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MEDICINA LEGALE

CAP. 1: INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA MEDICINA LEGALE

Par. I: Rapporto di causalità


Il reato
• Reato: ogni fatto illecito al quale l’ordinamento giuridico fa conseguire una pena; secondo l’art. 39 c.
p. (distinzione tra delitti e contravvenzioni) “I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni,
secondo la diversaspecie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice”. Il reato è,
dunque, una violazione della legge penale, cioè l’infrazione di un divieto o l’inadempienza di un
comando e si distinguono:
o Delitti: reati più gravi, puniti con ergastolo, reclusione o multa
o Contravvenzione: reati meno gravi, puniti con arresto o ammenda
• Costituenti del reato:
o Oggetto: individuo o cosa su cui ricade il reato
o Soggetto attivo: uomo che compie l’azione costituente il reato stesso (agente, colpevole,
autore, reo)
o Soggetto passivo: titolare del bene ed interesse protetto dalla legge, cioè la persona offesa
dal reato (vittima)
o Danneggiato: qualunque persone alla quale il reato ha cagionato un danno
• Elementi essenziali del reato (vedi anche dopo)
o Psicologici (o soggettivi)
ƒ Volontà (“volontà colpevole”)
ƒ Scopo
o Materiali (oggettivi): fatto materiale
ƒ Condotta (o azione): comportamento umano che produce una modificazione del
mondo esteriore
ƒ Evento (o effetto): modificazione del mondo esterno prodotta o non impedita dalla
condotta umana
• Artt. 27 Costituzione: responsabilità penale: “La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte”

Generalità sul rapporto di causalità


Il rapporto di causalità, fondamentale in ML, implica lo stabilire se un dato evento biologico (morte, lesione,
malattia, menomazione, deficit funzionale, etc.) sia stato causato da un fatto o da una condotta umana (attiva
od omissiva), tale da poter esser addebitato all’autore della condotta stessa.
In altre parole il rapporto di causalità può considerarsi il nesso tra 2 fenomeni, di cui uno assume carattere di
causa e l’altro di effetto.
È altresì importante indagare circa la successione temporale degli eventi: difatti, un certo evento non può
produrne un altro se non lo precede (anche di pochissimo). In tal senso, la causa può considerarsi un
antecedente necessario e sufficiente a produrre l’effetto.


 
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In realtà, un dato evento non è quasi mai il prodotto esclusivo di un solo fattore causale, ma di una pluralità
di fattori (concausa). In tal senso, il rapporto di causalità (RC) andrebbe considerato come “una catena in cui
ciascun anello trasmette a quello successivo un impulso verso un fine determinato, impulso che a sua volta
ha ricevuto dall’anello precedente e così via”.
Gli anelli più importanti di questa catena sono, in genere, l’ultimo (ossia l’evento finale di danno) ed il primo
(evento lesivo iniziale): tutti gli anelli della catena, tuttavia, sono importanti (e studiarli è imprescindibile) al
fine di una corretta valutazione ML.
Pertanto, la corretta valutazione del RC si propone di identificare la causa unica oppure, più frequentemente,
i molteplici antecedenti concausali, stabilendo in questo caso, secondo un criterio comparativo, il diverso
peso specifico di ciascuno di essi nel determinismo dell’evento considerato.
Quindi, in senso ML, la causa viene considerata quell’antecedente da cui dipende necessariamente ed
invariabilmente (da sola od in concorsa con altri fattori) l’avverarsi della modificazione peggiorativa dello
stato anteriore. Pertanto, la differenza fondamentale tra causa ed insieme di concause è che la prima è da sé
sola sufficiente alla produzione dell’evento.
In sostanza, rilevare se effettivamente un danno derivi causalmente o concausalmente dalla condotta del
colpevole o dal fatto illecito considerato (“an debeatur”), è uno dei principali aspetti ML.
Ovviamente, se non viene accertato il RC, il soggetto in questione non sarà chiamato a risponderne in sede
penale o civile. È interessante, inoltre, ricordare come questa estraneità viene, talora, accertata e confermata
a livello psichiatrico, come assenza psichica dell’autore al momento del fatto, ossia come sua alienazione,
intendendo con questo termine l’incapacità di intendere o di volere al momento del fatto o dell’assenza di
dolo o di colpa nella produzione dell’evento dannoso considerato.
In altre parole, nella attribuzione delle responsabilità, il Magistrato pone attenzione non solo alla paternità,
ovvero alla produzione materiale o fisica o biologica od anatomo-patologica del danno in esame, ma anche ai
cosiddetti fattori psichici, cioè alla paternità mentale della condotta delittuosa od illecita posta in essere dal
colpevole e delle sue conseguenze dannose immediate ed a distanza.
In definitiva, il RC si basa su due ordini di aspetti:
• RC giuridico-materiale od anatomo-patologico (RC materiale: imputatiofacti): studia il rapporto
fisico od oggettivo esistente tra una certa condotta illecita (attiva od omissiva), o più in generale tra
un antecedente fatto di rilevanza medica e giuridica, ed un determinato evento dannoso, pur esso di
rilevanza medica e giuridica (danno biologico). Si attua sulla vittima
• RC psichica (imputactioiuris): si intende con causalità psichica il rapporto psicologico soggettivo
che intercorre tra la personalità del soggetto, autore della specifica condotta considerata e
l’insorgenza dell’evento dannoso in esame. Solo dopo valutati entrambi i RC, il giudice potrà, infine,
valutare in modo corretto e completo il caso in esame ed emettere la sua sentenza. Si attua sul
soggetto ritenuto responsabile

RC giuridico-materiale
• Art. 40 del Codice Penale: rapporto di causalità: “nessuno può esser punito per un fatto preveduto
dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato non è
conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico
di impedire, equivale a cagionarlo
o Dovere di attivarsi per impedire un evento: deve avere carattere giuridico, cioè derivare da
legge, regolamento, contratto professionale, consuetudine. Peraltro, non è punibile chi non
impedisce un evento venendo meno od un obbligo etico/morale. Quindi, nell’omissione
sono importanti:
ƒ Non aver impedito l’evento
ƒ Aver avuto l’obbligo giuridico di impedirlo


 
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o Conseguenza: perché quel determinato fatto, previsto dalla legge come reato, sia punito,
occorre dimostrare che esso è stato effettivamente prodotto, cioè causato, dalla condotta
(azione od omissione) del soggetto imputato. Conseguenze dirette ed indirette, immediata,
mediata e tardiva, si equivalgono.
o Principio della “conditio sine qua non”: di fronte alla molteplicità delle cause ed alla
molteplicità dei fattori eziologici delle malattie, il Magistrato centra generalmente la sua
attenzione su un fattore unico e specifico, di interesse e valore giuridici (ossia la condotta
illecita), senza il quale, probabilmente, l’evento in questionenon si sarebbe verificato
o Criterio comparativo: ai fini dell’attribuzione delle responsabilità, è decisiva la prova che
nello specifico caso la condotta umana in questione, confrontata con tutti gli altri
antecedenti, che abbiano avuto un ruolo causale nella produzione del danno, li sovrasta al
punto da far ritenere quell’evento come sua propria conseguenza
o Comma 2: stabilisce l’equivalenza tra azione ed omissione e l’obbligo giuridico di
impedire l’evento (vedi sopra)
• Art. 41 del CP: concorso di cause: “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute ,
anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità
fra l’azione od omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità
quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione
precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le
disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o
sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
o Concausa: uno degli antecedenti causali, pur esso di rilevanza medica e giuridica, che
concorre con gli altri alla produzione dell’evento finale di danno, sicché senza di esso
l’evento dannoso non si sarebbe verificato nonostante l’attualità degli altri fattori
produttivi. Pertanto, la concausa, pur se necessaria, non è da sé sufficiente e determinante a
produrre l’evento dannoso (o pericoloso) in questione. In tal senso, gli eventi concausali
sono di gran lunga più frequenti di quelli causali (cioè con una sola causa) ed andrebbero
considerati come diversi attori di una “rappresentazione teatrale”, a ciascuno dei quali
compete una parte, più o meno importante, a cui il Magistrato dovrà fornire, sulla base
delle valutazioni ML, la giusta rilevanza giuridica.
o Compito del ML: è quello di precisare il ruolo delle concause, cioè di stabilire, con la
massima accuratezza e seguendo criteri scientificamente corretti, il peso specifico che quel
determinato antecedente assume nei riguardi della produzione dell’evento finale di danno;
ne consegue, inoltre, la necessità del confronto fra quello stesso antecedente ed altri, che
pure abbiano avuto un certo ruolo nel determinismo dell’evento considerato.
In definitiva, l’art. 41 c.p. dispone espressamente che il rapporto di causalità non è escluso,
ove alla produzione dell’evento dannoso o pericoloso abbiano contribuito, oltre
all’antecedente giuridicamente rilevante considerato, anche altre eventuali concause
preesistenti, simultanee o sopravvenute, pur se indipendenti dall’azione od omissione del
colpevole
o Rilevanza penale: il soggetto imputato, dunque, sarà colpevole e risponderà non solo del
rapporto causa/effetto determinato dalla sua condotta, ma anche di tutte le conseguenze
determinate da altre cause (concause). Infatti, il rapporto causa/effetto non presuppone la
parità delle cause o la predominanza di una sulle altre, ma la partecipazione delle diverse
cause alla produzione dell’evento

Concause preesistenti


 
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Un esempio può esser quello di un soggetto portatore di aneurisma aortico, che muore a causa di
un’emorragia da rottura dell’aneurisma stesso prodottasi per trauma contusivo toracico (pugno, impatto del
torace contro il volante dell’auto), sebbene di modesta efficienza lesiva.
In tal caso, l’aneurisma aortico, nei riguardi dell’evento mortale finale, va considerato non solo come
antecedente condizionale, cioè come semplice predisposizione, ma come vera e propria concausa
preesistente di lesione, poiché concorre in modo efficiente con il trauma toracico nel determinismo
dell’exitus.
Difatti, se la persone non avesse avuto l’aneurisma, probabilmente non sarebbe morto a causa del trauma
subito. Pertanto, poiché le concause non escludono comunque il nesso causale- qualsiasi sia stata l’intensità
dell’insulto lesivo inferto- il colpevole risponderà di omicidio, ma a titolo diverso a seconda delle diverse
risultanze dell’analisi del rapporto di causalità psichica (omicidio doloso, colposo o preterinitenzionale).
In sostanza, al ML tocca il compito di distinguere quando determinati antecedenti, che fanno parte dello stato
anteriore del danneggiato ed il più delle volte sconosciuti prima di una specifica indagine, assumono il
significato di semplici antecedenti condizionali e quando quello di concause preesistenti nella produzione del
danno (si ricordi che questo è fondamentale proprio nelle vertenze ML in ambito medico, data l’ovvia
tipologia di soggetti: quanto una determinata azione od omissione ha effettivamente influito sull’evoluzione
dl caso in questione? Ndr).
Altro esempio tipico è quello di un calcio (o di altro evento lesivo) sferrato ai quadranti inferiori di una
donna gravida e che produca un aborto: posta, ovviamente, la gravidanza come “conditio sine qua non”
dell’evento, il significato del calcio sarà ben diverso, rispetto a quello sferrato ad un donna la cui gravidanza
proceda fisiologicamente, in una donna la cui gravidanza sia patologica, complicata, dunque, ad esempio, da
distacco di placenta (in tal caso la gravidanza, da semplice fattore condizionale, viene ad assumere
significato concausale) o aborto in atto (caso estremo in cui sarà la gravidanza stessa ad assumere significato
causale ed il calcio sarà solo “rivelatore” di un aborto già in atto).
Comunque, le concause preesistenti possono esser distinte in:
• Anatomiche: decorso anomalo di vasi, situsvisceruminversus, esistenza di organi ectopici etc.
• Fisiologiche: gravidanza, fragilità ossea costituzionale o senile (osteoporosi), distensione gastrica
post-prandiale, distensione vescicale: questi ultimi sono fattori che possono concorre a fratture ossee
o rottura di viscere
• Patologiche: aneurisma aortico, DM, echinococcosi epatica (piccolo trauma > rottura cisti > shock
allergico >exitus: dunque, in simili casi, da un lato la lesione precedente ha un rilevante significato
concausale, dall’altro il colpevole dovrà comunque rispondere dell’evento mortale) , neoplasie,
emofilie, esiti di lesioni pregresse

Concause simultanee
Ad esempio, è il caso di una ferita inferta con uno strumento contaminato, come la lama sporca di un
pugnale, per cui, oltre alla ferita da taglio o da punta e taglio causata dal pugnale, il colpevole risponderà del
quadro infettivo causato dagli agenti microbici introdotti nell’organismo dalla lama e dei suoi esiti eventuali.
Ciò è vero anche per danni iatrogeni, causati non solo dall’erroneità di un atto medico, ma anche, ad
esempio, dalla mancata asepsi di strumenti o ambienti (ndr).

Concause sopravvenute
È il caso, ad esempio, di una persone ferita in modo non grave che muore per una successiva complicanza
settica della ferita stessa, per un inadeguato trattamento da parte dei medici o per una scarsa cura da parte
dello stesso ferito. Il feritore , dunque, sarà chiamato a rispondere della morte, sia pure a titolo diverso da
quello di omicidio doloso (ad esempio, di omicidio preterintenzionale).
In talune circostanze, peraltro, le concause sopravvenute interrompono certamente il rapporto di causalità;
tuttavia, l’art. 41 del c.p. è molto rigoroso a riguardo, stabilendo che esse escludono il nesso di causalità


 
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“solo quando sono state da sé sole sufficienti a determinare l’effetto”. Si dovrebbe, pertanto, in questi casi,
parlare di “cause”, piuttosto che di “concause”.
In conclusione, ai fini dell’interruzione del rapporto di causalità le concause sopravvenute debbono
possedere i seguenti attributi:
• Eccezionalità e, dunque, imprevedibilità
• Atipicità: deve esser intervenuto un quid novi rispetto alla condotta considerata od alla normale
evoluzione di un certo quadro morboso
• Indipendenza dal fatto del colpevole: tuttavia, si ricorda che “nel caso di lesioni personali seguite da
decesso della vittima dell’azione delittuosa, l’eventuale negligenza od imperizia dei medici non elide
il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell’agente e l’evento morte. La colpa dei medici, infatti,
anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento
dell’agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l’intervento dei sanitari”
• Capacità di essere da sole sufficienti a provocare l’evento: sono casi alquanto rari, come quelli in cui
una persona ferita sia vittima di un incidente stradale mortale o di un crollo nella degenza
ospedaliera o domiciliare. La causa sopravvenuta, inoltre, può consistere anche in un fatto doloso o
gravemente colposo della stessa vittima, che pone in essere un comportamento lesivo sulla propria
persona (ad esempio, una persona con grave lesioni, specie dopo violenze od abusi, a seguito di
sovvenuti episodi depressivi, si suicida: tuttavia, andrà valutato il RC tra eventi traumatici e stato
depressivo)

Occasione
È una circostanza favorevole, ma sostituibile con altre simili ed incapace di produrre effetti: sono questi i
casi di un aneurisma addominale rotto a seguito di un banale trauma addominale (caso in cui, tuttavia, va
prestata attenzione alla sequenza temporale, in quante nei primi giorni successivi al trauma, il sangue
emorragico può formare una sorta di tappo attorno al vaso emorragico, bloccando per qualche giorno
l’emorragia stessa e la sintomatologia) o di una complicanza embolica instauratosi su di una tromboflebite
della gamba a seguito di una banale contusione della gamba stessa.
In sostanza, in questi casi, il trauma agirebbe, piuttosto che come agente causale o concausale, quale “goccia
che fa traboccare il vaso”.
Si deve, in ogni modo, distinguere l’occasione, intesa dunque come una varietà o come ultimo degli
antecedenti causali, riconoscendole pertanto una, sia pur minima, efficienza causale, dal cosiddetto momento
rivelatore (o sciogliente), assolutamente privo di qualsiasi effetto causale (“ciò che rivela non causa”).
Quindi, l’occasione va intesa come momento liberatore (piuttosto che rivelatore), caratterizzato dall’essere:
• L’ultimo degli antecedenti causali
• Teoricamente sostituibile
• Generico
• Sprovvisto di capacità lesiva rispetto all’uomo sano e normale
• Equiparabile quantitativamente agli atti ordinari fisiologici e vegetativi (tossire, starnutire, defecare,
coire, etc.)
• Esiguo rispetto alla gravità dell’effetto dannoso

Criteri da seguire nella valutazione del RC


• Cronologico: in ML, si ricorda, non vale il principio “post hoc, ergo propter hoc”. In altre parole, il
fatto che un certo danno si sia obiettivato dopo un certo evento lesivo iniziale, non significa che sia
stato proprio questo a causarlo: occorre dimostrarlo. Inoltre, per tale dimostrazione, tra l’evento
iniziale e quello finale dovrebbe esser trascorso un lasso di tempo (pur se estremamente variabile,
dall’immediatezza di una lesione traumatica al lungo lasso di tempo intercorso tra esposizione


 
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lavorativa all’asbesto e mesotelioma pleurico, ndr) sufficiente e compatibile ai fini dell’ammissione


del nesso causale
• Qualitativo: la qualità dell’antecedente lesivo iniziale deve essere compatibile con la qualità
dell’evento prodotto (ad esempio, un certo veleno causerà dei determinati, e qualitativamente
definiti, effetti avversi). Dunque, occorre aver considerazione di disturbi accusati, segni clinici
obiettivabili, rapporto reciproco e rapporto con l’antecedente di volta in volta discussione
• Quantitativo: la quantità dell’azione lesiva iniziale deve esser compatibile con la quantità o la gravità
dell’effetto prodotto, tenendo conto in ogni caso della variabilità dello stato anteriore (ad esempio,
allergia ad un farmaco o emofilia)
• Modale: vi deve esser corrispondenza tra sede di applicazione di un trauma (od anche via di
somministrazione di un farmaco) e modalità di comparsa di certi disturbi e di evoluzione sino al
conclamarsi del danno. Si parla, talvolta, anche di criterio topografico, sebben non sempre esista una
corrispondenza tra sede della lesione iniziale e sede del danno (lesioni da contraccolpo, embolie
post-traumatiche, etc.)
• Della continuità fenomenologica: vi deve essere un continuum di sintomi e segni (sintomi a ponte)
tra lesione iniziale e danno conclusivo, sebbene sia nota l’esistenza di sindromi con intervallo libero
(ematoma extradurale post-traumatico, mesotelioma) e di sindromi con manifestazioni cliniche a più
tempi
• Di esclusione: va esclusa l’importanza di altri fattori causali, diversi da quelli considerati, nel
determinismo dell’evento dannoso in esame

Criteri scientifici
• Probabilistico: stabilisce la frequenza con cui determinati antecedenti provocano determinati eventi
• Della sussunzione: in virtù dell’esistenza di leggi scientifiche, un determinato antecedente viene
considerato causale per un dato evento

Valutazione finale del nesso causale


• Il nesso causale esiste con assoluta certezza
• Il nesso causale è altamente probabile
• Il nesso causale non esiste
• Il nesso causale non è dimostrabile


 
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Par. II: Diagnosi di morte e denuncia delle cause di morte

Caratteristiche generali di diagnosi di morte


La morte può esser definita come la privazione di tutte le proprietà biologiche dell’essere vivente.
Eccezion fatta per casi di devastazione della persona (decapitazione, maciullamento, disintegrazione), essa si
verifica in modo graduale, definendosi, in questi casi, e quindi nella stragrande maggioranza delle volte,
come un processo.
Tale processo, infatti, inizia con la cessazione delle 3 funzioni che costituiscono il tripode di Bichat:
cardiocircolatoria, respiratoria e nervosa (“morte clinica”, “morte reale” o “morte legale”). Esso procede,
poi, con le trasformazioni ed il degrado del cadavere e termina con la distruzione completa, ovvero con la
dissoluzione di ogni cellula dell’organismo (“morte biologica” propriamente detta o “morte assoluta”).
Comunque, di primaria importanza ML è il decesso, inteso come la fine e la dissoluzione irreversibile
dell’individuo come unità organizzata: la persona fisica, in questo momento, diviene cadavere e perde la sua
capacità giuridica.
Il momento centrale, e più importanti ai fini della diagnosi di morte, risulta, pertanto, costituito dal rilievo
della cessazione globale e definitiva, e perciò irreversibile ed inemendabile, di tutte le funzioni dell’encefalo:
difatti, in presenza di segni certi della cessazione delle funzioni non solo della corteccia cerebrale e degli
emisferi, ma anche, e soprattutto, del tronco cerebrale (e quindi del cervello in toto), la stessa prosecuzione
della vita vegetativa risulterà impossibile.
Solo in questa circostanza, il paziente si giudicherà clinicamente morto: in tale circostanza, peraltro, risulta
del tutto inutile continuare a ventilare o a sostenere il circolo od a prestare assistenza ad un cadavere (a meno
che non esistano specifiche esigenze in materia di espianto e di trapianto, al fine di preservare la vitalità di
determinati organi). Si ricorda, inoltre, che in presenza di una lesione esclusiva del tronco cerebrale non può
porsi la diagnosi di morte, la quale necessita della cessazione irreversibile della funzione corticale, oltre che
troncoencefalica.
Inoltre, essendo la morte un fenomeno unitario, risulta erroneo parlare di morte cardiaca, respiratoria o
cerebrale, risultando più corretto parlare di criteri cardiologici, respiratori o neurologici.
In ogni caso, infine, anche la morte per arresto cardiaco s’intende avvenuta quando la respirazione e la
circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le
funzioni dell’encefalo.

Diagnosi di morte per arresto cardiaco


• Legge 2 dicembre 1975/644: “in caso di cessazione del battito cardiaco, l’accertamento della morte
deve essere effettuato, salvo i casi di morte cerebrale, mediante il rilievi continuo all’ECG protratto
per non meno di 20’ “ > tracciato piatto per non meno di 20’

Diagnosi di morte cerebrale


Ai fini della diagnosi di morte è necessaria la prova della perdita di tutte le funzioni dell’encefalo, tra cui è
soprattutto dimostrativa, sebbene non da solo sufficiente, la cessazione irreversibile delle funzioni del tronco
encefalico. Tale struttura, infatti, svolge un ruolo essenziale per il funzionamento della corteccia, e quindi per
il mantenimento dello stato di coscienza e per la stessa elettrogenesi corticale; tra le strutture
troncoencefaliche, la più importante risulta la sostanza reticolare attivante (SRA), funzionale proprio ad
attivazione, mantenimento e ripristino dello stato di vigilanza:
• Funzioni essenziali del tronco: considerando tali funzioni, risulta chiaro come la cessazione
irreversibile e globale dell’attività troncoencefalica risulta nella morte del cervello in toto (tuttavia, è
bene tener presente come questa sia un’affermazione prognostica: difatti, per un corretto giudizio
diagnostico occorre l’avvenuta cessazione delle funzioni, oltre che troncoencefaliche, encefaliche)
o Mantenimento del respiro e del battito cardiaco (centri bulbari cardio-respiratori)

 
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o Mantenimento del flusso ematico cerebrale


o Funzionamento dei nervi cranici
o Funzione motoria
o Funzione sensoriale
o Funzione di integrazione delle varie attività cerebrali
• Condizioni di morte cerebrale
o Stato di incoscienza
o Assenza di
ƒ Riflesso corneale
ƒ Riflesso fotomotore
ƒ Riflesso oculo-cefalico ed oculo-vestibolare
ƒ Reazioni a stimoli dolorosi nel territorio del trigemino
ƒ Riflesso carenale
ƒ Respirazione spontanea (dopo sospensione di quella artificiale fino al
raggiungimento di ipercapnia accertata di 60 mmHg con pH< 7,4)
o Silenzio elettrico cerebrale documentato da EEG
• Ulteriori indagini volte accertare l’assenza di flusso ematico cerebrale in:
o Bambini di età inferiore ad un anno
o Presenza di fattori concomitanti (farmaci depressori del SNC, ipotermia, alterazioni
endocrino-metaboliche, ipotensione sistemica) in grado di interferire sul quadro clinico
complessivo
o Situazioni che non consentano una diagnosi eziopatogenetica certa o che impediscano
l’esecuzione dei riflessi del tronco o dell’EEG
• Ulteriori precisazioni riguardo:
o Riflesso spinali, spontanei o provocati: non hanno rilevanza ai fini dell’accertamento della
morte, essendo la loro integrità compatibile con la condizione irreversibile di tutte le
funzioni encefaliche (sono infatti midollari)
o Ulteriori prove strumentali (solitamente non necessarie)
• EEG: anche se silente per oltre 24 ore, non dà l’assoluta certezza della cessazione irreversibile delle
funzioni encefaliche. Peraltro, occorre distinguere il cosiddetto “silenzio elettrico assoluto” dal
“tracciato piatto”, definizione quest’ultima non accettata dalla Federazione Internazionale di
Elettroencefalografia”, che proprio al fine di evitare equivoci, ha sostituito questo termine con quello
di “basso voltaggio” (attività elettrica < 20 mV). Infatti, ai fini di una corretta diagnosi di morte
cerebrale, deve prendersi in considerazione il solo silenzio elettrico assoluto, ossia un tracciato che
non contenga potenziali elettrici (spontanei o provocati) al di sopra di 2 mV, registrati per una durata
continuativa di 30 minuti da qualsiasi regione della teca cranica
• Neonato anencefalico: è anch’egli persona vivente e dotato di capacità giuridica; infatti, pur se privo
di emisferi, è fornito, oltre che del midollo spinale, di alcune strutture diencefaliche, e soprattutto del
tronco encefalico, che gli consentono una serie di funzioni vegetative, come la respirazione e la
deglutizione. Di conseguenza, solo allorché anche queste attività saranno cessate, si dovrà
considerare il neonato “cadavere”

Altre considerazioni
• Collegio medico per accertamento della morte: nominato dalla Direzione Sanitaria e composto da
un ML (o in sua mancanza da un medico della DS o da un anatomo-patologo), da un medico
specialista in anestesia e rianimazione e da un neurofisiopatologo (o in sua mancanza da un
neurologo o neurochirurgo esperto in EEG)
• Periodo di osservazione

 
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o Durata
ƒ 6 ore per adulti e bambini di età > 5 anni
ƒ 12 ore per bambini di 1-5 anni
ƒ 24 ore per bambini < 1anno
ƒ NB: in caso di danno anossico cerebrale, il periodo di osservazione non può iniare
prima di 24 ore dall’insulto anossico
o Rilevazione: 3 volte: all’inizio, a metà ed alla fine del periodo di osservazione
o Regolamento della Polizia Mortuaria atta ad evitare l’inumazione di persone in stato di
“morte apparente” (allorquando non esistano adeguati mezzi e strutture per una corretta
diagnosi di morte): prevede che venga rispettato un più lungo periodo di osservazione,
esteso fino alla comparsa di fenomeni tanatologici certi.
ƒ Nessun cadavere, infatti, deve essere chiuso in cassa, sottoposto ad autopsia od a
trattamenti conservativi, a conservazioni in celle frigorifere, né inumato,
tumulato, cremato od imbalsamato, prima di 24 ore dal momento del decesso e di
48 ore nei casi di morte improvvisa o di sospetto di morte apparente
ƒ Si fa eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento e per quelli in cui il
medico necroscopo abbia accertato la morte mediante l’ausilio EEG
ƒ In caso di morte per malattie infettive o diffusibili, di iniziale putrefazione o di
ragioni speciali, il Sindaco, su proposta del coordinatore sanitario dell’Asl, può
ridurre la durata dell’osservazione a meno di 24 ore
• Visita del medico necroscopo: deve essere effettuata non prima di 15 ore dal decesso, salvo casi
particolari (decapitazione, maciullamento, etc.), nonché quelli sottoposti ad accertamento precoce
della morte (soggetti sottoposti a manovre rianimatorie, a fini di espianto di organi per trapianto
terapeutico), e non dopo le 30 ore.
o NB: l’accertamento della morte eseguito dall’apposito Collegio medico secondo le
modalità prima indicate esclude ogni ulteriore accertamento da parte del medico
necroscopo e l’obbligo della certificazione della morte (denuncia delle cause) compete (in
qualità di medico necroscopo) al componente ML, o di chi è stato designato a sostituirlo,
del suddetto Collegio
• Certificato di morte:
o Tipi
ƒ Certificato di constatazione del decesso: può esser chiesto a qualsiasi medico che
abbia prestato assistenza al morente o che sia intervenuto a decesso appena
verificatosi. È un’attestazione scritta, nella quale il medico dà atto dell’avvenuto
decesso e, ove siano riconoscibili, delle cause immediate del suo verificarsi e
delle eventuali terapie attuate
ƒ Denuncia delle cause di morte: è obbligatorio solo per chi realmente conosce la
concatenazione causale degli eventi, che hanno condotto all’exitus il paziente.
Tale obbligo vale in genere per il medico curante o per il medico necroscopo
o Note
ƒ In caso di segni certi o sospetti di morte violenta, il medico avrà anche l’obbligo
di stilare il referto e di mettere quindi la salma a disposizione dell’Autorità
giudiziaria (AG)
ƒ In caso di riscontro di parti di cadavere o di resti mortali o di ossa umane, chi ne
fa la scoperta deve immediatamente informare il Sindaco (S), il quale dà
comunicazione all’AG, a quella di Pubblica Sicurezza (PS) ed all’Asl competente.
Quest’ultima incarica dell’esame del materiale rinvenuto il medico necroscopo e


 
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comunica i risultati degli accertamenti eseguiti al S ed alla stessa AG, che rilascia
il nulla osta per la sepoltura
• Autorizzazione alla sepoltura del cadavere: ad eccezione dei summenzionati casi di riscontro di
resti mortali, l’unica certificazione con valore giuridico ai fini del rilascio dall’Ufficio di Stato
civile (o dall’AG) è il certificato del medico necroscopo, ovvero la denuncia delle cause di morte.
Solo quando queste risulteranno accertate, il cadavere potrà esser sepolto (o cremato)
• Denuncia sanitaria delle cause di morte: è una denuncia obbligatoria da inviare entro le 24 su
apposita scheda di morte, dall’accertamento del decesso; con essa il medico precisa, avendone
piena coscienza, quali siano state le cause iniziali, intermedie e tardive , di morte dell’assistito.
L’obbligo della denuncia della causa di morte vale anche per i medici incaricati di eseguire
autopsia giudiziaria o di effettuare un riscontro diagnostico. Le schede-denuncia di causa di morte
hanno valore statistico-sanitario ed epidemiologico.

Par. III: Esame del cadavere e sopralluogo giudiziario


Riscontro diagnostico ed autopsia giudiziaria
• Autopsia: è ordinata dal Magistrato, se ritenuta necessaria per l’identificazione del cadavere o per
stabilire causa, mezzi, epoca e modalità della morte ai fini del giudizio o della responsabilità.
Solitamente richiesta ed eseguita in sede penale, può esser chiesta anche in ambito civilistico od ai
fini della risoluzione di quesiti di ordine previdenziale. Altre caratteristiche sono che:
o È considerata un accertamento tecnico non ripetibile: risulta, dunque, fondamentale l’attività
del PM e del suo consulente, che dovrà saper orientare il Magistrato sull’opportunità, ovvero
sulla necessità, di promuoverla ad “incidente probatorio”; quindi:
ƒ Nei casi in cui non si procede con incidente probatorio: il verbale autoptico
costituirà uno degli atti delle indagini preliminari, disposi ed effettuati sotto il
controllo del PM
ƒ Se si procede con incidente probatorio: la relazione peritale assume valore di prova
e, come tale, potrà esser utilizzata dalle parti in dibattimento
o Verbale di autopsia: consta di 3 parti:
ƒ I: si descrivono esattamente i dati anatomo-patologici raccolti nell’esame delle parti
esterne ed interne e si espongono dettagliatamente i reperti notati
ƒ II: si formula la diagnosi anatomo-patologica delle alterazioni riscontrate
ƒ III: si precisa e si motiva la diagnosi ML sulla causa, i mezzi, le modalità e l’epoca
della morte
o Quando effettuare l’autopsia: tutte le volte che il Magistrato lo richieda; difatti “l’autopsia
non è una perizia, ma un atto preprocessuale di polizia giudiziaria, che può costituire il
presupposto per l’esercizio dell’azione penale da parte del PM”. Comunque, l’autopsia
dovrebbe esser effettuata in tutti i casi di morte non naturale, certa o sospetta, anche se sia
trascorso un certo tempo fra evento ritenuto responsabile sotto il profilo causale ed il
decesso. In particolare, essa va effettuata in caso di:
ƒ Omicidio certo o sospetto
ƒ Suicidio
ƒ Morte improvvisa (compre la SIDS: suddeninfantdeathsyndrome)
ƒ Sospetta violenza dei diritti umani (tortura, maltrattamento)
ƒ Morte iatrogena o malattia professionale
ƒ Incidenti stradali o sul lavoro
ƒ Incidenti domestici
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ƒ Catastrofi naturali
ƒ Morte in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di polizia
ƒ Cadaveri non identificati o resti scheletrici
• Riscontro diagnostico: esame sistematico del cadavere eseguito, su disposizione dell’Autorità
sanitaria, per finalità meramente cliniche, quando si tratta di accertare la causa della morte nel caso
di cadavere di persone decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale od in un obitorio
o in un deposito di osservazione o nel caso di cadaveri di persone decedute in ospedali, cliniche
universitarie o private, tutte le volte che lo dispongano i rispettivi direttori sanitari, primari o medici
curanti per il controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti medico-scientifici.
o Può anche esser chiesto dal medico di famiglia (ed in questo caso a disporlo sarà il
coordinatore sanitario dell’Asl di competenza) quando si tratta di persone decedute a
domicilio a causa di una malattia infettiva o diffusiva o sospetta di esserlo, per la
precisazione della diagnosi
o Il medico anatomo-patologi, che nel corso del riscontro diagnostico abbia il sospetto che la
morte sia da riferire ad una causa violenta (dolosa o colposa) deve sospendere l’indagine e
presentare il referto, mettendo la salma a disposizione dell’Autorità giudiziaria

Esame del cadavere


• Esame esterno
o Principali finalità dell’indagine:
ƒ Accertare l’identità del cadavere
ƒ Stabilire l’epoca della morte
ƒ Precisare la causa del decesso e quindi:
• Descrivere i segni esteriori di lesività ed i vari reperti tanatologici, senza
modificare lo stato fisico del cadavere
• Obiettivare eventuali reperti morbosi in atto all’epoca del decesso, ovvero
consolidati (esiti di malattie pregresse)
o Cosa valutare
ƒ Dati generali: statura, peso, sesso, età apparente, forma del cranio, colore dei capelli,
carattere dei peli, presenza di nei, cicatrici o deformazioni ossee
ƒ Dati specifici: lesioni, antiche o recenti, materiali estranei presenti sul corpo (macchi
di sangue, etc.)
o Cosa fare: occorre considerare se i dati raccolti siano da sé sufficienti ad identificare il
cadavere ed a stabilire con certezza la causa della morte e l’epoca alla quale essa risale. In
caso contrario si chiederà al Magistrato l’autorizzazione ad effettuare l’autopsia giudiziaria.
Casi specifici sono:
ƒ Casi di legatura (come cappi intorno al collo): prender nota della posizione del nodo,
tagliare il laccio con le forbici a debita distanza dal nodo stesso e conservarlo
opportunamente
ƒ Casi di ferite d’arma da fuoco od a punta: far coincidere i fori del vestiariocon quelli
del corpo, al fine di stabilire la direzione con la quale son stati inferiti i colpi
ƒ Presenza di liquidi ai vari orifizi del corpo: il materiale schiumoso eventualmente
presente a livello della bocca o del naso va raccolto con un tampone oppure con una
pipetta e quindi esaminato in laboratorio, specie nei casi di sospetta morte da
avvelenamento
ƒ Sospetta morte per aggressione sessuale: valutare correttamente lo stato degli organi
genitali (con eventuali tampone vaginale ed utilizzo di pipetta)

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ƒ Casi di sospetta morte per soffocamento: importante è l’esame di bocca e labbra;


potranno, infatti, in questi casi, notarsi lacerazioni delle labbra e lesioni da impronta,
causate dalla pressione dei denti sulla mucosa, espressione della forza lesiva
ƒ Casi di sospetta morte asfittica: si osservano frequentemente petecchie emorragiche
on sede retroauricolare, sottocongiuntivale etc.
ƒ Casi di arma da taglio: possibili lesioni da difesa, specie al palmo delle mani
ƒ Casi di suicidio: lesioni di continuità sul polso, caratterizzate da parallelismo ed in
genere dal loro notevole numero, espressione dei ripetuti tentativi prima della
recisione fatale dei tronchi arteriosi
• Esame degli organi interni: le finalità dell’indagine settoria in ambito Ml sono quelle di metter in
evidenza tutti i reperti antomo-patologici (AP), macro- e microscopici, utili ai fini
dell’identificazione personale, dell’accertamento dell’epoca della morte e della causa mortis; la
salma va poi ricomposta in modo soddisfacente così da esser restituita alla pietà dei coniugi
o Metodo: solitamente si procede aprendo dapprima la cavità cranica, poi la cavità toracica,
quindi collo, cavità addominale, bacino ed arti.
o Altre considerazioni
ƒ Occorre, inoltre, esser pronti a raccogliere campioni di vari liquidi corporei, quali
sangue, urina, contenuto GI, liquido cerebro-spinale, bile, frammenti di organi e
tessuti
ƒ Prima di tagliare o ripulire in acqua un organo, occorre farne una preliminare
accurata ispezione
ƒ Il sangue necessario per l’eventuale determinazione dell’alcool o di qualsiasi altra
sostanza ad azione stupefacente, di cui si sospetti la presenza in circolo, va prelevato
preferibilmente dalla vena ascellare o da quella femorale piuttosto che dal cuore.
Difatti, in caso di prelievo dal cuore, il sangue cardiaco tende ad essere mescolato
con quello proveniente dal viscere epatico (tramite la vena cava inferiore) e ciò può
alterare i valori alcolemici
ƒ Ogni organo estratto dalla sua cavità va studiato nei suoi aspetti topografici e fisici,
precisando, dunque, forma, volume, diametri, peso, colorito, aspetto della superficie,
degli involucri e dei margini, consistenza etc.

Morte improvvisa od inattesa


La morte improvvisa è la morte naturale, istantanea o rapida e, soprattutto, inattesa di una persona
apparentemente in salute. In questi termini, la morte improvvisa è quella sopravvenuta contro ogni
aspettativa del medico, riferita, per definizione, ad un evento naturale, anche se poi le cause dell’exitus si
scoprono generalmente solo all’indagine settoria:
• Patologie più frequentemente causa di morte improvvisa:
o Cardiache: ischemia o infarto miocardico acuto
o Respiratorie: pneumotorace, emorragia polmonare
o SNC: embolia cerebrale, emorragia cerebro-meningea
o GI: necrosi acuta pancreatica, emorragia gastrica
o Endocrine: emorragia surrenaliche, morbo di Addison
o Immunitarie: miocardite virale, panarterite nodosa, leucoencefalite emorragica
• Morti improvvise da inibizione funzionale: sono casi in cui l’exitus si verifica in modo inatteso e
rapido, per l’innesco di abnormi riflessi a partenza viscerale, dovuti ad un’eccessiva stimolazione
vagale (ad esempio, riflessi vagali cardioinibitori e vasodepressivi a seguito di manovre di
strangolamento, strozzamento o sul seno carotideo) od anche ad uno stimolo emotivo intenso
(spavento, collera)

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• Risultati dell’indagine settoria


o Casi nei quali l’esame settorio consente di rilevare con precisione la causa mortis (ad
esempio, rottura dell’aorta, emorragia polmonare, IMA, etc.)
o Casi nei quali l’esame settorio dimostra reperti significativi, ma che necessitano di una
spiegazione del meccanismo causale della morte (ad esempio, sospetto di avvelenamento),
tramite ulteriori indagini (istologiche, tossicologiche, etc.), anche al fine di accertare
eventuali preesistenze capaci di giustificare il decesso od eventuali responsabilità di terzi
o Casi nei quali l’esame settorio è negativo, imponendosi, dunque, ulteriori accertamenti, ivi
comprese indagini sulle circostanze di morte, per definirne la causa (morti da cause
funzionali o da gravi alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico o acido-base)

Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post-mortali


Talvolta, occorre distinguere se determinate lesioni (fratture, ferite lacere, da taglio, da arma da fuoco,
fratture, etc.) siano state prodotte in vita (lesioni vitali) oppure se siano state prodotte dopo la morte (lesioni
post-mortali).
Le conclusioni saranno decisamente rilevanti ai fini di un corretto giudizio di responsabilità e della sanzione
penale (ad esempio, ferita da arma da fuoco od investimento di un soggetto già morto):
• Segni che depongono per il carattere vitale delle lesioni:
o Reazione flogistica a carico dei margini della ferita: con aspetti di diverso tipo in base al
tempo trascorso dal momento di produzione della lesione, sino all’instaurarsi dei processi di
granulazione o di cicatrizzazione
o Infiltrazione leucocitaria in corrispondenza dei margini della ferita e perivascolare (NB:
l’infiltrazione leucocitaria può verificarsi anche come lesione post-mortale nel caso in cui
questa sia avvenuta ad un tempo molto ravvicinato dalla morte)
o Infiltrazione emorragica dei margini: in tal caso, occorrerà distinguere l’infiltrazione
emorragica pre-mortale dalle petecchie post-mortali dovute ad esempio a rottura dei vasi
capillari (petecchie pericardiche nella fase di rigidità del cadavere); possibili sono anche
infiltrazioni emorragiche post-mortali dovute ad autolisi od in zone ipostatiche o
periipostatiche
o Emostasi e formazione del reticolo di fibrina
o Trombosi vasale con abbondante fibrina (gli pseudocoaguli post-mortali, ossia agglomerati
gelatinosi e più o meno compatti, costituiti da leucociti ed emazie, sono invece espressione
di lesione post-mortale)
o Formazione di essudato (che si fa ben evidente a 48 ore dal momento di produzione della
ferita)
o Comparsa di monociti nell’essudato (a 12-15 ore dal momento di produzione della ferita)
o Fenomeni di necrosi e degenerazione (attenzione, invece, alle lesioni autolitiche post-
mortali)
o Reazione fibroblastica del tessuto circostante la ferita e comparsa delle fibrille collagene
o Formazione di crosta sieroso o ematica o siero-ematica

Giudizio conclusivo sulla causa mortis


Ricordando che le cause iniziali, intermedie e finali della morte devono esser indicate nella scheda-denuncia
delle cause di morte, si parla di:
• Morte naturale: il decesso rappresenta la naturale (e perciò prevedibile e prevista) conclusione di un
processo di malattia, generalmente conosciuta dal paziente, dai familiari o dal medico curante e
contemplata fra quelle previste dalla nota classificazione internazionale allestita dall’OMS (ed in
Italia dall’ISTAT)

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• Morte improvvisa: il decesso si verifica in modo istantaneo o rapido, inatteso od inopinato, rispetto
alle condizioni cliniche preesistenti il decesso
• Morte iatrogena: è rappresentata da quei decessi nella cui genesi assumono importanza fattori legati
al trattamento medico o chirurgico instaurato od a reazione dannose o tossiche o allergiche ai
farmaci somministrati etc.
• Morte violenta: il decesso è causato dal comportamento violento di terzi oppure della persona su se
stessa (omicidio, suicidio, accidente)

Luogo della morte ed indagini di sopralluogo


Le indagini di sopralluogo sono tutte quelle che vengono effettuate sullo stesso luogo del ritrovamento del
cadavere o dove si suppone sia stato commesso un delitto.
In tal senso, il sopralluogo giudiziaria può intendersi come quel complesso di attività, a carattere scientifico,
che ha come fini la ricerca e l’assicurazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato, utili per la
ricostruzione della dinamica dell’evento e per l’accertamento delle circostanza in cui esso si è realizzato,
anche in relazione alla verifica del modus operandi dell’autore del reato.
Di primaria importanza risulta, ovviamente, la conservazione dello stato dei luoghi di sopralluogo
(attenzione ad eventuali interventi della Polizia Stradale per incidenti stradali!).
Il medico incaricato di effettuarle, come ausiliario della PG o come perito o come consulente del PM, deve
rispettare 3 regole fondamentali:
• Esaminare la scena del delitto, rilevando analiticamente e con il massimo scrupolo i vari dati
ambientali (ambiente chiuso od aperto, temperatura, umidità), accompagnato da:
o Rilievo di eventuali impronte di piedi, di tracce di veicoli o di sangue o di altri liquidi
biologici (feci, sperma, meconio, latte, etc.)
o Rinvenimento di peli, capelli etc. o di oggetti di particolare significato criminologico (armi
da fuoco o da taglio)
o Rilievo di eventuali segni di colluttazione
o Ubicazione della vittima in rapporto al luogo, atteggiamento dei vari segmenti corporei e
stato dei vestiti
o Descrizione della postura del cadavere, dei dati AP utili ai fini della definizione dell’epoca
della morte (temperatura, rigidità, ipostasi, putrefazione, etc.) e dei segni di eventuali lesioni
o Rilievo di eventuali perdite ematiche, annotando sede, colore, quantità approssimativa del
sangue perso, condizione di fluidità o di coagulazione
• Registrare i dati obiettivati mediante appunti, disegni, fotografie, schemi, etc.
• Non modificare la scena del delitto senza che siano state completamente effettuate le indagini
preliminari necessarie e senza aver preventivamente consultato gli altri membri dell’équipe o senza
aver ottenuto l’autorizzazione del Magistrato.
• NB: le principali domande sono le “7 W”:
o Whathappened?
o When?
o Where)
o With what?
o Whichmanner?
o Who?
o Why)

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Le tre “M” dei grandi traumatismi


• Molteplicità: le lesioni sono numerose
• Multiformità: le lesioni, essendo riconducibili a diversi meccanismi, possono essere di diverso tipo
(da impatto, da taglio: ematomi, fratture, emorragie, etc. Attenzione soprattutto a casi
coinvolgimento addominale: “l’addome è la morte del chirurgo”!)
• Multipolarità: le lesioni sono riscontrabili in più sedi corporee

Par. IV: Epoca della morte e modificazioni tanatologiche del cadavere


Introduzione
I segni della morte, considerati in rapporto al tempo, possono distinguersi in:
• Immediati: cessazione definitiva delle funzioni respiratoria, cardiocircolatoria e nervosa (tripode
vitale di Bichat: morte clinica): sono dovuti a morte per disfunzione e possono vincersi con manovre
di riviviscenza (prendere a schiaffi, versare acqua; è importante anche l’uso di una pila per stimolare
il riflesso pupillare e vedere se reagisce!)
• Consecutivi: raffreddamento, rigidità, ipostasi, disidratazione, acidificazione
o NB: i fenomeni immediati e consecutivi possono considerarsi abiotici
• Trasformativi: sia distruttivi che conservativi: putrefazione, macerazione, mummificazione,
saponificazione

Segni clinici consecutivi


• Raffreddamento del cadavere: subito dopo il decesso, la temperatura del corpo diminuisce sino a
raggiungere l’equilibrio con quella ambientale. Tuttavia, il decremento termico non segue le comuni
leggi fisiche, dato che, anche dopo la morte, si verificano processi biochimici capaci di produrre
calorie. Tali processi sono più intensi nelle fasi immediatamente successive all’exitus e si riducono
gradualmente col trascorrere del tempo:
o Fasi
ƒ Di discesa lenta (1-4 ore): la temperatura decresce di circa 0,5°C/h
ƒ Di discesa rapida (4-14 ore): la temperatura decresce di 1°C/h
ƒ Di nuova discesa lenta (14-24 ore): la temperatura scende dapprima di 0,75, poi di
0,5 e poi di 0,25°C/h, sino a raggiungere la temperatura ambientale. A causa, inoltre,
dell’evaporazione post-mortale si abbassa ulteriormente di circa 0,5-1 °C rispetto a
quella esterna
ƒ Dell’equilibrio termico (dopo la 24° ora)
o Condizioni estrinseche ed intrinseche che possono influenzare la curva della dispersione
termica del cadavere:
ƒ Grado della temperatura ambientale
ƒ Umidità
ƒ Ventilazione
ƒ Indumenti che ricoprono il corpo
ƒ Quantità di adipe
ƒ Cause e modalità della morte
o NB: la temperatura post-mortale va rilevata più volte con un termometro da laboratorio
introdotto profondamente nel retto e confrontata con quella ambientale. Naturalmente, poi,
se il corpo si trova in acqua o per terra, deve esser misurata anche la temperatura dell’acqua
o del suolo.
• Rigidità cadaverica (rigormortis): consiste nell’irrigidimento dei muscoli volontari ed involontari,
che si manifesta dopo una fase iniziale di flaccidità post-mortale.
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o Evoluzione
ƒ 2-3 ore dopo il decesso: palpebre
ƒ Successivamente: muscoli mimici del volto > resto della muscolatura della testa e
del collo > muscolatura del tronco, dell’addome, degli arti inferiori e dei piedi
o Note
ƒ Il processo, che prosegue in direzione cranio-caudale, si completa in 8-12 ore,
raggiunge un massimo fra le 36-48 ore dopo la morte ed inizia a regredire man mano
che l’autolisi distrugge le proteine muscolari
ƒ La risoluzione del rigor inizia in corrispondenza dei primi muscoli irrigiditisi (quindi
anche la risoluzione procede in direzione cranio-caudale)
ƒ Tuttavia, numerosi sono i casi in cui il processo di risoluzione della rigidità segue un
decorso anomalo, in virtù della notevole variabilità di fattori intrinseci ed estrinseci
(clima, umidità, costituzione dell’individuo, cause di morte, trasporto del cadavere)
ƒ Rigidità catalettica: il cadavere conserva lo stesso atteggiamento degli ultimi
momenti di vita (ad esempio, un soldato morto durante un’operazione bellica)
o AP: la rigidità cadaverica consiste in un processo post-mortale di gelificazione
dell’actomiosina, con conseguente retrazione della fibra muscolare; il muscolo, di
conseguenza, rimane in stato di contrattura (per retrazione delle miofibrille), sino a che non
iniziano i fenomeni putrefattivi e, più precisamente, la distruzione autolitica dei ponti
gelificati di actomiosina. Entro un certo intervallo di tempo la rigidità può ancora
ricostituirsi grazie al non interessamento nel processo di gelificazione di alcune fibra, ma
superate le 12-14 ore la ricostituzione della rigidità dopo riduzione meccanica non è più
possibile
• Ipostasi: venuta meno l’energia pressoria prodotta dalle contrazioni del cuore, il sangue si raccoglie
nelle parti declivi, sotto la spinta della forza di gravità e della funzione vasale residua. Le ipostasi
indicano, dunque, la posizione assunta dal corpo dopo la morte e concorrono, con altri dati, a
stabilire l’epoca del decesso (potendo, talvolta, fornire utili dati circa le cause stesse di morte)
o Ipostasi in rapporto alla posizione del corpo:
ƒ Cadavere in posizione supina: macchie ipostatiche su nuca, dorso e faccia posteriore
degli arti
ƒ Cadavere in posizione prona: macchie ipostatiche sulle regioni anteriori e ventrali
ƒ Cadavere in decubito laterale: sull’emifianco di decubito (ad eccezione dei punti di
appoggio)
ƒ Cadavere impiccato: sangue nelle parti distali degli arti con disposizioni tipiche a
guanto od a calzino
ƒ NB: ipostasi antigravitarie: si formano in zone non declivi, per ostacolo al deflusso
ematico verso le regioni declivi. Può costituirsi per:
• Pseudo-circolazione post-mortale: è causata dalla rigidità dei muscoli, che
può spingere il sangue nelle sedi a monte
• Aumento putrefattivo della pressione addominale
o Fasi temporali: in linea generale, in assenza di ipostasi, si può supporre che non siano
trascorse più di 2 ore dalla morte; sempre in linea generale, le ipostasi aumentano di
intensità fino alla 12° ora. Tuttavia, in alcune morti improvvise od asfittiche, a causa di una
maggior fluidità del sangue, le macchie ipostatiche possono comparire prima delle 2 ore dal
decesso, presentandosi anche più intense. Comunque, si distinguono:
ƒ Fase di migrabilità assoluta o totale (fino a 6-8 ore dal decesso): muovendo il
cadavere, le ipostasi possono spostarsi completamente dalla prima sede e
ricomparire nella nova diventata declive

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ƒ Fase di migrabilità parziale (8-12 ore dal decesso): muovendo il cadavere, le


macchie possono ancora spostarsi, ma solo parzialmente. Quindi, accanto alle
ipostasi già esistenti, si producono nuove e piccole macchie, mentre le prime si
attenuano di intensità senza scomparire. Ciò vuol dire che la funzionalità vasale si
sta riducendo, risultando insufficiente a produrre lo spostamento completo del fluido
ematico (anche perché questo, inoltre, è divenuto più insufficiente)
ƒ Fase di fissità relativa(12-48/72 ore): le macchie possono ancora spostarsi dalla
posizione originaria, ma solo esercitando un’azione pressoria locale più o meno
intensa (digitopressione). Si è, infatti, esaurita la vis a tergo e lo spostamento può
esser ottenuto solo esercitando un’azione pressoria estrinseca
ƒ Fase di fissità assoluta (oltre le 48/72 ore dal decesso): la macchia ipostatica non è
più spostabile, per la diffusione dei pigmenti ematici attraverso le pareti vasali
interessate dal fenomeno putrefattivo
o AP: le ipostasi sono di colorito rosso-violaceo, ma possono assumere diversi colori:
ƒ Rosso ciliegia: avvelenamento da CO
ƒ Rosso vivo: avvelenamento da CN
ƒ Bruno o bruno-caffè: veleni metaemoglobinizzanti
ƒ Verdastro: stadio colorativo della fase putrefattiva, per formazione di solfo-Hb
ƒ Pallido (ed ipostasi scarse): morti per sochk emorragico
• Disidratazione: anche l’evaporazione ed il conseguente disseccamento post-mortale sono più o meno
rapidi ed intensi a seconda dei vari fattori estrinseci (temperatura, ventilazione, umidità) ed intrinseci
(costituzione, peso, adipe sottocutaneo). Aspetti caratteristici sono:
o Mummificazione naturale: disidratazione cadaverica rapidissima, come in caso di climi assai
asciutti, caldi e ventilati
o Aspetti particolarmente evidenti a livello oculare:
ƒ Tela di Winslow: velo od opacamento corneale
ƒ Macchie sclerali
ƒ Infossamento del bulbo e riduzione della tensione endooculare (segno di Louis)
• Acidificazione: è dovuta all’accumulo di acido lattico provocato dalla cessazione dei meccanismi
ossido-riduttivi a livello cellulare. L’accumulo di cataboliti acidi può esser studiato a livello di:
o Liquidi organici
o Visceri interni
o Umor acqueo ed umor vitreo

Segni clinici trasformativi


• Putrefazione: allontanandosi dal momento della morte, i vari tessuti del corpo vanno incontro ad un
progressivo sfacelo per l’azione di microrganismi saprofiti, che vengono a sommare i propri effetti a
quelli dei fermenti autolitici
o Regola dell’1.2.8: il grado di putrefazione di una cadavere esposto all’aria per una settimana
(1) corrisponde a quello raggiunto da un annegato in due settimane (2) e da un cadavere
inumato in otto (8)
o Fattori in grado di condizionare l’evoluzione
ƒ Fattori estrinseci: la mancanza d’aria, l’assenza di microrganismi, le temperature
basse o molto elevate, l’atmosfera secca od asciutta, l’immersione in acque fredde o
l’interramento, tendono a rallentare notevolmente la degradazione del cadavere
ƒ Fattori intrinseci: età, causa di morte, obesità
o Periodi della putrefazione

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ƒ Colorativo: è contrassegnato dalla comparsa della cosiddetta macchia verde


putrefattiva. Le colonie di bacilli, presenti soprattutto nell’intestino crasso e nel
cieco, si sviluppano, essendo notevolmente favorite dalle condizioni di anaerobiosi:
tale moltiplicazione è contrassegnata dalla forte produzione sia di gasi sia di
prodotti solforati (derivanti dalla scomposizione dei composti organici contenuti nei
tessuti disfatti); lo zolfo, infatti, viene legato all’Hb, resa disponibili dal
disfacimento degli eritrociti. A tutto ciò consegue che fra le prime manifestazioni
della putrefazione (2-3 giorni dopo la morte) vi sia la formazione di una macchia
verdognola, localizzata nella fossa iliaca destra.
La fase colorativa diventa poi più evidente col passare del tempo, potendosi
osservare la comparsa sotto la cute distesa della rete venosa putrefattiva
(fanerizzazione del reticolo venoso superficiale)
ƒ Gassoso (od enfisematoso):
• Inizio
o In estate: 3°-4° giorno
o In inverno: entro 15-20 o più giorni dal momento del decesso
• AP: i vari germi, raggiunto ormai l’acme del loro sviluppo, determinano un
progressivo aumenta della colliquazione e della produzione di gas. Il
cadavere, di conseguenza, assume un aspetto gigantesco o batraciano, con
faccia negroide e rigonfia, occhi che protrudono dalle orbite, lingua
tumefatta che fuoriesce dall’arcata dentaria, iniziale e diffuso distacco
dell’epidermide per scollamento del tessuto sottocutaneo
ƒ Colliquativo:
• Inizio
o In estate: dal secondo mese
o In inverno: dopo 4 o più mesi
• AP: è dovuta in parte all’azione dei fermenti autolitici, in parte all’azione di
germi:
o Anaerobi: si diffondono dalla profondità del corpo verso la
superficie, scollando i tessuti e sollevando bolle di sierosa e di gas
putrefattivo
o Aerobi: provenienti dall’ambiente esterno, si diffondono dalla
superficie alla profondità, attecchendo facilmente sui tessuti messi
a nudo dall’azione dei primi
• Formazione di un liquame nerastro: si determina alla fine della fase
colliquativa ed al suo interno di vedono guazzare indumenti, ossa,
frammenti di tessuti, etc. Gradualmente, tutte le parti molli e quelle
midollari sono distrutte, mentre la parte liquida viene eliminata grazie
all’azione di larve della microfauna ambientale o per dispersione
nell’ambiente
ƒ Della scheletrizzazione: si completa entro 3-5 anni, ma è più precoce nei cadaveri
interrati e più tardivo nei cadaveri sepolti in cassa di zinco
• Saponificazione (o adipocera): è un processo trasformativo, che si verifica in cadaveri esposti ad
un’elevata umidità ambientale ed a scarsa ventilazione o che restano per molto tempo in acqua
(soggetti morti per annegamento e rimasti in acqua, cadaveri sommersi o inumati in umido); è
sempre preceduta da un certo grado di putrefazione
o AP: esternamente, si presenta come una massa bianca, saponosa, di consistenza friabile o
più o meno dura e compatta, untuosa, viscida, dal tipico odore di formaggio guasto o
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rancido. Si forma una specie di corazza untuosa, che sembra fatta di calce o di lardo, che
circonda tutto il corpo del cadavere
o Esordio: quando presente, già dopo 6 mesi dalla morte
• Mummificazione: si verifica quando il processo putrefattivo si arresta negli stadi iniziali, in quanto
il cadavere (specie se di soggetto magri), posto in ambiente asciutto, assai caldo e ventilato, va
incontro ad una rapida e massiva perdita di liquidi. Il corpo assume un colorito bruno,
pergamenaceo, a tipo cuoio vecchio (a differenza di quello lucido, a tipo cuoio da concia, tipico
della corificazione, vedi sotto)
• Corificazione: processo trasformativo tipico del 1°-2° anno di inumazione specie con casse di zinco.
La cute assume un caratteristico aspetto di cuoio recente o da concia, lucente; sul fondo della cassa,
inoltre, si osserva una certa quantità di liquame cadaverico
• Macerazione: è il processo trasformativo cui va incontro il feto in caso di morte in utero e di
mancata o ritardata espulsione, dovuto prevalentemente ad azione di enzimi autolitici ed del liquido
amniotico

Note sull’azione della micro- e macrofauna ambientale


Nel periodo della putrefazione il cadavere è aggredito da numerosi parassiti animali, in particolare da insetti
di diversa specie ed in successive ondate; infatti, allontanandosi dal momento della morte, variano anche le
specie di insetti implicati nel disfacimento della salma.
Nella fasi più precoci (10 ore) si osservano larve di mosche di diverse specie; il successivo rinvenimento di
mosche allo stadio ninfale o pupale indica che si è, in genere, a 10-14 giorni (ma d’estate anche 5-6 giorni).
Dato che le ninfe o pupe si trovano nei pupari, il riscontro di pupari indica che sono trascorsi più di 10-14
giorni.

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CAP. 2: TRAUMATOLOGIA MEDICO-LEGALE

Par. I: Caratteristiche generali


Introduzione
La traumatologia ML ha come campo di interesse gli effetti provocati da ogni forma di energia di tipo fisico
(meccanica, elettrica, termica, radiante, vibratoria, barica) o chimico, in grado di provocare, con modalità
violenta, un’alterazione anatomica e/o funzionale del corpo umano, nonché le conseguenze indotte dallo
stress, allorché si verifichi una mobilitazione delle difese generali dell’organismo di fronte ad un qualsiasi
genere di agente aggressivo.
Quindi, in base alla tipologia dell’agente lesivo, possono distinguersi lesioni:
• Da energia meccanica
o Da corpi contundenti
o Da arma bianca
o Da grandi traumatismi
o Da sforzo
o Da arma da fuoco
• Da energia elettrica
o Folgorazione
o Fulminazione
• Da energia termica
o Ustioni
o Colpo di calore
o Congelamento
o Perfrigerazione
o Assideramento
• Da energia radiante
o Radiazioni ionizzanti
o Radiazioni non ionizzanti
• Da energia vibratoria
o Vibrazioni
o Rumore
o US
• Da energia barica
o Iperbaropatie
o Ipobaropatie
• Da stress: traumi psichici, acuti o cronici

Effetti generali dei traumi


Oltre agli effetti diretti e locali, vanno prese in considerazione le manifestazioni generali collegate all’insulto
traumatico:
• Emorragia: gli effetti generali di un’emorragia sono legati all’entità ed alla rapidità della perdita
ematica
o Quantità della perdita
ƒ 1 l: shock emorragico: pallore cutaneo, astenia, sudorazione algida, ipotensione,
tachicardia, contrazione della diuresi, obnubilamento del sensorio fino alla perdita di
coscienza
ƒ 2-2,5 l: potenzialmente fatale

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ƒ 3-3,5 l: mortali indipendentemente dalla velocità della perdita


o Topografia
ƒ Grossi vasi o rottura di visceri: emorragie gravi
ƒ Lesioni a tutto spessore della parete aortica: rapidamente mortali per rapida caduta
del flusso ematico cerebrale
ƒ Lesioni non a tutto spessore della parete aortica: aneurismi
ƒ Carotidi, succlavie, arterie femorali, grossi tronchi venosi: esito rapidamente letale
se il vaso è in comunicazione con l’esterno o con una cavità naturale del corpo (in
caso contrario: formazione di un ematoma che rallenta l’emorragia)
• Shock traumatico: si caratterizza per una discrepanza tra volume ematico e letto vascolare o per
riduzione effettiva del volume ematico o per aumento di ampiezza della rete vasale per
vasodilatazione generalizzata. In ogni caso, si determina una riduzione della irrorazione dei tessuti e,
quindi, un deficit dell’apporto di ossigeno oltre che una ridotta eliminazione di cataboliti
o Patogenesi: il trauma può produrre un riflesso neurogeno vasodilatatore e/o mettere in gioco
una componente emorragica con perdita di volume ematico o plasmatico. Ne consegue
un’ipossia tissutale, particolarmente evidente a livello polmonare e renale
o AP
ƒ A livello polmonare: polmone da shock (può condurre a morte il soggetto)
• Rigonfiamento dei capillari alveolari con edema alveolare
• Emorragie alveolari (per passaggio negli alveoli anche della componente
emorragica)
• Alterazioni regressive e desquamazione con deficit di secrezione di
surfattante e collasso alveolare
ƒ A livello renale
• Necrosi dell’epitelio tubulare e della membrana basale
• Formazione di comunicazioni tra capillare e lume renale
• Riassorbimento di urina ed uremia
• Insufficienza renale
ƒ Attivazione dell’asse ipofisi-ipotalamo > stimolazione dei surreni > ipersecrezione
di CA e glucocorticoidi:
• A livello gastrico: erosioni ed ulcere gastriche
• A livello adiposo: accumuli adiposi citoplasmatici per incapacità di
metabolizzare l’eccesso di lipidi indotto dallo stress
• A livello tiroideo: iperstimolazione> fluidificazione della colloide fino alla
sua deplezione
• Embolie: in ogni caso, gli emboli raggiungono l’atrio destro e da qui, tramite il ventricolo destro e
l’arteria polmonare, passano nel circolo polmonare, dove, in caso di coinvolgimento di più della
metà del letto polmonare, risultano fatali
o Trombotiche: son causate dal distacco di trombi che si formano nei vasi situati nel contesto
delle aree traumatizzate oppure per rallentamento della circolazione venosa favorita
dall’immobilizzazione forzata
o Gassose: son determinate da soluzioni di continuo di vasi venosi con l’esterno, tali da
consentire la penetrazione in circolo di aria, o da fenomeni disbarici
o Adipose: sono dovute alla penetrazione nella rete venosa di gocciole di grasso provenienti da
focolai di frattura o da aree di contusione interessanti il tessuto adiposo sottocutaneo; talora,
sono di natura iatrogena, successive ad interventi di osteosintesi o di lipoaspirazione
• Sindromi commotive: sono caratterizzate da una temporanea perturbazione funzionale, che
determina depressione sino all’arresto dell’attività fisiologica. La più nota è la commozione
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cerebrale, provocata dallo scuotimento della massa encefalica all’interno della scatola cranica con
perdita di coscienza transitoria di gravità variabile
• Sindromi inibitorie: sono rappresentate dalla comparsa di riflessi di inibizione determinati da uno
stimolo meccanico esercitato, generalmente, su aree particolarmente recettive (zone reflessogene)
con esito potenzialmente fatale:
o Sindrome del seno carotideo
o Sindrome labirinto-vasomotoria (morte a seguito di immersione in acqua fredda)
o Sindrome oculo-cardiaca (dopo compressione dei bulbi oculari)
o Sindrome del plesso celiaco (per traumi in sede epigastrica)

Par. II: Lesioni da energia meccanica


Lesioni da corpi contundenti
Si determinano per azione di corpi non dotati di caratteristiche individuali specifiche, in quanto dotati di
superficie piana o curva, talora di spigoli, ma mai di margini taglienti o punti, e pur tuttavia atti a
traumatizzare:
• Tipi
o Mezzi di offesa naturali: mani, piedi, etc.
o Strumenti di offesa e difesa personali: bastoni, mazze ferrate, spranghe metalliche, sassi
o Strumenti di lavoro: martelli, chiavi
• Azione: agiscono per la loro forza di gravità o per il loro stato di moto o anche nel loro stato di
quiete, come oggetti resistenti e fermi contro i quali può urtare un corpo in movimento
• Meccanismi (talora combinati tra loro)
o Compressione
o Percussione trazione
o Sfregamento
o Suzione
• Effetti lesivi provocati
o Irritazioni: lesioni cutanee prodottesi quando l’azione esercitata dal mezzo lesivo non supera
la resistenza specifica del tessuto interessato (generalmente la cute).
ƒ Forme acute: compressione vasale e conseguenti ischemia, edema, formazione di
vescicole sierose e stimolazione dolorifica delle fibre nervose
ƒ Forme croniche: callosità, ispessimenti di tendini ed aponeurosi, borsiti, periostiti
o Escoriazioni: consistono nell’asportazione o distruzione dell’epidermide ad opera di forze
lesive che agiscono tangenzialmente (strisciamento), con l’ausilio di una componente di
pressione (escoriazioni di primo grado). L’asportazione delle papille del derma causa un
piccolo gemizio di sangue, con formazione di crosta ematica o siero-ematica (escoriazioni di
secondo grado); andando in profondità, la lesione determina una perdita ematica importante
(escoriazione di terzo grado)
ƒ Escoriazioni figurate: riproducono le caratteristiche del mezzo lesivo (disegno di
pneumatici, frusta, etc., ma anche graffiatura ed unghiatura)
ƒ Direzione del mezzo contundente: è desumibile quando sono rilevabili alcune
piccole esfoliazioni cutanee (“lembetti epidermici”), che formano con la superficie
escoriata un angolo aperto verso la direzione da cui si è mosso la strumento lesivo
ƒ DD tra escoriazioni vitali e post-mortali: crosta ematica: quelle post-mortali (che
possono formarsi anche per urti o spostamenti del cadavere), infatti, ne sono
invariabilmente prive
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o Ecchimosi: sono rappresentate da uno stravaso di sangue in seno ad i tessuti, prodotto dalla
rottura dei vasi sanguigni, senza lacerazione dei tessuti sovrastanti
ƒ Meccanismi
• Schiacciamento: per la lacerazione della parete vasali tra i tessuti compressi
• Trazione: per lo stiramento dei tessuti
• Suzione (o decompressione): diminuzione della pressione esterna con
conseguente sovradistensione dei vasi sanguigni e loro rottura
• Sforzo: brusco aumento della pressione sanguigna con rottura dei vasi
ƒ Caratteristiche
• Variazioni cromatiche in rapporto al tempo trascorso dalla loro produzione
• Forma in rapporto al mezzo contundente e con le caratteristiche anatomiche
del tessuto e con la quantità del sangue travasato: si determinano, inoltre,
casi particolari come:
o Ecchimosi figurate: per impronta sul torace del volante
dell’automobile
o Ecchimosi quadrangolari: colpi di martello
o Ecchimosi allungate: frustate, colpi di karatè, bastonate
• DD ecchimosi vitali e lesioni post-mortali: assenza in quest’ultime del
reticolo di fibrina: in tal caso, il sangue, non essendo aderente ai tessuti, può
esser facilmente asportato, lasciando cadere un filo d’acqua sui tessuti
interessati, previa incisione degli strati superficiali
• DD con le ipostasi:
o Ecchimosi: indicano sempre lesioni vitali e mostrano, all’incisione,
un’autentica infiltrazione, con conseguente colorazione rossastra
alla superficie di taglio, non completamente asportabile con il
lavaggio
o Ipostasi: presentano superfici di taglio lavabili, biancastre, con
fuoriuscita di gocce di sangue dai vasi recisi
• Possibili anche ecchimosi viscerali
o Ferite lacere e lacero-contuse: sono soluzioni di continuo della cute, eventualmente
interessanti anche le parti molli sottostanti, prodotte per azione di un corpo contundente.
ƒ Meccanismi
• Ferite lacere: di trazione
• Ferite lacero-contuse: trazione + fenomeni di compressione e strisciamento
(“pestamento” e “cincischiamento” dei margini)
• NB: sono possibili “effetti da scoppio” allorché un oggetto privo di spigolo
(bastone, bottiglia) agisce con meccanismo di percussione su di una
superficie corporea convessa, ricca di tessuto adiposo o connettivo lasso
sottocutaneo (ad esempio, cuoio capelluto)
ƒ AP
• Irregolarità dei margini
• Scollamento della cute rispetto ai piani sottostanti
• Margini e fondo infiltrati di sangue
• Ponti di tessuto tra i bordi della ferita: sottili fascetti fibrosi o fini lacinie
connettivali

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ƒ Forma: generalmente, non consente di risalire a quella dello strumento adoperato, in


quanto dipende soprattutto dalle caratteristiche della cute e dalla modalità con cui ha
agito il mezzo. Tuttavia, alcune ferite mostrano aspetti peculiari:
• Ferite su cresta ossea (cresta tibiale, arcata sopraciliare): la cute viene lesa
dall’interno all’esterno, simulando una ferita da taglio
• Lesioni da morso di animale o di uomo: la forma della lesione corrisponde a
quella delle arcate dentarie, disposte secondo due curve che si guardano con
le parti concave; aspetto simile, ma dimensioni maggiori, hanno le ferite da
morso di cavallo. I morsi di cane, invece, determinano la formazione di due
filiere rettilinee, quasi parallele, tendenti alla convergenza
o Rottura dei visceri: sono rotture o lacerazioni di organi interni, causate dall’applicazione di
energia meccanica con modalità di pressione, di trazione o di scoppio, tipicamente in caso di
grandi traumatismi (investimenti, precipitazioni). Organi più frequentemente interessati
sono:
ƒ Encefalo: possono determinarsi per meccanismi diretti od indiretti, anche in assenza
di fratture ossee
ƒ Polmoni:
• Azione delle coste fratturate sul parenchima
• Trazione sul peduncolo vascolare (come in caso di precipitazione)
ƒ Cuore: per azione compressiva sulla gabbia toracica
ƒ Fegato e milza: rottura in due tempi.
• Dapprima: ematoma sottocapsulare, che aumenta di dimensioni,
determinando
• Poi: rottura della capsula ed emoperitoneo
ƒ Organi cavi (stomaco, intestino, vescica): rottura se distesi eccessivamente da liquidi
o gas
o Fratture ossee: l’applicazione della forza sul punto di rottura dell’osso realizza la modalità
diretta; si parla, invece, di frattura indiretta allorquando la frattura si verifica per flessione,
torsione, trazione di un segmento osseo (violenta contrazione muscolare con distacco osseo)
o trasmissione di forza (sfondamento dell’acetabolo per urto sul ginocchio). Lo studio delle
fratture ha una notevole importanza soprattutto in relazione alla possibilità di ricostruire la
dinamica dell’incidente
ƒ Fratture del cranio: assumono particolare importanza ML e si possono determinare
per urti su superfici estese (come nelle cadute) o per azioni di corpi a superficie
limitata. Assumono caratteristiche morfologiche peculiari in rapporto a grado di
curvatura delle ossa interessate, allo stato delle suture, al coinvolgimento di zone più
resistenti (pilastri) o più deboli (interpilastri):
• Topografia
o Linea di sutura sagittale: punto di maggior resistenza (pilastro
principale)
o Altre linee di resistenza: pilastro fronto-etmoidale, orbito-
sfenoidale, occipitale e petro-mastoideo
o NB: se le suture sono fuse, come negli ultraquarantenni, il grado di
resistenza è minore, in quanto il cranio si comporta come un’unica
formazione scarsamente estensibile
• Tipologie
o Fratture da violenza diffusa: causate da urto tra capo e superficie
estesa (suolo), sono caratterizzate da una o più linee che si dipartono
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dal punto colpito ed assumono disposizione a raggiera (fratture


meridianiche). Tali linee corrispondono ad i cedimenti dei tavolati
ossei, dapprima di quello interno e poi dell’esterno per sgranamento
o scoppio. Possono osservarsi anche rime di frattura irradiate,
rappresentate da anelli o semicerchi concentrici al punto di impianto
o fratture equatoriali (nelle quali il tavolato esterno è il primo a
rompersi). Nel complesso, la combinazione di questi due
meccanismi (ad anello ed equatoriale) produce un tipico aspetto “a
mappamondo” (od “a ragnatela”)
o Fratture da violenza circoscritta (o fratture a stampo): sono
conseguenti ad azione di corpi contundenti di superficie
relativamente contenuta (pochi cm)
ƒ Aspetto a scalino (o fratture a terrazzo) se causate da
spigolo
ƒ Piccoli infossamenti
o Fratture indirette: si realizzano a distanza dal punto di applicazione
della forza
ƒ Fratture ad anello della base cranica per caduta sul podice
ƒ Fratture della cavità glenoidea dell’osso temporale per urto
sulla mandibola
ƒ Fratture indirette della base cranica per forze applicate sulla
volta
o Fratture bipolari: tipiche dello schiacciamento (due forze opposte:
una agisce come potenza e l’altra come resistenza)
o Fratture spontanee (per piccoli traumatismi in caso di osteoporosi,
osteomielite)

Lesioni da arma bianca


Per arma bianca si intende convenzionalmente qualsiasi strumento (eccetto le armi da sparo), la cui
destinazione naturale è l’offesa alla persona, ossia comunque atta ad offendere, e di cui la legge vieti il porto.
Si tratta, dunque, di una definizione ampia, che comprende anche l’azione di mezzi non specificamente
costruiti per l’offesa, come anche alcuni utensili domestici, fili metallici, lamiere o frammenti di vetro,
occasionalmente adoperati a scopo vulnerante.
Le armi bianche agiscono, quindi, attraverso meccanismi, singoli o variamente associati, di pressione e/o
strisciamento: si procedono, pertanto, lesioni differenti (da punta, da taglio, da punta e taglio) a seconda che
lo strumento feritore agisca mediante un’estremità acuminata (punta), il filtro di una superficie tagliente
(taglio) o entrambi i meccanismi (punta e taglio), come nei casi di ferite da coltelli appuntiti.
Si parla, infine, di “lesioni ad fendente”, in caso di ferite da taglio prodotte da lame particolarmente pesanti,
capaci di provocare, oltre la recisione dei tessuti, anche effetti di tipo contusivo e mutilante.
Quindi, si distinguono:
• Ferite da punta:
o Mezzi appuntiti
ƒ Tipici: chiodi, aghi, etc.
ƒ Atipici: punte di bastone o di ombrella, aste di legno etc.
o Meccanismo: agiscono con meccanismo pressorio da cuneo, sicché il mezzo, una volta vinta
la resistenza della cute, divarica e dissocia i tessuti. In questo tipo di ferite, dunque, prevale
la profondità sulle altre dimensioni; inoltre, l’orifizio d’entrata assume, in genere, una forma
ovalare od ellittica

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o Perdita di sostanza
ƒ Mezzi tipici: accollando i margini della ferita, non si nota perdita di sostanza
ƒ Mezzi atipici: può realizzarsi una minima distruzione tissutale
o Altre caratteristiche
ƒ Possibili fenomeni di escoriazioni (orletto ecchimotico-escoriato)
ƒ Orifizio di ingresso di dimensioni lievemente inferiori rispetto alla sezione dello
strumento vulnerante (in relazione alla distensione ed alla successiva retrazione della
cute)
ƒ Tipologia
• A fondo cieco
• Trapassanti
o Riscontro in caso di:
ƒ Accidente
ƒ Suicidio: sono tipicamente interessate sedi autoaggredibili, in particolare quella
precordiale
ƒ Omicidio: le ferite sono generalmente molteplici (collo, torace, addome),
corrispondono ad organi vitali e possono associarsi a lesioni da difesa (tipicamente
alle mani)
• Ferite da taglio: sono rappresentate da soluzioni di continuo della cute e dei tessuti molli prodotte da
mezzi taglienti
o Mezzi
ƒ Tipici: bisturi, rasoi, lame di coltello, spade, etc.
ƒ Atipici (o impropri): sono quelli che, pur non essendo concepiti per l’azione
tagliente, posseggono un’analoga capacità lesiva: lamiere metalliche, frammenti di
vetri, etc. Tra questi vanno anche annoverati coltelli dotati di margine seghettato,
seghe e motoseghe (casi in cui la velocità della forza aumenta la lesività della ferita
e che si esplicano con duplice meccanismo, da pressione e da scorrimento)
o Caratteristiche
ƒ Estensione in superficie
ƒ Regolarità e nettezza dei margini
ƒ Estremità acute
ƒ Presenza delle codette: sono prolungamenti superficiali del taglio:
• In entrata: data la maggior pressione, il mezzo si affonda rapidamente e la
codetta è breve
• In uscita: la codetta è più lunga
ƒ Fondo regolare e privo di ponti di tessuti o di briglie
ƒ Forma lineare
o Varietà tipiche
ƒ Ferite da difesa: indicative di omicidio, si producono sul palmo della mano della
vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione e sono dovute ai tentativi di
afferramento della lama per cercare di strappare l’arma all’aggressore (ferite a
lembo: con margine libero fluttuante) o di proteggere le parti vitali
ƒ Ferite da svenamento: indicative di suicidio, si rilevano in zone autoaggredibili
(polsi, pieghe dei gomiti, regioni inguinali), nelle quali i vasi decorrono in posizione
relativamente superficiale e sono quindi raggiungibili dal mezzo tagliente. Sono,
generalmente, multiple, ravvicinate tra loro, di profondità differente. Le più
superficiali corrispondono, tipicamente, a “ferite da prova”, ossia a tentativi messi in
atto prima del colpo decisivo
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ƒ Ferite da scannamento o da sgozzamento: si osservano nella regione cervicale e sono


inferte mediante rasoi, lame di coltello, falci e cesoie. Risultano rapidamente mortali
in caso di sezione della carotide, che provoca intensa emorragia, con fuoriuscita di
sangue a spruzzo e shock emorragico. Anche lesioni più lievi della carotide, per
penetrazione di sangue nelle vie respiratorie, può produrre l’exitus; più raramente, la
morte si verifica per embolia gassosa, da penetrazione di aria nella giugulare interna:
• Tipologie
o Accidentali (raramente)
o Sucidari
ƒ Presenza di ferite da prova
ƒ Assenza d ferite da difesa
o Omicidari
ƒ Ampia distribuzione delle ferite (specie in regioni
difficilmente autoaggredibili
ƒ Ferite da difesa
ƒ Ferite da sventramento: prodotte da un filo di una rasoio o di una lama ricurva
(sciabola), come nel karakiri, in cui si determina, a scopo suicidario, un largo
squarcio della parete addominale con fuoriuscita di visceri
ƒ Ferite da fendente: provocate da strumenti taglienti dotati di lama pesante (mannaie,
etc.), agiscono con meccanismo combinato recidente e contundente e possono
essere:
• Lineari: quando il mezzo incontra perpendicolarmente il piano cutaneo
• A lembo: quando il mezzo vulnerante è impiegato tangenzialmente od
obliquamente rispetto alla cute
• Mutilanti: interessano gli arti o singole dita o parti corporee sporgenti (naso,
orecchie)
• Ferite da punta e taglio: sono rappresentate da soluzioni di continuo della cute e dei tessuti
circostanti provocate da strumenti dotati di estremità acuminata e di almeno un filo tagliente
o Mezzi
ƒ Tipici: spade, pugnali, coltelli da cucina, coltelli da pesca (attenzione alla
zigrinatura: dà lesioni lacero-contuse!), etc.
ƒ Atipici: schegge di vetro, frammenti ossei appuntiti e taglienti, forbici, etc.
o Meccanismo: contemporanea azione penetrante della punta e recidente del filo tagliente
o Caratteristiche morfologiche
ƒ Nettezza ed irregolarità dei margini
ƒ Divaricazione degli stessi
ƒ Prevalenza della profondità rispetto alla lunghezza
ƒ Presenza di un’estremità acuta della ferita, corrispondente al filo tagliente dello
strumento, e di un’estremità smussa, corrispondente al dorso della lama (ma due
estremità acute se la lama è bitagliente)
ƒ Forma: generalmente ovalare, dipende dal movimento impresso all’arma nella
penetrazione o nella sua estrazione, può essere:
• A stampo: quando il mezzo entra ed esce dalla cute senza alcuno
spostamento sull’asse di penetrazione
• Con codette: se la lama è stata tenuta inclinata, si forma una codetta,
prodotta dallo strisciamento della lama sulla cute al momento
dell’estrazione
• Con incisura laterale: per torsione, in uscita, della lama sul proprio asse
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• Con più incisure (o intaccature complementari a codetta): per più rotazioni


o Tipologia
ƒ Accidentali: abbastanza frequenti
ƒ Suicidari: rari
ƒ Omicidari: frequenti

Grandi traumatismi
Sono definito grandi traumatismi gli eventi traumatici caratterizzati da gravità, molteplicità, multiformità e
multipolarità delle lesioni corporee. Si osserva quasi sempre la contemporanea presenza di diversi tipi di
lesioni (escoriazioni, ferite lacero-contuse, fratture, lesioni interne), dovute a meccanismi lesivi complessi.
Gli effetti sono spesso mortali o comunque di gran rilevanza antomo-funzionale.
Sono così classificati:
• Precipitazione
o Da piccola o media altezza (< 10 m)
ƒ Cadute: fino a 2 m
ƒ Precipitazione da piccola altezza: da 2-5 m
ƒ Precipitazione da media altezza: da 5-10 m
o Da grande altezza (> 10 m)
• Schiacciamento
• Esplosione
• Incidente aviatorio
• Incidente nautico
• Incidente ferroviario
• Incidente del traffico stradale
o Investimento di pedone
o Lesioni dei trasportati
o Lesioni del conducente
o Lesioni dei motociclisti e dei ciclisti

Dunque, si considerano:
• Precipitazione: è rappresentata dal passaggio di un corpo privo di appoggio da un piano superiore ad
uno inferiore, per azione della forza di gravità e di eventuale altra forza che a questa possa
appoggiarsi. Ciò avviene quando l’individuo non parte da fermo, ma da una situazione di lancio, in
cui l’individuo possiede una velocità iniziale che va a sommarsi a quella di gravità, o perché è spinto
nel vuoto da una forza esterna, o perché ha acquisito tale velocità iniziale mediante una rincorsa. In
tal senso, va distinta dalla caduta, in cui il soggetto cade al suolo, ma a partire da una situazione di
contatto col suolo stesso (< 2 m).
o Meccanismi lesivi
ƒ Urto del piano del corpo contro il piano di arresto
ƒ Repentina decelerazione del corpo (soprattutto per quelle da grandi altezze): in tal
caso, infatti, l’arresto del corpo nella sede d’impatto non si accompagna all’arresto
simultaneo di tutti gli organi interni, i quali proseguono per inerzia il loro
movimento, subendo lacerazioni o rotture a livello degli apparati di sostegno
o Tipi fondamentali di precipitazione:
ƒ Cefalica: con elettiva concentrazione della lesività in ambito cranio-cervicale
ƒ Podalica: caratterizzata da fratture multiple degli arti inferiori e del bacino, del
rachide e, talvolta, della base cranica
ƒ Toraco-addominale: tipica quella posteriore, con caduta sul dorso posteriore
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ƒ Su tutta la lunghezza del corpo (comprese le regioni toraco-addominali): si


osservano fratture costali multiple, frattura di arti, delle ossa pelviche e craniche
ƒ NB: ricorda che nei locus di minor resistenza (come le cicatrici) la precipitazione (o
la caduta) può dar maggior problemi, anche se lieve!
o Tipologie
ƒ Accidentale: riguardano fondamentalmente arti inferiori
ƒ Suicidaria: le precipitazioni sono solitamente cefaliche (per la maggior probabilità di
morte; quando invece l’evento assume un carattere di dimostrazione, esse saranno
per lo più podaliche
ƒ Omicidiaria
o Tipi di lesioni
ƒ Esterne: cutanee: caratteristica è la sproporzione tra gravità delle lesioni esterne,
lieve, e quella delle lesioni interne, notevole (soprattutto quando la superficie d’urto
è pianeggiante e non presenta asperità)
ƒ Interne:
• Scheletriche
• Viscerali: in caso di precipitazioni da grandi altezze, le precipitazioni sono
quasi sempre mortali, sebbene non sempre all’istante, per lo sfacelo
traumatico degli organi interni o per rottura dei grossi vasi
o DD
ƒ Con l’investimento (specie quando per la precipitazione il corpo striscia su superifici
scabre): in questo caso l’omicidio è più raro
ƒ Con la proiezione di cadavere: in questo caso, vi saranno il carattere non vitale delle
lesioni e la presenza di modalità di offesa alternative; inoltre, il suicidio è più
frequente
ƒ Con gli infortuni sul lavoro: sono sovente configurabili come precipitazione
accidentale
• Schiacciamento: è costituito dalla compressione del corpo tra una forza di pressione ed un piano
fisso:
o Schiacciamento propriamente detto: il corpo rimane compresso tra un piano orizzontale ed
una forza che agisce dall’alto (crollo di edifici, compressione da parte di macchine
industriali)
o Tamponamento: il corpo è compresso contro un piano verticale; è il tipico infortunio dei
ferrovieri che rimangono schiacciati tra i restringimenti di due vagoni
o Seppellimento: il corpo rimane interrato da accumuli di terra o di pietrisco a seguito di frane
o smottamenti. Se completo, al fattore traumatico può aggiungersi un fattore asfittico
• Esplosione: è rappresentata da una violenta e repentina espansione di gas o fluidi, che induce un
brusco aumento di pressione nell'ambiente circostante con trasmissione di onde d’urto e creazione di
uno spostamento d’ario (“vento di scoppio”)
o Modalità
ƒ Deflagrazione: la combustione è graduale con progressiva elevazione della pressione
ƒ Detonazione: la combustione è quasi istantanea e si accompagna a propagazione di
una vibrazione (onda esplosiva), con effetti meccanici sull’ambiente circostante
o Effetti lesivi: dipendono non solo dalle caratteristiche intrinseche dell’esplosione, ma anche
dall’ambiente in cui si verifica; in ambiente chiuso, infatti, i danni sono maggiori poiché la
dispersione di energia è inefficace:
ƒ Effetto Mach: in ambienti chiusi, l’onda d’urto, incontrando un maggior numero di
ostacoli, si riflette, dando luogo a punti in cui l’onda di propagazione e quella di

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riflessione si uniscono, dando luogo a moltiplicazione degli effetti con aumento


della capacità di distruzione
ƒ Tessuti più colpiti: sono quelli eterogenei, ossia caratterizzati da variazioni di
densità all’interno della loro struttura, come:
• Polmoni: emorragie sottopleuriche od intrapolmonari, emopneumotorace,
rottura delle pareti alveolari
• Apparato GI: emorragie sottosierose, discontinuazioni delle pareti dello
stomaco e dell’intestino
• Orecchio: rottura della membrana timpanica, danneggiamento della via
acustica centrale
• Occhio: lesioni di retina e cristallino
• SNC: commozione e contusione cerebrale
• Cute: è alterata anche dalla proiezione di oggetti solidi (schegge); l’azione
lesiva si caratterizza con formazione di ecchimosi, ferite lacero-contuse o
ferite che ricordano quelle punta-taglio
ƒ Possibili effetti termici dovuti alla combustione o tossici derivati dai fumi venefici
degli incendi
• Incidente aviatorio: è rappresentato dalle conseguenze di sinistri di velivoli di qualsiasi tipo (aerei,
elicotteri, alianti). In questi casi, la precipitazione avviene da centinaia o migliaia di metri con
frequente formazione, oltre che di una lesività da impatto, da una da decompressione. Infatti,
soprattutto nei moderni aerei, la pressione interna della carlinga viene artificialmente aumentata per
bilanciare la diminuzione della pressione atmosferica tipica delle alte quote. L’apertura di una falla,
di conseguenza, realizza un brusco riequilibrio dei valori pressori con azione di risucchio verso
l’esterno e proiezione contro le pareti della carlinga. Potranno quindi determinarsi contusioni, lesioni
di visceri o fenomeni di embolia gassosa.
In conseguenza dell’impatto finale, poi, per gli alti valori di decelerazione, gli organi interni possono
essere addirittura proiettati all’esterno, dando luogo a resti corporei costituiti quasi esclusivamente
da involucri cutanei praticamente svuotati del loro contenuto.
Il quadro lesivo può esser inoltre condizionato dall’esplosione in volo o dall’urto contro una
montagna o contro un altro velivolo, allorché possono aggiungersi fenomeni legati all’azione di
ustioni, gas tossici, schegge, all’ipossia da altitudine od alla caduta secondaria in mare.
• Incidente nautico:
o Quadri lesivi
ƒ Nei passeggeri di un’imbarcazione: sono aspecifici ed interessano, in genere, un
numero elevato di persone
ƒ Nei casi di investimento di bagnanti o subacquei:
• Investimento tipico: con urto, sormontamento e spinta del corpo verso le
eliche
• Investimento atipico: una delle 3 fasi manca
o Effetti lesivi
ƒ Lesioni esterne: sono determinate da frizione con la superficie inferiore dello scafo:
ecchimosi, escoriazioni, ferite lacere e lacero-contuse
ƒ Lesioni interne: ossee e viscerali
ƒ NB: l’azione delle eliche determina, talora, effetti mutilanti o comunque ampie
perdite di sostanza, di aspetto simile alle lesioni da fendente
• Incidente ferroviario:
o Lesioni riportate dai passeggeri di veicoli viaggianti su rotaie (treni, tram): non assumono
aspetti specifici e possono configurarsi mediante tutta la gamma delle lesioni contusive
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o Investimento
ƒ Quadro lesivo:
• Ferite lacero-contuse con margini notevolmente escoriati
• Gravi fratture scheletriche
• Sezione di segmenti di arti o del tronco, sino al depezzamento ed alla
decapitazione
ƒ Tipologia
• Accidentale
• Suicidaria: lesioni con andamento trasversale rispetto alla lunghezza del
corpo depongono per il suicidio
• Omicidaria: rarissima (ma di una certa attualità, vedasi i casi di passeggeri
spinti sotto la metro, come a NY, ndr)
• Incidenti del traffico stradale
o Investimento di pedone:
ƒ Tipologia
• Tipico: può esser definito come quel complesso di lesioni contusive
direttamente od indirettamente esercitate su una persona da un veicolo in
movimento
• Atipico: si verifica l’urto del corpo in movimento contro un veicolo fermo
ƒ Dinamica: si svolge in 5 fasi, anche se non obbligatoriamente subentranti l’una
all’altra:
• Urto: momento di contatto tra veicolo e corpo umano
• Proiezione ed abbattimento al suolo del corpo urtato: può avvenire
anteriormente, lateralmente o posteriormente al veicolo
• Propulsione od accostamento: si verifica per l’azione di spinta in avanti che
il veicolo esercita sul corpo sbattuto al suolo
• Arrotamento o sormontamento: il veicolo transita con le ruote sul corpo
steso al suolo
• Trascinamento: può avvenire quando il corpo, talora mediante gli
indumenti, rimane impigliato in parti sporgenti del veicolo. Queste ultime
due fasi sono più rare
• NB: caricamento: se il corpo viene urtato al di sotto del baricentro da un
veicolo avente un basso frontale, anziché abbattersi in avanti, può esser
proiettato sul cofano e sul parabrezza e progredire sul tetto e sul
portabagagli, subendo urti secondari
ƒ Tipi di lesioni
• Urto: lesioni dirette, come fratture del bacino e degli arti inferiori, associate
ad escoriazioni ed ecchimosi
• Proiezione: lesioni da caduta: escoriazioni e ferite lacero-contuse (LC d’ora
in avanti, ndr) del cuoio capelluto, fratture craniche, lesioni meningo-
encefaliche; escoriazioni e lesioni LC di ginocchia, gomiti e dorso delle
mani
• Propulsione o accostamento: ferite lacere e LC con ampi scollamenti dei
margini (per i fenomeni di trazione della cute tra suolo e ruote)
• Arrotamento: lesioni da schiacciamento con guasti ossei e viscerali, fratture
pluriframmentarie, spappolamenti di organi interni

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• Trascinamento: lesioni da strisciamento di tipo escoriativo (in genere più


estese di quelle della fase di proiezione), ampie discontinuazioni cutanee
con esposizione dei piani muscolari ed ossei
• Caricamento: lesioni contusive di capo e collo contro il parabrezza
accompagnate, talora, da interessamento del torace e degli arti superiori
ƒ Note ML
• Importante distinguere se l’investimento è avvenuto in vita o dopo la morte
(soprattutto in caso di incidenti stradali) > ricercare il carattere vitale o meno
delle lesioni
o Lesioni degli occupanti un autoveicolo: la lesività è, in questi casi dovuta ad urto contro le
strutture interne dell’abitacolo od a fattori di decelerazione
ƒ Tipologie lesive: dipendono da
• Modalità dell’incidente (urto frontale, tamponamento, ribaltamento)
• Caratteristiche contusive del mezzo
ƒ Quadri lesivi
• Traumi indiretti del rachide cervicale (da “colpo di frusta”): tipicamente
successivi ad un tamponamento, sono causati dalla decelerazione del veicolo
con conseguente repentina estensione del capo (generalmente, in senso AP),
che può condurre a conseguenze di grave entità (lussazione, fratture
cervicali, rotture del legamento cervicale posteriore, danni midollari)
• Distrazioni muscolari e legamentose di scarsa entità
ƒ Note ML
• Utilizzo di cinture di sicurezza: ha ridotto gli urti contro le parti interne
dell’abitacolo, ma ha introdotto la possibilità di specifiche lesioni (pur se
rare ed in rapporto ad un uso scorretto delle stesse): ecchimosi della regione
cervicale, trombosi carotidea, rottura dell’arco aortico, fratture clavicolari o
costali, pneumotorace, lesioni addominali e pelviche (specie nelle donne in
stato di gravidanza)
• Danni a carico di:
o Conducente:
ƒ Elettivo interessamento del torace o del capo, per urto,
rispettivamente, contro volante e parabrezza
ƒ Lesioni di ginocchia ed anche per urto contro cruscotto o di
caviglia o piedi per urto contro la pedaliera
o Passeggero anteriore:
ƒ Lesioni cranio-facciali per impatto contro parabrezza, tetto
o montante di pertinenza
ƒ Lussazione bilaterale dell’anca in caso di notevole
decelerazione a cosce flesse e gambe estese
o Passeggeri posteriori: di norma più protetti, possono, in caso di urti
violenti, subire:
ƒ Lesioni del volto per urto contro gli schienali dei sedili
anteriori
ƒ Lussazioni dei gomiti per trasmissione di energia agli arti
superiori protesi in avanti a protezione
ƒ Lesioni cranio-encefaliche per urto contro il tetto
dell’abitacolo
o Lesioni di motociclisti e ciclisti:
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ƒ Fattori
• Mezzo
• Urto contro ostacoli resistenti (suolo, altro veicolo)
ƒ Quadri lesivi: sono rappresentati soprattutto da traumi cranio-encefalici (quindi, si
ricorda l’obbliga del casco)
• Lesioni cutanee da strisciamento: escoriazioni, ferite LC
• Da percussione: ecchimosi
• Fratture
• Lesioni di nervi cranici od organi interni

Lesioni da arma da fuoco


• Caratteristiche generali
o Concetto di arma: per la legge penale, per armi si intendono:
ƒ Quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa della persona
ƒ Tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto il modo
assoluto, ovvero senza giustificato motivo
ƒ NB: sono assimilate alle armi le materie esplodenti ed i gas asfissianti od accecanti
o Categorie di armi da fuoco
ƒ Armi da guerra e tipo guerra
ƒ Armi comuni da sparo
o Concetto di arma da fuoco: le armi da fuoco sono da considerare congegni meccanici capaci
di lanciare a distanza masse più o meno pesanti (proiettili) grazie all’energia sviluppata
dall’espansione dei gas generati dalla combustione di miscugli esplosivi (polveri da sparo)
o Armi da fuoco di interesse ML
ƒ Armi portatili a canna corta: pistole e rivoltelle
ƒ Armi portatili a canna lunga: fucili da caccia, mitragliatrici, carabine
o Tipo di canna:
ƒ Liscia: sono tipicamente a canna lunga (fucili da caccia)
• Munizioni: “cartucce”
• Costituenti: le armi a canna lunga liscia sono costituite da 3 parti:
o Bossolo: è formato da un cilindro di plastica o di cartone pressato
provvisto di una base (fondello), fornita di copertura metallica, in
genere in ottone.
ƒ Capsula: è una nicchia contenuta nella parte centrale del
fondello; racchiude l’apparato di accensione (innesco),
costituito da una miscela esplosiva composta, in genere, da
composti di piombo e da tetrazene. La capsula, a sua volta,
comunica, mediante uno o due forellini (foconi) con
l’interno del bossolo, ove è contenuta la:
ƒ Carica da lancio (“polvere da sparo”): essendo ormai in
disuso la polvere nera, le moderne cariche non si presentano
quasi mai in forma granulare, bensì come fili, lamine,
cilindretti, scagliette, a base di nitroglicerina e/o
nitrocellulosa
o Borra: poggia sulla parte superiore del bossolo (colletto) ed è un
dispositivo di materiale vario (sughero, feltro, plastica), che ha il
compito di distribuire uniformemente la forza propulsiva dei gas a
proiettile:
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ƒ Borra “a bicchierino”: ritarda l’apertura della rosata


ƒ Borra “a dispersione”: anticipa l’apertura della rosata
o Proiettili
ƒ Rigata
• Munizioni: sono analoghe a prescindere dalla lunghezza della canna . si
differenziano da quelle per canne lisce per la mancanza della borra e per il
fatto che nel bossolo è direttamente indovata la base del proiettile, che
sporge da esso per circa la metà
o Note sui proiettili: il piombo, un tempo adoperato per la fabbricazione dell’intero proiettile,
oggi ne costituisce solo il nucleo, rivestito da una camicia o da un mantello in lega.
ƒ Abbondono del piombo come proiettile: lasciava nella canna un deposito
(impiombatura), che finiva per modificare il calibro dell’arma
ƒ Proiettili blindati (incamiciati): si deformano assai meno di quelli di piombo ed
attraversano in genere i tessuti senza provocare ingenti fenomeni distruttivi
ƒ Calibri: variano tra i 4 ed i 12 mm. Per le armi a canna rigata lunga si tende ad usare
calibri più piccoli
• Dinamica dello sparo: allorché il percussore colpisce la capsula, si determina – ad opera dell’innesco
– l’accensione della carica di lancio. La combustione del miscuglio esplosivo (deflagrazione) libera
gas, che si espandono trasmettendo la loro energia all’egente balistico e quindi al bersaglio
o Movimenti del proiettile
ƒ Movimenti tipici
• Traslazione: propulsione del medesimo lungo la traiettoria
• Rotazione: impressa dalla rigatura della canna
• Vibrazione: dipendente dalla pressione subita durante lo sparo
ƒ Movimenti incostanti
• Beccheggio: oscillazione in senso longitudinale
• Nutazione: movimento a cono della base del proiettile intorno al suo asse
• Capovolgimento
o Considerazioni balistiche: il proiettile si muove nello spazio secondo una linea parabolica,
che inizia dalla bocca dell’arma e termina (se non incontra un bersaglio) al suolo per
l’azione della gravità e la resistenza dell’aria.
o Traiettoria: in genere, nella prima parte rettilinea, si incurva poi verso il basso. Si divide in 3
zone:
ƒ Zona di esplosione: estesa fino a 200 m nei fucili da guerra, è caratterizzata dalla
trasmissione di notevole quantità di energia ai tessuti colpiti, che possono presentare
estesi effetti distruttivi
ƒ Zona di perforazione: estesa fino a 1.000 m nei fucili da guerra, è caratterizzata da
una diminuzione dell’energia, che è comunque sempre sufficiente a perforare la cute
ƒ Zona di contusione: estesa oltre i 1.000 m nei fucili da guerra, è caratterizzata da una
diminuzione della velocità del proiettile sotto i 100 m/s. Urtando il bersaglio, in
questa fase, può non esser perforato, ma solo contuso
• Effetti sul bersaglio:
o Azioni
ƒ Di martello: il proiettile, raggiunto il bersaglio, vi esercita un’azione contundente,
percuotendolo ed introflettendo la cute
ƒ Di cuneo: il proiettile divarica la cute (come un’arma da punta impropria)
ƒ Perforante: nel caso in cui il proiettile abbia un’elevata velocità

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ƒ Rotatoria: la penetrazione sarebbe, secondo alcuni Autori, facilitata da un


movimento di rotazione del proiettile, che agirebbe come un trapano avvitando i
tessuti
ƒ Di scoppio: qualora l’energia posseduta dall’agente balistico venga ceduta in
quantità elevata al bersaglio
o Potere d’arresto (stoppingpower): è definito come la massima quantità di moto che un
proiettile può cedere al bersaglio animato, quando l’impatto avvenga alla distanza di 25 m
per le armi a canna corta e 100 m per quelle a canna lunga. Dipende non solo dalla forza
viva del proiettile al momento del lancio, ma anche dal modo in cui la pallottola perfora il
corpo. Infatti, proiettili di grosso calibro, quelli che si deformano o sono sottoposti a
movimenti di beccheggio o addirittura si ribaltano, cedono una notevole quantità di energia
cinetica e presentano un elevato potere d’arresto; di conseguenza:
ƒ A brevi distanze: proiettili, pur a bassa velocità iniziale, possono avere, per le
suddette considerazioni, potere d’arresto superiore ai proiettili aventi elevata
velocità
ƒ A grandi distanze: i proiettili a bassa velocità non posseggono portata sufficiente,
mentre quelli ad elevata velocità iniziale (tipicamente di piccolo calibro) cedono la
loro energia mediante un effetto onda, causato dalla diffusione di vibrazioni
idrodinamiche trasmesse anche nei tessuti a distanza
• Caratteristiche delle ferite d’arma da fuoco a proiettile singolo
o Ferite penetranti:
ƒ A fondo cieco: si osservano un foro d’entrata ed un tramite incompleto, con
ritenzione del proiettile
ƒ Trapassanti: la ferita è costituita da un foro d’entrata, da un tramite completo e da un
foro d’uscita. In caso di frantumazione del proiettile o di formazione di proiettili
secondari, possono determinarsi più tramiti e più fori d’uscita
ƒ Trasfosse: pur riferendosi, con questo termine, indistintamente alle ferite trapassanti,
andrebbero indicate come ferite trasfosse esclusivamente quelle ferite trapassanti
che attraversano una fossa naturale dell’organismo (fossa cranica)
ƒ A setone: fanno anch’esse rilevare un foro d’entrata, un corto tramite ed un foro
d’uscita, ma si distinguono per il fatto che il tramite è un breve percorso che il
proiettile scava nel sottocute
o Non penetranti: a doccia o semicanale: si producono allorché i proiettili colpiscono la cute,
in genere in corrispondenza di una superficie curva, “di striscio”, scavando una sorta di
canale senza penetrare al di sotto dei tegumenti
• Caratteri del foro d’entrata: variano in funzione della distanza dalla quale è esploso il colpo
o Caratteri generali
ƒ Esploso da lontano o da distanza non ravvicinata: il foro ha caratteri propri, legati
cioè solo all’azione meccanica del proiettile
ƒ Esploso da vicino o a contatto con la cute (40-50 cm): si aggiungono effetto dovuti
a:
• Deflagrazione della carica di lancio
• Azione meccanica dei gas, della fiamma, del fumo e delle particelle della
polvere combusta
• Azione diretta della bocca dell’arma contro la cute
o Caratteri dei colpi da lontano ( > 50 cm): il proiettile perfora la cute e dà luogo ad una ferita
di forma circolare (se penetra perpendicolarmente alla cute) od ovalare (se penetra
obliquamente alla cute), con margini finemente sfrangiati, talora visibilmente introflessi.
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Nella maggior parte dei casi, il diametro del foro cutaneo è leggermente più piccolo del
diametro del proiettile, a causa dell’elasticità della cute
ƒ Cercine (od orletto) di escoriazione: presente all’estremo della soluzione di
continuo, rappresenta la caratteristica di maggior rilievo nei colpi emessi da lontano
• Formazione: si determina per azione del proiettile che, prima di perforare la
cute, la infossa a dito di guanto, creando un cono di depressione, all’interno
del quale contunde ed escoria tutte le porzioni di tessuto stirato (superfici
laterali), ma perfora solo l’apice del cono. Quindi, una volta cessata l’azione
di introflessione e riassunta la posizione originaria da parte della cute, si
osserverà un cercine escoriato intorno all’orifizio cutaneo
• Caratteristiche:
o Dimensioni di alcuni mm: dipendono dall’estensione del cono di
depressione, ossia dal grado di infossamento della cute, a sua volta
in rapporto con l’elasticità e lo spessore distrettuale della cute, con il
calibro e la forza viva del proiettile
o Colore rosso scuro (nerastro se esploso su soggetto già cadavere)
o Forma (in caso di penetrazione di superfici piane)
ƒ Concentrica: penetrazione perpendicolare
ƒ Eccentrica: penetrazione obliqua
o NB: non è possibile, dalle caratteristiche dell’orletto, ricavare
conclusioni circa la distanza di sparo: esso costituisce
un’indicazione solo per l’individuazione del foro d’entrata
ƒ Orletto di detersione: presente attorno al foro d’entrata, rappresentato da un alone
untuoso, di colore nerastro, costituito dal materiale grassoso che il proiettile
raccoglie nel passaggio attraverso la canna dell’arma e deposito sul bersaglio, si
osserva bene sugli indumenti, ma male attorno alla ferita, in quanto mascherato
dall’orletto escoriato
• NB: la presenza dell’orletto di detersione (sugli abiti e/o sulla cute)
costituisce un elemento che avvalora la natura di foro di entrata della lesione
in esame: a tal scopo, nei casi dubbi, è utile la ricerca, anche microscopica,
di fibre tessili lacerate nell’orifizio e nella parte del tramite, che si suppone
iniziale
o Colpi da vicino ed a contatto ( < 50 cm per le armi a canna corta e proiettile singolo):
ƒ Colpi a contatto: il contatto diretto dell’arma con la cute influenza la morfologia
della ferita per azione sia dei gas sia della stessa arma
• Caratteristiche
o Orletto di escoriazione
o Dimensioni superiori al calibro del proiettile
o Aspetto irregolare, frastagliato (forma stellare): infatti, quando la
bocca dell’arma è applicata sulla cute al momento dello sparo, i gas
usciti dalla canna a forte pressione penetrano unitamente al
proiettile e si espandono nel sottocute, scollando la cute intorno alla
ferita.
o NB: in caso di ferite al cranio, l’aspetto irregolare è particolarmente
evidente, in quanto i gas, penetrando nella porzione iniziale del
tramite, trovano resistenza nella teca cranica e sono costretti ad
espandersi radialmente nel sottocute, esaltando i fenomeni da
scoppio suddetti

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• Azione dell’arma: impressione a stampo, totale o parziale, della bocca


dell’arma e/o di parti prossime ad essa
o Segno di Werkgartner: stampo prodotto dall’asta di guida
all’otturatore rinculante, che si ritrova sotto la canna di molte pistole
semiautomatiche, è utile a determinare la posizione dell’arma contro
la cute al momento dello sparo
o Assenza di effetti secondari della carica di lancio (come
affumicamento e tatuaggio)
o Fenomeni di ustione scarsamente apprezzabili
ƒ Colpi a bruciapelo (< 10 cm): sono così chiamati in quanto la distanza di sparo è tale
da consentire il manifestarsi di effetti di ustione. In genere, la ferita è rappresentata
da un foro netto, non dissimile da quello dei colpi esplosi da lontano, ed è circondata
da orletto di escoriazione (ed eventualmente da alone di detersione). Si osserva,
dunque, un alone denso, irregolarmente circolare od ovalare, di un paio di cm,
all’interno del quale si rilevano effetti secondari dello sparo, quali:
• Fenomeni di affumicatura: visibili sotto forma di un tenue alone grigio
(fulminato di mercurio) od azzurrognolo (polveri di nitroderivati), sono
dovuti al deposito, intorno al foro d’entrata, di minuti residui solidi
combusti della carica di lancio e sono asportabili mediante lavaggio
• Tatuaggio: di colore nero-bluastro (con le vecchie polveri nere) o giallo-
verdastro (con l’uso di polveri infumi), è dovuto ai granuli incombusti della
carica di lancio, che si infliggono nella cute intorno alla ferita. La
colorazione è persistente e non scompare con il lavaggio
• Ustione (o azione di fiamma): meno intensa con le moderne armi che
impiegano polveri infumi, che determinano una modesta fiammata esterna,
si esprime più spesso mediante la bruciatura di eventuali formazioni pilifere
• Contusione dei gas: caratterizzati dalla presenza di un’area contusa giallo-
bruna intorno al foro d’entrata causata dalla colonna dei gas, che escono a
forte pressione dalla canna
• NB: i suddetti effetti secondari dello sparo sono osservabili, anche tutti
insieme, fino a distanze di 5-10 cm per armi caricate con polveri nere e di 5-
6 cm per armi caricate con polveri infumi. Se la cute è rivestita da
indumenti, vanno ricercati su questi ultimi, se necessario con reattivi chimici
per le polveri
ƒ Colpi in vicinanza ( < 50 cm): spesso caratterizzati dall’assenza dell’azione di
fiamma (ustione) e dal fatto che gli altri fenomeni (affumicatura, tatuaggio,
contusione dei gas) risultano, seppur più sfumati, più estesi:
• Stretta vicinanza ( < 15 cm): gli effetti secondari suddetti si manifestano
insieme
• Distanze maggiori (15-50 cm): si apprezza, in genere, solo il tatuaggio
attorno al foro d’entrata
• Caratteri del tramite: il tramite è rappresentato dal tragitto che il proiettile compie all’interno del
bersaglio a causa della forza viva posseduta. Si sono già viste le caratteristiche dei tramiti nelle ferite
penetranti e non penetranti.
o Direzione: è più spesso rettilinea, ma può essere anche curvilinea, quando il proiettile
striscia su superficie concave (fossa cranica, interno dell’arcata costale), o a linea spezzata,
quando incontra particolari resistenze e viene deviato.

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o Forma: si presenta, in genere, come canale scavato nello spessore dei tessuti, delimitato da
pareti anfrattuose ed infiltrate di sangue, con materiale necrotico e, talvolta, corpi estranei
trasportati dal proiettile sano. Il canale può essere:
ƒ Virtuale: nel tessuto muscolare
ƒ Reale: a livello di organi parenchimatosi ed ossa: a livello delle ossa, il tramite
assume un aspetto tipicamente imbutiforme, slargandosi verso l’uscita. Tale
fenomeno è particolarmente evidente a livello delle ossa piatte. Il rilievo è di
notevole rilevanza per ricostruire la direzione del colpo in cadaveri putrefatti ed in
caso di esumazione ed, in genere, in tutte le situazioni in cui i reperti cutanei sono
alterai (come per cadaveri sottoposti ad azione di fiamma). Si ricorda, inoltre, che il
foro d’entrata, in caso di lesioni ossee, è sensibilmente più piccolo del calibro del
proiettile (soprattutto per l’elasticità del tessuto osseo)
o Possibile tramite completo ma senza foro d’uscita: il proiettile ha perforato l’intero corpo,
ma non è stato in grado di perforare la cute in uscita e la pallottola resta intrappolata in una
fibra terminale tra le fibre connettivali, risultando palpatoriamente apprezzabile nel sottocute
ed asportabile mediante incisione cutanea
o Proiettili ad elevata velocità: la penetrazione non determina solo effetti diretti, cioè legati al
passaggio della pallottola ed alle sue proprietà statiche, ma anche lesioni secondarie
riconducibili alla cessione di elevate quantità di energia ai tessuti medesimi
ƒ Cavità temporanea pulsante: si determinano, infatti, in successione temporale:
• Repentina e temporanea espansione delle strutture tissutali attraversate
(cavità)
• Collasso per l’instaurarsi di pressione negativa al suo interno
• Proseguimento e formazione di nuove cavità (espansione > collasso) fino
all’esaurimento energetico
ƒ Morfologia
• Tubo di necrosi: zona centrale di distruzione tissutale
• Manicotto di devitalizzazione: fenomeni di dispersione energetica
o Fratture ossee
o Rottura di organi cavi ripieni di liquidi e raggiunti dall’onda d’urto
• Caratteri del foro d’uscita:
o Forma: il foro d’uscita può presentarsi sotto forme assai varie in relazione alle proprietà
dinamiche del proiettile; si possono, infatti, osservare ferite circolari, ovalari, stellari
(tipicamente nel cuoio capelluto) od anche piccole fenditure lineari
o Grandezza: possono presentarsi fori d’uscita più grandi rispetto a quelli d’entrata o più
piccoli, specie quando la forza viva del proiettile all’uscita è quasi del tutto esaurita. In ogni
caso, la maggior grandezza del foro d’uscita sembra correlata a:
ƒ Diminuzione di stabilità cui il proiettile va incontro a causa della perdita del
movimento rotatorio durante l’attraversamento dei tessuti (per la loro maggior
densità rispetto all’aria): da tale diminuzione di stabilità può derivare anche una
deviazione od anche il capovolgimento del proiettile
ƒ Deformazione eventualmente subito lungo il tragitto intrasomatico
o DD con foro d’entrata:
ƒ Caratteristiche distintive: la DD non si basa su forma e grandezza, ma su
• Aspetti negativi, quali l’assenza di effetti secondari della carica di lancio e,
soprattutto, dell’orletto di escoriazione
• Estroflessione dei margini: i fori d’entrata, invece, sono per lo più introflessi
ƒ Caratteristiche confusive
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• Fenomeni di affumicatura in uscita: si verificano solo quando il fumo,


penetrato ed uscito tramite un corto tramite, si deposita sulla cute attorno al
foro d’uscita
• Effetti contusivi simulanti un orletto di escoriazione: si verificano quando
all’uscita il proiettile trova una resistenza esterna (cintura, parete,
pavimento): in tali condizioni, infatti, quando il proiettile fuoriesce dal
corpo, la cute si trova compressa tra proiettile medesimo e resistenza
esterna, potendosi dunque formare effetti escoriativi simili all’orletto
• Effetti contusivi per discoesionedermo-epidermica: in caso di proiettili
grandi
• Fenomeni di epidermolisi a livello del foro d’uscita
• Caratteristiche delle ferite da armi da fuoco caricate con proiettili multipli: sono lesioni prodotte con
i comuni fucili da caccia. Infatti, una cartuccia da caccia contiene numerosi pallini che escono dalla
canna ammassati a palla: dopo 1-2 m di traiettoria si distanziano a formare la rosata, che va sempre
più allargandosi fino alla massima estensione (cono diretto). A questo punto, la rosata si riduce in
quanto perde via via i pallini più periferici, che non hanno sufficiente energia per raggiungere il
bersaglio, causando la progressiva riduzione della superficie colpente (cono inverso)
o Tipologie di lesioni
ƒ Breccia unica: con margini festonati e policiclici, prodotta dai pallini ancora
ammassati
ƒ Braccia centrale contornata da ferite puntiformi: è appena iniziata la formazione
della rosata
ƒ Lesioni multiple a rosata: osservabile quando i pallini sono totalmente discostati tra
loro
o Forma della rosata
ƒ Circolare: colpo perpendicolare al bersaglio
ƒ Ovale od allungata (“a stria”): colpo obliquo al bersaglio
o NB: il corpo della vittima non sempre raccoglie tutti i pallini giunti a quella distanza e, din
conseguenza, il diametro riscontrato sul cadavere non sempre è indicativo della distanza. La
densità dei pallini all’interna della rosata è, invece, l’elemento più indicativo, ma è spesso di
difficile interpretazione
o Morfologia: la morfologia delle lesioni varia in base, ad esempio, all’impronta del piano di
volata (talora della doppia canna) nei colpi esplosi a contatto od agli effetti secondari della
carica di lancio, specie nei colpi esplosi da vicino:
ƒ Fino a 5-10 cm: ustione e contusione dei gas
ƒ Fino a 50 cm-1 m: affumicatura
ƒ Fino a 1,5 m: tatuaggio
o Fori d’uscita
ƒ Con armi caricate a pallini: rari, in quanto la forza si esaurisce nel corpo
ƒ Con l’impiego di pallettoni esplosi con fucili a canne mozze (colpi di lupara): meno
rari
o Effetti sul bersaglio
ƒ Elevato potere vulnerante a tiro corto: ammassamento dei pallini notevole ed in
grado di determinare gravi lesioni tissutali
ƒ Ridotto potere vulnerante con l’aumento della distanza per la riduzione dei pallini
• Reperti autoptici:

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o Fori d’entrata e d’uscita: possono esser adeguatamente collocati nello spazio se si


prescelgono punti di repere fissi, quali quelli scheletrici, misurando la distanza fra il centro
delle lesioni ed i punti di repere medesimi, secondo due linee ortogonali
o Attenzione a proiettili ritenuti (in organi parenchimatosi o trasportati dai vasi): l’esame
radiologico può esser d’ausilio
o Tipici di suicidio:
ƒ Tracce di sangue sul dorso della mano o sull’avambraccio “a clava” od “a punto
esclamativo”
ƒ Minime lesioni escoriate lineare tra pollice ed indice: riconducibili all’uso di pistola
semiautomatica e dovute allo strisciamento sulla cute del margine inferiore
spigoloso della porzione rinculare dell’arma (segno di Felc)
ƒ Ecchimosi da rinculo alla mano: se la pistola è impugnata correttamente
ƒ NB: può esser richiesto il prelievo dalle mani della vittima per la ricerca dei residui
dello sparo con l’impiego di un apposito tampone adesivo
• Esami di laboratorio: l’identificazione di tracce di polvere da sparo può esser compiuta, specie nei
casi di DD difficile tra foro d’entrata e d’uscita, a livello delle lesioni o degli indumenti della vittima
o delle mani del presunto feritore (che può essere anche la vittima stessa in caso di suicidio), tramite
nuove metodiche basate sull’utilizzo di microscopi elettronici a scansione associati a microanalisi
• Identificazione dell’arma feritrice
o Indiretta (generica): in assenza dell’arma: si può fare su un proiettile o su un bossolo
ƒ Proiettili: su di essi si rilevano le impronte negative della rigatura della canna,
determinandone larghezza, profondità, forma e direzione. Tali reperti differiscono
anche notevolmente tra i vari tipi di arma, per cui, grazie ad essi, è possibile
circoscrivere l’indagine quanto meno ad un ristretto numero di armi
ƒ Bossoli: danno informazioni sul calibro
o Diretta (specifica): in presenza dell’arma (e di eventuali tipi di prova): in questo caso
possono rilevarsi sull’arma non solo le impronte digitali, ma anche, in caso di colpi a
contatto, eventuali tracce biologiche (sangue, pezzi di tessuto). I proiettili provenienti dai tiri
di prova vengono confrontati, mediante un apposito microscopio comparatore, che consente
l’osservazione simultanea di due proiettili, con quelli repertati nel corpo della vittima o nel
corso del sopralluogo: la corrispondenza tra striature e scalfiture consentirà una sicura
identificazione dei proiettili quali esplosi dall’arma sospettata
• Diagnostica ML: deve distinguere omicidio, suicidio ed accidente
o Elementi utili per la DD
ƒ Sede della ferita
• Tipica in casi di suicidio: regioni laterali del capo e precordio con armi a
canna corta, regione sottomentoniera e cavo orale con fucili da caccia
(ovviamente, poi, queste regioni possono esser interessate anche in casi
omicidari)
ƒ Distanza da cui è stato esploso il colpo
• Breve nei casi di suicidio: non può superare la lunghezza del braccio (colpi
a contatto od a bruciapelo)
ƒ Direzione del proiettile
• In caso di suicidio:
o Per soggetti destrimani e colpo alla regione laterale del capo, è da
destra a sinistra, dal basso all’alto e dall’avanti all’indietro
o In caso di colpo al cavo orale: dall’avanti all’indietro e dal basso
verso l’alto
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• In caso di autoferimento accidentale


o Colpi di striscio, in direzione dal basso verso l’alto per la caduta
dell’arma
ƒ Numero di colpi, desumibile da numero e tipo delle ferite
• In caso di suicidio: generalmente un colpo
• In caso di omicidio: molteplici (da scarsa precisione sul bersaglio) e con
possibili lesioni da difesa (avambraccio, mani)
o Elementi suggestivi di suicidio
ƒ Denudamento della parte colpita
ƒ Rinvenimento dell’arma nell’ambiente
ƒ Presenza di schizzi di sangue sull’arma, sulla mano o sull’avambraccio della vittima
ƒ Tracce di sparo sulla mano
o NB: è importante la ricerca della vitalità delle lesioni

Par. III: Lesioni da energia elettrica


Caratteristiche generali
Le lesioni da energia elettrica, di uso industriale o domestico, da energia continua od alternata, sono indicate
come “folgorazioni” o “elettrocuzione” (termine abbreviato di “elettroesecuzione”, ossia esecuzione capitale
tramite energia elettrica: il termine poi è andata ampliandosi sino ad indicare tutte le lesioni da energia
elettrica).
Gli effetti lesivi delle lesioni da energia elettrica, comunque, dipendono da una serie di variabili correlate a
caratteristiche della corrente (intensità, voltaggio, potenza, durata e tipo), modalità del contatto (mono- o
bipolare) e fattori propri del conduttore (resistenza al passaggio della corrente).
Caratteristiche generali sono:
• Voltaggio
o Corrente a bassa tensione (fino a 380 V)
o Corrente a media tensione (fino a 20.000 V)
o Corrente ad alta tensione (> 20.000 V): in questi casi, la scarica elettrica può avvenire anche
in maniera indiretta, ossia senza un effettivo contatto con il conduttore elettrico, ma con
produzione di elevate quantità di calore e formazione di un arco elettrico od elettrovoltaico
o NB: la corrente di suo domestico ha generalmente un voltaggio di 230 V
• Effetti lesivi:
o Fattori determinanti
ƒ Differenza di potenziale applicata agli estremi del circuito
ƒ Resistenza elettrica del circuito
ƒ Intensità di corrente che passa nel corpo
ƒ NB: questi fattori sono tra loro correlati secondo la legge di Ohm > I=V/R
o Ruolo del corpo umano: l’ostacolo offerto al passaggio di corrente varia da tessuto a tessuto
in rapporto al contenuto di acqua
ƒ Cute: offre, soprattutto in aree ad elevata corneificazione, un elevato ostacolo in
relazione allo scarso contenuto in acqua; se, tuttavia, la cute è sudata o bagnata (o in
presenza di lesioni di continuo), la resistenza è notevolmente ridotta
• NB: “la morte in bagno”: il caso dell’incidente domestico per folgorazione
da caduta di un elettrodomestico nella vasca da bagno è paradigmatico della
estrema vulnerabilità alla corrente elettrica della cute bagnata
• “Effetto joule”: in caso di resistenze particolarmente elevate, si manifesta un
notevole effetto termico
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ƒ Organi interni: offrono resistenza scarsissima


ƒ Altri tessuti: offrono resistenza scarsa (in ordine decrescente di resistenza):
• Ossa
• Tessuto adiposo
• Nervi (a causa della guaina mielinica)
• Muscoli
• Sangue
• Liquidi organici
o Tipo di corrente
ƒ Continue
ƒ Alternate: più pericolose, dipendono dalla frequenza (Hz), tuttavia a frequenze
molto elevate può verificarsi:
• Effetto pellicolare: la corrente elettrica tende a passare solo lungo la
superficie esterna del conduttore
o Gruppi di lesività da corrente elettrica
ƒ Fattori determinanti
• Intensità
• Tipo di corrente
• Durata del contatto
ƒ Gruppi
• I
o Amperaggio
ƒ <25 mA per corrente alternata (CA)
ƒ 25-80 per corrente continua (CC)
o Nessun sintomo
• II
o Amperaggio
ƒ 25-80 CA
ƒ 80-300 CC
o Perdita di coscienza, aritmia, spasmi respiratori
• III
o Amperaggio
ƒ 80-100 CA
ƒ 300 mA-3 A CC
o Effetti lesivi
ƒ Per esposizioni di 1-3 secondi: sovrapponibili a quelli del
gruppo II
ƒ Per esposizioni più prolungate: fibrillazione ventricolare
irreversibile
• IV
o Amperaggio > 3 A
o Arresto cardiaco
o Altre considerazioni
ƒ Seconda legge di Kirchhoff: la corrente elettrica, attraversando il corpo umano,
percorre la via a minor resistenza, ossia a maggior conduttività, quindi sangue ed
organi più irrorati, vale a dire cuore ed encefalo
ƒ Contatto bipolare (mano-mano, mano-piede, piede-piede): soprattutto quello mano-
sinistra-piede destra, è molto pericoloso, determinando fibrillazione ventricolare
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Effetti dannosi sull’organismo umano


La lesività da corrente elettrica sull’organismo è determinata principalmente da fenomeni elettrotermici
(effetto joule ed arco elettrovoltaico), dalla polarizzazione elettrolitica e dall’azione elettrodomestica.
Il meccanismo elettrotermico è dovuto al fatto che l’elettricità, attraversando il corpo, produce calore
proporzionalmente alla resistenza incontrata (effetto joule).
L’arco elettrovoltaico, invece, si forma a causa della ionizzazione dell’aria interposta tra un conduttore ad
elevata tensione e la cute, con produzione di fiamma. Gli effetti lesivi dell’arco voltaico sono molto gravi
date le elevate temperature raggiunte: si formano, in genere, ustioni estese e profonde con perdita di sostanz
e zone di carbonizzazione tissutale; possono anche essere di natura luminosa, sotto forma di radiazioni UV
lesive per le strutture oculari, o di natura acustica, lesive per la membrana timpanica.
La polarizzazione elettrolitica è dovuta ai campi elettrici creatisi nell’organismo al passaggio della corrente e
responsabile di modificazioni molecolari e cellulari anche fatali: si realizzano, infatti, alterazioni dei
potenziali delle membrane cellulari e dei nuclei con variazioni dell’equilibrio elettrolitico citoplasmatico,
denaturazione delle proteine ad elevato PM, alterazioni irreversibili della vitalità delle cellule sino alla
necrosi:
• Meccanismi causali della morte:
o Morte nervosa (immediata) per paralisi dei centri bulbari
o Morte asfittica per contrazione spasmodica dei muscoli respiratori
o Morte cardiaca per fibrillazione ventricolare
o Morte per shock (non immediata)
o Morte da complicanze tardive
ƒ Processi infiammatori broncopolmonari
ƒ Infarto miocardico
ƒ Emorragie GI per sanguinamento di ulcere da stress
• Lesività cutanea:
o Ustione elettrica:
ƒ Aspetto: si differenzia dalle comuni ustioni da fiamma per alcune caratteristiche: è
in genere ben delimitata, indolore, priva di essudazione e non dà luogo a
suppurazione; la cute è secca e di aspetto pergamenaceo. I peli eventualmente
presenti possono presentare bruciature od accartocciamenti
ƒ Patogenesi: tali fenomeni sono dovuti ad un’intensa necrosi coagulativa dei tessuti
con rapida disidratazione, determinatasi per effetto del surriscaldamento endogeno
in assenza di ossigeno libero; ne risulta un vero e proprio processo di
mummificazione localizzata
ƒ Esiti in caso di sopravvivenza: cicatrici di colore biancastro, regolari, ricche di fibre
elastiche, scarsamente aderenti e retraenti (a differenza di quelle formatesi per
ustione di fiamma, di colorito roseo, povere di fibre elastiche, costituire da tessuto
sclerotico e ben aderenti)
o Marchio elettrico: è la lesione autenticamente “elettrospecifica”, in quanto imputabile alla
coagulazione degli elementi cellulari operata dalle forze elettrodinamiche generate
dall’elettricità. È ben resistente ai fenomeni putrefattivi e, pertanto, spesso abbastanza
riconoscibile anche quando il cadavere è rinvenuto a distanza di tempo dalla morte o
proviene da esumazione
ƒ Caratteristiche: è in genere localizzato a livello del punto di contatto fra cute e
conduttore di elettricità e rilevabile, talvolta, anche nel punto di scarico (pianto dei
piedi). La sua eventuale assenza non consente di escludere che la morte sia dovuta a
folgorazione, poiché esso può non formarsi allorché la corrente possiede bassa

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intensità (basso voltaggio) o penetra in punti del corpo a resistenza ridotta (cute
bagnata)
ƒ Aspetto: ha forma irregolarmente rotondeggiante, ma non di rado può riprodurre a
stampo parte o tutta la forma del conduttore. Presenta due tipi fondamentali:
• Tipo senza perdita di sostanza: costituito da un rilievo cutaneo, di forma
variabile in rapporto a quella del conduttore, delle dimensioni di pochi mm,
con margini netti, depresso al centro, di colorito bianco-grigiastro, sarebbe
dovuto allo scollamento dell’epidermide con formazione di vacuoli
contenenti aria
• Tipo con perdita di sostanza di derma ed epidermide: la lesione si presenta a
forma di cratere a stampo, con margini sottominati, talora carbonizzati, e
con fondo di colore giallo-grigiastro o rosso-scuro se vi sono delle piccole
emorragie
ƒ Punti di uscita: piccole escavazioni crateriformi dello strato corneo dell’epidermide
o Metallizzazione: deriva da fenomeni di archi voltaici, che inducono fenomeni di fusione dei
metalli dei conduttori (ferro, rame), che si depositano sulla cute (o sui vestiti) e possono
essere rilevati con vari metodi

Lesioni da elettricità atmosferica (fulminazione)


Le lesioni indotte da elettricità naturale sono dovute all’azione del fulmine, costituito da una scarica elettrica
stabilitasi fra nubi temporalesche e terra, quando si instaura un’elevata differenza di potenziale tra atmosfera,
caricata positivamente, e superficie terrestre, caricata negativamente, tale da superare la resistenza elettrica
dell’aria.
Inizialmente sono le cariche elettriche della nube che scendono verso la terra, formando un canale ramificato
(scarica guida), all’interno del quale vengono poi attirate verso l’alto le cariche presenti sulla superficie
terrestre. Quindi, al contrario di quanto ritenuto, il flusso delle cariche è diretto dal basso verso l’alto e
discontinuo (i flussi infatti si susseguono in maniera discontinua, ma così rapidamente da apparire acontinui
all’occhio umano).
Il lampo è, invece, una scarica elettrica fra due nubi di differente potenziale; sia il fulmine che il lampo,
inoltre, sono generalmente seguiti da un tuono, prodotto dalle vibrazioni generate dal riscaldamento e dalla
espansione dell’aria circostante alla carica elettrica.
La lesività prodotta dalla fulminazione sull’organismo umano deriva principalmente da fenomeni
elettrotermici, sebbene non siano trascurabili gli effetti meccanici diretti: l’azione meccanico del fulmine,
infatti, si esplica a non meno di 150-200 m dal suolo, ma i suoi effetti possono risentirsi fino al suolo in
relazione al notevole spostamento d’aria, realizzatosi con meccanismo simile a quello delle esplosioni.
Si possono, dunque, produrre sia ustioni (da forme lievi fino all’incenerimento), sia lesioni da energia
meccanica (ecchimosi, ferite LC, lesioni da scoppi, etc.).
In alcuni casi, la cute del soggetto fulminato presenta la formazione di figure arboree (strie di Lichtemberg),
costituite da striature eritematose, a patogenesi indefinita.
Il sopralluogo consente, poi, di osservare altri segni del passaggio del fulmine (combustione di alberi,
disgregazione di materiali cattivi conduttori).
Nella folgorazione, inoltre, compare una precoce rigidità cadaverica (di scarso significato invece
l’accelerazione dei fenomeni putrefattivi, imputabili anche ad altri fattori ambientali).
Infine, pur essendo la folgorazione un evento accidentale, può colpire più frequentemente alcuni lavoratori
(agricoltori, boscaioli).

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Par. IV: Lesioni da energia termica


Caratteristiche generali
Comprendono gli effetti dell’esposizione a temperature troppo elevate o troppo basse rispetto alla capacità di
adattamento dell’organismo: l’entità delle lesioni è in rapporto al livello di temperatura (in eccesso od in
difetto) raggiunto dal corpo umano per effetto delle modificazioni della temperatura esterna:
• Principali modalità di scambio di calore fra organismo ed ambiente esterno
o Conduzione: per contatto diretto
o Convezione: mediato da fluidi (liquidi e vapori)
o Irraggiamento: mediante onde EM (soprattutto raggi infrarossi)
o Evaporazione: mediane sudorazione e perspiratioinsensibilis
• Tipi di lesioni a seconda dell’esposizione ad elevate o basse temperature
o Ustioni
o Lesioni da calore propriamente dette
ƒ Crampo da calore
ƒ Collasso ed esaurimento ad calore
ƒ Colpo di calore
ƒ Colpo di sole
o Lesioni da freddo
ƒ Congelamento
ƒ Perfrigerazione
ƒ Assideramento

Ustioni
• Patogenesi generale delle ustioni
o Mezzi fisici: calore, elettricità, radiazioni, energia nucleare
o Mezzi chimici: sostanze caustiche o corrosive
o Mezzi biologici: alcuni insetti o pesci, meduse, alcune piante
o NB: si tratteranno in questa sede solo le ustioni da calore
• Caratteristiche generali delle ustioni da calore: il contatto tra superficie corporea e fonte di calore
determina a livello cutaneo effetti lesivi (dermatite acuta); se, invece, la superficie corporea
interessata è vasta, agli effetti locali si aggiungono effetti sistemici
• Patogenesi delle ustioni da calore
o Agente termico liquido
o Gas o vapori surriscaldati
o Azione diretta di una fiamma o di corpi arroventati
• Gradi: in rapporto a temperatura del mezzo urente, durata e superficie di azione, caratteristiche del
tessuto colpito, le ustioni sono distinte in 4 gradi di gravità:
o I (superficiali o epidermiche):
ƒ Aspetto
• Eritema cutaneo a margini sfumati
• Tumefazione della zona colpita (indotta da vasodilatazione ed aumento di
permeabilità)
• Zona circostante pallida (per vasocostrizione)
ƒ AP
• Vasi dermici dilatati contenenti emazie conglutinate
• Edema del connettivo con precoce migrazione di PMN
• Vacuolizzazione delle cellule epiteliali con picnosi nucleare
ƒ Guarigione: 4-5 giorni senza reliquati
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o II (profonde o dermiche):
ƒ Flittene: si evidenzia un’intensa essudazione intraepidermica con liberazione di
serotonina ed istamina e formazione di flittene, circondato da un alone iperemico
• Contenuto: siero-ematico con numerosi PMN
• Fondo: costituito dal derma o dalle cellule dello strato basale degeneranti
• Dimensioni
o Minori: le bolle si afflosciano, con riassorbimento del liquido e
trasformazione in croste
o Maggiori: vanno incontro a rottura con possibile sovrainfezione
batterica
ƒ Guarigione: in 2-3 settimane con formazione di tessuto di granulazione e restitutio
ad integrum
• NB: cicatrice in caso di interessamento anche del derma
o III (necrotiche o a tutto spessore):
ƒ Necrosi: interessa tutta la cute e talora anche i tessuti profondi, sotto forma di:
• Gangrena secca: escare secche di colore rosso-bruno, a margini netti, se
l’ustione è stata prodotta da una fiamma
• Gangrena umida: escare umide, di colore giallastro, a margini sfumati, se è
stata causata da liquidi o vapori surriscaldanti
ƒ Evoluzione: l’escara va incontro a progressivo rammollimento e, dopo circa 2-3
settimane, cade mettendo a nudo un tessuto di granulazione, facilmente infettabile,
dal quale prende inizio il processo di cicatrizzazione, che si completa poi in senso
centripeto. Poiché la necrosi interessa tutti gli elementi epiteliali, non vi è possibilità
di una riepitelizzazione: residua, di conseguenza, una cicatrice spessa, aderente ai
piani sottostanti, retratta, talora evolvente in cheloide
o IV
ƒ Patogenesi: esclusivamente per effetto di fiamma o corpi solidi urenti
ƒ Carbonizzazione dei tessuti: questi assumono un aspetto nerastro e friabile, con
possibile coinvolgimento anche di muscolo ed osso
• Carbonizzazione dell’osso: questo diviene leggero e fratturabile
(calcinazione)
• NB: quando, invece, sono presenti in contemporanea lesioni di I, II e III
grado, ma non di IV (cioè manca la carbonizzazione), l’aspetto assunto è “a
carta geografica”
• Calcolo della percentuale della superficie corporea colpita: si suddivide il corpo in multipli di 9
o Valori (in %)
ƒ Capo e collo: 9
ƒ Tronco: 18 (9 anteriore + 9 posteriore; ciascuna divisibile in superiore ed inferiore)
ƒ Arto inferiore: 18
ƒ Arto superiore: 9 (NB: gli arti sono, ovviamente, distinguibili in zona anteriore e
zona posteriore)
ƒ Regione perineale, genitali compresi: 1
ƒ NB: nei bambini i valori sono leggermente diversi, in relazione al maggior sviluppo
della testa ed al minor sviluppo degli arti inferiori
• Capo e collo: 18 fino ad 1 anno e 14 fino a 5 anni
• Arto inferiore: 14fino ad 1 anno e 16 fino a 5 anni
o Significato clinico e prognostico: è valutato in addizione alla valutazione del grado di
ustione, secondo una corretta associazione di parametri quantitativi e qualitativi
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• Malattia da ustione: per ustioni che interessino almeno il 15-20% della superficie corporea si
determina una risposta sistemica generata dalle alterazioni anatomiche, biochimiche ed
emodinamiche delle zone lese:
o Fase iniziale: dolore, angoscia, agitazione, shock precoce di origine neurogena
o Fase della shock ipovolemico: cianosi, sudorazione fredda, ipotermia, tachicardia ed
ipotensione, convulsioni, dispnea, obnubilamento del sensorio
ƒ Patogenesi: l’alterata permeabilità capillare causata dall’ustione determina edema
interstiziale con perdita di Sali ed albumina, con ipovolemia ed aumento della
viscosità ematica
o Fase terminale dello shock: si instaurano condizioni favorevoli alla formazione di trombi
(ipercoagulabilità, danno della parete vasale, e rallentamento del circolo), con evoluzione in
CID. Il consumo dei fattori della coagulazione predispone poi all’insorgenza di gravi e
diffuse emorragie parenchimali
ƒ Sindrome da insufficienza respiratoria acuta: è causata dalla CID e dalla produzione
di fattori tossici che inibiscono la formazione di surfattante
o Fase di risoluzione: miglioramento delle condizioni generali 48-72 ore dopo l’instaurarsi
dello shock
o Fase della tossicosi:
ƒ Sintomi generali: febbre, cefalea e nausea
ƒ Interessamento viscerale: gastrite erosiva od ulcere emorragiche, fino alla peritonite
ƒ Gravi reazioni sistemiche di tipi anafilattoide o insufficienza renale per il
riassorbimento di sostanze tossiche dai tessuti ustionati
o Fase della sepsi: si verifica alla caduta delle escare, per comparsa di tessuto di granulazione,
che va facilmente incontro ad infezione (soprattutto di Gram-) e può evolvere fino alla
MODS (disfunzione multiorgano associata a sepsi)
• Cicatrizzazione anomala: nel sopravvissuto può svilupparsi, a seconda del grado dell’ustione e delle
caratteristiche individuali, una cicatrizzazione patologica di tipo ipertrofico, distrofico o cheloideo
o Cicatrice ipertrofica: rilevata sul piano cutaneo, presenta superficie irregolare e colore
rossastro, ma preserva i limiti e la forma della cicatrice primitiva
o Cicatrice distrofica: è biancastra, con epitelio sottile e senza peli, facilmente soggetta ad
ulcerazioni anche per traumi; può evolvere verso lesioni precancerose
o Cheloide: è una placca cicatriziale rilevata ed irregolare, che tende all’accrescimento, non
conserva il limiti e la forma della lesione primitiva e spesso recidiva dopo escissione
o NB: le cicatrici localizzate in corrispondenza di superfici articolari possono evolvere in
cicatrici retraenti, tali da generare una notevole limitazione funzionale dell’articolazione
interessata
• Considerazioni ML
o Identificazione del mezzo urente
ƒ Azione diretta della fiamma: si producono ustioni estese, di superficie irregolare e
mal definita. Di norma si osservano aree di necrosi circondate da flittene e, più
esternamente, da un alone eritematoso; l’azione diretta della fiamma, inoltre, è in
grado di provocare cicatrizzazione dei tessuti. Altre caratteristiche sono:
• Peli e capelli più o meno completamente bruciati
• Ruolo favorente di indumenti infiammabili ed inibenti di indumenti poco
infiammabili (cintura, scarpe)
• Possibile interessamento anche delle vie aeree in caso di gas infiammabili
ƒ Corpi solidi arroventati: si caratterizzano per un’estensione limitata dell’ustione, che
in genere riproduce a stampo la forma dell’agente ustionante
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• Possibile carbonizzazione tissutale


• Peli della zona ustionata non bruciati, ma ritorti sul proprio asse
ƒ Liquido bollente: la direzione è sempre discendente per la forza di gravità
• Possibili schizzi sulla cute se il liquido cade dall’alto: formazione di ulcere a
forma raggiata
• Profondità non particolarmente grave per la tendenza allo scorrimento del
liquido
• Regioni corporee più colpite: sono quelle ricoperte da indumenti, in quanto
questi si impregnano del liquido bollente, determinando prolungamento
dell’azione ustionante
• Scarse alterazioni di peli o capelli
ƒ Gas o vapori surriscaldati: sono simili a quelle da liquidi bollente, in assenza,
tuttavia, di schizzi e scorrimento
o Indicazioni circa la cronologia
ƒ Ustioni < 36 ore: flittene non infette né apprezzabilmente edematose
ƒ Ustioni > 36 ore: le flittene contengono pus e l’alone iperemico scompare
ƒ Ustioni > 2-3 giorni: presenza di croste
• Superficiali: cadono in 1 settimana
• Profonde: cadono in 2 settimane
ƒ ustioni > 2 settimane: presenza di superficie di granulazione libera da croste
o DD fra ustioni vitali e post-mortali
ƒ I: la presenza di eritema è segno di lesione vitale, che tende poi a scomparire dopo la
morte (quindi va subito ricercato durante il sopralluogo)
ƒ II: segni di vitalità sono:
• Presenza di una reazione infiammatoria attorno al flittene con fitta rete
vascolare
• Riscontro di pus all’interno delle vescicole (utile anche ai fini cronologici,
in quanto indica che la lesione è avvenuta entro 36 ore)
• Essudato ricco di albumina
• Positività della reazione di Rivalta
• NB: la flittene prodotta per ustione nel cadavere ha, invece, contenuto
prevalentemente gassoso e non presenta reazioni periferiche indicative di
vitalità; se presente liquido, ha carattere trasudativo (con negatività della
prova di Rivalta)
ƒ III: segni di vitalità sono:
• Presenza di una reazione eritematosa attorno all’escara vitale
• Area di vasodilatazione con conglutinazione eritrocitaria, afflusso di cellule
della serie bianca e formazione di essudato
o AP: nel cadavere non si osservano alterazioni AP patognomoniche
ƒ Causa della morte: ha notevoli implicanze ML ed AP
• Direttamente rapportata all’ustione ed alle sue complicanze
• Intossicazione da CO
• Sviluppo di HCN (acido cianidrico) o di gas tossici dotati di azione
gravemente irritante sulle prime vie respiratorie
• Lesioni da precipitazione o da schiacciamento conseguenti a tentativi di
sottrarsi alle fiamme od a cedimenti di strutture murarie
ƒ Aspetti AP generali

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• Riduzione di volume di organi e superficie corporea in relazione all’azione


disidratante della fiamma ed alla retrazione muscolare (il cadavere assume
un aspetto “giovanile”)
• Intensa rigidità (sempre per disidratazione e contrazione muscolare):
posizione “a lottatore” per l’atteggiamento in flessione degli arti dovuto a
retrazione muscolare
• Cute secca, di colore nerastro
• Soluzioni di continuo in corrispondenza delle pieghe flessorie delle
articolazioni: indotte da retrazione cutanea, sono simili a lesioni da taglio,
ma prive di caratteri vitali; infatti, non presentano codette ed hanno,
all’osservazione microscopico, ponti di tessuto nel fondo
ƒ Aspetti AP specifici
• Capo
o Fratture craniche da scoppio per espansione dei gas prodottisi
all’interno della scatola cranica
o Retrazioni meningee e formazione di falsi ematomi epidural
• SNC
o Edema ed iperemia cerebrali
o Microascessi cerebrali
• Apparato respiratorio
o Edema laringeo
o Tracheo-bronchiti
o Edema polmonare
o Particelle fuligginose nelle vie aeree distali (dimostrazione di
inalazione vitale)
o Presenza di embolie gassose (indicative di sussistenza del circolo al
momento dell’esposizione alle fiamme)
• Cuore e muscoli: aspetto “a carne lessa”
• Fegato: focolai necrotici
• Sangue: spesso coagulato e di colore scuro per formazione di
metaemoglobina o per effetto della carbossiemoglobina ad elevata
temperatura
• Reni: emoglobinuria e mioglobinuria> necrosi tubulare acuta (aggravata
dall’ischemia renale verificatasi per lo shock)
• Apparato GI: ulcere ed erosioni multiple
o Carbonizzazione: è molto importante stabilire se è avvenuta prima o dopo la morte; indici di
vitalità della lesione sono:
ƒ Presenza di fuliggine nelle vie aree, soprattutto distali: sono indice di attiva
inalazione di fumi
ƒ Presenza di adeguate concentrazioni di CO nel sangue: depone per un’aspirazione
attiva di fumi
ƒ Carbossiemoglobina > 10% (ma attenzione al fatto che una percentuale più bassa
può esser dovuta ad una combustione in ambiente aperto, in presenza di elevata
quantità di ossigeno e quindi scarsa produzione di CO)
ƒ Embolie gassose polmonari: rivela la sussistenza, come già detto, del circolo
ematico al momento della produzione di emboli gassoosi ad opera del calore sul
tessuto cutaneo

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ƒ NB: il rilievo simultaneo di fattori vitali e post-mortali, associato a riscontro di bassi


livelli di carbossiemoglobina, indirizza verso un’esposizione alle fiamme avvenuta
in limine vitae
o Sepsi: è utile dimostrare, tramite prelievo nelle aree cutanee interessate e successivi
accertamenti microbiologici, l’insorgenza della sepsi, causa principale di morte da ustione
ƒ In caso di sospetta setticemia: prelievi a carico di diversi organi

Lesioni da calore propriamente dette


Consistono in modificazioni patologiche dell’omeostasi generale dell’organismo, determinate
dall’esposizione ad elevate temperature:
• Collasso da calore: si verifica per esposizioni ad elevate temperature in individui scarsamente
acclimatati
o Fattori favorenti: attività fisica, abbigliamento inadeguato, deplezione idrosalina
o Patogenesi: vasodilatazione > ridotto ritorno venoso > diminuita gittata cardiaca > collasso
CC
o Sintomi
ƒ Generali: malessere, astenia, tachicardia, cefalea, vertigini, ipotensione, sudorazione
ƒ Collasso
• Semplice (in forme meno gravi): regredisce rapidamente trasferendo in un
luogo più ventilato
• Esaurimento da calore (in forme più gravi): l’insorgenza è rapida ed il
soggetto appare pallido, prostrato, con cute fredda e sudata. Il quadro è
caratterizzato da obnubilamento del sensorio, lipotimia ed eventualmente
sincope
• Crampi da calore: in caso di deplezione idrosalina accentuata
• Colpo di calore: costituisce la più grave delle sindromi sistemiche da ipertermia
o Fattori favorenti: soggetti anziani, climi tropicali, condizioni che favoriscono una rapida ed
intensa sudorazione
o Patogenesi: vasodilatazione > aumento ritorno venoso> insufficienza cardiaca > aumento
della pressione venosa (con effetti a livello cutaneo di) >progressivo esaurimento della
funzionalità delle ghiandole sudoripare > blocco del meccanismo della sudorazione >
impossibilità di cedere calore > ipertermia rapida altamente pericolosa per il SNC
o Sintomatologia (della forma tipica, ossia iperpiretica):
ƒ Generale: malessere, sete, vertigini, cefalea, perdita di coscienza, cute arrossata e
secca (per blocco della sudorazione)
ƒ Irritazione meningea ed encefalica: nausea, vomito, rigidità nucale, allucinazioni
ƒ Scompenso circolatorio: ipotensione, tachicardia, tachipnea, coma, morte
o Forme particolari
ƒ Fulminante: rapida insorgenza di insufficienza CR senza iperpiressia con morte
ƒ Sincopale
ƒ Congestizia: con edema polmonare
ƒ Asfittica: dispnea, cianosi, perdita di coscienza, arresto respiratorio
ƒ Psicotica: disturbi della coscienza, allucinazioni, delirio, istinti suicidari
ƒ Uremica: insufficienza renali
o AP
ƒ MA
• Congestione vasale diffusa
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• Edema cerebrale
• Aumento del liquor
• Emorragie subaracnoidee
• Edema e congestione polmonare
ƒ MI: alterazioni di tipo degenerativo dei neuroni della corteccia, dell’ipotalamo e del
tronco encefalico
o Aspetti ML
ƒ Raffreddamento del cadavere ritardato
ƒ Intense e precoci rigidità e putrefazione
ƒ Diffuse ipostasi
o Prognosi: possibili disturbi cerebrali e cerebellari nei sopravvissuti
• Colpo di sole: simile al colpo di calore (soprattutto il rapido esordio), si verifica quando l’individuo
espone lungamente all’azione dei raggi solari il capo (ed, in particolare, il rachide cervicale)
o Patogenesi: irraggiamento (piuttosto che ipertermia come nel colpo di calore) con azione a
livello encefalico e troncoencefalico
o Clinica: cefalea intensa, vertigini, nausea e vomito, rigidità nucale, temperatura elevata, cute
calda e sudata (a differenza del colpo di calore); nei casi più gravi, allucinazioni, delirio,
perdita di coscienza, coma e morte
o AP: simile al colpo di calore

Esposizione a basse temperature


L’esposizione a basse temperature, di origine sia naturale che artificiale, viene contrastata dall’organismo
mediante la produzione di calore endogeno attraverso termogenesi e limitazione della dispersione calorica
(termolisi). Quando tale equilibrio non è più sostenibile si verificano effetti locali (congelamento) o sistemici
(assideramento):
• Congelamento: riguarda regioni circoscritte del corpo, in genere quelle periferiche (mani, piedi,
orecchie, naso), meno efficacemente irrorate e meno protette dai vestiti
o Patogenesi: temperature comprese tra -10°C e qualche grado sopra lo 0 > spasmo arteriolare
locale con vasocostrizione locale > ipossia ed accumulo di metaboliti acidi > vasodilatazione
paralitica veno-capillare con liberazione di istamina > edema interstiziale > rallentamento
ematico ed aumento della viscosità ematica > trombi endocapillari> necrosi e gangrena
(secca per ostruzione totale, umida per ostruzione parziale)
ƒ NB: la gangrena umida, in rapporto al minor isolamento dell’area coinvolta, è più
grave di quella secca, in quanto determina più facilmente l’immissione in circolo di
tossine batteriche e prodotti di degenerazione tissutale originati dal focolai di
infezione
ƒ NB: il freddo è, inoltre, capace di provocare danni diretti (ossia non mediati da
fattori vascolari), per la formazione di cristalli capaci di ledere le pareti cellulari
o Clinica: vi sono 3 gradi, preceduti da una fase pre-eritematosa (pruriti, parestesie, pruriti,
ipo-anestesia, dolore, impaccio motorio)
ƒ I: eritema di colore rosso-violaceo con lieve edema locale ed intensificazione della
sintomatologia insorta in fase pre-eritematosa
ƒ II: intenso edema cianotico e flittene dermo-epidermiche ed intraepidermiche, a
contenuto sieroso o siero-ematico, che evolvono verso la formazione di piaghe
ƒ III: necrosi superficiale e profonda dei tessuti:
• Interessamento di derma e sottocute: escare
• Di muscoli ed ossa: gangrena con possibile insorgenza di un quadro
sistemico caratterizzato da febbre e stato tossico generale
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o Quadri caratteristici
ƒ Piede da trincea
ƒ Piede da immersione

Par. IV: Lesioni da energia barica


Caratteristiche generali
Si verificano per variazioni della pressione ambientale a seguito di un repentino passaggio da un ambiente
ipercompresso a condizioni pressorie normali (iperbaropatie) oppure in conseguenza di un brusco passaggio
da condizioni normali a condizioni caratterizzate da abbassamento pressorio (ipobaropatie).

