodotti di reazione derivanti dal legame covalente tra molecole
esogene elettrofile e siti nucleofili di macromolecole biologiche e permettono di calcolare la dose
della sostanza metabolicamente attiva . Riflettono l'esposizione all'agente genotossico, il rischio
cancerogeno e le capacità di riparo del DNA
Sarà necessaria sorveglianza sanitaria (insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di
salute e sicurezza dei lavoratori tenendo conto dell'ambiente di lavoro, dei fattori di rischio
professionali e del modo in cui viene svolta l'attività lavorativa) → si effettuano visite preventive e
periodiche al fine di stabilire o meno una idoneità, oggi si valuta anche la positività ad alcool e
droghe quindi nei confronti di un lavoratore che fa uso cronico di alcool verrà espresso un giudizio
di inidoneità temporanea, il lavoratore verrà poi rivalutato dopo 6 mesi. Nell'esprimere un giudizio
di idoneità nei confronti di un lavoratore epilettico bisognerà valutare:
• Capacità lavorativa del soggetto
• Caratteristiche del lavoro a cui il soggetto è adibito
◦ Bisogna valutare se il paziente sarà esposto a lavoro notturno (per periodo notturno si
intende quello tra le 24 e le 5), il lavoratore notturno è colui che svolge tre ore del suo
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orario giornaliero durante la notte per almeno 80 giorni l'anno. L'epilessia è una
controindicazione al lavoro notturno perchè molti farmaci epilettici hanno azione
sedativa diretta e sono responsabili della comparsa di sonnolenza → riduzione della
performance lavorativa, inoltre le crisi sono favorite dal deficit di sonno
• Caratteristiche dell'ambiente di lavoro
◦ Esposizione a determinate sostanze chimiche → esempio tricloroetilene che può far
insorgere crisi epilettiche
◦ Esposizione a lavoro in alta quota → il medico deve valutare se le crisi compaiono di
giorno la frequenza e l'efficacia della terapia e consultare il neurologo che ha in cura il
soggetto
◦ Guida di automezzi → sono concessi patente A e B ad un paziente che non ha crisi da
almeno 2 anni ma non le patenti CDE
• Stress psicologico del paziente
Allergopatie professionali
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Dispositivi di protezione individuali (DPI)
• Maschere, boccagli, occhiali generalmente fabbricati in gomma o in plastica, in caso di
dermatite da contatto professionale la scelta deve ricadere su materiali ipoallergici,
economici, ergonomici, sicuri
• Creme di barriera → applicate su mani formano una sottile pellicola protettiva, devono
essere applicate frequentemente e non possono essere usate al posto dei guanti
Asma bronchiale → malattia cronica delle vie aeree con dispnea espiratoria ricorrente. Tra i fattori
predisponenti troviamo
• Fattori genetici → anormale risposta delle IgE ereditata come carattere autosomico
dominante ed predisposizione genetica per l'iperreattività bronchiale
• Fattori allergici → allergeni quali acari della polvere, pollini, pelo di animali
• Fattori professionali
• Farmaci
Tra i fattori scatenanti
• Esercizio fisico → genera iperventilazione, riduzione del calore ed aumento dell'umidità per
cui aumento della stimolazione vagale e rilascio di leucotrieni
• Infezioni delle vie aeree → soprattutto virali
• Fattori irritativi ambientali
• Fattori emozionali
• Reflusso Gastroesofageo
Patogenesi
• Sensibilizzazione → l'allergene è presentato dalle cellule dendritiche ai Th2 che interagendo
con LB stimolano lo switch isotipico verso le igE, le quali dunque si legano ai recettori ad
alta affinità presenti su mastociti e basofili
• Reazione immediata → aggregazione e degranlazione di mastociti con rilascio di istamina, e
mediatori della broncocostrizione
Reazione tardiva → dopo 4-5 h con picco dopo 8-12h la reazione infiammatoria tardiva che
riesacerba la bronco costrizione e determina una maggiore reattività quando quest'ultima cessa
All'E.O. Ascoltiamo rantoli, ronchi, fischi e sibili e sono prevalentemente espiratori perchè
l'espirazione è una fase passiva, in cui si riduce il calibro delle vie aeree e nei soggettiin cui il
calibro è gia ridotto è più facile apprezzare i rumori.
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Diossina
La diossina è una sostanza tristemente nota per l'estrema tossicità e distribuzione persistente,
capillare ed ubiquitaria nell'ambiente. Nella sua formula molecolare si riconoscono due anelli
benzenici uniti da altrettanti atomi di ossigeno e coniugati in varie posizioni con molecole di cloro.
La diossina fa parte di una più ampia famiglia di composti chimici strettamente accumunati per
caratteristiche e tossicità, le diossine ed i furani, che pur causando effetti dannosi similari,
presentano un diverso grado di tossicità.
Avvelenamento acuto e cronico da diossina ed epidemiologia
Nel linguaggio comune, quando si parla semplicemente di diossina si fa in genere riferimento alla
TCDD (2,3,7,8 tetracloro-dibenzo-diossina), la più tossica tra tutte le sostanze appartenenti
all'omonima categoria e conosciuta anche come diossina di Seveso (in riferimento al disastro
avvenuto nell'omonima città nel lontano 1976). Nel Luglio di quell'anno in seguito ad un incidente
occorso in un impianto deputato alla produzione di diserbanti, si liberarono ingenti quantità di
diossina, con gravissime ripercussioni sulla salute degli abitanti delle zone limitrofe. La diossina è
infatti cancerogena e come tale, a concentrazioni opportune, può provocare diversi tumori - in
particolare linfomi, cancro al fegato e alla mammella - malattie della tiroide, endometriosi, diabete e
danni al sistema immunitario, emopoietico e riproduttivo. Un'altra manifestazione tipica
dell'intossicazione acuta da diossina è la cloracne, simile all'acne giovanile, si manifesta in
qualunque parte del corpo e a qualsiasi età in seguito all'esposizione massiccia al tossico. La
pericolosità della diossina è stata confermata non solo dalle indagini medico-scientifiche ma anche
dall'osservazione diretta delle ripercussioni sulla salute degli abitanti di Seveso e dei villaggi
vietnamiti colpiti dall'agente Orange, un defogliante estremamente potente contenente diossina ed
utilizzato dagli Americani nel conflitto del 1964-1975.
La pericolosità della diossina è accresciuta dalla lunga persistenza negli ecosistemi; trasportata dalle
correnti atmosferiche, in virtù della sua volatilità, ricade in zone anche molto distanti da quella di
origine, contaminando l'acqua ed il terreno, per poi passare nell'alimentazione animale e da qui
all'uomo. Nell'organismo, essendo liposolubile, si concentra ed accumula nel tessuto adiposo; per
l'uomo l'emivita varia da 7 ad 11 anni (questo arco di tempo è necessario per "smaltire" il 50% della
dose accumulata). I fenomeni del bioaccumulo, della contaminazione su scala mondiale e
dell'eliminazione attraverso il latte materno, suggeriscono anche una possibile e preoccupante
possibilità di danno trans-generazionale; il pericolo, quindi, potrebbe essere concreto anche a dosi
molto più basse rispetto a quelle ritenute cancerogene o comunque pericolose per la salute. In ogni
caso, si tratta di un pericolo probabilmente non così grave nel breve periodo (sicuramente inferiore
rispetto agli allarmismi sollevati periodicamente dai media), ma che non dobbiamo assolutamente
trascurare per tutelare il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Diossina ed analoghi non rivestono alcuna utilità pratica; come tali non vengono prodotti
intenzionalmente, ma si formano durante una serie di reazioni chimiche. Sono ad esempio prodotti
come impurità indesiderate durante processi industriali di combustione in ambiente clorato, quali
fonderie, sbiancatura della pasta per carta, combustione di oli usati, riscaldamento domestico e
traffico stradale. Tra i più importanti produttori di diossine vi sono gli inceneritori di rifiuti, in
particolar modo quando bruciano residui plastici come il PVC ed altri composti clorati. Molto
dipende comunque dalle tecnologie adottate ed in questi ultimi anni la liberazione di diossina dagli
inceneritori è stata notevolmente ridotta, almeno nei Paesi che hanno adottato misure adeguate in
merito. Nonostante ciò, il problema torna periodicamente ad allarmare i consumatori ed il personale
preposto al controllo delle derrate alimentari, a causa degli scoop mediatici e delle rigorose misure
adottate in materia dall'Unione europea, che ha fissato i tassi massimi consentiti di diossina sia
nell'alimentazione umana che in quella animale. I prodotti alimentari più esposti al rischio diossina
sono le parti grasse (in particolare il burro ed i pesci grassi, come quello azzurro ed il salmone), il
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latte ed i suoi derivati; un ruolo importante è ricoperto dal posizionamento nella catena alimentare
dell'animale e dal grado di contaminazione delle aree preposte al suo allevamento.
Bias
Nel rapportare l’efficacia di un programma di screening alle conoscenze sulla storia naturale
della malattia, insorgono problemi legati alla presenza di eventuali distorsioni o bias, errori
sistematici, metodologici ed inevitabili della ricerca clinica, che portano a conclusioni
fuorvianti sulle differenze fra i gruppi o sulla distribuzione delle patologie (potendo
intervenire sia in fase di pianificazione che di conduzione dello studio, sia di analisi che
interpretazione dei dati). Dal momento che né gli errori né i bias possono essere del tutto
controllabili è fondamentale che i dati siano sempre interpretati con cautela e spirito critico.
L’errore può essere: da distorsione, da selezione, da distorsione da informazione, da
confondi mento. 1-In primis il confondimento si riferisce al confronto dei gruppi e si ha
quando i gruppi confrontati differiscono per caratteristiche diverse dal fattore studiato
(fattore di rischio apparente ma falso; malattia; associazione statistica ma non causale) che
diverrà il fattore di confondimento(contro la vera causa di malattia). 2-Il bias di selezione è
derivato dalla scelta della popolazione di studio, in quanto i soggetti studiati sono un
campione conveniente piuttosto che rappresentativo della popolazione obiettivo (volontari,
soggetti istituzionalizzati, elenchi incompleti, cartelle cliniche). Poiché la probabilità di
inclusione dei soggetti nello studio dipende dall’esposizione e dalla malattia, esistono
differenze percentuali di partecipazione (preferenze del paziente, drop-out), differenze di
probabilità di ospedalizzazione (bias di Berkson), differenze di probabilità di inclusione
nell’analisi.
Il bias di informazione si riferisce alle informazioni raccolte ed è dovuto: all’errata misurazione
dell’esposizione o dell’esito; alla modalità e tempi di osservazione diversi nei bracci confrontati; a
differente memoria dell’esposizione (recall bias); a informazioni raccolte in modo differente dai
diversi ricercatori; ad analisi, interpretazione e presentazione dei dati secondo gli interessi e
l’esperienza del ricercatore (bias di interpretazione); a pubblicazione selettiva dei risultati (bias di
pubblicazione). Schematizzando possiamo dire che distinguiamo: -distorsione da anticipazione
diagnostica(lead time); -distorsione da tempo derivato(lenght time); -distorsione da autoselezione,
dove i primi due tendo a ridursi progressivamente nel corso dal programma iniziale ai controlli
diagnostici successivi.
- distorsione da anticipazione diagnostica. Dovrebbe essere intuitivo che un arretramento nel tempo
del momento iniziale di questo periodo verso l’insorgenza biologica rende possibile la diagnosi
precoce ed aumenta la sopravvivenza. Ma tale assunto, corretto sul piano formale, non è esito di
reale efficacia se non si realizzano le seguenti condizioni: -il trattamento terapeutico che segue la
diagnosi precoce è efficace; -il tasso biologico di progressione della malattia consente un intervento
preventivo efficace. Quando il lead time è molto breve(k polmonare) può accadere che la terapia
che segue al diagnosi precoce non dia alcun beneficio, oppure se il lead time è lungo e la diagnosi
precoce avviene in prossimità di t1 è possibile che i soggetti individuati con lo screening vivano più
a lungo di quelli non sottoposti a screening, anche se la terapia non dà alcun beneficio. Il metodo
più appropriato per evitare il bias da anticipazione diagnostica, e valutare l’effettivo tempo di
sopravvivenza guadagnato, è quello di confrontare i tassi di mortalità standardizzati per età tra il
gruppo di soggetti sottoposti a screening ed un gruppo di controllo in tutto simile al precedente, ma
che non ha partecipato al programma (mentre l’analisi dei soli tempi di sopravvivenza è fallace).
- distorsione da tempo derivato. Il lenght time fa riferimento alle diverse velocità con cui una stessa
malattia si sviluppa in soggetti diversi, per cui questo tipo di errore si determina a causa della
proporzione di lesioni a crescita lenta (che lo screening individua nel corso del programma) e che è
maggiore di quella relativa alle lesioni diagnosticate durante una comune prassi medica.
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Conseguentemente si ha l’impressione che lo screening ed un trattamento precoce siano una
strategia di prevenzione efficace. La spiegazione a questo tipo di errore è che se la probabilità per
un soggetto reclutato nel programma di essere riconosciuto positivo al test è condizionata dalla sua
fase pre-clinica, maggiore è la DPCP, maggiore è la possibilità di diagnosi allo screening, che
invece in caso di lesione a crescita rapida non si verifica poiché la diagnosi è già clinica. Pertanto
diviene ragionevole attendersi che lo screening individui casi con decorso clinico lento e a prognosi
migliore prescindendo dall’efficacia.
-distorsione da autoselezione. Dipende dalla compliance o partecipazione dei soggetti al
programma. Se rispetto alla popolazione eleggibile a priori le adesioni sono state ridotte, l’efficacia
dello screening risulta compromessa ed è per questo che molti autori considerano un livello soglia
sufficiente di adesione al programma pari e non inferiore al 60%. Frequentemente uno screening su
soggetti volontari appare essere efficace per il loro miglior stato di salute, per cui in questi casi non
si può parlare di indipendenza tra stato di malattia e adesione al programma e la valutazione non
può essere effettuata per l’impossibilità di identificare i fattori che causano l’autoselezione. Questo
errore può essere evitato mediante studi sperimentali che conteggiano l’insieme degli esiti nei
gruppi, indipendentemente dal metodo di diagnosi o dal grado di partecipazione, per cui i pazienti
saranno assegnati casualmente ai vari gruppi e presenteranno frequenze confrontabili di adesione al
programma.
INFORTUNIO BIOLOGICO
In occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure preventive previste
dal programma di sorveglianza sanitaria. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago),
immediatamente aumentare il sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare. In caso
di contaminazione di mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente
abbondante. In caso di contaminazione di cute lesa vista la maggiore probabilità di super infezione
anche qui lavare con acqua e sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità. La diversità è
solo per le mucose dove si va immediatamente a detergere per andare a diluire la carica microbica
che è entrata in contatto con le mucose. Cosa fare dopo ? Immediatamente rivolgersi ad un agente
preposto come caposala, docente, direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e
sarete immediatamente inviati verso il pronto soccorso che vi rilascerà un referto di infortunio
biologico senza il quale non può essere attuato il follow-up sierologico presso la medicina del
lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento che ci permette di capire se è avvenuta una sovra infezione da
HBV HCV o HIV. Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post- esposizione quando abbiamo
un titolo anticorpale inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV. Quando un operatore viene
a contatto con un soggetto HIV + a seguito dell’esposizione per azzerare il rischio di trasmissione
virale bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la somministrazione di farmaci
antivirali al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività del paziente.
Bisogna recarsi per attivare questo tipo di procedura in pronto soccorso che dovrebbe essere munito
di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.
TUBERCOLOSI
Si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia coinvolta nella problematica della tubercolosi
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Attualmente nell’ anno 2008 si stimano circa 193 nuovi casi
per centomila abitanti, sebbene i nuovi casi avvengano nelle regioni endemiche . Dal punto di vista
epidemiologico la diffusione dell’infezione tubercolare si localizza principalmente in SudAfrica e in
Russiacon casi di incidenza molto più alti che in Europa. Il primo caso che ha destato allerta in
Italia nel 2011 si è verificato per un infermiera del reparto di pediatria dell’Umberto I di Roma che
era strutturato da più di 10 anni, ma non era stata sottoposta a sorveglianza sanitaria e per tanto
aveva contratto la patologia. I medici del lavoro romani furono inquisiti. Da questo caso di
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tubercolosi in fase attiva è derivato tutto quello che si sta facendo oggi in tutta Italia per gestire la
problematica della tubercolosi. In Italia la tubercolosi è una problematica in aumento rispetto al
passato con un aumento di 10 casi per 100000 abitanti con maggior incidenza nel nord Italia rispetto
al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a flussi migratori nelle regioni del Nord Italia (Piemonte,
Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est, mentre in altre zone di Europa
l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori provenienti dall’Africa. Il numero dei
casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle regioni del Nord Italia, ma
maggiore rispetto alle regioni del Sud. Nel 2012 in collaborazione con il prof. Moscatiello primario
di pneumologia abbiamo stilato le linee guida del nostro ateneo per la gestione dei casi di
tubercolosi per la multifarmaco resistenza che i ceppi tubercolari presentavano. Causata dal
Micobatterium Tuberculosis di cui fanno parte una sequela di altri micobatteri tra cui il principale è
rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis Hominis. E’ un patogeno intracellulare, con
caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che gli connota una peculiare acido
resistenza insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e alla reazione di
ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux. Il bacillo di Koch
difficilmente determina l’instaurarsi di una infezione laringea e polmonare perché la tubercolosi è
una patologia che nel 95% dei casi si manifesta in fase latente e solo nel 5 % dei casi in forma
cavitaria che corrisponde alla tubercolosi in fase attiva. La probabilità di evoluzione di una forma
latente in una forma cavitaria aumenta nei dieci anni successi al contagio, per tanto il medico del
lavoro è tenuto a sorvegliare tutti i lavoratori al fine di impedire la riattivazione della patologia. La
trasmissione della tubercolosi avviene per via aerea tramite gocce di saliva di piccolissime
dimensioni diffuse nell’area : pflugge, starnuto, tosse o catarro, anche se la trasmissione dipende
principalmente dalla concentrazione nell’area del bacillo, per tanto pazienti allettati in luoghi di
piccole dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono trasmettere il bacillo. Quali
sono le problematiche di gestione del medico del lavoro ? Sono la scoperta in visita preventiva o
periodica di una condizione di tubercolosi in fase latente più raramente in fase attiva. Come viene
fatta la diagnosi ? In condizione di tubercolosi in fase attiva con la clinica caratteristica si
indirizzano i pazienti dagli pneumologi, si effettuano una serie di esami tra cui quello fondamentale
è l’esame colturale che ci da una risposta certa in 4-8 settimane oppure per altri tipi di terreni 2-3
settimane. Per diagnosi di malattia latente si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si
iniettano dosi di tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione ponfoide nel derma della faccia
volare dell’avambraccio del lavoratore sottoposto. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il
bacillo tubercolare la positività della reazione di Mantoux si appaleserà come un reazione di
ipersensibilità di 4°grado. Ci sono dei cut-off utilizzati per la misura del diametro del ponfo e quindi
la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o meno. Questi diametri sono variabili a seconda
dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore. Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio
latente oppure operatori sanitari del Cotugno a contatto con pazienti allettati affetti da tubercolosi
presenteranno dei cut-off differenti rispetto ad un soggetto che non ha mai avuto contatto con il
bacillo. In questi casi il diametro della reazione ponfoide sarà superiore ai 5mm ancor più se
abbiamo a che fare con immigrati provenienti da aria d’Africa a prevalenza di malattia. La positività
alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche quando
apparentemente il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. L’art. 17
coma 1 decreto 81-2008 (non sono sicuro) obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica
TBC in ambiente ospedaliero, obbliga ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico
del lavoro almeno una volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano
automaticamente una serie di
indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria. Questa visita va effettuata per
tutti i contatti lavorativi che sono venuti a contatto con il lavoratore affetto dalla patologia.
Come fa un medico del lavoro a sapere quando e con che intervallo visitare un lavoratore esposto al
bacillo di Koch ? Nel documento di valutazione del rischio il medico del lavoro è obbligato a fare
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un indagine epidemiologica dell’ ospedale interessato basandosi su un concetto che ha al centro il
numero di casi di lavoratori affetti da TBC nell’anno. Secondo le linee guida se abbiamo in un
ospedale meno di 3 casi l’anno parliamo di rischio basso o bassissimo,(per la prof. va distinto la
fascia di rischio basso da quello bassissimo perché entrambi connotato un rischio non elevato, ma
danno un segnale di allarme differente),nel rischio intermedio e alto rientrano ospedali dove il
numero di casi l’anno risulta essere maggiore e non si fa solo scoperta di patologia tramite
fibrobroncoscopia come avviene negli ospedali del nostro ateneo dopodiché i pazienti vengono
inviati al Cotugno dove ci sono le degenze per i pazienti tubercolotici.
Andiamo a trattare la chemioprofilassi, vaccinazione e dispositivi di protezione individuale.
La sorveglianza sanitaria viene effettuata per la TBC in sede di visita preventiva, periodica o in
seguito all’esposizione con pazienti affetti. I dottorandi, specializzandi e strutturati della chirurgia
toracica dopo essere entrati in contatto con i pazienti affetti da TBC sono rientrati negli elenchi
della sorveglianza sanitaria inviati dalla direzione sanitaria, che effettua indagine e analisi dei
contatti, li invia ai medici del lavoro che eseguono i controlli periodici effettuati al punto zero e
ripetuti ogni 60 giorni, perché la letteratura ci dice che potremmo trovare un falso negativo al punto
zero che diventa un vero positivo nell’arco dei 60 giorni successivi alla prima visita. Tutti i contatti
vengono sottoposti a doppia Mantoux al punto zero e dopo 60 giorni. Una risposta alla tubercolina
superiore a 10 può verificarsi in un lavoratore che ha eseguito la vaccinazione, però il vaccino con il
bacillo di CG non viene più proposto in maniera obbligatoria perché gli studi epidemiologici
effettuati nel 2009/2010 hanno stabilito che il vaccino non avesse un immunità nei confronti del
bacillo, perché la popolazione successivamente sottoposta a Mantoux si presentava completamente
negativa. Quindi l’immunità nei confronti del bacillo di Koch non si era realizzata per cui il vaccino
viene proposto esclusivamente in due casi : per la popolazione pediatrica entro 5 anni nelle zone
dove la TBC è endemica e nei lavoratori che si ritrovano ad alto rischio di contagio per la TBC,
soprattutto in condizione di immunodeficienza e multi farmaco resistenza. DOMANDA DI
ESAME : La vaccinazione con il Bacillo di CG non viene più effettuata a tappeto per il personale
sanitario? La prevenzione si fa con la proposta della intradermoreazione di Mantoux che va a
slatentizzare una condizione di Tubercolosi latente a cui segue chemioprofilassi tramite consenso
informato. L’unica misura di prevenzione non è più la vaccinazione, ma la Mantoux una volta sola.
ALTRA COSA IMPORTANTE : Oggi la Mantoux va abbinata con un altro test che ha elevata
sensibilità e specificità (intorno al 95-98 %) i test IGRA, in cui non si va ad iniettare tubercolina,ma
si va a dosare direttamente nel sangue l’interferon gamma rilasciato dai leucociti come segnale del
pregresso contatto con il bacillo di Koch. Solo quelli che non hanno avuto il contatto presentano nel
sangue l’interferone gamma che viene dosato.
Perché non si sostituisce la Mantoux con il test IGRA che ha una specificità e sensibilità superiore
di circa 300 volte rispetto alla Mantoux ? Perché non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta
scala, cioè in tutta la popolazione. Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa
vaccinazione o tramite un contatto che non si è a conoscenza, solo tramite test IGRA possiamo
avere la certezza del contagio. Se l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione
radiologica e pneumologica, se il test IGRA è negativo l’iter diagnostico si conclude. La cosa
fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del test IGRA si fa diagnosi certa di TBC
latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test IGRA negativo possiamo
escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch. Purtroppo il
test IGRA non può essere effettuato su vasta scala perché ha un costo proibitivo, si promuove nelle
realtà ospedaliere dove il medico del lavoro può richiederla al datore di lavoro poiché il numero del
personale da analizzare risulta ristretto a 100-150 persone.
NOZIONI SPECIALISTICHE :
Se abbiamo una Mantoux positiva in visita preventiva, questa sarà sempre un vero positivo e si
procederà in visita periodica proponendo il test IGRA.
Valori borderline di 0.35 di Quantiferon comportano una ripetizione a 3 mesi perché questi valori
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devono essere poi riconfermati a 6 mesi. Quindi il medico del lavoro deve riconvocare una piccola
percentuale di persone borderline, perché questi possono diventare francamente positivo e quindi
andare incontro a chemioprofilassi.
In conclusione la collaborazione del medico del lavoro, pneumologo e direzione sanitaria della
realtà ospedaliera permette di gestire anche e soprattutto i casi di TBC in fase attiva con i quali il
lavoratore può venire a contatto. Questi punti rientrano nel programma di formazione e
informazione in cui al lavoratore viene spiegato cosa fare quando viene a contatto con il bacillo di
Koch, quali dispositivi utilizzare, quale iter seguire e quali controlli fare a 0 e 60 giorni per
infezione tubercolare. Quindi la sola sorveglianza sanitaria non è sufficiente a ridurre al minimo
l’incidenza di infortuni e malattie professionali, fondamentale in questo sistema sono la valutazione
dei rischi, la prevenzione, protezione, formazione e informazione sul rischio. Quindi il primo
momento del sistema sicurezza significa visitare il lavoratore a rischio biologio, mentre il secondo
momento è informare e formare il lavoratore sui rischi
IGIENE
Calendario vaccinazioni
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Sensibilità → Con il termine sensibilità, in statistica, più precisamente nel campo della
epidemiologia, si indica la capacità intrinseca di un test di screening di individuare in una
popolazione di riferimento i soggetti malati. Essa è data dalla proporzione dei soggetti realmente
malati e positivi al test (veri positivi) rispetto all'intera popolazione dei malati.
Un test sarà tanto più sensibile quanto più bassa risulterà la quota dei falsi negativi (cioè di soggetti
malati erroneamente identificati dal test come sani). Un test molto sensibile, in definitiva, ci
consente di limitare la possibilità che un soggetto malato risulti negativo al test. SI Calcola → Veri
positivi / Totale malati = Veri positivi / (Veri positivi + Falsi negativi)
VPP → Per predittività, in medicina, si intende la probabilità che un soggetto positivo ad un test di
screening sia effettivamente malato.
È direttamente legata alla prevalenza di una malattia nella popolazione e non è una caratteristica
intrinseca del test. Questo significa che se una malattia è molto frequente in una popolazione la
predittività dello stesso test (con pari sensibilità e specificità) cresce rispetto ad una popolazione la
cui frequenza è inferiore. Per aumentare la predittività, pertanto, sarà bene scegliere accuratamente
la popolazione su cui avviare lo screening, per evitare di dover fare i conti con una quota troppo
elevata di falsi positivi. Il Valore Predittivo Positivo, che esprime numericamente la predittività, si
calcola come quota di soggetti veri positivi sul totale dei positivi (veri e falsi positivi).
VPN → se un test è negativo, quanto è probabile che la persona non abbia la malattia? Questa
informazione è data dal valore predittivo negativo (VPN) e corrisponde alla proporzione di pazienti
con un test negativo che non hanno la malattia, quindi diagnosticati correttamente come sani
Rischio assoluto → rischio di sviluppare la malattia per un periodo di tempo. Tutti abbiamo rischio
assoluto di sviluppare varie malattie come le malattie cardiache, cancro, ictus, ecc Lo stesso rischio
assoluto può essere espressa in modi diversi. Ad esempio, supponiamo di avere un 1 in 10 rischio di
sviluppare una certa malattia nella vostra vita. Questo può anche dire di essere un rischio del 10%, o
un rischio 0,1 - a seconda se si utilizza percentuali o decimali.
Rischio relativo → è utilizzato per confrontare il rischio in due diversi gruppi di persone. Per
esempio, i gruppi potrebbero essere fumatori e non fumatori. Tutti i tipi di gruppi vengono
confrontati con gli altri nella ricerca medica per vedere se appartenente ad un gruppo aumenta o
diminuisce il rischio di sviluppare alcune malattie. Ad esempio, la ricerca ha dimostrato che i
fumatori hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiache rispetto a (rispetto a) i non
fumatori.
NNT → la stima del numero di pazienti da sottoporre al trattamento per ottenere una unità di
vantaggio rispetto al trattamento di confronto o, in parole semplici, quanti pazienti trattare perché
uno di essi ne tragga beneficio. NNT è calcolabile in ogni trial i cui esiti siano espressi da risultati
binari (guarigione/malattia, sopravvivenza/morte, ecc.). Un trattamento è tanto più efficace quanto
più basso è NNT:
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Incidenza → L'incidenza è una misura di frequenza, una particolare relazione matematica utilizzata
in studi di epidemiologia, che misura quanti nuovi casi di una data malattia compaiono in un
determinato lasso di tempo (ad esempio può essere rapportato ad un mese od un anno)[1], il suo fine
ultimo è quello di stimare la probabilità di una persona di ammalarsi della malattia in oggetto di
esame.
Bisogno → la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della
persona.
Studi trasversali → Gli studi trasversali (o di prevalenza) sono studi che si basano
sull'osservazione del campione in un preciso momento al fine di verificare la presenza di una
malattia e contemporaneamente l'esposizione ad uno o più fattori di rischio (RF, o FR), o la
presenza di qualsiasi altra condizione che possa essere associata al fenomeno che è oggetto dello
studio.
Studi caso controllo → Tutti i buoni disegni degli studi sono controllati, cioè comportano un
controllo o confronto. Per studio caso-controllo in epidemiologia si intende un tipo particolare di
studio controllato in cui si confrontano gruppi che differiscono per l’effetto in esame (ad esempio
gruppi di malati e non malati, di soggetti con o senza complicazioni, di soggetti che hanno
abbandonato il servizio o che sono tuttora in carico, di suicidi e di non suicidi) e ci si chiede come
differiscono per caratteristiche e esperienze precedenti. Sono l’opposto degli studi di coorte. Talora
negli studi caso-controllo si procede all’appaiamento (matching in inglese): ogni caso viene
appaiato con uno o più controlli che abbiano le sue stesse caratteristiche (ad esempio stesso sesso,
stessa residenza, età simile) in modo da rendere più confrontabili i due gruppi. In uno studio caso-
controllo, a differenza che in studio di coorte, non è possibile calcolare il rischio attribuibile e il
rischio relativo. E’ però possibile calcolare l’odds ratio (vedi misure di associazione), che
rappresenta spesso una buona approssimazione del rischio relativo. Lo studio osservazionale caso-
controllo è di solito più economico da effettuare di uno studio di coorte ed è particolarmente
vantaggioso rispetto allo studio di coorte per studiare l’effetto di più interventi o di più esposizioni
su esiti rari (ad esempio complicazioni rare). E’ più soggetto però al rischio di distorsione.
Studi di coorte → Lo studio di coorte o longitudinale è uno studio in cui gruppi di persone
sottoposte a trattamenti diversi o a “esposizioni” diverse (ad esempio con diverse abitudini
alimentari o rischi ambientali) vengono seguiti nel tempo per accertare in che misura vanno
incontro a esiti diversi. Gli studi controllati randomizzati sono studi di coorte sperimentali. Si
contrappone per direzione dell’indagine allo studio caso-controllo, in cui si parte dall’effetto per
risalire alle possibili cause.
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mentre l'efficienza valuta l'abilità di farlo impiegando le risorse minime indispensabili.
Efficacia ed efficienza sono concetti molto importanti nel mondo del lavoro ed in generale nella
pianificazione e nel controllo di qualsiasi attività.
Se due atleti si prefiggono di correre i 100 metri in meno di 10 secondi e riescono nel loro intento,
sono entrambi efficaci; tra i due risulterà più efficiente quello che avrà raggiunto l'obiettivo con il
minimo dispendio di risorse (tempo dedicato all'allenamento e costi per materiale tecnico,
allenatore, nutrizionista, integratori ecc.).
Il concetto di efficacia ed efficienza viene espresso anche nell'immagine sottostante, dove il
cerchietto indica il punto di partenza e la stellina quello di arrivo, mentre la linea di congiunzione
tra i due simboli rappresenta l'insieme di azioni intraprese per raggiungere l'obiettivo (traguardo o
punto di arrivo). Nel primo caso si nota una particolare tortuosità dell'azione, che riflette una spesa
di ingenti risorse per tagliare il traguardo; di conseguenza, l'azione è efficace ma per niente
efficiente. Nel secondo caso, invece, il bersaglio viene centrato con l'utilizzo minimo di energia:
l'azione intrapresa per raggiungere l'obiettivo è quindi particolarmente efficiente.
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Medicina del lavoro
Lezione 2(3\10\14)
La medicina del lavoro si differenzia dalle altre pratiche specialistiche perché si occupa delle patologie lavo-
ro correlate. Il medico del lavoro ha il compito di visitare i lavoratori prima di iniziare l’attività lavorativa
per giudicarne l’idoneità al lavoro, e durante la stessa per individuare eventuali patologie professionali.
I fattori di rischio sono classificati in rischi per la sicurezza o infortunistici, per la salute o di natura igienico
alimentare (correlati all’esposizione ad agenti chimici\fisici\biologici) , per la sicurezza e la salute (riguarda-
no la sicurezza sul lavoro valutando anche l’impegno emotivo).
Anche l’operatore sanitario è ovviamente esposto a fattori di rischio. Nello specifico lo specializzando , con-
siderato a tutti gli effetti un lavoratore, verrà sottoposto a visite di idoneità lavorative e a seconda del re-
parto è esposto a fattori di rischio operativi più o meno specifici . Tra questi:
• rischio biologico , correlato al contatto con emoderivati o patogeni aereodispersi rischio
allergologico, ad esempio ai guanti in lattice;
• rischio ergonomico, che riguarda alcune classi specifiche ovvero i chirurghi in relazione a
posizioni incongrue che assumono o anche per la stazione eretta prolungata possono in-
correre in patologie discali, così come gli stessi infermieri soggetti a patologie discali o
disturbi del cingolo scapolare;
• rischio correlato all’esposizione ad agenti fisici ovvero radiazioni ionizzanti;
• agenti chimici (ad esempio infermieri adibiti alla preparazione di farmaci antiblastici che
se non accuratamente manipolati espongono ad un grave rischio per la salute sia di tipo
neoplastico che al sistema cardiocircolatorio):
• rischio stress.
Che il rumore sia un fattore di rischio è risaputo da tempi antichi, basti pensare che già Plinio il Vecchio in
tempi remoti si fece costruire una camere da letto per non udire gli schiamazzi degli schiavi, gli stessi Cice-
rone e Seneca raccontavamo come gli abitanti della Valle del Nilo avessero l’udito compromesso per il ru-
more delle cascate e nella città di Sibari era vietato introdurre all’interno delle mura galli che potessero di-
sturbare il sonno o attuate rumorosi lavori meccanici e addirittura alcune strade erano chiuse al traffico.
Per quanto riguarda il mondo moderno si è ottenuto una riduzione dell’esposizione a questo fattore ma in
ogni caso le migliorie tecnologiche non sono state affiancate da soluzioni atte a ridurre la rumorosità, a
questo bisogna aggiungere che noi tutti siamo esposti a questo fattore di rischio in relazione al traffico vei-
colare, aereo automobilistico.
I settori lavorativi maggiormente interessati sono 4: industria metalmeccanica, per le costruzioni, estrattiva
e biochimica. Per tanto questa patologia è ancora molto idennizzata. Qualsiasi medico che svolge la propria
funzione e si rende conto che una patologia può essere di origine professionale è costretto a denunciarla
alle autorità competenti e queste patologie verrano poi analizzate in base alla funzione lavorativa e si deci-
derà se idennizzarle o meno. Attualmente è la seconda causa di denunce. Riguarda soprattutto i lavoratori
in ambito industiale (cantieri edili, fonderie, siderurgie, officine meccaniche) e nei servizi (laboratori chimi-
ci, tipografie, operatori discoteche) ma anche nel settore primario. La situazione in campania riflette la me-
dia nazionale.
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Effetti fisici del rumore. Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un corpo elastico messo
in vibrazione che crea movimento nelle molecole dell’Aria e quindi onde sonore. IL suono è una vibrazione
delle molecole d’aria che crea un’onda con caratteri di periodicità, a differenza del rumore (onda non pe-
riodica). Il rumore è per definizione qualsiasi onda sonora che crea sull’uomo effetti non voluti, dannosi, di-
sturbanti e che quindi determina un deterioramento qualitativo dell’ambiente. Le caratteristiche fisiche del
suono sono: frequenza, periodo, lunghezza d’onda, l’ampiezza ,la velocità e l’intensità di propagazione.
Frequenza : numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo.
Si misura in Hertz. L’orecchio umano percepisce f che vanno dai 20 a 20000 Hertz.
Periodo: intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Unità di misura è
il s.
Velocità propagazione suono : velocità con la quale un suono si propaga in un mezzo e dipende dal-
la densità di questo.
Intensità : potenza media con la quale l’energia viene trasmessa nel vuoto. L’unità di misura è il De-
cibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0 e 10 decibel, quella del dolore 130\140 come un
aereo al decollo. Una normale conversazione presenta un’intensità tra i 60\70 decibel, il traffico
stradale 70\80 decibel.
Quello che differenzia un suono acuto da una suono grave è la frequenza, invece ciò che differenzia un
suono lieve da un suono forte è l’intensità.
Il sistema uditivo è costituito da due parti: il sistema deputato al trasporto del suono e l’apparato di perce-
zione o neurosensoriale. Anatomicamente distinguiamo 3 parti : orecchio esterno (timpano, padiglione au-
ricolare e condotto uditivo) che attraverso la membrana timpanica trasmette la vibrazione all’orecchio me-
dio (tubo di eustachio e 3 ossicini martello, incudine, staffa detti adattatori di frequenza) il quale provvede
attraverso la staffa tramite il canale vestibolare al trasferimento del suono all’orecchio interno (coclea co-
stituita dal canale vestibolare e timpanico separati dalla membrana basale ,e i canali semicircolari deputati
al mantenimento dell’equilibrio) e da qui perturbazioni dell’endolinfa giungono alle ciglia della membrana
basale e di qui tramite i rami nervosi al cervello.
La coclea ha quindi essenzialmente 2 ruoli: trasmissione del suono (trasferire l’energia acustica tramite la
finestra ovale all’epitelio ciliato) e trasduzione del suono ( l’energia sonora convertita in impulsi elettrici a
livello del nervo acustico). In questo caso avremo soprattutto una sordità specifica per alcune sequenze,
frequenze medie dai 4000 ai 6000 Hz, e sono alterate entrambe le trasmissioni sia per via aerea che per via
ossea. Le cause sono molteplici ed è importante attuare una adeguata diagnosi differenziale. Nello specifico
riscontriamo ipoacusia neurosensoriale da: trauma acustico cronico, retinoma dell’acustico, ototossicosi.
E’ importante fare un adeguata anamnesi professionale, essenziale per un adeguata diagnosi differenziale.
La presbiacusia è la progressiva riduzione della capacità uditiva fisiologica, dopo i 40anni infatti ognuno di
noi ha una perdita di circa 3,5 decibel all’anno. Anche qui abbiamo alterazione di entrambe le vie però vi è
una caduta sulle frequenze più alte (intorno ai 20000 Hz).
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In un tracciato audiometrico in assi cartesiani sulle ordinate vengono riportate le frequenze, sulle ascisse i
decibel. Normalmente noi udiamo intorno ai 10 decibel su tutte le frequenze. I (…) indicano l’orecchio de-
stro mentre i siasolini (?) l’orecchio sinistro. Le frecce rivolte verso destra indicano la trasmissione del suo-
no per via ossea dell’orecchio destro, quelle verso sinistra la percezione del suono per via ossea del sinistro.
Nel tracciato ipoacustico vediamo linee continue che indicano la via aerea dell’orecchio dx e sx.
Nell’ipoacusia percettiva sono alterate entrambe le vie quindi vedrete una depressione sia per la via aerea
che ossea in un tracciato che è simmetrico per entrambe le orecchie. Nell’ipoacusia percettiva da rumore
c’è una depressione caratteristica: vi è una caduta sui 4000 Hz seguita da una risalita del tracciato. Quindi
per far sentire il suono al paziente dovremo aumentare l’intensità intorno ai 40\60 Db per le frequenze
medie non per le f più alte. Nell’ipoacusia trasmissionale la via ossea non è alterata quindi intorno ai 10 Db
percepisce tutte le vibrazioni. Nella Presbiacusia il soggetto non sente intorno agli 8000Hz quindi bisogna
aumentare l’intensità.
E’ chiaro quindi che l’esposizione al rumore causa danni uditivi ma anche extrauditivi.
Esistono fattori predisponenti: sesso (donne meno colpite), l’età, patologie dell’orecchio medio, uso di so-
stanze ototossiche (farmaci quali gentamicina, streptomicina o sostanze chimiche come benzene, piombo),
hobbies particolari (pesca subacquea).
Gli effetti uditivi si dividono in acuti ( da stimolo uditivo intenso e di breve durata) e cronici (esposizione
cronica al rumore) divisi in 4tipi.
Quando vi è un’esposizione a un rumore che è superiore ai 140 Db si causa un dolore immediato a carico
dell’apparato uditivo, nei casi più gravi si può avere rottura della membrana timpanica con danno a carico
delle cellule ciliate. La lesione in questo caso è quasi sempre monolaterale in quanto la testa fa da schermo
per l’altro orecchio. E’ un’evenienza rara nei luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio non come
malattia professionale dovuta ad esempio allo scoppio di una caldaia. Il soggetto subito dopo un trauma
acustico di lieve intensità accusa un dolore lacerante all’orecchio, senso di stordimento, ipoacusia completa
all’orecchio , riferisce la percezione di fischi e presenta vertigini. Generalmente i disturbi regrediscono e nei
casi più favorevoli vi può essere la restitutio ad integrum , le cellule nervose riprendono la loro normale
funzonalità, la membrana timpanica cicatrizza e anche il tracciato audiometrico ritornerà normale.
Per quanto riguarda invece l’esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile: un’esposizione
superiore agli 80 Db 8h al giorno per molti anni lavorativi se non adeguatamente accompagnata dall’uso di
dispositivi di protezione individuale e misure di abbattimento del rumore da parte delle macchine sicura-
mente causerà una ipoacusia da trauma acustico cronico. Prima però dell’ipoacusia si ha la cosiddetta “fa-
tica uditiva” o “spostamento temporaneo della soglia uditiva”. Difatti un’esposizione prolungata causa delle
modificazioni dell’apparato uditivo che si traduce in un calo dell’udito la cui entità è proporzionale
all’intensità del rumore e al tempo d’esposizione. Si distinguono due tipi di fatica uditiva: STS2 e STS16, si
parla di fatica uditiva fisiologica e patologica e si distinguono sulla base di diverse caratteristiche quali la
durata, l’entità e la sede. L’STS2 si misura dopo 2 minuti dall’esposizione al rumore e ha una durata di 16h e
identifica un’innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livelli normali pre esposizione. Già oltre la soglia
degli 80Db vi è una STS su più frequenze e nello specifico i rumori industriali provocano una STS2 sulle fre-
quenze dei 3000 e 4000Hz. L’STS16 definita come fatica uditiva patologica permane anche oltre le 16h
dall’esposizione allo stimolo acustico perché l’orecchio di un soggetto esposto cronicamente al rumore non
ha più progressivamente la capacità di recupero fino ad arrivare all’ipoacusia franca. Le due STS sono quin-
di espressione di un esaurimento più o meno marcato dei recettori acustici periferici per un apporto ener-
getico insufficiente. Un recupero completo è quindi possibile solo a patto che l’esaurimento funzionale si
mantenga entro certi limiti, in casi contrari si parla di danno uditivo irreversibile.
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Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell’organo del Corti con una
ipoacusia neurosensioriale irreversibile. La gravità del danno è proporzionale alla quantità dell’energia so-
nora somministrata usando un rumore continuo di livello costante e le prime strutture ad essere danneg-
giate sono le cellule ciliate esterne: si ha una frammentazione fino alla scomparsa delle ciglia e una rottura
della membrana cellulare e sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono integre
molto più a lungo: la lesione primitiva è rappresentata dalla fusione di queste. Per esposizioni al rumore
che hanno un livello costante si osservano alterazioni che sono prima di tipo metabolico-funzionale e poi
metabolico-morfologiche, mentre per i rumori impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche
più precoci. In linea generale si può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare ovvero
il soggetto inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con una progressione anche molto veloce di
danno per i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non cambi attività la-
vorativa con esposizione a un altro tipo di rumore.
una prima fase definita fatica uditiva: compare pochi giorni dopo l’inizio dell’attività uditiva con un
esame audiometrico normale o al massimo un innalzamento sulle frequenze medie e il pz riferisce
acufeni e stordimento;
una 2° fase definita di latenza: il soggetto non ha sintomi sebbene l’ipoacusia peggiori con innalza-
mento della soglia uditiva di circa 40\50 Db sui 4000Hz evidenziato all’esame audiometrico,
nella 3° fase ricompare la sintomatologia: il soggetto riferisce ad esempio di non sentire il ticchettio
dell’orologio con un esame audiometrico che mostra un innalzamento di circa 60 decibel sui 4.000
heartz ed il deficit viene esteso anche alle altre frequenze dai 2000 ai 3000 .
Nella quarta fase c’è lo stadio di sordità da rumore con un deficit permanente esteso anche alle
frequenze più basse ed alle più alte.
Quindi inizialmente ridotta capacità di udito temporanea, poi apparente stato di benessere, quindi difficol-
tà a percepire i toni acuti e poi difficoltà a sentire le conversazioni.
2. E’ iniziale e prevalente sulle frequenze medie (4000 Hz), poi si estende sulle alte e basse frequenze
Il rumore è causa anche di effetti extra-uditivi, imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture acu-
stiche con le altre strutture del SNC come la formazione reticolare.
Gli effetti più studiati sono a carico del Sistema Cardiovascolare-> aumento frequenza cardiaca, vasocostri-
zione periferica, aumento p arteriosa
ma esistono anche effetti
Neuropsichici -> disturbi del tono motorio, dell’equilibrio, della concentrazione, dell’attenzione, che posso-
no mettere a rischio la vita del lavoratore (es. aumento del tempo di reazione, diminuzione della percezio-
ne di segnali di pericolo con conseguente aumento del rischio infortunistico)
Endocrini-> aumentata produzione di alcuni ormoni
Visus-> dilatazione pupillare
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Gastroenterico-> diminuzione motilità con fenomeni spastici, aumento delle ucere e gastroduodeniti
Respiratori-> aumento frequenza respiratoria
Livello superiori a 65 decibel durante il giorno e 55 durante la notte sono dannosi ed aumentano il rishio di
infarto del miocardio, TIA (?)
L’esposizione al rumore causa l’attivazione nell’organismo di due tipi di risposte
1. Risposta d’allarme-> causata da rumori di alta intensità e breve durata, si esaurisce rapidamente, la sua
durata ed intensità non dipendono dal livello sonoro o dal tempo di persistenza dello stimolo. Caratte-
rizata da: aumento della pressione pupillare, sudorazione cutanea, aumento delle secrezioni e motilità
gastrica, aumento delle frequenze cardiaca e respiratoria
2. Risposta Neurovegetativa-> è lenta e generalmente segue quella di allarme, si manifesta per stimoli in-
tensi e varia in funzione dell’intensità e della durata dello stimolo con alterazioni a carico di tutti gli or-
gani
La valutazione dei rischi derivati dall’esposizione ad agenti fisici nel luogo di lavoro è oggetto di studio della
medicina del lavoro.
Il decreto legislativo 81 del 2008 detta le regole per la valutazione del rischio rumore nel luogo di lavoro, e
le misure preventive per ridurre il rischio di ipoacusia da trauma acustico cronico nel luogo di lavoro.
Il decreto valuta il Livello di Esposizione Giornaliera al rumore, è un valore medio calcolato su una giornata
lavorativa di 8 ore e il Livello di Esposizione Settimanale al rumore calcolato su una giornata lavorativa di 5
ore.
Il decreto prevede dei limiti di esposizione e dei valori di azione.
Il limite di esposizione è 87 decibel ciò significa che durante una giornata lavorativa l’esposizione media al
rumore non può superare tale valore.
Il valore superiore d’azione è 85 decibel. Il valore inferiore d’azione è 80 decibel.
Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello
rumore facendo un sopralluogo con esperti (responsabili sicurezza, ingegneri), valutando le informazioni
fornite dalle case produttrici dei macchinari, la presenza di apparecchiature progettate per ridurre
l’emissione del rumore, quanto tempo il lavoratore è esposto al rumore.
1. Se l’esposizione al rumore non supera gli 80 dB non si procede, dando solo dei dispositivi di protezione
acustica al lavoratore che, quindi, non svilupperanno patologie professionali.
2. Se l’esposizione al rumore supera gli 80 dB, si procede alla seconda fase misurando direttamente il ru-
more nel luogo di lavoro con un Fonometro (su una giornata lavorativa di 8 h o settimanalmente, su
una giornata di 5 h)
A. Se il rumore supera il valore inferiore d’azione il datore ha l’obbligo di fornire i dispositivi di protezione
individuali ai lavoratori che possono chiedere di essere sottoposti a sorveglianza sanitaria (il medico
competente esegue esame obiettivo ed audiometrico)
B. Se è superato il valore superiore d’azione (85 dB) il datore di lavoro ha l’obbligo di attuare delle misure
tecnico-organizzative per ridurre la rumorosità degli ambienti di lavoro, indicare con cartelli i luoghi in
cui i lavoratori sono sottoposti a tale intensità di rumore, sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavorato-
ri, deve inoltre assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione. Dalla sorveglianza sanita-
ria scaturisce un giudizio di idoneità che può essere Completa al lavoro, con prescrizione o con medica-
zione, o non idoneità al lavoro (dipende dalla patologia del soggetto, dal rischio a cui è esposto, dalla
presenza di danno. Es. un soggetto con ipoacusia sottoposto ad una alta esposizione al rumore è non
idoneo a quella attività lavorativa).
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Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare i lavoratori sul rischio da esposizione al rumore, qundi sulla na-
tura dei rischi, sui valori d’azione e sul limite d’esposizione, sui risultati delle misurazioni del rumore effet-
tuate.
Le popolazioni più suscettibili a queste particelle sono gli anziani ed i bambini, soggetti con patologie pol-
monari preesistenti infiammatorie o infettive. I bambini sono più suscettibili perchè inalano una quantità
maggiore di aria per peso corporeo, hanno un assorbimento più elevato, hanno maggiori richieste energeti-
che. L’esposizione di madri non fumatrici al particolato atmosferico durante la gestazione è causa di altera-
ta funzionalità polmonare in età prescolare nei figli. Gli anziani sono più suscettibili perchè presentano una
preesistente compromissione della funzionalità respiratoria, frequentemente presentano patologie cardio-
respiratorie, spesso hanno una alimentazione non corretta (che influenza le difese immunitarie).
Le particelle sono classificate in
-PM10-> frazione grossolana, solo le più innoque perchè essendo superiori al …(52.35) non raggiungono le
vie aeree più fini
-La frazione più fine che arriva agli alveoli
-La frazione ultrafine (nanoparticelle) che dagli alveoli diffondono a tutto l’organismo
La frazione inalabile sono tutte le particelle che penetrano nell’albero respiratorio attraverso le narici e la
bocca durante un normale atto respiratorio.
La frazione toracica sono le particelle fini che raggiungono la trachea.
La frazione ultrafine sono le particelle che arrivano ai sacchi alveolari.
Le vie d’ingresso nell’organismo sono: la pelle, il tratto respiratorio, l’apparato digestivo (organi target prin-
cipali).
L’efficacia dei meccanismi di clearance polmonari diminuisce all’aumentare del numero di particelle inalate
(quindi dell’esposizione ad esse), i macrofagi non sono più in grado di fagocitarle.
Le particelle possono essere ingoiate direttamente o essere presenti sui cibi (soprattutto quelli ben cotti)
Le particelle possono depositarsi nella cute e penetrare tramite essa.
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Una volta penetrati, attraverso il sangue, raggiungono la (54.50), il SNC (probabilmente attraverso il nervo
olfattivo) , il fegato, la milza ed altri.
Gli effetti sulla salute sono: Alterazioni del SNC e del sistema nervoso autonomo, basso peso alla nascita,
nascita pretermine, anomalie congenite (soprattutto malformazioni cardiache), ritardo nell’accrescimento
intrauterino, incremento della mortalità pre e post-natale, aumentata incidenza di asma e di altre patologie
respiratorie nei bambini, riduzione della funzionalità polmonare, patologie cardiovascolari, cancro.
Gli effetti a breve termine sono-> aumento f cardiaca e valori pressori (c’è correlazione tra i giorni di mag-
giore inquinamento e il numero di accessi ospedalieri per patologie respiratorie o cardiovascolari)
Queste particelle determinano a carico del polmone determinano alterazione della funzionalità, della rispo-
sta immunitaria, esacerbazione di patologie polmonari preesistenti (asma, BPCO), fibrosi, tumori (c’è corre-
lazione, nei pz asmatici, tra uso dei broncodilatatori e inquinamento ambientale, e c’è una maggiore inci-
denza di neoplasie polmonari in soggetti sottoposti ad esposizione lavorativa, es.saldatori).
Per quanto riguarda l’azione sull’ apparato cardiovascolare le particelle sono state messe in relazione con
ischemia cardiaca, TIA, aumento dei valori pressori, riduzione della cavità (? 58.40) e della frequenza car-
diaca e aumento dei markers di trombosi ed infiammazione.
L’esposizione alle particelle ultrafini è responsabile di alterato rilascio delle citochine a livello ippocampale
e quindi di depressione e deficit cognitivi (uno studio ha dimostrato un declino cognitivo più precoce e stati
simil-ansiosi in donne che vivono in centri urbani rispetto a donne in aree rurali). Hanno relazione anche
con il morbo di Alzheimer.
Le nanoparticelle assorbite attraverso il tratto gastroenterico sono responsabili di una risposta infiammato-
ria che può essere causa del morbo di Crohn.