Iperbaropatie
Comprendono una serie di quadri clinici legati a particolari attività lavorative od a pratiche sportive
(palombari, cassonisti, sommozzatori, pescatori, subacquei):
• Insorgenza
o In fase di compressione:
ƒ L’immissione troppo rapida di aria compressa nei cassoni o nelle apparecchiature
subacquee, eseguita allo scopo di equilibrare la pressione idrostatica circostante, può
determinare nei cassonisti o nei palombari la comparsa di sintomi quali dolori
auricolari ed acufeni (per l’aumentata pressione endotimpanica), bradipnea,
bradicardia ed ipotensione
ƒ Sindrome degli alti fondali: si manifesta durante l’immersione a grandi profondità
con scafandri od autorespiratori ed è dovuta all’azione dell’azoto inalato a forte
pressione, che determina senso di eccitazione e di euforia, cui fanno rapidamente
seguito torpore, attenuazione dell’attenzione ed incoordinazione motoria, fino alla
morte
o In fase di decompressione: è la fase più pericolosa, quando eseguita in maniera non graduale
ƒ Patogenesi: la maggior quantità di azoto disciolta nei tessuti (specie in quello
adiposo) nella fase di compressione (allorché era stata respirata aria sotto pressione)
si libera dai tessuti sotto forma di bolle gassose, che penetrano nei tessuti,
determinando fenomeni di aeroembolismo
ƒ Clinica: si osservano forme:
• Lievi:
o Dolori articolari accompagnati da rialzo febbrile, epistassi, dolori
addominali e vomito
o Possibile comparsa diverse ore dopo la decompressione
o Regressione in qualche giorno
• Gravi: sintomatologia
o Cerebrale: emiplegia, convulsioni, coma
o Midollare: paraplegie, disturbi sfinterici
• Fulminanti: caratterizzate da sintomatologia asfittica, sono dovute ad
embolismo polmonare:
o Edema polmonare emorragico
o Enfisema acuto
• Reliquati
o Esiti neurologici, visivi od acustici (ipoacusie)
o Osteoartropatie croniche
ƒ Formazioni cistiche
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ƒ Immagini di osteonecrosi all’RX delle ossa lunghe (osteonecrosi asettica


barotraumatica)

Ipobaropatie
• Malattia degli aviatori: per la bassa pressione si determina comunque sovrasaturazione di azoto, con
quadri simili alle iperbaropatie
• Mal di montagna
o Patogenesi
ƒ Diminuzione della pressione atomosferica
ƒ Carenza di ossigeno nell’aria
ƒ Abbassamento della temperatura
ƒ Effetto dei raggi solari
o Disturbi
ƒ A 1.500-2.000 m: dispnea, sintomi vegetativi, stato di ebbrezza
ƒ Oltre i 3.500 m: tachipnea, tachicardia, acufeni, secchezza delle fauci, vomito,
eccitazione
o Terapia: somministrazione di ossigeno e ritorno graduale ad altitudini più basse
• Male cronico delle altitudini: è caratterizzato da manifestazioni che insorgono in soggetti dimoranti
sopra i 3.500 m, nei quali siano venuti meno i processi di assuefazione
o Sintomatologia: cefalea, vertigini, modificazioni del carattere, fenomeni allucinatori,
poliglobulia, enfisema polmonare, ipertrofia ventricolare destra

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CAP. 3: ASFISSIOLOGIA FORENSE

Par. I: Caratteristiche generali


Introduzione
Il campo d’interesse dell’asfissiologia forense è costituito dalle sindromi asfittiche meccaniche violente,
ossia da quelle forme di insufficienza respiratoria in cui si realizza un impedimento alla penetrazione
dell’aria nell’albero respiratorio in conseguenza dell’azione di una causa generalmente esterna
all’organismo, di natura meccanica, che si estrinseca con consistente energia e, di norma, in tempi brevi.
Esulano, dunque, dal campo dell’asfissiologia quelle sindromi che, pur avendo come denominatore comune
l’anossia, vale a dire la mancanza di ossigeno a livello tissutale e cellulare, riconoscono un’eziologia
endogena o tossica.
In senso stretto, comunque, il termine “asfissia” suole intendere la mancanza di palpito, ovvero di battito
cardiaco, e quindi, in senso estensivo, l’assenza di atti respiratori ed il blocco della respirazione cellulare.
Caratteri comuni di tutte le forme asfittiche sono, dunque, la primitività del processo, la natura meccanica
dello stesso e la violenza dell’azione.
L’azione meccanica violenta di tipo asfittico si realizza attraverso varie modalità, tutte in grado di ostacolare
l’ingresso di aria nelle vie respiratorie: esse si realizzano attraverso occlusione degli orifizi respiratori,
ostruzione delle vie respiratorie, opposizione all’espansione polmonare.
Ina base alle modalità di azione è possibile, quindi, classificare le forme asfittiche meccaniche:
• Da occlusione degli orifizi respiratori esterni: soffocamento
• Da compressione delle vie respiratorie:
o Strozzamento
o Strangolamento e compressione atipica del collo
o Impiccamento
• Da ostruzione delle vie respiratorie dall’interno
o Annegamento
o Asfissie da inspirazione:
ƒ Intasamento: terriccio, pezzi di stoffa, oggetti di uso domestico
ƒ Bolo alimentare
o Sommersione interna: vomito, sangue, pus, liquido idatideo
• Da impedimento degli atti respiratori per immobilizzazione del torace
o Morte nella folla
o Seppellimento (blocco del mantice respiratorio)
o Sospensione o crocifissione
• Da impedimento degli atti respiratori per utilizzo di anestetici
• Da carenza di ossigeno nell’aria respirata: confinamento (ad esempio, bambini che giocano a
nascondino o in caso di grandi traumatismo)

Tra le cause non meccaniche, ma che comunque danno un quadro simile, si ricordano:
• Da edema polmonare acuto per intossicazione acuta da oppiacei: “marea montante” con
configurazione del fungo mucoso (vedi dopo) a livello delle labbra. Tipici sono i casi di
tossicodipendenti che passano da un rivenditore che fornisce droghe tagliate al 10% a rivenditori più
“onesti”, che tagliano al 30%. Inoltre, il tossicodipendente può morire per:
o Enfisema acuto: si ha un blocco centrale con fame d’aria, impossibilità a respirare ed edema
lieve
o Arresto o permanenza in comunità > diminuzione della tolleranza > ripresa delle stesse dosi
> overdose

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• Da cause sistemiche
o Patologie acute cardiocircolatorie
o Patologie respiratorie
ƒ Acute: polmonite interstiziale acuta da influenzavirus o VRS nei bambini
ƒ Croniche: pneumoconiosi

Dinamica dell’azione asfittica


L’organismo è in grado di resistere per breve tempo, e senza particolari inconvenienti, alla sospensione
dell’attività respiratoria, così come accade nell’apnea volontaria, nella quale viene sfruttata la quantità di aria
residua a livello delle strutture alveolo-polmonari.
Il prolungamento dell’apnea volontaria dipende da molteplici fattori, sia intrinseci (fisiologici quali età,
costituzione fisica, allenamento; patologici quali presenza di affezioni respiratorie, ematiche o
cardiovascolari) sia estrinseci (temperatura, umidità, farmaci ad azione depressiva sul SNC).
In ogni caso, il progressivo aumento dell’ipossiemia e dell’ipercapnia determina, in tempi diversi ed a
seconda delle condizioni di resistenza individuale, la cessazione dell’apnea volontaria per stimolo diretto dei
centri nervosi che regolano la respirazione e, tramite via indiretta, per riflessi a partenza dal glomo carotideo
e dai recettori cardio-aortici.
Se questo non avviene, come per fenomeni meccanici violenti, si determina asfissia:
• Fasi dell’asfissia
o Dispnea inspiratoria: infatti, si cerca, ma non si riesce ad inspirare
o Dispnea espiratoria: non si riesce ad eliminare l’anidride carbonica in eccesso
o Pausa respiratoria
o Boccheggiamento (o delle convulsioni)
• Fasi in rapporto al venir meno di funzioni fondamentali dell’organismo
o Della perdita di coscienza
o Dell’ariflessia
o Dell’arresto respiratorio
o Dell’arresto cardiaco
• NB: ciascuna fase ha una durata di circa 1 minuto e quindi la morte dovrebbe verificarsi in circa 4-5
minuti (a meno che non riguardi soggetti allenati, soprattutto sportivamente, all’apnea)

AP dell’asfissia meccanica
Il quadro AP è caratterizzato da una serie di reperti, esterni ed interni, nessuno dei quali patognomonico, ma
che nell’insieme possono indirizzare verso una diagnosi di morte per asfissia:
• Reperti esterni
o Cianosi del volto, del collo e talora del terzo superiore del torace, associata o meno alla
protrusione dei globi oculari
o Petecchie emorragiche (specie sottocongiuntivali)
o Fenomeno del “fungo schiumoso”: schiuma che fuoriesce dagli orifizi respiratori, di colorito
bianco-rosaceo, aspetto cotonoso
ƒ Patogenesi: si produce nelle vie respiratorie a causa del miscuglio di aria, secrezione
mucosa e sangue, per effetto degli atti respiratori dispnoici che favoriscono la rottura
dei capillari ematici
ƒ Caratteristiche particolari:
• In caso di annegamento il fungo schiumoso è più evidente in questi casi, in
quanto favorito dalla penetrazione di acqua nell’albero respiratorio
• In caso di putrefazione avanzata, invece, i gas putrefattivi intestinali
costituiscono un ulteriore elemento di evidenziazione del fungo
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ƒ Fungo rubro schiumoso: colorito rossastro per la rottura di piccoli vasi sanguigni
(non patognomonico in quanto può verificarsi in altre condizioni quali edema
polmonare acuto, intossicazione da KCN, etc.)
o Ipostasi (ipostasi “a mutanda” che arrivano fino ai piedi: si può affermare che il corpo era
completamente sospeso per aria)
• Reperti interni
o Enfisema polmonare acuto con rottura dei setti alveolari
o Edema polmonare
ƒ NB: un certo ruolo, secondo alcuni Autori, sembrerebbero avere i macrofagi
• Numero ridotto: asfissia rapida
• Numero considerevole (specie negli spazi interstiziali): asfissia protratta
o Petecchie emorragiche sierose
o Iperemia viscerale diffusa
o Anemia splenica
o Stasi circolatoria
o Dilatazione delle sezioni destre del cuore
o Colore rosso scuro del sangue: per l’alterato scambio gassoso indotto dalla dispnea (ipossico
ed ipercapnico)
o Fluidità: è alterata in rapporto all’ipercapnia ed alle alterazioni della fibrinolisi e della
disgregazione piastrinica

Par. II: Modalità di morte per asfissia specifiche


Soffocamento
Si intende per soffocamento quella forma di asfissia meccanica violenta, che si realizza a seguito
dell’occlusione degli orifizi respiratori, attuata esercitando contemporaneamente sulla bocca e sulle narici
un’intensa pressione mediante l’impiego di una o tutte e due le mani oppure di altro mezzo fisico idoneo allo
scopo:
• Modalità
o Omicidaria: di gran lunga la più frequente: l’attuazione della modalità asfittica per
soffocamento presuppone sempre una certa sproporzione di forza tra aggressore e vittima,
che quindi risulta, generalmente, costituita da bambini, handicappati, anziani, defedati,
donne, soggetti in stato di incoscienza (anche per effetto di sostanza alcoliche o
stupefacenti). Comunque, è tipica dei neonati: momento decisivo per distinguere aborto
criminoso da infanticidio è la rottura della borsa delle acque: una volta rotte, e quindi una
volta fuoriuscita il feto, si parlerà di infanticidio
o Accidentale: possibile:
ƒ Neonati o lattanti: non sono in grado di rimuovere dagli orifizi respiratori eventuali
mezzi occludenti (cuscini, coperte, involucri di plastica)
ƒ Adulti: si può verificare in stati di incoscienza o di sonno profondo, come
nell’epilettico dopo una crisi di grande male o nel soggetto ubriaco, sedato da
farmaci ad azione sul SNC o drogato
ƒ In seguito a pratiche erotiche: la fase iniziale di asfissia, infatti, è considerata in
grado di accentuare notevolmente gli stimoli sessuali
o Suicidaria: rarissima
• DD nel lattante tra soffocamento, accidentale o volontario, e sindrome da morte improvvisa (“morte
in culla”): è difficoltoso
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Impiccamento
L’impiccamento rappresenta una forma di asfissia meccanica caratterizzata dall’ostruzione delle vie aeree
attuata mediante la violenta costrizione degli organi del collo con un laccio fisso ad un sostegno situato, ad
impiccamento avvenuto, in posizione superiore al capo e che si tende a causa del peso del corpo, che viene
così ad essere sospeso nel vuoto:
• Definizione
o Tipologie
ƒ Tipico: il pieno dell’ansa corrisponde alla faccia anteriore del collo ed il nodo
scorsoio è situato in sede occipito-nucale
ƒ Atipico: il nodo scorsoio si trova in altra pozione (anteriormente o di lato) ed il
pieno dell’ansa è situato in posizione diametralmente opposta
o Completezza
ƒ Completo: tutto il corpo rimane sospeso, gravando quindi con l’intero peso sul
sistema di ancoraggio del laccio
ƒ Incompleto: il corpo poggia con i piedi e le gambe (o con altre parti del corpo) sul
piano del terreno o su di un altro sostegno
o Simmetria
ƒ Simmetrico: il nodo è posizionato sulla linea mediana del collo
ƒ Asimmetrico: il nodo è posto nelle regioni laterali del collo
• Fenomenologia della morte per impiccamento: è condizionata dal concorso simultaneo o successivo
di 3 determinismi lesivi: asfittico, circolatorio e nervoso
o Meccanismo asfittico: la trazione degli organi del collo esercitata dal laccia comporta, oltre
ad un ostacolo diretto del flusso dell’aria nelle vie respiratorie per compressione delle
stesse, un sollevamento verso l’alto dell’osso ioide e della base della lingua, con occlusione
della faringe ed impedito accesso dell’aria nell’albero respiratorio
o Meccanismo circolatorio: si verifica un’ostruzione per stiramento sia delle giugulari sia
delle carotidi, cui consegue una stasi cerebrale per ostacolo al circolo refluo, con perdita di
coscienza ed arresto della circolazione cerebrale
o Meccanismo nervoso: il laccio esercita, sulle aree reflessogene del seno carotideo e del vago
una stimolazione per compressione e per stiramento con induzione di un meccanismo
inibitorio semplice
• Solco: è la lesione cutanea di natura ecchimotico-escoriata prodotta sul collo dall’azione del laccio;
può essere molle o dura, a seconda che il laccio eserciti o meno un’apprezzabile azione escoriante
o Caratteristiche
ƒ Obliquo dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto nelle forme tipiche
(longitudinale)
ƒ Discontinuo in corrispondenza del nodo (possibile anche una discontinuità per
interposizione di piani di protezione rappresentati da capi di vestiario)
ƒ Profondità diseguale, maggiore in corrispondenza del pieno dell’ansa, a causa del
maggior peso del corpo nel punto di sospensione, e minore a livello del nodo
scorsoio
ƒ Localizzazione al di sopra della cartilagine tiroidea
ƒ Solitamente unico
ƒ Possibile fondo escoriato (solco duro): in rapporto sia alla natura del mezzo di
sospensione utilizzato sia al gravare del peso del corpo

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o Altri aspetti ML
ƒ Presenza di creste o punteggiature emorragiche e vescichette sierose o siero-
ematiche : dimostrano la vitalità della lesione (di una certa importanza nella DD tra
impiccamento e sospensione del cadavere) e si verificano soprattutto in presenza di
notevoli caratteristiche di ruvidità da parte del laccio (come nelle corde di canapa).
L’impronta che ne deriva può facilitare il riconoscimento del mezzo utilizzato per la
sospensione (solco figurato)
ƒ Riscontro, al di sopra del solco, di ipostasi formatesi a causa dell’ostacolo al
deflusso del sangue per gravità (ipostasi antigravitarie)
• Segni esterni
o Contusioni: utili per ricostruire la dinamica, possono trovarsi, ad esempio, a livello delle
falangi distali; il soggetto, infatti, iniziata l’azione lesiva, tende istintivamente a rimuovere
il laccio dal collo rimanendo, per la subitanea perdita di coscienza, con uno o più dita
impigliate tra corde e collo
o Escoriazioni: possono osservarsi a seguito dei movimenti convulsivi, che fanno oscillare il
corpo con possibili urti, specie negli arti inferiori (quindi, anche l’ispezione del luogo ha
notevole valenza ML)
o Lesioni, specie contusive, per rottura del meccanismo sospensore: caduta al suolo del corpo,
già cadavere od in limine vitae
o Disposizione delle macchie ipostatiche
ƒ Ipostasi a calza (a livello degli arti inferiori): per impiccamento completo
ƒ Ipostasi a guanto (a livello delle estremità degli arti superiori): per impiccamento
completo
o Altri segni esterni meno costanti
ƒ Sporgenza della lingua: deriva dallo spostamento in alto degli organi del collo,
dovuto alla rigidità cadaverica per contrazione di muscoli masseteri
ƒ Ecchimosi sottocongiuntivali
ƒ Sperma nell’orifizio uretrale esterno: è dovuto al rilasciamento sfinterico ed alla
contrazione agonica delle vescichette seminali
ƒ Turgore penieno: da replezione dei corpi cavernosi per fenomeni ipostatici
• Segni interni
o Reperti generici di asfissia (vedi dietro)
o Rilievi specifici
ƒ A carico degli organi del collo: sono dovuti allo stiramento
• Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (soprattutto SCM)
• Lesione trasversale dell’intima delle carotidi comuni, specie al di sotto
della biforcazione (segno di Amussat)
• Lesione del nervo vago
• Piccole emorragie della parete delle carotidi (segno di Friedberg) e dei
linfonodi situati in profondità a livello del laccio (segno di Jankovich)
• Ecchimosi retrofaringea per compressione da parte della base della lingua
spinta in alto dal laccio (segno di Browardel)
• Rottura della cartilagine tiroidea e dei corni dell’osso iodi (rara)
• Fratture o lussazioni delle prime vertebre cervicali e frattura del dente
dell’epistrofeo con compressione bulbare: nei casi di esecuzione capitale
mediante impiccagione
• Tipologie
o Suicidaria: la più frequente
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o Accidentale: in seguito ad attività ludiche od erotiche (in questi casi, l’impiccamento è


tipicamente incompleto)
o Omicidaria: rara: poiché l’impiccamento di una persona cosciente è praticamente
impossibile, l’attuazione di un piano omicidario per impiccamento presuppone un’assoluta
sproporzione tra carnefice e vittima (tipicamente in stato di incoscienza > ricerca di
eventuali segni di tramortimento nella vittima)
o NB: più frequente è il caso in cui una persona venga impiccata per simulare un suicidio; la
diagnosi di sospensione di cadavere si basa su:
ƒ Ricerca di segni di azione lesiva di altro tipo
ƒ Riscontro del carattere non vitale delle lesioni esterne ed eventualmente interne
della regione cervicale
ƒ Mancanza di segni generici di asfissia (a meno che non sia stata attuata un’altra
modalità omicidaria asfissiante)

Strangolamento
È una forma di asfissia meccanica che si realizza mediante costrizione delle vie aeree dall’esterno, ottenuta
con l’uso di un laccio posto attorno al collo o di un altro mezzo equivalente, cui comunque è applicata una
forza agente secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo.
Quindi, si differenzia dallo stozzamento per l’utilizzo di un qualsiasi mezzo meccanico agente circolarmente
in senso centripeto in modo da produrre una progressiva costrizione del lume delle vie aeree al fine di
impedire il normale flusso dell’aria; si differenzia, inoltre, dall’impiccamento per l’assenza di sospensione
totale o parziale del corpo:
• Mezzi impiegati: corde, lacci, fili metallici, fili elettrici, cinghie
• Tipologia
o Tipico: l’azione lesiva si esplica sul collo in ogni parte della sua circonferenza
o Atipico (od incompleto): pur agendo sempre a livello del collo, l’azione lesiva viene attuata
con lacci non avvolti completamente (come per aggressione dalle spalle) o con mezzi non in
grado di cingere completamente il collo (bastoni, avambraccio o ginocchio dell’aggressore)
ƒ NB: questi quadri più propriamente si configurano come compressioni atipiche del
collo
ƒ Garrotameto: in passato utilizzato come pena capitale, indica casi di strangolamento
effettuati mediante costrizione di un laccio attorno al collo mediata da un’asta od un
bastone che, attorcigliando il laccio, determina la progressiva chiusura delle vie
aeree
• Meccanismo
o Asfittico puro
o Nervoso: determina morte rapidamente e non si osserva il classico quadro asfittico
o Vascolare: ostruzione dei vasi venosi (completa) ed arteriosi (incompleta) > stasi circolatoria
nel territorio a monte > aumento delle pressioni intravascolari > rottura dei capillari >
perdita di coscienza e della possibilità di difesa da parte della vittima
• AP: il quadro è quello tipico delle morti asfittiche
o Segni esterni
ƒ Solco cutaneo impresso sulla superficie del collo: ha caratteri proprio, utili nella DD
con il solco da impiccamento:
• Disposizione trasversale (e solo raramente obliqua)
• Più frequente a livello od al di sotto della cartilagine tiroidea (quindi in
posizione più bassa rispetto a quello dell’impiccamento)
• Continuo in caso di strangolamento tipico
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• Carattere singolo o multiplo


• Uguale e regolare profondità in tutto il suo percorso (per l’omogenea azione
del laccio)
• Consistenza
o Solco duro: viene prodotto da un laccio ruvido, capace di azione
escoriante (corda di canapa) ed esita in un intenso essiccamento
post-mortale con aumento della consistenza ed infiltrazione ematica
o Solco molle: prodotto da un laccio morbido e soffice, privo di
potere escoriante (calza di tessuto sintetico), presenta essiccamento
meno evidente ed assenza di escoriazione e di infiltrazione ematica
o Segni interni: sono analoghi a quelli delle altre morti per asfissia meccanica, ma non si
osservano mai lesioni del dente dell’epistrofeo (per l’assenza di un’azione esercitata dal peso
del corpo)
• Forme
o Forme omicidiarie: abbastanza frequenti, si basano soprattutto sul fattore sorpresa, che
consente di realizzare una violenta ed inaspettata costrizione del collo, cui consegue una
rapida stasi circolatoria, con perdita di coscienza ed impossibilità della vittima di effettuare
una valida difesa
ƒ NB: spesso l’aggressore rende incosciente la vittima, tramite droghe o alcool (>
esame tossicologico) o colpi al capo
o Strangolamento suicidiario: raro, viene attuato con tecniche complesse; indizi sono.
ƒ Rudimentalità ed artificiosità dei mezzi impiegati
ƒ Molteplicità dei giri di laccio intorno al collo
ƒ Esistenza di più nodi a serrare il cappio
o Strangolamento accidentale: raro, viene solitamente provocato da un oggetto che il soggetto
porta al collo (catenina, cravatta), il quale viene imprigionato da un mezzo meccanico in
movimento, da ruote o da ingranaggie sottoposto a violenta trazione. Forme accidentali
possono verificarsi anche per chiusura del collo in cancelli, saracinesche, etc.

Strozzamento
Lo strozzamento rappresenta un tipico meccanismo asfittico per compressione dall’esterno delle vie
respiratorie e conseguente loro occlusione realizzata esercitando con una o due mani una violenta costrizione
del collo.
In alcuni casi, l’azione compressiva sul collo può coinvolgere aree reflessogene (seno carotideo: in caso di
sindrome del seno carotideo, anche una modesta compressione può determinare l’exitus), la cui stimolazione
induce meccanismi inibitori cardiaci in grado di provocare l’exitus anche repentinamente, escludendo, di
conseguenza, i meccanismi asfittici e le relative alterazioni AP, pur in presenza di una lesività esterna ben
documentabile.
Riguardo, invece, fattori vascolari, appaiono di scarsa rilevanza.
• Lesività: nelle forme tipiche il quadro AP ricalca quello delle morti asfittiche, mentre la lesività
specifica è caratterizzata da:
o Segni esterni
ƒ Lesioni ecchimotiche localizzate alle superfici antero-laterali del collo: spesso di
tipo figurato, riproducono la forma delle dita e dei polpastrelli (> informazioni sulla
dinamica dell’omicidio)
ƒ Lesioni escoriate: lineari od a forma di semiluna, prodotte dalle unghie
dell’aggressore, sempre localizzate nelle regioni AL del collo

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ƒ NB: è utile esaminare, nel sospetto omicida, la sede subungueale, alla ricerca di
frustoli di materiale dermo-epidermico rimasti intrappolati
ƒ Possibili segni esterni da collutazione
o Segni interni
ƒ Infiltrazioni emorragiche, di solito scarse, dei fasci muscolari, del fascio vascolo-
nervoso del collo e dell’intima delle carotidi
ƒ Lesioni delle strutture cartilaginee laringo-tracheali e dell’osso ioide: possibile
rottura delle cartilagini tiroidea e cricoidea della laringe
• Forme
o Omicidiaria: frequente, con sproporzione, come visto per il soffocamento, fra aggressore e
vittima
ƒ NB: in questa forma, come anche in caso di soffocamento, la perdita di coscienza
non è immediata e ci vogliono anche 15-20 minuti per uccidere la vittima, minuti nei
quali la vittima può opporre una certa resistenza: difatti, risultano lesioni
ecchimotico-escoriate sul corpo della vittima, quali, appunto, espressione di una
avvenuta colluttazione
ƒ NB: è, invero, frequente il tentativo di mascheramento dello strozzamento tramite,
ad esempio, precipitazione o impiccamento (per simulare un suicidio)
ƒ NB: particolare è anche lo strozzamento negli infanticidi, data la scarsissima
resistenza opposta

Annegamento
È una forma di asfissia meccanica caratterizzata dall’ingresso di un mezzo liquido esterno all’organismo
nell’albero respiratorio, con sostituzione del contenuto aereo dei polmoni ed impedimento dei normali
scambi gassosi; si realizza, in pratica, un’occlusione interna delle vie respiratorie:
• Tipologia
o Tipica: il mezzo liquido penetra dall’esterno nell’apparato respiratorio attraverso gli orifizi
respiratori e la superficie corporea si trova in gran parte o totalmente immersa
nell’ambiente liquido
o Atipica: consegue alla brusca chiusura della glottide per fenomeno riflesso indotto dalla
presenza nella laringe di acqua anche in quantità minima: ciò accade quando solo gli
orifizi respiratori, per la posizione supina assunta dal corpo, sono immersi nel liquido e vi
permangono per un tempo sufficientemente lungo a causa dell’impossibilità del soggetto di
sottrarsi a tale posizione. Il meccanismo asfittico risulta, dunque, favorito dall’azione
dell’elemento liquido. È tramite questo meccanismo che si simula un annegamento con la
pratica della tortura del waterboarding (ndr).
• Qualità del mezzo liquido:
o Ipotonico: come l’acqua dolce, passa velocemente nel sangue e lo diluisce, causando
ipervolemia ed anemia da emodiluizione; contemporaneamente si ha emolisi, con
liberazione del potassio. L’iperpotassiemia, unitamente allo squilibrio plasmatico ed
all’anossia, induce una fibrillazione ventricolare ad esito rapidamente mortale (3-5 minuti)
o Ipertonico: come l’acqua salata, richiama negli alveoli plasma dai capillari, determinando
da una parte edema polmonare acuto, dall’altra emoconcentrazione con ipovolemia e
deficit della pompa cardiaca; l’andamento sarà un po’ più lento, con morte in 6-8 minuti
• AP
o Segni esterni
ƒ Cute anserina: è prodotta dalla contrazione post-mortale dei muscoli piloerettori a
causa di stimolazioni termiche o meccaniche derivanti dall’ambiente liquido

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ƒ Fungo schiumoso o mucoso: la presenza di schiuma mucosa biancastra agli orifici


respiratori, reperto più significativo del precedente, si determina per commistione,
a livello di bronchi e trachea, del liquido annegante con il muco aereo e con
fenomeni putrefattivi gassosi post-mortali. Il fungo può anche essere rosato o
rossastro per commistione al sangue
• NB: questo segno è molto importante, in quanto segno di attività vitale al
momento della morte; tuttavia, è incostante e poco specifico
o Segni interni: hanno maggior valore probatorio ed, in aggiunta ai tipici segni di morte
asfittica, possono osservarsi:
ƒ Presenza di schiuma nel lume tracheo-bronchiale
ƒ Enfisema acuto polmonare (iperaeria): è dovuto all’iperdistensione alveolare
realizzataso durante la fase dispnoica dell’annegamento
ƒ Edema polmonare (iperidria): in caso di penetrazione di liquido annegante negli
alveoli
ƒ Macchie di Paltauf: sono macchie rilevate preferibilmente negli spazi interlobari e
sulla faccia anteriore dei lobi basali (di maggiori dimensioni, di colore meno
intenso e meglio circoscritte rispetto alle aspecifiche macchie di Tardieu). Si
formano per la lacerazione dei setti interalveolari periferici ad opera del liquido
annegante, che determinerebbe commistione di acqua, muco e sangue
ƒ Presenza di liquido annegante nell’intestino (DD con sommersione di cadavere, in
cui il liquido non supera la valvola pilorica)
• Indagini di laboratorio
o Emodiluizione: è dovuta al passaggio nel torrente circolatorio del liquido annegante
penetrato a livello polmonare; di conseguenza, il sangue a partenza dal ventricolo sinistro è
più emodiluito rispetto a quello a partenza dal ventricolo destro e tale fenomeno è
dimostrato mediante:
ƒ Prova cartometrica: consiste nel far cadere gocce di sangue prelevate
separatamente dai due ventricoli su di un foglio di carta bibula ed osservare la
grandezza dei relativi aloni (sangue dal ventricolo sinistro più emodiluito e quindi
alone più grande e colorito più intensi)
ƒ Ricerca della modificazione del delta crioscopica e della conducibilità elettrica:
• Acqua salata: abbassamento del punto di congelamento ed aumento della
conducibilità (con aumento della cloruremia)
• Acqua dolce: il contrario
o Plancton: la presenza di una grande quantità di corpuscoli incapaci di movimento proprio
(plancton) e sospesi nel liquido annegante, ne determina la deposizione negli organi
ƒ Tipo
• Vegetali: fitoplancton
• Animali: zooplancton
• Minerale: geoplancton
ƒ Rinvenimento di plancton nel parenchima polmonare, ma soprattutto negli organi
irrorati dal grande circolo (fegato, reni, midollo osseo): dimostra, con grande
rilevanza ML, che nel momento in cui il mezzo liquido ha inondato i polmoni,
l’attività cardiocircolatoria era efficiente (quindi, il soggetto era in vita al
momento dell’annegamento)
• NB: il rilievo nel parenchima polmonare o nel primo tratto dell’apparato
digerente può avvenire, per penetrazione passiva, anche in caso di
sommersione del cadavere
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ƒ Particelle ricercate: quelle di fitoplancton dotate di guscio calcareo (diatomee:


dotate di struttura cristallina, risultano visibili al microscopio)
ƒ Quantità di plancton rinvenuta: una quantità minima, infatti, può esser rinvenuta
anche in individui che vivono o lavorano in ambienti polverosi
ƒ Esame del fitoplancton contenuto nel liquido annegante (per valutare l’identità con
il plancton rinvenuto nel liquido corporeo)
• Modificazioni del cadavere in acqua: sono indipendenti dal tipo di morte, ma tipiche di morti
avvenute comunque in acqua
o Trasformazioni cadaveriche nell’acqua in 2 settimane = trasformazioni cadaverica in aria
in 1 settimana
o Caratteristiche peculiari delle morti in acqua
ƒ Ipostasi: la posizione assunta dal cadavere in acqua (prona, con il capo e gli arti
superiori in posizione declive rispetto al resto del corpo) provoca una peculiare
distribuzione topografica delle ipostasi, che si localizzano elettivamente al viso,
agli arti superiori, al terzo superiore anteriore del torace.
Il colore delle ipostasi, inoltre, è tipicamente rosso-vivo a causa dell’ossigenazione
cui il sangue è sottoposto in ambiente umido
ƒ Raffreddamento del cadavere
ƒ Macerazione cutanea
ƒ Putrefazione
ƒ Saponificazione
• Forme
o Suicidaria: frequente, può esser suggerita dalla presenza di legature degli arti o di pesi
collegati al cadavere
o Accidentale: possono verificarsi per inesperienza nel nuoto, per malore durante un bagno o
per involontaria caduta in acqua in stato di ubriachezza
o Omicidiaria: rara, è possibile in caso di soggetti inabilitati a difendersi
ƒ NB: occorre far attenzione alla sommersione di cadavere

Morte in acqua
Sono morti che conseguono all’immersione in acqua, senza tuttavia riconoscere una genesi asfittica:
• Meccanismi
o Nervoso: di tipo inibitorio, sarebbe scatenato dall’improvvisa immersione del corpo in acqua
fredda con stimolazione della mucosa nasale e faringo-laringea venuta a contatto con il
mezzo liquido; a ciò conseguirebbe un’inibizione cardiaca riflessa, che può esitare
nell’arresto cardiaco e respiratorio immediato
o Immunitario: in altri casi, la brusca stimolazione esercitata dall’acqua fredda su soggetti in
fase di digestione, in presenza di intensa congestione viscerale, provocherebbe il passaggio
in circolo di proteine alimentari non digerite, che si comporterebbero come allergeni in
grado di stimolare una reazione anafilattica
o Circolatorio: per vasodilatazione reattiva
• Diagnosi: è di esclusione e si basa sulla mancanza di segni di asfissia (talvolta, tuttavia, presenti, ad
esempio in caso di sovvenuta sincope con caduta in acqua ed annegamento

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Asfissie da aspirazione
Sono rappresentate dall’ostruzione dall’interno delle vie aeree, causata dalla penetrazione di corpi di natura
eterogenea, aventi tutti, come caratteristiche comuni, la provenienza esterna rispetto all’organismo e la
consistenza solida del mezzo occludente (diagnosi ML agevole in caso di riscontro del mezzo occludente).
Realizzano il quadro asfittico dell’intasamento ed è tipico il caso di morte da bolo alimentare (che ostruisce
la laringe determinando exitus).

Sommersione interna
È costituita dall’inondazione delle vie respiratorie da parte di un fluido proveniente dall’interno
dell’organismo; caratteristiche distintive sono, dunque, fluidità del mezzo occludente e natura endogena
dello stesso:
• Sangue: da rottura di grossi vasi, da lesioni da arma da fuoco
• Altro
o Pus da sacche ascessuali
o Liquido idatideo per rottura di cisti da echinococco
o Contenuto GI risalito in caso di vomito

Immobilizzazione toracica
È una forma di asfissia meccanica, che si realizza per insufficiente ventilazione polmonare provocata
dall’impedimento dei normali movimenti respiratori sia dei muscoli costali che del diaframma.
Segni esterni caratteristici sono:
• Aumento pressorio nel distretto della cava superiore
• Maschera ecchimotica: cianosi intensa di collo, volto e regioni superiori del torace (distribuzione a
mantellina)
• Ecchimosi ed emorragie congiuntivali, ma anche nasali ed auricolari.

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CAP. 4: IMPUTABILITA’ E PERICOLOSITA’ SOCIALE

Par. I: Caratteristiche generali


Introduzione
Nel diritto penale, il fatto umano illecito, in cui si concreta la condotta proibita dalla Legge, è considerato e
valutato, ai fini del giudizio sulla responsabilità e quindi dell’erogazione e della graduazione della pena, sotto
un duplice aspetto, materiale e psicologico.
L’imputabilità fisica di un certo fatto richiede la prova del nesso di causalità giuridico-materiale fra una certa
condotta e l’evento di danno (o di pericolo).
L’imputabilità psichica di quello stesso fatto richiede in ogni caso la prova della colpevolezza del reo, che
richiede a sua volta l’effettiva capacità di discernere il significato antigiuridico del comportamento tenuto:
infatti, secondo l’Art. 42 c.p. “nessuno può esser punito per un’azione od omissione prevista dalla legge
come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. Di conseguenza, l’eventuale dimostrazione
dell’inesistenza del nesso di causalità materiale fra condotta ed evento renderà inutile e priva di fondamento
l’ulteriore valutazione giuridica del comportamento considerato e della personalità di colui che l’ho posto in
essere.
D’altra parte, in caso contrario, ove cioè quel rapporto di causalità materiale sussista e se ne forniscano le
prove, esso non esaurirà mai il problema giuridico della definizione dell’effettiva responsabilità dell’autore
del reato. A tal fine, dunque, dovranno valutarsi la colpevolezza (coscienza ed imputabilità dell’azione o
dell’omissione) e l’imputabilità del reo (capacità di intendere e di volere).

Definizione del concetto di imputabilità


L’Art. 85 del c.p. recita “nessuno può esser punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al
momento in cui l’ha commesso, non era imputabile. Era imputabile chi ha la capacità di intendere e di
volere”.
Dall’esame dell’articolo derivano diversi aspetti fondamentali:
• Giudizio circa l’imputabilità: è fondamento inderogabile del giudizio di punibilità e quindi
presupposto necessario per l’erogazione della pena
• Requisito di imputabilità del reo: deve sussistere non solo nel momento in cui si consuma il reato,
ma anche successivamente, ossia:
o Nel momento attuativo del reato: se viene a mancare l’imputabilità, non sussiste punibilità
per assenza della capacità di intendere o di volere dell’agente (vizio totale o parziale di
mente o “immaturità” nel caso di minori)
o Nel momento dell’accertamento giudiziario delle responsabilità: se l’imputabilità viene a
mancare, dovrà sospendersi il procedimento
o Nel momento dell’esecuzione della sanzione penale: se l’imputabilità viene a mancare, si
deciderà il differimento o la sospensione della pena
o NB: se il reo non risulta imputabile, non sarà giudicato punibile, e quindi non dovrà
soggiacere alla pena, ma sarà prosciolto. Tuttavia, se il giudice lo ritiene necessario, potrà
essergli applicata la misura di sicurezza, in ogni caso subordinata alla definizione della
pericolosità sociale del reo. In alcuni casi, inoltre, può esser accertato un vizio parziale di
mente (“semi-imputabilità”: ma il termine è scorretto): in tali casi, il soggetto potrà esser
giudicato responsabile e punibile, applicando la pena stabilita ma in misura ridotta (una
volta scontata la pena, poi, si affiderà il soggetto a case di cura e di custodia)
• Imputabilità attuativa del soggetto: va riferita sempre al momento in cui il fatto è stato commesso.
Purché l’imputabilità sussista occorrono la capacità sia di intendere che di volere: se una sola viene
a mancare, cade l’imputabilità (DOC)

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Capacità di intendere
Non è valutabile separatamente dalla capacità di volere: il c.p. vigente subordina l’acquisizione
dell’imputabilità al possesso sia della capacità di intendere sia della capacità di volere.
In ogni caso, un aspetto della capacità di intendere è che il soggetto sia consapevole di ciò che accade, cioè
che abbia una normale consapevolezza di sé e del mondo (coscienza della realtà).
Quindi, la persona deve rendersi conto della realtà in cui vive e delle stimolazioni che gli arrivano
dall’ambiente esterno: è ovvia, in tal senso, l’importanza delle funzioni sensoriali, della percezione e
dell’integrazione degli stimoli a livello cerebrale.
Peraltro, il soggetto deve essere in grado di cogliere ed interpretare i segnali interni ed esterni, dando loro il
giusto peso e significato. Quanto considerato finora rientra nel concetto di “coscienza” di sé e della realtà
esteriore.
Tuttavia, il soggetto deve rendersi conto anche della propria possibilità di rapportarsi col mondo esterno,
quindi della sua capacità di modificare la realtà esteriore (oltre che interiore) agendo su di essa, e quindi di
poter causare e produrre delle modifiche della realtà circostante. Egli acquista, così, consapevolezza delle
azioni od omissioni poste in essere dal proprio comportamento e delle conseguenze derivabili
(“consapevolezza comportamentale”; secondo alcuni Autori la “consapevolezza consequenziale” sarebbe una
facoltà distinta).
In definitiva, la capacità di critica, ossia la valutazione critica e la scelta del comportamento da tenere nella
situazione concreta, rappresenta un aspetto di primaria importanza.

Capacità di volere
Parlando di capacità di volere ci si riferisce non all’atto di volontà concreto, poiché la volontà è una
prerogativa del fatto realmente avvenuto, quanto all’idoneità del soggetto di volere quel comportamento e
quelle conseguenze.
Si deve, dunque, provare che il soggetto possedeva realmente quelle capacità (di intendere e di volere), prima
ancora di averle concretamente utilizzate in un atto concreto di volontà.
In ogni caso, il giudizio sull’atto concreto di volontà è preceduto da quello sulla capacità di volere.
In sostanza il processo “di intendere e di volere” potrebbe schematizzarsi nelle seguenti fasi:
• Prima fase: momento sensoriale-percettivo
• Seconda fase: momento ideativo ed associativo (“appercettivo”)
• Terza fase: momento deliberativo: il soggetto valuta, anche inconsciamente, pro e contro, fattibilità
ed eseguibilità
• Quarta fase: momento della decisione: su questa agiscono fenomeni intrinseci (cultura, educazione,
etica, etc.) ed estrinseci (bisogno materiale, etc.), tra i quali spicca la forza intimidativa della
sanzione penale (consapevolezza della pena). Quest’ultima farebbe nascere nel soggetto una
sensazione spiacevole, in contrasto con quello piacevole indotta dal pensiero del reato, che può
tradursi in un potente stimolo inibitorio all’azione. Tale consapevolezza della pena sarebbe meno
forte nei delinquenti abituali, “abituati” alla pena. Se la decisione non matura, quindi, la volontà
degrada per inerzia e l’atto volitivo abortisce
• Quinta fase: momento esecutivo: l’individuo realizza l’atto ideato, deliberato e deciso. L’esito
conclusivo è subordinato anche alla maggiore o minore facilità con cui in un certo individuo ad un
eccitamento psico-sensoriale segue la reazione corrispondente, cioè la trasformazione dell’idea in
atto.

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Par. II: Cause di esclusione di imputabilità


Introduzione
Nel soggetto adulto con più di 18 anni, l’imputabilità è sempre presunta dal codice e quindi ne viene data
sempre per scontata la sussistenza: superata quest’età, occorrerà, tuttavia, provare l’eventuale esistenza di
così gravi infermità mentali da escludere (vizio totale di mente) o scemare gradualmente (vizio parziale di
mente) la capacità di intendere e di volere della persona esaminata.
Al di sotto del 18° anno, invece, occorre distinguere due fasce d’età: per i minori di 14 anni, infatti, sussiste
sempre la presunzione assoluta della non imputabilità; per quelli tra 14 e 18 anni, non sussiste né
presunzione di non imputabilità, né presunzione di imputabilità e l’imputabilità va accertata caso per caso.

Imputabilità del minore


Per gli adulti, le eventuali cause di esclusione debbono avere sempre carattere patologico; per i minori,
invece, esse possono essere non solo di ordine patologico, ma anche fisiologico.
Per essi, infatti, si deve accertare, caso per caso, la cosiddetta maturità psichica, tramite l’esecuzione di
indagini riguardo la personalità del minore, il suo grado di istruzione, la preparazione etica e spirituale, i
sentimenti, le inclinazioni del carattere, la condizioni socio-ambientali e familiari.
Inoltre, ai sensi dell’Art. 67 c.p.p., quando sussiste un fondato dubbio circa l’effettivo ricorrere della minore
età, questa si presume in ogni caso e tale presunzione acquista valore a tutti gli effetti del procedimento,
dunque anche ai fini della presunzione della non imputabilità.
Peraltro, se il processo è già stato incardinato presso l’Autorità giudiziaria minorile, gli atti non potranno
esser più trasmessi al Procuratore della Repubblica od al Pretore, nemmeno quando vi sia fondata ragione di
ritenere che l’imputato sia maggiorenne.
Il principio del “favorminoris”, recentemente introdotto, stabilisce, dunque, che nel caso di riconosciuta
immaturità psichica, l’imputabilità debba essere esclusa anche fino ai 18 anni; fa, inoltre, superare il divieto
di legittimare l’indagine peritale sulla personalità solo in presenza di infermità mentale.
In sostanza, nel minore assumerebbe importanza la stessa fisiologica insufficienza dei poteri di controllo
delle emozioni e delle pulsioni istintive (“immaturità”): difatti, secondo una sentenza del Tribunale minorile
di Milano, “deve ritenersi l’incapacità di intendere e di volere per immaturità qualora il reato commesso,
seppur grave e determinato da futili motivi e pur se commesso da ragazzi provenienti da famiglie di buone
risorse culturali ed economiche, appaia espressione di scarsissima capacità critica e di una pressoché totale
mancanza di consapevolezza da parte di tutti i soggetti all’epoca del fatto in ordine alla gravità ed al
profondo disvalore del reato che stavano compiendo”.
Pertanto, se nell’adulto gli stati emotivi o passionali non escludono l’imputabilità, questo non è altrettanto
vero nel caso del minore, nei quali la capacità di inibirsi dipende fortemente da fattori emotivi.
Nel minore, infatti, il patrimonio culturale ed intellettivo, razionale e volitivo, si acquisisce lentamente,
grazie all’apprendimento ed all’educazione ricevuta, con l’avanzare dello sviluppo fisico e psichico.
Ne deriva, da un lato, l’impossibilità della presunzione dell’imputabilità e, dall’altro, l’importanza che nella
valutazione dell’imputabilità sarà sempre conferita non solo ai fattori individuali di ordine clinico o
psicologico, ma anche a quelli di ordine socio-pedagogico, educazionale e familiare.
L’acquisizione della condizione di imputabilità presuppone, in definitiva, che il minore sia capace di valutare
un atto come giusto o ingiusto non in base al giudizio di un terzo, ma in base al suo personale apprezzamento
ed alle proprie convinzioni (valutazione in prima persona): tale idoneità si matura non improvvisamente da
un giorno all’altro, ma lentamente, anche grazie alle esperienze di vita sociale.

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Vizio di mente
• Art. del c.p.
o 88: vizio totale di mente: “ non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto,
era, per infermità, in tale situazione in tale stato di mente, d escludere la capacità di
intendere o di volere”
o 89: vizio parziale di mente: “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era per infermità
in tale stato di mente da scemare gradatamente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di
volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”
• Considerazioni sugli art.
o In essi non si parla segnatamente di infermità psichica né di semi-infermità, quindi
comprendono anche le infermità fisiche e le forme di semi-infermità e semi-imputabilità
sono scorrette
o Il giudizio sull’esistenza del vizio totale o parziale è di tipo “storico”, nel senso che deve
essere riferito dal perito al preciso momento in cui quella data persona ha commesso il fatto
• Valutazione di:
o Natura ed entità dell’infermità da cui il soggetto era affetto
o Gravità delle eventuali ripercussioni di quell’infermità sulla capacità di intendere e di volere
o Esclusione totale o la notevole compromissione anche di una sola delle due capacità: di
quella di intendere o di quella di volere
o Derivazione causale diretta fra vizio di mente obiettivato e comportamento delittuoso in
discussione: ad esempio, se un paranoico uccide il suo presunto persecutore, non vi saranno
dubbi circa l’esistenza del vizio totale di mente; ma se egli commetterà un omicidio al di
fuori del suo contesto delirante, l’imputabilità sarà diversamente valutata. Dunque, far
diagnosi di malattia mentale, non significa far già una valutazione circa l’esistenza di un
vizio totale o parziale di mente
• “Infirmitas”: la parola latina da cui deriva il concetto di “infermità” ha, in realtà, un significato più
ampio, indicando qualcosa di non fermo, instabile, caotico. Infatti, possono assumere carattere di
infermità anche condizioni cliniche prive di caratteri di sistematicità tali da configurarle come
malattia. In ogni caso, l’infermità di mente deve sempre dipendere da una causa patologica tale da
alterare i processi intellettivi o volitivi, con esclusione o grande diminuzione della capacità di
intendere o di volere. Quindi, altre anomalie dipendenti dalla sfera del carattere, dell’etica o del
sentimento non vanno considerate come infermità: l’art. 220 c.p.p. stabilisce infatti che “non sono
ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità del reato, la tendenza a delinquere, il
carattere e la personalità dell’imputato ed, in genere, le qualità psichiche indipendenti da cause
patologiche”
• Alienazione del comportamento: indica una deviazione dal piano abituale di comportamento di una
certa persona, significando che la condotta non è più rivelatrice di quella personalità. In altre parole,
non è l’infermità in sé che il perito deve ricercare, ma il rapporto che essa assume con quella
condotta e con quella personalità, cioè appunto l’alienazione eventuale del soggetto rispetto al
comportamento tenuto e di questo rispetto al normale vivere sociale. In definitiva, compito del perito
è quello di stabilire l’effettivo grado di compromissione della capacità di intendere o di volere che
quel soggetto manifesta col suo comportamento e valutare (a differenza del clinico che pone la
diagnosi) se quello stato patologico sia tale da escludere o da scemare grandemente le menzionate
capacità a fondamento dell’imputabilità
• Simulazione di malattia mentale: è la produzione intenzionale di sintomi psichici falsi o
grossolanamente esagerati, finalizzati ad ottenere l’esenzione totale o parziale della pena. I sintomi,
tuttavia, non sono motivati né giustificati dalla storia clinica pregressa né da dati documentabili o
clinici. Spesso, piuttosto che stabilire “aut..aut” circa l’infermità mentale o la simulazione, bisogna
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stabilire il “quantum..quantum”, ossia l’eventuale grado di simulazione. In definitiva, comunque, la


simulazione di malattia mentale è assai difficile da realizzare, specie da parte di soggetti privi di una
chiara rappresentazione della natura e del significato del disturbo psichiatrico
• Stati emotivi e passionali: l’art. 90 c.p. considera gli stati emotivi e passionali come irrilevanti ai fini
dell’imputabilità

Riflessi sull’imputabilità di alcolismo e tossicodipendenza


• Art. 91 c.p: ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore: “non è imputabile chi, nel
momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d’intendere o di volere, a cagione di
piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.Se l’ubriachezza non era piena, ma
era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, la
pena è diminuita”.
• Art. 92 c.p: ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata: “l’ubriachezza non derivata da
caso fortuito o da forza maggiore non esclude nè diminuisce l’imputabilità.Se l’ubriachezza era
preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata”. Quindi, si
considerano:
o Ubriachezza volontaria: il soggetto vuole ubriacarsi e sa perfettamente di poterlo fare
bevendo quella quantità di alcool
o Ubriachezza colposa: pur essendo assente la volontà di ubriacarsi, esisteva una chiara
prevedibilità dell’evento
o Ubriachezza preordinata: il soggetto non solo beve per ubriacarsi, ma vuole ubriacarsi
proprio allo scopo di commettere un delitto e prepararsi una scusante
• Art. 94 c.p: ubriachezza abituale: “quando il reato è commesso in stato di ubriachezza e questa è
abituale, la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è
dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.L’aggravamento di pena
stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto
l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze.”.
• Art. 95 c.p: cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti: “per i fatti commessi in stato
di cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti si applicano le disposizioni contenute
negli art. 88 ed 89 c.p.”. In altre parole, l’intossicato cronico va considerato un malato di mente a
tutti gli effetti.

Imputabilità e colpevolezza
L’imputabilità nel soggetto adulto è presunta e può essere esclusa solo quando ricorrono determinate
situazioni patologiche (vizio totale o parziale di mente, cronica intossicazione da alcool o da sostanze
stupefacenti).
La colpevolezza del reo (e la sua responsabilità penale) non è mai presunta, va dimostrata in ogni caso e può
essere diversamente fondata (dolo, colpa, preterintenzione).

Art. 43 c. p.: Elemento psicologico del reato


“Il delitto:
è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od
omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come
conseguenza della propria azione od omissione;
è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o
pericoloso più grave di quello voluto dall'agente;

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è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a
causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline.
La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle
contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi
effetto giuridico.”
Quindi:
• Il delitto è volontario o doloso quando il reo ha coscienza e volontà dell’azione
• Il delitto preterintenzionale (omicidio preterintenzionale) si realizza solo in un caso, quando cioè il
soggetto ha coscienza o volontà di ledere l’altro, ma ha in mente di produrre un evento diverso
(lesione personale) da quello che poi si è verificato, ovvero la morte
• Nel delitto colposo, invece, vi sono coscienza e volontà dell’azione (o dell’omissione), prevedibilità,
forse previsione dell’evento, ma in nessun caso volontà od intenzione di produrre l’evento stesso.
Questo, tuttavia, si verifica indipendentemente dalla volontà dell’agente, a causa di imprudenza,
imperizia, negligenza od inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
o NB: culpa lata dolo coequatur: la colpa grave sconfina ed è assimilata al dolo:
ƒ Dolo eventuale: rappresentazione della concreta possibilità della realizzazione del
fatto
ƒ Colpa cosciente: rappresentazione della possibilità astratta della realizzazione del
fatta, quindi accompagnata dalla fiducia che il fatto non si realizzerà
• NB: quindi la differenza risulta in un diverso atteggiamento psicologico:
nel primo caso si accetta il rischio, nel secondo lo si respinge

Cause di esclusione della punibilità


• Antigiuridicità
o Esimenti generali
ƒ Consenso dell’avente diritto
ƒ Adempimento di un dovere
ƒ Esercizio di un diritto
ƒ Legittima difesa
ƒ Uso legittimo delle armi
ƒ Stato di necessità
o Esimenti specifiali
ƒ Omissione di referto:
• nel caso in cui si esponga la persona assistita a procedimento penale
(Art.365)
• oppure sè stessi o un proprio congiunto da un grave e inevitabile nocumento
nella libertà o nell’onore (Art.384)
ƒ Prestata assistenza a duellanti (Art.398)
ƒ Soppressione della coscienza o volontà altrui a scopo scientifico o di cura
o Esimenti non codificate
ƒ Teoria dello scopo: si basa sul principio delgiusto mezzo per un giusto fine e
consideranon contrarie al diritto quelle azioni cheperseguono un fine giusto.
ƒ Teoria del bilanciamento degli interessi:quando vi sono due beni-interessi giuridici
incollisione è consentito sacrificare quello divalore minore a vantaggio di quello di
valore prevalente
• Colpevolezza
o Caso fortuito (art. 45)
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o Forza maggiore (art. 45)


o Violenza fisica (art. 46)
o Errore sul fatto (art. 47)
• Imputabilità
o Età minore
ƒ Art.97 c.p. (minore degli anni 14): “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha
commesso ilfatto, non aveva compiuto i 14 anni”
ƒ Art. 98 c.p. (minore degli anni 18): “E’ imputabile chi, nel momento in cui ha
commesso il fatto,aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se avevacapacità di
intendere e di volere; ma la pena è diminuita”
ƒ Art. 390 c.c. Emancipazione di diritto: “Il minore è di diritto emancipato col
matrimonio”
o Vizio di mente (totale o parziale)
ƒ Art. 88 C.P. “Vizio totale di mente” - Non èimputabile chi, nel momento in cui ha
commesso ilfatto, era, per infermità, in tale stato di mente daescludere la capacità
d'intendere o di volere.
ƒ Art. 89 C.P. “Vizio parziale di mente” – Chi, nelmomento in cui ha commesso il
fatto, era, perinfermità, in tale stato di mente da scemaregrandemente, senza
escluderla, la capacitàd'ìntendere o di volere, risponde del reatocommesso, ma la
pena è diminuita.
ƒ Art. 90 C.P. “Stati emotivi o passionali” - Gli statiemotivi o passionali non
escludono né diminuiscono l'imputabilità.
o Ubriachezza o stupefazione involontaria
o Intossicazione cronica da alcol o da stupefacenti
o Sordomutismo
o Incapacità procurata

Par. III: Pericolosità sociale e misure di sicurezza


Sistema del doppio binario
La coesistenza nel nostro regime penale delle pene e delle misure di sicurezza dà luogo a quel sistema
sanzionatorio definito del “doppio binario”, fondato su due sistemi paralleli:
• Quello dell’imputabilità, cui possono seguire la punibilità e la detenzione. Nella pena detentiva è
prevalente la finalità repressiva e punitiva
• Quello della pericolosità sociale, cui può conseguire l’applicazione della misura di sicurezza. Nella
misura di sicurezza sono prevalenti la finalità di difesa sociale, quella di prevenire la commissione di
altri crimini e quella rieducativa del reo

Accertamento della pericolosità sociale


Per pericolosità sociale si intende la notevole probabilità che il soggetto, anche se non imputabile e quindi
non punibile, commetta nel futuro altri reati, che pongano in pericolo le esigenze di sicurezza della
collettività.
La pericolosità va sempre accertata dal magistrato e mai presunta. Le nuove norme del c.p.p. si basano,
infatti, sul diverso presupposto che non sussista quella correlazione così “necessaria” fra malattia mentale e
pericolosità sociale, ammessa invece nel passato; la diagnosi di malattia mentale non implica, dunque,
necessariamente l’esistenza dell’altra.
Comunque, il giudice deve valutare:
• Pericolosità sociale:criteri del giudice sono:
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o Natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione delittuosa
o Gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato
o Intensità del dolo o grado della colpa
• Capacità a delinquere del colpevole: è desumibile da:
o Motivi a delinquere e carattere del reo
o Precedenti penali e giudiziari e condotta e vita del reo antecedenti al reato
o Condotta contemporanea o susseguente al reato
o Condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo

Misure di sicurezza
Accertata la sussistenza della pericolosità sociale in un soggetto prosciolto per vizio totale di mente, il
giudice ne ordina il ricovero in un ospedale psichiatrico.
Se si tratta di un soggetto imputabile ma con vizio parziale di mente, il giudice ne ordina dapprima la
detenzione per scontare la pena. Una volta scontata la pena, si dovrà effettuare un riesame della pericolosità e
fissare quindi l’eventuale misura di sicurezza.
L’art. 202 c.p. stabilisce che “ le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone
socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato. La legge penale
determina i casi in cui a persone socialmente pericolose possono esser applicate misure di sicurezza, per un
fatto non preveduto dalla legge come reato”.
Le misure di sicurezza possono esser diverse e, per ogni tipo la legge stabilisce un minimo di durata; in caso
di riconosciuta persistente pericolosità, il giudice può ordinare l’applicazione per un periodo indeterminato e
senza limiti di tempo codificati. Le misure di sicurezza sono revocabili in ogni momento se la pericolosità
viene a cessare.
Le misure di sicurezza personali detentive di interesse ML sono:
• Ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario
• Assegnazione ad una casa di cura e di custodia
• Assegnazione ad una colonia agricola o casi di lavoro

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CAP. 5: OMICIDIO E SUICIDIO

Par. I:Omicidio
Introduzione
L’art. 575 del c.p. stabilisce che “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non
inferiore ad anni 21”.
L’omicidio rappresenta il più grave dei delitti e, perciò, è sempre punito con pene assai severe, a meno che
non ricorrano cause specifiche di non punibilità, espressamente contemplate dal codice e, fra queste.
• Esercizio di un diritto o l’adempimento di in dovere (art. 51 c.p.): “L'esercizio di un diritto o
l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
autorità, esclude la punibilità.Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'autorità, del
reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine.Risponde del reato altresì chi ha
eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell'ordine”.
• Legittima difesa (art. 52 c.p.): “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto
dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa
ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e
secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se
taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o
altro mezzo idoneo al fine di difendere:
o a) la propria o la altrui incolumità
o b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto
all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o
imprenditoriale”.
• Uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.): “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti,
non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso
ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla
necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'autorità, e comunque di impedire
la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro
ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale
gli presti assistenza.La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un
altro mezzo di coazione fisica”.
• Stato di necessità (art. 54 c.p.): “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da
lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al
pericolo.Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al
pericolo.La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è
determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata
risponde chi l'ha costretta a commetterlo”.

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Omicidio volontario o doloso


La morte consegue ad un’azione od omissione volute dall’agente, tese cioè con coscienza e volontà a
sopprimere il soggetto passivo. A tal proposito, ricordando l’art. 40 c.p., è da ritenere la sostanziale
equivalenza dell’azione rispetto all’omissione.
Le lesioni prodotte, invece, senza la volontà di uccidere rientreranno nel campo delle lesioni personali (artt.
582 e 583) o delle percosse (art. 581), a meno che ad esse non sia conseguita effettivamente la morte, quale
elemento non voluto dall’agente, nel qual caso si parlerà di omicidio preterintenzionale (vedi dopo).
Se si tratta di lesioni prodotte con la volontà di uccidere, ma non seguite da morte, il colpevole potrà esser
chiamato a rispondere del delitto di tentato omicidio (art. 56 c.p.). La volontà omicida, infatti, attiene ad un
fenomeno soggettivo interno e la prova di essa deve essere necessariamente affidata, in mancanza di
confessione esplicita, ad elementi di natura oggettiva, quali distanza di esplosione dei colpi di arma da fuoco,
parte del corpo presa di mira e quella concretamente raggiunta, il numero e la direzione dei colpi, micidialità
dell’arma, etc. (e ne deriva, dunque, l’importanza dell’indagine ML):
• Prova dell’animus necandi: può esser fornita soprattutto dalla considerazione dei seguenti dati:
o Natura dei mezzi impiegati
o Natura e gravità delle lesioni responsabili della morte, a loro volta in rapporto anche alla
sede ed al numero dei colpi inferti, alla direzione dei colpi, etc. > studio del cadavere per
l’accertamento della cronologia della morte, della causa e delle modalità del decesso
o Particolari circostanze ambientali in cui il delitto è avvenuto
o Concrete possibilità di difesa o di reazione della vittima
o Condizioni di inferiorità e di incapacità di resistere della vittima
• Altre considerazioni rilevanti
o Comprensione dei moventi e delle finalità del delitto
o Studio del rapporto psicologico aggressore-vittima
o Analisi degli eventuali preparativi messi in atto dall’omicida
o NB: la valutazione del dolo attiene al magistrato
• Omicidio doloso circostanziato: ricorrono circostante aggravanti:
o Aver adoperata sevizie od agito con crudeltà
o Aver adoperato un mezzo veneficio od un altro mezzo insidioso, che limitano la capacità di
difesa della vittima
ƒ Sostanze tossiche
ƒ Colture di batteri o virus patogeni
ƒ Uso di corrente elettrica
ƒ Impiego di radiazioni ionizzanti
o Aver ucciso nell’atto di commettere violenza sessuale
o Premeditazione: l’omicida elabora un piano e prepara l’uccisione della vittima
(“macchinazione”) prima di eseguire materialmente l’azione

Omicidio preterintenzionale
Il colpevole, con la propria condotta, ha causato la morte dell’altro, sebbene con essa egli né si riprometteva,
né voleva uccidere l’altro, ma intendeva solo percuoterlo a lederlo
Secondo l’art. 584 del c.p. “chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581
e 583, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da 10 a 18 anni”
Circostanze aggravanti, secondo l’art. 585 c.p., sono armi, materie esplodenti e gas asfissianti od accecanti.

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Omicidio colposo
Secondo l’art. 589 del c.p. (nuovo testo), “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con
la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina
della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione
da due a sei anni.
Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla
disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si
applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo,
ma la pena non può superare gli anni quindici”.

Omicidio del consenziente


Secondo l’art. 579 c.p. “chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la
reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso:
1) contro una persona minore degli anni diciotto
2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un`altra
infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza minaccia o suggestione,
ovvero carpito con inganno.

Par. II: Suicidio


Introduzione
Con i termini “suicidio” (dal latino sui caedes: uccisione di se stesso) e “tentativo di suicidio”, ci si riferisce
a quelle condotte (attive od omissive), pregiudiziali per la vita, che l’individuo compie su se stesso con
l’intenzione di cagionarsi la morte.
Si descrivono casi di suicidio singolo e collettivo o di massa (sette religiose, piccole comunità, etc.). Si parla
anche di suicidio da contagio, come quelli mediante combustione eseguiti da monaci buddisti o da diverse
persone in Giappone, che trovarono la morte gettandosi in un vulcano.
Si parla di:
• Suicidio allargato od omicido-suicidio: quando in una coppia l’uno uccide l’altro e poi dà la morte a
se stesso
• Doppio suicidio o suicidio a due, come nelle coppie di amanti o di coniugi
• Suicidio simulato: quando la morte è, invece, di natura omicidiaria od accidentale
• Suicidio dissimulato: quando lo stesso suicida od altri dissimulano la causa suicidaria
• Istigazione al suicidio: è imputabile a terzi ed è normata dall’art. 580 c. p. secondo cui “chiunque
determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi
modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il
suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni sempre che dal tentativo di
suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni
indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli

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anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le


disposizioni relative all'omicidio”

Reperti AP
Sono da ricondurre alle tipiche modalità suicidarie: precipitazione, impiccamento, avvelenamento, colpi
d’arma da fuoco, scannamento, dissanguamento per sezione di vasi arteriosi o venosi del polso,
annegamento, arrotamento, asfissia.

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CAP. 6: ALTRI ASPETTI DI RILEVANZA PENALE

Par. I: Delitto di violenza sessuale


Introduzione
La legge 15/02/1966 n.66, recante le nuove “norme contro la violenza sessuale” , ha abrogato e riformulato
l’intero capo 1° del titolo IX del secondo libro del c.p., collocando le diverse fattispecie delittuose non più tra
i delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume, ma fra i delitti contro la persona e, più precisamente,
fra quelli contro la libertà personale, con la conseguente maggior severità della peni editale.
La libertà sessuale è un aspetto della libertà personale (art. 13 della Costituzione) e non ha particolari
limitazioni purché:
• I soggetti che compiono gli atti sessuali siano capaci di autodeterminarsi liberamente
• Tale comportamento non arrechi offesa alla collettività
• Non si cagioni danno alla persona del partner e ne si rispetti il consenso

Art. 609 bis c.p. (violenza sessuale)


“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o
subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del
fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.
Dunque, si considerano:
• Soggetto attivo: “chiunque” significa che il delitto può esser commesso anche da parte del marito
sulla moglie, del cliente sulla prostituta, dell’amante sul partner, etc. Può realizzarsi anche fra due
donne o da parte di una donna sull’uomo; insomma, tutte le volte che il colpevole pretenda e realizzi
un atto sessuale non liberamente voluto od accettato dall’altro e quindi in assenza od oltre i limiti del
suo valido consenso
• Vittima: è la persona la cui libertà sessuale è stata violata; ciò che conto realmente è che questa non
abbia prestato consenso libero all’atto sessuale
• Atto sessuale violento: è un comportamento che miri alla soddisfazione dell’appetito sessuale del
soggetto attivo, violando la libertà personale della vittima.
o Col vecchio ordinamento: erano punite diversamente la congiunzione carnale violenta e gli
atti di libidine violenti
o Col nuovo ordinamento: esse sono state ricondotte all’unica ipotesi di “violenza sessuale”.
Pertanto, non v’è più alcuna necessità di distinguere se vi sia stata o meno congiunzione
carnale o solo atti di libidine, con i conseguenti riflessi positivi sulla più efficace tutela della
dignità personale e del diritto alla riservatezza della vittima
ƒ NB: per “congiunzione carnale” si intende ogni atto di penetrazione dell’organo
genitale maschile nel corpo dell’altro
ƒ NB: per “atto di libidine” si intende la manomissione del corpo altrui, non già
soltanto nelle parti intime, che sia diverso dalla congiunzione carnale e che sia
suscettibile di eccitare l’istinto sessuale, essendo irrilevante che il colpevole abbia
raggiunto o meno la soddisfazione dell’istinto stesso
ƒ NB: col nuovo ordinamento, si introducono anche altre condotte offensive del diritto
alla libertà sessuale della persona (sino alle molestie sessuali), con pena non
diminuibile oltre i 2/3

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Considerazioni ML
• Rape trauma syndrome: è una sindrome, evidenziabile anche a distanza di tempo dall’aggressione
sessuale, caratterizzata da una destrutturazione della personalità e da un profondo sovvertimento
della capacità della persona offesa di relazionare con gli altri
• Aspetti ML
o In ogni caso di stupro, l’esame clinico dovrebbe esser effettuato il più prontamente possibile
e prima che la vittima si lavi, anche se l’impulso a pulirsi costituisce spesso la sua più
immediata necessità. Dopo un colloquio rassicurante, si cercheranno i:
o Segni fisici dello stupro
ƒ Regioni genitali: lacerazioni od abrasioni della mucosa
• Lacerazioni acquisite del disco imenale: profonde, a margini combacianti,
ecchimotici e contusi
• Lesioni contusive a carico delle zone erogene: mammelle, capezzoli, glutei,
bocca, superficie interna delle cosce
ƒ Extragenitali: escoriazioni, abrasioni, graffiature, unghiature, ecchimosi
• Sedi tipiche a livello dei polsi, avambracci, viso, collo
• Possibili lesioni da difesa a livello delle mani
• Possibili frustoli di tessuto a livello delle unghie
ƒ NB: i segni lesivi possono mancare nei casi in cui la vittima abbia perso conoscenza
• “Violenza presunta” e “violenza abusiva”: in queste ipotesi, non è richiesta alcuna prova
dell’esistenza dei segni fisici della violenza subita; in questi casi, infatti, la violenza è implicita nella
stessa commissione dell’atto per le qualità specifiche della vittima (minor età: violenza sessuale
presunta) o per le qualità specifiche del colpevole (autorità abusante o soggetto che abusi delle
condizioni di inferiorità della vittima: violenza sessuale abusiva)
o Violenza sessuale presunta
ƒ Art. 609 quater c.p.: “soggiace alla pena stabilita dall'articolo 609 bis chiunque, al di 
fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al 
momento del fatto: 
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore,
anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni
di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o
che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza.
Fuori dei casi previsti dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo,
o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di
educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia
con quest'ultimo una relazione di convivenza, che, con l'abuso dei poteri connessi
alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni
sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 609
bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la
differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Si applica la pena di cui all'articolo 609 ter, secondo comma, se la persona offesa
non ha compiuto gli anni dieci”.
ƒ In tutti questi casi, si dà per scontato che non vi sia consenso valido da parte della
vittima (pur se esso sia stato prestato) e, dunque, in ogni caso l’atto sessuale sarà
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considerata violento, senza la necessità di provare l’esistenza dei segni obiettivi


della violenza subita. Ove quei segni siano presenti, essi costituiscono
un’aggravante, così l’età della vittima minore di 10 anni costituisce anch’essa
un’aggravante. In tutti i casi citati, v’è obbligo di referto per il medico che abbia
prestato la propria assistenza, trattandosi di delitto perseguibile d’ufficio
o Violenza sessuale abusiva: si parla di “abuso” quando il soggetto compie l’atto sessuale
abusando o della propria autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della
vittima. In queste condizioni, il consenso della vittima all’atto sessuale, pur se esistente, non
è ritenuto valido, poiché viziato dalla condotta abusante del colpevole (fattore esterno) e
dalle eventuali condizioni di inferiorità fisica o psichica esistenti al momento del fatto
(fattori interni)
ƒ La condizione dei malati di mente e degli handicappati
• Con le vecchie norme: era loro vietato avere rapporti, in quanto il partner
incorreva ipso facto nel delitto di violenza carnale
• Con le nuove norme (15/02/1966 n.66): occorre valutare caso per caso se il
colpevole abbia effettivamente abusato delle condizioni di inferiorità, fisica
o psichica, della persona offesa
ƒ Abuso della propria autorità: configura reato indipendentemente dalle condizionid i
inferiorità fisica o psichica della vittima
• Circostanze aggravanti (art. ter 609 c.p.): “la pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di
cui all'articolo 609-bis sono commessi:
o 1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
o 2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o
sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
o 3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico
servizio;
o 4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
o 5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia
l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.
La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di
persona che non ha compiuto gli anni dieci”
• Atti sessuali fra minorenni (vedi seconda parte dell’art. 609 quater c.p.)
• Delitto di corruzione di minorenne (art. 609 quinquies c.p.): “chiunque compie atti sessuali in
presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni”
• Ignoranza dell’età delle persona (art. 609 sexies c.p.): “quando i delitti previsti negli articoli 609 bis,
609 ter, 609 quater e 609- octies sono commessi in danno di persona minore di anni quattordici,
nonché nel caso del delitto di cui all'articolo 609 quinquies, il colpevole non può invocare, a propria
scusa, l'ignoranza dell'età della persona offesa".
• Violenza sessuale di gruppo (arti. 609 octies c.p.): “la violenza sessuale di gruppo consiste nella
partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis.
Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici
anni. La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 609-
ter. “
• Querela di parte: i delitti sessuali sono generalmente punibili a querela della persona offesa. Il
termine per la proposizione della querela è stato prorogato a 6 mesi e la querela, una volta proposta,
è irrevocabile. Si procede, invece, d’ufficio nei casi di violenza sessuale presunta od abusata e nei
casi di violenza sessuale di gruppo
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• Incesto: compie questo delitto chiunque compia rapporti sessuali con un discendente o con un
ascendente, con una sorella od un fratello, o con un affine in linea retta (suocero e nuora; suocera e
genere), in modo che ne derivi pubblico scandalo. In questi casi, il bene giuridico offesa è prima di
tutto la morale della famiglia, la morale pubblica ed il buon costume

Par. II: Delitti di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale


Condizioni di abbandono materiale e morale della madre
L’art 578 del c.p. (“infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale”) prevede che “la madre che
cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il
fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la
reclusione da quattro a dodici anni.
A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni
ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un
terzo a due terzi.Non si applicano le aggravanti stabilite dall'articolo 61 del codice penale”.
Elemento essenziale perché si realizzi questo delitto piuttosto che l’omicidio è, dunque, la dimostrazione
delle condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna. I due requisiti, inoltre, devono
sussistere congiuntamente ed oggettivamente, non potendo essere semplicemente supposti; essi, inoltre, si
riferiscono soprattutto a quello stato di particolare solitudine e di reale emarginazione in cui la donna, specie
se minore, può trovarsi all’interno della famiglia, e generalmente non circoscritto al momento del parto.
È necessario, peraltro, che le suddette condizioni non siano state volute dalla donna né che questa abbia
concorso al loro determinarsi.

Il fatto materiale
Il fatto materiale punito è l’uccisione del neonato immediatamente dopo il parto o l’uccisione del feto
durante il parto.
Si ricorda che, da un punto di vista ostetrico, si ritiene lecito parlare di parto solo quando la durata della
gravidanza abbia almeno superato il 180° giorno: al di sotto, qualsiasi azione volta all’interruzione della
gravidanza dovrebbe esser considerata come manovra abortiva, poiché il prodotto del concepimento, una
volta fuoriuscito dell’alvo, con ogni probabilità non sopravviverà (un feto è considerato vitale dopo il 180°
giorno di vita).
Quindi, poiché si realizzi la fattispecie delittuosa dell’infanticidio e non quella dell’omicidio, è richiesto che
la consumazione del delitto avvenga immediatamente dopo il parto o durante il parto.
L’immediatezza va intesa, poi, non nel senso letterale, ma nel senso clinico-psicologico: infatti, solo
nell’immediatezza del parto può esistere uno shock psichico, tale da giustificare, sia pure in parte il
comportamento criminoso della donna, mentre nel periodo successivo dovrebbe prevalere l’istinto della
maternità.
Si ricorda che presupposto necessario per la configurazione del reato è la situazione di abbandono materiale
e morale che abbia determinato la madre a cagionare la morte del proprio neonato: tale situazione deve
ritenersi concretizzata quando la madre è lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza sicché ella
senta di trovarsi in uno stato di isolamento che non lascia prevedere l’intervento di terzi né un qualsiasi
soccorso materiale o morale per cui disperi di poter assicurare la sopravvivenza al neonato.
Se poi la donna uccide il neonato diverso tempo dopo l’espulsione, quando cioè l’eventuale stato di
alterazione mentale connesso al parto è sicuramente cessato, si configurerà la fattispecie dell’omicidio e non
quella dell’infanticidio.

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Si ricorda, inoltre, che il c.p. estende la sua tutela anche al feto durante il parto: il feto, infatti, pur non
potendo considerarsi “nato” ai sensi del diritto civile (poiché ancora non ha vita autonoma, non ha
“respirato”e quindi non ha capacità giuridica), è però sicuramente un essere vivente.
La capacità giuridica, infatti, si acquista solo con la nascita e si considera “nato” il prodotto del
concepimento, cronologicamente vitale (cioè che abbia superato il 6° mese di vita) e che abbia respirato.

Par. III: Omissione di soccorso


Caratteristiche generali
Quello di soccorrere costituisce un dovere etico ed un dovere legale, cui tutti sono sottoposti; infatti l’art.593
c.p. punisce espressamente l’omissione di soccorso: “chiunque, trovando abbandonato o smarrito un
fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente
o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'Autorità è punito con la
reclusione fino a un anno o con la multa fino a 2500 euro. Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo
umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare
l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva
una lesione personale, la pena è aumentata ; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata”.
Appare chiaro, dunque, che l’obbligo non riguarda solo il medico, ma chiunque si trovi di fronte a persona
ferita o altrimenti in pericolo.
Il soccorso, inoltre, deve essere sempre adeguato alla gravità del caso ed alla preparazione di chi lo esegue
(quindi, in particolare del medico); naturalmente, il soccorso deve essere anche adeguato alle circostanze in
cui avviene.
Aspetti ML rilevanti sono:
• Obbligo di avvisare l’Autorità: sussiste quando si trovi:
o Un bambino minore di 10 anni, abbandonato o smarrito
o Una persona incapace di provvedere a se stessa per malattia (fisica o psichica) o per
vecchiaia o per altra causa
• Obbligo di soccorrere: sussiste quando si trovi (oltre alle persone suddette):
o Un corpo inanimato
o Un corpo che sembri inanimato
o Una persona ferita
o Una persona in pericolo
o NB: il codice della strada punisce con la reclusione chi, nel caso di sinistro stradale, non si
fermi a prestare l’assistenza necessaria alla persona ferita
• L’art. 593 c.p. condiziona, in ogni caso, l’esistenza del delitto alla presenza fisica di chi ha il dovere
di soccorrere nei riguardi di chi versa in situazioni di pericolo. Se non vi è la presenza fisica della
persona in pericolo, il medico potrà semmai rispondere del reato previsto dall’art.328 del c.p., ossia
di omissione o rifiuto di atti d’ufficio.
Inoltre, se il medico è legato alla persona in esame da particolari obblighi di custodia o di cura e ciò
nonostante omette di prestare la propria assistenza, determinando una concreta situazione di pericolo
di danno, egli potrà rispondere al delitto previsto dall’arti. 591 c.p., ossia di abbandono di persone
minori o di incapaci.
• L’omissione di soccorso è segno inequivocabile di negligenza e di inosservanza delle leggi, per cui
l’eventuale morte o l’eventuale danno alla persona che dall’omissione o dall’abbandono dovessero
derivare potranno essere puniti a titolo di colpa professionale, realizzando la fattispecie dei delitti
colposi (art. 589: omicidio colposo) e delle lesioni personali (art. 590). Al verificarsi della morte

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della persona, il medico che abbia omesso volontariamente il soccorso, potrà esser chiamato a
rispondere di omicidio preterintenzionale o doloso

Par. IV: Delitti di percosse e di lesione personale


Delitto di percosse (art. 581 c.p.)
“Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela
della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila. Tale
disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come
circostanza aggravante di un altro reato”.
La condotta, dunque, non può estrinsecarsi se non in un’azione violenta e dolosa, cioè volontaria (sferrare un
pugno o un calcio, atterrare con forza o violenza, strattonare, etc.).
La mancata previsione della conseguenza dannosa non autorizza a giudicarla perciò stesso irrilevante nella
struttura della fattispecie considerata: le percosse, infatti, per essere penalmente rilevanti, debbono causare
comunque un effetto dannoso ed aver l’intenzione dell’agente di cagionare una sofferenza a colui che subisce
l’azione molesta (ad esempio, schiaffi dati ad un soggetto in preda ad una crisi isterica o svenuto non
implicano l’intenzione di arrecare danno).
Dunque, per configurarsi la fattispecie delittuosa in esame, sono importanti sia la condotta violenta diretta a
percuotere, sia l’effetto materiale dell’atto (ossia la sofferenza fisica arrecata), sia l’elemento psicologico o
dolo (ossia l’intenzione di cagionare tali sofferenze).

Delitto di lesione personale (art. 582 del c.p.)


“Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente,
è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e
non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad eccezione di quelle
indicate nel numero 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa”.
In questo caso, a differenza del precedente, l’attenzione è sul tipo di evento causato: pertanto, è sufficiente,
affinché esso sussista, che la condotta stessa, anche se non violenta (somministrazione di cibi scarsi o nocivi,
falsa notizia ad un cardiopatico di una grave disgrazia), si trovi in relazione causale con il verificarsi di una
condizione di malattia. Peraltro, è necessario un quidpluris affinché, piuttosto che il quadro di lesione, si
verifichi il quadro di malattia.
Si ricorda che la malattia deve essere definita come una modificazione peggiorativa dello stato anteriore,
avente carattere dinamico, estrinsecantesi in un disordine funzionale apprezzabile di una parte o di tutto
l’organismo, che si ripercuote sulla vita organica e soprattutto di relazione e che necessita di un intervento
terapeutico, per quanto modesto.

Dinamismo
La malattia è un fenomeno dinamico ed evolutivo: ha un momento di inizio, una durata ed un termine.
L’inizio è solitamente in rapporto con l’azione di un ben preciso antecedente di rilevanza giuridica: la sua
esatta individuazione ha rilievo soprattutto ai fini della verifica del rapporto di causalità e della diagnosi
eziologica della malattia.
L’evoluzione e la durata assumono pur esse particolare rilievo giuridico, dal momento che da esse potranno
derivare conseguenze diverse sul piano penale ed, in primo luogo, sulla gravità della pena. Ad esempio, una
durata della malattia superiore ai 40 giorni configurerà una circostanza aggravante della lesione personale
(lesione personale grave).
Quanto al termine del processo di malattia, esso può consistere nella guarigione con restitutio ad integrum,
nell’adattamento a nuove condizioni di vita o nel conclamarsi di esiti, nella cronicizzazione del processo
morboso stesso od, infine, nella morte.

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Se la malattia si esaurisce con esiti, a seconda della qualità e della gravità degli stessi, potrà o meno
configurarsi un indebolimento permanente di un senso o di un organo, la perdita dell’uso di un organo, etc.
Se la malattia non si esaurisce o non è prevedibile il suo spegnersi entro un arco di tempo ragionevole, potrà
invece realizzarsi la malattia certamente o probabilmente insanabile (lesione personale gravissima).ù
Dunque, tenendo conto della diversa durata della malattia, oltre che della diversa gravità degli esiti, sarà
possibile distinguere in vario modo le lesioni personali.

Disordine funzionale e sofferenza individuale organica o psichica con le sue ripercussioni sulla vita di
relazione
Mentre in medicina la lesione di un organo o di un tessuto, da cui non derivi alcun disordine funzionale,
neppure momentaneo o localizzato, non deve considerarsi malattia, ciò non significa che il
signumspecificationis della malattia non è l’alterazione anatomica, come sembra dedursi dalla
giurisprudenza in materia, quanto piuttosto l’esistenzadel disordine funzionale, da cui deriverà l’altro
importante requisito del danno alla vita di relazione.
Quindi, in giurisprudenza il concetto di malattia si basa sul presupposto che dal processo di alterazione
funzionale o di modificazione peggiorativa dello stato anteriore derivi una sofferenza per l’individuo che ne
è affetto, sofferenza che si traduce anche in disturbi soggettivi riferiti dal paziente oltre che in segni clinici
obiettivi e che limita la vita di relazione del paziente.
Inoltre, il codice parla non solo di malattia del corpo, ma anche di malattia della mente (nevrosi reattiva,
sindrome ansiosa, shock emotivo).
La necessità dell’intervento terapeutico, la disfunzionalità, l’abnormità dei processi morbosi, il loro
dinamismo nel tempo, la loro evolutività, la sofferenza derivata, impegnano necessariamente l’arte sanitaria
attraverso l’esercizio diagnostico-terapeutico, il quale compromette la capacità individuale di autogestire la
propria condizione di sofferenza.
In sostanza, ricordando l’importanza dell’impatto sulla vita di relazione, il processo di alterazione funzionale
diventa ML importante in quanto si ripercuote sulla vita di relazione della persona e la limita, causando
perciò una disfunzione non solo della vita individuale ma della stessa vita collettiva o sociale.

Classificazione delle lesioni personali


• In base all’elemento psicologico del delitto si distinguono:
o Lesioni personale volontaria o dolosa (art. 582 c.p.)
o Lesione personale colposa (art. 590 c.p.)
• In base alla durata della malattia
o Lesione personale lievissima: se la durata della malattia non è superiore ai 20 giorni (in
questo caso il delitto è perseguibile a querela della persona offesa, sempre che non concorra
una delle circostanze aggravanti)
o Lesione personale lieve: quando la malattia ha una durata maggiore di 20 giorni ma non
superiore ai 40 (ove si tratti di lesione personale volontaria si procede d’ufficio e perciò
sussiste per il medico l’obbligo di referto)
o Lesione personale grave: se la durata della malattia o dell’incapacità di attendere alle
ordinarie occupazioni supera i 40 giorni o se si configura alcuna delle circostanze aggravanti
previste dalla legge
o Lesione personale gravissima: se la malattia è certamente o probabilmente insanabile o se si
configura alcuna altra delle circostanze aggravanti.
• La distinzione fra lesione personale grave e gravissima vien fatta dal codice non solo sulla base della
durata della malattia, ma anche della natura e delle gravità delle altre conseguenze delle persone: a
tal proposito l’art. 583 c.p. (“circostanze aggravanti”) riconosce che:
o La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:

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ƒ Se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa,
ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un
tempo superiore ai quaranta giorni;
ƒ Se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;
o La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto
deriva:
ƒ Unamalattia certamente o probabilmente insanabile;
ƒ La perdita di un senso;
ƒ La perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita
dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave
difficoltà della favella;
ƒ La deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;

In definitiva, le lesioni personali possono essere così distinte:


• Lesione personale volontaria (art. 582)
• Lesione personale colposa (art. 590)
• Lesione personale volontaria grave (art. 583)
• Lesione personale colposa grave (art. 583)
• Lesione personale volontaria gravissima (art. 583)
• Lesione personale colposa gravissima (art. 583)

Circostanze aggravanti di lesioni grave (art. 583)


• Malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa: si realizza solo quando sussiste l’attualità
del pericolo di vita per la persona lesa (compromissione delle funzioni cardiaca, respiratoria o
nervosa), con la conseguenza che la persona stessa viene a trovarsi in punto di morte. Ovviamente, è
rilevante che la persona sia in questo stato in conseguenza della lesione subita. In definitiva, in sede
ML, il giudizio sulla malattia che mette in pericolo di vita la persona offesa deve essere inteso come
giudizio diagnostico espresso sulla base dell’effettiva realtà e gravità della compromissione delle
funzioni cardiache, respiratorie e nervose (ad esempio, shock)
• Malattia od incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni: ricordando
l’importanza della durata della malattia, va precisato che nel computo del periodo occorre tener
conto anche della maggior durata che sia stata determinata da preesistenti condizioni patologiche
della vittima o da fatti patologici concomitanti o da complicazioni sopravvenute. Si deve, inoltre,
tener conto della sostanziale equiparazione fra malattia ed incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni: di conseguenza, nella durata dell’incapacità dovrà rientrare anche il periodo di
convalescenza, durante il quale il soggetto è costretto a limitare la propria vita di relazione e la
propria capacità di espletare le abituali attività della vita quotidiana.
Peraltro, per ordinarie occupazioni non si devono intendere solo quelle professionali, ma occorre
tener conto di qualsiasi altra occupazione materiale od intellettuale, che la persona in esame svolge,
purché si tratti di occupazione abituale e lecita (quindi anche attività sportive, hobbies, studio, etc.)
• Indebolimento permanente di un senso o di un organo:
o Termini
ƒ Il significato di “organo” in ML è ben diverso da quella anatomico: in ML, infatti,
“organo” è sinonimo di “funzione”; esso, infatti, si riferisce più esattamente a quel
complesso di entità anatomiche che svolgono una funzione ben delineata ai fini della
vita organica e di relazione
ƒ Quanto al senso, esso è la funzione percettiva o sensoriale
o Note ML
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ƒ In caso di valutazione di menomazioni a carico di organi pari, si dovrà tener conto


delle capacità di compenso del viscere superstite, della funzione residua e della
funzione di riserva; in sostanza, ci si riferirà alle specifiche funzioni cui ciascun
orfano concorre
ƒ Per alcune funzioni può configurarsi il quadro della perdita (deficit di oltre il 90%
della funzione; lesione personale gravissima: sistema uropoietico o masticatorio);
per altri, invece, solo come indebolimento in quanto la perdita coinciderebbe con la
morte (cardiocircolatorio, polmonare, nervoso, ma anche utero nella donna)
ƒ Per parlare di deficit funzionale, e quindi di indebolimento, occorre un confronto fra
la situazione clinica quale obiettivabile al momento dell’esame e lo stato anteriore
della persona lesa
ƒ Occorre poi che l’indebolimento sia ben apprezzabile ed a carattere permanente
ƒ Si deve prendere in considerazione la “funzione naturale” senza riguardo ad
eventuali trattamenti terapeutici o protesici o chirurgici; infatti:
• Nessuno persona può esser sottoposta, contro la propria volontà, ad alcun
trattamento per emendare o contenere un certo danno
• Nessun trattamento medico o chirurgico può dare l’assoluta certezza del
risultato
• Le eventuali protesi artificiali sarebbero sostitutive, ma non capaci di
ripristinare integralmente la funzione naturale e quindi non escludono le
conseguenze dannose del fatto
• Tuttavia, se la terapia è stata già improntata, e con esiti positivi, si potrà
anche escludere l’aggravante

Circostanze aggravanti di lesione gravissima (art. 583)


• Malattia certamente o probabilmente insanabile: una malattia è definita”certamente insanabile”
quando non si conoscono rimedi efficaci o quando il progresso patologico diventa cronica così da
escludere con certezza la possibilità di restitutio ad integrum. Tuttavia, data l’estrema variabilità
prognostico-evolutiva, rientra in questo quadro anche la malattia “probabilmente insanabile”.
Comunque, esempio sono: emisezione traumatica del midollo spinale, DM, neoplasia, cirrosi
epatica, AIDS
• Perdita di un senso: non è necessario che la perdita funzionale sia assoluta, basta che la funzione sia
praticamente inutilizzabile, con perdita del 90% in su della funzione sensoriale
• Perdita di un arto: deve intendersi per perdita di un arto non solo l’asportazione totale di esso
(amputazione), ma anche l’impossibilità assoluta di usarlo (paralisi). Si ricorda, inoltre, che per la
funzione statica e la deambulazione occorrono entrambi gli arti inferiori e per la funzione prensile
concorrono entrambi gli arti superiori; pertanto, risulta espressamente stabilito che già la perdita di
un solo arto costituisce lesione personale gravissima
• Mutilazione che rende l’arto inservibile: alla perdita di un arto è equiparata la mutilazione che rende
l’arto inservibile. Tale ipotesi si verifica quando un arto sia privato di una parte importante (ad
esempio, mano o piede): in questi casi, si parla di “mutilazione” piuttosto che di “amputazione” per
indicare la rilevanza “funzionale” della mutilazione
• Perdita di in organo (vedi dietro per la definizione di organo in ML): per perdita dell’uso di un
organo si intende non la perdita anatomica del viscere, quanto la cessazione definitiva di una ben
precisa funzione (perdita di un rene in un monorene, perdita di un occhio un monoculo, etc.)
• Perdita della capacità di procreare
o Termini
ƒ M: impotenitiacoeundi ed impotentiagenerandi
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ƒ F: impotentiacoeundi, impotentiaconcipiendi, impotentia gestanti,


impotentiapartoriendi
o Cause
ƒ Lesioni genitali
ƒ Lesioni extragenitali: cerebrali, esiti cicatriziali addominali, etc.
• Permanente e grave difficoltà della favella: per “favella” si intende il linguaggio parlato, ossia il
modo più semplice ed immediato, con il quale ciascuno può comunicare agli altri il proprio pensiero.
Dunque, assumono notevole valore soprattutto i disturbi afasici, disartrici, foniatrici e fonatori
(centrali o periferici)
• Deformazione o sfregio del volto:
o Definizioni
ƒ Sfregio: è una menomazione estetica certamente di minor gravità rispetto alla
deformazione del volto, poiché si riferisce a qualsiasi minorazione del fregium, cioè
dell’armonia e della bellezza del volto. Il termine indica, seppur in maniera alquanto
impropria, “il colpo di rasoio dato a tradimento sul volto, solitamente a scopo di
vendetta amorosa”. È implicito, dunque, il fine non soltanto di ledere l’integrità o
l’incolumità fisica della vittima, ma di sfregiarla, lasciandole sul viso il marchio
indelebile dell’onta subita
ƒ Deformazione: indica il sovvertimento strutturale, ossia sfigurazione e deturpazione
del volto, così da renderlo disgustoso (horribilevisu) o da suscitare raccapriccio,
ripugnanza o ribrezzo in chi osservi.
o Note ML:
ƒ Assume sempre importanza la corretta definizione dello stato anteriore della persona
lesa (giovane e bella ragazza vs anziani)
ƒ Per il configurarsi delle ipotesi di sfregio o di deformazione, non è necessario
l’interessamento diretto del volto, ma è rilevante che la lesione faccia ricadere su di
esso i proprio effetti (deficit del faciale per frattura della mastoide, esiti cicatriziali
del collo con effetti retraenti)
ƒ Nel calvo si considera volto tutto ciò che si vede stando di fronte alla persona

Altre considerazioni
• Lesione personale e gravidanza
o Ipotesi aggravanti che rientravano nell’art. 583:
ƒ Acceleramento del parto (grave)
ƒ Aborto (gravissima)
o Legge 194 art. 18: “Chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza
il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come
non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l'inganno. La
stessa pena si applica a chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette
a provocare lesioni alla donna.
Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l'acceleramento del parto.
Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna si applica
la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica
la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è
diminuita. Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna è minore
degli anni diciotto”

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• Lesione personale colposa: art. 590 c.p.: “chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale
è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro
619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni
gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per
le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.
Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto di cui al terzo comma è
commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c),
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto
l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e della reclusione da sei
mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro
anni.
Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle
violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli
anni cinque.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo
capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia
professionale”.
• Contagio di malattie a trasmissione sessuale: è considerato una lesione personale, personale grave o
personale gravissima
• Delitto di epidemia (art. 438 c.p.): “Chiunque cagiona un' epidemia mediante la diffusione di germi
patogeni è punito con l'ergastolo”.

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CAP. 6: CAPACITA’ CIVILE

Par. I: Capacità giuridica


Definizione
La capacità civile è l’insieme della capacità giuridica e della capacità d’agire:
• Art. 1 del Codice Civile: capacità giuridica: “la capacità giuridica si acquista dal momento della
nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della
nascita”.
o Acquistare capacità giuridica: significa, dunque, diventare “persona”, cioè soggetto titolare
di diritti e di doveri: per le persone fisiche, si acquista con la nascita e si perde con la morte.
L’accertamento dell’avvenuta nascita è molto importante sul piano giuridico, in quanto,
pure se l’individuo muore immediatamente dopo esser venuto alla luce, all’evento in
questione sono subordinati, ipso facto, i diritti successori, nonché diritti derivanti dalla
donazione, etc.
o Concetto di nascita: per nascita si intende la completa fuoriuscita dal corpo materno di un
feto vivo e cronologicamente vitale che abbia respirato. Quindi, concetti importanti sono:
ƒ Completa fuoriuscita dall’alvo materno di tutto il feto e non, ad esempio, della sola
testa o di altra parte: una volta fuoriuscito tutto il feto dall’alvo materno, si parlerà
di nato vivo o di nato morto:
• Non ha importanza, perché la nascita si consideri realizzata, che il feto sia
ancora unito alla madre col cordone ombelicale
• Non è richiesto che il parto sia ultimato, ovvero che sia avvenuto il
secondamento (espulsione della placenta)
ƒ Respirazione: se il nato muore nella fase apnoica della vita extrauterina, non avrà
acquisito capacità giuridica. L’avvenuta respirazione potrà esser documentata da
prove docimasiche (vedi dopo) ed è un segno diretto della capacità di vita autonoma
del neonato
• Anche solo un atto respiratorio autonomo è sufficiente perché il soggetto si
consideri nato
• Non si può parlare di vita autonoma, e quindi di respirazione attiva, se
l’introduzione d’aria è avvenuta passivamente mediante pratiche di
respirazione artificiale
ƒ Cronologicamente vitale: ai fini dell’acquisizione della capacità giuridica, è
necessario dimostrare che il neonato sia in possesso della vitalità cronologica, e
cioè che abbia raggiunto il 180° giorno di vita
o Concetto di “persona”: emerge chiaramente la diversa concezione di “persona” in campo
civile ed in campo penale:
ƒ In campo civile: perché il prodotto del concepimento acquisti capacità giuridica
occorre dimostrare che sia:
• Cronologicamente vitale
• Completamente fuoriuscito dall’alvo materno
• Che abbia compiuto almeno un atto respiratorio autonomo
ƒ In campo penale: la tutela del “neonato” va estesa anche al prodotto del
concepimento, cronologicamente vitale, durante il parto o che abbia iniziato la vita
extrauterina (anche se non ha ancora respirato). L’attributo della vita autonoma non
è quindi necessario per il configurarsi del delitto di infanticidio (art. 578 c.p.) o di
omicidio. In sostanza, la tutela penale del diritto alla vita della persona sarà efficace

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durante tutto l’espletamento del parto e quindi ancor prima dell’inizio della vita
autonoma

Requisito della vita


In sede penale, per parlare di soppressione di feto nascente, di infanticidio o di omicidio, occorre accertare
pienamente che il prodotto del concepimento, durante il paro oppure alla nascita, fosse vivo. Ove, infatti, si
accerti che il prodotto del concepimento fosse già morto prima ed indipendentemente dalla condotta diretta
ad ucciderlo, non si parlerà dei reati suddetti, ma al massimo di vilipendio di cadavere, di distruzione o
sottrazione di cadavere.
Le più comuni prove utilizzate per verificare se il prodotto del concepimento al momento del parto fosse
vivo sono quelle docimasiche, che acquistano un’importanza fondamentale anche in sede civile, ai fini della
dimostrazione dell’acquisizione della capacità giuridica: le prove sono positive se dimostrano l’avvenuta
respirazione autonoma.
Tuttavia, se respirare significa in ogni caso vivere, non sempre è vero l’inverso.
Nell’evento nascita, infatti, vanno distinte una fase di vita intra-uterina, certamente apnoica, ed una
successiva fase di vita extra-uterina, a sua volta suddivisibile in una fase apnoica (o pre-respiratoria) di breve
durata e l’altra di vita autonoma, caratterizzata dalla pienezza ed autonomia della funzione respiratoria.
Se la morte è avvenuta nel corso della vita intrauterina, le prove docimasiche respiratorie daranno risultati
certamente negativi.
Ad esempio, può accadere che, non appena il capo del neonato appaia all’orifizio vaginale esterno, venga
strozzato o fatto scivolare direttamente in una bacinella ripiena d’acqua, così da annegare prima che respiri.
Per accertare allora se il prodotto del concepimento fosse effettivamente in vita al momento del delitto, in
casi simili (uccisione del feto durante il parto o nella fase apnoica della vita extrauterina), si dovranno
indagare funzioni diverse da quella respiratoria, e soprattutto quella circolatoria.
Sarà, in ogni caso, utile ricercare i segni generali di vitalità od i segni di reazione vitale (ad esempio, tumore
da parto): le eventuali lesioni riscontrate sul corpo del cadavere (ecchimosi, cefaloematoma) o la
dimostrazione istologica della presenza di reticoli di fibrina acquisteranno il significato di vitalità.
Infine, non esiste una vera e propria norma che stabilisca in quale momento cesso la capacità giuridica di un
individuo, ma è da ritenere che, come essa si acquista automaticamente al momento della nascita, così essa
verrà automaticamente a cessare al momento della morte.

Docimasie
Il termine deriva dal greco δοχιµαζω “provo” o “verifico” e si riferiva a quella sorta di esame di idoneità, cui
la legge sottoponeva il cittadino ateniese, eletto per voto o scelto per sorteggio ad una carica pubblica.
Da un punto di vista ML significa, invece, accertare se il prodotto del concepimento abbia respirato o meno,
e quindi vissuto di vita autonoma: in sostanza, l’indagine concerne la verifica diagnostica, effettuata post-
mortem, dell’avvenuta respirazione in vita.
Le prove docimasiche possono esser così distinte:
• Docimasie polmonari (o respiratorie)
o Metrica: consiste nel verificare l’espansione del torace, misurandone la circonferenza e
confrontandone i valori con quelli teorici, così da trarne indizi circa l’eventuale respirazione.
Tuttavia, da solo ha scarso valore
o Radiologica: nel polmone che ha respirato si riscontrano:
ƒ Maggior trasparenza dei campi polmonari
ƒ Abbassamento eventuale del diaframma
ƒ Dimensioni e forma degli angoli costo-frenici
ƒ Espansione dei campi polmonari

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o Diaframmatica: esamina, dopo un’adeguata apertura del torace e dell’addome con sezione
dei vari piani tissutali, la posizione della cupola diaframmatica:
ƒ Respirazione avvenuta: apparirà abbassata e, quindi, apprezzabile a livello del 5°-6°
spazio intercostale
ƒ Respirazione non avvenuta: apparirà sollevata e la sua convessità potrà esser
apprezzata non oltre il 4° spazio intercostaòe
o Polmonare ottica: dopo apertura del collo, legatura della trachea (per evitare il passaggio
passivo di aria nei polmoni) ed incisione della cavità toracica, si esaminano le superfici
polmonari ad occhio nudo o valendosi di una lente ottica e si potranno riscontrare:
ƒ In caso di assenza di respirazione:
• Polmoni acquattati nelle docce costo-vertebrali, con margini anteriori sottili
e rossi
• Parenchima polmonare rosso-scuro o rosso-lilla (colore in rapporto alla
quantità di sangue contenuta)
ƒ In caso di avvenuta respirazione
• Polmoni espansi (ricoprono l’aia cardiaca), con margini arrotondati
• Parenchima di colore rosa o viola sfumato
o Polmonare galenica od idrostatica: il polmone che non ha respirato ha un peso specifico di
poco superiore a quello dell’acqua e quindi affonderà se immerso in una bacinella. Invece, se
il polmone ha respirato, galleggerà, in virtù del peso specifico inferiore, seppur di poco, a
quello dell’acqua. Tuttavia, le cause di errore sono così tante che la prova non ha quasi più
alcun valore
o Polmonare palpatoria
ƒ Respirazione non avvenuta: consistenza dei polmoni compatta, carnea
ƒ Respirazione avvenuta: consistenza soffice e crepitante
o Polmonare istologica: è la prova più importante; il metodo più comunemente utilizzato è
quello dell’ematossil-eosina ed, in alternativa, può esser utilizzato anche quello di Weigert al
fine di evidenziare meglio la fine struttura elastica del polmone
ƒ Nel polmone che ha respirato
• Distensione dell’alveolo: questo apparirà ampio, con cavità di forma
poligonale, contornato da setti in genere sottili e pieni di sangue
• Maggior presenza di capillari settali ripieni di sangue: si è, infatti, instaurata
la nuova circolazione polmonare al posto di quella placentare e viene
richiamato sangue a livello dei setti
ƒ Nel polmone che non ha respirato
• Cavità alveolari collabite con alveoli difficilmente riconoscibili
• Setti larghi e spessi con vasi di calibro piccolo e pochi globuli rossi
• Fibre elastiche tortuose e molto voluminose
• Pneumociti II evidenziabili solo a partire dalla 35° settimana
ƒ In caso di insufflazione artificiale di aria
• Cavità alveolari collabite in larga parte, ma con altre cavità espanse
• Setti intralveolari talora abnormemente distesi o rotti
• Alveoli, a causa della rottura dei setti, confluenti in un’unica cavità
ƒ In caso di enfisema putrefattivo
• Enfisema putrefattivo interstiziale: si rilevano bolle di gas, soprattutto nel
connettivo interstiziale interlobulare. Intorno alle bolle, si possono
evidenziare i germi della putrefazione gassosa, giunti per via linfaticca dalle

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fauci (nel polmone che non ha respirato) o per via aerea (nel polmone che ha
respirato)
• Enfisema putrefattivo alveolare: le bolle di gas sono più fini e diffuse. In tal
caso può essere difficile stabilire se il polmone ha respirato anche se per
pochissimo tempo
o Polmonare biochimica: si basa sul dosaggio di lipidi, per il 90% derivati dal surfactante, film
di sostanza tensioattiva che si deposita sulla parete alveolare. Il dosaggio, che quindi è una
stima sulla quantità di surfattante, serve per valutare il grado di maturità fetale
• Docimasie extrapolmonari
o Placentare e cordone ombelicale: è importante soprattutto l’inversione del circolo, da
placentare a polmonare
o GI: con la respirazione il feto deglutisce aria, lasciando riscontrare aria nello stomaco (breve
durata di vita extrauterina) e nell’intestino (lunga durata)
o Alimentare: ricerca dei residui alimentari
o Auricolare: nel soggetto che non ha ancora respirato l’orecchio medio contiene una massa
gelatinosa costituita da un residuo di tessuto mucoso fetale o da liquido amniotico; tale
massa viene eliminata poi con l’inizio della respirazione e l’ingresso di aria
o Renale: ricerca di cristalli di acido urico
o Batterica: ricerca di bacilli coliformi nel contenuto intestinale

Par. II: Capacità di agire (art. 2 c.c.)


Definizione
“La maggior età è fissata al compimento del 18° anno. Con la maggior età si acquista la capacità di compiere
tutti gli anni per i quali non sia stabilita un’età diversa. Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età
inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso, il minore è abilitato all’esercizio di
diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro”.
Quindi, se con l’acquisizione della capacità giuridica la persona è riconosciuta idonea a diventare titolare di
diritti e doveri, risulta tuttavia evidente come alla nascita non le potrà esser riconosciuta alcuna capacità di
esercitare autonomamente tale titolarità e quindi di compiere atti giuridici.
Si presume, infatti, che l’individuo, sino al momento in cui non acquisisca un sufficiente patrimonio
intellettivo, non è ancora capace di compiere da sé alcun atto giuridico né di compiere gli altri atti ordinari
della vita civile o di assumere cariche; si fa eccezione solo per i rapporti di lavoro.
In sostanza, la capacità di agire può configurarsi come la capacità di esercitare i propri diritti e doveri e
quindi di compiere atti giuridici e si poggia su 3 requisiti: maggior età (18 anni), capacità giuridica e
patrimonio intellettuale adeguato.
Quindi, il minore di 18 anni ha capacità giuridica, ma non quella di agire ed oltre i 18 anni è possibile che
essa si perda o si riduca per infermità gravi (interdizione) o meno gravi (inabilitazione) temporaneamente o
permanentemente.

Presupposti psicologici della capacità di agire


La capacità di agire presuppone il possesso di capacità mentali tali da consentire la conoscenza delle norme
giuridiche, perché da essa soprattutto deriva quella idoneità consapevole a compiere gli atti ordinari della
vita civile secondo le finalità del diritto e quindi:
• Capacità di saper applicare tali norme nella situazione concreta ed in modo concreto
• Capacità di saper valutare le conseguenze sia giuridiche, sia economiche e morali dell’atto
• Capacità di adeguare alla norma giuridica la propria condotta, indipendentemente da ogni costrizione
esterna
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Tuttavia, la capacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, o di conoscere le regole della
morale comune, necessaria ai fini della definizione dell’imputabilità e della responsabilità penale, richiedono
sostanzialmente un’età meno avanzata che non la somma di nozioni e di esperienze da cui dipende la capcità
di agire.
È per queste ragioni che, mentre in penale la presunzione di assoluta non imputabilità è collocata al di sotto
del 14° anno, in sede civile il limite di età, al di sotto del quale sussiste presunzione di incapacità di agire, è
elevato al 18° anno.
Riguardo, invece, la capacità di prestare lavoro, essa è disciplinata da leggi speciali che fissano, in genere, il
limite minimo di età al raggiungimento del 15° anno, ridotto a 14 anni per lavori agricoli, familiari e leggeri
non industriali, aumentato a 16 o 18 per lavori pesanti o pericolosi.

Par. III: Altre considerazioni di diritto civile


Art. 5 c.c. : Atti di disposizione del proprio corpo
“Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionano una diminuzione permanente
dell’integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume”.
Il principio di quest’articolo è una diretta conseguenza del riconoscimento del diritto della persona
all’integrità fisica ed al diritto alla salute (art. 32 della Costituzione).
Esso comporta un’evidente limitazione della capacità di agire dell’individuo, poiché, ad esempio, il consenso
a trattamenti medico-chirurgici è da ritenere non valido o “non legittimo”, quando si riferisce a trattamenti
che, ancorché benefici o vantaggiosi, causino una diminuzione permanente dell’integrità fisica.
Derivano, dunque, importanti conseguenze circa la validità del consenso prestato dal paziente in tema di
facoltà di curare e, soprattutto, in temo di sperimentazione medica. Lo stesso intervento di sterilizzazione a
finalità anticoncezionali, peraltro, trova i suoi limiti di liceità nell’effettiva validità del consenso dell’avente
diritto.
Non risulta, in sostanza, ammissibile il principio “il corpo è mio e ne faccio quel che mi pare” se ciò
contrasta con le regole dell’ordine pubblico, del buon costume o se cagiona una diminuzione permanente
dell’integrità fisica (ma la donazione degli organi tra viventi è considerata lecita, pur essendo vietato il
trapianto di gonade).

Interdizione (art. 414)


“Persone che devono esser interdette. Il maggiore di età ed il minore emancipato, i quali si trovano in
condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, devono
essere interdetti. L’interdizione comporta la perdita della capacità di agire”.
La persona interdetta per infermità di mente non può contrarre matrimonio (art. 85 c.c.), non può stipulare
contratti, non può prestare consenso valido al trattamento medico, non può più gestire il proprio patrimonio;
la capacità di esercitare i propri diritti verrà trasferita sulla persona del tutore (art. 424 c.c.).
Considerazioni circa l’interdizione riguardano:
• Presupposti clinici dell’interdizione
o Infermità di mente
ƒ Malattie mentali e loro esiti
ƒ Anomalie del carattere aventi valore di malattia
ƒ Arresti dello sviluppo psichico
ƒ Difetti congeniti della psiche
ƒ Alterazioni dei processi intellettivi, volitivi e sentimentali

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ƒ NB: in sostanza, non occorre un completo sconvolgimento psichico od uno stato di


assoluta imbecillità o di demenza, né un quadro clinico psichiatrico nosografico; è
sufficiente, invece, una qualsiasi deviazione od alterazione psichica che abbia valore
di infermità, che sia abituale o tale da rendere il soggetto assolutamente incapace di
provvedere ad i propri interessi (esempi sono schizofrenia, tossicodipendenza
cronica, gravi forme di AS cerebrale, etc.)
o Abitualità di infermità di mente: non è necessario che si tratti di un’infermità inemendabile
od irreversibile, né che sia permanente, quanto piuttosto che non sia soggetta a risoluzione in
un prevedibile breve arco di tempo, cioè che sia duratura, anche se non costante. In altre
parole, può riconoscersi anche per quelle infermità che si manifestino con sintomi e segni
clinici a decorso ciclico od episodico (si pensi al disturbo bipolare, ndr): in questi casi
occorre tener conto della durata dei periodi di crisi, che nel complesso deve superare quella
dei periodi di lucidità
o Gravità della stessa: deve essere di grado tale da rendere il soggetto incapace di provvedere
ai propri interessi (soprattutto patrimoniali: in caso di patrimoni considerevoli, basta anche
un deficit modesto). È proprio la gravità che distingue interdizione da inabilitazione
• Tipi di interdizione
o Interdizione giudiziaria: è dichiarata con sentenza da parte del giudice sulla base di un
consulenza tecnica d’ufficio, che deve metter in evidenza natura, grado ed abitualità
dell’infermità mentale
ƒ NB: può esser revocata quando vengano meno le condizioni per i quali l’infermo di
mente è stato interdetto
o Interdizione legale: costituisce la pena accessoria per il condannato, per delitto non colposo,
alla reclusione per un tempo non inferiore ai 5 anni oppure all’ergastolo. In questo caso
rimangono integre:
ƒ Capacità di contrarre matrimonio
ƒ Capacità di riconoscere figli naturali
ƒ Capacità di legittimarli per subsequensmatrimonium
• Art. 419 c.c. : mezzi istruttori e provvedimenti provvisori: non si può pronunziare l’interdizione
senza che si sia proceduto all’esame dell’interdetto o dell’inabilitando

Inabilitazione (art. 415 c.c.)


“Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all’interdizione,
può essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di
bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé e la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno
ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’Articolo 414 quando risulta che essi sono del
tutto incapaci di provvedere ai propri interessi”.
In pratica, così come in penale si distinguono un vizio totale ed un vizio parziale di mente, così in civile,
accanto all’ipotesi della perdita totale della capacità di agire (interdizione), è contemplata un’ipotesi di
perdita parziale (inabilitazione).
L’inabilitato, infatti, può contrarre matrimonio, redigere testamento e svolgere atti della vita civile che non
eccedano l’ordinaria amministrazione. All’inabilitato, inoltre, viene assegnato un curatore, che lo deve
accompagnare nel compito di tutti quegli atti giuridici (eccedenti l’ordinaria amministrazione) che egli non
può compier da solo.
Dal punto di vista della capacità di agire, l’inabilitato si trova in una condizione simile a quella del minore
emancipato.
Altre considerazioni sono:

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• Art. 429 c.c.: Revoca dell'interdizione e dell'inabilitazione:“Quando cessa la causa dell'interdizione o


dell'inabilitazione, queste possono essere revocate su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto
grado o degli affini entro il secondo grado, del tutore dell'interdetto, del curatore dell'inabilitato o su
istanza del pubblico ministero.Il giudice tutelare deve vigilare per riconoscere se la causa
dell'interdizione o dell'inabilitazione continui. Se ritiene che sia venuta meno, deve informarne il
pubblico ministero.Se nel corso del giudizio per la revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione
appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall'amministratore di
sostegno, il tribunale, d'ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice
tutelare”. 
• Art. 432 c.c. : Inabilitazione nel giudizio di revoca dell'interdizione: “L'autorità giudiziaria che, pur
riconoscendo fondata l'istanza di revoca dell'interdizione, non crede che l'infermo abbia riacquistato
la piena capacità, può revocare l'interdizione e dichiarare inabilitato l'infermo medesimo.Si applica
anche in questo caso il primo comma dell'articolo precedente.Gli atti non eccedenti l'ordinaria
amministrazione, compiuti dall'inabilitato dopo la pubblicazione della sentenza che revoca
l'interdizione, possono essere impugnati solo quando la revoca è esclusa con sentenza passata in
giudicato”
• Art. 418 c.c. : Poteri dell'autorità giudiziaria: “Promosso il giudizio di interdizione, può essere
dichiarata anche d'ufficio l'inabilitazione per infermità di mente.Se nel corso del giudizio
d'inabilitazione si rivela l'esistenza delle condizioni richieste per l'interdizione, il pubblico ministero
fa istanza al tribunale di pronunziare l'interdizione, e il tribunale provvede nello stesso giudizio,
premessa l'istruttoria necessaria.Se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare
opportuno applicare l'amministrazione di sostegno, il giudice, d'ufficio o ad istanza di parte, dispone
la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per
l'interdizione o per l'inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma
dell'articolo 405”.
• Art. 415: Persone che possono essere inabilitate: “Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del
quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione, può essere inabilitato.
Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche
o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno
ricevuto un'educazione sufficiente, salva l'applicazione dell'articolo 414 quando risulta che essi sono
del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi”. Quindi:
o Infermità mentale abituale, ma di minor gravità rispetto a quella necessaria per l’interdizione
o Sordomutismo o cecità dalla nascita o dalla prima infanzia
o Abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti: deve tradursi in un’alterazione
psichica tale da compromettere la capacità del soggetto di provvedere ai proprio interessi o
da indurlo a compiere atti pregiudizievoli dal punto di vista economica
o Prodigalità: tendenza a spendere eccessivamente od a regalare i proprio beni agli altri con
conseguente grave pregiudizio economico

Incapacità naturale
La minor età, l’interdizione legale e l’interdizione giudiziaria costituiscono situazioni di incapacità ad agire
stabilite dalla legge (incapacità legale).
Quando, invece, si parla di incapacità naturale ci si riferisce a quella persona che, sebbene legalmente
capace, e quindi di maggior età e non interdetta, si trovi in situazioni cliniche tali che la rendono, in un dato
momento, incapace di fatti a comprendere il significato giuridico e le conseguenze dell’atto che compie.

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Secondo l’art. 428 c.c. (atti compiuti da persona incapace di intendere o di volere), “Gli atti compiuti da
persona che, sebbene non interdetta328, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace
d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti possono essere annullati su istanza della
persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore.
L'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o
possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta
la malafede dell'altro contraente.L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l'atto o il
contratto è stato compiuto. Resta salva ogni diversa disposizione di legge.

Incapacità a testare (art. 591 c.c.)


“Possono disporre per testamento tutti coloro che non sono stati dichiarati incapaci dalla legge.
Sono incapaci di testare:
1) coloro che non hanno compiuto la maggiore età;
2) gli interdetti per infermità di mente;
3) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di
intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento.
Nei casi d'incapacità preveduti dal presente articolo il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha
interesse. L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle
disposizioni testamentarie”.

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CAP. 7: VALUTAZIONE DEL DANNO ALLA PERSONA IN


RESPONSABILITA’ CIVILE

Par. I: Caratteristiche generali


Concetto di danno
“Danno” significa, letteralmente (dal latino “demere”), privare un individuo di un bene che gli appartiene:
può consistere nella diminuzione temporanea o permanente del patrimonio e del reddito del danneggiato
oppure nella compromissione della sua stessa integrità e quindi della sua efficienza psicofisica.
Sin poco tempo fa, il risarcimento del danno alla persona era strettamente legato o all’esistenza di un reato
od alla prova effettiva della perdita economico che da esso fosse derivato: ad esempio, in caso di danno ad
un patrimonio elevato, il risarcimento sarebbe stato consistente; in caso di menomazioni, seppur gravi o
gravissime, sarebbe stato relativamente modesto, se il danneggiato non avesse svolto alcuna attività
lavorativa o non avesse potuto dimostrare alcuna capacità reddituale (casalinghe, minori, anziani).
Oggi, la capacità di guadagno e la capacità lavorativa del danneggiato non sono più considerate come unici
parametri di riferimento per la valutazione ed il risarcimento del danno alla persona in responsabilità civile,
né è pregiudiziale la prova del reato per il risarcimento del danno alla salute (non più dunque ascritto ai “reati
non patrimoniali”).
Tutto ciò è avvenuto soprattutto grazie al lavoro di Cesare Gerin, in virtù della sua teoria della validità e
della valorizzazione del contenuto prima di tutto biologico del danno alla persona (danno biologico, danno
alla validità, danno alla salute) e del suo significato e valore “anche” patrimoniale.
Il fondamento giuridico dell’obbligo risarcitorio resta, in ogni caso, l’affermazione preliminare della
responsabilità di chi ha posto in essere la condotta illecita: queste, a sua volta, è fondata sulla preliminare
dimostrazione del danno e quindi sull’accertamento del nesso di causalità giuridico-materiale fra la condotta
illecita considerata e l’evento di danno stesso (responsabilità extra-contrattuale o contrattuale).
Secondo l’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito), “ qualunque atto doloso o colposo che cagiona ad
altri un danno ingiusto, obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno”.

Qualificazioni giuridiche del danno alla persona


• Danno ingiusto (e perciò risarcibile): può esser distinto in 3 categorie
o Danno biologico o danno alla vitalità o danno alla salute (temporaneo o permanente; vedi
dopo)
o Danno patrimoniale:
ƒ Tipologie
• Danno emergente: si tratta della perdita economica sofferta dal danneggiato;
comprende ogni diminuzione del patrimonio della persona considerata
• Danno da lucro cessante: consiste nella diminuita produttività e quindi nel
mancato guadagno conseguito dalla persona danneggiata. È una
conseguenza della riduzione dell’integrità e dell’efficienza psicosomatica
della persona danneggiata (si ricorda che, come vedremo, la
compromissione o menomazione dell’integrità psico-fisica costituisce il
danno biologico). L’invalidità, infatti, può ripercuotersi sulla capacità del
soggetto di espletare l’attività lavorativa già esercitata in precedenza e,
quindi, sulla capacità di guadagno
ƒ Temporalità
• Danno attuale: è quello già realizzatosi e ben obiettivabile
• Danno futuro: deve rispondere ad un criterio di obiettività, di certezza, o
comunque di grane probabilità del suo verificarsi (qualità che non sussistono

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nel danno potenziale, il quale, dunque, non costituisce mai danno


risarcibile).
o Danno non patrimoniale o morale: deve esser risarcito solo quando il fatto che lo produce
costituisce reato o negli altri casi espressamente stabiliti dalla legge. Consiste nel dolore e
nella sofferenza morali e spirituali, che derivano alla vittima dal prodursi del danno, e la sua
definizione è di esclusiva competenza del magistrato

Danno biologico
È il primo dei parametri ML utilizzato ai fini della valutazione complessiva del danno alla persona in
responsabilità civile. Pur essendo, nella pratica, utilizzati i termini di “danno alla salute” e “danno alla
vitalità” utilizzati come sinonimi di danno biologico, essi non lo sono: ad esempio, secondo Cesare Gerin “
una cicatrice cutanea in parti non scoperte del corpo o peggio un intervento demolitore, che però può ridare
quell’efficienza psico-fisica che prima dell’intervento non esisteva, sono danni biologici ma non danni alla
salute.
Con la dizione “danno biologico” si intende, dunque, esprimere un concetto esclusivamente medico, quale è
quello del pregiudizio all’incolumità od all’integrità psico-fisica preesistente indipendentemente da qualsiasi
riferimento o ripercussione sulla capacità di produrre reddito.
Il DL 23/00 n.38 ha definito che “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei
criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai
fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il
danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della
persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla
capacità di produzione del reddito del danneggiato”.
Il danno biologico, dunque, è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione
di reddito del danneggiato; in altre parole, “il danno biologico consiste nella menomazione, permanente o
temporanea, dell’integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali, dinamico-
relazionali, passabili di accertamento e di valutazione ML ed indipendente da ogni riferimento alla capacità
di produrre reddito”.
Quindi, da un punto di vista giuridico, non la sola lesione o meglio la sola menomazione biologica di questo
o quell’organo devono esser considerate ai fini del risarcimento, quanto piuttosto il pregiudizio alla validità
od alla salute che esse comportano.
Pertanto, occorre considerare gli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico: quel che conta, infatti, ai
fini risarcitori è stabilire non solo la compromissione anatomo-funzionale, ma anche le conseguenze che da
quella menomazione biologica derivano sulla capacità di relazione sociale della persona considerata; l’essere
umano, in altre parole, non è mai considerato in modo statico come mera entità biologico-clinica, ma come
persona immersa in una rete di rapporti sociali.
Secondo Gerin, concetto fondamentale del danno biologico è la validità: valido è colui, infatti, che sia pronto
e capace fisicamente, psichicamente e spiritualmente ad espandersi liberamente nell’ambito nell’ambito della
vita di relazione, in maniera coerente alla propria personalità e nel rispetto delle leggi vigenti.
In conclusione, ai fini risarcitori, il primo dei parametri per la valutazione del danno alla persona in RC è il
danno biologico, che deve quindi esprimersi in termini di invalidità e cioè di pregiudizio della validità della
persona considerata; inoltre, ai fini di un’esatta valutazione del grado di invalidità permanente, vanno
precisati sia i cosiddetti aspetti statici sia quelli più propriamente dinamico-relazionali del danno biologico.

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Permanenza del danno: tabelle di valutazione


• Danno transitorio: è il danno i cui effetti sono solo temporanei, cioè si estinguono entro un lasso di
tempo più o meno breve dall’azione o dall’omissione umana illecita considerata
• Permanente: è il danno le cui conseguenze si perpetuano indefinitivamente nel tempo, non essendo
prevedibile il recupero od il ritorno allo status quo ante entro un ragionevole limite di tempo.
Quindi, la qualifica di permanente va intesa come stabile, durevole, protratta a lungo: questo è,
dunque, un giudizio prognostico, che soffre di tutte le incertezze dei pareri di genere
o Art. 2057 c.c.: danni permanenti: “quando il danno alle persone ha carattere permanente la
liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della
natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia, in tal caso il giudice dispone le
opportune cautele”
ƒ NB: non è, in realtà, quasi mai attuato
o Rientrano nel computo dell’invalidità permanente anche il danno estetico, il danno sessuale,
il danno alla capacità di procreare e, insomma, ogni apprezzabile danno ad una qualsiasi
funzione biologica ben delineata ai fini della vita organica o soprattutto di relazione. Va
però precisato che, in genere, la valutazione del danno estetico è rimessa direttamente al
Magistrato giudicante.
o Ogni persona va considerata con semplicemente come la somma di molteplici funzioni
biologiche, ma come individuo dotato di una specifica personalità (studio del danno
personalizzato)
o L’invalidità permanente viene sempre espressa con un numero percentile che indica la
riduzione della complessiva validità psico-fisica del soggetto normale
o L’impiego di tabelle (barèmes) valutative: può esser utile, ma non è mai decisivo, nel senso
che non potrà mai sostituirsi alla critica attività valutativa del consulente. In ogni caso, vi
sono:
ƒ Funzioni indispensabili alla stessa prosecuzione della vita biologica e per le quali
non è configurabile una perdita completa: nervosa, psichica, respiratoria,
cardiocircolatoria, immunitatia, etc.
ƒ Funzioni necessarie ai fini della vita di relazione, importanti nella valutazione della
qualità di vita: visiva, uditiva, fonatoria, vestibolare, prensile, estetica, sessuale, etc.
ƒ NB: la valutazione conclusiva dell’invalidità permanente deve essere espressione
non di sterili conti aritmetici, quanto della effettiva comprensione da parte del
medico valutatore della personalità dell’esaminato e del reale significato invalidante
della o delle menomazioni riscontrate

Invalidità e riabilitazione protesica


Il grado effettivo del recupero funzionale mediante protesi va studiato in ogni caso sotto l’aspetto medico,
chirurgico, tecnico, riabilitativo, psicologico e sociale.
La personalità ed il modo individuale di reagire alla limitazione causata dalla menomazione organica hanno
spesso un ruolo determinante nel condizionare la riuscita della riabilitazione.
In ogni caso, è evidente che il significato invalidante di una menomazione (amputazione) riducibile con
protesi è minore rispetto a quella che non lo è. Si ribadisce, peraltro, che secondo l’art. 5 c.c. e l’art. 32 della
Costituzione, nessuno può esser obbligato a sottoporsi ad un intervento senza avervi liberamente consentito:
quindi, nemmeno un amputato di un arto può esser costretto alla protesi.
Ovviamente, se la persona si è sottoposta al trattamento protesico, occorre tener conto della riduzione del
significato invalidante della menomazione, ottenuta appunto grazie alla protesi: in questo caso, vanno
comunque tenuti in conto il costo delle spese relative agli apparecchi protesici, il grado di tollerabilità
dell’apparecchio protesico, il danno futuro a carico del distretto o dei distretti articolari contigui, etc.

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In definitiva, ai fini valutativi, dovrebbero fornirsi al Magistrato:


• Valutazione del significato invalidante della menomazione non corretta
• Valutazione del significato invalidante della menomazione corretta o correggibile
• Valutazione di tollerabilità ed efficienza della protesi
• Valutazione della durata media della protesi, del suo costo e delle spese necessarie per i rinnovi

Liquidazione del danno biologico


In precedenza, per pervenire ad una giusta valutazione del danno era sufficiente l’applicazione di generali
principi di liquidazione secondo equità e buon senso del giudice: questo “criterio equitativo puro” non è più
in uso perché manca di regole precise. Esso, infatti, può comportare il rischio di decisioni arbitrarie ed
imprevedibili e determinare ingiustificate disparità di trattamento.
Per superare queste difficoltà si è fatto ricorso a:
• Metodo del triplo della pensione sociale: considera come base l’importo corrispondente al triplo
della pensione sociale, lo moltiplica per la percentuale di invalidità residuata e per un coefficiente
relativo all’età dell’infortunato, ottenendo in tal modo il risarcimento del danno biologico
• Metodo del punto elastico secondo la Scuola Pisana: si basa sul “valore punto”; si stabilisce un
importo per ogni punto di invalidità e lo si moltiplica per il grado di invalidità residuata. L’importo
del punto viene determinato in base ad una rilevazione statistica delle liquidazioni effettuate negli
anni precedenti, opportunamente aggiornate.
La nozione di punto come sistema liquidatorio del danno biologico deve essere quella del punto
articolato flessibile: infatti, per non irrigidire il sistema, fu prevista una flessibilità fino al 50% del
valore punto, così da permettere l’adeguamento del riconoscimento alla peculiarità della fattispecie,
sulla base della raccomandazione della Corte Costituzionale, secondo cui la determinazione del
danno alla salute deve essere personalizzata.
• Sistema del punto tabellare o variabile: derivata dal sistema precedente, è il metodo più utilizzato.
Mantiene l’idea della liquidazione per mezzo del valore punto, ma ne predetermina le oscillazioni in
base a due funzioni fondamentali: la funzione crescente, rappresentata dalla percentuale di invalidità
che fa alzare il valore punto in relazione all’aggravarsi della patologia, e la funzione decrescente, che
lo fa decrescere in proporzione all’anzianità.
Sulla base di questi principi sono state create numerose tabelle:
o Tipologie di tabelle
ƒ Per ogni singolo punto di invalidità permanente
ƒ Su range di punti (1-5%, 6-10%, etc.)
ƒ Per categorie di danno (micropermanenti, danni medi, macropermanenti)
o Tabella del Tribunale di Milano: è la più costante; ad ogni punto di invalidità viene attribuito
un valore monetario crescente e ad ogni fascia d’età è assegnato un moltiplicatore
(inversamente proporzionale all’età)

Par. II: Altre considerazioni


Incapacità lavorativa specifica
Bisogna, infatti, distinguere capacità lavorativa generica, ossia la capacità di espletare una qualsiasi attività
lavorativa, ossia un’azione che non richieda una particolare specializzazione o preparazione o speciali
attitudini. Tuttavia, quest’attività lavorativa generica, per la sua stessa genericità, non esiste e, dunque, si
parlerà sempre di capacità lavorativa specifica, sia temporanea che permanente.
Con tale dizione (incapacità lavorativa specifica) ci si riferisce, dunque, all’incapacità che ha quella
determinata persona di svolgere quella determinata attività lavorativa.
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Si ricorda che, secondo Gerin, “tutti i lavori sono specifici: anche il lavoro di manovalanza, non qualificato, è
un lavoro specifico, che richiede speciali qualità fisiche che non sono di tutti”.
È utile, comunque, chiedersi se quella persona potrà continuare o meno a svolgere la sua attività
professionale, se quella persona sia capace di svolgere un altro lavoro che appartenga alla sua stessa categori
professionale o no.
Quindi, si stabilirà, dopo esame clinico dell’ammalato e valutazione prognostica, se e come quella
menomazione, della quale si è precisato l’esatto valore invalidante, si ripercuote sfavorevolmente,
limitandola, sulla capacità lavorativa specifica.
Secondo Gerin, si potrà dunque realizzare una delle seguenti ipotesi:
• Invalidità senza ripercussione sull’attività lavorativa esercitata
• Invalidità con ripercussioni sull’attività lavorativa con incompatibilità parziale
• Invalidità incompatibile con l’attività professionale esercitata, ma compatibile con professioni della
stessa categoria
• Invalidità incompatibile con l’attività professionale esercitata e con professioni della stessa
categoria, ma compatibile con altre categorie professionali
• Invalidità incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa
• NB: in conclusione, sempre secondo Gerin, occorre tener distinte “le due valutazioni, quella di
invalidità e quella di incapacità lavorativa, lasciando al magistrato di fissare per quest’ultima la cifra
percentuale, in base sia agli elementi biologico-professionali, fornitigli dal perito, sia ad elementi
economico-sociali di competenza non medica”

Incapacità di guadagno
Capacità di guadagno significa capacità di utilizzare o sfruttare economicamente la propria forza lavora,
determinata da fattori intrinseci ed estrinseci (economico-ambientali).
Dunque, la valutazione della capacità di guadagno è sempre preceduta dalla definizione dell’invalidità e della
validità residua.

Danno estetico
• Danno fisionomico: riguarda il volto ed ha rilevanza penale (sfregio); in sede civile, invece, ogni
danno alla funzione fisionomica va considerato come danno fisiognomico
• Danno fisiognomico: la funzione fisiognomica è la funzione estetica della donna, svolta non solo dai
tratti estetici del volto, ma anche dalle proprietà estetiche del corpo tutto (anche olfatto, ad esempio.
Il danno alla funzione fisiognomica, proprio perché visibile ictu oculi (a colpo d’occhio” è rimesso
alla valutazione diretta del Magistrato

Danno morale
Riguarda il Magistrato.

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CAP. 8: TUTELA DELLA SALUTE MATERNO-FAMILIARE

Par. I: Caratteristiche generali


Consultori familiari
• Art. 1 legge 405 29/7/75: Il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità ha come scopi:
o a) l'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità
responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica
minorile;
o b) la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla
coppia e da singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni
etiche e dell'integrità fisica degli utenti;
o c) la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento;
o d) la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza
consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso.
• Art. 2 legge 194 22/5/78: “i consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo
restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi
sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro
a tutela della gestante;
c) attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle strutture sociali operanti
nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i
quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della
gravidanza.
I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti
dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del
volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi
necessari per conseguire lefinalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è
consentita anche ai minori”.

Diritto alla vita


Tra i diritti inviolabili dell’uomo, riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della Costituzione, rientra il diritto alla
vita, inteso come diritto all’esistenza individuale, presupposto indispensabile per l’acquisizione di tutti gli
altri che lo Statuto garantisce alla persona. La tutale di questa fondamentale diritto ha inizio sin da quando
l’essere umano comincia ad esistere e questo implica anche il diritto del feto di vivere e perciò anche di
nascere.
Dal punto di vista giuridico parlare di diritti presuppone sempre l’esistenza di una persona fisica e dunque la
nascita: da un punto di vista medico la vita umana comincia dal momento stesso del concepimento. Si tratta
di un valore assoluto, di un diritto fondamentale ed inalienabile, le cui uniche deroghe sul piano giuridico
sono quelle contenute nella legge sull’interruzione volontaria di gravidanza.

Fecondazione assistita (art. 42 Codice Deontologico)


“Le tecniche di procreazione umana medicalmente assistita hanno lo scopo di ovviare alla sterilità.
E’ fatto divieto al medico, anche nell’interesse del bene del nascituro, di attuare:
a) forme di maternità surrogata;

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b) forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili;


c) pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce;
d) forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner.
E’ proscritta ogni pratica di fecondazione assistita ispirata a pregiudizi razziali; non è consentita alcuna
selezione dei gameti ed è bandito ogni sfruttamento commerciale, pubblicitario, industriale di gameti,
embrioni e tessuti embrionali o fetali, nonché la produzione di embrioni ai soli fini di ricerca.
Sono vietate pratiche di fecondazione assistita in studi, ambulatori o strutture sanitarie privi di idonei
requisiti”.

Par. II: Legge 22 maggio 1978 n. 194: Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria di gravidanza
Premessa
• Art. 1 (contro la limitazione delle nascite): “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e
responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo
delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze,
promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo
aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”
• Particolare attenzione va posta all’interruzione cosiddetta “urgente” della gravidanza, che ricorre
quando sussista imminente pericolo per la vita della donna, al comportamento da seguire nei casi di
possibilità di vita autonoma del feto, all’interruzione della gravidanza nel caso della minore o di
donna psichicamente incapace

Interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni: le motivazioni


Secondo l’art. 4 della legge 194, “per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni,
la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità
comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o
alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a
previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi
dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò
abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”.
In pratica, nei primi 90 giorni la decisione di abortire spetta unicamente alla donna: per la loro varietà e per il
numero delle motivazioni, entro il primo trimestre l’interruzione potrà esser sempre ottenuta, sebbene con la
necessaria osservanza delle modalità stabilite dalle legge.
L’interruzione della gravidanza deve essere sempre volontaria (IVG d’ora in avanti): se il consenso viene
estorto con violenza o minacce, è prevista la reclusione da 4 a 10 anni per chi pratica l’aborto (quindi, il
medico dovrà attentamente valutare le reali motivazioni, anche psicologiche, alla base della scelta).
Sebbene l’indiscusso risultato delle legge sia stato quello di aver efficacemente contrastato il fenomeno
dell’aborto clandestino, rimangono alcune problematiche, come la reale distinzione semiologico tra periodo
embrionale (< 90 giorni) e fetale (> 90 giorni), soprattutto in caso di informazioni alterate riguardo al
momento del concepimento e quindi circa l’epoca concezionale e gestazionale.