Il meccanismo patogenetico comune a tutti i tipi di danno indotti da queste particelle è l’attivazione del
processo infiammatorio con rilascio dei vari mediatori, quindi il danno è provocato non solo dalla particella
stessa (che essendo piccola supera la barriera capillare e raggiunge il sangue) ma anche dalle sostanze che
da essa sono introdotte nell’organismo, come i metalli che le particelle captano dall’atmosfera.
Il danno interessa tutte le strutture cellulari: il nucleo, la membrana, i ribosomi, l’apparato del Golgi e così
via.
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Sono la dottoressa Lamberti e mi occupo della parte clinica di medicina del lavoro. Il corso fatto da me
verterà sulla gestione delle problematiche cliniche di origine occupazionale da parte del medico del lavoro.
Di tutti gli agenti di rischio occupazionali presenti nelle realtà lavorative, quelli che maggiormente risultano
pericolosi sono:
I movimenti ripetitivi
La movimentazione manuale dei carichi [spostamento di pesi (edilizia) o di pazienti ( ospedale)]*
Rumore
*è una problematica molto presente, cioè ha una tra le maggiori incidenze di denuncia tra le malattie
professionali correlate a queste patologie.
La medicina del lavoro nasce come branca della medicina interna, per tutelare lo stato di salute psicofisica
dei lavorati esposti ad agenti di rischio occupazionali. I decreti legislativi che vi mostrerò, senza i quali il
medico del lavoro non può attuare la sua attività di sorveglianza sanitaria, sono nati esclusivamente per un
motivo : ridurre al minimo l’insorgenza di infortuni e morti presenti nelle realtà lavorative.
Il medico del lavoro, ma tutti i medici, il med.lavoro più degli altri perché è soggetto ad una sanzione più
salata qualora non ottemperi, è obbligato , qualora faccia una visita medica ad un lavoratore che presenti
una patologia, per esempio una lombosciatalgia che insorge durante lo svolgimento dell’attività lavorativa,
o una neoplasia di origine occupazionale, collegata ad esposizione ad agente cancerogeni, è obbligato a
denunciare questa patologia e se non lo fa incorre in sanzioni salatissime.
La med del lavoro nasce per ridurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e malattie professionali.
Il tasso d’incidenza che ora si attesta a circa 2 morti al giorno sul lavoro è un valore che deve portarsi a 0
con la giusta applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza dettate dalla medicina del lavoro.
Andiamo ai decreti legislativi. Ce ne sono stati tanti che già dal 1800 hanno regolamentato la medicina del
lavoro, in particolare i decreti legislativi:
DL 277/91
DPR 303/56
DL 626/94 ( “decreto cardine della sicurezza sui luoghi di lavoro”)
Hanno dettato le regole fondamentali per attuare un sistema di sicurezza sui luoghi di lavoro.
I primi due hanno parlato per la prima volta di tutela nei confronti degli agenti di rischio chimico-fisici del
rumore del piombo e dell’amianto.
Con decreto legislativo 626/94 si è per la prima volta diviso in titoli (11) ed articoli quelli che sono tutti gli
agenti di rischio presenti nelle realtà lavorative. Ciò significa che per la prima volta una legge è stata
strutturata in capi, versi e titoli in modo da dare delle direttive precise a tutte le figure addette al sistema
sicurezza su come organizzare questo sistema per indurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e delle
malattie professionali.
Quindi il decreto cardine che ha per la prima volta suddiviso e in capi e titoli le problematiche della
sicurezza nei luoghi di lavoro è il decreto 626/1994.
Dopo questo i decreti che sono stati emanati, che sono quelli vigenti, secondo i quali noi medici del lavoro
lavoriamo, sono stati quelli nati dal Ministero Prodi. Allora il ministro Prodi, prima di passare la staffetta al
lungo ministero Berlusconi, fortemente spronato dai sindacati, ha emanato questo decreto il DL 81/2008,
che ha stravolto tutti quelli che erano gli obblighi alle varie figure relative alla sicurezza, che dopo vedremo,
dando per la prima volta un carico di responsabilità alle singole figure, non solo al medico del lavoro, ma a
tutta una serie di figure che girano intorno alla sicurezza.
Quindi il DL 81/2008 e poi DL 106/2009 sono quelli vigenti ora che dettano i requisiti e le caratteristiche per
operare in sicurezza negli ambienti di lavoro.
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Tutto quello che vi spiegherò in queste poche lezioni che faremo, nasce da questi due decreti attualmente
vigenti.
Ci sono diverse figure addette alla sicurezza. La mia branca è un po’ al limite tra la medicina legale e la
medicina interna. E’ un’applicazione in clinica di una serie di leggi per tutelare la salute, non dei pazienti,
ma del lavoratore. Protagonista di questa tutela non è solo il medico del lavoro. Questi si trova ad interagire
con una serie di figure , che sono deputate dai decreti ad ottemperare ad una serie di obblighi in materia di
sicurezza. Faccio sempre l’esempio della nostra università: per voi che siete dipendenti a tutti gli effetti
secondo il DL 81/08 come studenti o tirocinanti che stanno svolgendo attività lavorativa, anche solo ai fini
di apprendere un mestiere, dovete essere sottoposti a visita medica, sorveglianza sanitaria, anche gli
studenti anche gli apprendisti, perché la legge dice che anche una tempistica breve, come un’esposizione di
breve durata ad un agente di rischio biologico, che potete incontrare quando andate a fare i tirocini, può
fare insorgere nello studente una patologia di origine lavorativa. In questo sistema di tutela non c’è solo il
medico del lavoro, ma il datore di lavoro, in questo caso il rettore, i dirigenti e i preposti , che non sono
altro che coloro a cui viene fatto un demando di obblighi. Questo perché in una realtà aziendale cosi grande
non è detto che il proprietario di quella struttura sia sempre presente in tutte le micro realtà. Quindi è
necessario demandare compiti relativi alla sicurezza ad una serie di figure che sono i dirigenti e i preposti
che devono aiutare il datore di lavoro, nell’ottemperanza degli obblighi in materia di sicurezza.
Ci sono altre figure di minore importanza, che aiutano il datore di lavoro.
RLS: rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Una persona eletta dai lavoratori, che si interfaccia col
datore di lavoro per tutte le problematiche sollevate dai singoli lavoratori.
( ci sono anche i Sindacati, ma, nella realtà lavorativa di riferimento, c’è un rappresentante che va a gestire
le problematiche di ordine quotidiano, come le mascherine non efficaci …. e rappresenta l’interfaccia col
datore di lavoro)
RSPP: responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Può essere composta da uno o più persone.
Redige in un libro ( documento di valutazione dei rischi) tutti i rischi presenti nella realtà lavorativa. Tutti i
responsabili della sicurezza sono obbligati a firmare, per presa visione, questo testo.
Preposto: è un tutor a cui si è assegnati per un semestre.
La cartella sanitaria di rischio. Il medico del lavoro è obbligato ad redigere una cartella dove sono
dettagliate una serie di caratteristiche anamnestiche e lavorative del soggetto che si sottopone a visita.
La cartella è molto simile ad una cartella presente in un reparto di degenza. Ci sono delle piccole differenze
legate ad alcuni capi, quali: dati relativi all’azienda di provenienza e oltre, all’anagrafica dei lavoratore, c’è
una parte relativa all’anamnesi lavorativa. Quest’ultima è necessaria soprattutto per fare uno stato zero e
capire se c’è stata una pregressa esposizione ad un agente di rischio.
E’ molto importante fare questo back-ground anamnestico lavorativo, perché, qualora insorga una malattia
professionale, questo dato viene valutato dall’INAIL , ente preposto sul territorio nazionale per l’indennizzo
dei danni allo stato di salute, che possono insorgere nel lavoratore.
Quindi vengono effettuate delle visite mediche preventive e delle visite mediche periodiche nell’ambito
della sorveglianza sanitaria.
La visita medica preventiva viene fatta per controllare degli eventuali stati pregressi di malattie in atto. Per
esempio, un lavoratore con una dermatite allergica da contatto cronica che deve essere esposto ad
allergeni di origine professionale. Quindi la visita preventiva è fondamentale per ritrovare stati di
ipersuscettibilità clinica, atopie in questo caso, presenti nel lavoratore che dovrà essere sottoposto ad un
agente di rischio che potrà interferire con questa situazione di ipersuscettibilità.
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La condizione presente in fase di visita preventiva determina delle decisioni in merito a quello che è il
giudizio d’idoneità, che permetteranno di lavorare o di non lavorare o di lavorare con opportune
precauzioni.
La cartella di sanitaria di rischio nasce con questi termini, perché il DL81/08 e DL106/2009 e di altri piccoli
decreti d’integrazione ci dicono che la cartella deve essere fatta in questo modo.
La visita viene fatta in fase preventiva e poi in maniera periodica. Perché non è detto che la problematica di
salute non possa essere slatentizzata dall’attività lavorativa, quindi una tempistica diversa per ogni agente
di rischio lavorativo prevede una visita periodica.
La legge ha stabilito che ci siano altre visite obbligatorie. Sempre quando c’è l’esposizione agli agenti di
rischio cancerogeno, la legge stabilisce che ci sia una visita obbligatoria alla fine del rapporto di lavoro.
Perché, per esempio, tecnico di radiologia esposto a radiazioni ionizzanti, si effettua una visita alla
cessazione del rapporto di lavoro per attestare lo stato di salute dopo l’esposizione ad un agente
cancerogeno. Lo stesso vale per l’esposizione ad agenti cancerogeni come metalli, come la silice e come
l’amianto. Altra visita obbligatoria è quella che viene effettuata quando c’è un cambio di mansioni.
Alla fine della cartella sanitaria viene espresso un giudizio sullo stato di salute del lavoratore. Non è quasi
mai un giudizio di idoneità piena. La legge prevede anche un giudizio di idoneità parziale che viene definito
con prescrizione o limitazione. Ciò significa mantenere il lavoratore alla sua precedente attività lavorativa,
ma farlo con delle precauzioni. Ci sono una serie di patologie croniche che non potrebbero essere gestite se
non tramite l’utilizzo di queste limitazioni e prescrizioni. Quindi significa di consigliare al lavoratore di
utilizzare ulteriori dispositivi di protezione individuale, come guanti, mascherine, camici, tutto ciò che va a
tutelare come presidio esterno la salute del lavoratore.
Esprimere un giudizio d’idoneità con limitazione significa riorganizzare l’attività lavorativa del lavoratore
che ha una particolare patologia per essere reinserito nel lavoro. Grazie a questi giudizi si riescono a
mantenere al lavoro alcuni lavoratori con problematiche serie come l’epatite o meno complicate come la
lombosciatalgia cronica e permettere di ritornare alla precedente mansione con opportune precauzioni per
tutelare il lavoratore stesso. Esempio: il lavoratore con lombosciatalgia cronica eventualmente sottoposto a
un ciclo farmacologico di decontratturanti e antiinfiammatori che non risolve la problematica. Molto spesso
le lombosciatalgie sono refrattarie alla terapia farmacologia, refrattarie a una terapia riabilitativa fisiatrica,
quindi dopo uno o due mesi il lavoratore deve tornare a lavorare, magari è un lavoratore nel settore
dell’edilizia o un infermiere che si trova in reparti con un alto indice MAPO, che è un indice che viene
utilizzato per quantizzare il rischio da movimentazione di pazienti soprattutto in reparti come la geriatria
dove ci sono pazienti allettati e ci sono infermiere che movimentano questi pazienti e vanno a sollecitare il
rachide. Quindi supponiamo che questo infermiere vada incontro periodicamente a lombosciatalgie che
periodicamente determinano un rientro dopo un’assenza per malattia. Il medico del lavoro gestisce questa
situazione dando un’idoneità con limitazione che permetterà al lavoratore di tornare al lavoro svolgendo la
sua attività riducendo però il carico (esistono linee guida di medicina del lavoro che stabiliscono dei carichi
massimi lavorativi o che consigliano dei sussidi prescritti da fornire al lavoratore che vengono utilizzati per
ridurre il peso che grava sulla colonna vertebrale). In questo modo il lavoratore potrà riprendere la sua
precedente mansione e non rischierà un licenziamento.
Abbiamo poi l’inidoneità che può essere temporanea o permanente. Es. temporanea chirurgo con Epatite
C in fase attiva che si sta sottoponendo a una terapia antivirale; in questo caso le linee guida consigliano di
interrompere l’attività lavorativa per 6 o 12 mesi. Dopo tale periodo con le analisi e la consulenza
infettivologica o eventualmente consulenze diverse per altri lavori, si procede all’espressione del giudizio di
inidoneità temporanea o permanente con il quale si può sfociare nel licenziamento.
Il lavoratore ha diritto di confutare il giudizio avverso espresso dal medico del lavoro e a tal proposito per
legge è ammesso il ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio stesso. Quindi il
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lavoratore (ma anche il datore di lavoro) ha diritto a confutarlo seguendo un iter (il giudizio è in mano al
lavoratore ma anche al datore di lavoro). Il giudizio viene portato all’asl di riferimento territoriale; nell’asl
c’è una sezione definita organo di vigilanza territorialmente competente composta da medici del lavoro e
tecnici non medici che vanno a valutare la cartella clinica, i protocolli strumentali utilizzati, il giudizio
espresso per quel lavoratore che ha fatto ricorso. Dopo la valutazione quest’organo esprime un giudizio
finale inderogabile. Questo diventa il giudizio vigente che il lavoratore deve rispettare. Tutto ciò era già
stabilito dal decreto legislativo 626 del’94 ed è stato ribadito, perfezionato e integrato dal decreto 81/2008
e dal 106/2009.
Il ruolo del medico del lavoro è quello di prevenire i danni causati da condizioni insalubri legati alle attività
lavorative e quello di individuare le cause di origine lavorativa che possono aver fatto scatenare la patologia
occupazionale e soprattutto di effettuare denuncia di malattia professionale o di infortuni di origine
lavorativa. Qualora si ponga al medico una patologia recidivante come una patologia allergica, è
importante non solo dare la terapia ma anche capire se tale patologia sia legata al luogo di lavoro (per
esempio l’allergia al talco presente nei guanti al lattice che utilizza un infermiere professionale
ospedaliero).
Il medico di medicina generale come il medico del lavoro ha l’obbligatorietà di denunciare malattie
professionali o infortuni insorti in attività lavorative. Tutti i medici sono obbligati eticamente a denunciare
malattie professionali (per esempio pazienti esposti a silice); questa denuncia viene fatta con appositi
moduli dati ai medici di base ma che sono scaricabili anche dal sito dall’INAIL da tutti i medici che ne
vengono a conoscenza.
Esempio di denuncia del lavoratore per malattia professionale e giudizio negativo :
in un centro di radiologia un tecnico di radiologia donna di 27 anni viene in visita periodica e tramite
radiografia scopre di avere un carcinoma mammario. Attivato l’iter oncologico, io medico del lavoro
riempio i moduli relativi alla denuncia da malattie professionali usando anche tabelle di riferimento dove
ogni malattia è associata a un agente di rischio, in questo caso cancerogeno. Una copia della denuncia viene
inviata all’INAIL, una copia all’asl e una copia la manda il datore di lavoro. La copia che io mando all’INAIL
prevede una serie di indagini. Dopo la denuncia la struttura ha avuto una serie di controlli da parte
dell’INAIL sull’adeguatezza dei luoghi di lavoro relativi a quell’agente di rischio, in questo caso era
importante soprattutto la valutazione delle apparecchiature radiologiche. La struttura è stata chiusa non
per le apparecchiature (che erano tutte a norma) ma per una scala a chiocciola che non era idonea e che
poteva portare a infortuni sul lavoro. L’INAIL ha poi mandato una risposta relativa alla non presenza di
nesso di causalità della patologia con il lavoro perché la lavoratrice aveva lavorato nella struttura solo per
18 mesi, dei quali solo 3-4 di effettiva esposizione poiché aveva avuto una gravidanza. Inoltre i dosimetri
per le radiazioni inviati ogni 2 mesi al controllo segnalavano una quota nulla di esposizione a radiazioni
ionizzanti. Quindi l’INAIL ha accertato l’assenza del nesso di causalità e la lavoratrice non ha avuto nessun
indennizzo.
Esempio di denuncia e giudizio positivo: insorgenza di patologie neoplastiche associate all’esposizione
all’amianto nei quali casi i lavoratori o i loro familiari in caso di decesso dello stesso sono stati indennizzati.
Fino al 2002 era obbligatorio completare la specializzazione in medicina del lavoro in anestesia e radiologia
per firmare i referti come medico del lavoro. Quindi queste 3 specializzazioni permettevano di svolgere il
lavoro di sorveglianza sanitaria.
Nel 2002 il decreto accorpato nel 81/2008 stabilì che anche gli specialisti in igiene e medicina legale
potevano equipararsi ai medici del lavoro e svolgere attività di sorveglianza sanitaria; ciò successivamente è
stato modificato in modo che questi specialisti dovessero effettuare un master abilitante di secondo livello
di 10 mesi per poter esercitare la sorveglianza sanitaria.
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L’art 39 del decreto 81/2008 stabilisce anche che il medico del lavoro operi secondo criteri stabiliti dalla
commissione dell’ICOH (ente internazionale preposto alla sicurezza nei luoghi di lavoro). Il medico del
lavoro opera secondo i principi legati all’ente ICOH.
Il medico del lavoro non si occupa solo di effettuare visite mediche preventive e periodiche ma ha un’altra
serie di adempimenti obbligatori (secondo l’art 25 del decreto 81 del 2008) come:
- collaborare alla valutazione dei rischi insieme al datore di lavoro
- istituire aggiornare e custodire la cartella
- consegnare alla cessazione del rapporto di lavoro la cartella al lavoratore soprattutto in caso di
esposizioni cancerogene
- informare il lavoratore dei risultati della sorveglianza sanitaria (si può avere copia dei risultati e risposta
riguardo lo stato di salute, rappresenta un diritto del lavoratore tutelato dalla legge)
- effettuare il sopralluogo dei luoghi di lavoro (visitare il luogo di lavoro 1-2 volte l’anno) dove afferiscono i
miei lavoratori. Andare a osservare il luogo di lavoro serve per capire se vi sono altri agenti di rischio oltre a
quelli già segnalati. Per esempio posso scoprire che l’anestesista oltre ad essere esposto a rischi di tipo
biologico passa anche molto tempo al pc per lavoro e questo rappresenta un altro fattore di rischio che
vado a riportare nel documento di valutazione dei rischi. L’obbligo del sopralluogo vige sia per il datore di
lavoro che per il medico di lavoro.
- collaborare alla valutazione dei rischi
- effettuare formazione e informazione sui rischi in ogni attività lavorativa (ad esempio lezioni a lavoratori
esposti al rischio di radiazioni ionizzanti per spiegare come lavorare in sicurezza).
Se il medico del lavoro non adempie ai suoi obblighi (sorveglianza sanitaria, sopralluoghi controlli di lavoro,
formazione e informazione sui rischi), è soggetto a sanzioni per legge.
Tutti questi obblighi sono ben specificati da decreti ben strutturati, ma vi è il problema dell’attuazione della
sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò accade soprattutto al sud e consiste nella mancata ottemperanza degli
obblighi di legge. Nel meridione la medicina del lavoro non si è incrementata, al contrario di alcune regioni
del nord, dove invece è una realtà molto presente.
Agenti di rischio:
-agenti di rischio chimico sono quelli collegati all’esposizione a metano, solventi, cancerogeni.
-agenti di rischio fisici come rumore, vibrazione ecc.
-agenti di rischio biologico come hbv, hcv, hiv ecc.
-agenti di rischio trasversali (perche riguardano tutte le condizioni lavorative), rappresentati da stress
lavoro correlati come mobbing o burn out (riconosciuti come rischi professionali a tutti gli effetti in Europa
dal 2004 e in italia dal 2008).
-le allergopatie professionali come l’asma allergico professionale e le dermatiti irritative e da contatto di
origine lavorativa.
-a parte rientrano le problematiche di disergonomia come la movimentazione manuale di carichi, i
movimenti ripetitivi, l’assunzione di posture incongrue e i danni da utilizzo protratto di videoterminali (pc).
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LEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO 14 0TTOBRE 2014, prof Lamberti
Figure del sistema sicurezza, agenti di rischio e introduzione al contesto lavorativo dell’ambiente
ospedaliero (rischio biologico).
Oggi facciamo un excursus rapido sulle figure addette al sistema sicurezza. (quanto di seguito riportato fa
capo a quanto stabilito dal DL 81/2008)
Il lavoratore: consideriamo tale anche colui che, non retribuito, svolge un’attività al sol fine di apprendere
un mestiere, un arte o una professione, quindi anche gli studenti e gli apprendisti, i quali dovranno pertanto
essere sottoposti a sorveglianza sanitaria, in quanto si ritiene che una esposizione, anche breve, a rischio
lavorativo, vuoi sia biologico o chimico, ecc., possa produrre degli effetti sul suo organismo. La tutela di
queste figure è un obbligo del datore di lavoro. Nelle realtà industriali (??? Non sono certa sia la parola
giusta, ma è quanto mi è parso di capire, nds) se il lavoratore non si presenta a visita o al corso di formazione
in materia di sicurezza è sottoposto a sanzione, ciò sta a significare che si tratta di un obbligo.
Il datore di lavoro: è la figura massimamente responsabile del sistema sicurezza e maggiormente coinvolta
dal sistema sanzionatario. È il soggetto titolare del rapporto di lavoro col lavoratore. Si distingue dalle altre
figure (dirigente, preposto ecc.) poiché è l’unico che retribuisce il lavoratore, tutti gli altri obblighi possono
essere demandati alle altre figure, ma con obbligatorietà di firma, ovvero è possibile delegare la formazione
in materia di sicurezza, la sorveglianza e altro, purchè si sottoscriva (da ambo le parti) un documento che
sancisca il passaggio di responsabilità. Doveri del datore di lavoro: informare e formare il lavoratore,
provvedere alla sorveglianza sanitaria, nominare il medico del lavoro, corrispondere il trattamento
economico e stendere il documento di valutazione dei rischi. Questo documento elenca tutti i fattori di
rischio cui è esposto il lavoratore in funzione dell’ambiente in cui opera e della mansione che svolge; in
particolare all’articolo 28 della legge, si dice che tale documento non deve tralasciare alcun tipo di rischio,
come le problematiche stress lavoro correlate, deve altresì riportare le misure di sicurezza messe in atto per
la tutela delle lavoratrici in stato di gravidanza: il decreto per la prima volta introduce il concetto di
differenza di genere.
Dirigente o preposto: (per es. direttore di dipartimento) deve vigilare sull’osservanza degli obblighi di
formazione e sorveglianza sanitaria cui il lavoratore deve sottostare, assicurarsi che la formazione sia
adeguata e messa in pratica sul campo e che solo coloro che sono adeguatamente formati possano accedere a
determinate mansioni, egli deve anche fare segnalazione tempestiva di inefficienze relative a dispositivi o
metodiche di protezione individuale al datore di lavoro, il quale disporrà appositi sopralluoghi di verifica ed
eventuali provvedimenti. Anche dirigenti o preposti sono sottoposti obbligatoriamente a corsi di formazione
con verifica periodica.
RSPP (responsabile del servizio di protezione e prevenzione) figura nominata dal datore di lavoro per
aiutarlo alla stesura del documento di valutazione dei rischi.
AGE (addetti alla gestione emergenza e anti-incendio) sono lavoratori che vengono nominati in numero
variabile, 1 o più in funzione della grandezza della realtà lavorativa di cui sono responsabili, e
successivamente formati allo svolgimento di questa nuova mansione; colui che viene nominato non può
sottrarsi a tale compito (articolo 18) a meno che il medico del lavoro (previa richiesta di visita valutativa da
parte del datore di lavoro) non lo giudichi inidoneo per caratteristiche psico-fisiche. Tali figure sono anche
formate (nel nostro ateneo a partire dal mese prossimo) all’utilizzo del defibrillatore (la cui presenza è
diventata obbligatoria sui luoghi di lavoro a partire da gennaio 2013) e al BLSD.
Volendo riassumere, le finalità della sorveglianza sanitaria sono: operare formazione in materia di sicurezza
sul luogo di lavoro, monitoraggio e valutazione dello stato di salute psicofisica di ogni lavoratore; il medico
del lavoro è inoltre tenuto a stilare ogni anno una relazione sullo stato di salute della popolazione lavorativa
di cui è responsabile, da inviare poi all’INAIL; questa relazione riporta tutte le patologie professionali che si
sono eventualmente manifestate, senza alcun riferimento anagrafico del malato; tali dati saranno sottoposti a
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valutazione dall’INAIL per fare uno studio epidemiologico che monitori e porti a conoscenza delle patologie
professionali che sono presenti in Italia.
Vi avrà poi già detto il prof Sannolo che la visita preventiva del lavoratore da parte del medico del lavoro
serve soprattutto a individuare quelle condizioni di ipersuscettibilità individuale a determinati fattori che
possono diventare dei deterrenti all’assunzione del soggetto o al suo inserimento in contesti che espongano a
particolari agenti di rischio.
Veniamo ora alla classificazione degli agenti di rischio che possiamo incontrare in qualsiasi contesto
lavorativo:
-fisici: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, vibrazioni, rumore, microclima
-biologici: (i principali) hbv, hcv, hiv, tbc, morbillo parotite e rosolia (limitatamente a piccole realtà, come la
pediatria), ebola (era un problema molto raro in passato, ritornato tristemente in auge negli ultimi tempi)
-chimici: gas anestetici, farmaci antiblastici, detergenti, disinfettanti, sterilizzanti e solventi; di questi alcuni
sono anche cancerogeni come ad esempio gli antiblastici, di questi poi alcuni hanno specifiche tossicità
d’organo come il 5fluorouracile che è etichettato come cardiotossico. La manipolazione di queste sostanze
senza adeguati dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherina) ha provocato la manifestazione di
patologie a carico di determinati organi o apparati.
-movimentazione manuale dei carichi (mmc) e movimenti ripetitivi: come abbiamo già detto nella scorsa
lezione, sono esposti a mmc tutte le realtà lavorative, in ambiente ospedaliero parliamo di movimentazione
manuale dei pazienti da parte di infermieri, soprattutto nei reparti di lunga degenza come quelli di geriatria e
ortopedia; le patologie che più frequentemente scaturiscono da mmc sono a carico di rachide, polso e spalla.
Mmc e movimenti ripetitivi rientrano nell’ambito dell’ergonomia del lavoro, una branca della medicina del
lavoro che in particolare studia l’esatta organizzazione del lavoro, gli aspetti più pratici, per poter poi
sviluppare ambienti e supporti adattati alle esigenze del lavoratore (per es. luminosità, sedie, ecc.) esempio di
mestieri caratterizzati da movimenti ripetitivi è quello della cassiera. Rientrano anche nelle competenze
dell’ergonomia del lavoro i vdt (videoterminalisti) che sono quei lavoratori (segretari, impiegati) che
trascorrono almeno 20h, non necessariamente continuative, a settimana utilizzando dei videoterminali;
questo limite delle 20h non continuative è una novità del 2000 (legge comunitaria poi acquisita e introdotta
nel DL 81/2008), precedentemente, infatti, si consideravano vdt solo coloro che stavano al videoterminale
per 4h/die per 5 giorni consecutivi . Per questa categoria di lavoratori c’è un titolo della legge che stabilisce
come e con che cadenza vanno visitati.
(un ragazzo chiede se non vadano inquadrate come vdt anche molte altre figure lavorative e non solo, la prof
risponde che in pratica è così, ma la legge prevede che, relativamente ai soli lavoratori ovviamente, siano
sottoposti a visita solo coloro che vengono definiti vdt dal datore di lavoro –sempre a patto che rispettino il
limite delle 20h-, fa quindi l’esempio dei docenti della facoltà di medicina che vengono dichiarati solo come
esposti al rischio biologico pur se passano molte ore al pc a stendere lavori di ricerca, pertanto saranno
sottoposti solo a visita per rischio biologico e non per i problemi visivi che pure potrebbero avere; altro
esempio è fatto parlando dell’ipotetico caso dell’autista che trasporta pz che devono fare fisioterapia
dichiarato invece dal datore di lavoro come fisioterapista, in questo caso il problema è più grave, perché al
fisioterapista non si fanno ad esempio i controlli sul tasso alcolemico che invece sarebbero previsti per
l’autista, ma lo si visita solo, per es., per mmc, è chiaro quindi le conseguenze di questa non esatta
dichiarazione del datore di lavoro possono rivelarsi molto più pericolose. La prof aggiunge che, qualora
emergesse la realtà di questa situazione, l’unico penalmente responsabile e perciò perseguibile, nonché
sottoposto a pesanti sanzioni, è proprio il datore di lavoro, in quanto il medico del lavoro ha l’obbligo di fare
esclusivamente i controlli dovuti, relativamente ai soli rischi dichiarati dal datore di lavoro per quella
categoria di lavoratori, non è tenuto di accertarsi che quanto dichiarato risponda al vero e non ha
responsabilità in caso accada qualcosa – come conseguenza del rischio non indagato perché non dichiarato-).
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-rischi trasversali: sono riconosciuti dal 2008 e ritenuti responsabili di provocare stress e patologie
psicologiche lavoro-correlate, si tratta di: sindrome del burn out, mobbing, lavoro a turni
- allergopatie professionali come alcune forme asmatiche, dermatiti atopiche e da contatto, esse sono
presenti in diverse realtà lavorative.
-cuore e lavoro: per es. infartuato da reinserire, al riguardo non ci sono linee guida e si sta ancora valutando
come procedere
(Filomena Boccia)
E andiamo ai rischi presenti in ambiente ospedaliero (siamo ancora alla prima lezione, io mi auguravo che a
quest’ora fossimo già alla terza, però mi fa piacere che mi fate le domande e rendiamo la lezione più
discorsiva).
Quando faccio vedere queste immagini dico sempre che la mia specializzanda, avendo fatto l’erasmus in
Francia,in un ospedale di Nizza, ha mostrato quest’immagine che ben si presta alla spiegazione di tutti gli
agenti di rischio ospedalieri,in quanto l’ospedale rappresenta un esempio di realtà lavorativa dove ci sono il
90% degli agenti di rischio che prima abbiamo mostrato. Il laboratorio,la sala operatoria e i reparti di
degenza sono quelli in cui il rischio biologico,quello chimico e quello fisico sono largamente presenti, non
da ultimi anche i rischi trasversali. In ambiente sanitario rischi da stress lavoro-correlato sono principalmente
la sindrome del burn out,che è una patologia che riguarda le figure d’aiuto, quindi medici e infermieri, che
porta, in una serie di fasi successive, da una condizione iniziale di grande entusiasmo per la professione a
una condizione di completo distacco dalla professione stessa, per un inevitabile contrasto quotidiano con
quelle che sono le impossibilità di realizzare tutte le idee positive in merito alla professione medica, legate
molto spesso all’inadeguatezza dei luoghi di lavoro.
E andiamo al rischio biologico, che è la seconda parte della lezione. Ragazzi questa è una lezione a cui tengo
parecchio, quindi mi auguro che la seguiate con attenzione.
Domanda: i turni di lavoro di 12 ore( notturni e diurni) possono essere considerati fattori di rischio
trasversali? se sì, perché non vengono eliminati?
Risposta: solo quelli notturni sono riconosciuti come tali ( i turni prolungati giornalieri non sono
contemplati) e questo ha una motivazione scientifica, perché la mancanza di sonno si associa a
un’alterazione del bioritmo fisiologico ,c’è un’alterazione ormonale, una iperproduzione di cortisolo,quindi
questa problematica è stata correlata all’insorgenza di ansia e depressione e ancora ad altre cose:ci sono una
serie di lavori scientifici relativi a donne (medici o infermiere) che hanno sviluppato il ca mammario, quindi
parliamo di uno stress lavoro-correlato che provoca l’insorgenza di patologie neoplastiche. Nella valutazione
dello stress non ci si basa solo sulle dichiarazioni del soggetto interessato, ma si ricorre a questionari
standardizzati, che vi farò vedere, con items di riferimento, per cui il risultato sarà confrontato con delle
fasce di riferimento verde, giallo o rosso, come un semaforo: l’esito in fascia verde comporta la riproposta
del questionario negli anni, l’esito in fascia giallo-rossa comporta la riproposta del questionario non più a
gruppi di lavoratori ma ad personam, questionari soggettivi, e qualora il questionario soggettivo confermi il
disturbo psicologico, il datore di lavoro è tenuto a pagare la terapia psicologica e il recupero psicologico o
psichiatrico( perché la psicoterapia può anche non essere sufficiente) fatti al lavoratore. La valutazione del
turno notturno come causa si stress viene fatta dall’INAIL, che contribuirà a pagare di tasca sua, insieme alla
struttura che ha scatenato lo stress, sulla base del lavoro già fatto dai medici del lavoro e dagli psicologi e
ulteriormente confermato da un team di medici dell’INAIL (pneumologi, ortopedici, dermatologi), tramite
ulteriori visite mirate a stabilire se c’è il nesso di causalità. Quindi non basta dire “sono stressato”, ma ci sarà
un’attenta valutazione per capire se questo stress è effettivamente legato al lavoro, valutazione clinico-
strumentale che comincia nella struttura grazie al medico del lavoro e si completa nell’ente che poi paga. La
donna in stato di gravidanza viene sottratta dal turno notturno per i nove mesi della gravidanza e per sette
mesi dopo il parto fino a un anno di vita del bambino, in maniera obbligatoria, fino a 3 anni di vita del
bambino potrà sottrarsi in maniera facoltativa; quindi il riconoscimento di rischio reale c’è,la letteratura
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medica lo dimostra e la legge lo riconosce, però ottenere un indennizzo per stress lavoro-correlato sarà di
sicuro più indaginoso rispetto al riconoscimento di una sovrainfezione da epatite B o C, qualora in seguito a
un follow up fatto da noi insorga una problematica di questo tipo che prima non era presente, poiché in tal
caso il dato è oggettivo, mentre per lo stress pochissime sono state le cause effettive riconosciute fino ad ora
(ricordiamo che è stato riconosciuto dal 2008).
Come vi ho detto ( e questa è una domanda che faccio frequentemente agli esami) gli agenti di rischio
biologico maggiormente presenti nel settore sanitario (perché poi ce ne sono tanti altri in settori non sanitari,
che non tratteremo) sono: HBV, HCV, HIV, bacillo della tubercolosi e poi morbillo, parotite e rosolia in casi
selezionati, cioè nei reparti di ginecologia e pediatria, e non da ultimo il virus Ebola.
In ambiente ospedaliero il rischio più noto e studiato è il rischio biologico: per rischio biologico intendiamo,
secondo il decreto legislativo 81 del 2008, non solo l’esposizione diretta ad un agente patogeno e quindi
microorganismo o OGM (organismo geneticamente modificato) ma anche l’esposizione di un lavoratore in
maniera indiretta a un microorganismo, per esempio coltivato in una coltura cellulare: quindi anche i biologi,
i chimici, i biotecnologi possono essere esposti a rischio biologico. Ci sono vari modi di classificare il rischio
biologico; nel famoso diario di valutazione dei rischi, io, medico del lavoro, che ho per la prima volta
l’incarico in un ospedale , trovo le informazioni relative a quali sono i rischi ai quali sono esposti i lavoratori
di cui mi occupo e,solo grazie a queste ,potrò realizzare un adeguato protocollo di sorveglianza sanitaria,
quindi vado a ricercare in quel documento, presente nell’azienda, quali sono le caratteristiche di rischio
biologico presenti in quella realtà. Per fare ciò mi servono delle classificazioni: le classificazioni di
riferimento vanno ad etichettare il rischio biologico in base a dei criteri di infettività, di trasmissibilità,di
patogenicità e neutralizzabilità. Nella pratica la classificazione degli agenti biologici è questa: (al nostro
ateneo è attribuita una classe di rischio tra 2 e 3) gli agenti biologici di gruppo 1 sono quelli che presentano
poche probabilità di causare malattie negli uomini, quelli di gruppo 2 possono causare malattia negli uomini
e quindi costituire un rischio per i lavoratori ,ma nei loro confronti sono sempre o quasi sempre presenti
misure profilattiche e vaccinali, quelli di gruppo 3 possono causare malattie gravi negli uomini e quindi
costituiscono un serio rischio nei lavoratori, possono propagarsi nella comunità e sono quasi sempre
disponibili misure profilattiche terapeutiche ( lo sapete che oggi anche per l’HCV in America è prevista una
terapia a pagamento che determina guarigione), infine ci sono quelli che non mi auguravo mai di trattare, gli
agenti di gruppo 4, per i quali non esistono ancora misure profilattiche e vaccinali, come ad esempio il virus
Ebola. Questa classificazione è importantissima perché permette ai medici del lavoro di andare a quantizzare
il rischio biologico in una determinata struttura. In realtà non lo faccio io medico del lavoro ma lo fa il datore
di lavoro, io posso esprimere la mia e dire ad esempio “guarda, i lavoratori che mi hai mandato non sono
sottoposti a rischio 2 ma 3, quindi adeguati!” ma non sarò mai io, altrimenti nessuno si specializzerebbe in
medicina del lavoro (o igiene e medicina legale e dopo farebbe il master), a modificare l’entità del rischio nel
diario apposito, ma si tratto di un obbligo del datore di lavoro.
Come si trasmettono gli agenti di rischio biologico?ci sono vari tipi di trasmissione:
-nosocomiale, che si studia maggiormente in igiene, da paziente infetto ad altro paziente oppure da ambiente
ospedaliero infetto a paziente;
-occupazionale, di cui ci occupiamo noi, da paziente infetto a operatore;
La domanda intelligente che potreste fare è “e quella che avviene da operatore a paziente?”: sul danno a terzi
ci sono decreti del ministero dell’Italia e Europa che non sono stati ancora emanati,si tratta di una
problematica ancora molto scottante, soprattutto in Italia. In merito alla questione ci sono dei consigli, che
possono essere utilizzati e ci vengono dalla Gran Bretagna, dove un operatore con epatite C cronica viene
invitato a chiedere al paziente il consenso informato a farsi operare; ovviamente è una proposta non
universalmente condivisa.
Domanda : ma in relazione alla trasmissione operatore-operatore? Cioè io medico infetto posso trasmettere
oltre che al paziente anche al collega…
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Risposta: è una cosa molto rara, in ogni caso il collega è sottoposto,come tutti gli altri operatori sanitari, a
sorveglianza sanitaria e lo sarà anche il medico infetto,quindi si sa già da prima se ci sono potenziali rischi di
trasmissione di uno stato infettivo e si cerca di gestirli quando possibile: se c’è un caso di epatite in fase
attiva, le nostre linee guida consigliano di allontanare il lavoratore, anche se fa il chirurgo e può fare solo
quello. Quindi sì ci può stare e scattano tutte le misure profilattiche e preventive, che sono la gestione
dell’infortunio, che ora vediamo,il referto del pronto soccorso e il follow-up a 0-3-6-12 mesi per vedere se
c’è stata la sovrainfezione.
Un altro concetto che dovete avere sul rischio biologico è questo: quando si parla di rischio biologico ci si
riferisce al titolo decimo del decreto legislativo 81 del 2008 e ci si riferisce non solo all’uso deliberato ,che
significa certo, cioè esposizione certa al fattore di rischio biologico, come nell’ambiente ospedaliero, ma
anche all’ uso potenziale: un esempio di esposizione potenziale al fattore di rischio biologico può essere
quello di un banale ufficio di una segreteria amministrativa, dove il videoterminalista lavora al computer per
quelle 20 ore settimanali e si becca una bella legionellosi, perché all’impianto di condizionamento non è stata
fatta la regolare manutenzione che comporta la pulizia dei filtri e vi si è annidata la legionella pneumofila. I
settori lavorativi con esposizione deliberata al rischio biologico sono invece l’università, i centri di ricerca
come i laboratori di microbiologia, i laboratori che sperimentano farmaci, l’industria delle biotecnologie e
degli OGM. Ci sono tutta un’altra serie di lavorazioni che vengono etichettate come a rischio biologico non
ospedaliero, che sono l’industria alimentare, l’agricoltura, la zootecnia, i servizi veterinari,la macerazione
delle carni e, non da ultimo, il servizio di raccolta,trattamento e smaltimento dei rifiuti; altre attività sono i
servizi di disinfezione, sterilizzazione e disinfestazione.
Andiamo quindi ai nostri agenti patogeni pericolosi, li ripetiamo fino alla noia:HBV,HCV,HIV,micobatterio
tubercolare e in rari casi anche la meningite, ma non la tratteremo. Questi dati nascono dalla letteratura
scientifica internazionale pubblicati dalla nostra agenzia di medicina del lavoro e igiene industriale, la
SIMLII dopo 30 anni di attività lavorativa da parte di medici competenti: si è notato che in realtà lavorative
vecchie di 30 anni fa ,quando il vaccino per l’epatite B non era obbligatorio, il range di sovrainfezione per
l’epatite B era più elevato di quello per l’epatite C, principalmente per i chirurghi e gli infermieri
professionali.
Nella mia piccola esperienza dal 2004 nel corso di medicina e chirurgia ci sono stati pochissimi casi si
studenti che si sono punti,rispetto a quelli delle lauree triennali,anche perché, tornando al discorso di
prima,da programma didattico c’è un gradualità di rischio biologico a cui siete sottoposti,dal momento che al
terzo anno dovreste imparare come minimo a misurare una pressione e a fare un’intramuscolo e al sesto a
inserire un sondino naso-gastrico (risata generale).
Questa è un’altra cosa importante: nel contatto percutaneo (sangue infetto-sangue non infetto) abbiamo una
percentuale di sovrainfezione più elevata per l’epatite C( ma stiamo comunque parlando di percentuali basse,
che rasentano lo 0, per HCV è lo 0,45% dopo lesioni percutanee e aumenta se la cute non è integra);è quindi
importantissimo usare i guanti, ma fino a 2-3 anni fa ho visto infermieri professionali in reparti di malattie
infettive senza guanti con pazienti cirrotici allettati: nel caso questi si pungano e sviluppino una dermatite da
contatto con microlesioni saranno più esposto alla sovrainfezione. Nell’HIV la sovrainfezione avviene invece
maggiormente con contatto mucoso. Le percentuali di sovrainfezione da contatto percutaneo sono comunque
basse perché entrano in gioco una serie di fattori: il vaccino contro l’epatite B che dà immunità certa se il
titolo anticorpale è superiore a 10 unità/L, per HCV entra in gioco prima di tutto la carica virale:c’è
differenza cioè tra una goccia di sangue o se ti sei imbrattato completamente di sangue,come può succedere
durante un intervento a cuore aperto dove non è la goccina di sangue ad andarti negli occhi o in bocca,
sempre se non tieni gli occhiali e la mascherina (perché ragazzi qua parliamo di infortuni, ma non parliamo
del fatto che nel 98% dei casi questi sono accaduti perché gli operatori non indossavano nemmeno le scarpe
antiscivolo: in sala operatoria non si va senza mascherina, non si va senza occhiali, non si va senza cuffia o
senza guanti, ancor di più se non c’è una condizione di protezione dall’epatite B, perché c’è una piccola
percentuali di voi che è non responders e quindi potrà fare anche il vaccino cento volte ma non si
immunizza.; quindi prima i dispositivi di protezione individuale, poi la tutela).
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Oltre alla descrizione della tipologia di rischio biologico, si tiene conto anche del livello di rischio biologico
su cui si basa un’altra classificazione:
-livello trascurabile: non c’è assistenza diretta al paziente e non vi è manipolazione dei campioni biologici; io
faccio l’esempio delle specializzazioni, in particolare degli specializzandi in medicina del lavoro o di igiene
(medicina legale no, perché gli operatori fanno le autopsie)che, a meno che non si dilettino a fare i prelievi,
risultano sottoposti a rischio biologico trascurabile;
-livello lieve: assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici: qui rientrano tutti i
reparti di un ospedale;
-livello medio: esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione, ad esempio interventi chirurgici in
sala operatoria;
-livello elevato: c’è assistenza diretta al paziente e manipolazione in prima persona di campioni biologici ma
in più ci sono condizioni tecniche, organizzative e procedurali insufficienti o sfavorevoli;
Domanda : un chirurgo si classifica come a rischio medio-alto?
Risposta : dipende…in genere è classificato a rischio medio alto, ma bisogna tener conto anche del tipo di
interventi che esegue: non in tutti i reparti in cui si fa chirurgia c’è questo rischio medio alto, il livello sarà
medio in una sala in cui quotidianamente si fanno interventi di ernia, alto in una in cui si fanno trapianti di
cuore.
E andiamo al caso clinico per rendere le cose più interessanti ( le lezioni sono strutturate in questo mondo
perché ci tenevo tanto che poi poteste avere un ricordo della medicina del lavoro come di qualcosa collegata
alla medicina interna, in effetti la nostra è una branca della medicina interna, dove senza le nozioni di
cardiologia, pneumologia, radiologia e ortopedia, non possiamo esercitare la nostra professione; quindi il
caso clinico, come lo avete visto in altre branche, viene presentato allo stesso modo anche qui, solo che oltre
all’anamnesi familiare e personale, c’è anche un’anamnesi lavorativa)
Medico di 50 anni attivo nella branca di microchirurgia ricostruttiva, presta attività lavorativa nel settore
ospedaliero da circa 15 anni. Ha un’anamnesi fisiologica senza grosse note (alvo e diuresi regolari, abitudini
voluttuarie normali,nega uso di alcol e stupefacenti,fuma 10 sigarette al giorno da 15 anni, riferisce di avere
assolto al servizio di leva, nega terapie farmacologiche in atto). L’anamnesi familiare rivela una negatività
per epatiti pregresse in atto (perché, come voi sapete, può capitare che in una famiglia ci sia più di un caso,
vista la facilità di trasmissione per la HCV- per HBV ormai siamo invece quasi tutti vaccinati-per abitudini
sessuali particolari o anche semplicemente andando dal barbiere o dall’estetista). All’anamnesi patologica
remota riferisce i CEI (comuni esantemi infantili: morbillo, parotite e varicella), non è vaccinato per HBV,
lamenta episodi frequenti di mialgie e lombalgie,iperfrequenti nelle realtà ospedaliere. Come sintomatologia
lamenta da circa due anni un’astenia aspecifica. Interventi chirurgici: appendicectomia e tonsillectomia in
età infantile. Infortuni lavorativi (domanda:hai mai avuto infortuni lavorativi?):ferita da taglio accidentale
durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciata come da protocollo di infortunio (
questo è un caso simile a quello che è realmente capitato a me,cioè quello di una specializzanda che ha
scoperto di avere l’epatite e ha ricordato di essersi tagliata, negli anni antecedenti alla scuola di
specializzazione,in un reparto di dialisi: solo quell’episodio nel suo background anamnestico si poteva
ricollegare a una pregressa infezione). Anamnesi patologica prossima( come stai adesso?): persistenza di
lieve astenia e calo ponderale, quindi segni molto aspecifici. E andiamo all’esame obiettivo: oltre a un dato
di peso, altezza e pressione arteriosa, si effettua, soprattutto in fase di visita preventiva, un esame obiettivo
generale per andare a osservare lo stato di salute clinica generale: andremo a fare un esame obiettivo del
cuore, del torace, con tutti quelli che sono i momenti (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) e
in particolare ci si concentra soprattutto su quell’organo dove immaginiamo di trovare un’alterazione
collegata al nostro agente di rischio lavorativo, che nel nostro caso è il fegato,che alla palpazione appare
debordante di 1 cm dall’arcata costale ,con una milza in questo caso nei limiti. Esami ematochimici: dati di
glicemia e azotemia bene o male nei limiti così come la creatininemia,AST e ALT 250 e U/l, quadro protido-
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elettroforetico nella norma. Voi avete già avuto nozione dei markers epatitici? Ce li rileggiamo insieme:il
nostro lavoratore presenza assenza di antigene Australia HbSAg, una presenza di HbSAb, un’assenza di
HbEAb e una presenza di anticorpi anti core HbCAb. Allora questo è un grafico omnicomprensivo (indica la
slide) che mi auguravo di trattare a mente fresca( in Finlandia i bambini iniziano a studiare a sette anni,
lavorano per 45 min e 15 min si riposano, voi siete più grandi ma già è passata un’ora e mezza di lezione),
quindi è meglio che questo ce lo andiamo a vedere nella prossima lezione.
(Carola Borrelli)
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Medicina del Lavoro 20/10/2014
Allora ragazzi la scorsa volta ci siamo lasciati descrivendo il caso clinico di un lavoratore di 50 anni attivo
nella branca … con un anzianità lavorativa di 15 anni, anamnesi fisiologica familiare e patologica remota
negativa, non vaccinato per hbv e con questa particolarità anoressica per il mercurio biologico avvenuta
durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciato come da protocollo infortunio sul
lavoro. Esame obiettivo per lo più negativo tranne che per una positività a livello epatico per una lieve
epatomegalia, ecg e spirometria nella norma. Gli esami ematochimici di primo livello chiesti da un medico
del lavoro furono l’azotemia, glicemia, creatinina ( ai limiti), le transaminasi con AST 150 ALT 250 per litro,
emocromo, QPE nella norma. Andiamo ai markers epatitici: Hbs Ag Assente, Hbs Ab presente, Hb Ab
assente, Hbc Ab presente. Ritroviamo una positività del nostro lavoratore per gli anticorpi contro l’
antigene australe Hbs Ag e una positività per gli anticorpi contro l’antigene del core. Compare dopo 2-4
settimane dal contagio, compare dopo all’incirca 5-6 mesi e viene sostituito dall’anticorpo Hbs Ab, può
esserci una piccola eccezione legata al periodo finestra di breve durata dove possono convivere l’Hbs Ab e
l’Hbs Ag ad indicare una condizione di infezione recente nei confronti della quale l’organismo sta reagendo
con la comparsa dell’anticorpo Hbs Ab. Per quanto riguarda l’anticorpo Hbc Ag è un antigene che non viene
rivelato nel sangue del paziente, ma compaiono gli anticorpi contro questo antigene. Invece l’ HbE Ag è un
antigene che si ritrova nel sangue del paziente ed è associato al concetto di non proiettività in atto. Nei
confronti del Hb E Ag compaiono Hb E ab. Gli anticorpi contro il core possono essere di due tipi IgM o IgG a
seconda se l’infezione risulti recente o meno. Nel caso del nostro lavoratore il dosaggio di IgG, che molto
raramente sono compresenti con gli antigeni, ci andava ad indirizzare verso un infezione di vecchia data. La
presenza esclusiva degli Hbs Ab e l’assenza di tutti gli altri marcatori antigenici e anticorpali depone oggi
per un ragazzo di 25 anni per una pregressa vaccinazione, in tal modo i medici del lavoro valutando il titolo
anticorpale possono proteggere il lavoratore dal contatto con nuovi virus in sala operatoria o in altre
strutture sanitarie e allo stesso tempo valutare se effettuare una 4° dose di richiamo della vaccinazione
oppure ricominciare il ciclo. Il nostro lavoratore presentava una positività contemporanea degli anticorpi
anti-Hbv per una pregressa infezione e anti-Hcv, le indagini di secondo livello che vengono effettuate
dosaggio dell HCV-Rna e la collaborazione dello specialista. L’infettivologo richiederà un dosaggio quali e
quantitativo del Hcv-Rna ed un ecografia epato-splenica oltre ad effettuare una visità clinica. Andiamo alla
diagnosi di pregressa infezione da Hbv e di infezione in atto da Hcv, il medico del lavoro invierà il paziente al
centro infettivo logico, al medico del lavoro arriverà la certificazione specialistica che impugnerà per
decidere cosa fare in merito al giudizio di idoneità.
Ciò che interessa al medico del lavoro è la valutazione dello stato di infettività del lavoratore non solo per
una sovra infezione a terzi ma ciò che può succedere al nostro lavoratore stesso. Viene attribuito un
giudizio di inidoneità temporale per procedure invasive svolte in prima persona, tra le quali annoveriamo :
interventi in osso, interventi chirurgici che espongono il lavoratore ad elevate quantità di sangue. Altre
motivazioni la terapia con l’interferone può comportare cefalea, astenia, febbre, queste condizioni
favoriscono l’insorgenza di infortuni nelle sale operatorie. Per tanto il lavoratore viene allontanato dalla
sala operatoria con un giudizio di revisione a 3 mesi e la successiva gestione del giudizio viene ad essere
valutata in base alla progressione della patologia, remissione dell’epatopatia, valutando quindi valori e
andamento delle transaminasi e della replicazione virale associata ad un esame clinico accurato. Il decreto
81 è in merito alla gestione del rischio biologico, in particolare degli agenti patogeni presenti in ambiente
ospedaliero, i lavoratori per i quali viene evidenziato un rischio biologico vengono regolarmente sottoposti
a sorveglianza sanitarià, il datore di lavoro su parere del medico del lavoro adotta misure protettive
particolari. Qualora il medico del lavoro richieda guanti antitaglio per ridurre al minimo la possibilità di
taglio e quindi la possibile sovra infezione da agenti biologici. Il medico del lavoro contatta il datore di
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lavoro, gli chiede l’acquisto di questi guanti e allora il datore è obbligato secondo il titolo 10 articolo 179
comma 2a a fornire dispositivi di protezione individuale adeguati al rischio.
Rapidamente parliamo del vaccino HBV, vaccino sintetico costituito da Dna ricombinante, fatto un ciclo
completo la percentuale di siero conversione è del 95%. Mi è capitato di visitare grossi gruppi di lavoratori
provenienti dal casertano, dalla medesima asl, che nonostante il ciclo completo di vaccino presentavano un
titolo anticorpale bassissimo rientrando nella piccola percentuale di non responders. Tutto ciò è dovuto
essenzialmente a un problema dei lotti di vaccini forniti in quelle zone. La durata della protezione varia tra
5-10 anni, le nuove linee guida di malattie infettive ribadiscono che la protezione dell’individuo è tale per
valori di Hbs Ab superiore a 10 unità per litro, per tanto è possibile quando presenti questi valori evitare di
effettuare il 4° richiamo vaccinale mantenendo intatta la protezione. La vaccinazione per HBV è
raccomandata, ma non obbligatoria, per vari operatori socio-sanitari, personali di assistenza in casa di cura
privata,trasfusi o emodializzati e conviventi con pazienti affetti da epatite B cronica hanno diritto ad avere il
ciclo vaccinale completo per legge dal medico di famiglia. Di fondamentale importanza è la sensibilizzazione
nei confronti di un virus che è facilmente contraibile, sia in ambiente sanitario che all’esterno vista la sua
trasmissione ematica o sessuale in base allo stile di vita e vista la grande diffusione dei virus B e C in
Campania. Il protocollo (le analisi strumentali ed ematochimiche) che rientrano nella sorveglianza sanitaria
del lavoratore esposto ad agenti patogeni virali sono : esami ematochimici di base (azotemia glicemia
transaminasi creatinemia emocromo) e i markers del epatite B e C, esami di secondo livello: Hbv-dna e Hcv-
Rna.
In occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure preventive previste dal
programma di sorveglianza sanitaria. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago), immediatamente
aumentare il sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare. In caso di contaminazione di
mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente abbondante. In caso di
contaminazione di cute lesa vista la maggiore probabilità di super infezione anche qui lavare con acqua e
sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità. La diversità è solo per le mucose dove si va
immediatamente a detergere per andare a diluire la carica microbica che è entrata in contatto con le
mucose. Cosa fare dopo ? Immediatamente rivolgersi ad un agente preposto come caposala, docente,
direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e sarete immediatamente inviati verso il
pronto soccorso che vi rilascerà un referto di infortunio biologico senza il quale non può essere attuato il
follow-up sierologico presso la medicina del lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento che ci permette di capire se è
avvenuta una sovra infezione da HBV HCV o HIV. Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post-
esposizione quando abbiamo un titolo anticorpale inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV.
Quando un operatore viene a contatto con un soggetto HIV + a seguito dell’esposizione per azzerare il
rischio di trasmissione virale bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la
somministrazione di farmaci antivirali al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività
del paziente. Bisogna recarsi per attivare questo tipo di procedura in pronto soccorso che dovrebbe essere
munito di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.
TUBERCOLOSI
Si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia coinvolta nella problematica della tubercolosi
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Attualmente nell’ anno 2008 si stimano circa 193 nuovi casi per
centomila abitanti, sebbene i nuovi casi avvengano nelle regioni endemiche . Dal punto di vista
epidemiologico la diffusione dell’infezione tubercolare si localizza principalmente in SudAfrica e in Russia
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con casi di incidenza molto più alti che in Europa. Il primo caso che ha destato allerta in Italia nel 2011 si è
verificato per un infermiera del reparto di pediatria dell’Umberto I di Roma che era strutturato da più di 10
anni, ma non era stata sottoposta a sorveglianza sanitaria e per tanto aveva contratto la patologia. I medici
del lavoro romani furono inquisiti. Da questo caso di tubercolosi in fase attiva è derivato tutto quello che si
sta facendo oggi in tutta Italia per gestire la problematica della tubercolosi. In Italia la tubercolosi è una
problematica in aumento rispetto al passato con un aumento di 10 casi per 100000 abitanti con maggior
incidenza nel nord Italia rispetto al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a flussi migratori nelle regioni del
Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est, mentre in altre zone di
Europa l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori provenienti dall’Africa. Il numero dei
casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle regioni del Nord Italia, ma maggiore
rispetto alle regioni del Sud. Nel 2012 in collaborazione con il prof. Moscatiello primario di pneumologia
abbiamo stilato le linee guida del nostro ateneo per la gestione dei casi di tubercolosi per la multifarmaco
resistenza che i ceppi tubercolari presentavano. Causata dal Micobatterium Tuberculosis di cui fanno parte
una sequela di altri micobatteri tra cui il principale è rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis
Hominis. E’ un patogeno intracellulare, con caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che
gli connota una peculiare acido resistenza insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e
alla reazione di ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux. Il bacillo di
Koch difficilmente determina l’instaurarsi di una infezione laringea e polmonare perché la tubercolosi è
una patologia che nel 95% dei casi si manifesta in fase latente e solo nel 5 % dei casi in forma cavitaria che
corrisponde alla tubercolosi in fase attiva. La probabilità di evoluzione di una forma latente in una forma
cavitaria aumenta nei dieci anni successi al contagio, per tanto il medico del lavoro è tenuto a sorvegliare
tutti i lavoratori al fine di impedire la riattivazione della patologia. La trasmissione della tubercolosi avviene
per via aerea tramite gocce di saliva di piccolissime dimensioni diffuse nell’area : pflugge, starnuto, tosse o
catarro, anche se la trasmissione dipende principalmente dalla concentrazione nell’area del bacillo, per
tanto pazienti allettati in luoghi di piccole dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono
trasmettere il bacillo. Quali sono le problematiche di gestione del medico del lavoro ? Sono la scoperta in
visita preventiva o periodica di una condizione di tubercolosi in fase latente più raramente in fase attiva.
Come viene fatta la diagnosi ? In condizione di tubercolosi in fase attiva con la clinica caratteristica si
indirizzano i pazienti dagli pneumologi, si effettuano una serie di esami tra cui quello fondamentale è
l’esame colturale che ci da una risposta certa in 4-8 settimane oppure per altri tipi di terreni 2-3 settimane.
Per diagnosi di malattia latente si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si iniettano dosi di
tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione ponfoide nel derma della faccia volare dell’avambraccio
del lavoratore sottoposto. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il bacillo tubercolare la positività
della reazione di Mantoux si appaleserà come un reazione di ipersensibilità di 4°grado. Ci sono dei cut-off
utilizzati per la misura del diametro del ponfo e quindi la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o
meno. Questi diametri sono variabili a seconda dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore.
Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio latente oppure operatori sanitari del Cotugno a contatto con
pazienti allettati affetti da tubercolosi presenteranno dei cut-off differenti rispetto ad un soggetto che non
ha mai avuto contatto con il bacillo. In questi casi il diametro della reazione ponfoide sarà superiore ai 5mm
ancor più se abbiamo a che fare con immigrati provenienti da aria d’Africa a prevalenza di malattia. La
positività alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche quando
apparentemente il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. L’art. 17 coma 1
decreto 81-2008 (non sono sicuro) obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica TBC in ambiente
ospedaliero, obbliga ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico del lavoro almeno una
volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano automaticamente una serie di
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indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria. Questa visita va effettuata per tutti i
contatti lavorativi che sono venuti a contatto con il lavoratore affetto dalla patologia.
Come fa un medico del lavoro a sapere quando e con che intervallo visitare un lavoratore esposto al bacillo
di Koch ? Nel documento di valutazione del rischio il medico del lavoro è obbligato a fare un indagine
epidemiologica dell’ ospedale interessato basandosi su un concetto che ha al centro il numero di casi di
lavoratori affetti da TBC nell’anno. Secondo le linee guida se abbiamo in un ospedale meno di 3 casi l’anno
parliamo di rischio basso o bassissimo,(per la prof. va distinto la fascia di rischio basso da quello bassissimo
perché entrambi connotato un rischio non elevato, ma danno un segnale di allarme differente),nel rischio
intermedio e alto rientrano ospedali dove il numero di casi l’anno risulta essere maggiore e non si fa solo
scoperta di patologia tramite fibrobroncoscopia come avviene negli ospedali del nostro ateneo dopodiché i
pazienti vengono inviati al Cotugno dove ci sono le degenze per i pazienti tubercolotici.
La sorveglianza sanitaria viene effettuata per la TBC in sede di visita preventiva, periodica o in seguito
all’esposizione con pazienti affetti. I dottorandi, specializzandi e strutturati della chirurgia toracica dopo
essere entrati in contatto con i pazienti affetti da TBC sono rientrati negli elenchi della sorveglianza
sanitaria inviati dalla direzione sanitaria, che effettua indagine e analisi dei contatti, li invia ai medici del
lavoro che eseguono i controlli periodici effettuati al punto zero e ripetuti ogni 60 giorni, perché la
letteratura ci dice che potremmo trovare un falso negativo al punto zero che diventa un vero positivo
nell’arco dei 60 giorni successivi alla prima visita. Tutti i contatti vengono sottoposti a doppia Mantoux al
punto zero e dopo 60 giorni. Una risposta alla tubercolina superiore a 10 può verificarsi in un lavoratore che
ha eseguito la vaccinazione, però il vaccino con il bacillo di CG non viene più proposto in maniera
obbligatoria perché gli studi epidemiologici effettuati nel 2009/2010 hanno stabilito che il vaccino non
avesse un immunità nei confronti del bacillo, perché la popolazione successivamente sottoposta a Mantoux
si presentava completamente negativa. Quindi l’immunità nei confronti del bacillo di Koch non si era
realizzata per cui il vaccino viene proposto esclusivamente in due casi : per la popolazione pediatrica entro
5 anni nelle zone dove la TBC è endemica e nei lavoratori che si ritrovano ad alto rischio di contagio per la
TBC, soprattutto in condizione di immunodeficienza e multi farmaco resistenza. DOMANDA DI ESAME : La
vaccinazione con il Bacillo di CG non viene più effettuata a tappeto per il personale sanitario? La
prevenzione si fa con la proposta della intradermoreazione di Mantoux che va a slatentizzare una
condizione di Tubercolosi latente a cui segue chemioprofilassi tramite consenso informato. L’unica misura
di prevenzione non è più la vaccinazione, ma la Mantoux una volta sola. ALTRA COSA IMPORTANTE : Oggi la
Mantoux va abbinata con un altro test che ha elevata sensibilità e specificità (intorno al 95-98 %) i test
IGRA, in cui non si va ad iniettare tubercolina,ma si va a dosare direttamente nel sangue l’interferon gamma
rilasciato dai leucociti come segnale del pregresso contatto con il bacillo di Koch. Solo quelli che non hanno
avuto il contatto presentano nel sangue l’interferone gamma che viene dosato.
Perché non si sostituisce la Mantoux con il test IGRA che ha una specificità e sensibilità superiore di circa
300 volte rispetto alla Mantoux ? Perché non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta scala, cioè in
tutta la popolazione. Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa vaccinazione o tramite
un contatto che non si è a conoscenza, solo tramite test IGRA possiamo avere la certezza del contagio. Se
l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione radiologica e pneumologica, se il test IGRA è
negativo l’iter diagnostico si conclude. La cosa fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del
test IGRA si fa diagnosi certa di TBC latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test
IGRA negativo possiamo escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch. Purtroppo il
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test IGRA non può essere effettuato su vasta scala perché ha un costo proibitivo, si promuove nelle realtà
ospedaliere dove il medico del lavoro può richiederla al datore di lavoro poiché il numero del personale da
analizzare risulta ristretto a 100-150 persone.
NOZIONI SPECIALISTICHE :
Se abbiamo una Mantoux positiva in visita preventiva, questa sarà sempre un vero positivo e si procederà
in visita periodica proponendo il test IGRA.
Valori borderline di 0.35 di Quantiferon comportano una ripetizione a 3 mesi perché questi valori devono
essere poi riconfermati a 6 mesi. Quindi il medico del lavoro deve riconvocare una piccola percentuale di
persone borderline, perché questi possono diventare francamente positivo e quindi andare incontro a
chemioprofilassi.
In conclusione la collaborazione del medico del lavoro, pneumologo e direzione sanitaria della realtà
ospedaliera permette di gestire anche e soprattutto i casi di TBC in fase attiva con i quali il lavoratore può
venire a contatto. Questi punti rientrano nel programma di formazione e informazione in cui al lavoratore
viene spiegato cosa fare quando viene a contatto con il bacillo di Koch, quali dispositivi utilizzare, quale iter
seguire e quali controlli fare a 0 e 60 giorni per infezione tubercolare. Quindi la sola sorveglianza sanitaria
non è sufficiente a ridurre al minimo l’incidenza di infortuni e malattie professionali, fondamentale in
questo sistema sono la valutazione dei rischi, la prevenzione, protezione, formazione e informazione sul
rischio. Quindi il primo momento del sistema sicurezza significa visitare il lavoratore a rischio biologio,
mentre il secondo momento è informare e formare il lavoratore sui rischi.
Il decreto cardine che tutela la donna in stato di gravidanza è il decreto 151 del 2001 inserito all’interno del
testo unico 81 del 2008. Excursus storico : nel 1948 entra in vigore la Costituzione che sancisce l'
eguaglianza storica tra uomo e la donna, 1977 divieto di discriminazione in accesso al lavoro per la
formazione e retribuzione della donna , nel 1994 1999 e 2000 con la legge 53 riconoscono nella donna in
gravidanza e allattamento il diritto al congedo di maternità e congedi parentali (congedi per malattia dei
figli). Fino ad arrivare al 2014 in cui il numero di lavoratrici donne aumenta sempre più nel tempo.
LEGGI DI TUTELA
La legge 120 del 1971, la legge 53 del 2000 e la legge 151 del 2001 tutelano la donna lavoratrice in periodo
di gravidanza e allattamento. La tutela per la lavoratrice in stato di gravidanza e allattamento non
comprende solo i 9 mesi di gravidanza, ma fino ai 7 mesi successivi al parto. La comunicazione di stato di
gravidanza va effettuata dalla lavoratrice immediatamente al suo riconoscimento certo in qualsiasi attività
lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto venendo a conoscenza dello stato della lavoratrice a tutelare per i
primi 30-45 lo sviluppo e l'integrità del bambino allontanando la lavoratrice da qualsiasi agente teratogeno.
Quindi è necessario e fondamentale dichiarare con imminenza lo stato di gravidanza al dirigente preposto o
datore di lavoro. Il datore di lavoro quando viene a conoscenza dello stato di gravidanza se è possibile
modifica la mansione della lavoratrice oppure cambiare la mansione della lavoratrice. Quando il datore di
lavoro non può cambiare mansione della lavoratrice, come può accadere nelle industrie tessili dove la
maggior parte del lavoro è manuale a contatto con numerose sostanze alcune teratogene, fa un esposto
all'ispettorato provinciale del lavoro chiedendo l'allontanamento della lavoratrice da quel determinato
fattore di rischio. La lavoratrice che non può svolgere altra mansione rimarrà a casa percependo il suo
salario, questa è la novità del decreto 151 del 2001 che tutela in pieno lo stato di gravidanza andando a
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farsi che la donna non perda la sua attività lavorativa e allo stesso tempo venga tutelata la salute del feto.
Nel momento in cui si verifica questa condizione scatta quella che si chiama interdizione anticipata per
maternità. Questa interdizione ovviamente si verifica per quelle donne con alti rischi lavorativi.
La legge 151 del 2001 prevede due allegati uno A e B dove vengono descritti tutti i lavori a cui la lavoratrice
non può essere più sottoposta. La lavoratrice in stato di gravidanza non può essere sottoposta a vibrazioni
meccaniche o a movimentazioni da manovale di carichi pesanti che comportano rischi a livello dorso-
lombare, non può essere più sottoposta a strumentazioni rumorose e assolutamente non può essere
esposta a radiazioni ionizzanti superiori a 1 millisider, non può essere sottoposta a sollecitazioni termiche
(es: Vigili del fuoco) e agenti biologici da 2 a 4 della classificazione che abbiamo visto l'ultima volta per i
quali esistono o meno misure profilattiche nei confronti dei vari agenti biologici. Lo stesso discorso vale per
gli agenti chimici come metalli e sostanze chimiche etichettate come tossiche. Il decreto 151 2001 dice che
qualsiasi lavoratrice non può essere obbligata ad effettuare il turno notturno,dalle 24 alle 6 del mattino,
fino ad un anno di vita del bambino, inoltre fino all'età di tre anni può facoltativamente scegliere di fare o
meno il turno notturno, allo scoccare del terzo anno dovrà sottoporsi al turno notturno a meno che non sia
esente per altre patologie.
Il COM scatta automaticamente due mesi prima del parto (a partenza dal settimo mese) e per i tre mesi
successivi alla nascita del bambino (con un ammontare totale di 5 mesi) indipendentemente dall'attività
lavorativa svolta. Il COM può essere anticipato qualora ci siano delle condizioni pregiudizievoli nei confronti
della gravidanza alle quali non è possibile effettuare una riorganizzazione lavorativa. Nessun datore di
lavoro può obbligare la donna a lavorare per i 5 mesi di COM, la quale sarà normalmente retribuita. Altra
condizione di congedo anticipato per maternità, differente da quella precedente in cui il congedo era
anticipato per fattori di rischio lavorativi in caso di mancata riorganizzazione, si verifica quando ci troviamo
di fronte ad gravidanza a rischio. La lavoratrice con certificato di visita ginecologica che attesta il rischio di
aborto e l'incompatibilità con il lavoro svolto può godere del congedo anticipato rimanendo a casa la stessa
giornata del rilascio e ritornare sul posto di servizio tre mesi dopo la nascita del bambino. La lavoratrice se
vuole può continuare a lavorare fino all'ottavo mese di gravidanza, previa certificazione ginecologica e
accettazione della domanda da parte del medico del lavoro della struttura a cui afferisce, utilizzando il
concetto di flessibilità del congedo. Ciò comporta di rimanere a casa con il nascituro per 4 mesi dopo il
parto anzichè 3 mesi, recuperando il mese avendo posticipato il congedo.
Se si prevede un orario di lavoro superiore alle sei ore la legge prevede un riposo di due ore se invece
inferiore alle sei una sola ora di riposo, per i parti gemellari questo valore va raddoppiato o triplicato. L'art.
28 DL. 81/2008 dice che il datore di lavoro nel diaro del documento di valutazione del rischio deve avere un
capitolo a parte sulla gravidanza e sulla gestione della gravidanza se non lo fa incombe in una causa penale
e una sanzione superiore a 15000 euro per danno biologico. Nella relazione il datore di lavoro oltre ad
indicare le persone a rischio deve specificare, quali sono le misure per gestire la gravidanza, quali sono le
procedure immediate e quali sono le persone incaricate a gestire la condizione di gravidanza da parte della
lavoratrice.
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Medicina del Lavoro 27-10-2014
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Le caratteristiche delle esposizioni quindi per quanto tempo viene utilizzato quello
strumento,quell’utensile sono collegate chiaramente maggiormente per quelli che lo utilizzano tutti
i giorni all’insorgenza di una patologia distrettuale.Ancora un altro fattore importante è il fattore
biodinamico e cioè come viene mantenuto l’utensile durante lo svolgimento della propria attività
lavorativa,che tipo di forza di prensione viene utilizzata e se questa modalità di utilizzo che è tipica
del singolo lavoratore può più facilmente far insorgere un microtraumatismo a livello delle falangi
acrali delle mani.Fattori ambientali quindi una condizione di microclima sfavorevole che si associa
principalmente ad un utilizzo errato dell’utensile può favorire l’insorgenza della patologia
distrettuale.Patologie preesistenti,quindi condizioni di ipersuscettibilità come malattie vascolari,
come pregressi traumi e lesioni a livello delle falangi distali della mano possono favorire
l’insorgenza di una patologia distrettuale da strumenti vibranti.
E andiamo alle principali attività lavorative dove appunto questa problematica clinica può
manifestarsi più frequentemente: settore dell’edilizia,settore metalmeccanico,le
fonderie,l’industria del legno e anche il settore terziario quindi agricolo forestale.Quali sono quindi i
danni che si associano più frequentemente alle esposizioni alle vibrazioni ad alta frequenza?Lesioni
di tipo vascolare,lesioni di tipo osteo-articolare,lesioni di tipo neurologico e lesioni di tipo
tendineo.Andiamo ad analizzare prima le lesioni vascolari.Caratteristica fondamentale dell’utilizzo
protratto in condizioni di non sicurezza degli strumenti vibranti è l’insorgenza del fenomeno di
Raynauld del tipo secondario.Come ben sapete il fenomeno di Raynaud è caratterizzato da un
arresto transitorio che si slatentizza dopo particolari esposizioni(es freddo) del flusso arterioso delle
zone acrali delle mani e andiamo appunto a vedere quali sono le condizioni predisponenti dei
lavoratori che utilizzano questa tipologia di utensili,condizioni predisponenti all’insorgenza del
fenomeno di Raynaud secondario, perché secondario?Perchè collegato appunto all’utilizzo di
strumenti vibranti.Una condizione cronica di riduzione del flusso sanguigno, dell’ipotensione
arteriosa oppure una stenosi a livello vasale a monte delle arteriole che irrorano le falangi distali
possono favorire,in lavoratori predisposti un fenomeno di Raynaud secondario all’utilizzo di
strumenti vibranti.E andiamo ai vari stadi.Questa classificazione di Stoccolm ci va a rappresentare
quelle che sono le fasi che si evidenziano nei lavoratori che utilizzano strumenti vibranti.Nello
stadio zero non si riferiscono sintomi vaso-spastici quindi non c’è una sintomatologia suggestiva di
fenomeno di Raynaud.Negli stadi successivi,quindi dallo stadio uno in poi si evidenziano fenomeni
di pallore all’estremità di uno o più dita.Nello stadio 2 si evidenziano episodi di pallore alle falangi
distali ed intermedie di tre o quattro dita fino ad arrivare agli stadi 3 e 4 dove oltre al danno legato
all’ipoafflusso sanguigno si manifestano segni distrofici a livello cutaneo e quindi siamo in fase di
malattia professionale da utilizzi di strumento vibrante per la quale si attiva un iter di denuncia di
malattia professionale all’INAIL per cui il lavoratore se dimostra che ha contratto questa patologia
al lavoro viene indenizzato per questa malattia professionale che risulta da causa lavorativa.Quali
sono le indagini che vanno ad approfondire una lesione vascolare come il fenomeno di Raynaud?Ce
ne sono tante.Alcune sono di facile esecuzione e sono le prove termiche e dinamiche che possono
essere fatte anche in un laboratorio di medicina di base,altre richiedono l’utilizzo di
apparecchiature più sofisticate come la fotodismografia(?) e la capillaroscopia.Andiamo a spiegare
prima le prove termiche e le prove farmaco-dinamiche.La prova termica o cold test si basa sul
concetto di slatentizzazione del fenomeno di Raynaud collegato a immersione delle mani in acqua
fredda(circa 10 gradi) da uno a cinque minuti in ambiente confortevole con astensione da fumo di
tabacco che potrebbe dare un falso negativo da almeno un’ora e quello che si va a visualizzare, a
valutare che ci permette di fare diagnosi di fenomeno di Raynaud secondario è il recupero della
irrorazione a livello delle falangi distali che normalmente in una tempistica di 20-25 minuti,in un
lavoratore che presenta fenomeno di Raynaud secondario a utilizzo di strumenti vibranti senza
misure di prevenzione e sicurezza adeguate,questi tempi si allungano di molto.Quindi la tempistica
della non irrorazione che avviene dopo mezz’ora si va a fare diagnosi di fenomeno di Raynaud
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secondario.Sullo stesso principio si basa il test farmaco-dinamico: vengono proposti al lavoratore
derivati della nitroglicerina,in particolare la trinitroglicerina.In condizioni di riposo,il lavoratore
ingerisce la trinitroglicerina a livello sublinguale e i tempi di recupero dell’irrorazione a livello delle
falangi distali vengono valutati come normali o come patologici e quindi collegati all’utilizzo di
strumenti vibranti. Ci sono poi altre apparecchiature come la capillaroscopia e la (?) che a volte
vengono associate a queste prove farmacologiche e chiaramente si richiede l’acquisto di queste
strumentazioni per fare una diagnosi più approfondita.Quando il medico del lavoro fa diagnosi di
fenomeno di Raynaud secondario si richiede il supporto dello specialista in questo caso il
reumatologo che con l’indagine capillaroscopica ci va a mostrare un’alterazione a livello delle
falangi acrali e sarà un’alterazione morfologica,quindi di forma dei capillari e di numero.La
relazione che lui ci mosterà ci permetterà di fare le nostre considerazioni in merito al giudizio di
ideoneità alla mansione di quel lavoratore.Abbiamo quindi analizzato le lesioni vascolari dovute
all’utilizzo di strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo a approfondire gli altri danni che si
possono verificare nel lavoratore che utilizza strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo alle
lesioni osteoarticolari. A livello del semiunare si possono verificare lesioni vacuolari e a livello del
gomito come vi ho detto una condizione di artrosi pregressa e ingravescente che avviene in età
giovanile e ha un andamento che difficilmente risponde alla terapia. Quindi a livello dell’Rx del
gomito andremo a evidenziare quelli che sono i segni di un’artrosi a livello appunto del gomito
quindi la presenza di esostosi e osteofiti.Altra lesione osteoarticolare che ci troveremmo a
osservare nell’ambito del nostro esame obiettivo saranno alterazioni sempre di tipo artrosico
quindi degenerativo a livello dell’articolazione acromio-clavicolare e scapolo-omerale.Questi
distretti insieme al fenomeno di Raynaud vanno valutati sempre sia in visita preclinica che in visita
periodica da noi medici del lavoro.E andiamo alle lesioni di tipo neurologico.Un altro fenomeno
molto frequente è la sindrome del tunnel carpale.Il lavoratore manifesterà alterazioni a livello della
sensibilità tattile e termica,alterazioni legate all’interessamento del nervo mediano e ulnare con
conseguenti variazioni della velocità di conduzione sensoriale e ulnare.Le indagini che andremo a
effettuare sono in prima istanza l’elettromiografia e i potenziali evocati. E quindi l’elettromiografia
come indagine principale per la diagnosi di tunnel carpale perché l’utilizzo protratto,cronico dello
strumento vibrante va a determinare una paralisi del nervo mediano secondaria alla compressione
del nervo stesso collegata ad un edema flogistico da utilizzo protratto dello strumento vibrante con
conseguente insorgenza della sindrome del tunnel carpale.L’ultimo danno potenziale
nell’utilizzatore di strumenti vibranti sono le lesioni tendinee.Quelle più frequenti sono lesioni a
livello dell’olecrano e delle mani.A livello dell’olecrano si possono osservare dei tipici speroni ossei
che si possono ritrovare a livello radiologico e che ci permettono di confermare il dato anamnestico
e semeiologico effettuato sui lavoratori e che è necessario richiedere per fare diagnosi di lesione
tendinea da utilizzo di strumenti vibranti.Alle lesioni tendinee si può associare il morbo di
Dupuytren quindi la retrazione dell’aponeurosi palmare è un altro fenomeno che si può
evidenziare.Un’ultima patologia distrettuale dovuta all’utilizzo di strumenti vibranti è la flebo-
trombosi a livello del distretto succlavio-maxillo-brachiale nei lavoratori che utilizzano lo strumento
vibrante lavorando sempre con l’avambraccio e il braccio lontani rispetto al corpo,quindi lavoratori
che non seguono un corso di formazione adeguato,che non hanno i guanti per ridurre al minimo la
trasmissione delle vibrazioni a livello delle mani e dell’avambraccio possono incorrere anche in una
flebo-trombosi a livello succlavio maxillo brachiale.
E andiamo alle legislazione.Il decreto legislativo 81/2008 descrive tutto ciò che io vi ho raccontato fino ad
adesso dando all’articolo 7 delle indicazioni su come far lavorare i lavoratori in sicurezza nell’esposizione
da vibrazioni e che riguardino il sistema mano-braccio e che riguardino il corpo intero.E quindi andiamo a
questi valori limiti di esposizione e valori di azione. Come vi ha spiegato il prof Sannolo ci sono dei valori
limiti di soglia per gli agenti di rischio chimico a cui si può essere esposti in ambiente di lavoro oltre i quali la
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letteratura scientifica internazionale ci dice che possono esserci dei danni organici nei lavoratori.Lo stesso
vale per tutti gli altri agenti di rischio.Se ci riferiamo alle vibrazioni io andrò a cercare un parametro,un
numero associato ad un’unità di misura.Il decreto 81/2008 dice che il valore massimo di esposizione
giornaliera a vibrazioni total body è riferito a una giornata di otto ore al giorno per quaranta ore
settimanali.Quindi per il sistema mano-braccio il decreto dice che per una giornata di otto ore questo
valore limite di esposizione deve essere di 5 metri a secondo quadrato. Un altro concetto che dovete
apprendere è il valore d’azione giornaliero significa quel range che non deve essere mai superato per far sì
che potenzialmente non si abbia l’insorgenza di tutti quei danni clinici di cui abbiamo parlato fino ad
adesso.Quindi l’81/2008 dice che il valore massimo d’esposizione è di 5 m al secondo quadrato ma dice al
datore di lavoro “attieniti sul valore d’azione che è 2,5 metri al secondo quadrato,e non superare mai i 5”.Si
dice valore di azione perché è il valore che fa scattare l’azione preventiva. Lo stesso vale per le vibrazioni
che si trasmettono a tutto il corpo,sono parametri ancora più bassi e quindi il valore che fa scattare l’azione
è di 0,5 metri al secondo quadrato e non deve superare mai 1 metri al secondo quadrato.Quindi per 8 h al
giorno l’entità delle vibrazioni non deve essere mai superiore per tutto il corpo a 1 e per il sistema mano-
braccio a 5.Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi comunque su valori più bassi.Questo serve per
attuare un sistema di prevenzione e sicurezza che impedisca al lavoratore di manifestare una malattia
professionale.Nel caso in cui successivamente alla valutazione dei rischi risultino superate i valori d’azione
immediatamente si attuano una serie di misure preventive e di sicurezza. Oltre a misurare le vibrazioni a cui
è esposto il lavoratore,oltre a verificare che i parametri di riferimento siano quelli bisogna formare il
lavoratore sull’utilizzo in sicurezza degli strumenti vibranti,sul risultato delle misurazioni relative all’utilizzo
di quei strumenti vibranti per far sì che si riduca allo 0% la possibilità d’insorgenza delle malattie
professionali.
Ergonomia: metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro.L’obiettivo dell’ergonomia
è quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l’ambiente alle caratteristiche psico-fisiche
del lavoratore stesso.Il rispetto dell’ergonomia è sempre previsto dal decreto legislativo 81/2008 in
particolare il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,nella concezione dei posti di
lavoro è un concetto che serve a ridurre al minimo il danno sulla salute collegato a un lavoro di tipo
monotono e ripetitivo come quello da utilizzo di computer.Perchè il decreto legislativo 81/2008 dà grande
importanza al concetto di ergonomia?Perchè le patologie che possono insorgere al lavoro in condizioni di
disergonomia come una tendinite a livello del sovraspinoso,una tendinite a livello del bicipite o anche
banali borsiti che si possono verificare negli utilizzatori di videoterminali sono riconosciute come malattie
professionali secondo delle tabelle,tabelle di malattie professionali a cui noi facciamo riferimento quando
andiamo a fare una denuncia di malattia professionale.Quindi implementare nei luoghi di lavoro il concetto
di ergonomia significa ridurre al minimo l’insorgenza di queste patologie che sono riconosciute come
malattie professionali. Altre ancora riconosciute come malattie professionali sono le epicondiliti,le trocleiti
e la sindrome del tunnel carpale a livello dell’arto superiore,a livello dell’arto inferiore abbiamo le borsiti
del ginocchio,le tendinopatie del quadricipite femorale e la meniscopatia degenerativa.Quindi queste
patologie osteoarticolari che possono insorgere nel videoterminalista insieme a tutta la problematica
oculare che ora andiamo a vedere sono riconosciute come malattie professionali secondo la tabella delle
malattie professionali del 21-7-2008.Attualmente è stata fatta una revisione di questa tabella.Quindi queste
malattie sono collegate a una disergonomia del luogo di lavoro per cui è molto importante rispettare nella
progettazione dei luoghi di lavoro il concetto di ergonomia.E andiamo ai videoterminali.Per videoterminale
intendiamo un’apparecchiatura dotata di schermo alfanumerico e quindi rientrano in questa categoria tutti
i personal computer e i sistemi dotati di elaborazione dati,testi o immagini.L’addetto al videoterminale è
un lavoratore che per definizione utilizza il videoterminale per almeno 20 ore a settimana.Se mi trovo ad
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andare in una struttura dove il datore di lavoro mi dice che non ci sono video terminalisti,deve fare una
dichiarazione che i suoi ad esempio 10 lavoratori con i dieci nomi utilizzano i videoterminali per 18 ore alla
settimana. In questo caso non scatterà la sorveglianza sanitaria.Quali sono i decreti legislativi che sono stati
ripresi dal decreto legislativo 81/2008 e che hanno parlato in particolare di video visione del lavoro?In
particolare ci interessa la legge 422 del 2000 che ha modificato il concetto del monte-ore (appunto di venti)
collegate al danno da utilizzo di videoterminale. Quindi la variazione della definizione di videoterminalista
che ora vi spiegherò è legata alla legge 422 del 2000 che è stata inserita nel decreto legislativo 81/2008
all’art 7.Quindi si intende per lavoratore non solo come ho detto prima quello che utilizza il computer per 4
ore al giorno per un totale di 20 ore alla settimana,ma anche quello che utilizza un’attrezzatura munita di
videoterminale in modo abituale per 20 ore settimanali,ma in modo non continuativo il che significa che il
lavoratore un giorno lavora 6 ore,un giorno lavora 3,un giorno non lavora proprio con il computer ma
realizza comunque un monte-ore di 20 tramite questa legge 422 del 2000 è riconosciuto comunque come
videoterminalista.Quindi l’utilizzo sistematico ma non continuativo del videoterminale grazie alla legge 422
del 2000 permette di recuperare tutte quelle persone che utilizzano il videoterminale anche in maniera non
continuativa e quindi di inserirle in un sistema di soverglianza santaria per ridurre al minimo l’insorgenza
delle patologie muscolo-scheletriche e oculari che ora andremo a vedere.Ogni quanto viene effettuata la
sorveglianza sanitaria?Il decreto 422 del 2000 ha stabilito un criterio che deve essere rispettato: il
lavoratore fino a 50 anni esegue una sorveglianza sanitaria quinquennale.Dopo i 50 anni la visita viene
effettuata ogni due anni perché si presuppone che si sovrappongono nel 90-95% della popolazione di
videoteminalisti problematiche come la presbiopia che possono interferire in qualche modo con la visione.
Questa tempistica stabilita del legislatore di 5 anni può essere modificata qualora vengano espressi giudizi
di idoneità con prescrizione e quindi lavoratori che hanno problematiche oculari ad es congiuntivite
ricorrente,lavoratori che hanno problematiche lombo-sacrali ricorrenti il medico del lavoro può decidere di
visitarli più frequentemente rispetto a questa tempistica di 5 anni anni prevista fino ai 50 anni dal
legislatore. Altro concetto espresso appunto dall’articolo settimo della legge 422 2000 sono le pause
lavorative.I lavoratori che utilizzano il videoterminale per 20 ore a settimana sono obbligati a fare una
pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.La sorveglianza sanitaria
chiaramente andrà a valutare con maggior attenzione l’apparato oculare e il sistema muscolo scheletrico.Il
datore di lavoro dovrà predisporre le attrezzature da lavoro in modo da assicurare una condizione di
minimo affaticamento oculare e dorso lombare,in particolare(D.lvo 151/2001) per le lavoratrici gestanti che
utilizzano il videoterminale ci sono delle regole da rispettare con un aumento delle pause che quindi
saranno più frequenti.Si consiglia alla lavoratrice in stato di gravidanza di alzarsi dal posto di
lavoro,decontratturare la muscolatura paravertebrale e disassuefare i muscoli oculari dal videoterminale.
Andiamo quindi a quelli che sono i requisiti minimi per un lavoratore in sicurezza del
videoterminalista.Come deve essere la postazione di lavoro?La scrivania dove si poggia un videoterminale
dovrebbe essere consigliata dalle linee guida di colore non riflettente,quindi non bianco,non nero,ma color
ciliegio.Si consiglia per l’acquisto di scrivanie per il videoterminalista definite ergonomiche una superficie
ampia,non riflettente,non di colore bianco.Altra cosa la grandezza della scrivania deve essere notevole in
modo da assicurare un corretto posizionamento degli avambracci al di sopra della stessa perché vedremo
che qualora non ci sta lo spazio per poggiare bene l’avambraccio e quindi muovere con tranquillità
l’avambraccio sulla scrivania nell’utilizzo del mouse si va a sovraccaricare e quindi portare meno
ossigenazione a livello della mano dell’avambraccio con insorgenza di indolenzimento e da ultimo anche la
sidrome di tunnel carpale che è una delle patologie collegate all’uso protratto non in sicurezza del
videoterminalista.Ancora un’altra caratteristica della postazione di lavoro ergonomica è un adeguato
alloggiamento degli arti inferiori,quindi sotto la scrivania deve esserci lo spazio sufficienza perché anche per
questo si può incorrere in patologie a livello degli arti inferiori che possono inteferire con
l’attività.(Domanda: perché non deve essere riflettente il colore della scrivania?Perchè va a creare degli
sfarfalii sul monitor che affaticano gli occhi).Inoltre la sedia deve essere di tipo girevole,con lo schienale
regolabile e con una curvatura ben precisa:una convessità ben precisa che è quella che ripercorre le
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fisiologiche concavità e convessità della colonna vertebrale..Il poggiapiedi non è un obbligo del datore di
lavoro.Se viene richiesto dal lavoratore,ad esempio può essere richiesto da una donna in stato di
gravidanza si presuppone una condizione più frequente di edema agli arti inferiori per cui il poggiapiede
può servire per decontratturare i muscoli degli arti inferiori,quindi su richiesta del lavoratore il datore di
lavoro deve fornire il poggiapiedi.Altra caratteristica che deve avere la postazione di lavoro del
videoterminalista è di avere un adeguato microclima,quindi la scrivania non deve stare né troppo vicino al
termosifone né troppo vicino all’impianto di condizionamento perché il microclima con le caratteristiche di
eccessiva umidità o di poca umidità può determinare secchezza oculare. Alla scrivania bisogna stare con la
schiena diritta e non piegata sulla scrivania.La distanza deve essere 50-70 cm dallo schermo e in più per
evitare affaticamento muscolare soprattutto a livello cervicale e affaticamento visivo,lo spigolo inferiore
dello schermo deve essere al di sotto della visuale che passa tra gli occhi e l’orizzonte,quindi la sedia deve
stare più in alto rispetto al monitor.Quindi questi sono i requisiti minimi che dobbiamo verificare quando
facciamo il famoso sopralluogo annuale.Altra cosa: tutti i fili e filetti collegati al computer devono stare
possibilmente aldilà della postazione perché capita spesso che i fili fanno inciampare il lavoratore che può
rompersi una gamba per un motivo banale.Quindi il decreto prevede anche questo:l’adeguato
alloggiamento di tutto l’impianto elettrico per il funzionamento del videoterminale deve essere
possibilmente attaccato al muro di fronte al videoterminalista.E andiamo ai danni da utilizzo del
videoterminale in condizioni non ergonomiche.La prima alterazione oltre ai disturbi muscolo scheletrici che
già vi ho fatto vedere è la condizione di astenopia = fatica visiva.Quindi sindrome astenopica,disturbi
muscolo scheletrici e stress lavoro-correlato.I video terminalisti sono lavoratori che lamentano più
frequentemente condizioni di stress lavoro-correlato e come vi ho detto rientra negli agenti di rischio
trasversali riconosciuti dal decreto legislativo 81/2008.Che cos’è l’astenopia?E’ una condizione di
debolezza,facile affaticabilità dell’occhio ,dolori oculari,visione confusa o doppia,quindi diplopia.I
lavoratori che utilizzano videoterminali per 20 ore a settimana lamentano frequentemente questa
patologia.Quindi la sindrome che presenta cefalea,emicrania,difficoltà di concentrazione è l’astenopia.Lo
stress lavorativo è molto frequente nei video terminalisti perché il lavoro del videoterminalista molto
spesso ha delle caratteristiche che sono alla base dell’insorgenza di una condizione stressogena: condizioni
di lavoro monotono e ripetitivo,carico di lavoro o eccessivo o troppo scarso,condizione di responsabilità
avvertite dal lavoratore come molto basse rispetto al desiderio di comando da parte del lavoratore
stesso,rapporti conflittuali con i proprio colleghi o superiori e non da ultimo condizioni di disergonomia. I
disturbi di tipo psicologico o psicosomatico sono insonnia,condizione di sindrome ansioso-
depressiva,cefalea e tensione nervosa.Come valuta questo il medico del lavoro?( se viene richiesto il
medico del lavoro,può anche essere incaricato uno psicologo)Viene proposto un questionario fatto
inizialmente in maniera random a tutti i lavoratori e poi qualora questo questionario risulti essere positivo
per cluster di lavoratori,a quel cluster di lavoratori si passa alla cosidetta fase soggettiva,quindi viene
proposto il questionario ad personam.Qualora questa seconda fase risulti essere positiva il datore di lavoro
è tenuto secondo il decreto legislativo 81/2008 a pagare le spese di recupero psicologico-psichiatrico del
lavoratore che presenta questa patologia.La legge però dice che è il datore di lavoro a preparare questi
questionari o con il supporto del medico del lavoro o con il supporto dello psicologo.I difetti visivi come la
presbiopia,come la miopia,come l’ipermetropia non sono causati dal videoterminale ma sono condizioni
che possono essere peggiorate dall’utilizzo protratto in condizioni di non sicurezza del
lavoratore.Quindi,ancora,un’inquinamento a livello dell’aria respirata dal lavoratore ad esempio una sede
con molte fotocopiatrici o una sede con un rilascio di sostanze,questo si chiama inquinamento
indoor,possono determinare irritazione oculare,irritazione a livello delle mucose vanno a determinare più
facilmente una condizione di sindrome astenopica.I distrurbi muscolo-scheletrici sono soprattutto a
collo,schiena,braccia spalle e mani,quindi arti superiori,arti inferiori.Le principali cause lavorative che nel
videoterminalista determinano alterazione a livello della colonna vertebrale sono posture di lavoro
fisse,quindi mantere sempre la stessa postura per tutto l’orario di lavoro in maniera lavorativa può
determinare l’insorgenza di patologie a livello cervicale e dorso lombare.Utlizzare il mouse in maniera
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ripetitiva e con movimenti rapidi può determinare un sovraccarico a livello della mano e dell’avambraccio
con un indolenzimento che può far insorgere oltre al dolore la sindrome del tunnel carpale.
Il Niosh è un ente internazionale che ci va a dire per ogni agente di rischio quali sono i valori limite da
rispettare e in questo caso per il video terminale quali sono le condizioni di lavoro collegate al
videoterminale che possono far insorgere alterazioni muscolo-scheletriche? Assunzione di posture
incongrue sono collegate all’insorgenza di patologie muscolo-scheletriche.
La formazione anche in questo caso è importante.Fare formazione al videoterminalista significa dare queste
principali linee guida:
-Movimento : durante i 15 min di pausa è consigliato alzarsi dalla postazione e se possibile disassuefare i
muscoli posturali o facendosi una rampa di scale o facendosi una piccola passeggiata a piedi per
riossigenare la muscolatura paravertebrale e degli arti inferiori
-Per quanto riguarda gli occhi vengono dati tre consigli: 1)Il palming.Assumendo una posizione
seduta,comoda coprire entrambi gli occhi chiusi con i palmi della mano fino a ottenere questa condizione di
colore nero di fondo.In questo modo si ottiene il rilassamento della mente e si disassuefanno i muscoli
oculari 2)Blinking, significa ammiccamento degli occhi,permette chiudendo le palpebre per 1-2 min di
rilubrificare la congiuntiva oculare e quindi riduce quella sensazione di secchezza collegata all’utilizzo
protratto del videoterminale.3)Sunning che significa esporre gli occhi alla luce solare a palpebre chiuse per
alcuni minuti.Questo è un consiglio che viene dato perché la luce solare ha il potere di vasodilatare ,quindi
di favorire l’afflusso sanguigno a livello oculare,quindi tiutti questi consigli sono utili per la riossigenazione
oculare.Inoltre abbiamo il Washing:lavare con acqua fredda gli occhi è un altro piccolo consiglio che viene
proposto per ridurre sempre al minimo la secchezza oculare.
Vengono anche suggeriti nei corsi di formazione esercizi muscolari di disassuefazione dei muscoli
paravertebrali che permettono
Argomento: Patologia da esposizione all’amianto e conseguente mesotelioma che ha determinato nel 2012
ha determinato risarcimenti di grossa entità per le famiglie di lavoratori che avevano avuto esposizione
all’amianto da cui ne era derivata la morte.Questa è una sentenza storica emessa a Torino nel 2012e per la
prima volta in Italia si è parlato di disastro doloso da esposizione all’amianto.
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Medicina del lavoro, prof.ssa Lamberti 4/11/2014
ASBESTOSI
La scorsa volta vi mostrai le immagini rappresentative di una sentenza storica emessa da un gruppo di
Guariniello in merito al risarcimento alle famiglie di operai che erano stati esposti all’amianto nella regione
Lombardia, quindi c’è stato il primo riconoscimento da parte del tribunale della Lombardia nel 2012 di
grossa entità per le famiglie di ex esposti all’amianto.
Il termine amianto non definisce un unico minerale ma comprende un gruppo di silicati di magnesio che si
dividono in due categorie: “asbesti di serpentino” e “asbesti di anfibolo”,che a loro volta si dividono in
amosite, crocidolite e antofillite. La differenza di queste due categorie di amianto sta nelle caratteristiche
fisiche delle fibre: le fibre di amianto serpentino hanno una lunghezza che va fino ai 5cm e un diametro tra
0.7µm e 1.5µm; l’amianto di anfibolo ha un diametro che va fino ai 4µm e una lunghezza maggiore, fino a
8cm.
L’amianto è stato un prodotto largamente utilizzato in varie attività lavorative, soprattutto per la
costruzione di edifici. Dal 1992 la legge 257 vieta l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione di
amianto o di prodotti contenenti amianto; dal 1992 ad oggi nessuna attività può produrre o può prevedere
cicli produttivi che impieghino l’amianto come prodotto di partenza. L’esposizione lavorativa all’amianto
oggi si ha solo in un caso : attività lavorative che si occupano della bonifica di ex strutture che ancora
contengono amianto al loro interno; nella nostra regione Campania ce ne sono ancora tantissime.
Nel decreto ministeriale del 6/9/1994 vengono dettati i requisiti minimi per attività che espongono
lavoratori all’amianto nello smaltimento dell’amianto stesso; vi ho portato l’immagine di uno spogliatoio
che si chiama unità UDP dove la legge prevede in maniera dettagliata che non ci sia mai il rilascio di
indumenti nell’ambiente perché il problema dell’amianto è legato non solo all’esposizione diretta ma anche
all’insorgenza di asbestosi e mesotelioma in tutti i familiari che ne sono venuti a contatto. Questi operai
tornavano a casa, depositavano i loro indumenti sporchi e queste fibre si diffondevano in tutta la casa. Non
so se vi è capitato di vedere interviste fatte a intere famiglie decimate dal mesotelioma quindi è molto
importante quello che dice la legge, che prevede uno spogliatoio per coloro che si occupano dello
smantellamento degli edifici a base di amianto, una pulizia separata dal rilascio di indumenti sporchi e
separata completamente dall’esterno per evitare al minimo la diffusione delle fibre fortemente
cancerogene nell’atmosfera e quindi nella popolazione.
L’amianto è stato largamente utilizzato prima del decreto perché ha le caratteristiche di: incombustibilità;
resistenza alle alte temperature; resistenza all’usura, all’aggressione di sostanze chimiche e alla trazione. La
caratteristica dell’indistruttibilità era legata alla incombustibilità, alla grande elasticità, alla fono assorbenza
e alla capacità di creare impianti termoisolati. L’amianto è stato usato nella creazione dei soffitti e pareti
delle case, nell’industria tessile per la creazione di tessuti ignifughi per le varie attività dove è necessario
prevedere questo tipo di rivestimenti. Molti impianti sportivi, ancora oggi ce ne sono nelle scuole,
prevedevano nelle controsoffittature l’utilizzo delle fibre di amianto per la grande capacità di isolamento
rispetto all’ambiente esterno e per la grande capacità di resistenza alle variazioni di temperatura. Impianti
sportivi e alberghieri, quindi, sono stati costruiti con l’utilizzo di amianto. L’industria ferroviaria e navale
(costruzione di rivestimenti condensanti e pannelli) hanno largamente utilizzato l’amianto. Le lavorazioni
dove maggiormente l’amianto ha esposto i lavoratori a intossicazione e all’insorgenza di mesotelioma sono
state l’estrazione in cava o miniera, l’industria del cemento, l’industria dei freni, l’industria tessile,chimica,
dei cartoni. Oggi l’esposizione è prevista solo per lo smaltimento dei manufatti e dei rottami contenti
amianto. Tutte queste industrie ora devono utilizzare materiali alternativi.
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Secondo l’ISPES che è un ente preposto alla prevenzione nei luoghi di lavoro ora accorpato all’INAIL (non
esiste più l’ISPES, esiste solo l’INAIL che ha una sezione chiamata ISPES) si prevede addirittura che ci siamo
ancora 607000 unità produttive presenti sul territorio italiano che espongono i lavoratori all’amianto e si
prevede circa che 3500000 persone siano esposte ancora oggi al problema amianto con una diversità di
esposizione che è maggiore in Veneto e Lombardia ma soprattutto Liguria e Piemonte rappresentano le
regioni dove il problema amianto è ancora molto presente. Noi siamo in una posizione intermedia ma
comunque con elevata esposizione all’amianto.
PATOGENESI
Le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più grandi vengono
eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei bronchioli respiratori,
dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che porterà all’insorgenza della fibrosi
polmonare che è alla base dell’asbestosi. La chemiotassi dei macrofagi, con l’intervento del complemento,
inizia con una tempistica di 48-72 ore. Non tutti i macrofagi sopravvivono al contatto con le fibre di
amianto; alcuni vanno in contro a citolisi, altri inglobano le fibre e rilasciano fattori di crescita per altre
cellule, soprattutto fibroblasti. Un fattore fondamentale nell’iniziazione e perpetuazione del processo
flogistico è FGF e la Fibronectina. Oltre ai fibroblasti sono coinvolte altre cellule flogistiche che
contribuiscono all’insorgenza e alla formazione del granuloma fibrotico che si crea a livello del parenchima
polmonare. Macrofagi attivati, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo
infiammatorio che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell’asbestosi.
ANATOMIA PATOLOGICA
All’esame macroscopico il polmone asbestosico in fase iniziale di esposizione all’amianto non presenta le
lesioni tipiche asbestosiche. Nelle forme più avanzate, quando c’è stata un’esposizione maggiore
all’amianto, i polmoni si presentano di volume ridotto e consistenza aumentata. Tutte le fibre di asbesto
sono in grado di provocare una fibrosi interstiziale diffusa che comincia inizialmente nei lobi inferiori
polmonari poi diffonde a tutti i campi polmonari, destro e sinistro. È importante sottolineare che per fare
diagnosi differenziale con un’altra pneumoconiosi (l’asbestosi è una pneumoconiosi di tipo collagenico
perché le cellule infiammatorie rilasciano collagene a livello dell’interstizio polmonare) molto studiata in
medicina del lavoro, la silicosi, si tiene conto del fatto che esse prevedono un interessamento di zone
diverse a livello polmonare. Se a livello anatomo-patologico le fibre di asbesto inizialmente si localizzano ai
lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi la localizzazione avviene soprattutto a livello medio-
apicale. Un’altra caratteristica tipica dell’asbestosi, non presente nella silicosi, sono i corpuscoli di asbesto,
tipici dell’asbestosi e non presenti nella silicosi. Essi sono fibre di asbesto inglobate in fagolisosomi presenti
nel sito di flogosi polmonare che al loro interno presentano proteine con ferro che circondano la fibra. Sono
detti corpi ferruginosi e sono presenti a livello polmonare in corso di asbestosi.
Mostra una sezione istologica che fa vedere la consistenza aumentata rispetto a un parenchima polmonare
normale, una struttura molto più compatta tipica dell’asbestosi rispetto a un parenchima normale in cui non
c’è stata invasione delle fibre e trasformazione in fibrosi polmonare.
CLINICA
L’E.O. presenta delle caratteristiche tipiche.
Il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni dall’esposizione all’amianto presenta:
Dispnea da sforzo e in fase avanzata anche dispnea a riposo;
Tosse secca, a volte accompagnata da broncospasmo o tosse produttiva;
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Toracodinia, dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche;
In fase avanzata una condizione di alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione
ossiemoglobinica, riduzione dell’ipossiemia, cianosi;
Gli ispessimenti a livello della pleura viscerale determinano delle atelettasie a livello polmonare;
Mesotelioma che 8 lavoratori su 10 (80%) hanno manifestato dopo esposizione a fibre di amianto;
La caratteristica del Mesotelioma è di avere una lunga latenza, dai 15 ai 40 anni dall’esposizione
all’amianto. Ci aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma nelle regioni italiane per
tutti quelli che sono ex esposti, ora non lo sono più, all’amianto.
DIAGNOSI
Esame metodologico. La differenza (domanda d’esame) tra un esame semeiologico fatto in fase
avanzata di esposizione, rispetto a un esame semeiologico fatto nei primi due anni di esposizione
all’amianto, è questa : a livello ausculatorio e percussorio abbiamo assenza completa di rumori in
fase iniziale, ascoltate il murmure vescicolare fisiologico; nelle fasi avanzate dell’esposizione
ascoltate reperti tipici, rantoli o crepitii teleinspiratori su tutti gli ambiti polmonari. I rantoli
migranti, migranti perché all’orecchio percepite questi rumori che sembrano migrare perché
presenti su tutti gli ambiti polmonari, si sentono in fase di teleinspirazione nelle fasi avanzate
dell’esposizione.
Prove di funzionalità respiratoria, proposte dal medico del lavoro. L’indagine di più facile
somministrazione è l’esame spirometrico. Solo nei casi conclamati quando c’è positività all’esame
semiologico di presenza di rantoli, anche a livello diagnostico avremo una positività all’esame
spirometrico.
Altre indagini fatte solo in fase più avanzata sono:
Test di diffusione polmonare di CO;
Esame dell’espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti;
Fibrobroncoscopia e BAL;
Scitigrafia polmonare con Gallio 67;
HRTC, ancor prima dell’rx torace;
A livello radiologico viene utilizzata la classificazione dell’ILO (International Labour Office) secondo la quale
le fibre che si manifestano come opacità lineari a livello dell’esame radiografico, vengono distinte a
seconda del diametro. Le fibre con opacità di diametro fino a 1.5mm vengono classificate con la lettera s;
tra 1.5-3mm con la lettera t; tra 3-10mm con la lettera o.