Procedura e doveri del medico di fronte alla donna che chiede IVG entro i primi 90 giorni
Secondo l’art. 5 della legge 194, “il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i
necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di
interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari
sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta,
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nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito,
le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla
interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di
promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia
durante la gravidanza sia dopo il parto.
Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel
rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove
la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come
padre del concepito, anche sulla base dell'esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la
determinano a chiedere l'interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi
di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie.
Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l'esistenza
di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante
l'urgenza.
Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione
della gravidanza.
Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell'incontro il medico del consultorio o della struttura
socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla
base delle circostanze di cui all'articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna,
attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i
sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento
rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate”.
In definitiva, il medico è tenuto ad accertare e certificare:
• Identità della donna
• Esistenza della gravidanza
• Epoca della stessa
• Richiesta e motivi > attività dissuasiva
• Avvenuta informazione sui consultori, sulle strutture socio-sanitarie od ospedaliere dove, trascorsi i
7 giorni, la donna potrà rivolgersi
• Data del rilascio, così da certificare che la donna ha chiesto l’interruzione all’epoca indicata
• NB: nel caso di coppia sposata, l’interruzione della gravidanza da parte della donna senza il
consenso del marito può esser ritenuta ingiuria grave ai fini dell’eventuale giudizio
sull’addebitabilità della separazione

IVG in caso di malformazioni fetali


È introdotto l’aborto profilattico o preventivo, il quale non mira a potenziare intrinseche caratteristiche
eugenetiche della popolazione (aborto eugenetico), ma consente alla donna di impedire la nascita di individui
affetti da malattie ereditarie o da anomalie e difetti congeniti e ciò anche al fine di ridurre il pericolo ed il
peso economico connessi alla presenza nella famiglia e nella società di individui improduttivi e bisognosi di
un’assistenza continua.
L’aborto preventivo può esser giustificabile, dopo il 90° giorno, quando la studio prenatale del feto fornisca
la certezza od un elevato grado di probabilità di gravi ed irrimediabili malattie congenite del concepito; ma
assai discusso e pericoloso diviene il discorso quando il rischio è solo ipotetico e basato su un criterio
esclusivamente statistico e previsionale, come stabilito per la gravidanza entro il 90° giorno.

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IVG dopo il 90° giorno


Secondo l’art. 6 della l. 194, “L'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può
essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del
nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
• Esempi di patologie gravi per la madre
o Ipertensione arteriosa grave
o DM
o Obesità
o Cardiopatia cianogena
o Anemia
o Abuso di alcol o di sostanze stupefacenti
o Gestosi
• Indicazioni chirurgiche all’interruzione di gravidanza
o Cancro dell’utero
o Cancro della mammella
o Cancro gastrico
o Ulcera gastro-duodenale
• Per i processi patologici del feto è necessario l’accertamento (vedi art. 7)

IVG in caso di imminente pericolo per la vita della donna


Secondo l’art. 7, “i processi patologici che configurino i casi previsti dall'articolo precedente vengono
accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell'ente ospedaliero in cui deve praticarsi
l'intervento, che ne certifica l'esistenza. Il medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico
è tenuto a fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario
dell'ospedale per l'intervento da praticarsi immediatamente.
Qualora l'interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna,
l'intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e
al di fuori delle sedi di cui all'articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico
provinciale.
Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata
solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura
idonea a salvaguardare la vita del feto”.
L’eventuale obiezione di coscienza da parte del personale sanitario non può mai esser invocata quando la
donna versi in condizioni di pericolo di vita.

IVG in minore età


La decisione di abortire rientra tra gli atti di disposizione del proprio corpo (art. 5 c.c.) ed è pertanto
necessaria la maggior età: l’eventuale autonoma decisione di abortire della minore non può, dunque, tradursi
in un consenso valido a praticare l’interruzione.
È, infatti, necessario in ogni caso l’assenso dei genitori o di chi ne esercita la tutela o la potestà. Il consenso
di uno solo dei genitori, inoltre, non basta.
Secondo l’art. 12, infatti, “la richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della presente
legge è fatta personalmente dalla donna. Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l'interruzione
della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei
primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle

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persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri
tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le
procedure di cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio
parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna
e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la
donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.
Qualora il medico accerti l'urgenza dell'intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di
diciotto anni, indipendentemente dall'assenso di chi esercita la potestà o la tutela e senza adire il giudice
tutelare, certifica l'esistenza delle condizioni che giustificano l'interruzione della gravidanza. Tale
certificazione costituisce titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento e, se necessario, il ricovero. Ai fini
dell'interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, si applicano anche alla minore di diciotto anni
le procedure di cui all'articolo 7, indipendentemente dall'assenso di chi esercita la potestà o la tutela”.
Se il giudice negherà l’autorizzazione, la donna potrà fare ricorso al tribunale dei minori.
In caso di pericolo di vita, oltre i 90 giorni la procedura è identica a quella della maggiorenne.

IVG ed interdizione (art. 13)


“Se la donna è interdetta per infermità di mente, la richiesta di cui agli articoli 4 e 6 può essere presentata,
oltre che da lei personalmente, anche dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato.
Nel caso di richiesta presentata dall'interdetta o dal marito, deve essere sentito il parere del tutore. La
richiesta presentata dal tutore o dal marito deve essere confermata dalla donna.
Il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, trasmette al giudice tutelare,
entro il termine di sette giorni dalla presentazione della richiesta, una relazione contenente ragguagli sulla
domanda e sulla sua provenienza, sull'atteggiamento comunque assunto dalla donna e sulla gravidanza e
specie dell'infermità mentale di essa nonché il parere del tutore, se espresso.
Il giudice tutelare, sentiti se lo ritiene opportuno gli interessati, decide entro cinque giorni dal ricevimento
della relazione, con atto non soggetto a reclamo.
Il provvedimento del giudice tutelare ha gli effetti di cui all'ultimo comma dell'articolo 8”.

IVG e possibilità di vita autonoma del feto


Ove esista la possibilità (età minima di vita uterina di 180 giorni), fermo restando che l’interruzione può
esser praticata solo quando la gravidanza od il parto comportino un grave pericolo di vita, il medico che
esegue l’intervento deve fare tutto il necessario per salvare la vita del feto.
La finalità è la salvaguardia della vita e della salute della donna, non la soppressione del prodotto del
concepimento: quindi, ove esista la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione dovrà esser praticata
rispettando e salvaguardando anche il diritto alla vita del nascituro.

Obiezioni di coscienza
Consiste nel rifiuto motivato da ragioni etiche e di coscienza di adempiere ad un obbligo imposto dalla legge:
secondo l’art. 9, infatti, “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte
alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi
obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata
al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al
direttore sanitario, entro un mese dall'entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della
abilitazione o dall'assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della
gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l'esecuzione di tali
prestazioni.

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L'obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente
comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico
provinciale.
L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle
procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della
gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento.
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle
procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti
secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche
attraverso la mobilità del personale.
L'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie
quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita
della donna in imminente pericolo.
L'obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l'ha sollevata prende parte a
procedure o a interventi per l'interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di
cui al comma precedente”.

Par. III: Altre considerazioni


Aborto illegale ed aborto criminoso
• Aborto illegale: è quello effettuato da donna consenziente senza tener conto dei dettami della legge
194, ossia quando:
o È stato ottenuto senza osservare le regole ed i limiti imposti dalla legge
o È stato effettuato al di fuori delle sedi autorizzate
ƒ NB: le pene sono maggiori per l’esecutore che per la donna, per la quale è prevista
solo una multa
• Aborto criminoso: l’interruzione della gravidanza o è una conseguenza della lesione personale
(dolosa o colposa) o è ottenuta mediante azione dolosa del soggetto attivo diretta ad interrompere la
gravidanza senza o contro il consenso della donna. Quindi, elementi decisivi sono:
o Azione del colpevole
o Assenza del consenso
o Verificarsi dell’evento abortivo
o Nesso di causalità tra azione ed evento

Diritto all’anonimato
L’ospedale, la struttura socio-sanitaria, il consultorio od il medico di fiducia della donna devono garantire il
diritto all’anonimato: quindi, non devono essere segnalate le generalità della persona che abbia effettuato
l’interruzione (altrimenti si è imputabili di delitto di rivelazione di segreto professionale o di segreto
d’ufficio).

Codice deontologico (art. 41)


“L'interruzione della gravidanza, al di fuori dei casi previsti dalla legge, costituisce grave infrazione
deontologica tanto più se compiuta a scopo di lucro.
Il medico obiettore di coscienza, ove non sussista imminente pericolo per la vita della donna, o, in caso di
tale pericolo, ove possa essere sostituito da altro collega altrettanto efficacemente, può rifiutarsi d'intervenire
nell'interruzione volontaria di gravidanza”.

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Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità
• Art. 2: Ai fini del presente testo unico: 
a) per "congedo di maternita'" si intende l'astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice;
b) per "congedo di paternita'" si intende l'astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al
congedo di maternita';
c) per "congedo parentale", si intende l'astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore;
d) per "congedo per la malattia del figlio" si intende l'astensione facoltativa dal lavoro della
lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa;
e) per "lavoratrice" o "lavoratore", salvo che non sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti,
compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di
lavoro nonche' i soci lavoratori di cooperative.
• Art. 6:
o 1. Il presente Capo prescrive misure per la tutela della sicurezza e della salute delle
lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di eta' del figlio, che hanno
informato il datore di lavoro del proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti, fatto
salvo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 8.
o 2. La tutela si applica, altresi', alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in
affidamento, fino al compimento dei sette mesi di eta'.
o 3. Salva l'ordinaria assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario
nazionale, le lavoratrici, durante la gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie
pubbliche o private accreditate, con esclusione dal costo delle prestazioni erogate, oltre che
delle periodiche visite ostetrico-ginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela
della maternita', in funzione preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale, previste dal
decreto del Ministro della sanita' di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a), del decreto
legislativo 29 aprile 1998, n. 124, purche' prescritte secondo le modalita' ivi indicate.
• Art. 7
o 1. E' vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonche' ai lavori
pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati
dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026,
riportato nell'allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con i Ministri della sanita' e per la solidarieta' sociale, sentite le parti
sociali, provvede ad aggiornare l'elenco di cui all'allegato A.
o 2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di
esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell'elenco di cui all'allegato B.
o 3. La lavoratrice e' addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale e' previsto il divieto.
o 4. La lavoratrice e', altresi', spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del
Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di
lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.
o 5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione
corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonche' la qualifica originale. Si
applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la
lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori.
o 6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del
Ministero del lavoro, competente per territorio, puo' disporre l'interdizione dal lavoro per
tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all'articolo 17.
o 7. L'inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 e' punita con l'arresto
fino a sei mesi.

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• Art. 8
o 1. Le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attivita' in zone classificate o,
comunque, essere adibite ad attivita' che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che
ecceda un millisievert durante il periodo della gravidanza.
o 2. E' fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di
gravidanza, non appena accertato.
o 3. E' altresi' vietato adibire le donne che allattano ad attivita' comportanti un rischio di
contaminazione
• Art. 16: E' vietato adibire al lavoro le donne:
o a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo
20;
o b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la
data effettiva del parto;
o c) durante i tre mesi dopo il parto;
o d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data
anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di
maternita' dopo il parto

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CAP. 9: INVALIDITA’ CIVILE

Par. I: Caratteristiche generali


Premessa
Nel sistema di sicurezza sociale si delineano due fondamentali ordini di intervento da parte dello Stato a
favore del cittadino che versi in situazioni di bisogno:
• interventi previdenziali (INPS, INAIL) rivolti ai lavoratori beneficiari di assicurazioni sociali, il cui
finanziamento è di tipo contributivo
• interventi di tipo assistenziale ed economico, rivolti ai cittadini (anche non lavoratori) invalidi
(invalidi civili) non altrimenti tutelati ed il cui finanziamento è garantito dallo Stato. Sono quindi
esclusi dal novero degli invalidi civili: invalidi di guerra, invalidi del lavoro, invalidi per cause
pensionabili INPS, ciechi e sordomuti, per i quali provvedono specifici disposti di legge

Definizione
Secondo l’art. 2 L. 30/03/1971 n.118, si considerano mutilati ed invalidi civili: cittadini affetti da minoranza
congenita od acquisita, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di
carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, che
abbiano subito una permanente riduzione della capacità lavorativa in misura non inferiore ad un terzo, se si
tratta di persone di età compresa tra 18 e 65 anni; oppure, se si tratta di minori di 18 anni o di
ultrasessantacinquenni, se abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro
età.
Quindi, si nota che non vi rientrano i malati psichiatrici in quanto rinchiusi nei manicomi nel 1971 (oggi
negli OPG).

Accertamento dell’invalidità permanente


L’art. 1 del DL 23.11.1988. n.509 precisa che “le menomazioni congenite od acquisite di cui alla L. n.118
comprendono gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportino un danno
funzionale permanente”:
• Parametri di giudizio per la valutazione dell’invalidità civile nelle persone di 18-65 anni:
o Danno funzionale persistente: Capacità lavorativa: si dovrà verificare caso per caso come
quelle accertate infermità mentali e menomazioni si ripercuotano sulla capacità lavorativa
specifica o sulla capacità di lavoro della persona esaminata in occupazioni confacenti alle
sue attitudini
ƒ NB: per capacità di lavoro si intende la potenzialità ad espletare una o più attività
qualora sussistano caratteristiche ben delineate, sia biologiche, sia attitudinali, sia
professionali
o Tabelle di legge e sistema valutativo tabellare
• Perché la persona rientri nella categoria degli invalidi civili è la prova della permanente riduzione
della capacità di lavoro in misura non inferiore ad un terzo in caso di persone di 18-65 anni. Per le
altre fasce d’età si fa riferimento alle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie
dell’età
• Gradi di invalidità
o Invalidita> 33%: la persona ha diritto alla qualifica di invaludo civile e quindi alla
concessione eventuale di prestazioni protesiche od ortopediche
o Invalidità > 45%: la persona ha diritto all’iscrizione nelle liste speciali per l’assunzione
obbligatoria al lavoro
o Invalidità > 74%: ha diritto all’assegno mensile come invalido parziale

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ƒ NB: non paga i ticket sanitari


o Invalidità = 100%: ha diritto alla pensione di inabilità come invalido totale
ƒ NB: non paga neanche la ricetta
o Invalidità =100% e soggetto non deambulante o non autosufficiente: ha diritto anche
all’indennità di accompagnamento

Difficoltà persistente a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età dei minori e negli anziani
In questi casi non ha significato condizionare il giudizio sull’invalidità alla valutazione della residua capacità
di lavoro delle persone esaminate. Si tratta, infatti, di soggetti che non svolgono alcuna attività lavorativa o
che si presume non abbiano ancora delineata alcuna attitudine al lavoro.
Quindi, per essi si prefigura un riferimento valutativo alle difficoltà a persistenti a svolgere i compiti e le
funzioni proprie dell’età considerata: pertanto, il minore o l’anziano hanno diritto di essere riconosciuti
invalidi civili allorché presentino difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni tipiche della loro età
ed è perciò evidente che deve trattarsi di una difficoltà obiettivamente grave.

Indennità di accompagnamento per gli invalidi civili


Si tratta di un beneficio economico concesso ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili (100%) per
affezioni fisiche o psichiche, nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie abbiano accertato che si
tratti di persone che si trovino nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un
accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbiano bisogno di
un’assistenza continua. Basta una sola delle due condizioni.

Pensione di inabilità per invalidi civili


La pensione di inabilità viene concessa ai mutilati ed agli invalidi civili di età superiore ai 18, nei cui
confronti la sede di visita medico-sanitaria sia stata accertata una totale inabilità lavorativa (100%).
Al compimento del 65° anno, in sostituzione di tale pensione, viene corrisposta da parte dell’INPS la
pensione sociale. Se però l’importo di tale pensione è inferiore a quello spettante come pensione di inabilità,
verrà corrisposta la differenza a titolo di assegno ad personam.

Assegno mensile di assistenza (assegno di invalidità)


È una prestazione economica concessa ai mutilati ed invalidi civili di età compresa fra i 18 ed i 65 anni che
abbiano una riduzione della capacità lavorativa nella misura superiore al 74% ed incollocabili al lavoro.

Indennità di frequenza
Si tratta di una prestazione mensile concessa ai mutilati ed invalidi civili minori di 18 anni, che presentino
difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, nonché ai sordi parziali, quando
si riconosce che essi abbiano necessità di frequentare scuole e centri di formazione professionale e
riabilitazione.

Par. II: Particolari categorie di malati


Tutela delle persone affette da cecità totale o parziale
Rientrano nel novero dei ciechi civili solo coloro che lo sono dalla nascita o che lo sono diventati a causa di
malattie ed infortuni, ma non quelli che lo sono diventati per cause di guerra, di servizio o di lavoro, per i
quali provvedono altri dispositivi di legge.
La legge 138 del 3.04.2001 definisce:

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• Ciechi totali: hanno pensione ed indennità di accompagnamento per la necessità di assistenza


continua
a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi;
b) coloro che hanno la mera percezione dell'ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli
occhi o nell'occhio migliore;
c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento
• Ciechi parziali:
a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell'occhio
migliore, anche con eventuale correzione (ventimisti: hanno diritto alla pensione di inabilità)
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento (decimisti: hanno diritto
all’assegno di invalidità)
• Ipovedenti
o Gravi
o Medio-gravi
o Lievi

Tutela delle persone affette da sordomutismo


Il sordomuto, quali che siano le cause dell’infermità e l’epoca di esordio, presenta una notevole difficoltà
comunicativa, da cui consegue un notevole handicap nella vita di relazione.
Da un punto di vista ML si considera sordomuto “il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità
congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio
parlato”.
In questi casi, la gravissima limitazione dello sviluppo del linguaggio verbale o la sua assenza totale,
nonostante l’integrità anatomo-funzionale dell’apparato fonatorio, sono una conseguenza della menomazione
uditiva (per questo è considerato sordomuto chi è affetto da sordità congenita od acquisita entro i 12 anni).
Il sordomuto è tabellato con valore fisso di invalidità dell’80%.
L’art. 4 della L. 508/1988 riconosce una specifica indennità, l’indennità di comunicazione, in favore dei
sordomuti minori di 18 anni: tale beneficio vien corrisposto ai soli sordomuti titolari dell’assegno mensile di
assistenza. In sostanza, per poter accedere all’assegno, occorre che si accetti la condizione di sordomutismo e
stabilire che si tratti di sordi prelinguali. In realtà, tale indennità dovrebbe esser corrisposta ogni qualvolta si
accerti una condizione di sordomutismo non educato, ma educabile.
Anche ai sordomuti, infine, può esser rilasciata un’indennità di frequenza incompatibile però con l’indennità
di comunicazione.

Legge 5.02.1992 n. 104: Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone
handicappate
• Art. 1: Finalità: la Repubblica:
a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona
handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella
società;
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il
raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata
alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;
c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e
sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle
minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;
d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona
handicappata.

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• Art. 3: Soggetti aventi diritto: è persona handicappata


1. Colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è
causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare
un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e
alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia
delle terapie riabilitative.
3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in
modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella
sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni
riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici.
4. La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile
dimora nel territorio nazionale. Le relative prestazioni sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni
previste dalla vigente legislazione o da accordi internazionali.
• Art. 4: Accertamento dell’handicap: gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla
necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di
cui all'articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui
all'articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un
esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali.
• Principali diritti riconosciuti alle persone handicappate
o Diritto all’integrazione scolastica
o Diritto all’integrazione lavorativa
o Diritto alla piena integrazione nella vita sociale
o Diritto ad un aiuto personale
o Diritto a risiedere in speciali comunità riabilitative
o Diritto di ottenere appositi spazi per parcheggiare la macchina
o Diritto di accesso all’informazione
o Diritto alla rimozione di ostacoli
o Diritto all’assistenza specialistica

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CAP. 10: INAIL ED ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL


LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI

Par. I: Assicurazioni sociali


Caratteristiche generali
• Nelle assicurazioni sociali (AS) il soggetto assicurante è esclusivamente un ente pubblico (INAIL od
INPS). Nelle assicurazioni private (AP), invece, il soggetto assicuratore è una delle numerose
compagnie private che gestiscono il mercato assicurativo e che sono sottoposte alla vigilanza
dell’ISVAP (istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo)
• Nelle AS l’assicurante è il datore di lavoro, che deve denunciare l’inizio del rapporto di lavoro del
dipendente e deve “assicurare” quest’ultimo, pagando nei modi e nei tempi stabiliti i contributi
fissati dalla legge (le assicurazioni sociali sono obbligatorie). Nelle assicurazioni libere, invece, a
sottoscrivere la polizza è in genere un cittadino privato
• Nelle AS le prestazioni erogate sono automatiche (con le dovute riserve concernenti il previo
accertamento dei requisiti contributivi per i lavoratori autonomi e l’invalidità, la vecchiaia e la
tubercolosi).
Al realizzarsi del rischio esse sono concesse al lavoratore dipendente in ogni caso, anche quando il
datore di lavoro non ha adempiuto né agli obblighi di denuncia all’inizio del rapporto di lavoro né
agli obblighi contributivi.
Perciò, mentre le AP, ai fini della validità della garanzia assicurativa e del diritto alle prestazioni, p
necessario che l’assicurato fornisca la prova sul pagamento del premio di polizza, per le AS basta
che il lavoratore abbia assunto regolarmente il servizio.
• Le AS esulano da ogni intento di lucro e perseguono finalità di sicurezza sociale, a differenza delle
AP, regolate da norme di diritto commerciale e sottostanti alle leggi di mercato e del profitto
• Le prestazioni economiche e sanitarie nel regime previdenziale sono erogate sulla base di criteri
uniformi e correlate alla gravità del danno biologico e delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli
che eventualmente ne derivano; nelle AP, invece, le prestazioni sono in genere di carattere
economico e variano a seconda dei massimali garantiti dalla polizza
• Con le AS si tende non solo ad indennizzare i danni che derivano al lavoratore dagli eventuali eventi
pregiudizievoli che lo colpiscono, ma si pone in opera ogni mezzo idoneo a conservare od a
ripristinare la sua validità, la sua capacità produttiva nonché a prevenire l’insorgenza di nuovi eventi
dannosi e le situazioni di rischio. Ciò perché le AS fanno parte integrante del sistema di sicurezza
sociale: perseguono scopi preventivi, assistenziali e riabilitativi

AS contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali


Il testo unico per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro del 1965 stabilisce l’obbligo
dell’assicurazione contro i danni (fisici ed economici) che il lavoratore subisce a causa di infortuni sul lavoro
e malattie professionali; peraltro, lo stesso testo stabilisce che “l’assicurazione è esercitata, anche con forme
di assistenza e di servizio sociale, dall’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
(INAIL).
L’INAIL, costituito nel 1933, è stato ridefinito dalla legge 88/89, secondo cui è un “ente pubblico erogatore
di servizi, destinato a svolgere le funzioni attribuitegli con criteri di economicità e di imprenditorialità
adeguando autonomamente la propria organizzazione alle esigenze di efficiente e tempestiva acquisizione
dei contributi e di erogazione delle prestazioni, realizzando una gestione del patrimonio mobiliare ed
immobiliare, che assicuri un idoneo rendimento finanziario”.

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Nel Testo Unico 1124/65 e nelle tabelle allegate sono indicati i lavoratori che devono essere assicurati, le
percentuali di inabilità delle diverse menomazioni permanenti e le malattie professionali indennizzabili.
Oggi la tutela è estesa anche ad i lavoratori domestici, alle casalinghe, ai medici radiologi etc.; recentemente,
inoltre, il DL vo 38/2000 ha introdotto la tutela del danno biologico anche in ambito INAIL, con una nuova
tabella valutativa articolata in due distinti allegati, uno per la valutazione del danno otoiatrico e l’altro
contenente due ulteriori tabelle valutative relative alla patologia respiratoria.

Par. II: Nozione di infortunio sul lavoro


Caratteristiche generali
L’art. 2 del TU stabilisce che “l’assicurazione comprende tutti i casi di infortuni avvenuti per causa violenta
in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte od un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale,
ovvero una inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione al lavoro per più di 3 giorni”.
Per gli eventi infortunistici e le malattie professionali denunciate dopo il 25.07.2000, al posto dell’inabilità
permanente viene considerato il danno biologico, allorché superi il limite di franchigia (6%) con le eventuali
conseguenze patrimoniali.
Vengono considerate “infortunio sul lavoro” (e non malattia professionale) l’infezione carbonchioso e le
malattie dovute all’azione di un agente patogeno (causa virulenta = causa violenta).
Pur se in genere accidentale o fortuito, l’infortunio sul lavoro può verificarsi anche per dolo o per colpa di
terzi, ma senza che per ciò venga meno la finalità di lavoro (occasione di lavoro), che rende l’infortunio
indennizzabile.
Infatti, in ipotesi di infortunio sul lavoro, una volta accertata la mancata adozione, da parte del datore di
lavoro, delle misure di sicurezza, va ritenuta la piena responsabilità datoriale, con conseguente obbligo di
integrale risarcimento del danno biologico, del danno morale e delle spese mediche, indipendentemente
dall’eventuale concorso di colpa del lavoratore infortunato, che non vale ad escludere la responsabilità
datoriale, a meno che non si concreti in una condotta totalmente estranea alla prestazione lavorativa e, come
tale, assolutamente inopinabile ed imprevedibile.
Ove, invece, l’infortunio derivi da un comportamento del lavoratore estraneo alle finalità di lavoro, l’evento
non sarà considerato infortunio indennizzabile, perché verrà a mancare uno dei suoi requisiti fondamentali,
ossia l’occasione di lavoro.
Infine, nel caso di dolo del lavoratore, “l’assicurato, il quale abbia simulato un infortunio od abbia
dolosamente aggravato le conseguenze di esso, perde il diritto ad ogni prestazione, fermo rimanendo le pene
stabilite dalla legge”.
In conclusione, gli elementi costitutivi della figura giuridica dell’infortunio indennizzabile INAIL (analizzati
singolarmente in seguito) sono:
• Esistenza del rischio (specifico o generico aggravato)
• Causa violenta
• Occasione di lavoro
• Danno lavorativo per eventi antecedenti il 25.07.2000
• Danno biologico e le sue eventuali conseguenze patrimoniali per eventi successivi detta data

Esistenza del rischio: il concetto di rischio nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro
Uno dei principali attributi dell’infortunio indennizzabile è la sua imprevedibilità specifica concreta: in altre
parole, deve sussistere il rischio, intendendosi con tale termine il grado di probabilità del verificarsi di un
evento dannoso incerto sul se, sul come, sul quando e sul chi.

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Ai fini della tutela previdenziale non basta la sola dimostrazione dell’esistenza di un rischio generico: deve
trattarsi di un rischio lavorativo o di rischio protetto, nel senso che il lavoro deve esso stesso condizionare ed
in qualche modo aggravare la natura e l’entità del rischio
• A seconda, inoltre, del maggior o minor grado del rischio, gli eventi infortunistici possono esser in
generale distinti in diverse categorie:
o Eventi impossibili a realizzarsi: il rischio di quell’evento in quell’ambiente di lavoro è pari a
zero
o Eventi possibili: l’evento può accadere
o Eventi probabili
o Eventi certi
• Categorie tecnico-assicurative di rischio:
o Rischio generico: indica la semplice possibilità del verificarsi di un evento dannoso (ad
esempio, tutti sono sottoposti al rischio di un terremoto o di un fulmine)
o Rischio generico aggravato: sussiste la probabilità del verificarsi dell’evento stesso. Tale
maggior probabilità del rischio deriva dalla stessa attività espletata, che costringe il
lavoratore ad esporsi maggiormente a determinati fattori di rischio (manutenzione di strade,
più esposti al rischio di incidenti stradali)
o Rischio specifico: esiste un’elevata probabilità del verificarsi del danno: si tratta di un
rischio che grava soltanto su coloro che svolgono una certa attività e quindi dipende proprio
dalle particolari caratteristiche dell’attività espletata (lavoratore addetto alla bonifica di
campi minati od alla preparazione di gas o sostanze tossiche)
o NB: perché sussista la tutela previdenziale occorre che il lavoro abbia prodotto almeno un
aggravamento del rischio generico, che si tratti, cioè, di rischio aggravato o rischio specifico.
Presupposti fondamentali per l’intervento sono:
ƒ Espletamento dell’attività protetta
ƒ Esistenza di un valido nesso di causalità fra antecedente lesivo e danno lavorativo o
biologico (principio della presunzione di pericolosità e dell’esistenza del rischio nel
caso si tratti di lavorazioni protette)

Occasione di lavoro
A giustificare la tutela previdenziale è il particolare collegamento fra danno lavorativo ed attività prestata
(attività protetta): questa, nell’ambito dell’assicurazione contro gli infortuni, non è di per se stessa causa del
danno, come è invece nel caso della malattia professionale.
Il lavoro costituisce la condizione per la quale la causa violenta può agire ed agisce sulla persona del
lavoratore.
Occasione non sta dunque a significare un rapporto di derivazione diretta come da causa ad effetto tra lavoro
e danno, quanto invece un rapporto più ampio (rapporto “occasionale”, “atmosfera lavorativa” secondo il
Gerin), nella quale si verifica l’incontro tra causa violenta e corpo umano.
Non basta, tuttavia, la semplice correlazione cronologica o topografica od un collegamento solo marginale
fra attività lavorativa e sinistro: l’evento dannoso deve dipendere direttamente dal rischio (generico
aggravato o specifico) inerente l’attività espletata e deve quindi accadere in stretta connessione con il
perseguimento delle specifiche finalità di lavoro.
Occasione significa, in conclusione, soprattutto “finalità di lavoro”.

Infortunio in itinere
È l’infortunio che il lavoratore subisce nell’andare dalla propria abitazione verso il luogo di lavoro o nel
ritornare da esso: se esposto al solo rischio generico nel corso del tragitto, l’eventuale infortunio sarà escluso

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dalla tutela assicurativa. Se, invece, la prestazione lavorativa, comporta un aggravamento del rischio (rischio
generico aggravato o rischio specifico), sarà lecito parlare di infortunio indennizzabile.
“Salvo il caso di interruzioni o deviazioni del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate,
l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di
andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante ilnormale percorso che collega due luoghi
di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale ,
durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei
pasti.
L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad
esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.
L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano,
in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso
non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione inoltre non opera nei confronti del
conducente sprovvisto della prescritta abilitazione alla guida“.

Concetto di causa violenta


Per causa violenta s’intende qualsiasi fattore od antecedente lesivo che produca il danno protetto (dannosità),
agendo dall’esterno sul corpo umano (esteriorità), in modo sufficientemente inteso (violento) e rapido nel
tempo (concentrata).
Bisogna, dunque, considerare:
• Esteriorità: la causa del danno deve agire dall’esterno (ab extrinseco) e deve derivare dall’ambiente
di lavoro. Anche lo sforzo effettuato dal lavoratore per vincere determinare resistenze può possedere
le caratteristiche di esteriorità e di intensità proprie della causa violenta
• Natura della causa: tra le più frequenti ipotesi di causa violenta vi sono:
o Cause lesive di tipo fisico (energia meccanica) o chimico
o Energia elettrico, EM, termica od acustica
o Sostanze tossiche
o Cause infettive
o Cause psichiche
• Intensità lesiva: la causa deve essere idonea quantitativamente a provocare l’effetto dannoso
• Modalità d’azione della causa

La causa si considera “violenta” quando agisce in modo rapido e concentrato nel tempo: l’unità cronologica
di misura è il turno lavorativo. Si considera concentrata nel tempo l’azione lesiva di quell’antecedente
causale la cui durata non superi un turno lavorativo.
Questo è il criterio fondamentale per poter differenziare l’infortunio sul lavoro dalla malattia professionale
(causalità lenta e diluita nel tempo).
Ovviamente, poi, ad una causa concentrata non seguiranno, solitamente, effetti concentrati nel tempo: le
conseguenze, infatti, possono non solo manifestarsi anche tardivamente, ma protrarsi anche a lungo.

Danno indennizzabile
• Tipologie
o Morte dell’assicurato
o Inabilità permanente assoluta al lavoro
o Inabilità permanente parziale
o Inabilità temporanea assoluta (astensione per più di 3 giorni)
o Inabilità temporanea assoluta per meno di 3 giorni
o Inabilità temporanea parziale (non indennizzabile dall’INAIL)
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o Danno biologico (> 6%) con le eventuali conseguenze patrimoniali


• Inabilità:
o Tipologie
ƒ Permanente assoluta: è la conseguenza di un infortunio o di una malattia
professionale, la quale tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro
ƒ Permanente parziale: diminuisce, invece, in parte ma essenzialmente e per tutta la
vita l’attitudine al lavoro. Accertato che dall’infortunio sia derivata un’inabilità
permanente che riduca l’attitudine al lavoro per più del 10%, è corrisposta una
rendita rapportabile al grado dell’inabilità stessa.
o Caratteristiche
ƒ La valutazione vien fatta sulla base delle tabelle valutative annesse al TU, che
riportano per ciascuna delle menomazioni valori di inabilità permanente uguali per
tutti i lavoratori appartenenti alo stesso settore considerato, senza alcuna differenza a
seconda della diversa attività espletata o della diversa qualifica nell’ambito del
settore di appartenenza.
ƒ La perdita anatomica si considera equivalente alla perdita funzionale
ƒ Caso per caso si valuta l’incidenza della menomazione biologica sull’attitudine al
lavoro intesa non in senso specifico né in senso generico, ma riferita a tutte quelle
che lo stesso potrebbe proficuamente svolgere nel settore di appartenenza
ƒ La rendita per inabilità permanente erogata dall’INAIL ha la funzione di
indennizzare il danno subito dal lavoratore non per le conseguenze fisiche o
psichiche in sé, ma per le ripercussioni negative che da esse derivano sull’attitudine
al lavoro proficuo dell’assicurato (danno lavorativo)
ƒ La rendita per inabilità permanente costituisce, dunque, per l’assicurato un
corrispettivo economico della ridotta capacità di trarre un guadagno dalla propria
forza lavoro
ƒ Prima del DL 38/2000 restavano esclusi dall’ambito dell’inabilità permanente il
danno estetico o erotico, a meno che non si dimostrava che in questi caso il danno
limitasse l’attitudine al lavoro dell’assicurato (ad esempio, per stati depressivi)
• Danno biologico indennizzabile: col DL 38/2000 si è stabilito che per gli eventi successivi al
25.07.2000 si dovrà valutare il danno biologico, inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica
della persona, suscettibile di accertamento e valutazione ML
o Valutazione del danno biologico
ƒ < 6%: nessun indennizzo
ƒ 6-15%: indennizzo in capitale del solo danno biologico
ƒ > 16%: rendita, di cui una quota per danno biologico ed una quota aggiuntiva per le
conseguenze patrimoniali della menomazione
o Tabelle
ƒ Delle menomazioni: includono anche menomazioni prima non considerate (danno
estetico, danno sessuale)
ƒ Dei coefficienti: per calcolare l’ammontare della rendita ove il danno biologico
abbia anche rendite patrimoniali. L’ulteriore quota di rendita viene commisurata
all’incidenza della menomazione sulla capacità dell’infortunato di produrre reddito
grazie al proprio lavoro e tiene conto della categoria di attività di appartenenza
dell’assicurato e della sua ricollocabilità
o Criteri della tabella di indennizzo del danno biologico:

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ƒ Areddituale: si presume che il grado di menomazione dell’integrità psico-fisica


produce lo stesso pregiudizio alla salute per tutti gli essere umani, a prescindere dal
diverso reddito di lavoro prodotto
ƒ Crescente: l’indennizzo cresce col crescere del grado della menomazione
ƒ Variabile a seconda dell’età e del sesso (maggior longevità delle donne)
ƒ Valida per tutti i settori lavorativi

Nesso causale nell’infortunistica INAIL, con particolare riguardo alle concause


• Criteri di giudizio con cui valutare il rapporto fra antecedente e susseguente
o Criterio cronologico
o Criterio qualitativo
o Criterio quantitativo
o Criterio modale
o Criterio topografico
o Criterio della continuità
o Criterio di esclusione
o Criterio della sussunzione
o Criterio epidemiologico
• Concause: sono regolate dall’art. 41 c.p.
o Tipologie
ƒ Preesistenti: le conseguenze lesive dirette dell’infortunio si innestano si di una
condizione morbosa preesistente, perciò indipendente dall’infortunio stesso, con la
conseguenza di produrre effetti lesivi più gravi di quelli che il semplice evento
infortunistico avrebbe prodotto da sé solo (ad esempio, DM, emofilia)
ƒ Simultanee:il lavoratore infortunato ha diritto all’indennizzo dell’intero danno
esitato.
ƒ Sopravvenute: il rapporto causale è escluso solo quando sono state estranee al lavoro
e da sé sole sufficienti a determinare l’evento
o Concause di infortunio: sono, ad esempio, cadute con conseguenti infortuni ed eventuali esiti
dannosi, anche a distanza, in soggetti con preesistenti deficit deambulatori o visivi o
labirintici. In questi casi, le condizioni preesistenti possono acquisire significato di vera e
propria concausa di infortunio. Anche per essi, il rapporto di causalità non è escluso; anzi, in
taluni casi l’aggravamento del rischio, dovuto alle condizioni cliniche preesistenti del
lavoratore, può mettere in discussione la colpa del datore di lavoro per inosservanza delle
norme in materia di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro (DL
626/94)

Valutazione dell’inabilità permanente: danni plurimi monocroni e policroni


Secondo il TU 1124/65 “Nei casi d'inabilità permanente previsti nella tabella allegato n. 1, l'attitudine al
lavoro, agli effetti della liquidazione della rendita, si intende ridotta nella misura percentuale indicata per
ciascun caso. L'abolizione assoluta della funzionalità di arti o di organi o di parti di essi è equiparata alla loro
perdita anatomica.
Quando gli arti o gli organi o parte di essi abbiano perduto soltanto parzialmente la loro funzione, il grado di
riduzione dell'attitudine al lavoro si determina sulla base della percentuale d'inabilità stabilita per la loro
perdita totale, ed in proporzione del valore lavorativo della funzione perduta.
In caso di perdita di più arti, od organo, o di più parti di essi, e qualora non si tratti di molteplicità
espressamente contemplata nella tabella, il grado di riduzione dell'attitudine al lavoro deve essere

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determinato di volta in volta tenendo conto di quanto, in conseguenza dell'infortunio, e per effetto della
coesistenza delle singole lesioni, è diminuita l'attitudine al lavoro”.
Ai sensi del DL vo 38/2000 per gli eventi successivi al 25.07.2000 dovrà tenersi conto non della attitudine al
lavoro, ma del grado di menomazione dell’efficienza psico-fisica individuale, ossia del danno biologico.
Si parla di coesistenza quando la minorazione preesistente non ha alcuna influenza sul decorso e sugli esiti
della lesione infortunistica e di concorrenza quando la menomazione preesistente incide sullo stesso organo
funzionale che subisce l’evento infortunistico attuale o su sistemi fra loro connessi.
Inoltre, si è soliti distinguere le menomazioni plurime monocrone (cioè prodotte nello stesso infortunio) da
quelle policrone (cioè prodotte in più infortuni). Per le prime, occorre effettuare una valutazione complessiva
ed unica del danni.
Per le seconde, corrispondenti, dunque, ad infortuni riportati in epoche diverse, occorre distinguere se ci si
trova di fronte a menomazioni preesistenti dovute a fatti extra-lavorativi o lavorativi.
Qualora il titolare di una rendita di inabilità (cioè effetto da menomazioni preesistenti in conseguenza di fatti
lavorativi) sia colpito da un nuovo infortunio lavorativo indennizzabile, si procede alla costituzione di
un’unica rendita, rappresentata non dalla somma aritmetica delle due somme, ma proporzionale al grado di
riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro, determinata dalle menomazioni determinate dal precedente
infortunio sul lavoro e dal nuovo, in caso di menomazioni precedenti al 25.07.2000.
In epoca successiva, possono aversi due ipotesi:
• Le preesistenze lavorative erano state indennizzate con rendita: il grado della menomazione
conseguente al nuovo infortunio viene valutato con riguardo alle nuove Tabelle, senza tener conto
delle preesistenze (perché già indennizzate). Alla vecchi rendita, dunque, si aggiungerà la nuova,
calcolata in base alla nuova disciplina
• Le preesistenze lavorative non erano indennizzate in rendita: se ne terrà conto ai fini del calcolo
dell’indennizzo dovuto, solo se concorrenti (cioè aggravanti) con le nuove menomazioni. Se invece
si tratta di preesistenze dovute a fatti extralavorativi occorre distinguere:
o Coesistenza: non se ne terrà conto
o Concorrenza: il grado di riduzione permanente complessivo che residua al nuovo infortunio
deve esser rapportato non all’attitudine al lavoro, ma all’integrità psico-fisica ridotta per
effetto della preesistente inabilità (o del preesistente danno biologico > formula di Gabrielli).
Di conseguenza, la seconda minorazione subita per infortunio sul lavoro sarà valutata con
una percentuale di danno più elevata rispetto a quanto stabilito dalla tabella per un soggetto
teoricamente sano o normale
ƒ NB: formula di Gabrielli: (attitudine al lavoro preesistente – attitudine al lavoro
residuata all’infortunio da valutare)/attitudine al lavoro preesistente: (C – Cl)/C

Par. III: Malattia professionale


Caratteristiche generali e sistemi
Si definiscono “malattie professionali” (o “del lavoro”) quelle malattie che colpiscono i lavoratori assicurati
INAIL esposti in modo protratto al rischio tutelato e per le quali sia certa la derivazione causale dell’attività
espletata.
L’assicurato deve contrarre la tecnopatia “nell’esercizio ed a causa della lavorazione espletata” o a causa
della specifica noxa patogena cui è esposto per l’assolvimento della propria attività, tenendo comunque conto
dell’ambiente lavorativo.
La legge, infatti, non pone come presupposto necessario ed esclusivo che il lavoratore esegua direttamente
una delle lavorazioni indicate nel TU, essendo sufficiente che la malattia risulti contraibile nell’ambiente di

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lavoro, purché frequentato a causa delle lavorazioni stesse (ad esempio, ipoacusia o sordità da rumore),
anche se queste sono materialmente eseguite da un soggetto diverso da quello colpito.
È importante considerare il diverso significato che assume il nesso causale nell’infortunio sul lavoro e nella
malattia professionale: per l’infortunio indennizzabile, infatti, deve sussistere, oltre al danno biologico od al
danno lavorativo, la causa violenta in occasione di lavoro, rapida e concentrata nel tempo.
Per la malattia professionale, invece, la causa è diluita (il lavoratore è esposto al rischio lavorativo per
l’intero arco della sua attività) ed agisce in modo lento, cioè con azione graduale e protratta nel tempo.
La natura dell’antecedente causale può, inoltre, esser la stessa: ciò che cambia è soprattutto la diversa
modalità d’azione della causa.
Quindi, mentre negli infortuni di lavoro l’eziologia professionale è generalmente accertabile con una certa
facilità, essendo l’evento lesivo ben evidenziabile in quanto collegabile con immediata evidenza a quello
infortunistico ed all’occasione di lavoro, più difficile diventa accertare il nesso causale con l’attività
lavorativa nel caso delle malattie professionali.
È proprio in considerazione di tale difficoltà che il legislatore aveva inizialmente scelto di fondare la tutela
delle malattie professionali sul sistema lista chiusa (o tabellare): secondo tale sistema, sono ritenute malattie
professionali, e quindi comprese nella tutela previdenziale, solo quelle tassativamente elencate nelle apposite
tabelle e riferite ad attività o lavorazioni, sempre che si manifestino entro un determinato intervallo di tempo,
pur esso ben indicato nell’apposito elenco, a partire dal momento dell’abbandono o cessazione della
lavorazione morbigena (periodo di massima indennizzabilità).
In pratica, secondo il sistema tabellare, perché si dia luogo alla rendita INAIL, occorrono le seguenti
condizioni:
• La malattia patita dal lavoratore deve essere contemplata fra quelle contenute nella menzionata
tabella di legge
• Deve essere contratta nell’esercizio ed a causa di lavorazioni od a causa di noxae patogene
tassativamente indicate nella tabella
• La manifestazione clinica della malattia deve essersi verificata entro un certo limite di tempo dalla
cessazione dell’attività in questione; anche tale limite è indicato nella tabella
• Dalla malattia in questione deve essere derivato un danno biologico > 6% od un’inabilità permanente
> 11%

Nel sistema tabellare, dunque, vale la presunzione d’origine della malattia obiettivata, presunzione in base
alla quale la malattia, allorché ricorrano le surricordate condizioni, viene definita “professionale” senza
ammettere prova in contrario: in sostanza, non occorre provare il nesso causale, ma basta che la lavorazione
rientri fra quelle protette e che la malattia rientri fra quelle in tabella.
Tuttavia, alcune malattie non rientravano in tabella: a ciò ha ovviato la Corte Costituzionale, grazie alla
quale la tutela assicurativa delle malattie professionali è estesa anche a quelle malattie non comprese nella
tabella, sempre che sia dimostrato con certezza il nesso di causalità fra malattia stessa ed attività lavorativa.
L’onere della prova spetta al lavoratore che chiede la rendita.
Peraltro, ai fini dell’esclusione dell’indennizzabilità non ha più rilievo l’eventuale notevole intervallo
temporale intercorso dall’abbandono della lavorazione, poiché la Corte Costituzionale ha dichiarato
illegittimo che la malattia professionale si dovesse verificare entro il cosiddetto periodo massimo di
indennizzabilità.
In definitiva, qualsiasi malattia di cui sia accertata la derivazione causale dall’esercizio di una delle
lavorazioni previste è indennizzabile; in sostanza, è venuta meno la tassatività od esclusività del sistema
tabellare.
L’attuale sistema di tutela si definisce, quindi, “misto”, poiché ammette sia l’indennizzabilità delle malattie
contemplate nel sistema lista chiusa sia delle altre per le quali venga comunque dimostrato il nesso causale
(sistema di lista aperto).

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Rapporto di causalità nelle malattie professionali


Nelle malattie professionali, diversamente dall’infortunio, l’influenza del lavoro nella genesi del danno
lavorativo è specifica, poiché la malattia deve essere contratta proprio nell’esercizio ed a causa di
quell’attività lavorativa o per l’esposizione a quella determinata noxa patogena.
In sostanza, nell’infortunio il lavoro funge da mera occasione del danno lavorativo; nella malattia
professionale, invece, il lavoro rappresenta esso stesso non solo l’occasione, ma anche la causa specifica del
danno.
Nella malattia professionale il danno, a differenza dell’infortunio, non è mai improvviso, né imprevisto od
imprevedibile, ma è sempre intrinseco della stessa lavorazione. Il danno subito dal lavoratore può esser
considerato, per certi versi, inevitabile: l’evitabilità della malattia professionale è un problema connesso con
quello più generale dell’organizzazione della Medicina preventiva sul territorio e nell’ambiente di lavoro.
Poiché la malattia professionale non rappresenta, dunque, un evento fortuito, ma il prodotto di continue
offese alla salute del lavoratore, connesse in modo prevedibile con l’attività espletata, è necessario che gli
stessi datori di lavoro e gli imprenditori si impegnino nella tutela preventiva della salute del lavoratore.
Inoltre, quanto all’importanza dello stato anteriore del lavoratore, essa assume una certa rilevanza, in quanto
due persone si comportano in modo diverso rispetto ad una certa noxa patogena (ad esempio, soggetti
allergici).
Peraltro, il concorso di cause non intacca il diritto all’assicurato al quantum spettantegli per il danno
complessivamente riportato, anche nell’ambito delle malattie professionali: in sostanze, concause
preesistenti, simultanee o sopravvenute non escludono il nesso di causalità.
Quindi, si terrà conto, ai fini valutativi, degli eventuali fattori concausali, che di quella malattia aggravano il
decorso, applicando nei casi dovuti, ove sussista concorso di menomazioni o minorazioni, la formula di
Gabrielli.

Par. IV: Altre considerazioni


Sordità ed ipoacusie professionali da rumore
Il danno uditivo è prodotto più spesso quando la persona è esposta a rumori di una certa durata e con
intensità compresa fra 90 e 130 dB; rumori più intensi possono provocare un trauma acustico acuto.
L’attività lavorativa è genericamente dannosa quando espone il lavoratore a rumori subcontinui di intensità
che oscilla intorno agli 80 dB; rumori di più forte intensità sono da considerarsi, invece, certamente dannosi
specie se la persona vi rimane esposta per tutto l’arco lavorativo giornaliero.
Il DL vo 277/1991 stabilisce una soglia minima di 80 dB, oltre la quale il datore di lavoro ha l’obbligo di
informare il lavoratore del rischio cui è esposto, di assumere le dovute misure di prevenzione e di sicurezza e
di sorvegliare che esse vengano rispettate.
Riguardo, invece, rumori di intensità pari a 50-60 dB, ai quali la persona può esser esposta più o meno di
continuo per un lungo periodo, passare del tempo divengono dannosi, specie quando al lavoratore non
vengano forniti idonei mezzi di protezione.
La diagnosi di otopatia da rumore, in ogni caso, si fonda su dati anamnestici e, soprattutto, su rilievi di
audiometria tonale, effettuata almeno 15 ore dopo la cessazione dell’attività incriminata.
L’otopatia da rumore, inoltre, costituisce un danno irreversibile, poiché le cellule acustiche non si
riproducono (e quindi le revisioni per miglioramento non sono comprensibili).

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Prestazioni erogate dall’INAIL


Accertata l’esistenza del diritto, le prestazioni erogate dall’INAIL sono automatiche, cioè vengono concesse
al lavoratore “automaticamente” ed indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro abbia o meno
soddisfatto l’obbligo contributivo (con l’eccezione dei lavoratori autonomi per i quali è invece necessario il
requisito contributivo).
Le prestazioni possono essere di due tipi:
• Sanitarie
o Artt. Rilevanti del TU 1124/65
ƒ 86: cure mediche e cure chirurgiche ordinarie: sono fornite dalle strutture sanitarie
del SSN
ƒ 89: cure specifiche disposte dall’INAIL al fine di recuperare la capacità lavorativa
ƒ 90: forniture e rinnovo di protesi se utili a ridurre il grado di inabilità permanente: il
rinnovo delle protesi viene concesso in caso di usura non imputabile a negligenza
dell’assicurato
o Note
ƒ In ogni caso si realizza un obbligo bilaterale alle cure: da un lato, l’Istituto
assicuratore si impegna a fornire i necessari presidi terapeutici al lavoratore,
dall’altro questi è tenuto a sottoporsi ad essi
ƒ Tuttavia, l’assicurato è sempre libero di scegliere se praticare o meno le cure
prescritte; ma se, in assenza di giustificati motivi, rifiuta di sottoporsi alle terapie
ritenute necessarie, egli potrà perdere, in tutto od in parte, il beneficio economico
ƒ L’Istituto è legittimato, in tali casi, a commisurare tale beneficio al minor grado
presumibile che sarebbe stato raggiunto se il soggetto si fosse sottoposto alle cure
indicate come necessarie
• Economiche
o Indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta a partire dal 4° giorno (per i primi 3
giorni sono a carico del datore di lavoro): è maggiorata se supera i 90 giorni
o Indennizzo in capitale o rendita per l’inabilità permanente assoluta o parziale:
ƒ A decorrere dal giorno successivo a quello della cessazione per inabilità temporanea
assoluta, allorché l’inabilità permanente superi il 10%
ƒ Per gli eventi successivi al 25.07.2000: indennizzo in capitale o rendita per danno
biologico ed eventuali conseguenze patrimoniali
o Assegno per l’assistenza personale continuativa agli invalidi di lavoro al 100%
o Rendita ai superstiti più assegno una tantum nel caso di morte (assegno funerario)
o Assegno continuativo erogato alla vedova od agli orfani di un grande invalido del lavoro
(80%), nel caso in cui la morte sia avvenuta per cause non dipendenti dall’infortunio o dalla
malattia professionale (altrimenti si dà la rendita)
o Rendita di passaggio: viene riconosciuta solo per silicosi ed asbestosi e solo per un anno; è
ripetibile per un altro anno ed è motivata dal fatto che quando il lavoratore abbandona il
lavoro, è costretto a cercarsi una nuova occupazioni che non comporti il rischio
pneumoconiotico. Nel periodo di passaggio gli viene, così, riconosciuta questa particolare
previdenza economica
o Assegno di incollocabilità: vien concesso a coloro che abbiano
ƒ Riduzione della capacità lavorativa in misura non inferiore al 34%
ƒ Età non superiore a quella prevista per essere ammesso al collocamento d’obbligo
(55 anni)
ƒ Impossibilità di beneficiare dell’assunzione obbligatoria a motivo della natura o del
grado di inabilità permanente

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Istituto della revisione


La misura della rendita per inabilità permanente o per danno biologico può esser sottoposta a revisione su
richiesta dell’assicurato (revisione attiva) o per disposizione dell’INAIL (revisione passiva).
“Le prestazioni a qualunque titolo erogate dall’Inail possono essere in qualunque momento rettificate dallo
stesso Istituto, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o
riliquidazione delle prestazioni. Nel caso in cui siano state riscosse prestazioni risultanti non dovute, non si
dà luogo a recupero dellesomme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo
dell'interessato. Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile
soltanto in caso di dolo o colpa grave. Anche nel caso in cui sia stato richiesto un minor premio ed acconto di
assicurazione rispetto a quello dovuto, il mancato incasso delle somme a tale titolo può essere addebitato al
funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave”.
Si considerano:
• In caso di infortunio, entro i primi 10 anni dalla data di costituzione della rendita: nei primi 4 anni, il
lavoratore può esser invitato a sottoporsi a visita 4 volte; dopo i primi 4 anni sono possibili due altre
visite di revisione: alla scadenza del 7° anno ed alla scadenza del 10° anno.
• In caso di malattia professionale entro i primi 15 anni dalla data di costituzione della rendita, con
ultima visita alla scadenza del 15° anno.
• Per i casi precedenti l’entrata in vigore del DL 38/2000
o Settore industriale: le rendite per inabilità non superiore al 15% e confermate al decimo anno
vengono liquidate in capitale
o Settore agricolo: il limite è elevato al 16%, ma è prevista la possibilità di liquidazione in
capitale di rendite fino al 50%, quando l’assicurato dimostri che impiegherà il capitale nella
propria attività
• Per i casi successivi: se l’assicurato è stato dichiarato guarito con postumi inferiori al 6% o con
postumi tra 6 e 15%, è ammessa la domanda di aggravamento che comporta, se riconosciuto,
l’erogazione dell’indennizzo in capitale od in rendita, commisurato al nuovo grado della
menomazione

Grandi invalidi
Sono definiti grandi invalidi del lavoro colore che, in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di malattia
professionale, riportino un’inabilità permanente pari o superiore all’80%.
In aggiunta a quelli ordinari concessi dall’INAIL sono previsti trattamenti speciali:
• Medico-chirurgici
• Economici
o Assegni continuativi mensili
o Sovvenzione di contingenza
o Assegno di contingenza per grandi invalidi (inabilità 100%)
o Elargizioni integrative di fine anno
o Distintivi di onore mutilato (elargizione di denaro)
• In caso di morte dell’assicurato per malattia non collegata causalmente agli esiti inabilitanti, vedove
ed orfani hanno comunque diritto ad uno speciale assegno continuativo mensile
• In caso di morte correlata con le indennità cui fu costituita la rendita, spetterà la rendita ai superstiti:
o Coniuge: 50-100%
o Figli minori o studenti: 20%
o Figli inabili al lavoro proficuo
o Collaterali od ascendenti a carico

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Mobbing
Si riferisce alle vessazioni sul lavoro, ossia alla condotta persecutoria od emarginante, discriminante ed
offensiva subita dal lavoratore nello svolgimento della sua attività
In alcuni casi, al reiterarsi di quella condotto, può derivare un vero e proprio danno biologico, con
conseguente diritto della stesso al completo ristoro del danno subito.
La patologia da mobbing non è tabellata: quindi, il lavoratore, ai fini dell’indennizzo, deve provare il nesso
di causalità, ossia deve dar corso ad una causa di lavoro contro l’INAIL o chiedere il risarcimento del danno
subito al datore di lavoro, dimostrando, appunto, di esser stato oggetto di vessazioni.

Assicurazione contro gli infortuni domestici: legge 3.12.1999 n.493


La prestazione consiste in una rendita per inabilità permanente, esente da oneri fiscali, quando l'infortunio ha
provocato una riduzione della capacità lavorativa d grado pari o superiore al 33%, ed è calcolata su una
retribuzione convenzionale pari alla retribuzione annua minima fissata per il calcolo delle rendite del settore
industriale, rivalutabile ai sensi dell'articolo 116 del medesimo testo unico, e successive modificazioni.
La rendita di inabilità permanente è corrisposta con effetto dal primo giorno successivo a quello della
cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta, in misura proporzionale rispetto all'effettiva entità
dell'invalidità medesima. All'assicurazione non si applica il principio dell'automaticità delle prestazioni.

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CAP. 11: INPS ED INVALIDITA’ ED INABILITA’ PENSIONABILI

Par. I: Caratteristiche generali


Sicurezza sociale e natura della prestazione previdenziale INPS
La prestazione previdenziale INPS (istituto nazionale per la previdenza sociale) è subordinata al verificarsi di
eventi legalmente qualificati: invalidità, inabilità, vecchiaia. La differenza rispetto all’assicurazione
corrisposta dall’INAIL per un rischio, è che la morte e la vecchiaia sono fatti ineluttabili per tutto.
Perciò, la tutela INPS riguarda, almeno in parte, il prodursi di eventi certi (solo il determinarsi del complesso
invalidante od inabilitante è incerto), mentre nell’assicurazione obbligatoria INAIL sussiste, in ogni caso,
l’incertezza del verificarsi dell’evento tutelato (infortunio, malattia professionale).
L’invalidità è presa in considerazione dall’INPS indipendentemente dalla sua eventuale connessione causale
con il lavoro, mentre in sede INAIL il rischio del verificarsi dell’evento dannoso deve sempre avere una più
o meno stretta relazione con l’attività lavorativa in concreto espletata.
Anche la tutela dell’invalidità, della vecchiaia e dei superstiti trova, comunque, il suo fondamento nell’art. 38
della Costituzione: “ogni cittadino inabile al lavoro o sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, ha diritto al
mantenimento ed all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria”.

Prestazioni economico-previdenziali erogate


• Pensione sociale: si concede agli anziani oltre il 65° anno che non abbiano altra pensione o reddito.
È una prestazione di tipo assistenziale e, pertanto, non reversibile ai superstiti, non cedibile, non
prorogabile, non sequestrabile
• Pensione di vecchiaia: è concessa dall’assicuratore al momento dell’età pensionabile
• Pensione di anzianità: è concessa, su domanda dell’interessato, dopo 35 anni di contributi
• Pensione di reversibilità agli aventi diritto dopo la morte del lavoratore assicurato
• Assegno ordinario di invalidità
• Pensione ordinaria di inabilità
• Assegno privilegiato di invalidità: quando l’invalidità dipende da causa di servizio
• Pensione privilegiata ai superstiti: se la morte dell’assicurato dipende da causa di servizio
• Assegno una tantum ai superstiti: se l’assicurato deceduto non aveva i requisiti contributivi minimi
• Assegno integrativo speciale per l’assistenza personale e continuativa: ai pensionati per inabilità,
non deambulanti o non capaci di svolgere gli atti ordinari della vita quotidiana

Principali prestazioni erogate


• Assegno di invalidità:
o “Si considera invalido, ai fini del conseguimento del diritto all’assegno nell’assicurazione
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed autonomi
gestita dall’INPS, l’assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue
abitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a
meno di un terzo”
o È concesso per 3 anni, rinnovabile qualora permangano le condizioni di invalidità: dopo 3
riconoscimenti consecutivi, l’assegno verrà automaticamente confermato
o Trasformazione in pensione di vecchiaia: avviene al compimento dell’età pensionabile,
qualora si possano far valere i requisiti contributivi per la vecchiaia
o Malattie cause di invalidità
ƒ Cardiovascolari

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ƒ Osteoarticolari
ƒ BPCO ed altre patologie croniche dell’apparato respiratorio
ƒ Neuropsichiatriche
ƒ Tumori
ƒ Altro: DM, IRC, obesità
• Pensione ordinaria di inabilità:
o “Si considera inabile l’assicurato, il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale si
trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”
o La misura della pensione di invalidità è superiore a quella dell’assegno ordinaria di
invalidità, per la situazione di maggior bisogno.
o Viene calcolata come se l’assicurato avesse versato i contributi sino al raggiungimento
dell’età pensionabile
o Cause più frequenti
ƒ Insufficienza coronarica grave
ƒ DM grave scompensato
ƒ Para- od emiplegia
ƒ Sclerosi multipla
ƒ Distrofia muscolare progressiva
ƒ Morbo di Parkinson in fase avanzata
• Assegno mensile per l’assistenza personale e continuata ai pensionati per inabilità
o È una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene
accertata l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
I pensionati di inabilità, che si trovano nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto
permanente di un accompagnatore e che non sono in grado di compiere gli atti quotidiani
della vita, possono presentare domanda per ottenere l'assegno per l'assistenza personale e
continuativa.
o Menomazioni
ƒ Riduzione dell’acuità visiva
ƒ Perdita di 9 dita della mano, compresi i 2 pollici
ƒ Lesioni del SN con paralisi totale flaccida dei due arti inferiori
ƒ Amputazione bilaterale dei due arti inferiori
ƒ Perdita di una mano o di ambedue i piedi, nonostante la possibile applicazione di
protesi
ƒ Perdita di un arto superiore e di uno inferiore

L’istituto della revisione: la revoca


1. Il titolare delle prestazioni riconosciute ai sensi dei precedenti articoli 1, 2 e 6, primo comma, può
essere sottoposto ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato di invalidità o di inabilità ad
iniziativa dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. In ogni caso, l'accertamento sanitario avrà
luogo quando risulti che nell'anno precedente il titolare dell'assegno di invalidità di cui agli articoli 1
e 6 della presente legge si sia trovato nelle condizioni di reddito previste dall'articolo 8 del decreto-
legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n.
638.
2. Nei casi in cui risultino mutate le condizioni che hanno dato luogo al trattamento in atto, il
provvedimento conseguente alla revisione ha effetto dal mese successivo a quello in cui è stato
eseguito l'accertamento, salvo quanto previsto al successivo quinto comma.
3. La revisione può essere richiesta anche dall'interessato in caso di mutamento delle condizioni che
hanno dato luogo al trattamento in atto, comprovato da apposita certificazione sanitaria. Ove l'organo

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sanitario rilevi che sussistono fondati motivi per procedere alla revisione, l'eventuale provvedimento
modificativo del trattamento in atto ha effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di
presentazione della relativa domanda.
4. Ove l'interessato rifiuti, senza giustificato motivo, di sottostare agli accertamenti disposti dall'Istituto
nazionale della previdenza sociale, quest'ultimo sospende, mediante apposito provvedimento, il
pagamento delle rate di assegno o di pensione, per tutto il periodo in cui non si rende possibile
procedere agli accertamenti stessi.
5. L'eventuale revoca o riduzione della prestazione ha effetto dalla data del provvedimento di
sospensione o da quella, successiva, alla quale sia possibile far risalire in modo non equivoco il
mutamento delle condizioni che hanno dato luogo al trattamento in atto.
6. Quando, a seguito della revisione, risulti che l'interessato non può ulteriormente essere considerato
invalido o inabile, la prestazione è revocata, ovvero, qualora si tratti di pensione di inabilità e sia
accertato il recupero di parte della validità dell'assicurato entro i limiti di cui al precedente articolo 1,
è attribuito l'assegno di invalidità.
7. Quando il titolare dell'assegno di invalidità venga riconosciuto inabile gli è attribuita la pensione di
cui all'articolo 2. L'importo della pensione non può essere inferiore a quello calcolato sulla base delle
retribuzioni considerate per la determinazione dell'assegno precedentemente goduto.
8. In caso di aggravamento delle infermità, documentato ai sensi del terzo comma del articolo,
l'interessato può chiedere la estensione del provvedimento di rettifica o di revoca della prestazione.

Quindi, motivazioni di revoca sono:


• Avvenuto riadattamento al lavoro dell’assicurato in un’attività confacente alle sue attitudini, no
usurante
• Miglioramento dello stato invalidante
• Insussistenza dello stato invalidante od inabilitante

Contenuti principali della riforma Fornero


• Passaggio al metodo contributivo per il calcolo della pensione
• Allungamento a 67 anni per la pensione di vecchiaia
• Eliminazione della pensione di anzianità

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CAP. 12: MEDICO E PROFESSIONI SANITARIE

Par. I: Caratteristiche generali


Deontologia ed etica medica
Deontologia è un termine di derivazione greca che significa studio dei doveri: in particolare, quindi, la
deontologia medica è quella scienza che studia i doveri di un medico e si parla, più precisamente di doveri
legali o giuridici, quando sono le stesse norme di legge che impongono certi comportamenti e ne vietano
altri.
Doveri deontologici sono quelli che, invece, derivano dai precetti del Codice Deontologico (CD): si tratta di
vere e proprie norme di comportamento, sicché, colui che le violi, a parte le eventuali conseguenze di ordine
penale, civile, etc., incorrerà anche nelle sanzioni disciplinari inflitte dall’Ordine.
Si parla, poi, di doveri etici e di norme etiche quando le ragioni e le finalità di certe scelte o di certi
comportamenti derivano da valori di ordine morale.
La deontologia, in pratica, impegna il medico in quanto tale, cioè in quanto professionista, a sottostare a
determinate regole, raccolte nel CD e che sono obbligate a rispettare tutti gli iscritti all’Ordine.
Tali regole si sono potute definire grazie ad una preliminare valutazione etica oltre che giuridica dei
problemi pratici della professione.
L’etica, dunque, risulta costituita dall’insieme di quelle norme e quei principi morali che si estendono, in
quanto principi di valore generale ed universale, a tutta la società.
In conclusione, la deontologia medica altro non è se non una derivazione dell’etica applicata ai problemi
concreti della medicina ed in particolare alla professione del medico.

Potere disciplinare dell’ordine


I sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o di fatti disdicevoli
al decoro professionale, sono sottoposti a procedimento disciplinare da parte del Consiglio dell’Ordine della
provincia nel cui Albo sono iscritti, promosso d’ufficio o dal Procuratore della Repubblica.
Le sanzioni sono:
• Avvertimento: diffida a non ricadere nella mancanza commessa
• Censura: dichiarazione di biasimo per la mancanza commessa
• Sospensione dall’esercizio della professione per la durata da uno a sei mesi: comportano di diritto la
sospensione dell’esercizio professionale:
o Emissione di mandato od ordine di cattura
o Applicazione provvisoria di una pena accessoria o di una misura di sicurezza ordinata dal
giudice, detentiva o non detentiva
• Radiazione dall’Albo: è pronunciata contro l’Iscritto la cui condotta abbia compromesso gravemente
la sua reputazione e la dignità della classe sanitaria. Comporta la decadenza dall’abilitazione, sicché,
per essere nuovamente iscritto, occorrerà ripetere l’esame di abilitazione

Par. II: Rapporto medico-assistito e facoltà di curare


Perizia, prudenza e diligenza
• Perizia: intesa come “sapere” (preparazione teorica) e “saper fare” (capacità ed esperienza pratica)
del medico, è il presupposto fondamentale di qualsiasi attività professionale
• Prudenza: ogni medico deve saper prevedere quali siano gli effetti della specifica condotta che va ad
attuare nel caso concreto e quali i rischi comportati; di conseguenza, egli fa il possibile per eliminarli
o contenerli al minimo (osservanza del rapporto rischi/benefici)
• Diligenza verso il proprio assistito: aver cura, anche amorevole, del proprio assistito

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Libertà del medico e libertà del malato


Il malato, per il solo fatto di esser tale, non cessa mai di esser persona libera: pertanto, la libertà del medico
deve sempre confrontarsi ed equilibrarsi con quella del malato, il quale è libero di autodeterminarsi e di
scegliersi, previa adeguata informazione sulle proprie condizioni, le cure che gli sono state proposte; è libero,
dunque, di accettare o di rifiutare di prestare il proprio consenso o di manifestare il proprio dissenso al
medico che lo assiste.
La libertà della persona assistita non deve mai esser coartata o limita dalla iniziativa autonoma del sanitario:
questi, nella sua libertà di giudizio, può consigliare, ma non pretendere che il malato si serva di determinati
presidi, istituti o luoghi di cura.
Il professionista, inoltre, pur essendo libero di adottare i mezzi ed i procedimenti tecnici ritenuti più
opportuni ed idonei al caso concreto, non può intraprendere alcuna attività diagnostico-terapeutica senza il
valido consenso del paziente, che deve essere consapevole ed esplicito allorché l’atto medico comporti il
rischio di una diminuzione dell’integrità fisica o psichica.
In ogni caso, in presenza di esplicito rifiuto da parte del paziente capace di intendere e di volere, il medico è
tenuto alla desistenza da qualsiasi atto diagnostico e curativo, non essendo consentito alcun trattamento
medico contro la volontà del paziente.
Il medico, poi, potrà valutare, in rapporto con la reattività del paziente, l’opportunità di non rivelare al malato
o di attenuare una prognosi grave od infausta, assumendosi in prima persona la responsabilità di una corretta
informazione.
In definitiva, il rispetto di ogni persona e del malato in particolare, in quanto persona libera, è la prima e più
importante delle norme che debbono ispirare la condotta professionale.
Da ciò derivano:
• Necessità di adeguata informazione preliminare
• Divieto di ricorrere a terapie scientificamente infondate
• Divieto di ricorrere a terapie nuove od infondate
• Divieto di accanimento diagnostico-terapeutico
• NB: art. 19 CD: “rifiuto d’opera di professionista: il medico, al quale vengano richieste prestazioni
che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico può rifiutare la propria
opera, a meno che questo comportamento non sia di grave ed immediato nocumento per la salute
della persona assistita”

Facoltà di curare
Il medico non ha nessun “diritto” di curare, ma ha semmai il dovere di assistere e di curare nei limiti del
consenso valido, espresso dalla persona assistita.
I trattamenti, dunque, sono volontari e richiedono la libera partecipazione di colui che li richiede, ad
eccezione di:
• TSO
• Trattamenti sanitari resi obbligatori da disposizioni di legge:
o Cura delle malattie veneree in fase contagiosa
o Trattamenti relativi alle malattie infettive e diffusive
o Vaccinazioni obbligatorie
o Trattamenti disposti dall’Autorità in caso di persone dedite all’uso di sostanza stupefacenti
o psicotrope
• Accertamenti ordinati dall’autorità giudiziaria

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Par. III: Consenso


Introduzione
Consenso non vuol dir altro che partecipazione, consapevolezza, libertà di scelta e di decisione. L’obbligo
per il medico di munirsi del valido consenso della persona assistita trova riscontro nell’art. 32 della
Costituzione: “nessuno può esser obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione
di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Inoltre, l’art. 50 c.p. (consenso dell’avente diritto) afferma che “non è punibile chi lede o pone in pericolo un
diritto, con il consenso della persona che può validamente disporne”.
Secondo Grispigni “un trattamento medico-chirurgico compiuto bensì secondo le regole dell’arte medica, ma
senza il valido consenso del paziente o del suo rappresentante legale, costituisce – a meno che non si verta in
stato di necessità – un fatto civilmente illecito e, dal punto di vista penale, se l’esito dell’operazione è
sfavorevole, costituisce il delitto di lesione personale o di omicidio colposo, mentre se l’esito è favorevike
può dar luogo, ove concorrano altre circostanze, ad un delitto contro la libertà”.
Quindi, è da ritenere che per essere giuridicamente valido il consenso della persona assistita deve qualificarsi
come informato, esplicito, libero, autentico ed immune da vizi.
Nel caso del minore o del soggetto malato di mente od incapace, il consenso deve esser sempre prestato da
chi ne è il legale rappresentante (l’”avente diritto”).
Oggigiorno, tuttavia, i genitori non hanno potere assoluto sui figli e, di conseguenza, ove esista un
disaccordo tra loro ed i medici curanti, questi ultimi potranno rivolgersi all’Autorità giudiziaria.
L’unica condizione nella quale il medico è esonerato dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso
dell’avente diritto è quella contemplata dall’art. 54 c.p. (stato di necessità), secondo cui “non è punibile chi
ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altrui dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, pericolo da lui non volutamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto
sia proporzionale al pericolo”.
La validità del consenso, prestato dal paziente preliminarmente all’esecuzione di qualsiasi atto medico, non
vale però a coprire gli altri risvolti di responsabilità giuridica inerenti alla prestazione effettuata né
pregiudica l’esistenza di un eventuale dolo professionale.
La violazione del dovere di munirsi preventivamente del consenso della persona assistita (o dell’avente
diritto) potrà esporre il medico all’imputazione del delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) o di stato di
incapacità procurato mediante violenza (art. 613 c.p.), di lesione personale, di omicidio etc. In sede civile,
poi, quella stessa violazione potrà costituire una vera e propria inadempienza contrattuale, con conseguenti
obblighi risarcitori. In sede deontologica, inoltre, ne potrà derivare una sanzione disciplinare.
Secondo la Cassazione Penale, infine, “in assenza di necessità ed urgenza terapeutiche, soltanto il consenso,
manifestazione della volontà di disporre del proprio corpo, può escludere l’antigiuridicità del trattamento
medico-chirugico”.

Dovere di informare, consenso e natura dell’obbligazione contrattuale medico-assistito


L’informazione resa al paziente deve riguardare, innanzitutto, le condizioni di salute dello stesso, nonché la
natura della prestazione che si intende effettuare e le aspettative che volta per volta è lecito attendersi nel
singolo caso.
Nella pratica si è portati a conferire alla prestazione medica o chirurgica il significato di una vera e propria
obbligazione di risultato: in giurisprudenza, tale orientamento è stato riaffermato con autorevoli sentenze
specie in due settori specialistici, quali quello della chirurgia estetica e quello della protesi odontoiatrica.
Nonostante, o forse proprio per, ciò, secondo il Franchini “l’aggressione giudiziaria nei confronti del medico
riconosce la sua motivazione psicologica nella drammatica ed angosciosa reazione al risultato infausto ed
inatteso, anche se dovuto a cause del tutto estranee al comportamento professionale del medico”.
Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, il risultato della prestazione dipende non solo da qualità,
correttezza e tempestività della stessa, ma anche dal comportamento della persona assistita, dalla sua

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capacità di reagire, da una serie di fattori anteriori, dalle circostanze ambientali in cui l’intervento si esplica,
dall’adeguatezza della struttura organizzativa ove la prestazione è effettuata, dal sovrapporsi di altri eventuali
fattoti causali, da complicanze difficilmente prevedibili, etc.
In conclusione, l’obbligo di ciascun sanitario col proprio assistito riguarda l’obbligo di comportarsi con
perizia, prudenza e diligenza, d’agire secondo il rispetto delle leggi, delle norme deontologiche, del
consenso, del programma diagnostico-terapeutico concordato con la persona stessa.

Oggetto e contenuto dell’informazione


La correttezza dell’informazione preliminare impone al medico di essere preciso ed esauriente sulla natura
della malattia (diagnosi), sulle reali indicazioni e controindicazioni della prestazione, sugli obiettivi
perseguibili e sui risultati prevedibile, etc.
In sostanza, l’informazione deve essere:
• Semplice
• Personalizzata (adeguata al livello di cultura dell’assistito)
• Esauriente
• Veritiera
• Sorretta dalla speranza più che dal pessimismo

Standard del contenuto


• Standard professionale: si attiene allo studio delle conoscenze scientifiche inerenti al singolo
trattamento
• Standard medico: si rapporta a quello che una persona “ragionevole, pensata come media all’interno
di una comunità, vorrebbe sapere e potrebbe comprendere della procedura medica
• Standard soggettivo: personalizza l’informazione ed è quella preferibile

Altre considerazioni
• Comprensione da parte del paziente
• Autenticità del consenso
• Libertà del consenso
• Tipi di consenso
o Implicito: nei casi di prestazione esente da rischio o scevra da controindicazioni (consenso
tacito o presunto)
o Esplicito (specifico e documentato): nei casi di rischi concreti; in particolare, deve essere
sempre espresso nei casi di trasfusione di sangue e di anestesia

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CAP. 13: CONSIDERAZIONI ML SULL’OPERATO DEL MEDICO

Par. I: Fondamenti della responsabilità professionale del medico


Introduzione
Chiunque per imperizia, imprudenza, negligenza ovvero per inosservanza di regolamenti, ordini o discipline
nello svolgimento della propria arte o professione, cagiona ad altri danni fisici o psichici o la morte, soggiace
in sede penale a sanzioni restrittive della libertà personale, in sede civile ad obblighi risarcitori ed in sede
ordinistica o deontologica a sanzioni disciplinari.
Ovviamente, qualsiasi discussione in materia di responsabilità e di colpa professionale avrà senso solo
quando sia stato preliminarmente dimostrato in modo certo l’esistenza obiettiva del danno alla persona e,
quindi, la prova di causalità materiale fra l’esito dannoso e la prestazione sanitaria attuata (od omessa).
Non basta, poi, la sola dimostrazione dell’errore professionale, poiché in ogni caso occorre dimostrare anche
l’inescusabilità dell’errore stesso, quindi la sua evitabilità, la prevedibilità e, dunque, la prevenibilità del
danno e la dimostrazione conseguente che con un diverso comportamento professionale, quel danno,
certamente o con ogni probabilità, non sarebbe stato cagionato.
L’errore, inoltre, non è sempre sinonimo di insuccesso ed, a sua volta, insuccesso non è mai sinonimo di
colpa (tipici sono i casi di malattie inguaribili, come molte forme neoplastiche o neurodegenerative).
In sostanza, la censurabilità della condotta professionale non è quindi subordinata alla dimostrazione del
mancato raggiungimento del risultato sperato, ma all’errato inescusabile uso dei mezzi, di cui il medico
dispone: essa, quindi, deve essere sempre fondata sulla prova dell’eventuale imperizia o imprudenza o
negligenza del sanitario.
In definitiva, i presupposti necessari per parlare di responsabilità professionale sono:
• Prova del verificarsi del danno, della sua natura e della sua gravità
• Accertamento del nesso di causalità materiale fra condotta (attiva od omissiva) ed evento dannoso
• Prova della colpa professionale, ossia di imperizia, imprudenza o negligenza del medico o della sua
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, talché l’errore commesso sia inescusabile

Imperizia
Si parla di imperizia quando l’errore professionale deriva dall’essersi il medico discostato da quelle regole di
condotta che la maggioranza dei suoi colleghi avrebbe osservato di fronte allo stesso caso. Comunque,
secondo la giurisprudenza, “l’accertamento della colpa professionale del sanitario deve essere valutata con
larghezza di vedute e comprensione per la peculiarità dell’esercizio dell’arte medica e per la difficoltà dei
casi particolari”.
Infatti, specie in presenza di casi particolari, il rischio di errore diventa maggiore, anche per medici esperti.
Allorché la colpa professionale sia addebitata all’imperizia, si deve ritenere generalmente valido il principio
stabilito dall’art. 2236 c.c., secondo cui “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo e colpa grave”.
La Corte di Cassazione, inoltre, ha precisato che la speciale difficoltà sussiste ogni volta che la perizia
richiesta per la risoluzione di quel certo caso trascende i limiti di quel che si esige dal professionista medio,
poiché quel caso presenta caratteristiche eccezionali, straordinarie, non adeguatamente studiate dalla scienza
medica o perché pone in essere sistemi e metodi diagnostici, terapeutici o chirurgici dibattuti ed
incompatibili fra loro.
Nella pratica forense, quindi, la colpa grave, richiamata dall’art. 2236 c.c., si riscontra nell’errore
inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali
attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso di mezzi manuali o
strumentali adoperati nell’atto medico o chirurgico e che ogni medico deve essere sicuro di poter adoperare
correttamente.
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Perciò, non è imperito chi non sa, ma chi non sa e non sa fare quello che un altro medico o la maggioranza
dei suoi colleghi di pari qualifica, esperienza o specializzazione avrebbe dovuto sapere e saper fare nella
medesima circostanza.

Negligenza ed imprudenza
Non potrà esser mai invocata a giustificazione del mal operato del medico la difficoltà del caso concreto, se a
fondamento della colpa sono la negligenza e l’imprudenza del professionista.
Imprudente è quel medico che mostra di non tener conto dei rischi cui espone il proprio assistito (cioè si
dimostra incapace di prevederli e dunque di prevenirli); non è quindi imprudente chi usa mezzi diagnostici o
terapeutici rischiosi o pericolosi, ma chi li usa senza una effettiva necessità, anzi con avventatezza ed in
condizioni in cui la maggioranza dei colleghi li eviterebbe e senza le dovute cautele i precauzioni.
Negligente, infine, è quel medico che mostra col suo comportamento trascuratezza, disinteresse e
superficialità nei confronti dell’assistito, che omette, senza giustificato motivo o ragione, di fare quegli
accertamenti o di attuare quelle terapie che la maggioranza dei suoi colleghi nelle medesime condizioni
avrebbe attuato.
Fra tutte, la negligenza è la più inescusabile delle mancanze addebitabili al professionista, con la
conseguenza della maggior severità delle censure che ne derivano.

Responsabilità professionale e rapporto di causalità materiale


Secondo l’art. 40 c.p., “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo”, risultando poste sullo stesso piano l’azione attiva e quella omissiva.
Tuttavia, mentre in materia di causalità attiva, il perito ML e con lui il giudice ragionano su fatti concreti; in
materia di causalità omissiva, si è costretti a ragionare su comportamenti che non sono stati posti in essere,
ma che avrebbero dovuto esserlo, e si fatti ipotetici od astratti, confrontati con altri fatti realmente accaduti.
Risulta, quindi, più difficile provare il nesso di causalità omissiva; si è ricorso, dunque, più spesso ad un
criterio probabilistico, spesso con conseguenze severe per il medico, come una sentenza della Cass. Pen.
dimostra: “nell’accertamento del nesso di causalità fra la condotta omissiva e l’evento di responsabilità
professionale del medico, al criterio di certezza degli effetti della condotta si sostituisce quello della
probabilità di tali effetti, anche limitata al 30%, e della idoneità della condotta a produrli: di conseguenza, il
rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta,
avrebbe avuto non già la certezza, bensì soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tale che la vita
del paziente sarebbe stata con una certa probabilità (30%) salvata”.
Tuttavia, sentenze più recenti hanno stabilito che la colpa sussiste solo quando si dimostra che l’omissione in
discussione ha provocato la morte (o il danno) dell’assistito con certezza o con un ordine di probabilità
“vicini a 100”.

Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale


In sede civile, il rapporto medico-assistito è inteso come un rapporto contrattuale: pertanto, la responsabilità
nella quale il professionista può incorrere nell’assolvimento dell’incarico conferitogli dal proprio assistito è
di natura contrattuale.
Si parla, invece, di natura extracontrattuale quando il medico agisce al di fuori di un accordo specifico
coll’assistito, ad esempio allorché si verifichino eventi imprevisti (traumi della strada, prestazioni d’urgenza,
etc.): in questi casi, il medico è chiamato a rispondere dei danni eventualmente cagionati solo quando si
dimostri che abbia violato il principio generale del “neminem ledere”, cioè nell’ipotesi di condotta illecita, da
cui deriva il danno ingiusto con il conseguente obbligo risarcitorio.
Quindi, nella responsabilità contrattuale, ai fini del risarcimento del danno eventualmente patito, all’assistito
basterà la prova dell’effettivo verificarsi del danno; l’onere della prova sulla colpa spetta, invece, al medico
(cioè sarà il medico a dover dimostrare di non esser in colpa).

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Nella responsabilità extracontrattuale, invece, il danneggiato si troverà di fronte alla più complessa necessità
di dimostrare sia il nessi di causalità materiale sia la colpa del professionista.
La prescrizione, infine, è decennale nella responsabilità contrattuale, quinquennale in quella
extracontrattuale.

Par. II: Referto


Definizione
Il referto è l’atto obbligatorio scritto con il quale ogni esercente una professione sanitaria comunica
all’Autorità Giudiziaria quei casi in cui ha prestato la propria assistenza od opera e che possono presentare i
caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio.
L’art. 365 c.p. (omissione di referto) stabilisce che “chiunque, avendo nell’esercizio di una professione
sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il
quale si debba procedere d’ufficio omette o ritarda di riferire all’Autorità indicata è punito con multa fino a
lire un milione. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a
procedimento penale”.
Nota bene che trattasi di reato di pericolo: perciò si dice “possono presentare” e non “debbono presentare” i
caratteri del delitto perseguibile d’ufficio.
Inoltre, se vi è l’obbligo di refertare e l’esercente non referta, è reato anche se egli ignorava l’esistenza di
quest’obbligo: l’unica ipotesi di non reato è un errore in buona fede nella valutazione ML di quel reato come
non procedibile d’ufficio.
Risultando, dunque, fondamentali i concetti di assistenza ed opera, per i quali esistono due teorie:
• I: assistenza come prestazione professionale con carattere di continuità ed opera, quindi, come
evento singolo, occasionale, transitorio
• II: assistenza come attività diagnostico-terapeutica su vivente ed opera come attività sul cadavere od
altre attività svolte in assenza della persona assistita

Il referto in casi d’obbligo rappresenta una “causa giusta imperativa” di rivelazione del segreto professionale
(SP), ma se viene redatto in quelle circostanze ove non ci sia l’obbligo, l’esercente compie reato di
rivelazione di SP (art. 622 c.p.).
La finalità del referto è duplice: non solo la repressione, ma anche la prevenzione della criminalità, poiché
consente allo Stato di individuare ed isolare la persona che ha compiuto l’azione criminosa e di attuare
misure anche di ordine preventivo, di difesa sociale e di recupero, peraltro sempre insite nell’attività di
giustizia penale.
Il sanitario, dunque, deve ritenersi esonerato dall’inoltrare il referto nella sola ipotesi in cui con esso
esporrebbe la persona assistita a procedimento penale: difatti, se non vi fosse tale eccezione, la persona che
avesse commesso un reato perseguibile d’ufficio, eviterebbe di recarsi dal medico per farsi curare, con la
certezza di esporsi a pericoli anche gravi per la sua salute o la sua vita.
Quindi, in tali circostanze, sulle finalità di difesa sociale e di repressione della criminalità e dunque
sull’obbligo giuridico di presentare il referto, prevale il diritto alla salute del cittadino e l’interesse della
collettività a tutelarla con il conseguente dovere da parte del medico di assisterlo con perizia, prudenza e
diligenza, rispettando il segreto professionale.
In tutti gli altri casi, il referto costituisce “giusta causa imperativa” di rivelazione del segreto professionale.

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Titolarità dell’obbligo
Il referto, si ricorda, deve essere presentato da “chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria abbia
prestato la propria assistenza od opera”.
Poiché si parla di professione sanitaria senza altre distinzioni, debbono ritenersi obbligati non solo coloro che
esercitano una professione sanitaria principale (medico, farmacista, veterinario, biologo), ma anche coloro
che esercitino un’altra professione (infermiere, ostetrica, etc.).
L’obbligo scaturisce dall’esercizio stesso della professione sanitaria, ossia dall’aver prestato assistenza od
opera in un caso che può presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio.
Il referto deve contenere l’esatta descrizione delle lesioni riscontrate, se possibile il giudizio diagnostico ed
in ogni caso il giudizio prognostico, cioè la previsione fondata della durata della malattia.

Casi in cui si deve presentare referto: delitti perseguibili d’ufficio


• Delitti contro la vita
o Omicidio volontario
o Omicidio colposo
o Omicidio preterintenzionale
o Omicidio del consenziente
o Morte o lesioni conseguenti ad altro delitto
o Istigazione od aiuto al suicidio
o Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (salvo quando si espone la donna
assistita a procedimento penale)
o Quando non è certa la causa naturale del decesso e se ne sospetti motivatamente la
responsabilità di terzi
• Delitti contro l’incolumità individuale
o Lesione personale volontaria che determini malattia di durata superiore ai 20 giorni o
quando la durata è minore, ma vi sono circostanze aggravanti specifiche o generiche
o Lesione personale colposa grave (> 10 giorni) o gravissima (malattia certamente o
probabilmente insanabile), limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali o relative alla tutela
dell’igiene sul lavoro
• Delitti contro la libertà individuale (sequestro di persona, violenza privata, etc.)
• Delitti contro l’incolumità pubblica: attività pericolose o dannose per la salute pubblica, che
espongono al pericolo di epidemia e di intossicazione
• Delitti contro la libertà sessuale (violenza sessuale abusiva o presunta; violenza sessuale con
conseguente lesione personale)
• Interruzione della gravidanza al di fuori dei casi legittimi stabiliti dalla L. 194/1978
• Delitti contro l’assistenza familiare (maltrattamenti in famiglia)
• Delitti contro la pietà dei defunti: vilipendo, distruzione, occultamento ed uso illegittimo di cadavere

Delitti nei quali non v’è obbligo di referto poiché si esporrebbe la persona assistita a procedimento
penale
• Uso delle armi in duello
• Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale
• Rissa
• Fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona

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Art. 334 c.p.p.


“Chi ha l'obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo,
immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha
prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più vicino.
Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo
dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze
dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato
commesso e gli effetti che ha causato o può causare.
Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto,
con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto”.
Pericolo nel ritardo può costituirsi, ad esempio, per inquinamento di prova, pericolo di vita o pericolo alla
salute pubblica.
Il referto deve essere completo: un referto incompleto equivale ad un referto non presentato.

Differenze tra referto e denuncia/rapporto giudiziario


• Persone
o Referto: liberi esercenti la professione sanitaria
o Rapporto giudiziario: medici con qualità di pubblico ufficiale (dipendenti SSN) od incaricato
di pubblico servizio (dipendente struttura convenzionata col SSN)
• Fatto
o Referto: solo delitti procedibili d’ufficio
o Rapporto giudiziario: ogni reato (delitto o contravvenzione) procedibili d’ufficio
• Contenuto
o Referto: giudizio tecnico diagnostico-prognostico
o Rapporto giudiziario: ha carattere giudiziario (il rapporto è poi sempre obbligatorio)

Par. III: Denunce sanitarie


Definizione e generalità
La denuncia sanitaria è l’atto con il quale il sanitario comunica all’Autorità competente (ASL, sindaco, etc.)
fatti direttamente appresi nell’esercizio della professione e che all’Autorità stessa interessa conoscere.
Il fine della denuncia è duplice:
• Tutelare la salute collettiva permettendo all’autorità giudiziaria competente di assumere adeguate
misure di ordine preventivo e di igiene pubblica ed individuale
• Consentire l’effettuazione di indagini di tipo statistico-sanitario ed epidemiologico nel campo della
sanità pubblica

Tali finalità possono, talvolta, essere in contrasto con il diritto personale alla privacy; tuttavia, le denunce
sanitarie costituiscono giusta causa imperativa di rivelazione del segreto professionale.
Il sanitario, nella loro stesura dovrò indicare solo le notizie ed i dati di interesse per la salute pubblica:
qualsiasi altra segnalazione riguardante la sfera privata del singolo e priva di effettivo interesse per la tutela
della salute pubblica può esser considerata indebita e rende quindi punibile la condotta per rivelazione del
SP, ove la persona offesa presenti querela.
A differenza del certificato medico obbligatorio, non è l’assistito che chiede di redigere il documento in
questione, né esso viene rilasciato nell’interesse diretto dell’assistito.
A differenza del referto, poi, la finalità è diversa: essa, infatti, non consiste nella repressione della
criminalità, ma nella prevenzione e nella tutela della salute collettiva.
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Denunce sanitarie obbligatorie


• Di nascita: l’art. 70 dell’ordinamento dello stato civile stabilisce che la dichiarazione di nascita civile
deve essere inviata al Sindaco tramite l’ufficiale di stato civile entro i 10 giorni successivi al parto.
Essa viene fatta generalmente dal padre o da un suo procuratore speciale. Il medico si limita a
rilasciare un certificato di assistenza al parto (che è parte integrante della dichiarazione di nascita).
o NB: il medico è obbligato a presentare di persona la dichiarazione quando ha presenziato al
parto e mancano le persone legalmente tenute a presentarla ovvero quando egli ha fondato
motivo di ritenere che esse, per quanto presenti, omettano di farlo
o Finalità: è quella di dare la certezza che quel neonato è certamente figlio della gestante alla
quale il medico ha prestato assistenza al parto. L’alterazione dello stato civile (art. 567 c.p.)
costituisce reato ed è punito in modo più severo (da 5 a 15 anni di reclusione) per chiunque
alteri lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni
• Di nascita di infanti deformi: va presentata al Sindaco ed al servizio di igiene pubblica della Asl
competente per territorio entro i 2 giorni dal parto. Le deformità sottoposte ad obbligo sono quelle a
carico dell’apparato locomotore (ad esempio, lussazione congenita dell’anca) ed in genere tutte
quelle che comportino un’invalidità permanente.
o Finalità: epidemiologiche e di prevenzione per i fattori di rischio di questa condizione
• Di nascita di infanti immaturi: si considera immaturo quel neonato di peso inferiore ai 2,5 kg
indipendentemente dalla durata della gravidanza. Questa denuncia, anch’essa con finalità preventive,
va fatta entro e non oltre le 24 ore dal parto al responsabile del servizio di igiene pubblica della Asl
competente per territorio
• Di casi di lesioni invalidanti: l’obbligo riguarda quelle lesioni da cui sia derivata o possa derivare
un’inabilità, anche parziale, al lavoro, purché a carattere permanente, fatta eccezione, per i casi
INAIL ed INPS, già segnalati con apposite denunce (agli enti previdenziali). Occorre inviare
l’apposita denuncia al Sindaco ed al responsabile del servizio di igiene pubblica della Asl
competente per territorio entro 2 giorni dall’accertamento. Le Asl competenti le inviano poi al
Ministero della Sanità ed all’Istituto Nazionale di Statistica ed al casellario centrale di infortuni
o Finalità: aggiornamento del casellario centrale infortuni, al quale dovrebbero pure pervenire
sia le segnalazioni dell’INAIL, sia quelle delle varie compagnie di assicurazioni private
• Di malattie infettive e diffusive: per qualsiasi malattia infettiva e diffusiva, o sospetta di esserlo,
pericolosa per la salute pubblica, il medico ha l’obbligo di notificarla all’autorità sanitaria
competente per territorio (Asl). Le malattie infettive e diffusive sono distinte in 5 classi, con diverse
modalità di notifica con utilizzo di appositi modelli:
o Classe I: malattie per le quali si richiede la segnalazione immediata, anche telefonica, perché
soggette a regolamento sanitario internazionale (malattie sottoposte a vigilanza da parte
dell’OMS) o perché rivestono particolare gravità (malattie a decorso mortale o prognosi
infausta): botulismo, colera, difterite, febbre gialla, influenza con isolamento virale, peste,
poliomielite, rabbia, tetano, tifo esantematico, etc.
o Classe II: malattie rilevanti perché ad elevata frequenza e/o passabili di interventi di
controllo e di prevenzione. La segnalazione va fatta entro 2 giorni dall’osservazione del caso
da parte del medico all’Asl (entro 24 ore per la meningite meningococcica). A parte questa,
esempi di classe II sono: epatite virale A e B, febbre tifoide, legionellosi, leishmaniosi,
meningiti, morbillo, parotite, pertosse, rosolia, scarlattina, varicella, sifilide
o Classe III: malattie per le quali, oltre alla semplice segnalazione del singolo caso, sono
richieste particolari documentazioni. La segnalazione va fatta all’Asl entro 2 giorni
dall’osservazione o conoscenza del caso, servendosi di un’apposita scheda di notifica:
ƒ Sezioni della scheda
• A: dati anagrafici
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• B: informazioni sulla malattia segnalata


ƒ Esempi: AIDS, lebbra, malaria, tubercolosi
o Classe IV: comprende quelle malattie per le quali la segnalazione medica all’Asl è sempre
necessaria, ma non lo è quella dell’Asl alla regione (si notificherà solo in caso di focolai
epidemici. La segnalazione va fatta dal medico all’Asl entro le 24 ore dall’osservazione del
caso; esempi sono: infezioni, tossinfezioni ed infestazioni di origine alimentare, pediculosi,
scabbia
o Classe V: sono malattie non comprese nelle classi precedenti e da segnalare, da parte delle
Asl competenti, alla ragione solo in caso di focolai epidemici
• Dei casi di AIDS
• Delle malattie veneree: l’obbligo riguarda, nella loro fase di contagiosità: sifilide, gonorrea, ulcera
venerea e linfogranuloma inguinale. Al di fuori della fase di contagiosità, sono considerate malattie
infettive di classe II
• Delle malattie di interesse sociale
• Dei casi di intossicazione cronica di sostanze stupefacenti o psicotrope
• Delle vaccinazioni obbligatorie: il medico che abbia effettuato una vaccinazione obbligatoria (anti-
poliomielitica, difterica, tetanica, etc.) deve darne sollecita comunicazione all’Asl competente.
L’obbligo, peraltro, riguarda la vaccinazione contro l’epatite B
• Dei casi di intossicazioni da antiparassitari
• Di detenzione di apparecchi radiologici e di sostanze radioattive
• Degli interventi interruttivi di gravidanza: è una segnalazione non nominativa di IVG; infatti,
secondo l’art. 11 della L. 194 “l’ente ospedaliero, la casa di cura od il poliambulatorio nei quali
l’intervento è stato effettuato, sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio
una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell’intervento stesso e della
documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza far menzione dell’identità della donna”.
• Delle cause di morte: va distinta dalla dichiarazione di morte, denuncia amministrativa e non
sanitaria. Comunque, si tratta dell’avviso di morte inviato all’Ufficiale dello Stato civile entro 24 ore
dal decesso ai fini della registrazione. Se la morte avviene nell’abitazione stessa del defunto, può
esser redatta da uno dei congiunti od anche dall’impresa di pompe funebri. Riguardo la denuncia
delle cause, è una denuncia sanitaria obbligatoria: va redatta dal medico curante al Sindaco ovvero
all’ufficiale dello stato civile entro le 24 ore dall’accertamento della morte, utilizzando le apposite
schede ISTAT (morte naturale e morte violenta). Se la morte è avvenuta in assenza di assistenza
medica, la denuncia delle cause di morte deve esser effettuata dal medico necroscopo nominato
dall’Asl competente e la cui visita deve avvenire fra le 15 e le 30 ore dal decesso

Denunce obbligatorie del settore previdenziale


• Degli infortuni sul lavoro industriale
• Degli infortuni sul lavoro agricolo
• Degli infortuni sul lavoro artigiano
• Delle malattie professionali nell’industria
• Delle malattie professionali nell’agricoltura
• Delle lesioni dei medici esposti a radiazioni ionizzanti

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Par. IV: Trapianti d’organo

Prelievo da viventi
Non sono consentiti i prelievi d’organo da viventi quando cagionino una diminuzione permanente
dell’integrità fisica e psichica del donatore, secondo l’art. 5 c.c. (atti di disposizione del proprio corpo).
Entro i limiti di questo articolo sono consentiti la donazione di sangue (si ricorda che il sangue era
considerato un liquido), i prelievi circoscritti di lembi di pelle, di frammenti di osso, di lambi di cartilagine,
di capelli, etc.
La persona può disporre di tali parti, ma solo a titolo gratuito, cioè senza ricevere alcun compenso.
È anche consentita, per espressa deroga di legge (26.06.1967), la donazione di rene: la deroga vale per
genitori, figli, fratelli germani e non germani del paziente e solo nel caso di loro assenza, o quando nessuno
di essi sia idoneo o disponibile, l’espianto può riguardare altri parenti o donatori estranei al nucleo parentale.
In ogni caso, è necessario il consenso esplicito libero ed informato della persona sottoposta a prelievo e tale
consenso non può esser soddisfatto da alcuno stato di necessità, né la persona deve ritenersi mai obbligata a
prestarlo.
Il trapianto di rene non è un intervento che mira a salvaguardare la vita dell’assistito, come nel caso di
trapianto di cuore o di fegato, ma soprattutto la qualità di vita: pertanto, il medico ha tutto il tempo di
effettuare in modo esauriente le prove di compatibilità, di valutare approfonditamente le condizioni del
donatore e del ricevente e di prepararli in modo adeguato all’intervento.
Comunque, ora in Italia anche questi altri trapianti sono eseguiti.
Soprattutto, va esclusa l’esistenza di malattie trasmissibili sulla persona del donatore, così da evitare che il
ricevente sia esposto al rischio di malattie gravi o mortali (ad esempio, epatite, AIDS).
La L. 1.16.1999 n. 483, infine, consente di disporre a titolo gratuito di parti di fegato, al fine di trapianto tra
persone viventi.

Prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico


Sussiste attualmente divieto, oltre che per l’encefalo, per le ghiandole della sfera genitale e della
procreazione: difatti, si ritiene che il trapianto miri a salvare la vita di una persona e non semplicemente a
curare l’organo od a trattare l’infertilità e che da un eventuale trapianto di gonadi potrebbe derivare
un’alterazione dell’identità biologica dei discendenti.
Organi e tessuti maggiormente prelevati e trapiantati sono: cornea, tendini, ossa e muscoli.
Prelievo ed espianto sono consentiti solo a scopo terapeutico e non, ad esempio, a scopo di sperimentazione.
È necessario, inoltre, che l’accertamento della morte e del consenso alla donazione (esplicito o presunto)
rispettino le procedure stabilite dalle leggi vigenti.
Riguardo l’accertamento della morte, è necessario verificare che le funzioni di tutto l’encefalo siano
irreversibilmente spente, con: stato di incoscienza, assenza di riflessi del tronco, assenza di respiro spontaneo
e silenzio elettrico cerebrale.
La contemporanea presenza dei segni citati deve essere accertata per tutto il periodo di osservazione
(secondo la recente circolare del Ministero: 6 ore per tutti, con osservazione all’inizio ed alla fine di tale
periodo) e, quando è impossibile valutare i riflessi del tronco o praticare un EEG, è necessario provare
l’assenza del flusso ematico cerebrale.
È fondamentale, inoltre, accertare che il donatore sia esente da malattie virali, tumorali o infettive.
A provare e certificare la morte sarà un collegio di 3 medici, nominato dalla Direzione sanitaria (commisione
dei trapianti): i componenti dell’equipe devono esser dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche ed
indipendenti dall’equipe che effettuerà il prelievo.
Sarà poi il Magistrato che, a conclusione del periodo di osservazione, autorizzerà o meno l’espianto, sulla
base degli accertamenti fornitigli dal Collegio.

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Una volta accertata la morte del paziente, accertata anche la volontà di donare (vedi dopo), si manterranno
gli organi vitali in vita per 48 ore, nell’attesa dell’equipe dell’espianto.

Consenso alla donazione dell’organo


Le nuove regole (L. 1.04.1999 n. 91) introducono il principio del silenzio-assenso informato: è la persona in
vita ad esser chiamata a decidere (e non i familiari dopo la morte) se mettere a disposizione a scopo
terapeutico i propri organi in caso di decesso.
A tal fine, ogni cittadino, compiuto il 16° anno di età, verrà informato sull’argomento e sarà chiamato ad
esprimere la propria volontà. In caso di rifiuto dovrà render nota la sua decisione con l’obbligo, da parte
della competente autorità sanitaria di trascriverla sul libretto sanitario individuale o eventualmente su altri
documenti d’identità. Verrà, allora, riportata la scritta “n.d.” (non donatore).
Se, invece, la persona dopo l’informativa si astiene dal manifestare la sua volontà entro un termine
prestabilito, che la legge fissa in 90 giorni, non verrà riportata sul documento alcuna dicitura e, quindi, si dà
per scontato l’assenso all’eventuale prelievo di organi nel caso di morte (principio del silenzio-assenso
informato).
In ogni momento della sua vita, il cittadino può cambiare parere e modificare la sua decisione con la rettifica
d parte dell’autorità sanitaria della dicitura riportata sul libretto individuale.
Al di sotto del 16° anno, qualsiasi decisione verrà presa dai genitori o dai rappresentanti legali.
I soggetti cui non sia stata notificata la richiesta di manifestazione della propria volontà in ordine alla
donazione di organi (o tessuti) sono considerati non donatori.
L’attuazione della L. 91/1999 prevede l’istituzione di una rete informatica dei trapianti sul territorio
nazionale: fino a che tale sistema non sarà funzionante, è previsto un regime transitorio, durante il quale il
prelievo di organi o tessuti potrà esser effettuato sempre che la persona candidata alla donazione non abbia
espressamente negato in vita il proprio assenso e sempre che nel corso del periodo di osservazione,
obbligatorio ai fii dell’accertamento legale della morte, il coniuge non separato del defunto od il suo
convivente more uxorio o, in mancanza, i figli maggiorenni o i genitori o, in mancanza, il rappresentante
legale, non abbiano fatto pervenire in tempo utile opposizione scritta
In sostanza, i parenti od i rappresentanti legali possono fornire la testimonianza della volontà del soggetto in
vita; per tutelare, però, la propria volontà, l’eventuale donatore può redare uno scritto, affidandolo ad una
persona di fiducia.
Secondo una circolare del Ministero della Sanità, se risulta incontrovertibile che il soggetto abbia espresso
volontà favorevole alla donazione, i familiari non hanno più alcun diritto di opporsi.
Se il soggetto ha, invece, espresso volontà negativa, non si deve procedere al prelievo.
Nei casi in cui non sia stata espressa tale volontà, perché possa valere il principio del silenzio-assenso,
occorre fornire la prova dell’avvenuta informazione in vita che il soggetto, dopo la morte, possa esser
sottoposto a prelievo di organi o tessuti e sull’avvenuta richiesta di consenso alla donazione.

Trapianto della cornea


La cornea non costituisce organo, ma tessuto avascolare che fa parte integrante dell’organo della vista: nel
caso di danni gravi della sua trasparenza e della sua curvatura, non resta altra soluzione che quella di
ricorrere al trapianto.
Il prelievo può esser effettuato previo accertamento della morte per arresto cardiaco irreversibile, mediante
rilievo grafico continuo dell’ECG protratto per non meno di 20’

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Selezione del ricevente


È consentito sostenere la vita biologica della persona morta solo al fine di effettuare le operazioni di
espianto: garantire la circolazione sanguigna, e cioè l’ossigenazione di organi e tessuti, è condizione
indispensabile per assicurare la vitalità dell’organo da trapiantare.
Occorrerà effettuare, quindi, il prelievo di un linfonodo ed inviarlo ad un “centro di riferimento” per la
tipizzazione antigenica, così da accertare la compatibilità tra donatore e ricevente.
Il centro di riferimento, completata l’indagine, avvisa il centro trapianti (europeo) che provvederà a scegliere
dalla lista d’attesa da due a cinque malati.
Il ricevente dovrà avere un’età preferibilmente minore di 65 anni, esser stato preparato all’intervento e
trovarsi in condizioni cliniche tali da tollerare le cure immunosoppressive.
Nel frattempo, l’organo viene asportato, conservato in modo adeguato (non oltre le 24 ore) e trasportato a
destinazione.
L’art. 18 della L. 91/1999 introduce, inoltre, per una maggior garanzia del corretto funzionamento della
complessa struttura organizzativa dei trapianti, un’altra distinzione, anche tra medici che procedono al
prelievo e quelli preposti al trapianto, oltre a quella già prescritta fra i medici che accertano la morte e quelli
preposti al prelievo.

Sanzioni penali
• Trapianto a scopo di lucro: chiunque a scopo di lucro procura un organo od un tessuto di persona di
cui sia stata accertata la morte o ne fa in qualsiasi modo commercio, è punito con la reclusione da 2 e
5 anni e con una multa elevata. Se si tratta di sanitario viene inflitta in aggiunta l’interdizione
perpetua dall’esercizio della professione
• Trapianto abusivo: chi, senza scopo di lucro, procura un tessuto od un organo prelevato
abusivamente da una persona di cui sia stata accertata la morte, è punito con la reclusione fino a 2
anni. Se si tratta di sanitario, viene inflitta in aggiunta l’interdizione dall’esercizio della professione
fino ad un massimo di 5 anni
• Uso illegittimo di cadavere
• Distruzione di cadavere

Par. V: Eutanasia, accanimento diagnostico-terapeutico e cure palliative


Eutanasia
Il termine, derivato dal greco, significa “buona morte”, ossia morte senza dolore, senza sofferenze atroci, la
cosiddetta morte dolce.
• Utilizzo attuale: oggi, tuttavia, il termine è utilizzato soprattutto per indicare la condotta diretta a
produrre ed accelerare o a non far nulla per evitare o ritardare la morte della persona assistita,
allorché questa sia affetta da una malattia:
o Inguaribile
o Caratterizzata da una sintomatologia dolorosa grave
o Giunta allo stadio terminale e, perciò, con previsione di esito mortale a breve scadenza, con
l’unico intento di porre fine alle sue sofferenze
o NB: secondo il nostro ordinamento, il medico, di fronte a situazioni del genere, ha un
maggior carico di responsabilità e non è mai legittimato, quali che siano la diagnosi e la
prognosi, ad attivarsi per accelerare l’evento mortale
• Fattispecie di delitto in relazione all’attuazione di una condotta che miri ad arrecare la morte del
proprio assistito
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o Omicidio del consenziente: art. 579 c.p.


o Omicidio volontario: art. 575 c.p.
o Istigazione od aiuto al suicidio: art. 580 c.p.
o NB: in alcuni casi può esser invocata l’aggravante della premeditazione
• Tipi di eutanasia non giustificati
o Eugenica: eliminazione indolore di esseri deformi
o Economica: eliminazione indolore di invalidi gravi, che sarebbero inutili e costosi
o Criminale: uccisione indolore di individui socialmente pericolosi
• Significato di eutanasia: essa significa provare della vita un essere umano, costituendo un
comportamento gravemente delittuoso. Niente e nessuno, infatti, può autorizzare l’uccisione di un
essere umano, feto od embrione, bambino o adulto od anziano, ammalto o incurabile o agonizzante.
Né mai l’eventuale consenso della persona assistita può ritenersi causa valida di giustificazione del
comportamento del medico in senso eutanasico
• Tipi di eutanasia:
o Attiva (o diretta): si verifica per commissione e consiste nell’intervenire attivamente
somministrando al paziente sostanze letali. Questo costituisce un delitto gravissimo
o Passiva (o indiretta): si basa su una condotta omissiva od astensionista, nella quale, di fronte
a pazienti in fase terminale, si sospendono intenzionalmente cure essenziali al mantenimento
della vita del paziente. Anche questo comportamento è di regola penalmente sanzionabile, a
meno che esso assuma il significato di rifiuto dell’accanimento terapeutico e vengano
contestualmente attuate cure palliative a tutela della dignità della vita del morente.

Art. 37 c.d. : Assistenza al malato inguaribile


“In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare
la sua opera all’assistenza morale ed alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i
trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita.
In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale
finché ritenuta ragionevolmente utile. Il sostegno vitale dovrà esser mantenuto sino a quando non sia
accertata la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.

Cure palliative e risparmio di sofferenze inutili


Per cure palliative si intende il complesso integrato e coordinato di quei trattamenti terapeutici atti a
sollevare dal dolore il malato inguaribile e terminale (ad esempio, per malattie neoplastiche).
La medicina palliativa è specificamente finalizzata alla cura dei sintomi accusati dal paziente terminale
(dolore, vomito, stipsi) ed a far sì che il malato conservi quanto più possibile la propria autonomia, le proprie
abitudini ed il proprio ruolo familiare.
Talora, non controllare il dolore in modo efficace o controllarlo male può significare inadeguata condotta
professionale ed esporre il medico a censure anche molto gravi (imperizia o negligenza). A tal proposito, è
utile tener conto della cosiddetta regola del doppi effetto, poiché, se da un lato l’uso di analgesici, oppiacei,
morfina, narcotici etc., ha un effetto positivo (sedazione del dolore), dall’altro può accelerare la morte, con
conseguenti risvolti della responsabilità.
Pertanto, secondo le “norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del
dolore”, il medico chirurgo è autorizzato ad approvvigionarsi dei farmaci in questione mediante
autocertificazione ed a detenerne un quantitativo necessario per far fronte all’uso professionale urgente.
Inoltre, la prescrizione degli stessi farmaci può prevedere dosaggi per cura di durata sino a 30 giorni.

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Accanimento diagnostico e terapeutico e tutela della qualità della vita residua


Si parla oggi di mezzi proporzionati e sproporzionati rispetto ai benefici che è possibile ottenere o prevedere
nella situazione concreta.
In tal senso, sono leciti, legittimi e doverosi in ogni caso i mezzi proporzionati; illeciti gli altri e quelli non
consentiti dalla persona assistita.
In generale, è da ritenersi lecito interrompere l’applicazione o l’impiego di mezzi terapeutici e diagnostici
sproporzionati, allorché i risultati previsti deludano le speranze riposte in esse, quando i rischio che essi
comportino siano pesanti o si accompagnino ad una riacutizzazione intollerabile della sintomatologia
dolorosa oppure quando non consentano il ripristino od il mantenimento di una sufficiente qualità o dignità
di vita, sì da essere ragionevolmente inaccettabili da parte della persona assistita se questi avesse conservato
lucidità di coscienza.
Il rifiuto dei mezzi terapeutici straordinari e sproporzionati rispetto ai prevedibili benefici non equivale al
suicidio né all’eutanasia, ma significa rifiuto dell’accanimento terapeutico.
Nel prendere una qualsiasi decisione sospensiva del trattamento dovrà tenersi conto comunque del desiderio
dell’ammalato e della sua volontà e solo in caso di una sua incapacità è utile consultare i familiari dello
stesso.
Secondo l’art. 34 c.cd., infatti, “il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in
caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso”.
Importanti risultano, dunque, le direttive anticipate:
• Living will (o testamento in vita): si tratta di una dichiarazione di volontà redatta dallo stesso
assistito in epoca non sospetta e nella quale si forniscono indicazioni concernenti il consenso circa
gli eventuali accertamenti e trattamenti sanitari, da assumere in caso di perdita della propria capacità
di decisione autonoma
• Durablepower of attorney: delega ad un’altra persona della facoltà di esprimere un consenso valido
in sostituzione propria, nel caso di sopravvenuta incapacità
• Advance directive: dichiarazione di volontà comprensiva di entrambe le ipotesi precedenti

Par. VI: Segreto professionale


Caratteristiche generali
La persona che si rivolge al medico per esser assistita lo fa con la convinzione di trovarsi di fronte ad una
persona non solo in grado di capire e di rispondere alla propria richiesta in modo competente, ma capace
anche di esser riservata e di rispettare il segreto su ciò che le viene confidato e su quanto ha conosciuto e
saputo per ragione della sua professione.
Pertanto, la rivelazione del segreto professionale (SP) è contemplata nel nostro codice fra i delitti contro la
persona.
Il SP deve ritenersi ogni notizia che riguardi qualsiasi aspetto della vita privata dell’assistito e che
quest’ultimo abbia interesse a che non venga rivelata, e della quale il medico sia venuto a conoscenza in
quanto “medico” (pertanto si considera “professionale”).
Ove poi la rivelazione del segreto si riferisca non alla sfera privata del rapporto medico-assistito, ma a quella
della pubblica amministrazione, si cade nella fattispecie delittuosa più grave, contemplata dall’art. 326 c.p.,
“rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio”, punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

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Art. 10 c.d.
“Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o di cui venga a conoscenza
nell’esercizio della professione. La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto.
Il medico deve informare i suoi collaboratori dell’obbligo del segreto professionale. L’inosservanza del
segreto medico costituisce mancanza grave quando possa derivarne profitto proprio o altrui ovvero
nocumento della persona assistita o di altri.
La rivelazione è ammessa ove motivata da una giusta causa, rappresentata dall’adempimento di un obbligo
previsto dalla legge (denuncia e referto all’Autorità Giudiziaria, denunce sanitarie, notifiche di malattie
infettive, certificazioni obbligatorie) ovvero da quanto previsto dai successivi artt. 11 e 12.
Il medico non deve rendere al Giudice testimonianza su fatti e circostanze inerenti il segreto professionale.
La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico dagli obblighi del presente articolo”.

Art. 622 c.p.: Rivelazione di segreto professionale


“Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un
segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può
derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.
La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla
redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione
contabile della società .
Il delitto è punibile a querela della persona offesa”.
Il fatto costitutivo del delitto in esame consiste, dunque, nella rivelazione senza giusta causa del segreto,
ovvero nel suo impiego a proprio ad altrui profitto.
Perché in sede penale si riconosca l’esistenza del delitto di rivelazione del SP occorrono i seguenti elementi:
• Che si tratti di un segreto
• Che il soggetto ne abbia avuta notizia
• Che ciò si è verificato per ragione del proprio stato od ufficio o professione o arte
• Che il segreto venga rivelato ovvero impiegato a proprio od altrui profitto
• Che la rivelazione sia stata fatta in assenza di giusta causa
• Che da essa possa derivare nocumento alla persona offesa
• Che venga presentata querela della persona offesa

Considerazioni circa il medico


Il medico che interviene in un certo caso nella sua funzione di medico curante ha obblighi diversi rispetto a
chi interviene come medico di controllo o come medico di una compagnia di assicurazione o come perito
nominato dal giudice.
In queste ultime ipotesi i sanitari sono incaricati rispettivamente dall’Asl o dalla stessa Compagnia di
Assicurazione o dal Magistrato e devono rendere loro direttamente conto della visita effettuata e rispondere
correttamente ed in modo esaustivo ai quesiti posti.
Il paziente sa bene che ciò è necessario per riconoscere od escludere il suo eventuale diritto ad assentarsi dal
lavoro per malattia, alle prestazioni assicurative, etc. e fornisce un consenso valido alla trasmissione del
segreto all’Autorità che ha richiesto la visita.

Rivelazione e trasmissione del segreto


Rivelare significa comportarsi in modo che, senza giusta causa, una o più persone, non vincolate al segreto,
siano messe a conoscenza del segreto stesso.
È considerato equivalente alla rivelazione senza giusta causa impiegare il segreto a proprio od altrui profitto,
anche se al cliente non derivi alcun danno concreto.

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La rivelazione non legittima del segreto costituisce, oltre che un delitto penalmente perseguibile, una grave
violazione del c.d.; ha, inoltre, particolare gravità quando ne derivi profitto proprio od altrui o nocumento
della persona o di altri.
Non costituisce rivelazione del segreto professionale, ma semplice trasmissione, l’affidamento della notizia
ad una persona che pur essa è vincolata da segreto professionale.
La rivelazione, comunque, è legittima solo se sussiste una giusta causa; le giuste cause possono essere:
• Imperative: sono quelle che impongono la rivelazione del segreto:
o Notifiche e denunce sanitarie obbligatorie
o Certificati obbligatori
o Referto (art. 365 c.p.)
o Denuncia giudiziaria
o Perizia e consulenza tecnica
o Ispezione corporale ordinata dal giudice
o Visite ML di controllo (controllo dell’incapacità temporanea al lavoro)
o NB: in tutti questi casi, il medico è chiamato ad ottemperare ad un preciso obbligo giuridico
ed il non assolverlo fedelmente e nel modo dovuto può esporlo a sanzioni penali. Inoltre, il
medico sarà tenuto al più stretto riserbo circa le notizie irrilevanti ai fini dell’espletamento
dell’incarico
• Permissive: sono cause che permettono o consentono (ma non obbligano) di rivelare il segreto
o Cause che escludono l’antigiuridicità del fatto: consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.)
ƒ NB: nella valutazione della giusta causa permissiva, è opportuno che il medico
tenga conto della natura della malattia di cui l’assistito è affetto, della volontà o
meno di mantenere il segreto e dell’eventuale richiesta o autorizzazione
dell’assistito. Quindi, di fronte ai parenti che chiedono informazioni sullo stato di
salute di un loro congiunto, il medico può accettare di rispondere solo se ciò è in
linea con la volontà e l’esplicito consenso del suo assistito
o Cause che escludono la colpevolezza (cause scrminiative)
ƒ Caso fortuito o forza maggiore (art. 45 c.p.)
ƒ Costringimento fisico (art. 46 c.p.)
ƒ Errore di fatto (art. 47 c.p.)
ƒ Errore determinato dall’altrui inganno (art. 48 c.p.)
ƒ Stato di necessità (art. 54 c.p.)
ƒ Difesa legittima (art. 52 c.p.)

SP ed obbligo di rendere testimonianza al giudice


“Il medico non deve render al Giudice testimonianza su ciò che gli è stato confidato o è pervenuto a sua
conoscenza nell’esercizio della sua professione”. Tuttavia, la perizia e la consulenza rientrano fra le giuste
cause imperative. Anche la testimonianza può assumere questo stesso valore, sempre che, mancando, il
Giudice si trovasse nell’impossibilità di fare giustizia.

L. 31.12.1996 n.675: Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento di dati personali
Per dato personale si intende qualunque informazione relativa ad una persona fisica, la cui conoscenza da
parte di terzi violi i diritti alla libertà, alla riservatezza ed all’identità personale.
Pertanto, la legge garantisce che il trattamento dei dati in questione si svolga nel rispetto del consenso
dell’interessato e salvaguardando il suo diritto alla privacy.
Per trattamento si intende qualsiasi operazione consistente nella raccolta, conservazione ed utilizzo dei dati
personali.

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I dati personali riguardanti in particolare salute e vita sessuale vengono definiti “dati sensibili” ed in generale
possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del
Garante.

Par. VII: Cartella clinica


Definizione
La cartella clinica è un atto pubblico, a formazione progressiva, che consiste nel complesso ordinato e scritto
dei vari dati sanitari (anamnestici, obiettivi, specialistici, strumentali e documentali), raccolti via via dai
medici sulla persona del malato nel corso della sua degenza ospedaliera (regime di ricovero o di day-
hospital).
L’importanza è notevole sotto i profili:
• Clinico: la principale finalità è quella della tutela della salute del ricoverato (diagnosi e terapia)
• ML: per la sua efficacia probatoria, per il suo valore storico-documentario e per l’attestazione del
consenso informato
• Statistico-sanitario
• Scientifico

Art. 26 c.d.
La cartella clinica delle strutture pubbliche e private deve essere redatta chiaramente, con puntualità e
diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica e contenere, oltre ad ogni dato obiettivo
relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate.
La cartella clinica deve registrare i modi e i tempi delle informazioni nonché i termini del consenso
del paziente, o di chi ne esercita la tutela, alle proposte diagnostiche e terapeutiche; deve inoltre registrare il
consenso del paziente al trattamento dei dati sensibili, con particolare riguardo ai casi di arruolamento in un
protocollo sperimentale.

Osservazioni ML
La responsabilità della regolare compilazione della tenuta e della custodia della cartella clinica, fino alla
consegna nell’Archivio centrale dell’Azienda, spetta al Primario del reparto.
Questi deve anche vigilare sull’esattezza dei contenuti tecnici della cartella, sull’aderenza alla realtà obiettiva
al quanto vi è riportato e deve verificare la correttezza degli accertamenti richiesti, della diagnosi formulata e
della terapia prescritta e praticata.
Al Direttore sanitario compete, invece, il controllo sull’archivio centrale delle cartelle cliniche; sotto sua
responsabilità, inoltre, viene rilasciata, inoltre, agli aventi diritto copia delle stesse cartelle e di ogni altra
certificazione sanitaria riguardante i malati assistiti in ospedale.
La cartella clinica, inoltre, rientra nella categoria degli atti pubblici, in quanto esplicazione del potere di
certificazione e della natura pubblica dell’attività sanitaria cui si riferisce.
L’art. 2699 c.c. intende per “atto pubblico” “il documento redatto con le richieste formalità dal pubblico
ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo ove l’atto è formato”.
L’atto pubblico, inoltre (art. 2700 c.c.: efficacia probatoria dell’atto pubblico), fa fede e quindi costituisce
prova fino a querela di falso “della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato,
nonché delle dichiarazione delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti”.
Se l’assistito dovesse riscontrare la non rispondenza tra quanto da lui dichiarato ai sanitari curanti e quanto
documentato in cartella, è tenuto a chiedere la rettifica del testo ufficiale del documento.

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Inoltre, secondo l’art. 2702 “La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza
delle dichiarazioni di chi la ha sottoscritta se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la
sottoscrizione, ovvero se quella è legalmente considerata come riconosciuta”

Conservazione della cartella clinica e circolare del 19.12.1986


Negli ospedali, dopo che il paziente è stato dimesso, le cartelle cliniche, ciascuna con un numero
progressivo, sono conservate negli archivi centrali sotto il controllo del direttore sanitario e la conservazione
deve avvenire a tempo indeterminato. Secondo una circolare del Ministero della Salute, infatti:
“Le cartelle cliniche, unitamente ai relativi referti, vanno conservate illimitatamente poiché rappresentano
un atto ufficiale indispensabile a garantire la certezza del diritto, oltre a costituire preziosa fonte
documentaria per le ricerche di carattere storico sanitario.
La conservazione va effettuata da prima in un archivio corrente e successivamente, trascorso un
quarantennio, in una separata sezione di archivio, istituita dalla struttura sanitaria ai sensi dell’art. 30
del D.P.R.. 30.6.1963 n. 1409. Non può procedersi al versamento del materiale in questione agli archivi di
Stato, dopo il citato
quarantennio, in quanto il versamento stesso è previsto esclusivamente per gli atti degli uffici statali a
norma dell’art. 23 del suddetto D.P.R.
In merito alla conservazione, presso l’archivio delle istituzioni sanitarie, delle radiografie: non rivestendo
esse il carattere di atti ufficiali, si ritiene che sotto il profilo medico, medico-legale, amministrativo e
scientifico possa essere sufficiente un periodo di venti anni.
Tale indicazione si riferisce al periodo minimo di conservazione essendo consentito, agli Enti che lo
ritengano necessario, un tempo di conservazione più lungo.
Si precisa, comunque, che ogni eventuale scarto di materiale in questione è condizionato al preventivo
nulla osta del competente soprintendente archivistico in base all’art. 35 del citato D.P.R. n.4409/1963.
In analogia a quanto stabilito per le radiografie si ritiene che la restante documentazione diagnostica
possa essere assoggettata allo stesso periodo di conservazione di venti anniprevisto per le radiografie
stesse finché non intervengano eventuali ulteriori disposizioni a modificare il limite predetto.
Si coglie l’occasione, infine, per segnalare che laddove i presidi sanitari trovassero difficoltà
nell’allestimento di idonei locali da destinare ad archivio, è consentita la possibilità del ricorso alla
microfilmatura sostitutiva di tutta la documentazione sanitaria, ai sensi della legge n. 15 del 4.1.1968,
del D.P.C.M. 11.9.1974 e del decreto del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali del 29.3.1979.
Si precisa altresì che dev’essere osservato il più rigoroso rispetto delle sopracitate norme relative alla
microfilmatura al fine di poter conferire alla documentazione sostitutiva valore legale”.

Contenuto
La correttezza e la completezza con cui le cartelle vengono redatte depongono per la perizia e la diligenza
dei sanitari curanti.
In essa devono esser riportate in primo luogo, ossia sul frontespizio. le generalità del paziente, accertate con
l’esibizione di un documento di riconoscimento valido.
Si dovranno segnare, sempre sul frontespizio, la data dell’ingresso in ospedale e l’ora in cui il ricovero è
avvenuto, nonché la diagnosi e lo status all’ingresso. Si avrà cura di scrivere in modo completo ed esauriente
anamnesi familiare, personale, fisiologica, patologica remota e prossima.
Si debbono poi indicare le visite effettuate, il loro esito e l’obiettività rilevata, la diagnosi formulata
all’ingresso, gli esami di laboratorio e strumentali, gli accertamenti specialistici, le terapie praticate, il
decorso della malattia durante la degenza, la diagnosi e lo status alla dimissione, le prescrizioni o i
provvedimenti adottati al momento della dimissione, la data e l’ora in cui questa avviene, il tipo di
dimissione, il trasferimento eventuale ad un altro ospedale, etc.

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Nella cartella devono esser contenute le dichiarazioni esplicite di consenso del paziente, il che è necessario
tutte le volte che l’atto medico o chirurgico ecceda la normale routine.
In sostanza, secondo sentenza della Cassazione, la cartella adempie all’esigenza dell’attestazione delle
attività espletate nel reparto, ha la funzione di diario della giornata, segnale il decorso della malattia, dà atto
dell’attività terapeutica svolta dai curanti, delle analisi effettuate, degli interventi praticati.
In sostanza, essa deve contenere tutti gli elementi che consentano di ricostruite in dettaglio l’attività clinica e
chirurgica svolta durante la degenza.

Delitti di falso materiale e falso ideologico


La qualifica di atto pubblico della cartella si riflette sulla maggior severità con cui è valutato in sede penale il
delitto di falso commesso da chi la redige.
In questi casi, la falsità documentale può esser giuridicamente qualificata come falsità materiale commessa
dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 476 c.p.) o come falsità ideologica (art. 479 c.p.) commessa dal
pubblico ufficiale in atti pubblici.
La falsità materiale si realizza, ad esempio, quando il documento è stato redatto da persona diversa da quella
cui competeva (cartella contraffatta) o quando il documento contiene modifiche successive alla sua stesura
(cartella alterata).
Nella falsità ideologica, invece, l’atto, pur essendo materialmente corretto (quindi non contraffatto né
alterato), contiene affermazioni non rispondenti al vero (nei certificati medici, pertanto, riguarda la diagnosi):
• Art. 480: Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni
amministrative: “Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in
certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è
punito con la reclusione da tre mesi a due anni”
• Art. 481: Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica
necessità: “Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di
pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la
verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa. Tali pene si applicano
congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.

Rilascio della cartella o di copia autentica


Sono legittimati a chiederlo l’assistito medesimo oppure chi ne ha la delega legale. La cartella può esser
trasmessa da un’Azienda ad un’altra (trasmissione) al fine di tutelare la salute dell’assistito. Può essere,
inoltre, rilasciata al medico curante, agli Istituti previdenziali ed all’Autorità giudiziaria, se questa lo
richiede.

Scheda di dimissione ospedaliera e disciplina del flusso informativo sui dimessi dagli istituti di ricovero
pubblici e privati
Il DM 28.12.1991 ha stabilito l’obbligatorietà del rilascio della cosiddetta “scheda di dimissione
ospedaliera”; l’art. 1 di tale decreto stabilisce che la scheda di dimissione ospedaliera è lo strumento
ordinario per la raccolta delle informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di ricovero
pubblici e privati su tutto il territorio nazionale.
Essa, quindi, persegue soprattutto finalità di tipo statistico-epidemiologico e di controllo della qualità
dell’assistenza sanitaria.
È parte integrante, inoltre, della cartella clinica, assumendo dunque carattere di atto pubblico: la sua non
autenticità può configurare i delitti di cui agli artt. 476 e 479 del c.p.
Essa deve recare la firma del medico che l’ha materialmente redatta e quella del responsabile della divisione
o del reparto.

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Una copia va consegnata al dimesso assieme a quella della cartella; va conservata anch’essa per un periodo
di tempo illimitato.
L’obbligatorietà di redigere la scheda di dimissioni riguarda tutti gli istituti di ricovero esistenti nel Paese, sia
che si tratti di strutture pubbliche sia che si tratti di strutture convenzionate o private.

Par. VIII: Certificato medico


Considerazioni preliminari
La “libertà dell’esercizio professionale” viene delimitata dalla normativa vigente penale, civile e di diritto
sanitario che rappresentano i limiti della “libertà nella condotta professionale” al di fuori dei quali si incorre
nell’ipotesi di reato (ipotesi in quanto deve essere sempre dimostrata e sancita dall’A.G.).
Nell’ambito della “libertà dell’esercizio professionale” ricade anche il “dovere di certificare” che ha diretta
correlazione con l’individuo e con i rapporti di quest’ultimo con la Società (Dovere di informativa..
Questo “dovere” è una “correlazione”, fondamentalmente, tra il rapporto con il cittadino utente e quello con
lo Stato. Pertanto vi sono rapporti con lo Stato che potrebbero
essere contrari agli interessi del singolo e che, tuttavia, obbligano il medico a “certificare” nell’interesse della
collettività e, quindi, dello Stato. Non può sussistere una certificazione con intento inverso.
Il rapporto trilaterale tra medico –– cittadino-Stato viene garantito dall’abilitazione all’esercizio
professionale, dall’art. 32 della Costituzione e dall’art. 1 della Legge 23 Dicembre 1978, n. 833 (Riforma
sanitaria) attraverso la quale lo Stato ha garantito la prestazione sanitaria a tutti i cittadini nell’ambito di una
tipica organizzazione del “pubblico impiego”.
Tale organizzazione è tesa sia alla tutela del diritto alla salute, sia alla regolamentazione dei rapporti tra i
cittadini e lo Stato mediante la prestazione medica che trova nell’attività certificativa una delle principali e
prevalenti attività dell’esercizio professionale.
Non abbiamo timore nel sottolineare come ogni “atto medico” debba sempre lasciare una “traccia
verificabile” ed il certificato - così come la cartella clinica, la scheda di dimissione, ecc. - è l’espressione
fondamentale della storia sanitaria di una intera popolazione, nell’interesse dell’individuo
e della Società.
L’attività professionale del medico, tuttavia, non si esaurisce nel momento diagnostico--terapeutico relativo
alle competenze biologiche e cliniche, ma si estende “a compiti di ben diversa natura che realizzano una vera
e propria prosecuzione amministrativa dell’atto medico” volta a testimoniare la ricorrenza di condizioni che
sono eventualmente produttive di particolari conseguenze previste dall’ordinamento.
In quest’ambito si configura e si realizza uno dei requisiti dell’esercizio professionale attraverso il quale la
figura del medico è essenzialmente una figura “al servizio di” (cittadino e Stato) per cui diviene
indispensabile fonte di informazioni ed aiuto all’Amministrazione Pubblica.
Una delle prerogative dell’esercizio professionale è rappresentata a dalla“potestà di certificare” e che
riconosce la sua matrice nell’abilitazione all’esercizio professionale.
Nei confronti del cittadino-paziente tale potestà si concreta nel ““dovere di certificare”.
Il dovere deriva dagli obblighi normativi e deontologici dell’esercizio professionale ma non è sempre
imperativo.
Il documento redatto dal medico può essere definito in linea generale quale CERTIFICATO, ma assume
diversa connotazione e definizione a seconda dell’ambito in cui tale prestazione medica viene fornita.
L’insieme delle notizie che il medico è tenuto a dare, e che costituiscono l’informativa professionale, accetta
diverse denominazioni nei testi di legge pur avendo un significato sostanzialmente equivalente:
• Denunce → nel senso di riferire alla competente autorità
• Dichiarazioni → nel senso di mettere al corrente
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• Notifiche → nel senso di rendere noto il fatto


• Comunicazioni→ nel senso di trasmettere la notizia
• Relazioni → nel senso di resoconto scritto e talvolta orale
• Referto → nel senso specifico di notizie di reato
• Rapporti → nel senso di riportare o riferire fatti, notizie o reati

Definizione
Il certificato può essere definito alla stregua di testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente
apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può condurre all’affermazione di particolari diritti soggettivi
previsti dalla norma ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo o della società,
aventi rilevanza giuridica o amministrativa.
Il certificato, dunque, è l’”attestazione scritta di un fatto di natura tecnica, destinato a provare la verità”
(Gerin).
L’etimologia di certificato e certificazione è da riportare ai termini latini di “certus” (certo) e “facere”
(fare) per cui il Giusti sottolinea come non vi sia alcun dubbio “nel ritenere che ciò che qualifica e
caratterizza il certificato è l’attestazione di verità che esso presuppone”.
In tal senso si deve affermare che “per il medicotale concetto di verità non potrà altro che corrispondere
esattamente a quanto sia da lui obiettivabile e quindi clinicamente constatabile”
Il certificato, dunque, si pone come trait d’union ideale tra la sfera personale e privata del paziente e la sfera
sociale, rivelando immediatamente la sua grande rilevanza sia sul piano deontologico che su quello
strettamente giuridico.
Esso può assumere il significato di acclaramento, cioè di una mera dichiarazione di scienza; o di
accertamento, cioè di un atto che fa fede fino a querela di falso o fino a prova contraria; oppure di
certificazione in senso stretto.
Il criterio distintivo tra accertamento e certificazione dipende dall’appartenenza o meno del fatto attestato
alla sfera di attività del pubblico ufficiale, nel senso che acquista valore di certificazione solo
quell’attestazione scritta di un fatto che il medico ha direttamente compiuto o è caduto sotto la sua stretta
percezione, nella sua qualità di pubblico ufficiale.
Sotto tale riguardo, la certificazione ha lo stesso valore degli atti di stato civile.
I certificati, inoltre, possono essere obbligatori, quando imposti da tassativi dispositivi di legge, o facoltativi,
se richiesti dall’interessato a sua discrepanza ed a proprio vantaggio.
Quelli obbligatori (certificato di assistenza al parto, certificato di constatazione di decesso, etc.) rientrano tra
le giuste cause imperative di rivelazione di segreto professionale.
I certificati possono essere rilasciati, oltre che dai medici della pubblica amministrazione, anche dai medici
Privati –o soggetti equiparati -- i quali potranno o meno esercitare pubbliche funzioni, in quanto a ciò
espressamente abilitati dalla legge.
Per la dottrina medico--legale–– oltre ai certificati obbligatori che devono essere redatti in ottemperanza a
norme di legge––il medico non può e non deve esimersi dal rilasciare i certificati medici che gli vengono
richiesti dal paziente; ciò è valido anche per i certificati cosiddetti facoltativi e, cioè, per quelli per i quali
non esiste nessuna norma di legge che ne pone l’obbligo.
Il medico comunque non potrà rifiutarsi di redigere un certificato quando questo sia un certificato
complementare e/o attestante il realizzarsi di una prestazione sanitaria.
Il certificato è atto pubblico quando redatto da un “pubblico ufficiale” (art. 357 c.p.) o da un “
incaricato di pubblico servizio” (art. 358 c.p.); è scrittura privata quando redatto da un
“esercente un servizio di pubblica necessità.
Secondo l’art. 22 c.d. “il medico non può rifiutarsi di rilasciare direttamente al cittadino certificati relativi
al suo stato di salute. Il medico, nel redigere certificazioni, deve valutare e attestare soltanto dati clinici
che abbia direttamente constatato”.
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Secondo l’art. 24, inoltre, “il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di
salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati.
Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati e
alla formulazione di giudizi obiettivi escientificamente corretti”.
Nel primo periodo dell’art. viene precisato che il medico non può rifiutarsi di redigere e consegnare un
certificato al paziente che ne fa richiesta, ma ha il dovere di rifiutarlo a persone diverse dal paziente, quando
violerebbe il segreto professionale e tradirebbe comunque la fiducia del paziente medesimo.Il certificato è da
consegnarsi direttamente al soggetto interessato o ad altro richiedente cui la legge dia diritto.
Inoltre, il medico non può rilasciare il certificato sulla base di quanto riferitogli da terzi o su quanto egli non
abbia constatato. Poiché il certificato è redatto previa richiesta del paziente e può riportare sintomi riferiti
dallo stesso, non sempre obiettivabili, il medico deve distinguere tra quanto obiettivamente da lui riscontrato
e quanto riferito.
Il certificato contiene inoltre un giudizio clinico che si fonda sulla base dei dati rilevati; è opportuno che il
medico giustifichi la formulazione di questo giudizio clinico sulla base dei dati rilevati e di quelli forniti dal
Paziente.
Il secondo periodo sottolinea in modo rigoroso la necessità di una constatazione diretta, che
non può prescindere dall’anamnesi e dall’esame clinico del paziente e la conoscenza clinica del paziente è
solo un elemento tecnico ulteriore per una corretta ed adeguata compilazione dell’atto.
Nel certificato, inoltre, devono essere attestati solo i dati clinici per i quali il paziente ha chiesto la
certificazione, diversamente si incorrerebbe in rivelazione di “segreto professionale”.
Secondo l’art. 25, “il medico deve, nell’interesse esclusivo della persona assistita, mettere la documentazione
clinica in suo possesso a disposizione della stessa o dei suoi legali rappresentanti o di medici e istituzioni da
essa indicati per iscritto.

Certificati obbligatori e facoltativi


I certificati si dividono in obbligatori e facoltativi per il cittadino a seconda che la loro esibizione da parte
dell’interessato dipenda daun obbligo o da una facoltà.
Sono obbligatori quando “il cittadino ha l’obbligo di presentarli se vuol far valere un suo diritto che sia
subordinato all’esistenza di una realtà sanitaria della quale il certificato medico è destinato a far fede”.
Evidentemente l’obbligatorietà di tali certificati non è tanto riferita al medico che dovrebbe comunque
rilasciarli, quanto all’esistenza dei certificati stessi, che sono necessari per dare l’avvio ad un determinato
iter amministrativo.
Sono facoltativi i certificati che vengono richiesti sulla base di un interesse della persona assistita, al fine di
essere esibiti ad Enti Pubblici o privati per documentare lo stato di salute.
Sono obbligatori, dunque, per il medico quelle certificazioni che egli deve inoltrare di sua iniziativa e non in
relazione alla richiesta di un privato, sulla base di un dovere che la legge pone a carico del sanitario al
fine di tutelare i pubblici interessi. Allo stesso modo sorge l’obbligatorietà della certificazione in ragione di
un rapporto di lavoro che egli ha instaurato con un Ente, per contratto o convenzione.

Costituenti
• Dati attestanti la veridicità
o una scrittura, stilata a mano o con mezzi meccanici che utilizzino inchiostro indelebile;
o l’autore dell’attestazione, che risulti dalla sottoscrizione dell’atto, con le generalità e la
qualifica del certificante;
o il destinatario, cui la certificazione è diretta, che risulta evidente quando l’attestato sia
redatto nei moduli prestabiliti;
o la data, dalla quale risulti il tempo ed il luogo in cui il certificato è stato compilato
• Requisiti

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o la chiarezza: comprensibile e completo;


o la veridicità: conformità di quanto descritto con quanto direttamente constatato

Considerazioni ML
• Art. 480 c.p.: falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati od in autorizzazioni
amministrative: “il pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in
certificati od autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è
punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni”
• Art. 481 c.p.: falsità ideologica in certificati commessa da persona esercente un servizio di pubblica
necessità: “chiunque nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di
pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la
verità, è punito co la reclusione fino ad un anno o con multa tra 51 e 516 euro. Tali pene si
applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro”.
• NB: poiché sussista il delitto di falso (artt. 480 e 481) occorre che sia provato il dolo del certificante,
che il medico cioè abbia voluto certificare proprio il falso. La falsità è riferita più spesso alla
obiettività clinica riportata nella certificazione (obiettività che non trova riscontro nella realtà),
piuttosto che al giudizio od alla valutazione personale che il medico abbia eventualmente espresso
(certificato falso e compiacente). La falsità può riguardare anche gli atti compiuti dal sanitario, le
prestazioni e l’epoca in cui esse sono state erogate, etc.

Metodo
Il certificato deve rispondere a due quesiti fondamentali del metodo ML: il rigorismo obiettivo e la
dominante conoscenza del rapporto giuridico cui il fatto si riferisce.
Pertanto, una volta compiuto l’esame obiettivo e formulate la diagnosi e la prognosi, occorrerà proiettare il
giudizio clinico nell’ambito del particolare rapporto giuridico entro il quale sarà fatta valere la certificazione
(diritto civile, penale, infortunistico, previdenziale, etc.).
In sostanza:
• Il medico deve informarsi sul perché quel certificato gli viene richiesto e segnalato per iscritto
• L’assistito deve esser stato preliminarmente visitato
• Il certificato deve riportare i dati salienti dell’esame clinico, della diagnosi e della prognosi
• Ciò che si scrive deve essere assolutamente conforme a quanto obiettivato ed alla prestazione
effettivamente eseguita
• La data deve essere quella in cui il certificato viene compilato
• Va consegnato direttamente nelle mani del paziente o delle persone che ne hanno diritto
• Il certificato compiacente è, in ogni caso, un certificato falso che espone il medico all’imputazione di
falso ideologico
• Quando il certificato costituisce il completamento della visita effettuata al paziente, per esso non va
richiesto alcun onorario aggiuntivo
• Il certificato costituisce un’affermazione di verità
• I certificati obbligatori vanno distinti dalle denunce sanitarie obbligatorie: il referente di queste
ultime, infatti, è una ben precisa autorità sanitaria. La denuncia, inoltre, risponde a finalità di ordine
statistico preventivo; il certificato, invece, viene sempre rilasciato all’assistito che lo richiede o
quando è obbligatorio (certificato di gravidanza, certificati riguardanti assistenza sociale, etc.). Il
certificato, dunque, assolve a finalità di ordine amministrativo nell’interesse stesso della persona alla
quale viene rilasciato.

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Certificato di malattia e di inidoneità al lavoro


Il medico di fiducia del lavoratore è tenuto a documentare con il certificato l’insorgenza della malattia,
nonché la prognosi. La diagnosi clinica viene comunicata solo all’Asl competente per territorio (trasmissione
di segreto), ma non al datore di lavoro. Ai medici del settore di ML delle Asl compete l’obbligo della verifica
della condizione certificata.
Il diritto del lavoratore all’indennità è condizionato dall’assolvimento dell’onere di inviare il certificato
medico all’INPS, nei modi e nei tempi prescritti, al fine di consentire la necessaria attività di accertamento e
di verifica.

Autocertificazione
Consiste nella facoltà riconosciuta ai cittadini di presentare, in sostituzione delle tradizionali certificazioni
richieste, propri stati e requisiti personali, mediante apposite dichiarazioni sottoscritte (firmate)
dall'interessato. La firma non deve essere più autenticata.
L'autocertificazione sostituisce i certificati senza che ci sia necessità di presentare successivamente il
certificato vero e proprio. La pubblica amministrazione ha l'obbligo di accettarle, riservandosi la possibilità
di controllo e verifica in caso disussistenza di ragionevoli dubbi sulla veridicità del loro contenuto.

Par. IX: Delitti contro la Pubblica Amministrazione


Art. 328 c.p.: Omissione di atti d’ufficio
“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio
che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere
compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, che entro
trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per
esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa fino a lire due milioni.
Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della
richiesta stessa”.
La nuova conformazione legislativa dell’art. 328, quindi, tipicizza due diverse fattispecie, previste
rispettivamente al I ed al II comma.
Nella prima ipotesi di reato, la condotta incriminata consiste nel rifiuto di compiere atti di ufficio
“qualificati”: più precisamente, atti di ufficio che devono essere realizzati “senza ritardo” in vista di obiettivi
normativamente specificati, e cioè “per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di
igiene e sanità”.
La condotta penalmente rilevante, in quanto incentrata sul solo rifiuto, presuppone una preventiva richiesta
di adempimento, che può provenire da un privato, ma anche da un altro funzionario pubblico o da un
superiore gerarchico.
Il rifiuto deve essere “indebito”, ovvero deve essere presente un cosiddetto “requisito di illiceità speciale”,
che tende a delimitare la rilevanza penale a quelle sole forme di diniego di adempimento che non trovano
alcuna giustificazione plausibile alla stregua delle norme amministrative che disciplinano i doveri di agire.
La scelta legislativa di incriminare, nel I comma, solamente il rifiuto ha destato in molti Autori notevole
perplessità. E’ infatti difficilmente ipotizzabile una preventiva richiesta perché il pubblico ufficiale sia tenuto
a compiere atti urgenti per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di igiene e sanità: piuttosto, l’obbligo
di intervenire tempestivamente scatterà, in molti casi, a prescindere da sollecitazioni esterne, per cui il
disvalore penale dell’inadempimento dovrebbe consistere nella mera omissione dell’atto in questione.

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La seconda ipotesi di reato, configura un delitto di messa in mora: fuori dei casi previsti dal I comma, è
punito il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi
abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
Nel delitto di omissione di atti di ufficio il dolo è:
• Generico quando è sufficiente la sola previsione e volontà senza ulteriori fini specifici (omicidio
doloso).
• Specifico quando richiede un fine particolare (omicidio doloso ai fini di eredità).

Altre considerazioni ML
Trattandosi di una condotta omissiva, esso richiede la conoscenza dei presupposti del dovere di attivarsi.
Conformemente alla nuova strutturazione della fattispecie incriminatrice, è dunque necessario che il pubblico
ufficiale si rappresenti mentalmente le due situazioni tipiche previste nei due commi: è cioè necessaria la
consapevolezza, rispettivamente, delle ragioni (giustizia, sicurezza, igiene, sanità) che qualificano l’atto di
ufficio da compiere (art. 328 comma 1) o della richiesta di adempimento formulata dall’interessato (art. 328
comma 2).

Altri delitti contro la PA


Il Titolo VII del Libro Secondo del codice penale disciplina i delitti contro la fede pubblica ed è suddiviso in
quattro capi:
• Falsità in monete, in carte di pubblico credito ed in valori di bollo (artt. 453-466 c.p.)
• Falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento (artt. 467-475 c.p.)
• Falsità in Atti (artt. 476-493 bis c.p.)
• Falsità personale (artt. 494-498 c.p.)

Costituenti
• Interesse tutelato: fede pubblica ed attitudine a nuocere;
• Soggetto attivo: pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio);
• Oggetto materiale: documento (atto pubblico o scrittura privata) e, cioè, qualsiasi atto che sia
destinato a provare un fatto giuridicamente rilevante compiuto dal suo autore o da lui percepito, a
documentare la regolarità degli adempimenti ai quali è obbligato adempimenti ai quali è obbligato –
–ovvero circostanze di fatto ad essi ricollegabili fatto ad essi ricollegabili –– o che, comunque,
costituisca o concorra a costituire un diritto o un obbligo per la pubblica amministrazione o per
privati;
• Elemento oggettivo: contraffazione (relativa a fatti descritti nel certificato del tutto falsi) e/o
alterazione (relativa a correzioni e variazioni su di un atto originale);è l’integrazione della falsità
materiale;
• Elemento soggettivo: dolo.

Raffaele Vanacore

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TOSSICOLOGIA FORENSE

CAP.1: INTRODUZIONE ALLA TOSSICOLOGIA FORENSE


Par. I: Caratteristiche generali
Introduzione alla tossicologia
L’uso dei veleni è stato largamente praticato in modo empirico, sin dai primordi della storia dell’uomo, sia a
scopo politico-religioso che per finalità criminose, prima che fosse noto il meccanismo di azione dei tossici.
Attualmente tali meccanismi sono in larga parte noti, ma ancora ampiamente studiati dalla tossicologia, che è
la scienza che studia l’interazione dei tossici con la materia vivente.
La tossicologia, intesa in tal senso, può esprimersi in diversi ambiti: forense, alimentare, ambientale,
industriale, sperimentale, etc.
In ambito penalistico, l’utilizzo di sostanze venefiche ovvero di altro mezzo insidioso configura un “delitto
contro la persona”; oltre a ciò, il c.p. prevede anche un “delitto contro la pubblica incolumità”
(avvelenamento delle acque, di sostanze alimentari, adulterazione e contraffazione di alimenti; artt. 439-440-
442-449)e vari altri “reati di pericolo” (contraffazione di medicinali, doping, etc.; artt. 441-443-445 c.p.).
Lesioni e/o morte del soggetto, conseguenti ad avvelenamento, configurano i reati di lesioni personali (artt.
582-583-590 c.p.) e di omicidio (artt. 575-584-589 c.p.).
L’utilizzo di sostanze venefiche ovvero di altro mezzo insidioso determina, inoltre, circostanza aggravante
(presupponendo meditazione), da cui scaturisce la pena dell’ergastolo (art. 577 c.p.).
L’applicazione dell’aggravante si effettua non solo per l’utilizzo di veleni, ma altresì di qualunque
xenobiotico che risulta somministrato in modo insidioso.

Campi di studio ed obiettivi della tossicologia forense


• Campi di studio della tossicologia
o Abuso e misuso: droghe, doping, farmaci
o Avvelenamenti acuti: accidentali, volontari, terrorismo
o Tossicologia iatrogena: monitoraggio dei farmaci
o Patologie professionali: infortuni, ciclo tecnologico
o Tossicologia ambientale: inquinamento, catastrofi
o Tossicologia alimentare: contaminazione, cessione
• Nuovi orizzonti della tossicologia forense (TS)
o Essa si vorrebbe porre come parte di una nuova concezione di ML, nuova concezione che
affiderebbe un grosso ruolo alla prevenzione, al fine di una sicurezza della collettività
o Studio del soggetto vivo: esso, infatti, pone la TS in una situazione in cui non sono studiate
più solo le alterazioni tossicologiche sul cadavere, ma è richiesta una diagnosi circa le
abitudini voluttuarie di persone quand’esse abbiano una rilevanza per la comunità
(lavoratori, militati, etc.)
• Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità ML
o Diagnosi di drug free
ƒ Leggi
• DL n. 285/92 C.d.S. e succ. mod.
• DPR n. 309/90 e succ. mod.
• L. 184 del 4.5.1983
• D. Min. San. 14.9.1994
ƒ Finalità
• Idoneità alla guida
• Idoneità alla leva
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• Idoneità a mansioni militari


• Mansioni lavorative che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la
salute di terzi
• Idoneità all’adozione di minori
• Idoneità al porto d’armi
o Diagnosi di uso recente
ƒ Guida in stato di ebbrezza
ƒ Guida sotto l’effetto di stupefacenti
ƒ Mansioni lavorative che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute
di terzi
o Valutazione dell’impairment: questa è un’alterazione psico-comportamentale legata
all’abuso di una determinata sostanza
o Diagnosi di uso
ƒ Leggi
• L. n. 376/2000
• D. Min. San. 7.8.2002
• L. 49/2006: fissa la quantità massima di sostanza detenibile ad uso
personale, che rappresenta l’elemento rispetto al quale si differenzia
l’illecito penale da quello amministrativo: tale legge, inoltre, ha diviso le
sostanze stupefacenti in due tabelle (vedi anche avanti). Un certo dissenso
ha provocato la decisione di inserire, in maniera alquanto “punitiva”, la
cannabis nella prima tabella (al pari di cocaina ed altre droghe pesanti): tale
scelta sembra riconducibile al fatto che la cannabis oggi viene venduta sotto
forma di cannabis idroponica, a maggior contenuto di THC, con maggior
probabilità di effetti allucinogeni. Oggi, inoltre, in virtù del continuo
aggiornamento delle tabelle, sono stati inseriti anche gli steroidi
anabolizzanti (oggi, dunque, chi fornisce steroidi anabolizzanti,
prevalentemente a scopo dopante, incorre nell’accusa di spaccio) ed i
composti simil-cannabinoidi (infatti, oggi sembra riprodursi quel che
accadde negli anni ’80, in cui sempre nuovi composti amfetamino-simili
erano prodotti, ma, non essendo tabellati, chi li spacciava non era
perseguibile), nonché il mefedrone (un’amfetamina modificata)
ƒ Finalità
• Misure cautelari alternative al carcere
• Tossicodipendenti militari
• Lavoratori tossicodipendenti
• Rispetto dell’obbligo di terapia
• Doping

Tossicologia forense
È la disciplina che ha per oggetto la chimica analitica dei veleni, contenuti in qualsiasi materiale, la cui
ricerca sia eseguita a fini di giustizia. Sia la produzione del dato analitico che la sua interpretazione sono,
pertanto, finalizzati alla produzione della “prova” e del “nesso causale” ovvero alla dimostrazione
dell’osservanza o meno di una norma.
Quindi, suoi obiettivi fondamentali sono:
• Fornire la “prova”
o Predisporre idonee misure per raccolta e conservazione dei campioni da esaminare
o Isolare, identificare, quantificare i tossici
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o Usare tecniche di elevata specialità e sensibilità


o Accertare l’assenza di altri tossici
o Prevenire la contaminazione od il decadimento dei tossici presenti
• Valutarne l’”idoneità lesiva”: occorre interpretare i dati analitici in funzione di:
o Effetto della sostanza su comportamento e salute
o Quantità del tossico assunto
o Vie di assunzione
o Cronologia dell’assunzione nei confronti dell’azione (letale o meno)

Par. II: Considerazioni ML


Lesività da noxa chimica
• Veleno: ogni sostanza naturale (minerale, vegetale od animale) o sintetica (organica o inorganica),
solubile od atta a divenire tale, che, introdotta nell’organismo in quantità relativamente piccola,
provoca avvelenamento, cioè un’alterazione dell’equilibrio preesistente lo stato morboso, di varia
natura ed entità, che può condurre anche a morte. Le sostanze definite farmaco/veleno non sono le
uniche che possono provocare danni, ma ogni sostanza conosciuta ha la potenzialità, attraverso
meccanismi vari, di produrre danno o morte, per cui risulta più corretto parlare di lesività da noxa
chimica e/o effetto tossico
• Effetto tossico
o Effetto rivelatore di una malattia clinica ad uno stadio precoce
o Effetto difficilmente reversibile che riflette un indebolimento della capacità dell’organismo a
mantenere l’omeostasi
o Effetto rinforzante la sensibilità dell’individuo agli altri inquinanti ambientali o sostanze
tossiche
o Effetti che spostano al di fuori del normale diversi parametri biologici che rappresentano
segni precoci di alterazione di una capacità funzionale
o Effetti che segnalano alterazioni metaboliche e biochimiche importanti
• Fattori che influenzano il comportamento di un tossico nell’organismo: la dose non fa il veleno!
o Fattori relativi all’agente tossico
ƒ Caratteristiche chimico: solubilità in lipidi ed acqua, pH, etc.
ƒ Caratteristiche fisiche: volume delle particelle, etc.
ƒ Presenza di impurezze o contaminanti
ƒ Stabilità e caratteristiche di conservazione
ƒ Scelta del veicolo
ƒ Presenza di eccipienti: emulsionanti, surfactanti, agenti vettori o protettivi, coloranti,
aromatizzanti, preservanti, antiossidanti, altri additivi intenzionali o meno
o Fattori correlati alla modalità di esposizione
ƒ Dose, concentrazione e volume di somministrazione
ƒ Via, livello e luogo di esposizione
ƒ Durata e frequenza dell’esposizione
ƒ Tempo di somministrazione (ora del giorno, stagione)
o Fattori costitutivi legati al soggetto
ƒ Situazione genetica
ƒ Situazione immunologica
ƒ Stato ormonale (ad esempio, gravidanza)
ƒ Stato nutrizionale
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ƒ Condizioni del SNC


ƒ Presenza di malattie sistemiche o locali
o Fattori ambientali
ƒ Temperatura ed umidità
ƒ Pressione barometrica
ƒ Composizione atmosferica ambientale
ƒ Luce ed altre forme di radiazione

Tipi di veleni
• Gruppo I: gas: CO, CN-
o Sintomi (S): apnea, asfissia, dispnea, vomito, colorito roseo o rosso della pella
o Insorgenza dei sintomi (I): rapida insorgenza di malattia o morte
o Luoghi di intossicazione (L): ospedali e cliniche odontoiatriche (per gas anestetici), siti
industriali, laboratori di ricerca, miniere, macchine, cucine
o Lavorazione (Lv): industrie chimiche, fornaci, industrie di colla, miniere
o Esaminazioni aggiuntive (E): esame degli strumenti e dei vestiti; esame di polmone e
cervello post-mortem
• Gruppo II: sostanze volatili: glicoli, fenoli, aniline, nitrobenzene
o S: dolori addominali (fenoli), convulsioni (glicoli), delirio, comportamento da ubriachi
(atassia, sonnolenza, alterazioni del linguaggio, allucinazioni visive), ittero (anline,
nitrobenzene), tremori, vomito
o I: rapida se inalati, lenta se ingeriti per os
o Storia clinica: alcolismo, sniffatori di colla (tipica dei bambini)
o L: luoghi domestici, ospedali e laboratori di ricerca, altri luoghi comuni
o Lv: pittori, fabbriche di plastica, siti di lavorazione del petroli, siti di produzione di profumi
e gomme
o E: bottiglie e contenitori rinvenuti vicino alla vittima (anche se vuoti), vestiti; esami di
sangue ed urine in vita; esami di polmoni e cervello post-mortem; esame dell’umor vitreo,
specie se il corpo è decomposto
• Gruppo III: farmaci (solventi solubili)
o S: variabili, ma tipici per categoria:
ƒ Analgesici: irritazione gastrica, ematuria, sudorazione, coma, convulsioni
ƒ Oppiacei: miosi pupillare, fibrillazioni muscolari, bradipnea, coma, ipotensione
ƒ Sedativi ed ipnotici: atassia, stupor, coma
ƒ Stimolanti ed antidepressivi: midriasi, bocca secca, cefalea, tachicardia, tremori,
convulsioni
o I: lenta, a meno che non siano iniettati
o L: soprattutto tra i 16 ed i 30 anni (colleges, discos, clubs, etc.), in seguito soprattutto
autoprescrizioni o pazienti psichiatrici
o E: esami di sangue ed urine ante-mortem, esami post-mortem del liquido nasale, ricerca di
segni di iniezione, controllo del colorito cutaneo
• Gruppo IV: metalli
o S: anemia, crampi, diarrea, dolore gastrico, perdita dei capelli (tallio e selenio), gusto
metallico, paralisi, neurite periferica, salivazione, ritenzione urinaria, perdita di peso
o I: solitamente dopo qualche ora; morte dopo qualche giorno
o L: industrie, laboratori
o Lv: lavorazioni agricole e chimiche, della ceramica, del vetro, del petrolio, etc.
o E: esami di sangue ed urine ante-mortem; esame post-mortem di reni, contenuto intestinale,
ossa, capelli, unghie
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• Gruppo V: pesticidi: composti organofosfati, idrocarburi clorinati, acidi fenossiaceticiclorinati,


fenoli
o S: vomito e convulsioni sono sintomi generali, sintomi specifici sono:
ƒ Idrovarburiclorinati: vertigini, cefalea, tremori, debolezza muscolare
ƒ Acidi fenossiaceticiclorinati: bruciore, ipotensione (no convulsioni)
ƒ Organofosfati: miosi, salivazione, sudorazione, dispnea, anossia, cianosi
ƒ Fenoli e cresoli: febbre (sintomo principale!), sudorazione, anossia, ematuria, ittero
o I: rapida se inalata o contenente derivati del petrolio, altrimenti lenta
o L: industrie alimentari, luoghi domestici, fattorie e luoghi agricoli
• Gruppo VI: anioni: nitrato, clorato, fluorato, nitrito, fluoroacetato, fluorossalato, persulfato
o S: vomito violento, diarrea, dolore addominale, cianosi, alterazioni del colorito di cute e
mucose
o I: solitamente in un’ora, con possibile morte in qualche ora
o L: siti agricoli od industriali, laboratori, luoghi domestici
• Gruppo VII: miscellanea

Reperti utilizzabili per la diagnosi


• Campioni biologici
o Provenienza
ƒ Da vivente: aria espirata, sangue, urina, saliva, latte, capelli, unghie, sudore, feci,
meconio, contenuto gastrico, liquido spermatico, liquido sinoviale, liquido di
plasmaferesi
ƒ Da cadavere: sangue, urina, bile, liquido pericardico, organi, adipe sottocutaneo,
umor vitreo, capelli, unghie, denti, contenuto gastrico
ƒ NB: matrici biologiche alternative: rappresentano “finestre metaboliche” diverse
rispetto a sangue ed urina. Ciò rende utili tali matrici per i controlli su guidatori, per
infrazioni al codice della strada, e su lavoratori impiegati in mansioni lavorative a
rischio
o Tipi
ƒ Sangue: misura gli effetti nel range tra 0 ed alcune ore
• Prelievo (P): invasivo
• Analiti (A): parentdrug e metaboliti
• Tempi di latenza (T): poche ore
• Limiti: consenso
ƒ Urina: riflette l’uso da 1 a 2/3 giorni
• Escrezione variabile pH dipendente
• P: non invasivo
• A: metaboliti >parentdrug
• T: 2-7 giorni
• Limiti: adulterazioni e pH
ƒ Capelli ed unghie: rivelano l’uso pregresso
• Escrezione favorita su gradienti di pH e per affinità a strutture cellulari
specializzate
• P: non invasivo
• A: parentdrug> metaboliti
• T: mesi, anni
• L: contaminazioni ambientali, cosmetici
ƒ Meconio: riflette l’esposizione prenatale a farmaci e droghe
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• Accumulo di secrezioni a prevalente composizione lipidica


ƒ Umor vitreo: rivela l’uso pregresso (è utilizzato esclusivamente in ambito forense)
• Accumulo favorito per molecole idrofile (lento per droghe lipofile)
ƒ Saliva
• P: non invasivo
• A: parentdrug> metaboliti
• T: alcune ore
• L: contaminazione, pH
ƒ Sudore
• P: non invasivo
• A: parentdrug> metaboliti
• T: 1-7 giorni
• L: quantità minore del prelievo
• Miscele (inorganiche o vegetali)
• Farmaci
• Alimenti
• Altro: polveri, aria, acque, rifiuti

Diagnosi di avvelenamento: criteriologia ML


• Criterio circostanziale (o anamnestico): è l’insieme dei dati emergenti dalle indagini attinenti le
circostanze spazio-temporali del presunto contatto con il tossico. Da tali indagini (deposizioni
testimoniali, ispezioni tecniche, verbali di sopralluogo, etc.) si possono acquisire circostanze
(ingestione di cibi, bevande, farmaci, abitudini di vita e di lavoro) o reperti utili ad indirizzare gli
accertamenti tecnici oppure elementi per la ricostruzione della dinamica (accidentale, colposa o
dolosa dell’evento) nonché su tipologia, causa e mezzi dell’intossicazione
• Criterio clinico-anamnestico: si avvale di anamnesi, documentazione sanitaria e sintomi, rilevati dal
medico o riferiti da testimoni, al fine di correlare la sintomatologia con la probabile causa di
intossicazione. Il criterio clinico non sempre è esaustivo poiché alcuni avvelenamenti possono
decorrere silenziosamente o con scarsa sintomatologia, oppure i sintomi non sono stati apprezzati o
sono stati valutati come espressione di altri processi morbosi indipendenti dall’avvelenamento
• Criterio AP: valuta le alterazioni morfologiche a carico di organi ed apparati. L’osservazione macro-
e microscopica consente l’identificazione di lesività tossico-correlate, anche aspecifiche, utili a
definire le cause del decesso. Tale criterio permette, dunque, di orientare l’indagine in 2 direzioni:
o Escludere l’intossicazione acuta quale causa del decesso: viene, infatti, diagnosticata una
malattia atta da sola a determinare la morte (IMA, etc.)
o Rafforzare l’ipotesi di intossicazione acuta: vengono evidenziate lesioni anatomiche
correlabili a specifici xenobiotici o suggestive di intossicazione mortale
• Criterio chimico-tossicologico: prevede l’identificazione ed il dosaggio del tossico nelle matrici
biologiche od in altri reperti, nonché l’interpretazione e la valutazione del dato. Si fonda sulla
determinazione quali-quantitativa del tossico
o Fattori di confondimento
ƒ Concentrazione insufficiente scaturita da contatto accidentale o da contaminazione
ambientale
ƒ La presenza di un tossico nel tratto GI non è prova di avvelenamento poiché bisogna
dimostrare che il tossico è stato assorbito e trasportato attraverso il circolo ematico
fino agli organi od altri siti recettoriali, ove è in grado di esercitare i propri effetti
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ƒ Una positività urinaria consente di provare l’assunzione pregressa di una sostanza


rispetto all’exitus. Infatti, gli effetti fisiopatologici dell’esposizione a noxae
chimiche so correlano solo con la concentrazione ematica e tissutale
o Misurazione quantitativa
ƒ Finalità
• L’identificazione qualitativa di uno xenobiotico non è criterio sufficiente per
formulare una diagnosi di avvelenamento
• La determinazione quantitativa polidistrettuale della sostanza è elemento
indispensabile per giudicare l’idoneità lesiva del mezzo impiegato
ƒ Note
• Sussistono casi di avvelenamento senza veleno se la sostanza tossica è stata
completamente trasformata dall’organismo ovvero se è stata allontanata da
trattamenti terapeutici (ad esempio, diuresi forzata)
• Le indagini tossicologiche non sempre supportano od escludono con
certezza la diagnosi di avvelenamento (sostanze mortali per dosi minime,
etc.)
• La putrefazione può agire da interferente per l’identificazione ed il dosaggio
di alcune classi di sostanze
• Criterio della sperimentazione fisiotossica: si fonda sugli effetti prodotte dalla sostanza sospettata (
dai reperti biologici), quando questa viene somministrata ad animali da esperimento (curaro >
paralisi muscolare, stricnina e tossina tetanica >convulsioni, tossina botulinica > effetti letali da
paralisi muscolare). Bisogna tener presente a tal proposito la refrattarietà di alcuni animali ad alcuni
veleni, nonché la possibilità che alcuni veleni, derivanti dalla putrefazione, possano produrre
fenomeni tossici negli animali, indipendentemente dalla presenza di sostanze velenose esogene

Indagine tossicologica a fini ML


• Tipologie
o Generica
ƒ Assenza di dati circostanziali, clinici ed anamnestici
ƒ Aspecificità dei rilievi AP
o Mirata: corretta indicazione o sospetto della presenza di sostanza tossica
• Prova del sospetto veneficio: la diagnosi ML di avvelenamento (o l’esclusione di tale ipotesi) non
può esser basata solo sui risultati delle indagini di laboratorio, ma postula un’attenta valutazione
integrata del criteri. Soltanto in base al loro confronto, concordanza e reciproco integrarsi (o alle loro
discordanze), potrà esser enunciata una corretta diagnosi ML di avvelenamento, supportata da
elementi di certezza tecnica difendibili in sede civile, penale o amministrativa

Aspetti legislativi
• D.P.R. 309/1990: testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanza
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza: finalità sono:
o Perseguimento dell’abuso e del traffico illecito (art. 73: sanzioni per spaccio, etc.)
o Recupero del tossicodipendente
ƒ Sanzioni amministrative (art. 75)
ƒ Sospensione della pena detentiva per reati connessi in relazione al proprio stato do
tossicodipendenza
o Uso terapeutico di medicinali a base di sostanze stupefacenti che possono esser oggetto di
abuso per il loro potere tossicomanigeno
o NB: art. 13:
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ƒ 1. Le sostanze stupefacenti o psicotrope sottoposte alla vigilanza ed al controllo del


Ministero della salute sono raggruppate, in conformita' ai criteri di cui all'articolo
14, in due tabelle, allegate al presente testo unico. Il Ministero della salute stabilisce
con proprio decreto il completamento e l'aggiornamento delle tabelle con le
modalita' di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e), numero 2) .
ƒ 2. Le tabelle di cui al comma 1 devono contenere l'elenco di tutte le sostanze e dei
preparati indicati nelle convenzioni e negli accordi internazionali e sono aggiornate
tempestivamente anche in base a quanto previsto dalle convenzioni e accordi
medesimi ovvero a nuove acquisizioni scientifiche
o Art. 14 (vedi avanti)
• L. 49/2006: disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al DPR
precedente (vedi anche dietro)
• L. 38/2010: dispensazione farmaci per la terapia del dolore, etc.
• Tabelle
o Aspetti legislativi
ƒ DPR 309/90
ƒ D. 31/3/2010
ƒ D. 11/6/2010
o Gruppi
ƒ Tabella I: sostanze stupefacenti e/o psicotrope in grado di indurre dipendenza
(principi attivi puri, che non fanno parte della farmacopea ufficiale)
• Oppio ed oppiacei
• Coca ed alcaloidi
• Amfetamine e derivati
• Cannabis indica
• Levometorfano
• Levorfanolo
• Indolici
• Ogni altra pianta che procuri allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali
• Ogni altra sostanza che agisce sul SNC
• Qualsiasi sostanza stereoisomera delle sostanze suddette, in tutti i casi che
possono esistere, salvo che ne sia fatta espressa eccezione
• Gli esteri e gli eteri delle sostanze suddette, a meno che non figurino in altre
tabelle, compresi i Sali dei suddetti isomeri, esteri ed eteri in tutti i casi in
cui essi possano esistere
ƒ Tabella II: farmaci contenenti sostanze in grado di indurre dipendenza
• Sezione A: sostanze analgesiche –oppiacee, barbiturici e sostanze ipnotico-
sedativo, sostanze di corrente utilizzo terapeutico che inducono grave
dipendenza psico-fisica, sostanze allegato III-bis
• Sezione B: barbiturici, BDZ e derivati pirazolo-pirimidinici, sostanze che
inducono dipendenza minore di quella della sezione A
• Sezione C: sostanze della sezione B, da solo od in associazione con altri
principi attivi
• Sezione D: BDZ per uso parenterale, alcaloidi dell’oppio con morfina no
superiore all0 0,05% in peso, sostanze elencate nella tabella precedente che
per quantità, qualità e modalità d’uso abbiano rischi minori
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• Sezione E: sostanze della tabella precedente, da sole o in associazione, che


presentano rischi di abuso di gravità inferiori alle sezioni precedenti (ad
esempio, barbiturici per utilizzo anti-epilettico)
• NB: la graduazione delle sostanze della tabella II è disciplinata o dalla
diversa capacità di induzione di dipendenza o dalla diversa formulazione
farmaceutica: ad esempio, uno stesso principio attivo può stare in una
sezione superiore se assunto ev, in una posizione inferiore se assunto per via
orale (e quindi con assorbimento minore)
ƒ NB: Allegato III-bis: prescrivibilità dei farmaci (Tab. II): i farmaci utilizzabili per il
trattamento di dolore severo da patologia neoplastica o degenerativa hanno una
prescrizione agevolata: buprenorfina, fentanyl, coedina, ossicodone, idrocodone,
metadone, morfina, diidromorfina, levorfanolo, diidrocodeina, ossimorfone,
idromorfone. In sostanza, questi farmaci hanno un elevato rischio di dipendenza, ma
anche un importante utilizzo terapeutico: pertanto, esse sono regolate in maniera
speciali:
• Ricettario speciale con ricetta rossa: è consegnata ai medici che ne fanno
espressa richiesta (anche per utilizzo personale: ad esempio, tenere una fiala
di morfina nella borse del pronto soccorso). Tuttavia, alcuni di essi, come la
buprenorfina, rientrano tra i farmaci dispensati dal SSN e, quindi, può esser
dispensata sul ricettario del SSN
• Periodo massimo di 30 giorni per ogni prescrizione: in ogni ricetta è
prescrivibile un solo farmaco, ma con possibili diverse formulazioni
(fentanyl cerotti e fiale)
• La prescrizione non può esser data a minori di 18 anni ed insani di mente.
Ad esempio, per far assumere uno di questi medicinali ad un minore, si
consegna la ricetta al tutore o si dà direttamente al paziente la singola dose
• Art. 43: obblighi dei medici-chirurghi e dei veterinari in merito alla prescrizione
o Prescrizione medicinali tab. II-A
ƒ Ricettario speciale: la ricetta (non ripetibile) deve contenere
• Nome e cognome dell’assistito
• Dose, posologia e via di somministrazione
• Data, timbro, firma del medico per esteso
• Indirizzo e numero telefonico professionale del medico
• NB: vien data copia all’acquirente per giustificare il possesso dei medicinali
• NB: il direttore sanitario ha il compito la responsabilità del registro di carico
e scarico (in cui rientrano tutti i farmaci della tabella II), compilato dal
farmacista della struttura: questo registro viene vidimato in ogni sua pagina
dalla guardia di finanza e c’è l’obbligo di fare una relazione annuale al
Ministero della Salute per dimostrare come sono stati utilizzati i farmaci
stupefacenti; il registro va tenuto per 5 anni
ƒ Durata della cura: massimo 30 giorni
ƒ Un solo medicinale
ƒ Trattamento di disassuefazione: rispetto del piano terapeutico
o Prescrizione medicinali tab. II-B e C: ricetta non ripetibile > registro stupefacenti
o Prescrizione medicinali tab. II-D: ricetta non ripetibile
o Prescrizione medicinali tab. II-E: ricetta ripetibile fino a 5 volte in 30 giorni (se prescritta
più di una confezione, diventa non ripetibile)
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o Autoprescrizione: solo per i medicinali compresi nell’All. III-bis, per uso professionale
urgente > ricettario speciale
o NB: per la prescrizione dei medicinali tab. II-A, B, C: per le normali esigenze terapeutiche la
richiesta dovrà esser fatta in triplice copia

Art. 14 DPR 309/90: Formazione delle tabelle


1. La inclusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope nelle tabelle di cui all'articolo 13 e'
effettuata in base ai seguenti criteri:
a) nella tabella I sono indicati:
1) l'oppio e i materiali da cui possono essere ottenute le sostanze oppiacee naturali, estraibili dal
papavero sonnifero; gli alcaloidi ad azione narcotico-analgesica da esso estraibili; le sostanze
ottenute per trasformazione chimica di quelle prima indicate; le sostanze ottenibili per sintesi che
siano riconducibili, per struttura chimica o per effetti, a quelle oppiacee precedentemente indicate;
eventuali intermedi per la loro sintesi;
2) le foglie di coca e gli alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste
estraibili; le sostanze ad azione analoga ottenute per trasformazione chimica degli alcaloidi sopra
indicati oppure per sintesi;
3) le sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale;
4) ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacita' di
determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle
precedentemente indicate;
5) gli indolici, siano essi derivati triptaminici che lisergici, e i derivati feniletilamminici, che abbiano effetti
allucinogeni o che possano provocare distorsioni sensoriali;
6) la cannabis indica, i prodotti da essa ottenuti; i tetraidrocannabinoli, i loro analoghi naturali, le
sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano ad essi riconducibili per struttura chimica o
per effetto farmaco-tossicologico;
7) ogni altra pianta i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni
sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa
tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale;
b) nella sezione A della tabella II sono indicati:
1) i medicinali contenenti le sostanze analgesiche oppiacee naturali, di semisintesi e di sintesi;
2) i medicinali di cui all'allegato III-bis al presente testo unico;
3) i medicinali contenenti sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati accertati
concreti pericoli di induzione di grave dipendenza fisica o psichica;
4) i barbiturici che hanno notevole capacita' di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe,
nonche' altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili ed i medicinali che li
contengono;
c) nella sezione B della tabella II sono indicati:
1) i medicinali che contengono sostanze di corrente impiego terapeutico per le quali sono stati
accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensita' e gravita' minori
di quelli prodotti dai medicinali elencati nella sezione A;
2) i barbiturici ad azione antiepilettica e i barbiturici con breve durata d'azione;
3) le benzodiazepine, i derivati pirazolopirimidinici ed i loro analoghi ad azione ansiolitica o
psicostimolante che possono dar luogo al pericolo di abuso e generare farmacodipendenza;
d) nella sezione C della tabella II sono indicati:
1) le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezione B, da sole o
in associazione con altri principi attivi, per i quali sono stati accertati concreti pericoli di
induzione di dipendenza fisica o psichica;
e) nella sezione D della tabella II sono indicati:
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1) le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezioni A o B, da sole
o in associazione con altri principi attivi quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa
e per le modalita' del loro uso, presentano rischi di abuso o farmacodipendenza di grado inferiore
a quello delle composizioni medicinali comprese nella tabella II, sezioni A e C, e pertanto non sono
assoggettate alla disciplina delle sostanze che entrano a far parte della loro composizione;
2) le composizioni medicinali ad uso parenterale a base di benzodiazepine;
3) le composizioni medicinali per uso diverso da quello iniettabile, le quali, in associazione con
altri principi attivi non stupefacenti contengono alcaloidi totali dell'oppio con equivalente
ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in peso espresso come base anidra; le
suddette composizioni medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello
stupefacente con facili ed estemporanei procedimenti estrattivi;
f) nella sezione E della tabella II sono indicati:
1) le composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella II, sezioni A o B, da sole
o in associazione con altri principi attivi, quando per la loro composizione qualitativa e
quantitativa o per le modalita' del loro uso, possono dar luogo a pericolo di abuso o generare
farmacodipendenza di grado inferiore a quello delle composizioni medicinali elencate nella tabella
II, sezioni A, C o D.
2. Nelle tabelle I e II sono compresi, ai fini della applicazione del presente testo unico, tutti gli
isomeri, gli esteri, gli eteri, ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonche' gli
stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze ed ai preparati inclusi
nelle tabelle, salvo sia fatta espressa eccezione.
3. Le sostanze incluse nelle tabelle sono indicate con la denominazione comune internazionale, il
nome chimico, la denominazione comune italiana o l'acronimo, se esiste. E', tuttavia, ritenuto
sufficiente, ai fini della applicazione del presente testo unico che nelle tabelle la sostanza sia indicata con
almeno una delle denominazioni sopra indicate, purche' idonea ad identificarla.
4. Le sostanze e le piante di cui al comma 1, lettera a), sono soggette alla disciplina del presente
testo unico anche quando si presentano sotto ogni forma di prodotto, miscuglio o miscela .

Repressione delle attività illecite, tutela della collettività e D.P.R. 309/90


• Art. 73: Produzione, traffico e detenzione illecita (sanzione penale):
o 1. Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae,
raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad
altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti
o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14, e' punito con la reclusione da sei a
venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. (2)
1-bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 e' punito chiunque, senza l'autorizzazione di
cui all'articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque
illecitamente detiene:
a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantita', in particolare se superiore ai limiti
massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro
della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento nazionale per le
politiche antidroga-, ovvero per modalita' di presentazione, avuto riguardo al peso lordo
complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione,
appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;
b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione
A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono
diminuite da un terzo alla meta'
• Art. 75: Illeciti amministrativi (sanzione amministrativa):
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o 1. Chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque


detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 73, comma 1-
bis, o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II,
sezioni B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma
1 dell’ articolo 14, fuori delle condizioni di cui all'articolo 72, comma 2, è sottoposto, per un
periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno, salvo quanto previsto dalla
lettera a), a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: (2)
a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la
guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di
conseguirli per un periodo fino a tre anni; (3)
b) sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla;
c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di
conseguirli;
d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se
cittadino extracomunitario.
o NB: il legislatore ha fatto divenire reato penale anche la distribuzione ed il commercio di
tutti i precursori, perché potrebbero esser utilizzati per la sintesi chimica di stupefacenti.
Infatti, composti come acetone, cloroformio, etere di petrolio, etere di etile ed efedrina ,
vengono utilizzati per sintetizzare droghe e quindi anche la loro distribuzione è messa sotto
controllo
o NB: Iter procedurale
ƒ Organi di polizia: riferiscono al Prefetto gli esiti delle indagini tossicologiche sulla
sostanza sequestrata
ƒ Prefetto:
• Valuta le sanzioni amministrative e la loro durata
• In caso di “tenuità della violazione”, archivia il caso
• Invita a seguire il programma di recupero
ƒ L’interessato
• Se non si presenta al colloquio > applicazione sanzioni amministrative
• Se si sottopone al programma con esito positivo > revoca sanzione
• Altre finalità del D.P.R. 309/90
o Provvedimenti restrittivi nei confronti di tossicodipendenti ed alcolisti che abbiano in corso
programmi terapeutici
o Sospensione dell’esecuzione della pena detentiva
o Compiti del tribunale di sorveglianza nell’attuazione dell’art.90
o Affidamento in prova ai servizi sociali od a comunità
o Prestazioni socio-sanitarie per detenuti tossicodipendenti
• Compiti del Giudice: il Giudice può disporre gli arresti domiciliari in alternativa alla custodia
cautelare in carcere quando l’imputato è persona tossicodipendente od alcoldipendente in trattamento
terapeutico presso struttura pubblica o residenziale, se l’interruzione può pregiudicare il recupero del
soggetto. Se un tossicodipendente od alcoldipendente che è in carcere intende sottoporsi ad un
programma di recupero, la misura cautelare è sostituita dagli arresti domiciliari previa istanza
dell’interessato e certificazione attestante l’uso abituale o lo stato di dipendenza da alcol e/o
stupefacenti. Il Giudice dispone i controlli necessari ad accertare l’adesione al programma
terapeutico. I responsabili delle strutture che accolgono il soggetto per il recupero socio-riabilitativo
sono tenuti a segnalare all’Autorità Giudiziaria eventuali infrazioni che comportano la revoca della
concessione
• Definizione delle quantità
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o Singola dose media, non farmacologica (ad esempio, 5 mg di eroina costituiscono,


soprattutto per un tossicodipendente abituale, una dose farmacologica), ma attiva per un
soggetto tossicodipendente medio: una volta definita questa dose, si moltiplica per un fattore
di moltiplicazione che indica il numero di dosi che il consumatore può portare con sé (ad
esempio, 10 dosi di 10-15 mg di THC: in realtà sarebbe di 25 mg per un consumatore
abituale). Quando il soggetto vien trovato in possesso di un quantitativo superiore alla dose
massima che può avere con sé, scattano le sanzioni amministrative: l’obiettivo primario è,
infatti, quello di riabilitare la persona, la quale, su decisione del Prefetto, viene assegnata ad
una struttura qualificata (SERT territoriali). Se il soggetto, come visto sopra, segue il
percorso riabilitativo, la sanzione amministrativa è cancellata; altrimenti, soprattutto per il
rischio comunitario, va incontro all’applicazione di ulteriori sanzioni (non uscire nelle ore di
entrata e di uscita delle scuole, presentarsi ogni mattina al commissariato, etc.)
• Tutela del tossicodipendente: il legislatore ha valutato non solo il diritto della persona ad essere
curata pressi strutture adeguate, ma anche la protezione del tossicodipendente nel momento in cui
incorre in reati penali per altra causa. Gli artt. 89-96 disciplinano, infatti, le tutele a favore del
tossicodipendente; a patto che la persona venga periodicamente controllata (soprattutto in caso di
detenuti con permessi di lavoro, i quali devono subire dei controlli atti ad accertare che non abbiano
assunto stupefacenti)
• Tutela della collettività
o Art. 108: azione di prevenzione ed accertamenti sanitari per l’idoneità a mansioni militari
o Art. 109: stato di tossicodipendenza degli arruolati (volontari) o dei militari in servizio
permanente
o Art. 124: lavoratori tossicodipendenti: “I lavoratori di cui viene accertato lo stato di
tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione
presso i servizi sanitari delle unita' sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative
e socio-assistenziali, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del
posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative e' dovuta
all'esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre
anni”
o Art. 125: accertamenti di assenza di tossicodipendenza in lavoratori destinati a mansioni che
comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi: “Gli appartenenti alle
categorie di lavoratori destinati a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, la
incolumita' e la salute dei terzi, individuate con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanita', sono sottoposti, a cura di
strutture pubbliche nell'ambito del Servizio sanitario nazionale e a spese del datore di lavoro,
ad accertamento di assenza di tossicodipendenza prima dell'assunzione in servizio e,
successivamente, ad accertamenti periodici”

Altri aspetti legislativi


• Decreto ministeriale 186/90: determinazione delle procedure diagnostiche e ML per accertare l’uso
abituale di sostanze stupefacenti e psicotrope
o Procedure ML
ƒ Riscontro documentale
ƒ Segni di assunzione abituale
ƒ Segni fisici/psichici in atto
ƒ Sindrome di astinenza in atto
ƒ Presenza di sostanze stupefacenti e/o metaboliti nei liquidi biologici
o Assunzione nelle 24: valutazione clinico-funzionale di:
ƒ Grado di dipendenza
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ƒ Intensità dell’abuso
o Criteri chimico-tossicologici: accertamenti clinici e di laboratorio
• Schema di intesa CSR n.99 30.10.2007 e CSR 18.09.2007: Procedure per gli accertamentisanitari di
assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanzestupefacenti o psicotrope in lavoratori
addetti a mansioni checomportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumita' e lasalute di
terzi
• DL 09.04.2001 n. 81: testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro > verifica di assenza di condizioni di alcol-dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope
e stupefacenti (tramite visite mediche)

Abuso di alcol
• Legge quadro sull’alcol 30.03.2001 n. 125 art. 15:
o 1: “Nelle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero
per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi (addetti alla sanità, insegnati, ndr),
individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il
Ministro della sanità, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, è fatto divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e
superalcoliche”
o 2: “Per le finalità previste dal presente articolo i controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro
possono essere effettuati esclusivamente dal medico competente ai sensi dell’articolo 2,
comma 1, lettera d), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive
modificazioni, ovvero dai medici del lavoro dei servizi per la prevenzione e la sicurezza
negli ambienti di lavoro con funzioni di vigilanza competenti per territorio delle aziende
unità sanitarie locali”
o 3: “Ai lavoratori affetti da patologie alcolcorrelate che intendano accedere ai programmi
terapeutici e di riabilitazione presso i servizi di cui all’articolo 9, comma 1, o presso altre
strutture riabilitative, si applica l’articolo 124 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza,”
o NB: il problema è che bisogna trovare una strategia che rispetti la riservatezza del
lavoratore, per non invadere la sfera dei dati sanitari sensibili, pur tutelando il datore di
lavoro (responsabile di eventuali incidenti). Pertanto, vi è tutta una serie di protocolli
operativi, stabiliti in ambito Stato-Regioni-Ministero della Salute, tra i quali in ultimo (nel
2009) si è stabilito che il controllo vien fatto anche come visita preassuntiva o dopo un
cambio di mansioni, nonché in caso di adozione di un minore

Codice della strada


• Codice della strada
o Art. 186: guida sotto l’influenza dell’alcol
ƒ 1. E' vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande
alcoliche.
ƒ 3. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l'obbligo di sottoposizione agli
accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12,
commi l e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, nel rispetto della
riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono sottoporre i
conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso
apparecchi portatili (etilometro, ndr).
ƒ 4. Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo,
in ogni caso d'incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il
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conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psico-fisica derivante


dall'influenza dell'alcool, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi 1
e 2, anche accompagnandolo presso il più vicino ufficio o comando, hanno la facoltà
di effettuare l'accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento.
ƒ 5. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche,
l'accertamento del tasso alcoolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di
Polizia stradale di cui all'articolo 12, commi 1 e 2, da parte delle strutture sanitarie di
base o di quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate
o Art. 187: guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti
ƒ 1. Chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze
stupefacenti o psicotrope è punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e
l'arresto da sei mesi ad un anno. All'accertamento del reato consegue in ogni caso la
sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a
due anni
ƒ 2. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l'obbligo di sottoposizione agli
accertamenti di cui al comma 3, gli organi di Polizia stradale di cui all'articolo 12,
commi 1 e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, nel rispetto della
riservatezza personale e senza pregiudizio per l'integrità fisica, possono sottoporre i
conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso
apparecchi portatili.
ƒ 2-bis. Quando gli accertamenti di cui al comma 2 forniscono esito positivo ovvero
quando si ha altrimenti ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo
si trovi sotto l'effetto conseguente all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, i
conducenti, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per
l'integrita' fisica, possono essere sottoposti ad accertamenti clinico-tossicologici e
strumentali ovvero analitici su campioni di mucosa del cavo orale prelevati a cura di
personale sanitario ausiliario delle forze di polizia
ƒ 6. Il prefetto, sulla base dell'esito degli accertamenti analitici di cui al comma 2-bis,
ovvero della certificazione rilasciata dai centri di cui al comma 3, ordina che il
conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell'articolo 119 e dispone la
sospensione, in via cautelare, della patente fino all'esito dell'esame di revisione che
deve avvenire nel termine e con le modalità indicate dal regolamento.
• Valutazione dell’assunzione di alcol
o Etilometro: si basa sul concetto che l’alcol circolante è proporzionale a quello dell’aria
espirata, con rapporto di 1 a 2.100 (quindi, occorre espirare 2.100 ml d’aria); pertanto,
occorre chiedere se l’etilometro ha il certificato di revisione. Tuttavia, anche alterazioni del
soggetto possono dare risultati erronei (enfisema polmonare con incapacità respiratoria,
incidente d’auto con respirazione inefficace). Il controllo con etilometro, comunque, va
ripetuto due volte a distanza di 5-10 minuti, in quanto la concentrazione alcolica, dato il suo
andamento gaussiano, potrebbe trovarsi in fase ascendente, di steady-state (massima
concentrazione di alcol) o discendente. Questo, infatti, serve a capire quanto tempo è passato
dall’assunzione di alcol.
o Alcolemia: il prelievo ematico dà un’indicazione precisa circa l’alcolemia e così il rifiuto di
sottoporsi ad esso rappresenta ammissione di colpa, con gravi sanzioni
• Valutazione dell’assunzione di sostanze stupefacenti: non vi sono mezzi efficaci per un controllo
estemporaneo, ma può utilizzarsi:
o Saliva: i controlli estemporanei effettuati su saliva non hanno valore legale, ma
rappresentano un controllo prioritario per condurre la persona presso il più vicino ospedale
per i prelievi ematici ed urinari
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• Conseguenze: il C.d.S. è una disciplina civile, ma gli artt. 186 e 187 sono reati penali
• Tipologie di indagini
o Diagnosi di attualità d’uso: la prima sanzione, in caso di test positivo, è il ritiro della patente
o Controlli per le commissioni mediche: servono per definire il tipo di vita della persona,
valutando quindi l’abitudine all’uso
• Linee guida dei controlli tossicologici
o Catena di custodia: il campione deve essere suddiviso in più aliquote, la prima delle quali
viene usata per lo screening, la seconda per l’analisi di conferma e la terza per l’eventuale
contraddittorio richiesto dalla persona
o Metodi di screening adeguati per cut-off ai livelli di applicazione dei controlli
o Analisi di conferma effettuate con spettrometria di massa: è l’unica metodologia analitica in
grado di identificare la struttura chimica della sostanza definita
o Dosaggio quantitativi da effettuarsi con standard di riferimento: l’accessibilità allo standard
è riservata a strutture sanitarie, di ricerca o universitarie iscritte ad un apposito elenco del
Ministero della Salute
o Responsabilità professionale per scorretto utilizzo dei mezzi

Dati istituzionali
• Indagini per la Magistratura (art. 73)
• Indagini per la Prefettura (art.75)
• Dati provenienti dalle carceri (vengono svolti controlli su soggetti che usufruiscono di permessi
premio, permessi lavorativi o misure alternative)
• Dati provenienti da ospedali, centri di igiene mentale, centri di PS, SERT, commissioni mediche
locali
• NB: dai dati provenienti dalle indagini tossicologiche svolte in questi ambiti si fa la relazione
annuale al Parlamento
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CAP. 2: LA DIAGNOSTICA TOSSICOLOGICA SUL VIVENTE E SUL


CADAVERE

Par. I: Caratteristiche generali


Introduzione
La diagnostica tossicologica costituisce un momento di grande impegno per il tossicologo fornese: molto
spesso, infatti, si tratta di indagini con finalità forensi o che possono divenire tali in momenti successivi;
quindi, è di rigore l’accuratezza delle indagini e la certezza del dato analitico, in termini sia qualitativi che
quantitativi:
• Finalità dell’indagine tossicologica
o Clinica
ƒ Emergenza tossicologica
ƒ Monitoraggio terapeutico di farmaci o sostanze d’abuso
o ML ed amministrativa: è finalizzata alla prevenzione dei rischi sociali connessi all’abuso di
droghe eseguita in applicazione di norme legislative
• Trattamento della disassuefazione da sostanza d’abuso
o Monitoraggio preliminare per verificare l’abitudine assuntiva del paziente
o Valutazione clinica del soggetto
o Impostazione della terapia
o Controllare il programma terapeutico
ƒ Implementare eventualmente la terapia
ƒ Controllare l’adesione del paziente al programma terapeutico
ƒ Scongiurare l’eventuale overdose od inefficacia terapeutica per l’interazione con
farmaci
o Controllare il programma terapeutico al termine ed a distanza per tenere sotto controllo
eventuali assunzioni del paziente sia verso la sostanza per cui si era instaurata la diepndenza,
sia verso altre sostanze alternative
• Interazioni:
o Farmaci che alterano il pH urinario: ad esempio, un’acidificazione del pH aumenta
l’eliminazione del metadone
o Induttori enzimatici: determinano una sindrome da astinenza: antiepilettici (carbamazepina,
fenobarbital, fenitoina), antibatterici (rifampicina)
o Inibitori enzimatici di CYP1A2 e CYP3A4 con conseguente potenziamento degli effetti
(antidepressivi come fluoxetina e fluvoxamina)
• Indagine a finalità ML: eseguita in applicazioni di norme giuridiche, fornisce utili elementi per una
corretta diagnosi a valenza ML
o Si basa su:
ƒ Conoscenza della norma giuridica
ƒ Appropriatezza dell’analisi
ƒ Correttezza dell’interpretazione
o Contesti
ƒ Idoneità alla guida, porto d’armi, mansioni militari, adozioni, etc.
ƒ Infrazioni al C.d.S.
ƒ Discriminazione procedimento amministrativo e penale
ƒ Misure cautelari alternative al carcere
ƒ Mansioni lavorative a rischio
• Diagnostica tossicologica: il dato tossicologico può esser utilizzato come “prova” nei procedimenti
penali, per cui le procedure analitiche ed i risultati derivanti dalle indagini tossicologiche devono
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essere in grado di soddisfare il rigorismo metodologico imposta dalla ML. Con il termine di
procedura analitica si intende sia la scelta appropriata del campione biologico, sia l’applicazione di
metodi analitici idonei per il raggiungimento del fine desiderato.
• Approccio metodologico: pur se diversificato a seconda della finalità dell’indagine, non potrà
prescindere dall’applicazione della classica criteriologia ML di avvelenamento. Lo studio di questi
criteri (vedi Cap. precedente) consentirà di orientare la nostra indagine tossicologica verso una
determinata causa di intossicazione e solo la loro concordanza e la valutazione integrata dei ddati,
scaturiti dai diversi criteri, può dare la certezza della diagnosi.

Par. II: I campiono biologici


Caratteristiche generali
• Corretta raccolta del campione: è il prerequisito fondamentale:
o Scelta del campione
o Tecnica del campionamento
o Utilizzo di eventuali additivi o conservanti
o Integrità ed identificazione del campione: catena di custodia: garantisce:
ƒ Integrità del campione e corretta identificazione del soggetto
ƒ Conservazione dell’aliquota necessaria per l’analisi di revisione
ƒ Trasparenza degli atti e rintracciabilità dell’operato e dell’operatore
o Etichettamento (codice alfa-numerico)
o Elementi circostanziali (terapie in corso)
o Trasporto
o Tempo di stoccaggio
• Documentazione: affinché l’operato di un laboratorio tossicologico sia “trasparente” è indispensabile
documentare tutte le procedure necessarie alla realizzazione di un rapporto analitico:
o Procedure da documentare
ƒ Accettazione della richiesta
ƒ Raccolta del campione
ƒ Iter analitico
ƒ Rapporto analitico
ƒ Smaltimento del campione biologico
o Finalità
ƒ Risalire, a posteriori, alla tecnica analitica e/o strumentale usata, alla matrice
biologica analizzata, etc.
ƒ Controllare eventuali errori, materiali o strumentali
ƒ Risalire all’operatore per una maggior responsabilizzazione di tutto il personale
ƒ Garantire da eventuali contestazioni circa l’esito delle indagini e di monitorare la
“qualità quotidiana” del dato di laboratorio

Matrici convenzionali
La scelta del campione biologico, convenzionale od alternativo, dipende dalla disponibilità del campione,
dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’analita e, soprattutto, dalla finalità dell’accertamento
• Sangue: è il campione biologico di elezione
o Caratteristiche principali
ƒ Direttamente correlato allo stato di intossicazione
ƒ Conoscenza farmacodinamica e farmacocinetica di numerosi tossici
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ƒ Interpretazione tossicologica di dose terapeutica, tossica e letale


ƒ Invasività del prelievo
ƒ Consenso
ƒ Rischio biologico per operatoti sanitari
o Sangue intero: è il campione di scelta per provare la presenza di droga nel sangue. In questo
campione, infatti, sarà presente, e quindi analizzata, sia la droga concentrata negli eritrociti
sia la droga legata alle proteine (plasmatica). In genere, si esamina il sangue intero nei casi
forensi ed il plasma o il siero nei casi con finalità clinica: questi, infatti, contengono poche
sostanze interferenti rispetto al sangue intero
o Distribuzione: la concentrazione ematica fornisce la quantità di droga presente a livello dei
siti recettoriale, ma bisogna conoscere anche la distribuzione della droga all’interno
dell’organismo (organotropismo). Infatti, droghe con spiccato organotropismo verso un
determinato organo avranno in quella sede una concentrazione molto elevata rispetto al
valore ematico
ƒ Esempi
• Solventi e sostanza liposolubili (pesticidi): tessuti adiposi e cervello
• Digitossina ed altri glucosidi cardiaci: muscolo cardiaco
• Droghe glucuronizzate nel fegato (morfina): bile
ƒ Possibile diversa distribuzione tra le parti di un singolo tessuto: ad esempio, nel
sangue una droga può concentrarsi preferenzialmente nel plasma o negli eritrociti
ƒ Attenzione a possibili contaminanti presenti nel sangue: Vacutainer contenenti
plastificanti > spiazzamento farmaci basici dai loro siti di legame proteici >
ridistribuzione
• Urine: è il campione biologico che valuta l’eliminazione di una sostanza
o Caratteristiche principali
ƒ Facilità di prelievo
ƒ Grande quantità di campione biologico disponibile
ƒ Matrice biologica libera da proteine (bassa interferenza)
ƒ Utilissima per le analisi di screening con rapidi risultati e cut-off condivisi
ƒ Elevata concentrazione del tossico
ƒ Finestra metabolica maggiore che nel sangue
ƒ Studi clinici per la valutazione del risultato
ƒ Prevalente dosaggio dei metaboliti
ƒ Misura soltanto l’esposizione: non è possibile la correlazione del dato urinario con
gli effetti prodotti
ƒ La concentrazione urinaria dipende dal tempo intercorso fra prelievo-assunzione
della droga-tempo di formazione delle urine
o Problema dell’adulterazione
ƒ Finalità
• Ottenere un risultato negativo
• Ottenere un risultato positivo (per beneficiare di agevolazioni legislative)
• Invalidare l’indagine, rendendo il campione non idoneo
• NB: gli adulteranti possono interferire con i test di screening, di conferma o
possono degradare le droghe ed i loro metaboliti
ƒ Tipi di adulterazione
• Esterna:
o Diluizione con H2O
o Addizione di interferenti: ossidanti, acidi, basi, detergenti
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• Interna: ingestione di diuretici, acqua, bicarbonato, etc.


• Sostituzione delle urine
o Interpretazione dell’accertamento urinario
ƒ Positivo:
• Indicazioni sull’abitudine assuntiva del soggetto, ma non su dose, momento
e modalità dell’assunzione
• Limite: finestra di rilevabilità: campioni positivi non identificati per la breve
emivita di alcune sostanze (BDZ, barbiturici a breve durata) o per la velocità
con cui scendono al di sotto del cut-off utilizzato
ƒ Negativo
• Eventuale assunzione saltuaria o non recente
• Tempo intercorso tra assunzione e prelievo
• Sensibilità del metodo analitico
• Cut-off non idoneo
• Campione adulterato o sostituito
• Concomitante assunzione di farmaci interferenti
• Contenuto gastrico
o Elevata concentrazione di tossico se assunto per os: se presenti basse concentrazioni,
potrebbero essere droghe basiche che diffondono dal sangue
o Indizi immediati (odore, alimenti, etc.)
o Tossico immodificato

Matrici alternative
Il loro utilizzo ha assunto grande importanza in tossicologia forense (TF) sia per il monitoraggio di droghe e
farmaci che per la valutazione dell’esposizione prenatale a sostanze illecite, controllo antidoping o in caso di
mansioni lavorative. Vantaggi rispetto alle tecniche convenzionali sono:
• Campionamento non invasivo
• Non richiesta una supervisione speciale perché difficilmente adulterabili
• Aumento considerevole della finestra di reversibilità per numerose droghe
• Correlazione con la concentrazione ematica (saliva
• Richiesta di tecnica di conferma altamente sensibili
Le più utilizzate sono:
• Capelli
• Saliva
• Sudore
• Umor vitreo
• Meconio

Protocollo analitico
• Identificazione di un tossico
o Conoscenza del tossico e della sua farmacocinetica (metabolismo, accumulo)
o Scelta del campione biologico da esaminare
ƒ Finalità dell’indagine
ƒ Intossicazione in atto o pregressa
ƒ Caratteristiche fisico-chimiche del tossico (metalli, pesticidi)
ƒ Via d’introduzione
o Tecnica analitica e strumentale da adottare
ƒ Metodica estrattiva, derivatizzazione
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ƒ Head-Space, etc.
o Dose terapeutica, tossica, letale: interpretazione del dato
• Tipologie di analisi: il tossicologo ha a disposizione una vasta gamma di tecniche strumentali e
procedure analitiche per condurre un’indagine tossicologica; potrebbe anche usare una combinazione
di più procedure analitiche per coprire una gamma più vasta di possibili sostanze, che non rientrano
nelle normali procedure di screening. Comunque, le analisi possono riguardare:
o Screening (metodi immunochimici, test colorimetrici): analisi preliminare volta
all’identificazione di grandi gruppi di sostanze, determina, in riferimento a cut-off
prestabiliti, la positività o la negatività di un campione
ƒ Mezzi: tecniche immunochimiche: si basano sulla reazione competitiva tra la
sostanza da identificare (antigene) e la stessa sostanza marcata (antigene marcato),
nei confronti di un anticorpo specifico
• EMIT: enzima
• RIA: I125
• FPIA: fluorescina
ƒ Parametri caratterizzanti le tecniche immunochimiche
• Sensibilità: è la più piccola quantità che il metodo riesce a dosare. Tanto più
è sensibile il sistema analitico, tanto più piccola sarà la sostanza dosabile. È
influenzata dal marker utilizzato
• Specificità: è la capacità del metodo analitico di dosare solo il composto in
esame; dipende dal tipo di anticorpo utilizzato
• Accuratezza: è la differenza tra il valore reale ed il valore medio ottenuto da
un certo numero di determinazioni
• Precisione: indica la concordanza tra misure ripetute sullo stesso campione
• Cut-off: rappresenta un limite di concentrazione (valore soglia) definito per
stabilire se un campione è positivo o negativo; viene utilizzato sia per le
procedure di screening che per quelle di conferma
o Variabilità in rapporto a:
ƒ Matrice biologica
ƒ Metodologia utilizzata
ƒ Finalità dell’indagine
o Da indicare chiaramente nel referto, deve essere condiviso ed
omogeneamente applicato in tutti i laboratori coinvolti nelle stesse
tipologie di analisi
ƒ Vantaggi
• Campione biologica tal quale ed in piccola quantità
• Velocità di risposta di un’indagine
• Possibile analisi di più sostanze con una stessa determinazione
• Sensibilità elevata per la finalità dell’indagine
• Bassi costi di esercizio
ƒ Svantaggi
• Possibili falsi negativi e falsi positivi per adulterazione
• Scarsa specificità
• Sensibilità variabile all’interno di una stessa famiglia di sostanze
• Metodiche validate prevalentemente su matrice unitaria
o Conferma (spettrometria di massa): analisi più specifica, conferma, identifica e/o quantifica
una sostanza ed i suoi metaboliti
ƒ Preparazione
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• Estrazione liquido/liquido (L/L): si basa sul principio della ripartizione


dell’analita da estrarre, tra due fasi immiscibili tra loro, in funzione della sua
solubilità in esse
o Punti critici
ƒ Scelta del solvente organico
ƒ pH
ƒ Forza ionica
o Miglioramenti dell’efficienza di un’estrazione tramite:
ƒ Estrazioni multiple
ƒ Retro-estrazione
o Svantaggi
ƒ Formazione di emulsioni
ƒ Grandi quantità di campione e di solventi tossici da
utilizzare
ƒ Coestrazione di composti endogeni (soprattutto per estratti
acidi)
ƒ Scarsa automazione
• Estrazione in fase solida: utilizza colonnine contenenti adatti adsorbenti
(silice o resine polimeriche modificate per l’inserimento di gruppi
funzionali)
o Tipi a seconda delle modificazioni subite, e quindi delle interazioni
predominanti tra analita ed adsorbente
ƒ Polari
ƒ No polari
ƒ A scambio ionico
o Obiettivi
ƒ Estrazione e concentrazione dell’analita
ƒ Rimozione di sostanze interferenti
ƒ Cambio della matrice dell’analita
o Vantaggi
ƒ Rapidità e semplicità d’esecuzione
ƒ Minima quantità di campione e di solventi da utilizzare
ƒ Elevato recupero
ƒ Estratti molto più puliti
ƒ Maggiore selettività
ƒ Fase strumentale
• GM-MS con eventuale derivatizzazione
• LC-MS
o Tecniche specifiche (A.A., GC/HS, etc.) per un determinato analita o per una ristretta
gamma di analiti
• Valutazione del dato
o Criticità
ƒ Fattori preanalitici: prelievo, campione, stoccaggio
ƒ Fattori analitici: procedure analitiche non corrispondenti alle linee guida, metodi non
selettivi né specifici, sensibilità del metodo
ƒ Fattori post-analitici: mancata conservazione della documentazione e dell’aliquota di
revisione, errata interpretazione o valutazione
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o Linee guida: costituiscono un protocollo metodologico uniforme a livello nazionale allo


scopo di garantire la qualità del dato analitico. Requisiti dell’indagine di laboratorio
risultano:
ƒ Trasparenza
ƒ Rintracciabilità
ƒ Uniformità dell’iter procedurale e dell’interpretazione del risultato
o Valutazione del risultato dell’analisi
ƒ Esito negativo
• Non è stato assunto
• È stato eliminato dai trattamenti ospedalieri
• È stato degradato (fenomeni putrefattivi o trasformazioni post-mortali)
• Tecnicamente non rilevabile: sensibilità del metodo, ricerca generica non
sufficientemente ampia, normalmente presente nell’organismo, non corretto
campionamento, non corretta T° di esposizione
ƒ Esito positivo
• Confronto con i dati della letteratura
• Rilevanza epidemiologica nazionale ed internazionale
• Concordanza con gli altri ML
• Idoneità del mezzo

Par. III: Indagine tossicologica post-mortem


Caratteristiche generali e morte da intossicazione acuta da stupefacenti
Viene richiesta quando si sospetta una noxa chimica nel determinismo della morte ed è indispensabile per
determinare se alcol, droghe od altri veleni (noxa chimica) possono aver causato o contribuito alla morte di
una persona (morte da droga).
La morte per intossicazione acuta da stupefacenti (o morte da narcotismo acuto) è un’intossicazione acuta,
dovuta all’assunzione di una dose massiccia di sostanza, risultata letale in funzione del grado di tolleranza
dell’assuntore. Quindi tali morti rientrano tra le morti droga-correlate.
Considerazioni importanti riguardano:
• Morti droga-correlate
o Morte dovuta ad overdose volontaria od accidentale
o Morte dovuta ad abuso protratto (patologie correlate: epatiti, miocarditi)
o Suicidi/omicidi connessi con la tossicodipendenza
o Eventi accidentali causati dalla droga (incidenti stradali e sul lavoro)
• Narcotismo acuto (overdose acuta): oggi questo termine risulta improprio sia per la relatività del
concetto di overdose (sensibilità, grado di dipendenza e tolleranza dell’assuntore) sia perché non
sempre si evidenziano livelli sierici e tissutali di droga tali da giustificare il decesso. Pertanto, oggi il
termine è stato sostituito da quella di “reazione acuta alla droga”, intendendo una abnorme reattività
dell’organismo alla droga, dovuta a:
o Poliassunzione
ƒ Eterogeneità quali-quantitativa dei principi attivi delle droghe circolanti
ƒ Imprevedibilità delle interazioni farmacologiche e farmaco-tossicologiche
ƒ Aspecificità e difficile correlabilità dei rilievi autoptici ed AP con una determinata
sostanza d’abuso
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o Sofferenza epatica: da diminuzione della sintesi degli enzimi necessari alla metabolizzazione
delle droghe e quindi conseguente aumento della concentrazione ematica e dell’emivita delle
droghe nell’organismo
o Via di assunzione ev: vengono oggi così assunte anche droghe un tempo tradizionalmente
assunte per via inalatoria o per via orale (cocaina, metadone, psicofarmaci). Considerazioni
ulteriori riguardano:
ƒ Variazione della DL
ƒ Complicanze infettive: epatite virale, infezione tetanica, AIDS
ƒ Patologie derivanti dall’uso di farmaci destinai ad uso orale: eccipienti per
compresse, se somministrati ev, possono portare alla formazione di emboli
o Condizioni fisiche del soggetto assuntore: patologie plurifattoriali, degenerative o
immunitarie possono predisporre e/o condizionare l’effetto tossico della sostanza
stupefacente, la quale quindi può espletare la sua azione in dosi sub-letali, inidonee a
giustificare il processo

Diagnosi di morte da droga


Rientra nello schema criteriologico cui si ricorre classicamente ogni qualvolta si debba considerare l’ipotesi
di una intossicazione acuta.
È importante ricordare come si esiga di una equipe multidisciplinare (ML, AP, TS), dove ognuno,
nell’ambito della propria competenza specifica, può portare il suo contributo qualitativo: questo è proprio
quanto risulta imposto dalla classica criteriologia ML di avvelenamento:
• Approccio tossicologico per un indagine post-mortem
o Studio degli atti
o Dato circostanziale e clinico-anamnestico
o Campioni biologici (numerosi e vari, ma non sempre disponibili)
o Indicazione del sito del prelievo
o Indagine di screening e di conferma
o Valutazione del dato
• Esempio: overdose da eroina
o Dati circostanziali significativi: testimoniali (acquisto della stupefacente, malore, stato
soporoso), rinvenimento di siringhe, residui di polvere, etc.
o Dati clinico-anamnestici: consumatore cronico od occasionale di eroina, trattamento di
disassuefazione, detenzione, ricoveri ospedaliero
o Indagini AP: reperti polmonari significativi (congestione, edema emorragico, presenza di
macrofagi nei lumi alveolari, manifestazioni flogistiche, sangue fluido per morte asfittica)
o Esame esterno: esiti cicatriziali di vecchie o recenti punture, fuoriuscita da bocca e narici di
liquido derivante dall’edema emorragico
• Campionamento: i campioni post-mortem possono essere numerosi, variabili e vengono scelti in
base alla storia del caso ed ai quesiti posti dal magistrato. L’eventuale degradazione post-mortem,
con i suoi cambiamenti autolitici e putrefattivi, potrebbe limitare la selezione e l’utilità dei campioni,
la qualità e l’affidabilità dei risultati analitici dipendono dai campioni biologici esaminati. In
generale, i campioni raccolti routinariamente durante l’autopsia includono: sangue da siti periferici e
dal cuore, urine, bile, contenuto gastrico, organi (soprattutto fegato). Campioni supplementari e
matrici alternative potrebbero esser raccolti per completare l’indagine tossicologica.
• Differenze tra indagini con finalità cliniche ed indagini post-mortem
o Indagini post-mortem
ƒ Supportare il ML nella diagnosi di avvelenamento
ƒ Su sangue intero (ricco di interferenti)
ƒ Spesso in piccola quantità e, talvolta, unico reperto disponibile
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ƒ La concentrazione ematica post-mortem non sempre riflette la concentrazione


effettiva al momento della morte
o Finalità clinica
ƒ Indagini urgenti
ƒ Supportare il clinico in caso di avvelenamento
ƒ Effettuata su siero o plasma
ƒ Non è affetta da problemi dovuti ad interferenti
ƒ La gravità dell’intossicazione viene dedotta dal tasso ematico del tossico, comparato
a DL, DT o D. terapeutica
ƒ È possibile risalire alla quantità assunta
• Concentrazione post-mortem: è influenzata dalla ridistribuzione post-mortem (RPM), ossia dal
movimento de farmaco all’interno del corpo dopo la morte, con conseguente aumento della
concentrazione ematica a livello centrale. Fattori che favoriscono tale ridistribuzione sarebbero:
o Rilascio passivo delle droghe dagli organi di deposito (organi cavi o con elevata capacità
concentrativa: stomaco, fegato, polmone, etc.): tali organi sequestrano alcune droghe e le
rilasciano dopo la morte, ridistribuendole ai tessuti circostanti
o Modificazioni cellulari e tissutali: cambiamenti di pH e struttura delle proteine con rottura
del legame FP
o Persistenza dei processi metabolici subito dopo la morte
o Natura e proprietà della droga: farmaci basici con grande volume di distribuzione sono i più
soggetti alla ridistribuzione piost-mortem (ADT: amitriptilina, nortriptilina, imipramina;
antistaminici; analgesici narcotici: ossicodone, codeina, morfina)
o T° del corpo: la RPM è ritardata dalla refrigereazione a 4°C
o Tempo intercorso dall’exitus: aumenta con il ritardo dell’autopsia
o Condizioni patologiche preesistenti: possono influenzare la ridistribuzione

Indagini chmico-tossicologiche
• Capacità interpretative
o Scelta dei reperti biologici ed indicazione del sito di campionamento
o Interpretazione del dato
• Esatto campionamento: può limitare l’errata interpretazione dei dati tossicologici. Il campione
ematico di scelta per le analisi tossicologiche è il sangue femorale, perché riflette la concentrazione
ematica ante-mortem e perché il sangue periferico è meno soggetto alla ridistribuzione (potrebbe
provenire soltanto dal tessuto muscolare adiacente o dal grasso). La ridistribuzione verso i vasi
centrali, invece, è maggiore poiché proviene dal tratto GI, dal fegato o dai polmoni, per cui la
concentrazione del sangue a livello centrale risulta maggiore.
• Interpretazione del dato: vari fattori contribuiscono alle criticità interpretative del dato tossicologico
e non sempre vengono evidenziate concentrazioni tali da poter formulare una diagnosi certa di
avvelenamento:
o Tolleranza individuale
o Variabilità biologica interindividuale
o Interazione tra droghe e farmaci
o Presenza/assenza di patologie preesistenti
o Tempo di sopravvivenza (metabolismo)
o Stabilità delle droghe
ƒ Cocaina: viene idrolizzata dalle colinesterasi sieriche, per cui nella valutazione
occorre tener conto anche della concentrazione dei metaboliti
ƒ Morfina glucuronide: nel sangue cadaverico può esser convertita in morfina libera in
caso di contaminazione batterica, che può scindere il legame con l’acido glucoronico
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ƒ LSD: degradata a causa della luce


ƒ Bupropione: degradazione dipendente da pH e T
ƒ Sostanze volatili: effetti della conservazione sulla stabilità
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CAP. 3: TOSSICOLOGIA DI ALCUNE SOSTANZE D’ABUSO

Par. I: Caratteristiche generali delle sostanze stupefacenti


Fattori che influenzano gli effetti delle droghe
• Fattori chimici e farmacologici
o Stato chimico-fisico in cui viene assunta
o Dose
o Via di assunzione (ad esempio, l’eroina prima si assumeva solo ev, oggi è assumibile in più
modi)
• Fattori psicologici e sociali
o Circostanze ed ambiente in cui viene assunta: ad esempio, amfetamina e composti
amfetamino-simili vengono solitamente assunti in clubs e rave partys, nei quali i loro effetti
sono, per il contesto stesso in cui si verifica l’assunzione, amplificati (ad esempio,
l’ipertermia, l’eccessiva sudorazione e l’agitazione psicomotoria risultano aumentate)
o Aspettative del consumatore
o Carattere del consumatore

SNC, circuito di gratificazione del cervello ed effetti delle sostanze stupefacenti


Il principio ispiratore di tutta la normativa sulle sostanze stupefacenti è la loro capacità di indurre
dipendenza, fisica o chimica, pur essendo tale capacità diversa anche tra composti della stessa classe.
Tutte le sostanze hanno, in ultima analisi, come target il rilascio di neurotrasmettitori, determinando, da un
lato, soddisfazione e, dall’altro, inibizione di alcune funzioni (soprattutto, respiratorie e cardiovascolari).

Par. II: Oppiacei


Caratteristiche generali
Gli oppioidi esogeni sono derivati naturali di una pianta, il PapaverSomniferum, che produce lattice
dall’incisione della capsula ed è l’unica varietà che produce oppioidi (tutti gli altri tipi di Papaver non
producono oppioidi in misura significativa).
Esso cresce in determinate condizioni climatiche, caratterizzate da elevate temerature ed umidità, in
particolare in Afghanistan (dove si stima vi sia il 95% della produzione mondiale di oppio: bottino alquanto
ricco e causa di numerose guerre, ndr) e nel Triangolo d’oro (Birmania, Laos, Tailandia).
In queste zone, la capsula del papavero, per ottenere l’oppia va incisa all’alba, unico momento della giornata
in cui sussistano le condizioni di umidità e temperatura che consentano al lattice di rapprendersi e diventare
una secrezione brunastra, che viene poi raschiata e raggruppata nei pani di oppio. Questo lavoro, inoltre, data
l’altezza della capsula, è generalmente svolto dai bambini.
Dal pane di oppio si ricavano poi gli alcaloidi:
• Alcaloidi con nucleo benzilisochinolinico: papaverina, narcotina, narceina: hanno soltanto un blando
effetto sedativo, ma non hanno un effetto narcotico, in quanto la parte identificata dai recettori
oppioidi è l’anello
• Alcaloidi con nucleo fenantrenico: morfina, codeina, tetralina: danno un tipico effetto analgesico-
narcotico perché vengono riconosciuti in maniera diversa dai recettori endogeni per gli oppiacei. La
quantità di morfina presente nel pane di oppio è intorno al 10% con piccole quantità degli altri
alcaloidi.
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Oggi, tuttavia, il riscontro di sostanze oppioidi naturali come stupefacenti è alquanto diminuito, essendo
largamente aumentato il consumo di sostanze sintetiche o semisintetiche, che possono avere una struttura
chimica anche completamente diversa, ma che comunque si legano agli stessi recettori.
In definitivi, gli oppioidi ad attività analgesica possono essere:
• Naturali: morfina, codeina, tebaina
• Semisintetici: eroina, diidromorfina
• Sintetici: meperidina, metadone, buprenorfina> sono utilizzati nel trattamento analgesico di pazienti
neoplastici

Caratteristiche generali dell’eroina


L’eroina da strada è raramente allo stato puro, ma più frequentemente è costituita da eroina in % variabile,
sottoprodotti di origine o lavorazione, diluenti (zuccheri o polveri inerti), sostanze da taglio (procaina,
caffeina, paracetamolo):
• Miscele: circolano pertanto miscele con diversa denominazione:
o Eroina bianca (cinese): si presenta come polvere cristallina bianca. Quando si estrae
completamente la morfina, si purifica e si acetila, si forma l’eroina bianca
o Brown sugar (eroina scura): si presenta in forma granulare di colore avana. Quando si
estraggono tutti gli alcaloidi dall’oppio, si acetila diversamente senza separare per via
chimica solo la morfina, si ottiene l’eroina scura, nella quale son presenti non solo i derivati
della morfina acetilata (monoacetilmorfina, eroina), ma anche tutti gli altri alcaloidi
dell’oppio, ossia i cascami di lavorazione e le impurezze di origine. Questo sistema di
produzione dell’eroina, pur se meno raffinato, è altamente indicativo delle vie di traffico
della droga (la strada che segue l’eroina sarebbe rintracciabile risalendo dell’eroina più pura
a quella meno pura)
o Speedball: eroina + cocaina (+ tagli farmacologicamente attivi)
• Tipologie
o Singole dosi efficaci tagliate con farmaci attivi (sostanze sedative come la procaina, caffeina
attraverso tè in polvere) o con materiali inerti (talco, zuccheri vari, lattosio)
o Ovulo: è una bustina contenente materiale stupefacente, impermeabile, avvolto in
determinati strati di nastro adesivo in plastica. Il nastro adesivo deve essere molto lungo
affinché passi, ingerito dai body-packer, le frontiere: c’è infatti il rischio, dato il pH gastrico
acido o intestinale alcalino, che gli ovuli si aprano con morte istantanea del soggetto. Un
ovulo contiene mediamente 5-7 g di polvere abbastanza dura, poco diluita, cercando di
ricavare il massimo
• Chimica dell’eroina: l’eroina (3,6-diacetilmorfina) è un derivato semisintetica della morfina: più
liposolubile della morfina, attraversa più facilmente e più rapidamente la BEE per la presenza dei
due gruppo acetilici al posto dei due gruppo ossidrilici in posizioni 3 e 6.
Anche la maggior tossicità dell’eroina rispetto alla morfina, misurata come DL50, è correlata alla
rapidità con la quale l’eroina attraversa la BEE: per via ev l’eroina è 2-3 volte più tossica della MAM
e circa 7 volte della morfina. In sostanza, gli effetti di 10 mg di morfina sono raggiunti con 6 mg di
eroina; inoltre, data la liposolubilità elevata, possono concentrarsi 15-20 mg di eroina in 1 ml:
• Preparazione dell’eroina: si scioglie la dose di eroina in 1 ml di acqua distillata, si pone in un
cucchiaio, si riscalda con accendino (la temperatura elevata favorisce la solubilità) e si può
aggiungere una goccia di limone o di acido citrico per abbassare il pH e favorire la solubilità. La
dose così ottenuta può essere iniettata ev: se si volesse fare lo stesso con la morfina, occorrerebbe un
flacone di 20 ml
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Farmacodinamica
È bene ricordare come vi siano oppioidi endogeni (encefaline, endorfine, dinorfine), che, pur con una
struttura diversa da quelli esogeni (sono polipeptidi) agiscono sugli stessi recettori.
Essi, infatti, sono secreti in maniera abbondante in condizioni di stress psico-fisico (sistema di difesa) ed
hanno sostanzialmente un effetto narcotico-analgesico:
• Meccanismo d’azione
o Inibizione adenilato-ciclasi
o Diminuzione cAMP
o Modifica del potenziale di membrana
o Inibizione della trasmissione dello stimolo doloroso
• Recettori: hanno azione si diversi recettori:
o µ1: analgesia sovraspinale, motilità intestinale, euforia > processo iniziale di abuso di
oppioidi
o µ2: depressione respiratoria e dipendenza
o κ: analgesia, sedazione, miosi (segno tipico di intossicazione acuta)
o δ: analgesia spinale
o σ: disforia ed allucinazioni
o NB: un elevato numero di recettori si trova anche nell’addome; infatti, consumatori cronici
di oppioidi presentano, tipicamente, crampi addominali, stipsi, nausea, vomito.

Farmacocinetica
• Assunzione
o Ev: pratica tipica, è stata in parte abbandonata per la diffusione di patologie infettive
correlate allo scambio di siringhe; oggi è per lo più utilizzata per il costo minore
o Inalazione di polveri (sniffing) o fumi (snorting): uso saltuario :l’assorbimento dell’eroina
per via inalatoria ed il suo passaggio attraverso la mucosa rinofaringea, pur se rapidi,
producono effetti farmacologici pari a circa il 10-20% di quelli legati all’assunzione ev
ƒ NB: per l’aumento dell’utilizzo di questa via non si riscontra più il tipico segno
dell’agopuntura
o Orale
• Metabolismo:
o Rapida distribuzione a tessuti molto irrorati: polmone, rene, fegato
o Rapida conversione (10-15 minuti) in monoacetilmorfina (6-MAM) e poi, più lentamente (4-
6 ore), in morfina (e codeina): la prima (MAM) è individuabile nell’urina in funzione della
frequenza di abuso, mentre la seconda (morfina) in relazione all’assunzione abituale e fino a
4-5 giorni
ƒ NB: la codeina è un metabolita minore dell’eroina, ma è un metabolita anche di altri
oppioidi: pertanto, risulta fondamentale il rapporto codeina/morfina, che, se elevato,
può indirizzare un riscontro positivo al test verso l’assunzione di farmaci a base di
codeina (o di farmaci che hanno la codeina come metabolita) piuttosto che di eroina
ƒ NB: il 6-MAM, metabolita primario dell’eroina, è l’elemento cardine per la diagnosi
da dipendenza da eroina. La ricerca della sostanza, tuttavia, si fa prevalentemente su
matrici alternative (capelli, sudore, unghia, saliva): in tali matrici, organi di deposito
del composto primario piuttosto che dei metaboliti, si troverà l’eroina piuttosto che
la 6-MAM (e codeina nei casi di assunzione di farmaci a base di codeina)
o Quota convertita a livello epatico con morfina glucuronata (coniugata): questa viene
riespulsa con la bile, la quale darà informazioni circa la ritualità dell’uso (concentrazioni
elevate di eroina nella bile per accumulo da abuso cronico)
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• Escrezione urinaria nei consumatori abituali: l’urina dà informazioni sulla sostanza consumata negli
ultimi 2-3 giorni e dipende dalla modalità di assunzione:
o Dopo iniezione ev: 65% della dose somministrata
o Dopo somministrazione per via nasale: 26%
o Dopo inalazione del fumo: 14%
• Studio dell’uso pregresso: capello di almeno 8 cm: consente di fare una retrodatazione delle
abitudini voluttuari degli ultimi 8-9 mesi (in quanto i capelli crescono al ritmo medio di 1 cm al
mese)

Caratteristiche cliniche
• Segni clinici connessi all’abuso
o Miosi
o Depressione del respiro fino all’apnea con cianosi
o Sintomi correlati: ipotensione e bradicardia, ipotermia, iporeflessia
o Stupor o coma
o Edema polmonare
o Alterazione della funzionalità GI: spasmo pilorico, diminuzione della peristalsi, spasmo
delle vie biliari
o Alterazioni dell’accomodazione visiva e fotofobia
o Perdita della sensibilità dolorifica
o Assoluta incapacità di concentrazione mentale
o Astenia agli arti inferiori
o Perdita completa dell’istinti sessuale (nella donna anche alterazioni del ciclo ed amenorrea)
o Sudorazione e tremori
• Caratteristiche della dipendenza
o Psichica: si manifesta come una spinta prepotente a continuar a prender droga ed a
procurarsela ad ogni costo
o Fisica: si instaura rapidamente e facilmente ed aumenta con l’aumentare della dose
o Tolleranza: richiede aumento della dose
• Fattori determinanti il narcotismo acuto (superamento della soglia di tolleranza)
o Assunzione di dosi superiori al livello di tolleranza individuale (anche per cambio di
fornitori, che forniscono dosi con quantità superiori di principio attivo)
o Uso di sostanze ad elevata purezza
o Poliabuso (altre droghe, alcol, BDZ): particolarmente pericoloso è l’utilizzo di lidocaina
come sostanza da taglio
o Overdose nei body-packer da rottura di ovuli
• Intossicazione acuta:
o Sintomatologia: euforia, prurito cutaneo, miosi, sonnolenza, diminuzione della frequenza e
dell’ampiezza del respiro, ipotensione, bradicardia, diminuzione della temperatura corporea:
tale sintomatologia può evolvere in depressione respiratoria, apnea, coma e morte
o Terapia:
ƒ Ventilazione del paziente in oblio respiratorio
ƒ Naloxone: la sua durata d’azione è inferiore a quella degli oppiacei (e quindi i
sintomi possono ripresentarsi nel giro di poche ore); pertanto, si richiedono
successive eventuali somministrazioni (> osservazione del paziente per 24 ore)
• Sintomi e segni della sindrome da astinenza
o Midriasi
o Tachicardia
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o Alterazioni GI: nausea, vomito, diarrea, crampi addominalo


o Sbadigli ed aumentata sudorazione
o Tremori, pallore e “pelle d’oca”
o Agitazione, insonnia
o Aumento del secreto della mucosa nasale
o Tosse
o Spasmi muscolari e dolori localizzati a dorso ed ossa
o Bramoso desiderio di assumere l’eroina

Diagnosi di morte acuta da narcotismo


• Criterio anamnestico-circostanziale-clinico: esame esterno del cadavere:
o Sedi dei segni di agopuntura
ƒ In sedi classiche: pieghe del gomito, dorso della mano, dorso del piede
ƒ Sedi atipiche: vena peniena, giugulare, vene tra le dita dei piedi > molti soggetti
evitano di pungere zone esposte
o Ricerca della vitalità del segno di agopuntura (per ricercare se questo è l’ultimo o è
pregresso): si fa un taglietto sulla cute, si aprono i lembi a cavallo dell’agopuntura e si
ricercano tutti i segni tipici della vitalità della lesione (presenza del coagulo, vari gradi di
evoluzione del coagulo sottocutaneo, etc.)
ƒ NB: studiare bene il criterio anamnestico, in quanto una puntura vitale potrebbe
esser dovuta ad eventuali accessi ev messi in atto in ambulanza o al PS
o Segni di indurimento della tunica venosa per lesioni vecchie: sono la prova di iniezioni
ripetute sempre nelle stesse zone, dove si fanno permanenti segni cicatriziali
o Tampone della mucosa nasale per vedere se la sostanza è stata inalata: spesso, tuttavia, il
soggetto morto in acuto può avere un edema polmonare acuto, con stravaso delle vie aeree
superiori dell’edema polmonare con fuoriuscita di liquido sieroso dalla cavità nasale, che
dilava quello presente sulla mucosa
• Criterio AP:
o Edema polmonare acuto:
ƒ Il polmone crepita ed emette molta schiuma se compresso, con fuoriuscita di liquido
sieroso molto abbondante
ƒ Lesioni a nido d’ape: sono cisti polmonari formatesi per cicatrizzazione intorno a
residui inerti delle polveri introdotte attraverso il circuito ematico. Quando il
soggetto inietta la polvere senza tampone per filtrare la soluzione, le parti inerti
circolanti vanno a depositarsi negli alveoli polmonari; queste sostanze insolubili
vengono poi incistate per un meccanismo di tipo infiammatorio
ƒ NB: questi sono segni di tossicodipendenza cronica
• Criterio polidistrettuale: campionamento di matrici biologiche tradizionali ed alternative: l’umor
vitreo è la sostanza più utilizzato a seguito di rinvenimento di cadavere, in quanto, poiché sita in
zona protetta, soffre meno di fenomeni putrefattivi
• Criterio chimico-tossicologico: prevede il prelievo di quanti più organi disponibili (liquido
pericardico, umor vitreo, bile, urina, sangue, frammenti di organo) per verificare che il pattern di
distribuzione del tossico sia suggestivo di narcotismo acuto
• NB: l’integrazione di questi criteri pone le basi per la valutazione corretta della causa di morte
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Diagnosi di grado di dipendenza su vivente


È molto importante, soprattutto per stabilire se quel soggetto che abbia compiuto un reato era capace di
intendere e di volere (non lo sono i dipendenti cronici) o se sia compatibile con regime carcerario.
Inoltre, è importante a fini lavorativi e militari (vedi dietro).
La circolare ministeriale 186/1990 (la cui non conoscenza implica responsabilità professionale) stabilisce 3
criteri:
• Clinico-anamnestico: raccoglie tutti gli eventuali episodi di ricovero o di prescrizione medica o di
overdose che il soggetto ha avuto per stabilirne la storia clinica
• Della valutazione della sindrome d’astinenza: la normativa consente di procurare la sindrome
d’astinenza con la somministrazione di un antagonista specifico (collirio a base di naloxone); in
alternativa, si chiude il paziente in una stanza e si aspettano 10-12 ore fin quando la crisi di astinenza
non insorge. Tuttavia, poiché i tempi di insorgenza della crisi di astinenza sono proporzionali al
grado di tolleranza individuale e sono tipici per i diversi oppioidi, si preferisce usare l’antagonista
specifico.
o La crisi d’astinenza va valutata secondo la tabella di Vang, dove viene attribuito un
punteggio ad ognuno di questi sintomi:
ƒ Midriasi
ƒ Tachicardia
ƒ Alterazioni funzionalità GI
ƒ Sbadigli ed aumentata salivazione
ƒ Tremore, pallore e pelle d’oca con orripilazione
ƒ Agitazione ed insonnia
ƒ Aumento del secreto della mucosa nasale
ƒ Tosse
ƒ Spasmi muscolari e dolori localizzati a dorso ed ossa
o Risultati
ƒ 1-10: negativo
ƒ 11-20: astinenza media
ƒ > 20: astinenza conclamata
o Razionale: si considerano segni obiettivabili e non mimabili (come potrebbe esserlo
l’agitazione psicomotoria)
o Tempi di insorgenza della crisi
ƒ Eroina: 8-12 ore
ƒ Morfina: maggiori
ƒ Metadone: lunghissimi
• Criterio chimico-tossicologico

Terapia del consumatore abituale di eroina


• Metadone: occupa gli stessi siti recettoriali, ma non dà grossa dipendenza e consente tempi di
somministrazione modulabili in funzione del grado di tolleranza del soggetto. Dà una compliance
positiva al soggetto, in quanto capace di sedare i sintomi dell’astinenza. Tuttavia, può esso stesso
dare dipendenza
• Buprenorfina: si utilizza non solo la formulazione sublinguale sotto forma di perle (quella che si
somministra a pazienti con dolore acuto cronica e pazienti oncologici), ma anche quella in
compresse, che consentono un assorbimento ancor più dilazionato nel tempo (specie per
formulazioni retard). Si possono fare anche 1-2 somministrazioni settimanali, evitando la
permanenza nei centri.
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Inoltre, dà minore dipendenza fisica e la sintomatologia astinenziale è blanda. Tuttavia, con l’utilizzo
domiciliare di bubrenorfina si corre il rischio di morte accidentale perché il soggetto se la
somministra ev,

Par. III: Cocaina


Caratteristiche generali
L’eytroxylon coca è un arbusto di altezza variabile, di 2-5 m, con foglia ovale o lanceolata, verde scura, a
margini lisci. Il principio attivo stupefacente è la cocaina, che può presentarsi come:
• Polvere bianca (coca cloridrato): schegge o palline bianco-sporco
o Dosi nell’uso ricreazionale: 10-120 mg (consumatori abituali tollerano fino a 5 g/gg)
o Consumatori compulsivi: 1-7 binches nelle 24 ore
o Tipologia di abuso
ƒ Sniffing e snorling
ƒ Injection>stereoinjection: coca da un lato ed eroina dall’altro
• Cocaina base: di colore marrone chiaro
• Crack: la cocaina base libera, che si fuma causando una immediata sensazione orgasmica
incontrollabile, seguita rapidamente dalla fase down di depressione e spossatezza marcate. Perciò
provoca marcatissima dipendenza psichica
• Cocaina superspeed: più additiva delle amfetamine
• Crude coca paste: neurotossica poiché contiene residui di kerosene

Considerazioni farmacologiche
• Metabolismo
o Via delle esterasi in plasma e fegato
ƒ Metabolita principale: benzoil-ecgonina> urine
ƒ Metaboliti secondari: ecgoninametil-estere, ecgonina
o Via della metilazione dell’azoto della cocaina (via secondaria) >norcocaina
• Farmacodinamica: l’azione stimolante è indotta dal blocco della riassunzione di alcuni
neurotrasmettitori
o Quando le molecole di neurotrasmettitore vengono liberate dalle vescicole, esse attraversano
la fessura sinaptica e stimolano le cellule nervose successive. Una parte delle molecole viene
ricaptata
o In presenza di cocaina il reuptake non avviene perché bloccato e l’azione stimolante
aumenta con l’aumento della concentrazione di tali mediatori nella fessura sinaptica

Considerazioni cliniche
• Effetti dell’uso cronico
o Dipendenza psicologica
o Dipendenza fisica assente o scarsa
o Tolleranza inversa o sensibilizzazione comportamentaòe
o Psicosi, depressione, impotenza
o Polydrug use
o Perdita del ritmo sonno/veglia
o Allucinazioni
o Violenza
o Perdita di peso
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o Infiammazione della mucosa nasale


o Perforazione del setto
o Patologie cardiache: cardiomiopatia dilatativa, ipertrofia cardiaca, aterosclerosi accelerata,
miocarditi, necrosi cellulare
• Overdose
o Rapidità d’insorgenza
o Convulsioni tonico-cloniche
o Arresto cardiaco per fibrillazione ventricolare
o NB: il decesso per intossicazione acuta può esser scambiato per un attacco cardiaco; quindi,
l’indagine tossicologica risulta fondamentale
o Terapia
ƒ Ossigeno
ƒ ASA
ƒ Nitroglicerina
ƒ Eparina
ƒ Β-bloccanti
• Strategie in tossicologia analitica
o Screening su urina
ƒ Concentrazione di norma maggiori del sangue
ƒ Metaboliti: interpretazione addizionale
ƒ Metodi diretti: immunoassays
ƒ Metodi separativi
o Dosaggi quantitavi su siero, plasma e sangue intero
ƒ Prelievo addizionato con NaF obbligatorio per prevenire la decomposizione della
cocaina
ƒ Metodi separativi
ƒ Risultati quantitativi indispensabili per l’interpretazione tossicologica del caso
ƒ Misurabili quantità di droga > prova di assunzione recente
• Astinenza da cocaina (vedi meglio dopo)
o Depressione
o Ansietà
o Stanchezza
o Sonnolenza persistente
o Sudorazione
o Eccitazione
o Paranoia o delirio di persecuzione
• Dipendenza psichica: si manifesta come sindrome d’astinenza psichica, che può comparire sia dopo
un periodo prolungato di uso a dosaggi elevati che dopo qualche giorno di uso compulsivo. Il potere
tossicomanigeno della cocaina è tale che durante un uso compulsivo un individuo può assumere fino
a 30 g in 24 ore. Il quadro clinico della sindrome da astinenza viene distinto in 3 fasi:
o I fase: crash (crollo): esaurimento psico-fisico per deplezione acuta di neurotrasmettitori
(dopo uso ripetuto di cocaina ad alte dosi)
ƒ Quadro: ansia, agitazione, depressione, sonnolenza, intenso craving
ƒ Durata: da qualche ora a qualche giorno a seconda della durata e dell’intensità
dell’uso
o II fase: withdrawal (astinenza)
ƒ Quadro: apatia, abulia, ridotta risposta emotiva agli stimoli gratificanti con sindrome
ed amotivazionale, moderato stato ansioso, modesta craving spesso associato a
stimoli ambientali legati all’uso di cocaina (incontro di amici del “giro”)
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ƒ Durata: se non si verifica una ricaduta nell’uso, la sintomatologia si riduce fino ad


esaurirsi nel giro di qualche settimana
o III fase: extinction: non si accompagna ad una sintomatologia caratteristica; l’individuo
tende ad un completo reinserimento. Persiste, tuttavia, una particolare sensibilità verso le
situazioni correlate all’uso di cocaina che possono indurre la ricomparsa del craving. La
durata di questa fase è di mesi o anni
• Danni da abuso di cocaina
o Quadro caratteristico: effetti euforici > disforia > psicosi paranoide > convulsioni > morte
per arresto cardio respiratorio
o Quadri specifici: la cocaina provoca vasocostrizione e si può arrivare fino alla necrosi delle
mucose ed alla tipica perforazione del setto nasale
ƒ SNC
• Alterazioni psichiche: sono dovuti all’inibizione della ricpatazione della DA
ed alla sensibilizzazione dei recettori DA
o Psicosi cocainica: è dose-dipendente
ƒ Sindrome euforica: euforia, aumento della funzione
intellettuale, iperattività, insonnia, ipersessualità,
aggressivitò
ƒ Sindrome disforica: ansia, pianto immotivato, apatia,
malinconia, anoressia, insonnia, incapacità di
concentrazione
ƒ Psicosi paranoide: delirio di persecuzione, allucinazioni
(visive, uditive, olfattive), comportamento violento
• Alterazioni neurologiche: tali effetti sono riconducibili all’effetto
simpaticomimetico indiretto della cocaina
o Emorragia subaracnoidea
o Rottura di aneurismi basilari
o Convulsioni ed ipertermia
ƒ Cardiovascolare:
• Infarto miocardico
• Effetti aritmogeni
• Rottura dell’aorta ascendente
• Rottura di aneurismi
• Miocardite da cocaina con necrosi dei cardiomiociti
ƒ Fegato: necrosi epatica da radicali liberi: la cocaina può percorrere una via
ossidativa minore: norcaina>norcainanitrossido (ad opera del CYP-450):
quest’ultima può tossificarsi, mediante perdita di un elettrone, in un radicale libero,
capace di causare deplezioni di glutatione, con necrosi epatica da lipoperossidazione
ƒ Altri
• Bronchite cronica
• Edema polmonare
• Aumento del tono simpatico
o Tachicardia
o Ipertensione
o Ipertermia
o Midriasi
o Iperglicemia
o Aumento del metabolismo basale
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o Vasocostrizione delle estremità


• Diminuita secrezione gastrica ed intestinale
• Rallentata peristalsi
• Azione anoressica
ƒ Altre complicanze vascolari
• GI: ischemia ed infarto mesenterico, perforazione GI, insufficienza epatica,
infarto splenico
• Respiratorio: edema polmonare, infarto
• Genitale femminile: distacco placentare, gestosi, aborto spontaneo,
alterazioni embrio-fetali
• Genito-urinario: infarto renale o testicolare, mioglobinuria con insufficienza
renale
• Venoso: vasculiti, trombosi e tromboflebiti

Par. IV: Cannabis


Considerazioni generali
Cannabis sativa è una pianta erbacea, alta 1-3 m, con inflorescenza a spiga nella pianta femminile; il
principio attivo è il Δ9-THC. Effetti soggettivi sono euforia, comunicabilità, nausea, palpitazioni,
sonnolenza; dà, inoltre, una consistente dipendenza psichica.
A dosi > 100 mg dà forte agitazione d iperattività; a dosi > 200 mg effetto psicotossico con allucinazione.
Comunque, si hanno:
• Derivati della cannabis ad attività stupefacente (THC %)
o Marijuana: 0,5-5%
o Hashish: 5-12%
o Olio di hashish: > 30%
• Segni e sintomi generali da abuso di cannabinoidi (hasish o marijuana)
o Euforia associata a sensazione di benessere fisico e psichico
o Diminuzione delle inibizioni, con aumento della socializzazione, della comunicabilità e della
loquacità, con modificazioni del linguaggio
o Alterata percezione del tempo e dello spazio, nonché delle percezioni
o Riduzione della soglia di risposta a stimoli acustici e visivi
o Alterazione dei processi di memorizzazione
o Ansietà, aggressività, aumento dell’appetito
o Pupille invariate
o Aumento della frequenza cardiaca
o Orofaringiti, bronchiti, asma
o Vasi ciliari “iniettati di sangue”
o Diminuzione della pressione arteriosa in ortostatismo
o Aumento degli errori automobilistici
• Segni e sintomi specifici
o Cardiovascolari:
ƒ Predisposizione all’angina ed all’infarto miocardico
ƒ Tachicardia
ƒ Aumento della richiesta miocardica di ossigeno e sua ridotta redistribuzione tissutale
ƒ Alterazioni della curva da carico del glucosio
o Respiratori:
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ƒ Elevato rischio di BPCO e carcinoma polmonare per la presenza di cancerogeni


derivati dalla combustione del materiale inalato e per la presenza di cancerogeni
specifici, assenti nel fumo di tabacco
ƒ Blebs pleuriche
o Genito-urinari
ƒ Aumento del rischio di malformazioni a carico dell’embrione
ƒ Riduzione della capacità spermatogenetica
o SNC
ƒ Perdita della memoria recente
ƒ Atrofia cerebrale
ƒ Smascheramento di psicosi preesistenti
ƒ Sindrome amotivazionale
o Endocrini
ƒ Ridotti livelli di testosterone, GH, LH e FSH
ƒ Ginecomastia
ƒ Incremento di cortisolo
o Immunitari
ƒ Depressione dell’immunità cellulo-mediata
o Oculari
ƒ Iperemia congiuntivale
ƒ Fotofobia
ƒ Riduzione dell’accomodazione
ƒ Riduzione della pressione endoculare
o NB: Il THC è dotato di lunga emivita, in quanto altamente lipofilo, con accumulo
ubiquitario, soprattutto a livello splenico
• Intossicazione acuta da Cannabis: psicosi tossica
o Stato ansio fino all’attacco di panico: stato di paura, sensazione di morte imminente
o Stato paranoideo: idee di riferimento, deliri di persecuzione
o Allucinazioni ricorrenti
• Effetti antidolorifici
o Mediati dai recettori CB1
ƒ Effetto antinocicettivo centrale
ƒ Innalzamento della soglia dolorifica sia a livello centrale (potenziamento del GABA
ed inibizione del glutammato) che a livello spinale
ƒ Promozione del rilascio di oppioidi nel sistema discendente del controllo del doloro
ƒ Effetto sul dolore neuropatico
o Mediati dai recettori CB3: effetto antinocicettivoperiferico di tipo antinfiammatorio, mediato
dall’inibizione del rilascio di sostanze algogene proinfiammatorie da parte delle cellule del
sistema immunitario
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Par. V: Altre sostanze

Amfetamine
Sono sostanze di sintesi con effetti stimolanti simili alla cocaina; inducono dipendenza e tolleranza inversa.
Le complicanze legate all’uso sono simili a quelle indotte dalla cocaina.
L’ecstasy (o MDMA: metilendiossimetamfetamina) è una droga di sintesi empatogena o entactogena: il
deficit di ST che si instaura a seguito dell’assunzione di ecstasy è responsabile delle depressione che segue
l’effetto stimolante dell’ecstasy.
L’intossicazione acuta da ecstasy si manifesta con gli stessi sintomi del colpo di calore; gli effetti stimolanti
pregiudicano la capacità di stimare i rischi connessi a determinati comportamenti (es. guida veloce).

Metaclorfenilpiperazina
È una molecola di sintesi appartenente alla classe delle piperazine, in grado di svolgere effetti sia
antidepressivi che stimolanti.
Viene usata a scopo ricreativo (discoteche, rave party) ed ha effetti sul sistema ST (ansia, confusione,
tremori, vomito, paura di perdere il controllo, ipersensibilità a luce e rumore).

Derivati del Khat


Il Khat ha come principi attivi catinone e catina, che hanno effetti simpaticomimetici di tipo
amfetaminosimili.

Altri
• Ketamina: è un anestetico dissociativo per uso veterinario ed umano
o Piccole dosi: dissociazione psichica, lieve analgesia
o Dosi più elevate: allucinazioni “pre-morte”, percezione di “entità disincarnate”, visioni del
futuro
o Nella fase di risveglio
ƒ Eccitazione
ƒ Sogni vividi
ƒ Confusione mentale
ƒ Comportamento irrazionale
ƒ Aumento del tono della muscolatura scheletrica con comparsa di movimenti tonici e
clonici
• LSD
o Allucinazioni e visioni mistiche
o Depersonalizzazione
o Disintegrazione degli schemi spazio-temporali
o Sensazione di separazione dal carpo
• Psilocybe: ipertermia, stato epilettico, disordini della percezione
• Peyote: mescalina
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Par. VI: Avvelenamenti da altre sostanze

Avvelenamento da CO
È una delle forme più comuni di morte suicidaria o accidentale: difatti, nonostante la sostituzione del gas
illuminante col metano, la relativa facilità di formazione del CO da ogni processo di combustione non
consente di escludere il rischio di intossicazione.
Oggi, una significativa produzione di CO deriva dalla presenza di questo gas nei fumi di scarico dei motori a
scoppio, costituendo di fatto un reale problema di inquinamento, con conseguenti fenomeni di intossicazione
acuta e cronica.
Peraltro, il fumo di sigarette contiene, per il 3-6%, CO e ciò giustifica i livelli del 2-3% di
carbossiemoglobina trovati nel sangue dei fumatori (normalmente sono minori dell’1%).
Il CO, infatti, si lega reversibilmente all’Hb, formando HbCO (carbossiemoglobina), ma con un legame 240
volte più forte di quello con l’ossigeno: pertanto, un’inalazione di una concentrazione relativamente bassa di
gas può influenzare significativamente la capacità dell’ossigeno di legarsi all’Hb nei globuli rossi.
Di conseguenza, se la molecola di Hb è legata al CO, diminuisce l’ossigeno disponibile per i tessuti insieme
alla pressione parziale dell’ossigeno e questa situazione causa ipossia dei tessuti.
Il CO si lega, oltre che all’Hb, alla mioglobina ed alla citocromoossidasi intracellulare che incrementa
l’ipossia cellulare e dei tessuti.
Comunque, la saturazione del sangue in HbCO dipende, oltre che dal contenuto in CO nell’aria ambientale,
dal tempo di esposizione e dalla ventilazione polmonare.
Numerosi fattori influenzano la saturazione del sangue in HbCO e bambini, sofferenti di malattie che
stimolano il metabolismo basale, gli anemici e coloro che soffrono di disturbi CV sono più sensibili agli
effetti tossici del CO.
Il monossido di carbonio attiva cyclaseguanilico, che produce GMP ciclico e ossido nitrico sintase, che fa
NO, ma danneggia anche il metabolismo dell’energia mitocondriale e la funzione dei citocromi, necessarie
per la disintossicazione. Il monossido di carbonio innesca anche uno stress vascolare ossidativo (per
produzione di cellule endoteliane di NO e di perossinitrito) e perossidazione dei lipidi del cervello. Molto
significativamente, il monossido di carbonio agisce come un neurotransmettitore gassoso nella modulazione
di molte funzioni critiche tra cui la frequenza della respirazione, del battito cardiaco, la
vasodilatazione,l’apprendimento, la memoria e l’adattamento durevole agli stimoli sensoriali (es. odori).
Possono aversi:
• Avvelenamento acuto
o Segni: sono il risultato dell’anossia di tutti i tessuti, ed in particolare di encefalo e miocardio,
e si correlano alla carbossiemoglobinemia:
ƒ 0-10% : assenza di segni clinici
ƒ 11-20%: emicrania modesta, dispnea e rossore (per dilatazione dei capillari)
ƒ 21-30%: emicrania, pulsazioni alle tempie, debolezza, adinamia occasionale
ƒ 31-40%: emicrania, disturbi visivi, nausea, vomito, adinamia, collasso
ƒ 41-50%: collasso, sincope, aumento delle pulsazioni
ƒ 51-60%: sincope, coma, convulsioni
ƒ 61-70%: convulsioni intermittenti, depressione circolatoria e respiratoria, coma
ƒ 71-80%: polso debole, respiro irregolare, morte entro 2 ore
ƒ 81-90%: morte entro un’ora
ƒ > 90%: morte entro 30 minuti
o Note fisiopatologiche
ƒ Emicrania: sarebbe il risultato di un edema cerebrale da vasodilatazione
ƒ Morte: deriva soprattutto da ischemia miocardica, che può causare irregolarità della
pressione e del ritmo cardiaci
ƒ Evoluzione
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• Morte
• Sopravvivenza: lo stato del paziente ritorna normale, anche se uno stato
comatoso prolungatosi per più di 24 ore lascia segni irreversibili a carico del
SNC
o Reperti post-mortem
ƒ Color rosso vivo (rosso ciliegia) delle ipostasi
ƒ Organi parenchimatosi e muscolatura di color rosa brillanti
ƒ Sangue di color rosso brillante
ƒ Polmoni distesi ed edematosi
ƒ Piccolissime emorragie sotto la pleura
ƒ Encefalo edematosa ed emorragico
o Diagnosi: determinazione della carbossiemoglobinemia: si ricorda che una concentrazione
post-mortale di carbossiemoglobinemia elevata può formarsi anche in corpi sommersi in
acqua per un periodo prolungato ed è dovuta all’azione di microrganismi presenti nell’acqua
che causano la decomposizione anaerobica di mioglobina ed emoglobina
• Avvelenamento cronico: è una malattia relativa ai lavori che si svolgono in un ambiente contenente
CO (garage, ambienti cittadini fortemente trafficati ed altri luoghi in cui la concentrazione di HbCO
può superare il 3-5%.
o Clinica: poiché l’avvelenamento cronico da bassi livelli di monossido di carbonio danneggia
l’ossigenazione dei tessuti, qualsiasi organo può essere interessato, insieme al cervello, al
cuore e ai polmoni poiché sono i più sensibili agli effetti del monossido di carbonio. I
sintomi più comuni dell’avvelenamento cronico da monossido di carbonio sono in effetti gli
stessi di quelli dell’avvelenamento acuto, salvo che possono variare notevolmente nel tempo
siccome si acutizzano e diminuiscono in risposta alle esposizioni da monossido di carbonio,
non solo esogene, ma anche in risposta a qualsiasi stimolo cronicamente stressante, poiché
tutti questi stimoli producono HO-1 per rompere le proteine eme in monossido di carbonio.
I sintomi più comuni sono:
ƒ 1. Cefalea
ƒ 2. Fatica, debolezza
ƒ 3. Dolori muscolari, crampi
ƒ 4. Nausea, vomito
ƒ 5. Disturbi allo stomaco, diarrea
ƒ 6. Confusione, perdita della memoria
ƒ 7. Vertigine, incoordinazione
ƒ 8. Dolore al torace, tachicardia
ƒ 9. Respiro difficile o superficiale
ƒ 10. Alterazioni dell’udito, della vista, dell’olfatto, del gusto o del tatto
• NB: Siccome tutti questi sintomi sono comuni a così tanti disturbi, nessuno
singolarmente è considerato diagnostico dell’avvelenamento da monossido
di carbonio, ma il monossido di carbonio dovrebbe essere sospettato ogni
volta che la maggioranza di questi sintomi sono riferiti insieme e nessuna
altra causa è determinabile, specialmente se gli stessi sintomi sono riportati
da più di un occupante dello spazio chiuso (edificio, veicolo, barca o aereo).
• NB: E.A. Poe, che probabilmente aveva subito un’intossicazione da CO,
dovuta all’illuminazione con lampade a petrolio, descrisse, in un celebre
racconto, i 30 sintomi tipici
o Diagnosi
ƒ Scansione SPECT del cervello (molto sensibile, ma molto costosa)
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ƒ Pressione parziale dell’ossigeno nel sangue venoso


ƒ Presenza di CO nel respiro esalato
ƒ Livelli di carbossiemoglobinemia: è forse il più comune mezzo di diagnosi, ma
fornisce informazioni solo sulla quota legata> un suo valore basso o normale non
può escludere l’esposizione cronica a bassi livelli di CO
o Terapia
ƒ Rimozione della vittima dall’ambiente contenente CO
ƒ Somministrazione di ossigeno
• HbCO< 15%: aria fresca
• HbCO> 15%: ossigeno puro (terapia estesa di ossigeno normobarico)
• Hb CO > 40%: ossigeno iperbarico
ƒ Eliminazione dei movimenti: essi determinerebbe un aumento del lavoro muscolare
e quindi la domanda di ossigeno, con ulteriore diminuzione della quota cerebrale di
ossigeno
• Sindrome post-intervallare: si tratta di una patologia che interessa il sistema nervoso centrale e che si
manifesta con sintomi di tipo neuropsichico a distanza di 4-5 giorni, 1-2 mesi o più dall'evento
lesivo. Le statistiche consentono di affermare che tale complicanza, di per sé rara, interessa più
frequentemente quei soggetti che non hanno eseguito ossigenoterapia iperbarica dopo intossicazione
da monossido di carbonio. Comunque, sintomi più frequenti sono: cefalea, difficoltà di
concentrazione, turbe della memoria recente, difficoltà di apprendimento, alterazione della
personalità, demenza, segni extrapiramidali.
o Patogenesi: vi sarebbe delle alterazioni lipoperossidaciche (con conseguenti fenomeni
disimmunitari) a carico della proteina di base della mielina, cui conseguirebbe reazioni
infiammatorie ed edematose a carico del SNC

Intossicazione da alcol metilico


• Caratteristiche generali del metanolo
o Punto di ebollizione a 60°C
o Infiammabilità
o Buona solubilità in acqua
o Uso industriale come solvente organico e nella produzione di pitture e plastiche per uso di
laboratorio
o Assorbimento attraverso cute e vie aeree (tipica delle intossicazioni acute), ma anche orale
(assunzione accidentale per scambio con etanolo)
• Intossicazione acuta
o Clinica
ƒ 6-24 ore dopo: emicrania, nausea, vomito, fatica, vertigine, diplopie
ƒ In seguito: dolori addominali, disturbi visivi, salivazione, delirio, incoscienza, coma
e morte
o Patogenesi: un’acidosi pronunciata è la manifestazione dovuta ai metaboliti del metanolo. Il
metanolo è ossidata dall’alcol deidrogenasi a velocità 9 volte inferiore rispetto all’etanolo,
con formazione di formaldeide. La formaldeide viene poi ossigenata ad acido formico, con
azione inibitoria sulla citocromo ossidasi. L’acido formico è responsabile, in ultima analisi,
dello sviluppo di acidosi e la sua concentrazione è proporzionale alla quota di metanolo
assunta. La presenza di acido formico nell’urina > 70 mg/24 ore conferma la diagnosi di
avvelenamento. Comunque, l’effetto inibitorio dell’acido formico sulla citocromo ossidasi
ritarda il danno; anche per ciò che riguarda danno visivo, degenerazione di retina e del nervo
ottico, il processo è lento (anche in mesi)
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o Reperti autoptici: non sono caratteristici


ƒ Organi edematosi ed odore di alcol in caso di assunzione di una grossa quantità
ƒ Possibili piccole emorragie subaracnoidee e subpleuriche
o Trattamento
ƒ Etanolo: per i sui effetti competitivi impegna l’ADH, riducendo la formazione di
metaboliti attivi del metanolo
ƒ Trattamento dell’acidosi
ƒ Rimozione dei metaboliti per emodialisi

Par. VII: Alcolismo


Caratteristiche generali
Per alcolismo si intende uno stato di intossicazione, acuta o cronica, determinata dall’abuso di bevande
alcoliche. L’intossicazione acuta può variare da una condizione di euforia o di ebbrezza alcolica sino alla
vera e propria ubriacatura: le manifestazioni cliniche, in tali casi, pur variamente intense, sono generalmente
di durata transitoria, a meno che non si tratti di veri e propri avvelenamenti mortali da alcol, per la verità
piuttosto rari.
L’intossicazione cronica si manifesta, invece, con un lento, ma progressivo degrado fisico e psichico
dell’assuntore, correlato ad uno stato di dipendenza fisica e psichica dell’alcol (sindrome da dipendenza
alcolica: SDA).
Le manifestazioni cliniche fondamentali dell’alcolismo cronico ricalcano quelle proprie di qualsiasi altro
stato di tossicodipendenza:
• Craving: desiderio invincibile dell’alcol (furorbibendi): la persona ricorre a qualsiasi mezzo per
procurarsi da bere
• Addiction: tolleranza alcolica: consiste nella necessità di aumentare progressivamente la dose di
alcol per raggiungere l’effetto desiderato
• Obligation: dipendenza, prima psichica e poi fisica nei confronti dell’alcol
• Comparsa della crisi d’astinenza nel caso di brusca sospensione dell’assunzione cronica di alcol
• Comparsa di disturbi comportamentali con effetti nocivi non solo per l’assuntore, ma anche per la
collettività
• NB: la dipendenza da alcol trova le sue principali motivazioni a livello psicologico, familiare e
sociale: in tal senso, l’abuso di alcol rappresenterebbe uno dei disturbi comportamentali, sebbene il
più evidente, dell’organizzazione nevrotica della personalità del paziente

Bevande alcoliche
Per bevanda alcolica si intende ogni prodotto contenente alcol alimentare con gradazione superiore a 1,2 ° di
alcol e per bevanda superalcolica ogni bevanda con gradazione alcoli superiore al 21% di alcol in volume:
• Fermentate
o Vino: prodotto che si ottiene dalla fermentazione alcolica totale o parziale del mosto di uva
fresca (da parte dei saccaromiceti), con gradazione alcolica minima non inferiore all’8%
o Birra: si ricava dalla fermentazione del malto d’orzo
ƒ Normale: 3%
ƒ Doppio malto: > 5%
o Sidro: è ottenuto dalla fermentazione del mosto di mele ed ha un contenuto alcolico sino al
7%
o Idromele: è ottenuto dalla fermentazione del miele ed ha un contenuto di alcol fino al 5%
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• Distillate (acqueviti): sono ottenute per distillazione dei mosti fermentati di frutta o cereali diversi.
Hanno un elevato contenuto alcolico, generalmente superiore al 40%
o Acquavite
o Brandy
o Cognac
o Gin
o Grappa
o Rum
o Vodka
o Whiskey
• Liquorose: sono ottenute aggiungendo zucchero a distillati di frutta o di erbe (limoncello), hanno un
contenuto alcolica fra 25 e 50%

Intossicazione acuta da alcol


Può verificarsi sia per ingestione di bevande alcoliche sia per inalazione di vapori di etanolo (specie per
motivi professionali; ma anche per motivi ricreativi, come il narghilè, ndr). La più frequente via di
assunzione dell’alcol, comunque, è quella gastrica: l’assorbimentoattraverso il tubo GI raggiunge il massimo
della concentrazione ematica in appena 5-10 minuti se l’individuo è a stomaco vuoto, in 40 minuti se a
stomaco pieno:
• Farmacocinetica
o Assorbimento: può variare secondo:
ƒ Quantità di alcol ingerita
ƒ Grado di concentrazione alcolica della bevanda assunta
ƒ Stato della mucosa gastrica: assorbimento maggiore in caso di mucosa infiammata o
lesa
ƒ Tipo di sostanza ingerita in precedenza (glucidi, lipidi, proteine)
ƒ Eventuale concomitante alterazione febbrile
ƒ Stress o affaticamento
ƒ Condizioni climatico-ambientali
o Metabolismo: per il 90% l’alcol è metabolizzato a livello dei mitocondri delle cellule
epatiche (ma anche intestinali), grazia all’enziamalcoldeidrogenasi (ADH). In realtà,
esistono 3 vie cataboliche.
ƒ Via principale ADH (90%): ha come prodotto principale l’acetaldeide, che può
danneggiare gli epatociti
• NB: tale via dipende molto dall’ “esperienza”, ossia in un soggetto abituato
a bere molto alcol è più attiva (consentendo, dunque, di ingerire più alcol
con minori effetti collaterali) e viceversa in un soggetto che non beve quasi
mai, dal sesso, dall’età e dal peso
• NB: tale importante via catabolica (primo passaggio) viene bypassata in
larga parte nei caso di assunzione per inalazione
ƒ Via MEOS (microsomalethanoloxidizingsystem) (8%): aumenta in caso di
sovraccarico di alcol
ƒ Via dellacatalasi (2%)
o Eliminazione
ƒ Demolizione epatica (in gran parte) > passaggio, attraverso la bile, nell’intestino >
eliminazione fecale
ƒ Renale senza subire modificazione chimiche
ƒ Polmonare
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ƒ Cutanea
• Ingestione di alcol e curva alcolemica: questa è caratterizzata da una relativa rapida parte ascendente,
corrispondente alla fase di assorbimento post-ingestione, e da una lenta parte discendente,
corrispondente alla fase di degradazione. In sostanza, dopo l’ingestione la concentrazione di alcol nel
sangue cresce rapidamente, ma il successivo ritorno a valori normali avviene lentamente. Ne
consegue un pericolo mortale legata all’ingestione troppo rapida di elevate quantità di alcol: la
lentezza della fase di degradazione rende conto del pericoloso fenomeno di accumulo, sino al
raggiungimento della fase tossica mortale.
• Meccanismo d’azione dell’alcol: l’alcol è un depressore del SNC, tramite azione sul sistema
GABAergico (specie quindi in associazione con altre sostanze con quest’effetto). La stimolazione
che si avverte dopo l’assunzione di alcol è legata all’inibizione di centri inibitori
• Manifestazioni cliniche: dipendono dalla quantità assunta e dall’assorbimento
o Concentrazioni ematiche di 0,2 mg/dL: socievolezza, espansività, rossore al volto, aumento
della secrezione gastrica, errori alla guida
o Concentrazioni ematiche 0,5-0,8 mg/dL: diminuzione dei freni inibitori, deficit delle
capacità prestazionali (anche sessuali) e visive con restringimento del campo visivo. Tali
concentrazioni, in media, si raggiungono con:
ƒ 4-5 bicchieri di vino
ƒ 6-7 boccali di birra
ƒ 4-5 bicchierini di superalcolici
o Concentrazioni ematiche 0,8-1,2 mg/dL: azione depressiva sui centri motori con perdita
dell’autocontrollo, disturbi dell’equilibrio, movimenti grossolani, insicurezza nella
deambulazione (e talora nella stessa stazione eretta); deficit delle prestazioni intellettuali,
riduzione dei tempi di reazione, torpore psichico, sonnolenza, sopore; cefalea, nausea,
malessere generale al risveglio
o Concentrazioni 1,2-2 mg/dL: stato di evidente ubriachezza con incoordinazione motoria,
atassia ed agrafia
o Concentrazioni > 2 mg/dL: stupor, coma, morte per paralisi dei centri respiratori e
vasoparalisi
• Reperti AP: la morte si manifesta per l’azione depressiva sulla SR del tronco con collasso
cardiocircolatorio ed insufficienza respiratoria:
o Alterazioni cerebrali
ƒ Edema della sostanza bianca
ƒ Marcata congestione vasale
ƒ Fini emorragie del parenchima
ƒ Degenerazione delle cellule corticali
ƒ Dilatazioni dei capillari delle leptomeningi e dei plessi corioidei
ƒ Atrofia cerebrale diffusa

Alte manifestazioni
• Ebbrezza patologica: si verifica quando in un certo individuo esiste un’anomala reattività all’alcol,
cosicché esso si intossichi anche con dosi minime. L’esordio è generalmente brusco con agitazione
psicomotoria e disturbi della stato di coscienza
• Intossicazione cronica
o Reperti somatici
ƒ Epatopatia alcolica sino alla cirrosi epatica (con evoluzione verso il carcinoma
epatico)
ƒ Gastrite cronica
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ƒ Pancreatite cronica
ƒ Miocardiopatia tossica
ƒ Alterazioni endocrine: amenorrea, ipotrofia dei testicoli
ƒ Alterazioni metaboliche: sindromi pellagroidi
ƒ Encefalopatia porto-sistemica: è dovuta ad uno shunt porta-cava, per cui una parte
del sangue del sistema portale passa direttamente nel sistema cavale, con quadro di
iperammonemia, cui è legata l’insorgenza di coma profondo e morte. Segni tipici
sono:
• Foeturhepaticus: dovuto all’eliminazione respiratoria di un derivato della
metionina
• Flappingtremor: tremore di posizione, lento e ad ampie scosse
o Reperti neurologici
ƒ Polinevrite alcolica
ƒ Deficit sensoriali
ƒ Disturbi della visione
ƒ Tremori
ƒ Crampi muscolari
ƒ Alterazioni dei riflessi
ƒ Incertezza nella deambulazione e nel mantenimento della stazione eretta
ƒ Incertezza nella coordinazione motoria
o Markers
ƒ Alcolemia diretta: etanolo ematico
• > 50 mg/dL: ebbrezza alcolica
• > 100: ubriachezza
• > 150: intossicazione cronica
ƒ Alcolemia indiretta: etilometro
ƒ Alcoluria
ƒ Markers di danno epatico
o Reperti AP
ƒ Miopatia acuta alcolica: si verifica nell’alcolista cronica per intossicazione acuta
ƒ Epatite cronica e cirrosi alcolica
ƒ Pancreatite cronica
ƒ Gastrite cronica ed ulcere
• Sindrome fetale alcolica: se la donna assume alcolici durante la gravidanza, questi potranno superare
la barriera feto-placentare ed essere immessi nella circolazione feto-placentare, con gravi effetti
tossici sul normale sviluppo del nascituro (epatociti fetali incapaci di contrastare l’insulto alcolico)
ed azione teratogena. L’azione dell’alcol può quindi dare un quadro clinico tipico:
o Alterazioni del setto interventricolare
o Anomalie dei grossi vasi
o Tetralogia di Fallot
o Ritardo mentale: è l’aspetto più rilevante e costante
o Disturbi della motricità fine
o Palatoschisi
o Anomalie dei genitali esterni
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Sindromi psichiatriche da dipendenza alcolica


• Alterazione organica della personalità (pseudo-psicopatia alcolica): compromissione dei poteri
intellettivi e volitivi, declassamento sociale
• Delirium tremens: è dovuto all’astinenza da alcol
o Allucinazioni a contenuto terrifico > comportamenti criminogeni
o Zoopsie e microzoopsie: i malati vedono sul proprio corpo mostri, animali o insetti immondi
o Disorientamento spaziale
o Grave episodio di tremore: crisi epilettica simile allo stato di grande male con insonnia
ostinata (che recede con un sonno profondo per 2-3 giorni)
• Psicosi di Korsakow: è caratterizzata da una sindrome amnestica con incapacità di ricordare le
esperienze recenti, disorientamento temporale e confabulazione; il soggetto, infatti, riempie le
proprie lacune mnestiche con proprie invenzioni o racconti fantastici
• Allucinosi alcolica: allucinazioni prevalentemente uditive
• Sindrome di Wernicke: è caratterizzata dall’associazione di:
o Oftalmoplegia
o Atassia
o Disturbi mentali di tipo onirico-confusionali
• Demenza alcolica
• Paranoia alcolica: soprattutto delirio di gelosia
• Malattia di Marchiafava-Bignami: encefalopatia da carenza di B1

Sindrome d’astinenza
La brusca sospensione dell’assunzione di alcol provoca la comparsa di gravi sintomi di astinenza
nell’alcolista cronico consistenti in:
• Tremori grossolani a carico della lingua e dell’estremità distale degli arti superiori
• Ansia ed angoscia
• Insonnia
• Convulsioni
• Stato confusionale
• Ipertensione arteriosa
• Allucinazioni uditive e visive nelle forme più gravi

Dipendenza
• Tolleranza
• Addicttion
• Craving
• Occupazione di gran parte della giornata ed interruzione delle attività lavorative e sociali

Abuso alcolico secondo il DSM-IV


• Caratteristiche
o Ricorrenti e significative conseguenze avverse
o Problemi sociali
• Modalità d’abuso
o Assunzione quotidiana di notevoli dosi di alcol
o Abitudine a bere forti dosi di alcol in alcune occasioni, come nei fine settimana
o Periodi di sobrietà intervallati da cicli si assunzione smodata di alcol con periodi di
intossicazione
Materiale elaborato da Luigi Aronne 
 

Inquadramento giuridico della professione medica 
 
 
Il medico non ha una qualifica giuridica unica ed universalmente valida. 
A seconda dell’attività svolta, può rientrare in una delle seguenti figure, rilevanti per il DIRITTO PENALE: 
1. Pubblico ufficiale  
2. Incaricato di pubblico servizio 
3. Esercente un servizio di pubblica necessità 
 
 
Pubblico ufficiale  
Secondo l’articolo 357 del C.P., 
agli  effetti  della  legge  penale,  sono  Pubblici  Ufficiali  Pubblica funzione: attività svolta da un soggetto non 
coloro  i  quali  esercitano  una  pubblica  funzione  nel proprio interesse ma in quello della collettività 
legislativa, giudiziaria o amministrativa. 
Agli stessi effetti, è pubblica la funzione amministrativa 1 disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti 
autoritativi  e  2  caratterizzata  dalla  formazione  e  dalla  manifestazione  della  volontà  della  pubblica 
amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. 
 
Il  potere  autoritativo  è  quel  potere  che  permette  alla  pubblica  amministrazione  di  realizzare  i  suoi  fini 
mediante veri e propri comandi, rispetto ai quali il privato si trova in una posizione di soggezione. 
Il potere certificativo è quello che attribuisce al certificatore la facoltà di attestare un fatto, avente valore di 
prova, fino a querela di falso.   
 
Acquistano la qualifica di Pubblico Ufficiale: 
 I consulenti tecnici ed i periti di ufficio 
 I direttori sanitari di ospedali 
 I medici di accettazione e di Pronto Soccorso 
 I Primari ma anche gli aiuti che, in assenza del Primario, svolgono mansioni dirigenziali sostitutive 
 I medici preposti dalla pubblica amministrazione a controllare l’effettiva sussistenza di una malattia del 
dipendente e quindi la legittimità dell’assenza dal lavoro 
 I medici INPS ed i medici INAIL, nello svolgimento dei compiti di Istituto 
 
 
Incaricato di pubblico servizio 
Secondo l’articolo 358 C.P.,  
agli effetti della legge penale sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano 
un pubblico servizio. 
Per  pubblico  servizio  deve  intendersi  un’attività  disciplinata  nelle  stesse  forme  della  pubblica  funzione  – 
quindi da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi – ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di 
quest ultima – autoritativi e certificativi – senza però che si qualifichi come semplice mansione d’ordine (mansione 
assegnata senza alcun margine di autonomia) o come prestazione d’opera meramente materiale. 
 
In  definitiva,  incaricato  di  pubblico  servizio  è  chi  svolge  la  sua  attività  per  soddisfare  bisogni  ed  interessi 
della  collettività  la  cui  tutela  è  stata  assunta  dallo  Stato  e  che  viene  realizzata  a  mezzo  di  persone 
appositamente incaricate, prive, tuttavia, dei poteri tipici della funzione pubblica. 
 
Esempi di incaricati di pubblico servizio sono:  
 Medici ospedalieri ed universitari nelle loro funzioni assistenziali, quando non rivestano la qualifica di 
pubblici ufficiali. 
 M.M.G. convenzionati con il SSN 
 

 
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Esercenti un servizio di pubblica necessità 
Secondo l’articolo 359 del C.P, 
agli effetti della legge penale, sono persone esercenti un servizio di pubblica necessità:  
1. privati  cittadini  che  svolgono  professioni  forensi,  sanitarie  o  altro,  il  cui  esercizio  sia  per  legge  vietato
senza una speciale abilitazione dello Stato, quando, della loro opera, il pubblico sia, per legge, obbligato 
a valersi.  
2. privati  cittadini  che,  non  esercitando  una  pubblica  funzione,  ne  prestando  un  pubblico  servizio,
adempiono  ad  un  servizio  dichiarato  di  pubblica  necessità,  mediante  un  atto  della  pubblica 
amministrazione. 

In pratica, la differenza tra pubblico servizio e servizio di pubblica necessità sta nel fatto che, il primo, viene 
espletato  dallo  Stato,  mediante  persone  appositamente  incaricate,  mentre,  l’altro,  è  espletato  da  privati 
che abbiano ottenuto, dallo Stato, regolare abilitazione. 

N.B L’ordinamento giuridico tiene conto che le professioni sanitarie (e quella medica in particolare) costituiscono un 
servizio di pubblica utilità, in quanto la salute dei cittadini è un bene individuale e collettivo, alla cui tutela lo Stato è 
interessato (art.32 della Costituzione). 
Per  tali  motivi,  l’attività  del  medico  è  assoggettata  al  controllo  dello  Stato,  che  garantisce  l’esclusiva  del  servizio, 
obbligando i cittadini a rivolgersi ai medici abilitati. 
Ne deriva il fatto che la professione si svolge in regime di monopolio poiché solo i medici abilitati possono esercitare la 
medicina. 

L’istituzione delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio risulta funzionale a due distinti ordini 
di motivazioni: 
1. Tutelare la pubblica amministrazione ed i privati cittadini dagli abusi o dalle mancanze eventualmente commessi
da  funzionari  e  dipendenti  pubblici  che  possono  essere  soggetti  attivi  di  numerosi  reati  esclusivi,  quali: 
concussione,  rifiuto  di  atti  d’ufficio,  rivelazione  ed  utilizzazione  di  segreti  d’ufficio,  omesso  rapporto,  falso 
materiale o ideologico in atti pubblici. 
2. Tutelare  coloro  che  esercitino  una  pubblica  funzione  o  un  pubblico  servizio,  fornendo  loro  una  particolare
protezione contro i comportamenti illeciti di privati  

Agli  effetti  della  LEGGE  CIVILE,  invece,  il  medico  assume  la  qualifica  di  esercente  una  professione 
intellettuale, per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi Albi o Elenchi. 

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Fondamenti della responsabilità professionale del medico 
 
 
In tema di responsabilità professionale, 
Chiunque,  per  imperizia,  imprudenza,  negligenza,  ovvero  per  inosservanza  di  regolamenti,  ordini  o 
discipline, nello svolgimento della propria arte o professione, cagioni ad altri danni fisici, psichici o la morte, 
soggiace, in sede penale, a sanzioni restrittive della libertà personale, in sede civile, ad obblighi risarcitori ed 
in sede ordinistica o deontologica, a sanzioni disciplinari. 
 
I presupposti necessari, per parlare di responsabilità professionale del medico, sono quindi: 
1. la prova del verificarsi del danno, della sua natura e della sua gravità 
2. l’accertamento del nesso di causalità fra condotta (attiva od omissiva) ed evento dannoso 
3. la prova della colpa professionale, ossia dell’imperizia, dell’imprudenza o della negligenza del medico 
oppure della sua inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, che renda l’errore professionale 
commesso inescusabile, perché prevedibile e quindi prevenibile. 
4. la prova che proprio tale comportamento colposo ha materialmente causato il danno e che, invece, con 
una condotta diversa esso si sarebbe certamente o molto probabilmente evitato oppure sarebbe stato 
contenuto entro limiti più modesti di quelli reali 
 
 
L’imperizia sussiste se  il medico si discosta da quel comportamento tecnico che la maggior parte degli altri 
medici avrebbe osservato in presenza dello stesso caso. 
 
N.B.  Qualora  la  colpa  professionale  sia  addebitata  all’imperizia,  se  la  prestazione  implica  la  soluzione  di  problemi 
tecnici  di  speciale  difficoltà,  il  prestatore  d’opera  non  risponde  dei  danni,  fatta  eccezione  per  i  casi  di  dolo  o  colpa 
grave. 
La  colpa  grave  si  riscontra  nell’errore  inescusabile  derivante  dalla  mancata  applicazione  delle  cognizioni  generali  e 
fondamentali  della  professione  medica  o  dal  difetto  di  quel  minimo  di  abilità  e  perizia  tecnica  che  non  deve  mai 
mancare in chi esercita tale professione.  
 
 
Imprudenza 
Imprudente è quel medico che mostra di non tener conto dei rischi a cui espone il proprio assistito. 
Non è quindi imprudente chi usa mezzi diagnostici o terapeutici rischiosi, ma chi li utilizza senza un’effettiva 
necessità, con avventatezza, in condizioni nelle quali la maggior parte dei colleghi li eviterebbe e senza le 
dovute cautele o precauzioni. 
 
 
Negligenza 
Negligente è quel medico che mostra, con il suo comportamento, trascuratezza, disinteresse e superficialità 
nei confronti dell’assistito; che omette, senza giustificato motivo, di fare quegli accertamenti o di attuare 
quelle terapie che la maggior parte dei suoi colleghi, nelle medesime condizioni, avrebbe attuato. 
 
 
N.B. Qualsiasi decisione in materia di colpa professionale spetta al magistrato che giudica. 
 
 
 
 
 
 
 

 
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RESPONSABILITÀ CIVILE 
La responsabilità civile insorge quando un’azione o un’omissione, dolosa o colposa, 
provoca  un  danno  ingiusto  ad  una  persona  giuridica  e  consiste  nell’obbligo  di 
risarcire il danno, per chi lo ha provocato. 
 
In  sede  Civile,  al  medico  di  cui  sia  stata  provata  la  colpa  professionale,  viene  imputato  il  danno  ingiusto 
subito dalla persona del pz, essendo la finalità del Diritto Civile principalmente risarcitoria.  
 
Infatti,  sec.  l’art.  2043  del  CC  “qualunque  fatto  doloso  o  colposo,  che  cagiona  ad  altri  un  danno  ingiusto, 
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. 
 
Per    danno  ingiusto  s’intende  una  qualsiasi  lesione  di  un  interesse  tutelato  dall’ordinamento  giuridico 
(come, ad esempio, il diritto alla salute). 
Il danno ingiusto –  e perciò risarcibile –  della persona può  appartenere a 3 diverse categorie: 
1. Danno biologico (temporaneo o permanente) 
 
2. Danno patrimoniale,  a sua volta distinguibile in: 
‐ Danno emergente (perdita economica sofferta dal danneggiato) 
‐ Danno da lucro cessante (mancato guadagno che la persona subisce in conseguenza del danno) 
 
3. Danno  non  patrimoniale  o  morale,  inteso  come  la  sofferenza  morale  che  deriva  alla  vittima  dal 
prodursi del danno. 
È risarcibile solo quando il fatto che lo determina costituisca reato. 
La sua definizione è di esclusiva competenza del magistrato. 
 
 
N.B. 
Il danno risarcibile è non solo quello attuale –  già realizzatosi e ben obiettivabile nel momento in cui se ne 
valuta l’esistenza –  ma anche quello futuro. 
Il  danno  futuro  è  quel  danno  che,  pur  non  essendosi  ancora  verificato  al  momento  dell’esame  obiettivo 
(visita peritale), con ogni probabilità verrà a determinarsi nel futuro. 
Un esempio può essere la deviazione scoliotica della colonna vertebrale il cui realizzarsi nel futuro è molto 
probabile  in  un  individuo  che  ha  riportato  una  frattura  del  femore  con  sfondamento  dell’acetabolo  ed 
accorciamento residua dell'arto inferiore di più di 3 cm.  
Pertanto, anche la scoliosi, rientrerà fra gli esiti dannosi risarcibili. 
 
 
Danno biologico 
Viene ritenuto come una menomazione temporanea o permanente dell’integrità psico‐fisica della persona, 
comprensiva degli aspetti personali, dinamico‐relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico‐
legale, ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito. 
 
Nella nozione di danno biologico rientrano, pertanto, tutte le figure di danno non reddituale: danni estetici, 
alla vita di relazione, alla sfera sessuale. 
 
È definito temporaneo quel danno biologico i cui effetti si estinguano entro un lasso di tempo più o meno 
breve dall’azione o dall’omissione umana illecita considerata. 
Viene espresso come: 
‐ Giorni di inabilità temporanea assoluta 
‐ % di inabilità riconosciuta per ciascun giorno, nel caso in cui l’inabilità risulti < 100% 
 
 


 
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Il  danno  biologico  è  invece  definito  permanente  qualora  non  sia  prevedibile  il  recupero  o  il  ritorno  allo 
status quo ante, entro un ragionevole limite di tempo.  
Viene espresso in % di invalidità permanente.  
Ai fini della valutazione, bisogna considerare, non solo, l’entità della menomazione biologica ma, anche, le 
ripercussioni negative che, da essa, derivano sulla capacità di relazione sociale della persona considerata. 
Pertanto,  mentre  il  giudizio  relativo  alla  menomazione  dell’integrità  psico‐fisica  individuale  può  avvenire 
secondo  criteri  clinici  uguali  per  tutti  –  con  l’unica  variante  dell’età  –  mediante  baréme  o  tabelle  di 
valutazione, quello relativo al suo impatto dinamico‐relazionale deve essere sempre personalizzato. 
 
 
Il  sistema  attualmente  preferito  per  la  liquidazione  del  danno  biologico  (permanente)  è  quello  del  punto 
variabile o tabellare.  
Tale  sistema  mantiene  l’idea  –  precedentemente  introdotta  –  della  liquidazione  per  mezzo  del  “valore 
punto” (importo per ogni punto di invalidità permanente), ma ne determina le oscillazioni sulla base di due 
funzioni:  
‐ Funzione  crescente,  rappresentata  dalla  %  di  invalidità  permanente,  che  fa  alzare  il  valore  punto  in 
relazione all’aggravarsi della patologia 
‐ Funzione  decrescente,  rappresentata  dall’età  del  danneggiato,  che  fa  ridurre  il  valore  punto,  in 
proporzione all’anzianità 
 
 
Una  volta  precisato  l’esatto  valore  invalidante  –  in  termini  dinamico‐relazionali  –    della  menomazione, 
bisogna stabilire se e come essa si ripercuota sfavorevolmente sulla capacità lavorativa specifica (capacità, 
cioè, di espletare una ben precisa attività lavorativa). 
N.B.  La  diminuzione  della  capacità  lavorativa  specifica  non  costituisce  un  danno  risarcibile  in  sé  bensì 
rappresenta la causa del danno da riduzione della capacità di guadagno, che va comunque dimostrata per il 
configurarsi di un danno da lucro cessante.  
 
 
In sede Civile, la responsabilità professionale del medico può assumere la forma di responsabilità: 
‐ Contrattuale 
‐ Extracontrattuale 
 
La  responsabilità  contrattuale  è  quella  derivante  dall'inadempimento  di  una  preesistente  obbligazione, 
quale che ne sia la fonte. 
I  medici,  infatti,  nel  prestare  assistenza  sanitaria  su  richiesta  di  un  pz,  concludono  un  contratto  di 
prestazione  d’opera  intellettuale  in  virtù  del  quale  sorge,  a  carico  del  medico,  un’obbligazione  che  deve 
essere adempiuta con la diligenza del “regolato ed accorto professionista”. 
Nella  responsabilità  contrattuale,  per  il  risarcimento  del  danno,  al  pz  basterà  la  prova  del  suo  effettivo 
verificarsi. 
Sarà invece il professionista (o l’Azienda) che dovrà dimostrare di non essere in colpa, di aver eseguito la 
prestazione con perizia, prudenza e diligenza e che, ciononostante, il danno si è verificato per causa a lui 
non imputabile. 
 
Si  parla,  invece,  di  responsabilità  extra‐contrattuale  quando  il  medico  agisce  al  di  fuori  di  un  accordo 
specifico con il pz, come accade, ad esempio, nel caso di traumi della strada e di prestazioni d’urgenza.  
In  tali  circostanze,  il  medico  è  chiamato  a  rispondere  dei  danni  eventualmente  cagionati  solo  quando  si 
dimostri che abbia violato il principio generale del non ledere nessuno.  
Nella responsabilità extracontrattuale, per il risarcimento del danno, sarà il danneggiato a dover dimostrare 
sia il nesso di causalità materiale sia la colpa del professionista. 
 
 


 
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RESPONSABILITÀ PENALE 
 
La responsabilità penale sussiste quando il medico, con la propria condotta, violi uno degli articoli del CP, 
commettendo un reato, come ad esempio quello di: 
‐ Omissione di referto (art. 365 e 334 c.p.) 
‐ Falsità ideologica (art. 479 c.p.) e falsità ideologica in certificati (art. 481 c.p.) 
‐ Lesioni personali (art. 582 o 590 c.p.) 
‐ Omicidio (art. 589 c.p.) 
‐ Rivelazione di segreto d’ufficio o professionale (art. 326 o 622 c.p.) 
‐ Violenza privata (art. 610 c.p.) 
 
N.B.  
‐ la responsabile penale è accollabile esclusivamente a persone fisiche. 
‐ l’accertamento del nesso causale s’inspira al criterio “dell’altamente probabile o della quasi certezza” 
‐ l’onere della prova è a carico della pubblica accusa 
 
 
 
 
DIFFERENZE TRA RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE 
 
In  RC,  ciò  che  viene  imputato  è  il  danno  ingiusto,  In RP, ciò che viene imputato è il reato, essendo la 
essendo  la  finalità  del  Diritto  Civile  principalmente  finalità  del  Diritto  Penale  principalmente 
risarcitoria  sanzionatoria 
La RC può essere riferita, non solo a persone fisiche,  La RP è riferita esclusivamente a persone fisiche 
ma  anche  a  persone  giuridiche  (per  persona  (persona fisica è l'essere umano in quanto soggetto 
giuridica  s’intende  un  complesso  organizzato  di  di diritto e, quindi, dotato di capacità giuridica) 
persone  e  di  beni  ai  quali  l'ordinamento  giuridico 
attribuisce  capacità  giuridica,  facendone,  così,  un 
soggetto di diritto) 
In  RC,  l’accertamento  del  nesso  causale  s’inspira  al 
In  RP,  l’accertamento  del  nesso  causale  s’inspira  al 
criterio “del più probabile che non”  criterio  “dell’altamente  probabile  o  della  quasi 
certezza” 
In RC, è onere del medico e della struttura  In RP, l’onere della prova è a carico della pubblica 
ospedaliera dimostrare che il danno ingiusto non sia  accusa 
dipeso da un fatto a loro imputabile 
 
 
 
 
 


 
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Cartella clinica 
 
 
È  un  atto  pubblico,  a  formazione  progressiva,  che  consiste  nel  complesso  ordinato  e  scritto  dei  vari  dati 
sanitari  (anamnestici,  obiettivi,  specialistici,  strumentali,  documentali)  raccolti  via  via  dai  medici,  sulla 
persona del malato, durante la sua degenza in regime di ricovero ordinario o di day hospital. 
 