A livello delle sezioni effettuate tramite HRTC è possibile vedere le stesse opacità in maniera ancora più
evidente. A ex esposti all’amianto è difficile che venga proposta solo l’RX del torace ma si procede quasi
sempre alla HRTC perché la tac ha anche la possibilità di vedere le placche pleuriche, ispessimenti a livello
della pleura parietale che si manifestano dopo 15-20 anni dall’esposizione all’amianto.
MESOTELIOMA PLEURICO
Fino agli anni 60 era un tumore maligno considerato molto raro; si erano avuti dei casi manifestatesi in
Africa quindi non se ne aveva conoscenza in Europa. Le prime indicazioni minime sono arrivate in Europa
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verso gli anni 50-60: si pensava che il mesotelioma fosse un tumore secondario non primario, derivante da
un adenocarcinoma primitivo.
I mesoteliomi che più frequentemente si osservano collegati nel 95% dei casi all’esposizione all’amianto
sono mesoteliomi di tipo epiteliale, che comunque hanno una tempistica dalla scoperta del mesotelioma al
decesso di brevissima durata ma che fortunatamente rappresentano il 50% rispetto a quelli completamente
indifferenziati, a decesso ancora più rapido che rappresentano il 10% del totale.
Si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1000000; in Europa è previsto un rapporto maggiore
per i maschi che per le femmine; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione a fibre di asbesto
e nel 20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare che ne è stato esposto.
Dal punto di vista epidemiologico, studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore
determinante l’insorgenza del mesotelioma nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma il
tempo trascorso dalla prima esposizione. È la latenza dalla prima esposizione che fa la differenza
nell’insorgenza.
Altre forme di mesotelioma non a livello della pleura ma a livello di altre sierose sono meno frequenti ma
sono comunque state osservate negli anni e negli ex esposti all’amianto con i loro familiari: a livello
peritoneale, del pericardio, della tunica vaginale . Oggi con la Medicina del lavoro della SUN è in corso
proprio un progetto sui tumori ovarici collegati all’esposizione all’amianto di donne che ne sono venute a
contatto tramite operai esposti fino al 1992.
La sorveglianza sanitaria prevede una Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico e
qualora si abbia una positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame dell’espettorato).
Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGH (ente americano preposto ai valori limite per
l’esposizione a sostanze chimiche per i lavoratori) si può prevedere un’esposizione (questo vale solo per
quelli che lo smaltiscono che sono esposti all’amianto in condizioni di iperprotezione, utilizzo dell’unità UFP
e utilizzo dello scafandro, che vedete che utilizzano anche le persone esposte all’Ebola) di 0.1fibra per cm³.
(cm³ è l’unità di misura che si utilizza in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova
eventualmente a inalare queste fibre).
Varie segnalazioni anche se rare di mesotelioma si erano manifestate già nei primi anni del 900. Nel 1991 si
è avuto il primo decreto legge che parla di regolamentazione dell’esposizione all’amianto. Nel 1992
l’amianto è stato eliminato. Grazie alla classificazione della IAC (ente preposto al raggruppamento delle
sostanze chimiche cancerogene per l’uomo), nel 1992 con il DL 257 l’amianto è stato eliminato da tutti i
processi lavorativi, vietandone l’utilizzo, l’importazione e l’esportazione. In tutte quelle che sono le attività
di protezione e prevenzione del datore di lavoro è necessario e obbligatorio prevedere una manutenzione
di eventuali costruzioni a base di amianto. Non sempre l’amianto presente negli edifici può essere causa di
concentrazioni nell’atmosfera per le persone che si trovano ad inalarlo. Il problema amianto è molto
presente nelle nostre scuole (recentemente è stata chiusa una scuola, poi riaperta, ai Colli Aminei perché
non era sottoposta periodicamente a questi controlli relativi alla misurazione ambientale di fibre amianto).
Non tutti gli edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli che sono sottoposti
più facilmente a vibrazioni, in quelli dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle pareti o
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se sono in condizioni di non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente disperdono
nell’aria le fibre amianto).
Un datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni di istallazione dell’edificio e
monitoraggio ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto disperse
nell’edificio. Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffatrometria, spettrometria) che
vanno ad analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, vengono messe su dei vetrini,
conteggiate e quantizzate tramite queste metodiche.
Con il DL 257 oltre a stabilire un valore limite di esposizione per coloro che vengono a contatto con le fibre
di amianto, sono state date delle indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici
a base di amianto.
Il DL 257/1992 prevede tre fasi ai fini dell’eliminazione dell’amianto dagli edifici : rimozione,
incapsulamento e confinamento. La rimozione è una tipologia di eliminazione delle fibre di amianto che
prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di fibre; rappresenta un rischio molto elevato per gli
addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli che smaltiscono questa grossa quantità di fibre. È una
pratica che da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro non viene realizzata perché
determina una grossa emissione di fibre e non rispecchia il principio di protezione e prevenzione dei
lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo l’esposizione. Incapsulamento e
confinamento sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate in tutti gli edifici per rimuovere,
eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di amianto. Vengono utilizzati dei prodotti
chimici che vanno ad adsorbire le fibre, ad esempio si utilizzano delle pellicole di protezione nelle stanze
dove è più presente la dispersione rispetto alle altre. I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la
permanenza del materiale di amianto nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di
manutenzione viene fatto ogni anno. Se questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche
vengono fatti ogni anno si può anche lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una
manutenzione periodica. Infine il confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree, nelle
stanze dove è più presente l’amianto rispetto a quelle in cui non c’è.
Il decreto Ruocco successivamente modificato dal DL 8/11/1997 ha previsto una legislazione dedicata allo
smaltimento dei rifiuti che contengono amianto, per evitare la dispersione delle fibre nell’aria. I decreti
legge che tutelano l’esposizione all’amianto esistono ma non vengono completamente rispettati.
Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in merito all’amianto.
CASO CLINICO
Lavoratore di 74 anni, inviato al pronto soccorso dal medico curante per un riscontro casuale aspecifico di
crisi ipertensiva.
Anamnesi fisiologica: nella norma. Nega fumo, alcol e assunzione di farmaci. Alimentazione regolare.
Anamnesi patologica remota: CEI (comuni esantemi infantili), appendicectomia a 16 anni e un’erniectomia
inguinale a 46 anni. Lamenta episodi saltuari e recidivanti di bronchite da quando era giovane.
Anamnesi patologica prossima: forte astenia, dispnea da sforzo, forti palpitazioni, inappetenza e perdita di
peso di 5kg negli ultimi due mesi.
Anamnesi lavorativa: dall’età di 18 anni fino a 25 anni attività di operaio edile prima in un’acciaieria del
litorale flegreo e in seguito è stato addetto alla coibentazione di tetti, case, edifici a scopo domestico. Da 15
anni riferisce di essere in pensione.
E.O: assenza di murmure vescicolare, PA con una massima borderline e minima nella norma, FC 140, buona
saturazione di O2.
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ECG: nella norma.
Spirometria: sindrome disventilatoria di tipo misto, con prevalente componente restrittiva. In fase avanzata
di una pneumoconiosi la riduzione dei volumi polmonari determina un quadro spirometrico di tipo
restrittivo.
RX torace: calcificazioni di tipo lamellare lungo tutto la pleura.
HRTC: placche pleuriche.
Fatta la diagnosi si procede con le altre indagini (toracocentesi) che vanno a confermare il mesotelioma
pleurico.
SILICOSI
Non riusciremo a trattare la movimentazione manuale dei carichi che vi andate a vedere dalle slide.
La silicosi è una pneumoconiosi collagenica che riguarda ancora la medicina del lavoro perché l’esposizione
a silice a valori normati è ancora prevista nelle realtà lavorative.
CASO CLINICO
Uomo di 60 anni dispnoico, cianotico, tachicardico.
Anamnesi fisiologica: alvo- diuresi nella norma, nega fumo, alcol e assunzione di farmaci.
Anamnesi patologica remota: riferito intervento chirurgico di mastectomia parziale all’età di 48 anni.
Anamnesi patologica prossima: dispnea, astenia, facile affaticabilità a riposo, non ha febbre né calo
ponderale negli ultimi mesi.
Anamnesi lavorativa: sin dai 18 anni si è occupato nel settore estrattivo per la costruzione di trafori e
gallerie.
E.O.: rumori secchi diffusi a tutti gli ambiti polmonari, dispnea, cianosi diffusa al volto, toni tachicardici
all’ECG.
ECG: tachicardia sinusale, con una FC di 150.
Emogasanalisi: segni di iniziale acidosi.
Rx torace : opacità nodulari diffuse irregolari per forma e dimensioni in entrambi i campi polmonari.
HRTC: nella porzione posteriore dei lobi superiori polmonari, diffusa nodularità di variabile grandezza. La
forma di queste nodularità viene definita a guscio d’uovo.
Di fonte a una HRTC di un silicotico e di un asbestotico, la diagnosi differenziale si basa sulla localizzazione:
la localizzazione della silicosi è soprattutto agli apici; in corso di asbestosi la localizzazione è soprattutto alle
basi polmonari.
Le pneumoconiosi sono patologie polmonari legate ad un accumulo di polveri nei polmoni e alla reazione
stromale che ne deriva. L’inalazione non avviene mai per una singola sostanza chimica, ma l’inalazione si ha
per una miscela di polveri tra cui la silice, che hanno caratteristiche fisico- chimiche variabili. Sono affezioni
dei polmoni provocate da inalazione di polveri miste da cui ne derivano reazioni fibrotiche nodulari dei
polmoni, ossia granulomi. La gravità della manifestazione fibrotica e la tempistica che porta
all’interessamento di entrambi i campi polmonari è legata alla suscettibilità individuale del soggetto
all’esposizione che riceve durante la vita lavorativa.
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Distinguiamo le fibrosi polmonari in “collageniche” e “non collageniche”. Le “non collageniche” sono
caratterizzate dall’accumulo intrapolmonare di polveri inerti non fibrogeniche; nella pratica sono
pneumoconiosi che non determinano alterazione a livello della trama bronchiale perché l’architettura
alveolare non viene sconvolta, la reazione stromale è minima, la reazione alla polvere è reversibile quindi
non si crea un processo flogistico cronico che invece si crea nelle forme collageniche, dette anche
sclerogene o maligne. Le pneumoconiosi “collageniche” più studiate in medicina del lavoro sono quelle da
amianto e da silice, asbestosi e silicosi. La silicosi è una pneumoconiosi sclerogena collegata all’inalazione di
quantità variabili di silice libera o biossido di silice. La tipologia di silice che è una sostanza presente nella
crosta terrestre più diffusa è il quarzo, quindi si parla di silice di quarzo.
La silicosi è causata dall’accumulo intrapolmonare di polvere fibrogenetica che determina un’alterazione
permanente dell’architettura alveolare con reazione stromale collagenica e fibrosi polmonare cronica dose
dipendente, la cui entità di manifestazione è direttamene collegata alla ipersuscettibilità individuale. Una
condizione di distruzione a livello alveolo capillare, quindi una condizione di alterazione bronco alveolare
che si osserva in fase finale nel silicotico e asbestosico, determina di riflesso uno scompenso a livello
cardiaco. Il cuor polmonare cronico è il finale di un soggetto che presenta una pneumoconiosi di tipo
sclerogeno- collagenica. Come e quando si arriva a questa condizione finale che è il cuore polmonare
cronico dipende non tanto dalla dose ma dalla risposta a quella dose perché ci sono soggetti con condizioni
genetiche di ipersuscettibilità individuale che presentano una risposta maggiore anche a quantità minori di
fibre di amianto e silice. La risposta e la tempistica della manifestazione del cuore polmonare cronico che è
il finale di queste patologie fibrotiche dipende dalla risposta individuale del lavoratore.
Nell’inalazione si prevede l’inalazione a polveri miste: silice, ossido di ferro e di alluminio. È però la silice
che va a determinare l’insorgenza del granuloma sclerogeno da esposizione lavorativa.
Le lavorazioni che ancora oggi prevedono l’esposizione a silice sono: industria mineraria, siderurgica, della
ceramica, del vetro e cristallo, nonché del cemento.
Le particelle di silice entrano a livello delle vie aeree e si distribuiscono a secondo delle dimensioni, della
forma, e della massa. Quella da 5-15µm impattano le vie aeree ciliate ma essendo grandi vengono
eliminate dalla clearance. Le più piccole vanno a depositarsi a livello degli alveoli dei lobi superiori. La
reazione flogistica che si viene a creare è molto simile a quella dell’asbestosi: entro 48h dalla deposizione
delle particelle di silice, gran parte di queste vengono fagocitate dai macrofagi. Alcuni macrofagi rimangono
vitali, altri raggiungono tramite movimento ameboide le vie aeree ciliate e vengono eliminate dalla
clearance. Alcuni rilasciano citochine che richiamano neutrofili e fibroblasti. I maggiori fattori di crescita che
vanno a perpetuare il processo infiammatorio sono il TNFα, vTGF e TGFβ. Si creano così i noduli silicotici.
L’inalazione di particelle di silice porta alla formazione di un granuloma sotto forma di nodulo che
rappresenta la risposta infiammatoria focale ad andamento cronico caratterizzato dall’accumulo e
proliferazione di cellule mononucleate. Le principali cellule coinvolte sono non solo monociti e macrofagi
ma anche neutrofili, eosinofili, mastociti, linfociti T e B. La creazione del tessuto di granulazione determina
la neoangiogenesi, formazione di endoteli vascolari e l’evoluzione verso la fibrosi polmonare. Tutto ciò va a
distruggere la trama bronco alveolare e a creare noduli di grosse dimensioni. Nello stadio iniziale si crea un
nodulo che presenta molte cellule flogistiche. Col passare del tempo, 15-20 anni dopo l’esposizione, le
cellule lasciano il posto al collagene rilasciato dai fibroblasti. In fase finale il nodulo non ha più una forma
rotondeggiante ma ha una forma sferica con la caratteristica presenza di tre zone concentriche : la zona
esterna è quella più giovane, formata da fibre collagene disposte in maniera disordinata; la zona intermedia
è formata da fibre collagene in maniera ordinata; all’interno abbiamo una zona centrale completamente
ialinizzata e priva di cellule.
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La silicosi nodulare può manifestarsi in varie forme. Può avere un decorso cronico semplice, decorso
cronico complicato con fibrosi, decorso acuto accelerato oppure può manifestarsi con proteinosi alveolare
silicotica. La forma più frequente è quella a decorso cronico semplice. La forma a decorso cronico
accelerato e la proteinosi alveolare silicotica sono legate ad alte concentrazioni di silice che oggigiorno non
si vedono più. La forma a decorso cronico semplice è quella che si studia di più. Ha una latenza di 20 anni
dall’esposizione, inizialmente completamente asintomatica, in fase avanzata con dispnea, tosse secca o
produttiva, eventuale sovrainfezione con bronchite cronica con febbre e ippocratismo digitale. A causa
della sovrapposizione di bronchiti e asma presenta un quadro tipicamente ostruttivo.
La diagnosi differenziale quindi si basa su due elementi: la localizzazione (asbestosi alle basi, silicosi agli
apici) e l’esame spirometrico. In corso di silicosi l’esame spirometrico presenta un pattern ostruttivo in fase
media di esposizione,in fase finale abbiamo sindromi restrittive perché c’è fibrosi polmonare diffusa. In fase
iniziale media però abbiamo un pattern ostruttivo, solo in seguito arriviamo a una sindrome restrittiva. In
passato era più facile vedere la sovrapposizione di due patologie come la contemporanea presenza di AR e
silicosi o la contemporanea presenza di Sindrome di Erasmus, sclerodermia e fibrosi perché chiaramente la
condizione di immunodepressione andava a slatentizzare queste altre problematiche. Oggi sono casi molto
rari.
La IARC ha inserito la silice nei sicuri cancerogeni e il finale della patologia è il cuore polmonare cronico.
A livello radiologico si utilizzano gli stessi parametri dell’asbestosi: le lettere alfabetiche che vanno ad
etichettare non la fibra ma il diametro delle opacità nodulari. A secondo del diametro la lettera potrà
essere p,q,r,s,t,u in base alla grandezza dei noduli. (consiglia di vedere questa cosa da soli)
I noduli silicotici inizialmente singoli vanno pian piano a confluire e si formano delle grosse opacità
radiologiche.
Il follow-up viene fatto in base al diametro di queste opacità che vanno a superare anche i 5cm, 10cm.
La prognosi è legata alla ipersuscettibilità individuale quindi la risposta o meno all’esposizione è legata alle
caratteristiche del singolo individuo (non solo la genetica, ma tutte le abitudini voluttuarie e alimentari che
insieme al pattern genetico fanno la differenza nell’insorgenza in tempi più o meno rapidi della patologia).
Valore limite di esposizione, il TLV-TWA (valore di massima esposizione in una giornata lavorativa di 8h per
un totale di 20h settimanali) secondo l’ACGH deve essere di 0.025mg/m³. Questo significa che quando vado
a dosare facendo il monitoraggio ambientale la silice presente nell’atmosfera il valore deve essere meno di
0.025mg/m³; se è superiore scattano una serie di misure immediate di segnalazione all’asl, chiusura della
struttura dopo le quali il lavoratore non dovrebbe più essere esposto. Solo con le misure di prevenzione,
solo con adeguati dispositivi di protezione individuale e formazione di sorveglianza sanitaria è possibile
tenere sotto controllo questa patologia.
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loro rappresentanti. L’accordo europeo offriva un quadro di riferimento per individuare le linee per gestire
le problematiche correlate allo stress da lavoro. L’accordo europeo definiva lo stress come un insieme di
sintomi fisici, psichici e sociali, non inteso come malattia ma come segnale di malattia che può derivare
qualora a livello lavorativo non vengano effettuate le dovute misure di protezione e prevenzione atte a
ridurre al minimo tali manifestazioni.
Nell’articolo 28 del DL 81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo
stress presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei lavoratori e
della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono stressati per motivi
lavorativi. Quindi nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo stress ma non veniva detto
come. La circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico che rappresenta il livello di
attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di lavoro. La valutazione dello stress
viene fatta in due fasi: una valutazione preliminare e una valutazione eventuale. Nella valutazione
preliminare (obbligatoria) si vanno a valutare degli indicatori oggettivi. Il datore di lavoro nella fase
preliminare o obbligatoria deve fare un’analisi statistica degli indici di infortuni presenti in quell’azienda,
valutare il numero di assenze per malattia, il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto
delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre a questo, deve andare a valutare degli indicatori di
contesto e contenuto. Viene proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande.
Queste domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto ai
compiti a cui deve assolvere,se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori sono
adeguati. La fase preliminare significa quindi proporre check-list e andare a valutare il numero di infortuni e
malattie perché questo percorso metodologico prevede di capire se ci sono soggetti stressati che si
assentano facilmente per motivi derivati dallo stress. Con queste check-list che si propongono si va a
verificare se il lavoratore è soddisfatto della sua ambientazione lavorativa, dei suoi rapporti interpersonali e
del suo ruolo nell’organizzazione. L’ultima famiglia di indicatori che si vanno a valutare sono quelli di
contenuto lavorativo. Vengono fatte delle domande,ad esempio : l’illuminazione nella stanza dove lavori è
sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue conoscenze? Com’è la sedia?
Tutta questa parte preliminare permette tramite l’analisi di eventi esterni (numero di infortuni, numero di
malattie denunciate, numero di segnalazioni da parte del medico competente nonché indicatori di
contesto e indicatori di contenuto) permette di fare lo screening preliminare per capire se siamo in un
rischio basso di stress lavoro correlato o meno.
L’esito negativo significa che abbiamo fatto le check-list a campione nei vari settori, ed è stata espressa una
percentuale. Se questa percentuale è uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza particolari
condizioni di disorganizzazione lavorativa. Non c’è stress. La legge prevede che la rivalutazione si faccia
dopo 24 mesi in maniera obbligatoria. Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio che va dal 25 al
50%, immediatamente il datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali, organizzativi
e strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress nei lavoratori. C’è un anno
per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato psicologico del lavoratore. Dopo un
anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito. Se l’esito è ancora positivo si passa alla fase
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eventuale, seconda fase. Si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo programma il
datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del lavoro che ha la
competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari stress lavoro correlati. I
questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito.
La fase eventuale è obbligatoria e prevede la somministrazione di questionari ad personam. Nella proposta
di questionari ad personam, siamo in fascia medio o alta, entrano in gioco una serie di interventi non solo a
livello strutturale, organizzativo e ergonomico ma si parla di soluzioni terapeutiche all’individuo, quindi si
può arrivare alla proposta di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune realtà industriali grandi attivano
uno sportello fatto da persone competenti dove il lavoratore stressato va e segue il suo percorso. La legge
prevede che dal momento in cui si scopre al momento in cui si deve risolvere ci siano tutti gli strumenti per
eliminare la problematica di stress lavoro correlato.
Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore stressato. È previsto che il
medico del lavoro nell’ambito della sorveglianza sanitaria, da medico scopra eventuali condizioni di
disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica. La sorveglianza sanitaria viene proposta
come occasione per scoprire delle situazioni di disagio psicologico da segnalare al datore di lavoro.
Considerato che il DL 81/2008 alla voce stress prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc per il mobbing e
per il burnout, parlare di mobbing significa parlare di un’attività persecutoria che in quanto tale può
portare all’espulsione del lavoratore dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche
che spesso sfociano in vere e proprie malattie. In psichiatria c’è una classificazione con la quale si parla del
“disturbo post-traumatico da stress” e “disturbo da disadattamento lavorativo”. Solo queste due
condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul territorio preposto al risarcimento da malattia
professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore ha sviluppato “disturbo post traumatico da stress
lavorativo” e “disturbo da disadattamento lavorativo”, indennizza il lavoratore; quindi non il mobbing né lo
stress lavoro correlato, ma patologie psichiatriche sono quelle riconosciute associate a problematiche come
il mobbing e il burnout che l’INAIL eventualmente riconosce. Oggi sono pochissime le malattie professionali
riconosciute da agenti di rischio trasversale e quindi da stress lavoro correlato.
Lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato coinvolgimento lavorativo o
hanno ridotte capacità lavorative. Soggetti bersagliati sono quelli “diversi”: lavoratori immigrati oppure
soggetti con disabilità hanno una soglia individuale più bassa, sono ipersuscettibili a malattie come il
mobbing.
Le conseguenze sulla salute sono inizialmente: cefalea,ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione. In
seguito si associa a queste patologie una vera e propria patologia d’organo. Ecco perché rientrano nel
disturbo di adattamento o nel disturbo post traumatico da stress, che sono le uniche riconosciute
dall’INAIL.
La sindrome del burnout è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure professionali
d’aiuto. Nonostante siano state date nuove definizioni del burnout che la classificano come una patologia
che si manifesta con il deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro, in tal senso
farebbero rientrare nella definizione anche non solo figure d’aiuto. Generalmente si parla del burnout
come di una patologia che colpisce figure d’aiuto: educatori, insegnanti, medici, poliziotti, vigili del fuoco,
carabinieri, sacerdoti, operatori assistenziali, psichiatri, psicologi. Queste figure sono caricate da una
duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la persona che viene assistita. In percentuale
la categoria più a rischio è rappresentata dal settore degli insegnanti e dai video terminalisti che lamentano
tutta una serie di fattori di malessere (attività lavorativa monotona).
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Se non opportunamente trattati sfociano nella fase finale del burnout di logoramento psico-fisico che è
l’apatia.
Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:
Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;
Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la possibilità di
realizzarle nell’ambiente lavorativo;
Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;
Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che viene
definita vera e propria “morte professionale”.
Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi come in
futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.
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Medicina del Lavoro 19/11/2014
Il modello di determinazione del danno è rappresentato da una sequenza di blocchi che partono
dall’esposizione del rischio e, passando per varie fasi, arrivano alla malattia. In realtà possiamo
leggere questa sequenza di fasi anche in senso contrario, partendo dalla malattia e arrivando a
descrivere l’agente del danno. Questo modello si utilizza quando al soggetto è riconosciuto un
danno professionale con lo scopo di capire quale sia stata la causa della malattia.
Le varie fasi del modello sono connesse tra di loro sia per conoscere l’evento sia per fare
prevenzione. Possiamo partire dall’agente e arrivare alla malattia, oppure dalla malattia e
individuare gli agenti. Ciò che cerchiamo di capire è l’insieme di tutte le sostanze alle quali il
lavoratore è esposto compresi quelli dell’ambiente di lavoro. Ad esempio in una fabbrica per la
produzione di oggetti in plastica dobbiamo conoscere quali sono eventualmente i materiali che
possono esporre il lavoratore a un rischio di danno però dobbiamo considerare anche gli agenti
ambientali. Questa è la valutazione del rischio: stabilire la pericolosità intrinseca di ciascun agente
(sia professionale sia ambientale) e conoscere a priori l’effetto lesivo che ne può scaturire. Solo così
possiamo prevedere l’insorgenza della malattia.
Allora se partiamo dalla sostanza e dalla sua pericolosità dobbiamo arrivare al rischio (la
probabilità che si verifichi un evento avverso). Per fare ciò dobbiamo anche sapere per quanto
tempo il soggetto è stato esposto e a quale dose. Quindi i 3 parametri importanti per la valutazione
del rischio sono:
Così possiamo sapere la probabilità e l’eventualità che ci si possa ammalare. Inoltre dobbiamo
monitorare nel tempo per controllare in che modo si evolve la situazione dopo che è avvenuto il
contatto. In questo caso utilizzeremo tutta una serie di indicatori che ci permettono di valutare le
modifiche biologiche che avvengono nell’organismo e gli eventuali danni a tessuti organi e
apparati. Ecco come passiamo a leggere il modello di determinazione del rischio dalla malattia alle
cause che l’hanno determinata con la possibilità di fare prevenzione perché analizziamo
l’evoluzione delle modificazioni cellulari verso il danno, molto tempo prima rispetto a una
diagnosi precoce.
Ciò che rende complesso il modello (e tutte le sue fasi) è l’individualità. Tener conto di questo
elemento rende più accurata la valutazione del rischio. Perciò comprendiamo la necessità di una
attenta anamnesi lavorativa. Ad esempio un fattore di rischio molto importante è lo stress lavoro
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correlato che ci permette di capire come uno stesso luogo di lavoro può essere percepito in modo
diverso tra i lavoratori. Perciò possiamo dire che il rischio diventa individualizzato.
Il medico del lavoro è chiamato non solo alla prevenzione ma anche alla promozione della salute.
Il medico di medicina generale ha un contatto ancora più diretto con il lavoratore. Ciò permette
una corrispondenza importantissima tra medico del lavoro e medico di medicina generale. Infatti
il medico di medicina generale può partecipare alla prevenzione non limitandosi a chiedere
soltanto la professione svolta dal lavoratore, ma approfondendo l’anamnesi professionale. Online,
sul sito ISTAT c’è la pagina ATECO (= classificazione delle attività lavorative) in cui sono
classificati 10 settori lavorativi con i corrispondenti sottosettori. Per ogni settore vengono indicati:
le mansioni frequenti, i compiti lavorativi, i fattori di rischio presenti. Quindi in base all’attività
lavorativa possiamo vedere tutte le caratteristiche associate. Le informazioni che vengono da
queste banche dati hanno carattere di tipo generale a cui si aggiungono informazioni proprie del
territorio offerte da altre fonti.
La valutazione del rischio è importante non solo per la conoscenza del rischio, ma anche perché da
questa analisi quantitativa scaturiscono misure e decisioni per la gestione del rischio. Si elaborano
una serie di opzioni e si sceglie il provvedimento da realizzare. Ad esempio per ridurre
l’inquinamento in città si dispongono zone a traffico limitato.
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MEDICINA DEL LAVORO
Prof.Sannolo
Ricollegandosi alla lezione precedente il professore fa riferimento ad uno schema utilizzato in medicina del
lavoro e che prende il nome di valutazione dei rischi. Il modello che permette la valutazione dei rischi è
composto da una parte scientifica,ed una gestionale detta anche decisionale e che mette in opera le misure
per la valutazione del rischio.
La valutazione ha inizio con l’identificazione dei fattori di rischio, che ci porta ad identificare le circostanze e
le sostanze che possono determinare danni alla salute. Successivamente si passa ad attribuire a questi
fattori identificati una potenzialità di danno intrinseco detta pericolosità o pericolo;si prosegue poi con il
monitoraggio seguendo nel tempo l’esposizione dei soggetti a questi fattori.
Un modo semplice di approcciarsi alla valutazione del rischio prevede lo studio di tre parametri che sono:
-tempo di esposizione
-livello di esposizione.
Se accettiamo la definizione per la quale il rischio altro non è che la possibilità che si verifichi un
danno,possiamo semplicemente fare riferimento ad un’equazione che prenda in considerazione almeno
due parametri, che sono la pericolosità intrinseca e l’entità dell’esposizione. Attraverso queste
equazioni, ed una volta assegnati dei valori ai due parametri di cui abbiamo precedentemente
parlato,otterremmo in maniera semiquantitativa dei grafici rappresentati su un sistema di assi cartesiani.
Incrociando i valori dei parametri sull’asse, avremo subito un’idea di quali siano i rischi associati a delle
sostanze che noi abbiamo già qualificato.
ll valore intrinseco di pericolosità si attribuisce sulla base di una sperimentazione condotta su animali o
linee cellulari,che come prima cosa ci permettono di delineare la curva dose-risposta e di conoscere la
dose, al di sotto della quale ,non riconosciamo nessuna alterazione del sistema biologico in studio. <A
questo punto il prof. mostra 3 esempi di curva dose-risposta: -la prima curva è rettilinea e passa per lo 0
ed è tipica di alcuni cancerogeni,sostanze per le quali non esiste una dose incapace di procurare danno; -la
seconda curva ha aspetto sigmoideo, per cui inizialmente ci saranno tutta un serie di dosi ,corrispondenti al
tratto parallelo all’asse delle ascisse,che non producono effetto o meglio che producono sempre lo stesso
effetto(definito effetto back-ground) ed un valore soglia oltre il quale invece ci saranno tutta una serie di
dosi, che invece causano danno; -il terzo tipo curva identifica una condizione nella quale all’aumentare
della dose anziché verificarsi un danno si verifica un vantaggio.>
In base all’andamento della curva dose-risposta ,si ci orienta sul tipo intervento del medico del lavoro ,che
può essere limitato all’osservazione e follow-up oppure ,può richiedere l’uso di strumenti che permettono
di prevenire il danno alla salute.
La sperimentazione animale ci permette di conoscere la DL50 O DOSE LETALE 50%,che corrisponde alla
dose alla quale è avvenuta la morte del 50% delle cavie. Oltre alla letalità di un’agente possiamo studiare
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altre caratteristiche, come la tossicità acuta subacuta e cronica che vanno studiate, rispettivamente nei
primi 14 giorni,nei 90 giorni e entro i 2 anni.
In pratica,tramite la sperimentazione, possiamo ottenere un database dei fattori di rischio e della loro
pericolosità: una sostanza che ha una DL50inferiore o pari a 1mg/kg rientra nella categoria delle sostanze
ESTREMAMENTE TOSSICHE. Via via, al crescere del valore della DL50 ,avremo sostanze sempre meno
tossiche. Sull’etichetta di queste sostanze entrate in commercio ,ad indicare la pericolosità ,avremo una
serie di simboli che per le sostanze estremamente tossiche sarà il teschio con le tibie incrociate ,mentre per
sostanze che stanno più in basso nella scala della pericolosità, sarà ad esempio la croce di Sant’Andrea.
Spesso affianco all’immagine ,ritroviamo anche una classificazione lessicale che specifica la natura della
pericolosità attraverso le cosiddette frasi di rischio(ad es. NON INALARE etc.).
Dal momento che le sperimentazioni sono condotte sugli animali ,va tenuto presente che i dati che
otteniamo debbano in qualche modo essere corretti e adattati, nel momento in cui vogliamo usarli per
l’uomo. Prendiamo ad esempio in considerazione la NOAL(la dose più alta che non causa effetti) per poterla
adattare all’uomo la si divide almeno per 1000( dal momento che attribuiamo valore 10 ai 3 parametri che
prendiamo in considerazione per l’adattamento ovvero:- il fatto che si tratti di animali da esperimento -la
differenza tra specie e -la suscettibilità individuale)per cui la dose risulta di molto ridotta nel passare
all’uomo. Questi dati ,vengono utilizzati per stabilire i VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE, cioè stabiliamo quale
sia la concentrazione max a cui può essere esposta la popolazione nel luogo di lavoro, tenendo anche conto
della durata dell’esposizione. Va detto che, per stabilire con esattezza la pericolosità di un agente ,si fanno
anche studi epidemiologici cioè si studia una popolazione di individui che sono stati esposti a
concentrazioni note dell’agente nei luoghi di lavoro, e si osserva la comparsa di malattie o l’insorgere di casi
di morte,andando ad integrare dati sperimentali e quelli epidemiologici .Un’altra questione è che oltre a
tenere conto dell’esposizione ,bisogna tenere conto anche della suscettibilità individuale che può essere
geneticamente determinata ma può essere anche temporanea e\o acquisita(es. la donna lavoratrice in
gravidanza).In medicina del lavoro abbiamo anche la possibilità di distinguere gli effetti acuti dagli effetti
cronici e la possibilità di capire quali agenti possono produrre danni immediati e quali possono invece
provocarli a distanza dopo esposizione prolungata ,per cui abbiamo già gli strumenti per distinguere
l’infortunio dalla malattia professionale. Uno xenobiotico può penetrare nell’organismo in diverse modi a
seconda delle sue caratteristiche chimico-fisiche(ad es attraverso la via inalatoria se si tratta di polveri o gas
o attraverso la cute, se si tratta di una sostanza particolarmente liposolubile), in più questa sostanza una
volta giunta nell’organismo può comportarsi in modi diversi :+può per esempio competere con molecole
biologiche per il legame a substrati che svolgono ruoli chiave nella sopravvivenza dell’organismo oppure,
legare molecole con ruoli ritenuti “secondari”; + possono essere biotrasformate dall’organismo in molecole
che hanno una minore capacità lesiva ,ma più spesso ,la biotrasformazione comporta la formazione di
sostanze considerate ancora più tossiche; + in parte possono essere eliminate o accumularsi. tutte queste
fasi devono essere conosciute e monitorate per ovvi motivi .
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permanente 24h/24 dell’organismo all’agente. Come fase finale abbiamo la possibilità di fare una
sorveglianza sanitaria grazie alla visita periodica alla quale vengono sottoposti questi individui,verificando i
danni indotti da queste sostanze.
L’organo bersaglio è quello sul quale l’agente produce l’effetto o il danno,generalmente è un dato che si ha
già a disposizione nella sperimentazione animale .L’organo critico è l’organo verso il quale l’agente produce
una modificazione non definibile danno .Viene definito critico perché è il primo organo nel quale si
raggiunge una concentrazione,detta critica, tale da rilevare un evento biologico osservabile ,ed è come una
sentinella che allarma il sistema dell’imminenza del danno. La conoscenza dell’organo critico diventa uno
strumento di prevenzione, e ci permette di assumere una serie di iniziative per proteggere l’organo
bersaglio. Quando un soggetto mostra segni di danno,la prima cosa che viene fatta è l’allontanamento dal
fattore di rischio.
Ovviamente i modelli che vengono usati sono semplificati rispetto alla complessità dell’organismo e dei
fattori di esposizione ,che normalmente non sono mai singoli. Il soggetto può essere esposto a più agenti di
rischio,per cui bisogna almeno ipotizzare che sul luogo di lavoro ci siano più fattori di rischio che possono
interagire ed avere un effetto additivo,o sinergico ,oppure che la presenza di un agente a livello
dell’organismo potenzia la pericolosità intrinseca di un altro agente. Oltre agli agenti chimici, ci sono tutta
una serie di altri stressor quotidiani che gravano sul singolo lavoratore ,e che partecipano a differenziare la
risposta allo stesso agente a parità di esposizione da un individuo ad un altro( basti pensare a malattie
pregresse all’età la situazione familiare lo stress etc.). Per cui un medico di medicina del lavoro deve
considerare tutti questi aspetti,ragione per cui il suo ruolo è più vicino a quello del medico generalista che a
quello del medico specialista proprio perché appunto il medico del lavoro conosce molto del suo paziente.
È la dose che fa il tossico, a prescindere dalla pericolosità intrinseca,nel senso che qualunque sostanza a
determinate dosi può determinare un danno e anche l’accesso di acqua può essere considerato dannoso, e
le dosi devono essere anche considerate in relazione alle eventuali interazioni con altre sostanze tossiche
già presenti nell’organismo.
<A questo punto il prof fa una serie di domande ed esempi per far capire che in pratica se si facesse
solamente un monitoraggio ambientale sia sottostimerebbe l’esposizione di alcune categorie di lavoratori e
rimarca quindi l’importanza del monitoraggio biologico o del singolo lavoratore o di gruppi di lavoratori
considerati “uguali dal punto di vista dell’esposizione” cioè dividendo i lavoratori in gruppi in base a
caratteristiche di omogeneità e aiutandosi con la statistica. Quest’ultima cosa la si può fare per studiare
l’andamento del fenomeno ma non per conoscere l’esposizione del singolo individuo o per studiare
l’ipersuscettibilità del soggetto(che dipende dalla capacità del soggetto di biotrasformare l’agente di rischio
e dipende anche dalla velocità con cui questa sostanza viene trasformata e anche dal tipo di sostanza
perché se la sostanza che ha capacità lesiva viene a formarsi proprio tramite biotrasformazione allora sarà
logico che il fast metabolizer o metabolizzatore rapido sarà un soggetto ipersuscettibile).
In ultima analisi ,con il monitoraggio ambientale ,conosciamo la dose esterna ,con il monitoraggio biologico
conosciamo la dose all’interno dell’organismo. La dose esterna verrà comparata con il valore limite di
esposizione ottenuta dagli esperimenti e con il NOAL per stabilire se l’ambiente di lavoro è accettabile o
meno. Con La dose interna (si stabilisce se il soggetto è metabolizzatore rapido se è metabolizzatore lento)
e una volta fatte le misurazioni vanno comparate con gli indici biologici di riferimento e ci dicono quanto il
singolo soggetto è stato esposto e possiamo individuare anche la dose di esposizione all’agente al di fuori
dell’ambiente di lavoro(la memoria dell’esposizione c’è solo nel monitoraggio biologico).
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MEDICINA DEL LAVORO 4-12-2014
L'argomento di oggi è collocato sempre in questa idea che si possa immaginare il rischio collegato
alle esposizioni a un agente o a più agenti di rischio lungo questa direttrice, che abbiamo visto altre
volte, che porta questo modello molto semplificato dalle esposizione fino alla comparsa del cancro.
Volevo sottolineare ancora una volta che questo modello è utilizzabile non solo nell'ambito della
salute dei lavoratori, ma è un modello universale per tenere sotto controllo i rischi connessi con
l'esposizione a specifici agenti che, chimici/fisici, si possono trovare anche nelle condizioni di vita
ordinarie. Vi faccio un esempio: uno degli argomenti che sta molto invocando il dibattito sulla terra
dei fuochi, ma in generale su tutta l'area campana interessata ai roghi e al seppellimento dei rifiuti
tossici, è il fatto di accertare se queste persone delle quali si dice che siano state colpite da malattie
gravissime, quali tumore e via discorrendo, siano realmente state esposte a questi agenti di rischio.
In quel modello che abbiamo visto le volte scorse, il così detto “management”, cioè il che fare nei
confronti del rischio, comporta che uno sappia che cosa determina il rischio; se uno non lo sa, non
conosce i meccanismi che hanno prodotto il danno e, quindi, uno non sa che tipo di misura adottare.
Sapere che cosa fare, cioe prendere le decisioni “di tipo politico” ed evitare che si subiscano danni,
comporta necessariamente la conoscenza dei fattori di rischio, della loro importanza in termini
quantitativi nei luoghi in cui questi agenti vengono individuati nel tempo, che rimangono in questi
luoghi e che possono dare dei fenomeni di esposizione e dei possibili effetti che si subiscono sia in
termini irreversibili sia in termini di reversibilità. Solo se ho una conoscenza scientifica di questa
serie di eventi dalla identificazione degli agenti di rischio fino alla registrazione di una
modificazione di tipo biologico o del danno, è possibile prendere una decisione. Anche allocare
risorse cioè stabilire, ad esempio, non faccio camminare più frequentemente i pullman a Napoli
però i soldi che dovrei utilizzare per comprare 10/15 pullman li utilizzo per bonificare questo sito
perché da questa bonifica ne riceverà un beneficio la popolazione e questa si apprezza avendo
chiaro quale sia il meccanismo che abbia esposto la popolazione al pericolo esaminato. Molte
fallimenti nel prendere decisioni risiede nel fatto che ci sono carenze o assenze in termini della
valutazione del rischio. Questo modello della volta scorsa, nella stringa di sopra porta “National …
American... 1983”, e vi voglio sottolineare che questo sistema di regolamentazione dell'esposizione
degli agenti di rischio, che formalmente è stato messo a punto dal “National Reaserch Contry” degli
USA, è stato concepito per salvaguardare la popolazione generale, cioè è stato proprio costruito per
produrre vantaggi alla popolazione. È stato concepito in questo modo perché i decisori politici che
volevano investire in sicurezza per la salute degli statiunitensi avevano bisogno di sapere perché la
gente si ammalava, quali agenti producevano le malattie e con quali meccanismi ci stava
l'interazione con l'uomo, e quindi, con molecole, cellule critiche. La medicina del lavoro ha adottato
questo lavoro e lo ha perfezionato per il fatto che l'ambito lavorativo costituisce un ambiente utile
per sperimentare quel modello perché a differenza dell'ambiente di vita dove gli individui esposti a
possibili fattori di rischio sono intanto per età e condizioni economiche molto diverse tra di loro.
Quindi è difficile valutare l'impatto di una eventuale esposizione su una popolazione così ampia nel
tentativo di capire se ci sono delle correlazioni. Per questo si usa la sperimentazione animale.
Quando si fa la sperimentazione sugli animali a questo si tende; cioè a individuare un gruppo di
animali che hanno caratteristiche biologiche simili fra di loro in modo tale che, in effetti, si
constatarono attraverso la sperimentazione siano fallimenti attribuibili esclusivamente all'agente a
cui sono stati esposti. Se ci sono delle variabili di età, malattie, povertà, alimentazione è più difficile
individuare il rischio. Il mondo della medicina del lavoro si è prospettato interessante per affinare il
modello proprio perché aveva i lavoratori che avevano una fascia di età certa tra i 20 e 60 anni. Ma
non solo. Anche il luoghi di lavoro sono “sorvegliati”. Di questi lavoratori, il medico competente ha
conoscenza delle loro condizioni generali di salute. Viene monitorato nel tempo. Si possono anche
fare eventuali correlazioni tra modifiche di inquinanti per quantità e qualità nell'ambiente di lavoro
e comparsa di malattie. Un buon progetto di sorveglianza permette di tutelate le modifiche
dell'ambiente con comparsa alla salute dei lavoratori. Abbiamo visto il ruolo del medico generico
nella popolazione generale, invece il medico della medicina del lavoro malgrado un ruolo centrale
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della salvaguardia della salute della popolazione non ha gli strumenti né come missione quella di
tenere questa […] così stringente rispetto ai fattori di rischio. Al medico di base sfugge il tipo di
esposizione cui puoi essere esposto durante il lavoro, non lo sa a meno che non faccio una scheda
dettagliata sul tipo di lavoro e tutti i fattori di rischio. Gli manca un pezzo dei fattori di rischio cui
un soggetto può essere esposto o è esposto che può essere causa di malattie. Nei luoghi di lavoro di
attività ordinaria, tutti i fattori di rischio sono conosciuti e quantificati. Le volte scorse abbiamo
preso in esame quelle valutazioni di tipo semiqualititavo o qualitativo, quelle matrici colorate, in
realtà ha dietro progetto quello di identificare quelli che sono i fattori di rischio e attribuire a
ciascuno di essi un peso in termini di rischio collegato all'esposizione. Nei luoghi di lavoro, questa
operazione di trovare i fattori di rischio e di attribuirgli un peso, è facile perché il lavoro è un
sistema aperto e controllabile. Come se fosse uno spazio in cui si sa cosa entra (ad esempio in una
azienda chimica, le sostanze che arrivano all'industria) e si sa cosa esce (prodotto finito) e cosa
succede (processo di lavorazione). Quindi è un ambiente simile a quello della sperimentazione, per
avere una idea chiara dei rischi. Si adottano questi sistemi che sono quelli che abbiamo registrato
nelle varie stazioni, questa sequenza che vedete qui. La prima parte di questa sequenza ha come
finalità, ragionando su un fattore di rischio per volta, per esempio al benzene o piombo, quella di
stabilire la dose alla quale questo soggetto è esposta. La dose la immaginiamo come dose esterna,
cioè quella che ha a che vedere con la concentrazione dell'inquinante nell'ambiente, e la dose
interna, concentrazione dell'inquinante all'interno dell'organismo. È importante parlare di
monitoraggio della dose esterna, o monitoraggio ambientale. Attraverso il monitoraggio, esame
sistematico e protratto nel tempo di questa dose, si ha la rappresentazione della variazione della
concentrazione in quel punto nel tempo. Si fa per stagione, la stagionalità in cui […] influiscono
sulla concentrazione dell'inquinante. Le concentrazioni di queste determinazioni si confrontano con
quei valori di riferimento che abbiamo visto nelle volte scorse, cioè quelle concentrazione che si
valutavano pericolose per gli animali che poi si confrontavano con le concentrazioni pericolose per
l'uomo. Quelle concentrazioni si chiamano “VALORI LIMITE” e si mettono a confronto il dato
esterno con il dato di legge (variabile, che viene aggiornato di anno in anno). Questo valore limite è
la concentrazione di agente aereodisperso (presenti nell'aria) alla quale si ritiene che la maggior
parte dei lavoratori possa essere esposta per tutta la vita senza subire danni. Questo “maggior parte
dei lavoratori” è sottolineato da quel dato che noi abbiamo accennato più volte, cioè che esistono
delle risposte di ipersuscettibilità. Il medico competente ha il compito di identificare le persone che
fanno parte dei lavoratori che devono essere tutelati tenendo conto che la risposta biologica è anche
a concentrazioni più basse di quelle normali. Questo T.L.V. (valori limite di esposizione) è la chiave
di volta per capire se uno è esposto alla dose pericolosa o meno. Per la predizione del rischio e per
la gestione del rischio, il T.L.V. è stato diviso in tre parti; cioè si sono identificati tre TLV: è una
divisione schematica e anche molto logica. Esistono una miriade di sostanze di sintesi le quali
hanno delle caratteristiche epidemiologiche più disparate. Ci sono sostanze molto pericolose o poco
pericolose. Sono sostanze che hanno un effetto residuo immediatamente e non immediatamente,
cioè a comparsa tardiva. Allora io attribuisco un certo tipo di TLV alle sostanze che possono creare
danni a comparsa tardiva, oppure un TLV alle sostanze che fanno un danno immediato, oppure un
TLV a delle sostanze, ad esempio, con effetti neurotossici. Queste tre categorie di sostanze
corrispondono o meno alle situazioni di salvataggio che si possono identificare in tempo. Eppoi ci
sono quelle sostanze che possono provocare dei danni transitori che vengono considerati con un
altro TLV. È chiaro che questo è schematico. Faccio delle misure nel luogo i lavoro, stabilisco qual
è la concentrazione inquinante. La concentrazione è accettabile o no? Vado a vedere di quella
sostanza qual è il TLV e faccio il confronto. Come si fa il confronto? Si fa il confronto tenendo
conto durante la giornata lavorativa o durante la vita lavorativa, perché questa rappresentazione che
vedete qui è immaginabile nel tempo zero/otto ore, zero/365 giorno ecc.; è un confronto che si può
fare istantaneamente rispetto al TLV nell'arco di tempo lungo. È ovvio nel caso di sostanze che
hanno comparsa tardiva, posso fare questo confronto nella settimana, nel mese, nell'anno. In caso
delle sostanze che hanno un effetto acuto, il confronto lo devo fare oggi, istantaneamente, e non
durante l'arco dell'anno per vedere quante volte io ho superato il limite. Se vado a vedere dopo,
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nell'arco della settimana, quante volte è stato superato questo TLV, vedrò che sarà superato 10 volte
e non farò più la prevenzione. Facciamo un esempio pratico. Questa maniera di capire se questa
cosa funziona o non funziona (se andate in regione gli assessorati competenti queste cose qua non le
sanno [chissà perché ndr] e non le usano per svolgere questo ruolo istruttorio), la rappresentazione
che si da ai cluster della convenzionale in un sistema di assi cartesiani, tempo in ascissa e la
concentrazione che noi misuriamo nelle ordinate. Poiché il TLV con il quale dobbiamo confrontarci
è un dato di concentrazione, lo metterò in ordinata. Se noi dobbiamo verificare il TLV durante le
otto ore lavorative, tracciamo una linea parallela all'asse delle ascisse e vediamo come varia la
concentrazione dell'inquinante. Si inizia da una concentrazione presente durante la giornata
lavorativa, ad esempio poniamo il caso che questo valore valga 5 ppm (parti per milione – maniera
per esprimere una concentrazione delle sostanze disperse) e poniamo che il TLV sia sette.
Cominciamo a misurare questa concentrazione nel luogo di lavoro. Il fatto che sia 5 all'inizio, c'è di
fondo un concentrazione; è raro andare in un luogo e non trovare una concentrazione di fondo.
Comincia il lavoro, come una saldatura, noi registriamo mano a mano la concentrazione in
corrispondenza di questa operazione. C'è un momento in cui l'andamento della curva della
concentrazione che stiamo misurando, supera il TLV, poi finisce l'operazione e la concentrazione
nell'ambiente si riduce grazie alla depurazione, alla ventilazione. A questo punto succede un'altra
fase, un'altra operazione, un'altra saldatura; nei luoghi di lavoro si ripetono le attività. Comincia la
saldatura un'altra volta e si ha un altro picco. Probabilmente se avessimo aspettato altro tempo
sarebbe scesa ancora di più perché sarebbe diluito di più. E la concentrazione sale di nuovo. Alla
fine delle otto ore lavorative avremo questa specie di sinusoide, “come se un serpente circonda la
linea del TLV”. C'è una apparente contraddizione in questa rappresentazione; se bisogna
salvaguardare le persone non bisogna superare il TLV, il valore limite. In questo caso ci sono dei
superamenti, ma anche aree al di sotto. Nel caso di sostanze a comparsa tardiva siamo di fronte a
una gestione di questo limite, che tiene conto del fatto che è scientificamente dimostrato. Siamo nel
problema in cui è possibile superare la soglia purché i superamenti della soglia siano compensati
dall'escursione al di sotto di questa soglia. Questo deriva dal fatto che questi agenti o queste
caratteristiche di TLV hanno comparsa tardiva. Alla fine la soglia totale non deve essere superata.
Sono consentite le escursione purché siano compensate. Come si fa a sapere se sono compensate? Si
misurano le aree al di sopra, si confrontano con le aree al di sotto della curva e se c'è più
abbondanza dell'area al di sotto si dice che è rispettato il valore. Quando abbiamo a che fare con
sostanze neurotossiche, con effetti immediati non gravi recuperabili facilmente (ad esempio un
uomo che usa solventi su un palo della luce in alto), si dice che si avrà dei livelli di riferimento che
sono più alti del TLV, ma ai quali devi rimanere per poco tempo, cioè in poco tempo si ha un minor
effetto e piccola deviazione dallo stato normale e recupero fisiologico di, per esempio, un'ora. Si
dice che queste sostanze sono per brevi esposizioni, 15 minuti al massimo, tempo secondo cui si
pensa che non si inneschino e non si possa provocare danno. Le sostanze, per le quali l'effetto è
immediato, hanno un limite che non può essere mai superato e deve essere monitorato
continuamente altrimenti c'è il rischio di danni gravi. Tutte le sostanze che sono ponderate nel
tempo seguono il TLV-TWA (Time Weighted Averages). Come succede nelle autostrade: il limite è
a 80; non significa che uno non possa arrivare a 100. Uno può arrivare a 100 temporaneamente per
un sorpasso, e non è sanzionato. La cosa importante è che ai passaggi successivi si accerti che
quell'eccesso sia stato compensato dalla minore velocità; cioè dal prossimo controllo mostra che è
rientrato completamente. Molte sostanze hanno anche un TLV-STEL (Short-Term Exposure Limit),
cioè valore limite di soglia per breve periodo di esposizione. Ad certe concentrazioni possono dare
effetti tardivi, ad altre concentrazioni danno effetti acuti. In questo caso specifico non si deve
superare il STEL, e quindi che non si manifesti l'effetto acuto, è superato il TLV-TWA. Le aree al di
sopra sono in eccesso rispetto alle aree al di sotto. È come se in autostrada, tipo l'autostrada Napoli-
Roma, non si potesse superare i 100 km/h, ma sono 100 km/h ponderati. Ad esempio se vado a 110
eppoi a 90, va bene, ma se vado a 150 devo essere sanzionato. Questi dati sulle attribuzioni su
ciascuna sostanza dei vari TLV sono riportati in tabelle sia quelle di agenzie internazionali tipo
questa “ACIGH”, oppure in tabelle della Unione Europea. In più ci sono anche delle note che, in
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questo caso qua, significano “quella sostanza aereodispersa passa anche attraverso [...]”. e quindi
affianco si mette un altro valore che si chiama il […] che indica il limite che noi andiamo a
controllare all'interno dell'organismo. Il monitoraggio ambientale ha una sua articolazione interna.
Se dico che questa zona è inquinata perché ho un dato di dose esterno alto, io ho messo una
macchina che aspira l'aria ad un certo posto, e questa aria una volta che è stata aspirata, la vado ad
analizzare e trovo le dosi esterni. Ma se lo faccio su un territorio molto vasto, saprò la
concentrazione nel posto dove ho messo la macchina, mica in tutti posti dell'area vasta. In effetti
saprò che quel luogo in quel posto ha un certo grado di inquinamento. Poi ci sono pure le variabili
del vento oppure la temperatura, notte/giorno, situazioni che hanno molta influenza su questo dato.