Secondo l’articolo 2699 del CC, 
per  atto  pubblico  s’intende  un  documento  redatto,  con  le  richieste  formalità,  da  un  Pubblico  Ufficiale, 
autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, nel luogo dove l’atto viene formato. 
 
Per l’articolo 2700 del CC, inoltre, l’atto pubblico fa fede –  e, quindi, costituisce prova* – fino a querela del 
falso, 1 della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha firmato, 2 delle dichiarazioni delle 
parti e 3 di tutti gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. 
 
*Prova: strumento che fornisce al giudice gli elementi di conoscenza necessari per formulare un giudizio di verità o falsità circa 
l’esistenza di fatti rilevanti ai fini della decisione 
 
N.B. In sede penale, la nozione di atto pubblico è più ampia, comprendendo qualsiasi documento formato 
da  un  Pubblico  Ufficiale  o  da  un  pubblico  impiegato  incaricato  di  pubblico  servizio  con  l’intento  di 
comprovare  un  fatto  giuridico**  o  di  attestare  fatti  da  lui  compiuti  o  avvenuti  in  sua  presenza  ed  aventi 
rilevanza giuridica. 
 
**Fatto giuridico: situazione prevista da una norma giuridica 
 
 
L’importanza di tale documento è molteplice, risultando: 
1) Clinica 
2) Medico‐legale, per la sua efficacia probatoria, per il suo valore storico‐documentale e per l’attestazione 
del consenso informato 
3) Statistico‐sanitaria 
4) Scientifica  
 
 
Requisiti che una cartella clinica deve possedere, sono: 
1) Veridicità 
Conformità, cioè, di quanto descritto con quanto direttamente constatato 
2) Completezza 
3) Correttezza 
4) Chiarezza 
5) Contemporaneità della redazione con l’evento che si descrive 
Quest’ultimo requisito richiede che : 
 la redazione avvenga in pendenza di degenza 
 gli eventi vadano registrati in sequenza cronologica 
 
 
N.B. La cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazione ad ogni singola annotazione, la quale 
esce dalla disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui viene registrata. 
I  dati  trascritti  nella  cartella  clinica  possono  essere  rettificati  solo  componendo  nuove  annotazioni  che 
lascino inalterate le precedenti e che consentano di riconoscerne autore e data. 
 
 

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La  responsabilità  della  regolare  compilazione,  della  tenuta  e  della  custodia  della  cartella  clinica,  spetta  al 
Primario del reparto, fino alla consegna nell’archivio centrale dell’Azienda. 
L’aiuto collabora direttamente con il primario e lo sostituisce in caso di sua assenza, impedimento, urgenza. 
 
Le  cartelle  cliniche,  dopo  la  dimissione  del  pz,  vengono  conservate,  ciascuna  con  numero  progressivo, 
nell’archivio centrale dell’Azienda, sotto il controllo del Direttore sanitario. 
Le  cartelle  cliniche,  unitamente  ai  relativi  referti,  devono  essere  conservate  illimitatamente  perché 
rappresentano  un  Atto  Ufficiale,  indispensabile  a  garantire  la  certezza  del  diritto,  oltre  a  costituire  fonte 
documentaria per le ricerche di carattere storico‐sanitario. 
Le radiografie ed altra documentazione diagnostica vanno conservate per almeno 10 anni; per almeno 20, 
se relative a soggetti infra‐diciottenni. 
Possibile è la conservazione mediante microfilmatura o su supporto informatico. 
 
 
Dal I gennaio 2006, la cartella clinica può nascere o esser trasmessa sotto forma di documento informatico, 
inteso come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.   
 
 
Rilascio di cartella clinica o di copia autentica 
Sono legittimati a chiederlo l’assistito medesimo o chi ne ha la delega legale. 
Il rilascio avviene sotto la responsabilità del Direttore Sanitario.  
La  cartella  clinica  può  essere  inoltre  trasmessa  da  un’azienda  ad  un’altra;  al  medico  curante;  ad  istituti 
previdenziali; all’Autorità giudiziaria.  
 
 
Reati connessi 
La qualifica di Atto Pubblico della cartella clinica si riflette sulla maggiore severità con cui viene valutato, in 
sede penale, il delitto di falso commesso da chi la redige. 
Relativamente alla cartella clinica, la falsità documentale, può essere giuridicamente qualificata come: 
1. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art.476 CP) 
2. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 CP) 
 
La falsità materiale si realizza quando:  
‐ il documento è stato redatto da persona diversa da quella a cui competeva (cartella contraffatta)  
‐ il documento contiene modifiche successive alla sua stesura definitiva (cartella alterata) 
 
Nella  falsità  ideologica,  invece,  l’atto,  pur  essendo  materialmente  corretto  (quindi  non  contraffatto,  né 
alterato) contiene informazioni non rispondenti al vero. 
 

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SEGRETO PROFESSIONALE 
 
 
In  ambito  medico,  deve  ritenersi  tale  ogni  notizia  1  riguardante  qualsiasi  aspetto  della  vita  privata 
dell’assistito,  2  che  quest’ultimo  abbia  interesse  a  che  non  venga  rivelata  e  3  della  quale  il  medico  sia 
venuto a conoscenza in quanto “medico” (pertanto professionale). 
 
La  rivelazione  di  segreto  professionale,  secondo  l’art.  622  del  CP,  costituisce  un  delitto,  commesso  da  
chiunque, avendo notizia –  in ragione del proprio stato o ufficio o della propria professione o arte –  di un 
segreto,  lo  riveli,  senza  giusta  causa,  o  li  impieghi  a  proprio  o  altrui  profitto,  se  dal  fatto  può  derivare 
nocumento.  
Il delitto è punibile a querela della persona offesa. 
 
 
L’obbligo di mantenere il segreto viene quindi esteso a “chiunque” si trovi, in virtù di situazioni personali, 
quali stato, ufficio, professione ed arte, nelle condizioni di ricevere un segreto. 
‐ Con il termine di stato, ci si riferisce non soltanto a chi esercita un’attività professionale, ma anche a 
coloro  che  si  trovano,  con  il  professionista,  in  relazione  di  convivenza,  di  dipendenza,  di  amicizia  o  di 
altro rapporto, che faciliti la conoscenza del segreto. 
‐ Il termine di ufficio, indica qualsiasi compito o dovere che deve essere assolto. 
‐ Con  il  termine  di  professione  o  arte,  ci  si  riferisce  ad  attività  praticate  da  persone  qualificate  come 
professionisti o artisti. 
 
 
Rivelare  il  segreto  professionale  significa  comportarsi  in  modo  tale  che,  senza  giusta  causa,  una  o  più 
persone, non vincolate al segreto, siano messe a conoscenza del segreto stesso.  
Caso,  ad  esempio,  della  pubblicazione  di  lavori  scientifici  da  cui  si  evincano  le  generalità  di  un  certo 
assistito. 
 
N.B.  Non  costituisce  rivelazione  di  segreto  professionale,  ma  semplice  trasmissione,  l’affidamento  della 
notizia ad una persona, pur essa vincolata al segreto professionale. 
 
La rivelazione del segreto professionale è legittima solo se sussiste una giusta causa. 
Le giuste cause di rivelazione del segreto professionale vengono distinte in imperative e permissive. 
 
Le giuste cause imperative sono quelle che impongono la rivelazione del segreto.  
Si tratta, cioè, di doveri espressamente stabiliti dall’ordinamento giuridico. 
È questo il caso di: 
1) Denunce  
‐ Amministrative 
‐ Sanitarie  
‐ All’autorità giudiziaria (referto e rapporto) 
2) Perizie e  consulenze tecniche 
3) Ispezione corporale ordinata da giudice 
4) Visite medico‐legali di controllo, espletate per conto di una struttura sanitaria pubblica 
 
Anche in tali casi, tuttavia, il medico dovrà osservare il più rigoroso riserbo su tutte quelle notizie irrilevanti 
ai fini dell’espletamento dell’incarico.  
 
 
 
 

 
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Le giuste cause permissive sono quelle che permettono, appunto, di rivelare il segreto. 
Tra  esse  rientra,  innanzitutto,  il  consenso  dell’avente  diritto.    Non  è,  infatti,  punibile  chi  lede  o  mette  in 
pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne. 
 
Oltre al consenso dell’assistito, altre giuste cause permissive sono quelle definite “scriminative”: 
1) Caso fortuito o forza maggiore 
2) Costringimento fisico 
3) Errore di fatto 
4) Errore determinato da altrui inganno 
5) Stato di necessità 
6) Difesa legittima 
 
Un’ulteriore  causa  permissiva  è  rappresentata  dal  voler  difendere  un  diritto  (come  quello  alla  vita  o 
all’incolumità fisica di terzi) che è più importante rispetto all’offesa arrecata con l’eventuale violazione del 
segreto.  
 
 
N.B. 
La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto. 
 
 
 
 
 
 


 
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CONSENSO 
 
 
Per  il  medico,  sussiste  l’obbligo  di  munirsi  del  valido  consenso  della  persona  assistita,  intendendo,  con  il 
termine di consenso, partecipazione, consapevolezza, libertà di scelta e di decisione.  
Ciò  trova  riscontro  nell’articolo  32  della  Costituzione,  secondo  cui    “nessuno  può  essere  obbligato  ad  un 
determinato  trattamento  sanitario,  se  non  per  disposizione  di  legge”  e  che  “la  legge  in  nessun  caso  può 
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. 
 
 
Per essere giuridicamente valido, il consenso della persona assistita deve qualificarsi come:  
1) Informato 
2) Esplicito 
3) Libero 
4) Autentico  
5) Immune da vizi 
 
 
La  correttezza  dell’informazione  preliminare  da  rendere  al  pz,  impone  al  medico  di  essere  preciso  ed 
esauriente  su:  I  natura  della  malattia,  II  indicazioni  e  controindicazioni  della  prestazione  che  andrà  ad 
effettuare,  III  rischi  ad  essa  connessi,  IV  eventuali  complicanze,  V  alternative,  VI  obiettivi  perseguiti,  VII 
risultati prevedibili.  
 
In particolare, l’informazione deve essere : 
1. Semplice, perché il paziente non è  generalmente esperto di cose mediche 
2. Personalizzata, adeguata cioè al livello di cultura dell’assistito  
3. Esauriente  1 
4. Veritiera 
5. Sorretta dalla speranza più che dal pessimismo. 
 
Rientra, poi, tra i doveri del medico accertarsi che il paziente dia segni esteriori tali da far ritenere che sia in 
grado  di  I  prestare  attenzione  alle  indicazioni  lette  o  ascoltate,  II  di  comprenderle  e  III  di  usarle  in  modo 
razionale per arrivare ad una decisione.  
Di conseguenza, il medico deve  astenersi dal procedere all’acquisizione del consenso proprio in momenti 
nei  quali  il  malato  appaia  in  uno  stato  fisico  o  emotivo  tale  da  rendere  improbabile  I  la  consapevole 
acquisizione e II la ragionata elaborazione delle informazioni ricevute. 
 
 
Il consenso va sempre richiesto in forma esplicita, e cioè scritta, qualora l’atto medico‐chirurgico comporti 
il pericolo concreto di una menomazione dell’integrità psico‐fisica individuale. 
Può essere ritenuto implicito nella stessa richiesta di prestazione d’opera, solo se la prestazione sia esente 
da rischi o da controindicazioni. 
 
 
Il  paziente,  essendo  una  persona  libera  e  capace  di  agire,  ha  il  diritto  di  accettare  o  rifiutare  ciò  che  il 
medico gli propone o gli prescrive. 
Il  medico  non  è  mai  legittimato  ad  agire  contro  la  volontà  consapevole  ed  esplicita  dell’altro,  se  non  per 
disposizione di legge.  
 
 
 
 

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Nel  caso di minori, il consenso deve essere fornito da entrambi i genitori.  
Ove  sussista  disaccordo  tra  volontà  dei  genitori  e  parere  dei  medici  curanti,  quest’ultimi  dovranno 
rimettere la decisione all’Autorità giudiziaria (giudice tutelare). 
 
 
Nel caso di soggetti interdetti, il consenso deve essere fornito dal tutore; nel caso di soggetti inabilitati, dal 
curatore. 
 
 
Qualora  appaia  impossibile  ottenere  un  valido  consenso  da  parte  del  pz,  per  sospetta  incapacità  di 
intendere e di volere, ma non sussista interdizione, va richiesta una consulenza psichiatrica per accertare 
tale  incapacità.  Una  volta  accertata  l’incapacità  di  intendere  e  di  volere  del  pz,  il  consenso  può  essere 
richiesto ai familiari. 
In  mancanza  di  familiari,  il  medico  può  rivolgersi  all’Autorità  giudiziaria  per  ottenere  il  permesso  di 
assurgere al ruolo di tutore del pz, in materia di scelte relative a procedure diagnostico‐terapeutiche.    
 
 
L’unica condizione nella quale il medico è esonerato dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso 
dell’avente diritto, è quella contemplata dall’art. 54 CP (stato di necessità).  
Secondo  l’art.  54  del  CP,  infatti,  non  è  punibile  chi  ha  commesso  il  fatto  per  esservi  stato  costretto  dalla 
necessità di salvare, sé stessi o altri, dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non 
volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo. 
Uno stato di necessità è quello che si configura nelle condizioni di urgenza in cui è il medico a divenire il tutore 
del pz. 
 
Tuttavia, agire senza il consenso, per il sussistere di uno stato di necessità, è cosa diversa che agire contro il  2 
consenso. Vale, in quest’ultima ipotesi, l’obbligo di astenersi dalla prestazione.  
Il rifiuto alle cure, comunque, deve configurarsi coma una manifestazione  
1. chiaramente espressa 
2. non equivocabile 
3. informata  
4. compresa 
5. attuale  e,  cioè,  contestuale  alle  evento  lesivo  che  richiede  la  prestazione  verso  cui  viene  espresso  il 
dissenso. 
 
 
La  violazione  del  dovere  di  munirsi  preventivamente  del  valido  consenso  della  persona  assistita  può 
esporre il medico, in sede penale, all’imputazione dei delitti di violenza privata, lesioni personali, omicidio, 
ecc… 
 
In  sede  civile,  la  mancanza  del  consenso  informato,  può  costituire,  di  per  sé,  una  vera  e  propria 
inadempienza contrattuale, con conseguenti obblighi risarcitori. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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ATTIVITÀ INFORMATIVA DEL MEDICO 
 
 
Una  delle  prerogative  della  professione  medica  è  rappresentata  dalla  “potestà  di  certificare”,  che  riconosce  la  sua 
matrice giuridica nell’abilitazione all’esercizio professionale. 
 
Relativamente  al  rapporto  con  il  pz,  tuttavia,  tale  potestà  si  traduce  nel  “dovere  di  certificare”,  che  deriva  dagli 
obblighi normativi e deontologici dell’esercizio professionale, sebbene non sia sempre imperativo. 
 
Il documento redatto dal medico può essere definito, in linea generale, “certificato”. 
 
La dottrina medico‐legale è concorde nel ritenere il certificato come “attestazione scritta inerente a fatti e 
condizioni  di  indole  tecnica,  1di  cui  il  certificato  è  destinato  a  provare  la  verità,  2propri  della  persona  alla 
quale si riferisce, 3aventi rilevanza giuridica ed amministrativa”. 
 
 
Per aversi un certificato autentico, che attesti la verità di un fatto giuridicamente rilevante, occorrono: 
1) una scrittura, stilata a mano o con mezzi meccanici, che utilizzino inchiostro indelebile; 
2) l’autore  dell’attestazione,  che  risulti  dalla  sottoscrizione  dell’atto,  con  le  generalità  e  la  qualifica  del 
certificante; 
3) il destinatario, a cui la certificazione è diretta; 
4) la data ed il luogo in cui il certificato è stato compilato. 
 
 
I requisiti che un certificato deve necessariamente possedere sono: 
1) Chiarezza  
Deve essere, cioè, comprensibile e completo  1 
2) Veridicità 
Vi deve essere, cioè, conformità di quanto descritto con quanto direttamente constatato 
 
 
Per quanto riguarda la natura giuridica della certificazione, il certificato è:  
‐ Atto pubblico, quando redatto da un “pubblico ufficiale” o da un “incaricato di pubblico servizio” 
‐ Scrittura privata, quando redatto da un “esercente un servizio di pubblica necessità”. 
 
Secondo l'art. 2699 del CODICE CIVILE "l'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da 
un pubblico ufficiale, autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato". 
 
All'atto pubblico, inoltre, viene conferita l’efficacia  di prova legale dall'art. 2700 del CODICE CIVILE, per il 
quale l’atto pubblico "fa piena prova, fino a querela di falso , I della provenienza del documento dal pubblico 
ufficiale che lo ha formato, nonché  II  delle dichiarazioni delle parti e  III  degli altri fatti che il pubblico ufficiale 
attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti". 
 
N.B.  la  NOZIONE  PENALISTICA  di  atto  pubblico  è  più  ampia  di  quella  civilistica  comprendendo  tutti  quei 
documenti formati da un  pubblico ufficiale o da un  pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio  con 
l’intento di comprovare un fatto giuridico o di attestare fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed 
aventi rilevanza giuridica. 
 
 
N.B.  Gli  atti  pubblici  vanno  distinti  dalle  certificazioni  amministrative,  il  cui  presupposto  essenziale  è 
comunque  quello  di  esser  redatte  da  un  medico  nell’esercizio  delle  funzioni  di  pubblico  ufficiale  o  di 
incaricato di pubblico servizio. 


 
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Le  certificazioni  amministrative  differiscono  dagli  atti  pubblici  perché  attestazioni  di  verità  o  di  scienza 
estranee  I alla documentazione di attività direttamente esercitate dal pubblico ufficiale (o da un incaricato 
di pubblico servizio) o II alla prova di quei fatti che sono avvenuti in sua presenza. 
Tale distinzione è rilevante per la maggiore severità con cui vengono puniti gli illeciti nella redazione degli 
atti pubblici. 
Esempi di certificazioni amministrative: 
‐ Certificato di idoneità all’attività sportiva agonistica per atleti professionisti e non 
‐ Certificato  attestante  l’esonero  all’uso  delle  cinture  di  sicurezza  per  controindicazione  derivante  da 
malattia 
 
 
 
Per il MEDICO, i certificati possono essere:  
‐ Obbligatori  
‐ Facoltativi 
  
 
Sono obbligatori per il medico quei certificati che egli deve inoltrare di sua iniziativa, e non in relazione alla 
richiesta di un privato, sulla base di un dovere che la legge pone a carico del sanitario per tutelare i pubblici 
interessi. 
 
Sono, invece, facoltativi quando non esiste nessuna norma di legge che ne impone l’obbligo. 
Il  medico,  comunque,  non  può  e  non  deve  esimersi  dal  rilasciare  certificati  ai  pz  che  ne  fanno  richiesta, 
anche quando facoltativi.  
Ciò  trova  riscontro  nell’art.  24  del  CD  del  2006  secondo  cui  “il  medico  è  tenuto  a  rilasciare  al  cittadino 
certificazioni  relative  al  suo  stato  di  salute  che  attestino  dati  clinici  direttamente  constatati  e/o 
oggettivamente documentati.  2 
Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati ed alla formulazione di 
giudizi obiettivi e scientificamente corretti”. 
Tale articolo del CD, pertanto, pone al medico, una serie di obblighi: 
‐ Obbligo  del  rilascio  del  certificato  su  richiesta  del  pz  e  direttamente  al  pz  medesimo  o  ad  altro 
richiedente a cui la legge dia diritto. 
‐ Obbligo della corrispondenza del certificato con la realtà constatata. 
N.B.  Nel  certificato  devono  essere  attestati  solo  i  dati  clinici  per  i  quali  il  paziente  ha  chiesto  la 
certificazione. Diversamente, si incorrerebbe in rivelazione di  segreto professionale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
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Certificazioni obbligatorie per il medico sono le denunce. 
 
La denuncia è l'atto col quale il sanitario informa una pubblica autorità relativamente a fatti o notizie che 
apprende nell'esercizio della professione, di cui è obbligato per legge a riferire.  
Costituisce una giusta causa imperativa di rivelazione del segreto professionale. 
 Le caratteristiche delle denunce sono:  
1) Obbligatorietà 
Hanno, cioè, carattere inderogabile, derivando da una disposizione di legge.  
È però necessario che il medico sia venuto a conoscenza del fatto per diretta acquisizione, prestando la 
propria attività professionale in circostanze strettamente inerenti al fatto stesso.  
 
2) Iniziativa del denunciante 
Il  medico  è,  cioè,  tenuto  a  redigere  la  denuncia  e  ad  inviarla  all’autorità  competente  di  propria 
iniziativa. 
Deve pertanto conoscere quali sono le denunce che gli competono. 
N.B. In ambito ospedaliero, spetta al primario del reparto redigere le denunce, mentre è compito del 
direttore sanitario curarne la trasmissione all'autorità competente. 
 
3) Professionalità 
Deriva dalla qualifica del denunciante e dalla natura tecnica del fatto segnalato. 
 
4) Oggetto  riguardante  fatti  di  interesse  pubblico  e  che  può  essere  in  contrasto  con  gli  interessi 
dell'assistito. 
 
5) Destinatario costituito da una pubblica autorità, quale il sindaco, l‘ASL, l'autorità giudiziaria, l'autorità di 
pubblica sicurezza, gli enti infortunistici o altre strutture socio‐sanitarie. 
   3 
6) Sanzione 
L'omissione o il ritardo della denuncia, infatti, comporta una contravvenzione. 
 
 
Si distinguono denunce: 
‐ Amministrative 
‐ Sanitarie 
‐ All’autorità giudiziaria 
 
 
Denunce amministrative 
Sono quelle che interessano l’attività della pubblica amministrazione. 
Esempi: 
‐ Dichiarazione  di  nascita  e  di  morte,  entrambe  da  inoltrarsi  all’ufficiale  di  stato  civile  ai  fini  della 
formazione, rispettivamente, dell’atto di nascita e di quello di morte  
‐ Denuncia delle cause di morte 
‐ Denuncia di infanti deformi 
‐ Denuncia di neonati immaturi 
 
Dichiarazione delle nascite 
Va inoltrata all'ufficiale di stato civile, entro i 10 giorni successivi al parto.  
È obbligatoria per il medico quando:  
‐ Ha presenziato al parto e mancano le persone legalmente tenute alla denuncia (padre o suo procuratore) 
‐ Ha fondati motivi di ritenere che esse omettano di farla  
N.B. La dichiarazione deve essere fatta anche dei bambini nati morti e il dichiarante deve specificare se il bambino è 
nato morto o è morto dopo la nascita. 

 
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Dichiarazione delle morti 
Deve  essere  fatta  entro  24  ore  dal  decesso  all'ufficiale  di  stato  civile  del  luogo,  da  uno  dei  congiunti,  da  persona 
convivente o da un loro delegato. 
L’obbligo della dichiarazione interessa il medico, nelle vesti di direttore sanitario di un ospedale, di una casa di cura o 
di riposo, qualora ad essere deceduto sia un degente della struttura.  
 
 
Denunce delle cause di morte 
Vanno fatte entro 24 ore dall'accertamento del decesso al sindaco ed all'ufficiale sanitario.  
Per le persone decedute con assistenza medica, la denuncia spetta al medico curante, privato o ospedaliero; per le 
persone decedute senza assistenza medica, la denuncia spetta al medico necroscopo; l'obbligo della denuncia riguarda 
anche i medici che abbiano potuto accertato le cause di morte mediante indagini anatomo‐patologiche.  
Qualora  sorga  il  sospetto  che  la  morte  sia  dovuta  a  reato,  il  medico  denunciante  deve  darne  comunicazione 
all'Autorità Giudiziaria. 
 
 
Denuncia degli infanti deformi.  
Entro 2 giorni dal parto, al quale abbia prestato assistenza, il medico deve denunciare al sindaco e all'ufficiale sanitario 
la  nascita  di  ogni  infante  affetto  da  deformità  congenite,  con  particolare  riguardo  alle  anomalie  ed  ai  difetti 
dell'apparato locomotore. 
 
 
Denuncia dei neonati immaturi 
Deve essere fatta entro 24 ore dal parto all'ufficiale sanitario del comune.  
È considerato immaturo ogni neonato di peso inferiore ai 2.500 grammi, indipendentemente dalla durata della 
gravidanza. 
 
 
  4 
Denunce sanitarie 
Riguardano fatti attinenti alla tutela dell’igiene e della sanità pubblica, generalmente in correlazione con le 
attività di prevenzione. 
Tra queste rientrano: 
1. Denuncia di lesioni invalidanti, 2. di malattie infettive e diffusive, 3. di malattie veneree, 4. delle malattie 
di  interesse  sociale,  5.  delle  vaccinazioni  obbligatorie,  6.  dei  casi  di  intossicazione  da  antiparassitari,  7. di 
detenzione di apparecchi radiologici e di sostanze radioattive, 8. di interruzione volontaria della gravidanza 
(non nominativa). 
 
Per ciò che concerne il settore previdenziale, sono obbligatorie le seguenti denunce: 
1.  Denuncia  degli  infortuni  sul  lavoro  industriale,  agricolo  ed  artigiano;  2.  delle  malattie  professionali 
nell’industria e nell’agricoltura; 3. di lesioni dei medici esposti a radiazioni ionizzanti. 
 
 
 
Denunce all’autorità giudiziaria  
Referto e rapporto (o denuncia di reato)  
 
Referto  
Ai sensi dell’art. 365 CP, il referto è l’atto obbligatorio con il quale, ogni esercente una professione sanitaria, 
comunica all’autorità giudiziaria quei casi, a cui ha prestato la propria assistenza, che possono presentare i 
caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio. 
 
 
 
 

 
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Il sanitario deve ritenersi esonerato dall’obbligo di inoltrare il referto qualora esponga: 
a) la persona assistita a procedimento penale, è questo il caso di: 
‐ Rissa 
‐ Uso di armi in duello  
‐ Infanticidio, se la persona assistita è la madre 
b) se stesso o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà e dell’onore 
In  tutti  gli  altri  casi,  il  referto  costituisce  una  giusta  causa  imperativa  di  rivelazione  del  segreto 
professionale.  
 
I  delitti  perseguibili  d’ufficio  –  con  conseguente  obbligo  di  referto  –  di  maggior  interesse  medico‐legale 
sono: 
1) Delitti contro la vita, come quelli di: 
‐ Omicidio volontario, colposo e preterintenzionale 
2) Delitti contro l’incolumità individuale, come quelli di: 
‐ lesione personale 
Le lesioni personali che vengono perseguite d’ufficio, imponendo al medico l’obbligo di referto, sono: 
 Tutte  le  lesioni  personali  volontarie,  comprese  quelle  lievissime,  qualora  concorrano  circostanze 
aggravanti  previste  dagli  art.  583  e  585  del  CP  (caso  ad  esempio  di  lesione  personale  volontaria 
lievissima provocata da armi o sostanze corrosive) 
 Lesioni  personali  colpose,  gravi  o  gravissime,  limitatamente  a  fatti  commessi  in  violazione  delle 
norme  relative  alla  prevenzione  degli  infortuni  sul  lavoro  o  all’igiene  del  lavoro  o  che  abbiano 
portato ad una malattia professionale   
3) Delitti contro la libertà individuale 
4) Delitti contro l’incolumità pubblica 
5) Delitti contro la libertà sessuale 
6) Interruzione di gravidanza al di fuori dei casi legittimi, stabiliti dalla legge 194/78 
7) Delitti contro l’assistenza familiare, come quello di maltrattamenti in famiglia  5 
   
Il referto deve contenere: 
1) Generalità della persona che ha richiesto l’assistenza del sanitario 
2) Luogo, tempo ed altre circostanze dell’intervento 
3) Generalità dell’offeso o quant’altro serva per identificarlo 
4) Ogni  notizie  utile  per  stabilire  circostanze  e  cause  del  delitto,  mezzi  con  i  quali  è  stato  commesso  lo 
stesso, effetti procurati o potenziali 
 
Il  referto  deve  essere  indirizzato  al  Procuratore  della  Repubblica  nelle  località  sede  di  Tribunale.  In 
subordine a: 
‐ Ufficiali di Polizia Giudiziaria  
‐ Sindaco, qualora nel comune non vi siano Ufficiali di Polizia Giudiziaria. 
Chi redige il referto deve farlo pervenire all’autorità competente entro 48 ore o, se vi è pericolo di ritardo, 
immediatamente. 
 
 
 
Rapporto o denuncia di reato 
È una denuncia all’autorità giudiziaria il cui obbligo riguarda quei medici che, per il lavoro svolto, assumono 
la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.  
I  medici  con  tali  qualifiche  hanno  infatti  l’obbligo  di  denunciare  tempestivamente  all’autorità  giudiziaria 
qualsiasi reato (delitto o contravvenzione), per il quale si debba procedere d’ufficio e di cui abbiano avuto 
notizia nell’esercizio ed a causa delle loro funzioni. 
L’obbligo non sussiste se si tratta di un reato perseguibile a querela della persona offesa e non vale per i responsabili 
delle comunità terapeutiche socio‐riabilitative, limitatamente ai fatti commessi da persone tossicodipendenti. 
 

 
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DIFFERENZE TRA REFERTO E RAPPORTO 
 
Riguardano: 
1. Titolare dell’obbligo 
2. Fatto 
3. Contenuto 
4. Esimenti 
5. Termini di presentazione 
 
  Referto  Rapporto 
Obbligo di … sussiste per:  esercenti una professione  medici che assumono la qualifica 
sanitaria  di pubblico ufficiale o incaricato 
di pubblico servizio 
Quanto al fatto …   Ha come oggetto solo i delitti  Ha come oggetto ogni tipo di 
procedibili di ufficio  reato (delitto o contravvenzione) 
procedibile di ufficio 
Quanto al contenuto …   Implica  un  giudizio  tecnico  di  Si limita alla pura 
natura  diagnostica  e  prognostica.  notizia di reato, indicando il reo, 
In particolare, deve riportare ogni  la vittima, il testimone e gli 
notizia  che  serva  a  stabilire  elementi di prova raccolti 
circostanze  e  cause  del  delitto, 
mezzi  con  i  quali  è  stato 
commesso  lo  stesso,  effetti 
procurati o potenziali 
Quanto all’esimente …   Non vi è obbligo di referto da parte del sanitario qualora esponga la 
persona assistita a procedimento penale oppure se stesso o un  6 
proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà 
e dell’onore 
Il rapporto, invece, non prevede tali esimenti 
Quanto ai termini di  Deve pervenire entro 48h  Deve essere trasmessa senza 
presentazione …   all’Autorità competente, salvo  alcun ritardo 
pericolo di ritardo 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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N.B. 
I certificati medici, inoltre, possono esser distinti in obbligatori e facoltativi per il cittadino, a seconda che 
la loro esibizione da parte dell’interessato dipenda da un obbligo o da una facoltà. 
Sono  obbligatori,  quando  il  cittadino  ha  l’obbligo  di  presentarli  se  vuol  far  valere  un  suo  diritto  che  sia 
subordinato all’esistenza di una realtà sanitaria della quale il certificato medico è destinato a far fede. 
Tali certificati sono cioè necessari per dare l’avvio ad un determinato iter amministrativo. 
 
Sono facoltativi i certificati che vengono richiesti sulla base di un interesse della persona assistita, al fine di 
essere esibiti ad Enti Pubblici o privati per documentare lo stato di salute. 
 
 
 
Reati connessi con la certificazione medica 
 
1. Falso materiale  
2. Falso ideologico 
3. Violazione del segreto professionale 
4. Omissione di atti d’ufficio 
 
Falso materiale 
Il  medico  risponde  di  falso  materiale  se  redige  un  certificato  del  tutto  o  in  parte  falso  (certificato 
contraffatto) o se ne altera uno vero. 
 
Il Codice Penale, relativamente alla falsità materiale, distingue: 
1. Falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici 
2. Falsità materiale commessa  da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative 

3. Falsità materiale in certificati, commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità 
 
La differenza risiede essenzialmente nell’entità delle pene previste  che sono più severe quando il reato di 
Falsità  materiale  è  commesso  da  un  pubblico  ufficiale  (o  da  un  incaricato  di  pubblico  servizio)  in  atti 
pubblici 
 
 
Falso ideologico 
Il medico risponde di falso ideologico se, nella redazione del certificato, attesta fatti non corrispondenti al 
vero o consapevolmente diversi da quelli rilevati.  
 
Il Codice Penale, relativamente alla falsità ideologica, distingue: 
1. Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici 
2. Falsità ideologica commessa  da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative 
3. Falsità ideologica in certificati, commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità 
 


 
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CAPACITÀ CIVILE 
INSIEME DELLA CAPACITÀ GIURIDICA E DELLA CAPACITÀ DI AGIRE 
 
 
CAPACITÀ GIURIDICA 
Acquistare  capacità  giuridica  significa  diventare  “persona”  e,  cioè,  soggetto  di  diritto  inteso  come 
destinatario delle norme stabilite dall’ordinamento giuridico e, quindi, titolare di diritti e di doveri. 
Per le persone fisiche, la capacità giuridica, si acquista con la nascita e si perde con la morte.  1 

 
CONCETTO DI NASCITA 
In  campo  civile,  per  nascita,  s’intende  la  completa  fuoriuscita  dal  corpo  materno  di  un  feto  vivo  e 
cronologicamente vitale, che abbia respirato. 
 
Ai fini dell’acquisizione della capacità giuridica occorre, quindi, che il prodotto del concepimento: 
1. Sia completamente fuoriuscito dall’alvo materno 
La fuoriuscita può avvenire per espulsione, come nel parto naturale o per estrazione, come nel parto 
cesareo. 
2. Sia in possesso di vitalità cronologica, conferita dal raggiungimento del 180° giorno di vita intrauterina 
3. Abbia respirato 
Se  concepito,  infatti,  muore  nella  fase  apnoica  della  vita  extrauterina,  pur  essendo  completamente 
fuoriuscito dall’alvo materno, non acquisterà capacità giuridica.  
L’avvenuta  respirazione  può  essere  documentata,  post‐mortem,  mediante  le  prove  docimasiche  e 
costituisce  un  segno  diretto  della  vita  autonoma  del  neonato,  indipendentemente  dalla  sua  durata 
effettiva: è sufficiente infatti anche un solo atto respiratorio autonomo. 
 

N.B. In ambito penale, il concetto di persona è differente da quello previsto in sede civile. 
Il  ambito  penale,  infatti,  la  tutela  viene  estesa  anche  al  prodotto  del  concepimento  durante  il  parto  e 
durante la fase apnoica della vita extrauterina, quando non ha ancora respirato. 
L’attributo  della  vita  autonoma  non  è  quindi  necessario  per  il  configurarsi  dei  delitti  di  infanticidio  e  di 
omicidio. 
In  sede  penale,  comunque,  perché  si  possa  parlare  di  infanticidio  o  di  omicidio  occorre  accertare  che  il 
prodotto del  concepimento, durante il  parto o alla nascita, fosse vitale e,  cioè, dotato dell’attitudine alla 
vita autonoma. 
Per  verificare  se  il  prodotto  del  concepimento  fosse  effettivamente  vitale,  nel  momento  in  cui  è  stato 
commesso il delitto, le prove docimasiche sono dirimenti solo quando dimostrano l’avvenuta respirazione 
spontanea del concepito che ne implica, necessariamente, la vitalità. 
Non  è  invece  sempre  vero  il  contrario,  dato  che  il  delitto  può  esser  stato  commesso  durante  il  parto  o 
durante la fase apnoica della vita extrauterina, quando un prodotto del concepimento, pur vitale, non ha 
ancora respirato. 
Prove  docimasiche  negative  per  avvenuta  respirazione  spontanea,  non  consentono  quindi  di  escludere  la 
vitalità del prodotto del concepimento al momento del delitto. 
Un giudizio relativo alla vitalità del concepito, deve pertanto tener conto anche di: 
‐ Raggiungimento  della  cdt  soglia  di  vitalità  cronologica  (fissata  al  termine  del  6°  mese  di  vita 
intrauterina) 
‐ Eventuale presenza di malformazioni, arresti di sviluppo e patologie congenite che non permettano il 
mantenimento della vita extrauterina  
Depongono, inoltre, per la vitalità del concepito al momento del delitto: 
‐ Segni di reazione vitale come il cdt tumore da parto 
‐ Riscontro, sul corpo, di lesioni vitali, come ecchimosi e soffusioni emorragiche  
‐ Dimostrazione istologica, in sede di lesione, del reticolo di fibrina  
 

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Docimasie 
Il termine “docimasia” significa accertare se il prodotto del concepimento abbia o meno respirato e, quindi, 
vissuto di vita autonoma.  
L’indagine,  quindi,  concerne  non  la  teorica  idoneità  del  polmone  di  respirare,  ma  la  verifica  diagnostica, 
effettuata post‐mortem, dell’avvenuta respirazione in vita. 
Tale  prova  è  un  requisito  essenziale  per  affermare,  in  ambito  civile,  la  nascita  della  persona  e  quindi  per 
l’acquisizione della capacità giuridica. 
 

Le prove docimasiche respiratorie possono essere distinte in: 
‐ Docimasie polmonari 
‐ Docimasie extrapolmonari 
 
 
Docimasie polmonari 
Includono: 
1. Docimasia metrica 
Consiste nel verificare l’espansione del torace, misurandone la circonferenza e confrontandone i valori 
con quelli teorici 
 
 
2. Docimasia radiologica 
Consiste nel dimostrare la maggior radiotrasparenza dei campi polmonari che si osserva se il polmone 
ha respirato. 
Attraverso l’esame radiografico, inoltre, si potranno avere ragguagli su: 
‐ Eventuale abbassamento del diaframma  
‐ Dimensioni e forma degli angoli costo‐frenici 
‐ Espansione dei campi polmonari 
 
 
3. Docimasia diaframmatica 
Consiste nell’esaminare la posizione della cupola diaframmatica.  
Quest  ultima,  infatti,  se  la  respirazione  è  avvenuta,  apparirà  abbassata  e  potrà  essere  apprezzata  a 
livello del V o del VI spazio intercostale.  
Se la respirazione non è avvenuta, invece, la cupola apparirà sollevata e la sua convessità potrà essere 
apprezzata non oltre il IV spazio intercostale. 
L’indagine può essere effettuata visivamente oppure con opportuno esame radiologico. 
 
Cause di errore: 
‐ Enfisema  putrefattivo  post‐mortale,  in  virtù  del  quale  si  può  osservare  un  abbassamento  della 
cupola diaframmatica anche nel polmone che non ha respirato 
‐ Rigidità  del  diaframma,  dovuta  a  condizioni  patologiche  che  ne  impediscono  l’abbassamento, 
nonostante l’avvenuta respirazione.  
 
 
4. Docimasia ottica 
Prevede: 
1. Doppia legatura della trachea, in sede cervicale, al fine di evitare la penetrazione passiva di aria nei 
polmoni 
2. Apertura della cavità toracica 
3. Esame delle superfici polmonari, ad occhio nudo 
 
 
 

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In assenza di respirazione,  
1) i polmoni sono acquattati nelle rispettive docce costo‐vertebrali;  
2) i loro margini anteriori appaiono sottili e lasciano scoperta l’aia cardiaca;  
3) il colorito del parenchima è rosso‐scuro;  
4) la superficie di taglio si dimostra compatta e lascia fuoriuscire un modesto gemizio di sangue. 
 
In caso di avvenuta respirazione,  
1) i polmoni sono espansi, con margini anteriori arrotondati che ricoprono l’aia cardiaca;  

2) hanno un colorito roseo;  
3) l’aspetto della loro superficie è marezzato o vescicolare. 
 
Cause di errore: 
‐ Insufflazione artificiale di aria nel polmone che non ha respirato.  
In tal caso, tuttavia, l’espansione del parenchima polmonare apparirà irregolare 
‐ Enfisema putrefattivo.  
In  tal  caso  è,  tuttavia,  possibile  osservare  delle  bolle  di  gas  putrefattivo  a  livello  della  superficie 
parenchimale sottopleurica.  
 
 
5. Docimasia polmonare palpatoria 
Consiste nel valutare, alla palpazione, la consistenza del polmone. 
Se il polmone non ha respirato, avrà una consistenza compatta, carnea. 
Se la respirazione è avvenuta, il polmone acquisterà una consistenza soffice e crepitante. 
 
Cause di errore: 
‐ Insufflazione artificiale d’aria 
‐ Enfisema putrefattivo 
 
 
6. Docimasia idrostatica galenica 
Consiste nel valutare se il polmone affondi o meno quando immerso in una bacinella d’acqua. 
Poiché il polmone che non ha respirato ha un peso specifico di 1.08, poco superiore a quello dell’acqua, 
quando immerso nella bacinella di prova, affonda. 
Il polmone che ha respirato, invece, galleggia, poiché il suo peso specifico è di circa 0.8. 
N.B. Il test va inizialmente effettuato sull’intero blocco trachea‐polmoni‐cuore, dopo legatura e sezione 
della  trachea.  Se  infatti  tale  blocco  galleggia,  si  può  esser  certi  che  il  galleggiamento  è  dovuto  a 
fenomeni putrefattivi.    
Si  prosegue,  poi,  in  modo  analogo  su  ciascuno  dei  due  polmoni,  su  parti  di  polmone  ed  infine  su 
frammenti di tessuto polmonare. 
 
Cause di errore 
Condizioni responsabili del galleggiamento di un polmone che non ha respirato sono: 
‐ Incompleta chiusura della trachea, con ingresso post‐mortem di aria nelle vie respiratorie 
‐ Enfisema putrefattivo post‐mortale.  
‐ Introduzione artificiale di aria post‐mortem 
‐ Aspirazione,  durante  la  vita  intrauterina,  di  vernice  caseosa  e  di  liquido  amniotico  che  hanno  un 
peso specifico inferiore a quello dell’acqua 
 
Condizioni responsabili del mancato galleggiamento di un polmone che ha respirato sono: 
‐ Atelettasie polmonari e processi flogistici acuti  
‐ Conduzione dell’esame nella fase colliquativa del periodo putrefattivo 
 
 

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7. Docimasia polmonare istologica 
È la prova più importante per esprimere un giudizio circa l’avvenuta respirazione. 
Il metodo di colorazione dei campioni tissutali polmonari più comune è quello dell’ematossilina‐eosina 
oppure  quello  di  Weigert  (resorcina‐fucsina),  che  consente  meglio  di  evidenziare  la  struttura  elastica 
del polmone. 
Il  principale  segno  istologico  di  avvenuta  respirazione  consiste  nella  distensione  degli  alveoli  che 
appaiono ampi, con cavità di forma poligonale e contornate da setti sottili e pieni di sangue.  
Ciò dipende dal fatto che, con l’inizio della respirazione, s’instaura la nuova circolazione polmonare, al 

posto di quella feto‐placentare.  
 
Nel polmone che non ha respirato,  
‐ le cavità alveolari sono collabite 
‐ i setti sono molto larghi e spessi con vasi di piccolo calibro, contenenti pochi globuli rossi 
‐ le fibre elastiche sono tortuose e molto voluminose 
 
Nel caso di insufflazione artificiale di aria, gli alveoli sono, per lo più, collabiti ma, accanto ad essi, se ne 
osservano  altri  irregolarmente  espanse,  con  pareti  iperdistese  ed  interrotte.  Ciò  fa  sì  che  gli  alveoli 
interessati possano confluire in un’unica cavità. 
 
In presenza di enfisema putrefattivo, si possono distinguere: 
‐ enfisema  putrefattivo  interstiziale,  nel  quale  sono  apprezzabili  bolle  di  gas  soprattutto  all’interno 
dell’interstiziale. 
‐ enfisema putrefattivo alveolare, nel quale le bolle di gas sono più fini e diffuse. 
 
 
 
Docimasie extrapolmonari 
Le  docimasie  respiratorie  extrapolmonari  si  prefiggono  di  provare  l’avvenuta  respirazione  spontanea, 
dimostrando la presenza di aria in distretti corporei diversi dai polmoni. 
 
1. Docimasia gastro‐intestinale 
Si  basa  sul  fatto  che,  con  l’inizio  della  respirazione,  il  feto  deglutisce  aria,  pertanto  riscontrabile 
all’interno del tubo digerente. 
L’indagine prevede, innanzitutto, l’asportazione dello stomaco, dopo aver praticato una doppia legatura 
a livello del cardias e del piloro.  
Lo stomaco asportato viene quindi posto in acqua, per verificare se esso galleggi o meno.  
Con lo stesso sistema, si può prelevare un tratto più o meno lungo di intestino.  
La docimasia gastro‐intestinale può inoltre fornire informazioni circa la durata della vita extrauterina. 
La presenza di aria nello stomaco indica, infatti, una breve durata della vita extrauterina (circa 1 ora); 
nell’intestino,  una  durata  della  vita  extrauterina  di  12‐15  ore;  in  tutto  il  tubo  gastrointestinale,  di  24 
ore.  
 
Causa di errore: 
‐ Presenza di gas putrefattivi nel apparato digerente. 
 
 
2. Docimasia auricolare 
Si  fonda  sul  fatto  che,  in  assenza  di  respirazione,  l’orecchio  medio  contiene  una  massa  gelatinosa, 
costituita  da  tessuto  mucoso  fetale  o  da  liquido  amniotico,  il  quale  viene  eliminato  con  gli  atti 
respiratori e sostituito con aria. 
Per valutare il contenuto dell’orecchio medio occorre mettere allo scoperto la membrana timpanica che 
va, quindi, punta, dopo aver posto la testa in acqua.  
Se il feto ha respirato, dall’orecchio medio fuoriesce una bollicina di aria. 

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N.B. L’inizio della vita autonoma può essere provato ricercando eventi diversi dalla respirazione spontanea 
mediante docimasie non respiratorie. 
 
1. Docimasia alimentare 
Consiste nella ricerca dei residui alimentari della digestione all’interno del canale gastro‐intestinale. La 
presenza di tali residui confermano la vita autonoma del prodotto del concepimento. 
 
 

2. Docimasia batterica  
Consiste  nella  ricerca  dei  bacilli  coliformi  all’interno  del  contenuto  intestinale.  La  loro  presenza 
conferma la vita autonoma del prodotto del concepito. 
 
 
3. Docimasia renale 
Consiste  nella  ricerca,  all’interno  dei  tubuli  renali,  di  cristalli  di  acido  urico,  che  compaiono  durante  i 
primi  giorni  della  vita  extrauterina.  Tale  reperto  indirettamente  conferma  che  il  prodotto  del 
concepimento  è nato vivo  e che ha continuato a vivere per un certo periodo di tempo. 
 
 
4. Docimasia del nervo ottico, di cui viene valutata l’avvenuta mielinizzazione. 
 
 
 
ESTINZIONE DELLA CAPACITÀ GIURIDICA 
Sebbene non esista una vera e propria norma che stabilisca in quale momento cessi la capacità giuridica di 
un individuo, è da ritenere che essa venga meno al momento della morte. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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CAPACITÀ DI AGIRE 
 
Con  la  nascita,  l’essere  umano  acquisisce  la  capacità  giuridica  ma  è  soltanto  con  il  raggiungimento  della 
maggiore età (18° anno di vita) che egli viene ritenuto capace di curare i propri interessi e di compiere gli 
atti della vita civile. 
Pertanto,  il  minore  di  anni  18,  pur  avendo  capacità  giuridica,  non  possiede  ancora  la  capacità  di  agire, 
intesa  come  l’attitudine  ad  esercitare  diritti  e  ad  adempiere  ad  obblighi,  compiendo  manifestazioni  di 
volontà produttive di effetti giuridici.  6 
 
I presupposti della capacità di agire sono: 
 
1. Capacità giuridica, che si acquisisce al momento della nascita 
 
2. Maggiore età, fissata dal Codice Civile al compimento del 18° anno  
 
3. Capacità di intendere e di volere  
‐ Capacità d’intendere 
È l’attitudine a prevedere la portata e le conseguenze della propria condotta.  
Può essere quindi intesa come la coscienza dell'agire. 
Pertanto, il soggetto dotato della capacità di intendere  è in grado di stabilire correttamente se le 
sue azioni siano buone o cattive (valore morale), siano lecite o illecite (valore giuridico), siano utili o 
dannose all'interesse comune (valore sociale). 
‐ Capacità di volere 
È la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta adatta ad uno scopo.  
Può essere quindi intesta come la libertà dei propri atti. 
 
 
 
INTERDIZIONE 
L’interdizione  è  il  procedimento  giudiziale  che  priva  totalmente  della  capacità  di  agire  e  che  pone 
l’interdetto in stato di tutela.  
All’interdetto, si applicano le stesse norme previste per i minori.  
Si tratta di un istituto di protezione creato appositamente per la tutela degli interessi di persone incapaci. 
Devono  essere  interdetti  “il  maggiore  di  età  ed  il  minore  emancipato,  i  quali  si  trovino  in  condizioni  di 
abituale infermità di mente, che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi”  (art. 414 C.C.). 
 
Presupposti clinici per l’interdizione 
1. Esistenza  di  un’infermità  di  mente,  intesa  come  qualsiasi  malattia  psichica  ad  effetto  durevole,  che 
comporta  gravi  difetti  della  coscienza,  dell’affettività,  dei  poteri  associativi  e  soprattutto  di  quelli 
volitivi. 
 
2. Carattere abituale dell’infermità mentale 
Implica un giudizio prognostico di lunga durata o di cronicità del decorso clinico 
 
3. Gravità  della  stessa,  che  deve  essere  tale  da  rendere  il  soggetto  incapace  di  provvedere  ai  suoi 
interessi. 
Il giudizio di gravità va quindi espresso rapportando l’entità della minorazione psichica obbiettivata alla 
complessità degli interessi – soprattutto patrimoniali – che la persona deve curare. 
 
L’interdizione  può  essere  richiesta  dalle  persone  interessate  alla  conservazione  del  patrimonio 
dell’incapace (coniuge, parenti ed affini). 

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Viene disposta dal Giudice (perciò giudiziale) che deve accertarsi, di persona, dell’infermità mentale; in tale 
esame,  può  avvalersi  di  un  consulente  tecnico,  disporre  ogni  mezzo  istruttorio,  interrogare  i  parenti 
prossimi dell’interdicendo.   
Il  procedimento  è  obbligatorio,  qualora  sia  stata  accertata  l’assoluta  incapacità  di  provvedere  ai  propri 
interessi. 
Se interdetta, la persona verrà rappresentata da un tutore, nominato espressamente dal Giudice.  
Il tutore rappresenta l’interdetto in tutti gli atti civili che lo riguardano e ne amministra i beni.  
L’interdizione  determina,  infatti,  l’incapacità  assoluta  ai  negozi  patrimoniali  e  familiari.  In  particolare, 

l’interdetto non può  
‐ stipulare contratti 
‐ fare testamento  
‐ contrarre matrimonio 
‐ riconoscere figli naturali 
Di conseguenza, gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione, possono essere annullati 
su istanza del tutore, dell’interdetto stesso o dai suoi eredi. 
N.B. La donna interdetta può richiedere ed ottenere l’interruzione di gravidanza, con le modalità previste 
dalla legge. 
 
 
 
INABILITAZIONE 
 
L’inabilitazione è il procedimento giudiziale che priva il soggetto della capacità di compiere gli atti eccedenti 
l’ordinaria amministrazione e che gli impone l’assistenza da parte di un curatore. 
 
N.B. Gli atti di straordinaria amministrazione sono quelli che possono alterare o modificare la struttura e la 
consistenza del patrimonio (caso, ad esempio, della compravendita di immobili). 
Gli  atti  di  ordinaria  amministrazione,  invece,  sono  quelli  diretti  alla  gestione  del  patrimonio  e  che  non 
determinano un rischio di alterazione dello stesso (caso, ad esempio, di riscossione della pensione) 
 
Possono essere inabilitate (art. 415 C.C.) le seguenti categorie di soggetti: 
1. Il  maggiore  di  età,  infermo  di  mente,  il  cui  stato  non  è  talmente  grave  da  imporre  l’interdizione 
(deficienza psichica). Deve cioè presentare un’alterazione psichica che ne riduce le attitudini intellettive 
o volitive in modo notevole ma non così severo da causare la totale incapacità di provvedere ai propri 
interessi.  
È implicito che l’infermità debba essere durevole.  
2. Coloro che, per prodigalità – abitudine, cioè, a dissipare i propri beni –  o per abuso abituale di bevande 
alcoliche o di stupefacenti, espongono sé stessi o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. 
3. Il  sordo  ed  il  cieco  dalla  nascita  o  dalla  prima  infanzia,  se  non  abbiano  ricevuto  un’educazione 
sufficiente,  salva  l’applicazione  dell’interdizione  quando  risulta  che  essi  siano  del  tutto  incapaci  di 
provvedere ai loro interessi.  
 
L’inabilitazione  –  che  è  una  forma  semplice  di  limitata  capacità  di  agire  –    non  è  obbligatoria  come 
l’interdizione, bensì facoltativa e viene dichiarata da sentenza giudiziaria, con le stesse formalità richieste 
per l’interdizione.  
L’inabilitato può:  
‐ compiere gli atti non eccedenti l’ordinaria amministrazione dei propri beni  
‐ contrarre matrimonio  
‐ disporre per testamento  
Per gli atti eccedenti, è assistito da un curatore.    
 
 

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N.B.  L’inabilitazione,  come  l’interdizione,  costituisce  un  provvedimento  revocabile  qualora  sia  cessata  la 
causa per la quale essa è stata pronunciata. 
Se il magistrato ritiene che l’interdetto abbia riacquistato solo parzialmente e non totalmente la capacità di 
agire, egli può revocare l’interdizione e dichiarare inabilitato l’infermo medesimo.  
 
 
N.B.  La  minore  età,  l’interdizione  e  l’inabilitazione  costituiscono  situazioni  di  incapacità  di  agire  che 
vengono stabilite dalla legge (incapacità legale). 

  
Si parla, invece, di incapacità naturale quando persona  legalmente capace –quindi maggiore di età, non 
interdetta e non inabilitata –  si trovi in situazioni cliniche tali che la rendono, in un dato momento, di fatto 
incapace di comprendere il significato giuridico e le conseguenze degli atti che compie. 
Tali atti possono essere annullati, su istanza della persona medesima o dei suoi eredi. 

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Nel  sistema  di  sicurezza  sociale,  garantito  dalla  Costituzione,  si  delineano  due  fondamentali  ordini  di 
intervento, da parte dello Stato, a favore del cittadino che versi in situazioni di bisogno: 
1. Interventi di tipo assistenziale 
2. Interventi di tipo previdenziale 
 
Interventi di tipo assistenziale 
Sono  rivolti  a  cittadini  –  anche  non  lavoratori  –    invalidi  (invalidi  civili),  non  altrimenti  tutelati,  ed  il  loro 
finanziamento è garantito dallo Stato. 

Sono quindi esclusi dal novero degli invalidi civili: invalidi di guerra, invalidi del lavoro, invalidi per causa di 
servizio, invalidi pensionabili INPS, ciechi civili e sordi, per i quali provvedono specifici disposti di legge. 
 
Interventi di tipo previdenziale 
Sono rivolti ai lavoratori beneficiari di assicurazioni sociali ed il loro intento è quello di prevenire situazioni 
di  bisogno  derivanti  dal  verificarsi  di  eventi  che  il  Legislatore  individua  in  infortuni,  malattie,  invalidità, 
vecchiaia, disoccupazione involontaria. 
Il finanziamento degli interventi previdenziali è di tipo contributivo. 
 
 
 
Invalidità civile 
 
 
Secondo la legge n. 118, del ‘71, sono considerati mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazione 
congenita  o  acquisita,  anche  a  carattere  progressivo  –  compresi  gli  irregolari  psichici  per  oligofrenie  di 
carattere organico o dismetabolico ed insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali* –  che 
abbiano subito una permanente riduzione della capacità lavorativa, in misura non inferiore ad un terzo, 
se si tratta di persone di età compresa fra i 18 ed i 65 anni. 
I minori di anni 18 e gli ultrasessantacinquenni, sono invece considerati invalidi civili se abbiano difficoltà 
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. 
 
* La legge n. 118 del ’71, pertanto, escludeva dalla categoria degli invalidi civili, i pz psichiatrici, per i quali 
era prevista, come tutela, il ricovero in manicomio. 
Ciò è stato superato con il DL n. 509 dell’88. 
 
Il DL n.509 dell’88 precisa che le minorazioni congenite o acquisite, della legge 118 del’71, comprendono 
gli  esiti  permanenti  delle  infermità  fisiche  e/o  psichiche  e  sensoriali  che  comportino  un  danno  funzionale 
permanente. 
 
I parametri di giudizio, quindi, per la valutazione dell’invalidità civile, nelle persone di età compresa fra 18 e 
65 anni, sono: 
‐ Danno funzionale permanente, sotteso dall’infermità 
‐ Entità della riduzione della capacità lavorativa 
N.B.  Non  ha  senso  parlare  di  capacità  lavorativa  generica.  Si  dovranno,  cioè,  verificare  come  le 
accertate  infermità  si  ripercuotano  sulla  capacità  lavorativa  specifica  o  in  occupazioni  confacenti  alle 
attitudini della persona esaminata. 
 
Il  giudizio  valutativo  conclusivo  viene  espresso  in  percentuali  di  invalidità  permanente,  considerando  le 
tabelle di legge ed il sistema valutativo tabellare, secondo quanto stabilito nel DM Salute del 5 febbraio del 
‘92.  N.B.  Le  nuove  tabelle  introdotte  con  tale  DM  differiscono  da  quelle  riportate  nel  DL  n.  509  dell’88, 
perché 1. più restrittive in termini di percentuali di invalidità permanente assegnate alle diverse infermità e 
perché  2.  non  includono  la  condizione  di  tossicodipendenza  (a  cui  veniva  assegnata  una  percentuale  di 
invalidità permanente del 46%).  

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La legge distingue diversi gradi di invalidità, a seconda dei quali sono previsti benefici diversi: 
 
‐ Se l’invalidità è superiore ad un terzo (dal 34% in poi), la  persona ha diritto alla qualifica di invalido 
civile e quindi alla concessione eventuale di prestazioni protesiche ed ortopediche. 
 
 
‐ Se  l’invalidità  supera  il  45%,  la  persona  ha  il  diritto  all’iscrizione  in  liste  speciali  per  l’assunzione 
obbligatoria al lavoro. 

N.B.  Il  collocamento  lavorativo  delle  persone  invalide,  con  la  Legge  Biagi  del  2003,  è  stato  reso  mirato.  Tiene 
conto,  cioè,  delle  capacità  lavorative  delle  persone  invalide,  in  modo  da  inserirle  nel  posto  ad  esse  più  adatto, 
quando  disponibile.  A  differenza  del  passato,  quindi,  non  ci  si  attiene  più  solo  alla  posizione  in  graduatoria 
dell’invalido.  
 
 
‐ Se  l’invalidità  è  pari  o  superiore  al  74%,  la  persona  ha  diritto  all’assegno  mensile,  come  invalido 
parziale. 
L’assegno mensile, come invalido parziale, è reddituale nel senso che, per essere percepito, il soggetto 
non deve disporre di un reddito annuo personale superiore ad una determinata soglia. 
 
 
‐ Se l’invalidità è del 100%, la persona ha diritto alla pensione di invalidità,  come invalido totale. 
Anche la pensione di invalidità, come invalido totale, è reddituale.  
Un soggetto invalido totale, non deambulante o non autosufficiente, inoltre, ha diritto all’indennità di 
accompagnamento. 
Si  tratta  di  un  beneficio  economico  che  viene  concesso  agli  invalidi  civili  totali,  nei  cui  confronti  le 
apposite  Commissioni  Sanitarie,  presso  le  ASL  competenti  per  territorio,  abbiano  accertato  che  si 
trovino  nell’impossibilità  di  deambulare,  senza  l’aiuto  permanente  di  un  accompagnatore,  o  di 
compiere gli atti quotidiani della vita*, avendo quindi bisogno di un’assistenza continua. 
Basta che venga accertata l’esistenza anche di una sola delle due condizioni. 
* Per atti quotidiani della vita bisogna intendere non solo il nutrirsi, il lavarsi ed il vestirsi ma anche la 
capacità  di  poter  chiedere  soccorso,  di  accendere  la  tv  o  la  radio.  Tra  le  patologie  che  rendono  il 
soggetto  non  più  in  grado  di  compiere  gli  atti  quotidiani  della  vita  vi  sono,  ad  esempio,  quelle 
demenziali. 
L’indennità di accompagnamento: 
1. È indipendente dall’età della persona 
2. Non è subordinata a limiti di reddito  
3. È compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa 
4. Non è reversibile (cioè non si trasmette agli eredi dopo la morte dell’invalido) 
 
 
 
Nel caso di minori di anni 18 e di soggetti ultrasessantacinquenni non ha significato far dipendere il giudizio 
di invalidità dalla valutazione della residua capacità di lavoro.  
Si tratta, infatti, di soggetti che non svolgono alcuna attività lavorativa.  
Per tale motivo, in queste fasce di età, il Legislatore ha indicato, come riferimento valutativo, le difficoltà 
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età considerata. 
 
Agli invalidi civili, minori di 18 anni, può esser concessa un’indennità di frequenza o di accompagnamento. 
Lo scopo dell’indennità di frequenza è quello di fornire un aiuto alle famiglie di minori invalidi che devono 
sostenere spese legate alla frequentazione di una scuola, pubblica o privata, o di un centro specializzato per 
terapie o riabilitazione.  
L’indennità  di  frequenza  viene  pagata  mensilmente  ed  il  suo  importo  è  stato  equiparato  a  quello 
dell’assegno mensile, percepito dagli invalidi civili parziali. 

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A  differenza  della  indennità  di  accompagnamento,  l’indennità  di  frequenza  è  concessa  ai  bisognosi.  La 
Legge,  quindi,  stabilisce  un  reddito  annuo  che  non  deve  essere  superato,  pena  la  non  ricevibilità 
dell’indennità.  
N.B. L’indennità di frequenza è concessa anche ai sordi parziali minori di anni 18, quando si riconosce che 
essi  abbiano  la  necessità  di  frequentare  centri  specializzati  nel  trattamento  o  nella  riabilitazione  della 
specifica infermità. 
 
L’indennità di accompagnamento viene concessa ai minori che si trovino nell’impossibilità di deambulare, 

senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitando, 
quindi, di un’ assistenza continua.  
 
 
Per  quanto  riguarda  gli  invalidi  civili  ultrasessantacinquenni,  al  compimento  del  65°  anno  di  età,  in 
sostituzione  dell’assegno  e  della  pensione  di  invalidità,  viene  corrisposto,  da  parte  dell’INPS,  un  assegno 
sociale, reddituale. 
All’invalido civile ultrasessantacinquenne, inoltre, può essere concessa un’indennità di accompagnamento, 
se non deambulante o non autosufficiente. 
 
 
 
Modalità per ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile 
 
La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile può essere presentata: 
‐ dall’interessato che si ritiene invalido; 
‐ da chi rappresenta legalmente l’invalido (genitore, nel caso di minori; tutore, nel caso di interdetti); 
‐ da chi cura gli interessi dell’invalido (curatore, nel caso di inabilitati). 
 
La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile va presentata all’INPS territorialmente competente. 
Dal  1°  gennaio  2010  la  presentazione  della  domanda  avviene  in  modo  informatizzato  ed  è  necessario 
coinvolgere, in prima battuta, il medico curante, il cui compito è quello di attestare la natura delle infermità 
invalidanti, compilando appositi modelli di certificazione (certificato introduttivo), predisposti dall’INPS. Dal 
1° gennaio 2010, quindi, il medico curante diviene il medico certificatore. 
L’invalidità  civile  è  riconosciuta  dall’ASL  che  decide  in  materia  attraverso  una  specifica  Commissione.  La 
Commissione  è  composta  da  un  medico  specialista  in  medicina  legale  –  che  assume  le  funzioni  di 
presidente –  e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro.  
Dal  1°  gennaio  2010,  la  Commissione  è  integrata  da  un  medico  INPS  quale  componente  effettivo. 
Alla Commissione partecipa, infine, un sanitario in rappresentanza dell’Associazione nazionale dei mutilati 
ed invalidi civili (ANMIC). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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TUTELA  DELLE PERSONE AFFETTE DA CECITÀ TOTALE O PARZIALE 
 
 
Rientrano nel novero dei CIECHI CIVILI solo quelli che lo sono dalla nascita e quelli che lo sono divenuti a 
causa di malattie o di infortuni, escludendo quelli che lo sono diventati per cause di guerra, di servizio o di 
lavoro, per i quali provvedono altri dispositivi di legge. 
 
Secondo la normativa vigente, si definiscono: 

 
Ciechi totali 
1. Coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi 
2. Coloro  che  hanno  la  mera  percezione  dell'ombra  e  della  luce  o  del  moto  della  mano  in  entrambi  gli 
occhi o nell'occhio migliore 
3. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento 
 
Ciechi parziali 
1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore ad 1/20 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, 
anche con eventuale correzione 
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento. 
 
Ipovedenti gravi 
1. Coloro  che  hanno  residuo  visivo  non  superiore  ad  1/10  in  entrambi  gli  occhi  o  nell'occhio  migliore 
(anche con eventuale correzione) 
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30%. 
 
Ipovedenti medio‐gravi 
1. Coloro  che  hanno  un  residuo  visivo  non  superiore  a  2/10  in  entrambi  gli  occhi  o  nell'occhio  migliore 
(anche con eventuale correzione) 
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50%. 
 
Ipovedenti lievi 
1. Coloro  che  hanno  un  residuo  visivo  non  superiore  a  3/10  in  entrambi  gli  occhi  o  nell'occhio  migliore, 
anche con eventuale correzione 
2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60%. 
 
 
Le provvidenze economiche per il cieco totale sono la pensione e l'indennità di accompagnamento, data la 
necessità di assistenza continua, con possibilità di un ulteriore aumento del 45% nel caso di minori ciechi 
assoluti pluriminorati. 
 
I ciechi parziali si distinguono in: 
‐ Ventesimisti, che hanno diritto alla pensione di invalidità  
‐ Decimisti, che hanno diritto all’assegno di invalidità, sempre se sussistono determinati limiti reddituali 
previsti dalla legge. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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TUTELA DELLE PERSONE AFFETTE DA SORDITÀ 
 
 
La  nuova  disciplina  in  favore  dei  minorati  auditivi  (Legge  n.95  del  2006)  stabilisce  la  sostituzione  del 
termine di sordomuto con quello di sordo in tutte le disposizioni legislative vigenti. 
Ciò  è  stato  fatto  al  fine  di  superare  una  qualifica  impropria  sul  piano  medico‐fisiologico,  socialmente 
discriminante per ragioni culturali e, soprattutto, irrispettosa delle possibilità di miglioramento – in termini 
di acquisizione del linguaggio parlato – garantite dalla riabilitazione. 

Agli effetti di tale Legge, si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito, affetto da sordità congenita o 
acquisita durante l’età evolutiva – entro 12 anni – che gli abbia compromesso il normale apprendimento del 
linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica. 
Si  parla  quindi  di  compromissione  del  normale  apprendimento  del  linguaggio  parlato  e,  non  più,  di 
impedimento – come nel testo originario del ’70 – includendo così anche quei casi in cui l’ipoacusia abbia 
solo ridotto o reso difficoltoso tale apprendimento. 
Per Decreto Ministeriale, viene ritenuta compromettente il normale apprendimento del linguaggio parlato, 
un’ipoacusia >/= 75 dB HTL di media tra le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz, nell’orecchio migliore. 
 
Le prestazioni concesse dall’INPS ai sordi sono: 
1. Indennità di comunicazione 
2. Pensione    
 
Indennità di comunicazione 
Viene  concessa  ai  sordi  per  il  solo  titolo  della  minorazione,  indipendentemente  dallo  stato  di  bisogno 
economico, dall’età o dall’eventuale ricovero in istituto. 
Ai fini della concessione di quest’indennità, se il richiedente  non supera i 12  anni di età, l’ipoacusia deve 
essere pari o superiore a 60 decibel HTL di media tra le frequenze 500, 1000, 2000 Hz, nell’orecchio migliore.  
Qualora il richiedente abbia superato tale età, l’ipoacusia deve essere pari o superiore a 75 decibel HTL e 
deve essere dimostrata l’insorgenza dell’ipoacusia prima del compimento del dodicesimo anno. 
 
N.B.  Per  quanto  riguarda  i  minorenni,  l’indennità  di  comunicazione  è  incompatibile  con  l’indennità  di 
frequenza, ammettendo la facoltà di opzione per il trattamento più favorevole. 
 
Nel  certificato  medico  che  si  rilascia  ai  fini  del  riconoscimento  dell’indennità  di  comunicazione  occorre 
indicare: 
1. Quando si è manifestata la sordità (epoca prelinguale o meno) 
2. Grado di sviluppo del linguaggio 
3. Valutazione audiometrica recente 
4. Possibilità effettive di recupero  
5. Necessità di protesi 
 
 
Pensione 
I requisiti richiesti per aver concessa la pensione come sordo sono: 
1. Età compresa tra 18 e 65 anni 
2. Prova della sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva (entro 12 anni), con ipoacusia >/= 
75  dB  HTL  di  media  tra  le  frequenze  500,  1000  e  2000  Hz,  nell’orecchio  migliore,  che  abbia  reso 
difficoltoso il normale apprendimento del linguaggio parlato 
3. Reddito annuo personale non superiore ad una certa soglia 
 
Al conseguimento del 65° anno di vita la pensione è sostituita dall’assegno sociale. 
 
 

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LEGGE‐QUADRO  PER  L’ASSISTENZA,  L’INTEGRAZIONE  SOCIALE  ED  I  DIRITTI  DELLE  PERSONE 


HANDICAPPATE (LEGGE 5 FEBBRAIO 1992 n. 104) 
 
Secondo  la  Legge,  si  considera  handicappata,  la  persona  che  presenta  una  minorazione  fisica,  psichica  o 
sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di una difficoltà di apprendimento, di vita di relazione e di 
integrazione lavorativa tale da determinare un processo di svantaggio sociale e di emarginazione. 
 
I concetti fondamentali della definizione sono quindi: 

1. Minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva (cdt impairment) 
 
2. Difficoltà di apprendimento, della vita di relazione e di integrazione lavorativa (cdt disability) 
 
3. Svantaggio sociale ed emarginazione (cdt handicap) 
 
N.B. 
Il  giudizio  relativo  alla  presenza  di  handicap  è  di  tipo  qualitativo  e  viene  formulato  valutando  l’effettiva 
integrazione della persona disabile nella vita sociale e lavorativa.   
Tale  giudizio,  pertanto,  deve  essere  personalizzato  e  deve  tener  conto  dell’importanza  dei  cdt  “fattori 
estrinseci” tra cui rientrano fattori culturali, fattori ambientali e fattori inerenti all’organizzazione scolastica 
ed al mercato del lavoro.   
 
Gli accertamenti sono effettuati dalle Aziende Sanitarie Locali, mediante Commissioni Mediche, integrate 
da un operatore sociale e da un esperto dei casi da esaminare. 
 
Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, tanto da 
rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o 
in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità.  
Le  situazioni  riconosciute  di  gravità  determinano  priorità  nei  programmi  e  negli  interventi  dei  servizi 
pubblici. 
 
Principali diritti riconosciuti alle persone handicappate 
1. Diritto all’integrazione scolastica 
2. Diritto all’integrazione lavorativa 
3. Diritto alla piena integrazione nella vita sociale 
4. Diritto ad avere un aiuto personale per lo svolgimento della vita quotidiana per chi non è autosufficiente 
5. Diritto a risiedere in speciali comunità alloggio ed in speciali centri socio‐riabilitativi per chi presenti un 
handicap di grado elevato  
6. Diritto di ottenere dai Comuni appositi spazi per parcheggiare la propria auto  
7. Diritto alla rimozione di ostacoli che limitano la fruizione di strutture sportive, ricreative,  turistiche 
8. Diritto di accesso alle informazioni 
9. Diritto  di  portare  in  detrazione  dal  reddito  complessivo  le  spese  mediche  o  di  assistenza  inerenti    alla 
condizione di handicap 
10. Diritto all’assistenza specialistica  
11. Diritto alla riserva di alloggi 
 
L’art.  33  della  legge  104/1992,  inoltre,  stabilisce  che  la  madre  lavoratrice  o,  in  alternativa,  il  padre 
lavoratore di minore portatore di grave handicap ha diritto al prolungamento, fino a 3 anni, dell’astensione 
facoltativa dal lavoro. 
 
Ulteriori diritti riconosciuti ai genitori di minori con grave handicap sono: 
1. Diritto di ottenere permessi anche dopo il compimento del III anno di età 
2. Diritto scegliere la sede del lavoro più vicina al domicilio 
3. Impossibilità di trasferimento senza il loro consenso  ad altre sedi 

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Assicurazioni sociali 
 
 
Differenze delle assicurazioni sociali rispetto a quelle private 
 
1. Nelle  assicurazioni  sociali,  il  soggetto  assicuratore  è  esclusivamente  un  Ente  Pubblico  (INAIL  o  INPS), 
istituito da apposite leggi dello Stato, che ne controlla la gestione. 
Nelle assicurazioni private, invece, il soggetto assicuratore è una delle numerose compagnie private che  7 
gestiscono  il  mercato  assicurativo  e  che  sono  sottoposte  alla  vigilanza  dell’ISVAP  (Istituto  per  la 
Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di interesse collettivo) 
 
2. Nelle assicurazioni sociali, l’assicurante è il datore di lavoro che deve denunciare l’inizio del rapporto di 
lavoro  del  dipendente  e  che  deve  assicurare  quest’ultimo  pagando,  nei  modi  e  tempi  stabiliti,  i 
contributi fissati dalle leggi (le assicurazioni sociali sono, infatti, obbligatorie). 
Nelle assicurazioni libere, invece, è un cittadino privato che sceglie e sottoscrive una polizza. 
 
3. Nelle  assicurazioni  sociali,  le  prestazioni  erogate  sono  automatiche:  al  realizzarsi  del  rischio,  infatti, 
esse  vengono  concesse  al  lavoratore  dipendente,  in  ogni  caso,  anche  quando  il  datore  di  lavoro  non 
abbia adempiuto né agli obblighi di denuncia dell’inizio del rapporto di lavoro né a quelli contributivi. 
Nelle  assicurazioni  private,  invece,  ai  fini  della  validità  della  garanzia  assicurativa,  è  necessario  che 
l’assicurato fornisca la prova del pagamento della polizza. 
 
4. Le assicurazioni sociali esulano da ogni scopo di lucro. 
Le assicurazioni private, invece, agiscono secondo le leggi del mercato e del profitto. 
 
5. Nelle  assicurazioni  sociali,  le  prestazioni  economiche  e  sanitarie,  sono  erogate  sulla  base  di  criteri 
uniformi e correlate alla gravità del danno biologico e delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli che 
ne derivano. 
Nelle assicurazioni private, invece, le prestazioni sono, generalmente, di carattere economico e variano 
a seconda dei massimali garantiti dalla polizza. 
 
6. Le  assicurazioni  sociali  non  si  limitano  ad  indennizzare  i  danni  derivanti  al  lavoratore  dagli  eventi 
pregiudizievoli  che  lo  colpiscono,  ma  perseguono  anche  scopi  preventivi,  assistenziali  e  riabilitativi, 
essendo parte integrante del sistema di sicurezza sociale.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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INAIL e assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali 
 
 
Il  T.U.  per  l’assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro,  contenuto  nel  D.P.R  n.1124  del  1965,  stabilisce 
l’obbligo,  per  il  datore  di  lavoro,  dell’assicurazione  contro  i  danni  fisici  ed  economici  che  il  lavoratore 
subisce a causa di infortuni sul lavoro e malattie professionali.  
Dispone inoltre che l’ente pubblico erogante l’assicurazione sia rappresentato dall’INAIL. 
  8 
Il  T.U.  si  articola  in  4  titoli,  per  complessivi  296  articoli,  concernenti  il  settore  dell’industria,  quello 
dell’agricoltura, i cdt regimi speciali e particolari categorie di lavoratori. 
Oggi la tutela viene estesa anche ai lavoratori domestici, alle casalinghe ed ai medici radiologi. 
   
 
 
Infortunio sul lavoro 
 
Gli elementi costitutivi della figura giuridica dell’infortunio sul lavoro, indennizzabile dall’INAIL, sono:  
1. L’esistenza del rischio 
2. L’occasione di lavoro 
3. La causa violenta 
4. Il danno lavorativo, per eventi antecedenti al 25 luglio del 2000 
5. Il danno biologico e le sue eventuali conseguenze patrimoniali, per gli eventi successivi al 25 luglio del 
2000 
 
 
Esistenza del rischio 
Per  quanto  riguarda  il  concetto  di  rischio,  quest  ultimo  viene  inteso  come  il  grado  di  probabilità  del 
verificarsi di un evento dannoso. 
Tuttavia,  ai  fini  della  tutela  previdenziale,  non  basta  la  sola  dimostrazione  dell’esistenza  di  un  rischio 
generico.  
Deve piuttosto trattarsi di un rischio lavorativo o rischio protetto, nel senso che il lavoro deve, esso stesso, 
condizionare, ed in qualche modo, aggravare la natura e l’entità del rischio. 
 
Da un punto di vista tecnico‐assicurativo e giuridico, si parla di:  
‐ Rischio generico, per indicare la semplice possibilità del verificarsi di un evento dannoso.  
È il rischio a cui è sottoposta la generalità degli appartenenti ad una data collettività.  
Tutti, ad esempio, sono sottoposti al rischio di un terremoto. 
 
‐ Rischio generico aggravato, quando sussiste la probabilità del verificarsi dell’evento stesso.  
Tale maggiore gravità del rischio deriva dall’attività lavorativa espletata, che costringe il lavoratore ad 
esporsi a determinati fattori di rischio.  
Per  esempio,  gli  addetti  alla  manutenzione  delle  strade  sono  più  esposti  di  altre  persone  ad  essere 
vittima di incidenti stradali. 
 
‐ Rischio specifico, quando la probabilità che si verifichi l’evento dannoso risulta elevata. 
È  un  rischio  che  grava  soltanto  su  coloro  che  svolgono  una  certa  attività  e  che  quindi  dipende  dalle 
particolari caratteristiche dell’attività espletata. 
Un rischio specifico, ad esempio, sussiste nel caso di lavoratori addetti alla bonifica di campi minati e di 
elettricisti addetti alla riparazione di impianti o circuiti elettrici. 
 
N.B. Affinché sussista la tutela previdenziale è necessario che l’evento dannoso sia correlato ad un rischio 
generico aggravato o specifico. 
 

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Occasione di lavoro 
Si  riferisce  al  fatto  che,  per  sussistere  la  tutela  previdenziale,  l’evento  dannoso  deve  accadere  in  stretta 
connessione con il perseguimento delle specifiche finalità di lavoro. 
 
Inciso 
su 
infortunio in itinere 
 

È  l’infortunio  che  il  lavoratore  subisce  nell’andare  dalla  propria  abitazione  verso  il  luogo  di  lavoro  o  nel 
ritornare da esso. 
Quando,  nel  corso  del  tragitto,  il  lavoratore  è  esposto  al  solo  rischio  generico,  come  tutti  i  cittadini, 
l’eventuale infortunio sarà escluso dalla tutela assicurativa. 
Se, invece, il compiere tale tragitto comporti un aggravamento del rischio generico o un rischio specifico di 
lavoro (caso ad esempio della necessità di attraversare a piedi l’unica strada percorribile e particolarmente 
accidentata), sarà lecito parlare di infortunio indennizzabile.  
 
 
 
Causa violenta 
Per causa violenta s’intende qualsiasi fattore o antecedente lesivo che produca il danno, agendo sul corpo 
umano dall’esterno, in modo sufficientemente intenso e rapido nel tempo.  
 
Le caratteristiche della causa violenta sono quindi: 
1. Esteriorità  
La  causa  del  danno  deve,  cioè,  agire  dall’esterno  e,  più  precisamente,  deve  derivare  dall’ambiente  di 
lavoro. 
 
2. Sufficiente intensità lesiva 
La causa deve essere, cioè, quantitativamente idonea a produrre l’effetto dannoso 
 
3. Azione rapida e concentrata nel tempo 
Si considera concentrata nel tempo, l’azione lesiva di quell’antecedente causale la cui durata non superi 
quella di un turno di lavoro.  
Si  tratta,  questo,  di  un  elemento  di  giudizio  importante  ai  fini  della  DD  tra  infortunio  sul  lavoro  e 
malattia professionale (nella quale si parla di causa lenta e diluita nel tempo). 
 
Le cause di infortunio sul lavoro possono essere di natura: 
‐ Fisica (energia meccanica, elettrica, elettromagnetica e termica) 
‐ Chimica (sostanze tossiche) 
‐ Microbica 
‐ Psichica (grave stress emotivo ricollegabile al lavoro svolto dall’assicurato) 
 
 
 
Danno indennizzabile 
Può consistere in: 
1. Morte dell’assicurato 
2. Inabilità permanente assoluta al lavoro 
3. Inabilità permanente parziale 
4. Inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più 3 gg 
5. Danno biologico (allorché si superi la franchigia del 6%) con le eventuali conseguenze patrimoniali  
N.B. l’indennizzabilità del danno biologico è stata introdotta dall’art.13 del DL n.38 del 2000 e riguarda i 
soli eventi denunciati a partire dal 25 luglio dello stesso anno.  

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Inabilità 
L’inabilità e, cioè, la riduzione o la perdita della capacità lavorativa, rappresenta il parametro di valutazione 
per stabilire l’indennizzabilità degli eventi infortunistici precedenti al 25 luglio del 2000.  
Sono indennizzabili INAIL:   
‐ Inabilità permanente assoluta  
‐ Inabilità permanente parziale  
‐ Inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più 3 gg 
 
10 
Sec. l’art.74 del T.U. 1124/65 deve ritenersi  
‐ Inabilità  permanente  assoluta,  la  conseguenza    di  un  infortunio  o  di  una  malattia  professionale  che 
tolga, completamente, e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro. 
‐ Inabilità  permanente  parziale,  la  conseguenza  di  un  infortunio  o  di  una  malattia  professionale  che  
diminuisca, in parte, e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro 
 
La valutazione dell’inabilità permanente viene fatta tenendo conto delle tabelle valutative annesse al T.U. 
che  riportano,  per  ciascuna  delle  menomazioni  citate,  valori  di  inabilità  permanente,  uguali  per  tutti  i 
lavoratori  appartenenti  allo  stesso  settore  considerato,  senza  alcuna  differenza  a  seconda  della  diversa 
attività espletata. 
Caso per caso si valuta , quindi, l’incidenza della menomazione biologica sull’attitudine al lavoro, intesa non 
in  senso  specifico  né  in  senso  generico.  Viene  piuttosto  riferita  a  tutte  quelle  attività  che  il  lavoratore 
potrebbe svolgere nel settore di appartenenza (industria o agricoltura). 
 
N.B. La rendita per inabilità permanente, erogata dall’INAIL, ha la funzione di indennizzare il danno subito 
dal  lavoratore,  non  per  le  conseguenze  fisiche  o  psichiche  in  sé,  ma  per  le  ripercussioni  negative  che  da 
esso derivano sull’attitudine al lavoro proficuo dell’assicurato (danno lavorativo). 
La rendita  per inabilità permanente, quindi, costituisce, per l’assicurato, un corrispettivo economico  della 
ridotta capacità di trarre un guadagno dalla propria forza lavoro. 
Pertanto,  prima  delle  recenti  norme  (DL  n.38/2000),  restavano  esclusi  il  danno  estetico  e  quello  della 
funzione sessuale. 
 
 
Danno biologico 
Consiste nella menomazione della integrità psico‐fisica della persona –  comprensiva degli aspetti personali 
e dinamico‐relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico‐legale –  ed indipendente da ogni 
riferimento alla capacità di produrre reddito. 
 
Con DL n.38 del 2000, quello biologico, diventa il tipo di danno da valutare, ai fini dell’indennizzo, per gli 
infortuni sul lavoro verificatisi dal 25 luglio del 2000.  
‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è inferiore al 6%, il lavoratore non 
ha diritto a nessun indennizzo. 
 
‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è pari o superiore al 6% e sino al 
15% compreso, vi sarà un indennizzo in capitale del solo danno biologico. 
 
‐ Se  il  grado  di  menomazione  della  integrità  psico‐fisica  della  persona  è  pari  o  superiore  al  16%,  si 
costituirà  una  rendita,  di  cui  una  quota,  per  danno  biologico  ed  un  quota  aggiuntiva,  per  le 
conseguenze patrimoniali della menomazione. 
 
 
 
 
 
 

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Il decreto in questione è completato dalle seguenti tabelle: 
1. Tabella  delle  menomazioni,  per  la  valutazione  del  danno  biologico,  in  cui  rientrano  anche 
menomazioni dell’integrità psico‐fisica che, nel passato, non erano considerate (caso del danno estetico 
e del danno alla sfera riproduttiva e sessuale). 
 
 
2. Tabella di indennizzo del danno biologico   
È improntata ai seguenti criteri:  
11 
1) È areddituale. 
Si  presume,  cioè,  che  il  grado  di  menomazione  dell’integrità  psico‐fisica  produca  lo  stesso 
pregiudizio  alla  salute  in  tutti  gli  essere  umani,  indipendentemente  dal  diverso  reddito  da  lavoro 
prodotto. 
 
2) È crescente, nel senso che l’indennizzo cresce, col crescere del grado di menomazione. 
 
3) È  variabile  a  seconda  dell’età  (decresce,  cioè,  con  il  crescere  degli  anni,  per  la  diminuzione  del 
tempo di vita residua) e del sesso (per la maggiore longevità delle donne). 
 
4) È ugualmente valida per tutti i settori lavorativi (industria e agricoltura) 
 
 
3. Tabella dei coefficienti  
Serve  per  calcolare  l’ulteriore  quota  di  rendita,  qualora  il  danno  biologico  abbia  anche  conseguenze 
patrimoniali. 
Tale  quota  aggiuntiva  viene  commisurata  all’incidenza  della  menomazione  sulla  capacità 
dell’infortunato di produrre reddito, grazie al proprio lavoro.  
Tiene conto del settore di appartenenza dell’assicurato  e della sua ricollocabilità in esso. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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NESSO CAUSALE NELL’INFORTUNISTICA INAIL  
 
La causalità (rapporto, cioè, tra antecedente e susseguente), nell’infortunistica INAIL, deve essere valutata 
sulla basa dei seguenti criteri di giudizio: 
 
1. Criterio cronologico, per il quale l’epoca in cui i postumi o gli esiti dannosi si consolidano, deve essere 
compatibile con la natura, l’entità e la modalità d’azione della causa. 
 
12 
2. Criterio  quantitativo,  secondo  cui  occorre  che  vi  sia  adeguatezza  fra  l’intensità  della  forza  lesiva  e 
l’entità degli effetti prodotti. 
 
3. Criterio  qualitativo,  secondo  cui  deve  esserci  compatibilità  tra  la  natura  della  causa  e  quella  delle 
manifestazioni cliniche prodotte. 
 
4. Criterio  modale,  secondo  cui  la  causa  deve  agire  in  modo  rapido  e  concentrato  nel  tempo  (turno 
lavorativo).  
 
5. Criterio topografico, secondo cui deve esserci corrispondenza fra le sedi di applicazione del trauma e 
quelle delle manifestazione cliniche. 
 
6. Criterio della continuità fenomenologica, secondo cui deve esistere un continuum di sintomi e di segni 
clinici fra la lesione iniziale e gli esiti dannosi finali. 
 
7. Criterio di esclusione 
 
8. Criterio epidemiologico 
 
 
 
Condizioni necessarie ma non sufficienti a produrre un evento vanno sotto il nome di concause   
 
Le concause  possono essere: 
  
‐ preesistenti 
‐ simultanee  
‐ sopravvenute  
 
‐  di lesione  
‐ di infortunio. 
 
 
Si parla di concause preesistenti di lesione quando le conseguenze lesive dirette dell’infortunio si innestano 
su  di  una  condizione  morbosa  preesistente,  indipendente  dall’infortunio  stesso,  con  la  conseguenza  di 
produrre effetti lesivi più gravi di quelli che il semplice evento infortunistico avrebbe prodotto da sé solo. 
Esempi: diabete o emofilia preesistenti che complicano il decorso di un banale infortunio. 
 
 
Concause  simultanee  o  sopravvenute  di  lesione  sono,  ad  esempio,  rappresentate  dalle  conseguenze 
dannose di una cattiva assistenza o di un inadeguato trattamento. 
 
Per quanto riguarda le concause sopravvenute di lesione, esse escludono il rapporto causale solo quando 
sono estranee al lavoro e da sé sole sufficienti a determinare l’evento. 
 

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Le  concause  di  infortunio  sono  quelle  che  aumentano  il  rischio  del  verificarsi  dell’evento  infortunistico. 
Esempi: preesistenti deficit deambulatori e visivi.  
 
N.B. Le concause di infortunio non escludono il rapporto di causalità ed anzi, in alcuni casi, l’aggravamento 
del  rischio  di  infortunio,  dovuto  a  condizioni  cliniche  pre‐esistenti  del  lavoratore,  può  configurare  una 
fattispecie di colpa per il datore di lavoro. 
 
  13 
 
Malattia Professionale 
 
 
Si  definiscono  malattie  professionali,  del  lavoro  o  tecnopatie  quelle  che  colpiscono  i  lavoratori  assicurati 
INAIL, esposti in modo protratto al rischio tutelato (rischio generico aggravato e rischio specifico) e per le 
quali sia certa la derivazione causale dall’attività espletata. 
In  particolare,  l’assicurato  deve  contrarre  la  tecnopatia  “nell’esercizio”  ed  “a  causa  della  lavorazione 
espletata”  oppure  “a  causa  di  una  specifica  noxa  patogena  (piombo,  cromo,  idrocarburi,  …)”  verso  cui  è 
esposto, per l’assolvimento della propria attività. 
 
N.B. La causa delle malattie professionali può essere la stessa degli infortuni sul lavoro.  
Quel che cambia è la diversa modalità d’azione della causa: ad esempio, una determinata noxa patogena, 
come una sostanza tossica presente nella lavorazione, potrà causare un infortunio sul lavoro, se agisce in 
modo rapido e concentrato nel tempo (intossicazione acuta) oppure una malattia professionale, se agisce 
in modo lento, reiterato o protratto nel tempo (intossicazione cronica).  
Nelle  malattie  professionali,  quindi,  la  causa  è  diluita,  con  il  lavoratore  che  risulta  esposto  al  rischio 
lavorativo per l’intero arco della sua attività. 
Ne  deriva  che,  mentre  negli  infortuni  sul  lavoro,  l’eziologia  professionale  è  generalmente  accertabile  con 
una  certa  facilità,  più  difficile  diventa  accertare  il  nesso  causale  con  l’attività  lavorativa,  nel  caso  delle 
malattie professionali.  
Per  tale  motivo,  il  Legislatore,  ha  scelto  inizialmente  di  fondare  la  tutela  delle  malattie  professionali  sul 
sistema della lista chiusa. 
Secondo tale sistema, sono ritenute malattie professionali, solo quelle tassativamente elencate in apposite 
tabelle, allegate al TU 1124/65 e riferite ad attività o lavorazioni anch’esse riportate in tabella, sempre che 
si  manifestino  entro  un  determinato  intervallo  di  tempo  dal  momento  della  cessazione  della  lavorazione 
morbigena (cosiddetto periodo massimo di indennizzabilità). 
Perché si dia luogo alla rendita INAIL, occorre inoltre che dalla malattia professionale in questione debba 
essere  derivato  un  danno  biologico  =/>  6%  –  per  gli  eventi  denunciati  dopo  il  25  luglio  2000  –    o 
un’inabilità permanente in misura pari o superiore all’11%, per gli eventi denunciati in precedenza. 
 
Il  sistema  della  lista  chiusa,  tuttavia,  presenta  notevoli  inconvenienti  in  quanto  la  tutela  è  limitata 
tassativamente alle sole malattie elencate nella lista. 
È  intervenuta  pertanto  la  Corte  Costituzionale  che,  con  la  sentenza  n.  179  del  1988,  ha  esteso  la  tutela 
assicurativa delle malattie professionali anche a quelle non comprese nelle tabelle di legge, sempre che sia 
dimostrato, con certezza, il nesso di causalità tra la malattia stessa e l’attività lavorativa.  
L’onere della prova spetta al lavoratore che richiede la rendita. 
 
L’attuale  sistema  di  tutela  si  definisce,  quindi,  misto  poiché  ammette  sia  l’indennizzabilità  delle  malattie 
contemplate nel sistema di lista chiusa sia di quelle per le quali venga dimostrato il nesso causale con la 
lavorazione espletata (sistema di lista aperta).  
 

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La  stessa  sentenza  della  Corte  Costituzionale,  inoltre,  ha  definito  illegittimo  il  cdt  “periodo  massimo  di 
indennizzabilità”.  Pertanto,  anche  il  periodo  massimo  di  indennizzabilità  può  essere  diverso  da  quello 
stabilito nelle tabelle di legge, purché si fornisca la prova dell’esistenza del nesso causale.    
 
 
Valutazione del rapporto di causalità nelle malattie professionali 
Relativamente  alla  valutazione  del  nesso  causale,  va  detto  che  le  malattie  professionali  differiscono  dagli 
infortuni in termini di influenza del lavoro nella genesi del danno: mentre negli infortuni il lavoro funge da 
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mera  occasione  del  danno  –  che  deriva  da  un  evento  fortuito,  imprevisto  ed  abnorme  –    nelle  malattie 
professionali,  il  lavoro  rappresenta,  esso  stesso,  non  solo  l’occasione  ma,  anche,  la  causa  specifica  del 
danno. Nelle malattie professionali, pertanto, il danno – essendo intrinseco alla stessa lavorazione – non è 
mai imprevisto, bensì imprevedibile.  
Proprio  perché  la  malattia  professionale  non  rappresenta  un  evento  fortuito,  gli  stessi  datori  di  lavoro  devono 
impegnarsi nella tutela preventiva della salute del lavoratore.  
Ove  si  accerti  una  colpa  del  datore  del  lavoro  nella  mancata  adozione  di  misure  preventive,  esso  potrà  essere 
chiamato in causa dal lavoratore, per il risarcimento integrale del danno biologico e dall’INAIL, per la rivalsa di quanto 
corrisposto al lavoratore come indennizzo. 
 
 
Esempi di malattie professionali  
 
Pneumoconiosi 
Malattie polmonari causate dall’accumulo di polveri inorganiche. 
Esempi: 
 Silicosi, dovuta all’inalazione di silice cristallina o di silice libera 
 Asbestosi, dovuta all’inalazione di polveri d’amianto 
 Pneumoconiosi da silicati (escluso l’asbesto) e calcari 
 
Per  le  pneumoconiosi,  non  è  prevista  l’indennità  per  inabilità  temporanea  assoluta,  ma  solo  un  assegno 
giornaliero per i giorni in cui il lavoratore deve sottoporsi ad accertamenti diagnostici. 
Infatti, una volta raggiunta la certezza diagnostica della malattia, si presume che il danno sia valutabile in 
termini di permanenza, vista l’impossibilità di una reversione clinica.  
 
 
 
Sordità e ipoacusie professionali da rumore 
L’attività  lavorativa  è  considerata  genericamente  dannosa  quando  espone  il  lavoratore  a  rumori 
subcontinui di intensità che oscilla intorno agli 80 decibel.  
I  rumori  di  più  alta  intensità  (oltre  gli  80  decibel)  sono  da  considerarsi  certamente  dannosi,  specie  se  la 
persona vi rimane esposta per tutto l’arco lavorativo giornaliero. 
Il  DL  277/91  stabilisce  una  soglia  minima  di  80  decibel  oltre  la  quale  il  datore  di  lavoro  ha  l’obbligo  di 
informare il lavoratore del rischio a cui è esposto, di assumere le dovute misure di prevenzione e sicurezza 
e di sorvegliare che esse vengano rispettate. 
La  diagnosi  di  otopatia  da  rumore  si  fonda  sui  dati  anamnestici  e  sui  reperti  dell’audiometria  tonale, 
effettuata almeno 15 ore dopo la cessazione dell’attività lavorativa. 
Viene considerata un danno irreversibile poiché le cellule acustiche non sono cellule che si riproducono. 
 
 
 
 
 
 
 

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Prestazioni erogate dall’INAIL  
Accertata l’esistenza del diritto, le prestazioni erogate dall’INAIL, sono automatiche, vengono cioè concesse 
al  lavoratore  automaticamente  ed  indipendentemente  dal  fatto  che  il  datore  di  lavoro  abbia  o  meno 
soddisfatto l’obbligo contributivo. 
Possono esser distinte in due categorie:  
 Sanitarie  
 Economiche 
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Le prestazioni sanitarie consistono in: 
1. Cure mediche e cure chirurgiche ordinarie, fornite dalle strutture del S.S.N. 
2. Cure specifiche disposte dall’INAIL, al fine di recuperare la capacità lavorativa 
3. Forniture e rinnovo di protesi, se utili a ridurre il grado di inabilità permanente 
4. Avviamento alle cure  termali 
 
L’assicurato  non  è  mai  obbligato  a  curarsi.  Sono,  tuttavia,  previste  conseguenze  di  ordine  economico 
qualora non sussistono giustificati motivi a fondamento del suo rifiuto.  
 
 
Prestazioni di ordine economico 
1. Indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, a partire dal IV giorno, mentre i primi 3 giorni 
sono a carico del datore del lavoro. 
Non viene concessa nel caso di silicosi e di asbestosi tranne che per i soli giorni necessari ad eseguire gli 
accertamenti diagnostici. 
 
2. Indennizzo  in  capitale  o  rendita  per  l’inabilità  permanente  assoluta  o  parziale,  allorché  l’inabilità 
permanente superi il 10%.  
Per gli eventi successivi al 25 luglio del 2000, indennizzo in capitale o rendita per danno biologico con 
franchigia =/> 6% ed eventuali conseguenze patrimoniali (dal 16% in poi). 
 
3. Assegno per l’assistenza personale continuativa agli invalidi del lavoro al 100% 
 
4. Rendita ai superstiti, più assegno “una tantum”, nel caso di morte del lavoratore 
 
5. Assegno continuativo erogato alla vedova o agli orfani di un grande invalido del lavoro (80%), nel caso 
in cui la morte sia avvenuta per cause non dipendenti dall’infortunio o dalla malattia professionale 
 
6. Rendita di passaggio  
Viene riconosciuta  solo per silicosi ed asbestosi e solo per un anno.  
È  motivata  dal  fatto  che,  quando  il  lavoratore  abbandona  il  lavoro,  è  costretto  a  cercarsi  una  nuova 
occupazione  che  non  comporti  il  rischio  pneumoconiotico.  Nel  periodo  di  passaggio  gli  viene 
riconosciuto il diritto a questa particolare previdenza economica. 
  
7.  Assegno di incollocabilità  
Viene concesso a coloro che abbiano: 
‐ Riduzione della capacità lavorativa in misura non inferiore al 34% 
‐ Età non superiore a quella prevista per essere ammesso al collocamento d’obbligo (55 anni) 
‐ Impossibilità  di  beneficiare  dell’assunzione  obbligatoria  a  motivo  della  natura  o  del  grado  di 
invalidità permanente. 
 
 
 
 

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N.B.  
La prestazione INAIL costituisce indennizzo e non risarcimento. 
 L’indennizzo, infatti, è il pagamento dovuto ad un soggetto per un pregiudizio da lui subito che, però, non 
consegue ad un atto illecito e quindi a responsabilità civile. 
Ciò consente all’INAIL di: 
‐ Applicare la franchigia (parte di danno che resta a carico dell’assicurato)  
‐ Non tenere conto, in nessun caso, del cdt “danno morale”. 
 
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Istituto della revisione 
La  rendita  per  inabilità  permanente  o  per  danno  biologico  può  essere  sottoposta  a  revisione  su  richiesta 
dell’assicurato (revisione attiva) oppure su disposizione dell’Istituto (revisione passiva). 
In caso di infortunio, la revisione può essere richiesta entro 10 anni dalla costituzione della rendita; in caso 
di malattia professionale, entro 15 anni. 
 
 
 
Grandi invalidi del lavoro  
Coloro che, in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di malattia professionale, riportino un’inabilità permanente 
pari o superiore all’80%. 
In aggiunta a quelli ordinari concessi dall’INAIL, sono previsti trattamenti speciali. 
Consistono essenzialmente in prestazioni economiche integrative alla rendita 
 
 
 
DIFFRENZE INFORTUNIO SUL LAVORO/MALATTIA PROFESSIONALE 
 
Infortunio sul lavoro  Malattia professionale 
Il lavoro funge da mera occasione del danno che,  Il lavoro rappresenta, esso stesso, non solo 
pertanto costituisce un evento fortuito, imprevisto  l’occasione ma, anche, la causa specifica del danno.
ed abnorme  Sono infatti professionali quelle malattie contratte 
nell’esercizio ed a causa della lavorazione espletata 
oppure a causa di una specifica noxa patogena 
verso cui il lavoratore è esposto per l’assolvimento 
della propria attività. 
Il danno, quindi, essendo intrinseco alla stessa 
lavorazione non è mai imprevisto, bensì 
prevedibile. 

La causa agisce in modo rapido e concentrato nel  La causa agisce in modo lento, reiterato o protratto 
tempo  nel tempo 

 
 
 
 
 
 
 

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INPS 
 
L’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) è un ente pubblico deputato ad erogare prestazioni di 
tipo previdenziale e di tipo assistenziale. 
 
Le prestazioni previdenziali INPS traggono il loro fondamento da un rapporto assicurativo obbligatorio che 
devono  contrarre  tutti  i  lavoratori  dipendenti,  pubblici  o  privati,  e  quei  lavoratori  autonomi  privi  di  una 
propria  cassa  previdenziale.  Si  tratta,  quindi,  di  prestazioni  che  vengono  riservate  a  lavoratori  ed  il  cui  17 
finanziamento è di tipo contributivo. 
L’erogazione di tali prestazioni è subordinata al verificarsi di eventi legalmente qualificati, quali: vecchiaia, 
invalidità, inabilità, ecc…  
La  tutela  previdenziale  INPS,  pertanto,  riguarda,  almeno  in  parte,  il  prodursi  di  eventi  certi,  come  la 
vecchiaia.  

Ciò  la  differenzia  dall’assicurazione  obbligatoria  INAIL  che  tutela  eventi  (infortuni  sul  lavoro  e  malattie 
professionali) il cui verificarsi è sempre incerto.  

Un’ulteriore differenza risiede nel fatto che, in sede INPS, l’invalidità e l’inabilità tutelate vengono prese in 
considerazione indipendentemente dalla loro eventuale connessione con il lavoro. In sede INAIL, invece, gli 
eventi  tutelati  devono  sempre  trovarsi  in  relazione  con  l’attività  lavorativa  svolta  che,  negli  infortuni  sul 
lavoro, funge da mera occasione del danno; nelle malattie professionali, da occasione e da causa specifica 
dello stesso.     

L’INPS differisce dall’INAL anche per come viene intesa la capacità lavorativa. In sede INPS, infatti, si valuta 
l’incidenza  della  menomazione  sulla  capacità  del  soggetto  di  svolgere  occupazioni  confacenti  alle  sue 
attitudini.  In  sede,  INAIL,  invece,  si  valuta  l’incidenza  della  menomazione  sulla  capacità  del  lavoratore  di 
svolgere  ogni  possibile  attività  prevista  dal  settore  di  appartenenza  (industria  o  agricoltura).  L’INAIL  si 
prefigge infatti di stabilire se il lavoratore sia o meno ricollocabile in esso.  
 
Le prestazioni di natura previdenziale erogate dall’INPS sono: 
1. Pensione di vecchiaia, concessa all’assicurato al raggiungimento dell’età pensionabile 
 
 
2. Pensione di reversibilità, indirizzata agli aventi diritto dopo la morte del lavoratore assicurato 
 
 
3. Assegno  ordinario  di  invalidità,  la  cui  concessione  è  subordinata  al  riconoscimento  dello  status  di 
invalido pensionabile INPS. 
Viene  riconosciuto  invalido  pensionabile  INPS,  l’assicurato  la  cui  capacità  di  lavoro,  in  occupazioni 
confacenti  alle  sue  attitudini  sia  ridotta  in  modo  permanente,  a  causa  di  infermità,  difetto  fisico  o 
mentale, a meno di un terzo. 
Per la concessione dell’assegno ordinario di invalidità si valutano: 
1) Sussistenza dei requisiti contributivi.  
Occorrono, infatti, almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio che precede la 
richiesta di pensionamento 
2) Natura e gravità delle infermità e dei difetti fisici e psichici 
3) Permanenza di tali infermità 
4) Attitudini lavorative dell’assicurato 
5) Riduzione  permanente  della  capacità  di  lavoro  in  occupazioni  confacenti  alle  attitudini 
dell’assicurato 
6) Misura di tale riduzione che deve essere > 66% della predetta capacità 
I  benefici  previdenziali  vengono  pertanto  concessi  con  maggiore  facilità  di  quelli  assistenziali.  Per  ottenere 
infatti  l’assegno  mensile  come  invalido  civile  parziale  (prestazione  assistenziale)  è  richiesta  una  riduzione 
permanente della capacità lavorativa, non dal 67%, ma dal 74% in poi. 
La ragione di ciò risiede nel fatto che il finanziamento delle prestazioni previdenziali è di tipo contributivo. 

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L’assegno ordinario di invalidità è:  
‐ Ancora cumulabile con la retribuzione, ma fino all’importo pari al minimo di pensione. 
‐ Incompatibile con il trattamento a favore degli invalidi civili parziali. 
‐ Non reversibile 
‐ Concesso  per  tre  anni,  rinnovabili,  qualora  permangono  le  condizioni  di  invalidità.  Dopo  tre 
riconoscimenti consecutivi, l’assegno verrà automaticamente confermato. 
 
La  trasformazione  dell’assegno  di  invalidità  in  pensione  di  vecchiaia  avviene  al  compimento  dell’età 
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pensionabile. 
 
Le infermità che giustificano la concessione dell’assegno ordinario di invalidità, in ordine di frequenza 
decrescente, sono: 
1) Malattie cardiovascolari 
2) Patologie osteo‐articolari 
3) Broncopneumopatie croniche 
4) Affezioni del sistema neuro‐psichico 
5) Tumori 
 
 
4. Pensione  di  inabilità,  la  cui  concessione  è  subordinata  al  riconoscimento  dello  status  di  inabile 
pensionabile INPS. 
Si  considera  inabile,  l’assicurato  il  quale,  a  causa  di  infermità  o  difetto  fisico  o  mentale,  si  trovi 
nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa 
 
Viene  calcolata  come  se  l’assicurato  avesse  versato  contributi  fini  al  raggiungimento  dell’età 
pensionabile per vecchiaia. 
È incompatibile con: 
‐ Compensi o retribuzioni per il lavoro autonomo e subordinato 
‐ Iscrizioni  negli  elenchi  anagrafici  dei  lavoratori  agricoli,  dei  lavoratori  autonomi,  nonché  negli  albi 
professionali 
‐ Trattamenti  di  disoccupazione  ordinaria  e  speciale,  di  cassa    integrazione,  per  temporanea 
incapacità di lavoro. 
È reversibile ai superstiti.  
 
 
5. Assegno privilegiato di invalidità e pensione privilegiata di inabilità  
Tali prestazioni previdenziali vengono erogate quando: 
‐ l’invalidità e l’inabilità risultano in rapporto diretto con finalità di servizio (causa di servizio). 
‐ dall’evento  non  deriva  un  diritto  di  rendita  a  carico  dell’assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie 
professionali. 
 
 
6. Pensione privilegiata ai superstiti, se la morte dell’assicurato dipende da causa di servizio 
 
 
7. Assegno una tantum ai superstiti, se l’assicurato deceduto non aveva i requisiti contributivi minimi 
 
 
8. Assegno integrativo speciale per l’assistenza personale e continuativa 
Viene concesso ai pensionati per inabilità, non deambulanti o non capaci di svolgere atti ordinari della vita quotidiana. 
Non è reversibile. 
 
9. Indennità ordinaria oppure sussidio straordinario, nel caso di disoccupazione involontaria 
 
 
10. Sussidio per la tubercolosi 
 

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11. Indennità di malattia, per i lavoratori dipendenti ammalati, dopo i terzo giorno 
 
 
12. Assegno per il nucleo familiare  
Si concede per i familiari a carico 
 
 
13. Retribuzione  del  lavoratore,    nei  casi  di  sospensione  o  di  riduzione  dell’attività  di  impresa,  dipendenti  da  impossibilità 
soggettiva sopravvenuta o da forza maggiore  19 
 
 
14. Trattamento di fine rapporto 
 
 
15. Pagamento dei crediti di lavoro, dovuti negli ultimi 3 mesi, in caso di insolvenza del datore di lavoro 
 
 
 
Il  titolare  delle  prestazioni  riconosciute  dall’INPS  può  essere  sottoposto  ad  accertamenti  sanitari  per  la  revisione  dello  stato  di 
invalidità o di inabilità, ad iniziativa dell’INPS. 
La revisione può essere richiesta anche dall’interessato in caso di mutamento delle condizioni che hanno dato luogo al trattamento 
in atto, comprovato da apposita certificazione sanitaria. 
Ove  l’interessato  rifiuti,  senza  giustificato  motivo,  di  sottoporsi  agli  accertamenti  disposti  dall’INPS,  quest’  ultimo  sospende  il 
pagamento delle rate di assegno o di pensione. 
Quando  a  seguito  della  revisione  risulti  che  l’interessato  non  possa  ulteriormente  essere  considerato  invalido  o  inabile,  la 
prestazione viene revocata. 
 
 
Norme in tema di lavoro usurante 
Debbono considerarsi lavori  usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impiego psico‐fisico particolarmente 
intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee. 
Per coloro che svolgono lavori usuranti, il limite di età pensionabile è anticipato di 2 mesi per ogni anno di lavoro fino 
ad un massimo di 5 anni di occupazione. 
Sono considerate attività particolarmente usuranti quelle concernenti l’espletamento di: 
‐ Lavoro notturno continuativo 
‐ Lavori alle linee di montaggio con ritmi vincolanti 
‐ Lavori in galleria, cave o miniere 
‐ Lavori espletati dal lavoratore in spazi ristretti 
‐ Lavori in altezza 
È  stato  stabilito  che  a  tali  lavori  sono  assimilati  quelli  svolti  dal  personale  addetto  ai  reparti  di  pronto  soccorso, 
rianimazione e chirurgia d’urgenza. 
 
 
L’INPS, inoltre, eroga prestazioni di natura assistenziale indirizzate al sostegno di ogni persona, lavoratrice 
o no, che si trovi in uno stato di bisogno.  
Tali prestazioni attingono i propri mezzi dal finanziamento pubblico (imposte fiscali). 
Tra le prestazioni di natura assistenziale erogate dell’INPS rientrano: 
1. Prestazioni relative ad invalidità civile 
2. Pensione sociale, concessa agli anziani oltre il 65° anno di età che non abbiano altra pensione o reddito. 
La legge 335/95 dispone che in luogo di detta pensione venga erogato un assegno sociale. 
 
N.B.  Le  prestazioni  assistenziali  non  sono:  1)  reversibili  ai  superstiti,  2)  cedibili,  3)  prorogabili,  4) 
sequestrabili 

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Reato 
 
“Ogni fatto illecito al quale l'ordinamento giuridico collega come conseguenza una pena” 
 
Secondo l’Art. 39 del c.p., i reati si distinguono, dicotomicamente, in delitti e contravvenzioni, sulla base  
della qualità delle pene comminate: 
 I delitti sono i reati più gravi, puniti con l’ergastolo, la reclusione o la multa 
 Le contravvenzioni sono i reati meno gravi, puniti con l’arresto o l’ammenda 
 
 
Terminologia 
Oggetto del reato  
Individuo o cosa su cui cade l'azione del reo. 
 
Soggetto attivo del reato  
Individuo che compie l'azione o l’omissione alla base del reato stesso.  
Il c.p. indica il soggetto attivo coi nomi di agente, di colpevole, di autore, di reo. 
 
Soggetto passivo del reato  
Titolare del bene o interesse protetto dalla legge: persona offesa dal reato o vittima 
 
Danneggiato  
Qualunque persona alla quale il reato ha cagionato un danno. 
 
 
Elementi costitutivi del reato 
Si distinguono in ESSENZIALI ed ACCIDENTALI. 
  1 
Gli elementi ESSENZIALI sono quelli indispensabili per l'esistenza del reato stesso.  
Comprendono un elemento materiale o oggettivo ed un elemento psicologico o soggettivo. 
 
L’elemento materiale o oggettivo del reato si compone di una condotta e di un evento, con quest ultimo 
che deve essere legato alla condotta da un rapporto di causalità. 
 
L’elemento psicologico o soggettivo del reato può assumere le diverse forme del dolo, della colpa e della 
preterintenzione  il  cui  comune  presupposto  è  comunque  quello  della  coscienza  e  della  volontà  della 
condotta. 
 
Secondo questa bipartizione, quindi, il reato richiede "una volontà colpevole e un fatto materiale". 
 
 
Considerando l’elemento materiale del reato, 
‐ per condotta, s’intende il comportamento umano che produce o non impedisce una modificazione del 
mondo esteriore; 
‐ per  evento,  s’intende  la  modificazione  del  mondo  esteriore  prodotta  o  non  impedita  dalla  condotta 
umana 
 
N.B. Tra la condotta e l’evento è necessario che sussista un nesso di causalità. 
Secondo l’articolo 40 del Codice Penale (nesso di causalità), infatti: 
 
“Nessuno può essere punito per un fatto, preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui 
dipende l’esistenza del reato non è conseguenza della sua azione od omissione. 
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. 

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Il  nesso  di  causalità  consiste  nel  nesso  che  intercorre  tra  due  fenomeni,  di  cui  uno  assume  la  qualità  di 
causa, l’altro di effetto. 
 
La  causa  può  essere  definita  come  l’antecedente,  necessario  e  sufficiente  a  produrre  l’effetto:  fenomeno 
susseguente, legato in modo invariabile ed incondizionato all’antecedente. 
 
Requisiti fondamentali della causa sono quindi: 
1. Antecedenza  
Il requisito dell’antecedenza è comprensibile in quanto un fenomeno non può produrne un altro se non 
lo precede nel tempo.  
L’antecedenza, tuttavia, non esprime di per sé un nesso causale: essa può infatti indicare un rapporto 
sia cronologico che eziologico, a seconda se si abbia una semplice successione o una vera connessione 
di fenomeni. 
 
2. Necessità  
È un elemento di definizione negativo, ossia un criterio di esclusione.  
È necessario tutto ciò che non può essere eliminato senza l’eliminazione parziale o totale del risultato.  
Il  requisito  della  necessità  implica  quindi  che,  senza  l’intervento  del  fenomeno  antecedente,  quello 
susseguente non avrebbe potuto prodursi. 
 
3. Sufficienza  
È  un  elemento  di  definizione  positivo,  rappresentando  l’idoneità  effettuale  e,  cioè,  l’intrinseca 
attitudine a cagionare un determinato evento.  
Un  fenomeno  si  dice  sufficiente  quando  è  capace  di  produrre  un  evento  da  solo,  senza  bisogno  che 
intervenga un altro fenomeno. 
 
  2 
N.B. La causa differisce da una concausa poiché quest ultima, pur trattandosi di un antecedente necessario, 
non è da sola sofficiente alla produzione dell’evento dannoso. 
 
Si riconoscono: 
‐ Concause preesistenti 
‐ Concause simultanee  
‐ Concause sopravvenute 
 
Le concause preesistenti possono esser distinte in: 
 Anatomiche 
Esempi: decorso anomalo di un vaso; situs viscerum inversus; organi in sede ectopica 
 
 Fisiologiche 
Esempi:  fragilità  ossea  dovuta  al  fisiologico  processo  di  invecchiamento;  fisiologica  distensione  della 
vescica che può concorrere alla rottura del viscere, in occasione di traumi. 
 
 Patologiche  
Esempio:  aneurisma  aortico,  che  può  esser  responsabile  della  morte  del  portatore,  per  rottura,  in 
seguito ad un trauma toracico contusivo, anche di modesta entità 
 
 
Un esempio di concausa simultanea è quello di una ferita inferta con uno strumento contaminato.  
In questo caso, il colpevole dovrà rispondere, oltre che della ferita, anche del quadro infettivo causato dagli 
agenti microbici contaminanti lo strumento. 
 
 

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Un esempio di concausa sopravvenuta è quello di una persona ferita in modo non grave che muore per una 
successiva complicanza settica della ferita stessa.  
In questo caso, il feritore sarà comunque chiamato a rispondere della morte del soggetto, anche se a titolo 
diverso di quello di omicidio doloso. 
 
 
N.B. Secondo l’articolo 41 del Codice Penale: 
“Il    concorso  di  (con)cause  preesistenti,    simultanee  o  sopravvenute,  anche  se  indipendenti  dall’azione  od 
omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento. 
Le  (con)cause  sopravvenute  escludono  il  rapporto  di  causalità  unicamente  quando  sono  state  da  sé  sole 
sufficienti a determinare l’evento”  
 
Più  precisamente,  ai  fini  dell’interruzione  del  rapporto  di  causalità,  le  concause  sopravvenute  devono,  
possedere i seguenti attributi: 
1. Eccezionalità e, perciò, imprevedibilità 
2. Atipicità.  
Deve essere cioè intervenuto un qualcosa di nuovo rispetto alla normale evoluzione di un certo quadro 
morboso. 
3. Indipendenza dal fatto del colpevole 
4. Capacità di essere da sé sole sufficienti a determinare l’evento 
 
È questo il caso del decesso di una persona ferita durante la degenza in Ospedale, per crollo dello stesso. 
 
 
N.B.  Nel  valutare  il  valore  causale  effettivo  da  attribuire  ad  un  determinato  antecedente  lesivo,  va 
considerata la circostanza dell’occasione.  
Relativamente  al  concetto  di  occasione,  bisogna  distinguere  tra  l’occasione,  intesa  come  momento  3 
sciogliente o liberatore, dal cdt momento rivelatore. 
 
L’occasione, intesa come momento sciogliente o liberatore, è caratterizzata  
1. dall’essere l’ultimo degli antecedenti causali 
2. dalla sua teorica sostituibilità, risultando quindi generica 
3. dall’assenza di capacità lesiva nell’uomo sano  
4. dalla sua equiparabilità agli atti ordinari della vita 
5. dall’esiguità del fatto lesivo rispetto alla gravità dell’effetto dannoso 
Si tratta, quindi, di un antecedente – l’ultimo – dotato di una sia pur minima efficienza causale che rende 
possibile la messa in azione della reale causa di un evento già maturo per la sua realizzazione. Può pertanto 
essere equiparato alla classica “goccia” che fa traboccare un vaso ormai colmo. 
Un  esempio  di  occasione,  intesa  come momento  sciogliente  o  liberatore,  è  l’emozione  o  il  minimo  sforzo 
che porta alla morte improvvisa, un soggetto affetto da una grave cardiopatia ischemica, che costituisce la 
reale causa della morte. 
 
 
Il  momento  rivelatore  è  invece  quella  circostanza  che  accidentalmente  richiama  l’attenzione  su  di  un 
fenomeno prodotto da altri fattori causali. 
Risulta quindi privo di una qualsivoglia efficienza causale relativamente al fenomeno considerato. 
Un  esempio  è  quello  di  trauma,  in  occasione  del  quale,  per  l’esecuzione  di  una  radiografia  del  torace,  si 
scopre una neoplasia polmonare. 
 
 
Coincidenza 
Circostanza di luogo o di tempo indifferente alla messa in azione della causa ed alla produzione dell’evento 
 

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Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale 
 
1. Criterio cronologico, secondo cui: 
Occorre  dimostrare  che  tra  la  possibile  causa  e  l’evento  dannoso  sia  trascorso  un  lasso  di  tempo 
sufficiente ai fini dell’ammissione del nesso causale 
 
2. Criterio qualitativo, secondo cui: 
La qualità dell’antecedente lesivo deve essere compatibile con la qualità dell’effetto prodotto. 
Ad esempio la somministrazione di un certo veleno causerà l’insorgenza di determinati disturbi e non di 
altri 
 
3. Criterio quantitativo, secondo cui: 
L’entità dell’azione lesiva iniziale deve essere compatibile con la gravità dell’effetto prodotto, tenendo 
comunque conto della variabilità soggettiva dello stato anteriore. 
 
4. Criterio modale, secondo cui: 
Vi deve essere corrispondenza tra la sede di applicazione di un trauma o la via di somministrazione di 
un farmaco e la modalità di comparsa di certi disturbi  
 
5. Criterio della continuità fenomenologica, secondo cui: 
Vi deve essere un continuum di sintomi e segni tra lesione iniziale e danno conclusivo. 
È tuttavia nota l’esistenza di sindromi con intervallo libero (es. ematoma extradurale post‐traumatico) 
 
6. Criterio di esclusione, secondo cui: 
Occorre  che  si  escluda  l’importanza  di  altri  fattori  causali,  diversi  da  quelli  considerati,  nel 
determinismo dell’evento dannoso in esame. 
  4 
Nessuno criterio è però da solo sufficiente a provare l’esistenza del nesso causale.  
Solo  la  concordanza  dei  dati,  che  emergono  dall’analisi  dei  vari  criteri,  può  condurre  ad  un  giudizio 
motivato in materia di ammissione o esclusione del nesso causale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Elemento psicologico del reato 
 
È  un  elemento  essenziale  –  quindi  indispensabile  –  del  reato  che  consiste  nella  coscienza  e  nella  volontà 
della condotta attiva o omissiva, responsabile dell’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza 
del reato.  
Ciò  trova  riscontro  nell’articolo  42  del  C.P.  secondo  cui  “nessuno  può  essere  punito  per  un'azione  o 
un’omissione, prevista dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà”. 
È pertanto richiesta l’esistenza di un nesso psichico tra l’agente ed il fatto il quale si viene a creare: 
1. tutte le volte che la condotta è posta in essere volontariamente 

2. quando,  anche  se  non  sussisteva  tale  esplicita  volontà,  la  condotta  integrante  il  reato  poteva  essere 
evitata  dal  soggetto  con  uno  sforzo  del  volere.  Ci  si  riferisce,  in  questo  caso  agli  atti  abituali  o 
automatici ed a quelli compiuti in stato emotivo  
 
L’elemento  psicologico  del  reato  può  assumere  diverse  forme  –  dolo,  colpa  e  preterintenzione  –  
distinguibili in base alla volontà o intenzione dell’autore di cagionare l’evento dannoso o pericoloso (art. 43 
C.P.) 
 
Dolo 
È la forma più tipica di volontà colpevole. 
Consiste nella previsione e nella volontà dell’evento quale conseguenza della propria azione od omissione. 
Si distinguono: 
‐ Dolo intenzionale (diretto): in cui vi sono previsione e volontà dell’evento 
‐ Dolo eventuale (indiretto): in cui vi è la previsione ma non la volontà dell’evento, pur accettandone il 
rischio (caso ad esempio di un automobilista in fuga tra la folla).  
È al confine con la colpa cosciente, in cui l’autore prevede l’evento, ma non lo ritiene probabile, in virtù 
delle proprie capacità e abilità.  5 
La linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste quindi nel diverso atteggiamento 
psicologico dell'agente:  
 Nel primo caso, infatti, l’agente accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente 
voluto.  
 Nel  secondo  caso,  invece,  respinge  il  rischio,  confidando  nella  propria  capacità  di  controllare 
l'azione. 
 
 
Preterintenzione 
Si caratterizza per la volontà di un evento minore, che ne rappresenta la base dolosa, e la non volontà di un 
evento più grave, neppure a titolo di dolo eventuale. 
 
 
Colpa 
Nella  colpa,  l’autore  non  vuole  l’evento  ma  lo  determina  per  Negligenza:  violazione  di  norme  che 
negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica) o per non aver  prescrivono  determinate  modalità  di 
osservato leggi, regolamenti, ordini, discipline (colpa specifica).  condotta. 
N.B.  Vi  è  colpa  soltanto  quando  era  prevedibile  che  dall’azione  Imprudenza:  violazione  di  norme  che 
sarebbe derivato l’evento nocivo.  vietano certe azioni o modalità di esse. 
Se l’evento non era prevedibile nessun rimprovero si potrà infatti  Imperizia:  violazione  di  particolari 
muovere all’agente.  regole  tecniche  per  lo  svolgimento  di 
La  prevedibilità  si  riferisce  alla  possibilità  che  una  certa  determinate attività. 
popolazione  di  persone,  nelle  stesse  condizioni  dell’agente, 
poteva  ragionevolmente  aspettarsi  quell’evento  come  conseguenza,  non  voluta,  dell’azione  o 
dell’omissione. 
 

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Omicidio (Art. 575 C.P.) 
 
Costituisce il più grave dei delitti. 
 
Il Codice Penale, tenendo conto dell’elemento psicologico del reato, distingue tre diverse ipotesi: 
 Omicidio doloso 
 Omicidio colposo 
 Omicidio preterintenzionale 
 
 
Nell’omicidio doloso o volontario la morte della vittima è prevista e voluta dell’autore come conseguenza 
della propria azione o omissione.  
 
La prova dell’animus necandi (volontà di uccidere) può derivare dalla valutazione dei seguenti dati: 
1. Natura dei mezzi impiegati 
2. Natura e gravità delle lesioni riscontrate nel cadavere, come lesioni da difesa 
3. Particolari circostanze ambientali in cui il delitto è avvenuto 
4. Concrete possibilità di difesa e di reazione della vittima 
 
Si parla, inoltre, di omicidio doloso circostanziato quando ricorrono particolari circostanti aggravanti: 
Fra quelle che possono avere maggiore importanza medico‐legale vi sono: 
 L’aver adoperato sevizie ed agito con crudeltà 
 L’aver adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso. Tali  vanno considerati quei mezzi che 
limitano la capacità di difesa della vittima. Caso di:  
‐ Sostanze tossiche 
‐ Colture di batteri o virus patogeni  6 
‐ Corrente elettrica 
‐ Radiazioni ionizzanti 
 Aver ucciso nell’atto di commettere violenza sessuale o atti di libidine violenti 
 Premeditazione 
 
 
 
Nell’omicidio preterintenzionale la morte della vittima va oltre la volontà dell’autore, il cui intento era solo 
quello di percuoterla o lederla. 
 
 
 
Nell’omicidio  colposo  la morte  della  vittima,  pur  prevedibile,  non  era  voluta dall’autore,  che  tuttavia  l’ha 
determinata  per  imperizia,  imprudenza,  negligenza  o  per  non  aver  osservato  leggi,  regolamenti,  ordini  o 
discipline. 
 
 
Quesiti posti dal magistrato, in tema di omicidio, al medico legale 
1. Identificare la vittima 
2. Stabilire se si sia trattato di omicidio, suicidio o accidente 
3. Accertare la causa o le cause anatomo‐patologiche della morte, tenendo conto dell’eventuale concorso 
di fattori concausali 
4. Accertare a quando risale la morte 
5. Stabilire con quali mezzi essa è stata causata 
6. Valutare come essi sono stati impiagati 
 

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Suicidio 
Con  il  termine  di  suicidio  ci  si  riferisce  a  quelle  condotte  attive  o  omissive  pregiudizievoli  per  la  vita,  che 
l’individuo compie su stesso, con l’intenzione di cagionarsi la morte. 
Si distinguono un  suicidio diretto, quando la morte viene ricercata direttamente ed un suicidio indiretto, 
nel quale la morte è la conseguenza di un comportamento che generalmente persegue nobili fini. 
Si parla di:  
‐ Suicidio allargato o di omicidio‐suicidio quando, in una coppia, l’uno uccide l’altro e poi dà la morte a 
se stesso. 
‐ Suicidio simulato quando invece la morte è di natura omicidiaria o accidentale 
‐ Suicidio dissimulato, se lo stesso suicida o altri dissimulano la causa suicidiaria, cercando di attribuirla 
ad un accidente o ad un’azione omicida. 
 
N.B. Il codice penale non punisce la condotta suicidaria. Il suicidio, tuttavia, può essere imputabile a terzi a 
titolo di omicidio colposo o di istigazione al suicidio. 
 
Le modalità di più frequente attuazione del suicidio sono: 
1. Precipitazione 
2. Avvelenamento 
3. Colpi d’arma da fuoco 
4. Impiccamento 
5. Annegamento 
6. Dissanguamento, per sezione dei vasi arteriosi o venosi del polso  
 
N.B. È stata rilevata una certa diversità, nelle modalità di attuazione del suicidio, fra uomo e donna.  
‐ Nell’uomo, infatti, è più frequente il suicidio per impiccamento e per colpi di arma da fuoco 
‐ Nella donna, quello per avvelenamento, per annegamento e per svenamento  
  7 
 
Nel caso di lesioni da arma da fuoco, la DD tra omicidio, suicidio ed accidente, si basa su di una valutazione 
complessiva degli elementi di indagine, che sono di natura biologica e circostanziale. 
Tali elementi includono: 
1. Sede della ferita 
Il suicida predilige, infatti, regioni che garantiscano un decesso sicuro e rapido, quali regioni laterali del 
capo e precordio. 
Lesioni a carico di distretti non auto‐aggredibili ed arti superiori, invece, depongono per omicidio.  
 
2. Distanza da cui è stato esploso il colpo, deducibile in base ai caratteri del foro di entrata. 
Nel  suicidio,  la  distanza  è  infatti  breve,  non  potendo  superare  la  lunghezza  del  braccio.  Pertanto,  i 
caratteri del foro d’entrata, sono quelli del colpo a contatto o a bruciapelo.  
 
3. Direzione del proiettile, ipotizzabile valutando: 
‐ Posizione del foro d’entrata e di quello di uscita 
‐ Caratteristiche  del  tramite  che,  ad  esempio,  nelle  ossa  piatte,  assume  un  tipico  aspetto 
imbutiforme, slargandosi verso l’uscita  
Nel suicidio, presumendo che il soggetto sia destrimane e che prescelga la regione laterale dx del capo, 
la traiettoria intracranica del proiettile sarà generalmente diretta da dx verso sin, dal basso verso l’alto 
e dall’avanti all’indietro. 
Per  quanto  riguarda  i  colpi  esplosi  nella  cavità  orale,  in  caso  di  suicidio,  il  tramite  sarà  obliquo 
dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto; in caso di omicidio e di accidente, invece, il tramite sarà 
più frequentemente orizzontale. 
 
 

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4. Numero dei colpi 
Non  rappresenta  un  elemento  diagnostico  differenziale  decisivo,  sebbene  la  molteplicità  dei  fori  di 
ingresso deponga, in genere, per omicidio, soprattutto se le ferite interessano anche gli arti superiori 
(lesioni da difesa) e regioni non auto‐aggredibili. 
Il suicidio solitamente avviene mediante un colpo unico ma si possono osservare anche casi suicidiari in 
cui  sono  stati  esplosi  più  colpi.  In  tali  circostanze,  comunque,  i  colpi  vengono  sparati  tutti  da  vicino, 
generalmente nella stesse sede e per ledere organi vitali. 
 
Suggeriscono, inoltre, una dinamica suicidiaria: 
 
5. Denudamento della parte colpita 
 
6. Rinvenimento dell’arma nell’ambiente 
 
7. Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima 
  
8. Affumicatura del dorso della mano della vittima 
 
9. Segno di Felc 
Piccola lesione lineare escoriata in corrispondenza del solco interdigitale, tra pollice ed indice, che può 
formarsi per il pizzicamento della cute tra il carrello ed il corpo di un’arma automatica. 
 
10. Presenza  di  tracce  di  polvere  da  sparo  sulla  mano  della  vittima,  ricercate  mediante  il  metodo 
tradizionale del guanto di paraffina o con l’impiego di un apposito tampone adesivo (“stub”)  
 
 
Nel caso di ferite d’arma bianca,  8 
‐ varietà di ferite da taglio, indicative di suicidio sono quelle da svenamento 
‐ in  presenza  di  ferita  da  punta  o  da  punta  e  taglio,  depongono  per  una  dinamica  suicidiaria  la 
concentrazione  delle  lesioni  a  livello  di  regioni  auto‐aggredibili,  che  garantiscono  un  decesso  sicuro  e 
rapido, come quella precordiale e l’assenza di ferite da difesa. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Eutanasia 
Il termine eutanasia indica una condotta diretta a produrre, ad accelerare o a non far nulla per evitare o 
ritardare la morte della persona assistita, allorché questa sia affetta da una malattia: 
‐ Inguaribile 
‐ Caratterizzata da una sintomatologia dolorosa grave 
‐ Giunta  allo  stadio  terminale  e  perciò  con  previsione  di  evento  mortale  a  breva  scadenza,  con  l’unico 
intento di porre fine alle sue sofferenze. 
 
Per il nostro ordinamento giuridico, di fronte a situazioni del genere, il medico non è mai legittimato, quale 
che siano la diagnosi  e la prognosi, ad attivarsi per accelerare l’evento mortale. 
Può infatti incorrere nei seguenti reati: 
‐ Art. 579 cp: omicidio del consenziente 
‐ Art. 575  cp: omicidio volontario 
‐ Art. 580 cp: istigazione o aiuto al suicidio 
 
Si è soliti distinguere:  
‐ Eutanasia attiva o diretta  
‐ Eutanasia passiva  o indiretta 
 
 
Eutanasia attiva 
Si  verifica  per  commissione  e  consiste  nell’intervenire  attivamente,  somministrando  al  paziente  sostanze 
letali.  
Si tratta di un delitto penalmente perseguibile. 
 
 
Eutanasia passiva  9 
Si  basa  su  una  condotta  omissiva  o  astensionista  nella  quale,  di  fronte  a  pazienti  in  fase  terminale,  si 
sospendono intenzionalmente cure essenziali al mantenimento della vita del paziente. 
Anche questo comportamento è di regola penalmente sanzionabile, a meno che esso assuma il significato 
di  rifiuto  dell’accanimento  terapeutico  e  vengano  contestualmente  attuate  cure  palliative  a  tutela  della 
dignità della vita del morente. 
 
 
In fatto di accanimento terapeutico, il Codice Deontologico è perentorio nell’affermare che il medico deve 
astenersi  dall’ostinazione  in  trattamenti,  da  cui  non  si  possa  fondatamente  attendere  un  beneficio  per  la 
salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita. 
 
Oggi si preferisce parlare di mezzi proporzionati e di mezzi sproporzionati rispetto ai benefici che è possibile 
ottenere nella situazione concreta.  
Sono leciti, legittimi e doverosi, in ogni caso, i mezzi proporzionati; illeciti, gli altri. 
Ad esempio, non è un mezzo terapeutico proporzionato, un intervento chirurgico gravemente demolitore, 
effettuato quando sussistano tutti i motivi per ritenere che esso sia obiettivamente e provatamente inutile 
e che al pz resti comunque poco da vivere. 
 
Nel prendere  una qualsiasi decisione sospensiva del trattamento, si dovrà comunque sempre tener conto 
del desiderio dell’ammalato e della sua volontà; nel caso di incapacità del pz, è utile consultare i familiari 
dello  stesso.  Secondo  l’Art.  34  del  c.d.,  infatti,  il  medico,  non  può  non  tener  conto  di  quanto 
precedentemente  manifestato  dal  pz,  se  esso  non  è  in  grado  di  esprimere  la  propria  volontà,  in  caso  di 
grave pericolo di vita.   
 

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Tale  articolo  fa  implicitamente  riferimento  alle  cosiddette  “direttive  anticipate”  espresse  dal  paziente  in 
epoca non sospetta e che possono essere distinte in: 
‐ Living will o testamento in vita 
Si  tratta  di  una  dichiarazione  di  volontà  redatta  dallo  stesso  assistito  in  epoca  non  sospetta  e  nella 
quale  si  forniscono  indicazioni  concernenti  il  consenso  circa  gli  eventuali  accertamenti  e  trattamenti 
sanitari  da assumere in caso di perdita della propria capacità di decisione  autonoma  
 
‐ Durable power of attorney 
Delega  ad  un’altra  persona  della  facoltà  di  esprimere  un  consenso  valido  in  sostituzione  propria,  nel 
caso di sopravvenuta incapacità 
 
‐ Advance directive 
Dichiarazione di volontà  comprensiva di entrambe le ipotesi precedenti 
 
 
Per quanto riguarda l’assistenza del malato inguaribile, l’articolo 37 del codice deontologico suggerisce che 
l’intervento medico debba perseguire le seguenti finalità: 
1. Assistenza o sostegno morale 
2. Risparmio di inutili sofferenze all’assistito (cure palliative) 
3. Tutela della qualità della vita residua 
 
Cure palliative  
Complesso  integrato  e  coordinato  di  quei  trattamenti  terapeutici  atti  a  sollevare  dal  dolore  il  malato 
inguaribile e terminale. 
La  medicina  palliativa  è  specificamente  finalizzata  alla  cura  dei  sintomi  accusati  dal  paziente  terminale  in 
modo  che  il  malato  conservi  quanto  più  possibile  la  propria  autonomia,  le  proprie  abitudini  ed  il  proprio 
ruolo familiare.  10 
 
È    in  atto  un  programma  nazionale  per  la  realizzazione  di  strutture  dedicate  alle  cure  palliative  e 
denominate “hospice”.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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DIAGNOSI DI MORTE E DENUNCIA DELLE CAUSE DI MORTE 
 
 
DIAGNOSI DI MORTE 
Il  momento  centrale,  ai  fini  della  diagnosi  di  morte,  è  costituito  dal  rilievo  della  cessazione  globale  e 
definitiva, perciò irreversibile ed inemendabile, di tutte le funzioni dell’encefalo (Legge n. 578/93). 
Secondo  l’art.2  della  legge  578/93,  anche  la  morte  per  arresto  cardiaco  si  ritiene  avvenuta  qualora  la 
respirazione  e  la  circolazione  siano  cessate  per  un  intervallo  di  tempo  tale  da  comportare  la  perdita 
irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. 
La  morte  per  arresto  cardiaco  deve  essere  infatti  accertata  da  un  medico  mediante  monitoraggio 
elettrocardiografico continuo, protratto per non meno di 20 min.  
 
 
Diagnosi di morte cerebrale 
È richiesta nei pz con cuore battente ma con lesioni encefaliche che impongono misure rianimatorie – come 
la  ventilazione  artificiale  –  al  fine  di  stabilire  se  tali  misure  possano  essere  interrotte  per  la  dimostrata 
cessazione, globale ed irreversibile, di tutte le funzioni dell’encefalo. 
Secondo  il  DM  Sanità  n.  582  del  1994,  l’accertamento  della  morte  cerebrale  è  subordinato  alla  provata 
coesistenza delle seguenti condizioni: 
1. Stato di incoscienza 
2. Assenza  dei  riflessi  corneale,  fotomotore,  oculo‐cefalico,  oculo‐vestibolare,  carenale  e  di  risposta  agli 
stimoli dolorifici portati nel territorio di innervazione del trigemino 
3. Assenza  di  respiro  spontaneo,  accertata  mediante  sospensione  della  ventilazione  artificiale  fino  al 
raggiungimento di un’ipercapnia di 60 mmHg, con pH ematico minore di 7,4 
4. Silenzio  elettrico  cerebrale,  all’EEG,  intenso  come  un  tracciato  che  non  contenga  potenziali  elettrici 
maggiori di 2 microvolts, registrati per una durata continuativa di 30 min, da qualsiasi regione della teca  1 
cranica 
 
In  alcune  situazioni  vanno  inoltre  effettuate  indagini  complementari  atte  ad  evidenziare  l’assenza  di  flusso  ematico 
cerebrale: 
1. Bambini di età < 1 anno 
2. Presenza  di  fattori  quali  farmaci  depressori  del  SNC,  ipotermia,  ipotensione  sistemica,  alterazioni  endocrino‐
metaboliche capaci di interferire con il quadro clinico complessivo 
3. Situazioni che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o che impediscono l’esecuzione dei riflessi del 
tronco o dell’EEG 
 
Collegio medico per l’accertamento della morte cerebrale 
È nominato dalla Direzione Sanitaria ed è composto da: 
1. Medico legale (o, in mancanza, da un medico della Direzione Sanitaria o da un anatomo‐patologo) 
2. Medico specialista in anestesia e rianimazione 
3. Medico  neurofisiopatologo  (o,  in  mancanza,  da  un  neurologo  o  da  un  neurochirurgo  esperto  in 
elettroencefalografia) 
 
Periodo di osservazione 
La durata dell’osservazione, per l’accertamento della morte cerebrale, non deve essere minore di: 
‐ 6 h, negli adulti e nei bambini di età > 5 anni 
‐ 12 h, nei i bambini di età compresa tra 1 e 5 anni 
‐ 24 h, nei i bambini di età  < 1 anno 
 
È  stabilito,  inoltre,  che  in  tutti  i  casi  di  danno  anossico  cerebrale  il  periodo  di  osservazione  non  possa 
iniziare prima di 24h dall’insulto anossico. 
 

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La simultaneità dei requisiti clinici  e strumentali per la diagnosi di morte cerebrale deve essere ricercata, 
dall’apposito collegio medico, per almeno 3 volte: all’inizio, a metà ed alla fine del periodo di osservazione. 
Il momento della morte coincide con quello in cui vengono simultaneamente riscontrati i requisiti richiesti. 
 
N.B. L’accertamento della  morte cerebrale, eseguito dall’apposito collegio medico, esclude ogni ulteriore 
accertamento da parte del medico necroscopo e l’obbligo di certificazione delle cause di morte compete, in 
qualità di medico necroscopo, al componente medico‐legale del collegio. 
 
 
CERTIFICAZIONE DELLA MORTE 
 
Occorre distinguere tra: 
‐ Certificato di constatazione del decesso 
‐ Denuncia delle cause di morte 
 
Certificato di constatazione del decesso 
Può  essere  richiesto  a  qualsiasi  medico  che  abbia  prestato  assistenza  al  morente  oppure  che  sia 
intervenuto a decesso appena verificatosi. 
Serve ad attestare la cessazione irreversibile delle funzioni vitali. 
In suo possesso i parenti del defunto o un loro delegato informano l’Ufficiale di Stato Civile dell’avvenuto 
decesso di una persona nel territorio comunale di competenza.  
Costituisce il presupposto per l’accertamento della morte da parte del medico necroscopo. 
I medici necroscopi sono nominati dalle ASL, eccetto che negli ospedali dove le relative funzioni vengono 
direttamente attribuite al Direttore Sanitario che, di norma, le delega ad altri medici ospedalieri. 
Il  Regolamento  di  Polizia  Mortuaria  stabilisce  che  la  visita  da  parte  del  medico  necroscopo  debba  essere 
effettuata non prima di 15 h dal decesso – salvo casi particolari, come decapitazione, maciullamento … – e 
non dopo le 30 h.  2 
Tale Regolamento dispone, inoltre, che nessun cadavere venga chiuso in cassa, né sottoposto ad autopsia o 
a trattamenti conservativi, prima che siano trascorse 24 h dal momento del decesso; 48, nei casi di morte 
improvvisa o nel sospetto di morte apparente. Si fa eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento e 
per  quelli  nei  quali  il  medico  necroscopo  abbia  accertato  la  morte  anche  mediante  l’ausilio  di  un 
monitoraggio elettrocardiografico continuo la cui durata non deve essere inferiore ai 20 min.  
Ove  la  morte  sia  dovuta  ad  una  delle  malattie  infettive  o  diffusive  comprese  in  un  apposito  elenco 
pubblicato dal Ministero della Salute e nei casi in cui il cadavere presenti già segni di iniziata putrefazione, 
su proposta del coordinatore sanitario dell’ASL, il Sindaco può ridurre la durata del periodo di osservazione 
a meno di 24 h. 
Per concludere, nessun cadavere può avere sepoltura senza l’autorizzazione dell’Ufficiale di Stato Civile che 
la concede solo dopo l’accertamento della morte da parte del medico necroscopo ed al termine del periodo 
di osservazione previsto dal Regolamento di Polizia Mortuaria. 
 
 
Denuncia  delle cause di morte 
È obbligatoria solo per il medico che realmente conosce la concatenazione causale degli eventi che hanno 
condotto all’exitus  il paziente. 
Tale obbligo in genere vale per il medico curante o per il medico necroscopo, nei casi di decessi avvenuti 
senza  assistenza  medica.  L’obbligo  vale,  inoltre,  per  i  medici  incaricati  di  eseguire  autopsie  o  riscontri 
diagnostici. 
È diretta al  Sindaco del Comune di residenza, nella sua veste di autorità sanitaria.  
Va inviata entro 24 ore dall’accertamento del decesso su apposita scheda di morte stabilita dal Ministero 
della  Salute  d’intesa  con  l’Istituto  Nazionale  di  Statistica,  la  cui  finalità  è  anche  statistico‐sanitaria  ed 
epidemiologica. 
 