Il luogo di lavoro comunque è un luogo più raccolto e quindi si possono mettere le macchine
campionatrici anche vicino alle zone a rischio. La maniera più interessante per stabilire se uno è
esposto a una dosa alta o meno, è quello di fare un “campionamento personale”, cioè invece di
mettere un campionatore in un posto, si mette il campionatore addosso alla persona. Un po' come
quegli ausili che usano i radiologi. Il radiologo viene giudicato se esposto o no, non tanto sulla base
che il fisico-sanitario misura le radiazioni della macchina alla fonte e dice che i radiologi sono
esposti; non è vero. Il radiologo durante l'rx può svolgere vari ruoli rispetto a un altro radiologo che
sta eseguendo l'esame e quindi non vero che tutti i radiologi sono esposti. E allora si mettono questi
dosimetri personali. In questo caso si rileva quale è la dose di quelle sostanze che sono esposte
quelle persone durante lo svolgimento di molteplici cose. Si campiona, si confronta con il valore
limite e si prende una decisione. Si può mandare la persona a lavorare da un'altra parte in modo da
creare queste compensazioni di queste sostanze; è possibile fare il management dei ruoli, è un
problema di tipo organizzativo. Si può anche usare una “pompa peristaltica” per aspirare l'aria in
prossimità della bocca, questi captatori di aria ambiente vicino al bavero della giacca e questo
simula la qualità dell'aria che entra dentro i polmoni. Si possono usare il “carbone attivo(?)” o si
possono usare dei dischetti simili a quelli dei radiologi che attirano passivamente l'aria. Per le
polveri si usano dei sistemi a filtro che captano l'aria e bloccano sul filtro le polveri. Possiamo
trovarci davanti a sostanze liposolubili e passano attraverso la via cutanea; quale migliore cosa ti fa
il dosaggio dentro l'organismo, e quindi il carico interno di queste sostanze, che poi quello che
svolge l'effetto lesivo? I liquidi biologici. A parte l'eventualità che la sostanza possa entrare dentro
l'organismo attraverso la via cutanea, la quantità di sostanza che entra dentro l'organismo dipende
anche dal territorio. Dal solo dato ambientale, dal solo TLV, non ricaviamo la certezza che
all'interno dell'organismo ci sia la sostanza; può passare per la cute, la via respiratoria o anche dal
cibo. Stiamo parlando del piombo o il benzene. Se andiamo a vedere sulle matrici biologiche la
dose interna, noi integriamo in un dato tutte le vie attraverso le quali l'agente entra nell'organismo,
anche nelle extra-professionali. Qui abbiamo un dato reale di rischio che non dipende solo dal
rischio occupazionale ma anche il rischio legato a una esposizione extra-occupazionale. Il
monitoraggio biologico è più potente rispetto a monitoraggio occupazionale riguardo alle materie di
predizioni del rischio. Attraverso questo campionamento in tempi e modi opportuni, possiamo
valutare quale è la dose degli agenti che può entrare in un organismo e dare degli effetti biologici.
Gli effetti che si possono determinare sono diversi, sia deterministici, allergici e stocastici; gli
esempi che prendiamo in considerazione sono di tipo deterministico e andremo a indagare questi,
cioè quelli nei quali c'è un rapporto dose/risposta, e questo permette anche una gestione facile
perché se noi misuriamo una dose all'esterno o all'interno e sappiamo che c'è un effetto noi,
possiamo organizzare tutto affinché l'effetto non si produca. Tema degli effetti stocastici, cioè di
effetti che non sono correlati alla dose ma alla probabilità dell'evento avverso (che si studia
prevalentemente attraverso l'epidemiologia molecolare). Attraverso il monitoraggio biologico si
misura o dalla sostanza dal quale [...] o attraverso i prodotti di biotrasformazione, oltre a registrare
altre alterazioni reversibili. Le matrici biologiche che si usano a medicina del lavoro sono quelle che
si raccolgono con nulla o minima invasività. Quindi capelli, unghie, saliva, ecc.; per alcune sostanze
che richiedono controllo ma non sono inquinanti, tipo le droghe, che in alcune categoria di
lavoratori devono essere misurate per legge, soprattutto nel tipo di lavoro si pone danno a terzi. Le
sostanze che si misurano sono “indicatori” o meglio, visto che lavoriamo su matrici biologiche,
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“indicatori biologici”. L'indicatore è il parametro che noi misuriamo con il suo corredo di qualità.
Le qualità che questi indicatori hanno, cioè abbiamo indicatori di dose e possono essere:
- indicatori di dose che marcano l'esposizione,
- indicatori di dose che marcano l'accumulo eventuale di questa sostanza nell'organismo,
- indicatori di dose che marcano la quota della dosa che produce l'effetto in corrispondenza
dell'organo bersaglio (indicatori di dose vera o biologicamente efficace).
Accanto a questa serie di indicatori di dose noi abbiamo gli indicatori di esposizione. Queste tre
sotto categorie di indicatori di dose, consente di avere una lettura accurata di quelle che possono
essere i rischi previsti e stimati all'interno del corpo. Gli indicatori di esposizione ci dice solo che
c'è stata una esposizione, e per definizione deve avere una variabilità legata alla variabilità della
dose esterna. Non si può dare il caso che aumenti la dose esterna e non aumenti la dose di
esposizione. È un indicatore prezioso che ci registra che noi siamo stati esposti all'esterno a una
concentrazione di sostanza. Ad esempio, in un dato ambiente due persone hanno indicatori di
esposizione diversi, e ciò vi pone il problema che a parità di dose esterna: perché uno lo ha più
basso e l'altro più alto? Poi magari si scopre che uno era più vicino alla fonte dell'inquinante. Gli
indicatori di accumulo hanno riferimento alle sostanze particolari tipo solventi che hanno il potere
di accumularsi all'intermo dell'organismo. Questo accumulo da un lato conferisce a questo agente il
potere di danno permanente, perché hanno un potere lesivo a esposizioni croniche a basse
concentrazioni. Hanno anche un altro potere, perché se noi riusciamo a mobilizzare queste sostanze,
ci danno la storia dell'esposizione dell'individuo, un po' come tagliare un albero e capirne la vita dai
cerchi del tronco. Nel caso del piombo, se noi riusciamo a mobilizzare il piombo accumulato in vari
organi, tipo osso trabecolare, possiamo capire se l'individuo ha avuto una esposizione alta o bassa di
piombo. Questo può spiegare delle situazioni di salute che registriamo e può consentire il
riconoscimento di “malattia professionale” e quindi di indennizzo a carico dell'istituto assicurativo.
È importante dal punto di vista della predizione del rischio perché è il netto che è entrato all'interno
dell'organismo. Non tutto quello che è entrato nell'organismo è un target efficace del danno; una
quota che è la frazione della dose, che entra, che arriva all'organo che viene danneggiato o una
macromolecola che produce danno, quella quota si chiama “dose biologica lesiva”, ed è quello sulla
base su cui si ragiona per gestire il rischio, soprattutto su agenti molto lesivi. Abbiamo degli
indicatori che ci registrano gli effetti, cioè gli eventi biologici che vengono modificati, allorché la
molecola interagisce con un meccanismo cellulare, succede qualche cosa che viene registrato.
Questi eventi ci servono in chiave predittiva; sono effetti reversibili, eventi che servono ad essere
registrati e ad adottare delle misure sulla salute. Le tabelle per il monitoraggio ambientale hanno
anche una sezione per il monitoraggio biologico. In quest'area delle tabelle si dice che, dato una
sostanza, benzene, qual è l'indicatore che devo cercare? Il benzene quale, quale metabolita, alcuni
metaboliti del benzene sono utili altri no, per esempio alcuni metaboliti sono comuni al
metabolismo di altre sostanze. Quindi ci dice quali metaboliti da dosare che siano facilmente
dosabili. Oltre a questo, le tabelle ci dice dove prenderli, o sangue o orecchie o urine, e questo
campionamento quando lo abbiamo fatto? Prima o dopo l'esposizione? Sono parametri per
l'accuratezza del dato. Questo significa che andiamo a fare le misure all'esterno, per diossine,
cromo, bisogna dire in quali matrici biologiche, in quali condizioni è stato prelevato il campione.
Per prelevare un solvente bisogna stabilire il tempo durante il quale prendere il campione di urine;
un solvente organico, che requisiti ha che impone che uno stabilisca a priori il tempo in cui si va a
prendere il campione? I solventi hanno una emivita breve. Se uno fa la raccolta delle urine il giorno
dopo, può darsi che non c'è ne più di solvente, perché è stato tutto biotrasformato. Quindi dobbiamo
dire la finestra temporale della raccolta. Il piombo (si misura con esame del sangue) non ha finestre
temporali e il tempo di dimezzamento è di circa 15-20 giorni. Durante un arco di tempo di 15
giorni, che poi continua con l'esposizione, si può raccogliere accuratamente in qualsiasi momento.
Persone che sono esposte a monossido di carbonio, che hanno patologie cardiocircolatorie, se uno
deve accertare che queste persone possono continuare a lavorare, si deve accertare questa
esposizione alla fine del turno di lavoro, perché sono 4 ore il tempo di dimezzamento. Il laboratorio
alle sette del pomeriggio non ha una persona che va in fabbrica che va a prendere il prelievo. Dice
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che viene la mattina dopo e la mattina dopo non c'è più monossido di carbonio nell'organismo. E
quindi il medico competente da l'ok per svolgere quel lavoro. In queste tabelle ci sono anche una
serie di notazioni che guidano la lettura del dato, cioè dicono se:
- quella sostanza che stiamo studiando è un indicatore biologico che può avere un background di
interpretazione,
- se è non specifico quell'indicatore, nel senso che c'è un incertezza sulla presenza di un dato visto
che la ricerca non è arrivata ancora al punto di identificare un indicatore specifico per quella
sostanza, e se le misure sono semi quantitative.
Ogni sostanza viene identificata con un numero, ci dice qual è il suo indicatore biologico. Ad
esempio per il benzene uno può usare l’acido S-enil-mercapturico (SPMA) e l’acido trans,trans-
muconico (TTMA). La maggior parte del benzene che entra nell'organismo viene subito
biotrasformato. Vengono usate queste sostanze qui che sono molto rappresentative dal genitore da
cui provengono. Quando si fa il prelievo, qual è il valore di riferimento per queste sostanze e
quando si deve fare il prelievo. Uno gli indicatori se li sceglie, questo vale per i medici competenti
non per voi. Bisogna conoscere la tossicocinetica e i suoi effetti. Ad esempio, il piombo che si
accumula nelle ossa, nei denti come si può determinare? È poco frequente che si dica che si prende
un pezzetto d'osso, e quanto deve essere grande? 50 grammi, 100 grammi. “Immaginate un
lavoratore che sta esposto al piombo che deve fare un indagine biologica al piombo e scopritegli la
gamba e chiedete un pezzetto di osso. Vi spara.” Ci sono altre tecniche per valutare l'accumulo del
piombo. Il campionamento deve essere non invasivo. Dovete inquadrare il soggetto nella sua
interezza, tra le condizioni di salute e le esposizioni.
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Uno dei rischi in sala operatoria risulta essere rappresentato dall'INALAZIONE degli ANESTETICI.
I principali anestetici che vengono utilizzati sono rappresentati da : PROTOSSIDO DI AZOTO,
ISOFLUORANO, ENFLUORANO e l'ALOTANO.
La più importante fonte di esposizione risulta essere rappresentato dalle PERDITE DI GAS
ANESTETICO dall'apparecchiatura per anestesia, ma da non sottovalutare sono i comportamenti
degli anestesisti, oltre alla scorretta installazione e manutenzione dei sistemi di aspirazione e di
convogliamento all'esterno dei gas. Nel 1989 il Ministero della Sanità ha stabilito il VALORE
MASSIMO DI 100 ppm (TWA) come limite tecnico per le sale operatorie esistenti e di 50 ppm per
quelle di nuova costruzione.
ANALIZZATORI per CAMPIONAMENTI FISSI;
DOSIMETRI per CAMPIONAMENTI PERSONALI.
Per quanto riguarda il DESTINO METABOLICO, per tutti gli anestetici volatili è stata dimostrata una
BIOTRASFORMAZIONE:
della quota di ALOTANO, assorbito e poi metabolizzato a livello epatico, si ritrova nelle urine
un 18‐20% come bromuri e un 12% come acido trifluoro acetico;
l'ENFLUORANO subisce una biotrasformazione più limitata, viene eliminato come tale per
l'80% per via respiratoria e la quota restante con le urine;
l'ISOFLUORANO viene eliminato quasi in toto per via respiratoria;
il PROTOSSIDO DI AZOTO, essendo poco solubile nel sangue e nei tessuti, viene solo
parzialmente metabolizzato dall'organismo e rapidamente eliminato per via respiratoria.
Per quanto riguarda poi gli EFFETTI BIOLOGICI:
FEGATO, determinano PEROSSIDAZIONE LIPIDICA, CITOLISI EPATICA ed effetti sugli enzimi
epatici microsomiali.
SISTEMA EMOPOIETICO. Nel 1950 è stata dimostrato che nei pz con tetano trattati con
anestetici si determinava DEPRESSIONE MIDOLLARE con una ANEMIA PERNICIOSA. Esso
dovrebbe agire inattivando la VITAMINA B12 e dunque la METIONINA SINTASI. E' proprio
all'INATTIVAZIONE DELLA VITAMINA B12 che è dovuto anche l'EFFETTO GONADOTOSSICO e
NEUROTOSSICO.
ANOMALIE DELLA RIPRODUZIONE quali aborti spontanei e malformazioni congenite nella
prole, ma sono stati poi smentiti da studi epidemiologici condotti in altri Stati.
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L'asma professionale è una malattia cronica infiammatoria delle vie aeree caratterizzata da:
OSTRUZIONE VARIABILE DELLE VIE AEREE;
IPERRESPONSIVITA' DELLE STRUTTURE BRONCHIALI.
Sulla base della presenza o meno di un periodo di latenza nella comparsa dei sintomi, distinguiamo:
ASMA IMMUNOLOGICO, compare dopo un periodo di latenza variabile, durante il quale si
verifica la sensibilizzazione ad un agente asmogeno presente nell'ambiente di lavoro. E' la
forma più frequente di asma bronchiale professionale;
ASMA IRRITATIVO, in cui non c'è periodo di latenza. Esso compare dopo un'esposizione
intensa a polveri, vapori, fumi irritanti. E' raro. In alcuni pz, dopo l'episodio acuto, l'asma
persiste nel tempo.
Per quanto riguarda l'asma immunologico, c'è da dire che le forme di ABP IgE‐mediate non sono
distinguibili dal punto di vista clinico e funzionale da quelle in cui le IgE non svolgono un ruolo
preminente (isocianati, cedro rosso).
Il meccanismo patogenetico comune coinvolge il sistema immunitario. In entrambi i casi l’evento
che condiziona la malattia è la sensibilizzazione.
Gli AGENTI EZIOLOGICI più comuni sono : ISOCIANATI, FARINE, LEGNI, LATTICE NATURALE.
I SINTOMI sono:
o DISPNEA ACCESSUALE, notturna o mattutina;
o SIBILI INTRATORACICI;
o TOSSE;
o OPPRESSIONE TORACICA.
Nella PATOGENESI rientrano:
SPASMO DELLA MUSCOLATURA LISCIA,
EDEMA DELLA MUCOSA
IPERSECREZIONE.
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Consideriamo poi che esistono FATTORI DI SUSCETTIBILITA' INDIVIDUALE:
ATOPIA (solo per gli asmogeni ad alto peso molecolare)
FUMO DI TABACCO;
RINITE PRESISTENTE, che è un fattore predisponente per l'asma.
DIAGNOSI
STORIA CLINICA E SINTOMATOLOGIA CARATTERISTICA;
RILIEVO ANAMNESTICO ed E.O.;
TEST CUTANEI O IN VITRO POSITIVI PER ALLERGENI ANAMNESTICAMENTE SIGNIFICATIVI. Tra
questi è compreso il Prick Test con allergeni presenti nell'ambiente lavorativo.
TEST DI PROVOCAZIONE BRONCHIALE POSITIVI. Il test di provocazione bronchiale più diffuso è il
test con metacolina. In questo test il soggetto inala dosi crescenti di metacolina, una sostanza
farmacologica che determina una minima ostruzione dei bronchi dei soggetti con asma bronchiale
mentre non ha nessun effetto nei bronchi dei soggetti normali. Dunque, dopo ogni singola
inalazione, viene effettuata una spirometria (va a misurare la funzione del polmone, in particolare il
volume e/o la velocità con cui l’aria può essere inspirata o espirata da un soggetto. Il risultato ci
fornisce anche il grado di pervietà dei bronchi), i cui risultati vengono rapportati a quelli della
spirometria basale, eseguita prima di cominciare il test. Spesso, infatti, la spirometria risulta negativa
anche in pz con asma bronchiale se non è in corso una crisi asmatica. Se il test è positivo viene
rilevata l'ipereattività bronchiale, tipica dell'asma bronchiale. Si ottiene così una curva dose‐risposta
che esprime il grado di responsività bronchiale del soggetto.
MONITORAGGIO DEL PEF. La misurazione del picco di flusso espiratorio (PEF) viene eseguita
soffiando con la massima forza possibile dentro uno spirometrino portatile, in genere di materiale
plastico da utilizzare al proprio domicilio al mattino, alla sera e ogni volta che si è in presenza di una
crisi asmatica. I valori misurati devono essere riportati in un diario del respiro. Il misuratore del PEF
rappresenta quindi uno strumento indispensabile per l'autovalutazione domiciliare dell'asma;
RICERCA DI IgE SPECIFICHE per allergeni presenti nell'esposizione lavorativa.
Segni preclinici di asma professionale
Per l’asma IgE‐mediata la positivizzazione dei test cutanei o della ricerca di IgE specifiche per
allergeni presenti nell’ambiente di lavoro.
Per l’asma non IgE‐mediata non disponiamo di segni preclinici
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Con il termine alveolite allergica estrinseca o polmonite da ipersensibilità si definisce un processo
infiammatorio di natura immunologica a carico delle strutture polmonari distali, dovuto a ripetute
inalazioni di polveri organiche di diversa natura in soggetti predisposti.
Gli AGENTI EZIOLOGICI sono:
MICRORGANISMI spore di miceti, lieviti, amebe Ne deriva che le classi di
lavoratori a rischio sono agricoltori, allevatori di bestiame, coltivatori di funghi,
lavoratori del formaggio, conciatori di pellami, parrucchieri.
POLVERI VEGETALI (spore di funghi, caffè verde); sono a rischio, quindi, coltivatori di funghi e
lavoratori del caffè
DERIVATI ANIMALI (proteine aviarie, ittiche, proteine urinarie di ratto, proteine di larve di
baco da seta)‐‐> a rischio allevatori di uccelli, ricercatori, allevatori bachi da seta.
SOSTANZE CHIMICHE SEMPLICI (isocianati).
PATOGENESI
CLINICA
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Le alveoliti allergiche intrinseche possono presentarsi in forma ACUTA o SUBACUTA e quindi
possono evolvere verso una completa restitutio ad integrum, oppure dar vita alla forma CRONICA
che evolve verso la FIBRO SI POLMONARE.
1. La forma ACUTA è caratterizzata da :
SINTOMI SISTEMICI quali FEBBRE, DOLORI ARTICOLARI E MUSCOLARI, NAUSEA,
VOMITO E DIARREA;
SINTOMI RESPIRATORI come SENSO DI OPPRESSIONE TORACICO, TOSSE CON O
SENZA ESPETTORAZIONE, DISPNEA A RIPOSO O DA SFORZO.
2. La forma SUBACUTA è caratterizzata da:
SINTOMI SISTEMICI quali FEBBRICOLA, CALO PONDERALE;
SINTOMI RESPIRATORI quali TOSSE CON SCARSA ESPETTORAZIONE, DISPNEA DA
SFORZO.
3. La forma CRONICA è caratterizzata da:
ASSENZA DI SINTOMI SISTEMICI;
SINTOMI RESPIRATORI quali DISPNEA DA SFORZO INGRAVESCENTE e SINTOMI DI
BRONCHITE CRONICA E/O DI CUORE POLMONARE.
Inoltre, non sono stati individuati ad oggi marker genetici di predisposizione e numerosi studi
suggeriscono che l'abitudine al fumo sia un fattore di protezione, sia nei riguardi della
sensibilizzazione sia nei riguardi della malattia.
CLINICA
Quadri clinici caratteristici sono:
polmone dell'agricoltore
polmone da coltivatore di funghi
polmone dei lavoratori del formaggio
polmone dei lavoratori del caffè
polmone dell allevatore di uccelli
DIAGNOSI DI MALATTIA
Valutazione della Gravità del quadro anatomo clinico
Valutazione della evolutività
Diagnosi di interstiziopatia
Radiografia del torace
TAC ad alta risoluzione
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Studio citologico e fenologico del liquido di broncolavaggio (BAL)
Biopsia transbronchiale
Biopsia a cielo aperto
Scintigrafia con Gallio 67
Indagini funzionali respiratorie
• Esame spirometrico (CV‐VEMS‐VRCPT)
• (Esame pletismografico)
• Studio della capacità di diffusione del CO
• Emogasanalisi
Alterazioni funzionali respiratorie
• Il quadro tipico è caratterizzato da una insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo.
• Sono frequenti le alterazioni funzionali di tipo ostruttivo sovrapposte
Criteri maggiori
Sintomi compatibili alcune ore dopo l’esposizione;
Accertamento dell’esposizione: a) rilievo anamnestico b) riscontro di anticorpi precipitanti
per Ag delle AAE c) studio igienistico ed aerobiologico ambientale.
Rx torace o TAC con alterazioni compatibili con AAE
Linfocitosi nel BAL con fenotipo caratteristico
Quadro istologico compatibile con AAE alla biopsia
Positività test di esposizione “naturale” (lavorativa).
Criteri minori
1. Rantoli crepitanti basali all’auscultazione toracica;
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2. Insufficienza respiratoria di tipo restrittivo
2. Diminuita capacità di diffusione alveolocapillare del CO;
3. Ipossiemia a riposo o dopo sforzo
INDICATORI BIOLOGICI
DI SUSCETTIBILITA’
Nell’ambito del monitoraggio biologico i fattori di suscettibilità genetica e/o acquisita possono essere
utilizzati quali indicatori biologici di suscettibilità per descrivere, spiegare e/o misurare la variabilità
osservata negli indicatori biologici.
APPLICAZIONI DEGLI INDICATORI BIOLOGICI DI SUSCETTIBILITA’
Gli indicatori biologici di suscettibilità possono fornire un importante contributo per:
•una corretta interpretazione della variabilità degli indicatori biologici di esposizione o di effetto
•una comprensione dei meccanismi biochimici e molecolari alla base di modificazioni biologiche che
possono o precedere una manifestazione clinica
•una stima del rischio mirata al singolo individuo o su sottogruppi di soggetti ipersuscettibili
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L’inquinamento indoor si riferisce alla presenza di contaminanti fisici,
chimici e biologici nell’aria degli ambienti chiusi di vita e di lavoro non
industriali e in particolare di tutti i luoghi confinati adibiti a dimora, svago,
lavoro e trasporto. Con il temine “indoor” si intendono pertanto sia le
abitazioni, gli uffici pubblici e privati (ospedali, scuole, uffici, caserme, ecc.),
le strutture commerciali (alberghi, banche, ecc.), i locali destinati ad attività
ricreative e/o sociali (cinema, bar, ristoranti, negozi, strutture sportive, ecc.)
ed infine i mezzi di trasporto pubblici e privati (auto, treno, aereo, nave,
ecc.).
Le CAUSE dell'inquinamento possono essere molteplici. I vari contaminanti possono infatti
derivare da:
IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE E DI RISCALDAMENTO;
ARREDI;
PRODOTTI PER LA PULIZIA E LA MANUTENZIONE;
ARIA ESTERNA;
PERSONE.
I parametri che influenzano la qualità dell'aria indoor possono essere:
fisici
chimici
microbiologici
I parametri fisici che influenzano la qualità dell'aria indoor sono:
VENTILAZIONE, processo di scambio dell'aria interna contaminata con l'aria esterna pulita;
TEMPERATURA;
UMIDITA' DELL'ARIA;
CONFORT TERMOIGROMETRICO, stato psicofisico in cui un soggetto esprime soddisfazione
nei riguardi dell'ambiente termico, in termini sia del confort globale sia di disconfort locale.
Analizziamo ora i PRINCIPALI CONTAMINANTI e i loro effetti:
1. ANIDRIDE CARBONICA. Deriva principalmente dalla respirazione e da fonti di combustione.
Determina difficoltà di respirazione, mal di testa e nausea.
2. MONOSSIDO DI CARBONIO. Deriva dall'ossidazione incompleta di composti organici in processi di
combustione (sistemi di riscaldamento, fumo di tabacco, fonti outdoor come il traffico
autoveicolare).
3. PARTICOLATO. Deriva dal fumo di sigaretta e impianto di ventilazione non in ottimo stato di
manutenzione. Gli effetti sono correlati con l'inalazione delle sostanze adsorbite sulla sua superficie
che WWWW.SUNHOPE.IT
facilmente possono penetrare nell'apparato respiratori (come i composti organici volatili).
4. VOC (COMPOSTI ORGANICI VOLATILI). Derivano dal fumo di sigaretta, ma anche disinfettanti,
insetticidi, colle ed adesivi. Determinano EFFETTI ACUTI e CRONICI: senso di fatica, mal di testa,
vertigini, debolezza, irritazione cutanea, oculare e al tratto respiratorio, aritmia cardiaca.
5. FORMALDEIDE. Deriva dal fumo di sigaretta e dai collanti per prodotti in legno. Determinano
effetti irritativi e sensibilizzanti: irritazione oculare, a naso, gola,starnuti e tosse, nausea e dispnea.
6. OZONO. Deriva da strumenti elettrici come stampanti laser, fax. Determina aumento della
reattività bronchiale, riduzione della funzione ventilatoria, aumento di infezioni batteriche e disturbi
del SNC.
7. AGENTI BIOLOGICI (acari,funghi, muffe e batteri). Deriva da fonti outdoor, polveri su superfici e
moquette, componenti del sistema di ventilazione. Determinano effetti tossici e danni soprattutto a
livello dell'apparato respiratorio.
8. RADON. Dal suolo sottostante l'edificio, il radon viene spinto verso l'esterno (dalla differenza di
pressione o per diffusione) e penetra negli edifici mediante le fessure presenti nelle fondamenta. Il
Radon è un gas radioattivo classificato come cancerogeno.
Le PRINCIPALI PATOLOGIE che sono connesse con una cattiva qualità dell'aria degli ambienti
indoor sono:
1. MALATTIE ASSOCIATE AGLI EDIFICI: sintomi o affezioni che colpiscono uno o
più abitanti di un edificio, attribuibili ad un agente causale noto, generalmente
correlato a una CATTIVA MANUTENZIONE DELL'IMPIANTO DI VENTILAZIONE E
CONDIZIONAMENTO DELL'ARIA.
Rientrano:
‐ malattie infettive (legionellosi, tbc, aspergillosi);
‐ malattie immunologiche (polmonite da ipersensibilità);
‐ malattie allergiche (dermatiti, riniti);
‐ malattie irritative (dermatiti, irritazione delle vie aeree).
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Nel caso degli ambienti indoor, risultano assenti VALORI LIMITE per i vari inquinanti.
In Italia, solo da pochi anni, sono state emanate le "LINEE GUIDA PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE
DELLA SALUTE NEGLI AMBIENTI CONFINATI" e i "REQUISITI IGIENICI PER LE OPERAZIONI DI
MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE".
Come si effettua la VALUTAZIONE DEL RISCHIO? Si basa su differenti punti:
1. ACQUISIZIONE DATI SULL'EDIFICIO:
o CARATTERISTICHE DELL'EDIFICIO (come è stato costruito, dove si trova e com'è il
suolo sul quale poggia);
o CENSIMENTO DELLE PRINCIOPALI FONTI DI INQUINAMENTO INDOOR (arredi e
impianti);
o PROCEDURE DI GESTIONE (pulizia e manutenzione).
2. ANALISI DELLA SITUAZIONE mediante SOPRALLUOGHI e SOMMINISTRAZIONE DI QUESTIONARI
SULLA PERCEZIONE SOGGETTIVA DEL COMFORT DEI LAVORATORI.
3. INDAGINE AMBIENTALE STRUMENTALE mediante la misura dei differenti parametri
(microclimatici, anidride carbonica, monossido di carbonio);
4. INDAGINE AMBIENTALE SPECIALISTICA mediante la misura di parametri come composti organici e
formaldeide.
Tra le varie misure di sicurezza e prevenzione :
‐ per le POLVERI, tra le misure primarie rientra una settimanale pulizia e riduzione/eliminazione di
tappeti e moquette, tra le misure secondarie miglioramento dei sistemi di riscaldamento,
ventilazione e condizionamento dell'aria;
‐ per le FOTOCOPIATRICI e STAMPANTI LASER tra le misure rientra la COLLOCAZIONE IN LOCALI
APPOSITI;
‐ per il RADON, bisognerà aumentare la ventilazione e mantenere una differente pressurizzazione
intorno al seminterrato.
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Il rischio biologico rappresenta l'esposizione ad agenti biologici nell'ambito dell'attività lavorativa.
La definizione di agente biologico sec. il decreto legislativo 81/08:
• per Agente Biologico si intende qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato,
coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.
• Microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire
materiale genetico.
• Coltura cellulare: risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari
Classificazione degli agenti biologici. (Art. 268 D.Lgs.81/08)
Gli agenti biologici sono ripartiti nei seguenti quattro gruppi a seconda del rischio di infezione:
agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie
in soggetti umani
agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e
costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di
norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (come ad esempio S. Aureus, C.
Tetani, B. Pertussis, N. Meningitidis, N. Gonorrhoeae)
agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e
costituisce un serio rischio per i lavoratori; l'agente biologico può propagarsi nella comunità,
ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (come ad es. per
HBV, HCV, HIV, S. Typhi)
agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in
soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato
rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure,
profilattiche o terapeutiche (come ad es. per Virus Ebola, Variola, Crimea‐Congo)
I Rischi presenti in ambito ospedaliero non sono solo biologici, ma ci sono anche il rischio chimico:
[sale operatorie (gas anestetici)], quello fisico (radiazioni ionizzanti e non ionizzanti) e quello
trasversale.
Il rischio da agenti biologici, in ospedale, è dovuto a:
Presenza di sorgenti naturali di infezione: pazienti affetti da patologie da agenti biologici con
frequente necessità di prelievo e/o manipolazione di loro materiali biologici;
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Modalità di contatto per lavorazioni specifiche (es. laboratori di microbiologia o di anatomia
patologica)
presenza di agenti biologici e/o derivati che può essere riferita a quella di qualsiasi moderno
edificio (es. rischi legati al sistema di condizionamento dell’aria)
******************
Titolo X D.lgs.81/08
Il campo di applicazione del Titolo X del Decreto comprende tutte le attivita' che possono
comportare rischio di esposizione ad agenti biologici:
sia quelle con uso deliberato di microrganismi: Settori lavorativi con l’uso deliberato di agenti
biologici sono:
Universita' e Centri di ricerca – ricerca e sperimentazione nuovi materiali e processi
utilizzanti agenti biologici; – laboratori di microbiologia (diagnostica e saggio)
Sanita‘ – ricerca e sperimentazione nuovi metodi diagnostici, – farmaci contenenti
agenti biologici (uso e sperimentazione)
Industria delle biotecnologie – produzione di microrganismi selezionati
che quelle con rischio potenziale di esposizione: attivita' con potenziale esposizione ad agenti
biologici sono
Industria alimentare
Agricoltura
Macellazione carni
Servizi veterinari
Industria di trasformazione di derivati animali (cuoio, pelle, lana, ecc.)
Servizi di raccolta, trattamento, smaltimento rifiuti
Servizio Sanitario Servizi sanitari
attività ambulatoriale o di ricovero (studi dentistici, ect.)
Laboratori diagnostici (esclusi quelli di microbiologia in cui si effettuino attività
comportanti uso deliberato di microrganismi)
Servizi mortuari e cimiteriali
Altre attivita' con potenziale esposizione ad agenti biologici
Servizi di disinfezione e disinfestazione
Impianti industriali di sterilizzazione, disinfezione e lavaggio di materiali potenzialmente
infetti
Impianti depurazione acque di scarico
Manutenzione impianti fognari
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Principali rischi infettivi in ambiente sanitario sono Virus Epatitici: HBV, HCV e altri
agenti virali epatitici, HIV, TBC., scabbia, agenti infettivi causa di meningite.
Le MODALITÀ DI TRASMISSIONE sono diverse
Nosocomiale (da paziente infetto a paziente, da ambiente a paziente)
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Occupazionale (da paziente infetto ad operatore)
Da operatore infetto a paziente
La TRASMISSIONE può essere:
o Diretta: Contatto sessuale Contatto tra cute e/o mucose Via transplacentare
Passaggio attraverso il canale del parto Allattamento materno
o Indiretta: Goccioline di saliva nell’aria espirata, vomito, feci, urine, sangue, pus,
attrezzature, aghi, oggetti taglienti, attrezzature contaminate
o Vettori : insetti, artropodi
Le VIE DI TRASMISSIONE sono: ingestione, Inalazione (aerogena per: contatti stretti come i familiari,
contatti regolari o saltuari), Inoculazione, contaminazione di cute e mucose
Ma in che modo si può essere esposti al rischio biologico? Vediamo le MODALITA' DI
ESPOSIZIONE: punture accidentali con aghi contaminati (modalità più frequente), tagli con
oggetti taglienti (bisturi, vetri rotti, etc.), contatto con mucose integre (occhi, cavo orale, naso) o
cute lesa (eczemi, lesioni) altri fluidi corporei assimilabili al sangue, attraverso liquidi corporei:
sperma, secrezioni vaginali, liquido cerebrospinale, liquido sinoviale, liquido pleurico, liquido
pericardico, liquido peritoneale, liquido amniotico, saliva nelle pratiche odontoiatriche, colture
cellulari o colture di tessuti infettati da HIV o HBV, sangue, organi o altri tessuti di animali da
laboratorio infettati sperimentalmente con HIV o HBV.
Il livello di RISCHIO è :
o TRASCURABILE, quando non c'è assistenza diretta dei pz, nè manipolazione di
campioni biologici;
o LIEVE, quando c'è assistenza diretta ai pz o manipolazione dei campioni biologici;
o MEDIO, esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione;
o ALTO, quando c'è assistenza diretta ai pz, manipolazione di campioni biologici,
esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione in condizioni tecniche,
organizzative, procedurali insufficienti o sfavorevoli
MISURE DI PREVENZIONE
WWWW.SUNHOPE.IT (norme di corretto comportamento)
o divieto di fumare mangiare al di fuori degli spazi appositamente riservati
o vietato toccare oggetti (telefono,porta,ecc ) con guanti utilizzati per prestazioni
sanitarie
o tutti gli operatori sanitari devono adottare le misure necessarie a prevenire incidenti
causati da aghi,bisturi ed altri oggetti taglienti utilizzati
o gli aghi non debbono essere reincappucciati, o volontariamente piegati o rotti, rimossi
dalle siringhe o altrimenti manipolati, al fine di prevenire punture accidentali
o dopo l’uso gli aghi , le lame di bisturi e altri oggetti taglienti debbono essere riposti
,per l’eliminazione , in appositi contenitori sistemati in posizione vicina e comoda
rispetto al posto dove vengono usati
E' fondamentale l' INFORMAZIONE E FORMAZIONE. Nelle attività nelle quali esistono
rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni su: a) i rischi
per la salute derivanti dagli agenti biologici utilizzati b) le precauzioni da prendere per evitare
l’esposizione c) le misure igieniche da osservare d) l’impiego di mezzi individuali di protezione e) le
procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici di gruppo 4 f) il modo di prevenire gli
infortuni e ridurne al minimo le conseguenze.
Nel luogo di lavoro sono presenti cartelli in cui sono riportate le procedure da seguire in caso di
infortunio. La formazione è fornita prima che i lavoratori siano adibiti alle attività in questione e
ripetuta con frequenza almeno quinquennale.
Il datore di lavoro: a) evita l’utilizzo di agenti biologici nocivi, se il tipo di attività lavorativa lo
consente e limita al minimo i lavoratori esposti al rischio di agenti biologici b) progetta
adeguatamente i processi lavorativi ed adotta misure collettive o individuali di protezione c) adotta
misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un agente
biologico fuori dal luogo di lavoro e definisce procedure di emergenza per gestire infortuni d) Segnala
adeguatamente la presenza di rischio biologico f) predispone i mezzi necessari per lo smaltimento
dei rifiuti e concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto di agenti biologici nel luogo di
lavoro
Misure specifiche di protezione e di prevenzione
Il datore di lavoro, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo 60‐bis,
provvede affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione, qualora la natura
dell’attività lo consenta, con altri agenti o processi che, nelle condizioni di uso, non sono o sono
meno pericolosi per la salute dei lavoratori.
Quando la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione il datore
di lavoro garantisce che il rischio sia ridotto mediante l’applicazione delle seguenti misure
nell’indicato ordine di priorità:
progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonchè uso di attrezzature
e materiali adeguati;
misure di protezione collettive;
misure di protezione individuali;
sorveglianza sanitaria dei lavoratori.
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Inoltre, il datore di lavoro adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali si
richiedano delle misure speciali di protezione, come la messa a disposizione di vaccini
efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni a quel determinato agente biologico presente
nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente. Vediamone alcuni:
Vaccino Anti HBV Vaccino sintetico con la tecnica del DNA ricombinante. Dopo un ciclo completo la
% di sieroconversione è superiore al 95% nei soggetti sani, sia bambini , che adulti. La durata della
protezione varia tra 5‐10 aa. Vaccino anti‐HBV La vaccinazione contro l'epatite virale B è
raccomandata, e offerta gratuitamente – agli operatori sanitari – e al personale di assistenza degli
ospedali e delle case di cura private – alle persone conviventi con portatori cronici del virus
dell'epatite B – agli operatori di pubblica sicurezza – ai politrasfusi e agli emodializzati – e a tutte le
altre categorie indicate nel D.M. del 4 ottobre 1991
Vaccinazione antitubercolare Il DPR 465 del 7/11/2001 ha stabilito che la vaccinazione
antitubercolare è ora obbligatoria soltanto per il personale sanitario, gli studenti in medicina, gli
allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo: – operi in ambienti
sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti – oppure che operi in ambienti
ad alto rischio e non possa essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni
cliniche all’uso di farmaci specifici
Cosa fare dopo la Mantoux?
o Se negativa: non è necessario fare altro‐‐‐> direttamente vaccinazione
o Se positiva –> Rx torace
Se il torace è normale con assenza di sintomi (infezione senza malattia) si esegue
una profilassi farmacologica.
Torace normale con presenza di sintomi si prosegue l’iter diagnostico
Rx torace alterato si prosegue l’iter diagnostico, vale a dire visita specialistica
pneumologica, infettivologica, esame escreato e coltura batterica per diagnosi
differenziale (TB o altra malattia).
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE Guanti Maschere Camici Occhiali Calzari
DPI
Camici. In campo sanitario gli indumenti da lavoro di norma non sono considerati D.P.I. salvo quando
vengono utilizzati in aggiunta alla divisa per proteggersi da un rischio specifico presente
nell’ambiente. I camici da adottare come D.P.I. sono quelli di tipo
chirurgico monouso di tipo idrorepellente in tessuto non tessuto, con
allacciatura posteriore, maniche lunghe con polsino di elastico o maglia, di
lunghezza almeno al di sotto del ginocchio. Durante l’esecuzione di
particolari manovre in cui l’operatore sanitario può essere esposto a schizzi
di liquido, per esempio broncostimolazione, il camice può essere rinforzato
anteriormente e sulle braccia può essere utilizzato un manicotto di
materiale barriera che oltrettutto facilita l’adesione del guanto sopra il
camice. I camici non vanno utilizzati fuori dalle aree di esposizione, come va
assolutamente evitato il loro utilizzo dopo precedenti esposizioni.
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Maschere: E' indispensabile l'uso di maschere filtranti facciali a conchiglia quando si eseguono atti
sanitari su pazienti che trasmettono malattie per via aerea o se si eseguono operazioni che possono
produrre schizzi di sangue. E' preferibile la conchiglia di tipo rigido, con idonea e morbida bardatura,
con stringinaso e con due elastici, in modo da permettere di adattare perfettamente la maschera al
viso dell'operatore sanitario
Occhiali: Gli occhiali devono essere dotati di protezione laterale oppure
a mascherina. Per gli Operatori che utilizzino sistemi di correzione, i DPI
devono essere compatibili con l’uso degli occhiali o con le lenti a
contatto. Sono sconsigliati gli schermi a visiera perché si sono verificate
contaminazioni degli occhi soprattutto quando si eseguono lavori che possono produrre schizzi con
notevole quantità di materiale biologico oppure schizzi provenienti dal basso. Devono avere lenti in
policarbonato antigraffio, incolori, otticamente neutre che non producano distorsioni (Classe ottica
1), montatura robusta, comoda, leggera e ben aderente al viso, possibilmente con astine regolabili.
Devono essere resistenti all’impatto (almeno simbolo F sia per la montatura che per le lenti),
antiappannanti (simbolo N) ed antigraffio (simbolo K). Per gli Operatori che utilizzino sistemi di
correzione, i DPI devono essere compatibili con l’uso degli occhiali o con le lenti a contatto. Gli
occhiali vanno lavati dopo l'uso con un detergente compatibile non aggressivo (sapone di marsiglia) e
sciacquati sotto un moderato getto d'acqua. L’eventuale disinfezione deve essere attuata utilizzando
prodotti quali: l’amuchina al 3%. In caso di sterilizzazione si devono utilizzare sistemi a freddo come
l’ossido di etilene o l’acido peracetico. Non bisogna mai usare detergenti abrasivi o fortemente
alcalini, solventi o liquidi organici come benzina.
Guanti Per la protezione delle mani occorre indossare guanti monouso in
lattice sufficientemente lunghi in modo da essere sempre indossati sopra i
polsini dei camici. Essi vanno indossati in tutte le fasi di manipolazione,
diretta ed indiretta, del sangue o di altri materiali biologici.
Non esistono guanti in lattice capaci di garantire una impermeabilità
assoluta al sangue ed una lunga resistenza nel tempo e pertanto devono
essere sostituiti ogni 30 minuti. I guanti in PVC possono essere utilizzati quando si deve manipolare
uno strumento od eseguire una procedura che termina in pochi minuti.
E’ necessario che sul guanto sia presente la marcatura CE come DPI di terza categoria ai sensi del
D.Lgs. 475/92 e possegga una certificazione che attesti i requisiti prescritti dalla norma tecnica EN
374 (protezione contro i microrganismi di classe 3‐ allegato XI del D. Lgs 626/94). Un organismo
notificato mediante opportuna certificazione deve attestare le caratteristiche tecniche e i requisiti
tecnici del DPI prevedendo test con impiego del batteriofago Phi X 174. Si raccomanda anche
un’accurata selezione della misura per ciascun Operatore (un guanto che non calzi bene, perché
troppo stretto o troppo largo,può costituire di per se un rischio); un altro parametro di grande
importanza di valutare all’atto dellla fornitura è lo spessore (in mm e frazioni), dovendosi soddisfare
le esigenze di resistenza alla lacerazione e/o alla perforazione con quelle di sensibilità, vestibilità e
tollerabilità per l’Operatore. Prima di indossare i guanti e soprattutto dopo averli rimossi bisogna
lavare accuratamente le mani.
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Guanti antitaglio Esistono dei presidi di protezione in fibra para –
aramidica al 100% (kevlar) che possono essere utilizzati come
sottoguanto durante gli interventi chirurgici a maggior rischio di taglio
e/o abrasione e comunque in tutti quei campi lavorativi che presentano
un rischio più accentuato. I guanti in kevlar possono essere riutilizzati. •
Le caratteristiche di questi guanto sono: elasticizzato al polso,
ambidestro, in fibra spectra o in kevlar con garanzia di una buona
resistenza al taglio, buona destrezza e sensibilità operativa, sterilizzabile
in autoclave a vapore. Ai fini della protezione nei confronti di agenti biologici, il guanto antitaglio
andrà abbinato al guanto monouso
Inoltre i calzari devono essere in dotazione presso le U.O. Pronto
Soccorso, Pneumologia, Malattie infettive, Microbiologia e Anatomia
Patologica.
Cuffie Le cuffie monouso devono essere utilizzate per proteggere i capelli da possibili contaminazioni
in presenza di aerosol e di batteri o virus diffusibili per via aerea. Si sottolinea che questi presidi
devono essere intesi come dispositivi di emergenza e per i visitatori
Grembiuli Grembiuli monouso impermeabili da utilizzarsi in particolari situazioni, che si possono
presentare in sala operatoria, sala parto e anatomia patologica, con allacciatura in vita e sul collo
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE COLLETTIVA
A questa categoria appartengono DOCCE e LAVAOCCHI : in realtà, si intende l'insieme di procedure
ed accorgimenti tecnici attuabili per la gestione del rischio biologico.
E' obbligatorio lavarsi le mani:
in caso di contatto accidentale con liquidi biologici;
dopo essersi tolti i guanti;
prima e dopo aver mangiato;
dopo aver utilizzato i servizi igienici;
tra un contatto e l'altro tra pz diversi;
prima di procedure invasive.
Quanto alle ATTREZZATURE, il lavandino è preferibile sia dotato di rubinetto a pedale o ad
azionamento a gomito o mediante fotocellula e deve contenere sapone liquido e non in pezzi, mezzi
per asciugarsi (carta in rotolo e salviette) e liquido disinfettante.
Un corretta procedura di lavaggio prevede:
togliere bracciali, anelli, orologi;
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insaponare per circa 10 secondi;
sciacquare con acqua corrente in modo completo.
solo in casi particolari (ad esempio dopo imbrattamento con liquidi organici), bagnare
le mani con liquido antisettico per almeno 30 secondi;
asciugarsi con la carta;
chiudere i rubinetti con la carta a perdere per asciugarsi, se non presenti dispositivi a
fotocellula.
Usare quantità appropriate di saponi e antisettici;
Aver cura di sciacquare completamente le mani dopo sapone o antisettico;
Alternare gli antisettici disponibili;
A fine giornata lavorativa usare creme protettive.
La SORVEGLIANZA SANITARIA relativamente al rischio da agenti biologici prevede:
o ESAMI DI LABORATORIO : per valutare l'immunizzazione nei confronti di agenti
biologici per i quali è disponibile un vaccino efficace;
o ESAME EMATOCHIMICO: transaminasi, glicemia, azotemia, cretininemia,QPE Markers
virali: HBsAb, HBcAb, HBsAg,HBeAb. HCVAb.
In occasione di infortunio con rischio infettivo per punture da ago o lesione da altri oggetti
taglienti o per contaminazioni muco‐ cutanee con sangue e/o materiali biologici, l'operatore è tenuto
ad adottare immediatamente le misure di prevenzione e gestione previste dalla Sorveglianza
Sanitaria.
Misure di prevenzione da adottare:
a) in caso di esposizione parenterale (puntura d'ago) aumentare il sanguinamento, detergere
abbondantemente con acqua e sapone, disinfettare la ferita;
b) in caso di contaminazione delle mucose(schizzo di liquido nel cavo orale o nella congiuntiva),
risciacquare abbondantemente con acqua corrente o con soluzione fisiologica;
c) in caso di contaminazione di cute lesa (liquido biologico su una soluzione di continuo di cute non
protetta) detergere abbondantemente con acqua e sapone, disinfettare la zona;
Avvisare immediatamente il responsabile della Divisione o del Servizio di appartenenza(Primario o
altro Dirigente, Preposto, Direttore del dipartimento o dell'istituto, Direttore della scuola di
specializzazione); recarsi nel più breve tempo possibile al Pronto Soccorso per le eventuali misure di
primo intervento e per ottenere la certificazione medica di apertura di infortunio.
Eseguire perlievo per markers virali a tempo: Tempo 0 Tempo 3 mesi Tempo 6 mesi Tempo 12
mesi.
Nel caso dell'epatite la somministrazione del farmaco entro 4 ore ha azione nel 98% dei casi.
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La tubercolosi (TBC) è la malattia infettiva a più elevata mortalità e morbilità da singolo agente
patogeno ed interessa circa un terzo della popolazione mondiale, rappresentando uno dei maggiori
problemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo.
EPIDEMIOLOGIA NEL MONDO Nell’anno 2008 numero di casi incidenti di malattia TB pari a 9,4
milioni (143 nuovi casi per 100.000) 11,1 milioni di casi prevalenti 1,3 milioni di morti tra soggetti
non‐HIV+ 520.000 morti tra HIV+
Sebbene circa il 95% dei nuovi casi si verifichino in aree ad elevata endemia, dalla seconda metà
degli anni ‘80 l’infezione tubercolare ha presentato un nuovo e progressivo incremento in tutti i
paesi industrializzati: le cause sono attribuibili a diversi fattori quali l’immunodepressione, i flussi
migratori e, negli ultimi anni, l’abbandono dei programmi sanitari di controllo e prevenzione
dell’infezione.
EPIDEMIOLOGIA IN ITALIA
A fronte di questa apparente stabilità però il quadro epidemiologico della tubercolosi in Italia è
andato modificandosi sensibilmente negli ultimi anni. L’attuale situazione epidemiologica della
tubercolosi in Italia è caratterizzata da una concentrazione della maggior parte dei casi in alcuni
gruppi a rischio e in alcune classi di età. Nell'ultimo decennio i tassi di incidenza delle notifiche di tbc
sono stabili e inferori ai 10 casi per 100.000 abitanti, valore che pone l'Italia al di sotto della soglia dei
Paesi a bassa endemia.
Nonostante il quadro nazionale non desti particolare preoccupazione, sono presenti notevoli
differenze tra regioni sia nei tassi grezzi di incidenza totali che nei tassi disaggregati per classi di età e
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nazionalità. Dai dati disponibili, i casi di tbc si concentrano in particolare nel Centro‐Nord Italia.
In particolare si è assistito ad una riduzione dell'incidenza tra gli over 65 e ad un aumento
dell'incidenza tra i 15 e i 64 anni.
Un'altra condizione che crea difficoltà è la presenza di ceppi multifarmacoresistenti
EZIOLOGIA
La tubercolosi è causata daL Mycobacterium tubercolosis complex di cui fanno parte: M.
tuberculosis, M.bovis, M. africanum. Il più importante è M.tuberculosis hominis
Mycobacterium tuberculosis è un patogeno intracellulare a trasmissione interumana, a lento tempo
di moltiplicazione, presenta Alcol acido resistenza
Il bacillo tubercolare, a differenza della maggior parte dei batteri patogeni per l’uomo, è sprovvisto di
costituenti propri capaci di esercitare un’azione lesiva diretta nei confronti dell’organismo infetto.
Ciò che determina l’entità e la gravità del danno conseguente all’infezione tubercolare è
esclusivamente il tipo di risposta immunitaria che contro di essa viene organizzato
La risposta immunitaria nei confronti del BK è un classico esempio di reazione cellulo‐mediata, nella
quale, cioè, svolgono un ruolo preminente linfociti T e macrofagi, con scarsa o nulla partecipazione
di cellule produttrici di anticorpi o di altri fattori umorali. Le conseguenze dell’aggressione
immunitaria sono spesso sproporzionate rispetto alla sua efficacia, dal momento che il germe
sopravvive talvolta per anni all’interno dell’organismo infetto.
Oltre all'immunità cellulo‐mediata, un ruolo è svolto anche dall'immunità naturale.
IMMUNITÀ NATURALE (innata)
Costituisce la prima barriera atta a distruggere il germe non appena esso raggiunge la sede di
infezione.
I principali artefici di questo processo sono i macrofagi alveolari, dato che nella maggior parte
dei casi il BK penetra nell’organismo attraverso la via inalatoria.
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La distruzione del BK in questa fase dipende sia dal potere battericida intrinseco del
macrofago alveolare, sia dalle caratteristiche di virulenza (velocità di replicazione) del bacillo
inalato.
La capacità del BK di potersi mantenere vivo e non essere distrutto dai macrofagi non attivati è stata
messa in relazione con la capacità di questo microrganismo di impedire la fusione delle vescicole
fagosomiche con i lisosomi. Nel fagolisosoma i microrganismi sono uccisi, digeriti e smontati in
peptidi espressi sulla superficie cellulare, collegati con molecole del complesso maggiore di
istocompatibilità (MHC) di classe II. È il complesso MHC/peptidi di derivazione microbica che stimola
i linfociti T CD4+ e avvia una reazione immunitaria specifica.
E' bene ricordare che la funzionalità del compartimento macrofagico alveolare può essere
compromessa da una varietà di condizioni patologiche acquisite che rendono queste cellule
metabolicamente meno efficienti o ne producono un sovraccarico funzionale.
Qualora i macrofagi alveolari non riescano a eliminare completamente i bacilli inalanti, si può
assistere a una fase, detta latente, nella quale i BK si moltiplicano attivamente in macrofagi
immaturi, di derivazione ematica, senza che vengano stimolati i processi battericidi a opera di questi
ultimi e in assenza di effetti citocidi da parte del BK. La crescita esponenziale del bacillo tubercolare
in questa fase prelude l’intervento dell’immunità acquisita antitubercolare, mediata dai linfociti T.
IMMUNITÀ ACQUISITA (adattativa)
Alla prima infezione tubercolare, caratterizzata da un infiltrato flogistico aspecifico composto
prevalentemente da granulociti e dalla crescita dei micobatteri all’interno dei fagociti professionali,
segue lo sviluppo di un’immunità acquisita cellulare di tipo T helper 1 (Th1), che nella stragrande
maggioranza dei pazienti immunocompetenti riesce a controllare l’infezione tubercolare, attraverso
la formazione del granuloma tubercolare.