 

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La scheda ISTAT comprende due sezioni: 
‐ Sezione A, da compilarsi a cura del medico 
‐ Sezione B, da compilarsi a cura dell’Ufficiale di Stato Civile  
La sezione A, a sua volta, è costituita da due riquadri: uno per la morte  dovuta a cause naturali, l’altro per 
la morte da causa violenta.  
In caso di morte per cause naturali, il medico dovrà indicare quali siano state le cause iniziali, intermedie e 
finali che, a suo giudizio, hanno determinato la morte del suo assistito. 
In  caso  di  morte  violenta,  il  medico  dovrà  precisare  se  si  sia  trattato  di  suicidio,  omicidio,  accidente, 
infortunio sul lavoro.  
 
 
Sussiste, inoltre, l’obbligo di presentare referto all’Autorità Giudiziaria, per ogni medico che, nel prestare 
assistenza al  morente o nell’intervenire a decesso  appena verificatosi, abbia  il sospetto di una  morte  per 
cause violente. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  3 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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ESAME DEL CADAVERE E SOPRALLUOGO GIUDIZIARIO 
 
 
ESAME DEL CADAVERE 
 
È necessario distinguere tra: 
 RISCONTRO DIAGNOSTICO 
 AUTOPSIA GIUDIZIARIA 
 
 
RISCONTRO DIAGNOSTICO 
Esame  sistematico  del  cadavere  eseguito  su  disposizione  dell’Autorità  Sanitaria,  per  finalità  meramente 
cliniche. 
Viene effettuato nel caso di:  
1. Persone decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale o in un obitorio, per accertare la 
causa della morte  
2. Persone  decedute  in  ospedali,  cliniche  universitarie,  istituti  di  cura  privati,  tutte  le  volte  che  lo 
dispongano  i  rispettivi  Direttori  Sanitari,  su  richiesta  di  primari  o  medici  curanti,  per  il  controllo  della 
diagnosi o il chiarimento di quesiti medico‐scientifici. 
 
Il  riscontro  diagnostico  può  anche  essere  richiesto  dal  medico  di  famiglia  qualora  si  tratti  di  persone 
decedute a domicilio per una malattia infettiva diffusiva o sospetta di esserlo, con l’intento di precisare la 
diagnosi.  
 
Il medico anatomo‐patologo che, nel corso del riscontro diagnostico, abbia il sospetto che la morte sia da 
riferire  ad  una  causa  violenta  (dolosa  o  colposa)  deve  sospendere  l’indagine  e  presentare  il  referto, 

mettendo la salma a disposizione dell’autorità giudiziaria. 
 
 
 
AUTOPSIA  
Viene ordinata dal Magistrato quando  ritenuta necessaria per l’identificazione del cadavere e per stabilire 
la causa, i mezzi, l’epoca e la modalità della morte, ai fini del giudizio di responsabilità.  
Secondo le raccomandazioni del Consiglio della Comunità Europea, le autopsie andrebbero praticate in tutti i casi di 
morte non naturale, certa o sospetta. Pertanto, nei casi di: 
1. Omicidio certo o sospetto 
2. Suicidio 
3. Morte improvvisa, anche infantile 
4. Sospetta violazione dei diritti umani (tortura, maltrattamento) 
5. Morte iatrogena o in rapporto a “malpractice” professionale 
6. Decessi a seguito di: 
‐ Incidenti stradali 
‐ Infortuni sul lavoro 
‐ Malattie professionali 
‐ Incidenti domestici 
‐ Catastrofi 
7. Morte  in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di polizia 
8. Cadaveri non identificati o resti scheletrici 
 
È  considerata  un  accertamento  tecnico  non  ripetibile  giustificando,  pertanto,  la  richiesta  di  incidente 
probatorio.  
Se si procede con l’incidente probatorio, il verbale dell’autopsia assumerà valore di prova e come tale potrà 
essere  utilizzato  dalle  parti  nel  dibattimento  in  aula,  sebbene  l’autopsia  sia  stata  condotta  durante  le 
indagini preliminari.  

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L’autopsia si articola in un esame esterno del cadavere ed in un esame degli organi interni. 
 
Le principali finalità dell’esame esterno del cadavere sono: 
1. Accertare l’identità del cadavere 
2. Stabilire l’epoca della morte, attraverso la valutazione dei fenomeni cadaverici 
3. Descrivere segni esteriori di lesività, senza modificare lo stato fisico del cadavere 
4. Obiettivare eventuali reperti morbosi in atto all’epoca del decesso o esito di malattie pregresse.  
 
 
Esame degli organi interni 
Solitamente, si procede aprendo, dapprima, la cavità cranica, poi la cavità toracica, quindi il collo, la cavità 
addominale, il bacino e gli arti. 
In  genere,  viene  praticata  un’incisione  che  parte  bilateralmente  da  dietro  l’orecchio  e  che  corre  lungo  la  faccia 
postero‐laterale del collo, fino alla clavicola.  
Si effettua quindi un’incisione trasversale che passa per il manubrio sternale.  
Segue un’incisione toraco‐addominale mediana fino al pube. 
Si praticano poi due tagli obliqui, uno per parte, sino alle pieghe inguinali. 
I lembi toraco‐addominali vengono rovesciati verso i lati, il lembo cutaneo del collo viene rovesciato verso l’alto. 
 
Relativamente all’esame del capo, si effettua un taglio bi‐mastoideo passante per il vertice, rovesciando un lembo in 
avanti e l’altro indietro.  
Per l’apertura della teca cranica viene praticato un taglio osseo circolare passante sopra la glabella e la protuberanza 
occipitale esterna e si completa la sezione aiutandosi con uno scalpello ad azione di leva posto in corrispondenza delle 
incisure frontali e temporo‐occipitali. 
 
Ogni organo estratto dalla sua cavità  va studiato nei suoi aspetti topografici, fisici ed istologici.  5 
 
N.B.  Il  sangue  necessario  per  l’eventuale  determinazione  dell’alcool  e  di  qualsiasi  altra  sostanza 
stupefacente,  va  prelevato  preferibilmente  dalla  vena  femorale  piuttosto  che  dal  cuore.  Infatti,  nei 
campioni prelevati dal cuore durante l’autopsia, il sangue cardiaco tende ad essere mescolato con quello 
proveniente dal viscere epatico attraverso la vena cava inferiore e ciò può alterare i valori dell’alcolemia. 
 
 
Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post‐mortali 
Talora,  nello  studio  medico‐legale  del  cadavere,  ci  si  trova  difronte  alla  necessità  di  dover  distinguere  se 
determinate lesioni siano state prodotte in vita (lesioni vitali) o dopo la morte (lesioni post‐mortali) 
 
I segni che depongono per il carattere pre‐mortale o vitale di una lesione sono: 
1. Reazione  flogistica  a  carico  dei  margini,  nonché  dimostrazione  istologica  di  una  loro  infiltrazione 
leucocitaria  
2. Infiltrazione  emorragica  degli  stessi  margini,  indicativa  del  sussistere  di  pressione  sanguigna  al 
momento in cui la lesione è stata prodotta 
3. Emostasi e formazione del reticolo di fibrina 
4. Trombosi vasale, distinguendo, comunque, i trombi – che all’esame istologico presentano abbondante 
fibrina  –  dai  cosiddetti  pseudo‐coaguli  post‐mortali  (agglomerati  gelatinosi  più  o  meno  compatti  di 
leucociti ed emazie) 
5. Formazione di essudato 
N.B. L’essudazione si fa soprattutto evidente quando sono trascorse almeno 48 h dal momento in  cui la 
lesione è stata prodotta 
6. Presenza di monociti nell’essudato  
7. Reazione fibroblastica del tessuto circostante la ferita e comparsa di fibrille collagene 
8. Formazione di croste sierose, ematiche o siero‐ematiche 

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Il verbale di autopsia consta generalmente di tre parti: 
‐ Nella  prima,  si  descrivono  i  dati  anatomo‐patologici  raccolti  durante  l’esame  delle  parti  esterne  ed 
interne. 
 
‐ Nella seconda,  si formula la diagnosi anatomo‐patologica delle alterazioni riscontrate. 
 
‐ Nella terza, si  precisa e si motiva la diagnosi medico‐legale relativa a causa, mezzi, modalità ed epoca 
della morte,  tenendo conto delle informazioni avute dal Magistrato e rispondendo ai quesiti posti da 
quest ultimo. 
 
 
 
Giudizio conclusivo sulla causa della morte 
A seconda delle cause che la provocano, si parla di: 
1. Morte naturale, se il decesso rappresenta la naturale conclusione – perciò prevedibile e prevista –  di 
un processo di malattia 
2. Morte improvvisa, se il decesso si verifica in maniera istantanea o rapida, risultando inatteso rispetto 
alle condizioni cliniche pre‐esistenti 
3. Morte iatrogena, se il decesso è causato dal trattamento medico o chirurgico instaurato 
4. Morte violenta, se il decesso è provocato dal comportamento violento di terzi oppure dalla persona su 
se stessa (caso di omicidio, suicidio, incidente) 
 
 
 
LUOGO DELLA MORTE ED INDAGINI DI SOPRALLUOGO 
Le indagini di sopralluogo sono tutte quelle che vengono effettuate sullo stesso luogo di ritrovamento del 
cadavere o dove si suppone sia stato commesso un delitto.  6 
 
N.B. I medici che, per primi, giungono sulla scena sono generalmente quelli del 118, chiamati in loco allo 
scopo  di  accertare  se  il  soggetto  rinvenuto  sia  morto  o  vivo  e  se  vi  sia  la  necessità  di  un  trattamento 
d’urgenza. 
Fondamentale  è  che  i  medici  del  118  non  inquinino  la  scena  del  crimine.  Devono,  pertanto,  astenersi 
dall’effettuare manovre rianimatorie qualora appaia evidente che il soggetto sia deceduto, con la conferma 
del decesso che andrebbe possibilmente ricercata senza spostare il cadavere. 
Nel  corso  dell’intervento,  il  medico  del  118  dovrebbe  registrare  quante  più  informazioni  possibili  relative 
alla scena ed alla vittima, meglio se con l’ausilio di foto.  
Inoltre,  poiché  la  morte  del  soggetto  può  configurare  un  delitto  perseguibile  d’ufficio,  il  medico  del  118, 
rivestendo  la  qualifica  di  Pubblico  Ufficiale,  deve  tempestivamente  presentare  rapporto  all’autorità 
giudiziaria. 
 
Particolarmente  utile  sarebbe  la  partecipazione,  alle  indagini  di  sopralluogo,  di  un  medico  legale,  come 
Ausiliario delle Polizia Giudiziaria oppure come Consulente del Pubblico Ministero. 
Il medico legale, convocato sulla scena, deve prendere nota, mediante appunti, disegni, fotografie di: 
1. Luogo dove giace la salma 
2. Atteggiamento generale del corpo  
3. Posizione degli arti, del capo e delle singole parti in dettaglio 
4. Oggetti che sono sul corpo, sotto di esso o nelle mani 
5. Stato delle vesti 
6. Oggetti, macchie e tracce presenti nelle vicinanze del corpo 
7. Dati anatomo‐patologici utili alla definizione dell’epoca della morte  
8. Segni esteriori di azione lesiva 
 

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EPOCA DELLA MORTE E MODIFICAZIONI TANATOLOGICHE DEL CADAVERE 
 
 
I segni osservabili nell’organismo dopo la morte possono essere classificati in due gruppi: 
 
‐ NEGATIVI o ABIOTICI, da cessazione delle funzioni vitali 
 
‐ POSITIVI o TRASFORMATIVI, da processi nuovi che avvengono nel cadavere 
  
 
SEGNI NEGATIVI o ABIOTICI 
A loro volta, si distinguono in: 
‐ Segni  immediati,  rappresentati  dalla  stessa  cessazione  definitiva  delle  funzioni  respiratoria, 
cardiocircolatoria e nervosa (cdt tripode vitale di Bichat) 
 
‐ Segni consecutivi  
Tra i segni negativi o abiotici consecutivi rientrano: 
 
1. Perdita dell’eccitabilità muscolare 
Può essere valutata con un martelletto da riflessi. 
In genere, l’eccitabilità della muscolatura striata si attenua 5h dopo la morte e svanisce dopo 8‐12h. 
 
 
 
2. Raffreddamento del  cadavere (algor mortis) 
Subito  dopo  il  decesso,  la  temperatura  del  corpo  diminuisce  sino  a  raggiungere  l’equilibrio  con 
quella ambientale, generalmente più bassa dei 37 °C di temperatura corporea interna media.   7 
Il decremento termico, tuttavia, non segue le comuni leggi fisiche, per la presenza, anche dopo la 
morte, di processi biochimici capaci di produrre calore.  
In particolare, si riconoscono: 
‐ Fase di discesa lenta: durante le prime 4 h, in cui la temperatura decresce di ½ grado l’ora 
‐ Fase  di  discesa  rapida:  durante  le  successive  10  h,  in  cui  la  temperatura  decresce  di  circa  1 
grado l’ora 
‐ Fase di nuova discesa lenta: fra la 15a e la 24a h dal momento del decesso. Durante questa fase, 
la  temperatura  scende  dapprima  di  ¾  di  grado  per  h,  poi  di  ½  grado,  quindi  di  ¼  di  grado 
raggiungendo, infine, i valori ambientali. 
‐ Fase dell’equilibrio termico: oltre la 24a ora. 
 
 
I fattori che influenzano il raffreddamento del cadavere sono distinguibili in: 
‐ Intrinseci 
‐ Estrinseci 
 
Per  quanto  riguarda  i  fattori  Intrinseci,  l’età  neonatale  e  giovanile,  lo  scarso  sviluppo  della  massa 
corporea,  il  minore  spessore  del  grasso  sottocutaneo,  aumentano  la  dispersione  del  calore 
corporeo, accelerando il raffreddamento del corpo.  
 
Tra  i  fattori  intrinseci  che  condizionano  il  raffreddamento  del  cadavere,  rientra  anche  la 
temperatura del corpo al momento della morte. 
 
 

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Una morte in ipertemia, per colpo di calore, colpo di sole, infezioni acute, intossicazioni acute da 
amfetamine e cocaina, rallenta infatti il raffreddamento del cadavere. 
Una morte in ipotermia, per cachessia, inanizione, etilismo acuto, invece, lo rende più rapido. 
 
 
Fattori Estrinseci  
Sono  rappresentati  da  temperatura  ambientale,  umidità,  ventilazione  dei  luoghi,  periodo 
stagionale, indumenti che, specie se di lana, proteggono dalla dispersione del calore. Se essi sono 
bagnati,  tuttavia,  favoriscono  il  raffreddamento  del  cadavere,  per  l’evaporazione  dell’acqua  che 
trascina con sé calore.  
 
N.B. 
Se  la  temperatura  ambientale  è  maggiore  di  quella  corporea,  affinché  quest  ultima  possa 
equipararsi  alla  prima,  il  cadavere  subisce  una  marcata  disidratazione.  Ciò  conduce  ad  una  forma 
anomala di decomposizione: la mummificazione.  
 
 
La temperatura post‐mortale va rilevata più volte con un termometro di laboratorio, introdotto nel 
retto, e confrontata con quella ambientale. 
 
 
 
3. Rigidità cadaverica (rigor mortis) 
Consiste  nell’irrigidimento  dei  muscoli  volontari  ed  involontari  che  si  manifesta  dopo  una  fase 
iniziale di flaccidità post‐mortale.  
Generalmente,  la  rigidità  cadaverica  inizia  verso  la 2a‐4a  h  successiva  al  decesso  nei  muscoli  della 
mandibola;  diffonde  quindi,  in  senso  cranio‐caudale,  ai  muscoli  di  nuca,    arti  superiori,  tronco  ed  8 
arti inferiori, completandosi nel giro di 12‐24 h. 
Regredisce poi gradualmente, secondo lo stesso ordine cranio‐caudale, per svanire del tutto dopo 
circa 72 h dal decesso. 
 
La  causa  del  rigor  mortis  risiederebbe  nella  scomparsa  post‐mortale  dell’ATP,  con  conseguente 
“gelificazione” dei filamenti di miosina e di actina, che manterrebbe le fibre muscolari in uno stato 
di contrazione.  
La  risoluzione  spontanea  della  rigidità  cadaverica  sarebbe  invece  dovuta  all’autolisi  post‐mortale 
dei miofilamenti, con distacco dell'actina dalla miosina. 
 
 
Diversi fattori influenzano la comparsa, l’entità ed il decorso della rigidità cadaverica. 
Tali fattori possono essere distinti in estrinseci ed intrinseci. 
 
Tra i fattori estrinseci rientra principalmente la temperatura ambientale. 
‐ Una  temperatura  ambientale  bassa  ritarda  infatti  la  comparsa  e  la  diffusione  della  rigidità 
cadaverica, ma la conserva più a lungo. 
‐ Una temperatura ambientale elevata, invece, accelera l’andamento del rigor mortis, facendolo 
prima comparire e prima risolvere. 
 
 
I fattori intrinseci sono costituiti da condizioni individuali e dal tipo di morte. 
Ad esempio, quanto più la muscolatura è valida, tanto più intensa sarà la rigidità cadaverica. 
Relativamente al tipo di morte, 
 nelle morti violente, la rigidità cadaverica è più spiccata, ma compare più tardi;  
 nelle morti lente di persone defedate, invece, è più precoce, ma meno intensa e durevole. 

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Notevole  importanza  nella  comparsa  della  rigidità  cadaverica  ha  inoltre  lo  sforzo  sopportato  dal 
muscolo prima della morte.  
Uno sforzo intenso prima della morte accelera, infatti, l’inizio del rigor che può essere così precoce 
da far conservare al cadavere lo stesso atteggiamento degli ultimi momenti di vita. 
Si parla, in questo caso, di rigidità catalettica, che può insorgere anche dopo traumi al capo. 
 
 
 
4. Ipostasi 
Sono  prodotte  –  venuta  meno  la  contrazione  del  cuore  –    dal  deflusso  passivo,  per  gravità,  del 
sangue nelle parti declivi del cadavere, dove riempiendo i vasi del derma, induce la comparsa, sulla 
cute, di una colorazione generalmente rosso‐vinosa, che rende manifesto il fenomeno all’esterno. 
 
La sede delle ipostasi varia a seconda della posizione assunta dal corpo dopo la morte (che così può 
essere desunta):  
‐ Nella  posizione  supina,  esse,  si  formano  alla  nuca,  alle  orecchie,  al  dorso  ed  alla  faccia 
posteriore degli arti 
‐ Nella posizione prona, le ipostasi sono ventrali 
‐ Nel decubito laterale, interessano l’emi‐fianco di decubito
 
N.B. i punti di appoggio vengono tipicamente risparmiati, poiché, a questo livello, i vasi del derma 
sono compressi. 
 
Possibile  comunque  è  anche  il  riscontro  di  ipostasi  anti‐gravitarie,  localizzate  cioè  in  zone  non 
declivi, la cui comparsa dipende da un ostacolo al deflusso ematico verso le regioni declivi. 
Tale ostacolo può dipendere da: 
‐ Lacci ed indumenti stretti  9 
‐ Aumento  delle  resistenze  del  piccolo  circolo,  ad  esempio  per  l’edema  polmonare  acuto  che 
accompagna  le  morti  asfittiche,  e  responsabile  della  comparsa  di  ipostasi  anti‐gravitarie  a 
mantellina in corrispondenza di volto, collo e terzo superiore del torace.  
 
 
Per quanto riguarda l’entità del fenomeno, le ipostasi sono scarse quando c’è poco sangue nei vasi 
(caso  di  morte  dopo  lunghe  malattie  o  emorragie  profuse);  sono,  invece,  abbondanti  nelle  morti 
improvvise ed asfittiche, data la maggiore fluidità del sangue. 
 
 
Cronologia delle ipostasi 
In linea generale, quando non si vedono ipostasi sul corpo, è possibile supporre che siano trascorse 
meno di 2 h dal momento della morte (fanno eccezione le morti improvvise o asfittiche nelle quali, 
per la maggiore fluidità del sangue, la comparsa delle ipostasi è più precoce). 
Una volta manifestatesi, le ipostasi attraversano 4 fasi successive: 
 
1. Fase della migrabilità assoluta o totale 
Muovendo  il  cadavere,  le  ipostasi  possono  spostarsi  completamente  dalla  prima  sede  e 
ricomparire nella nuova sede declive. 
In questo caso, è lecito pensare che non siano trascorse più di 6‐8 h dal momento della morte. 
 
2. Fase della migrabilità parziale 
Muovendo il cadavere, le macchie ancora si spostano, ma solo parzialmente. 
Ciò depone per un maggior tempo trascorso rispetto al momento del decesso: solitamente, da 
8 a 12 h. 
 

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3. Fase della fissità relativa  
Si estende dalla 12a alla 72a h. 
In  questa  fase,  le  macchie  ipostatiche  possono  ancora  spostarsi  dalla  posizione  originaria  ma 
solo esercitando un’azione pressoria locale, più o meno intensa (digitopressione). 
 
4. Fase della fissità assoluta 
Parte dalla 72a h successiva alla morte. 
 
La migrabilità delle ipostasi è segno che il  sangue è ancora nei vasi.  
La progressiva acidificazione dei tessuti, dipendente dall’assenza di ossigeno, porta alla morte delle 
cellule, comprese quelle costituenti le pareti dei vasi, consentendo il passaggio dei globuli rossi nel 
tessuto sottocutaneo, con riduzione della migrabilità delle ipostasi. 
Il fenomeno interessa, prima, le pareti dei capillari con la conseguenza che, al variare del decubito 
del cadavere, il sangue si sposta esclusivamente nei vasi di calibro maggiore (fase della migrabilità 
parziale). 
La necrosi si estende quindi anche alle pareti dei vasi più grandi, consentendo lo spostamento delle 
macchie ipostatiche solo mediante digitopressione (fase della fissità relativa). 
Con la degradazione dell’emoglobina, infine, la fissità delle ipostasi diviene assoluta. 
  
 
Sebbene le ipostasi generalmente siano di colore rosso‐vinoso, possono assumere un colorito:  
‐ Rosso ciliegia, nell’avvelenamento da CO 
‐ Rosso vivo, nell’avvelenamento da cianuro 
‐ Bruno, nell’avvelenamento da metaemoglobinizzanti (vapori nitrosi, anilina) 
‐ Pallido, nelle morti da shock emorragico 
‐ Verdastro, nello stadio colorativo della fase putrefattiva, per la formazione di solfoHb 
  10 
 
 
5. Disidratazione  
Consiste nella perdita di liquidi, che si verifica per evaporazione, con conseguente disseccamento 
post‐mortale. 
 
Assume aspetti particolarmente evidenti a livello oculare, dove viene suggerita da: 
‐ Tela di Winslow ovvero opacamento corneale 
‐ Macchie sclerali 
‐ Infossamento del bulbo e riduzione della tensione endoculare: segno di Louis 
 
Viene condizionata da vari fattori, principalmente ambientali. È, ad esempio, molto rapida in climi 
asciutti, caldi e ventilati dove può produrre uno stato di mummificazione naturale.  
 
 
 
6. Acidificazione 
È  dovuta  all’accumulo  di  acido  lattico,  provocato  dalla  cessazione  dei  meccanismi  ossido‐riduttivi 
cellulari. 
Inizia precocemente e si completa tra le 4 e le 7 h dopo la morte. Cessa con il sopraggiungere della 
putrefazione, che alcalinizza i tessuti. 
Può  essere  valutata  producendo  un’escoriazione  e  saggiando,  con  una  cartina  al  tornasole,  la 
superficie scoperta del derma. 
 
 
 

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SEGNI POSITIVI o TRASFORMATIVI 
 
1. Autolisi 
Per autolisi, s’intende un fenomeno di autodistruzione indipendente dall’azione microbica. 
È sostenuta da enzimi lisosomiali che si liberano dopo la morte della cellula. 
 
 
 
2. Putrefazione 
Processo di distruzione cadaverica dovuto all’azione di microrganismi  
 
Attraversa 4 periodi successivi: 
 
1. Periodo cromatico 
2. Periodo gassoso 
3. Periodo colliquativo 
4. Periodo della scheletrizzazione 
 
 
Periodo cromatico 
Si caratterizza per la comparsa, verso il II‐III giorno dalla morte, della cdt “macchia verde putrefattiva” 
sulla cute della  fossa iliaca destra, corrispondente alla sede del cieco, dove pullulano germi anaerobi 
che conoscono un intenso sviluppo nel momento in cui i tessuti consumano tutto l’ossigeno disponibile. 
Quest intenso sviluppo riguarda, per primi, il  Clostridium perfringens ed il butirrico. 
Tali  microrganismi,  venuta  meno  dopo  la  morte  l’azione  di  barriera  della  parete  intestinale,  possano 
all’interno dei addominali in cui trovano un ambiente molto favorevole per la loro riproduzione e, nel 
moltiplicarsi,  si  spingono  sempre  più  verso  la  superficie  corporea  (andamento  centrifugo  della  11 
putrefazione). 
La  loro  azione  principale  consiste  nel  degradare  ulteriormente  le  sostanze  proteiche,  già  scisse 
dall’autolisi,  trasformandole  in  composti  sempre  più  semplici,  fino  alla  costituzione  di  liquidi  e  gas, 
come  l’idrogeno  solforato  (H2S).  Quest  ultimo,  reagendo  con  l’emoglobina,  la  converte  in  solfo‐  e 
solfometaemoglobina responsabili del colorito verdastro. 
N.B.  La  macchia  verde  può  esordire  anche  in  altri  punti,  oltre  che  all’addome.  Ad  esempio,  si 
costituiscono macchie verdastre laddove esistono raccolte purulente o stravasi sanguigni sottostanti. 
N.B. Nei feti e nei neonati che non hanno ancora deglutito, il fenomeno inizia in corrispondenza degli 
orifizi respiratori a causa della sterilità del canale digerente. 
Dopo  la  sua  comparsa,  la  macchia  verde  si  estende  a  tutto  il  corpo,  non  per  continuità  diretta,  ma 
seguendo il decorso dei vasi venosi superficiali, che si rendono evidenti sotto forma di arborizzazioni di 
colorito verdastro (reticolo venoso putrefattivo). 
Le maglie della rete divengono via via più fitte, con la tinta verdastra che confluisce in aree sempre più 
estese, interessando, infine, l’intera superficie corporea.  
N.B. La tinta verde risulta più intensa dove maggiore è il contenuto di pigmento ematico e, quindi, nelle 
aree ipostatiche.  
Il periodo cromatico dura un paio di gg, in estate; oltre 2 settimane, in inverno.  
 
 
Periodo gassoso o enfisematoso 
Inizia verso il III‐IV giorno dalla morte, in estate; entro il 15°‐20° giorno, in inverno. 
È caratterizzato dal fatto che la produzione di gas putrefattivi (come l’idrogeno solforato) ad opera di 
germi anaerobi gasogeni (Clostridium perfringens e butirrico) raggiunge il suo picco massimo. 
A causa dei gas putrefattivi, il cadavere assume un aspetto gigantesco o batraciano, con faccia rigonfia, 
occhi  che  fuoriescono  dalle  orbite,  lingua  tumefatta  che  protrude  dalle  arcate  dentarie,  addome 
disteso, iniziale e diffuso distacco dell’epidermide. 

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La  pressione  dei  gas  provoca,  inoltre,  lo  spostamento  del  sangue  dentro  i  vasi  (cdt  circolazione  post‐
mortale),  il  sanguinamento  delle  ferite,  la  perdita  di  feci,  il  prolasso  del  retto  e  della  vagina  e,  nelle 
donne morte gravide, l'espulsione del feto (cdt  “parto nella bara”). 
 
 
Periodo colliquativo 
È caratterizzato dalla colliquazione del cadavere (malacia cadaverica) che si rende manifesta, in estate, 
verso il 2° mese; in inverno, solo dopo 4 mesi o più dalla morte. 
La colliquazione del cadavere inizia con lo scollamento dello strato epidermico che consente l’accesso 
di  germi  aerobi  provenienti  dall’esterno.  I  germi  aerobi  diffondono  dalla  superficie  in  profondità, 
conferendo alla putrefazione un andamento centripeto.  
I germi anaerobi, invece, non trovano più condizioni favorevoli al loro sviluppo, con la produzione di gas 
che si riduce per poi cessare. 
Durante il periodo colliquativo,  
‐ il cadavere perde l’aspetto gigantesco, per la diminuita sintesi di gas putrefattivi;  
‐ il suo colorito, da verdastro, diventa bruno, per formazione di ematina; 
‐ il cuore ed i grossi vasi perdono il loro contenuto ematico;  
‐ i  visceri  si  rammolliscono,  con  progressiva  trasformazione  dei  tessuti  in  un  liquame  nerastro,  di 
odore prima putrido, poi tipicamente ammoniacale.  
N.B. Tra i diversi organi, il cervello è fra i primi organi a ridursi in una poltiglia omogenea, mentre 
l’utero  e  la  prostata  si  dimostrano  i  più  resistenti,  consentendo  di  identificare  il  sesso,  quando 
ormai i genitali esterni sono distrutti.   
    
 
Periodo della scheletrizzazione 
       Si completa in genere dopo  3‐5 anni dalla morte. 
È più precoce nei cadaveri interrati; più tardivo, nei cadaveri sepolti in casse di zinco.  12 
 
 
La putrefazione viene influenzata da diversi fattori, distinguibili in: 
‐ Intrinseci 
‐ Estrinseci 
 
Fattori intriseci 
‐ Età  
La putrefazione è, infatti, rallentata nei feti, per la sterilità del canale digerente  
 
‐ Costituzione fisica  
La  putrefazione  è,  infatti,  più  rapida  nei  soggetti  pletorici  rispetto  a  quelli  magri,  per  la  maggiore 
quantità di liquidi presente nei tessuti  

‐ Tipo di morte  
La putrefazione è precoce e rapida nei soggetti defedati ed in quelli deceduti a seguito di infezioni 
sistemiche. 
Anche  le  morti  asfittiche  accelerano  i  processi  putrefattivi,  poiché  lo  stato  fluido  del  sangue 
favorisce la moltiplicazione e la diffusione dei germi. 
Per  contro,  vi  sono  cause  di  morte  e  condizioni  che  ritardano  la  putrefazione,  caso  di  morte  per 
anemia acuta, intossicazione acuta da acido fenico, sali di mercurio, formalina, terapia  antibiotica. 
 
  
 
 

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Fattori estrinseci  
Sono quelli che maggiormente influenzano l’andamento della putrefazione ed includono:  
‐ Temperatura ambientale 
Quella compresa tra i 25° e i 35 °C è ottimale per lo sviluppo dei germi putrefattivi.  
Il  freddo,  invece,  permette  un’ottima  conservazione  del  cadavere,  inibendo  la  moltiplicazione 
batterica. 
Si  ritiene  infatti  che  il  grado  di  putrefazione  raggiunto  in  un'ora  nel  periodo  estivo  equivalga  a 
quello di un giorno nel periodo invernale. 
 
‐ Umidità 
Favorisce la putrefazione, mentre un clima secco la rallenta. 
Pertanto,  salme  tolte  dall’acqua  vanno  in  rapida  putrefazione  mentre,  fin  tanto  che  vi  restano 
immerse, si conservano meglio. 
Infatti, 1 g di esposizione all’aria equivale a 2 gg di permanenza nell’acqua ed a 4 di permanenza 
sotto terra. 
 
‐ Ventilazione 
Contrasta  la  putrefazione,  riducendo  l’umidità  dell’aria  e  può  portare  ad  una  forma  anomala  di 
decomposizione: la mummificazione. 
 
 
 
N.B. 
Nel  periodo  della  putrefazione,  inoltre,  il  cadavere  viene  aggredito  da  numerosi  parassiti  animali, 
principalmente insetti di diversa specie ed in ondate successive. 
Nelle fasi più precoci, si osservano larve di mosche. Il rinvenimento di mosche allo stadio larvale, infatti, 
indica che sono passate almeno 10h dalla morte.  13 
Il raggiungimento del successivo stadio ninfale o pupale indica che è trascorso un tempo maggiore dalla 
morte (10‐15 gg). 
Le  pupe  o  ninfe  sono  racchiuse  nei  pupari.  Se  in  un  cadavere  si  trovano  dei  pupari  già  vuoti  si  può 
affermare che, dalla morte, è passato un tempo > 15 gg. 

 
 
Forme anomale di decomposizione  
Si osservano in peculiari condizioni ambientali ed includono: 
 
Macerazione  
Interessa  cadaveri  che  giacciono  in  ambienti  umidi  o  liquidi,  pressoché  asettici  (dove  i  processi  autolitici 
prevalgono su quelli putrefattivi). 
La  macerazione  è  pertanto  tipica  dei  feti  morti  in  utero  ed  ivi  trattenuti,  essendo  il  sacco  amniotico  un 
ambiente sterile. 
Fenomeni di macerazione, comunque, si osservano anche in cadaveri rimasti immersi nell’acqua. 
La  macerazione  consiste  nella  progressiva  imbibizione  idropica  dei  tessuti  che,  a  livello  cutaneo,  riguarda 
soprattutto lo strato corneo dell’epidermide, causandone rigonfiamento. 
La macerazione cutanea pertanto comincia e si rende maggiormente manifesta laddove lo strato corneo è 
più spesso e privo di ghiandole sebacee: palma delle mani e pianta dei piedi. 
Più precisamente, esordisce già dopo poche h, con un colore biancastro della cute dei polpastrelli.  
Compaiono, quindi, raggrinzimenti, con lo strato corneo che, imbibito d’acqua, aumenta di volume.  
Il fenomeno poi si estende a resto delle dita, mani e piedi, interessando, successivamente, la loro superficie 
dorsale, i polsi e le caviglie. 
L’epidermide così imbibita infine si distacca “a guanto” o “a scarpa” oppure cade a pezzi, per l’effetto  di 
urti. 

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N.B.  Lo  stato  di  macerazione  della  cute  può  essere  valutato  per  stabilire  la  durata  dell’immersione  di  un 
corpo.  È  stato  infatti  calcolato  che  la  macerazione  cutanea,  per  estendersi  al  dorso  della  mano,  impiega 
circa 5‐8 gg, mentre il completo distacco dell’epidermide avviene in 2‐4 settimane. 
Tuttavia, nell’interpretare la macerazione cutanea, occorre considerare una serie di fattori che influenzano 
l’andamento del fenomeno: 
Temperatura  dell’acqua  (per  imbiancare  completamento  il  palmo  delle  mani,  infatti,  bastano  5‐6  h 
d’estate e 3‐4 gg, d’inverno) 
Contenuto di sale, dato che l’acqua dolce macera più rapidamente di quella marina 
Presenza o meno di indumenti, ed in particolare delle scarpe, che rallentano la macerazione della cute 
 
 
 
Saponificazione 
È  un  processo  trasformativo  che  si  verifica  nei  cadaveri  esposti  ad  elevata  umidità  ambientale  e  scarsa 
ventilazione o che restano per molto tempo sott’acqua. 
Interessa pertanto: 
‐ Corpi inumati in terreno umido, per la superficialità della falda freatica 
‐ Cadaveri custoditi in tombe chiuse e bagnate 
‐ Soggetti morti per annegamento e rimasti in acqua 
‐ Cadaveri sommersi 
 
Il processo – sempre preceduto da un certo grado di putrefazione – si caratterizza per la formazione dell’ 
“adipocera”, un sapone calcico insolubile, di aspetto lardaceo ed untuoso, di colore bianco‐grigiastro e di 
odore  sgradevole,  derivante  dalla  combinazione  dei  grassi  neutri  dei  tessuti  con  i  sali  di  calcio  presenti 
nell'acqua o nel terriccio umido, in cui il cadavere giace.  
Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo, per poi diffondersi al tessuto adiposo periviscerale.  
Si rende evidente dopo alcune settimane e si completa in 6 mesi – 1 anno.  14 
 
 
 
Mummificazione 
Avviene quando il cadavere si trova in un ambiente asciutto, molto caldo e ben ventilato.  
In  tali  condizioni,  infatti,  il  corpo  va  incontro  ad  una  rapida  e  massiva  perdita  di  liquidi,  assumendo  un 
colorito bruno pergamenaceo, a tipo “cuoio vecchio”, differente da quello lucente – a tipo “cuoio di concia 
recente”, caratteristico della corificazione. 
Il processo si realizza a distanza di 1 anno dalla morte. 
 
 
 
Corificazione 
Consiste  in  un  marcato  rallentamento  dei  processi  trasformativi  che  interessa  salme  riposte  in  casse 
metalliche, ermeticamente chiuse, specie se di zinco. 
In tale circostanza, la cute si avvalla ed assume l’apparenza del cuoio di concia recente (diverso quindi dal 
cuoio vecchio della mummificazione). 
Può osservarsi tra il I ed il II anno di inumazione. 
 
 
 

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PUNIBILITÀ 
 
La punibilità di un soggetto viene esclusa da: 
1. Esimenti  che  assolvono  da  una  condizione  di  antigiuridicità  e,  cioè,  di  contrasto  tra  un  fatto  ed  una 
norma giuridica 
2. Esimenti dalla colpevolezza 
3. Non imputabilità del soggetto al momento del fatto  1 
 
 
Esimenti che assolvono da condizione di antigiuridicità 
Si distinguono in: 
‐ Generali 
 
‐ Speciali 
 
‐ Non codificate 
 
 
Esimenti generali 
1. Consenso dell’avente diritto (art. 50 CP) 
“Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente 
disporne”. 
Affinché il consenso abbia efficacia scriminante è necessario che: 
‐ Sia valido, ossia che provenga dal legittimo titolare del diritto e risulti libero o spontaneo 
‐ Abbia ad oggetto diritti disponibili  
Rispetto  al  bene  dell’integrità  personale,  l’art.  5  del  C.C.  stabilisce  che  il  consenso  è  irrilevante  e 
privo di efficacia rispetto a lesioni produttive di una diminuzione permanente dell’integrità fisica o 
contrarie alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. 
N.B.  Tra  i  beni  disponibili  non  rientra  quello  della  vita:  il  nostro  ordinamento  giuridico  prevede, 
infatti, come reato la fattispecie dell'omicidio del consenziente e dell'istigazione al suicidio. 
 
2. Adempimento di un dovere 
 
3. Esercizio di un diritto 
 
4. Legittima difesa 
 
5. Uso legittimo delle armi 
 
6. Stato di necessità 
 
 
Esimenti speciali 
1. Omissione di referto, nel caso in cui si esponga la persona assistita a procedimento penale  oppure sé 
stessi o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà o dell’onore  
 
2. Prestata assistenza a duellanti 
  
3. Soppressione della coscienza o volontà altrui a scopo scientifico o di cura 
 
 

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Esimenti non codificate 
Sono riconducibili a: 
1. Teoria dello scopo: si basa sul principio del giusto mezzo per un giusto fine e considera non contrarie al 
diritto quelle azioni che perseguono un fine giusto. 
2. Teoria  del  bilanciamento  degli  interessi:  quando  vi  sono  due  beni‐interessi  giuridici  in  collisione  è 
consentito sacrificare quello di valore minore a vantaggio di quello di valore prevalente. 
 
 

 
Esimenti dalla colpevolezza 
1. Caso  fortuito,  inteso  come  l'insieme  dei  fattori  causali  sopravvenuti,  preesistenti  o  simultanei  che 
hanno  eccezionalmente  reso  possibile  il  verificarsi  di  un  evento  che,  al  momento  della  condotta,  si 
presentava come inverosimile 
 
2. Forza maggiore 
Consiste in un evento di una forza  alla quale non è oggettivamente possibile resistere. Tale evento, per 
la sua forza intrinseca, induce la persona a compiere un atto positivo o negativo in modo necessario ed 
inevitabile. 
 
3. Violenza fisica 
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla 
quale non poteva resistere o comunque sottrarsi. 
In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l'autore della violenza 
 
4. Errore sul fatto 
Consiste in una falsa rappresentazione della realtà di fatto. 
 
 
 
Non imputabilità del soggetto al momento del fatto 
Secondo l’art. 85 del CP, “nessuno  può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al 
momento  in  cui  lo  ha  commesso,  non  era  imputabile.  È  imputabile  chi  ha  la  capacità  di  intendere  e  di 
volere” 
 
Capacità di intendere 
È l’attitudine a prevedere la portata e le conseguenze della propria condotta.  
Può essere quindi intesa come la coscienza dell'agire. 
Pertanto, il soggetto agente, dotato della capacità di intendere, è in grado di stabilire correttamente se le 
sue  azioni  siano  buone  o  cattive  (valore  morale),  siano  lecite  o  illecite  (valore  giuridico),  siano  utili  o 
dannose all'interesse comune (valore sociale). 
 
Capacità di volere 
È la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta adatta ad uno scopo.  
Può essere quindi intesta come la libertà dei propri atti. 
 
Pertanto, l‘imputabilità  consiste nell’idoneità di un soggetto ad  essere imputato di un reato e, cioè, nella 
condizione  occorrente  per  attribuire,  al  soggetto  agente,  il  fatto  da  lui  commesso  e  mettergli  in  conto  le 
conseguenze giuridiche della sua condotta. 
 
N.B.  Cosa  diversa  è  l’imputazione,  che  consiste  nell’attribuzione  di  un  reato,  da  parte  del  un  Pubblico 
Ministero, a conclusione delle indagini preliminari. 
 

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Nel soggetto adulto, che ha più di 18 anni, l’imputabilità è sempre presunta  dal codice e quindi ne viene 
sempre data per scontata la sussistenza. 
 
 
Cause di esclusione dell’imputabilità 
Si distinguono in: 
Fisiologiche  
1. Età < 14 anni (art. 97 CP) 

Per i minori di anni 14, infatti, sussiste sempre la presunzione assoluta della non imputabilità. 
 
 
2. Età < 18 anni (art. 98 CP) 
È tuttavia imputabile chi,  nel momento in cui ha commesso il fatto, pur essendo minore di anni 18  e 
maggiore di anni 14, aveva capacità di intendere e di volere. La pena è comunque diminuita. 
Per  coloro  che  hanno  un’età  compresa  tra  14  e  18  anni,  pertanto,  non  esiste  né  presunzione  di  non 
imputabilità  (come  per  i  minori  di  anni  14),  né  presunzione  di  imputabilità  (come  per  gli  adulti). 
L’imputabilità va accertata caso per caso. 
 
 
N.B.  Secondo  il  CC,  il  minore  è  di  diritto  emancipato  con  il  matrimonio,    per  poter  esercitare  la  potestà 
genitoriale sui figlio, divenendo, al contempo, imputabile. 
 
 
 
Patologiche 
1. Vizio totale di mente (art. 88 CP) 
Non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente 
da escludere la capacità d'intendere o di volere. 
 
 
2.  Vizio parziale di mente (art. 89 CP) 
Chi,  nel  momento  in  cui  ha  commesso  il  fatto,  era,  per  infermità,  in  tale  stato  di  mente  da  scemare 
grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la 
pena è diminuita. 
 
 
Il giudizio sull’effettiva esistenza del vizio totale o parziale di mente è di tipo “storico”, nel senso che deve 
essere riferito, dal perito, al preciso momento in cui quella data persona ha commesso il fatto. 
 
In riferimento a tale preciso momento, occorre innanzitutto valutare la presenza di un disturbo di un mente 
che possa qualificarsi come infermità in senso giuridico, e cioè capace di escludere o diminuire la capacità di 
intendere e di volere. 
Pertanto,  anche  disturbi  della  personalità  non  inquadrabili  nelle  figure  tipiche  della  nosografia  clinica 
possono  acquisire  rilevanza  se  di  consistenza  e  gravità  tali  da  concretamente  incidere  sulla  capacità  di 
intendere e di volere. 
N.B. La sola diagnosi non è tuttavia sufficiente a produrre un giudizio di difetto di imputabilità.  
Tale  giudizio  può  essere  infatti  formulato  solo  dimostrando  la  derivazione  causale  diretta  del 
comportamento delittuoso in discussione dal vizio di mente obiettivato.  
Ad  esempio,  se  un  paranoico  delirante,  affetto  da  delirio  di  persecuzione,  uccide  il  suo  presunto 
persecutore, non vi potranno essere dubbi circa l’esistenza del vizio totale di mente.  
Sarà  diversamente  valutata  l’imputabilità  nel  caso  che  lo  stesso  personaggio  risulti  responsabile  di  un 
delitto che si collochi al di fuori del suo nucleo delirante. 
 

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Il CP, inoltre, precisa l’impatto sull’imputabilità di altre condizioni, quali:  
 
Incapacità procurata (art. 86 CP) 
Se taluno mette altri nello stato d’incapacità di intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, 
del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d’incapacità. 
 
 
Incapacità preordinata (art. 87 CP) 

Chi si è messo in stato di incapacità di intendere o volere, al fine di commettere il reato o di prepararsi una 
scusa, è imputabile. con la pena che risulta aumentata. 
 
 
Stati emotivi o passionali (art. 90 CP)   
Gli stati emotivi o passionali non escludono, né diminuiscono l'imputabilità. 
 
 
Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore (Art. 91 CP) 
Non  è  imputabile  chi,  nel  momento  in  cui  ha  commesso  il  fatto,  non  aveva  la  capacità  d'intendere  o  di 
volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. Se l'ubriachezza non 
era  piena,  ma  era  tuttavia  tale  da  scemare  grandemente,  senza  escluderla,  la  capacità  d'intendere  o  di 
volere, la pena è diminuita. 
Classico è l’esempio della rottura di recipienti contenenti alcool, con conseguente inalazione di vapori 
 
 
Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata  (Art. 92 CP) 
L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità. 
Se  l'ubriachezza  era  preordinata  al  fine  di  commettere  il  reato,  o  di  prepararsi  una  scusa,  la  pena  è 
aumentata. 
 
Si  parla  di  ubriachezza  volontaria,  quando  il  soggetto  vuole  ubriacarsi  e  sa  di  poterlo  fare  bevendo  una 
certa quantità di alcol. 
Si parla di ubriachezza colposa, quando, pur risultando assente la volontà di ubriacarsi, esisteva una chiara 
prevedibilità dell’evento. 
Si parla di ubriachezza preordinata, quando il soggetto non solo beve per ubriacarsi ma vuole farlo proprio 
allo  scopo  di  commettere  un  reato  o  di  prepararsi  una  scusante.  In  questo  caso,  l’imputabilità  non  solo 
viene ammessa, ma la pena è aumentata.   
 
 
Le  disposizioni  dei  due  articoli  precedenti  si  applicano  anche  quando  il  fatto  è  stato  commesso  sotto 
l'azione di sostanze stupefacenti (Art. 93 CP) 
 
 
Ubriachezza abituale (art. 94 CP) 
Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza e questa è abituale, il soggetto che lo ha commesso è 
imputabile e la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito 
all’uso di bevande alcoliche ed in stato frequente di ubriachezza. 
L’aggravamento  di  pena  stabilito  nella  prima  parte  dell’articolo  si  applica  anche  quando  il  reato  è 
commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti, da chi è dedito all’uso di tali sostanze. 
 
 
Cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti (art. 95 CP) 
Per  i  fatti  commessi  in  stato  di  cronica  intossicazione  da  alcol  o  da  sostanze  stupefacenti  si  applicano  le 
disposizioni contenute negli art. 88 ed 89 del CP (vizio totale e vizio parziale di mente). 

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N.B.  l’intossicato  cronico  va  considerato  un  malato  a  tutti  gli  effetti  e  pertanto  non  occorre  verificare 
ulteriormente quale sia l’origine dello stato di intossicazione. 
Nei  primi  periodi,  quando  il  decadimento  volitivo  ed  intellettuale  non  è  molto  accentuato,  si  potrà 
prospettare  l’esistenza  del  vizio  parziale  di  mente.  Nei  casi  avanzati,  invece,  si  potrà  configurare  il  vizio 
totale.  
 
 
Sordomutismo (art.96 C.P.) 

Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della 
sua infermità, la capacità di intendere o di volere 
 
 
 

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LESIONI DA ENERGIA MECCANICA 
 

LESIONI DA CORPI CONTUNDENTI 
 
Si determinano per l’azione di corpi dotati di superficie piana o curva, talora di spigoli, ma mai di margini 
taglienti o punte, atti a traumatizzare. 
Tra essi rientrano: 
‐ Mezzi di offesa e di difesa  naturali, come mani, piedi, gomiti e ginocchia 
‐ Strumenti contundenti destinati ad offendere, come mazze e sfollagenti 
‐ Oggetti contundenti usati occasionalmente per nuocere o che ledono in seguito ad accidente: bastoni, 
pietre, martelli, chiavi inglesi 
 
I corpi contundenti possono agire per: 
 Gravità 
 Stato di moto 
 Resistenza opposta a corpi in movimento 
 
Le lesioni da corpi contundenti includono: 
 
1. Irritazioni 
Lesioni  cutanee  che  si  producono  quando  l’azione  esercitata  dal  mezzo  lesivo  non  supera  la  specifica 
resistenza della cute. 
Si realizzano per un meccanismo di percussione o di sfregamento. 
Un  tipico  esempio  di  irritazione  da  percussione  è  quella  dovuta  ad  uno  schiaffo.  Tale  evenienza 
provoca,  localmente,  una  reazione  vasomotoria,  con  impallidimento  e  successivo  arrossamento  della 
cute, ed una sensazione di bruciore, seguita da torpore ed ipoestesia. 
Lo  schiaffo,  pertanto,  va  inteso  come  un’azione  violenta  responsabile  di  alterazioni  anatomiche,  non 
accompagnate da alcun disturbo funzionale. 
Il  fatto,  quindi,  non  generando  una  malattia  penalmente  rilevante,  configura  un  delitto  di  percosse  e  non  di 
lesione personale. 
 
L’irritazione  da  sfregamento  può  essere  acuta,  con  eritema  e  formazione  di  vescicole  sierose 
sottoepidermiche, oppure cronica, per uno stimolo ripetuto e prolungato nel tempo, con ispessimento 
della cute e callosità. 
 
 
 
2. Escoriazioni 
Consistono  nell’asportazione  o  distruzione  dell’epidermide  da  parte  di  forze  lesive  che  agiscono 
tangenzialmente (strisciamento). 
Si distinguono tre gradi di escoriazione: 
 
‐ Primo grado, in cui il distacco è limitato all’epidermide, con esposizione del derma, che non viene 
interessato.  Determinano  uno  stillicidio  linfatico  che  porta  alla  formazione  di  una  sottile  crosta 
sierosa giallastra. 
‐ Secondo  grado,  in  cui  la  lesione  interessa  anche  le  papille  dermiche  che  s’insinuano  negli  strati 
profondi  dell’epidermide.  La  lacerazione  dei  capillari  in  esse  presenti,  provoca  piccole  emorragie, 
con formazione di una crosta siero‐ematica. 
‐ Terzo grado, in cui la lesione si estende più profondamente nel derma, causando la lacerazione di 
vasi di calibro maggiore, con emorragia copiosa  e formazione di una spessa crosta ematica. 
 

 
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La forma è spesso irregolare.  
Esistono, tuttavia, escoriazioni figurate che riproducono la morfologia del mezzo lesivo, come: 
‐ Disegno degli pneumatici 
‐ Forma “a nastro” dei colpi di frusta 
Varietà di escoriazioni figurate, inoltre, sono:  
‐ Unghiature, derivanti dalla pressione del margine libero ungueale  e che mostrano una tipica forma 
semilunare. 
‐ Graffiature,  prodotte  dallo  strisciamento  dell’unghia  sulla  pelle  e  che  si  presentano  come  strie 
lineari sottili e parallele. 
 
Per quanto riguarda la sede, escoriazioni – come graffiature da unghia –  al collo, si osservano in caso di 
strozzamento;  in  regione  genitale  e  sulla  faccia  mediale  delle  cosce,  nella  violenza  sessuale;  agli  arti 
superiori ed al viso in caso di colluttazione; in regione periorale, nelle manovre di soffocamento. 
 
La  direzione  secondo  la  quale  ha  agito  in  mezzo  contundente  può  essere  desunta  qualora  siano 
rilevabili piccole esfoliazioni cutanee (lembetti epidermici) che formano, con la superficie escoriata, un 
angolo aperto verso la direzione da cui si è mosso lo strumento lesivo. 
 
La DD tra escoriazioni prodotte in vita e dopo la morte si basa sulla presenza della crosta: quelle che si 
formano nel cadavere, infatti, ne sono sempre prive. 
 
 
 
3. Ecchimosi 
Vanno intese come uno stravaso di sangue in ambito tissutale, prodotto dalla rottura di vasi sanguigni, 
senza  lacerazione  dei  tessuti  sovrastanti.  Quando  il  sangue,  anziché  infiltrare  i  tessuti,  forma  raccolte 
voluminose si parla di ematoma.  
 
Meccanismi di formazione: 
 Schiacciamento, per lacerazione della parete vasale tra tessuti compressi 
 Trazione, per lo stiramento tissutale 
 Suzione o decompressione, per diminuzione della pressione esterna, con sovradistensione dei vasi 
sanguigni e loro rottura 
 Sforzo, per brusco aumento della pressione sanguigna  
 
 Le ecchimosi possono essere:  
 Superficiali, sottocutanee  
 Profonde, muscolari e viscerali 
 
Ecchimosi superficiali 
Si presentano sotto forma di macchie di varia estensione, con margini sfumati, non rilevate sulla cute –
che appare integra –  e di colore variabile in rapporto all’età della lesione: 
 
‐ La lesione, inizialmente, è di colore rosso, per la presenza, nei tessuti, di Hb ossigenata 
‐ Una lesione verificatasi da alcune h, è di colore rosso‐violaceo, per la presenza di Hb deossigenata 
‐ Una lesione vecchia di 5‐6 gg, è di colore verdastro, per la trasformazione dell’Hb in biliverdina 
‐ Una lesione vecchia di 8‐9 gg, è di colore giallastro, per la riduzione della biliverdina in bilirubina 
 
Le modificazioni cromatiche iniziano alla periferia e progrediscono verso il centro dell’ecchimosi. 
La tempistica della variazione cromatica risulta utile per datare l’evento traumatico. 
 


 
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Di  solito,  la  sede  dello  stravaso  sanguigno  sottocutaneo  coincide  con  quella  dove  è  stata  esercitata 
l’azione contusiva.    
Talora,  comunque,  sono  riscontrabili  ecchimosi  superficiali  in  sedi  diverse  dal  punto  di  applicazione 
della  forza  lesiva  per  un  meccanismo  di  migrazione  gravitazionale  del  sangue  lungo  vie  anatomiche 
preformate (dalla base cranica anteriore alle palpebre, dal cuoio capelluto alla nuca, dalle spalle e dai 
fianchi, rispettivamente, alla piega del gomito e del ginocchio). 
Un dato che attesta la migrazione di un’ecchimosi consiste nella comparsa della stessa con un colore 
che indica la già iniziata trasformazione del pigmento sanguigno. 
 
Le ecchimosi superficiali solo di rado riproducono con sufficiente approssimazione la forma dell’oggetto 
contundente o della parte di esso cha ha colpito la pelle. 
Quando ciò si verifica, le ecchimosi vengono dette figurate. Ecchimosi figurate sono ad esempio quelle 
prodotte dall’urto contro il volante di un’automobile.  
N.B.  Va  detto,  tuttavia,  che  anche  quando  al  tempo  del  traumatismo  la  somiglianza  esiste,  essa 
progressivamente svanisce per il successivo estendersi e diffondersi dello stravaso. 
 
 
Ecchimosi profonde 
Le  ecchimosi  profonde  –  muscolari  o  viscerali  –  in  genere  si  formano  a  causa  di  grandi  traumatismi 
contusivi e, meno frequentemente, di colpi localizzati. 
 
Le ecchimosi muscolari possono realizzarsi per: 
‐  Azione diretta sul muscolo, specie se contratto, anche senza lesione della cute sovrastante, qualora 
il corpo contundente presenti una superficie ampia ed una consistenza soffice (caso di sacchetti di 
sabbia) 
‐ Trazione,  con  rottura  dei  vasellini  decorrenti  tra  i  singoli  fasci,  durante  una  brusca  e  violenta 
contrazione muscolare. 
 
Le ecchimosi viscerali generalmente riguardano visceri addominali, cervello e polmoni.  
Possono verificarsi per: 
‐ Diretta trasmissione della violenza al viscere, manifestandosi in stretta connessione topografica con 
la sede colpita 
‐ Contraccolpo, manifestandosi in un punto opposto a quello che ha subito il trauma  
 
Nel  vivente,  la  presenza  di  ecchimosi  profonde  è  sospettabile  solo  se  causano  turbamenti  funzionali; 
nel cadavere, invece, sono facilmente diagnosticabili all’esame microscopico. 
 
 
Le  ecchimosi  sono  sempre  lesioni  pre‐mortali  –  dato  che  lo  stravaso  del  sangue  richiede  una  certa 
pressione  –  e  vanno  poste  in  DD  con  le  ipostasi  (raccolta  di  sangue,  per  gravità,  in  distretti  vascolari 
declivi rispetto alla posizione assunta dal corpo dopo la morte, venuta meno la contrazione del cuore). 
La  DD  si  basa  sul  fatto  che  le  ecchimosi,  dopo  incisione,  mostrano  una  colorazione  rossastra  della 
superficie di taglio, non completamente asportabile con il lavaggio, in quanto i tessuti sono infiltrati dal 
sangue stravasato.  
Le  ipostasi,  invece,  presentano  superfici  di  taglio  biancastre  e  lavabili,  per  mancanza  di  infiltrazione 
ematica dei tessuti, con fuoriuscita di gocce di sangue dai vasi recisi. 
 
 
 
 
 
 


 
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4. Ferite lacere e lacero‐contuse 
Soluzioni dei continuo della cute, ed eventualmente anche delle parti molli sottostanti, prodotte da un 
corpo contundente. 
‐ Nelle ferite lacere, prevalgono i meccanismi di trazione 
‐ Nelle ferite lacero‐contuse, sono in gioco anche meccanismi di compressione e strisciamento che 
rendono pesti e cincischiati  i margini della lesione.  
Talora,  si  determinano  anche  effetti  di  scoppio  allorché  un  oggetto  privo  di  spigoli  agisca  con  un 
meccanismo  di  percussione  su  di  una  superficie  corporea  convessa,  ricca  di  tessuto  adiposo  o 
connettivo lasso sottocutaneo, come il cuoio capelluto.   
 
Caratteristiche morfologiche comuni: 
1. Irregolarità dei margini, che appaiono tanto più pesti e cincischiati (spiegazzati) quanto maggiore è 
l’azione di compressione e strisciamento esercitata dal mezzo contundente. 
2. Scollamento della cute rispetto ai piani sottostanti 
3. Fondo anfrattuoso 
4. Infiltrazione ematica di margini e fondo 
5. Presenza,  tra  i  bordi  della  ferita,  di  ponti  di  tessuto  più  o  meno  integro  che  hanno  resistito 
all’azione discontinuante del mezzo lesivo. 
Ciò rappresenta il più importante elemento di diagnosi differenziale rispetto a ferite da taglio, in 
cui l’azione recidente della lama elimina ogni possibilità di formazione di residui tissutali tra i due 
margini della lesione. 
 
La  forma  delle  ferite  lacero‐contuse,  in  genere,  non  consente  di  risalire  a  quella  dello  strumento 
adoperato. 
Alcune ferite lacero‐contuse, comunque, mostrano aspetti peculiari. È questo il caso di: 
‐ Ferite su cresta ossea (cresta tibiale e cresta sopracciliare), nelle quali la cute, compressa contro la 
superficie ossea, viene lesa dall’interno verso l’esterno. 
‐ Lesioni da morso di animale o di uomo, specie se prodotte da denti incisivi. 
 Nei  morsi  umani,  la  forma  corrisponde  a  quelle  delle  arcate  dentarie,  disposte  secondo  due 
curve che si guardano con le parti concave. 
 I morsi di cavallo hanno un aspetto simile, ma dimensioni maggiori. 
 I morsi di cane, invece, producono due filiere rettilinee, tendenti alla convergenza. 
N.B.  La  morfologia  delle  morsicature  consente,  non  soltanto,  di  riconoscere  la  specie  animale 
responsabile ma, in molti casi di morsi umani, anche di identificare l’individuo che le ha prodotte. 
 
 
6. Rottura di visceri 
Si produce per meccanismi di pressione, trazione, scoppio. 
I visceri più frequentemente interessati sono: encefalo, polmoni, cuore, fegato e milza. 
‐ A livello encefalico, la lesione può verificarsi nel punto di applicazione della forza, oppure,  in caso 
di spostamento per inerzia della massa cerebrale all’interno del cranio, nel punto opposto.  
‐ A  livello  polmonare,  la  lesione  è  spesso  causata  dall’azione  diretta  delle  coste  fratturate  sul 
parenchima. 
‐ La rottura del cuore può determinarsi per compressione della gabbia toracica. 
‐ Il  fegato  e  soprattutto  la  milza  possono  andare  incontro  ad  una  “rottura  in  2  tempi”,  per  traumi 
toraco‐addominali.  In  tal  caso,  si  forma,  prima,  un  ematoma  sottocapsulare,  che  aumenta 
gradualmente di volume, con sovradistensione della capsula e successiva rottura della stessa, causa 
di emoperitoneo. 
 
 
 
 


 
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7. Fratture ossee 
Possono essere: 
‐ Dirette, se si verificano nel punto di applicazione della forza 
‐ Indirette,  se  si  verificano  a  distanza  dal  punto  di  applicazione  della  forza,  per  flessione,  torsione, 
trazione,  trasmissione  di  forza  (caso  di  sfondamento  dell’acetabolo  in  seguito  ad  un  urto  sul 
ginocchio flesso). 
 
 
Relativamente alle FRATTURE CRANICHE, tra quelle dirette si distinguono: 
‐ Fratture da violenza diffusa  
Sono quelle causate dall’urto tra il capo ed una superfice estesa (come il suolo).  
Presentano una o più linee di frattura che si dipartono a raggiera dal punto colpito (cdt “fratture 
meridianiche”). Tali linee corrispondono al cedimento dei tavoli ossei, prima di quello interno, poi 
di quello esterno. 
Contestualmente,  è  anche  possibile  osservare  rime  di  frattura  dall’aspetto  di  anelli  o  semicerchi 
concentrici  al  punto  di  impatto.  Si  tratta  delle  cdt  “fratture  equatoriali”,  nelle  quali  il  tavolato 
esterno è il primo a rompersi. 
La combinazione di fratture meridianiche e di fratture equatoriali produce fratture tipiche, definite 
“a ragnatela” o “a mappamondo”. 
 
‐ Fratture da violenza circoscritta 
Conseguono  all’azione  di  corpi  contundenti  con  superficie  relativamente  contenuta.  Sono  anche 
dette “a stampo”. 
Se  causate  da  uno  spigolo,  assumono  un  aspetto  a  scalino  che  riproduce  l’inflessione  dell’osso 
(“fratture a terrazzo”). 
 
 
Le  fratture  craniche  indirette  sono  quelle  che  si  verificano  a  distanza  dal  punto  di  applicazione  della 
forza.  
Un esempio è rappresentato dalle fratture della base cranica per caduta sul podice.  
 
 
Peculiari fratture craniche sono quelle bipolari, tipiche dello schiacciamento. In tale circostanza, il capo 
si  trova  sottoposto  all’azione  di  due  forze  opposte,  di  cui  una  agisce  come  potenza  e,  l’altra,  come 
resistenza. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
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LESIONI DA ARMA BIANCA 
 
Sono la conseguenza dell'azione violenta di mezzi dotati di margini affilati o/e di punte acuminate 
 
 
1. Ferite da punta 
Sono dovute a mezzi puntuti, distinguibili in tipici (come chiodi, aghi, frecce, fioretti) ed atipici (come 
punte di bastone ed ombrello). 
Le  lesioni  da  essi  provocate  si  realizzano  mediante  un  meccanismo  di  pressione  e  divaricamento  dei 
tessuti attraversati.  
In questo tipo di ferite, la profondità prevale sulle altre dimensioni. 
 
 
L’orifizio d’entrata assume una forma ovalare o ellittica ‐ mai rotonda ‐ anche quando il mezzo puntuto 
ha sezione circolare.  
Accollando i margini, non si nota perdita di sostanza.  
Le  sue  dimensioni  sono  lievemente  inferiori  rispetto  alla  sezione  dello  strumento  vulnerante,  per  la 
distensione e la successiva retrazione della cute, che si verificano in corso di penetrazione. 
 
Le lesioni da punta possono essere a fondo cieco o trapassanti. 
 
La  direzione  del  tramite,  essendo  influenzata  dalla  diversa  fendibilità  dei  tessuti  attraversati,  non  
sempre rispecchia il reale angolo di penetrazione dell’agente lesivo. 
 
Possono osservarsi in caso di accidente/suicidio/omicidio. 
Nel suicidio, ad essere interessate sono soprattutto regioni auto‐aggredibili, come quella precordiale. 
Nell’omicidio,  le  lesioni  sono  in  genere  molteplici  e  si  associano  molto  frequentemente  a  lesioni  “da 
difesa”.  
 
 
 
2. Ferite da taglio 
Consistono  in  soluzioni  di  continuo  della  cute  e  dei  tessuti  molli  prodotte  da  mezzi  taglienti.  Questi 
ultimi possono essere tipici (caso di bisturi, rasoi, coltelli, spade) o atipici (caso di lamiere metalliche, 
frammenti di vetro). 
L’azione  lesiva    si  esplica  con  un  duplice  meccanismo:  di  pressione,  che  tende  a  far  affondare  lo 
strumento nei tessuti e  di  scorrimento, che fa progredire il mezzo lungo la direzione del filo tagliente. 
 
Le caratteristiche delle ferite da taglio sono: 
1) Estensione in superficie, con la lunghezza che si dimostra maggiore della profondità 
2) Regolarità e nettezza dei margini 
3) Sezione completa dei tessuti a tutti i livelli, senza formazione di ponti o briglie tra i margini 
4) Estremità acute  
5) Presenza di “codette” e, cioè, di prolungamenti superficiali del taglio, in entrata ed in uscita 
All’entrata, essendo più intensa la pressione esercitata, il mezzo affonda rapidamente e la codetta è 
breve; più lunga è invece la codetta in uscita. 
Talora,  le  codette,  sono  presenti  ad  una  sola  estremità,  di  norma  interpretabile  come  punto  di 
uscita del tagliante. 
Nel caso in cui siano coinvolte superfici curve, come il collo o gli arti, le codette possono mancare 
del  tutto  o  presentare  un  aspetto  differente,  con  maggiore  lunghezza  in  entrata  (fenomeno 
dell’inversione delle codette).  

 
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6) Fondo regolare  
7) Forma delle ferite lineare 
 
 
Costituiscono varietà tipiche delle ferite da taglio: 
 
Ferite  da difesa 
Indicative di omicidio. 
Si producono sul palmo della mano della vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione. 
Peculiari ferite da difesa sono quelle “a lembo” – caratterizzate, cioè, da un margine libero fluttuante – 
che si formano qualora la vittima cerchi di afferrare l’arma dell’aggressore. 
 
 
Ferite da svenamento 
Indicative di suicidio.  
Si  rilevano  in  zone  auto‐aggredibili  (polsi,  pieghe  dei  gomiti,  regioni  inguinali)  nelle  quali  i  vasi 
decorrono in posizione relativamente superficiale.  
Sono  generalmente  multiple,  ravvicinate,  parallele  tra  di  loro  e  di  profondità  differente.  Le  più 
superficiali corrispondono alle cdt “ferite di prova”, ossia a tentativi autolesivi che il suicida si infligge 
prima del colpo o dei colpi decisivi. 
 
 
Ferite da scannamento o sgozzamento 
Si osservano nella regione cervicale.  
Risultano  rapidamente  mortali  quando  si  verifica  la  sezione  della  carotide,  che  provoca  un’intensa 
emorragia, con conseguente shock emorragico. 
Anche  le  emorragie  più  lievi  possono  condurre  al  decesso,  per  sommersione  interna,  se  il  sangue 
penetra nelle vie respiratorie.  
Più raramente, la morte è causata da embolia gassosa, per penetrazione di aria nella giugulare interna. 
Lo scannamento si osserva come eventualità sia omicidiaria che suicidiaria. 
Depongono per un’evenienza omicidiaria: 
‐ Ampia  distribuzione  delle  lesioni,  con  riscontro  di  ferite,  oltre  che  al  collo,  anche  in  altri  distretti 
corporei, specie se in regioni difficilmente autoaggredibili 
‐ Presenza di ferite da difesa 
 
Depongono per un’evenienza suicidiaria: 
‐ Presenza delle cdt “ferite di prova” 
‐ Assenza di ferite da difesa 
‐ Concentrazione delle lesioni 
‐ Andamento parallelo delle stesse 
 
 
Ferite da sventramento 
Sono  prodotte  dal  filo  di  un  rasoio  o  di  una  lama  ricurva  (sciabola),  come  nel  karakiri,  in  cui  si 
determina, a scopo suicida, un largo squarcio nella parete addominale, con fuoriuscita dei visceri. 
 
 
 
 
 
 
 


 
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3. Ferite da fendente  
Sono provocate da strumenti taglienti, dotati di lama pesante (come scuri e mannaie) che agiscono con 
un meccanismo combinato, recidente e contundente. 
Possono assumere un aspetto: 
‐ lineare, quando il mezzo incontra perpendicolarmente il piano cutaneo 
‐ a lembo, quando il mezzo vulnerante è impiegato tangenzialmente al piano cutaneo 
‐ mutilante,  quanto  il  mezzo  vulnerante  provoca  il  distacco  di  arti,  singole  dita,  parti  corporee 
sporgenti. 
Rara è la formazione di codette. 
 
 
 
4. Ferite da punta e taglio 
Consistono  in  soluzioni  di  continuo  della  cute  e  dei  tessuti  sottostanti  dovute  a  strumenti  dotati  di 
un’estremità  acuminata  e  di  almeno  un  filo  tagliente.  Tali  strumenti  possono  essere  tipici  (spade, 
pugnali, coltelli da cucina) o atipici (schegge di vetro, frammenti ossei appuntiti e taglienti,  forbici). 
La  ferita  si  determina  per  la  contemporanea  azione  penetrante,  della  punta  e  recidente,  del  filo 
tagliente. 
 
Le caratteristiche morfologiche principali sono: 
1. Nettezza e regolarità dei margini (a meno che la lama non abbia una superficie irregolare) 
2. Divaricazione degli stessi, per retrazione dei tessuti 
3. Prevalenza della profondità rispetto alla lunghezza 
La lunghezza della ferita equivale pressappoco alla larghezza della porzione di lama penetrata se quest’ultima 
entra ed esce dalla cute senza che si produca alcuno spostamento lungo l’asse di penetrazione.  
Tuttavia, più frequentemente, accade che, nell’estrazione, la lama venga spostata, facendosi strada dal lato 
del taglio ed estendendo la ferita in quella direzione. In questo caso, pertanto, la lunghezza della ferita supera 
la larghezza della lama.  
4. Presenza di un’estremità acuta, corrispondente al filo tagliente della lama e di un’estremità ottusa, 
corrispondente al dorso della stessa, se la lama è monotagliente, con la ferita che assume la forme 
di un triangolo isoscele allungato.  
Se  la  lama  è  bitagliente,  invece,  entrambe  le  estremità  sono  ad  angolo  acuto,  con  la  ferita  che 
assume una forma ad asola. 
Le estremità della ferita mancano di codette, se il filo agisce sulla cute perpendicolarmente.  
Se un’estremità della ferita mostra una codetta, è segno che lama è emersa obliquamente rispetto 
alla superficie cutanea da quell’estremità. 
 
Siccome,  nell’uscire,  la  lama  viene  spesso  ruotata  rispetto  alla  posizione  d’entrata,  ne  consegue  che 
lungo uno dei margini della ferita può manifestarsi un’incisura laterale. Questa incisura laterale, anche 
nota  come  “intaccatura  complementare  a  codetta”,  è  di  solito  prossima  ad  una  delle  estremità  della 
ferita ed indica da che lato si trovava il filo della lama (nei casi di lama monotagliente). 
L’incisura  laterale  consente,  inoltre,  di  stabilire  se  la  mano  che  impugnava  l’arma  era  la  destra  o  la 
sinistra, poiché la rotazione della lama – da cui dipende la sua comparsa –  avviene sempre nel senso della 
flessione  della  mano,  per  prevalenza  dei  muscoli  flessori  sugli  estensori,  all’atto  dell’estrazione  della 
lama. 
Se l’arma era afferrata come si tengono i pugnali – in modo, cioè, da sporgere dalla parte del mignolo –, 
una  rotazione  oraria  depone  per  l’uso  della  mano  sinistra;  una  rotazione  antioraria,  per  l’uso  della 
destra. 
Il contrario avviene se l’arma era impugnata come una spada, in modo, cioè, da sporgere dalla parte del 
pollice.  
 
 


 
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Il  tramite  è  per  lo  più  a  fondo  cieco,  rettilineo,  con  pareti  nette  e  regolari,  in  quanto  non  rispetta  le 
linee di fendibilità dei tessuti: lo strumento da punta e taglio, infatti, non divarica ma recide.  
Per  tale  motivo,  a  differenza  delle  lesioni  da  punta,  la  direzione  del  tramite  rispecchia  piuttosto 
fedelmente l’angolo di penetrazione dell’arma nei tessuti. 
La  lunghezza  del  tramite  non  corrisponde  quasi  mai  all’asse  maggiore  della  lama:  è  più  lungo,  se  la 
parte colpita è cedevole; più corto, se l’arma incontra una resistenza ossea, dove si possono formare 
intaccature a stampo. 
 
 
L’eventuale lesione di uscita, nel caso di ferite trapassanti, è in genere di dimensioni minori rispetto a 
quella di ingresso, perché prodotta dall’estremità distale dello strumento. 
 
 
Ferite da punta e taglio con morfologia peculiare sono quelle prodotte da forbici. 
‐ Se le branche dello strumento, al momento dell’infissione, risultano chiuse, si genera una soluzione 
di continuo a forma di losanga, seguita da un tramite unico.  
‐ Se  le  branche  sono  aperte,  invece,  lo  strumento  determina  una  coppia  di  soluzioni  di  continuo 
triangolari e simmetriche che si continuano in due tramiti divergenti. 
 
 
Lesioni da punta e taglio si osservano con maggiore frequenza in occasione di omicidi ed accidenti. 
Più raramente vengono auto‐inferte a scopo suicida. 
 
Depongono per una dinamica omicidiaria: 
‐ Ampia  distribuzione  delle  lesioni,  con  riscontro  di  ferite,  oltre  che  al  collo,  anche  in  altri  distretti 
corporei, specie se in regioni difficilmente autoaggredibili 
‐ Presenza di ferite da difesa 
Si producono sul palmo della mano della vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione. 
Peculiari  ferite  da  difesa  sono  quelle  “a  lembo”  –  caratterizzate,  cioè,  da  un  margine  libero 
fluttuante – che si formano qualora la vittima cerchi di afferrare l’arma dell’aggressore. 
 
 
Per  quanto  riguarda  la  diagnosi  differenziale  tra  lesioni  in  vita  e  post‐mortali,  segni  di  vitalità  della 
lesione sono:  
‐ Infiltrazione emorragica dei margini 
‐ Retrazione degli stessi  
‐ Presenza di un tappo emostatico all’esame istologico 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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LESIONI DA ARMA DA FUOCO 
 
Le armi da fuoco sono congegni meccanici capaci di lanciare a distanza proiettili, grazie all’energia 
sviluppata dall’espansione dei gas che si generano per la combustione di miscugli esplosivi. 
 
Raggiunto il corpo umano, il proiettile vi esercita un’azione contundente (azione di martello), percuotendo 
ed introflettendo la cute; quindi la divarica, con un’azione di cuneo. 
Può  aggiungersi  un  effetto  di  scoppio  qualora  l’energia  posseduta  dall’agente  balistico  venga  ceduta  in 
quantità elevata al bersaglio. 
 
 
FERITE D’ARMA DA FUOCO A PROIETTILE SINGOLO 
Consistono in soluzioni di continuo dei tessuti distinguibili in:  
 
Ferite penetranti 
Possono essere: 
‐ A  fondo  cieco,  in  cui  si  osservano  un  foro  di  entrata  ed  un  tramite  incompleto,  con  ritenzione  del 
proiettile. 
‐ Trapassanti o trasfosse, in cui la ferita è costituita da un foro d’entrata, un tramite completo ed un foro 
d’uscita.  
Il termine trasfosse andrebbe riservato a quelle ferite trapassanti che attraversano una fossa naturale 
dell’organismo (come la fossa cranica). 
‐ A setone, in cui si osservano un foro d’entrata, un tramite corto ed un foro d’uscita. Differiscono dalle 
altre poiché il tramite consiste in un breve percorso che il proiettile scava nel tessuto sottocutaneo. 
 
Ferite non penetranti 
Sono anche definite 
‐ A doccia o a semicanale 
Si  producono  allorché  i  proiettili  colpiscano  la  cute  in  corrispondenza  di  una  superficie  curva,  “di 
striscio”, scavando una sorta di canale, senza penetrare al di sotto dei tegumenti. 
 
 
CARATTERISTICHE DEL FORO D’ENTRATA 
Variano in rapporto alla distanza dalla quale è stato esploso il colpo. 
 
Bisogna pertanto distinguere tra: 
 
1) Colpi da lontano 
Il  proiettile  perfora  la  cute  e  produce  una  ferita  di  forma  circolare  o  ovalare,  con  margini  finemente 
sfrangiati, talora visibilmente introflessi.  
 
La soluzione di continuo vera e propria è circondata da un cercine o orletto di escoriazione.  
L’orletto di escoriazione ha  dimensioni di alcuni mm e colore rosso scuro. Si determina per l’azione del 
proiettile che, prima di perforare la cute, la infossa “a dito di guanto”, creando un cono di depressione, 
all’interno del quale escoria tutte le porzioni di tessuto stirato ma perfora solo l’apice del cono.  
Il cercine sarà concentrico, se il proiettile colpisce la cute in direzione perpendicolare, eccentrico, se la 
direzione è obliqua. In quest’ultimo caso, risulta più esteso dal lato di provenienza. 
 
Intorno al foro d’entrata del proiettile, si può evidenziare anche il cosiddetto orletto di detersione.  
Esso consiste in un alone untuoso, di colore nerastro, costituito dal materiale grassoso che il proiettile 
raccoglie nel passaggio attraverso la canna dell’arma e deposita sul bersaglio. 
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Si  osserva  bene  sugli  indumenti  ma  è  generalmente  poco  apprezzabile  intorno  alla  ferita,  perché 
mascherato dall’orletto di escoriazione.  
La sua presenza, inoltre, è incostante perché le moderne cariche di lancio sporcano di meno. 
Può  essere  messo  in  evidenza  e  differenziato  dall’orletto  di  escoriazione  lavando,  per  almeno  12  ore  in  acqua 
fredda,  il  frammento  cutaneo  comprendente  la  ferita.  In  tal  modo,  si  asporta  l’infiltrazione  emorragica  che 
circonda la lesione potendo osservare l’orletto di detersione sotto forma di un anello nerastro grassoso che risulta 
insolubile in acqua.  
La conferma può essere ricercata istologicamente mediante idonee colorazioni per i lipidi (Sudan III) 
 
 
 
2) Colpi da vicino ed a contatto 
Sono quelli esplosi nell’arco di 40‐50 cm. 
 
Possono essere schematizzati in tre classi: 
1. Colpi a contatto 
2. Colpi a bruciapelo 
3. Colpi in vicinanza 
 
 
Colpi a contatto 
Sono quelli sparati da un’arma in diretto contatto con la cute. 
In tale circostanza, il foro di entrata mostra: 
 Dimensioni superiori al calibro del proiettile 
 Aspetto irregolare e frastagliato, con discontinuazione secondaria dei margini, che conferiscono alla 
ferita una forma stellare.  
Quando infatti la bocca dell’arma è applicata sulla cute al momento dello sparo, i gas che escono 
dalla  canna  a  forte  pressione,  penetrano  con  il  proiettile  e  si  espandono  nel  sottocutaneo.  Ciò 
comporta lo scollamento della cute in prossimità della ferita, che risulta interessata da fenditure a 
raggiera. 
 
Intorno al foro d’entrata, inoltre, si apprezza, non solo l’orletto di escoriazione, ma anche l’impronta a 
stampo, totale o parziale, della bocca dell’arma o di parti prossime ad essa. 
Caratteristico  è  lo  stampo  prodotto  dall’asta  di  guida  dell’otturatore  rinculante  posta  sotto  la  canna  di  molte 
pistole semiautomatiche (segno di Werkgartner). 
 
Se il contatto è completo mancano gli effetti secondari della carica di lancio, come l’affumicatura ed il 
tatuaggio, peraltro riscontrabili nella porzione iniziale del tramite. 
 
Se, invece, il contatto è angolare sarà possibile osservare: 
‐ Impronta parziale dell’arma 
‐ Cono  affumicato,  con  vertice  prossimale  e  base  distale,  dove  i  gas,  anziché  insinuarsi  all’interno 
della ferita, urtano la cute, formando un’area contusa, giallo‐bruna, di consistenza pergamenacea. 
 
 
Colpi a bruciapelo 
Sono così definiti in quanto la  distanza di sparo è tale da consentire il manifestarsi di effetti di ustione. 
In questo caso, il foro d’entrata appare netto ed intorno ad esso si riscontrano, procedendo dall’interno 
verso l’esterno:  
1) Orletto di escoriazione  
2) Eventuale orletto di detersione (se non sono frapposti indumenti) 
3) Alone denso, irregolarmente circolare, che può raggiungere anche le dimensioni di alcuni cm, in cui 
si apprezzano i cdt “effetti secondari dello sparo”. 
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Gli effetti secondari dello sparo includono: 
 
‐ Fenomeni di affumicatura  
Dipendono  dal  deposito,  intorno  al  foro  d’entrata,  di  residui  solidi  combusti  della  carica  di 
lancio e sono asportabili mediante lavaggio. 
 
‐ Tatuaggio 
È  prodotto  da  granuli  incombusti  della  carica  di  lancio  che  si  infiggono  nella  cute  intorno  alla 
ferita. La colorazione è persistente e non scompare con il lavaggio. 
 
‐ Ustione 
È dovuta all’azione di fiamma che può esprimersi mediante la bruciatura di formazioni pilifere. 
 
‐ Fenomeni di contusione del gas 
Si  caratterizzano  per  presenza  di  un’area  contusa,  giallo‐bruna,  intorno  al  foro  di  entrata, 
causata dalla colonna dei gas che escono a forte pressione dalla canna. 
 
N.B.  se  la  cute  è  rivestita  da  indumenti,  l’affumicatura,  il  tatuaggio  e  l’azione  di  fiamma  vanno 
ricercati su questi ultimi. 
 
Gli effetti secondari dello sparo sono osservabili tutti insieme fino a distanze di 5‐10 cm, per armi 
caricate con polveri nere; fino a distanze di 5‐6 cm, per armi caricate con polveri infumi. 
 
 
Colpi in vicinanza 
Sono  caratterizzati  dall’assenza  dell’azione  di  fiamma  (ustione)  e  dal  fatto  che  l’affumicatura,  i 
fenomeni di contusione dei gas ed il tatuaggio risultano più estesi, sebbene più sfumati. 
Entro 15 cm, il tatuaggio, l’affumicatura e l’alone di contusione coesistono. 
Tra i 15 ed i 40‐50 cm è apprezzabile solo il tatuaggio. 
 
 
 
 
CARATTERI DEL TRAMITE 
Il  tramite  è  rappresentato  dal  tragitto  che  il  proiettile  compie  nel  bersaglio  a  causa  della  forza  viva 
posseduta.   
Può essere: 
‐ A fondo cieco, con proiettile ritenuto nel fondo  
‐ Completo, comunicante con il foro d’uscita 
 
Esso  si  presenta    come  un  canale  scavato  nello  spessore  dei  tessuti,  delimitato  da  pareti  anfrattuose  ed 
infiltrate di sangue.  
Il  canale  è  virtuale  all’interno  del  tessuto  muscolare,  reale  a  livello  degli  organi  parenchimatosi  e, 
soprattutto, delle ossa. 
Nelle  ossa,  il  tramite  assume  un  aspetto  tipicamente  imbutiforme,  slargandosi  verso  l’uscita.  Tale  
fenomeno, ben osservabile a livello delle ossa piatte (come quelle del cranio), è di grande importanza per 
stabilire la direzione del colpo, soprattutto nei casi in cui i reperti cutanei siano alterati. 
 
Il tramite assume particolari connotazioni qualora prodotto da proiettili ad alta velocità.  
In  questi  casi,  la  penetrazione  attraverso  i  tessuti,    determina,  non  solo,  effetti  di  distruzione  diretti,  ma 
anche lesioni secondarie, dipendenti dalla cessione di elevate quantità di energia ai tessuti stessi. 

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Dal punto di vista morfologico, il tramite in questione presenterà una zona centrale di distruzione tissutale 
(tubo  di  necrosi)  ed  una  zona  periferica  (manicotto  di  devitalizzazione),  in  cui  si  esprimono  gli  effetti 
traumatici  dovuti  alla  dispersione  di  energia:  fratture  di  ossa  non  direttamente  colpite  dal  proiettile, 
scoppio di organi cavi ripieni di liquido e raggiunti dall’onda d’urto.   
 
 
 
 
CARATTERI DEL FORO D’USCITA 
Il foro di uscita NON va differenziato dal foro di entrata per forma e dimensioni, che sono variabili, ma per: 
1. Elementi di carattere negativo 
‐ Assenza dell’orletto di escoriazione e degli effetti secondari della carica di lancio 
Va  detto,  comunque,  che  talora  sono  rilevabili  fenomeni  contusivi  intorno  al  foro  di  uscita,  simulanti  la 
presenza  di  un  orletto  di  escoriazione.  Ciò  si  verifica  quando,  all’uscita,  il  proiettile  incontra  una  resistenza 
esterna (cintura, parete, pavimento). 
In particolari condizioni, inoltre, si possono osservare fenomeni di affumicatura in uscita. Si tratta di casi nei 
quali il fumo, penetrato in un tramite corto, fuoriuscendo all’esterno, viene trattenuto dagli indumenti e si 
deposita sulla cute, intorno al foro di uscita. 
 
2. Estroflessione dei margini  
 
 
Nei casi di DD difficoltosa tra foro d’entrata e foro d’uscita, si procede alla ricerca di tracce di polvere da 
sparo – indicative di foro d’entrata – in corrispondenza della lesione o degli indumenti.  
La ricerca può essere effettuata mediante: 
‐ Reagenti chimici per nitriti e nitrati 
‐ Metodiche che consentano la dimostrazione dei contenuti dei moderni inneschi (piombo, antimonio e 
bario). Tali metodiche si avvalgono di microscopio elettronico a scansione + microanalisi (SEM‐EDX). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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FERITE D’ARMA DA FUOCO A PROIETTILI MULTIPLI 
 
Tipicamente consistono nelle lesioni prodotte dai comuni fucili da caccia. 
Un cartuccia da caccia, infatti, contiene numerosi pallini che escono dalla canna, ammassati “a palla”.  
Dopo circa 1‐2 m di traiettoria, i pallini si distanziano, formando la rosata, che va sempre più allargandosi, 
fino a raggiungere la massima estensione (cono diretto).  
A  questo  punto,  la  rosata  si  restringe,  perché  perde  progressivamente  i  pallini  periferici,  che  non  hanno 
sufficiente  energia  per  raggiungere  il  bersaglio,  con  conseguente  riduzione  della  superficie  colpita  (cono 
inverso). 
Si possono pertanto osservare diverse tipologie di lesioni: 
1. Breccia unica, con margini festonati, prodotta dai pallini ancora ammassati 
2. Breccia centrale, contornata da ferite puntiformi, quando è appena iniziata la formazione della rosata 
3. Ferite multiple a rosata, osservabili quando i pallini sono totalmente discostati tra loro. 
La forma della rosata è circolare, se il colpo viene esploso perpendicolarmente al bersaglio; ovalare o allungata, se 
il tiro è obliquo. 
 
Le distanze alle quali sono rilevabili tali quadri lesivi variano a seconda dell’arma e della carica. 
Considerando canne di calibro 12, caricate con pallini di medio diametro (2,3‐2,5 mm), 
‐ fino ad 1‐1,5 m, la breccia risulta unica 
‐ a 5 m, diviene visibile una rosata di 15‐20 cm di diametro 
‐ a 10 m, una rosata di 30‐40 cm 
‐ a 20 m, di 50‐70 cm 
‐ a 30 m, di 80‐100 cm 
 
Se si impiegano pallettoni (il cui diametro è di 5 mm), alle medesime distanze le dimensioni della rosata si riducono di 
circa la metà.  
  
 
È inoltre possibile apprezzare: 
‐ Nei colpi esplosi a contatto, l’impronta del piano di volata e, talora, della doppia canna 
 
‐ Nei  colpi  esplosi  da  vicino  (specie  se  con  polveri  nere),  effetti  secondari  della  carica  di  lancio,  in 
particolare:  
 Ustione e contusione dei gas, fino a 5‐10 cm 
 Affumicatura, fino a 50 cm‐1 m 
 Tatuaggio, fino a 1‐1,5 m 
 
N.B. colpi esplosi da vicino anche la borra  (stoppaccio di materiale feltroso frapposto fra la carica esplosiva e 
la pallottola) ed eventualmente il cartoncino possono penetrare nella breccia ed essere rinvenuti al suo 
interno, fornendo indicazioni utili sul tipo di cartuccia. 
 
Raro  è  il  riscontro  di  fori  di  uscita,  poiché  la  forza  viva  posseduta  dal  singolo  agente  balistico  è  tale  da 
esaurirsi all’interno dei tessuti colpiti. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Nel caso di lesioni da arma da fuoco, la dd tra omicidio, suicidio ed accidente, si basa su di una valutazione 
complessiva degli elementi di indagine, che sono di natura biologica e circostanziale. 
 
Elementi utili ai fini della dd, sono: 
1. Sede della ferita 
2. Distanza da cui è stato esploso il colpo 
3. Direzione del proiettile 
4. Numero dei colpi 
5. Eventuale denudamento della parte colpita 
6. Rinvenimento dell’arma nell’ambiente 
7. Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima 
8. Presenza  di  tracce  di  polvere  da  sparo  sulla  mano  della  vittima,  ricercate  mediante  il  metodo 
tradizionale del guanto di paraffina o con l’impiego di un apposito tampone adesivo (“stub”)  
 
Sede della ferita 
Il  suicida  predilige  regioni  che  garantiscano  un  decesso  sicuro  e  rapido,  quali  regioni  laterali  del  capo  e 
precordio. 
Lesioni a carico di distretti non auto‐aggredibili ed arti superiori, invece, depongono per omicidio.  
 
Distanza da cui è stato esploso il colpo  
È deducibile in base ai caratteri del foro di entrata. 
Nel suicidio, la distanza è breve, in quanto non può superare la lunghezza del braccio. Pertanto, i caratteri 
del foro d’entrata, sono quelli del colpo a contatto o a bruciapelo.  
 
Direzione del proiettile 
È deducibile valutando: 
‐ Posizione del foro d’entrata e di quello di uscita 
‐ Caratteristiche  del  tramite  che, ad  esempio,  nelle  ossa  piatte,  assume  un  tipico  aspetto  imbutiforme, 
slargandosi verso l’uscita  
Nel suicidio, presumendo che il soggetto sia destrimane e che prescelga la regione laterale dx del capo, la 
traiettoria  intracranica  del  proiettile  sarà  diretta  da  dx  verso  sin,  dal  basso  verso  l’alto  e  dall’avanti 
all’indietro. 
Per quanto riguarda i colpi esplosi nella cavità orale, in caso di suicidio, il tramite sarà obliquo dall’avanti 
all’indietro e dal basso verso l’alto; in caso di omicidio e di accidente, invece, il tramite sarà orizzontale. 
 
Numero dei colpi 
Non rappresenta un elemento diagnostico differenziale decisivo, sebbene la molteplicità dei fori di ingresso 
deponga,  in  genere,  per  omicidio,  soprattutto  se  le  ferite  interessano  anche  gli  arti  superiori  (lesioni  da 
difesa) e regioni non auto‐aggredibili. 
Il suicidio solitamente avviene mediante un colpo unico ma si possono osservare anche casi suicidiari in cui 
sono  stati  esplosi  più  colpi.  In  tali  circostanze,  comunque,  i  colpi  vengono  sparati  tutti  da  vicino, 
generalmente nella stesse sede e per ledere organi vitali. 
 
Denudamento della parte colpita 
Rinvenimento dell’arma nell’ambiente  Suggeriscono una dinamica 
Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima   suicidiaria 
Affumicatura del dorso della mano della vittima 
 
Ulteriore elemento indicativo di suicidio, apprezzabile sulla mano della vittima: 
‐ Segno di Felc 
Piccola lesione lineare escoriata in corrispondenza del solco interdigitale, tra pollice ed indice, che può 
formarsi per il pizzicamento della cute tra il carrello ed il corpo di un’arma automatica. 

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GRANDI TRAUMATISMI 
 
 
Sono  eventi  traumatici  caratterizzati  da  gravità,  molteplicità,  multiformità  e  multipolarità  delle  lesioni 
corporee. 
Nell’ambito dei grandi traumatismi rientrano: 
 
 
1. INCIDENTI DEL TRAFFICO STRADALE 
Comprendono ogni evento sfavorevole derivante dal movimento di mezzi su strada, tra cui:  
 
A) Investimento di pedone 
Può essere tipico o atipico 
 
Per investimento tipico s’intende il complesso delle lesioni contusive direttamente o indirettamente 
esercitate su di una persona da un veicolo in movimento. 
 
Si definisce investimento atipico, l’urto del corpo in movimento contro un veicolo fermo. 
 
Investimento tipico 
La  dinamica dell’investimento tipico può essere schematizzata in cinque fasi successive: 
1. Urto, momento del contatto tra veicolo e corpo umano 
2. Proiezione  ed  abbattimento  al  suolo  del  corpo  urtato,  che  può  avvenire  anteriormente  o 
lateralmente al veicolo 
3. Propulsione, per l’azione di spinta in avanti che il veicolo esercita sul corpo abbattuto al suolo 
4. Arrotamento o sormontamento, in cui il veicolo transita con le ruote sul corpo steso al suolo 
5. Trascinamento,  che  può  avvenire  quando  il  corpo  rimane  impigliato  in  parti  sporgenti  del 
veicolo 
 
1. Nella fase dell’urto, predominano lesione dirette, in particolare fratture del bacino e degli arti 
inferiori.  Possibili sono anche lesioni “a stampo”, come l’impronta del paraurti. 
2. Nella  fase  di  proiezione,  predominano  lesioni  indirette  da  caduta:  escoriazioni,  ferite  lacero‐
contuse del cuoio capelluto, fratture craniche. 
3. Nella fase di propulsione, si verificano ferite lacere e lacero‐contuse, con ampi scollamenti dei 
margini, poiché la cute è sottoposta a fenomeni di trazione tra suolo e ruote. 
4. Nella fase di arrotamento, si verificano: escoriazioni ed ecchimosi figurate – che riproducono il 
disegno  degli  pneumatici  –  e  lesioni  da  schiacciamento,  tra  cui  fratture  pluriframmentarie  e  
spappolamento di organi interni. 
5. Nella  fase  di  trascinamento,  si  possono  realizzare  ampie  discontinuazioni  cutanee,  con 
esposizione di piani muscolari ed ossei. 
 
Talora, se il corpo viene urtato al di sotto del baricentro, da un veicolo che ha un frontale basso, 
anziché abbattersi in avanti, può essere proiettato sul cofano o sul parabrezza (caricamento). 
In tal caso, si osservano soprattutto lesioni contusive del capo e del collo. 
 
 
Nel  caso  del  ritrovamento  del  cadavere  di  una  persona  investita,  è  importante  stabilire  se 
l’investimento sia avvenuto in vita oppure in morte. 
Se l’investimento è avvenuto in vita, le lesioni prodotte dal veicolo avranno carattere vitale. 

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Se l’investimento è invece avvenuto in morte (caso di persona uccisa e poi esposta all’investimento 
di  un  veicolo  o  di  persona  morta  su  strada  per  malore  improvviso  e  poi  investita),  le  lesioni 
attribuibili  all’arrotamento – unica fase osservata dato che il corpo si trova già disteso al suolo – 
avranno caratteristiche non vitali. 
Può capitare, inoltre, che l’investimento interessi una persona poco prima vittima di un incidente 
stradale (caso ad esempio di un motociclista caduto e rimasto esanime sull’asfalto). 
In tale circostanza, è possibile distinguere quale dei due incidenti sia stato mortale, qualora si rilevi 
il carattere vitale delle lesioni da caduta, tipiche del primo incidente ed il carattere non vitale, delle 
lesioni da sormontamento, tipiche del secondo. 
La diagnosi differenziale risulta impossibile qualora i due incidenti abbiano provocato lesioni dello 
stesso tipo.  
 
 
 
B) Lesioni degli occupanti di un autoveicolo 
Sono dovute ad urti contro le strutture interne dell’abitacolo o a fattori di decelerazione.  
 
Il conducente dell’automezzo, specie in caso di scontro frontale, presenta elettivo interessamento 
del torace e del capo, per urto contro il volante ed il parabrezza. 
 
Il  passeggero  anteriore,  spesso  va  incontro  a  lesioni  cranio‐facciali,  per  impatto  contro  il 
parabrezza. 
Talora, in caso di notevole decelerazione a cosce flesse e  gambe estese, si realizza una lussazione 
bilaterale dell’anca. 
 
I passeggeri posteriori, possono presentare lesioni del volto, per urto contro gli schienali dei sedili 
anteriori;  lussazione  dei  gomiti,  per  trasmissione  di  energia  agli  arti  superiori  protesi  in  avanti  a 
protezione. 
 
Particolare interesse medico‐legale assumono i traumi indiretti del rachide cervicale (da “colpo di 
frusta”). 
Questi traumi interessano gli occupanti di una vettura che subisce un urto improvviso da tergo. In 
tale circostanza, il capo, per inerzia, si sposta violentemente all’indietro e poi rimbalza in avanti.  
N.B. Una sorta di colpo di frusta alla rovescia accade anche nelle persone che occupano la vettura investitrice. 
In questo caso, tuttavia, vi è prima l’iperflessione e poi, per rimbalzo, l’estensione. 
I  traumi  indiretti  del  rachide  cervicale,  da  colpo  di  frusta,  possono  produrre  gravi  conseguenze 
quali: lussazioni, fratture cervicali, rotture del legamento cervicale posteriore, danni midollari. 
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le lesioni consistono in distorsioni muscolari e legamentose di 
scarsa entità, che si risolvono favorevolmente dopo alcuni giorni. 
Comunque,  la  probabilità  che  un  tamponamento  produca  un  traumatismo  cervicale  importante 
negli  occupanti  del  veicolo  tamponato  è  tanto  più  alta  quanto  maggiore  è  la  massa  del  veicolo 
tamponante rispetto al primo. 
N.B.  Le  lesioni  da  colpo  di  frusta  sono  risarcite  solo  se  la  loro  esistenza  viene  visivamente  o 
strumentalmente accertata nel corso di una visita medico‐legale.  
 
 
 
 
 
 
 
 

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2. PRECIPITAZIONE  
Consiste  nel  passaggio  di  un  corpo,  privo  di  appoggio,  da  un  piano  superiore  ad  uno  inferiore,  per 
l’azione della forza di gravità o di un’eventuale altra forza che ad essa può aggiungersi. 
 
Va  distinta  dalla  caduta,  in  cui  il  corpo  urta  ugualmente  il  suolo,  ma  a  partire  da  una  posizione  nella 
quale mantiene un contatto con il suolo stesso. 
 
La precipitazione può verificarsi da: 
‐ Piccola o media altezza (non superiore a 10 metri)  
‐ Grande altezza (superiore a 10 metri) 
 
 
Meccanismi lesivi: 
1. Urto del corpo contro il piano di arresto 
2. Repentina decelerazione subita dal corpo, che interviene soprattutto nelle precipitazioni da grande 
altezza.  In  tal  caso,  l’arresto  del  corpo  nella  sede  di  impatto  non  si  accompagna  all’arresto 
simultaneo  di  tutti  gli  organi  interni,  che  proseguono,  per  inerzia,  il  loro  movimento,  potendo 
subire lacerazioni o rotture a livello degli apparati di sostegno. 
 
Qualora  la  precipitazione  avvenga  da  centinaia  o  migliaia  di  metri,  è  presente  anche  una  lesività  da 
decompressione, dovuta ad una minore solubilità ematica dell’azoto, con fenomeni di aeroembolismo.  
 
N.B.  Un  corpo  che  precipiti  da  un’altezza  superiore  a  quella  atmosferica,  inoltre,  quando  entra  in 
atmosfera,  brucia.  Ciò  dipende  dalle  temperature  elevate  che  si  sviluppano  per  l’attrito  con  le 
particelle che compongono l’atmosfera. L’attrito, infatti, comporta la dispersione dell’energia cinetica 
in calore.  
 
 
Le conseguenze traumatiche della precipitazione sono condizionate da:  
‐ Rigidità del piano di arresto (un piano d’arresto elastico, infatti, minimizza gli effetti lesivi) 
‐ Energia cinetica che il corpo acquista in funzione di massa e velocità;  Ec = massa x v2/2 
velocità,  a  sua  volta,  in  rapporto  di  proporzionalità  diretta  con  v = √h x 2 g 
l’altezza  dalla  quale  avviene  la  precipitazione  e  con  l’accelerazione  p = massa x g 
gravitazionale. 
Al  momento  dell'impatto,  infatti,  l’energia  cinetica  si  trasforma  in  forza  meccanica  che, 
sommandosi al peso, incrementa il danno. 
 
Tipica  è  la  sproporzione  tra  l’entità  delle  lesioni  esterne  e  quella  delle  lesioni  interne,  soprattutto 
quando la superfice d’urto è pianeggiante e non presenta asperità. 
 
Le lesioni cutanee, infatti, sono relativamente scarse e di solito consistono in:  
‐ Ferite lacere‐contuse, da urto diretto o da esposizione di monconi ossei 
‐ Escoriazioni, da strisciamento contro pareti, durante la caduta 
 
Le lesioni scheletriche più caratteristiche sono:  
‐ Fratture craniche “a mappamondo”, da urto del cranico contro una superficie estesa, come il suolo. 
Sono costituite da linee che si dipartono “a raggiera” dal punto di impatto – fratture meridianiche – 
e da uno o più anelli di linee ad esso concentriche – fratture equatoriali.   
‐ Frattura indiretta “ad anello” della base cranica, per caduta sulle natiche.  
‐ Sfondamento dell’acetabolo da parte della testa del femore, per trasmissione di un urto a carico dei 
piedi. 
  

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Possibile  è  inoltre  il  riscontro  di  fratture  da  strappamento,  dovute  ad  una  violenta  contrazione  dei 
muscoli,  durante  la  precipitazione,  con  distacco  osseo,  per  lo  più  parcellare,  in  corrispondenza    delle 
loro inserzioni.  
Questo tipo di frattura è indicativo di una precipitazione in stato cosciente, perché, solo se lo stato di 
coscienza è conservato, la contrazione muscolare può essere cosi violenta. 
 
 
A carico dei visceri, si notano rotture parenchimali e strappi dei legamenti di sostegno.  
Ciò accade per: 
‐ Urto diretto, caso dello scoppio del cuore da impatto sul torace 
‐ Azione  di  stiramento,  dato  che,  al  momento  della  collisione,  sebbene  il  corpo  subisca  un  arresto 
improvviso (decelerazione), i singoli organi interni  continuano, per inerzia, il moto nella direzione 
della caduta. In tal modo, possono verificarsi: 
 Distacco del cuore, dai grossi vasi 
 Distacco dei polmoni, dall’ilo 
 Rottura  da  flessione  della  superficie  del  fegato  e  stravasi  sanguigni  nei  suoi  legamenti 
sospensori 
 
 
La DD deve essere principalmente posta con l’investimento. 
La scarsità delle lesioni cutanee e la concentrazione di quelle più gravi in un punto depongono per la 
precipitazione. 
Talvolta, però, nella caduta, il corpo incontra ostacoli che producono lesioni. In questo caso, per la DD, 
occorre valutare il senso delle escoriazioni e compiere una minuziosa indagine sul luogo della presunta 
caduta. 
 
 
Le precipitazioni avvengono, in genere, per suicidio o accidente. 
L’omicidio  (defenestrazione)  è  molto  raro  e  difficilmente  l’esame  necroscopico  può  fornire  elementi 
decisivi  per  dare  corpo  all’ipotesi  delittuosa,  salvo  che  non  si  rinvengano  segni  di  colluttazione  ed  in 
generale di violenza. 
Meno difficoltosa è la diagnosi di proiezione di cadavere, in cui saranno osservabili: 
‐ Carattere non vitale delle lesioni  
‐ Presenza di modalità di offesa alternative  
 
 
 
3. SCHIACCIAMENTO 
Consiste nella compressione del corpo tra una forza di pressione ed un piano fisso 
 
Si  parla  di  schiacciamento  propriamente  detto,  quando  il  corpo  rimane  compresso  tra  un  piano 
orizzontale ed una forza che agisce dall’alto (caso di crolli di edifici, compressione da parte di macchine 
industriali). 
 
Nel  tamponamento,  invece,  il  corpo  è  compresso  contro  un  piano  verticale  (tipico  infortunio  dei 
ferrovieri). 
 
Nel  seppellimento,  il  corpo  rimane  interrato  da  cumuli  di  terra  o  di  pietrisco,  a  seguito  di  frane  e 
smottamenti.  
Se  il  seppellimento  è  completo,  al  fattore  traumatico,  di  tipo  meccanico,  si  possono  aggiungere 
fenomeni asfittici. 
 
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4. ESPLOSIONE 
Consiste  in  una  violenta  e  repentina  espansione  di  gas  o  di  fluidi,  che  induce  un  brusco  aumento  di 
pressione  nell’ambiente  circostante,  con  trasmissione  di  onde  d’urto  e  creazione  di  uno  spostamento 
d’aria, denominato “vento di scoppio”. 
L’azione esplodente può verificarsi per deflagrazione o per detonazione.  
 
Nella deflagrazione, la combustione è graduale, con progressiva elevazione della pressione. 
  
Nella  detonazione,  la  combustione  è  quasi  istantanea  e  si  accompagna  alla  propagazione  di  una 
vibrazione – “onda esplosiva” – responsabile degli effetti meccanici sull’ambiente circostante.  
 
 
Gli  effetti  lesivi  dipendono,  non  solo,  dalle  caratteristiche  intrinseche  dell’esplosione,  ma  anche 
dall’ambiente in cui si verifica. 
In  ambienti  chiusi,  i  danni  sono  maggiori,  perché  la  dispersione  di  energia  è  inefficace.  L’onda  d’urto, 
infatti,  incontrando  un  maggior  numero  di  ostacoli,  si  riflette,  dando  luogo  a  punti  in  cui  l’onda  di 
propagazione  e  quella  di  riflessione  si  uniscono,  con  moltiplicazione  degli  effetti  ed  aumento  della 
capacità di distruzione (effetto Mach). 
 
I maggiori danni per l’organismo riguardano i tessuti disomogenei, ossia caratterizzati da variazioni di 
densità all’interno della loro struttura, come i polmoni, a carico dei quali si osservano: emorragie sotto‐
pleuriche o intrapolmonari ed emo‐pneumotorace. 
Anche  l’apparato  gastroenterico  risulta  particolarmente  esposto,  con  possibilità  di  emorragie 
sottosierose e discontinuazione delle pareti dello stomaco e dell’intestino. 
Frequenti,  inoltre,  sono  lesioni  uditive  (rotture  della  membrana  timpanica),  oculari  (distacco  della 
retina), commozioni e contusioni cerebrali. 
 
Le lesioni cutanee dipendono, non solo, dall’onda d’urto, ma anche dalla proiezione di oggetti solidi che 
essa provoca. 
 
 
Agli effetti meccanici possono, infine, aggiungersi: 
‐ Effetti termici, dipendenti dalla combustione delle miscele esplosive  
‐ Effetti tossici, derivanti dai fumi venefici che si sviluppano per gli incendi 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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LESIONI DA ENERGIA ELETTRICA 
 
Quelle da energia elettrica di uso industriale o domestico vengono indicate con i termini di folgorazione o 
elettrocuzione. 
In riferimento alle lesioni da elettricità atmosferica, si preferisce parlare di fulminazione. 
 
Gli effetti lesivi delle correnti elettriche dipendono da una serie di variabili, quali: 
1. Caratteristiche della corrente, in particolare tipo, voltaggio, intensità e durata 
2. Fattori propri del conduttore, in particolare resistenza al passaggio della corrente 
3. Tipo di contatto (mono o bipolare) 
 
 
Relativamente  al  tipo  di  corrente  –  continua  o  alternata  –  le  più  pericolose  sono  le  correnti  alternate, 
specie se di frequenza compresa fra i 30 ed i 60 Hertz, che sono poi quelle impiegate in ambito industriale e 
domestico.  
Le  correnti  alternate,  infatti,  inducono  contrazioni  tetaniche  muscolari  che  impediscono  alla  vittima  di 
staccarsi dalla sorgente di elettricità, aumentando, quindi, la quantità di corrente assorbita. 
Inoltre, la ciclicità della corrente alternata incrementa la probabilità che essa giunga al miocardio durante il 
periodo vulnerabile (ripolarizzazione dei ventricoli), scatenando una fibrillazione ventricolare.  
 
 
Considerando l’intensità della corrente (Ampere, A) che circola in un conduttore (come può essere inteso il 
corpo  umano),  secondo  la  Legge  di  Ohm,  essa  è  tanto  più  alta,  quanto  maggiore  è  la  differenza  di 
potenziale applicata agli estremi del conduttore (voltaggio, V) e quanto minore è la sua resistenza (R).  
 
I = V/R 
 
 
La  resistenza  che  il  corpo  umano  offre  al  passaggio  della  corrente  elettrica  varia  tra  i  diversi  tessuti,  in 
rapporto al loro contenuto d’acqua. 
La cute, specialmente nelle aree in cui è più spesso lo strato corneo e sono meno numerose le ghiandole 
sudoripare, offre la resistenza maggiore, rispetto a tutti gli altri tessuti, proprio per lo scarso contenuto di 
acqua.  
Tuttavia  se  il  corpo  è  sudato  o  bagnato  o  se  sono  presenti  soluzioni  di  continuo,  la  resistenza  si  riduce 
notevolmente è l’intensità della corrente che lo attraversa è più elevata. 
 
 
Per quanto riguarda il tipo di contatto, quest ultimo può essere: 
‐ Unipolare, se il corpo stabilisce un corto circuito tra un conduttore di corrente elettrica e la terra.  
In tale circostanza, la corrente, dopo il passaggio attraverso il corpo, si scarica al suolo. 
‐ Bipolare, se il corpo stabilisce un corto circuito tra 2 conduttori. 
In tale circostanza, la corrente circola continuamente attraverso il corpo. 
 
N.B.  Dal  tipo  di  contatto,  dipendono  le  linee  di  attraversamento  del  corpo  e,  quindi,  gli  organi  che  la 
corrente elettrica incontra e su cui produce i suoi effetti lesivi. 
Il  contatto  bipolare  mano‐mano  o  mano‐piede,  soprattutto  mano  sinistra‐piede  destro,  è  quello  più 
pericoloso  in  quanto  il  passaggio  della  corrente  elettrica  interessa  il  cuore,  potendo  provocare  una 
fibrillazione ventricolare. 
 
 
 
 
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MECCANISMI LESIVI DELLA CORRENTE ELETTRICA 
Le lesioni prodotte dalla corrente elettrica sono essenzialmente dovute a:  
‐ Fenomeni elettrotermici (effetto Joule ed arco elettrovoltaico) 
‐ Polarizzazione elettrolitica 
‐ Azione elettro‐meccanica 
 
 
Fenomeni elettrotermici 
Effetto Joule 
Consiste nel fatto che l’elettricità, attraversando il corpo, produce calore, proporzionalmente alla resistenza 
incontrata, all’intensità della corrente ed al tempo di contatto. 
 
Arco elettrovoltaico 
Si  forma  a  causa  della  ionizzazione  dell’aria  interposta  tra  un  conduttore  ad  alta  tensione  e  la  cute,  con 
produzione  di  fiamma.  Ciò  determina  ustioni  estese  e  profonde,  con  perdita  di  sostanza  e  zone  di 
carbonizzazione tissutale. 
 
 
Polarizzazione elettrolitica 
È causata dai campi elettrici che si creano nell’organismo al passaggio della corrente. 
Tale fenomeno induce: 
‐ Alterazione dei potenziali delle membrane cellulari con più severe ripercussioni sui tessuti eccitabili 
‐ Denaturazione delle proteine ad alto PM 
 
 
Azione elettro‐meccanica 
Consiste nella cessione, ai tessuti corporei attraversati, dell’energia cinetica degli elettroni. 
 
 
 
EFFETTI SULL’ORGANISMO UMANO 
 
Considerando le correnti alternate, 
 
Intensità  Effetto
0,9‐1,2 mA  Formicolio al punto di contatto 
5‐15 mA  Contratture muscolari deboli con il soggetto che è ancora 
in  grado  di  controllare  i  movimenti  e  di  abbandonare  la 
presa del conduttore 
15‐20 mA  Contratture  muscolari  intense,  con  il  soggetto  che  non 
riesce a mollare la sorgente della corrente elettrica se la 
sta stringendo 
25‐80 mA   Tetanizzazione  prolungata  dei  muscoli  respiratori,  con 
asfissia acuta 
80 mA‐3 A  Fibrillazione ventricolare
3‐8 A  Determinare  la  paralisi  dei  centri  bulbari,  con  arresto 
cardio‐respiratorio immediato; 
 
N.B. se il cuore è situato entro le linee di attraversamento della corrente elettrica, aritmie fatali possono esser causate 
anche da correnti alternate con intensità di soli 10 mA. 
 
Gli effetti sull’organismo delle correnti continue sono sovrapponibili, ma necessitano di valori più elevati di intensità. 
 
 
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Cause di morte per folgorazione 
‐ Asfissia, per spasmo dei muscoli respiratori 
‐ Arresto cardiaco, per fibrillazione ventricolare 
‐ Paralisi dei centri nervosi bulbari 
‐ Shock primario 
Gli elettro‐traumi ad elevate tensioni, infatti,  dopo una vasocostrizione massiccia, determinano una 
imponente vasodilatazione periferica, con collasso cardio‐circolatorio 
‐ Shock secondario 
Dipende dal fatto che il tetano elettrico protratto determina lesioni muscolari diffuse con liberazione di 
eccessive quantità di mioglobina, responsabile di una necrosi tubulare acuta renale 
 
 
 
LESIONI CUTANEE DA ELETTRICITÀ  
 
Ustioni 
Le  ustioni  elettriche  riconoscono  come  causa  la  notevole  quantità  di  calore  che  si  sviluppa  per  l’elevata 
resistenza offerta dalla cute al passaggio della corrente elettrica, in accordo con l’effetto Joule. 
Differiscono dalle comuni ustioni da fiamma perché: 
1. Ben delimitate 
2. Indolori 
3. Prive di essudazione 
e perché 4. la cute appare secca e di aspetto pergamenaceo. 
Ciò  è  dovuto  ad  un’intensa  necrosi  coagulativa  dei  tessuti,  con  rapida  disidratazione,  che  si  verifica  per 
surriscaldamento  endogeno,  in  assenza  di  ossigeno  libero.  Ne  risulta  un  vero  e  proprio  processo  di 
mummificazione localizzato. 
 
4. Le  cicatrici  da  ustione  elettrica,  inoltre,  sono  di  colore  biancastro,  regolari  e  scarsamente  retraenti, 
perché ricche di fibre elastiche.  
 
N.B. Oltre alle ustioni elettriche propriamente dette, sono possibili: 
‐ Ustioni da arco voltaico che, agendo come sorgente esogena di calore, induce – in presenza di ossigeno 
atmosferico – una combustione completa, con eventuale carbonizzazione 
‐ Ustioni a stampo, da conduttore elettrico reso rovente 
‐ Ustioni dovute all’incendio delle vesti o dell’ambiente, indotto da una scarica elettrica 
 
 
Marchio elettrico 
È  la  lesione  autenticamente  elettrospecifica  in  quanto  attribuibile  solo  alla  coagulazione  degli  elementi 
cellulari, indotta dalla corrente elettrica. 
Si localizza, in genere, a livello del punto di contatto fra la cute ed il conduttore di elettricità. 
Specie con correnti continue, può anche essere riscontrato in corrispondenza del punto cutaneo di scarico 
dell’energia elettrica (di solito la pianta dei piedi). 
Il  marchio  elettrico  è  molto  resistente  ai  fenomeni  putrefattivi  e,  quindi,  spesso  ben  riconoscibile  anche 
quando il cadavere viene rinvenuto a distanza di tempo dalla morte. 
La  sua  assenza  non  consente  tuttavia  di  escludere  una  morte  da  folgorazione.  Può  infatti  non  formarsi 
allorché  
‐ la corrente possieda un basso voltaggio (caso ad esempio delle correnti domestiche)  
‐ penetri in un punto del corpo dove la resistenza cutanea è molto ridotta (cute sudata o bagnata), ad 
esempio  per  immersione  del  corpo  in  una  vasca  da  bagno.  In  tale  circostanza,  infatti,  il  marchio 
elettrico  è  raramente  osservabile  e,  quasi  sempre,  si  tratta  di  marchi  lineari  corrispondenti  al  livello 
dell’acqua.   

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Il  marchio  elettrico  ha  una  forma  irregolarmente  rotondeggiante  e  non  di  rado  può  riprodurre  a  stampo 
quella del conduttore. 
 
Se ne distinguono 2 tipi fondamentali: 
‐ Primo tipo, senza perdita di sostanza  
È  costituito  da  un  rilievo  cutaneo,  di  forma  variabile,  delle  dimensioni  di  pochi  millimetri,  a  margini 
netti, depresso al centro, di consistenza pergamenacea e di colorito giallo‐grigiastro. 
Tale aspetto riconosce come causa lo scollamento degli strati profondi dell’epidermide, per formazione 
di  vacuoli  contenenti  aria,  con  integrità  del  rivestimento  corneo.  Tali  vacuoli  si  sviluppano  per 
l’evaporazione – indotta dal surriscaldamento endogeno dei liquidi cellulari ed interstiziali. 
‐ Secondo tipo  
È caratterizzato da una perdita di sostanza a spese dell’epidermide e del derma.  La lesione, pertanto, si 
presenta come un cratere con margini sottominati. 
 
 
Nella sede di contatto con il conduttore elettrico, si possono anche osservare fenomeni di metalizzazione, 
originati  dalla  formazione  di  archi  voltaici,  che  inducono  la  fusione  dei  metalli  dei  conduttori  i  quali  si 
depositano sulla cute o sugli indumenti. 
Vi sono varie metodiche utilizzabili per la rilevazione della metalizzazione. Quelle maggiormente impiegate 
consistono in metodi istochimici. 
N.B.  Il  fenomeno  di  metallizzazione  cutanea  si  associa  ad  una  perdita  di  sostanza  metallica  a  carico  del 
conduttore. Ciò consente di individuare il conduttore da cui è originata la scarica di elettricità. 
 
 
 
FULMINAZIONE 
Le lesioni causate dalla fulminazione sono dovute principalmente a fenomeni elettrotermici, sebbene non 
siano trascurabili effetti meccanici indiretti. 
Si possono quindi produrre tanto ustioni –  che vanno da forme lievi all’incenerimento –  quanto lesioni da 
energia meccanica, quali ecchimosi, ferite lacero‐contuse, ferite da scoppio. 
La fulminazione è un evento accidentale, il cui rischio risulta generico, incombendo su qualsiasi individuo. In 
sede infortunistica lavorativa può tuttavia assumere connotati di rischio generico aggravato per categorie 
lavorative, come agricoltori e boscaioli, che ne sono maggiormente esposte. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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LESIONI DA ENERGIA TERMICA 
 
Possono essere distinte in: 
1. USTIONI 
2. LESIONI  DA  CALORE  PROPRIAMENTE  DETTE  (crampo  da  calore,  colpo  di  calore,  colpo  di  sole, 
collasso da calore) 
3. LESIONI DA FREDDO (congelamento, perfrigerazione, assideramento) 
 
 
USTIONI DA CALORE  
Possono esser provocate da: 
‐ Fiamme 
‐ Corpi solidi arroventati 
‐ Liquidi, gas e vapori surriscaldati 
 
Vengono classificate in 4 gradi di gravità crescente: 
 
Ustioni di I grado 
Si  caratterizzano  per  la  comparsa  di  un  eritema  cutaneo,  da  iperemia  attiva.  I  margini  della  lesione  sono 
sfumati  e  degradano  progressivamente  verso  la  cute  sana  circostante,  che  si  dimostra  pallida,  per 
vasocostrizione. 
Guariscono in 4‐5 gg, senza reliquati. 
 
Ustioni di II grado 
Si caratterizzano per un’intensa essudazione intraepidermica, con formazione di flittene, circondate da un 
alone iperemico. 
La guarigione, se non sopravvengono infezioni del contenuto liquido, avviene in due o tre settimane, con 
restitutio ad integrum. Se, tuttavia, ad essere interessato è anche il derma, si forma una cicatrice. 
 
Ustioni di III grado 
Hanno come elemento caratterizzante la necrosi, che interessa la cute e, talora, anche i tessuti profondi. 
Si formano, quindi: 
 Escare secche, di colore rosso‐bruno ed a margini netti, se l’ustione è stata prodotta dalla fiamma 
 Escare umide, di colore giallastro ed a margini sfumati, se l’ustione è stata causata da liquidi o vapori 
surriscaldati. 
Le  escare  vanno  incontro  ad  un  progressivo  rammollimento  e,  dopo  2‐3  settimane,  cadono,  rivelando  un 
tessuto di granulazione facilmente infettabile, da cui origina il processo di cicatrizzazione. 
Poiché la necrosi interessa tutti gli elementi epiteliali, non vi è possibilità di riepitelizzazione. 
Residua, pertanto, una cicatrice spessa, aderente ai piani sottostanti, retratta, che può evolvere in cheloide. 
 
Ustioni di IV grado 
Sono caratterizzate dalla carbonizzazione dei tessuti, che assumono un aspetto nerastro e friabile. Perché 
avvenga  la  carbonizzazione,  è  necessario  che  si  verifichi  una  combustione  completa,  in  presenza  di  una 
adeguata quantità di ossigeno libero e con una temperatura non inferiore a 300 °C. 
Le  aree  interessante  dalla  carbonizzazione  sono  alternate  a  zone  di  necrosi  e  di  ustioni  di  grado  minore 
(aspetto “a pelle di leopardo”). 
 
La contemporanea presenza di ustioni di I, II e III grado, ma non di IV grado, produce un aspetto “a carta 
geografica”. 
 
 

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Per stabilire la % di superficie corporea interessata dall’ustione si fa riferimento ad una suddivisione della 
superficie corporea in multipli di 9 
 Al capo ed al collo, viene attribuito un valore del 9% 
 Il tronco viene suddiviso in una parte anteriore ed in una posteriore, ciascuna equivalente al 18% 
 Ogni arto superiore equivale al 9% 
 Ogni arto inferiore equivale al 18% 
 L’area del perineo, genitali compresi, equivale all’1% 
 
N.B. per valutare la gravità di un’ustione bisogna stabilire, non solo la % di superficie corporea interessata, 
ma anche il grado di sviluppo dell’ustione. Ad esempio, un’ustione di III grado va considerata grave anche 
se interessa solo il 10% della superficie corporea. 
 
 
Se l’ustione interessa almeno il 15‐20% della superficie corporea, possono aversi effetti sistemici. 
Inizialmente, s’instaura uno shock ipovolemico, dovuto alla perdita di sali minerali ed albumina dalle aree 
ustionate che, per motivi osmotici, trascinano con sé acqua.  
All’ipovolemia,  contribuisce  anche  il  richiamo  di  liquidi  nell’interstizio,  per  riduzione  della  pressione 
oncotica del plasma, dipendente dalla perdita di albumina.  
Si hanno, pertanto, ipotensione arteriosa, tachicardia, sudorazione algida ed ipotermia. 
L’ipovolemia,  per  la  conseguente  emoconcentrazione,  produce  uno  stato  di  ipercoagulabilità,  che  può 
esitare nello sviluppo di una CID. 
 
↓ dopo 48‐72 h, si passa a: 
 
Fase della tossicosi  
È legata al riassorbimento di sostanze tossiche dai tessuti ustionati. 
Può protrarsi per 15‐20 gg ed è caratterizzata da febbre remittente o continua, associata a nausea, cefalea, 
segni di sofferenza poliviscerale. 
 
↓ Tra la seconda e la terza settimana successiva all’ustione, può sopraggiungere  
 
Fase della sepsi 
La  sepsi  si  verifica  alla  caduta  delle  escare,  per  la  comparsa  di  un  tessuto  di  granulazione,  facilmente 
infettabile  
 
 
Particolare importanza medico‐legale ha l’identificazione del mezzo urente: 
 
1. Nelle lesioni prodotte dall’azione diretta della fiamma,  si osservano:  
 Ustioni estese, con direzione dal basso verso l’alto 
 Peli e capelli completamente bruciati 
L’azione ustionante della fiamma è facilitata dalla presenza di indumenti infiammabili. Tuttavia, alcune 
parti corporee possono essere risparmiate dall’azione della fiamma, grazie alla presenza di indumenti 
poco infiammabili, come cinture e scarpe. 
 
2. Ustioni prodotte da corpi solidi arroventati 
Si caratterizzano per un’estensione limitata che riproduce “a stampo” la forma dell’agente ustionante. 
I  peli  della  zona  ustionata  non  sono  bruciati,  ma  ritorti  lungo  il  proprio  asse  e  con  disorganizzazione 
strutturale. 
 
 
3. Ustioni determinate da liquido bollente 
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Hanno sempre una direzione discendente, per la forza di gravità che porta verso il basso il liquido. Ciò 
può  risultare  determinante  per  valutare  la  posizione  del  corpo  o  di  parti  di  esso  al  momento  del 
trauma. 
Non sono particolarmente profonde, per la tendenza allo  scorrimento del liquido. 
Danneggiano  maggiormente  le  regioni  corporee  rivestite  da  indumenti,  per  il  fatto  che  i  vestiti  si 
impregnano del liquido bollente, causando così un prolungamento dell’azione ustionante. 
Non provocano alterazioni apprezzabili di peli e capelli 

4. Ustioni da gas e vapori surriscaldati
Hanno dimensioni sono variabili, anche se risultano assai estese quando i vestiti si impregnano del gas o
del vapore surriscaldato, prolungando il tempo di contatto con il mezzo urente.
Non sono particolarmente profonde
Non provocano alterazioni apprezzabili di peli e capelli

È possibile fornire indicazioni circa la cronologia delle lesioni da energia termica. 
 Nelle ustioni datate meno di 36 ore, le flittene NON sono infette
 In  quelle  comprese  fra  36  ore  ed  alcuni  giorni,  le  flittene  contengono  pus  e  mancano  dell’alone  di
iperemia che circonda inizialmente la lesione.
 La  presenza  di  croste  indica  lesioni  evolute  già  da  qualche  giorno:  quelle  superficiali,  cadono  in  circa
una settimana; quelle più profonde, nell’arco di due settimane.
Pertanto, il riscontro di un tessuto di granulazione libero da croste, indica una lesione vecchia di più di
due settimane.

Diagnosi differenziale fra ustioni vitali e post‐mortali 

‐ Nelle ustioni di I grado, l’eritema, essendo espressione di iperemia attiva, si osserva solo se lesione è 
avvenuta in vita.  
Dopo  la  morte,  esso  tende  a  scomparire,  nelle  zone  epistatiche,  per  il  defluire  del  sangue  verso  le 
regioni declivi; nelle zone ipostatiche, per il mascheramento esercitato dalle ipostasi. 

‐ Nelle ustioni di II grado, la presenza di una reazione infiammatoria intorno alle flittene ha un valore di 
vitalità, ma solo in regioni non ipostatiche.  
Ulteriori segni di vitalità della lesioni sono:  
 Contenuto essudatizio delle flittene, con prova di Rivalta positiva
 Presenza di pus al loro interno
Tale reperto, oltre ad indicare la vitalità dell’ustione, depone anche per una lesione datata non meno di 36h.

Caratteri delle flittene prodotte per ustione del cadavere, sono invece: 
 Assenza di reazione infiammatoria periferica
 Contenuto gassoso
In caso di contenuto liquido, quest ultimo è di natura trasudatizia, con prova di Rivalta negativa

‐ Nelle ustioni di III grado, la presenza di una reazione infiammatoria intorno alle escare ha un valore di 
vitalità, ma solo in regioni non ipostatiche. 

Aspetti peculiari di un cadavere carbonizzato  
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1. Riduzione di volume della superficie corporea, in rapporto all’azione disidratante della fiamma ed alla
retrazione muscolare
2. Intensa  rigidità,  sempre  per  disidratazione  e  retrazione  muscolare.  Il  cadavere  pertanto  assume  una
posizione definita “a lottatore” per l’atteggiamento in flessione degli arti.
3. Cute secca e di colore nerastro
4. Presenza  di  soluzioni  di  continuo,  prive  di  caratteri  vitali,  a  livello  delle  pieghe  flessorie  delle
articolazioni, da retrazione cutanea. Sono simili alle ferite da taglio rispetto alle quali differiscono per
l’assenza di codette e per la presenza di ponti di tessuto sul fondo, apprezzabili mediante osservazione
microscopica.
5. Formazioni pilifere scarse o assenti
6. Bocca aperta con denti ben visibili, per retrazione labiale
7. Cornea di aspetto opalescente e di colore azzurrognolo
8. Cristallino con cataratta coagulativa
9. Fratture craniche da scoppio per espansione dei gas prodottisi all’interno della scatola cranica
10. Formazione  di  raccolte  di  sangue  nello  spazio  epidurale,  per  suzione  provocata  dalla  riduzione  di
volume dell’encefalo e della dura madre (“falso ematoma epidurale”)
11. Amputazioni degli arti, per una loro completa carbonizzazione, che può condurre al loro distacco dalla
superficie corporea
12. Il sangue è spesso coagulato e di colore rosso scuro per formazione di metaHb o per esposizione della
carbossiHb ad elevate temperature

È importante stabilire se la carbonizzazione sia avvenuta in vivo o dopo la morte. 

Depongono per una carbonizzazione in vivo: 
1. Presenza di fuliggine nelle vie aeree, indice di una attiva inalazione di fumi
2. Percentuale di carbossiHb superiore al 10%, anch’essa segno di attiva aspirazione dei fumi.
La  determinazione  della  carbossiHb  andrebbe  effettuata  sul  sangue  prelevato  dal  cuore  o  dai  grossi
vasi, in quanto possibile, a livello dei vasi periferici, la combinazione post‐mortale tra Hb e CO
3. Riscontro di embolie adipose polmonari, indice della sussistenza del circolo ematico al momento della
produzione di emboli adiposi, per effetto del calore sul tessuto sottocutaneo

LESIONI DA CALORE PROPRIAMENTE DETTE 
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Consistono  in  modificazioni  patologiche  dell’omeostasi  generale  dell’organismo,  determinate 


dall’esposizione ad elevate temperature: 

Collasso da calore 
Si verifica per esposizione ad elevate temperature di individui scarsamente acclimatati. 
Sotto  il  profilo  patogenetico,  non  vi  è  un’alterazione  dei  meccanismi  termoregolatori  ma  una  notevole 
diminuzione delle resistenze vascolari periferiche, con riduzione del ritorno venoso al cuore e della gittata 
cardiaca. Ne consegue un collasso cardiocircolatorio. 
Tipicamente la cute appare pallida, fredda e sudata, per attivazione simpatica. 

Colpo di calore 
Si  verifica  soprattutto  nei  soggetti  anziani  ed  in  condizioni  che  favoriscono  una  rapida  ed  intensa 
sudorazione. 
Presumibilmente  s’instaura  per  un  progressivo  esaurimento  funzionale  delle  ghiandole  sudoripare,  con 
blocco della sudorazione e conseguente impossibilità di cedere calore all’ambiente. Ciò produce una rapida 
ipertermia, con la temperatura corporea che raggiunge i 40‐44 °C, altamente pericolosa per il SNC. 
A differenza del collasso da calore, 
‐ La cute è arrossata e secca, per blocco della sudorazione   
‐ Non vi è emoconcentrazione, né un evidente deplezione di sodio e cloro. 
In caso di morte per colpo di calore, il raffreddamento del cadavere è rallentato; intense e precoci sono la 
rigidità e la putrefazione; abbondanti e diffuse risultano le ipostasi. 

Colpo di sole 
Si  verifica  quando  l’individuo  espone  lungamente,  all’azione  dei  raggi  solari,  il  capo  ed  in  particolare  il 
rachide cervicale. 
Si  ritiene  che  le  radiazioni  solari,  agendo  soprattutto  sui  centri  diencefalici,  alterino  la  regolazione  del 
circolo e del respiro. 
La temperatura corporea risulta elevata, come nel colpo di calore, ma la cute è calda e sudata. 

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LESIONI DA ESPOSIZIONE A BASSE TEMPERATURE 
L’esposizione  a  basse  temperature  viene  contrastata  dall’organismo  mediante  la  produzione  di  calore 
endogeno  (termogenesi)  e  la  limitazione  della  dispersione  calorica.  Quando  tale  equilibrio  non  è  più 
sostenibile, si verificano effetti locali (congelamento) o generali (assideramento). 

Congelamento 
Si  ha  quando  l’esposizione  a  basse  temperature  riguarda  regioni  circoscritte  del  corpo,  in  genere  quelle 
periferiche (mani, piedi, orecchie e naso). 
Può realizzarsi per temperature comprese tra ‐10°C ed alcuni gradi > 0. 

L’effetto  locale  del  freddo  inizialmente  consiste  in  uno  spasmo  arteriolare,  seguito,  per  l’ipossia  e 
l’accumulo  di  metaboliti  acidi,  da  una  vasodilatazione  paralitica  veno‐capillare,  responsabile  di  edema 
interstiziale.  Successivamente,  per  il  rallentamento  del  flusso  sanguigno  e  l’aumento  della  viscosità 
ematica, si formano trombi endo‐capillari. I trombi endo‐capillari possono indurre: 
‐ Necrosi tissutale e gangrena secca, se l’ostruzione vasale è completa 
‐ Gangrena umida, se l’ostruzione vasale è incompleta.  
N.B. La gangrena umida risulta più severa, perché favorisce il passaggio in circolo di tossine batteriche e di 
prodotti di degenerazione tissutale. 

Il  freddo  intenso  è  anche  capace  di  provocare  un  danno  tissutale  diretto,  ossia  non  mediato  da  fattori 
vascolari, in quanto determina la formazione di cristalli che ledono le membrane cellulari, con conseguente 
perdita dei gradienti ionici trans‐membrana.  

Per il congelamento, si distinguono 3 gradi di gravità crescente:  
I grado  
È caratterizzato da parestesie, ipo‐anestesia, dolore ed impaccio motorio, eritema di colore rosso‐violaceo, 
con lieve edema locale  

II grado 
È caratterizzato dalla comparsa di un intenso edema cianotico e di flittene dermo‐epidermiche, a contenuto 
sieroso o siero‐ematico. 

III grado 
È caratterizzato da una necrosi superficiale o profonda dei tessuti. 
L’interessamento  del  derma  genera  escare,  alla  cui  caduta,  si  formano  piaghe  che  esitano  in  cicatrici 
retraenti. 
Frequente  è  un  quadro  sistemico,  con  febbre  e  stato  tossico  generale,  soprattutto  nelle  forme  umide  di 
gangrena. 

Nel piede da trincea e nel piede da immersione, le estremità inferiori sono esposte lungamente all’azione 
del  freddo  umido.  Ciò  determina  un  ipossia  locale  dovuta  sia  alla  vasocostrizione  indotta  dalla  bassa 
temperatura, sia al protratto mantenimento della stazione eretta. 
Il quadro clinico non si differenzia da quello dei vari gradi di congelamento. 

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LESIONI DA ENERGIA BARICA 

Si  verificano  per  variazioni  della  pressione  ambientale  in  conseguenza  di  un  repentino  passaggio  da  un 
ambiente  ipercompresso  a  condizioni  pressorie  normali  (Iperbaropatie),  oppure  da  condizioni  pressorie 
normali a condizioni di bassa pressione (Ipobaropatie) 

Iperbaropatie 
Riguardano  soggetti  che  praticano  particolari  attività  lavorative o  sportive  (caso  di  palombari,    cassonisti, 
sommozzatori, pescatori, subacquei) 

Disturbi possono insorgere sia nella fase di compressione che in quella di decompressione 

Nella  fase  di  compressione,  l’immissione  troppo  rapida  di  aria  compressa  nei  cassoni  o  nelle 
apparecchiature  subacquee  può  determinare  la  comparsa  di  sintomi  quali  dolori  auricolari  (per  aumento 
della pressione endotimpanica), acufeni, bradicardia, ipotensione. 
Inoltre,  durante  l’immersione  a  grandi  profondità,  può  manifestarsi  la  cosiddetta  “sindrome  degli  alti 
fondali”  causata  dall’azione  dell’azoto  inalato  a  forte  pressione  che  determina  senso  di  euforia  e  di 
eccitazione, seguito da attenuazione dell’attenzione ed incoordinazione motoria. 

I disturbi più severi tuttavia compaiono nella fase di decompressione, qualora non venga effettuata con la 
dovuta gradualità. 
In  questo  caso,  la  maggiore  quantità  di  azoto  che,  durante  la  fase  di  compressione,  si  era  disciolta  nei 
tessuti (con particolare riferimento a quello adiposo), si libera sotto forma di bolle gassose, che entrano in 
circolo, determinando fenomeni di aeroembolismo. 

Clinicamente, vengono distinte:  

Forme  lievi,  dominate  da  dolori  articolari  interessanti  le  ginocchia,  i  polsi,  i  gomiti  e  le  spalle,  talora 
associati ad epistassi. 
I sintomi possono comparire anche diverse ore dopo la decompressione. 

Forme  gravi,  in  cui  prevale  una  sintomatologia  cerebrale  (emiplegia,  convulsioni  e  coma)  o  midollare 
(paraplegia e disturbi sfinterici) 

Forme fulminanti, caratterizzate da una sintomatologia asfittica, dovuta ad embolismo polmonare massivo. 

Nei casi mortali, l’indagine autoptica va condotta con particolari accorgimenti. 
Il  cuore  deve  essere  aperto  sott’acqua,  curando  di  non  ledere  le  vene  giugulari  e  le  succlavie,  durante  la 
sternotomia. In alternativa, si possono asportare in blocco cuore e polmoni, dopo legatura dei grossi vasi in 
prossimità del cuore. 
In caso aeroembolismo, l’incisione dell’atrio dx e dell’arteria polmonare determina la fuoriuscita di bollicine 
gassose. 
Il  significato  diagnostico  di  tale  prova  è  vanificato  in  presenza  di  putrefazione.  L’indagine  va  pertanto 
completata  mediante  analisi  gas‐cromatografica  del  gas  cardiaco  con  l’intento  di  ricercare  idrogeno 
solforato, indicativo della componente putrefattiva.  

Il quadro anatomo‐patologico è comune a quello delle altre sindromi asfittiche. 

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N.B. 
Gli operai che hanno lavorato a lungo nei cassoni, possono sviluppare, con il tempo, una forma di osteo‐
artropatia cronica deformante soprattutto a carico delle articolazioni coxo‐femorali e scapolo‐omerali.  
Tale  condizione,  sotto  il  profilo  radiografico,  si  manifesta,  in  fase  iniziale,  con  piccole  immagini 
pseudocistiche epifisarie, esito di necrosi ossea.  
In fase avanzata, compaiono deformazione dei capi ossei, con restringimento della rima articolare. 

Ipobaropatie 

Malattia degli aviatori  
Si verifica durante il volo in quota (oltre i 7000 metri), per carente pressurizzazione. 
 A  tali  altitudini,  infatti,  la  bassa  pressione  atmosferica  riduce  la  solubilità  ematica  dell’azoto,  con 
formazione di bolle gassose che entrano in circolo, determinando fenomeni di aeroembolismo. 

Mal di montagna  
È  causato da una combinazione di fattori quali: 
 Diminuzione della pressione atmosferica
 Carenza di ossigeno nell’aria
 Abbassamento della temperatura
 Effetto dei raggi solari
I  primi  disturbi  possono  comparire  già  a  1500‐2000  m,  sotto  forma  di  dispnea  e  stato  di  ebbrezza,  ma  si 
fanno più evidenti oltre i 3500 m allorché si manifestano tachipnea, tachicardia, acufeni. 

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ASFISSIOLOGIA FORENSE 

Il campo d’interesse dell’asfissiologia forense è costituito dalle: 

ASFISSIE MECCANICHE VIOLENTE 

Forme  di  insufficienza  respiratoria  determinate  da  un  impedimento  alla  penetrazione  dell’aria  nell’albero  
respiratorio,  come  conseguenza  dell’azione  di  una  causa  generalmente  esterna  all’organismo,  di  natura 
meccanica e che si estrinseca con consistente energia, in tempi brevi (pertanto violenta). 

Caratteri comuni a tali sindromi asfittiche sono quindi: 
1. primitività  del  processo,  che  deve  cioè  dipendere  da  un’azione  violenta  direttamente  esercitata
sull’apparato respiratorio 
2. violenza dell’azione, che deve cioè esaurirsi  rapidamente
3. natura meccanica dell’ostacolo alla respirazione

Esulano pertanto da questo ambito tutte quelle sindromi che, pur condividendo una condizione di anossia 
e, cioè, di mancanza di ossigeno a livello tissutale e cellulare, riconoscono come cause: 
‐ Fenomeni  intrinseci  dell’organismo,  come  patologie  respiratorie,  cardio‐circolatorie,  neurologiche, 
muscolari, ematologiche 
‐ Intossicazioni acute  
‐ Carenza di ossigeno nell’aria respirata, come accade nel caso del confinamento* e dell’ascensione ad 
alta quota 

Le asfissie meccaniche violente possono esser dovute a:  1 
1. Occlusione degli orifizi respiratori, caso del soffocamento

2. Compressione  delle  vie  respiratorie,  caso  di:  strozzamento,  strangolamento,  impiccamento,


compressione atipica del collo 

3. Ostruzione delle vie respiratorie dall’interno, caso di:
 Annegamento, in cui mezzo occludente è l’acqua, dolce o salata
 Intasamento, in cui il mezzo occludente è di natura solida (come terriccio, pezzi di stoffa, oggetti di
uso domestico, alimenti)
 Sommersione  interna,  in  cui  il  mezzo  occludente  è  un  fluido  di  provenienza  endogena  (come
vomito, sangue, pus, liquido idatideo)

4. Impedimento  degli  atti  respiratori,  per  immobilizzazione  del  torace,  caso  di:  morte  nella  folla,
seppellimento, crocifissione 

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Tutte le sindromi asfittiche meccaniche violente – fatta eccezione per l’annegamento – attraversano 4 FASI 
SUCCESSIVE: 

I fase, della dispnea inspiratoria, in cui il soggetto tenta di vincere l’ostacolo alla respirazione e di introdurre 
aria nei polmoni. 
Alla dispnea inspiratoria, si associano:  
‐ Aumento della frequenza del polso 
‐ Diminuzione della pressione arteriosa, per vasodilatazione periferica  
‐ Cianosi del volto 
Il  soggetto  va  incontro,  più  o  meno  rapidamente,  a  perdita  di  coscienza,  con  cessazione  dei  movimenti 
volontari. 

II fase, della dispnea espiratoria, in cui l’ipercapnia, per l’associata acidosi, stimola il centro del respiro ad 
indurre espirazione, con lo scopo di eliminare l’eccesso di CO2 (e, quindi, di acidi volatili). In questa fase,  
‐ il polso rallenta per poi crescere di nuovo in frequenza ed ampiezza; 
‐ la  pressione  arteriosa  aumenta  notevolmente  e  ciò  viene  ritenuto  responsabile  delle  caratteristiche 
ecchimosi puntiformi sotto‐congiuntivali, sotto‐pleuriche, sotto‐epicardiche; 
‐ i reflessi non sono più evocabili;  
‐ gli sfinteri anale e vescicale si rilasciano, con possibile perdita di feci ed urine; 
‐ si hanno convulsioni, per l’eccitazione dei centri motori corticali, legata all’ipercapnia 

III fase, dell’apnea, in cui gli atti respiratori cessano, per danno irreversibile dei centri nervosi bulbari, con 
immobilità del torace e del diaframma. 
Il polso diviene sempre più raro e piccolo. 
La pressione arteriosa comincia a diminuire. 

IV fase, del boccheggiamento, in cui compaiono movimenti delle pinne nasali e delle labbra, inefficaci ai fini  2 
della respirazione e prodotti da residui stimoli terminali dei centri nervosi bulbari.  
Tale fase si conclude con l’arresto cardiaco che interessa prima il ventricolo dx e, poi, il sin. 

La  sindrome  asfittica  ha  una  durata  di  circa  4‐6  min  che  comunque  varia  in  rapporto  alla  resistenza 
individuale. 

QUADRO ANATOMO‐PATOLOGICO DELL’ASFISSIA MECCANICA VIOLENTA 

Segni  esterni  
1. Cianosi del volto, del collo e, talora, del terzo superiore del torace (“a mantellina”)
Riconosce come causa il ristagno di sangue ipossico –  con Hb ridotta > 5 g/dL –  nel territorio della vena 
cava superiore, per l’ingorgo delle sezione dx del cuore che consegue all’aumento delle resistenze del 
piccolo circolo. L’aumento delle resistenze del piccolo circolo, a sua volta, dipendente dai fenomeni di 
enfisema  polmonare,  edema  polmonare  acuto,  infiltrazione  emorragica  dei  polmoni  che 
accompagnano le asfissie meccaniche violente. 
La stasi del distretto venoso cervico‐facciale, 
‐ Nello strozzamento e nello strangolamento, è dovuta anche alla compressione delle giugulari 
‐ Nell’impiccamento, è modesta per la contemporanea ostruzione del circolo arterioso 
‐ Nell’immobilizzazione  del  torace,  raggiunge  la  massima  entità  poiché  viene  impedito  l’aumento 
della pressione negativa endotoracica  
N.B.  La  cianosi  diviene  presto  indistinguibile  da  ipostasi  antigravitarie,  sempre  con  distribuzione  “a 
mantellina” e sempre riconducibili al difficoltoso scarico delle sezioni dx del cuore, per l’aumento  delle 
resistenze del piccolo circolo.  
Alla stasi venosa cervico‐facciale è ascrivibile anche l’incostante protrusione dei globi oculari. 