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TRASMISSIONE
Avviene per VIA AEROGENA attraverso le Goccioline di Flugge (saliva), particelle di 1‐5 micron di
diametro che contengono il bacillo di Koch e sono in grado di arrivare agli alveoli La carica infettante
è bassa: alcune decine di microrganismi possono provocare l’infezione Le particelle vengono emesse
con lo starnuto, la tosse, il catarro o semplicemente respirando o parlando
Altre modalità con cui si può trasmettere l'infezione x via aerogena: durante l’aerosol o
broncolavaggi
Contatti stretti (familiari, compagni di
La contagiosità della Malattia dipende da: camera, amici, colleghi di lavoro)
Immunità individuale Condivisione stabile di uno spazio confinato
N° organismi espulsi per molte ore al giorno Contatti regolari
Volume dello spazio‐ambiente e ventilazione Condivisione regolare dello stesso spazio
Tempo di esposizione all’aria contaminata chiuso Contatti saltuari (amici, colleghi o
familiari che abbiano contatti non
ravvicinati)
La trasmissione può avvenire anche meno frequentemente per:
INGESTIONE di latte non pastorizzato contaminato dal M.bovis
INCIDENTI di laboratorio
FORME CLINICHE
TUBERCOLOSI LATENTE L’OMS ha stimato che circa un terzo della popolazione mondiale ospiti il
Micobatterio tubercolare allo stato di latenza, indicando per l’Italia una prevalenza del 12%.
TBC POLMONARE PRIMARIA
TBC POST PRIMARIA: quadri morbosi polmonari: il più comune è un focolai infiammatorio localizzato
nei lobi superiori (infiltrato precoce di Assmann) che può andare incontro a remissione o
escavazione, c è poi la lobite, una broncopolmonite a focolai disseminati, una pleurite e versamento
pleurico ed infine la tbc miliare
TUBERCOLOSI MILIARE
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1. Tubercolosi linfonodale: scrofula
2.Tubercolosi genitourinaria
3.Tubercolosi scheletrica: MORBO DI POTT
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4. Tubercolosi scheletrica: ARTRITE TUBERCOLARE
5. Tubercolosi
gastrointestinale
6. Tubercolosi del SNC
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DIAGNOSI
Anamnesi ed Esame Obiettivo
Individuare i pazienti a rischio
Individuare sintomi e segni della malattia sistemici e organo specifici che possono indirizzare
verso la tubercolosi
Storia di malattia, infezione o esposizione alla tubercolosi ed eventuali trattamenti
Condizioni che aumentano il rischio di sviluppo della malattia tubercolare
Diagnosi di malattia attiva
DIAGNOSI PRESUNTIVA: MICROSCOPIA DIRETTA Presenza di bacilli acido‐resistenti (AAR) all’esame
tradizionale con colorazione di Ziehl Neelsen ‐ Auramina‐Rodamina. La presenza di micobatteri
all’esame diretto dell’espettorato, del lavaggio gastrico o del BAL è il segno della massima infettività
DIAGNOSI DEFINITIVA: ESAME COLTURALE Sono necessarie 4/8 settimane prima di poter rilevare la
crescita; tuttavia l’uso di terreni liquidi con rilevatore radiometrico di crescita può ridurre a 2/3
settimane il tempo necessario
IL CAMPIONE Può trattarsi di espettorato, frammenti di tessuto etc. Sebbene le linee guida
raccomandino l’analisi di tre campioni raccolti in giorni diversi, recenti studi negano che il secondo e
il terzo esame aumentino la sensibilità diagnostica
Il sospetto iniziale di TB è spesso basato su anomalie radiografiche in soggetti con sintomi
respiratori.
Quadro classico:
coinvolgimento dei lobi superiori
infiltrati e caverne In realtà la TB può presentarsi persino con radiogrammi negativi.
ALTRI AUSILI Amplificazione degli acidi nucleici: Può permettere la diagnosi in poche ore, ma ha una
bassa sensibilità (maggiore dell’esame diretto, minore del colturale) e alti costi. Le indicazioni sono:
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1. soggetti con AAR all’esame diretto,
2. conferma di malattia in soggetti negativi all’esame diretto
In casi selezionati si può ricorrere ai Test di sensibilità ai farmaci – inizialmente isoniazide,
rifampicina ed etambutolo – se vengono rilevate resistenze o se il paziente non risponde alla terapia
è necessario testare anche altri antibiotici
INTRADERMOREAZIONE SECONDO MANTOUX
utilizzato nello screening di LTBI
limitata sensibilità e specificità per la TB
iniezione intradermica di PPD (mix di antigeni di MTB):
1. il soggetto che ha immunità specifica produce una papula (lettura dopo 48‐72 h)
2. si misura l’infiltrato, non l’eritema
Falsi positivi:
•Legati a cross‐
reazione con altri
micobatteri
•Legati a vaccinazione con BCG (Effetto booster)
•Legati alla somministrazione
•Legati alla lettura Falsi negativi:
•Legati al soggetto testato (infezione da MTB recente, disendocrinopatie, età, terapie ecc.)
•Legati alla somministrazione o alla lettura
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TEST BASATI SULL’INTERFERON GAMMA (IGRA) Test in vitro che misurano l’IFN‐γ rilasciato dai
linfociti T in risposta ad antigeni tubercolari specifici come ESAT‐6 e CFP‐10, assenti nel BCG.
IL RISCHIO TUBERCOLOSI NEGLI OPERATORI SANITARI
EPIDEMIOLOGIA Il settore sanitario è tradizionalmente
considerato a maggior rischio di TB occupazionale. In nazioni con
elevata incidenza di TB, gli operatori sanitari hanno un rischio di
contrarre la patologia fino a 3 volte superiore rispetto alla
popolazione generale
GESTIONE DEL RISCHIO TBC NEI LUOGHI DI LAVORO
incidenza della TBC nella popolazione servita dalla struttura sanitaria
numero di pazienti con TBC contagiosa, che annualmente vengono assistiti dalla struttura
sanitaria e assistenziale
profili di resistenza della popolazione ricoverata
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• Misure prevenzione e protezione:
Misure di prevenzione ambientale
Gestione di casi indice
Dispositivi di protezione individuale
Vaccinazione La necessità o meno di vaccinazione antitubercolare discende da una specifica
valutazione del rischio, così come previsto dal DPR 465/2001 e dal D.lgs. 81/2008. Secondo il
DPR 465, la vaccinazione deve essere solamente considerata in quelle rare situazioni in cui,
per il controllo del rischio professionale, non si possa ricorrere al follow‐up e alla terapia
preventiva, per: a) Operatori esposti ad un documentato rischio di infezione tubercolare
sostenuti da bacilli MDR b) Soggetti con controindicazioni all’uso dei farmaci antitubercolari.
VACCINO BCG BACILLO DI CALMETTE E GUERIN Vaccino vivo‐attenuato costituito da un ceppo
di M.Bovis isolato dalla ghiandola mammaria di una vacca (ceppo Nocard), attenuato
mediante 254 passaggi su patata biliata e glicerinata. Somministrato per via intradermica
nella regione deltoidea bassa, monodose
La vaccinazione routinaria è raccomandata alla nascita nei paesi ad alta prevalenza di TB per
la protezione dei bambini da forme severe (meningiti e miliari) Tra gli effetti collaterali (1‐
10%) ricordiamo: ulcerazione locale e linfoadenite. Ha una bassa efficacia: 0‐80%, la
protezione dura 10 anni. Determina positività al TST, che diminuisce col passare degli anni
Chemioprofilassi: ha l’obiettivo di ridurre nel tempo il serbatoio naturale della malattia tubercolare.
Costituisce, pertanto, un valido strumento per il controllo della TBC e si basa sulla somministrazione
di un farmaco antitubercolare in particolari situazioni:
o contatti recenti e stretti di un caso contagioso di tubercolosi
o oggetti con forme di infezione tubercolare latente.
Il regime di trattamento raccomandato è Isoniazide per 6 mesi (5 mg/kg/die max 300 mg/die) in
somministrazione quotidiana. Un trattamento che ha mostrato una efficacia equivalente negli adulti
è rappresentato dall’associazione di Rifampicina (10 mg/kg/die max 600 mg/die) e Isoniazide (5
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mg/kg/die max 300 mg/die) per 3 mesi.
Secondo CDC e OMS per prevenire la trasmissione nosocomiale della tubercolosi il controllo deve
essere attuato su tre livelli che, in ordine di priorità, sono:
L’utilizzo di dispositivi di protezione individuale respiratoria va raccomandato a tutti gli operatori
sanitari che entrano in ambienti confinati dove sono ricoverati pazienti con tb polmonare accertata o
sospetta.
• Sorveglianza sanitaria Per quanto riguarda la sorveglianza degli operatori sanitari e dei soggetti
equiparati, tre sono i momenti fondamentali di controllo
Visita preventiva Visita preventiva In relazione a quanto evidenziato nel Documento di
valutazione dei rischi, nel contesto della visita preventiva, deve essere valutata l’opportunità
di effettuare lo screening per il rischio TBC che dovrebbe includere: ANAMNESI: valutazione
della storia personale o familiare di TBC, evidenza documentata dei risultati dei test per
infezione tubercolare (Test di Mantoux – TST e/o IGRA) e della pregressa vaccinazione con
BCG Ciò consentirà di non sottoporre soggetti già vaccinati ad un’altra vaccinazione e di
valutare il significato di una eventuale positività al test tubercolinico.
ESAME OBIETTIVO: valutazione di segni e sintomi compatibili con TBC o malattie che rendano
il lavoratore suscettibile all’infezione tubercolare
DIAGNOSTICA: esecuzione di test per infezione tubercolare, se non disponibili precedenti
risultati documentati positivi (diametro dell’infiltrato ≥ 10 mm) o negativi nei 12 mesi
precedenti.
All’assunzione, tutti i soggetti professionalmente esposti, inclusi quelli già precedentemente
vaccinati con BCG, dovrebbero eseguire una intradermoreazione con PPD con tecnica di
Mantoux, esclusi quelli con cutipositività documentata nei precedenti 2 anni o hanno una
storia documentata di malattia tubercolare adeguatamente trattata.
Una risposta al PPD di diametro ≥ 10 mm nel soggetto vaccinato dovrà, comunque, essere
valutata come attribuibile a probabile contagio.
Negli individui vaccinati con BCG, l’uso di test basati sul rilascio di interferon‐gamma (IGRA) è
raccomandato come test di conferma nei pazienti risultati positivi all’intradermoreazione. La
negatività del test IGRA può essere considerata indicativa di assenza di infezione tubercolare
anche in presenza di positività del TST.
Per i soggetti ad altissimo rischio di sviluppare la malattia tubercolare, se affetti o se portatori
di condizioni che determinano alto rischio relativo di malattia in seguito ad infezione con
Bacillo di Kock, il cut off è abbassato da 10 mm a 5 mm.
Controlli periodici
ANAMNESI valutazione della storia personale o familiare di TBC evidenza documentata dei
risultati dei test per infezione tubercolare (Test di Mantoux – TST e/o IGRA)
ESAME OBIETTIVO valutazione di segni e sintomi compatibili con TBC o malattie che rendano
il lavoratore suscettibile all’infezione tubercolare
PERIODICITÀ DELLO SCREENING CON PPD La necessità di ripetere lo screening e la sua
periodicità vanno stabilite in base alle specifiche valutazioni del rischio per le singole aree di
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attività ed i singoli profili professionali.
Esposizione professionale a seguito di incidente/infortunio(visita straordinaria) nel caso di
esposizione professionale avvenuta in assenza delle idonee misure di sicurezza, a tutti i
soggetti individuati come “contatti stretti” il medico competente dovrà garantire un apposito
monitoraggio in ambiente specialistico. Nella gestione di tali condizioni indispensabile è la
stretta collaborazione tra medico competente e specialista pneumologo. Gli accertamenti
andranno ripetuti a distanza di 60 giorni dall’avvenuta esposizione
• Formazione e informazione
Corretto utilizzo dei DPI
Sensibilizzazione degli operatori a richiedere visita al MC in presenza di sintomatologia
suggestiva di malattia tubercolare
Corretta gestione dei casi infetti
Informativa sui test diagnostici per la TBC
Informativa su terapia preventiva nelle forme latenti – Informativa sulla vaccinazione
Il datore di lavoro, secondo quanto previsto dall’art. 17, comma 1 let. a, del D.lgs. n. 81/2008, ha
l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi per il lavoratore (artt.28‐30); alla stessa, è tenuto a
collaborare il medico competente (art. 25, comma 1 let. a)
GIUDIZIO DI IDONEITÀ
IDONEITÀ PIENA:
Contatti che non si sono positivizzati.
Lavoratori con forme latenti che rifiutano la terapia ma che non afferiscono a reparti a rischio
per sé e per i pazienti
Lavoratori con pregressa malattia tubercolare eradicata farmacologicamente
IDONEITà CON LIMITAZION:
Lavoratori con forme latenti che rifiutano la chemioprofilassi che afferiscono a reparti a
rischio per sé e per i pazienti
Lavoratori con controindicazioni alla terapi o al vaccino
IDONEITà CON PRESCRIZIONI
Lavoratori che afferiscono a reparti ad alto rischio per TBC MDR
INIDONEITà TEMPORANEA
Lavoratori con TBC attiva,
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in trattamento farmacologico,
con sputum positivo e/o effetti collaterali del trattamento farmacologico che interferiscano
con le capacità lavorative
AMIANTO
Quando sorge il pericolo per le costruzioni manufatte a base d’amianto? Quando questo materiale,
oltre ad essere in cattive condizioni e oltre ad essere altamente friabile, viene soggetto ad esempio a
notevoli vibrazioni dell’edificio, viene soggetto a notevoli correnti d’aria, che favoriscono la
dispersione nell’atmosfera o a grossi movimenti nella struttura, da parte di macchine e di persone.
Cosa dovrebbe essere fatto per rimuovere la diffusione di amianto nell’aria? Ci sono delle persone
che si dedicano proprio alla valutazione del rischio da amianto presente nei territori dove è stato
utilizzato.
La prima cosa che viene fatta è lo studio delle condizioni dell’installazione delle strutture dove è
presente amianto, per valutare se oggettivamente possono essere rilasciate fibre di amianto in
quella realtà o meno. Dopo di che vengono misurate queste fibre di amianto nell’atmosfera per
capire se siano al di sopra o al di sotto quei parametri massimi consentiti di esposizione alla
popolazione e ai lavoratori. Le fibre di amianto vengono captate e ci sono una serie di tecniche, come
la spettrometria, che permettono di analizzare nell’aria captata, il quantitativo di fibre presenti. Dal
quantitativo di fibre presenti si capisce se quella è un’area a rischio o meno. E quindi, dopo questa
valutazione ed eventualmente, dopo aver scoperto che viene superato questo valore di 0,1
fibre/cm^3, vengono attuate una serie di misure organizzative, procedurali, igienico‐sanitarie atte a
contenere la diffusione dell’amianto.
La rimozione dell’amianto può avvenire in tre modi: con un processo che si chiama rimozione totale
dell’amianto e altre due modalità che sono l’incapsulamento e il confinamento.
La rimozione dell’amianto totale comporta un aumento del rischio di esposizione per i
lavoratori. Inoltre, il materiale che viene completamente asportato, deve essere smaltito,
quindi c’è anche tutta la procedura di controllo e prevenzione per colore che smaltiscono i
rifiuti speciali. Nella pratica, però, la rimozione totale
dell’amianto non viene mai effettuata perché ha un
costo elevatissimo, perciò vengono spesso preferite a
questa altre due fasi, che sono molto meno pericolose e
cioè l’incapsulamento e il confinamento.
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Nell’incapsulamento, praticamente, le fibre di amianto vengono incapsulate e quindi
rimangono nello stabilimento, vengono bloccate nella loro emissione e questo processo
comporta un minimo rischio per i lavoratori che ne vengono esposti, però per coloro che
abitano poi in quella struttura, la problematica più importante è la manutenzione periodica
dell’effettiva tenuta delle fibre di amianto in questo sistema di incapsulamento.
Confinamento: le fibre di amianto vengono confinate tramite una
barriera che viene sollevata tra l’ambiente esterno e l’ambiente
dove c’è l’amianto. La barriera è una barriera a tenuta, come se
fosse una parete. L’attendibilità del confinamento deve essere
sempre controllata da una buona manutenzione.
Infine, tutti i decreti legislativi, come la 626/94, il D.Lgs 81/08, il 106/09
hanno bandito completamente l’utilizzo dell’amianto, hanno ribadito
l’eliminazione dell’amianto da tutti i processi produttivi e ritengono che l’amianto sia ancora un
problema per la salute. Oggigiorno è fondamentale identificare le principali fonti di dispersione e
poter intervenire per eliminarle o quanto meno controllarle, in modo da ridurre al minimo la
diffusione anche nella popolazione generale.
La medicina del lavoro tutela la SALUTE (intesa come BENESSERE PSICO‐FISICO DEL LAVORATORE) e
la SICUREZZA DEI LAVORATORI, regolamentate giuridicamente in italia dal DECRETO LEGISLATIVO
n.81 del 2008.
Salute e sicurezza sono infatti esposte a RISCHI OCCUPAZIONALI: lo scopo della medicina del lavoro
è pertanto PREVENTIVO e CURATIVO (ricorda che la prevenzione può essere
PRIMARIA=individuazione e d eliminzaione dei rischi, SECONDARIA=diagnosi precoce di malattia,
TERZIARIA= cura,riabilitazione, contenimento lesioni permanenti…Un medico di medlav che fa
dianosi tardiva ha FALLITO!!)
La medicina del lavoro pertanto, si occupa di:
INFORTUNI SUL LAVORO;
MALATTIE PROFESSIONALI;
FATTORI DI RISCHIO OCCUPAZIONALI.
Per SALUTE intendiamo lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, non solo assenza di malattia.
E’ uno stato che permette agli individui di svolgere il proprio ruolo sociale. La salute è garanzia
di…..BENESSERE, che può essere soggettivo, oggettivo, psicologico e sociale
I soggetti coinvolti sono:
DATORE DI LAVORO;
MEDICO COMPETENTE;
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RESPONSABILE E ADDETTI AL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE: essi
devono visitare il posto di lavoro, verificare quali sono gli agenti di rischio ed emettere il
DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO in collaborazione con il medico
competente;
RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA;
LAVORATORI. Bisogna tener conto che ad essere esposti ai fattori di rischio
professionali non sono solo i lavoratori, ma anche gli EX LAVORATORI (ricordiamo le
malattie tumorali che compaiono a lunga latenza, dopo anni dall'esposizione a
materiali tossici e radioattivi)e i FAMILIARI DEL LAVORATORE (può essere
contaminato l'ambiente domestico oppure l'abitazione può trovarsi vicino al luogo
di lavoro).
Nell'inquadramento generale della medicina del lavoro, vediamo anche quali sono le principali
AGENZIE nazionali e internazionali che riguardano tale settore:
ACGIH, americana;
DFG, tedesca;
SCOEL, europea
NIOSH, riveste grande importanza;
SIVR (società italiana valori di riferimento) e INAIL (istituto nazionale per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro), insieme a tante altre, in ITALIA. Innanzitutto, però, nella
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nostra nazione facciamo riferimento alla legislazione italiana e poi, se c'è qualche mancanza, si
ricorre allo SCOEL e all'ACGIH.
Tre sono gli obiettivi principali della Medicina del Lavoro:
• il mantenimento e la promozione della salute e della capacità lavorativa;
• il miglioramento dell’ambiente di lavoro e del lavoro stesso per renderli compatibili ad esigenze di
sicurezza e di salute;
• lo sviluppo di una organizzazione e di una cultura del lavoro che vada nella direzione della salute
e della sicurezza. La Medicina del Lavoro oggi si occupa di preservare non solo la salute ma anche il
benessere psicofisico del lavoratore. (Art. 2087 codice civile)
Ruolo del MEDICO DEL LAVORO
o Riconoscimento della rilevanza dell’attività lavorativa per lo stato di salute.
o Identificazione dei fattori di rischio ambientali, sociali e personali e delle loro
interazioni.
o Valutazione dei rischi per la salute.
o Informazione e formazione sui rischi, sulla prevenzione degli infortuni e delle
malattie professionali e promozione della salute.
o Sorveglianza sanitaria dei gruppi di lavoratori esposti.
o Diagnosi di alterazioni precoci dello stato di salute individuale.
o Diagnosi e trattamento di patologie occupazionali e lavoro‐correlate.
o Riconoscimento e controllo dei fattori di suscettibilità individuale (congeniti e
acquisiti).
o Valutazione (e prevenzione) degli effetti avversi di esposizioni lavorative in affezioni
non correlate con il lavoro.
o Trattamento terapeutico‐riabilitativo.
o Reinserimento lavorativo, terapia occupazionale.
Decreti legislativi che hanno dettato le regole per la sicurezza
nei luoghi di lavoro
I Nuovi decreti post 626
Testo unico in materia di tutela e sicurezza dei lavoratori D. Lgs 81/2008 D.
Lgs 106/09
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DEFINIZIONI
Rischio= Probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di
esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione.
Pericolo= Proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare
danni. (per esempio di un materiale)
Esposizione= probabilità reale e misurabile di contatto del lavoratore con un agente di rischio.
(vedere le condizioni di esposizione…x es se ho messo i guanti o no)
CLASSIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI RISCHI NEL LUOGO DI LAVORO
Il rischio viene espresso :
in termini di PROBABILITA', come il PRODOTTO DELL'ESPOSIZIONE PER IL PERICOLO ed
eventualmente per la SUSCETTIBILITA' INDIVIDUALE. Dunque: R = E x P (x S);
P Indice di pericolosità intrinseca di una sostanza o di una miscela (identificato con le frasi o
indicazioni di pericolo H) E livello di esposizione dei soggetti nella specifica attività lavorativa
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come STIMATORE DI PROBABILITA' (che un evento dannoso si verifichi), in termini di PRODOTTO
DEL DANNO PER LA PROBABILITA'.
In realtà, sebbene la prima definizione sia quella più accreditata, viene utilizzata anche la seconda. Il
motivo è che esiste una particolare griglia che si può utilizzare per stimare il rischio di un'attività
lavorativa, la quale è così costituita:
La probabilità è matematicamente indicata con un numero (0 = non c'è probabilità, 1 = 100% di
probabilità).
Gli STRUMENTI di cui si avvale la medicina del lavoro sono:
1. VALUTAZIONE DEI RISCHI, intesa come:
a. IDENTIFICAZIONE DEGLI AGENTI DI RISCHIO;
b. VALUTAZIONE DELL'ENTITA' DEL RISCHIO.
2. GESTIONE DEI RISCHI, di cui fa parte:
a. SORVEGLIANZA SANITARIA;
b. MISURE ORGANIZZATIVE (turni, gestione del personale, ecc..);
c. MISURE DI CONTROLLO (monitoraggio);
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Va sottolineato che "valutazione rischi" e "gestione rischi" sono dei processi in CONTINUO DIVENIRE:
per legge, bisogna rifare la valutazione dei rischi e la gestione dei rischi in qualsiasi momento ci sia
una modifica aLl'interno sia della struttura gerarchica, sia del ciclo produttivo dell'azienda e, anche
se esse non ci sono, vengono comunque fissate delle scadenze in cui tali strumenti vanno rinnovati.
CLASSIFICAZIONE.
Vediamo innanzitutto brevemente la differenza tra:
RISCHIO OGGETTIVO, quando esiste una potenzialità lesiva OGGETTIVA. Un rischio oggettivo è
una sostanza cancerogena, che, in effetti, ha una potenzialità di danno elevata;
RISCHIO SOGGETTIVO, è la percezione diversa del rischio che può avere una persona rispetto ad
un'altra. La percezione di un rischio ALTO, sebbene esso OGGETTIVAMENTE SIA BASSO, da parte di
una persona nell'ambiente lavorativo può comportare INCREMENTO DEL RISCHIO EFFETTIVO che
subisce il lavoratore stesso e può determinare il FALLIMENTO DI TUTTI I PROGRAMMI DI
PREVENZIONE.
Quindi, quando questo si verifica è FONDAMENTALE incrementare i programmi di formazione al fine
di far percepire correttamente il rischio.
I rischi vengono classificati in:
RISCHI PER LA SICUREZZA, di NATURA INFORTUNISTICA: possono essere dovuti alle
STRUTTURE STESSE, ai MACCHINARI, agli IMPIANTI ELETTRICI o a SOSTANZE PERICOLOSE;
RISCHI PER LA SALUTE, di NATURA IGIENICO‐AMBIENTALE: possono essere dovuti ad
AGENTI CHIMICI, FISICI e BIOLOGICI.
Gli agenti chimici, indicati nella categoria precedente come SOSTANZE PERICOLOSE, hanno questa
duplice azione : possono causare incidente quando le si tocca e possono compromettere la salute
quando vengono lentamente assunte a seguito dell'esposizione ad esse.
RISCHI PER LA SALUTE E PER LA SICUREZZA, di tipo TRASVERSALE.
Più nei dettagli, abbiamo:
RISCHI DI TIPO FISICO, in cui rientrano RUMORI E VIBRAZIONI; Rischi da esposizione a fattori
fisici che interagiscono in vari modi con l'organismo umano: •Rumore •Vibrazioni
•Ultrasuoni •Radiazioni non ionizzanti (presenza di apparecchiature che impiegano radiofrequenze,
microonde, radiazioni infrarosse, luce, laser, etc.) •Microclima (carenze nella climatizzazione
dell'ambiente per quanto attiene a temperatura, umidità relativa, ventilazione, calore radiante,
condizionamento) •Illuminazione (carenze nei livelli di illuminamento ambientale e dei posti di
lavoro (in relazione alla tipologia della lavorazione)
•Videoterminali (posizionamento, illuminotecnica, postura, microclima, etc.)
RISCHI DI TIPO BIOLOGICO, in cui rientrano varie malattie come EPATITE, AIDS, TBC,
MORBILLO, PAROTITE, ROSOLIA; Rischi connessi con l'esposizione (ingestione, contatto
cutaneo, inalazione) a organismi e microrganismi patogeni o non, colture cellulari,
endoparassiti umani, presenti nell'ambiente a seguito di: • emissione involontaria (impianto
condizionamento, emissioni di polveri organiche, etc.) • emissione incontrollata (impianti di
depurazione delle acque, manipolazione di materiali infetti in ambiente ospedaliero,
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impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti ospedalieri, etc.) • trattamento o manipolazione
volontaria, a seguito di impiego per ricerca sperimentale in vitro o in vivo o in sede di vera e
propria attività produttiva (biotecnologie)
RISCHI DI TIPO ALLERGOLOGICO, in cui rientrano DERMATITI DA CONTATTO e ASMA
BRONCHIALE;
RISCHI TRASVERSALI,
Organizzazione del lavoro
Processi di lavoro usuranti: per esempio, lavori in continuo, sistemi di turni, lavoro
notturno
Pianificazione degli aspetti attinenti alla sicurezza e alla salute: programmi di
controllo e monitoraggio ambientale e biologico
Manutenzione degli impianti, comprese le attrezzature di sicurezza
Procedure adeguate per far fronte agli incidenti e a situazioni di emergenza
Movimentazione manuale dei carichi Lavoro ai VDT (es.: DATA ENTRY)
Fattori psicologici
Intensità, monotonia, solitudine, ripetitività del lavoro
Carenze di contributo al processo decisionale e conflittualità
Complessità delle mansioni e carenza di controllo
Reattività anomala a situazioni di emergenza
Fattori ergonomici
Sistemi di sicurezza e affidabilità delle informazioni
Conoscenze e capacità del personale
Norme di comportamento
Soddisfacente comunicazione e istruzioni corrette in condizioni variabili
Condizioni di lavoro difficili
Lavoro con animali
Lavoro in atmosfere a pressione superiore o inferiore al normale
Condizioni climatiche esasperate
Lavoro in acqua: in superficie (es.: piattaforme) e in immersione
Conseguenze di variazioni ragionevolmente prevedibili dalle procedure di lavoro in
condizioni di sicurezza
Ergonomia delle attrezzature di protezione personale e del posto di lavoro
Carenza di motivazione alle esigenze di sicurezza;
RISCHI DI TIPO CHIMICO, in cui rientrano SOLVENTI, CANCEROGENI e METALLI. Rischi di
esposizione connessi con l'impiego di sostanze chimiche, tossiche o nocive in relazione a:
ingestione, contatto cutaneo, inalazione per presenza di inquinanti aerodispersi sotto forma
di: polveri, fumi, nebbie, gas e vapori.
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1.ETICHETTE
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Questi pittogrammi arancionni, oggi non sono più usati, ma ne sono stati creati dei nuovi al fine
di UNIFORMARE A LIVELLO MONDIALE LA NOMENCLATURA E LA RAPPRESENTAZIONE
Notare che il pittogramma con la bombola è nuovo! Non c’è il corrispettivo arancione! Inoltre non
c’è più differenza tra tossico ed estremamente tossico, ma c’è differenza tra tossico che produce
effetti ACUTI e tossico che produce effetti CRONICI.
Frasi di rischio chimico
Frasi R
Sono chiamate frasi R (frasi di rischio) alcune frasi convenzionali, oggi abrogate, che descrivevano i
rischi per la salute umana, animale ed ambientale connessi alla manipolazione di sostanze
chimiche[1].
Queste frasi erano state codificate dall'Unione europea nella direttiva 88/379/CEE, sostituita dalla
direttiva 1999/45/CEE a sua volta modificata dalla direttiva 2001/60/CEE. La normativa prevedeva
che ogni confezione di prodotto chimico recasse sulla propria etichetta le frasi R e le frasi S
corrispondenti al prodotto chimico ivi contenuto. Ad ogni frase era associato un codice univoco
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composto dalla lettera R seguita da un numero, e ad ogni codice corrispondevano le diverse
traduzioni della frase in ogni lingua ufficiale dell'Unione europea.
In seguito la direttiva 1999/45/CEE è stata abrogata dal Regolamento (CE) n. 1272/2008, che ha
sostituito le frasi R con le frasi H.
Le frasi H (Hazard statements), contenute all'interno del Regolamento (CE) n. 1272/2008,
rappresentano indicazioni di pericolo relative a sostanze chimiche.
Riporto qualche esempio detto a lezione: H300= letale se ingerito; H301= tossico se ingerito; H302=
nocivo se ingerito; H350= può provocare cancro
Frasi S
Sono chiamate frasi S (frasi di sicurezza) alcune frasi convenzionali, oggi abrogate, che descrivevano i
consigli di prudenza cui attenersi in caso di manipolazione di sostanze chimiche.
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Le frasi S erano state codificate dall'Unione europea nella direttiva 88/379/CEE, che prevedeva che
ogni confezione di prodotto chimico recasse sulla propria etichetta le frasi R e le frasi S
corrispondenti al prodotto chimico ivi contenuto. Ad ogni frase era associato un codice univoco
composto dalla lettera S seguita da un numero, e ad ogni codice corrispondevano le diverse
traduzioni della frase in ogni lingua ufficiale dell'Unione europea.
Nel 2008 è entrato in vigore il Regolamento (CE) n. 1272/2008, che ha sostituito le frasi S con i
cosiddetti consigli P.
I cosiddetti consigli P (Precautionary statements) sono prescrizioni di natura sanitaria
contenute all'interno del Regolamento (CE) n. 1272/2008[1] e rappresentano consigli di prudenza
relativi a sostanze chimiche.
I consigli P hanno sostituito le più vecchie frasi S, oggi abrogate.
Per esempio P301= se la respirazione è difficile, trasportare l’infortunato all’aria aperta e
mantenerlo in posizione a riposo.
2 SCHEDA DI SICUREZZA
1.Identificazione del preparato e della società
La denominazione del prodotto deve essere la stessa che compare in etichetta. Devono essere
riportati i dati d’identificazione del responsabile dell’immissione sul mercato (fabbricante,
importatore o distributore), con nominativo, indirizzo completo, telefono.
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2. Composizione – Informazioni sugli ingredienti
L’informazione deve permettere d’identificare agevolmente i rischi
rappresentati dal preparato, mediante l’indicazione della presenza e
relativa concentrazione di: sostanze pericolose per la salute ai sensi
della legge 256/74 e successive modifiche, sostanze per le quali
esistono, in virtù delle disposizioni comunitarie, dei limiti di
esposizione riconosciuti, ma che non sono coperte dalla direttiva suddetta con menzione della
classificazione, vale a dire i simboli e le frasi R loro assegnate
3. Identificazione dei pericoli
Si devono identificare i rischi più importanti che presenta il preparato, con
descrizione degli effetti dannosi più importanti per la salute dell’uomo ed i sintomi
che insorgono in seguito all’uso ed al cattivo uso ragionevolmente prevedibili, in
analogia a quanto riportato sull’etichetta.
4. Misure di primo soccorso
Devono essere fornite indicazioni, brevi e di facile
comprensione, sulle misure di primo soccorso per l’infortunato,
per le persone a lui vicine e per coloro che prestano i primi
soccorsi. I sintomi e gli effetti devono essere descritti
succintamente e le istruzioni devono indicare cosa si debba
fare subito in caso d’infortunio e quali effetti ritardati siano da
attendersi a seguito dell’esposizione. Si consiglia l’uso di
ripartizione in paragrafi relativi a: • inalazione • contatto con la
pelle • contatto con gli occhi • ingestione.
Indicare se è necessaria o consigliabile la consultazione di un medico. Per alcuni prodotti può essere
importante segnalare se occorre la presenza, sul posto di lavoro, di mezzi speciali di trattamento
specifico ed immediato
5 Misure antincendio
Devono essere indicate le prescrizioni per la lotta contro gli incendi causati
dal prodotto, o che si sviluppano nelle sue vicinanze, precisando: • I mezzi
di estinzione appropriati • I mezzi di estinzione che NON devono essere
usati • Eventuali rischi di esposizione derivanti dal preparato stesso dai
prodotti di combustione, dai gas prodotti • L’equipaggiamento speciale di
protezione per gli addetti all’estinzione degli incendi. Misure antincendio
6. Misure in caso di fuoriuscita accidentale
Indicare, sulla base del tipo di prodotto, le misure da adottare in caso di fuoriuscita accidentale.
Misure relative alle precauzioni individuali: rimuovere le fonti d’innesco di
incendio, predisporre di adeguata ventilazione o di una protezione
respiratoria, lotta contro le polveri, prevenzione del contatto con la pelle e
con gli occhi.
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Misure relative alle precauzioni ambientali: tenere la sostanza lontano dagli scarichi, dalle acque di
superficie e sotterranee e dal suolo, dare l’allarme al vicinato ed alle autorità competenti, misure
relative ai metodi di pulizia, quali: uso di materiale assorbente (ad es sabbia, farina fossile, legante
acido, legante universale, segatura, ecc), riduzione con acqua dei gas e dei fumi, diluizione
7. Manipolazione e stoccaggio
MANIPOLAZIONE Se il caso indicare gli accorgimenti tecnici per la manipolazione in sicurezz
STOCCAGGIO Indicare, se il caso, le condizioni per uno stoccaggio sicuro: • Progettazione specifica
dei locali e dei contenitori • Paratie di contenimento • Ventilazione • Materiali incompatibili • Limiti
o intervalli di temperatura ed umidità, luce, gas inerte • Necessità di impianto elettrico speciale •
Prevenzione dell’accumulo di elettricità speciale • Limiti quantitativi in condizioni di stoccaggio •
Indicazioni sul tipo di materiale utilizzato per l’imballaggio ed i contenitori del preparato
8. Controllo dell’esposizione – Equipaggiamento per la protezione individuale
Indicare ulteriori misure e accorgimenti per garantire la
sicurezza durante la manipolazione del prodotto, a
completamento delle informazioni relative alla
manipolazione. E’ bene ricordare che occorre sempre
privilegiare le misure di natura tecnica, per il controllo
dell’esposizione, e soltanto in seconda battuta o per
complemento, ricor rere ai DPI. Indicare in questa sezione
eventuali parametri specifici di controllo, quali valori limite
o standard biologici. Fornire informazioni in merito ai
procedimenti di controllo raccomandati indicandone i
riferimenti. Nel caso in cui occorra una protezione individuale, specificare il tipo di equipaggiamento
in grado di fornire l’adeguata protezione. • Protezione respiratoria: autorespiratori, maschere e filtri
adatti. • Protezione delle mani: guanti o misure supplementari per la protezione della pelle o delle
mani • Protezione degli occhi: occhiali di sicurezza, visiera, schermo facciale • Protezione della pelle:
camice, grembiule, stivali, indumenti protettivi completi.
9. Proprietà fisiche e chimiche
Questa voce comprende, se attinenti, le seguenti informazioni sul preparato: • Aspetto: stato fisico
(solido, liquido, gassoso) e colore del preparato all’atto della fornitura • Odore: se percettibile • pH
• Punto o intervallo di ebollizione • Punto o intervallo di fusione • Punto di infiammabilità •
Infiammabilità (solidi, gas) • Auto‐infiammabilità • Proprietà esplosive • Proprietà comburenti •
Pressione di vapore • Densità relativa • Solubilità: idrosolubilità o liposolubilità (solvente grasso da
precisare) • Coefficiente di ripartizione: n‐ottanolo/acqua • Altri dati: indicare i parametri
importanti per la sicurezza, come la densità di vapore, la miscibilità, la velocità di evaporazione, la
conducibilità, la viscosità
10. Stabilità e reattività
Questa voce riguarda la stabilità del preparato chimico e la possibilità che si verifichino reazioni
pericolose in determinate circostanze Occorre pertanto indicare: • Le condizioni di rischio (es.
temperatura, pressione, luce, urti e simili) • Le sostanze che possono reagire in modo pericoloso (es
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acqua, aria, acidi, basi, ossidanti o altre sostanze) • Prodotti di decomposizione pericolosi11.
Informazioni tossicologiche
11. Informazioni tossicologiche
Devono essere indicati: • Gli effetti nocivi che possono derivare dall’esposizione al
preparato, sulla base dell’esperienza o di conclusioni tratte da esperimenti
scientifici • Le vie di esposizione (inalazione, ingestione, contatto con la pelle
o con gli occhi) con descrizione dei sintomi • Eventuali effetti ritardati
ed immediati in seguito ad esposizione breve o prolungata: ad esempio effetti
sensibilizzanti, cancerogeni, mutageni, tossici per la riproduzione compresi gli
effetti teratogeni, nonché narcotizzanti
12. Informazioni ecologiche
Fornire una valutazione d’impatto ambientale del prodotto. Indicare eventuale: •
Persistenza e degradabilità • Potenziale di bioaccumulo • Tossicità acquatica ed altri
dati relativi all’ecotossicità, ad esempio, comportamento negli impianti di
trattamento delle acque residue
13. Considerazioni sullo smaltimento
Indicare metodi di smaltimento idonei compresi quelli per i contenitori
contaminati (incenerimento, riciclaggio, messa in discarica, ecc)
14. Informazioni sul trasporto
15. Informazioni sulla regolamentazione
Questa voce prevede la trascrizione delle informazioni riportate in etichetta, in applicazione della
normativa sulla classificazione, sull’imballaggio e sull’etichettatura dei preparati pericolosi.
Eventualmente, si devono indicare al destinatario specifiche disposizioni comunitarie in relazione
alla protezione dell’uomo e dell’ambiente (ad es. restrizioni di commercializzazione ed uso, valori
limite di esposizione negli ambienti di lavoro). E’ inoltre raccomandato che la scheda di sicurezza
ricordi al destinatario di fare riferimento ad ogni altra disposizione nazionale applicabile
16. Altre informazioni
Questa voce può contenere qualsiasi altra informazione che potrebbe essere rilevante per la sicurezza
e la salute. Può inoltre essere indicata qui la data dell’emissione della scheda
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Tutte le attività lavorative vengono classificate nel CODICE ATECO (attualmente in uso la versione
del 2007, prima quella del 2002). Tale classificazione è stata adottata dall'ISTAT (istituto nazionale di
statistica italiana), per effettuare delle rilevazioni statistiche italiane di carattere economico. È la
traduzione italiana della Nomenclatura delle Attività Economiche (NACE) creata dall'Eurostat,
adattata dall'ISTAT alle caratteristiche specifiche del sistema economico italiano. L'ATECO
è stata definita ed approvata da un COMITATO DI GESTIONE appositamente costituito. Esso prevede la
partecipazione, oltre all'Istat che lo coordina, di numerose figure istituzionali: i Ministeri interessati,
gli Enti che gestiscono le principali fonti amministrative sulle imprese (mondo fiscale e camerale,
enti previdenziali, ecc.) e le principali associazioni imprenditoriali. Grazie alla stretta
collaborazione avutasi dai membri, per la prima volta il mondo della statistica ufficiale, il mondo
fiscale e quello camerale adotteranno la stessa classificazione delle attività economiche.
Il codice ATECO è una classificazione alfa‐numerica con diversi gradi di dettaglio: le lettere indicano il
macro‐settore di attività economica, mentre i numeri (che vanno da due fino a sei cifre)
rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le articolazioni e le disaggregazioni dei settori stessi. Le
varie attività economiche sono raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni (codifica: 1
lettera), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre), categorie (5 cifre) e sottocategorie (6 cifre).
Ovviamente le sei cifre, vanno ad indicare sempre più specificamente di cosa si tratta: pertanto, ad
esempio, ogni denuncia di un lavoratore per malattia professionale o per infortunio sul lavoro, deve
specificare qual è l'appartenenza al settore Adeco del lavoratore stesso.
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La precedente classificazione ATECO 2002 si sviluppava in cinque livelli di dettaglio: sezioni
(codifica: 1 lettera), sottosezioni (due lettere), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre) e
categorie (5 cifre)
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MEDICINA DEL LAVORO
La medicina del lavoro è quella branca che studia i rischi per la salute presenti negli ambienti di lavoro ai fini
della tutela della salute dei lavoratori attraverso:
1. Studio e valutazione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro e dei loro effetti sulla salute dei
lavoratori
2. Diagnosi e cura precoce delle malattie da lavoro
3. Sorveglianza sanitaria dei lavoratori (ipersuscettibilità, effetti pre clinici, giudizi di idoneità)
4. Partecipazione alla programmazione delle misure preventive.
1. I lavoratori
2. Gli ex lavoratori
3. I familiari (contaminazione ambiente domestico o contiguità con l’area lavorativa).
1. Rischi specifici della mansione (agenti fisici, chimici, biologici, microclima, posture incongrue)
2. Rischi elettivi e generici della strada (inquinamento, clima, traffico, microcriminalità)
3. Rischi psicosociali (inappropriato carico di responsabilità, limitate relazioni sul luogo di lavoro,
scarso senso di appartenenza al team)
4. Rischi collegati allo stile di vita (alimentazione, tabagismo, turni notturni e straordinari)
1. PRIMO GRUPPO: fattori caratterizzanti gli ambienti in cui l’uomo lavora, ma non legati alla
particolare attività svolta, come AGENTI NATURALI (clima, luce, rumore ambientale).
2. SECONDO GRUPPO: fattori strettamente derivanti dall’attività svolta. Tra questi:
a) AGENTI FISICI: rumore, pressione atmosferica, radiazioni, illuminazione.
b) AGENTI CHIMICI: polveri, gas, fumi, vapori.
c) AGENTI BIOLOGICI: virus e batteri.
d) SITUAZIONI CHE CAUSANO INFORTUNI: accidentalità, mancanza di mezzi individuali di
protezione.
3. TERZO GRUPPO: fattori derivanti dall’organizzazione del lavoro svolto sotto l’aspetto del carico
fisico e psicofisico. Tra questi rientrano:
a) FATICA FISICA: come spostamento di pesi, movimenti incongrui, mantenimento prolungato
di posture fisse.
b) ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO: straordinari, mancata gratificazione, monotonia,
autoritarismo.
Medico DL e MMG hanno molto interessi in comune, in quanto entrambi si occupano di prevenzione, della
diagnosi eziologica e dell’individuazione delle noxae patogene responsabili del danno; essi collaborano
soprattutto in caso di dubbi di origine professionale. Bisogna tuttavia tenere conto del concetto di
SUSCETTIBILITA’ INDIVIDUALE, per cui soggetti che lavorano in identiche condizioni di esposizione a un
tossico possono manifestare risposta di variabile intensità o frequenza degli effetti correlati a un dato livello
di esposizione. Coloro che presentano effetti avversi già a bassi livelli di esposizione sono definiti
IPERSUSCETTIBILI rispetto alla popolazione indagata. Vi sono due fattori che contribuiscono alla variabilità:
La legge che regola la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è il DECRETO LEGISLATIVO 81/08 (insieme al
106/2009 hanno sostituito il 626 del ‘94), il quale si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a
tutte le tipologie di rischio.
1. SALUTE: stato di benessere fisico, mentale e sociale, non solo assenza di malattia; è quello stato
che permette agli individui di svolgere il proprio ruolo sociale.
2. SICUREZZA: è una situazione certa e costante di non pericolo, tale da garantire lo svolgimento di
qualsiasi attività senza pregiudizio alla propria integrità fisica e psichica.
3. PREVENZIONE: il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi
dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della
popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno. Può essere distinta in:
a) PRIMARIA: individuare i rischi e eliminarli/ridurli; individuare i soggetti a rischio.
b) SECONDARIA: diagnosi precoce delle malattie.
c) TERZIARIA: cura, riabilitazione e contenimento di lesioni permanenti.
DEFINIZIONI:
1. RISCHIO: probabilità che un evento dannoso si verifichi. (oppure probabilità che si raggiunga il
limite potenziale di danno nelle condizioni di esposizione a un determinato fattore).
2. PERICOLO: proprietà di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni (FR).
3. ESPOSIZIONE: possibilità reale e misurabile di contatto del lavoratore con un agente di rischio.
4. INFORTUNIO SUL LAVORO: danno che si verifica per causa violenta (cioè concentrata in un turno
lavorativo) e in occasione di lavoro.
5. MALATTIA PROFESSIONALE: danno che si verifica per esposizione, in genere diluita nel tempo, a
uno o più FR che assumono un ruolo causale nel determinare malattia. A differenza della
precedente, in cui l’esposizione è istantanea e la causa violenta (es. caduta di un peso sul piede)
6. MALATTIA CORRELATA AL LAVORO: malattia in cui l’attività lavorativa svolge un ruolo favorente
nell’insorgenza del fenomeno morboso. I FR presenti nell’ambiente di lavoro possono agire come
concause o fattori di aggravamento della malattia. Es. discopatia lombare da postura incongrua.
1. DATORE DI LAVORO: è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque,
colui che ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri
decisionali e di spesa. Secondo il DL 81/08, gli obblighi del datore di lavoro verso i lavoratori sono:
a) OBBLIGO DI CORRISPONDERE IL TRATTAMENTO ECONOMICO E NORMATIVO DOVUTO:
cioè la retribuzione e i relativi accessori.
b) OBBLIGO DI SICUREZZA: attraverso:
♦ Valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto
dall’articolo 28.
♦ Designazione del RSPP.
♦ Designare i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e
lotta antincendio, evacuazione, primo soccorso e, in generale, della gestione
dell’emergenza.
♦ Fornire ai lavoratori i necessari e idonei Dispositivi di protezione Individuale.
♦ Inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste.
c) OBBLIGO DI TUTELARE LA RISERVATEZZA DEL LAVORATORE
d) OBBLIGO DI INFORMAZIONE: nei confronti del lavoratore e del sindacato.
e) OBBLIGO DI NOMINARE IL MEDICO COMPETENTE: nei casi in cui la legge preveda
sorveglianza sanitaria obbligatoria per i lavoratori a rischio.
2. DIRIGENTE PREPOSTO: è quella persona che a seguito delle comprovate competenze professionali
rende operative le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa ed effettuando gli
adeguati controlli. Gli OBBLIGHI del preposto consistono in:
a) Vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavorator dei loro obblighi di legge.
b) Verificare che solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone
con rischio grave e specifico.
c) Informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e
immediato.
d) Segnalare l’eventuale deficienza dei messi o dei dispositivi di protezione.
e) Frequentare appositi corsi di formazione.
Egli è un consulente del datore di lavoro e dei lavoratori, addetto alla valutazione della
compatibilità lavoro-uomo e uomo-lavoro. Nel DL 81/08 sono 3 g articoli che regolamentano il
ruolo del medico competente:
I medici in possesso dei titoli sono tenuti a frequentare appositi percorsi formativi
universitari.
c) ARTICOLO 25 (OBBLIGHI):
♦ Collabora col datore di lavoro e col servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
♦ Collabora all’attuazione di programmi volontari di promozione della salute.
♦ Programma o effettua la Sorveglianza Sanitaria.
♦ Istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, la cartella sanitaria e di
rischio per ogni lavoratore sottoposta a sorveglianza.
♦ Consegna al datore di lavoro la documentazione in suo possesso al termine dell’incarico
♦ Consegna al lavoratore la copia della CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO (allegato 3A); i
contenuti minimi che bisogna inserire sono:
ANAGRAFICA DEL LAVORATORE.
DATI RELATIVI ALL’AZIENDA (differenza rispetto a una cartella normale).
VISITA PREVENTIVA: per controllare eventuali stati pregressi di malattia.
Programma di Sorveglianza Sanitaria.
EO e accertamenti integrativi: per valutare eventuale ipersuscettibilità
Eventuali provvedimenti del medico competente
GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE SPECIFICA
Scadenza visita medica successiva
VISITE SUCCESSIVE PERIODICHE: valutando:
Reparto e mansione specifica
Variazioni del programma di sorveglianza sanitaria
FR, EO e accertamenti integrativi
GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE SPECIFICA
Scadenza visita medica successiva
♦ Fornisce info ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti.
♦ Informa ogni lavoratore interessato sul risultato della sorveglianza.
♦ Comunica per iscritto i risultati ANONIMI collettivi della sorveglianza effettuata, al fine
di attuare misure per la tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del lavoratore.
♦ Visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno.
♦ Partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori.
La SORVEGLIANZA SANITARIA, secondo l’articolo 2, è definita come l’insieme degli atti medici,
finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di
lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Ha quindi una duplice finalità:
a) Monitorare lo stato di salute di ogni lavoratore al fine di tutelarlo e verificare l’assenza di
controindicazioni allo svolgimento del lavoro.
b) Fornire dati collettivi inerenti l’andamento della salute nell’azienda e nei diversi reparti e
mansioni, al fine di poter leggere l’evoluzione dei rischi e della prevenzione in maniera
oggettiva, cioè senza le variabili riferite al singolo individuo.
Gli ACCERTAMENTI eseguiti dal medico competente (secondo l’art.41 comma 2) possono essere:
a) PREVENTIVI: per constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro
b) PERIODICI: per controllare nel tempo lo stato di salute del lavoratore.
c) SU RICHIESTA DEL LAVORATORE
d) IN OCCASIONE DEL CAMBIO DI MANSIONE
e) ALLA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO: in questo caso la visita potrà essere fatta in
fase preassuntiva o subito prima la ripresa a lavoro.
Sulla base di ciò il medico potrà poi dare un GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE; avremo:
1. IDONEITA’
2. IDONEITA’ PARZIALE, TEMPORANEA O PERMANENTE: a sua volta sarà:
♦ Con prescrizioni: ad es lavoro usano vari DPI o terapia medica.
♦ Con limitazioni: il lavoratore riprende la mansione ma magari riducendo il carico.
3. INIDONEITA’, TEMPORANEA O PERMANENTE: in questo caso il datore di lavoro, se
possibile, può adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o inferiori, garantendo il
trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
Il lavoratore potrà fare ricorso del giudizio del medico entro 30gg dalla data di comunicazione del
giudizio stesso; esiste una sezione dell’ASL definita organo di vigilanza territorialmente competente
costituita da MDL e tecnici non medici che vanno a valutare la cartella clinica, i protocolli, il giudizio
espresso dal medico e infine esprimono un giudizio inderogabile che il lavoratore deve rispettare.
NOZIONI DI TOSSICOLOGIA E IGIENE INDUSTRIALE
TOSSICOLOGIA: è la scienza che studia la natura e i meccanismi degli effetti nocivi delle sostanze chimiche
sugli organismi viventi e sui sistemi biologici; si occupa inoltre della valutazione quantitativa degli effetti
tossici in relazione ai livelli di esposizione, alla loro durata e frequenza. Distinguiamo:
1. Tossicità ambientale: inquinante nell’ambiente.
2. Tossicità occupazionale: sostanze tossiche presenti negli ambienti di lavoro.
Inoltre possiamo distinguere il danno tossico (intossicazione) in:
1. Acuta: esposizione singola o plurima ad un agente pericoloso, ma in breve periodo di tempo (24h).
2. Subacuta
3. Subcronica
4. Cronica: esposizione prolungata e ripetuta a bassi livelli di dose di un agente pericoloso.
I fattori che influenzano la tossicità sono numerosi, ma fra questi i principali sono:
1. Vie di penetrazione: in quanto è ovvio che una sostanza che penetra per os, ad es., può subire un
processo di metabolizzazione rispetto a una sostanza assorbita per via inalatoria, e che quindi passa
direttamente alla circolazione sistemica. In ordine decrescente di efficacia abbiamo:
Inalatoria Intraperitoneale Sottocutanea Im Intradermica Orale Dermica.
Conoscere la via di penetrazione è anche molto importante per definire l’assorbimento della
sostanza, in quanto in caso di DL orale o dermica= alla evassorbimento rapido.
In caso di DL dermica>DL orale assorbimento ridotto dalla cute.
2. Durata e frequenza di esposizione.
c) Effetto locale: effetto prodotto nel sito di primo contatto fra agente tossico e organismo.
d) Effetto sistemico: effetto che coinvolge organi a distanza dal punto di assorbimento.
Dopo aver ottenuto la curva saremo in grado di determinare altri due parametri fondamentali, cioè:
a) POTENZA: concentrazione o dose della sostanza necessaria a produrre una risposta pari alla
metà del valore massimo (EC50 o ED50). Può dipendere:
♦ Affinità per la sostanza verso i recettori.
♦ Frequenza con cui l’effetto si presenta.
E’ ovvio che nell’uomo la determinazione della DL50 è troppo elevata, per cui i utilizzano
valori minori al di sotto dei quali si suppone che la sostanza non abbia effetto (DL5 o DL10).
b) EFFICACIA: entità dell’effetto generato; dipende da:
♦ Potenza della sostanza.
♦ Capacità di raggiungere recettori (dipendente da assorbimento, distribuzione, volume
di distribuzione ecc.).
L’igienista industriale è colui che assume la responsabilità di individuare, valutare e controllare, ai fini della
prevenzione e della eventuale bonifica, i fattori ambientali chimici, fisici, biologici derivanti dall’attività
lavorativa che possono alterare lo stato di salute e benessere dei lavoratori e della popolazione. Egli deve
conoscere e saper applicare:
1. Le metodologie di verifica e controllo della generazione e della propagazione degli agenti di rischio.
2. Le metodologie di valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione umana.
3. Le tecniche di mitigazione di tali rischi, quindi interventi tecnici e gestionali.
La VALUTAZIONE DEL RISCHIO (art. 2 comma 1 del DL 81/08) è la valutazione globale e documentata di
tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori in quell’ambito lavorativo, al fine di individuare adeguate
misure di prevenzione e protezione e elaborare un programma di misure atte a migliorare nel tempo i livelli
di salute e sicurezza. Nella VdR ci si avvale di diverse figure professionali come l’igienista industriale,
l’impiantista, l’ergonomo ecc.
1. Identificazione degli agenti di rischio presenti: devono essere considerate materie prime, intermedi
di lavorazione, prodotti finali, composti secondari non desiderati ma che possono formarsi.
Per ogni sostanza bisogna tener conto delle caratteristiche chimico-fisiche e di quelle tossicologiche
2. Fonti di generazione-emissione: il processo va scomposto nelle singole operazioni e per ciascuna di
queste è necessario conoscere:
a) Parametri operativi: temperatura, pressione, portata.
b) Modalità operative: tecniche di lavorazione e macchinari.
3. Modalità di propagazione dei FR in ambiente: devono essere considerate:
a) La geometria dell’ambiente che può favorire il ristagno dell’inquinante (ad es. ventilazione).
b) Modalità di stoccaggio e trasporto.
c) Caratteristiche chimico-fisiche dei composti nelle condizioni ambientali.
4. Modalità di contato esposizione con gli agenti di rischio: tenendo presente:
a) Vie di assorbimento e concentrazione nell’aria.
b) Dispositivi di protezione adoperati.
c) Modalità di manipolazione.
d) Abitudine igieniche e alimentari.
5. Entità dell’esposizione: considerando i dati di monitoraggio ambientale, la modalità di contatto-
assorbimento, il tipo di attività lavorativa.
6. Presenza di rischi della sicurezza: da valutare in relazione alle caratteristiche di locali e macchinari e
alla presenza dei relativi sistemi antinfortunistici (es. incendi, esplosioni, soffocamento).
1. VALUTAZIONE DI TIPO PRELIMINARE SU BASE DOCUMENTALE: con schema dei reparti, descrizione
del ciclo tecnologico, schede tecniche di macchine e impianti usati, programmi di manutenzione,
dispositivi di protezione individuale ecc.
2. VALUTAZIONE DETTAGLIATA DEL RISCHIO: attraverso utilizzo di algoritmi o misure di monitoraggio
ambientale specifiche e statisticamente significative. Esse sono:
a) Necessarie: nei casi previsti dal DL 81/08
b) Utili: nei casi dubbi o per esposizione e sostanze di elevata tossicità intrinseca o in grado di
provocare danni alla salute, anche se presenti a basse dosi.
a) HEALTH BASED o IOELV (Indicative Occupational Exposure Limit Value): per sostanze per le
quali è possibile stabilire una dose soglia al di sotto della quale esposizioni per 8h/die e x
40h settimanali non causano effetti avversi. Si distinguono in:
♦ NOEL: livello di esposizione sotto il quale non si osservano effetti sulla salute.
♦ LOEL: più basso livello di esposizione con cui si manifestano effetti sulla salute.
b) RISK BASED o BOELV (Binding Occupational Exposure Limit Value): per quelle sostanze per
cui non è possibile stabilire soglie di rischio per alcuni effetti avversi, come genotossicità,
carcinogenicità, sensibilizzazione respiratoria; in questo caso si deve presumere che
qualunque livello di esposizione possa comportare rischio e gli OEL per tali sostanza devono
quindi essere definiti in modo pragmatico (precauzionale).
Gli OEL sono definiti dalla SCOEL, cioè un gruppo di 21 membri dei paesi comunitari, di varie
estrazioni scientifiche, in modo tale da riunire competenze e esperienze diverse per essere in grado
di suggerire limiti occupazionali.
In Italia i valori limite fanno riferimento a quelli imposti dall’ ACGIH; sono valori limite non
ufficialmente vincolanti per legge e quindi vengono utilizzati solo come riferimento generale per
valutare la pericolosità di una sostanza.
Tuttavia vi sono limiti di esposizione ufficialmente e legalmente vincolanti in caso di:
a) TLV-TWA: è il valore limite per esposizioni prolungate nel tempo, cioè la concentrazione
media degli inquinanti presenti nell’aria dell’ambiente di lavoro nell’arco dell’intero turno
lavorativo; esso non va superato nell’arco della giornata.
b) TLV-STEL: è il valore limite per esposizioni di breve durata, cioè la concentrazione alla quale
il lavoratore non può essere esposto per più di 15 minuti, previa la comparsa di irritazioni,
danni irreversibili, riduzione dello stato di vigilanza.
c) TLV-C: valore limite di soglia massimo, cioè quella concentrazione che non può mai essere
superata durante tutto il turno lavorativo, neanche per un istante. E’ un limite previsto solo
per un insieme di sostanze ad azione immediata, irritante sulle mucose o ad effetto
narcotico.
VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO
La VALUTAZIONE DEL RISCHIO (art. 2 comma 1 del DL 81/08) è la valutazione globale e documentata di
tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori in quell’ambito lavorativo, al fine di individuare adeguate
misure di prevenzione e protezione e elaborare un programma di misure atte a migliorare nel tempo i livelli
di salute e sicurezza. Essa prevede diverse fasi:
1. Identificazione degli agenti potenzialmente pericolosi, con successiva valutazione delle loro
potenzialità nocive per la salute.
2. Identificazione dei lavoratori esposti.
3. Valutazione quantitativa della tossicità: definizione della relazione dose-risposta, per studiare la
relazione tra entità della dose o il livello di esposizione all’agente di rischio e la prevalenza di un
determinato effetto negativo nella popolazione esposta.
4. Valutazione dell’esposizione, stimata in modo qualitativo o quantitativo (MA e MB).
5. Caratterizzazione del rischio, ovvero la stima della probabilità e della gravità di eventuali effetti
nocivi in una popolazione esposta a una determinata dose.
6. Giudizio sulla necessità o meno di interventi per prevenire o tenere sotto controllo il rischio.
1. Art. 28: la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori,
compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari come:
a) Rischi collegati allo stress lavoro-correlato
b) Rischi riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza.
c) Rischi connessi alle differenze di genere, età e provenienza da altri Paesi.
Questi tre punti sono una importante NOVITA’ rispetto alla legge 626/94. Inoltre, sempre come
novità alla legge precedente, con la 81/08 la sorveglianza sanitaria ha anche il fine di verificare
l’assenza di alcool dipendenza o uso di sostanze stupefacenti.
Nell’art.28 viene anche regolamentato il DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO, un
documento redatto a conclusione della valutazione e che deve essere munito di:
a) Data certa
b) Firma del datore di lavoro
c) Sottoscrizione da parte di RSPP, RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) e MC.
La GESTIONE DEL RISCHIO prevede invece la valutazione delle conseguenze sociali, economiche e politiche
sulla salute pubblica, con successivo sviluppo di opzioni come sistemi di protezione, monitoraggio
comunicazione del rischio alla popolazione esposta. Essa è regolamentata dall’articolo 15 del DL 81/08,
dove si parla appunto di gestione della prevenzione e delle misure generali da adottare, come:
1. Valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza
2. Programmazione della prevenzione
3. Eliminazione dei rischi o riduzione al minimo e anche sostituzione di ciò che è pericoloso con un
analogo non pericoloso o meno pericoloso.
4. Limitazione al minimo dei lavoratori esposti l rischio e usi di sistemi di protezione
5. Utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro.
6. Controllo sanitario dei lavoratori (SORVEGLIANZA SANITARIA, vedi sopra)
ESPOSIZIONE (su cui agisce il monitoraggio ambientale)(da qui agisce il monitoraggio biologico)
Assorbimento e trasformazione metabolica Interazione con molecole bersaglio effetti biologici
precoci alterazione del rapporto struttura/funzione MALATTIA
A che serve:
a) Verifica dei livelli di inquinamento
b) Verifica dell’efficacia di misure di prevenzione
Campionamento personale:
• Valutazione dell’esposizione cutanea: attraverso:
♦ Pads: fogli di forma rotonda o quadrata di vario materiale (alfa-
cellulosa, garza chirurgica, cotone ecc), piccole dimensioni. Essi sono
compresi fra 2 fogli di supporto (di alluminio o plastica), uno posto al di
sotto mentre l’altro, al di sopra, è tagliato per permettere l’esposizione
della superficie di raccolta. Vengono applicati tramite cerotti.
L’esposizione viene calcolata estrapolando i livelli di contaminazione
del pad all’intera regione anatomica rappresentata dal pad stesso.
♦ Indumenti: coprono intere regioni anatomiche o tutto il corpo; gli
indumenti vengono indossati per tutto il turno e successivamente
vengono ritagliati per sezione anatomica e trattate per estrarre il
fitofarmaco e procedere con l’analisi. In questo caso non c’è
estrapolazione in quanto i livelli di contaminazione sono relativi a tutta
l’area corporea.
• Valutazione dell’esposizione inalatoria: attraverso FIALE e FILTRI; abbiamo:
♦ Campionamento attivo: aspirazione di un volume d’aria attraverso il
sistema di campionamento (pompa), che poi viene fatto passare
attraverso una sostanza adsorbente selettiva in grado di intrappolare i
composti inquinanti (es. Button Sampler o IOM).
♦ Campionamento passivo: si utilizza un supporto adsorbente
(campionamento per diffusione); in questo caso il campionatore è
costituito da una scatola chiusa con 2 superfici, una diffusiva e una
adsorbente. Es. sono i campionatori passivi a simmetria radiale (es.
RADIELLO) e quelli a SIMMETRIA ASSIALE.
Il ricorso a questi indicatori è finalizzato alla prevenzione di effetti nocivi sul singolo
lavoratore ma non sono da considerarsi indicatori precoci di malattia; la loro presenza
impone solo la rimozione del FR o il suo contenimento.
d) NUOVI INDICATORI “OMICI”: sono gli indicatori del futuro, che ci permettono di valutare le
alterazioni genomiche conseguenti all’esposizione ad un tossico; es.
♦ Trascrittomica: frazione del genoma trascritta in RNA
♦ Proteomica: proteine prodotta dalla trasduzione
♦ Metabolomica: metaboliti prodotti dalle proteine.
Così come per il MA, anche qui abbiamo delle strategie di monitoraggio (come si fa):
a) RACCOLTA INFORMAZIONI: tenendo conto di:
♦ Caratteristiche chimico-fisiche: così da poter conoscere la modalità di campionamento,
i contenitori da adoperare e eventuali condizioni di stabilità del composto
♦ Informazioni tossicologiche (tossicocinetiche e tossicodinamiche): così da poter
conoscere cosa e dove dosarlo, gli effetti ecc.
♦ Personale esposto e caratteristiche dell’esposizione: tenendo conto di:
Fattori di suscettibilità.
Mansioni: se agricole (sistema aperto) o industriali (sistema chiuso).
Caratteristiche dell’esposizione.
♦ Verifica dell’esistenza di Metodi ufficiali e Normativa specifica.
a) Variabilità individuale
b) Esistenza di un numero limitato di indicatori disponibili
c) Non sempre sono note le conoscenze tossicocinetiche e tossicodinamiche di uno
xenobiotico, necessarie per l’impiego dell’indicatore
d) Il progressivo miglioramento delle condizione dei luoghi di lavoro ha determinato la
progressiva riduzione dei livelli di esposizione, quindi sono necessarie tecniche sempre più
sensibili.
RISCHIO CHIMICO
Rappresenta il rischio connesso con la presenza nel ciclo lavorativo di sostanze o miscele chimiche
pericolose che, a seconda della loro natura, possono dar luogo a:
a) Molto tossico: sostanze che in piccolissime quantità possono essere mortali o provocare
lesioni acute o croniche.
b) Tossico: sostanze che in piccole quantità possono essere mortali o provocare lesioni acute o
croniche.
c) Nocivo: sostanze che possono essere mortali o provocare lesioni acute o croniche.
d) Corrosivo: sostanze con azione distruttiva sui tessuti con cui vengono a contatto
e) Irritanti: sostanze ad azione infiammatoria diretta sui tessuti con cui entrano in contatto.
f) Sensibilizzanti: sostanze che possono dar luogo a reazioni di ipersensibilizzazione, per cui
una successiva esposizione produce effetti caratteristici
g) Cancerogeno: sostanze che possono provocare cancro o aumentarne la frequenza
h) Mutageno: sostanze che possono produrre difetti genetici ereditari o aumentare la freq.
i) Tossico per il ciclo riproduttivo: effetti nocivi non ereditari nella prole o a carico della
funzione riproduttiva maschile o femminile.
j) Pericoloso per l’ambiente: rischi immediati o differiti per delle componenti ambientali.
♦ Il miglioramento della conoscenza dei pericoli e dei rischi derivanti da prodotti chimici
(classificazione).
♦ La comunicazione del rischio, delle corrette misure di gestione e delle condizione
operative per un uso sicuro delle sostanze chimiche. Strumenti indispensabili per tale
comunicazione sono ETICHETTA e SCHEDA DATI DI SICUREZZA (SDS, dove si riportano
informazioni chimico-fisiche, uso della sostanza, condizioni operative e gestione), che
riportano:
b) REGOLAMENTO CLP (Acronimo di Classification, Labelling and Packaging): esso aggiorna i
criteri di classificazione e modalità di comunicazione attraverso:
♦ Nuovi criteri di classificazione: identificazione delle sostanze chimiche pericolose.
♦ Fornitura di etichette e schede di dati di sicurezza: strumenti necessari per segnalare
agli utenti i pericoli correlati all’uso di quelle sostanze, aggiornate al GHS (Globally
Harmonized System, un ente che ha armonizzato i criteri di classificazione a livello
mondiale). Le modifiche rispetto al REACH consistono in:
Aggiunta di miscele al posto di “soluzione composta da una o più sostanze”
Modifica di “categorie di pericolo” in “classi di pericolo”: il CLP definisce 28 classi
di pericolo, di cui 16 di pericolo fisico, 10 di pericolo per la salute umana, 1 di
pericolo per l’ambiente e 1 per le sostanze pericolose per lo strato di ozono.
Modifica di “frase di rischio R” in “indicazione di pericolo H( Hazard statement)”:
a ogni pericolo è assegnato un codice univoco alfa-numero con 1 lettera (H) e 3
numeri, di cui il 1° indica il tipo di pericolo.
Modifica di “frase di prudenza S” in “consiglio di prudenza P (precautionary
statement): anche esso con un codice alfa numerico con 1 lettera (P) e un numero
che indica il tipo di precauzione da adottare:
1= generico
2= prevenzione
3= risposta
4= immagazzinamento
5= eliminazione
Modifica di “indicazione di pericolo” in “avvertenze”
Modifica di “simboli di pericolo” in “pittogrammi”
Scheda di sicurezza e etichetta devono essere sempre allegate al prodotto, fornite dalla
ditta produttrice, in italiano e forniscono info sulla pericolosità della sostanza e su come va
manipolata, stoccata e smaltita.
ETICHETTA destinata sia ai consumatori che ai lavoratori.
SDS destinata all’utilizzatore professionale per consentire al datore di valutare se sul
luogo di lavoro vi sono agenti chimici pericolosi e i rischi connessi al loro uso. Essa:
♦ Deve essere compilata nella lingua dello stato in cui avviene l’immissione sul mercato.
♦ Deve riportare la data di compilazione
♦ Deve essere redatta in modo chiaro e preciso
♦ Deve usare linguaggio semplice
♦ Deve essere fornita gratuitamente, in modo cartaceo o elettronico
♦ Deve essere predisposta a prescindere dal volume di produzione.
Tossicocinetica e tossicodinamica: gli agenti chimici possono penetrare nell’organismo umano per varie vie,
quali quella inalatoria, digerente e transcutanea; passano quindi al circolo ematico e si distribuiscono ai vari
compartimenti in funzione di:
1. Vascolarizzazione
2. In base alle caratteristiche chimico-fisiche: per cui possiamo avere accumulo (composti lipofili),
rapida eliminazione per via respiratoria (composti volatili) o renale (composti idrofili) ecc.
1. Se il rischio è non basso o non irrilevante per la salute: bisogna sostituire l’agente pericoloso con
altri che non lo siano o lo siano meno, uso di DPI e mezzi adeguati, MA e MB.
2. Se il rischio è basso: solo misure di protezione generiche.
Per quanto riguarda la Gestione del rischio chimico, essa è regolamentata dall’articolo 224, secondo cui i
rischi legati ad agenti chimici devono essere eliminati o ridotti al limite mediante:
Per quanto riguarda i METALLI PESANTI, essi sono metalli con numero atomico solitamente superiore a
quello del ferro (NA 26), con una densità molto elevata (>5g/cm3) e causa di inquinamento e tossicità negli
organismi biologici; la loro tossicità è legata al fatto che nella formazione di Sali si comportano da cationi, i
quali sono capaci di legare facilmente i gruppi sulfidrilici (-SH), generalmente presenti negli enzimi che
controllano la velocità delle reazioni metaboliche nel corpo umano. Il complesso metallo-zolfo determina
poi inibizione enzimatica.
I metalli essenziali per i sistemi biologici (a basse o bassissime dosi) sono Cr, Mn, Fe, Co, Cu e Zn.
PIOMBO
E’ un metallo pesante dall’aspetto lucido e colore bluastro, piuttosto morbido, molto malleabile e duttile; è
un mediocre conduttore di elettricità ma molto resistente alla corrosione. A contatto con l’aria di ossida e si
annerisce.
1. Professionali: per estrazione da minerali, processi galvanici, saldature, stampa (in passato),
ceramica o vernici. I principali lavoratori esposti a questo tipo di metallo sono quindi:
a) Addetti alla produzione e raffinazione del metallo dai minerali.
b) Costruzione o demolizione di accumulatori.
c) Saldatura
d) Utilizzo di additivi al Pb nell’industria della plastica.
e) Cantieristica stradale.
2. Extra professionali: proiettili, alimenti o bevande, ceramiche, sigarette (trattamento con pesticidi a
base di piombo), picacismo (ingestione di sostanze non nutritive).
Tossicocinetica:
A parità di dose, il Pb ingerito produce meno danni rispetto a quello inalato in quanto solo
un 20% viene assorbito, mentre il resto viene eliminato con le feci.
2. Distribuzione: una volta assorbito il Pb si equilibra tra liquidi extra cellulari e plasma, dove in parte
lega le proteine come l’albumina e in parte resta diffusibile, distribuendosi immediatamente ad
encefalo, fegato e reni e solo successivamente ad ossa e denti. In parti inoltre può passare a saliva,
latte e placenta (con distribuzione nell’organismo fetale uguale a quella dell’adulto).
Il rapporto Pb eritrocitario-Pb plasmatico varia tra 99:1 e 95:5 a seconda della concentrazione tot
del metallo; la maggior concentrazione si ha comunque a livello si fegato, reni e SNP.
Per quanto riguarda il tempo di dimezzamento, esso corrisponde a 1-2gg nel plasma e circa 40gg
nei tessuti molli.
Distinguiamo quindi:
1. EFFETTI GI: per azione sui muscoli lisci dell’intestino. Possiamo avere:
a) STIPSI: manifestazione precoce, soprattutto negli adulti, che tende a peggiorare col
procedere dell’intossicazione, associandosi anche ad anoressia; talora invece abbiamo
diarrea.
b) COLICA SATURNINA: spasmo intestinale, tipico soprattutto delle forme avanzate da
intossicazione acuta, caratterizzato da dolore è crampiforme, violento, continuo e diffuso
ma particolarmente concentrato a livello della regione periombelicale. A ciò si associa:
♦ Chiusura dell’alvo a feci e gas
♦ Oliguria
♦ Ipertensione
♦ Iperazotemia transitoria
In genere, se la colica non è grave, l’allontanamento dalla fonte di esposizione può essere
sufficiente alla regressione dei sintomi.
DD con addome acuto, in cui abbiamo febbre, leucocitosi neutrofila e palpazione dolorosa,
invece assenti nella colica saturnina (alla palpazione il pz sente addirittura sollievo).
2. EFFETTI SUL SNC E SUL SNP:
a) EFFETTI NEUROMUSCOLARI:
♦ PARALISI SATURNINA (intossicazione subacuta): rara, si associa inizialmente a
debolezza muscolare e astenia e solo successivamente ma non necessariamente
compare la paralisi, in particolare dei muscoli particolarmente attivi come estensori
dell’avambraccio, polso e delle dita e muscolatura estrinseca dell’occhio.
♦ PARALISI DEI MUSCOLI ESTENSORI DEL CARPO (da intossicazione cronica): in particolare
dei muscoli innervati dal nervo radiale, è considerabile come un segno patognomonico
della malattia (caduta del polso); in genere non si associa a coinvolgimento sensoriale.
4. EFFETTI RENALI: l’esposizione cronica a Pb causa alterata regolazione del Sistema RAA, dei canali
Na+-K+ e Ca2+, con alterazione del controllo pressorio. Inoltre possiamo avere due distinti quadri:
a) Disturbo reversibile a livello dei tubuli renali in genere nei bambini postesposizione acuta
b) Nefropatia interstiziale irreversibile tipica di esposizioni industriali a lungo termine.
Clinicamente avremo una sindrome tipo Fanconi con proteinuria, ematuria, cilindruria, iperuricemia
e gotta.
5. ALTRI EFFETTI:
a) SI: esposizione a alte dosi inibisce l’attività di linfo B, T e NK e aumento dei livelli di IL4 e
IgE, con comparsa di fenomeni allergici.
b) OSSO: sostituzione del Pb con Ca e quindi aumentato riassorbimento osseo, ridotta densità
corticale e aumentato rischio di fratture e infezioni.
c) COLORITO CINEREO DEL VISO E PALLORE DELLE LABBRA
d) PUNTEGGIATURA RETINICA
e) ORLETTO DI BURTON: orletto nero-grigiastro a livello del margine gengivale dovuto a
deposizione periodontale di solfuro di piombo (per reazione di Pb con idrogeno solforato
proveniente dagli alimenti).
f) INVECCHIAMENTO PRECOCE CON POSTURA INCURVATA
g) EFFETTI ENDOCRINI: con ridotta fertilità, ridotta conta spermatica, ridotta funzionalità
tiroidea e danni al feto da passaggio della BEP.
h) ALTERAZIONE DEL CYP450 E DEL METABOLISMO DI V.D E LIPIDI
i) EFFETTI MUTAGENI/CANCEROGENI: a livello di SNC, stomaco e rene.
La valutazione dell’entità di Pb assorbito dovrebbe essere fatta dosando il metallo diffusibile nel
plasma; questo tuttavia non è possibile in quanto tale parametro non è misurabile in modo
attendibile, motivo per cui gli indicatori di dose che utilizziamo sono:
a) Concentrazione di Pb nel sangue (Piombemia-PbB)
b) Concentrazione di Pb nelle urine (Piomburia-PbU)
c) Concentrazione di Pb nelle urine dopo somministrazione di un farmaco chelante PbU-EDTA
In particolare:
a) Per l’esposizione recente: andiamo a misurare:
♦ PbB: confrontandolo con i valori di Pb atmosferica, per distinguere fra soggetti normali
e soggetti dall’assorbimento abnorme.
♦ PbU
b) Per l’esposizione pregressa (accumulo): usiamo la PbU EDTA dopo somministrazione di un
farmaco chlante (VERSENE).
Per quanto riguarda invece gli indicatori di effetto, andremo a valutare l’alterazione della sintesi
dell’eme e quindi di enzimi come ALA deidratasi, ALA U, protoporfirina 9 ecc.
PARTICOLATO ATMOSFERICO
Il particolato è formato da particelle fini ed ultrafini, che possono essere causa di danni a carico
dell’apparato respiratorio, cardiovascolare, cutaneo, SNC. Le particelle sono classificate in
1. PM10: frazione grossolana, solo le più innoque perchè non raggiungono le vie aeree più fini
2. La frazione più fine che arriva agli alveoli
3. La frazione ultrafine (nanoparticelle) che dagli alveoli diffondono a tutto l’organismo
La frazione inalabile sono tutte le particelle che penetrano nell’albero respiratorio attraverso le narici e la
bocca durante un normale atto respiratorio.
La frazione toracica sono le particelle fini che raggiungono la trachea.
La frazione ultrafine sono le particelle che arrivano ai sacchi alveolari.
Una volta penetrati, attraverso il sangue, raggiungono vari organi come il SNC (probabilmente attraverso il
nervo olfattivo), il fegato, la milza ed altri.
Il meccanismo patogenetico comune a tutti i tipi di danno indotti da queste particelle consiste in:
1. Danno diretto: per attivazione del processo infiammatorio con rilascio dei vari mediatori da parte
della particella stessa (che essendo piccola supera la barriera capillare e raggiunge il sangue)
2. Danno indiretto dovuto alle sostanze introdotte nell’organismo, come i metalli che le particelle
captano dall’atmosfera.
Il danno interessa tutte le strutture cellulari: nucleo, membrana, ribosomi, l’apparato del Golgi e così via.
Per tale motivo l’amianto è stato usato nella creazione dei soffitti e pareti di case, impianti sportivi,
alberghi, scuole; nell’industria tessile per la creazione di tessuti ignifughi per le varie attività dove è
necessario prevedere questo tipo di rivestimento; l’industria ferroviaria e navale (costruzione di
rivestimenti condensanti e pannelli) hanno largamente utilizzato l’amianto.
Le lavorazioni dove maggiormente l’amianto ha esposto i lavoratori a intossicazione e all’insorgenza di
mesotelioma sono state l’estrazione in cava o miniera, l’industria del cemento, l’industria dei freni,
l’industria tessile, chimica, dei cartoni. Tutte queste industrie ora devono utilizzare materiali alternativi.
Dal 1992 la legge 257 vieta l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione di amianto o di prodotti
contenenti amianto. L’esposizione lavorativa all’amianto oggi si ha solo in un caso: attività lavorative che si
occupano della bonifica di ex strutture che ancora contengono amianto al loro interno; nella nostra regione
Campania ce ne sono ancora tantissime. Nel decreto ministeriale del 6/9/1994 vengono dettati i requisiti
minimi per attività che espongono lavoratori all’amianto nello smaltimento dell’amianto stesso; esistono
degli spogliatoi noti come unità UDP, il cui fine è quello di evitare il rilascio di indumenti nell’ambiente e
quindi l’esposizione all’amianto non solo del lavoratore, ma anche dei familiari.
Patogenesi: le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più
grandi vengono eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei
bronchioli respiratori, dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che porterà
all’insorgenza della fibrosi polmonare che è alla base dell’asbestosi. La chemiotassi dei macrofagi, con
l’intervento del complemento, inizia con una tempistica di 48-72 ore. Non tutti i macrofagi sopravvivono al
contatto con le fibre di amianto; alcuni vanno incontro a citolisi, altri inglobano le fibre e rilasciano fattori di
crescita per altre cellule, soprattutto fibroblasti. Un fattore fondamentale nell’iniziazione e perpetuazione
del processo flogistico è FGF e la Fibronectina. Oltre ai fibroblasti sono coinvolte altre cellule flogistiche che
contribuiscono all’insorgenza e alla formazione del granuloma fibrotico che si crea a livello del parenchima
polmonare. Macrofagi attivati, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo
infiammatorio che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell’asbestosi.
Anatomia patologica:
All’esame macroscopico il polmone asbestosico:
1. In fase iniziale di esposizione all’amianto non presenta le lesioni tipiche asbestosiche.
2. Nelle forme più avanzate, quando c’è stata un’esposizione maggiore all’amianto, i polmoni si
presentano di volume ridotto e consistenza aumentata.
All’esame microscopico tutte le fibre di asbesto sono in grado di provocare una fibrosi interstiziale diffusa
che comincia inizialmente nei lobi inferiori polmonari, poi diffonde a tutti i campi polmonari, dx e sx.
È importante sottolineare che per fare DD con un’altra pneumoconiosi (l’asbestosi è una pneumoconiosi di
tipo collagenico perché le cellule infiammatorie rilasciano collagene a livello dell’interstizio polmonare), la
silicosi, si tiene conto di alcune caratteristiche tipiche:
1. Interessamento di zone diverse a livello polmonare: se a livello anatomo-patologico le fibre di
asbesto inizialmente si localizzano ai lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi la
localizzazione avviene soprattutto a livello medio- apicale.
2. Presenza dei corpuscoli di asbesto: tipici dell’asbestosi e non presenti nella silicosi. Essi sono fibre
di asbesto inglobate in fagolisosomi, presenti nel sito di flogosi polmonare, che al loro interno
presentano proteine con ferro che circondano la fibra. Sono detti corpi ferruginosi e sono presenti
a livello polmonare in corso di asbestosi.
Clinica: l’EO presenta delle caratteristiche tipiche; il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni
dall’esposizione all’amianto presenta:
Diagnosi:
1. Esame metodologico: la differenza (domanda d’esame) tra un esame semeiologico fatto in fase
avanzata di esposizione rispetto a un esame semeiologico fatto nei primi due anni di esposizione
all’amianto, è questa: a livello ausculatorio e percussorio abbiamo:
a) In fase iniziale: assenza completa di rumori, ascoltate il murmure vescicolare fisiologico.
b) Nelle fasi avanzate dell’esposizione: ascoltate reperti tipici, rantoli o crepitii teleinspiratori
su tutti gli ambiti polmonari. I rantoli migranti (migranti perché all’orecchio percepite
questi rumori che sembrano migrare perché presenti su tutti gli ambiti polmonari), si
sentono in fase di teleinspirazione nelle fasi avanzate dell’esposizione.
2. Prove di funzionalità respiratoria, proposte dal medico del lavoro. L’indagine di più facile
somministrazione è l’esame spirometrico. Solo nei casi conclamati quando c’è positività all’esame
semiologico di rantoli, anche a livello diagnostico avremo una positività all’esame spirometrico.
3. Altre indagini fatte solo in fase più avanzata sono:
a) Test di diffusione polmonare di CO;
b) Esame dell’espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti;
c) Fibrobroncoscopia e BAL;
d) Scintigrafia polmonare con Gallio 67;
e) HRTC, ancor prima dell’rx torace; a livello radiologico viene utilizzata la classificazione
dell’ILO (International Labour Office), secondo la quale le fibre che si manifestano come
opacità lineari a livello dell’esame radiografico, vengono distinte a seconda del diametro.
♦ Le fibre con opacità di diametro fino a 1.5mm vengono classificate con la lettera s
♦ Tra 1.5-3mm con la lettera t
♦ Tra 3-10mm con la lettera o.
A livello delle sezioni effettuate tramite HRTC è possibile vedere le stesse opacità in
maniera ancora più evidente. A ex esposti all’amianto è difficile che venga proposta solo
l’RX del torace ma si procede quasi sempre alla HRTC, perché la TC ha anche la possibilità di
vedere le placche pleuriche, ispessimenti a livello della pleura parietale che si manifestano
dopo 15-20 anni dall’esposizione all’amianto.
MESOTELIOMA PLEURICO
I mesoteliomi più frequenti (95% associai all’esposizione all’amianto) sono mesoteliomi epiteliali, con una
tempistica dalla scoperta al decesso di brevissima durata e che fortunatamente rappresentano il 50%
rispetto a quelli completamente indifferenziati, a decesso ancora più rapido, che rappresentano il 10%.
Epidemiologia: si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1.000.000; in Europa è previsto un
rapporto maggiore M>F; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione a fibre di asbesto e nel
20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare esposto.
Studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore determinante l’insorgenza del mesotelioma
nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma il tempo trascorso dalla prima esposizione. Altre
forme di mesotelioma a livello di altre sierose sono meno frequenti ma sono comunque state osservate
negli ex esposti all’amianto con i loro familiari a livello peritoneale, del pericardio e della tunica vaginale.
Non tutti gli edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli sottoposti più a
vibrazioni o dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle pareti o se sono in condizioni di
non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente disperdono nell’aria le fibre).
Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGIH si può avere un’esposizione (questo vale per i
lavoratori che lo smaltiscono in condizioni di iperprotezione, con utilizzo dell’unità UFP e dello scafandro) di
0.1fibra per cm³. (cm³ è in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova a inalare queste fibre).
Il datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni dell’edificio e monitoraggio
ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto disperse nell’edificio.
Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffratrometria, spettrometria) che vanno ad
analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, messe su dei vetrini, conteggiate e quantizzate.
Con il DL 257/92, oltre a stabilire un VLE per coloro che vengono a contatto con le fibre di amianto, sono
state date indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici a base di amianto:
1. Rimozione: è un tipo di eliminazione che prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di
fibre; rappresenta un rischio molto elevato per gli addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli
che smaltiscono. Essa da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro non viene
realizzata perché determina una grossa emissione e non rispecchia il principio di protezione e
prevenzione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo l’esposizione.
2. Incapsulamento e confinamento: sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate in tutti gli
edifici per rimuovere, eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di
amianto. L’incapsulamento viene effettuato attraverso prodotti chimici che vanno ad adsorbire le
fibre, ad es delle pellicole di protezione nelle stanze dove è più presente la dispersione rispetto alle
altre.
I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la permanenza del materiale di amianto
nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di manutenzione viene fatto ogni anno.
Se questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche vengono fatti ogni anno si può
anche lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una manutenzione periodica.
Il confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree dove è più presente l’amianto.
Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in merito all’amianto.
SILICOSI
Per pneumoconiosi intendiamo patologie polmonari legate ad accumulo di polveri nei polmoni e alla
reazione stromale che ne deriva. L’inalazione non avviene mai per una singola sostanza chimica, ma si ha
per una miscela di polveri tra cui la silice, ossido di ferro e ossido di alluminio, che hanno caratteristiche
fisico-chimiche variabili. Quello che ne deriva sono reazioni fibrotiche nodulari dei polmoni, i granulomi, la
cui gravità e evoluzione dipendono dalla suscettibilità individuale del soggetto. Distinguiamo:
La silicosi è una pneumoconiosi sclerogena collagenica collegata all’inalazione di quantità variabili di silice
libera o biossido di silice; la tipologia di silice (che è una sostanza presente nella crosta terrestre) più diffusa
è il quarzo, quindi si parla di silice di quarzo. Le lavorazioni che ancora oggi prevedono l’esposizione a silice
sono: industria mineraria, siderurgica, della ceramica, del vetro e cristallo, nonché del cemento.
Eziopatogenesi: le particelle di silice entrano a livello delle vie aeree e si distribuiscono a secondo delle
dimensioni, della forma, e della massa.
1. Quella da 5-15µm impattano le vie aeree ciliate e vengono eliminate dalla clearance.
2. Le più piccole vanno a depositarsi a livello degli alveoli dei lobi superiori. La reazione flogistica che
si viene a creare è molto simile a quella dell’asbestosi: entro 48h dalla deposizione delle particelle
di silice, gran parte di queste vengono fagocitate dai macrofagi.
Alcuni macrofagi raggiungono tramite movimento ameboide le vie aeree ciliate e vengono eliminati
dalla clearance; altri restano vitali e rilasciano citochine, come TNFα, vTGF e TGFβ, che richiamano
neutrofili e fibroblasti e vanno a perpetuare il processo infiammatorio.
Si creano così i noduli silicotici, costituiti non solo da monociti e macrofagi ma anche neutrofili,
eosinofili, mastociti, linfociti T e B; la creazione del tessuto di granulazione determina inoltre la
neoangiogenesi, con formazione di endotelio vascolare e l’evoluzione verso la fibrosi polmonare.
Tutto ciò va a distruggere la trama bronco alveolare.
a) Nello stadio iniziale si crea un nodulo che presenta molte cellule flogistiche.
b) Col passare del tempo, 15-20 anni dopo l’esposizione, le cellule lasciano il posto al
collagene rilasciato dai fibroblasti.
c) In fase finale, il nodulo non ha più forma rotondeggiante ma sferica, con la caratteristica
presenza di tre zone concentriche:
♦ Zona esterna: la più giovane, formata da fibre collagene disposte in modo disordinato
♦ Zona intermedia: formata da fibre collagene in maniera ordinata;
♦ Zona interna: zona centrale completamente ialinizzata e priva di cellule.
I noduli silicotici, all’inizio singoli, vanno poi a confluire e si formano grosse opacità radiologiche.
L’accumulo intrapolmonare di polvere fibrogenetica determina quindi un’alterazione permanente
dell’architettura alveolare, con reazione stromale collagenica e fibrosi polmonare cronica dose
dipendente, la cui entità dipende anche però ipersuscettibilità individuale. Quella condizione di
distruzione a livello alveolo capillare, che si osserva in fase finale nel silicotico e asbestosico,
determina di riflesso un cuore polmonare cronico, che risulta il finale di un soggetto con
pneumoconiosi collagenica.
Clinica: la silicosi nodulare può manifestarsi in varie forme:
1. Decorso cronico:
a) semplice: più frequente, ha una latenza di 20 anni dall’esposizione; inizialmente è
completamente asintomatica, ma in fase avanzata si presenta con dispnea, tosse secca o
produttiva, eventuale sovrainfezione con bronchite cronica con febbre e ippocratismo
digitale.
A causa della sovrapposizione di bronchiti e asma presenta un quadro tipicamente
ostruttivo
b) cronico complicato con fibrosi
2. Decorso accelerato
3. Decorso acuto (con proteinosi alveolare silicotica? la prof non è chiara)
La IARC ha inserito la silice nei sicuri cancerogeni e il finale della patologia è il cuore polmonare cronico. A
livello radiologico si utilizzano gli stessi parametri dell’asbestosi: le lettere alfabetiche che vanno ad
etichettare non la fibra ma il diametro delle opacità nodulari. A secondo del diametro la lettera potrà
essere p, q, r, s, t, u in base alla grandezza dei noduli. (consiglia di vedere questa cosa da soli)
Il follow-up viene fatto in base al diametro di queste opacità che vanno a superare anche i 5cm, 10cm.
La prognosi è legata alla ipersuscettibilità individuale, quindi alle caratteristiche del singolo individuo (non
solo la genetica, ma tutte le abitudini voluttuarie e alimentari che insieme al pattern genetico fanno la
differenza nell’insorgenza in tempi più o meno rapidi della patologia).
Valore limite di esposizione, il TLV-TWA (valore di massima esposizione in una giornata lavorativa di 8h per
un totale di 20h settimanali) secondo l’ACGH deve essere di 0.025mg/m³; se è superiore scattano una serie
di misure immediate di segnalazione all’ASL, chiusura della struttura dopo le quali il lavoratore non
dovrebbe più essere esposto. Solo con le misure di prevenzione, solo con adeguati dispositivi di protezione
individuale e formazione di sorveglianza sanitaria è possibile tenere sotto controllo questa patologia.
AGENTI CANCEROGENI
Per tumore professionale si intende un tumore per cui l’esposizione ad agenti cancerogeni durante
l’attività lavorativa è causa (condizione necessaria e sufficiente) o concausa (condizione necessaria ma non
sufficiente); in questo caso diagnosi difficile perché magari l’esposizione è avvenuta anni e anni prima.
Possiamo distinguere due categorie di tumori lavoro-correlati: Per frazione eziologica si
1. Tumori a frazione eziologica medio-alta (o tumori patognomonici): in cui intende il rapporto fra la
l’incidenza del tumore nella popolazione lavorativa è maggiore rispetto a differenza assoluta di
quella della popolazione generale e risultano rari in assenza di esposizione rischio tra esposti e non
(es. mesoteliomi, neoplasie naso-sinusali, angiosarcomi epatici). esposti e rischio negli
2. Tumori a frazione eziologica professionale medio-bassa: in cui la diagnosi di esposti.
MP non è certa ma possibile (es. neoplasie polmonari, vescicali,
dell’apparato emolinfopoietico, laringe e cute).
La differenza quindi tra tumore professionale e lavoro correlato è proprio il fatto che nel primo il tumore si
ha solo con esposizione, mentre nel secondo il tumore si può avere anche nei non lavoratori, ma tende ad
esserci maggior frequenza in caso di alcune categorie lavorative.
Per ogni specifica patologia tumorale è necessario conoscere lo specifico periodo di latenza (tempo tra
inizio dell’esposizione e manifestazione clinica) in quanto la diagnosi eziologica è possibile quando vi è
compatibilità fra inizio esposizione e inizio clinico della malattia (plausibilità biologica), per cui l’esposizione
deve essere stata sufficiente nell’indurre o promuovere la neoplasia. Il periodo di latenza può dipendere da:
1. Potenza cancerogena dell’agente
2. Entità o tempo di esposizione
3. Suscettibilità d’organo
4. Fattori individuali
a) AGENTI EPIGENETICI: cancerogeni che non interagiscono direttamente col DNA ma possono
produrre alterazioni nella sua struttura terziaria. Essi presentano effetti deterministici, con
una dose soglia al di sotto della quale non compaiono malattie.
b) AGENTI GENOTOSSICI: che interagiscono direttamente col DNA. Questi a loro volta possono
essere distinti in
♦ DIRETTI: non necessitano di alcuna trasformazione chimica per espletare la loro azione
cancerogena. Es. agenti alchilanti e acilanti.
♦ INDIRETTI: necessitano di essere trasformati in cancerogeni attivi attraverso uno o più
passaggi del metabolismo di fase I o attraverso sviluppo di ROS. Es. amine aromatiche.
In questo caso abbiamo effetti probabilistici in assenza di dose soglia, anche se sono state
dimostrate relazioni dose-risposta. Possiamo dividere sulla base di ciò 4 gruppi:
♦ GENOTOSSICI SENZA SOGLIA
♦ GENOTOSSICI SENZA SOGLIA AL MOMENTO SUFFICIENTEMENTE SUPPORTATA
♦ GENOTOSSICI PER CUI E’ AMMISSIBILE UNA SOGLIA PRATICA (PRECAUZIONALE)
♦ NON GENOTOSSICO: per il quale è possibile stabilire una soglia.
La SCOEL ammette la possibilità di definire gli OEL per i cancerogeni del gruppo C e D.
Classificazione dei cancerogeni: esistono molte classificazioni da parte di vari enti, ad es.
a) IARC:
b) ACGIH:
c) CLP:
PREVENZIONE PRIMARIA
Il datore di lavoro evita o riduce l’uso dell’agente cancerogeno
sostituendolo con uno non nocivo o meno nocivo; se non possibile,
bisogna utilizzare l’agente mutageno in un sistema chiuso.
MA MB
Misura degli addotti al DNA.
Indici di effetto precocitecniche citogenetiche
PREVENZIONE SECONDARIA Indici di effetto tardivimarkers tumorali e citologia
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per tutti i lavoratori che si sospetta siano esposti all’agente,
i quali vengono iscritti nel registro di esposizione, in cui è
riportato l’agente cancerogeno a cui è stato sottoposto il
lavoratore e eventualmente le concentrazioni.
Differenza tra agente chimico e cancerogeno? Gli esposti agli agenti cancerogeni sono iscritti ad un registro
nazionale dei tumori e vi sono tre tipi di registri
RISCHIO FISICO
RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI
Sulla base di ciò, si definisce lavoratore esposto a radiazioni ionizzanti colore che hanno una
esposizione annua >o= 1mSv. In particolare distinguiamo:
a) Categoria A: esposizione annua 6-20 mSv
b) Categoria B: esposizione annua 1-6 mSv
Classi esposte:
In ambito industriale:
Taglio di materiali ad elevata resistenza (acciaio, leghe dure, diamanti..)
Marcature ed incisioni
Saldatura di componenti metallici
Misurazioni dimensionali delle superfici
Nella vita quotidiana: discoteche, telecomunicazioni e reti informatiche.
Spettacolo: effetti speciali.
Classificazione: le categorie di rischio delle sorgenti laser sono stabilita sulla base dei
LEA (Limite di Esposizione Accettabile, cioè il livello di radiazione massimo di una
sorgente cui può accedere un operatore), la cui valutazione permette la collocazione
dell’apparecchio nell’opportuna categoria di rischio. Essi vengono determinati sulla
base dello studio della sogli di danneggiamento per l’occhio e la cute in funzione della
lunghezza d’onda e della durata di esposizione.
Distinguiamo 7 classi di sicurezza:
Classe 1: sono sicuri nelle condizioni di funzionamento ragionevolmente
prevedibili, incluso l'uso di strumenti ottici per la visione diretta del
fascio.
Classe 2: emettono radiazione visibile nell'intervallo di lunghezze d'onda Nessuna
tra 400 e 700 nm; la protezione dell'occhio è normalmente assicurata precauzione
dalle reazioni di difesa compreso il riflesso palpebrale, nelle condizioni
di funzionamento ragionevolmente prevedibili, incluso l'uso di
strumenti ottici per la visione del fascio.
Effetti: dipendono dal grado di penetrazione e assorbimento nei vari tessuti; i principali
organi interessati sono occhio e cute. Possiamo distinguere gli effetti in:
Effetti dovuti a interazione di natura termica: dipendono dall’innalzamento della
temperatura nell’organo colpito, che a sua volta dipende da:
Intensità della radiazione
Durata dell’esposizione
Dimensioni della superficie irradiata
Termosensibilità dell’organo bersaglio
Mentre la gravità della lesione è funzione della capacità del tessuto di dissipare il
calore (idratazione e vascolarizzazione del tessuto); solitamente meccanismi che
producono una lesione termica necessitano di elevate quantità di energia radiante.
Effetti acuti:
DirettiEritema e ustioni: sono dose e lunghezza d’onda dipendenti.
UV: effetto fototossico con eritema che compare dopo alcune ore
dall’esposizione e raggiunge il picco in 24-48h.
IR: scarsa capacità di penetrazione della cute, quini rilasciano calore
determinando vasodilatazione, bruciore e addirittura comparsa di flittene.
Indiretti:
Fotosensibilizzazione: non è legata a effetti termici o fotochimici ma a una
reazione di natura fototossica e fotoallergica, con comparsa di manifestazioni
cliniche che dipendono dall’interazione della radiazioni con molecole fotoattive
(farmaci, cosmetici, inquinanti).
Rischi associati ad apparecchiature: stress termico, contatto con superfici
calde, rischi di natura elettrica, rischio incendio, esplosione innescati dalle
sorgenti di ROA o dal fascio di radiazioni (es: laser elevata potenza).
Effetti cronici:
Fotoinvecchiamento (R-UV): fenomeno multifattoriale, accentuato nel fototipo
chiaro; si manifesta nelle aree fotoesposte (braccia, viso, collo) con secchezza
cutanea, epidermide generalmente ispessita, rugosità, perdita di elasticità,
pigmentazione irregolare.
Cheratinosi attinica: si manifesta nelle aree fotoesposte con lesioni discheratosiche
piane o leggermente rilevate, aderenti, uniche o più spesso multiple, ben
circoscritte ma talvolta con tendenza a confluire, usualmente asintomatiche
Dipende da fattori come etnia e fototipo chiaro, età; è una lesione precancerosa.
Neoplasie: le più frequenti sono:
Basalioma (86%): associato a picchi di esposizione (scottature).
Ca. spinocellulare (14%): associato a esposizione cronica cumulativa.
Melanoma maligno.
Effetti acuti:
UV fotocheratocongiuntivite: reazione infiammatoria di cornea e congiuntiva, a
meccanismo fotochimico per interazione della radiazione (max efficacia con
lunghezza d’onda tra 265-275 nm) con un cromoforo. Si manifesta con una latenza
di alcune ore con:
Dolore acuto
Fotofobia
Sensazione di sabbia negli occhi.
Tali sintomi hanno carattere transitorio; sono soggetti a rischio soprattutto i
saldatori ad arco elettrico, i soggetti esposti a lampade UV e coloro che sono
esposti per lungo tempo sulla neve e in acqua.
Prevenzione uso di occhiali o maschere con visiera filtrante.
VIS danno da luce blu (380-550 nm) con fotoretinite: danno di natura
principalmente fotochimica (il meccanismo termico potrebbe agire in sinergia
causando un abbassamento del valore di soglia) e dose dipendente (prodotto
dell'irradiazione per la durata dell'esposizione): il danno retinico da luce blu
possiede un valore soglia, indipendentemente dalla durata dell'esposizione, oltre il
quale si manifesta comunque. Avviene per:
Esposizioni brevi di elevata irradianza a livello macula.
Per effetto cumulativo di esposizioni di maggiore durata (ore o giorni) a
irradianze non elevate (es. visione diretta prolungata di lampade ad alogenuri
metallici (teatri, supermercati, ambienti esterni) o di fari di veicoli
(potenzialmente esposti i lavoratori delle officine e di riparazione auto) o di
lampade scialitiche da sala operatoria.
Si manifesta clinicamente con uno scotoma nell'area irradiata (se lo scotoma
coinvolge la zona maculare, possono verificarsi gravi deficit visivi).
IR: in particolare:
IR-A ustioni retiniche
IR-B e C ustioni corneali, con una distruzione estesa dello strato epiteliale.
Effetti cronici:
Cataratta fotochimica: da UV in soggetti suscettibili x afachia congenita o acquisita.
Fotoretinite da VIS
Danno al cristallino da IR
Pterigio: escrescenza di tessuto fibrovascolare a forma di ala o di cuneo, che si
forma sulla parte superficiale della sclera.
Pinguecola: neoformazione benigna del connettivo della congiuntiva, situata in
corrispondenza dell’apertura palpebrale dalla parte nasale
Cheratopatia climatica a gocce: deposizione lipidica focale nella cornea.
♦ Informazione e formazione.
♦ Sorveglianza sanitaria:
Visita preventiva per i lavoratori esposti
Visita periodica (annuale o con periodicità diversa, se opportuno, per i lavoratori:
Particolarmente sensibili
Per i quali siano previsti DPI
Con esposizioni protratte a UV
Lavoratori esposti a laser classe 3B e 4
Controllo medico per i lavoratori con livello di esposizione > ai VLE.
Essa è prevista per lavoratori esposti a ROA ma non prevista per lavoratori esposti a
radiazione solare (anche se vi sono malattia tabellate per l’agricoltura )
A differenza dei CEM, l'obiettivo della SS per le ROA è anche quella di prevenire e
scoprire tempestivamente effetti a lungo termine (quindi anche effetti cancerogeni)
b) NON OTTICHE (CAMPI ELETTROMAGNETIC): tutte le radiazioni con una frequenza compresa
fra 0 e 300 GHz come i campi statici, i campi ELF, le radiazioni a bassa frequenza, le
radiazioni a media/alta frequenza (microonde).
Sorgenti: distinguiamo:
♦ SORGENTI NATURALI: date dal fondo elettromagnetico naturale: distinguiamo:
CAMPI ELETTRICI: a loro volta distinti in:
STATICI: dati dalla separazione di cariche fra la superficie della terra e
l’atmosfera.
VARIABILI: dovuta ai temporali e alle pulsazioni magnetiche che producono
correnti interne alla terra (correnti telluriche).
CAMPI MAGNETICI: distinti anch’essi in:
STATICI: dovuto all’interazione fra:
• Interno: generato dalla corrente elettrica che fluisce dal nucleo alla
superficie terreste.
• Esterno: generato dall’attività solare ed atmosferica.
VARIABILI: generati dalle influenze lunari e solari sulle correnti ionosferiche
oppure dall’attività solare e dai temporali.
Per quanto riguarda gli effetti cronici, il rapporto di causalità tra esposizione a CEM e
comparsa di effetti cronici non è suffragato da un’adeguata evidenza scientifica; tuttavia la
IARC, nel 2011, ha inserito RF e MW come possibile cancerogeno per l’uomo sulla base dell’
evidenza epidemiologica di associazione tra uso di telefono cellulare e rischio di glioma.
Tuttavia tale evidenza è limitata e non unanimamente riconosciuta.
Prevenzione e protezione: per quanto riguarda ciò, bisogna prima introdurre alcuni concetti:
♦ VALORE LIMITE DI ESPOSIZIONE (VLE): valori stabiliti sulla base di considerazioni
biofisiche e biologiche, in particolare sulla base degli effetti diretti acuti e a breve
termine scientificamente accertati, ossia gli effetti termici e la stimolazione elettrica dei
tessuti; distinguiamo:
VLE relativi agli effetti sanitari: VLE al di sopra dei quali i lavoratori potrebbero
essere soggetti a effetti nocivi per la salute, quali il riscaldamento termico o la
stimolazione del tessuto nervoso o muscolare.
VLE relativi agli effetti sensoriali: VLE al di sopra dei quali i lavoratori potrebbero
essere soggetti a disturbi transitori delle percezioni sensoriali e a modifiche minori
nelle funzioni cerebrali.
♦ VALORI DI AZIONE (VA): livelli operativi stabiliti per semplificare il processo di
dimostrazione della conformità ai pertinenti VLE e, ove appropriato, per prendere le
opportune misure di protezione o prevenzione.
Per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria (regolamentata dall’articolo 211), essa viene
effettuata periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità inferiore decisa dal
medico competente con particolare riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili:
♦ Portatori di dispositivi medici impiantati attivi o passivi
♦ Uso di dispositivi medici sul corpo
♦ Lavoratrici in stato di gravidanza
L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità
diversi da quelli forniti dal medico competente.
Nel caso in cui un lavoratore segnali effetti indesiderati o inattesi sulla salute, il datore di
lavoro garantisce che siano forniti al lavoratore o ai lavoratori interessati un controllo
medico e, se necessario, una sorveglianza sanitaria appropriati.
I controlli e la sorveglianza di cui al presente articolo sono effettuati, a cura e spese del
datore di lavoro, in orario scelto dal lavoratore.
RUMORE
Il rumore è per definizione qualsiasi onda sonora non periodica che crea sull’uomo effetti non voluti,
dannosi, disturbanti e che quindi determina un deterioramento qualitativo dell’ambiente.
Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un corpo elastico messo in vibrazione, che crea
movimento nelle molecole dell’aria e quindi onde sonore; le caratteristiche fisiche del suono sono:
1. Frequenza : numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo.
Si misura in Hertz. L’orecchio umano percepisce f che vanno dai 20 a 20000 Hertz.