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2. Macchie  ipostatiche  precoci  ed  abbondanti,  per  l’elevata  fluidità  del  sangue,  che  ne  facilita  lo
spostamento verso le parti declivi del cadavere. Tale reperto è comune a tutte le morti rapide, senza
emorragia anche se la distribuzione delle ipostasi può essere peculiare ed orientare circa determinate
tipologie di asfissia meccanica violenta (vedi impiccamento).

3. Fuoriuscita  di  schiuma  dagli  orifizi  respiratori  ‐  cdt  “fungo  schiumoso”  ‐  di  colorito  biancastro  ed
aspetto cotonoso, specie dopo essiccamento.
Si  produce  nelle  lume  tracheo‐bronchiale  a  causa  del  miscuglio  di  aria  e  secrezione  mucosa,  indotto
dagli atti respiratori dispnoici.
Qualora  una  sindrome  una  sindrome  asfittica  prolungata  determini  la  rottura,  su  base  anossica,  dei
capillari  polmonari,  è  possibile  che  la  schiuma  assuma,  un  colorito  tenuemente  rossastro,  da  cui  la
denominazione di “fungo rubro schiumoso”.
Il fungo schiumoso è più frequente e maggiormente evidente nell’annegamento perché favorito dalla
penetrazione di acqua nell’albero respiratorio.
Compare a distanza di tempo variabile dal decesso, per effetto di:
‐ Retrazione elastica del parenchima polmonare
‐ Rigidità cadaverica
‐ Putrefazione
I  gas  putrefattivi,  infatti,  distendendo  lo  stomaco  e  le  anse  intestinali,  spingono  verso  l’alto  il 
diaframma che comprime il parenchima polmonare 

N.B. Il fungo schiumoso, al pari delle ipostasi anti‐gravitarie “a mantellina” e delle macchie ipostatiche 
precoci  ed  abbondanti  è  apprezzabile  in  diverse  forme  di  morti  rapide  da  anossia  come  quelle  che  si 
verificano per insufficienza acuta del ventricolo sinistro e per intossicazione acuta da oppioidi. 


4. Ecchimosi  puntiformi,  specie  sottocongiuntivali,  dovute  all’  aumento  di  pressione  nelle  venule  post‐
capillari ed  al danno delle pareti vascolari su base anossica.

5. Lentezza del raffreddamento del cadavere

6. Rigidità cadaverica intensa e precoce

7. Putrefazione  accelerata,  per  la  particolare  fluidità  del  sangue  che  agevola  la  diffusione  di  germi
putrefattivi.

Sono inoltre osservabili segni esterni di specifiche forme asfittiche. 

Segni interni 

1. Enfisema  polmonare  acuto,  conseguente  agli  atti  respiratori  dispnoici,  che  inducono  una  notevole
dilatazione delle cavità alveolari, le cui pareti subiscono iperdistensione ed interruzione.
I  polmoni  enfisematosi  appaiono  voluminosi  ed  espansi  e  non  si  acquattano,  come  di  norma,  nelle
docce paravertebrali, dopo rimozione del piastrone sternale.
Sulla loro superficie, inoltre, appare impresso il disegno delle coste.

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2. Edema  polmonare  acuto,  di  tipo  lesionale,  da  danno  della  membrana  alveolo‐capillare,  su  base
anossica.

3. Petecchie emorragiche viscerali, specie sotto‐pleuriche e sotto‐epicardiche, riconducibili a:
‐ Rialzo pressorio nelle venule post‐capillari
‐ Danno delle pareti vascolari su base anossica
‐ Aumento della pressione negativa endo‐toracica, che si verifica nella fase della dispnea inspiratoria,
poiché  l’espansione  del  torace  e  la  discesa  del  diaframma  non  sono  accompagnate  da 
un’espansione consensuale dei polmoni, per ostruzione delle vie aeree superiori. 

4. Dilatazione delle sezione destre del cuore e ristagno in esse di sangue, per incremento delle resistenze
vascolari polmonari.

5. Iperemia  viscerale  diffusa,  conseguente  all’ingorgo  ematico  delle  sezioni  destre  del  cuore,  che
impedisce il drenaggio del sangue dai territori delle vene cave.
A livello della milza, invece, si riscontra un’anemia da splenocontrazione  adrenergica.

6. Fluidità e colore rosso scuro del sangue
La  fluidità  del  sangue  sarebbe  determinata  da  un’alterazione  del  processo  coagulativo,  per
immobilizzazione di ioni calcio, secondaria agli elevati livelli ematici di CO2 e da un’esaltata fibrinolisi.
L’aspetto piceo, invece, è ascrivibile allo stato di ipossiemia.

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TIPOLOGIE DI ASFISSIA MECCANICA VIOLENTA 

SOFFOCAMENTO 
Forma  di  asfissia  meccanica  violenta  dovuta  all’occlusione  degli  orifizi  respiratori,  attuata  esercitando, 
contemporaneamente, sulla bocca e sulle narici, un’intensa pressione, mediante l’impiego di tutte e due le 
mani oppure di un altro mezzo idoneo allo scopo. 

È  un’evenienza  soprattutto  omicidiaria  e  costituisce  la  modalità  con  cui  più  frequentemente  viene 
realizzato l’infanticidio. 
Nel neonato e nel lattante, è inoltre frequente un soffocamento accidentale, per l’incapacità di rimuovere 
dagli orifizi respiratori eventuali mezzi occludenti. 
Un soffocamento accidentale, comunque, può anche verificarsi negli adulti, qualora si determini uno stato 
di incoscienza o di sonno profondo. Ciò riguarda: epilettici, dopo una crisi di grande male, soggetti in stato 
di ubriachezza, soggetti che hanno assunto farmaci ad azione ipnotica o sostanze stupefacenti. 

IMPICCAMENTO 
È  una  forma  di  asfissia  meccanica  violenta  la  cui  causa  risiede  nella  compressione  delle  vie  respiratorie, 
pratica,  a  livello  del  collo,  dall’estremità  annodata  ad  ansa  di  un  laccio  –  precedentemente  fissato  ad  un 
sostegno –  che si tende a causa del peso del corpo. 

Può essere: 
‐ Tipico 
‐ Atipico 
L’impiccamento  tipico  è  quello  in  cui,  il  pieno  dell’ansa,  corrisponde  alla  faccia  anteriore  del  collo,  con  il 

nodo scorsoio situato in sede occipito‐nucale. 
L’impiccamento è invece atipico quando il nodo scorsoio si viene a trovare in posizione diversa da quella 
occipito‐nucale. 

Può essere inoltre: 
‐ Completo 
‐ Incompleto 
L’impiccamento si definisce completo, quando tutto il corpo rimane sospeso, gravando quindi, con l’intero 
peso, sul sistema di ancoraggio del laccio. 
Si definisce incompleto, invece, quando il corpo poggia su qualche sostegno. 
Ciò  è  possibile  in  quanto,  per  produrre  i  meccanismi  lesivi  dell’impiccamento,  è  sufficiente  che  sul  collo 
gravi, tramite il laccio, un peso anche di soli 3‐5 Kg.  

Meccanismi lesivi dell’impiccamento 

1. Asfissia, determinata dallo spostamento verso l’alto e l’indietro dell’osso ioide che solleva la base della
lingua  e  l’epiglottide,  portandole  contro  la  parete  posteriore  della  faringe  ed  il  palato  molle,  con
conseguente chiusura delle vie aeree.

2. Alterazioni  circolatorie,  per  ostruzione  da  stiramento  sia  delle  giugulari  che  delle  carotidi,  con
conseguente arresto della circolazione cerebrale.

3. Alterazioni nervose, per compressione e stiramento delle aeree  reflessogene del seno carotideo, con
induzione di un meccanismo inibitorio sincopale

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Segni esterni 
L’elemento  caratterizzante  il  quadro  lesivo  esterno  dell’impiccamento  consiste  nel  1.  solco  e,  cioè,  nel 
segno  lasciato  dal  laccio  sulla  cute  del  collo,  per  lo  spostamento  dei  liquidi  tissutali  verso  gli  strati  più 
profondi. 
Il solco dell’impiccamento risulta: 
1. Obliquo,  dall’avanti  all’indietro  e  dal  basso  verso  l’alto,  nelle  forme  tipiche;  con  altra  direzione,  ma
sempre obliqua ed ascendente, nelle forme atipiche.
2. Discontinuo, con interruzione in corrispondenza del nodo.
3. A profondità diseguale, maggiore in corrispondenza del pieno dell’ansa.
4. Localizzato al di sopra della cartilagine tiroidea
5. Spesso unico
6. Di consistenza dura o molle
‐ Un solco duro viene prodotto da lacci ruvidi, capaci di azione escoriante (caso, ad esempio, di una
corda  di  canapa).  In  questo  caso,  si  verifica,  infatti,  un  intenso  essicamento  post‐mortale  della 
lesione, la cui consistenza pertanto aumenta.  
‐ Un solco molle è invece prodotto da un lacci morbidi, privi di potere escoriante (caso, ad esempio, 
di  una  calza  di  tessuto  sintetico  o  di  una  sciarpa).  In  questo  caso,  l’essiccamento  post‐mortale  è 
meno  accentuato  con  la  lesione  che  conserva  una  consistenza  non  dissimile  da  quella  della  cute 
sana circostante 

Nel  contesto  del  solco,  inoltre,  è  possibile  apprezzare  creste  o  punteggiature  emorragiche  e  vescichette 
sierose  o  siero‐ematiche,  che  starebbero  a  dimostrare  la  vitalità  della  lesione,  favorendo  la  DD  tra 
impiccamento e sospensione di cadavere.   
N.B. Queste lesioni si osservano soprattutto quando il laccio presenta notevoli caratteristiche di ruvidità e si 
compone di gruppi di fibre attorcigliate, tra cui la cute resta pizzicata. 


Nel  quadro  lesivo  esterno  dell’impiccamento,  ad  essere  peculiare  è  anche  la  distribuzione  delle  macchie 
ipostatiche. 
‐ Se l’impiccamento è completo, le ipostasi si localizzano infatti a livello di: 
 arti inferiori, regione plantare compresa (ipostasi “a calza”)
 estremità degli arti superiori (ipostasi “a guanto”)
N.B. la replezione ipostatica dei corpi cavernosi può inoltre indurre turgore penieno. 

‐ Se invece l’impiccamento è incompleto, le macchie ipostatiche si evidenziano nelle zone del corpo rese 
declivi dalla modalità di espletamento, con risparmio dei punti di appoggio. 
Ciò permette di risalire alla dinamica dell’evento. 

Altri segni esterni dell’impiccamento, peraltro incostanti sono: 
‐ Sporgenza della lingua, derivante dallo spostamento verso l’alto degli organi del collo.  
‐ Presenza  di  sperma  all’orifizio  uretrale  esterno,  attribuito  al  rilasciamento  sfinterico  ed  alla 
contrazione agonica delle vescichette seminali 

Il quadro lesivo esterno dell’impiccamento infine comprende: 
‐ Eventuali lesioni di tipo contusivo, dovute ai movimenti convulsivi che fanno oscillare il corpo, con urti, 
specie degli arti inferiori, contro ostacoli dell’ambiente circostante. 
‐ Segni comuni ad altre forme di asfissia meccanica violenta. 

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Segni interni 
Sono spesso rappresentati dai soli reperti generici dell’asfissia. 
In alcuni casi, tuttavia, emergono segni caratteristici a carico degli organi del collo: 
1. Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (specie dello SCM)
2. Lesioni trasversali dell’intima delle carotidi (segno di Amussat) e del nervo vago
3. Piccole  emorragie  della  parete  delle  carotidi,  al  di  sotto  dell’avventizia,  e  dei  linfonodi  situati  in
prossimità del laccio
4. Ecchimosi retrofaringea, per compressione da parte della base della lingua

Possibile è, inoltre, il riscontro di fratture o lussazioni delle prime vertebre cervicali e di frattura del dente 
dell’epistrofeo,  con  compressione  bulbare.  Quest’ultima  lesione  è  costante  e  costituisce  la  causa  della 
morte  nell’IMPICCAGIONE, intesa come modalità d’esecuzione capitale. 
Trattandosi di una sentenza giudiziaria è richiesto, infatti, che la morte arrivi in maniera subitanea, evitando 
la sindrome asfittica, della durata di 4‐6 min. 
Ciò viene ottenuto facendo precipitare il soggetto con il cappio al collo, attraverso una botola, per diversi 
metri  (circa  4).  In  questo  modo,  quando  la  corda  entra  in  tensione,  l’energia  cinetica  acquisita  dal  corpo 
durante  la  caduta  si  trasforma  in  forza  meccanica  che,  tramite  il  laccio,  provoca  la  frattura  del  dente 
dell’epistrofeo o, meglio, il suo distacco, con conseguente compressione bulbare. 

L’impiccamento è, di norma, un’evenienza suicidaria. 

L’accidente è l’evento più frequente dopo il suicidio e può verificarsi nel corso di particolari attività ludiche 
e di pratiche erotiche in cui, mediante l’uso di lacci, si cerca di stimolare, per stiramento, il midollo spinale 
lombare. In tal caso, l’impiccamento accidentale risulterà generalmente incompleto ed il sopralluogo potrà 
di solito fornire chiarimenti decisivi circa la dinamica letale. 

Estremamente  rare  sono  le  forme  omicidiarie  che  richiedono  un’assoluta  sproporzione  di  forza  tra 
aggressore e vittima oppure che quest’ultima si trovi, al momento del fatto, in stato di incoscienza.    

Possibile  è  inoltre  l’eventualità  che  il  cadavere  di  un  soggetto  morto  per  un’azione  delittuosa,  sia 
successivamente impiccato, allo scopo di simulare un suicidio (SOSPENSIONE DI CADAVERE).  

Orientano verso la sospensione di cadavere: 
1. Presenza di segni di azione lesiva di altro tipo

2. Mancanza  dei  segni  generici  di  asfissia,  come  petecchie  emorragiche  sottocongiuntivali  (a  patto  che
l’omicidio non sia stato precedentemente attuato mediante altra forma di asfissia meccanica violenta)

3. Distribuzione  delle  ipostasi  non  compatibile  con  un  impiccamento,  che  risulta  evidente  qualora  il
cadavere sia stato sospeso nella fase di fissità delle ipostasi

4. Assenza di lesioni esterne ed interne della regione cervicale con carattere vitale
‐ Lesioni esterne della regione cervicale, a carattere vitale, sono: creste o punteggiature emorragiche
e vescichette sierose o siero‐ematiche, in corrispondenza del solco prodotto dal laccio 

‐ Lesioni interne della regione cervicale, a carattere vitale, sono: 
 Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (specie dello SCM)
 Lesioni trasversali dell’intima delle carotidi, che avverrebbe solo a vaso pieno.
 Piccole emorragie della parete delle carotidi, al di sotto dell’avventizia, e dei linfonodi situati in
prossimità del laccio
 Ecchimosi retrofaringea, per compressione da parte della base della lingua

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STRANGOLAMENTO  
Forma  di  asfissia  meccanica  violenta  la  cui  causa  risiede  nella  compressione  delle  vie  respiratorie, 
effettuata,  a  livello  del  collo,  mediante  l’uso  di  un  laccio  o  di  un  altro  mezzo  equivalente  sul  quale  viene 
applicata una forza agente secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo. 

Differisce dall’impiccamento, in quanto non vi è sospensione totale o parziale del corpo. 

Differisce dallo strozzamento, per l’utilizzo di un qualsiasi mezzo meccanico agente circolarmente, in senso 
centripeto, sul collo. 

Lo strangolamento è definito tipico o completo quando l’azione lesiva si estrinseca sul collo, in ogni parte 
della sua circonferenza. 

Si definisce atipico o incompleto  quando l’azione meccanica, pur agendo a livello del collo, viene attuata 
con lacci non completamente avvolti o con mezzi che, pur  produrre un effetto costrittivo sovrapponibile a 
quello dei lacci, non sono in grado  di  cingere  il  collo in ogni porzione della sua circonferenza (è questo il 
caso di bastoni applicati a comprime il collo in senso antero‐posteriore).  
Talvolta, la costrizione viene esercitata torcendo il laccio con un'asta (GARROTTAMENTO). 

Nello  strangolamento,  poiché  la  forza  agisce  secondo  un  piano  trasversale  rispetto  all’asse  maggiore  del 
collo, non avviene la dislocazione del laccio fin sotto la mandibola e lo spostamento verso l’alto degli organi 
del  collo  risulta  minore.  Pertanto,  l’occlusione  delle  vie  respiratorie  è  spesso  incompleta,  con  la 
conseguenza  che  la  sindrome  asfittica    dura  più  a  lungo.  Ciò  spiega  perché  molti  dei  suoi  segni,  come   8 
esempio le ecchimosi puntiformi, sia più marcati di quelli che si osservano nell’impiccamento. 

Al meccanismo asfittico puro possono aggiungersi o sostituirsi alterazioni nervose e circolatorie. 

Segni esterni  
Segno  esterno  caratteristico  dello  strangolamento  è  il  solco  cutaneo,  che  differisce  da  quello 
dell’impiccamento perché:  
1. È orizzontale
2. Risulta  continuo,  interessando  tutta  la  superfice  del  collo;  fanno  eccezione  i  casi  di  strangolamento
atipico, in cui si reperta un solco incompleto esclusivamente nella regione anteriore del collo.
3. Ha  uguale  profondità  in  tutto  il  suo  percorso,  dato  che  il  laccio  esercita  un’omogenea  azione
compressiva.   
4. Si localizza in posizione generalmente più bassa, di solito a livello o al di sotto della cartilagine tiroidea
5. Può essere singolo o multiplo, a seconda del numero di giri del laccio  (con frequente riscontro di un tratto
in  cui  diventa  doppio,  per  la  sovrapposizione  dei  due  capi  del  laccio  che  avviene  quando  si  esercita  su  di  essi
trazione).

Inoltre,  dato  che  lo  strangolamento  è  di  natura  prevalentemente  omicidiaria,  risulta  più  frequente, 
rispetto all’impiccamento, il riscontro, in prossimità del solco, di lesioni da difesa –  come unghiature – che 
la vittima si auto‐infligge nel tentativo di allontanare il laccio. 

A seconda della consistenza, il solco può essere duro o molle. 
‐ Un solco duro viene prodotto da lacci ruvidi, capaci di azione escoriante (caso, ad esempio, di una corda 
di canapa). In questo caso, si verifica, infatti, un intenso essicamento post‐mortale della lesione, la cui 
consistenza pertanto aumenta.  

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‐ Un solco molle è invece prodotto da un lacci morbidi, privi di potere escoriante (caso, ad esempio, di 
una  calza  di  tessuto  sintetico  o  di  una  sciarpa).  In  questo  caso,  l’essiccamento  post‐mortale  è  meno 
accentuato  con  la  lesione  che  conserva  una  consistenza  non  dissimile  da  quella  della  cute  sana 
circostante 

Al solco, infine, si associano segni esterni apprezzabili nelle altre forme di asfissia meccanica. 

Segni interni 
Sono analoghi a quelli presenti nelle altre forme di asfissia meccanica. 

Lo strangolamento, più frequentemente, è di natura omicidiaria. 
Lo  strangolamento  omicidiario,  comunque,  richiede  una  rilevante  sproporzione  di  forza  tra  vittima  ed 
aggressore, affinché quest ultimo possa effettuare una costrizione del collo sufficientemente prolungata.   
La dinamica omicidiaria prevede, pertanto, quasi sempre il fattore sorpresa, che permette di realizzare una 
violenta  ed  inaspettata  costrizione  del  collo,  con  rapida  perdita  di  coscienza  e  conseguente  impossibilità 
della vittima di attuare una valida difesa. 
Altre  volte  l’aggressore  rende  la  vittima  impotente  somministrandole  droghe  o  alcool  oppure 
tramortendola con colpi al capo. Sono quindi sempre necessari un accurato esame esterno del cadavere ed 
un esame tossicologico. 

Rari risultano lo strangolamento suicidiario e quello accidentale.  
Quest’ultimo,  nella  maggior  parte  dei  casi,  si  verifica  per  l’intrappolamento  di  un  laccio,  che  il  soggetto 
porta al collo, all’interno di un mezzo meccanico in movimento.  

STROZZAMENTO  
È  forma  di  asfissia  meccanica  violenta  la  cui  causa  risiede  nella  compressione  delle  vie  respiratorie, 
praticata, a livello del collo, mediante l’impiego di una o di entrambe le mani. 

L’occlusione  delle  vie  aeree  si  verifica  per  azione  diretta  sulla  laringe  e  ciò  giustifica  il  più  frequente 
riscontro di fratture del suo scheletro – in particolare della cartilagine tiroidea – più frequenti negli anziani, 
a causa della calcificazione delle loro strutture cartilaginee. 

N.B. 
Nello strozzamento, la sindrome asfittica è protratta, potendo richiedere anche 15‐20 min per causare  la 
morte, poiché la persona aggredita, dibattendosi, interrompe di tanto in tanto la chiusura delle vie aeree.  

Talora, l’azione compressiva sul collo coinvolge aree reflessogene  (seno carotideo) la cui stimolazione può 
indurre  fenomeni  inibitori  a  livello  cardiaco  in  grado  di  provocare  l’exitus,  anche  indipendentemente  dai 
meccanismi asfittici. 

Le alterazioni circolatorie sono meno rilevanti poiché le mani difficilmente possono comprimere, in maniera 
durevole, i fasci vascolari del collo. 

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Segni esterni che depongono per strozzamento 
‐ Ecchimosi  localizzate  sulle  superfici  antero‐laterali  del  collo  e  spesso  di  tipo  figurato,  riproducendo  la 
forma delle dita o dei polpastrelli  dell’aggressore. 

‐ Escoriate  lineari  o  a  forma  di  semiluna,  prodotte  dalle  unghie  dell’aggressore,  sempre  sulle  regioni 
antero‐laterali del collo. 
Quindi,  nel  caso  in  cui  si  sospetti  che  un  individuo  sia  l’esecutore  materiale  di  un  omicidio  per 
strozzamento  è  estremamente  utile  ricercare  in  sede  sub‐ungueale  frustoli  di  materiale  dermo‐
epidermico appartenenti alla vittima. 

Sono inoltre comuni: 
‐ Lesioni  contusive  su  tutto  il  corpo  della  vittima,  espressione  di  un’avvenuta  colluttazione,  tenendo 
conto  che,  in  corso  di  strozzamento,  non  si  ha  una  rapida  perdita  di  coscienza  e  possono  essere 
necessari anche 15‐20 minuti per causare la morte. 
N.B. Brandelli di cute dell’aggressore possono essere rinvenuti nella regioni sub‐ungueali della vittima. 

Segni interni che depongono per strozzamento  
‐ Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari e del fascio vascolo‐nervoso del collo 

‐ Fratture delle strutture cartilaginee laringo‐tracheali (facilitata negli anziani dalla loro calcificazione) e 
dell’osso ioide 

Lo  strozzamento  è  un’evenienza  tipicamente  omicidiaria  che,  per  essere  attuata,  richiede  una  notevole 
sproporzione  di  forza  tra  vittima  ed  aggressore  che  consenta,  a  quest’ultimo,  di  mantenere  la  stretta  al 
collo per un periodo sufficientemente lungo da poter realizzare il meccanismo asfittico.   10 

COMPRESSIONE ATIPICA DEL COLLO 
Si  tratta  di  una  forma  di  asfissia  meccanica  violenta  realizzata  mediante  peculiari  modalità  d’azione, 
difficilmente inquadrabili nei classici schemi dello strozzamento, dello strangolamento e dell’impiccamento, 
ma  che  comunque  producono  la  sindrome  asfittica  per  compressione  delle  vie  respiratorie  a  livello  del 
collo.  
Esempi: 
‐ Compressione  con  l’avambraccio,  in  senso  antero‐posteriore  del  collo  della  vittima,  da  parte  di  un 
soggetto che agisce alle sue spalle 
‐ Compressione  esercitata  sul  collo  della  vittima,  in  genere  stesa  a  terra,  da  parte  del  ginocchio  o  del 
piede dell’aggressone.  

ANNEGAMENTO 
Forma  di  asfissia  meccanica  violenta  causata  dall’ingresso  di  un  mezzo  liquido  esterno  all’organismo 
nell’albero  respiratorio,  con  sostituzione  del  contenuto  aereo  dei  polmoni  ed  impedimento  dei  normali 
scambi gassosi. 

L’annegamento viene distinto in: 
‐ Tipico 
‐ Atipico 

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L’annegamento è definito  tipico se la superficie corporea che si trova totalmente o per la maggior parte 
sommersa dall’acqua. 

L’annegamento  atipico,  invece,  consegue  alla  brusca  chiusura  della  glottide,  che  si  verifica  per  un 
fenomeno riflesso, indotto  dalla presenza nella laringe di acqua, anche in minima quantità.  
Ciò  accade  quando  solo  gli  orifizi  respiratori  sono  immersi  nel  liquido  e  vi  permangono  per  un  tempo 
sufficientemente lungo a causa della impossibilità del soggetto di sottrarsi a tale posizione. 
Si tratta, in realtà, di forme atipiche di soffocamento in cui il meccanismo asfittico è favorito dall’azione del 
mezzo liquido. 

N.B. 
La qualità del liquido che penetra nei polmoni influenza la fenomenologia dell’annegamento. 
 Un  liquido  ipotonico,  come  l’acqua  dolce,  passa  velocemente  nel  sangue  e  lo  diluisce,  causando
ipervolemia  ed  anemia  da  emodiluizione.  Contemporaneamente,  si  ha  emolisi,  con  liberazione  del 
potassio  eritrocitario.  L’iperpotassiemia,    unitamente  all’anossia,  induce  fibrillazione  ventricolare,  con 
morte in 3‐5‐ minuti. 

 Un  liquido  ipertonico,  come  l’acqua  salata,  invece,  richiama  negli  alveoli  plasma  dai  capillari,
determinando:
‐ Edema polmonare acuto
‐ Emoconcentrazione ed ipovolemia, responsabile di un progressivo deficit della pompa cardiaca.
La morte interviene pertanto più lentamente, nel giro di 6‐8 minuti.

Nell'annegamento, è possibile distinguere 5 fasi successive: 

1. Fase della sorpresa 11 
Si caratterizza per un unico atto inspiratorio riflesso che l'individuo compie appena caduto in acqua.

2. Fase della resistenza o dell’apnea volontaria in cui il soggetto chiude volontariamente la glottide per
evitare la penetrazione del liquido. Dura da un minimo di 30 sec ad un massimo di 1‐2 min, nel corso
dei quali l'individuo si agita e cerca di riemergere.

3. Fase della dispnea respiratoria
Si realizza quando non è più possibile trattenere il respiro, per l'ipercapnia sopraggiunta, con l’individuo
che rilascia la glottide  e che effettua affannose respirazioni sott'acqua.
In  questa  fase,  che  dura  circa  1  min,  una  grande  quantità  di  liquido  penetra  nei  polmoni  e  nel  tubo
digerente (intestino compreso).

4. Fase apnoica, caratterizzata da perdita di coscienza, abolizione dei riflessi, arresto del respiro.

5. Fase terminale, in cui si hanno boccheggiamento ed arresto cardiaco

Segni esterni 
Tra  i  diversi  segni  esterni  osservabili  in  cadaveri  rinvenuti  nell’acqua,  quello  maggiormente  suggestivo  di 
annegamento, perché espressione di morte asfittica, è il cdt fungo schiumoso o mucoso da intendere come 
la presenza di una schiuma mucosa biancastra agli orifizi respiratori. 
Nel caso dell’annegamento, si forma, a livello della trachea e dei bronchi,  per la commistione, indotta dagli 
atti respiratori dispnoici, del liquido annegante con muco aerato. 
In genere, appare agli orifizi respiratori dopo che il corpo viene estratto dall’acqua, per la spinta verso l’alto 
che i fenomeni putrefattivi gassosi esercitano sul diaframma. 
Non è tuttavia distinguibile da quello osservato nelle altre forme di morte asfittica. 

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L’esame esterno di cadaveri tolti dall’acqua può inoltre evidenziare:  
‐ Cute anserina, dovuta alla contrazione dei muscoli piloerettori, indotta da stimoli termici o meccanici, 
verso cui rimangono sensibili per diverse ore dopo la morte. 
Tale  reperto,  quindi,  non    indica  necessariamente  che  la  persona  fosse  in  vita  al  momento 
dell’immersione. 

‐ Modificazioni  tanatologiche  dipendenti  dalla  permanenza  in  acqua  del  cadavere  (non  specifiche 
quindi di annegamento) 
 Ipostasi
Di colore rosso‐vivo, per la ri‐ossigenazione che il sangue subisce in ambiente umido e localizzate 
elettivamente  al  viso,  agli  arti  ed  al  terzo  superiore  della  superficie  anteriore  del  torace,  per  la 
posizione  che  il  cadavere  di  solito  assume  nell’acqua:  prona,  con  il  capo  e  gli  arti  semiflessi  in 
posizione  declive  rispetto  al  resto  del  corpo.  Ciò  è  dovuto  al  fatto  che  l’addome,  per  il  suo  contenuto 
gassoso, rappresenta la parte più leggera del corpo, che tende a portarlo in superficie. 

 Rapido raffreddamento del corpo

 Trasparenze  e  lucentezza  di  cornea  e  congiuntiva,  dato  che  non  subiscono  evaporazione  post‐
mortale

 Diverso andamento della putrefazione
Le  salme  tolte  dall’acqua,  infatti,  vanno  in  rapida  putrefazione  mentre,  fin  tanto  che  vi  restano
immerse, si conservano meglio.

 Macerazione  cutanea  che  consiste  in  un  rigonfiamento,  per  imbibizione  d’acqua,  dello  strato
corneo della cute.  Pertanto comincia e si rende maggiormente manifesta laddove lo strato corneo
risulta più spesso e privo di ghiandole sebacee: palmi delle mani e piante dei piedi. 12 
Più  precisamente,  esordisce  già  dopo  poche  h,  con  una  colorazione  biancastra  della  cute  dei
polpastrelli.
Compaiono, quindi, raggrinzimenti, con lo strato corneo che, imbibito d’acqua, aumenta di volume.
Il  fenomeno  poi  si  estende  al  resto  delle  dita,  alla  palmo  delle  mani  ed  alla  pianta  dei  piedi,
interessando, successivamente, la loro superficie dorsale, i polsi e le caviglie.
L’epidermide infine si distacca “a guanto” o “a scarpa” oppure cade a pezzi, per l’effetto di urti.
Lo  stato  di  macerazione  della  cute  viene  valutato  per  stabilire  la  durata  dell’immersione.  È  stato
infatti calcolato che la macerazione cutanea, per estendersi al dorso della mano, impiega circa 5‐8
gg, mentre il completo distacco dell’epidermide avviene in 2‐4 settimane.
Tuttavia,  nello  stimare  la  macerazione  della  cute,  occorre  considerare  che  una  serie  di  fattori
influenzano l’andamento del fenomeno:
Temperatura dell’acqua (per imbiancare completamente il palmo delle mani, infatti, bastano 5‐
6 h d’estate e 3‐4 gg, d’inverno) 
Contenuto di sale, dato che l’acqua dolce macera più rapidamente di quella marina 
Presenza  o  meno  di  indumenti,  ed  in  particolare  delle  scarpe,  che  rallentano  la  macerazione 
della cute 

 Saponificazione
Richiede l’immersione del corpo per alcuni mesi, che non deve entrare in contatto con l’aria.
Avviene  in  acque  particolarmente  ricche  di  calcio  e  porta  alla  formazione  di  un  sapone  calcico
insolubile,  di  aspetto  lardaceo  ed  untuoso  e  di  odore  sgradevole,  detto  adipocera,  per  la
combinazione dei sali di calcio disciolti nell’acqua con i grassi neutri dei tessuti.
Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo per poi diffondersi al tessuto adiposo periviscerale.
La saponificazione si realizza più facilmente d’inverno poiché, in tale stagione, il cadavere tende a
rimane sott’acqua.

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D’estate,  invece,  la  salma  tende  ad  affiorare  in  superficie,  poiché  le  temperature  più  elevate 
favoriscono la proliferazione batterica e la produzione di gas putrefattivi. Viene quindi a mancare la 
condizione necessaria per la produzione del fenomeno: assenza di aria. 

Segni Interni 
All’esame  interno  di  un  cadavere  rinvenuto  nell’acqua,  compatibile  con  l’annegamento  del  soggetto,  è  il 
riscontro di segni generici di asfissia. 
La diagnosi di annegamento, comunque, necessita della dimostrazione di: 
1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del dx, per il passaggio del liquido
annegante dai polmoni al torrente circolatorio.
Tale  fenomeno  è  dimostrabile,  in  sede  autoptica,  mediante  prova  cartometrica  che  consiste  nel  far
cadere  gocce  di  sangue,  prelevate  separatamente  dai  due  ventricoli,  su  di  un  foglio  di  carta  bibula,
osservando poi la grandezza dei relativi aloni.
In caso di emodiluizione, il sangue del ventricolo sin lascerà un alone di diametro più grande ed avrà un
colore rosso più chiaro.
N.B. La diluizione del sangue e la sua diversa concentrazione salina, in funzione del liquido annegante,
comporta anche un cambiamento del delta crioscopico e della conducibilità elettrica.
Infatti,  il  punto  di  congelamento  del  sangue  si  abbassa  e  la  sua  conducibilità  elettrica  aumenta  se  il
contenuto di sali del liquido annegante è alto.
N.B.  La  putrefazione  della  salma  non  consente  l’indagine,  poiché  le  cavità  cardiache  risultano,  in
genere, vuote.

2. Presenza  di  plancton  nel  parenchima  polmonare  e,  soprattutto,  negli  organi  irrorati  dal  grande
circolo, in particolare, fegato, reni e midollo osseo
Per plancton, s’intendono corpuscoli sospesi nel liquido annegante ed incapaci di movimento proprio.
Questi  possono  essere  di  natura  animale  (zooplancton),  vegetale  (fitoplancton)  o  minerale 13 
(geoplancton).
La ricerca viene effettuata distruggendo chimicamente le componenti organiche dei visceri. L’oggetto
della  ricerca  è  quindi  costituito  solo  da  fitoplancton,  dotato  di  guscio  calcareo  e  particolarmente
resistente  al  trattamento  chimico.  Un  esempio  è  costituito  dalle  diatomee  che,  avendo  struttura
cristallina, sono visibili al microscopio polarizzatore.

Tali reperti stanno a dimostrare che, quando il mezzo liquido ha inondato i polmoni, l’attività 
cardiocircolatoria era efficiente e che, quindi, il soggetto era in vita, favorendo, pertanto, la DD tra 
annegamento e sommersione del cadavere 

L’annegamento è un’evenienza prevalentemente suicidaria ed accidentale. 
L’evenienza omicidiaria è rara, almeno nell’adulto, in considerazione della sproporzione di forze che deve 
sussistere tra l’aggressore e la vittima.   Nel  sospetto  di  annegamento  omicidiario,  particolare  attenzione 
deve essere posta alla presenza di eventuale lesività traumatica suggestiva di difesa da parte della vittima. 

Dall’annegamento va distinta la SOMMERSIONE DI CADAVERE. 
In  un  cadavere  rinvenuto  nell’acqua,  permettono  di  escludere  una  morte  per  annegamento,  l’assenza  di 
segni  generici  di  asfissia.  Tuttavia,  la  conferma  che  la  morte  asfittica  sia  dovuta  ad  annegamento  viene 
fornita solo da: 
1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del ventricolo dx
2. Rinvenimento  di  plancton  nel  parenchima  polmonare  e,  soprattutto,  negli  organi  irrorati  dal  grande
circolo, in particolare fegato, reni, midollo osseo.

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Inciso 

Dall’annegamento va distinta la MORTE IN ACQUA o IDROCUZIONE: morte che consegue all’immersione 
in acqua senza riconoscere una genesi asfittica.  

I meccanismi ritenuti alla base di questa forma di decesso sono di tipo:  
 nervoso
 circolatorio
 immunitario

Meccanismo nervoso 
Consiste  in  un  riflesso  naso‐laringo‐cardiaco,  secondo  cui  la  stimolazione  della  mucosa  nasale  e  faringo‐
laringea da parte dell’acqua fredda può portare ad arresto cardiaco. 
Il meccanismo nervoso può conoscere attivazione anche in seguito a cadute dall’alto, con brusco e violento 
impatto dell’addome sulla superficie liquida, per stimolazione del plesso solare. 

Meccanismo circolatorio  
Interviene soprattutto durante la fase digestiva e consiste in un insufficiente ritorno venoso al cuore, dato 
che il sangue, già sequestrato nel distretto gastro‐intestinale con finalità digestive, viene richiamato dalla 
muscolatura degli arti, impiegata per mantenere il galleggiamento.  

Meccanismo immunitario 
Consiste in una massiccia liberazione di istamina e di sostanze istamino‐simili che, in soggetto predisposti, 
può  essere  innescata  dal  contatto  della  cute  con  l’acqua  fredda,  con  conseguente  shock  anafilattico 
(crioanafilassi). 
14 
La  diagnosi  di  morte  in  acqua  è  essenzialmente  di  esclusione  e  si  basa  sulla  mancanza  di  segni  di  morte 
asfittica per annegamento. 
In alcuni casi, tuttavia, la reazione sincopale iniziale, pur di per sé non mortale, determinando la caduta in 
acqua  in  fase  di  compromissione  dello  stato  di  coscienza,  può  facilitare  il  successivo  annegamento  del 
soggetto. 

Nel caso del rinvenimento di un cadavere in acqua, ci si può trovare di fronte a tre diverse evenienze: 
Annegamento (morte per l’acqua) 
Idrocuzione (morte in acqua) 
Sommersione di cadavere 

All’esame  esterno  ed  interno  del  cadavere  la  mancanza  di  segni  generici  di  asfissia,  permette  di 
escludere l’ipotesi dell’annegamento. In loro presenza, tuttavia, la conferma che la morte sia avvenuta 
per annegamento, viene fornita solo dal riscontro di: 
1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del ventricolo dx
2. Rinvenimento  di  plancton  nel  parenchima  polmonare  e,  soprattutto,  negli  organi  irrorati  dal
grande circolo, in particolare fegato, reni, midollo osseo.

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ASFISSIA DA ASPIRAZIONE o INTASAMENTO 
Si caratterizza per l’ostruzione delle vie aeree dall’interno, come conseguenza della penetrazione in esse di 
corpi estranei di natura eterogenea. Tali mezzi occludenti sono accomunati da:  
‐ Provenienza esterna rispetto all’organismo 
‐ Consistenza solida 

La diagnosi medico‐legale risulta agevole se si rinviene il corpo estraneo che ha causato l’asfissia. 

SOMMERSIONE INTERNA 
Consiste  nell’inondazione  delle  vie  respiratorie  ad  opera  di  un  fluido  proveniente  dall’interno 
dell’organismo. 
Caratteri distintivi sono, dunque: 
‐ Fluidità del mezzo occludente 
‐ Natura endogena dello stesso 

Il fluido più frequentemente responsabile è il sangue, proveniente, ad esempio, da ferite che interessano 
contemporaneamente i grossi vasi del collo e le vie respiratorie, come può avvenire nello scannamento o in 
ferite da arma da fuoco. 
Anche altri fluidi endogeni possono produrre lo stesso meccanismo asfittico. È questo il caso di: 
‐ Pus, proveniente dall’apertura di raccolte ascessuali 
‐ Liquido idatideo, per rottura di cisti di echinococco 
‐ Contenuto gastrico che, con il vomito, risale in esofago e si riversa in trachea 

15 
IMMOBILIZZAZIONE TORACICA 
Forma di asfissia meccanica violenta dovuta ad un’insufficiente ventilazione polmonare, per l’impedimento 
dei normali movimenti respiratori. 

Come segno esterno è frequente, a causa del notevole aumento pressorio nel distretto venoso della cava 
superiore,  il  riscontro  della  cdt  maschera  ecchimotica,  caratterizzata  da  un’intensa  cianosi  del  volto,  del 
collo e delle regioni superiori del torace, con disposizione a  mantellina. Si associano ecchimosi diffuse ed 
emorragie congiuntivali. 
Il quadro anatomopatologico è comune a quello delle altre morti asfittiche. 

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*ASFISSIA DA SPAZIO CONFINATO o CONFINAMENTO
Può  aver  luogo  qualora  uno  o  più  individui  si  trovino  chiusi  in  uno  spazio  circoscritto,  privo  di  ricambio 
d’aria. 
È questo il caso di: 
1. Bambini che restano chiusi in cassapanche
2. Soggetti che affollano ambienti angusti e non ventilati
3. Individui che restano intrappolati sotto le macerie di edifici crollati
4. Soggetti  che  entrano  in  containers  carichi  di  grano  o  di  altre  graminacee,  che  consumano  ossigeno,
cedendo anidride carbonica
Si tratta, pertanto, di un’evenienza prevalentemente accidentale. 

Le  prime  manifestazioni  cliniche  compaiono  quando  l’ossigeno  contenuto  nell’aria  scende  al  di  sotto  del 
7%. La morte sopraggiunge se tale percentuale diviene minore del 3%. 
Agli  effetti  nocivi  della  carenza  di  ossigeno  possono  aggiungersi  quelli  causati  dall’eccesso  di  anidride 
carbonica e dall’aumento della temperatura ambientale. 

La diagnosi si basa su: 
‐ Segni generici di asfissia 
‐ Elementi di carattere circostanziale 

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DELITTI DI PERCOSSE E DI LESIONE PERSONALE 
I delitti di percosse e di lesione personale sono collocati fra i delitti contro la persona e, precisamente, fra 
quelli contro la vita e l’incolumità individuale. 

DELITTO DI PERCOSSE (ART. 581 CP) 
Per il configurarsi del delitto di percosse sono richiesti 3 elementi: 
1. Condotta violenta diretta a percuotere
2. Effetto materiale dell’atto (sofferenza fisica arrecata)
3. Dolo e, cioè, intenzione di cagionare tale sofferenza

N.B.  Dal  fatto  non  deve  derivare  una  malattia  del  corpo  o  della  mente.  In  caso  contrario  si  configura  il 
delitto di lesione personale.  

Il delitto di percosse è punibile a querela della persona offesa. 

DELITTO DI LESIONE PERSONALE (ART. 582 CP) 
Per configurarsi il delitto di lesione personale  è sufficiente che la condotta, anche se non violenta (come ad 
esempio la somministrazione di cibi nocivi), si trovi in relazione causale con il verificarsi di una condizione di 
malattia del corpo o della mente. 
Per malattia penalmente rilevante s’intende una modificazione peggiorativa dello stato anteriore, avente 
carattere dinamico (soggetta cioè ad evoluzione ovvero a cronicizzazione) e recante un disordine funzionale 
apprezzabile  di  una  parte  o  di  tutto  l’organismo  che  si  ripercuote  sulla  vita  organica  e,  soprattutto,  di 
relazione dell’individuo e che necessita di un intervento terapeutico, anche modesto 

Le mere alterazioni anatomiche che non interferiscano in alcun modo con il profilo funzionale della persona 
non possono configurare una condizione di malattia penalmente rilevante ma possono costituire fonte di 
danno risarcibile in sede civile. 

CLASSIFICAZIONE 
Le lesioni personali possono essere classificate sulla base di: 
 Elemento psicologico del delitto
 Durata della malattia

In base all’elemento psicologico del delitto, si distinguono: 
1. lesione personale volontaria o dolosa

2. lesione personale colposa
Differisce  da  quella  dolosa  poiché,  nelle  lesioni  colpose,  manca  la  volontà  di  produrre  l’evento
(malattia).
L’evento  malattia,  quindi,  anche  se  prevedibile  o  previsto,  non  è  voluto  dall’agente  ma  si  verifica  a
causa  di  negligenza,  imperizia  o  imprudenza  oppure  per  inosservanza  di  leggi,  regolamenti,  ordini  o
discipline.
La  lesione  personale  colposa  è  perseguibile  solo  a  querela  della  persona  offesa,  derivando,  da  ciò,
l’esenzione  dall’obbligo  dI  referto.  Tuttavia,  l’art.  590  stabilisce  che  il  delitto  è  perseguibile  d’ufficio,
con  conseguente  obbligo  di  referto,  qualora  si  tratti  di  lesioni  personali  colpose  gravi  o  gravissime,
conseguenti  a  fatti  compiuti  con  violazione  delle  norme  relative  alla  prevenzione  degli  infortuni  sul
lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia professionale.

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In base alla durata della malattia, si distinguono: 

1. Lesione personale lievissima, se la durata della malattia non è > 20 gg.
In tal caso, il delitto è perseguile a querela della persona offesa.

2. Lesione personale lieve, se la malattia ha una durata > 20 gg, ma non > 40 gg.
Ove si tratti di lesione personale volontaria, si procede d’ufficio. Sussiste, quindi, per il medico, l’obbligo
di presentare referto. L’obbligo del referto non sussiste, invece, se la lesione personale lieve è colposa e
quindi perseguibile a querela di parte.

3. Lesione  personale  grave,  se  la  durata  della  malattia  o  della  capacità  di  attendere  alle  ordinarie
occupazioni è > 40 gg o se si realizza alcun altra delle seguenti circostanze aggravanti previste dall’art.
583 del CP:
‐ Dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa
‐ Dal fatto si produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo
Per questo tipo di lesione si procede d’ufficio, con obbligo di referto da parte del medico, se dolosa o se
colposa  e  conseguente  a  fatti  compiuti  con  violazione  delle  norme  relative  alla  prevenzione  degli
infortuni  sul  lavoro,  all’igiene  del  lavoro  o  a  seguito  dei  quali  si  sia  manifestata  una  malattia
professionale.

4. Lesione personale gravissima, se si configura una delle seguenti delle circostanze aggravanti, previste
dall’art. 583 del CP:
‐ Malattia certamente o probabilmente insanabile
‐ Perdita di un senso
‐ Perdita di un arto
‐ Mutilazione che renda l’arto inservibile
‐ Perdita dell’uso di un organo
‐ Perdita della capacità di procreare
‐ Permanente e grave difficoltà della favella
‐ Deformazione ovvero  sfregio permanente del viso
Per questo tipo di lesione si procede d’ufficio, con obbligo di referto da parte del medico, se dolosa o se
colposa  e  conseguente  a  fatti  compiuti  con  violazione  delle  norme  relative  alla  prevenzione  degli
infortuni  sul  lavoro,  all’igiene  del  lavoro  o  a  seguito  dei  quali  si  sia  manifestata  una  malattia
professionale.

La  distinzione  tra  lesione  personale  grave  e  gravissima,  pertanto,  viene  fatta  non  solo  sulla  base  della 
durata della malattia, ma anche della natura e della gravità delle conseguenze della lesione.  

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Circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 CP 

che definiscono il reato di lesione personale grave 

Malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa 
Sotto il profilo medico‐legale, il giudizio di malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa deve 
essere  inteso  come  un  giudizio  diagnostico,  espresso  sulla  base  dell’effettiva  realtà  e  gravità  della 
compromissione delle funzioni cardiaca, respiratoria e nervosa. 
Poiché  si  tratta  di  un  giudizio  diagnostico  e  non  di  una  prognosi  quod‐vitam,  il  pericolo  per  la  vita  della 
persona offesa deve esser attuale e non solo genericamente potenziale o desunto sulla base di prevedibili 
complicanze future. 
Esempio di malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa è lo shock emorragico. 

Malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 gg 
Nel computo del periodo occorre tener conto anche dell’eventuale maggiore durata che, pur indipendente 
dal fatto  del  colpevole, sia stata determinata  da preesistenti condizioni patologiche della  vittima,  da fatti 
patologici concomitanti o da complicazioni sopravvenute. 
Anche  in  questi  casi  non  viene  escluso  il  nesso  di  causalità  con  il  fatto  lesivo  a  meno  che  non  si  tratti  di 
concause sopravvenute, del tutto indipendenti dal fatto del colpevole e da sé sole sufficienti a determinare 
la maggiore durata del periodo. 
Nel  computo  della  durata  rientra  anche  il  periodo  di  convalescenza,  poiché,  come  nella  malattia,  anche 
durante  questa  fase  il  soggetto  è  costretto  a  limitare  la  propria  vita  di  relazione  e  la  propria  capacità  di 
espletare le abituali attività della vita quotidiana. 
Per  ordinarie  occupazioni  non  si  devono  intendere  solo  quelle  professionali  ma  occorre  tener  conto  di 
qualsiasi altra occupazione, materiale o intellettuale, che la persona in esame svolge, purché sia abituale e 
lecita.  

Indebolimento permanente di un senso o di un organo 
In  ambito  medico‐legale,  nel  parlare  di  senso  ci  si  riferisce  ad  un  mezzo  attraverso  cui  viene  percepito  il 
mondo esterno; nel parlare di organo non ci si riferisce al viscere in sé bensì alla funzione da esso espletata.  
Per  alcune  funzioni,  possono  configurarsi  due  differenti  ipotesi:  indebolimento  e  perdita,  come  nel  caso 
delle  funzioni  uropoietica,  riproduttiva  e  masticatoria;  per  altre,  invece,  si  può  parlare  solo  di 
indebolimento,  perché  la  loro  perdita  coinciderebbe  con  la  morte,  caso  delle  funzioni  cardiovascolare, 
nervosa e respiratoria.  
L’indebolimento  si  realizza  quando  la  lesione  riduca  di  almeno  il  10%  la  funzione  considerata  o  il  senso 
interessato. 
Al  di  sopra  del  90%,  il  deficit  funzionale  si  qualifica  come  perdita,  definendo  una  condizione  di  lesione 
personale gravissima. 
N.B. Ai fini valutativi in sede penale deve essere presa in esame la “funzione naturale”, senza considerare 
eventuali trattamenti terapeutici o protesici ed eventuali correzioni chirurgiche. 
Le ragioni di ciò sono: 
‐ nessuna persona può essere costretta, contro la propria volontà, a sottoporsi ad alcun trattamento, per 
emendare o contenere un certo danno 
‐ nessun trattamento medico‐chirurgico può dare la certezza del risultato 
‐ eventuali protesi artificiali sarebbero sostitutive ma non capaci di ripristinare interamente la funzione 
naturale 
L’indebolimento obiettivato può essere ritenuto permanente qualora il medico abbia la certezza che esso 
sia durevole nel tempo.   

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che definiscono il reato di lesione personale gravissima 

Malattia certamente o probabilmente insanabile 
Viene  ritenuta  tale  quando  non  si  conoscono  rimedi  efficaci  e  quando  il  processo  patologico  diventa 
cronico, così da escludere con certezza la possibilità di restitutio ad integrum. 
Il Legislatore ha considerato equivalenti la malattia certamente insanabile e quella che può essere definita 
tale solo in via di probabilità, trattandosi di un giudizio prognostico. 
Esempi  di  malattia  certamente  o  probabilmente  insanabile  sono:  emisezione  traumatica  del  midollo 
spinale, nefrite cronica traumatica, AIDS nella fase di malattia conclamata.  

Perdita di un senso 
Tale circostanza si configura se dal fatto deriva la riduzione di una funzione sensoriale superiore o uguale al 
90%.  
Perdita di un arto 
Viene  intesa  non  solo  come  l’asportazione  totale  di  esso  (amputazione)  ma  anche  come  l’impossibilità 
assoluta di utilizzarlo (paralisi). 

Mutilazione che rende l’arto inservibile 
Tale ipotesi si verifica quando un arto, superiore o inferiore, sia privato di una parte importante come, ad 
esempio, la mano o il piede. 

Perdita dell’uso di un organo 
Poiché, in medicina‐legale, con il termine di organo ci si riferisce alla funzione da esso espletata, per poter 
parlare di perdita dell’uso di un organo è richiesta la cessazione definitiva di una ben precisa funzione. 
Pertanto, la perdita di un occhio costituisce indebolimento permanente della funzione visiva e non perdita 
dell’uso di un organo. Allo stesso modo, sono classificabili la perdita di  un rene, a rene adelfo integro; la 
perdita di un testicolo, con l’altro vicariante; la perdita monolaterale dell’udito. 
Esempi  di  perdita  dell’uso  di  un  organo  sono,  invece,  la  perdita  del  rene,  nel  soggetto  monorenico;  la 
perdita dell’udito, nel sordo monolaterale; la perdita dell’altro occhio, nel monoculo. 

Perdita della capacità di procreare   
Nel  maschio,  la  perdita  della  capacità  di  procreare  può  verificarsi  a  causa  di  impotentia  coeundi  e  di 
impotentia generandi. 
Nella donna, si deve tener conto dell’impotentia coeundi, generandi, gestandi, partoriendi. 
Esempio:  donna  che,  in  esito  ad  una  grave  frattura  del  bacino  con  viziatura  pelvica  e  conseguente 
impervietà assoluta o relativa del canale del parto, sia capace di partorire solo mediante taglio cesareo. 
Si  parlerà  in  tal  caso  di  lesione  personale  gravissima,  per  perdita  della  capacità  di  procreare,  dovendosi 
considerare il taglio cesareo un rimedio artificiale. 
N.B.  La  capacità  di  procreare  può  esser  persa  anche  a  causa  di  menomazioni  che  non  interessano 
direttamente,  ma  solo  indirettamente,  l’apparato  genitale.  Ad  esempio,  nell’uomo,  compromissione  dei 
centri nervosi cerebrali e spinali dell’erezione; nella donna, anchilosi coxo‐femorale bilaterale. 

Permanente e grave difficoltà della favella 
Per favella, s’intende il linguaggio parlato. 
Assumeranno,  pertanto,  notevole  valore  i  disturbi  afasici,  disartrici  e  quelli  nei  quali  il  danno  foniatrico 
consegue a menomazioni permanenti e gravi dell’apparato fonatorio, sia a livello periferico che centrale. 

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Deformazione o sfregio permanente del volto 
Per sfregio, s’intende qualsiasi minorazione del fregium e, cioè, dell’armonia o della bellezza del volto. 
Per deformazione, invece, s’intende un sovvertimento strutturale e, cioè, una deturpazione del volto tale 
da renderlo disgustoso. 
Quanto ai limiti del volto, essi risultano ben definiti dalla giurisprudenza, secondo cui il volto è delimitato, in 
alto, dall’attaccatura del capillizio; in basso, dal margine inferiore della mandibola e del mento; ai lati, dai 
due padiglioni auricolari. 
N.B. per il configurarsi dell’ipotesi sia di sfregio che di deformazione, non è necessario che la menomazione 
interessi direttamente il volto quanto che faccia risentire, su di esso, i suoi effetti sfregianti o deturpanti. 
Ad esempio, può verificarsi che il soggetto presenti un deficit paretico del VII, a causa di una frattura della 
rocca petrosa della mastoide; che vi siano esiti cicatriziali del collo, con effetti retraenti sulla cute del viso, 
per ustioni o causticazioni; che il soggetto abbia riportato una lesione traumatica del simpatico cervicale, 
con conseguente sindrome di Claude‐Bernard‐Horner (miosi, enoftalmo, ptosi palpebrale). 
Anche  in  relazione  al  problema  del  danno  estetico,  vale  il  principio  generale  che  nessuno  può  essere 
obbligato ad un determinato trattamento medico o chirurgico. Il medico, pertanto, terrà conto, nella sua 
valutazione del danno, della “funzione naturale”, a prescindere quindi da eventuali miglioramenti ottenibili 
con interventi medico‐chirurgici. 

Inciso 
In  diritto  penale  la  procedibilità  d'ufficio  è  la  qualità  di  alcuni  reati  a  seguito  della  perpetrazione  dei  quali  l'azione 
penale deve essere avviata al mero ricevimento della notitia criminis. 
A differenza di quanto accade per i reati perseguibili a querela della parte offesa, perciò, non si richiede che taluno che 
ne  abbia  legittimazione  debba  sollecitare  l'avvio  dell'azione  penale,  ma  l'autorità  giudiziaria  deve  immediatamente 
perseguire il colpevole non appena acquisisca la relativa denuncia, indipendentemente dalla eventuale lesione di diritti 
di terzi e dalla loro eventuale facoltà di rivalsa. Inoltre, l'azione avviata d'ufficio è irretrattabile, non è dunque possibile 
interromperla come avviene nel caso di remissione della querela. 

DIFFERENZE TRA DELITTO DI PERCOSSE E QUELLO DI LESIONE PERSONALE 

Percosse  Lesione personale 
Elemento psicologico del reato  Dolo  Dolo o colpa 
Condotta  Attiva  Attiva‐omissiva 
Evento  Assenza di malattia  Malattia 
Punibilità  A querela della persona offesa  A querela o di ufficio 
Referto  Esenzione  Esenzione o obbligo 

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INFANTICIDIO IN CONDIZIONI DI ABBANDONO MATERIALE E MORALE DELLA 
MADRE 

Art. 578 CP 
La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando 
il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da 
quattro a dodici anni. 

Perché vada a configurarsi la fattispecie delittuosa dell’infanticidio, e non quella dell’omicidio, sono richiesti 
due requisiti: 
1. Uccisione,  da  parte  della  madre,  del  neonato  immediatamente  dopo  il  parto  o  del  feto  durante  il
parto 
2. Dimostrazione delle condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna

Il  Codice  Penale,  pertanto,  estende  la  sua  tutela  anche  al  feto  durante  il  parto,  pur  non  potendo  quest 
ultimo considerarsi nato ai sensi del Diritto Civile, in quanto non ha ancora respirato e, quindi, vissuto di 
vita autonoma, cosa che lo rende privo di capacità giuridica. 
Occorre  comunque  dimostrare  che  il  prodotto  del  concepimento  1.sia  in  possesso  della  capacità  di  vita 
autonoma extrauterina, la cui assenza configurerebbe l’ipotesi dell’aborto e non quella del feticidio.    
Requisiti necessari affinché un prodotto del concepimento possa essere ritenuto capace di vita autonoma 
extrauterina sono: 
1) Raggiungimento della cdt “soglia di vitalità cronologica”, fissata dopo la fine del 6° mese.
Il raggiungimento di tale soglia viene denunciato dal riscontro del nucleo di ossificazione dell’astragalo   
2) Sufficiente sviluppo degli organi essenziali in grado di assicurare le funzioni vitali
3) Assenza di patologie o malformazioni che non permettano il mantenimento della vita extrauterina

Bisogna quindi:  
2. Valutare se vi è stata vita post‐natale e, in caso affermativo, qual è stata la sua durata.
La prova della vita extrauterina viene fornita dalla dimostrazione dell’avvenuta respirazione polmonare, 
ottenibile mediante le cdt docimasie respiratorie. 
Raggiunta la prova che vi è stata vita extrauterina, sorge l’esigenza di stabilire la sua durata.  
Ciò  risulta  rilevante  poiché  il  Legislatore  ammette  solo  nell’immediatezza  del  parto  la  possibile 
esistenza di uno shock psichico tale da giustificare, sia pure in parte, il comportamento criminoso della 
donna.  Se,  infatti,  la  donna  uccide  il  neonato  diverso  tempo  dopo  il  parto,  si  configurerà  il  reato  di 
omicidio e non quello di infanticidio 
La durata effettiva della vita extrauterina può essere dedotta valutando: 
‐ Presenza del tumore da parto, che scompare entro 2‐3 gg 
‐ Presenza di meconio nell’intestino, che scompare dopo 3‐4 gg  
‐ Presenza del funicolo ombelicale, che si distacca intorno al 10° giorno 
‐ Aspetto  macroscopico  del  funicolo  che,  alla  nascita,  risulta  molle  e  di  colorito  bianco  perlaceo, 
trasformandosi, nel volgere dei gg, in un cordone nastriforme e bruno.  

3. Accertare  la  causa  della  morte,  che  può  essersi  verificata  per  un  evento  delittuoso,  accidentale  o
patologico. 
Nei  casi  di  infanticidio,  la  causa  della  morte  può  essere  ascrivibile  a  comportamenti  omissivi  (come
abbandono del neonato in un cassonetto) o a comportamenti attivi che realizzano l’ipotesi delittuosa
soprattutto mediante forme di asfissia meccanica violenta tra cui quelle più frequentemente attuate
sono  il  soffocamento  e  l’annegamento.  Meno  comuni,  invece,  risultano  modalità  traumatiche
contusive, trauma cranico in primis.

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Il  secondo  requisito  per  il  configurarsi  di  un  delitto  di  infanticidio  consiste  nella  dimostrazione  delle 
condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna 
Le  due  condizioni  devono  sussistere  congiuntamente  ed  oggettivamente,  non  potendo  essere 
semplicemente supposte 
Esse  si  riferiscono  soprattutto  a  quello  stato  di  particolare  solitudine  e  di  reale  emarginazione  in  cui  la 
donna, specie se minore, può trovarsi all’interno della famiglia. 

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DELITTO DI VIOLENZA SESSUALE 

Il comportamento sessuale non è soggetto a particolari limitazioni giuridiche, purché: 
 i soggetti che compiono gli atti sessuali siano capaci liberamente di autodeterminarsi
 tale comportamento non arrechi offesa alla collettività
 tale comportamento non cagioni danno alla persona del partner e ne si rispetti il consenso

Sec.  l’art.  609  bis  del  CP  (violenza  sessuale),  chiunque,  con  violenza  o  minaccia  o  mediante  abuso  di 
autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da 5 a 10 anni. 
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 
1. abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto
2. traendo in inganno la persona offesa per essersi sostituito ad altra persona
Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non eccedente i 2/3. 

“Chiunque” significa che il delitto può essere commesso anche da parte del marito sulla moglie, del cliente 
sulla  prostituta,  dell’amante  sul  partner,  ecc…  Può  realizzarsi  anche  fra  due  donne  o  di  una  donna 
sull’uomo. Il colpevole, insomma, è colui che pretenda e realizzi un atto sessuale non liberamente voluto o 
accettato dall’altro e, quindi, in assenza o oltre i limiti del suo valido consenso. 

Nel riferirsi alla vittima, il Codice parla di “taluno” senza alcuna limitazione. Né ha importanza verificare, ai 
fini  del  realizzarsi  del  fatto  delittuoso,  se  la  vittima  abbia  poi  concorso  al  compimento  dell’atto.  Ciò  che 
conta è che quest ultima non abbia prestato libero consenso all’atto sessuale 

Tale  norma  riconduce  all’unica  ipotesi  di  “violenza  sessuale”  le  due  tipologie  di  reati  previste  dal  vecchio 

regime:  congiunzione carnale violenta (violenza carnale) ed atti di libidine violenti, equiparando le sanzioni 
penali  per  esse  erogate.  In  sede  peritale  e  nello  svolgimento  del  processo  non  vi  è  quindi  più  alcuna 
necessità  di  stabilire  se  vi  sia  stata  o  meno  congiunzione  carnale,  o  solo  atti  di  libidine  violenti,  con  i 
conseguenti riflessi positivi sulla tutela della dignità personale e del diritto alla riservatezza della vittima. 
La norma, inoltre, nella sua genericità ed estensività, può includere non solo la congiunzione carnale e gli 
atti di libidine, ma anche altre condotte offensive del diritto alla libertà sessuale della persona, sino alle cdt 
molestie sessuali. 

Segni fisici della violenza subita 
In  ogni  caso  di  stupro,  l’esame  clinico  deve  essere  effettuato  il  più  prontamente  possibile  e  prima  che  la 
vittima si lavi (ad esempio per il prelievo di eventuali tracce di liquido seminale). 
I segni lesivi possono riguardare qualsiasi sede extra‐genitale, ma, con maggiore frequenza, sono a carico 
delle regioni genitali.  
Più  spesso  si  tratta  di  escoriazioni,  abrasioni,  graffiature,  unghiature,  ecchimosi  soprattutto  in 
corrispondenza del collo, delle regioni anteriori del torace, della radice degli arti inferiori e di lacerazioni o 
abrasioni in sede genitale ed anale. 
Le lacerazioni acquisite del disco imenale sono profonde ed arrivano sino al bordo fisso del disco stesso, i 
loro margini combaciano e sono ecchimotici e contusi. 
Quelle congenite, invece, hanno profondità diversa, ma non raggiungono la zona aderente, sono irregolari, 
hanno margini che generalmente non combaciano e non presentano soffusioni ecchimotiche. 
Di  frequente  osservazione  sono,  inoltre,  lesioni  di  tipo  contusivo  a  carico  delle  cosiddette  zone  erogene: 
mammelle, capezzoli, glutei, cosce, bocca. 

Lesioni  da  difesa  possono  essere  ricercate  a  livello  delle  mani.  Sotto  le  unghie  della  vittima  si  possono 
trovare piccoli frustoli di cute, utili ai fini dell’identificazione dell’aggressore. 

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N.B.  Non  è  richiesta  alcuna  prova  dell’esistenza  dei  segni  fisici  della  violenza  subita  quando  si  tratti  di 
“violenza presunta” o di “violenza subita” 

Violenza sessuale presunta 
Secondo  l’art.609  quarter  del  CP,  soggiace  alla  stessa  pena  prevista,  dall’art.609  bis,  per  la  violenza 
sessuale, chiunque compia atti sessuali con persona, che al momento del fatto: 
 Non abbia compiuto 14 anni
 Non abbia compiuto 16 anni, qualora il colpevole sia una persona a cui il minore è affidato (…) o che
abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza.
In  tutti  questi  casi  si  dà  per  scontato  che  non  vi  sia  consenso  valido  da  parte  della  vittima  con  la 
conseguenza che l’atto sessuale sarà sempre qualificato come violento (lesivo cioè della libertà personale 
della  vittima).  Non  vi  è  dunque  alcuna  necessità  di  provare  l’esistenza  dei  segni  obbiettivi  della  violenza 
subita.  Qualora questi siano evidenziati, è da ritenere che vi sia  stato anche  dissenso, da cui la più grave 
violenza  fisica  e  psichica  subita.  Tali  segni  costituiranno,  pertanto,  circostanza  aggravante  del  delitto. 
Un’ulteriore circostanza aggravante è rappresentata da un’età della vittima minore di 10 anni. 
In tutti i casi, vi è l’obbligo di referto per il medico che abbia prestato la propria assistenza, trattandosi di 
delitto perseguibile d’ufficio.  

Violenza sessuale abusiva 
Si  parla  di  abuso  quando  il  soggetto  compie  l’atto  sessuale  abusando  della  propria  autorità  oppure  delle 
condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima, condizioni che devono provarsi esistenti al momento 
in cui il fatto è stato commesso. 
In questi casi, il consenso della vittima  al momento del fatto, pur se esistente, non è ritenuto valido poiché 
viziato da fattori estrinseci (condotta abusante del colpevole) e da fattori intrinseci (condizioni di inferiorità 
fisica o psichica esistenti al momento del fatto) 
Occorrerà  pertanto  valutare,  caso  per  caso,  se  il  colpevole  abbia  effettivamente  abusato  della  propria 
autorità o delle condizioni di inferiorità della persona offesa al momento del fatto.  2 

Circostanze aggravanti il reato di violenza  sessuale  
1. Violenza sessuale compiuta su persona che non abbia ancora 14 anni di età  o che non abbia ancora 16
anni qualora il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo o il tutore.
2. Violenza sessuale condotta mediante l’uso di armi o di sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti
oppure con l’uso di altri strumenti o sostanze gravemente lesive della salute della persona offesa
3. Violenza  sessuale  condotta  da  persona  travisata  o  che  simuli  la  qualità  di  pubblico  ufficiale  o  di
incaricato di pubblico servizio
4. Violenza sessuale compiuta su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale

Atti sessuali tra minorenni 
Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis (violenza sessuale), compia 
atti sessuali con un minore che abbia compiuto anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore 
a tre anni. 
È prevista una reclusione da 7 a 14 anni, se la persona offesa non ha compiuto i 10 anni. 

Ignoranza dell’età della persona offesa 
Qualora i delitti sessuali siano commessi in danno di persona minore di anni 14, anche se consenziente, il 
colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa. 

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Violenza sessuale di gruppo 
Essa consiste nella partecipazione di più persone ad atti di violenza sessuale. È punita dall’art. 609 octies. 
La  pena  consiste  nella  reclusione  da  6  a  12  anni  ed  è  aumentata  se  concorre  taluna  delle  circostanze 
aggravanti previste dall’art. 609 ter. 
Il  delitto è perseguibile d’ufficio. 
È inoltre previsto che l’imputato, anche non consenziente, sia obbligato a sottoporsi ad accertamenti atti ad 
accertare  l’eventuale  esistenza  di  malattie  a  trasmissione  sessuale,  qualora,  per  le  modalità  del  fatto, 
sussista un fondato rischio di trasmissione. 

Querela di parte 
I delitti sessuali sono generalmente punibili a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione 
della querela è stato prorogato a 6 mesi. 
È inoltre stabilito che la querela, una volta proposta, sia irrevocabile. 

Quesiti posti dal magistrato 
I quesiti che più frequentemente il magistrato pone al perito medico‐legale in materia di violenza sessuale 
sono: 
1. Accertare la natura e l’entità degli eventuali segni di violenza ed a quale epoca essi risalgono
2. Stabilire  se il soggetto al momento del fatto era in una condizione di inferiorità fisica o psichica e se vi è
stato abuso di tali condizioni.
3. Stabilire se siano state utilizzate armi o altri mezzi di offesa o se vi sia stato uso di sostanze alcooliche o
di altre sostanze gravemente lesive della persona offesa
4. Verificare quali siano al momento della visita lo stato di coscienza e le capacità di orientamento della
vittima
5. Determinare  se  il  soggetto  attivo  e/o  quello  passivo  siano  affetti  da  una  malattia  a  trasmissione 3 
sessuale
6. Precisare se i dati obiettivi riscontrate all’esame della parte lesa si accordino con le modalità del fatto
indicate negli atti processuali
7. Definire  quali  siano  l’età  della  vittima    e  quella  dell’aggressore,  ove  sussistano  dubbi  sulla  realtà
anagrafica delle stesse

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TRAPIANTI D’ORGANO 
Prelievo da viventi 
Non  sono  consentiti  i  prelievi  d’organo  da  viventi  quando  causino  una  diminuzione  permanente 
dell’integrità fisica e psichica del donatore. 
Ad  essere  consentita  è    la  donazione  di:  sangue,  lembi  di  pelle,  frammenti  di  osso,  midollo  osseo, 
cartilagine,  capelli.  
La persona può disporre di tali parti, ma solo a titolo gratuito, senza cioè ricevere alcun compenso. 
È permessa inoltre, per espressa deroga di legge, la donazione del rene. La deroga vale per i genitori, i figli, i 
fratelli germani e non germani del pz e, solo nel caso di loro assenza o quando nessuno di essi sia idoneo o 
disponibile, l’espianto  può riguardare altri parenti o donatori estranei al nucleo parentale. 
In  ogni  caso,  è  necessario  il  consenso  esplicito,  libero  ed  informato  della  persona  che  viene  sottoposta  a 
prelievo e tale consenso non può essere sostituito da alcuno stato di necessità.  
La deroga è stata estesa anche a parti di fegato.  

Prelievo  di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico 
Sono  prelevabili,  a  scopo  di  trapianto  di  terapeutico,  tutti  gli  organi  del  cadavere,  fatta  eccezione  per 
l’encefalo e per le ghiandole della sfera genitale e della procreazione. 
Prelievi e trapianti non sono consentiti a scopo di sperimentazione.  
È necessario che l’accertamento della morte cerebrale ed il consenso alla donazione rispettino le procedure 
stabilite dalle leggi vigenti. 
L’accertamento della morte cerebrale è subordinato  alla verifica della coesistenza dei seguenti dati: 
1. Stato di incoscienza
2. Assenza dei riflessi del tronco (riflesso corneale, fotomotore, oculo‐cefalico, oculo‐vestibolare, reazioni
a stimoli dolorifici nel territorio del trigemino, riflesso carenale)
3. Assenza di respiro spontaneo dopo sospensione della ventilazione artificiale fino al raggiungimento di
ipercapnia accertata di 60 mmHg,  con pH ematico minore di 7.4
4. Silenzio elettrico cerebrale
La  contemporanea  presenza  dei  segni  citati  deve  essere  accertata  per  tutto  il  periodo  di  osservazione:  6 
ore, nei bambini con più di cinque anni e negli adulti; 12 ore, nei bambini di età compresa tra uno e cinque 
anni; 24 ore, nei bambini di età inferiore ai 12 mesi. 
A provare e certificare la morte cerebrale sarà un collegio di tre medici nominato dalla Direzione Sanitaria: 
1. Medico‐legale o, in mancanza, medico della direzione sanitaria o anatomo‐patologo
2. Medico specialista  in anestesia e rianimazione
3. Neurofisiopatologo o, in mancanza, neurologo esperto in elettroencefalografia.
I  componenti  dell’equipe  devono  essere  dipendenti  delle  strutture  sanitarie  pubbliche  appositamente 
autorizzate e indipendenti dall’equipe che effettuerà il prelievo. 
Sarà il magistrato che, a conclusione del periodo di osservazione, autorizzerà o meno l’espianto sulla base 
dei dati che gli vengono forniti dal Collegio. 
I verbali scritti, il cui originale sarà conservato nell’Archivio dell’Ospedale, andranno trasmessi, entro le 48 
ore dal loro completamento, alla ASL competente e al Procuratore della Repubblica, per il controllo della 
legittimità delle operazioni di accertamento della morte. 

È fondamentale accertare, inoltre, che il donatore sia esente da malattie virali, tumorali o infettive. 

Consenso alla donazione d’organo 
Le  nuove  regole,  dettate  dalle  L.  n.  91  del  1  Aprile  del  1999,  introducono  il  principio  del  silenzio‐assenso 
informato secondo cui è la persona in vita ad essere chiamata a decidere, e non i familiari dopo la morte, se 
mettere a disposizione a scopo terapeutico i propri organi in caso di decesso.  

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A  tal  fine,  ogni  cittadino,  compiuto  il  16°  anno  di  età  verrà  informato  sull’argomento  e  sarà  chiamato  ad 
esprimere la propria volontà. 
In  caso  di  rifiuto,  dovrà  rendere  nota  la  sua  decisione,  con  l’obbligo  da  parte  della  competente  autorità 
sanitaria, di trascriverla nel libretto sanitario individuale o su altri documenti di identità, ove verrà riportata 
la scelta “n.d.” (non donatore). 
Se la persona, dopo l’informativa e la richiesta di pronunciarsi al riguardo, si astiene dal manifestare la sua 
volontà entro un termine di 90 giorni, non verrà riportato sul documento alcuna dicitura e quindi si darà 
per scontato l’assenso all’eventuale prelievo di organo (principio del silenzio‐assenso informato). 
In ogni momento della sua vita il cittadino potrà cambiare parere. 
Al di sotto del 16° anno, qualsiasi decisione verrà presa dai genitori o dai rappresentanti legali. 

La Legge n. 91 del 99 prevede inoltre: 
1. Istituzione di un centro nazionale trapianti, di centri interregionali e di centri regionali che presiedano
alla gestione delle liste di attesa e all’assegnazione degli organi
2. Definizione della figura del coordinatore delle attività di prelievo, finalizzata alla gestione dei rapporti
con i  familiari ed all’incremento delle donazioni d’organo.
3. Verifica  dell’idoneità  degli  organi  e  dei  tessuti  prelevati  che  devono  essere  esenti  da  malattie
trasmissibili al ricevente
4. Realizzazione di un sistema informatico nazionale dedicato alla gestione ed al coordinamento di tutte le
attività connesse al trapianto
5. Definizione  di  regole  e  metodologie  condivise  ed  attuate  da  tutto  il  sistema  trapianti  in  modo
trasparente in conformità con i dispositivi di legge

Fino  al  momento  in  cui  il  sistema  informatico  nazionale  non  sarà  funzionante,  è  previsto  un  regime 
transitorio durante il quale il prelievo di organi o tessuti potrà essere effettuato se la persona candidata alla 
donazione  non  abbia  espressamente  negato  in  vita  il  proprio  assenso  e  se,  nel  corso  del  periodo  di 
osservazione  obbligatorio,  il  coniuge  non  separato  o,  in  mancanza,  i  figli  maggiorenni  o  in  mancanza  di 
questi ultimi il rappresentante legale, non abbiano fatto pervenire in tempo utile opposizione scritta. 

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Trattamenti sanitari volontari e non 

Tutti i trattamenti sanitari sono volontari e necessitano, pertanto, della libera partecipazione di colui che li 
riceve. 

Eccezioni sono: 
1. Trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale
Secondo l’art. 34 della legge 833 del 1978, perché si disponga un trattamento sanitario obbligatorio per 
malattia mentale, in regime di degenza ospedaliera, occorre la coesistenza delle seguenti condizioni: 
1) Il pz deve presentare alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici
2) Gli  stessi  interventi  non  vengono  accettati  dall’infermo,  perché  questi  non  è  in  condizioni  di
comprenderne la natura, il significato, la necessità
3) Non è possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra‐ospedaliere

Il ricovero deve avvenire rispettando le seguenti modalità: 
 Proposta motivata da parte del medico curante, che va inoltrata all’ASL
 Convalida della proposta da parte di un medico dell’ASL
 Invio della proposta motivata al Sindaco, che disporrà il ricovero con ordinanza
 Convalida, entro 48h, dell’ordinanza del sindaco da parte del giudice tutelare

2. Trattamenti ed accertamenti sanitari resi obbligatori da disposizioni di legge
‐ Vaccinazioni obbligatorie
‐ Trattamenti relativi a malattie infettive e diffusive, come isolamento e contumacia
‐ Verifica periodica dell’uso recente di alcol e di sostanze stupefacenti in lavoratori dediti a mansioni
che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi 
‐ Accertamenti tesi a verificare l’adesione di soggetti tossicodipendenti al programma terapeutico di
recupero 

3. Accertamenti ordinati dall’Autorità giudiziaria
Un esempio consiste nella misurazione della temperatura corporea, durante l’epidemia Ebola, in tutti i
soggetti provenienti dai Paesi colpiti, come presupposto per entrare in territorio italiano.

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INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA 

Secondo l’art.4 della legge n.194 del 1978, 
per l’interruzione volontaria di gravidanza, entro i primi 90 gg, la donna che accusi circostanze per le quali la 
prosecuzione  della  gravidanza,  il  parto  o  la  maternità  comporterebbe  un  serio  pericolo  per  la  sua  salute 
fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari o alle 
circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, può 
rivolgersi ad un consultorio pubblico, ad una struttura socio‐sanitaria abilitata dalla regione o ad un medico 
di sua fiducia. 

In pratica, durante i primi 90 gg, la decisione di abortire, spetta esclusivamente alla donna. 

Se  non  viene  riscontrato  il  caso  di  urgenza,  al  termine  dell’incontro,  il  medico  del  consultorio  o  della 
struttura socio‐sanitaria, o il medico di fiducia, rilascia alla gestante copia di un documento, firmato anche 
dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per 7 gg. 

Nel documento, il medico è tenuto ad accertare e certificare: 
1. Identità della donna
2. Esistenza della gravidanza
3. Epoca della stessa e che quindi non siano trascorsi i 90 giorni
4. Età della donna
5. Richiesta e motivi
6. Avvenuta  informazione  sui  diritti  a  lei  spettanti  e  sugli  interventi  di  carattere  sociale  a  cui  può  fare
ricorso. Si deve cioè attestare l’avvenuta attività dissuasiva.
7. Avvenuta informazione sui consultori nonché sulle strutture socio‐sanitarie o gli ospedali dove, dopo il
termine di 7 gg, la donna potrà rivolgersi
8. Data del rilascio

Trascorsi  i  7  gg,  la  donna  può  presentarsi  per  ottenere  l’interruzione  della  gravidanza,  sulla  base  del 
documento rilasciatole, presso una delle sedi autorizzate. 

Il padre del concepito potrà essere sentito solo quando la donna lo consenta. 

Sec l’art. 6 della legge, l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi 90 gg, può essere praticata: 
‐ quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna 
‐ quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o  malformazioni 
del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. 

I  processi  patologici  che  configurano  i  casi  previsti  per  l’interruzione  volontaria  di  gravidanza  dopo  il  90° 
giorno,  devono  essere  accertati  da  un  medico  dello  stesso  servizio  ostetrico‐ginecologico  dell’ente 
ospedaliero in cui andrà praticato l’intervento, che ne certifica l’esistenza. 

L’art. 7 della legge stabilisce che, qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente 
pericolo di vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure 
previste negli altri casi ed al di fuori delle sedi autorizzate. 
L’eventuale obiezione di coscienza da parte del personale sanitario non può essere mai invocata quando la 
donna avversi in siffatte condizioni (art.9). 

Interruzione della gravidanza e minore età 
Per  le  minori,  è  necessario  l’assenso  di  entrambi  i  genitori  o  di  chi  esercita,  sulla  donna,  la  potestà  o  la 
tutela. 

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Materiale elaborato da Luigi Aronne 

Nei primi 90 gg, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone 
esercenti la potestà o la tutela, oppure se queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri 
difformi,  il  consultorio,  la  struttura  socio‐sanitaria  o  il  medico  di  fiducia,  dovrà  rilasciare  alla  donna  una 
copia del certificato, da cui risulta l’avvenuta richiesta, e trasmettere, entro 7 gg,  lo stesso, corredato di un 
proprio parere, al giudice tutelare (pretore del luogo dove egli esercita la sua professione) 
Il magistrato convocherà la minore, ma questa potrà anticiparlo, recandosi di persona al suo ufficio. 
Sarà  quindi  il  giudice  che,  entro  5  gg  dalla  data  in  cui  ha  ricevuto  la  documentazione  medica,  potrà 
autorizzare l’interruzione della gravidanza. 
Se il giudice nega tale autorizzazione, la donna potrà far ricorso al tribunale per i minorenni che deciderà 
con procedura d’urgenza. 
Se sussistono condizioni di urgenza, il medico rilascerà subito la certificazione che autorizza l’interruzione, 
anche senza il consenso dei genitori e senza il parere del giudice tutelare. 
Oltre i 90 gg la procedura è identica a quella per le donne di maggiore età. 

Interdizione ed i.v.g. 
Se la donna è interdetta, la richiesta di i.v.g. può essere presentata: 
‐ Personalmente 
‐ Dal tutore 
‐ Dal marito che non sia legalmente separato 
In queste due ultime ipotesi, la gestante deve comunque confermare la richiesta. 
Pertanto, anche l’eventuale pronuncia di interdizione (perdita della capacità di agire) non pregiudica che la 
donna sia chiamata a convalidare la richiesta avanzata da altri. 
In  questi casi, l’autorizzazione all’interruzione viene rilasciata unicamente dal giudice tutelare. 

Quando sussiste possibilità di vita autonoma del feto (età minima della vita intrauterina di 180 gg), fermo 
restando  che  l’interruzione  può  essere  praticata  solo  se  la  gravidanza  o  il  parto  comportino  un  grave 
pericolo per la vita della donna, il medico che esegue l’intervento deve fare tutto il necessario per salvare la 
vita del feto. 

Obiezione di coscienza 
Il  personale  sanitario  ed  esercente  le  attività  ausiliarie  non  è  tenuto  a  prender  parte  alle  procedure  per 
l’interruzione della gravidanza quando abbia sollevato abiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. 
La dichiarazione va cioè presentata prima che il medico si trovi di fronte alla situazione concreta. 
La  dichiarazione,  per  avere  effetti  pratici,  deve  essere  comunicata  all’autorità  competente  (direttore 
sanitario dell’Ospedale) entro 1 mese dall’assunzione. 
Costituisce un diritto fondamentale del sanitario. 
Non può essere invocata qualora la donna versi in imminente pericolo di vita.  

Aborto illegale 
È quello effettuato su donna consenziente, senza tener conto dei dettami previsti dalla legge 194; quando 
cioè: 
‐ è stato ottenuto senza osservare le procedure ed i limiti imposti dalla legge 
‐ è stato effettuato fuori dalle sedi autorizzate 

Aborto criminoso 
Si parla di aborto criminoso quando: 
1) l’interruzione della gravidanza è la conseguenza di una lesione personale (dolosa o colposa)
2) l’interruzione della gravidanza è ottenuta con azione dolosa del soggetto attivo diretta ad interrompere
la gravidanza, senza o contro il consenso della donna
La legge prevede sanzioni sino a 12 anni di reclusione o a 16 se si verifica la morte della donna. 

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Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) 

TOSSICOLOGIA 
Scienza che studia l’interazione dei tossici con la materia vivente 

Al suo interno rientra: 

Tossicologia forense 

È  quella  disciplina  che  ha  per  oggetto  di  studio  la  chimica  analitica  dei  veleni,  contenuti  in  qualsiasi 
materiale, la cui ricerca venga eseguita a fini di giustizia. 
In essa, sia la produzione del dato analitico che la sua interpretazione sono finalizzate alla produzione della 
prova ed alla verifica del nesso causale, ovvero alla dimostrazione dell’osservanza o meno di una norma. 

Campi di studio della tossicologia forense 
1. Abuso e misuso di droghe, farmaci, sostanze dopanti
2. Avvelenamenti acuti accidentali, volontari, a scopi terroristici
3. Tossicologia iatrogena (che si occupa principalmente del monitoraggio di farmaci)
4. Patologie professionali
5. Tossicologia ambientale
6. Tossicologia alimentare

Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità medico‐legale in materia di abuso e misuso di droghe, 
farmaci, sostanze dopanti 

1. Diagnosi di drug‐free
È richiesta con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità a:
 Guida,  da  parte  delle  Commissioni  Mediche  Locali  (CML)  nei  casi  di  ritiro,  revisione,  sospensione  o  revoca
della patente
 Mansioni militari
 Mansioni lavorative che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi
 Adozione di minori
 Porto d’armi

2. Diagnosi  di  uso  recente  e  valutazione  dell’impairment  (alterazione  psico‐comportamentale  legata


all’abuso di una determinata sostanza)
Vengono richieste con l’intento di:
 Dimostrare una condizione di guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti
 Monitorare  lavoratori  addetti  a  mansioni  che  comportino  rischi  per  la  sicurezza,  l’incolumità  e  la
salute di terzi

3. Diagnosi di uso abituale
È richiesta
 per disporre misure cautelari alternative al carcere
 per documentare lo stato di tossicodipendenza di militari e di lavoratori in genere
 per valutare il rispetto dell’obbligo di terapia
 nel sospetto di doping

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Per  VELENO,  s’intende  ogni  sostanza  naturale  (minerale,  vegetale,  animale)  o  sintetica  (organica  o 
inorganica),  solubile  o  atta  a  divenirlo  che,  introdotta  nell’organismo  in  quantità  relativamente  piccola, 
provoca  avvelenamento  e,  cioè,  l’alterazione  di  un  equilibrio  preesistente,  a  cui  consegue  uno  stato 
morboso di varia natura ed gravità, potenzialmente mortale. 

N.B.  Le  sostanze  comunemente  definite  “farmaci/droghe/veleni”  non  sono  le  uniche  che  possono 
provocare  danni.  Ogni  sostanza  chimica  conosciuta  ha,  infatti,  la  potenzialità  di  produrre,  attraverso  vari 
meccanismi,  un  danno  o  la  morte.  Risulta,  pertanto,  più  corretto  parlare  di  lesività  da  noxa  chimica  o di 
effetto tossico. 
L’effetto tossico può assumere diverse connotazioni, quali: 
1. Effetto rivelatore di una malattia clinica ad uno stadio precoce
2. Effetto  difficilmente  reversibile,  che  riflette  un  indebolimento  della  capacità  dell’organismo  di
mantenere l’omeostasi
3. Effetto rinforzante la sensibilità dell’individuo ad altri inquinanti o ad altre sostanze tossiche
4. Effetto che sposta al di fuori della norma diversi parametri biochimici, che rappresentano segni precoci
di alterazione di una determinata funzione
5. Effetto che segnala alterazioni metaboliche e biochimiche importanti

Va detto che non è la sola dose ad influenzare la tossicità di una sostanza introdotto nell’organismo. Essa 
viene infatti influenzata da diversi fattori, distinguibili in: 

Fattori legati alla sostanza 
1. Caratteristiche fisiche (come volume delle particelle)
2. Caratteristiche chimiche (come pH, idro o liposolubilità)
3. Tipo di veicolo
4. Eccipienti 2 
5. Presenza di impurità o contaminanti

Fattori legati alla modalità d’esposizione 
1. Dose
Indici che correlano la dose della sostanza all’effetto prodotto sono: 
‐ Dose  letale  50  (DL50):  dose  della  sostanza  capace  di  indurre  la  morte  del  50%  degli  animali  da 
esperimento a cui è stata somministrata. 
Quanto più bassa è la DL50, tanto maggiore sarà la tossicità della sostanza. 
N.B.  Quando  la  dose  che  ricevono  gli  animali  in  fase  di  sperimentazione  non  è  facilmente 
determinabile  (caso  di  sostanze  presenti  nell’aria  o  nell’acqua)  va  impiegato,  come  indice  di 
tossicità, l’LCt50: concentrazione del gas o del liquido in grado di uccidere il 50% delle cavie in un 
certo lasso di tempo. 
‐ Dose effetto 50 (DE50): dose della sostanza che provoca l’effetto desiderato nel 50% degli animali a 
cui è stata somministrata 

2. Via attraverso cui si verifica l’esposizione
‐ Percutanea
‐ Parenterale
‐ Enterale
‐ Inalatoria

3. Durata e frequenza dell’esposizione

4. Momento della somministrazione (ora del giorno, stagione)

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Fattori legati all’individuo 
1. Etnia  (ad  esempio,  gli  indiani  d’America  ed  i  cinesi,  essendo  poveri  di  alcol‐deidrogenasi,  hanno  un
ridotto metabolismo dell’etanolo) 

2. Età (i bambini minori 10 anni, ad esempio, mancano di alcol‐deidrogenasi)

3. Sesso  (le  donna,  ad  esempio,  hanno  ¼  delle  alcol‐deidrogenasi  contenute  nella  mucosa  gastrica  degli
uomini. Sono pertanto più sensibile all’intossicazione acuta, perché una maggiore quantità di etanolo
passa  in  circolo,  raggiungendo  il  cervello  ed  a  quella  cronica,  perché  il  fegato  viene  sovraccaricato  4
volte in più di quello di un uomo)

4. Peso corporeo

5. Grado di abitudine
Introducendo, infatti, piccole dosi di veleno, in modo costante, l’effetto si riduce, per adattamento del
sistema detossificante dell’organismo, con aumento della velocità di escrezione.
Tale fenomeno prende il nome di tolleranza o assuefazione.
Nei  soggetti  assuefatti  ad  una  determinata  sostanza,  per  ottenere  gli  stessi  effetti  di  soggetti  non
assuefatti è necessario aumentare le dosi.
La tolleranza interessa consumatori di stupefacenti, fumatori ed alcolisti.

6. Eventuale idiosincrasia
Ipersensibilità, geneticamente determinata, verso particolari sostanze.

7. Stato fisiologico  e nutrizionale

8. Condizioni patologiche pre‐esistenti 3 

Fattori legati all’ambiente 
1. Temperatura

2. Umidità  (coloro  che  lavorano  in  serre  molto  umide,  ad  esempio,  hanno  un  maggiore  assorbimento
attraverso la cute di anticrittogamici)

3. Pressione barometrica

4. Composizione atmosferica

5. Luce ed altre forme di radiazioni

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Classificazione dei veleni 
Può  far  riferimento  a  diversi  criteri.  Quella  adottata  in  tossicologia  forense  tiene  conto  delle  loro 
caratteristiche chimico‐fisiche, che ne condizionano le modalità di estrazione. 
Tale classificazione suddivide i veleni in 7 gruppi: 
‐ Gruppo 1: gas (come CO, acido cinadrico, gas bellici) 
‐ Gruppo 2: sostanze volatili (come glicoli, fenoli, anilina, nitrobenzene) 
‐ Gruppo 3: farmaci 
‐ Gruppo 4: metalli (come arsenico, mercurio, piombo, tallio)  
‐ Gruppo 5: pesticidi (come quelli organo‐fosforici) 
‐ Gruppo 6: anionici (come nitrati, solfiti ed ipocloriti) 
‐ Gruppo 7: miscellanea 

Gas 
Le  manifestazioni  cliniche  dell’avvelenamento  da  gas  generalmente  sono:  dispnea,  asfissia,  vomito, 
colorazione rosa o rossa della cute (nell’avvelenamento da CO e da acido cianidrico) 

Esodio dei sintomi: molto rapido 

Ambienti in cui più frequentemente si verifica l’intossicazione: abitazioni, officine meccaniche, automobili, 
miniere, siti industriali, ospedali (nel caso di avvelenamento da gas anestetici).  

Categorie  lavorative  a  rischio:  meccanici,  minatori,  lavoratori  dell’industria  chimica,  addetti  alla  pulizia  di 
cisterne. 

Materiali su cui viene condotta l’analisi: 
‐ Aria, prelevata da ambienti chiusi e da veicoli 
‐ Vestiario, se macchiato o impregnato di odori particolari 
‐ Campioni biologici post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di polmoni e cervello 

Metodo analitico: gascromatografia, con la tecnica detta “analisi dello spazio di testa”  
Questa tecnica prevede l’introduzione in colonna non del campione bensì dei vapori da esso sviluppati in 
una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita, per un tempo prefissato. 

Sostanze volatili 
Le  manifestazioni  cliniche  dell’avvelenamento  da  sostanze  volatili  generalmente  sono:  dolori  addominali 
(presenti  nell’intossicazione  fenoli),  convulsioni  (presenti  nell’intossicazione  da  glicoli),  segni  e  sintomi  da 
ubriachezza –  come sonnolenza, atassia, disturbi del linguaggio e della vista – ittero (presente nell’anilina e 
nitrobenzene), tremori e vomito 

Comparsa dei sintomi: rapida, se le la sostanza volatile viene inalata; più lenta, se viene invece assunta per 
via orale. 

L’anamnesi è spesso positiva per alcolismo e per l’abitudine di sniffare colla 

Scene  più  comuni  dell’avvelenamento  da  sostanze  volatili:  ambienti  domestici,  ospedali  e  laboratori  di 
ricerca, siti industriali.  

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Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) 

Elementi della scena suggestivi di avvelenamento da sostanze volatili: presenza di liquori; presenza di colle 
e di prodotti per la pulizia, in buste di plastica. 

Categorie lavorative a rischio: addetti alle pulizie, lavoratori dell’industria chimica  

Materiali su cui viene condotta l’analisi 
‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine 
‐ Campioni  post‐mortem,  di  cui  i  più  probanti  sono  quelli  di  polmoni,  cervello  e  corpo  vitreo 
(particolarmente indicato se il corpo è decomposto) 
‐ Contenuto di bottiglie ritrovate vicino alla vittima 
‐ Vestiario, se macchiato o impregnato di odori particolari 

Metodo analitico: gascromatografia, con la tecnica detta “analisi dello spazio di testa”  
Questa tecnica prevede l’introduzione in colonna non del campione bensì dei vapori da esso sviluppati in 
una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita, per un tempo prefissato. 

Farmaci 
La sintomatologia dell’avvelenamento da farmaci è variabile. 
‐ Nell’avvelenamento  da  FANS  si  hanno:  ematemesi  e  melena  secondarie  ad  irritazione  gastrica, 
ematuria, sudorazione, convulsioni, coma. 
‐ Nell’avvelenamento da oppioidi si hanno: miosi, bradipnea, bradicardia, ipotensione, coma 
‐ Nell’avvelenamento da sedativi ed ipnotici si hanno: atassia, stupore, sopore e coma 
‐ Nell’avvelenamento  da  stimolanti  ed  anti‐depressivi  si  hanno:  midriasi,  secchezza  delle  mucose, 
tachicardia, tremori, convulsioni 

Esordio della sintomatologia: lento, a meno che la sostanza non sia stata iniettata o inalata 

Scene più frequenti dell’avvelenamento da farmaci: ambiente domestico, discoteche e club. 

Elementi della scena suggestivi di avvelenamento da farmaci: presenza di sostanze illecite, soprattutto se 
l’intossicato ha un’età compresa tra 16 e 30 anni.  
Nell’intossicato anziano, invece, sulla scena si riscontrano, di solito, i farmaci da esso abitualmente assunti. 

Materiali su cui viene condotta l’analisi: 
‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine, se la vittima giunge in ospedale.  
‐ Tamponi nasali, matrici biologiche convenzionali e non, dopo la morte 

La procedura analitica prevede:  
‐ Screening iniziale, mediante tecniche immunologiche (come immunoassay). 
‐ Conferma e dosaggio, mediante spettrometria di massa 

Metalli 
Le  manifestazioni  cliniche  dell’avvelenamento  da  metalli  generalmente  comprendono:  anemia,  crampi, 
salivazione, sapore metallico, dolore gastrico, diarrea, perdita di peso, paralisi, neurite periferica, caduta di 
peli e capelli (presente nell’intossicazione da tallio e selenio). 

Comparsa della sintomatologia: solitamente dopo diverse ore. La morte può verificarsi entro 24h ma, più 
frequentemente, sopraggiunge dopo alcuni giorni. 

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Scena dell’avvelenamento: industrie e laboratori 

Materiali su cui viene condotta l’analisi: 
‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine 
‐ Campioni post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di contenuto gastrico, rene, capelli, unghie ed 
ossa 

Metodo di analisi: spettroscopia di assorbimento atomico. 

Pesticidi 
Le principali manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da pesticidi sono: vomito e convulsioni.  
Si  osservano,  inoltre,  nell’avvelenamento  da  composti  organo‐fosforici,  miosi,  salivazione,  sudorazione, 
dispnea e cianosi; nell’avvelenamento da fenoli e cresoli, febbre, sudorazione, ittero, ematuria. 

Esordio  della  sintomatologia:  rapido  (entro  30  min),  se  la  sostanza  è  inalata  o  se  contiene  un  solvente 
derivato dal petrolio. In caso contrario, è lenta (da 1 a 6 h). 

Scena dell’avvelenamento: fattorie ed aziende agricole 

Metodi di analisi:  
 Test colorimetrici
 Test di inibizione della colinesterasi
 Gascromatografia

Anioni 
Le  principali  manifestazioni  cliniche  dell’avvelenamento  da  anioni  sono:  vomito  violento,  diarrea,  dolori 
addominali, cianosi (secondaria a metaemoglobinemia da agenti ossidanti), colorazione di cute e mucose. 

Comparsa della sintomatologia: in genere entro 1h. La morte può verificarsi entro diverse h. 

Scena più comuni dell’avvelenamento da anioni: ambienti domestici, lavanderie, aziende agricole, industrie.  

N.B.  Nel  sospetto  di  avvelenamento  da  anioni,  la  ricerca  del  tossico  va  estesa  anche  a  tracce  di  vomito, 
vestiti macchiati, tazze, presenti in prossimità della vittima. 
Informazioni dirimenti, comunque, sono generalmente fornite dall’analisi del liquido di lavanda gastrica, nel 
vivente e del contenuto dello stomaco, nel cadavere. 

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Diagnosi di avvelenamento 

Si basa su di una serie di  criteri, nessuno dei quali è da solo sufficiente per porre diagnosi. 
Tali criteri sono: 

1. Criterio circostanziale
Tiene conto dell’insieme dei dati che emergono dalle indagini relative alle circostanze spazio‐temporali
del presunto contatto con il tossico.
In particolare, da tali indagini – tra cui rientrano raccolta di testimonianze e sopralluogo giudiziario – si
possono apprendere:
‐ Circostanze, come ingestione di cibi e bevande, assunzione di farmaci, abitudini di vita e di lavoro,
correlabili con l’eventuale intossicazione.  
‐ Informazioni utili ad indirizzare i successivi accertamenti tecnici.
‐ Elementi  che  permettano  di  ricostruire  la  dinamica  (accidentale,  colposa  o  dolosa)  dell’evento
nonché di risalire alla tipologia, alla causa ed ai mezzi d’intossicazione.  

2. Criterio clinico‐anamnestico
Tiene conto della sintomatologia che il soggetto ha manifestato – rilevata da un medico o riportata da
testimoni  –    e  di  condizioni  antecedenti  al  fatto,  come  esposizione  professionale  a  sostanze  tossiche,
uso pregresso di farmaci, trascorsi di tossicodipendenza.
Talora,  la  sintomatologia  del  paziente  è  utile,  non  solo  ad  indurre  il  sospetto  di  avvelenamento,  ma
anche ad individuare il tipo di veleno coinvolto. Ad esempio:
 Fame d’aria, convulsioni, midriasi, colorazione rosso vivo della cute, rapido decorso degli eventi 
avvelenamento da cianuri 7 
 Irritazione gastrointestinale, paralisi acuta ascendente, disturbi psichici, caduta di peli e capelli
 avvelenamento da tallio

N.B.   
Il  criterio  clinico  non  sempre  è  esaustivo  perché  alcuni  avvelenamenti  possono  decorrere 
silenziosamente o con scarsa sintomatologia oppure perché i sintomi non sono stati apprezzati o sono 
stati valutati come espressione di altri processi morbosi, indipendenti dall’avvelenamento. 

3. Criterio anatomo‐patologico
Tiene conto delle informazioni fornite dall’esame esterno e da quello interno del cadavere.

Permette di orientare le indagini in due direzioni:
‐ Allontanare  l’ipotesi  dell’intossicazione  acuta  quale  causa  del  decesso,  nel  caso  in  cui  venga
diagnosticata  una  patologia  da  sé  sola  capace  di  determinare  la  morte  e  non  correlabile  ad  una 
determinata noxa chimica. 

‐ Rafforzare  l’ipotesi  dell’intossicazione  acuta  quale  causa  del  decesso,  nel  caso  in  cui  vengano 
evidenziate  lesioni  anatomiche  correlabili  a  specifiche  noxae  chimiche  o  suggestive  di 
intossicazione acuta mortale. 

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All’esame esterno, è necessario  
1. Analizzare i fenomeni cadaverici, quali:
‐ Raffreddamento del cadavere che
 se  rallentato,  è  compatibile  con  una  morte  in  ipertermia,  secondaria  ad  intossicazione  acuta  da
amfetamine
 se accelerato, invece, è compatibile  con una morte in ipotermia, secondaria ad intossicazione acuta
da etanolo, arsenico, fosforo
‐ Rigidità, che risulta  
 precoce,  negli  avvelenamenti  da  tossici  agenti  a  livello  della  giunzione  neuromuscolare  (come
nicotina, stricnina, atropina)
 tardiva, negli avvelenamenti da oppiacei e narcotici, arsenico e fosforo
‐ Ipostasi, che appaiono: 
 di colore rosso ciliegia, nell’avvelenamento da CO
 di colore rosso vivo, nell’avvelenamento da cianuri ed acido cianidrico
 di colore bruno, nell’avvelenamento da metaemoglobinizzanti (vapori nitrosi, anilina)
‐ Disidratazione, che risulta accelerata da tossici, quali Hg, Br 
‐ Putrefazione, che si dimostra 
 precoce, negli avvelenamenti da oppiacei e da veleno di serpente
 ritardata, negli avvelenamenti da formalina ed antibiotici

2. Ricercare
‐ segni di agopuntura, che depongono per un’intossicazione acuta da stupefacenti, oppioidi in particolare;
‐ odori peculiari nella zona del cavo orale
Ad esempio, un odore agliaceo, depone per un avvelenamento da fosforo ed esteri organo‐fosforici; di 
mandorle amare, per un avvelenamento da cianuri e nitrobenzolo.  
Un  odore  “sui  generis”  è  invece  apprezzabile  nell’avvelenamento  da  alcool,  etere,  cloroformio,  trielina, 
benzolo. 
‐ lesioni cutanee o della mucosa orale 
 Eruzioni  cutanee,  sono  osservabili,  ad  esempio,  negli  avvelenamenti  da  cromo,  sulfamidici, 8 
antibiotici, salicilati
 Escare a carico di labbra e mucosa orale si apprezzano nell’ingestione di caustici
‐ alterazioni degli annessi cutanei  
Un’alopecia  si  riscontra  nell’avvelenamento  da  tallio;  alterazioni  ungueali,  nell’avvelenamento  da 
arsenico. 

All’esame interno, bisogna valutare:  
 Presenza di odori particolari:
‐ Un odore di mandorle amare, è apprezzabile nell’avvelenamento da cianuri e da nitrobenzolo
‐ Un odore agliaceo, nell’avvelenamento da esteri organo‐fosforici
‐ Un odore “sui generis”, nell’avvelenamento da etanolo, cloroformio, trielina
 Fluidità ed aspetto del sangue
N.B.  Normalmente,  il  sangue  di  un  cadavere  non  coagula  ed  appare  come  un’emulsione  densa  e  di  colore
bruno, per la degradazione emoglobinica.
Nell’intossicazione  acuta  da  CO,  invece,  il  sangue  appare  di  colore  rosso  ciliegia,  risulta  poco  denso  e  non
bagna la provetta.
 Colorazione dei visceri, che risulta:
‐ Nerastra, nell’avvelenamento  da acido solforico 
‐ Verdastra, nell’avvelenamento da solfato di rame 
 Sussistenza di quadri lesivi, anche aspecifici, ma compatibili con particolari intossicazioni acute
Ad esempio:
‐ ulcerazioni  del tratto prossimale tubo digerente, si apprezzano nell’ingestione di caustici
‐ un edema polmonare acuto è riscontrabile nelle intossicazioni acute da gas, vapori irritanti, oppioidi
‐ una necrosi epatica si osserva nelle intossicazione acuta da alcool, amanita falloides, fosforo, piombo ed
arsenico 
‐ un’aplasia midollare è presente nelle intossicazioni acute da benzolo, sali d’oro ed antimitotici 

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L’autopsia,  infine,    deve  essere  completata  dall’esame  istologico  dei  visceri  che  può  consentire  il 
riconoscimento di tossici, in particolare metalli pesanti, nelle strutture cellulari colpite. 

In  corso  d’esame  autoptico,  inoltre,  vanno  prelevati  materiali  da  avviare  alle  indagini  chimico‐
tossicologiche.  

4. Criterio chimico‐tossicologico
Si  fonda  sull’identificazione  ed  il  dosaggio  del  tossico  in  matrici  biologiche  ed  in  altri  reperti  e
sull’interpretazione del dato analitico, sia esso positivo che negativo.

Reperti utilizzabili sono:  
‐ Campioni biologici 
‐ Miscele, soluzioni, materiale vegetale 
‐ Farmaci 
‐ Alimenti 
‐ Polveri, aria, acqua e rifiuti 

N.B. Nelle diverse matrici biologiche,  il tossico va sempre quantizzato, perché:  
‐ la semplice identificazione qualitativa dello xenobiotico non è sufficiente per formulare la diagnosi 
di avvelenamento 
‐ la  determinazione  quantitativa  poli‐distrettuale  della  sostanza  è  indispensabile  per  giudicarne 
l’idoneità lesiva.   

Nel cadavere, sono da indirizzare alle indagini chimico‐tossicologiche:   9 
1) campioni di sangue, che va analizzato in toto, avendo l’indagine finalità forense.
Il  sangue  intero,  infatti, contenendo  sia  la  sostanza  concentrata  all’interno  degli  eritrociti  che quella  legata
alle proteine plasmatiche, costituisce il campione di scelta per provare la presenza di una sostanza tossica nel
sangue. Il sangue intero, tuttavia, a differenza del plasma e del siero, risulta ricco di interferenti.
I campioni ematici, inoltre, andrebbero prelevati dai vasi femorali.
Il  sangue  femorale  e,  più  in  generale  quello  periferico,  infatti,  riflette  maggiormente  la  concentrazione
ematica  ante‐mortem,  perché  meno  soggetto  alla  ridistribuzione  post‐mortale  della  sostanza,  dato  che
quest’ultima potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare adiacente e dal grasso.
La ridistribuzione post‐mortem verso i vasi centrali è, invece, maggiore, in quanto si verifica a partire dai cdt
“organi di deposito”, tra cui rientrano gli organi cavi, come quelli che compongono il tratto GI, e gli organi
dotati di un’alta capacità concentrativa, quali fegato, polmone e miocardio.
2) campioni di urina
3) tutto il contenuto gastrico
4) bile, prelevando l’intero quantitativo presente nella colecisti che, se contiene alte concentrazioni di
morfina coniugata, suggerisce un abuso cronico di eroina.
5) umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente, meno degli altri, del processo di
putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere.
6) campioni di organi, quali
‐ fegato
‐ reni
‐ milza
‐ encefalo
‐ polmone
N.B. Frammenti di tessuto polmonare sono particolarmente utili nel sospetto di intossicazione da gas e 
sostanze volatili  

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7) liquido pericardico  
8) adipe sottocutaneo 
9) capelli 
10) unghie 
11) denti 
 
 
Nel vivente, invece, si analizzano: 
1. Aria espirata (caso dell’alcolimetria mediante etilometro) 
2. Sangue 
‐ Nei casi con finalità forense, l’indagine viene solitamente condotta su sangue intero dato che, in questo 
campione, sarà presente, e quindi analizzabile, sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti, sia 
quella legata alle proteine plasmatiche. 
‐ Le indagini con finalità clinica, invece, vengono generalmente eseguite su plasma o siero. Ciò dipende dal 
fatto  che  quasi  tutte  le  concentrazioni  terapeutiche  dei  farmaci,  riportate  in  letteratura,  fanno 
riferimento  al  plasma  o  al  siero,  in  quanto  contengono  meno  sostanze  interferenti  rispetto  al  sangue 
intero.  
3. Urine 
4. Eventuali campioni di vomito 
5. Liquido di lavanda gastrica 
6. Saliva 
7. Sudore 
8. Meconio 
9. Capelli 
 
  10 
L’indagine chimico‐tossicologica, con finalità medico‐legali, può essere: 
‐ Generica 
‐ Mirata 
 
Risulta generica, in caso di: 
‐ Assenza di dati circostanziali, clinici ed anamnestici 
‐ Aspecificità dei reperti anatomo‐patologici  
 
Quando generica, sono richieste tecniche preliminari di screening, più sensibili che specifiche e volte 
ad identificare grandi gruppi di sostanze. 
Permettono  di  stabilire,  in  riferimento  a    cut‐off  predeterminati,    la  negatività  o  la  positività  di  un 
campione. 
Sono essenzialmente rappresentate da metodiche immunochimiche.  
Tali metodiche si basano sulla competizione, nei confronti di un anticorpo specifico, tra la sostanza da 
identificare  all’interno  del  campione  in  esame  e  la  stessa  sostanza  marcata  con  isotopi  radioattivi, 
enzimi, fluorescenza o particelle di lattice. 
 
Vantaggi 
‐ Possibilità di condurre l’indagine sul campione biologico tal quale ed in piccole quantità 
‐ Elevata sensibilità 
‐ Possibilità di ricercare gruppi di sostanze con un’unica procedura 
‐ Bassi costi di esercizio 
‐ Rapidità d’esecuzione 
 
 
 

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Svantaggi 
‐ Sensibilità non univoca all’interno della stessa classe di sostanze 
‐ Bassa specificità 
‐ Possibilità di risposte falsamente positive o falsamente negative. 
 I  falsi  positivi  derivano  dalla  reazione  crociata,  con  l’anticorpo  impiegato,  di  molecole
strutturalmente simili alla sostanza ricercata. 
 I  falsi  negativi,  invece,  derivano  dalla  possibilità  di  falsare  il  risultato  analitico,  intervenendo
sulle  caratteristiche  chimico‐fisiche  del  campione  biologico  utilizzato  (generalmente  urina), 
mediante aggiunta di acqua, sapone, tensioattivi in genere, succo di limone. 
‐ Prevalente validazione su matrice urinaria 

N.B.  Un  risultato  positivo  ottenuto  con  un'analisi  di  screening  non  può  assumere  valenza  forense  e 
necessità di conferma mediante analisi dotate di una maggiore specificità. 
Generalmente  si  utilizzano  una  o  più  tecniche  cromatografiche  abbinate  alla  spettrometria  di  massa, 
l’unica metodica analitica in grado di confermare la struttura chimica della sostanza. 
La  determinazione  deve  essere  effettuata  in  riferimento  a  standard  certificati  delle  sostanze  stupefacenti  e  dei 
relativi metaboliti. 

L’indagine chimico‐tossicologica risulta,  invece,  mirata, in caso di  concreta indicazione  circa la natura 


della sostanza tossica.  
In questo caso,  la procedura analitica potrà essere ottimizzata sulla base dalle conoscenze relative a: 
‐ Caratteristiche chimico‐fisiche della sostanza, come liposolubilità e volatilità 
‐ Via di introduzione  
‐ Farmacocinetica ed in particolare assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione 
11 

N.B. 
Confermare o escludere la presenza di un determinato tossico nell’organismo non costituisce un dato 
sufficiente per formulare o negare la diagnosi di avvelenamento. 
Ci si può infatti trovare di fronte a due condizioni peculiari: 
‐ Veleno senza avvelenamento 
‐ Avvelenamento senza veleno 

Si  parla  di  “veleno  senza  avvelenamento”  qualora  il  tossico  sia  stato  rinvenuto  nel  cadavere  ma  non 
abbia costituito causa di morte.  
Possibili spiegazioni: 
1. Il veleno è stato introdotto in vita ma in dosi NON sufficienti a causare l’intossicazione
2. Il veleno è stato ingerito in vita – dimostrandosi quindi reperibile nel tratto gastro‐intestinale – ma
non  è  stato  assorbito  e  trasportato,  attraverso  il  circolo  ematico,  fino  agli  organi  o  agli  atri  siti
recettoriali, dove esercita i propri effetti
3. Il  veleno  è  stato  assorbito  dopo  la  morte,  dal  cadavere,  per  trattamento  conservativo  con
formalina, interramento in  terreni ricchi di arsenico (contaminazione ambientale)
4. Il  veleno  è  stato  introdotto  in  modo  fraudolento  nel  cadavere,  per  simulare  un  suicidio,  un
avvelenamento accidentale, un avvelenamento da parte di un terzo
In questo caso il veleno, sarà riscontrabile solo nella sede di somministrazione, risultando assente
nei fluidi biologici e nei vari organi e tessuti. Non saranno inoltre dimostrabili suoi metaboliti.
5. Formazione,  nei  tessuti  dei  cadaveri  in  decomposizione,  di  sostanze  organiche  azotate,
chimicamente simili agli alcaloidi vegetali, dette ptomaine (caso di aconitina cadaverica).

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Si parla di “avvelenamento senza veleno” qualora il quadro clinico sia suggestivo di intossicazione ma 
le indagini tossicologiche non abbiano dimostrato la presenza del tossico corrispondente.  
Possibili spiegazioni: 
1. Veleno di composizione sconosciuta e non facilmente identificabile
2. Sostanze che agiscono a dosi tanto basse da essere difficilmente reperibili alle analisi tossicologiche
(es. LSD)
3. Eliminazione del veleno prima della morte
4. Profonda  modificazione  metabolica  del  veleno  tale  da  non  consentire  l’identificazione  della
sostanza assunta

5. Criterio della sperimentazione fisiotossica
Tiene conto della tossicità osservata in animali di laboratorio a cui è stato somministrato lo xenobiotico
sospettato o materiale ottenuto dal cadavere, come il contenuto gastrico.
Risulta  utile  soprattutto  nel  sospetto  che  l’intossicazione  sia  stata  sostenuta  da  tossine  difficilmente
dimostrabili, come quelle di alimenti.
Limiti di tale criterio sono:
‐ Refrattarietà di alcuni animali verso determinati veleni
‐ Capacità di sostanze derivanti dalla putrefazione cadaverica (come le ptomaine) di produrre effetti
tossici  negli  animali,  indipendentemente  dalla  presenza  di  veleni  esogeni,  nel  campione  biologico 
ad essi somministrato.  

N.B.  12 
La probabilità che un giudizio diagnostico sia corretto è tanto maggiore, quanto più ampia è la convergenza 
di tali criteri. 

Compiti del medico in caso di avvelenamento 
Il medico è tenuto ad informare, mediante referto o rapporto, l'autorità giudiziaria, in caso di:  
‐ Intossicazione dolosa o colposa che abbia avuto come conseguenza la morte o una lesione personale 
perseguibile d'ufficio.  
‐ Suicidio tentato o consumato, potendosi configurare l'istigazione da parte di terzi.  

Le intossicazioni professionali verificatesi negli addetti ai lavori agricoli e industriali, comportano, l’obbligo 
per  il  medico,  di  segnalazione  secondo  le  disposizioni  del  T.  U.  per  l'assicurazione  contro  gli  infortuni  sul 
lavoro e le malattie professionali. 
Altre denunce richieste sono:  
1. Denuncia di intossicazione da antiparassitari
2. Denuncia di persone tossico‐dipendenti
3. Denuncia dei fatti interessanti la sanità pubblica

Riferimenti legislativi 
In  ambito  penalistico,  l’utilizzo  di  sostanze  venefiche  configura  un  delitto  contro  la  persona  (di  lesioni 
personali o di omicidio). 
In particolare, nei casi di omicidio, l’impiego di sostanze venefiche costituisce una circostanza aggravante, 
dato che presuppone premeditazione, da cui scaturisce la pena dell’ergastolo (art. 577) 
Il CP prevede, inoltre, anche delitti contro la pubblica incolumità (caso di avvelenamento delle acque e di 
sostanze  alimentari;  adulterazione  e  contraffazione  di  alimenti)  e  vari  altri  reati  di  pericolo  (come 
contraffazione di medicinali e doping). 

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AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO 

È una delle cause più comuni di morte accidentale e suicidaria. 

Il  monossido  di  carbonio  si  forma  ogni  qual  volta  avvenga  una  combustione  incompleta  di  sostanze 
carboniose, siano esse solide, liquide o gassose. 

Fonti  antropiche  di  monossido  di  carbonio  sono:  traffico  veicolare,  impianti  di  riscaldamento  domestico, 
inceneritori di rifiuti, centrali termo‐elettriche, industrie siderurgiche e raffinerie di petrolio. 
Tra  le  fonti  antropiche  rientra  anche  il  fumo  di  sigaretta  che  contiene  il  3‐6%  di  monossido  di  carbonio. 
Questo  spiega  gli  elevati  livelli  di  HbCO  (1,9‐3%)  riscontrati  nel  sangue  dei  fumatori,  considerando  che  il 
contenuto ematico di HbCO dei soggetti non esposti a CO non eccede l’1%. 
Un’ulteriore  fonte  antropica  di  monossido  di  carbonio  è  il  cloruro  di  metile,  utilizzato  come  solvente  e 
diluente  per  vernici.  Il  cloruro  di  metile,  infatti,  una  volta  assorbito  per  via  inalatoria  o  per  contatto 
cutaneo, viene convertito dal fegato a monossido di carbonio. 

Fonti naturali di monossido di carbonio sono: attività vulcanica, incendi, decomposizione della vegetazione. 

Patogenesi  
Il  CO,  inalato  ed  assorbito  attraverso  la  membrana  alveolo‐capillare,  si  lega  reversibilmente  all’Hb, 
formando COHb.  
L’affinità mostrata dal CO per l’Hb è 240 volte superiore a quella dell’ossigeno. Ciò fa sì  che possa essere 
raggiunta  una  percentuale  del  50%  di  HbCO  quando  l’aria  ambientale  presenta  una  concentrazione  di 
monossido di carbonio 240 volte più bassa di quella dell’ossigeno, pari cioè allo 0,08% (o ad 800 ppm). 
La  saturazione  del  sangue  in  HbCO,  comunque,  è  determinata,  non  solo  dal  contenuto  in  CO  dell’aria  13 
ambientale, ma anche dal tempo di esposizione e dalla ventilazione polmonare. La saturazione del sangue 
in  HbCO,  infatti,  sarà  tanto  più  alta  quanto  più  lungo  è  il  tempo  di  esposizione  e  quanto  maggiore  è  la 
ventilazione polmonare.  
Poiché la HbCO non è capace di trasportare ossigeno ai tessuti, s’instaura un’ipossia tissutale. 
L’ipossia  tissutale  viene  accentuata  dal  fatto  che  la  presenza  in  circolo  di  HbCO  interferisce  con  la 
liberazione  dell’ossigeno  da  parte  dell’ossiemoglobina  residua,  per  spostamento  a  sinistra  della  curva  di 
dissociazione di quest’ultima. 
All’ipossia tissutale, si aggiunge l’azione istotossica diretta del CO, dipendente dal blocco di tutti i complessi 
enzimatici contenenti ferro, come i citocromi. 

L’intossicazione ACUTA da CO può essere accidentale o suicidiaria.  
La frequenza dell’intossicazione accidentale si è ridotta rispetto al passato per la sostituzione, con metano, 
del cdt “gas illuminante” o “di città”, una miscela gassosa contenente CO.  
Attualmente, le principali cause di intossicazione acuta accidentale da CO sono: 
‐ Scaldabagni, caldaie a gas, stufe a legna e camini con tiraggio inadeguato, per scarsa manutenzione o 
difetto dell’impianto 
‐ Veicoli con motore tenuto acceso a lungo in ambienti confinati, come le autorimesse. 
‐ Presenza di numerosi fumatori in ambienti chiusi e non ventilati 
‐ Incendi 

Per  quanto  riguarda,  invece,  la  dinamica  suicidiaria,  il  suicida  più  spesso  ricorre  all’inalazione  dei  gas  di 
scarico di autoveicoli. 

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Le manifestazioni cliniche dell’intossicazione acuta da CO variano in rapporto alla % di HbCO: 
 
‐ 0‐10%  non ci sono segni clinici 
‐ 11‐20%  emicrania modesta, dispnea, vasodilatazione cutanea 
‐ 21‐30%  emicrania, pulsazione alle tempie 
‐ 31‐40%  emicrania, disturbi visivi, nausea e vomito, adinamia 
‐ 41‐50%  sincope 
‐ 51‐70%  coma, convulsioni, depressione cardio‐respiratoria 
‐ >70%  morte che spesso sopraggiunge per ischemia miocardica. 
 
N.B. Maggiormente sensibili agli effetti tossici del CO sono quei soggetti con più elevate richieste tissutali di 
ossigeno, come:   
‐ Bambini  
‐ Anemici 
‐ Cardiopatici  
‐ Pz affetti da patologie stimolanti il metabolismo basale 
 
Se l’avvelenamento acuto non è stato letale, le condizioni del pz possono ritornare nella norma, anche se 
uno stato comatoso che sia durato più di 24 h lascia regolarmente segni irreversibili a carico del SNC. 
 
 
Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, in caso di avvelenamento acuto da CO bisogna: 
‐ Allontanare il soggetto dall’ambiente contenente CO 
‐ Evitare alla vittima sforzi muscolari, che aumenterebbero la richiesta tissutale di ossigeno 
‐ Far respirare al soggetto aria fresca, sufficiente se la concentrazione di HbCO non supera il 15%. 
Quando  il  livello  eccede  il  15%,  va  somministrato  ossigeno  puro.  Al  di  sopra  del  40%,  è  necessaria 
un’ossigeno‐terapia iperbarica.  14 
 
 
Reperti autoptici suggestivi di avvelenamento acuto da CO, sono: 
‐ Colore rosso ciliegia delle ipostasi 
‐ Colore rosa brillante dei parenchimi e dei muscoli, alla sezione 
‐ Colore rosso brillante del sangue, che appare poco denso e che non bagna la provetta 
‐ Polmoni edematosi e con petecchie sottopleuriche 
‐ Edema cerebrale 
 
La  determinazione  della  COHbemia,  con  metodo  spettroscopico,  fornisce  una  diagnosi  inequivocabile  di 
intossicazione acuta. 
 
 
 
L’avvelenamento  CONICO  da  CO  si  manifesta  con:  emicrania,  anemia,  tachicardia,  palpitazioni,  dolori 
precordiali, depressione, irritabilità. 
 
Più  esposte  all’avvelenamento  cronico  sono  le  persone  che  lavorano  in  ambienti  contenenti  alte 
concentrazioni di CO: garage, officine, autostrade. 

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DIAGNOSTICA TOSSICOLOGICA 

L’indagine tossicologica può avere una finalità: 
1. Clinica
2. Medico‐legale ed amministrativa

Indagini tossicologiche con finalità clinica sono quelle eseguite  1) nei  casi di emergenza tossicologica, 2)  


per il monitoraggio terapeutico di farmaci (come, ad esempio, digitale e Li) e 3) nell’ambito di programmi di 
dissuefazione da sostanze d’abuso*. 

* Relativamente  al  trattamento  di  dissuefazione  da  sostanza  d’abuso,  è  indispensabile  effettuare
indagini tossicologiche 
‐ in via preliminare, per verificare l’abitudine assuntiva del pz ed impostare la terapia 
‐ nel corso del programma terapeutico, per: 
 implementare la terapia
 controllare l’adesione del pz al programma
 scongiurare  l’eventualità  di  overdose  o  di  inefficacia  terapeutica,  come  conseguenza
dell’interazione con altri farmaci
Ad esempio, i farmaci che acidificano o alcalinizzano le urine possono avere un effetto importante sulla
farmacocinetica del metadone, in quanto ne modificano l’escrezione urinaria, che aumenta, a pH acido;
si riduce, a pH alcalino.
Inoltre,  farmaci  che  fungono  da  induttori  enzimatici  –  caso  di  antiepilettici,  come  carbamazepina,
fenobarbital,  fenitoina,  e  di  alcuni  antibiotici,  come  la  rifampicina  –    esaltando  il  metabolismo  del
metadone,  ne  riducono  le  concentrazioni  plasmatiche  e,  quindi,  gli  effetti  farmacologici,  con  possibile
sindrome di astinenza.
Farmaci,  invece,  che  fungono  da  inibitori  enzimatici  dei  citocromi  CYP1A2  e  CYP3A4  –  caso  di  alcuni
antidepressivi  come  la  fluoxetina  –  riducendo  il  metabolismo  del  metadone,  ne  incrementano  le
concentrazioni plasmatiche e, quindi, gli effetti farmacologici, con possibile overdose.
‐ al termine del programma terapeutico ed a distanza di esso, per tenere sotto controllo l’eventuale 
assunzione da parte del pz sia della sostanza verso cui si era instaurata la dipendenza che di altre 
sostanze. 

Le  indagini  tossicologiche  con  finalità  medico‐legale  sono  quelle  effettuate  in  applicazione  di  norme 
giuridiche ed hanno il compito di fornire elementi utili per una corretta diagnosi a valenza medico‐legale. 
Ciò richiede: 
‐ Conoscenza della norma giuridica 
‐ Appropriatezza dell’analisi 
‐ Correttezza dell’interpretazione 

Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità medico‐legale, nelle circostanze di abuso e misuso di 
droghe, farmaci e sostanze dopanti sono: 

1. Diagnosi di drug‐free
È richiesta per esprimere un giudizio di idoneità a:
 Guida, da parte delle Commissioni Mediche Locali (CML) nei casi di ritiro, revisione, sospensione o
revoca della patente
 Leva
 Mansioni militari
 Mansioni lavorative che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi
 Adozione di minori
 Porto d’armi

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2. Diagnosi di uso recente e valutazione dell’impairment
Vengono richieste per:
 Dimostrare  una  condizione  di  guida  in  stato  d’ebbrezza  o  sotto  l’effetto  di  sostanze  stupefacenti
(art. 186, 186 bis e 187 del C.d.S)
 Monitorare  lavoratori  addetti  a  mansioni  che  comportino  rischi  per  la  sicurezza,  l’incolumità  e  la
salute di terzi

3. Diagnosi di uso abituale
È richiesta
 per disporre misure cautelari alternative al carcere
 per valutare il rispetto dell’obbligo di terapia
 per documentare lo stato di tossicodipendenza di militari e di lavoratori in genere
 nel sospetto di doping

Poiché  il  dato  tossicologico  può  essere  utilizzato  come  prova  in  sede  legale,  le  indagini  tossicologiche 
devono  necessariamente  attenersi  ad  una  rigorosa  procedura  analitica  che  può  essere  scomposta  in  tre 
fasi successive:  
‐ Fase pre‐analitica 
‐ Fase analitica 
‐ Fase post‐analitica 

FASE PRE‐ANALITICA 
Tra le problematiche da affrontare in fase pre‐analitica vi sono: 

1. Scelta del campione biologico
IN  TEORIA,  tutte  le  matrici  biologiche  sono  idonee  alla  rilevazione  di  sostanze  d’abuso  e,  più  in
generale,  di  sostanze  tossiche;  quel  che  cambia  è  la  finestra  metabolica  –  o  di  rilevabilità  –  da  esse
offerta.
IN PRATICA, la scelta viene condizionata da:
‐ Finalità dell’indagine, che può essere:
 Clinica
 Forense
‐ Necessità di dimostrare un’intossicazione in atto o pregressa 
‐ Caratteristiche  chimico‐fisiche  della  sostanza  –  come  la  sua  eventuale  liposolubilità  –  che  ne 
influenzano l’organo‐tropismo  
‐ Via di introduzione della stessa 
‐ Disponibilità dei vari campioni biolohici 
‐ Praticabilità del prelievo 
‐ Strumentazioni tecnologiche possedute 

Le matrici biologiche utilizzabili si suddividono in: 

Matrici convenzionali, rappresentate da: 
‐ Sangue 
‐ Urine 
‐ Contenuto gastrico 

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Matrici alternative, rappresentate da: 
‐ Capelli 
‐ Saliva 
‐ Sudore 
‐ Meconio 
‐ Umor vitreo, limitatamente al cadavere 

Matrici convenzionali 

Sangue 
Gli analiti ricercati nel sangue sono costituiti dalla sostanza tal quale e dai suoi metaboliti, presenti in 
concentrazioni basse o moderate. 
Il tempo di permanenza nel sangue di tali analiti (finestra metabolica) è di alcune ore, con il sangue che 
viene quindi impiegato per porre diagnosi di intossicazione in atto. 
N.B.  la  concentrazione  ematica  della  sostanza  si  trova  in  rapporto  di  proporzionalità  diretta  con  la 
quantità  della  stessa  presente  a  livello  dei  siti  recettoriali.  Ciò  consente  di  dedurre  la  gravità 
dell’intossicazione dal tasso ematico della sostanza, comparato alla dose letale, alla dose tossica ed a 
quella terapeutica.     
Nell’interpretare il tasso ematico della sostanza, tuttavia, bisogna conoscere la distribuzione dei tossici 
all’interno dell’organismo, che può non essere uniforme. 
Infatti, i tossici che presentano uno spiccato tropismo per un determinato tessuto, avranno, in quella 
sede, una concentrazione molto più alta rispetto a quella riscontrata nel sangue (organotropismo). 
Ad  esempio,  i  solventi  e  le  altre  sostanze  liposolubili  (come  i  pesticidi)  si  accumulano  preferenzialmente  nel 
tessuto adiposo ed in quello cerebrale; la digossina e gli altri glucosidi cardiaci, conoscono accumulo soprattutto 
in  ambito  miocardico;  sostanze  escrete  dal  fegato,  sotto  forma  di  glicuronidi,  come  la  morfina,  mostrano 
concentrazioni biliari superiori a quelle ematiche. 
Nel  sangue,  inoltre,  la  sostanza  può  concentrarsi  prevalentemente  all’interno  del  plasma  o  degli 
eritrociti. Pertanto, se la sostanza si concentra prevalentemente negli eritrociti, come l’acetazolamide, 
l’analisi del plasma darà un valore molto più basso. 
In particolare, il rapporto eritrociti/plasma varia con: 
‐ Natura della sostanza 
‐ Presenza  di  contaminanti  (come  plastificanti  contenuti  in  alcuni  tipi  di  Vacutainer  che  possono  spostare 
farmaci basici dai loro siti di legame con le glicoproteine) 
‐ Tempo necessario per raggiungere l’equilibrio 
Tenendo conto della distribuzione eritrociti/plasma delle diverse sostanze, nei casi con finalità forense, 
l’indagine  viene  condotta  su  sangue  intero  dato  che,  in  questo  campione,  sarà  presente,  e  quindi 
analizzabile,  sia  la  sostanza  concentrata  all’interno  degli  eritrociti,  sia  quella  legata  alle  proteine 
plasmatiche. 
Le indagini con finalità clinica, invece, vengono generalmente eseguite su plasma o siero. Ciò dipende 
dal  fatto  che  quasi  tutte  le  concentrazioni  terapeutiche  dei  farmaci,  riportate  in  letteratura,  fanno 
riferimento al plasma o al siero, visto che contengono meno sostanze interferenti del sangue intero. 

Il  principale  limite  legato  all’impiego  del  sangue  consiste  nel  fatto  che  la  tecnica  di  campionamento 
risulta  invasiva,  con  necessità  di  acquisire  preliminarmente  il  consenso  informato  del  soggetto  in 
esame. 
Il prelievo, inoltre, espone gli operatori sanitari a rischio biologico. 

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Urina 
È un campione biologico utile per valutare l’eliminazione di una sostanza tossica. 
 
I vantaggi legati all’impiego dell’urina come matrice biologica sono:  
1. Facilità del prelievo, che risulta non invasivo 
2. Grande quantità di campione biologico disponibile 
3. Bassa interferenza, dato che tale matrice biologica è libera da proteine 
4. Elevata concentrazione degli analiti, che consistono prevalentemente nei metaboliti della sostanza 
tossica 
5. Finestra  metabolica  maggiore  di  quella  del  sangue.  Il  tempo  di  permanenza  nelle  urine  dei 
metaboliti della sostanza tossica oscilla, infatti, tra 2 e 7 gg dall’ultima assunzione. 
6. Rapidità dei risultati e disponibilità di cut‐off condivisi, che rendono l’urina utilissima per condurre 
indagini di screening 
7. Validazione dei risultati da parte di studi clinici 
 
Svantaggi sono: 
1. Mancato rispetto della privacy in occasione del campionamento, che deve avvenire in presenza di 
un operatore per ridurre il rischio di adulterazione del campione. 
2. Possibilità di adulterare il campione urinario, per: 
 Ottenere un risultato negativo 
 Ottenere un risultato positivo, al fine di beneficiare di agevolazioni legislative 
 Invalidare l’indagine 
Modalità di adulterazione del campione urinario sono: 
‐ Adulterazione esterna, mediante 
 Diluizione con acqua 
 Addizione di interferenti (come ossidanti, acidi, basi e detergenti) 
‐ Adulterazione interna, mediante ingestione di diuretici, acqua, bicarbonato 
‐ Sostituzione 
3. Dato urinario non correlabile con gli effetti prodotti. 
 
Relativamente all’interpretazione del risultato, 
‐ un accertamento urinario positivo dà indicazioni solo circa l’abitudine assuntiva del soggetto, ma 
non  sulla  dose  impiegata,  sul  preciso  momento  in  cui  questa  è  stata  assunta  o  sulle  modalità 
d’assunzione. 
‐ un accertamento urinario negativo può dipendere da: 
 Assunzione saltuaria o non recente 
 Tempo intercorso tra assunzione e prelievo superiore alla finestra di rilevabilità, che può essere 
molto  ristretta  nel  caso  di  sostanze  a  breve  emivita  (come  alcune  BDZ  e  barbiturici  a  breve 
durata d’azione) 
 Bassa sensibilità del metodo analitico 
 Cut‐off non idoneo 
 Adulterazione del campione  
 
 
Contenuto gastrico 
Presenta alte concentrazioni del tossico immodificato, se assunto per os. 
Può fornire indizi immediati circa la natura del tossico, deducibile dall’odore e dagli eventuali alimenti 
in esso riscontrati. 
Un risultato negativo indica che l’assunzione non è avvenuta per via orale. 
Un  risultato  positivo,  invece,  non  indica  necessariamente  che  la  sostanza  sia  stata  ingerita.  Basse 
concentrazioni  possono  essere  infatti  osservate  per  la  diffusione  di  droghe  basiche  dal  sangue  al 
contenuto gastrico. 


 
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Matrici biologiche alternative 
Sono state affiancate a quelle convenzionalmente usate in tossicologia (come sangue ed urine) poiché 
presentano numerosi vantaggi, quali:  
1. Campionamento non invasivo
2. Difficoltà  di  adulterazione,  non  richiedendo,  quindi,  una  speciale  supervisione  durante  il
campionamento
3. Aumento considerevole della finestra metabolica o di rilevabilità per numerose droghe
4. Possibilità,  nel  caso  della  saliva,  di  correlazione  con  la  concentrazione  ematica  e  con  i  principali
effetti clinici di droghe e di molte classi di farmaci

Ciò  rende  tali  matrici  utili  per  effettuare  controlli  su  guidatori  e  su  lavoratori  impegnati  nelle  cdt  mansioni 
lavorative a rischio. 

Al  loro  interno,  tuttavia,  le  sostanze  sono  presenti  in  basse  concentrazioni  imponendo,  pertanto,  l’utilizzo  di 
tecniche analitiche altamente sensibili. 

Capelli 
Al loro interno, la sostanza tal quale prevale sui suoi metaboliti ed è presente in basse concentrazioni. 
Permettono un campionamento non invasivo. 
Risultano utili per dimostrare un uso pregresso.  
Consentono  infatti  di  monitorare  l’assunzione  di  droghe,  farmaci  e  sostanze  dopanti  in  un  arco 
temporale che si estende da settimane a molti mesi, in funzione della loro lunghezza.  
Ad esempio, un capello di 8 cm fornisce informazioni circa le abitudini voluttuarie del soggetto negli ultimi 8 mesi, 
considerando che i capelli dei caucasici crescono di 1 cm/mese.   
Ulteriori vantaggi sono: 
‐ Difficoltà di adulterazione  
‐ Facilità di conservazione 

Limiti sono: 
‐ Impossibilità di correlare l’indagine con la condizione clinica al momento del prelievo 
‐ Possibile contaminazione ambientale 
‐ Bias razziali 
‐ Influenza di trattamenti cosmetici 

Saliva 
Al suo interno, la sostanza tal quale prevale sui metaboliti ed è presente in basse concentrazioni. 
Permette un campionamento non invasivo 
Consente di dimostrare un uso recente,  che va da poche h a 2 gg.  
La concentrazione salivare della sostanza è inoltre correlabile con le alterazioni psico‐comportamentali 
del  soggetto  al  momento  del  prelievo,  dato  che  la  saliva  costituisce  un  ultrafiltrato  del  sangue, 
sufficientemente libero da interferenti.  

Limiti sono: 
‐ Possibile contaminazione, nei casi di assunzione orale, per fumo o intranasale 
‐ Assenza di sistemi standardizzati per il campionamento della saliva. 
Il prelievo, infatti, con tamponi o mediante vari metodi  di stimolazione si è rivelato  poco affidabile poiché, 
mentre il primo sistema sequestra nel tampone fino a 30% dell’analita, la stimolazione incrementa il pH della 
saliva, portandolo su livelli prossimi a quelli plasmatici e rendendo così  insufficiente il gradiente di pH che 
media il trasferimento della sostanza dal sangue verso il fluido salivare. 

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Sudore 
Nel  suo  contesto,  la  sostanza  tal  quale  prevale  rispetto  ai  relativi  metaboliti  e  presenta  basse 
concentrazioni. 
Permette un campionamento non  invasivo che avviene mediante patch. 
Il  tempo  di  permanenza  in  esso  delle  diverse  sostanze  oscilla  tra  24  h  ed  1  settimana  dall’ultima 
assunzione. 
La  concentrazione  della  sostanza  nel  sudore  non  è  tuttavia  correlabile  con  la  dose  assunta  e  con  la 
frequenza dell’uso. 
Ulteriori limiti sono: 
‐ Quantità minima di prelievo 
‐ Necessità di GC e di MS, non disponibili su larga scala 

Meconio 
Riflette l’esposizione pre‐natale a farmaci e droghe.  
Ciò  consente,  al  momento  della  nascita,  di  prevedere  l’insorgenza  di  sindromi  astinenziali  e, 
successivamente, di modulare interventi sociali e sanitari  

Ulteriori problematiche da affrontare in fase pre‐analitica: 
2. Scelta della tecnica di campionamento, che può avvalersi di vials, siringhe, contenitori.
N.B.  Solventi  vanno  raccolti  in  contenitori  ermetici  di  nylon,  dato  che  quelli  di  plastica  sono  ad  essi
permeabili.

3. Eventuale aggiunta di additivi e conservanti
Ad esempio, il fluoruro di sodio è richiesto per prevenire la degradazione di tossici, come la cocaina, da
parte di esterasi ematiche e la fermentazione dell’alcol.

4. Definizione della cdt “catena di custodia”, intesa come quella procedura finalizzata a garantire:
‐ Integrità del campione 
‐ Corretta identificazione del soggetto donatore 
‐ Conservazione dell’aliquota necessaria per l’analisi di revisione 
‐ Trasparenza degli atti e rintracciabilità dell’operato e dell’operatore 

5. Etichettamento del campione mediante codice alfanumerico

6. Raccolta di elementi circostanziali, come terapie in corso

7. Scelta della modalità di trasporto

8. Scelta della temperatura di conservazione delle matrici biologiche
Per i solventi e le sostanze volatili, è richiesto il congelamento immediato delle matrici biologiche.
Nel  sospetto  che  l’intossicazione  sia  stata  causata  da  cianuri,  il  campione  biologico  va  conservato  a
temperatura  di  refrigerazione.  Sono  stati  infatti  descritti  fenomeni  di  neoformazione  di  cianuri  sia  a
temperatura ambiente che dopo congelamento a ‐20 °C.

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FASE ANALITICA 
Le tipologie di analisi disponibili in fase analitica sono: 
‐ Analisi di screening  
‐ Analisi di conferma 
‐ Tecniche specifiche 
 
Analisi di screening  
Analisi preliminari (di I livello) –  più sensibili che specifiche –  volte  Sensibilità:  esprime  la  più  piccola  quantità  di 
ad identificare grandi gruppi di sostanze.  sostanza  che  il  metodo  riesce  a  dosare.  
All’aumentare  della  sensibilità  del  metodo 
Il loro impiego risulta  indispensabile:  analitico quindi si riduce la quantità di sostanza 
‐ nei  casi  di  emergenza  clinica,  per  la  possibilità  di  ottenere,  in  dosabile. È influenzata dal marker usato. 
poco tempo, una grande quantità di informazioni  Specificità: è la capacità del metodo analitico di 
dosare  solo  il  composto  in  esame.  Dipende  dal 
‐ quando  vi  è  la  necessità  di  analizzare  un  alto  numero  di  tipo di anticorpo utilizzato 
campioni in tempi brevi  Accuratezza:  è  la  differenza  tra  valore  reale  e 
‐ quando si ha a disposizione poco campione biologico  valore  medio  ottenuto  da  un  certo  numero  di 
misurazioni 
‐ in assenza di dati circostanziali  Precisione:  indica  la  concordanza  tra  misure 
Come  metodi  di  screening,  ci  si  avvale  di  metodi  DIRETTI,  ripetute sullo stesso campione  
generalmente  rappresentati  da  tecniche  immunochimiche  che  si 
basano sulla competizione, nei confronti di un anticorpo specifico, tra la sostanza da identificare all’interno 
del campione in esame e la stessa sostanza marcata con isotopi radioattivi, enzimi, fluorescenza o particelle 
di lattice.  
 
Vantaggi 
1. Possibilità di condurre l’indagine sul campione biologico tal quale ed in piccole quantità 
2. Elevata sensibilità 
3. Possibilità di ricercare gruppi di sostanze con un’unica procedura 
4. Bassi costi di esercizio 
5. Rapidità d’esecuzione 
 
Svantaggi 
1. Sensibilità non univoca all’interno della stessa classe di sostanze 
2. Bassa specificità 
3. Possibilità di risposte falsamente positive o falsamente negative. 
 I  falsi  positivi  derivano  dalla  reazione  crociata,  con  l’anticorpo  impiegato,  di  molecole 
strutturalmente simili alla sostanza ricercata. 
 I  falsi  negativi,  invece,  derivano  dalla  possibilità  di  falsare  il  risultato  analitico,  intervenendo  sulle 
caratteristiche  chimico‐fisiche  del  campione  biologico  utilizzato  (generalmente  urina),  mediante 
aggiunta di acqua, sapone, tensioattivi in genere, succo di limone. 
4. Prevalente validazione su matrice urinaria 
 
N.B. 
I metodi di screening, per le loro caratteristiche intrinseche, producono esclusivamente un risultato di tipo 
presuntivo,  vale  a  dire  la  probabile  presenza  o  assenza  di  un  analita  o  di  una  classe  di  sostante,  in 
riferimento a  cut‐off prestabiliti. 
Il  cut‐off  rappresenta  un  limite  di  concentrazione  (valore  soglia)  scelto,  appunto,  per  stabilire  se  un  campione  sia 
positivo o negativo. 
Viene utilizzato tanto per le procedure di screening quanto per i metodi di conferma.  
Varia in funzione di: 
‐ matrice biologica 
‐ metodologia utilizzata 
‐ finalità dell’indagine 
Deve essere condiviso ed omogeneamente applicato da tutti i laboratori coinvolti nelle stesse tipologie di analisi. 
Va chiaramente indicato nel referto.  


 
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Pertanto, un risultato positivo ottenuto con un'analisi di screening non può assumere valenza forense e va  
necessariamente verificato mediante un’analisi di conferma. 
 
 
Analisi di conferma  
Analisi  (di  II  livello)  dotate  di  una  maggiore  specificità,  da  eseguire  obbligatoriamente  su  tutti  i  campioni 
risultati positivi alle analisi di screening, con lo scopo di confermare, appunto, la presenza di una sostanza o 
dei suoi metaboliti e di stabilirne la quantità. 
 
A differenza dei metodi di screening – che costituiscono metodi DIRETTI – prevedono: 
‐ Estrazione dell’analita dalla matrice biologica   
‐ Aggiunta della standard interno 
‐ Confronto con standard di riferimento certificati 
 
Va  effettuata  con  spettrometria  di  massa,  l’unica  metodica  analitica  in  grado  di  confermare  la  struttura 
chimica della sostanza, accoppiata a gascromatografia o a cromatografia liquida. 
 