2. Periodo: intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Unità di misura: s.
3. Lunghezza d’onda: spazio percorso dall’onda in un periodo.
4. Ampiezza.
5. Velocità di propagazione: velocità con la quale un suono si propaga in un mezzo (dipende dalla
densità di questo).
6. Intensità : potenza media con la quale l’energia viene trasmessa nel vuoto. L’unità di misura è il
Decibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0 e 10 decibel, quella del dolore 130\140 come
un aereo al decollo. Una normale conversazione presenta un’intensità tra i 60\70 decibel, il traffico
stradale 70\80 decibel.
Quello che differenzia un suono acuto da una suono grave è la frequenza, invece ciò che differenzia un
suono lieve da un suono forte è l’intensità.
Il sistema uditivo è costituito da due parti: il sistema deputato al trasporto del suono e l’apparato di
percezione o neurosensoriale. Anatomicamente distinguiamo 3 parti:
1. Orecchio esterno (timpano, padiglione auricolare e condotto uditivo): che trasportano il suono.
2. Orecchio medio (tuba di Eustachio, martello, incudine e staffa detti adattatori di frequenza)
3. Orecchio interno: formato da:
a) Coclea: costituita dal canale vestibolare e timpanico separati dalla membrana basale; essa
ha quindi essenzialmente 2 ruoli:
♦ Trasmissione del suono: trasferire l’energia acustica tramite la finestra ovale all’epitelio
ciliato
♦ Trasduzione del suono: l’energia sonora convertita in impulsi elettrici a livello del nervo
acustico.
Le due STS sono quindi espressione di un esaurimento più o meno marcato dei
recettori acustici periferici per un apporto energetico insufficiente. Un recupero
completo è quindi possibile solo a patto che l’esaurimento funzionale si mantenga
entro certi limiti, in casi contrari si parla di danno uditivo irreversibile.
♦ 2° fase definita di latenza: il soggetto non ha sintomi sebbene l’ipoacusia peggiori con
innalzamento della soglia uditiva di circa 40\50 Db sui 4000Hz, evidenziato all’esame
audiometrico.
♦ 3° fase: in cui ricompare la sintomatologia e il soggetto riferisce, ad es, di non sentire il
ticchettio dell’orologio; l’esame audiometrico mostra un innalzamento di circa 60 Db
sui 4000 Hz ed il deficit viene esteso anche alle altre frequenze dai 2000 ai 3000 Hz.
♦ 4° fase: stadio di sordità da rumore, con un deficit permanente esteso anche alle
frequenze più basse ed alle più alte (es difficoltà a sentire le conversazioni).
Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell’organo del
Corti, con una gravità del danno proporzionale alla quantità dell’energia sonora; le prime
strutture ad essere danneggiate sono le cellule ciliate esterne, per cui si ha una
frammentazione fino alla scomparsa delle ciglia e una rottura della membrana cellulare e
sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono integre molto più a
lungo: la lesione primitiva è rappresentata dalla fusione di queste.
Per esposizioni al rumore che hanno un livello costante si osservano alterazioni che sono
prima di tipo metabolico-funzionale e poi metabolico-morfologiche, mentre per i rumori
impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche più precoci. In linea generale si
può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare, ovvero il soggetto
inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con una progressione anche molto veloce
di danno per i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non
cambi attività lavorativa con esposizione a un altro tipo di rumore.
Le caratteristiche dell’ipoacusia da rumore sono 4:
♦ Il deficit è percettivo, perchè il danno è neurosensoriale, e interessa entrambe le
trasmissioni (sia aerea che ossea).
♦ Inizialmente è prevalente sulle frequenze medie (4000 Hz), poi si estende alle alte e
basse
♦ E’ bilaterale e simmetrico, cioè i tracciati audiometrici di orecchio dx ed sx sono
sovrapponibili
♦ E’ irreversibile, per cui il danno non è recuperabile
2. EXTRAUDITIVI: effetti imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture acustiche con le altre
strutture del SNC, come la formazione reticolare. Gli effetti principali sono a carico di:
Sistema Cardiovascolare aumento FC, vasocostrizione periferica, aumento PA
Neuropsichici disturbi del tono motorio, dell’equilibrio, della concentrazione, dell’attenzione,
che possono mettere a rischio la vita del lavoratore (es. aumento tempo di reazione, riduzione
della percezione di segnali di pericolo con conseguente aumento del rischio infortunistico)
Endocrini aumentata produzione di alcuni ormoni
Visusdilatazione pupillare
Gastroenterico riduzione motilità con fenomeni spastici, aumento di ulcere e gastroduodeniti
Respiratori aumento frequenza respiratoria
Livello superiori a 65 decibel durante il giorno e 55 durante la notte sono dannosi ed
aumentano il rischio di infarto del miocardio, TIA
Legislazione: il DL 81/08 detta le regole per la valutazione del rischio rumore nel luogo di lavoro, e le misure
preventive per ridurre il rischio di ipoacusia da trauma acustico cronico nel luogo di lavoro.
Il decreto prevede:
1. LIMITI DI ESPOSIZIONE: è di 87 decibel, ciò significa che durante una giornata lavorativa
l’esposizione media al rumore non può superare tale valore.
2. VALORE LIMITE DI AZIONE: il valore superiore d’azione è 85 Db; il valore inferiore d’azione è 80 Db
Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello
rumore facendo un sopralluogo con esperti (responsabili sicurezza, ingegneri), valutando le informazioni
fornite dalle case produttrici dei macchinari, la presenza di apparecchiature progettate per ridurre
l’emissione del rumore, quanto tempo il lavoratore è esposto al rumore.
1. Se l’esposizione al rumore non supera gli 80 dB si danno solo dei dispositivi di protezione acustica al
lavoratore che, quindi, non svilupperanno patologie professionali. I principali sono:
a) Le cuffie auricolari: adatte per esposizioni prolungate, più efficaci dei precedenti,
permettono l’ascolto delle conversazioni
b) I caschi: utilizzati per le attività più rumorose (es. utilizzo martello pneumatico)
c) Gli archetti
Agiscono tutti per la via aerea con una attenuazione che non supera i 50 dB. I caschi, coprendo
anche la via ossea danno una attenuazione superiore.
Tutti i tipi devono attenuare il rumore consentendo l’ascolto della voce parlata, la scelta dipende
dall’ambiente di lavoro, dalle patologie d’organo esistenti, dal tipo di lavoro.
2. Se l’esposizione al rumore supera gli 80 dB, si procede alla seconda fase misurando direttamente il
rumore nel luogo di lavoro con un Fonometro (su una giornata lavorativa di 8 h o settimanalmente,
su una giornata di 5 h)
a) Se il rumore supera il valore inferiore d’azione, il datore ha l’obbligo di fornire i dispositivi
di protezione individuali ai lavoratori che possono chiedere di essere sottoposti a
sorveglianza sanitaria (il medico competente esegue esame obiettivo ed audiometrico)
b) Se è superato il valore superiore d’azione (85 dB), il datore di lavoro ha l’obbligo di:
♦ Attuare delle misure tecnico-organizzative per ridurre la rumorosità
♦ Indicare con cartelli i luoghi in cui i lavoratori sono sottoposti a tale intensità di rumore
♦ Assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione.
♦ Informare i lavoratori sul rischio da esposizione al rumore, quindi sulla natura dei rischi,
sui valori d’azione e sul limite d’esposizione, sui risultati delle misurazioni del rumore
effettuate.
♦ Sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori: dalla sorveglianza sanitaria scaturisce
un giudizio di idoneità che può essere completa al lavoro, con prescrizione o con
medicazione, o non idoneità al lavoro (dipende dalla patologia del soggetto, dal rischio
a cui è esposto, dalla presenza di danno. Es. un soggetto con ipoacusia sottoposto ad
alta esposizione al rumore è non idoneo a quella attività).
STRUMENTI VIBRANTI
Le vibrazioni possono essere considerate delle onde e in quanto tali presentano delle caratteristiche fisiche
tipiche, come:
1. Ampiezza, espressa in metri.
2. Velocità, espressa in m/s
3. Frequenza: intesa come numero di oscillazioni al secondo, espressa in Hertz. Le frequenze delle
vibrazioni che determinano patologie occupazionali si dividono in:
a) Basse frequenze: sono quelle che vanno da 0 a 2 Hz e sono associate a mezzi di trasporto
come automobili, navi e aerei. Determinano nel gruppo di lavoratori che ne è esposto il
cosiddetto mal dei trasporti.
b) Medie frequenze: sono quelle che vanno dai 2 ai 20 Hz, associate a macchine di impianti
industriali come trattori, gru, scavatrici, che determinano effetti su tutto il corpo, in
particolare osteopatie.
Le basse e medie frequenze determinano patologie trasmesse a tutto il corpo, che in
particolare vanno a interessare:
• Apparato osteoarticolare: la colonna vertebrale è la struttura che maggiormente risente
delle vibrazioni total body; in particolare, questo tipo di vibrazioni determinano una
ipersollecitazione a livello del tratto lombare, dorsale e cervicale. Questi lavoratori possono
lamentare più facilmente rispetto ad altri lombalgia o lombosciatalgia cronica,
slatentizzazioni di ernie o di soluzioni discali soprattutto a livello del tratto lombare e non
da ultimo alterazioni precoci degenerative a livello del rachide lombare; questi lavoratori
presentano condizioni di artrosi pregressa e ingravescente.
• Apparato oto vestibolare: in particolare a livello dei canali semicircolari, determinando
disturbi dell’equilibrio, che si ritrovano frequentemente nei lavoratori esposti a basse e
medie frequenze.
• Meccanocettori cutanei e sottocutanei dalle zone mesenteriche: giocano un ruolo
nell’insorgenza della patologia total body collegate alle vibrazioni a frequenza bassa e
media.
c) Alta frequenza: sono quelle superiori ai 20 Hz, associate a strumenti vibranti come lo
scalpello, le perforatrici e il martello pneumatico. Inducono patologie distrettuali perché
vengono utilizzati dalla mano destra per i destrimani e dalla mano sinistra per i non
destrimani e sono quelle che interessano la Medicina del Lavoro; le patologie sono di tipo
angioneurotiche e osteoarticolari. E’ chiaro che ci sono dei fattori determinanti
l’insorgenza della patologia distrettuale, collegati sia alla modalità d’utilizzo dello
strumento vibrante, sia alle caratteristiche peculiari del soggetto che lo utilizza:
♦ Caratteristiche delle esposizioni, quindi per quanto tempo viene utilizzato lo strumento
♦ Fattore biodinamico: cioè come viene mantenuto l’utensile durante lo svolgimento
della propria attività lavorativa, che tipo di forza di prensione viene utilizzata e se
questa modalità di utilizzo che è tipica del singolo lavoratore può più facilmente far
insorgere un microtraumatismo a livello delle falangi acrali delle mani.
♦ Fattori ambientali: quindi una condizione di microclima sfavorevole che si associa
principalmente ad un utilizzo errato dell’utensile può favorire l’insorgenza della
patologia distrettuale.
♦ Patologie preesistenti: quindi condizioni di ipersuscettibilità come malattie vascolari,
pregressi traumi e lesioni a livello delle falangi distali della mano possono favorire
l’insorgenza di una patologia distrettuale da strumenti vibranti.
Le principali attività lavorative dove appunto questa problematica clinica può manifestarsi
più frequentemente sono:
♦ Settore dell’edilizia
♦ Settore metalmeccanico
♦ Fonderie
♦ Industria del legno
♦ Settore terziario quindi agricolo forestale.
I danni che si associano più frequentemente alle vibrazioni ad alta frequenza sono:
♦ Lesioni di tipo vascolare: la più frequente risulta il fenomeno di Raynaud secondario,
caratterizzato da un arresto transitorio del flusso arterioso delle zone acrali delle mani,
che si slatentizza dopo particolari esposizioni (es freddo),detto secondario perché
appunto collegato all’utilizzo di strumenti vibranti.
♦ Lesioni di tipo neurologico: in particolare sindrome del tunnel carpale, con alterazioni a
livello della sensibilità tattile e termica, legate all’interessamento del nervo mediano e
ulnare con conseguenti variazioni della velocità di conduzione sensoriale e ulnare.
Le indagini che andremo a effettuare sono in prima istanza l’elettromiografia e i
potenziali evocati.
Legislazione: il DL 81/08 descrive tutto ciò nell’articolo 7, indicando anche come far lavorare i lavoratori in
sicurezza nell’esposizione da vibrazioni, sia per quanto riguarda il sistema mano-braccio sia per il corpo
intero.
I VLE definiti dal DL 81/08 sono di 5m/s^2 per il sistema mano-braccio e 1m/s^2 per tutto il corpo, riferito a
una giornata di otto ore al giorno per quaranta ore settimanali.
Il valore d’azione giornaliero (ovvero quel range che non deve essere mai superato per far sì che
potenzialmente non si abbia l’insorgenza di tutti i danni clinici) è di 2,5 m/s^2 e non superare mai i 5” per il
sistema mano braccio, mentre per tuto il corpo i valori di azione sono di 0.5m/s^2.Si dice valore di azione
perché è il valore che fa scattare l’azione preventiva.
Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi comunque su valori più bassi, al fine di attuare un sistema di
prevenzione e sicurezza che impedisca al lavoratore di manifestare una malattia professionale. Nel caso in
cui successivamente alla valutazione dei rischi risultino superate i valori d’azione, immediatamente si
attuano una serie di misure preventive e di sicurezza. Oltre a misurare le vibrazioni a cui è esposto il
lavoratore, bisogna formare il lavoratore sull’utilizzo in sicurezza degli strumenti vibranti, sul risultato delle
misurazioni relative all’utilizzo di quei strumenti vibranti per far sì che si riduca allo 0% la possibilità
d’insorgenza delle malattie professionali.
VIDEOTERMINALI
Ergonomia: metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro. L’obiettivo dell’ergonomia
è quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l’ambiente alle caratteristiche psico-fisiche
del lavoratore stesso. Il rispetto dell’ergonomia è sempre previsto dal DL 81/08, in particolare il rispetto dei
principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro al fine di ridurre al minimo il danno sulla salute collegato
a un lavoro di tipo monotono e ripetitivo come quello da utilizzo di computer.
Il DL 81/08 dà grande importanza al concetto di ergonomia perchè le patologie che possono insorgere a
lavoro in condizioni di disergonomia sono riconosciute come malattie professionali secondo delle tabelle a
cui noi facciamo riferimento quando andiamo a fare una denuncia di malattia professionale.
Le principali patologie riconosciute sono:
1. Tendinite a livello del sovraspinoso
2. Tendinite a livello del bicipite
3. Borsiti negli utilizzatori di videoterminali
4. Epicondiliti, trocleiti e sindrome del tunnel carpale arto superiore
5. Borsite del ginocchio, tendinopatie del quadricipite femorale e meniscopatia degenerativa arto
inferiore.
Implementare nei luoghi di lavoro il concetto di ergonomia significa ridurre al minimo l’insorgenza di queste
patologie, riconosciute come malattie professionali.
Altro concetto espresso dall’articolo 7 della legge 422 2000 sono le pause lavorative:
1. I lavoratori che utilizzano il videoterminale per 20 ore a settimana sono obbligati a fare una pausa
di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.
2. Le lavoratrici gestanti avranno un aumento delle pause, che quindi saranno più frequenti. Si
consiglia alla lavoratrice in stato di gravidanza di alzarsi dal posto di lavoro, decontratturare la
muscolatura paravertebrale e disassuefare i muscoli oculari dal videoterminale.
Il datore di lavoro dovrà anche predisporre le attrezzature da lavoro in modo da assicurare una condizione
di minimo affaticamento oculare e dorso lombare; in particolare:
1. SCRIVANIA:
a) Colore non riflettente (non bianco, non nero, ma color ciliegio)
b) Superficie ampia: in modo da assicurare un corretto posizionamento degli avambracci al di
sopra della stessa, in quanto qualora non ci sia lo spazio per poggiare bene l’avambraccio e
quindi muoverlo con tranquillità sulla scrivania nell’utilizzo del mouse, si va a sovraccaricare
e quindi portare meno ossigenazione a livello della mano, con insorgenza di
indolenzimento o sindrome del tunnel carpale.
c) Adeguato alloggiamento degli arti inferiori, quindi sotto la scrivania deve esserci lo spazio
sufficiente per non incorrere in patologie a livello degli arti inferiori.
2. SEDIA: deve essere di tipo girevole, con lo schienale regolabile e con una curvatura ben precisa che
ripercorre le fisiologiche concavità e convessità della colonna vertebrale.
3. POGGIAPIEDI: Il poggiapiedi non è un obbligo del datore di lavoro ma se viene richiesto dal
lavoratore, ad esempio una donna in stato di gravidanza che presenti una condizione più frequente
di edema agli arti inferiori, il datore di lavoro deve fornire il poggiapiedi.
4. ADEGUATO MICROCLIMA: quindi la scrivania non deve stare né troppo vicino al termosifone né
troppo vicino all’impianto di condizionamento perché l’eccessiva umidità o la poca umidità può
determinare secchezza oculare.
5. POSIZIONE: alla scrivania bisogna stare con la schiena diritta e non piegata sulla scrivania, ad una
distanza che deve essere 50-70 cm dallo schermo e in più, per evitare affaticamento muscolare
soprattutto a livello cervicale e affaticamento visivo, lo spigolo inferiore dello schermo deve essere
al di sotto della visuale che passa tra gli occhi e l’orizzonte, cioè la sedia deve stare più in alto
rispetto al monitor.
6. ADEGUATO ALLOGGIAMENTO DI TUTTO L’IMPIANTO ELETTRICO: deve essere attaccato al muro di
fronte al videoterminalista, così da evitare che possano far inciampare il lavoratore.
Questi sono i requisiti minimi che dobbiamo verificare quando facciamo il famoso sopralluogo annuale.
Per quanto riguarda i danni da utilizzo del videoterminale in condizioni non ergonomiche, abbiamo:
1. Astenopia = fatica visiva; è una condizione di debolezza, facile affaticabilità dell’occhio, dolori
oculari, visione confusa o doppia (diplopia), cefalea, emicrania. I lavoratori che utilizzano
videoterminali per 20 ore a settimana lamentano frequentemente questa patologia.
I difetti visivi come la presbiopia, miopia e ipermetropia non sono causati dal videoterminale ma
possono essere peggiorate dall’utilizzo protratto in condizioni di non sicurezza del lavoratore.
Allo stesso modo, un inquinamento dell’aria respirata dal lavoratore (ad es una sede con molte
fotocopiatrici o con rilascio di sostanze - inquinamento indoor-) può determinare irritazione oculare
o delle mucose, che vanno a determinare più facilmente una condizione di sindrome astenopica.
2. Disturbi muscolo scheletrici: sono soprattutto a collo, schiena, braccia, spalle, mani e arti inferiori.
Le principali cause lavorative che determinano alterazione a livello della colonna vertebrale sono:
a) Posture di lavoro fisse, quindi mantenere sempre la stessa postura per tutto l’orario di
lavoro può determinare l’insorgenza di patologie a livello cervicale e dorso lombare.
b) Utilizzare il mouse in maniera ripetitiva e con movimenti rapidi, che può determinare un
sovraccarico a livello della mano e dell’avambraccio con un indolenzimento che può far
insorgere, oltre al dolore, la sindrome del tunnel carpale.
Il Niosh è un ente internazionale che ci va a dire per ogni agente di rischio quali sono i valori limite
da rispettare e nel caso del video terminale quali sono le condizioni di lavoro che possono far
insorgere alterazioni muscolo-scheletriche? Assunzione di posture incongrue.
3. Stress lavoro-correlato: i video terminalisti sono lavoratori che lamentano più frequentemente
condizioni di stress lavoro-correlato perché il lavoro ha delle caratteristiche intrinseche che sono
alla base dell’insorgenza di una condizione stressogena:
a) Condizioni di lavoro monotono e ripetitivo
b) Carico di lavoro o eccessivo o troppo scarso
c) Condizione di responsabilità avvertite dal lavoratore come molto basse rispetto al desiderio
di comando da parte del lavoratore stesso
d) Rapporti conflittuali con i proprio colleghi o superiori
e) Condizioni di disergonomia.
Si presenta con disturbi di tipo psicologico o psicosomatico come insonnia, condizione di sindrome
ansioso- depressiva, cefalea e tensione nervosa. Tale condizione viene valutata dal medico del
lavoro attraverso due fasi:
a) Fase 1: utilizzo di questionari random tra i lavoratori; qualora questo questionario risulti
essere positivo per alcuni cluster, si passa alla fase 2.
b) Fase 2 o fase soggettiva, in cui viene proposto il questionario ad personam. Qualora questa
seconda fase risulti essere positiva, il datore di lavoro è tenuto secondo il DL 81/08 a
pagare le spese di recupero psicologico-psichiatrico al lavoratore. La legge però dice che è il
datore di lavoro a preparare questi questionari o con il supporto del medico del lavoro o
con il supporto dello psicologo.
Classificazione: le classificazioni di riferimento vanno ad etichettare il rischio biologico in base a dei criteri di
infettività, trasmissibilità, patogenicità e neutralizzabilità. Nella pratica la classificazione distingue:
1. Gruppo 1: sono quelli che presentano poche probabilità di causare malattie negli uomini.
2. Gruppo :2 possono causare malattia negli uomini e quindi costituire un rischio per i lavoratori ,ma
nei loro confronti sono sempre o quasi sempre presenti misure profilattiche e vaccinali.
3. Gruppo 3: possono causare malattie gravi negli uomini e quindi costituiscono un serio rischio nei
lavoratori, possono propagarsi nella comunità e sono quasi sempre disponibili misure profilattiche
terapeutiche ( lo sapete che oggi anche per l’HCV in America è prevista una terapia a pagamento
che determina guarigione).
4. Gruppo 4: per i quali non esistono ancora misure profilattiche e vaccinali, come ad es il virus Ebola.
Questa classificazione è importantissima perché permette ai medici del lavoro di andare a quantizzare il
rischio biologico in una determinata struttura.
Altra classificazione tiene conto anche del livello di rischio biologico:
1. Livello trascurabile: non c’è assistenza diretta al paziente e non vi è manipolazione dei campioni
biologici; ad es. specializzandi in medicina del lavoro o di igiene (medicina legale no, perché gli
operatori fanno le autopsie) che risultano sottoposti a rischio biologico trascurabile.
2. Livello lieve: assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici: qui rientrano
tutti i reparti di un ospedale.
3. Livello medio: esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione, ad esempio interventi
chirurgici in sala operatoria.
4. Livello elevato: c’è assistenza diretta al paziente e manipolazione in prima persona di campioni
biologici ma in più ci sono condizioni tecniche, organizzative e procedurali insufficienti o sfavorevoli
1. Nosocomiale: che si studia maggiormente in igiene, da paziente infetto ad altro paziente oppure da
ambiente ospedaliero infetto a paziente.
2. Occupazionale, di cui ci occupiamo noi, da paziente infetto a operatore; ad es.
a) HCV: nel contatto percutaneo (sangue infetto-sangue non infetto) abbiamo una
percentuale di sovrainfezione più elevata, anche se stiamo comunque parlando di
percentuali basse, che rasentano lo 0;è quindi importantissimo usare i guanti.
b) HIV la sovrainfezione avviene invece maggiormente con contatto mucoso.
Per quanto riguarda quella che avviene da operatore a paziente, sul danno a terzi ci sono decreti del
ministero dell’Italia e Europa che non sono stati ancora emanati.
Misure precauzionali: vengono distinte in:
1. Universali: utilizzo di aghi, bisturi e lame inseriti in appositi contenitori; in caso di lesione interna,
evitare procedure a rischio di esposizione, lavare le mani (lavaggio antisettico dopo contatto con
sangue e liquidi corporei in caso di contatto con le mucose).
2. Personali (DPI): guanti, maschere, grembiuli e camici; importante utilizzarli contemporaneamente e
valutare la loro integrità e pulizia.
Vaccino HBV: vaccino sintetico costituito da DNA ricombinante, fatto un ciclo completo la percentuale di
siero conversione è del 95%, anche se esiste una piccola percentuale di non responders. La durata della
protezione varia tra 5-10 anni, le nuove linee guida di malattie infettive ribadiscono che la protezione
dell’individuo è tale per valori di HbS Ab superiore a 10 unità per litro, per tanto è possibile, quando
presenti questi valori, evitare di effettuare il 4° richiamo vaccinale mantenendo intatta la protezione.
La vaccinazione per HBV è raccomandata, ma non obbligatoria, per vari operatori socio-sanitari, personali
di assistenza in casa di cura privata, trasfusi o emodializzati, mentre conviventi con pazienti affetti da
epatite B cronica hanno diritto ad avere il ciclo vaccinale completo per legge dal medico di famiglia.
Il protocollo (le analisi strumentali ed ematochimiche) che rientrano nella sorveglianza sanitaria del
lavoratore esposto ad agenti patogeni virali sono:
Infortunio biologico: in occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure
preventive previste dal programma di sorveglianza sanitaria.
Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post- esposizione quando abbiamo un titolo anticorpale
inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV.
Quando un operatore viene a contatto con un soggetto HIV +, a seguito dell’esposizione, per azzerare il
rischio di trasmissione virale, bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la
somministrazione di farmaci antivirali, al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività
del paziente. Bisogna recarsi, per attivare questo tipo di procedura, in pronto soccorso, che dovrebbe
essere munito di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.
TUBERCOLOSI
La tubercolosi è la malattia infettiva a più elevata mortalità e morbilità da singolo agente patogeno ed
interessa circa un terzo della popolazione mondiale.
Epidemiologia: si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia affetta da tubercolosi, soprattutto nei
paesi in via di sviluppo. Nell’ anno 2008 ci sono stati circa 143 nuovi casi per centomila abitanti, sebbene la
diffusione dell’infezione si localizzi principalmente in paesi in via di sviluppo come Sud Africa e Russia.
In Italia la tubercolosi è una problematica in aumento rispetto al passato, con un aumento di 10 casi per
100.000 abitanti con maggior incidenza nel nord Italia rispetto al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a
flussi migratori nelle regioni del Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai
Paesi dell’Est, mentre in altre zone di Europa l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori
provenienti dall’Africa. Il numero dei casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle
regioni del Nord Italia, ma maggiore rispetto alle regioni del Sud.
Eziopatogenesi: è causata dal Micobatterium Tuberculosis Complex, di cui fanno parte una sequela di altri
micobatteri tra cui il principale è rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis Hominis.
E’ un patogeno intracellulare, con caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che
determina una peculiare acido resistenza, insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e
alla reazione di ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux.
Una volta raggiunti gli alveoli, il bacillo viene inglobato dai macrofagi alveolari, i quali possono:
1. Distruggere il bacillo, non determinando l’infezione.
2. Attivare la risposta infiammatoria, che è quella che effettivamente determina l’entità e la gravità
del danno da infezione tubercolare, visto che il batterio di per sé non ha costituenti tali da
determinare azione lesiva nei confronti dell’organismo infetto. In caso di infezione:
a) Nel 95% dei casi le cellule T controllano l’infezione, che si manifesta in fase latente. La
probabilità di evoluzione di una forma latente in una forma cavitaria aumenta nei dieci anni
successi al contagio, per tanto il medico del lavoro è tenuto a sorvegliare tutti i lavoratori al
fine di impedire la riattivazione della patologia.
b) Nel 5% dei casi si presenta in forma attiva (forma cavitaria).
Diagnosi:
1. Anamnesi ed EO: ci permette di:
a) Individuare i pz a rischio
b) Individuare sintomi e segni della malattia sistemici e organo specifici, che possono
indirizzare verso la tubercolosi
c) Storia di malattia, infezione o esposizione alla tubercolosi ed eventuali terapie
d) Condizioni che aumentano il rischio di sviluppo della malattia tubercolare
2. Diagnosi di malattia attiva: in condizione di TBC attiva con la clinica caratteristica si procede con:
a) RX: anomalie radiografiche in pz con sintomi respiratori, come:
♦ Coinvolgimento dei lobi superiori
♦ Infiltrati e caverne
b) Raccolta di un campione: che può essere espettorato, frammento di tessuto ecc. Su di esso
possiamo poi procedere con:
♦ MIROSCOPIA DIRETTA: presenza di bacilli acido-resistenti con colorazione di Ziehl
Neelsen; la loro presenza su espettorato, lavaggio gastrico o BAL è il segno di massima
infettività DIAGNOSI PRESUNTIVA
♦ ESAME COLTURALE: sono necessarie 4-8 settimane prima di poter rilevare la crescita
oppure per altri tipi di terreni 2-3 settimane.
c) PCR: in caso di:
♦ Soggetti con positività ai bacilli acido resistenti all’esame diretto
♦ Conferma di malattia in soggetti negativi all’esame diretto
La positività alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche
quando il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. Possiamo avere:
a) FALSI POSITIVI: per:
♦ Cross reazione con altri micobatteri
♦ Vaccinazione con BCG
♦ Somministrazione errata
♦ Errata lettura
b) FALSI NEGATIVI:
♦ Legati al soggetto testato
♦ Legato a somministrazione o lettura.
Eventualmente è possibile eseguire test più specifici come l’IGRA, che misurano l’IFNy rilasciato dai
linfociti T in risposta ad antigeni tubercolari specifici come ESAT6 e CFP 10, assenti nel BCG.
Non è possibile sostituire la Mantoux con IGRA, che ha specificità e sensibilità superiore di 300
volte, perché essendo molto costosa non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta scala.
Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa vaccinazione o un contatto che non
si è a conoscenza, per cui si procede con test IGRA per avere la certezza del contagio.
Se l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione radiologica e pneumologica
Se l’IGRA è negativo l’iter diagnostico si conclude.
La cosa fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del test IGRA si fa diagnosi certa di
TBC latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test IGRA negativo possiamo
escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch.
Legislazione: l’art. 17 comma 1 DL 81/08 obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica TBC in
ambiente ospedaliero e ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico del lavoro almeno
una volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano automaticamente una serie di
indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria.
a) VISITA PREVENTIVA:
Anamnesi valutazione della storia personale o familiare di TBC, valutando se è stata già
fatta la vaccinazione così da evitare una seconda somministrazione.
EO valutare segni e sintomi compatibili con TBC.
Diagnostica esecuzione di Mantoux (positività per pomfo >o=10mm) al tempo 0 e dopo
60gg, perché potrebbe non essersi positivizzata.
Nei pz positivi con vaccinazione, si esegue IGRA per conferma.
5. FORMAZIONE E INFORMAZIONE
1. IDONEITA’ PIENA: in caso di contatti che non si sono positivizzati, lavoratori con TBC latente che
rifiutano la terapia ma non afferiscono a reparti a rischio o lavoratori con malattia eradicata
farmacologicamente.
2. IDONEITA’ CON LIMITAZIONI: lavoratori con forme latenti che rifiutano la chemioprofilassi e che
afferiscono a reparti a rischio o lavoratori con controindicazioni a vaccino o terapia.
3. IDONEITA’ CON PRESCRIZIONI: lavoratori che afferiscono a reparti con alto rischio per TBC MDR
4. IDONEITA’ TEMPORANEA: lavoratori con TBC attiva o in corso di trattamento farmacologico.
EPATOPATIE PROFESSIONALI
Sono un gruppo di patologie causate dall’esposizione a agenti infettivi, fisici o chimici; benchè il fegato sia
vulnerabile, sono comunque poche le condizioni in cui l’esposizione ad un agente tossico può essere
riconosciuta come causa di epatopatia, per cui frequentemente si tratta di esposizioni acute ad alte
concentrazione e per lo più accidentali. Il tutto è però favorito da alcuni fattori, come:
Eziopatogenesi: alla base del danno vi è un’interferenza di questi agenti con i processi metabolici essenziali
dell’epatocita come sintesi proteica, ATP ecc., che determina un danno alle strutture essenziali
dell’epatocita e distruzione dello stesso. I principali agenti coinvolti sono:
2. AGENTI FISICI: raramente il fegato è bersaglio di agenti fisici, anche se risulta sensibile soprattutto a
colpi di calore, con danno del metabolismo evidente già per temperature > 41° (alterazioni
ischemiche e colestatiche). Nelle forme più severe si può avere congestione, degenerazione e
necrosi epatocellulare.
3. AGENTI CHIMICI: possiamo classificarle in base alla modalità con cui si realizza il danno:
a) STEATOSI: degenerazione grassa del fegato, legata a metalli (arsenico, fosforo, selenio),
idrocarburi alifatici (CCl4), alcoli ecc.; tali sostanze bloccano il metabolismo degli a.g. e ne
determinano accumulo a livello epatico.
Diagnosi:
♦ Test di laboratorio (ALT e AST): negativi in assenza di flogosi.
♦ ECO e TC: 3 gradi ecografici in base a se la perdita di echi in profondità è <33%, <50% o
> 50%.
♦ Diagnosi di certezza con biopsia epatica: in genere la steatosi è indice di esposizioni
croniche.
Evoluzione: è reversibile allontanando l’agente, ma nei casi gravi si può avere cirrosi
b) EPATOPATIA CRONICA FIBROSANTE: evoluzione variabile in base all’esposizione:
♦ Acuta CIRROSI POST NECROTICA: condizione cronica e irreversibile, dove la normale
architettura del lobulo è sostituita da tessuto fibroso e noduli. In genere è legata a
sostanze come CCl4, fosforo e dimetil-nitrosamina.
♦ Cronica FIBROSI EPATICA DIFFUSA: fibrosi periportale senza alterazione
dell’architettura fondamentale del fegato. Molto frequente negli anni 50-60’ per
lavoratori esposti a cloruro di vinile monomero (CMV).
I principali agenti epatotossici sono i SOLVENTI ORGANICI, impiegati sia come materie prime che
come componenti di vernici, diluenti, collanti e inchiostri.
Patogenesi: flogosi e disfunzione del cit.450, con conseguente disfunzione mitocondriale e
stress ossidativo.
Clinica:
♦ Esposizione acuta necrosi o steatosi.
♦ Esposizione cronica cirrosi epatica.
Diagnosi: attraverso:
1. Anamnesi lavorativa
2. Caratteristiche cliniche associate alle epatopatie: fatica, perdita di peso e appetito, ittero, prurito.
3. Relazione temporale tra esposizione e inizio dei sintomi: per distinguere fra acuto e cronico.
4. Esclusione di altre cause di danno epatico
5. Ricerca di segni e sintomi di danno extraepatico
6. TEST PER VALUTARE L’EPATOTOSSICITA’:
Marcatori sierici: distinti in:
• Markers di necrosi AST e ALT:
Incremento severo di 8-10 volte danno acuto.
Incremento modesto di 2-3 volte danno cronico in risoluzione.
• Markers di colestasi AP (fosfatasi alcalina) e GGT
Test biochimici di funzionalità epatica:
• Test Clearance epatica: valutando captazione, metabolismo e escrezione.
• Test del metabolismo epatico: valutando l’attività metabolica degli enzimi epatici nella
clearance di sostanze esogene.
• Test della funzione di sintesi epatica (albumina, ferritine, fattori della coagulazione).
Esami strumentali: eco, TC, RMN
Biopsia epatica: gold standard per la diagnosi delle patologie parenchimali subacute e croniche.
EMOPATIE PROFESSIONALI
Disordini ematologici conseguenti all’esposizione ad agenti nocivi presenti in ambito lavorativo.
Classificazione: distinguiamo:
Principali manifestazioni:
Clinica: ha un esordio spesso insidioso con astenia, cefalea, vertigini, cardiopalmo, dispnea. Poi la
sintomatologia varia in base alla percentuale di metaemoglobina nel sangue:
a) >10% cianosi
b) >20% dispnea
c) >30% cut off oltre il quale si ha danno d’organo.
d) >70% coma
Patogenesi: diverse sostanze tossiche come benzene, RI, pesticidi, arsenico e agenti
alchilanti inibiscono la sintesi di eme e degli acidi nucleici dei GR immaturi, determinando:
♦ Danno diretto sulle cellule staminali
♦ Danno immunomediato sulle cellule staminali
♦ Danno a carico dell’ambiente stromale:
Diagnosi:
♦ Biopsia midollare: ridotta cellularità, morfologia normale, assenza di infiltrazione neopl.
♦ Esame emocromocitometrico: anemia normocromica normocitica e conta
reticolocitaria ridotta. La presenza a tale esame di deficit a carico di 2 o più linee
cellulari con o senza sintomi deve sempre far pensare a uno stato di aplasia midollare.
3. POLICITEMIA: aumento percentuale della massa dei GR nel sangue. Può essere:
a) Primaria.
b) Secondaria: da cobalto, CO. Si determina un’inibizione del metabolismo ossidativo con
ipossia e stimolazione alla secrezione di eritropoietina.
Nel caso di policitemia da CO, i più esposti sono:
♦ Esposti a fumi di saldatura.
♦ Esposti a gas di scarico di motori a scoppio (meccanici, vigili urbani).
♦ Esposti a fumi in corso di incendi e esplosioni (vigili del fuoco).
♦ Produzione o distribuzione di miscele gassose contenenti CO (industria chimica).
Diversi studi hanno dimostrato associazione di tale condizione con radiazioni ionizzanti,
chemioterapia, benzene, e altre attività lavorative come addetti all’agricoltura, settore tessile ecc.
6. NEOPLASIE DEL SISTEMA EMOLINFOPOIETICO: tra cui LH, LNH a cellule B e T, leucemia e mieloma
multiplo. Gli unici agenti occupazionali per cui è stato dimostrato effetto cancerogeno sul sistema
emopoietico sono benzene e radiazioni ionizzanti.
NEFROPATIE PROFESSIONALI
Alterazione dell’integrità strutturale e funzionale del rene, alla quale l’attività lavorativa abbia dato un
contributo eziopatogenetico.
I meccanismi con cui una sostanza può portare danno renale sono vari:
1. TOSSICO DIRETTO: interessa quasi esclusivamente le cellule del tubulo contorto prossimale dei
nefroni sottocapsulari. In questo caso avremo alterazione dell’omeostasi del Ca deplezione ATP
cellulare ossidazione gruppi sulfidrilici di membrana abnorme attività dellafosfolipasi
compromissione integrità della membrana e delle attività enzimatiche formazione di ROS.
Agenti che agiscono in tal modo sono piombo, cadmio, cromo, arsenico, solfato di rame, mercurio,
idrocarburi policiclici aromatici e alifatici e le RI.
I quadri che si sviluppano sono del tutto simili alla sindrome di Fanconi (aminoaciduria, glicosuria,
fosfaturia, proteinuria a basso PM); in particolare:
a) Per esposizioni acute (dosi massive): avremo tubulo necrosi e IRA.
b) Per esposizioni croniche (dosi minori): avremo danno tubulare.
3. IMMUNO-MEDIATO: in questo caso avremo una risposta dose dipendente che interessa soggetti
che hanno una particolare predisposizione. Le sostanze più coinvolte sono mercurio, Sali d’oro e
idrocarburi utilizzati come solventi.
Patogenesi: le sostanze si comportano come apteni e legano antigeni autologhi, rendendo le cellule
immunogeniche e attivando la risposta infiammatoria nei loro confronti da parte di cellule T.
Clinica: s. di Goodpasture o GN membranosa.
5. INFETTIVO: da legionella, leptospira, HIV, HBV, che agiscono con meccanismo citotossico diretto
sulle cellule tubulari. La leptospira, inoltre, agisce anche con un meccanismo secondario attraverso
la sindrome emorragica sistemica. I principali lavoratori esposti in questo caso sono:
a) Lavorator agricoli e forestali
b) Addetti ai laboratori di ricerca a contato con roditori
c) Addetti a manutenzione di impianti di condizionamento, vasche, piscine.
d) Personale sanitario.
Clinica:
1. IRA: sindrome clinica caratterizzata da una rapida riduzione della funzione renale che determina:
a) Oligo anuria (Volume urinario < 400-500 ml/24h)
b) Alterazioni elettrolitiche (iperkaliemia, iperfosforemia, iponatremia)
c) Alterazioni dell’equilibrio acido-base
d) Rapido aumento di urea e creatinina
e) Si possono associare IA e edema polmonare.
Distinguiamo 3 tipi di causa di IRA:
2. IRC: perdita graduale, progressiva e irreversibile della funzionalità renale; in fase iniziale si presenta
in genere asintomatica, per poi comparire lentamente una serie di alterazioni idroelettrolitiche,
deficit di v.D e eritropoietina, acidosi metabolica e necessità di dialisi.
Segni di disfunzione renale si presentano con aumentata escrezione di proteine a basso PM; in fase
avanzata compaiono poi sindrome di Fanconi conclamata, fibrosi interstiziale diffusa e IR terminale.
Il cadmio rientra nelle sostanze per cui vige l’obbligo di denuncia.
3. CROMO
4. SILICE
5. IDROCARBURI:
a) Tossicità acuta: neurotossicità centrale, irritazione di cute e mucose, Gn membranosa,
cardiotossicità, epatotossicità, s. di Goodpasture.
b) Tossicità cronica: SNC, SNP, midollo osseo, fegato, mucose.
6. ARSENICO E ARSINA
7. PARAQUAT E DIQUAT
Diagnosi:
1. Anamnesi lavorativa: volta a individuare le sostanze potenzialmente nefrotossiche, l’entità e la
durata dell’esposizione.
2. Sorveglianza sanitaria: il medico del lavoro sottopone ad indagini preliminare e periodiche sulla
funzionalità renale i lavoratori
a) Esposti a rischi specifici
b) Soggetti che sia clinicamente che anamnesticamente fanno sospettare nefropatie o
pregresse esposizioni a sostanze nefrotossiche.
Nell’articolo 28 del DL 81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo
stress presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei lavoratori e
della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono stressati per motivi
lavorativi. Tuttavia nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo stress ma non veniva detto
come; la circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico che rappresenta il livello di
attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di lavoro.
La valutazione dello stress viene fatta in due fasi:
1. Valutazione preliminare (obbligatoria): si vanno a valutare degli indicatori oggettivi, per cui il
datore di lavoro fa un’analisi statistica di:
a) Indici di infortuni presenti in quell’azienda
b) Valutare il numero di assenze per malattia
c) Valutare il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto delle leggi sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro.
d) Valutare degli indicatori di contesto e contenuto: vengono fatte delle domande, ad es:
l’illuminazione nella stanza è sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue
conoscenze? Com’è la sedia?
Viene quindi proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande. Queste
domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto
ai compiti a cui deve assolvere, se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori
sono adeguati.
Tutto ciò permette di fare lo screening preliminare per capire se siamo in un rischio basso di stress
lavoro correlato o meno, espresso in percentuale.
a) Se questa percentuale è uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza
particolari condizioni di disorganizzazione lavorativaNon c’è stress. La legge prevede che
la rivalutazione si faccia dopo 24 mesi in maniera obbligatoria.
b) Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio dal 25 al 50%, immediatamente il
datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali, organizzativi e
strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress. C’è un anno
per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato psicologico del
lavoratore. Dopo un anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito.
c) Se l’esito è ancora positivo si passa alla fase eventuale, seconda fase.
2. Valutazione eventuale: si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo
programma il datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del
lavoro, che hanno la competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari
stress lavoro correlati. I questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito.
In questo caso entrano in gioco una serie di interventi non solo a livello strutturale, organizzativo e
ergonomico, ma si parla di soluzioni terapeutiche all’individuo, quindi si può arrivare alla proposta
di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune realtà industriali grandi attivano uno sportello
fatto da persone competenti dove il lavoratore stressato va e segue il suo percorso. La legge
prevede che dal momento in cui si scopre al momento in cui si deve risolvere ci siano tutti gli
strumenti per eliminare la problematica di stress lavoro correlato.
Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore stressato, ma è
previsto che il medico del lavoro, nell’ambito della sorveglianza sanitaria, scopra eventuali
condizioni di disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica; la sorveglianza
sanitaria viene quindi proposta come occasione per scoprire delle situazioni di disagio psicologico
da segnalare al datore di lavoro.
2. Sindrome del burnout: è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure
professionali d’aiuto (educatori, insegnanti, medici, poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri, sacerdoti,
operatori assistenziali, psichiatri, psicologi), definita come una patologia che si manifesta con il
deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro.
Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la
persona che viene assistita. In percentuale la categoria più a rischio è rappresentata dal settore
degli insegnanti e dai video terminalisti che lamentano tutta una serie di fattori di malessere
(attività lavorativa monotona); se non opportunamente trattati, essi sfociano nella fase finale del
burnout di logoramento psico-fisico che è l’apatia.
Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:
Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi
come in futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.
PATOLOGIE MUSCOLOSCHELETRICHE DA SOVRACCARICO BIOMECCANICO
Sono patologie a carico di strutture osteomuscolo-neuro-tendinee e delle borse, che risultano sottoposte
ad un costante impegno funzionale sovraccarico biomeccanico.
Sono molto diffuse, determinando conseguenze pesantissime a:
1. Lavoratore determinando sofferenza e possibile riduzione del reddito
2. Datore di lavoro riduzione dell’efficienza aziendale
3. Paese aumento della spesa sanitaria e previdenziale
2. ARTI SUPERIORI:
a) TENDINITI e BORSITI DELLA SPALLA: frequente è la diagnosi di sindrome da conflitto
(periartrite scapolo-omerale) che può poi evolvere in tendinite calcifica (morbo di Duplay) o
nella s. della spalla congelata.
Possiamo anche avere tendinite della cuffia dei rotatori, processo flogistico che interessa
uno o più tendini fra sovraspinoso, sottospinoso, piccolo rotondo e sottoscapolare.
b) PATOLOGIE DA INTRAPPOLAMENTO DEI NERVI: come la s. del tunnel carpale.
c) DEGENERAZIONI ARTROSICHE:
Dal punto di vista legislativo, l’articolo 167 del titolo VI del DL 81/08 definisce come:
1. Movimentazione manuale dei carichi: operazioni di trasporto o sostegno di un carico ad opera di
uno o più lavoratori, comprese le azioni di sollevare, spingere, tirare, portare o spostare un carico
che comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso lombari.
2. Patologie da sovraccarico biomeccanico: patologie delle strutture osteoarticolari, muscolo-
tendinee e nervo-vascolari.
L’articolo 168, invece, definisce quelli che sono gli obblighi del datore di lavoro in questi casi:
1. Egli adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati pe evitare una
movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Se ciò non è possibile, egli fa comunque in modo di fornire ai lavoratori mezzi adeguati per ridurre il
rischio di sviluppare patologie conseguenti a tali carichi, come:
a) Organizza i posti di lavoro in modo da assicurare sicurezza e salute.
b) Si occupa dell’informazione, formazione e addestramento del lavoratore
c) Riduce i rischi di sviluppare patologie dorso-lombari, tenendo conto di:
♦ Fattori di rischio individuali: come:
Inidoneità fisica
Indumenti, calzature o altri effetti personali portati dal lavoratore
Insufficiente conoscenza o formazione o addestamento.
♦ Caratteristiche dell’ambiente di lavoro.
d) Sottopone i lavoratori a sorveglianza sanitaria
La valutazione del rischio si effettua attraverso metodi diversi in base al tipo di movimento:
1. SOLLEVAMENTO METODO NIOSH: permette di determinare un peso limite raccomandato
attraverso un'equazione che, a partire da una costante di peso iniziale sollevabile in condizioni
ottimali, considera l'eventuale esistenza di elementi sfavorevoli e tratta questi con appositi fattori
di demoltiplicazione (che possono assumere valori compresi fra 0 e 1):
a) Se l’elemento di rischio potenziale corrisponde a una condizione ottimale il fattore
assume valore 1, quindi nessun decremento del peso iniziale.
b) Se l’elemento di rischio potenziale corrisponde a una condizione non ottimale il fattore
assume valore inferiore a 1 e sarà tanto più piccolo quanto maggiore è l’allontanamento
dalla relativa condizione ottimale.
Uno dei maggiori problemi per il medico del lavoro è quello di distinguere fra patologie allergiche e non
allergiche, ma soprattutto identificare la sostanza coinvolta, il che spesso non è semplice essendo il
lavoratore esposto contemporaneamente a molte sostanze. Fondamentale risulta distinguere fra:
Fattori di rischio:
1. Fattori dell’ospite (suscettibilità individuale):
a) Atopia
b) Fattori genetici
c) Iperattività specifica delle vie aeree
d) Fumo di tabacco
2. Fattori ambientali (relazione dose-risposta):
a) Livello espositivo
b) Durata
c) Frequenza
Clinica: in questo caso il meccanismo alla base dell’alveolite è una reazione di tipo 3 (IC) o tipo 4
(linfociti T). Le manifestazioni possono essere:
a) Acute: dopo 4h dall'inalazione di polvere si hanno manifestazioni simil-influenzali come
cefalea, algie, tosse con scarso espettorato, febbre. Dopo 2-3gg la sintomatologia si risolve
spontaneamente.
b) Croniche: alterazione morfologica degli alveoli, fino a una vera e propria dispnea da sforzo.
Diagnosi:
a) RX torace: opacità pseudonodulari reticolari a causa della fibrosi, soprattutto ai campi medi
b) Prove di funzionalità respiratoria: essendoci una continua sostituzione fibrotica del
parenchima polmonare, si avrà un quadro di tipo RESTRITTIVO, con riduzione della
diffusione alveolo capillare.
c) Presenza i precipitine specifiche nel sangue circolante
d) BAL
4. Bissinosi: dovuta alla macerazione in ambiente umido di fibre come cotone, lino e canapa.
Determina la comparsa della febbre del lunedì, con una reazione simil-influenzale simile a quella
delle alveoliti che tende a peggiorare e cronicizzare col tempo.
Il tutto è legato alla liberazione diretta di istamina provocata da endotossine prodotte da batteri G-
presenti nella polvere del cotone.
5. Pneumopatia da metalli duri: tungsteno, cromo e vanadio, usati in tutti gli strumenti da taglio; in
genere si presenta nei lavoratori esposti con asma o alveolite (nelle forme più gravi).
Diagnosi: BAL, Rx torace e test di funzionalità respiratoria; se si ha un’allergia, si può anche andare
alla ricerca delle IgE specifiche Co-Hsa.
6. Rinite allergica: si presenta con starnuti, prurito, bruciore, ostruzione nasale e rinorrea acquosa
7. Congiuntivite allergica
8. Dermatite da contatto allergica
Il rischio allergologico per gli operatori sanitari si sviluppa soprattutto per:
1. MANUFATTI IN GOMMA: soprattutto il lattice nei guanti, anche se ormai si hanno a disposizione dei
guanti ipoallergenici come quelli di vinile e di nitrile. Nei quanti in lattice troviamo infatti:
a) Latex scatena un meccanismo IgE mediato con sintomatologia respiratoria e cutanea
b) Acceleranti, ossidanti e coloranti (molecole >5000Da) DAC o ipersensibilità tipo IV
c) Polvere di mais irritativo
2. DISINFETTANTI: come:
a) Formaldeide: agente cancerogeno usato in anatomia patologica come solidificante; solo
quella liquida è pericolosa in quanto può evaporare.
b) Gluteraldeide: usata soprattutto come disinfettante nelle endoscopie, risulta irritante ma
NON cancerogena.
3. FARMACI: come gli antiblastici, presenti soprattutto nel reparto di oncologia, sono sostanze
allergizzanti. Sono cancerogeni e hanno effetti genotossici e mutageni. Essi presentano:
a) Effetti irritanti su cute e mucose, con rischio di congiuntivite e ulcere corneali.
b) Effetti allergicilocali e raramente sistemici
Prevenzione secondaria
Protezione personale
Sorveglianza sanitaria
Con le finalità di verificare l’assenza di segni di malattia professionale e definire un giudizio di idoneità. Modalità:
1. Accertamenti preventivi: anamnesi, valutazione stato atopico, prove di funzionalità respiratoria.
2. Accertamenti periodici per esposti ad allergeni inalanti: anamnesi, test immunologici e spirometrici, reattività
bronchiale.
3. Accertamenti periodici per esposti a sostanze sensibilizzanti per contatto: anamnesi e test epicutanei.
Il decreto cardine che tutela la donna in stato di gravidanza è il decreto 151 del 2001 inserito all’interno del
testo unico 81/08. La legge 120 del 1971, la legge 53 del 2000 e la legge 151 del 2001 tutelano la donna
lavoratrice in periodo di gravidanza e allattamento. La tutela per la lavoratrice in stato di gravidanza e
allattamento non comprende solo i 9 mesi di gravidanza, ma fino ai 7 mesi successivi al parto.
La legge 151 del 2001 prevede due allegati uno A e B dove vengono descritti tutti i lavori a cui la lavoratrice
non può essere più sottoposta. La lavoratrice in stato di gravidanza non può essere sottoposta a:
1. Vibrazioni meccaniche o a movimentazioni da manovale di carichi pesanti che comportano rischi a
livello dorso- lombare
2. Strumentazioni rumorose
3. Radiazioni ionizzanti superiori a 1 millisider
4. Sollecitazioni termiche (es: Vigili del fuoco)
5. Agenti biologici da 2 a 4 o agenti chimici come metalli e sostanze chimiche tossiche.
6. Turno notturno: dalle 24 alle 6 del mattino, fino ad un anno di vita del bambino, inoltre fino all'età
di tre anni può facoltativamente scegliere di fare o meno il turno notturno, allo scoccare del terzo
anno dovrà sottoporsi al turno notturno a meno che non sia esente per altre patologie.
Se si prevede un orario di lavoro superiore alle sei ore la legge prevede un riposo di due ore; se invece
inferiore alle sei una sola ora di riposo, per i parti gemellari questo valore va raddoppiato o triplicato.
L'art. 28 DL. 81/2008 dice che il datore di lavoro nel diario del documento di valutazione del rischio deve
avere un capitolo a parte sulla gravidanza e sulla gestione della gravidanza; se non lo fa incombe in una
causa penale e una sanzione superiore a 15000 euro per danno biologico. Nella relazione il datore di lavoro,
oltre ad indicare le persone a rischio, deve specificare quali sono le misure per gestire la gravidanza, quali
sono le procedure immediate e quali sono le persone incaricate a gestire la condizione di gravidanza da
parte della lavoratrice.