 
 
FASE POST‐ANALITICA 
È quella in cui si procede all’interpretazione del dato analitico. 
 
In caso di esito negativo, bisogna valutare la possibilità che la sostanza: 
‐ non sia stata assunta  
‐ sia stata eliminata dai trattamenti ospedalieri 
‐ sia stata degradata 
‐ si sia dimostrata tecnicamente non rilevabile per: 
 Campionamento non corretto 
 Non corretta temperatura di conservazione del campione 
 Bassa sensibilità del metodo analitico 
 Ricerca generica non sufficientemente ampia 
 
In caso di esito positivo, bisogna valutare sei dati di laboratorio siano: 
‐ congruenti con quanto indicato nella letteratura scientifica 
‐ concordanti con gli altri criteri medico‐legali 
 
 
 
N.B. 
In ogni caso, l’approccio metodologico – pur se diversificato a seconda della finalità dell’indagine – non può 
prescindere  dall’applicazione  della  classica  criteriologia  medico‐legale  su  cui  si  basa  la  diagnosi  di 
avvelenamento e che correla il dato chimico‐tossicologico con i dati derivanti da un’attenta valutazione di 
altri criteri – come quello circostanziale, clinico‐anamnestico ed anatomo‐patologico (su cadavere) – capaci, 
tra l’altro, possono orientare l’indagine tossicologica verso una determinata causa d’intossicazione. 
Solo la concordanza tra i diversi criteri potrà fornire la certezza della diagnosi.  
 
 
 
 
 
 
 

 
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INDAGINE TOSSICOLOGICA POST‐MORTEM 
 
Viene richiesta qualora si sospetti l’intervento di una noxa chimica nel determinismo della morte e risulta 
indispensabile per stabilire se alcol, droghe o altre sostanze tossiche possano aver causato o contribuito alla 
morte di un soggetto. 
 
Morte da droga 
 
Nell’ambito delle morti droga‐correlate rientrano: 
1. Morti per intossicazione acuta da stupefacenti o narcotismo acuto, dovuto all’assunzione – volontaria 
o  accidentale  –  di  una  dose  di  una  sostanza  risultata  letale  in  funzione  del  grado  di  tolleranza 
dell’assuntore (overdose). 
2. Morti legate ad abuso protratto, per patologie associate, come epatiti e miocarditi. 
3. Suicidi ed omicidi connessi con la tossicodipendenza  
4. Morti per eventi accidentali causati dalla droga, come incidenti stradali e sul lavoro.   
 
 
N.B. La definizione di “narcotismo acuto” è andata nel tempo modificandosi, 
‐ per la relatività del concetto di “overdose”, che varia in rapporto a sensibilità, grado di dipendenza e di 
tolleranza dell’assuntore; 
‐ perché non sempre si evidenziano livelli sierici e tissutali di droga tali da giustificare il decesso. 
 
Attualmente, quindi, si preferisce parlare di “reazione acuta alla droga” intesa come un’abnorme reattività 
dell’organismo alla sostanza.  
Tale  evenienza  può  dipendere  –  oltre  che  dall’assunzione  di  una  dose  della  sostanza  in  quel  momento 
eccessiva per la tolleranza del soggetto –   anche da: 
1. Poliassunzione  
2. Sofferenza  epatica,  con  diminuzione  della  sintesi  degli  enzimi  necessari  alla  metabolizzazione  delle 
droghe, con conseguente aumento delle loro concentrazioni ematiche e della loro emivita. 
3. Assunzione  endovenosa,  anche  di  droghe  che  tradizionalmente  venivano  assunte  per  via  inalatoria  o 
per via orale (cocaina, metadone e psicofarmaci). 
L’assunzione endovenosa può infatti determinare: 
 Variazione della dose letale 
 Complicanze infettive, come epatite virale acuta, infezione tetanica  
 Fenomeni embolici, provocati da eccipienti per compresse destinate all’uso orale 
4. Condizioni fisiche del soggetto assuntore favorenti l’effetto tossico della sostanza stupefacente. 
 
Una sostanza stupefacente, quindi, può provocare la morte anche in dosi sub‐letali, che sarebbero inidonee 
a giustificare il decesso. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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Diagnosi di morte da droga 
 
È posta seguendo lo stesso schema criteriologico a cui si ricorre ogniqualvolta venga considerata l’ipotesi di 
un’intossicazione acuta. 
 
Richiede  la  partecipazione  di  un’equipe  multidisciplinare  –  composta  da  tossicologo,  medico  legale  ed 
anatomo‐patologo  –  dove  ognuno,  nell’ambito  della  propria  competenza  specifica,  apporta  il  suo 
contributo. 
 
L’approccio tossicologico per un’indagine post‐mortem prevede: 
1. Studio degli atti 
2. Valutazione dei dati circostanziali e clinico‐anamnestici 
3. Richiesta di campioni biologici con indicazione del sito di prelievo 
4. Esecuzione di indagini di screening e di conferma 
5. Valutazione del dato 
 
 
I campioni post‐mortem possono essere numerosi e variabili e vengono scelti in base alla storia del caso ed 
ai quesiti posti dal magistrato. 
Durante l’autopsia, sono routinariamente raccolti: 
‐ Campioni di sangue, con l’indagine che, avendo finalità forense, viene eseguita su sangue intero. 
Il  sangue  intero,  infatti,  contenendo  sia  la  sostanza  concentrata  negli  eritrociti  che  quella  legata  alle 
proteine plasmatiche, costituisce il campione di scelta per provare la presenza di una droga nel sangue 
‐ Campioni di urina 
‐ Intero  quantitativo  di  bile  presente  nella  colecisti,  che  se  contiene  alte  concentrazioni  di  morfina 
coniugata suggerisce un abuso cronico di eroina.  
‐ Campioni di organi, in particolare del fegato 
‐ Tutto il contenuto gastrico 
 
L’indagine può essere completata dalla raccolta di campioni supplementari e di matrici alternative come: 
‐ Capelli 
‐ Unghie  
‐ Umor  vitreo,  distretto  dell’organismo  molto  protetto  che  risente  meno  degli  altri  del  processo  di 
putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere. 
‐ Campioni di pelle  
 
È  necessario  prelevare  campioni  da  diversi  distretti  corporei  al  fine  di  valutare  se  la  distribuzione  dello 
xenobiotico sia polidistrettuale. Ciò risulta infatti indispensabile per giudicarne l’idoneità lesiva. 
 
 
Comunque,  l’eventuale  degradazione  post‐mortale,  con  i  suoi  cambiamenti  autolitici  e  putrefattivi, 
potrebbe limitare la selezione e l’utilità dei campioni biologici. 
 
 
Un’ulteriore problematica risiede nel fatto che la concentrazione ematica post‐mortem non sempre riflette 
la  concentrazione  effettiva  della  sostanza  al  momento  della  morte,  perché  condizionata  dal  fenomeno  di 
ridistribuzione post‐mortale (PMR).  
Per  PMR,  s’intende  il  movimento  della  sostanza  all’interno  del  corpo  dopo  la  morte,  con  conseguente 
aumento della sua concentrazione ematica a livello centrale. 
 
 
 

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I fattori che favoriscono la PMR sono: 
1. Rilascio passivo delle sostanze dai cdt “organi di depositi”, tra cui rientrano: gli organi cavi, come quelli 
che compongono il tratto GI, e gli organi dotati di un’alta capacità concentrativa, quali fegato, polmone 
e miocardio. 
La ridistribuzione da questi organi può avvenire per: 
‐ Diffusione attraverso i vasi sanguigni 
‐ Diffusione trans‐parietale verso i tessuti circostanti 
2. Cambiamenti  del  pH  e  della  struttura  delle  proteine,  con  conseguente  rottura  del  legame  farmaco‐
proteico 
3. Persistenza di processi metabolici subito dopo la morte 
4. Natura e proprietà chimico‐fisiche della sostanza 
Le  sostanze  che  più  comunemente  vanno  incontro  a  PMR  sono  le  basi  con  grandi  volumi  di 
distribuzione (intendendo, per volume di distribuzione la quantità di sostanza presente nel corpo intero 
rispetto a quella presente nel sangue). 
È questo il caso di ADT, antistaminici, analgesici narcotici, digossina. 
 
Altri fattori che possono influenzare l’entità della PMR, sono: 
1. Temperatura del corpo 
La PMR viene, infatti, ritardata dalla refrigerazione a 4 °C 
2. Tempo intercorso dall’exitus 
La PMR, infatti, aumenta con il ritardo dell’autopsia 
3. Condizioni patologiche pre‐esistenti 
 
 
A  causa  della  ridistribuzione  post‐mortale,  il  campione  ematico  di  scelta  per  le  analisi  tossicologiche  nel 
cadavere è il sangue femorale. 
Il  sangue  femorale  e,  più  in  generale  quello  periferico,  infatti,  riflette  maggiormente  la  concentrazione 
ematica ante‐mortem della sostanza, perché meno soggetto alla ridistribuzione post‐mortale della stessa, 
dato che quest’ultima potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare e da quello adiposo adiacente.  
 
 
 
Fattori critici che influenzano l’interpretazione del dato analitico 
sono: 
 
1. Correttezza del campionamento 
2. Tolleranza individuale 
3. Variabilità biologica inter‐individuale 
4. Interazione tra droghe e farmaci 
5. Presenza o meno di patologie pre‐esistenti 
6. Tempo di sopravvivenza  
7. Stabilità delle droghe 
Ad esempio: 
 la  cocaina  viene  idrolizzata,  in  vivo  ed  in  vitro  dalle  colinesterasi  sieriche.  Per  questo,  nella 
valutazione, bisogna tener conto anche della concentrazione dei metaboliti; 
 la  morfina  glicuronide,  nel  sangue  cadaverico,  può  essere  convertita  in  morfina  libera,  in  caso  di 
contaminazione da parte di batteri che scindono il legame con l’acido glicuronico; 
 l’LSD, viene degradata dalla luce. 
 
 
  

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Differenze esistenti tra indagine tossicologica su vivente con finalità clinica ed indagine tossicologica 
post‐mortem 
 
Indagine tossicologica su vivente con finalità  Indagine tossicologica post‐mortem 
clinica   
1. Viene  solitamente  eseguita  in  condizioni  di  1. Supporta  il  medico  legale  nella  diagnosi  di 
urgenza  avvelenamento 
2. Supporta il clinico nei casi di avvelenamento  2. Si  effettua  su  sangue  intero  dato  che  in  esso  è 
3. Prevede  che  l’analisi  del  campione  ematico  presente  e,  quindi,  analizzabile  sia  la  sostanza 
venga condotta sul siero o sul plasma.   contenuta  all’interno  degli  eritrociti  che  quella 
Al  siero  ed  al  plasma,  infatti,  cui  fa  riferimento  legata alle proteine plasmatiche. Ciò lo rende  – 
la  quasi  totalità  delle  concentrazioni  sebbene  ricco  di  interferenti  –  il  campione  di 
terapeutiche  dei  farmaci  riportate  in  scelta per provare la presenza di una droga nel 
letteratura,  dato  che  essi  contengono  meno  sangue.  
sostanze interferenti del sangue intero   3. Non  sempre  permette  di  stabilire  l’effettiva 
4. Premette  di  dedurre  la  gravità  concentrazione  ematica  della  sostanza  al 
dell’intossicazione  dal  tasso  ematico  della  momento della morte. 
sostanza,  comparato  alla  dose  terapeutica,  alla  La  concentrazione  ematica  post‐mortem  può 
dose tossica ed a quella letale  infatti  variare  in  rapporto  a  fenomeni  di 
5. Rende possibile risalire alla quantità di sostanza  ridistribuzione post‐mortale (PMR). 
assunta   L’influenza  della  PMR  può  comunque  essere 
limitata  prelevando  il  campione  ematico  dai 
vasi femorali visto che il sangue femorale e, più 
in generale,  quello periferico, è meno soggetto 
a tale fenomeno in quanto la sostanza potrebbe 
provenire  solo  dal  tessuto  muscolare  e  da 
quello adiposo adiacente. 
Il  sangue  femorale,  pertanto,  riflette 
maggiormente la concentrazione ematica ante‐
mortem della sostanza 
 
  

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TOSSICODIPENDENZE 
 
 
Secondo  la  definizione  dell’OMS,  la  tossicodipendenza  è  uno  stato  di  intossicazione  cronica  le  cui 
caratteristiche sono: 
1. Desiderio invincibile da parte del soggetto di fare uso della sostanza (craving) 
2. Dipendenza psichica e poi eventualmente fisica dagli effetti della sostanza. 
3. Tendenza ad aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti (tolleranza).  
4. Grave compromissione della salute, della vita di relazione e della validità individuale. 
 
La dipendenza psichica è una condizione che comporta uno stato di profondo disagio in seguito alla brusca 
interruzione  del  consumo  di  una  sostanza  chimica,  verso  cui  l’individuo  è  stato  cronicamente  o 
ripetutamente esposto.  
Lo stato di disagio viene alleviato dalla rinnovata assunzione della sostanza o di un’altra, purché provvista di 
effetti farmacologici simili.  
Può essere isolata o associarsi a dipendenza fisica. 
 
La  dipendenza  fisica  è  una  condizione  secondo  cui  l’organismo,  per  il  mantenimento  dell’omeostasi, 
necessita della presenza della sostanza chimica, verso cui l’individuo è stato cronicamente o ripetutamente 
esposto.  
Qualora l’assunzione della sostanza venga bruscamente interrotta, si manifestano i segni ed i sintomi della 
sindrome di astinenza, generalmente di segno opposto agli effetti della sostanza.  
Si accompagna sempre al fenomeno della tolleranza ma non sempre si verifica il contrario. 
 
 
Una dipendenza psichica grave associata a dipendenza fisica viene osserva con:   1 
‐ Oppioidi  
‐ Alcool etilico 
‐ Barbiturici 
‐ Benzodiazepine 
 
Una dipendenza psichica marcata associata a lieve dipendenza fisica si osserva con: 
‐ Agonisti‐antagonisti oppioidi (nalorfina, levallorfano, pentazocina) 
‐ Anfetamine 
‐ Cocaina   
‐ Metilfenidato 
 
Una dipendenza psichica isolata viene osservata con: 
‐ Cannabis, allucinogeni tipo LSD, solventi, nicotina, caffeina 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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OPPIO ED OPPIOIDI 

L’OPPIO  viene  ottenuto  dal  succo  lattiginoso  delle  capsule  immature  ed  incise  del  Papaver  somniferum 
album, coltivato nel Medio e nell’Estremo Oriente. 
I costituenti farmacologicamente attivi dell’oppio sono di natura alcaloidea e vengono distinti i 2 categorie 
chimiche: 
‐ Derivati  fenantrenici,  quali  morfina  (costituente  il  10%  del  peso  in  grammi  dell’oppio),  codeina  e 
tebaina ad effetto euforizzante, analgesico e narcotico 

‐ Derivati  benzilisochinolinici,  quali  papaverina,  noscapina  e  narceina,  ad  effetto  spasmolitico  sulla 
muscolatura liscia.  

Con il termine di OPPIOIDE s’intende qualsiasi sostanza che produca effetti simili a quelli della morfina. 
Tali sostanze includono: 
‐ Peptidi oppioidi endogeni (endorfine, encefaline, dinorfine) 
‐ Molecole esogene 
 Naturali (come la stessa morfina, la codeina e la tabaina, anche indicate con il termine di OPPIACEI)
 Semisintetiche (come eroina, buprenorfina, idromorfone, ossicodone)
 Sintetiche (come metadone, pentazocina, meperidina, propossifene)

Eroina 
Si tratta di un oppioide semisintetico (3,6‐diacetilmorfina), ottenuto dalla morfina, acetilando sia l’ossidrile 
fenolico che quello alcolico. 
La  doppia  acetilazione  aumenta  la  liposolubilità  della  sostanza,  consentendone  un  più  rapido  passaggio, 
attraverso la barriera emato‐encefalica, nel SNC.   2 
Ciò rende l’eroina, a parità di dose, più attiva della morfina e ne incrementa la tossicità –  misurata come 
DL50 – di circa 7 volte. 

In base alla modalità di preparazione, si distinguono due 2 tipi eroina: 
‐ Eroina bianca, che appare come una polvere bianca cristallina 
‐ Eroina scura (brown sugar), che appare come granuli di colore bruno 

L’eroina  bianca  è  ottenuta  estraendo,  dall’oppio,  esclusivamente  la  morfina  che  viene  purificata  e  poi 
doppiamente acetilata. 
L’eroina  scura  è  invece  ottenuta  estraendo,  dall’oppio,  tutti  gli  alcaloidi,  che  vengono  poi  sottoposti  ad 
un’acetilazione indiscriminata. Il composto risultante, pertanto, contiene non solo i derivati acetilati della 
morfina (eroina e monoacetilmorfina) ma anche gli altri alcaloidi dell’oppio e le impurità di origine. 
N.B. Sulla base di tali impurità d’origine è possibile tracciare la provenienza della sostanza. 

Generalmente, l’eroina viene venduta in singole dosi efficaci – contenenti % variabili di eroina –  tagliate 
con sostanze farmacologicamente attive (come procaina e caffeina) o con sostanze inerti (come talco, acido 
tartarico, mannite, ecc…). L’eroina da strada è, pertanto, una miscela di sostanze. 
N.B.  la  miscela  contenente  eroina,  cocaina  ed  altre  sostanze  farmacologicamente  attive  va  sotto  il  nome  di 
“speedball”.    
Oltre alle singole dosi efficaci, circolano anche “ovuli” di eroina, nei quali la sostanza è racchiusa in stati di 
materiale  impermeabile,  capaci  di  resistere  al  pH  acido  dello  stomaco  ed  a  quello  alcalino  dell’intestino, 
dopo  deglutizione.  Si  tratta,  pertanto,  di  una  modalità  di  confezionamento  finalizzata  al  trasporto  (cdt 
“body‐packing”). 

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Farmacodinamica 
L’eroina, e più in generale gli oppioidi esogeni, producono i loro effetti farmacologici, per interazione con i 
recettori dei peptidi oppioidi endogeni. 
 
Tali recettori appartengono a 5 famiglie: 
‐ ,  responsabili  di  analgesia  sovraspinale,  euforia,  depressione  della  motilità  intestinale,  effetto 
emetico
‐ ,che mediano la dipendenza e la depressione respiratoria
‐ , responsabili di analgesia, sedazione, disforia e miosi
‐ , che mediano l’analgesia spinale
‐ , che producono disforia ed allucinazioni

Tali recettori sono accoppiati a proteine Gi che:  
‐ Inibiscono l’attività dell’adenilato ciclasi, riducendo i livelli intracellulari di cAMP

Attivano correnti in uscita di K+ 

Sopprimono correnti in entrata di Ca2+ 
Ciò produce  un’iperpolarizzazione  della membrana  plasmatica  che blocca il rilascio di NT  e la conduzione 
dello stimolo doloroso in diverse vie neuronali. 
 
 
L’uso voluttuario dell’eroina può avvenire per: 
‐ Iniezione endovenosa ( cdt “buco”), attraverso cui l’effetto compare in pochi minuti (flash) e dura circa 
due ore.  
Tale modalità di assunzione, prevalente in passato, è stata attualmente ridimensionata per l’alto rischio 
di trasmissione parenterale di malattie infettive, correlato allo scambio di siringhe. 
Continua comunque ad essere adottata soprattutto dai consumatori cronici di eroina.  
‐ Inalazione di polvere (sniffing) o fumi (snorting)  3 
Costituisce la più recente modalità di assunzione dell’eroina e giustifica la possibile assenza del segno 
dell’agopuntura nei soggetti deceduti per overdose della sostanza. 
Viene principalmente adottata dai consumatori saltuari di eroina. 
N.B.  Sebbene  l’assorbimento  dell’eroina  assunta  per  via  inalatoria  sia  rapido,  gli  effetti  prodotti  sono 
pari al 10‐20% di quelli che si osservano dopo assunzione della stessa dose per via endovenosa.  
 
 
Metabolismo 
L’eroina  viene de‐acetilata, rapidamente (10‐15 min), a 6‐monoacetilmorfina e poi, più lentamente (4‐6 h), 
a morfina, da parte di esterasi presenti nel sangue ed in distretti corporei quali SNC e fegato. 
La morfina così ottenuta è, per la maggior parte, metabolizzata, in ambito epatico, mediante coniugazione 
con  acido  glucuronico,  promossa  da  glucuronil‐trasferasi.  I  metaboliti  che  si  formano  sono  morfina‐3‐
glucuronide, ed in misura minore, morfina‐6‐glucuronide.  
I  derivati  glucuronati  della  morfina  vengono  eliminati,  principalmente,  per  via  urinaria  e,  solo  in  piccola 
parte, per via biliare. 
N.B.  La  quota  biliare  di  morfina  coniugata  aumenta  significativamente  nell’assuntore  cronico  di  eroina.  Pertanto,  il 
riscontro  all’esame  autoptico,  di  elevate  concentrazioni  biliari  di  morfina  coniugata  consente  la  diagnosi  di  abuso 
cronico di eroina. 
Metaboliti minori dell’eroina sono: 
‐ Normorfina, per demetilazione della morfina  
‐ Codeina, per metilazione dell’atomo di ossigeno in posizione 3 della morfina  
 
 
 
 
 

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Matrici biologiche su cui effettuare le indagini chimico‐tossicologiche 
 
Diagnosi di uso recente 
Un  uso  recente  di  eroina  può  essere  dimostrato  ricercandone  i  metaboliti  nelle  urine  del  presunto 
assuntore. 
Tra i diversi metaboliti urinari dell’eroina, l’unico ad indicare con certezza che il soggetto abbia fatto un uso 
recente della sostanza è la 6‐monoacetilmorfina, il cui tempo di permanenza nelle urine, tuttavia, è di sole 
poche ore dall’ultima assunzione e varia in funzione della frequenza dell’abuso. 
 
Altri  metaboliti  dell’eroina,  reperibili  nelle  urine  più  a  lungo  (anche  fino  a  4‐5  gg  dall’ultima  assunzione, 
qualora si tratti di un consumatore abituale), sono: 
‐ Morfina‐3‐glucuronide, che rappresenta il 90% dei metaboliti urinari dell’eroina 
‐ Morfina‐6‐glucuronide 
‐ Morfina libera   in percentuali molto piccole 
‐ Codeina 
Tali metaboliti urinari,  tuttavia, a differenza 6‐monoacetilmorfina, non sono esclusivi dell’eroina dato che 
possono  essere  rinvenuti  anche  nel  caso  dell’assunzione  di  altri  oppioidi,  come  ad  esempio,  la  codeina, 
contenuta in alcuni preparati analgesici ed in alcuni sciroppi per la tosse. La codeina, infatti, viene, per circa 
il 10%, demetilata a morfina, riscontrabile nelle urine, come tale, e come morfina coniugata. 
Va detto, comunque, che ad orientare circa un’assunzione recente di codeina e non di eroina è un quadro 
urinario caratterizzato da: 
‐ Alte concentrazioni di codeina 
con un rapporto codeina/morfina > 2 
‐ Basse concentrazioni di morfina 
‐ Assenza di 6‐monoacetilmorfina  
 
In  ogni  caso,  per  la  diagnosi  differenziale  tra  consumo  voluttuario  di  eroina  ed  assunzione  terapeutica  di 
farmaci  a  base  di  codeina,  alle  matrici  biologiche  tradizionali  vengono  attualmente  preferite  matrici  4 
alternative,  come  il  capello  perché,  nel  suo  contesto,  è  reperibile  la  sostanza  tale  quale,  con  eventuale 
presenza di piccole quantità dei suoi metaboliti. 
Pertanto, diagnostico dell’assunzione terapeutica di un farmaco a base di codeina è il riscontro, all’interno 
del  capello,  di  codeina  tal  quale  e  di  piccolissime  quantità  di  morfina,  con  assenza  totale  di  6‐
monoacetilmorfina e di eroina. 
Diagnostico,  invece,  dell’assunzione  di  eroina  è  il  riscontro,  nel  capello,  di  eroina  tal  quale  e  di  basse 
concentrazioni  di 6‐monoacetilmorfina e di morfina.   
N.B. 
Le matrici biologiche alternative, come il capello, inoltre, permettono di ottenere informazioni circa l’uso 
pregresso di eroina. 
La  possibilità  di  retrodatare  l’abuso  della  sostanza  stupefacente  varia  in  funzione  della  lunghezza  del 
capello:  ad  esempio,  un  capello  di  8  cm,  consente  di  valutare  le  abitudini  voluttuarie  del  soggetto  negli 
ultimi 8‐9 mesi, dato che i capelli dei caucasici crescono di circa 1 cm al mese. 
 
 
 
L’intossicazione  acuta  da  eroina  e,  più  in  generale,  da  oppioidi  viene  anche  indicata  come  “Acute 
Narcotism”.  
Tale condizione riconosce come cause: 
1. Assunzione  di  una  dose  della  sostanza  in  quel  momento  eccessiva  per  la  tolleranza  del  soggetto 
(overdose). Ciò può verificarsi per: 
‐ Cambio di fornitore, che procura al tossicodipendente una dose più ricca di principio attivo. 
‐ Consumo  della  stessa  dose,  dopo  un  periodo  di  astinenza  (determinato,  ad  esempio,  da  custodia 
cautelare in carcere o da soggiorno in comunità) durante il quale il grado di tolleranza si è ridotto.   
‐ Rottura di ovuli trasportati nel tubo digerente da body‐packers 
2. Assunzione combinata con altre sostanze ad effetto depressivo centrale, come BDZ ed alcol 

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L’intossicazione acuta da oppioidi è caratterizzata dalla seguente sintomatologia: 
‐ Miosi, con pupille a capocchia di spillo 
‐ Prurito  
‐ Sonnolenza  
‐ Diminuzione della frequenza e dell’ampiezza del respiro 
‐ Bradicardia 
‐ Ipotensione  
‐ Diminuzione della temperatura corporea 
Tale sintomatologia può evolvere in depressione respiratoria, apnea, coma e morte 
 
 
Il trattamento d’urgenza prevede: 
‐ Ventilazione del pz, il cui respiro è primariamente depresso dagli oppioidi  
‐ Somministrazione di naloxone (Narcan), antagonista dei recettori degli oppioidi.  
Il  naloxone  è  infatti  capace  di  spiazzare  tutti  gli  oppioidi,  esogeni  ed  endogeni,  dai  corrispondenti 
recettori,  mostrando,  per  tali  recettori,  un’affinità  maggiore.  Ne  consegue  un  recupero  pressoché 
immediato. Tuttavia, poiché la durata d’azione del Naloxone è inferiore a quella degli agonisti oppioidi, 
i  sintomi  di  overdose  possono  ripresentarsi  nel  giro  di  poche  h.  Si  richiedono,  pertanto, 
somministrazioni ripetute dell’antagonista ed un periodo di osservazione > 12 h.    
 
 
Diagnosi di morte da acute narcotism 
Si basa sugli stessi criteri utilizzati per la diagnosi di avvelenamento: 
1. Criterio circostanziale 
Tiene conto dell’insieme dei dati che emergono dalle indagini relative alle circostanze spazio‐temporali 
del presunto contatto con il tossico. 
Applicando il criterio circostanziale, depongono per una morte da acute narcotism:  5 
‐ Testimonianze relative all’acquisto ed al consumo dello stupefacente da parte del soggetto 
‐ Rinvenimento, durante le indagini di sopralluogo, di siringhe, residui di polvere, ecc…  
  
 
2. Criterio clinico‐anamnestico 
Tiene conto della sintomatologia che il soggetto ha manifestato e di condizioni antecedenti al fatto. 
 Applicando il criterio clinico‐anamnestico, suggeriscono una morte da acute narcotism: 
‐ Storia di consumo cronico o occasionale di eroina, precedenti trattamenti di dissuefazione, ricoveri 
ospedalieri in seguito a pregressi episodi di intossicazione acuta rivelatisi non fatali.    
‐ Evidenza clinica, precedente al decesso, di segni e sintomi di intossicazione acuta da oppioidi. 
 
 
3. Criterio anatomo‐patologico 
Tiene conto delle informazioni fornite dall’esame interno ed esterno del cadavere. 
All’esame esterno del cadavere, qualora si sospetti una morte da acute narcotism, vanno innanzitutto 
ricercati  segni  di  agopuntura,  non  solo  nelle  classiche  sedi  di  iniezione  endovenosa  (quali  piega  del 
gomito,  dorso  della  mano  e  dorso  del  piede),  ma  anche  in  sedi  insolite  (quali  vena  peniena,  vena 
giugulare, vene interdigitali dei piedi). 
In  presenza  di  un  segno  di  agopuntura,  è  necessario  valutare  se  la  lesione  sia  recente  –  e  quindi 
direttamente correlabile alla morte – o pregressa. Per far ciò, va praticato un piccolo taglio sulla cute, 
nella  sede  dell’agopuntura,  con  successiva  eversione  dei  lembi  cutanei.  Depongono  per  una  lesione 
prodotta in vita di recente, l’infarcimento emorragico del tessuto sottocutaneo attraversato dall’ago e 
la  presenza  di  un  coagulo  ematico  lungo  il  tragitto  dello  stesso.  Tali  reperti,  tuttavia,  perdono  il  loro 
valore  diagnostico  qualora  il  soggetto  sia  stato  soccorso  e  trasportato  in  ospedale  poiché  una  delle 
prime manovre consiste nel reperimento di un accesso venoso. 

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Il  riscontro,  nella  sede  dell’agopuntura,  non  di  segni  di  lesione  recente,  ma  di  cicatrici  cutanee 
pigmentate e di indurimento delle pareti venose, depone invece per un’iniezione pregressa e ripetuta 
in  quella  stessa  sede  che,  sebbene  non  direttamente  correlabile  alla  morte,  suggerisce  un  consumo 
abituale della sostanza.   
N.B. L’assenza di segni di agopuntura non consente tuttavia di escludere una morte per intossicazione 
acuta  da  eroina,  in  quanto  la  sostanza  può  anche  essere  stata  assunta  per  via  inalatoria,  evenienza 
dimostrabile mediante  tampone nasale. 
Comunque,  anche  in  caso  di  assunzione  della  sostanza  per  via  inalatoria,  il  tampone  nasale  può 
risultare negativo a causa dell’azione di lavaggio esercitata dal cdt “fungo schiumoso”: fuoriuscita, cioè, 
di una schiuma di colorito bianco‐rosaceo e di aspetto cotonoso dagli orifizi respiratori. 
Il fungo schiumoso costituisce un reperto di frequente riscontro nelle morti da acute narcotism, per la 
condizione di edema polmonare lesionale che si realizza in questo tipo di morte. 
Tale  condizione  è  responsabile,  inoltre,  della  comparsa  di  ipostasi  anti‐gravitarie  a  mantellina,  per 
ristagno  di  sangue  nel  territorio  della  vena  cava  superiore,  secondario  alla  difficoltà  di  scarico  delle 
sezione destre del cuore.  
 
All’esame interno del cadavere, tipico è il riscontro di un edema polmonare acuto (EPA).  
L’EPA  in  questione  è  di  tipo  lesionale  –  dovuto  cioè  ad  un  aumento  di  permeabilità  della  membrana 
alveolo‐capillare –  che si verificherebbe per l’ipossia determinata dalla depressione respiratoria.  
Il polmone edematoso si presenta aumentato di volume, pallido, di consistenza pastosa e scarsamente 
crepitante.  La  digitopressione  lascia  sul  viscere  un’impronta  persistente.  Dalla  superficie  di  sezione, 
umida, fuoriesce abbondante liquido sieroso, finemente schiumoso, incolore o roseo. 
Possibile è inoltre osservare spazi cistici “a nido d’ape” più marcati in corrispondenza della periferia dei 
lobi  inferiori  ed  espressione  di  una  fibrosi  polmonare  dipendete  dalla  deposizione,  nei  polmoni,  di 
polveri inerti, come il talco, introdotte attraverso il circolo ematico. 
Tale reperto suggerisce l’utilizzo di droghe per via endovenosa da molto tempo. 
Il sangue è tipicamente fluido e non bagna la provetta, data la natura asfittica della morte.  6 
A carico del SNC, si riscontrano: edema cerebrale acuto, iperemia e petecchie emorragiche. 
 
In corso di autopsia, è necessario inoltre procedere al campionamento di matrici biologiche tradizionali 
e non, da avviare alle indagini tossicologiche. 
In particolare, si prelevano:  
Campioni di: 
‐ sangue,  prediligendo  quello  femorale,  meno  soggetto  a  fenomeni  di  ridistribuzione  post‐
mortale; 
‐ urina 
‐ bile, che, se contiene alte concentrazioni di morfina coniugata, suggerisce un abuso cronico di 
eroina; 
‐ organi, come il fegato;  
‐ umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente meno degli altri del processo di 
putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere. 
Tutto il contenuto gastrico 
Capelli ed unghie, importanti soprattutto per dimostrare un abuso cronico . 
 
È necessario prelevare campioni da diversi distretti corporei al fine di valutare se la distribuzione della 
morfina,  metabolita  dell’eroina,  sia  polidistrettuale,  condizione  richiesta  per  la  diagnosi  di  acute 
narcotism. 
 
 
4. Criterio chimico‐tossicologico,   
Si  fonda  sull’identificazione  e  la  quantificazione  del  tossico  in  matrici  biologiche  ed  in  altri  reperti  e 
sull’interpretazione del dato analitico, sia esso positivo che negativo. 
 

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N.B.  Un  giudizio  conclusivo  circa  la  causa  della  morte  viene  formulato  integrando  le  evidenze  emerse 
dall’applicazione dei vari criteri.   
 
 
 
Il  consumo  cronico  di  eroina  produce  uno  stato  di  dipendenza  psichica  grave  associata  a  dipendenza 
fisica.  
 
 
 
Diagnosi di dipendenza da oppioidi su vivente 
Secondo il DM n. 186 del 1990 deve basarsi su: 
1. Riscontro  documentale  di  trattamenti  socio‐sanitari  per  le  tossicodipendenze  presso  strutture 
pubbliche e private, di soccorsi ricevuti da strutture di pronto soccorso, di ricovero per trattamento di 
patologie correlate all'abuso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, di precedenti accertamenti 
medico‐legali  
 
 
2. Constatazione di segni di assunzione abituale della sostanza 
 
 
3. Evidenza di sintomi fisici e psichici di intossicazione in atto 
 
 
4. Constatazione di una sindrome di astinenza in atto, la cui intensità va valutata.  
Ciò può essere effettuato mediante varie scale di misurazione, come quella clinica, proposta da Wesson 
e Ling, denominata COWS: Clinical Opiate Withdrawal Scale.   7 
Tale scala tiene conto di: 
1) Frequenza cardiaca a riposo, che risulta aumentata in corso di sindrome di astinenza da oppioidi 
2) Sudorazione nell’ultima mezz’ora 
3) Irrequietezza 
4) Ansia o irritabilità 
5) Midriasi pupillare 
6) Disturbi gastrointestinali (come nausea, vomito, diarrea, crampi addominali) 
7) Tremore 
8) Sbadiglio 
9) Rinorrea o lacrimazione 
10) Pelle d’oca 
11) Dolori osteoarticolari 
A ciascuno di questi segni e sintomi viene assegnato un punteggio, tanto più alto, quanto maggiore è la 
loro entità. 
Dalla somma dei singoli punteggi, se ne ottiene uno totale che consente di esprimere un giudizio circa 
presenza ed intensità della sindrome di astinenza:  
 1‐10 = s. di astinenza assente  
 1‐20 = s. di astinenza moderata  
 > 20 = s. di astinenza conclamata 
 
N.B.  Qualora,  al  momento  dell’esame,  non  sia  presente  una  sindrome  di  astinenza  è  possibile 
provocarla,  tenendo  il  soggetto  isolato  per  10‐12  h,  oppure  evocarne  solo  determinate  manifestazioni, 
mediante  l’impiego  locale  di  antagonisti  dei  recettori  degli  oppioidi  –  in  particolare  del  naloxone  – 
nell’ambito di test specifici, come il pupil test. 
Il pupil test prevede la somministrazione topica di un collirio a base di naloxone nella congiuntiva di uno 
dei due occhi del soggetto esaminato. 

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In caso di dipendenza da oppioidi, il naloxone provoca, nell'arco di 30‐60 minuti, una netta midriasi, che 
contrasta visibilmente con la miosi dell'occhio controlaterale. 
Ciò si verifica in quanto il naloxone, spiazzando gli oppioidi dai loro recettori, determina una caduta del tono parasimpatico, 
cronicamente  esaltato  nel  soggetto  dipendente  da  oppioidi,  con  conseguente  prevalenza  della  stimolazione  adrenergica  sul 
muscolo dilatatore della pupilla. 
In un soggetto non dipendente da oppioidi, invece, non produce alcun cambiamento. 
 
 
5. Presenza  di  sostanze  stupefacenti  e  dei  loro  metaboliti  in  matrici  biologiche  del  soggetto,  dimostrata 
mediante indagini chimico‐tossicologiche 

La diagnosi di tossicodipendenza da oppioidi – e più in generale da sostanze stupefacenti –  è richiesta per: 
‐ Concedere misure cautelari alternative al carcere a soggetti tossicodipendenti che accettino di seguire 
programmi di riabilitazione 
‐ Concedere  un’aspettativa  dal  lavoro  a  lavoratori  tossicodipendenti  che  decidano  di  effettuare  un 
programma di riabilitazione della durata massima di 3 anni 
 
 
 
Lo svezzamento dalla dipendenza da eroina può essere ottenuto con:  
‐ Metadone 
‐ Buprenorfina 
 
Metadone 
È un oppioide di sintesi, con effetto farmacologico molto simile a quella della morfina. 
 
Viene  impiegato  per  il  divezzamento  dell’eroinomane  poiché  presenta,  rispetto  all’eroina,  una  serie  di  8 
vantaggi: 
1. Si assume per via orale.  
Ciò,  oltre  a  prevenire  la  patologia  collaterale  da  uso  di  siringhe  infette,  determina  un  decondizionamento  dal 
"buco". 
2. Ha  un  effetto  farmacologico  prolungato,  che  dura  circa  24  ore,  consentendo,  così,  una  singola 
somministrazione giornaliera.  
3. Si associa ad un minor grado di  tolleranza verso i suoi effetti farmacologici  
 
Lo  svezzamento  metadonico  dell’eroinomane,  che  può  durare  anni,  si  attua  mediante  una 
somministrazione a scalare, iniziando con la dose minima sufficiente per prevenire la crisi da astinenza. Tale 
dose viene quindi ridotta progressivamente fino a cessarne del tutto la somministrazione. 
Se,  durante  la  disassuefazione,  il  tossicodipendente  riprende  ad  assumere  eroina,  si  vanifica  la  terapia  in 
corso ed è necessario ricominciare tutto dall’inizio. 
Per  questi  motivi,  è  necessario  che  la  terapia  metadonica  di  mantenimento  sia  sempre  supportata  da 
adeguati interventi di tipo psicologico o socio‐riabilitativo. 
 
 
Buprenorfina  
È un oppioide semisintetico (analogo della tebaina) che agisce da agonista parziale dei recettori , verso cui 
mostra un’elevata affinità. 
La disponibilità di formulazioni retard, che rendono possibile la somministrazione mono o bisettimanale del 
farmaco, costituisce un vantaggio rispetto al metadone (la cui somministrazione risulta giornaliera), poiché 
permette  di  ridurre  la  frequentazione  dei  SERT  e,  quindi,  degli  altri  tossicodipendenti,  cosa  che  funge  da 
rinforzo alla tossicodipendenza.  
 
 

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Ulteriori vantaggi: 
‐ Dipendenza fisica di minore entità e durata rispetto a quella prodotta dal metadone 
‐ Blanda sintomatologia astinenziale che si manifesta con ritardo (da 2 gg a 2 w) e che persiste per 1‐2 w 
 
 
 
Nel soggetto ex‐tossicodipendente, perfettamente disintossicato, per prevenire le ricadute, si somministra 
naltrexone, antagonista dei recettori degli oppioidi a lunga durata d’azione. Il suo uso consente di bloccare 
gli effetti farmacologici degli oppioidi esogeni eventualmente assunti. 
 
 
 
 
COCAINA 
 
La cocaina è  il principale  alcaloide estraibile dalle foglie di Erythroxylon coca, pianta originaria del Perù e 
della Bolivia. 
 
La cocaina è disponibile come: 
‐ Cocaina cloridrato o solfato 
‐ Base libera (crack) 
‐ Cocaina “superspeed” (addizionata ad amfetamine) 
‐ Crude coca paste (altamente neurotossica perché contenente residui di kerosene) 
 
La  cocaina  cloridrato  o  solfato  si  presenta  sotto  forma  di  una  polvere  bianca  cristallina  che  può  essere 
assunta: 
‐ per sniffing, fiutando, cioè, la polvere  9 
‐ per via endovenosa, da sola o mescolata ad eroina (speed‐ball). 
Si parla di “stereo‐injection” quando, in un braccio, venga iniettata cocaina ed in un altro eroina. 
 
La  base  libera  della  cocaina  (crack),  invece,  si  presenta  sotto  forma  di  cristalli  e  può  essere  assunta 
esclusivamente inalando il fumo prodotta dal riscaldamento degli stessi in apposite pipe.  
Tale operazione provoca gli scricchiolii che danno origine al suo nome. 
 
 
La  cocaina,  quando  assunta  per  via  generale  (inalatoria  o  endovenosa),  agisce  sul  SNC  dove  aumenta  la 
velocità  di  produzione  e  di  liberazione  delle  catecolamine  (in  particolare  di  dopamina  e  noradrenalina), 
bloccandone, al contempo, la ricaptazione.  
L’eccessiva  immissione  ed  il  mancato  recupero,  portano  ad  un  progressivo  impoverimento  delle  riserve 
catecolaminiche, fino al loro azzeramento. 
Il  cocainomane,  quindi,  non  ottiene  più  gli  effetti  desiderati  ed  è  costretto  ad  un  periodo  di  astinenza, 
necessario per consentire la ricostituzione delle riserve catecolaminiche. 
 
 
Gli effetti della cocaina sono dose‐dipendenti. 
In particolare, al crescere delle dose, sia hanno: 
‐ Sindrome euforica, caratterizzata da: 
 Euforia 
 Iperattività 
 Insonnia 
 Ipersessualità 
 Tendenza al comportamento aggressivo 

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‐ Sindrome disforica, caratterizzata da: 
 Ansia 
 Pianto immotivato 
 Anoressia 
 Apatia 
 Incapacità di concentrazione 
 
‐ Psicosi paranoide, i cui aspetti sono: 
 Delirio di persecuzione  
 Allucinazioni uditive, visive ed olfattive 
 Comportamento violento 
 
‐ Convulsioni 
 
‐ Morte per arresto cardiaco, da fibrillazione ventricolare  
 
 
Intossicazione acuta 
In USA, l’intossicazione acuta da cocaina è la causa più frequente di morte droga‐correlata e la prima causa 
di decesso nei soggetti di età < 35 anni (soprattutto quando assunta come Crack). 
 
In EUROPA, invece, l’intossicazione acuta da cocaina costituisce la seconda causa di morte droga‐correlata, 
dopo quella da eroina. La situazione, tuttavia, è ancora incerta poiché: 
‐ Le morti da cocaina non sono rapportabili alla dose assunta 
‐ L’overdose da sola cocaina è rara, trattandosi più spesso di una poliassunzione 
 
10 
Gli elementi caratterizzanti l’overdose da cocaina sono: 
‐ Rapidità di insorgenza  
‐ Convulsioni tonico‐cloniche  
‐ Arresto cardiaco, per fibrillazione ventricolare 
 
L’intossicazione  acuta  da  cocaina  può  inoltre  indurre  una  sindrome  coronarica  acuta,  potenzialmente 
mortale.  Il  decesso  per  intossicazione  acuta  da  cocaina  può  pertanto  essere  attribuito  ad  un  “attacco 
cardiaco”. Da qui la necessità di un’indagine tossicologica nei casi che lascino presumere l’intossicazione. 
N.B. La fisiopatologia dell’ischemia miocardica da cocaina è multifattoriale. I fattori coinvolti sono: 
‐ Aumento della richiesta miocardica di ossigeno, per incremento di frequenza e contrattilità cardiaca e 
per elevazione della pressione arteriosa 
‐ Riduzione dell’apporto miocardico di ossigeno  
‐ Accelerazione dei fenomeni aterosclerotici  
‐ Stato pro‐trombotico 
 
 
Intossicazione cronica 
L’abuso  cronico  di  cronico  di  cocaina  produce  una  forte  dipendenza  psichica,  con  modesta  tolleranza  e 
dipendenza fisica. 
 
La dipendenza da cocaina è denunciata da una sindrome d’astinenza psichica che può comparire sia dopo 
un prolungato periodo d’uso a dosaggi elevati, che dopo qualche gg di uso compulsivo. 
 
 
 
 

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La sindrome d’astinenza psichica da cocaina attraversa tre fasi successive: 
Prima  fase  o  del  crollo  (crash),  caratterizzata  da  esaurimento  psico‐fisico,  per  deplezione  acuta  di 
neurotrasmettitori. 
In essa, si hanno: ansia, agitazione, depressione, sonnolenza ed intenso craving. 
Si estende da qualche h a qualche gg, a seconda della durata e dell’intensità dell’uso.   
 
Seconda  fase  o  dell’astinenza  (withdrawal),  in  cui  il  soggetto  presenta:  apatia,  abulia,  ridotta  risposta 
emotiva agli stimoli gratificanti, sindrome amotivazionale, moderato stato ansioso, modesto craving. 
Qualora  l’uso  non  venga  rinnovato,  la  sintomatologia  si  riduce,  fino  ad  esaurirsi,  nel  giro  di  qualche 
settimana. 
 
Terza fase o dell’estinzione (extinction)  
Manca di una sintomatologia caratteristica.  
In  essa,  l’individuo  è  capace  di  reinserirsi  completamente  nel  contesto  sociale  anche  se  mantiene  una 
particolare  sensibilità  verso  situazioni  correlate  all’uso  di  cocaina,  che  possono  indurre  la  ricomparsa  di 
craving. 
La durata di questa fase è di mesi o anni.    
 
 
L’uso cronico d cocaina è inoltre responsabile di: 
‐ Danni locali, legati all’assunzione della sostanza per sniffing. 
La  cocaina,  infatti,  provoca  un’intensa  vasocostrizone  che,  nel  tempo,  può  portare  alla  necrosi  della 
mucosa ed alla tipica perforazione del setto nasale. 
 
‐ Profonde alterazioni a carico di SNC,  apparato CV e fegato che sarebbero la conseguenza di un alto 
grado di sensibilizzazione. 
La sensibilizzazione, anche nota come tolleranza inversa, consiste nella capacità di una stessa dose della  11 
sostanza stupefacente di produrre, dopo un uso prolungato, effetti più marcati.  
 
 A carico del SNC, si possono avere: 
Alterazioni psichiche 
 Psicosi  paranoide  associata  ad  euforia  e  disforia,  per  inibizione  della  ricaptazione  della 
dopamina e sensibilizzazione dei recettori dopaminergici 
Alterazioni cliniche 
 Emorragia subaracnoidea 
 Rottura di aneurismi basilari 
 Convulsioni 
 Ipertermia 
Tali eventi sono riconducibili all’effetto simpaticomimetico indiretto della cocaina. 
 
 A carico dell’apparato CV, possono verificarsi: 
 Infarto 
 Aritmie 
 Rottura dell’aorta ascendente 
 Rottura di aneurismi 
 Miocardite, con necrosi dei cardiomiociti 
  
 A carico del fegato, può insorgere una:  
 Necrosi epatica da radicali liberi 
Ciò accade qualora la cocaina percorra una via ossidativa minore che prevede la trasformazione 
della  norcocaina  in  norcocaina  nitrossido,  ad  opera  del  citocromo  P‐450.  La  norcocaina 
nitrossido  può,  infatti,  tossificarsi,  per  perdita  di  un  elettrone,  in  un  radicale  libero,  capace  di 
indurre deplezione di glutatione, con conseguente necrosi epatica da lipoperossidazione.  

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Altri possibili effetti dell’uso cronico di cocaina sono: 
‐ Bronchite cronica 
‐ Edema polmonare 
‐ Ipertonia simpatica, che si manifesta con: tachicardia, ipertensione arteriosa, ipertermia, midriasi, iperglicemia, 
aumento del metabolismo basale, vasocostrizione alle estremità 
‐ Diminuzione della secrezione gastrica ed intestinale 
‐ Rallentamento della peristalsi 
‐ Anoressia  

Metabolismo della cocaina 
La cocaina viene metabolizzata nel plasma e nel fegato da alcuni enzimi, le esterasi, che la trasformano, per 
idrolisi,  in  benzoilecgonina  –    suo  principale  metabolita  –    ed  in  altri  metaboliti  minori,  quali  l’ecgonina 
metil‐estere e l’ecgonina.  

Una  via  secondaria  di  metabolizzazione  della  cocaina  consiste  nella  sua  conversione  in  norcocaina,  per  
metilazione dell’atomo di azoto. 

N.B. Metaboliti differenti si formano in seguito al consumo della cocaina base, crack, per fumo.  
Tali metaboliti sono la metilecgonidina e l’ecgonidina.  

Un’importante  interazione  metabolica  si  verifica  quando  cocaina  ed  alcol  sono  assunti 
contemporaneamente.  
In questo caso, infatti, una parte della cocaina viene trans‐esterificata, dalle carbossilesterasi, a cocaetilene, 
metabolita  attivo,  potente  quanto  la  cocaina  nel  bloccare  la  ricaptazione  delle  CA.  Ne  consegue  un 
prolungamento degli effetti, con maggiore tossicità a carico di SNC, cuore e fegato. 
12 

L’approccio  tossicologico  per  dimostrare  un  uso  recente  di  cocaina,  prevede,  innanzitutto,  un’indagine  di 
screening,  condotta  su  urina,  mediante  tecniche  immunochimiche  (immunoassay),  che  permettono  di 
definire, in riferimento a cut‐off prestabiliti, la positività o la negatività del campione urinario per: 
‐ Cocaina, la cui permanenza nelle urine oscilla tra le 6 e le 12 h dall’ultima assunzione 
‐ Suoi metaboliti, come: 
 Benzoilecgonina, reperibile nelle urine per 2‐4 gg dall’episodio di abuso
N.B.  la  positività  del  campione  urinario  anche  per  cocaetilene  suggerisce  un’assunzione  combinata  di 
cocaina ed alcol. 

N.B.  Un  risultato  positivo  all’indagine  di  screening  non  può  assumere  valenza  forense  e  richiede 
necessariamente conferma. 
Per  conferma,  si  effettuano  determinazioni  quantitative,  mediante  spettrometria  di  massa,  su  sangue 
intero, quando l’indagine ha finalità forense; su plasma e siero, quando, invece, ha finalità clinica. 
N.B. Il prelievo va necessariamente addizionato con fluoruro di sodio per prevenire la degradazione della 
cocaina da parte di esterasi. 
N.B. la determinazione quantitativa è indispensabile per l’interpretazione tossicologica del caso. 
Il riscontro di misurabili quantità di droga costituisce una prova di assunzione recente. 

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AMFETAMINE 

Si caratterizzano chimicamente per la presenza del nucleo amfetaminico. 
Costituiscono  il  primo  gruppo  di  sostanze  stupefacenti  ad  essere  state  completamente  sintetizzate  in 
laboratorio. 

Si trovano sotto forma di pasticche, assunte per os. 

Hanno un’intensa azione  stimolante sul SNC, per potenziamento della neurotrasmissione noradrenergica, 
dopaminergica e serotoninergica. 
Tali sostanze, infatti, facilitano il rilascio delle amine biogene, ne riducono la ricaptazione e ne ostacolano la 
degradazione, inibendo le monoamino‐ossidasi (MAO).  

Effetti: 
‐ Diminuzione  dell’appetito, della sete, della stanchezza e del desiderio di dormire 
‐ Aumento dello stato di vigilanza e dell’attenzione 
‐ Senso di benessere 
‐ Incremento dell’empatia verso gli altri 
‐ Riduzione della capacità di stimare i rischi connessi a determinati comportamenti (come, ad esempio, 
guida veloce) 

L’intossicazione acuta si manifesta con un quadro sovrapponibile a quello del colpo di calore (ipertermia)  

L’uso prolungato induce una marcata dipendenza psichica associata ad una lieve dipendenza fisica. 
Come  per  la  cocaina  è  inoltre  possibile  osservare  il  fenomeno  della  tolleranza  inversa  o  sensibilizzazione 
secondo cui, una stessa dose della sostanza stupefacente, può produrre, nel tempo, effetti più intensi, con 
conseguente aumento della tossicità.  13 

L’anfetamina  di  più  largo  consumo  in  Europa  ed  in  Italia  –    dove  è  venduta  sotto  forma  di  pillole  –  è  l’ 
ecstasy [Metilen‐Diossi‐Meta‐Amfetamina (MDMA)]. 
L’ecstasy  agisce  principalmente  esaltando  il  rilascio  di  serotonina  nel  SNC,  da  cui  la  possibilità  di  causare 
danni irreversibili a carico dei neuroni serotoninergici cerebrali. 

Le amfetamine sono rilevabili in tracce nelle urine a distanza di 48 h dall’assunzione e per 2‐4 gg. 

METACLOROFENILPIPERAZINA 
Molecola di sintesi appartenente alla classe delle fenilpiperazine in grado di produrre effetti  antidepressivi 
e stimolanti. 
Viene usata a scopo ricreativo in discoteche e rave party. 
Alterando la neurotrasmissione serotoninergica, può causare ansia, attacchi di panico, confusione, tremori, 
vomito, emicrania, ipersensibilità a luce e rumori.   

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CANNABIS 

La  Cannabis  (sativa,  indica  e  ruderalis)  è  una  pianta  originaria  dell’Asia  Centrale  di  cui  si  utilizzano,  come 
sostanze stupefacenti: 
‐ Foglie ed inflorescenze femminili, essiccate e sminuzzate (marijuana pd)  
‐ Resina estratta dai fiori, che si presenta come una tavoletta di colore variabile chiamata hashish 
‐ Olio di hashish 

Il  principio  attivo,  con  effetto  stupefacente,  della  cannabis  è  il  ‐9‐tetraidrocannabinolo,  più  concentrato 
nell’hashish e, soprattutto, nell’olio di hashish (in cui può anche essere maggiore del 30%). 
N.B. (Va detto che) la Cannabis attualmente circolante contiene una quantità di  ‐9‐tetraidrocannabinolo 
più  alta  che  in  passato  e  >  10%,  con  piccole  quantità  di  cannabinolo  (il  precursore)  e  di  cannabidiolo  (il 
succedaneo). 
Ciò  è  stato  reso  possibile  dalla  selezione  genetica  delle  piante  e  dalla  loro  coltivazione  con  tecnica 
idroponica, fuori suolo, in condizioni ambientali controllate. 

Cannabis e derivati sono principalmente utilizzati insieme al tabacco per confezionare i cosiddetti “spinelli”, 
che vengono fumati. 

Quando  la  Cannabis  viene  fumata,  gli  effetti  si  manifestano  dopo  pochi  minuti  e  la  loro  durata  è  di  due‐
quattro ore. 

Tali effetti includono: 
‐ Euforia, associata a sensazione di benessere fisico e psichico 
Ciò si verifica in quanto il ‐9‐THC blocca il rilascio di GABA, da parte di neuroni GABAergici inibitori, la 
cui funzione è quella di modulare negativamente la liberazione di dopamina, ad opera di altri neuroni, 
nel  sistema  limbico.  Tali  neuroni  liberano,  quindi,  una  maggiore  quantità  di  dopamina,  a  cui  è  legato  14 
l’effetto euforizzante. 
‐ Diminuzione delle inibizioni, con aumento della socializzazione e della loquacità 
‐ Riduzione della risposta a stimoli acustici e visivi 
‐ Alterazione dei processi di memorizzazione 
‐ Aumento dell’appetito 
‐ Elevazione della frequenza cardiaca 
Il diametro pupillare resta invariato 

N.B. La cannabis ha anche effetti antidolorifici mediati da: 
‐ Recettori CB1 
‐ Recettori CB3 

Tramite i recettori CB1, il THC produce un effetto antidolorifico centrale derivante da: 
‐ Innalzamento della soglia dolorifica sia a livello cerebrale che spinale 
‐ Promozione del rilascio di oppioidi nel sistema discendente di controllo del dolore 
Ciò si dimostra efficace nel controllo del dolore neuropatico. 
Tramite  i  recettori  CB3,  il  THC  produce  un  effetto  antidolorifico  periferico  di  tipo  antinfiammatorio,  dovuto 
all’inibizione del rilascio di sostanza proinfiammatorie algogene da parte di cellule del sistema immunitario. 

L’intossicazione acuta da cannabis si manifesta sotto forma di una psicosi tossica, caratterizzata da: 
‐ Stato ansioso, fino all’attacco di panico, con sensazione di morte imminente   
‐ Stato paranoideo, con deliri di persecuzione 
‐ Allucinazioni ricorrenti 

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Vi  è  accordo  sul  fatto  che  il  consumo  di  cannabis  generi,  con  il  passare  del  tempo,  un  certo  grado  di 
tolleranza.  Non  si  associa  però  dipendenza  fisica  anche  se  sono  stati  descritti  casi  di  forte  dipendenza 
psichica. 

Il consumo abituale di cannabis ha, inoltre, ripercussioni negative su diversi organi ed apparati. 
In particolare,  
apparato  CV,  predisponendo  all’angina  ed  all’infarto  del  miocardio,  per  aumento  delle  richieste 
miocardiche di ossigeno, dipendente dall’elevazione della frequenza cardiaca.   

apparato respiratorio, a carico del quale si hanno:  
‐ Aumento del rischio di BPCO e carcinoma polmonare, causato sia dai cancerogeni che si liberano per la 
combustione del tabacco che da cancerogeni specifici, assenti nel fumo di tabacco 
‐ Formazione di vescicole sottopleuriche (blebs) che, per rottura, inducono PNX 

apparato genito‐urinario, dove si determinano:  
‐ Aumento del rischio di malformazioni embrionali 
‐ Riduzione della capacità spermatogenica 

SNC, a carico del quale possono aversi: 
‐ Perdita della memoria recente 
‐ Smascheramento di psicosi pre‐esistenti 
‐ Sindrome amotivazionale 
‐ Atrofia cerebrale 

apparato endocrino, dove si determinano:  
‐ Riduzione dei livelli di testosterone, GH, LH, FSH 
‐ Ginecomastia  15 
‐ Incremento del cortisolo 

apparato immunitario, con depressione dell’immunità cellulo‐mediata 

occhio, a carico del quale si hanno:  
‐ Iperemia congiuntivale 
‐ Fotofobia 
‐ Riduzione del potere di accomodazione 
‐ Diminuzione della pressione endoculare   

ll delta9‐tetraidrocannabinolo è rilevabile nelle urine anche per molti giorni dall’ultima assunzione. 

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ALLUCINOGENI 

L’allucinogeno più attivo è l’LSD, dietilammide dell’acido lisergico, alcaloide della segale cornuta, un fungo 
che parassita la segale ed altre graminacee. 
La  sostanza  può  presentarsi  sotto  forma  di  un  liquido  incolore,  simile  all’acqua,  oppure  di  piccoli  cristalli 
bianchi. 
Nel  commercio  clandestino  si  trova  distribuito  in  piccole  ampolle,  in  capsule  gelatinose,  spalmato  sui 
francobolli. 

Effetti  
‐ Confusione cognitiva e percettiva 
‐ Perdita dei confini spazio‐temporali 
‐ Allucinazioni geometriche 
‐ Flash di colori 
‐ Difficoltà di distinguere l’immaginario dalla realtà 

I consumatori descrivono l’esperienza di consumo della droga come viaggi o “trip”. 

La dipendenza da allucinogeni è esclusivamente di tipo psichico. 
L’uso prolungato determina disturbi psicotici. 

L’LSD  agisce  a  dosaggi  talmente  bassi  (25  microngrammi)  da  risultare  estremamente  difficoltoso  il 
rilevamento di tracce del tossico nei liquidi organici e nei tessuti. 

KETAMINA  16 
Anestetico per uso sia veterinario che umano, recentemente oggetto di abuso perché a piccole dosi causa 
dissociazione psichica e lieve analgesia. 
Dosaggi  sub‐anestetici  sono  infatti  capaci  di  indurre  forti  allucinazioni  visive  ed  uditive,  definite  come  di 
“pre‐morte”, con apparenti visioni del futuro (flashforward) e vista del proprio corpo dall’esterno. 
Nella fase di risveglio possono manifestarsi: 
‐ Eccitazione 
‐ Sogni vividi 
‐ Confusioni mentale 
‐ Comportamento irrazionale 
‐ Aumento del tono della muscolatura scheletrica con comparsa di movimenti tonici e clonici, simili alle 
convulsioni 

NUOVE SOSTANZE PSICOATTIVE (NPS)  
Hanno le seguenti caratteristiche: 
1. Natura sintetica ma, in % minore, anche vegetale
2. Notevole potenza ed elevata tossicità
3. Effetti e danni principali su psiche, sistema nervoso e cuore
4. Numero elevato (oltre 1000), con varianti facilmente ottenibili
5. Facile reperibilità, per la possibilità di essere vendute, su Internet e negli smart shop, “mimetizzate” in
co‐marketing con altre sostanze e merci varie
6. Assuntori di età compresa tra 15 e 55 anni, spesso inconsapevoli dei reali contenuti
7. Di difficile individuazione laboratoristica e diagnosi nelle emergenze
8. Non ancora rese illegali in molti paesi
9. Rapida diffusione a livello internazionale

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LEGISLAZIONE IN TEMA DI STUPEFACENTI 

Riferimenti normativi 
‐ DPR  n°309/90  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e  delle 
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) 

‐ DL  n°60/93  (contenente  modifiche  al  DPR  309/90  in  materia  di  provvedimenti  restrittivi  da 
adottare nei confronti di tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso programmi 
terapeutici) 

‐ Legge n°49/2006 – cdt “Fini‐Giovanardi” – che include disposizioni per favorire il recupero di 
tossicodipendenti recidivi e modifiche al DPR n°309/90 

‐ Legge n°38/2010 (relativa alla dispensazione di farmaci per la terapia del dolore) 

‐ Sentenza  della  Corte  Costituzionale  n°32,  del  12  febbraio  del  2014  che  ha  dichiarato 
l’illegittimità  costituzionale  della  normativa  sugli  stupefacenti  contenuta  nella  Legge 
n°49/2006, per violazione dell’articolo 77 della Costituzione.  
La riforma del DPR n°309 del ‘90, infatti, era stata attuata inserendo, in un DL concernente il finanziamento delle 
Olimpiadi invernali di Torino, norme che il Parlamento stava esaminando da tempo e prive della minima coerenza 
con l’oggetto del provvedimento d’urgenza adottato dal Governo.   

‐ Legge n.79/2014, promulgata  per:  
 superare la situazione di incertezza giuridica dovuta alla pronuncia di incostituzionalità della Legge 17 
n°49/2006, da parte della Corte Costituzionale, con la sentenza n°32, del 12 febbraio 2014. 
 evitare che sfuggissero al controllo del Ministero della Salute quelle sostanze psicoattive introdotte
nel sistema tabellare, sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche, tra la data di entrata in vigore 
della  Legge  n°49/2006  e  quella  di  pubblicazione  in  Gazzetta  Ufficiale  della  sentenza  della  Corte 
Costituzionale.     
La Legge in questione contiene: 
 Modifiche al DPR 309/90
 Rideterminazione delle tabelle

L’attuale sistema tabellare, così come modificato dalla Leggen°79/2014, identifica 5 tabelle: 
‐ Le prime 4, si riferiscono a sostanze stupefacenti e psicotrope in grado di indurre dipendenza 
‐ La quinta, a farmaci contenenti sostanze capaci di produrre dipendenza 

Tabella I  
1. Oppio ed oppioidi
2. Foglie di coca ed alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili
3. Sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale
4. Ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare
dipendenza  fisica  o  psichica  dello  stesso  ordine  o  di  ordine  superiore  a  quelle  precedentemente
indicate
5. Indolici  –  sia  triptaminici  che  lisergici  –  e  derivati  feniletilamminici,  che  abbiano  effetti  allucinogeni  o
che possano provocare distorsioni sensoriali
6. Sostanze  sintetiche  o  semisintetiche,  che  siano  riconducibili,  per  struttura  chimica  o  per  effetto
farmaco‐tossicologico, al tetraidrocannabinolo
7. Ogni  altra  pianta,  sostanza  naturale  o  vegetale  in  grado  di  produrre  allucinazioni  o  gravi  distorsioni
sensoriali

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Tabella II 
1. Cannabis e prodotti da essa ottenuti

Tabella III 
1. Barbiturici  con  notevole  capacità  di  indurre  dipendenza  fisica  o  psichica  o  entrambe,  nonché  altre
sostanze con effetto ipnotico‐sedativo ad essi assimilabili.  
Sono  pertanto  esclusi  i  barbiturici  a  lunga  durata  d’azione  e  di  accertato  effetto  antiepilettico  ed  i 
barbiturici a breve durata d’azione – impiegati come anestetici generali –  sempre che tali sostanze non 
comportino pericoli di dipendenza.  

Tabella IV 
1. Sostanze per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di
intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III 

Tabella V o “dei medicinali”  
Viene suddivisa in 5 sezioni, in relazione al decrescere del loro potenziale di abuso 
Sezione A 
1. Sostanze analgesiche oppiacee
2. Farmaci riportati nell’allegato III bis al T.U. impiegati per il trattamento del dolore severo (come morfina, idromorfone, codeina
ossicodone, fentanyl) e della tossicodipendenza da oppiacei (come metadone e buprenorfina)
3. Barbiturici  capaci  di  indurre  una  grave  dipendenza  psico‐fisica  ed  altre  sostanze  con  effetto  ipnotico‐sedativo  ad  essi
assimilabili
4. Sostanze di corrente impiego terapeutico capaci di indurre una grave dipendenza psico‐fisica

Sezione B 
1. Sostanze  di  corrente  impiego  terapeutico  capaci  di  indurre  una  dipendenza  fisica  o  psichica  di  intensità  minore  a  quella
prodotta dai medicinali elencati nella sezione A 
2. Barbiturici ad azione antiepilettica e barbiturici con breve durata d'azione
3. Benzodiazepine che possono dar luogo ad abuso e farmacodipendenza  18 
Sezione C 
1. Composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella sezione B, da sole o in associazione con altri principi attivi, per i
quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica. 

Sezione D 
1. Medicinali contenenti le sostanze elencate nelle sezioni precedenti, da sole o in associazione con altri principi attivi, quando,
per  la  loro  composizione  qualitativa  e  quantitativa  o  per  le  loro  modalità  d’uso,  presentino  rischi  di  abuso  o  di 
farmacodipendenza di grado inferiore.  
2. Composizioni medicinali per uso parenterale a base di benzodiazepine
3. Composizioni medicinali, per uso diverso da quello iniettabile, le quali, in associazione con altri principi attivi non stupefacenti,
contengono  alcaloidi  totali  dell'oppio  con  equivalente  ponderale  in  morfina  non  superiore  allo  0,05  per  cento  in  peso;  le
suddette  composizioni  medicinali  devono  essere  tali  da  impedire  praticamente  il  recupero  dello  stupefacente  con  facili  ed
estemporanei procedimenti estrattivi.

Sezione E 
1. Medicinali  contenenti  le  sostanze  elencate  nella  tabella  dei  medicinali,  sezioni  A  o  B,  da  sole  o  in  associazione  con  altre
sostanze attive ad uso farmaceutico, quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le modalità del loro uso, 
presentino rischi di abuso o di farmacodipendenza di grado inferiore a quelli dei farmaci elencati nella tabella dei medicinali, 
sezioni A, B, C o D. 

Prescrizione dei medicinali tabellati 

La prescrizione dei medicinali elencati nella sez. A va effettuata su ricetta ministeriale speciale a ricalco, di 
colore rosso, dispensata ai medici che ne fanno richiesta. 
Per i medicinali iscritti nell’allegato III bis al T.U., la prescrizione può essere effettuata anche su ricettario del SSN, a 
patto che il SSN dispensi il farmaco prescritto. 

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La prescrizione dei medicinali indicati nella  sezione A può comprendere un solo medicinale, per una cura di 
durata non superiore a 30 giorni.  
La prescrizione dei farmaci contenuti nell’allegato III bis al T.U. viene invece agevolata e può riguardare: un 
medicinale a due diversi dosaggi oppure due diversi medicinali, per una terapia non > 30 gg.  

Nella ricetta bisogna indicare:  
‐ Cognome e nome dell'assistito  
‐ Dose prescritta, posologia e modo di somministrazione 
‐ Indirizzo e numero telefonico professionali del medico chirurgo da cui la ricetta è rilasciata 
‐ Data  
‐ Firma del medico chirurgo prescrittore  
‐ Timbro personale dello stesso 

La ricetta deve essere compilata in duplice copia a ricalco, per i medicinali non forniti dal SSN e in triplice 
copia a ricalco, per i medicinali forniti in regime di SSN: 
‐ l’originale  è  destinata  al  farmacista  (che  la  deve  conservare  per  due  anni  dall’ultima  registrazione, 
eseguita nel registro) 
‐ una copia  va al SSN (per le prescrizioni in regime di SSN). 
‐ una copia deve essere sempre conservata dall’assistito, per giustificare il possesso di tali medicinali. 

N.B.  La  prescrizione  dei  medicinali  compresi  nella  sezione  A,  qualora  utilizzati  per  il  trattamento  di 
disassuefazione  dagli  stati  di  tossicodipendenza  da  oppiacei  o  di  alcool‐dipendenza,  va  effettuata  nel 
rispetto  del  piano  terapeutico  predisposto  da  una  struttura  sanitaria  pubblica  o  da  una  struttura  privata 
autorizzata.  
La  persona  alla  quale  sono  consegnati  in  affidamento  i  medicinali    è  tenuta  ad  esibire,  su  richiesta  di 
pubblici ufficiali, la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso. 
19 
I  medici  sono  autorizzati  ad  approvvigionarsi  dei  medicinali  contenuti  nell'allegato  III‐bis,  attraverso 
autoricettazione –  utilizzando la stessa ricetta ministeriale a ricalco –  per uso professionale urgente.  
In  questo  caso,  una  copia  della  ricetta  va  conservata  dal  medico  che  deve  tenere  un  registro  delle  prestazioni  effettuate, 
annotandovi  le  movimentazioni,  in  entrata  ed  uscita,  dei  medicinali  di  cui  si  è  approvvigionato  e  che  successivamente  ha 
somministrato.  
Il  registro  delle  prestazioni  non  è  di  modello  ufficiale  e  deve  essere  conservato  per  2  anni  a  far  data  dall'ultima  registrazione 
effettuata; le copie delle autoricettazioni vanno conservate, come giustificativo dell'entrata, per lo stesso periodo del registro. 

Per i medicinali contenuti nelle sezioni B , C e D,  la prescrizione va effettuata su ricetta non ripetibile, che 
deve essere trattenuta da parte del farmacista.  

I medicinali inclusi nella sezione E sono prescrivibili mediante ricetta ripetibile fino a 5 volte, in 30 giorni; se 
viene prescritta più di una confezione, tuttavia, la ricetta diventa non ripetibile. 

N.B. È fatto divieto di consegnare sostanze e preparazioni riportate nella tabella dei medicinali a persona minore o manifestamente 
inferma di mente. 
Nel  caso  di  persona  inferma  di mente,  si  consegna  il  medicinale  al  tutore  o  si  somministra  al  pz  la  singola  dose,  aspettando che 
quest’ultimo l’assuma. 

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Registro di entrata e uscita 

I responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere devono dotarsi di un registro di 
carico e scarico su cui va annotato, in ordine cronologico, il movimento, in entrata ed in uscita, dei farmaci 
appartenenti alle sezioni A, B e C della tabella dei medicinali. 
Tale registro deve essere conservato per 2 anni dal giorno dell’ultima registrazione.  
Anche le UO delle strutture sanitarie pubbliche e private e dei servizi territoriali delle ASL sono obbligate a 
detenere il medesimo registro di carico e scarico.  
Il registro va vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione.  
Il registro deve essere conservato, in ciascuna UO, dal responsabile dell'assistenza infermieristica, per 2 anni dalla data dell'ultima 
registrazione. 
Il dirigente medico dell’UO è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale dei medicinali di cui 
alle sezioni A, B e C della tabella dei medicinali. 
Il direttore responsabile del servizio di farmacia compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri di reparto e 
redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria. 

Sanzioni 

Le sanzioni applicate all’utilizzo illecito delle sostanze stupefacenti o psicotrope possono essere di natura:  
‐ Penale (art. 73) 
‐ Amministrativa (art. 75) 

La discriminante tra sanzione penale e sanzione amministrativa risiede nell’uso personale della sostanza. 

La sanzione penale scatta, infatti, per chiunque illecitamente detenga sostanze stupefacenti o psicotrope in 
quantità maggiori di quelle massime detenibili ad uso personale* – fissate con decreto del ministero della  20 
salute  –  oppure se le modalità di presentazione o le circostanze dell’azione fanno presuppore un uso non 
personale.  

*La quantità massima di sostanza detenibile ad uso personale viene calcolata stabilendo, innanzitutto, la
singola dose media in mg della sostanza intesa come la quantità di principio attivo, per singola assunzione, 
idonea a produrre un effetto stupefacente in un tossicodipendente medio (non si fa quindi riferimento alla 
dose farmacologicamente attiva, dato che l’effetto stupefacente viene condizionato dal grado di tolleranza 
dell’individuo). 
Alla singola dose media della sostanza si applica quindi un fattore di moltiplicazione, che indica il numero di 
dosi detenibili dal soggetto.  

La sanzione penale viene inoltre applicata a chiunque detenga illecitamente farmaci inclusi nella sez. A della 
tabella dei medicinali, in quantità superiori a quelle prescritte dal medico curante.  
La  si  applica  anche  a  chiunque  illecitamente  produca  o  commercializzi  sostanze  chimiche  di  base  o 
precursori utilizzati nella produzione clandestina di stupefacenti. 

Con la legge n°79/2014, le sanzioni penali vengono rese più miti per le sostanze elencate nelle tabelle II e 
IV,  in termini sia di durata della reclusione che di ammontare della multa. 

Qualora,  invece,  si  configuri  una  condizione  di  uso  personale,  il  soggetto  viene  convocato  dal  prefetto,  il 
quale: 
1. Valuta le sanzioni amministrative da applicare e la loro durata
 sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla;
 sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla;
 sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
 sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

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2. Invita l’interessato a seguire un programma di riabilitazione presso una struttura qualificata.
Se  l’interessato  si  sottopone  al  programma  di  riabilitazione,  con  esito  positivo,  le  sanzioni
amministrative vengono revocate.

Nel  caso  in  cui  l’interessato  non  si  presenti  al  colloquio  con  il  prefetto,  quest’ultimo  procede 
all’applicazione delle sanzioni amministrative. 

Con  la  legge  n°79/2014,  la  durata  delle  sanzioni  amministrative  viene  resa  più  breve  per  le  sostanze 
elencate nelle tabelle II e IV  

Permangono provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica, art.75‐bis, secondo cui, qualora in relazione 
alle  modalità  o  alle  circostanze  dell’uso  personale  possa  derivare  un  pericolo  per  la  sicurezza  pubblica, 
l’interessato  che  risulti  già  condannato  (per  reati  contro  la  persona  o  il  patrimonio,  spaccio  di  stupefacenti, 
infrazione del CdS) può essere sottoposto ad una o più delle seguenti misure: 
‐ Obbligo di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscirne prima di un ora 
prefissata 
‐ Divieto di frequentare determinati locali pubblici 
‐ Divieto di allontanarsi dal comune di residenza 
‐ Divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore  
‐ Obbligo  di  comparire  presso  comandi  di  Polizia  o  Carabinieri  negli  orari  di  entrata  e  di  uscita  dalle 
scuole 

Se  l’interessato  si  sottopone  al  programma  riabilitativo  con  esito  positivo,  tali  provvedimenti  vengono 
revocati. 

21 

Tutela del tossicodipendente 

In  tema  di  tutela  del  tossicodipendente,  al  fine  di  consentire  l’adesione  a  programmi  terapeutici  di 
dissuefazione  da  sostanze  stupefacenti  o  abitudini  alcoliche,  nonché  a  programmi  socio‐riabilitativi  di 
recupero  e  reinserimento  sociale,  il  Legislatore  ha  previsto  una  serie  di  agevolazioni  per  il  tossico/alcol 
dipendente che è intenzionato a curarsi.  
Tali agevolazioni includono: 
1. Arresti domiciliari, come alternativa alla custodia cautelare in carcere, quando imputata è una persona
tossicodipendente  o  alcol‐dipendente  che  abbia  in  corso  un  programma  terapeutico  di  recupero  e 
l'interruzione  del  programma,  come  conseguenza  della  carcerazione,  possa  pregiudicare  il  recupero 
dell'imputato.  
Ciò  vale  anche  se  una  persona  tossicodipendente  o  alcol‐dipendente,  che  è  in  custodia  cautelare  in 
carcere,  intenda  sottoporsi  ad  un  programma  di  recupero,  previa  istanza  dell’interessato  e 
certificazione  attestante  l’uso  abituale  o  lo  stato  di  dipendenza  da  alcol  e/o  stupefacenti 
(diagnosticabile mediante la procedura prevista dal Decreto ministeriale n. 186 del 1990). 
In  questo  caso,  il  Giudice  dispone  i  controlli  necessari  per  accertare  l’adesione  al  programma 
terapeutico. 
Il  responsabile  della  struttura  presso  cui  si  svolge  il  programma  terapeutico  di  recupero  e  socio‐
riabilitativo  è  tenuto  a  segnalare  all'autorità  giudiziaria  eventuali  violazioni  commesse  dalla  persona 
sottoposta al programma che comportano la revoca o la sospensione delle agevolazioni.  

2. Affidamento in prova al Servizio Sociale

3. Sospensione della pena detentiva

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Tutela della collettività 

Gli articoli del DPR 309/90 finalizzati alla tutela della collettività, invece, sono:  
‐ Art.  108:  Azione  di  prevenzione  ed  accertamenti  sanitari  in  occasione  delle  selezioni  per  la  leva  o  per 
l’idoneità a mansioni militari 

‐ Articolo 109: Stato di tossicodipendenza degli arruolati o dei militari in servizio permanente 

‐ Articolo  124:  Aspettativa  dal  lavoro  per  il  lavoratore  tossicodipendente  che  si  sottopone  ad  un 
programma terapeutico o di riabilitazione, della durata massima di 3 anni  

‐ Articolo  125:  Accertamenti  di  assenza  di  tossicodipendenza  in  lavoratori  destinati  a  mansioni  che 
comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi 

Le  categorie  lavorative  su  cui  effettuare  accertamenti  di  assenza  di  tossicodipendenza  sono  state 
delineate nella tabella stilata dalla conferenza stato‐regioni (CSR) del 2007.  
Tra esse rientrano: 
‐ Mansioni inerenti le attività di trasporto   
‐ Impiego di gas tossici  
‐ Fabbricazione e uso di fuochi di artificio  
‐ Posizionamento e brillamento mine  
‐ Direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari 

A stabilire, in tali categorie lavorative,  i tempi e le modalità dell’accertamento è il DL n. 81 del 2008 (TU 
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). 
Secondo  l’art.  41  (sorveglianza  sanitaria)  del  DL,  infatti,  la  verifica  dell’assenza  di  condizioni  di  alcol‐
dipendenza e di assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope va effettuata dal medico competente  22 
– con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità alla mansione – in occasione di:
‐ Visita medica preventiva (post‐assuntiva) 
‐ Visita medica periodica  
‐ Visita medica su richiesta del lavoratore 
‐ Visita medica in occasione del cambio della mansione  
‐ Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro  

Dal 2009, sono state introdotte anche: 
‐ Visita medica preventiva, in fase pre‐assuntiva 
‐ Visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un periodo di assenza per motivi di salute 
della durata superiore ai 60 giorni continuativi 

Il  medico  competente  (MC),  per  accertare  che  il  lavoratore  non  assuma  sostanze  stupefacenti  e 
psicotrope, deve innanzitutto indagare circa:     
‐ Pregressi trattamenti per tossicodipendenza 
‐ Infortuni lavorativi ed incidenti avvenuti in ambito lavorativo e non 
‐ Ritiro della patente di guida o del porto d’armi a seguito di precedenti verifiche medico‐legali 
‐ Presenza di segni obiettivi di assunzione abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope 
‐ Presenza di segni e sintomi suggestivi di intossicazione in atto da  parte delle stesse sostanze 

Il  MC,  qualora  rilevi  alla  visita  elementi  clinico‐anamnestici  indicativi  d’uso  di  sostanze  stupefacenti  o 
psicotrope,  rilascia  un  giudizio  di  “temporanea  inidoneità  alla  mansione”  e  invia  il  lavoratore  al  SERT 
per  ulteriori  accertamenti,  non  richiedendo,  in  tal  caso,  esami  complementari  tossicologici  di 
laboratorio. 

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Qualora,  invece,  NON  rilevi  segni  e  sintomi  suggestivi  di  assunzione  di  sostanze  stupefacenti  o 
psicotrope,  procede  con  accertamenti  tossicologici  di  primo  livello  che  comprendono  un  test  di 
screening ed un eventuale test di conferma, in caso di non negatività del primo. 
Tali  indagini  tossicologiche  vengono  praticate  su  di  un  campione  urinario  di  cui  il  MC  è  responsabile 
della raccolta, che andrà effettuata a vista, per garantirne identità, autenticità e integrità. 
Il  test  di  screening  può  essere  praticato  dallo  stesso  MC  mediante  kit  immunochimico  di  diagnostica 
rapida oppure demandato al laboratorio di riferimento regionale. 
In  caso  di  negatività  del  test  di  screening  per  ogni  classe  di  sostanze,  il  MC  comunica,  per  iscritto,  al 
datore  di  lavoro  ed  al  lavoratore,  un  giudizio  di  “idoneità  alla  mansione  in  assenza  di  altre 
controindicazioni”. 
In  caso  di  non  negatività  del  test  di  screening  per  una  o  più  classi  di  sostanza,  il  MC  deve  richiedere 
esami  di  conferma  che  andranno  eseguiti  dal  laboratorio  di  riferimento  regionale  con  tecnica 
cromatografica in fase gassosa o liquida, accoppiata a spettrometria di massa. 
Se la positività del campione viene confermata, il MC comunica, per iscritto, al datore di lavoro ed al 
lavoratore,  un  giudizio  di  “temporanea  inidoneità  alla  mansione”  e  invia  il  lavoratore  alla  struttura 
sanitaria competente (Ser.T.), per gli accertamenti di secondo livello, il cui scopo è quello di dimostrare 
una condizione di tossicodipendenza. 
Qualora  non  venga  diagnosticata  una  condizione  di  tossicodipendenza,  il  lavoratore  sarà  comunque 
sottoposto ad uno specifico monitoraggio individualizzato, per almeno sei mesi, a cura del MC. 
Qualora,  invece,  venga  diagnosticato  uno  stato  di  tossicodipendenza,  il  lavoratore,  per  essere 
riammesso  all’esercizio  della  mansione,  dovrà  sottoporsi  ad  un  programma  terapeutico 
individualizzato. 
L’esito positivo del programma terapeutico potrà essere certificato dal Ser.T. solo dopo almeno dodici 
mesi di remissione completa dall’uso di sostanze tabellate. 

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ALCOLISMO 
Per  alcolismo,  s’intende  uno  stato  di  intossicazione  acuta  o  cronica  determinata  dall’abuso  di  bevande 
alcoliche. 
Secondo la legge quadro n. 125 del 2001, per bevanda alcolica, s’intende ogni prodotto contenente alcol 
alimentare  con  gradazione  superiore  all’1,2%  di  alcol  in  volume  e,  per  bevanda  superalcolica,  ogni 
prodotto con gradazione superiore al 21% di alcol in volume. 

Intossicazione acuta da alcol 
Può  verificarsi  sia  per  ingestione  di  bevande  alcoliche  o  superalcoliche  (modalità  di  assunzione  più 
frequente) sia per inalazione di vapori di etanolo (quest’ultima evenienza riguarda soprattutto soggetti che 
vi sono esposti per motivi professionali). 

Assorbimento 
L’alcol  etilico,  assunto  per  os,  viene  assorbito,  per  il  20%,  dallo  stomaco  e,  per  il  restante  80%, 
dall’intestino. 
Tra i fattori che influenzano l’assorbimento gastro‐intestinale dell’alcol rientrano:  
‐ Quantità di bevanda ingerita 
‐ Grado  di  concentrazione  alcolica  della  bevanda  assunta:  l’assorbimento  è,  infatti,  tanto  maggiore 
quanto più elevata è la concentrazione di alcol  
‐ Concomitante  ingestione  di  cibo  che,  ritardando  lo  svuotamento  gastrico,  rallenta  l’assorbimento 
dell’alcol. 
Il picco di concentrazione plasmatica dell’etanolo viene infatti raggiunto in 5‐10 min, se l’individuo è a 
stomaco vuoto; in 40 min, se l’individuo è a stomaco  pieno. 
‐ Stato della mucosa gastrica che, quando infiammata o lesa, esalta l’assorbimento dell’alcol. 
24 
I livelli ematici di etanolo sono, inoltre, condizionati da un metabolismo di primo passaggio, che si realizza 
ad opera dell’alcol‐deidrogenasi, presente sia nella mucosa dello stomaco che nel  fegato. 
N.B. Il metabolismo gastrico di primo passaggio dell’etanolo avviene in misura minore nelle donne che negli 
uomini e ciò giustificherebbe la maggiore sensibilità mostrata dalle prime verso gli effetti della sostanza. 

Il  90‐98%  della  dose  assunta  di  etanolo  viene  eliminato  per  metabolismo  epatico,  principalmente  (90%) 
promosso  dall’alcol‐deidrogenasi,  che  converte  l’etanolo  in  acetaldeide,  e  dall’acetaldeide  deidrogenasi, 
che trasforma l’acetaldeide in acido acetico, a sua volta, immesso nel ciclo di Krebs. 
Ogni passaggio metabolico richiede l’apporto di NAD+, la cui disponibilità limita il metabolismo dell’etanolo 
a circa 8 g o 10 mL l’ora, in un individuo adulto di 70 kg. 
Il metabolismo dell’etanolo ad opera dell’alcol‐deidrogenasi è influenzato da vari fattori quali: 
‐ Età 
I bambini fino ai 10 anni, infatti, mancano di alcol‐deidrogenasi 
‐ Etnia 
Ad  esempio,  gli  indiani  d’America  e  gli  asiatici  presentano  un’isoforma  dell'alcol  deidrogenasi  con 
ridotta attività  

Negli epatociti, il catabolismo dell’etanolo, oltre che dall’alcol‐deidrogenasi, può anche essere mediato da: 
‐ Sistema microsomiale di ossidazione dell’etanolo (MEOS), 8% 
‐ Catalasi, 2%  
Sebbene si tratti di vie cataboliche minori, l’attivazione dei MEOS può aumentare, in caso di sovraccarico 
funzionale da ingestione di alcol, sino al 25% o sino al 50%, nell’alcolista cronico.  

Il restante 2‐10% dell’etanolo ingerito viene eliminato immodificato attraverso i reni, i polmoni e la cute. 

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Curva alcolemica 
La  concentrazione  ematica  dell’etanolo  segue  una  curva  caratterizzata  dalla  relativa  rapidità  della  parte 
ascendente,  che  corrisponde  alla  fase  di  assorbimento  post‐ingestione,  e  dalla  lentezza  della  parte 
discendente, che corrisponde alla fase di degradazione.  
Tale andamento indica che, dopo l’ingestione, la concentrazione dell’alcol nel sangue cresce rapidamente, 
mentre il ritorno ai valori normali avviene in modo più lento. 
Ciò giustifica il pericolo, anche mortale, legato all’ingestione troppo rapida di elevate quantità di etanolo. La 
lentezza  della  fase  di  degradazione  rende  infatti  conto  del  pericoloso  fenomeno  dell’accumulo,  che  può 
portare al raggiungimento della dose tossica mortale. 

Meccanismo d’azione sul SNC 
L’alcol è un depressore del SNC che agisce stimolando la neurotrasmissione inibitoria, per attivazione dei 
recettori GABAA e riducendo quella eccitatoria, per inibizione dei recettori NMDA del glutammato.  
Ciò produce: 
‐ Effetti ansiolitici 
‐ Innalzamento della soglia di percezione del dolore e del freddo 
‐ Diminuzione della coordinazione motoria 
‐ Euforia  e  stimolazione  comportamentale,  attraverso  meccanismi  di  disinibizione  dell’attività  di  alcuni 
centri nervosi, per depressione di quelli più elevati deputati al controllo inibitorio 

Le  manifestazioni  cliniche  dell’intossicazione  acuta  da  alcol  variano  principalmente  in  rapporto  alla  sua 
concentrazione ematica ma, anche, ad altri fattori, quali: 
‐ Tolleranza individuale  
‐ Età e stato anteriore del soggetto 
25 
Alcolemia (g/L) 
0,2   Socievolezza, espansività, rossore del volto 

0,5‐0,8  Diminuzione  dei  freni  inibitori,  per  azione  depressiva  sui  centri 
superiori della corteccia cerebrale 
Deficit delle prestazioni intellettive e sessuali 
Restringimento del campo visivo 
0,8‐1,5  Disturbi dell’equilibrio e dei movimenti 
Aggravamento del deficit delle prestazioni intellettive 
Allungamento dei tempi di reazione  
Torpore e sonnolenza 
> 1,5  Stato conclamato di ubriachezza con atassia ed agrafia 
> 2,5  Stato prima stuporoso e poi comatoso fino alla morte che si verifica 
per paralisi dei centri respiratori  

Ebbrezza patologica 
Si parla di ebbrezza patologica quando, in un certo individuo, esiste un’abnorme reattività all’alcol. 
L’ebbrezza può pertanto essere provocata da dosi minime della sostanza. 
L’esordio è generalmente brusco, con agitazione psicomotoria e disturbi dello stato di coscienza. 
Frequentemente  si  verificano  disturbi  mnesici,  per  cui  il  soggetto  può  perdere  completamente  o 
parzialmente i ricordi relativi a fatti commessi durante tale stato. 

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Intossicazione cronica da alcol 
L’intossicazione cronica  si manifesta con un lento, ma progressivo, degrado fisico e psichico dell’assuntore, 
correlato ad uno stato di dipendenza fisica e psichica dall’alcool (sindrome da dipendenza alcolica). 
Le  caratteristiche  dell’alcolismo  cronico  ricalcano  quelle  proprie  di  qualsiasi  altro  stato  di 
tossicodipendenza: 
1. Desiderio invincibile di alcolici (craving)
2. Tolleranza,  ovvero  necessità  di  aumentare  progressivamente  le  dosi  di  alcol  per  ottenere  gli  stessi
effetti (addiction)
3. Dipendenza, prima, psichica e, poi, anche fisica nei confronti dell’alcol (obligation)
4. Comparsa  di  crisi  di  astinenza,  in  caso  di  brusca  sospensione  dell’assunzione  cronica  di  alcol;  è  una
conseguenza dello stato di dipendenza fisica.
5. Comparsa di disturbi comportamentali nocivi alla vita di relazione dell’alcoolista ed alla collettività.

I diversi quadri clinici dell’intossicazione cronica da alcol si caratterizzano per la coesistenza di alterazioni 
somatiche e psichiche, di varia importanza e gravità. 
Tra le alterazioni somatiche più rilevanti rientrano: 
‐ Epatopatia alcolica, fino a quadri conclamati di cirrosi epatica 
‐ Gastrite cronica 
‐ Pancreatite cronica 
‐ Miocardiopatia tossica 
‐ Alterazioni endocrine (amenorrea ed ipotrofia dei testicoli 
‐ Polinevrite alcolica 
‐ Alterazioni dei riflessi 
‐ Incertezza della deambulazione, del mantenimento della stazione eretta e della coordinazione motoria 

Per quanto riguarda le sindromi psichiatriche da dipendenza alcolica, vanno menzionate:  
‐ Alterazione organica della personalità o pseudo‐psicopatia alcolica.   26 
Si manifesta con: 
 Compromissione dei poteri intellettivi e volitivi
 Deperimento del proprio ruolo lavorativo e familiare
‐ Delirium tremens 
È caratterizzato da: 
 Allucinazioni a contenuto terrifico, zoopsie e microzoopsie (i malati vedono, cioè, sul proprio corpo
mostri, animali ed insetti immondi)
 Grave episodio di tremore
 Insonnia
‐ Psicosi di Korsakow 
Consiste in una sindrome amnesica, con incapacità di ricordare esperienze recenti 
‐ Allucinazione alcolica 
È  caratterizzata  da  allucinazioni  prevalentemente  uditive  (voci)  generalmente  vissute  in  condizioni  di 
lucidità di coscienza e correlate a deliri di tipo persecutorio o a contenuto sessuale 
‐ Sindrome di Wernicke 
Consiste nell’associazione di: oftalmoplegia, atassia, disturbi mentali di tipo onirico‐confusionale 
È stata ricondotta ad un’avitaminosi B1. 
Può evolvere verso il coma e la morte. 
‐ Demenza alcolica 
‐ Delirio di gelosia 
‐ Malattia di Marchiafava‐Bignami 
Si tratta di un’encefalopatia da avitaminosi B1.  
Il quadro clinico è quello di una demenza progressiva 

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‐ Sindrome da astinenza alcolica 
Colpisce  l’alcolista  cronico  in  seguito  alla  brusca  sospensione  dell’assunzione  di  alcol.  È  una 
conseguenza dello stato di dipendenza fisica. 
Si manifesta con: 
 Tremori grossolani più frequentemente a carico della lingua e delle mani
 Ansia
 Angoscia
 Insonnia
 Convulsioni
 Stato confusionale
 Ipertensione arteriosa
 Allucinazioni uditive e visive

Diagnosi medico‐legale di abuso di sostanze alcoliche 

Un  abuso  RECENTE  di  sostanze  alcoliche  può  essere  dimostrato  mediante  la  determinazione  dell’etanolo 
su: 
‐ Sangue 
‐ Aria espirata 
‐ Saliva 
‐ Urina 

Nel  sangue, la concentrazione dell’alcol (alcolemia) è direttamente proporzionale alla quantità assorbita e 
risulta in equilibrio con l’alcol presente nell’encefalo, responsabile degli effetti sulla persona. 
27 
La principale problematica correlata all’utilizzo di tale matrice biologica consiste nell’invasività del prelievo 
che non può prescindere dall’acquisizione preliminare del consenso informato dell’interessato. 

Il dosaggio dell’alcol sull’aria espirata, mediante etilometro – alcolimetria –  risulta particolarmente utile in 
quanto    permette  di  estrapolare,  in  maniera  indiretta,  il  livello  di  alcol  nel  sangue,  senza  ricorrere  a 
procedure di prelievo invasive. 
È noto, infatti, che tra la concentrazione dell’etanolo nel sangue e la concentrazione dello stesso nell’aria 
espirata vi è un rapporto costante di 1:2100.  
La quantità di alcol contenuta in 2100 ml di aria alveolare espirata è cioè equivalente a quella presente in 1 
ml di sangue. 
Risulta pertanto necessario che il soggetto espiri almeno 2100 ml di aria. 
In passato, ciò veniva verificato mediante il riempimento di un palloncino. 
I  moderni  etilometri,  invece,  sono  capaci  di  controllare  elettronicamente  che  il  volume  dell’aria  soffiata 
nell’etilometro sia quella richiesta al fine di una corretta esecuzione del test diagnostico. 

La  saliva  è  stata  considerata  in  passato  un  potenziale  campione  biologico  alternativo  al  sangue  perché  è 
noto il rapporto esistente tra la concentrazione alcolica del siero e quella della saliva. Attualmente, tuttavia, 
l’uso di questo campione è stato sorpassato, in termini di praticità, dall’impiego dell’aria espirata.  
Possibili, inoltre, sono contaminazioni salivari da parte dell’alcol appena introdotto nel cavo orale. 

L’urina consente soltanto un’identificazione qualitativa. 

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Markers di abuso cronico di alcol 
1. Gamma‐glutammil‐trasferasi (gamma‐GT)
2. Volume corpuscolare medio degli eritrociti (MCV)
3. Transaminasi (AST ed ALT)
4. Trasferrina carente di carboidrati (CDT)

Gamma‐GT 
Aumenta dopo circa 5 settimane di consistente abuso alcolico (> 60 gr/die uomo; > 40 gr/die donna) 
Ha una buona sensibilità ed è in grado di indicare un costante abuso alcolico anche a distanza di 1‐2 mesi 
dall’inizio di un’eventuale fase astinenziale. 
Manca tuttavia di specificità. 

MCV 
L’abuso cronico di alcol ne induce un aumento, per deficit di acido folico. 
Anche la specificità di tale marker è bassa. 

Transaminasi 
È stato dimostrato che la frazione mitocondriale dell’AST aumenta significativamente negli alcolisti e che un 
rapporto AST/ALT > 2 può discriminare tra danno epatico indotto da abuso alcolico e non. 
Tuttavia, la sensibilità di questi parametri è piuttosto scarsa 

CDT  
Costituisce il marker più sensibile e specifico di abuso cronico di alcol etilico. 
L’aumento  relativo  dell’isoforma  “disialo”  della  trasferrina  è  evidente  già  dopo  1‐2  settimane  di  abuso 
alcolico e rimane apprezzabile anche dopo circa 15 gg di astinenza. 

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LEGISLAZIONE IN TEMA DI ALCOLISMO 

Legge n.125, 30 marzo 2001: legge quadro in materia di alcol e di problemi alcol‐correlati 

Le finalità che tale legge intende perseguire sono: 

1. Tutelare il diritto delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare,
sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all'abuso di bevande alcoliche e superalcoliche
2. Favorire l'accesso delle persone che abusano di bevande alcoliche e superalcoliche e dei loro familiari a
trattamenti sanitari ed assistenziali adeguati
3. Favorire l'informazione e l'educazione sulle conseguenze derivanti dal consumo e dall'abuso di bevande
alcoliche e superalcoliche;
4. Promuovere la ricerca e garantire adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale che si
occupa dei problemi alcol‐correlati
5. Favorire le organizzazioni del privato sociale senza scopo di lucro e le associazioni di auto‐mutuo aiuto il
cui intento è quello di prevenire o  ridurre i problemi alcol‐correlati.

La Legge modifica alcune norme del codice della strada portando, in particolare, il livello di concentrazione 
alcolemica tollerabile da 0,8 g/l a 0,5 g/l. 

Relativamente alla sicurezza sul lavoro, nelle attività lavorative dove sussiste un elevato rischio di infortunio 
o per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi viene fatto divieto di assunzione e di somministrazione di
bevande alcoliche e superalcoliche.  
Per  tali  mansioni  sono  quindi  previsti  controlli  alcolimetrici  nei  luoghi  di  lavoro,  con  tasso  alcolemico 
ammesso  pari  a  0,  praticabili  esclusivamente  dal  medico  competente  o  dai  medici  dei  servizi  per  la 
prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro.   29 

Le  categorie  lavorative  per  le  quali  è  fatto  divieto  assoluto  di  assunzione  di  alcol  –  e  per  le  quali,  quindi, 
vengono previsti controlli alcolimetrici – sono riportate  nella  tabella stilata  dalla  conferenza stato‐regioni 
(CSR) del 2006.   
Tra esse rientrano: 
‐ Mansioni sanitarie svolte in strutture pubbliche e private  
‐ Vigilatrice  di  infanzia  o  infermiere  pediatrico  e  puericultrice,  addetto  ai  nidi  materni  e  ai  reparti  per  neonati  e 
immaturi 
‐ Mansioni sociali e socio‐sanitarie svolte in strutture pubbliche e private 
‐ Attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado 
‐ Mansioni comportanti l’obbligo della dotazione del porto d’armi, ivi comprese le attività di guardia particolare e 
giurata 
‐ Mansioni inerenti attività di trasporto 
Ecc.. 

A stabilire, in tali categorie lavorative,  i tempi e le modalità dell’accertamento è il DL n. 81 del 2008 (TU in 
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). 
Secondo  l’art.  41  (sorveglianza  sanitaria)  del  DL,  infatti,  la  verifica  dell’assenza  di  condizioni  di  alcol‐
dipendenza e di assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope va effettuata, dal medico competente – 
con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità alla mansione – in occasione di: 
‐ Visita medica preventiva (post‐assuntiva) 
‐ Visita medica periodica  
‐ Visita medica su richiesta del lavoratore 
‐ Visita medica in occasione del cambio della mansione  
‐ Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro  

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Dal 2009, sono state introdotte anche: 
‐ Visita medica preventiva, in fase pre‐assuntiva 
‐ Visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un periodo di assenza per motivi di salute 
della durata superiore ai 60 giorni continuativi 

Ai  lavoratori  affetti  da  patologie  alcol‐correlate,  che  intendano  accedere  a  programmi  terapeutici  e  di 
riabilitazione, si applica l’art.124 del DPR 309/90: diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutta la 
durata del periodo riabilitativo. 

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CODICE DELLA STRADA 

Alcol e Codice della Strada 

La guida in stato di ebbrezza è sanzionata dagli articoli 186 e 186 bis del Codice della Strada. 
Secondo l’articolo 186 del CdS, viene fatto divieto di guidare veicoli con un tasso alcolemico > 0,5 g/L. 
Va  detto,  comunque,  che  il  tasso  alcolemico  ammesso  è  stato  portato  a  0  g/L  in  alcune  categorie  di 
conducenti,  definiti  “particolari”,  dall’articolo  186  bis  del  CdS,  introdotto  nel  2010.  I  conducenti  in 
questione sono quelli: 
‐ professionali 
‐ di mezzi pesanti 
‐ con età < 21 anni 
‐ che hanno conseguito la patente B negli ultimi 3 anni  
L’articolo 186 bis del CdS depenalizza inoltre –  da sanzione penale ad amministrativa –  la guida in stato di 
ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,5 ma inferiore a 0,8 g/L. 

Per  riconoscere  lo  stato  di  ebbrezza,  gli  organi  di  Polizia  possono  sottoporre  i  conducenti  ad  una 
valutazione indiretta, non invasiva, del tasso alcolemico, mediante la misura della concentrazione dell’alcol 
nell’aria alveolare espirata (alcolimetria), effettuata con uno strumento definito etilometro. 
Il  razionale  della  metodica  è  costituito  dal  fatto  che  tra  la  concentrazione  dell’etanolo  nel  sangue  e  la 
concentrazione dello stesso nell’aria espirata vi è un rapporto costante di 1:2100.  
La quantità dell'alcol contenuta in  2100 ml di aria alveolare espirata è cioè equivalente alla quantità di alcol 
presente in 1 ml di sangue. 
È pertanto necessario che il soggetto espiri almeno 2100 ml di aria. 
In passato, ciò veniva verificato mediante il riempimento di un palloncino. 
31 
I  moderni  etilometri,  invece,  sono  capaci  di  controllare  elettronicamente  che  il  volume  dell’aria  soffiata 
nell’etilometro sia quella richiesta al fine di una corretta esecuzione del test diagnostico. 
Tali strumenti necessitano comunque di una taratura periodica, che deve essere certificata. Il conducente, 
al momento del fermo,  può chiedere di esaminare il certificato di revisione dello strumento. 
Oltre  alla  perdita  di  taratura,  un’ulteriore  fonte  di  errore  risiede  nell’incapacità  del  soggetto  di  espirare 
2100 ml di aria, per condizioni morbose (come l’enfisema polmonare) o per lo stress e le eventuali lesioni 
che si determinano in conseguenza di un incidente stradale.   

L'esame deve essere ripetuto due volte, a distanza di 5‐10 minuti l'una dall'altra. 
Ciò  consente  di  stabilire,  in  linea  di  massima,  quanto  tempo  è  passato  dall’ultima  assunzione  di  alcol, 
considerando  che  la  curva  alcolemica  presenta  una  morfologia  a  campana  con  un  tratto  ascendente,  un 
picco (steady state) ed un tratto discendente. 
‐ Se la seconda misurazione è superiore alla prima, ci si trova nel tratto ascendente della curva 
‐ Se le due misurazioni sono uguali, ci si trova al picco 
‐ Se la seconda misurazione è inferiore alla prima, ci si trova nel tratto discendente della curva 

La determinazione indiretta non invasiva dell’alcolemia con etilometro (alcolimetria) ha valore legale e non 
necessita di conferma mediante dosaggio diretto della concentrazione di etanolo su campione ematico. 
Un conducente risultato positivo all’alcolimetria può comunque chiedere di sottoporsi, con finalità di tutela 
personale, ad un prelievo ematico di conferma presso una struttura sanitaria, dato che il dosaggio diretto 
della  concentrazione  ematica  di  etanolo  risulta  attendibile,  riproducibile  e  privo  delle  fonti  di  errore 
esistenti per l’alcolimetria. 

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Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico è reato ed è punito con le stesse pene previste 
per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: 
‐ ammenda da 1500 a 6000 euro  
‐ arresto da 6 mesi ad un anno 
‐ sospensione patente da 1 a 2 anni 
‐ sequestro preventivo del veicolo 
‐ confisca del veicolo  

Per  i  conducenti  coinvolti  in  incidenti  stradali  e  sottoposti  a  cure  mediche,  l'accertamento  del  tasso 
alcolemico  viene  effettuato  da  parte  delle  strutture  sanitarie  di  base  o  di  quelle  accreditate,  mediante 
prelievo ematico. 
A  questo  proposito,  va  detto  che  il  prelievo  ematico  è  sempre  consentito  se  persegue  finalità  di  pronto 
soccorso, assolvendo i sanitari dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso dell’interessato, dato 
che la circostanza configura uno stato di necessità. 
I risultati di tale prelievo ematico sono sfruttabili, nei confronti dell’imputato, per l’accertamento del reato, 
trattandosi di elementi di prova e restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del 
consenso.  
Il prelievo ematico praticato con esclusive finalità processuali ed estraneo alla normale procedura di pronto 
soccorso, invece, necessita sempre del consenso dell’interessato. 
In sua assenza, il prelievo risulta illegittimo e quindi inutilizzabile ai fini del procedimento penale  

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Sostanze stupefacenti e Codice della Strada 

Il  codice  della  strada  fa  riferimento  alle  sostanze  stupefacenti  nell’art.187  (guida  in  stato  di  alterazione 
psico‐fisica  per  uso  di  sostanze  stupefacenti)  secondo  cui:  chiunque  guidi  in  stato  di  alterazione  psico‐
fisica, dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 
6.000 e con l'arresto da sei mesi ad un anno.  
All'accertamento del reato, consegue, in ogni caso, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione 
della patente di guida da uno a due anni. 

Al  fine  di  accertare  una  stato  di  alterazione  psico‐fisica  per  uso  di  sostanze  stupefacenti,  gli  organi  di 
Polizia  possono  sottoporre  i  conducenti  ad  un’analisi  estemporanea,  non  invasiva,  su  campioni  di  saliva. 
Tale  analisi,  tuttavia,  a  differenza  dell’alcolimetria,  non  ha  valore  legale  è  costituisce  solo  una  procedura 
preliminare  per  stabilire  quali  soggetti  condurre  presso  la  più  vicina  struttura  sanitaria,  dove  dovranno 
sottoporsi a prelievi di sangue e di urina.  

L’accertamento  della  presenza  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  in  campioni  di  liquidi  biologici  del 
conducente,  non  necessita  del  consenso  di  quest’ultimo,  solo  se  rientra  nell’ambito  di  un  percorso 
diagnostico‐terapeutico di Pronto Soccorso, avviato in seguito ad incidente stradale. 

Quando  invece  è  estraneo  alle  normali  procedure  di  Pronto  Soccorso  ed  effettuato  con  esclusiva  finalità 
giudiziaria, invece, non può prescindere dal consenso dell’interessato.  
In caso di rifiuto dell’accertamento, comunque, il conducente è soggetto alle sanzioni previste per chi guida 
in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: 
‐ ammenda da 1500 a 6000 euro  
‐ arresto da 6 mesi ad un anno 
33 
‐ sospensione patente da 1 a 2 anni 
‐ sequestro preventivo del veicolo 
‐ confisca del veicolo  

WWW.SUNHOPE.IT
Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) 

In materia di CdS, le finalità delle indagini tossicologiche sono: 

1. Diagnosi di attualità d’uso
2. Giudizio di idoneità alla guida

Diagnosi di attualità d’uso 
È quella richiesta nell’immediatezza del fermo. 

Giudizio di idoneità alla guida   
Viene formulato dalle Commissioni Mediche Locali per la ri‐attribuzione della patente ed è subordinato alla 
verifica di una condizioni di drug‐free, di uso abituale o di dipendenza da alcol e/o stupefacenti. 

34 

WWW.SUNHOPE.IT
04/1212014

L'uso dei veleni è st ato largamente praticato in modo


CLINICA
empirico, s in dai primord i della storia dell'uomo,
AMBIENTALE
s ia a scopo p olitico-rel igioso c he per fina! ità crim ino se,
p ri ma che fosse noto A LIM ENTARE I
if m ecc anis mo di azione dei t ossi ci
~--<
( TOSSICOLOGIA )_ INDUSTRIALE
Attualmente tal i meccanismi sono in larga parte '" ... ~-----....---.
/

./
noti ed an cora ampiame nte studiat i dalla
l'li '-,
TOSSICOLOGIA SPERIMENTALE ji ""' '-
VETERINARlA
{_l
CHE E' LA SCIENZA CHE STUDIA
L' INTERAZIONE DEI TOSSICI FORENSE
CON LA MATERIA VIVENTE

11. In am.t>it() _p~ n a ti sti c() ___ . .I lesioni e/o morte del soggetto,
conseguenti ad un avvelenamento,
l'utilizzo di sostanze venefiche configurano i reati di lesioni personali (artt. 582-
owero di altro mezzo insidioso 583-590 C.P.) e di omicidio (artt. 575-584-589)
configura un "Delitto contro la persona"
L'utilizzo di sostanze venefiche
Oltre ciò il Codice Penale prevede anche
owero di altro mezzo insidioso
"Delitti contro la pubblica incolumità" determina circostanza aggravante (presuppone
(avvelenamento delle acque, di sostanze alimentari , premeditazione) da cui scaturisce la pena
adulterazione e contraffazione di alimenti, (art. 439 - 440-442- 444) dell 'ergastolo (art.577 C.P.).
L'applicazione dell'aggravante si effettua non
e vari altri "Reati di pericolo" solo per l'utilizzo di veleni, ma altresì di
(contraffazione di medicinali, doping etc.) (art. 441 -443- 445 ) qualunque xenobiotico che risulta essere stato
somm inistrato in modo insidioso.

Ohietth·i della dia gnostic:i tossicologicn


CAMPI DI STUDIO DELLA TOSSICO L OGIA FORENSE con fin a !it:ì m edico-leg:i le
in ambito medico lega le Diagnosi di Dru g Free Idoneità alla guida
Dl r. 2S5/92 C.d.S e succ mod Idoneità a mansioni militari
•ABUSO E MISUSO (droghe, do ping , farmaci) DF?. n . JO!>l90e ~uc::. . m:;xj. Mansioni lavo rative che comportano
rischi pe r la sic:ure22a 1 l'incolumi t à
e la sa lute di terzi
·AWELENA MENTI AC UTI (accidentali, volontari , terrorismo) L 164 del ./l lS:'S3 Idoneità all'adozione di minori
IJ. Min Siln H/91199-4 Idoneità al porto d·armi
•TOSSICOLOGIA IATROGENA (monitoraggio farmaci) Diagno si di uso recente
Guida in stato di ebb r ezza
Valut azi o ne delrimpairm ent Guida sotto l'effetto di stupefacenti
(al:.e1az.iona psico-comportamentale}
·PATOLOGIE PROFESSIONALI (infortuni, ciclo tecnologico) Mansioni lavorative che
comportano rischi per la s icurezz~, I'
incolumità e la salute di t erz.i
·TOSSICOLOGIA AMBIENTALE (inquinamento, catastrofi)
Di ag n osi di uso Misure cautelari alternat ive al ca rcere
Tossicodipenden ti militari
·TOSSICOLOGIA A LI MENTAR E (contaminazione , cessione) Lavoratori tossicodipendenti
l o 376/200!1 - D Mm San 1JB!2002
Rispetto dell'obbligo di terapia
Doping
04i~2i2014

I OBIETTIVl FONDAMENTALI iN TOSSICOLOGIA FORENSE I


11 Fornir• I• "Prova"
DiSciplina che ha per oggetto • Predt,J>GrT• idon2e mlsure per la raccolti t la conHrv&rlone d•I
la chimica analltlca dei velenl, camplon1 da esaminare
• tsoJ•r•, Identificare. quantlz::ure t tossici
contenuti in qualsiasi materiale,
. Us.ar11: hrcoic.tle di t.leva1a s.pceific.1tà e S.t1U1bil1I•
la cui ri~erca sia eseguita a fini di giustizia
• Accertare rassen:za d1 altri tossici
. Prev~nlre 11 contamin1zlone o il decadimento de\ to11lcf pre.ser,U
Sia la produzione del dato analitico che la sua
21 V•lur•m• "l'idone1ta lesiva"
interpretazione sono pertanto finaUzzati.
lnlerpc•I•<• i dati an1hucl on funzione di:
alla produzione deJla•prova• e del "nesso - Effetto oe111 sostanza sul comportamento e sulla salute
causale" ovvero alla dimostrazione .. Quantità del tossico a1sunto
dell'osseNanza o meno di una norma. ·Vie d1 assunzione
• C<onologia dcll"auunzione nei cc.~fromi dcU':uion. (letale o <>O)

Lesività da noxa chimica DEFINIZIONE DI EFFETTO TOSSICO


Veleno
- EFFETTO RIVELATORE DI UNA MALATTIA CLINICA AD UNO
ogni sostanza naturale (minerale, vegetale o animale) o STADIO PRECOCE
sintetica (organica/Inorganica), solubile o ana a divenire
tale, che introdotta nell'organismo, In quantità - EFFETTO DIFFICILMENTE REVERSIBILE CHE RIFLETTE UN
relativamente piccola, provoca avvelenamento, cioè INDEBOLIMENTO DELLA CAPACITA' DELL'ORGANISMO A
alterazioni di un equilibrio pr~slstente. con MANTENERE L"OIAEOSTASI
conseguente stato morboso di varia natura ed entità,
che può condurre anche a morte. - EFFETTO RINFORZANTE LA SENSIBILITA' DELL'INDIVIDUO
AGLI ALTRI INQUINANTI AMBIENTALI O SOSTANZE TOSSICHE
le sostanze definite farmaco/droga/veleno non sono le
uniche che possono provocare danni ma - EFFETTI CHE SPOSTANO AL DI FUORI DEL "NORMALE"
ogni sostanza chimica conosciuta ha la potenzialità - DIVERSI PARAMETRI BIOLOGICI CHE RAPPRESENTANO
attraverso vari meccanismi· di produrre danno o morte, SEGNI PRECOCI 01 ALTERAZIONE 01 UNA CAPACITA'
per cui è più corretto parlare di FUNZIONALE
Lesività da noxa chimica e/o di Effetto Tossico.
- EFFETTI CHE SEGNALANO ALTERAZIONI METABOLICHE E
BIOCHIMICHE IMPORTANTI

La "Dose" da sola non fa il veleno


CLASSIFICAZIONE DEI FATIORI CHE
FATTORI CHE INFLUENZANO Il COMPORTAMENTO DI
INFLUENZANO LA TOSSICITA'
UN TOSSICO NELL'ORGANISMO

Assorbimento Caratteristiche Fattori relativi all'agente tossico:


} / Motabollsmo ~ Chimico - /'1
(pi Escrezione '--i/ Fisiche 2-J • Composizione Chimica (ph, etc.)
Solubllltà/ • Caratteristiche Fisiche (volume delle particelle, etc.)
lpersenslbtlili e
lnsolublllÙI
reattlvfÙI • Presenza di impurezze o di contaminanti
In Llpldl/H20
Individuale • Stabilità e caratteristiche di conservazione
pH
~ ~
• Scelta del veicolo
Malattie sistemici>& • Presenza di eccipienti: emulsionanti, surfactanti,
Patologie d'organo Dose agenti vettori, protettivi, agenti coloranti, agenti
Concentrazione W') aromatizzanti, preservanti, antiossidanti ed altri
r-7 Età, peso, stato Durata
Frequenza
! /
, __ additivi intenzionali e non
,/,..... nutrizionale ...

'· - esposizione

2
04112/2014

CLASS IFICAZIONE DEI FATTORI CHE


CLASSIFI CAZION E DEI FATIORI CHE
INFLUENZANO LA TOSSICITA'
INFLUENZANO LA TOSSICITA'
Fattori costitutivi collegati al soggetto
Fattori correlati alla modalità di esposizione
• Situazione genetica
• Dose, concentrazione e volume di
somministrazione • Situazione immunologica

• Stato nutrizionale
·Via, livello e luogo dell'esposizione
• Stato ormonale (gravidanza)
• Durata e frequenza dell'esposizione
• Condizione del S .N.C .
·Tempo di somministrazione (ora del giorno,
stagione) • Presenza di malattie o di patologie organiche
specifiche

Group 1 Gases Group 2


CLASSIFICAZIONE DEI FATIORI CHE Carbon mo noxide
Volatile substance.s

INFLUENZANO LA TOSSICITA' Group7 Cyanide Glycols. Phenols.


M iscellaneous aniline,

Fattori ambientali :
substances
I n itrob~ nzene

Poisons
Temperatura ed umidità Group3
Group 6 Orugs
Pressione barometrica Anions
nitrate, chlorate, \ Group 5
Composizione atmosferica ambientale
fluoride , nitrite,
fluorocetate, nuorid!!
oi.:alate, sulphite
_/ Pesticides

hypochlorite, Grçup 4 Organo Phospha tes


Luce ed altre forme di radiazione persul phate
~-.:...
Chlorinated hydrocarbons
Chlorina ted pheno xyacetic
acids
Phenols and C resols

GASES (1) VOLATILE SUBSTANCES (1)

Sympto ms : Apnoea, asphyxia, dyspnoea, vomitlng ; pink or Symptoms : Abdominal pain (phenols), convulsions
read skin colour (carbon monoxide or cyanide). (especially with glycols), delirium, drunken behaviour
Onset of sy ntoms: Very rapid onset of lllness or death (drowsiness, ataxia, speech and vision disturbance),
jaundice (anilin e, nitrobenzene), tremors, vomiting
Scene:Hospital and dental surgeries (anaesthetic gases)
Industriai sites, Research laboratories; Mines. Victims found in Onset of syntoms : Rapid onset of illness or death when
bathrooms, boats 1 caravans , cars, kitchens. inhaled, slower if taken orally
Qccupation : Chemical industry, fum igation, furnaces, glue Clinica! History: Alcoholism; glue-snifng (more common
factories , tank cleaning, mines. in children and teenagers)
Additional Jn vestigation: Examination of equipment or vehicle, Scene : Domestic locations; hospitals and research
examination of clothing if stained or il odours are noted. Post
I mortem exa mination of lung and brain specimens .
laboratories; industriai locations. Presence of liquor,
methylated spirit or surgical spirit; glues or polishes
I Analysls : Draeger tubes, Diffusion in Conway celi, Head space associated with plastic bags ; unusual siting of
I gascromatografy. anti-free2e or other domestic products _
04/12/2014

VOLATILE SUBSTANCES 121 Drugs (Solvent Soluble)


Symploms: Effocts aro vorlabla but tho following lnformatlon may bo uHd
as •guide:
Occupation: Degreaslng plants, dry cleaners, printing; Analgesics G~strlc fnitation, haematurfa, sweatfng, corna, convulsions
manufact urer of adhesives, dyes, paints, petroleum Opiatos : Contracted puplls, muscle twitchlng, slow resplrallon, coma,
p roducts, plastics polishes, perfumes, rubber hypotenslon
Sedatives and hypnohcs: Ataxia, s·tupor. coma
Additional lnvestigation: Bottles or containers found near
Stimulants 2nd antidepressants : Oflated puplls, dry mouth, he.adache,
victim, even if empty; Examination of clothin g il s tained or
lf odours are noted; tachycardla, tttmors, convulslons.
Antemortem examination of blood or urine samples; Onsel of symptoms: Relatlvely slow unless lnjected (2 to 48 hoursl
Postmortem examlnation of lung and brain specimens; Scene: llllclt drugs more common In 16 to 30 age group. The elder1y use
also vitreous humour, especially lf the body is thelr own pr~scrlbed dn.igs. lllegaJ lodglngs, colleges, dlscos, c1ubs.
decomposed Addilional lnvesllgattons: Antemortem samples lf the vlctlm is
admitted to hospltal. Postmortem examlnallon of nual swabs, ln)ection
Analysis : Head-space gas chromatography tor Chloral milrits •nd • control area of skfn.
hydrate, elhanol, methanol, toluene etc. Analys1s: Olrect solvent extraction and examination by TLC and
lmmunoassay. Connrmatlon alld quantlficaUon by GLC, HPLC, GC/MS

METALS ANIONS
Syntoms : Anaemla, cramps, diarrhoea, gastric pain, hair Syntoms: Vlolent vomiUng, dlarrhoea, abdomlnal paln, cyanosis
loss (thalllum and selenlum), metaUic taste, paralysis, (methaemoglobln formed wlth oxldlslng agents), st.alned skln and
peripheral neuritis, sallvatlon, urine retention, weight loss mucosa (permanganate, oxalate, lodlde, and bleachlng agenlS).
Exceptions to these symptoms are fluorlde and bromlde
Onset of symptoms : Usually after several hours; death Onset of symptoms: Usually withln one hour, death may occur
may occur witliin 24 hours but more commonly after wlthln severa! hours (note that the toxlc dose of this group is
several days relatlvely large, >10 g)
~ Agricultural sltes (nllrate, chlorate, lluoride, and
Scene : Industriai locations, laboratories
fluorocetate); Industriai sltes (nitrite, oxalate, and sulphite);
Occupation . Electroplating, smelting; manufacture of Oomestlc sltJ!s, draln and lavatory cleaners (hypochlorite and
agricultural chemicals, alloys, batteries, ceramics, glass persulphate), insect powders (fluoride) Laboratorles.
paint, petroleum products . Occupatlon: Sewerworkers, rat catchers (fluoroacetate), factory
workers
Addit1onal lnvest1gatlon : Antemortem examination of AddiUonal lnvestlgatlons: Vomlt, stained clothing, cups, etc. lound
blood and urine. Postmortem examination of kidney, near victlm, stomach contents or washlng, antemortem blood
intestina! contents, bone, halr, nails Analysis : Visual evldence, Chocolate coloured blood, blood
stalned, vomlt or urine, çrystalline resldues In food
Analys1s : Atomic Absorpt.ion Spectroscopy .

Pesticides (solvent soluble) I Vie cii introduzione, distribuzione ed eliminazione


Princip•I features are voml1ing and convulslon. The lollowlng
addftiom11 symptoms may be used as il guide: Xenobiotici
Chlorinated hydroearbons~ Dlz:tìness, headache. muscular weakness.
tre mora
CMotinated phenox:y1cetic acids; Burn1ng sensa1ion, low blood

---
I in•~~on• ! I cu~~.
press.ure (convulsions are not a main fealura tor these substan"Ces) Vi•
Organo Phosphates. Contracted pupils, salivation, sweating. sistemica
dyspnoe.a, anoxia, cyanosls ;
Phenols and Ctesols : fever (main symptom), sweating_. anoxia.
haematuria, jaundice '"'> ------ ----
I' /-........ \
Onset o1 symploms: Rapld (wilhln 30 mlnulest Il producL contains a Organi e · Sangue .... Trasformazioni

...
tessuti . . ." - . _ _ , , /
petroleum solvem or ls lnhaled. OU1ewlse. slow (110 6 hours) metaboliche
Sce-ne: Farm and honicufturaJ nurserie.s, food processJng tactories,
domes-tic.

,____
Occupai.on : Man1tacture 01 agr1eu1:ural chemlcals, farm workerg., Eliminazione
gardeners, pe:stlc1de otncers.
~----~--- ,
Analysts Hydroc.arbon solvents, Colorimetric te5ts (Oith1oni1e,
FujiV1::sra) Cllolìne!;tcrasc inhibition test, Solvent ex.trtl:ction into acid or Via cut.ane.a Vi• vi. Via gutto Vu. va.
, ........,s.bo ,-..nal.e •n~Otb lnte~t"nale mammari• l.xnrM..
neutra! group. ECD-NPO- FIO Gas-cf,roinato;t:ity.
ecut1t)

4
04ii2i2014

>
~------------- ...
MATRICI <
-·---........._......_______~
UTILIZZABILI
[___ MATRICl_!~~-LO_G_IC_H_E_ _ _ _ J
---------
da VIVENTE da CADAVERE
-- ARIA ESPIRATA SANGUE
·CAMPIONI BIOLOGICI SANGUE URINA
UR!NA BILE
• MISC ELE (inorganiche o vegetali) SALIVA LIQUIDO PERICARDiCO
LATTE ORGANI
·SOLUZIONI CAPELLI ADIPE SOTTOCUTANEO
UNGHIE UMORVITREO
·FARMACI SUDORE CAPELLI
FECI (Meconio) UNGHIE
·ALIMENTI CONTENUTO GASTRICO DENTI
LIQUIDO SPERMATICO CONTENUTO GASTRICO
· POLVERI. ARIA, ACQUE, RIFIUTI LIQUIDO SINOVIALE
LIQUIDO DI PLASMAFERESI

Finestra metabolica osservabile attraverso


Le matrici biologiche alternative le diverse matrici biolo i che
S::inguo' Urina Sudore Copdli/ Meconio Umor
(saliva- capelli - sudore) Slllina Un;hic Vitno

rappresentano

.
Analogo Escrcz.iooc Escn::ziooe Accumulo
"finestre metaboliche" AUCc ~,,, nri:.ibile pB fnorit:i
Accumulo
su di secrezioni fa,·oril o

diverse rispetto a sangue e urina dipendente ~die nli


pH e ,,.,.cli prcn~atc
com1,osizion
pu
molecole
affinità • c:lipitlict idrofilt.
Ciò rende utili tali matrici per i controlli su nrn nutt
cclluhtri
.Unto per
drugbc
guidatori, per infrazioni al codice della $)l«ializz.:uc lipofile

strada (Driving Under lnfluence of Drugs)


Mi,.ur:i :?ii Rifle.ne Rilen l"uso Rj,·clanu Rinc:ne Rh'el:1
e su lavoratori impegnati nelle cosiddette df't"ni nel l'n.~o thl 1 n d11. 12 ore l'uim f't<;JHl1'iz.i1,11C fUjiO

mansioni lavorative a rischio (Workplace


Drug Testing).
I
rnn~c tr.1

ccl alcuoc
nrc
O 2/3ciunii sioo :11
!?.i orni
Jlf"t1!Tei50 11rct1:\li1h:a
formaci e
drn:,::hc.
pregresso
Limitato ;tJ
Rnorc
forrnsc.

Matrici biologiche utilizzabili per il controllo


I dell'uso di sostanze illecite
CRITERIOLOGIA MEDICO LEGALE
Campione Prelievo Anali ti Tempi di Limiti
Biologico latenza
Sangue Invasivo Parent d ru~ I Poche ore Conscuso
e metal>oliti
Urine Limiti Metaboliti> 2-7 Ad111lernzioni
alla pareut drug giorni opH
privacy
Capello Non Parcnt dru~ Mesi/a nni Contf'minAzioni
invasivo > metal>olih ambientali.
da cosmetici,
bias razziali
Saliva Non Parent drog Alcu ne Contaruinazione
invash"o > metaboliti nrc t dipendeoxa dal
pH

Sudore INnn Parent drug 11-7 giorni Qu:mtilà


minime del
invasivo > metaboliti
pre l ie~·o
I

5
04/12/2014

-,
~iterio circostan:iale/anamnestico J Criterio clinico-anamnestico
------I
SI avvale dell'anamnesi, della documentaVone
• Detto anche anamnestico o ambientale, è l 'insieme sanitaria e dei sintomi, rilevati dal medico o riferiti da
dei dati emeraenti dalle indaaini attinenti le testimoni, al fine di correlare la sintomatologia c:on la
circostanze spaz10-temporalì del presunto "contatto• probabile causa di Intossicazione
con il tossico.
Da tali indagini (deposizioni testimoniali, ispezioni Il Criterio clinico non sempre è esaustivo poiché
tecniche, verbali di sopralluogo ecc.) si possono alcuni avvelena menti possono decorrere
acquisire circostanze (ingestione di cibi, bevande silenziosamente o con scarsa sintomatologia, oppure
farmaci, abitudini di vita e di lavoro) o reperti utili a i sintomi non sono stati apprezzati o sono stati
indirizzare gli accertamenti tecnici oppure elementi per valutati (dolori addominali, vomito, convulsioni ...}
la ricostruzione della dinamica (accidentale, colposa o come espressione di altri processi morbosi,
dolosa dell'evento) nonché sulla tipologia, causa, e indipendenti dall'avvelenamento.
mezzi dell'intossicazione.

I
L Criterio anatom_o-patofo9_ico _J I Criterio chimico-tossicologico l
V.11uta le •lteru1on1morfologiche acarìco di organi ed app•roU preYeda la ldantlflcazione wd il dosaggio d{lf losslc:o nana
L ouerva11one macro e mtcrcscopica ~.,.rmttt• l'ldenuhcuioneo dt 1~sivi1A matrici biologiche o In altri reperti, nonch6 l'lnterpretazfone e
IOSS•CO-COrfélate. anche H1PICfftch•. u11h I dtfintr• I• CIUH: de-I decesso la valu1a21one del dato, sia esso posiliYO che negativo
Il criterio anatomo-patologlc:o permette
quindi di orier.:are l'Indagine In due direzioni: Si fonda sulla determina:lone quali. qu~nlitativa del tossico
lun~v•oa un cbto lcss:colog1co po~11ivo o Mg ..tJ\lo non s.c-m?rC t: pro,. a
·Escluder• l'into.1slc1ZJone •cu11 quale c1us1 del decesso. quando v11ne-
sutftc.lem.t par a.!'!e..~re a esclud•nt ~na lncoulca.il.:>n• •
d11gnos11cat1 una p.11tolov•• 1tt1 da 1011 a determ1narf la mone feiJOf•n.o
mtocud1co •cuto, 1neunsm1 c:1r1br1l1, lromboembolla potmonut", ftc) V Concantrauor.._ ensuiftei.eme :ac.•tunl• d1 contatto ecc.Oent-.1e o ~
conu1T111~zionc :am~nt~ie.
·Ranonire rigatesi d1 1mossrcaz12n1 as:MJ! quando w•ngono evid~nziar@
Rsiom •natom1cM c.cnnlabtb a •pec..ftel lfenobio1tc1 o 1ugges.ti.e o~ <i- LI oresenu di un tosstco nel tratto g11trolntestrn•le non é Pf'O"•
di
tnto.sicaz1one acut• mon1f.e avwlen.ame.mo pctd"ai se: 11 tosste.o non è 11~10 .u.sortuto e •~spon.ato
sttrave:n.o Il arcoto emat><:o hno 1;li organi ed 1t 1111 racettorntilt, non M
.1 rit..-v1 mactoscop.cl mi1111'\o "' sede 11.1topt1c1 con I ossef"\.'1.2Jone d ..
potv10 tnun.&re ì ptoprl elfem
fH\onMni c1d>•·ertet.. colorn.tane dett. m1cch5* t;>OSlattd~. •ltc~uoni
dtlla ~1d1ta e dFtl'andamenlo dei ftnom•nt putref.rtlv• <- t... posrti\t1U. s:u L"nna con,entll!" d• f:'f'OYlrl" 5cil'l I' assunnO"'lr
• Le\s•f"'.l12Jone dr una J•s1,;1t1 1ouico-<orr•bit1, puo O"'•entue l"indagin• Pf*gtwna di uno .somn.u nspetto 1H'twrtu1 . lnl>tti gli etftttt
t~ss1colo;ica (r5.ed~nu pofmon:ue. 1oangue fluido per morte as.(m1ca fis1opA1oto91ei detr P..soo.11z•ona • nox•• ch1m1ca1 1.1 corref1no solo con
odori. compresse o 1!1to, fr1mment1 d1 c10o. colorito dei vts.cu1 1tc) I• conce:ntniuone tttnahca • t.ssvta._

- -
(
---- -
Criterio chimico-tossicologico
~

I I Criterio della sperimentazione fisiotossica


La determinazione guantiUtha
va sempre eseguita per l e seguenti nigioni: Si fonda sugli effetti prodotti dalla sostanza
sospettata (o dal r eperti blol oglcl), quando questa
1) l'identificaz.ione qu1Ul1tiv1 di uno \fnob101ico non ~ t ri1trio
sufficiente J)f'r formular-e una di..t~nu$i d1 "'"' tltn:amc:nto viene somministrata ad animali da esperiment o (il
curaro provoca paralisi m uscolare, la stricnina ed Il
l) la detc:rmin:1t.ionc: qu1ntit1Ch a polidistrtttuale. drlla
1
s~1in-z1 t tetano provocano convu lsioni, la t ossina botulinica
t:lcmenlO indis~n.sab11t per alud1t'art I' idoneità IHi\a drl mtzzo
hnpiet:••o . provoca effetti letali).
Va ricordalo cbe:
sussisrono C1Ui di avvelt.a• n1tuto stttzA 'eleo o sr "' sostanza tossi<"• r Bisogna tener presente a tale p roposito la
stat.a complt.camtofe truformata d•ll'o'JtAisD•O OY\tro n f st!llt• refrattarietà di alcuni animali ad alcuni veleni,
•fiontan•t• da traname.ati ce.rapeuttd (u. iurc:si fon.aca).
nonché alcuni veleni derivanti dalla putrefazione
Le tndas..i ai tou:icologtcbe 110• s.unptt sueor1auo o ududo•o c:oo
ctn·n::u la d~aosi d1 a\'Vtltaamtnio. : nltuut sosr:mu soao (ptomaine) che possono produrre fenomeni tossici
•Or1Ali ptr dosa mini.at t aoao ia"1h iduablli snlo lmmi1c rice.rca negli animali, Indipendentemente dalla pre.s enza di
spt<ifica. sostanze velenose esogene.
La pa.trc:f:.z:ioat p•Ò a;irt d.> intrrl'trt'nft' per l'idnthft.c:i:r1on.t td 11
dosa;&io di ak••c dass1 di tosta.it •

6
04/12/2014

Storia del ca.s o


(circostanze)

----
INDAGINE TOSSICOLOGICA a fini medico legali
Il tossico i! specificato 1 Dati clìnico-anamne.stici (camlla

~
dinic.a, richiHta sopralluogo

Metodica spec:itic.a Tossk:o Indicato?


SI

Tossico identiftcato 1
Indagine generica
ASSENZA DI DATI
CIRCOSTANZJAU, CLINICI ED
CONCRETA INDICAZIONE
o ! SI
No
ANAMNESTICI;

ASPECIFICITA ' DEJ RILIEVI


ANATOMO-PATOLOGICI
SOSPETTO DELLA
PRESENZA DI SOSTANZA
TOSSICA
Consultate l;a letteratura
monografica
--------~
l
Tossk:o identtf'tcato?
(lnd1ine mirata)

I omMlZZAZIONE DELL'INTERO Concordanza con gli altri


TECNICHE PRELIMINARI DI
SCREENING PROCEDIMENTO ANALITICO criteri

Accertamenti di laboratorio con finalità


Prova del sospetto venefici
-"""""==-~~~~~~ Medico Legale e Tossicologico - forense
La d iagnosi medico legale di an-e lenamento (o la Idoneità alla
escl usio11e di tale ipotesi), non può essere basata WORKPLACE DPR 309190
Guida
solo sui risultllti delle indagini di laborato1-io, arn Drug Testing
postula una atte nta ,·a luta zione integ rata dei
Ci-iteri (anamnestico, clinico, anatomo-patologico e
tossicologico) i i .

I risultati analitici devono essere caratterizzati da


i
• Soltanto in bHse al loro confronto, concordanza e
reciproco integrnrsi - o all e loro discordan ze - potrà requisiti di certezza ed affidabilità
tali da renderli idonei ad essere utilizzati quale
essere enunciata una corretta
"mezzo di prova" in sede legale
diagnosi medico-legale di avvelenamento, (civile, amministrativa, penale)
supportata da elementi di certezza tecnica
difendibili in sede civile, penale, amministrativa

DPR 309/90 - Testo Unico in materia di stupefacenti


Disciplina che recepisce le Convenzioni Internazionali

Testo Un ico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti ~"Tf~ -.-H
e sosta nze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei ~ ,~ ,.iòalità'~ ~
relativi stati di tossicodipendenza.

Legge n°49/2006
Disposizioni per favorire Il recupero di tossicodipendenti recidivi e
IPersegue l'abuso
e Il traffico illecito
l Consente l'uso
terapeutico di
medicinali a base
di sostanze
modifiche al DPR 309190
i stupefacenti che
Legge n°38 del 15131201 o

I
possono essere
Sanzioni penali • oggetto di abuso
(dlspensazione farmaci per la terapia del dolore etc.) (art 7 ~1 r Recupero del Tossicodipendente per il loro potere
Aggiornamenti tabelle : Decr. 31/3/2010 (G.U. n. 78 del J/412010) per spaccio etc. tossicomanlgeno
Decr. 111612010 (G.U. n. 145 del 24/612010)
Decr. 1616/2010 (G.U. n. 146del 25161201DJ

Leg ge 16 maggio 2014, n . 79


(G. U. de1 20 ma~gio 2014) Sanzioni
\
Sospensione pena detentiva per re3:ti
Modifiche al DPR 309190 e rideterminazione defle Tabelle Amministrative commessi in relazione al proprio stato
t•n.75J di tossicodipendenza

7
04112/2014

e e sosta nze stupe acentt o


Art. 13- Tabelle delle sostanze stupefacenti o psi cotrope
psicotrope
(DPR n.. J09/')0 mod. con L,:ttn 191201.J} Tabella I
._... _... ITabella 11 ilfu!M!.ip
Tabelle
I Tabella V I •CoaM~1

--
• ..........,...eòeftvld'i
1-11-lllelV
l .....__
• l.11

--
O;WtthO....iJO

-{ Sezione A I ITabella 111 j l:tMffiMd •


! FARMACI
contenentJ
•6...-..C ·6"TitC

SOSTANZE 50Slanza
-{ Sezione B I . ev91: .. f4»$
. ...,.... • f\tft9h1. graidO di
endwre~oorm
ITabella IV jl:l§,fJ.j.lfaJ+l!.!j
stupefacenti In grado di
e/o
psicotrope in
Indurre
dipendenui
-{ Sezione C I .°'"'. . . .
6'lotllONUM0t.i

•UllSH.C.
.o.amz:ac:M~ (!abella '2J
Medicinali suddivisi in 5
grado di

-....... _...._,.....
Indurre
-{ Sezione O I ~ ...-........._.. .... NllllaM•

::..":.~;;.;::::~::-.;.:' .. . sezioni (A, B, e, o, E) in

,,...
f'(lCedMt.
...... f'fl . . . ,...,,1 ... -.l!Mln.....
:
. relazione al decrescere oel , -
dipendenza
loro potenziale di abuso-.·,
-{ Sezione E I ::::::;::::~-:-::..-;:::= !
·-·

Art . 43 - Obblighi dei medici chirurghi e dei veterinari in


Allegato lii bis - Prescrivibilità Farmaci
merito alla prescrizione
Fam1aci ulllizz•bili per il tranamento dì dolore severo da patologia
neoplastica o d~enerativo

~
Presertzlone egevolat•: un med1cln1le •due diversi dosag~i ovve.ro Ricettario speciale
due diverso medlcinali per una terapia non superiore • 30 g1oml. Prescri21one medlclnall
Tab. VA Durata della cura: max 30gg
· Buprenorflna
1 solo medicinale
• Fentanyl L•vorf1nGto
·Codeina Dhdrocodein• Trattamento di disassuefazione:
Tabella V rispetto del piano terapeutico
• Oss1codone 0$$im0t1one
(A- O•) • ldn>codon• ldromO<fone O Co0nom1 • nome dell'asishto
·Metadone contenere O
Dose, posologl•. via dJ somministnzione
·Morfina O
D•t•. timbro, nnna del medico per esteso
O
tndlrino • n• tel. professionale del medlco
• Formulazioni diverse da quella Viene data copia alt'acquirenle per giustificare Il possesso del
parenterale medicina li

Art. 43 - Obblighi del medici chirurghi e dei veterinari


In merito alla prescrizione VIII - REPRESSIONE DELLE ATIIVITA' ILLECITE

Presc:rl:r:ione medicinali Rleeta NON r1petlblle~ registro stupefacenti


Tab.VseL 8 e C L'uso personal e

è la discriminante tra
PrHcrizlone medicinali Ricetta NON ripetibile ISSN o a ricalco)
T1b.Vsez. O {1
PrHC"rizlone medicinali Ricetta rlpellbllt, nno a 5 votte In 30gg
Tab.Vsez_E Se viene prffmtta più di 1 conf. • dlvem
Ricetta Non rlpellbUt

Autopru<rizlone solo~ i ,.,.doclnttll comp<oll netl'AI. 111-bts, l!!!..l!!!!


prof•1S4C>Nlt. Uf9!",.i ricettano~-
m .. normaff esfgrnp tepp!U!lche. la richiest.a
Tab. V SeL A. B. C scritta - HMN f>ltl ln tnplic9 copio

8
.lrL 7:J - l "rudu z ion..-.. traffif·O e d e h · 117.ionc· illf"t-i-Ca ~
e punito con la re clusione 6 - 22 anni+ sa nzj one pecuniaria (l.A?f..«'11•2'11.oau
C:onm1ul: Chiun que, senza aulorizzazione, coltiva, produce, fabbrica, estrae,
(
i
Decreto Mi nistero della Salute ii/4106 *
(G.U. N.9S del 2414/06\ In vi'.lc:-re di!l 9 Pt1i!ooi'.l 2(10S
l
raffina , vende, offre, cede, distribuisce, commercia, trasporta , procura ad altri, Denom inaz ion~ Singola dose Mo ltiplicatore Quantitativi
invi<1, spedisce in transito, consegna a qualunque scopo sostanze Stupefacenti o media in mg m.:ssimi in mg
psicotrope della tabella I
GHB 2000 2 4000
~: Chiunque, senza autorizzazione importa, esporta, acquista, riceve a
qualunque titolo o comunque illecitamente detiene: Amfetamina 100 5 500
Catina 60 5 300
·_sostanze Stupefacenti della tabella I in quantità > dei limrti max fissati con Oecr.
Min. Salute 1114106 , ovvero se le modalità di presentazione {peso lordo Cocaina 150 5 750
complessivo o confezionamento fruionato} o circostanze fanno presupporre un ll'THC 25 10 1000
uso non personale Eroina 25 10 250
•medicinali contenenti sostanze elencate nelle Tabelle successive, che eccedono
il quantitativo prescritto dal medico curante LSD 0,05 3 0.15
Comma 2 bis : Chiunque, illecitamente produce o commerclalizz.a MDMA 150 5 750
a) sost. chimiche di base o precuBori utilizzabili nella produzione clandestina di MDA 200 5 1000
s tupefacenti, MBDB 150 5 750
b) coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da
quelle autorizzate PMA 90 5 450
Se i fatti accertati s ono d i "'lieve entita" Metadone 70 5 350
Riduzione della pena Lavoro di pubblica utilità • n . 170 sostanze in continua revisione

Art. 75 -7 illeciti amministrativi DISCIPLINA DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI


Chi illecitamente importa, esporta. acquista o detiene~ E PSICOTROPE (DPR 309/90)
stupefacenti ITab. () o medicinali (tabella Il, sez. 8 e C) è sottoposto:
,.. ad 1 o più sanzioni amministrative (per un periodo da 1 mese ad 1 anno)
.,. E' invitato a seguire un Programma terapeutk:o socio-riabilitativo do
Provvedimenti restrittivi nei confronti di
Servizio pubblico o struttura privata autorizzata tossicodipendenti e alcol dipendenti che
abbiano in corso programmi terapeutici
I Organi d i Polizia r -
Riferiscono al Prefetto gli esiti delle indagini
tossicologiche sulla Sostanza sequestrata (10gg) Sospensione dell'esecuzione della
Ritiro della patente o fenno amministrativo del pena detentiva
ciclomotore Compiti del Tribunale di sorveglianza
Valuta le sanzioni amministrative e loro durata
I Prefetto
convoca
In caso di ..tenuità della violazlone"7 archivia il caso
Invita a seguire il programma di recupero
nell'attuazione dell'art.90
Affidamento in prova ai servizi sociali o
a comunità
Prestazioni socio-sanitarie per detenuti
: Se non si presenb <11 colloquio~applicaL Sanzioni amm.
IL'interessato I tossicodipendenti
Se s i sottopone ;al Programma, con esito pos.7Revoca sanzione

Decreto Ministeriale 186190 - Determinazione delle procedure


1. Il Giudice può disporre gli arresti domiciliari in alternativa alla diagnostiche e Medico-Legali per accertare l'uso abituale di
custodia cautelare in ca rcere. quando l'imputato è persona sostanze stupefacenti o psicotrope
tossicodipendente o alcoldipendente in trattamento terapeutico
presso st ruttura pubb li ca o struttu ra residenzial e, se l'interruzione Criterio Criterio
. . Criterio cllnlco
anamnestico . . chimico..tossicologlc
può pregiudicare i l re cupero del soggetto '-------"

2. Se un tossicodipendente o alcoldipendente che e in carcere Procedure Assunzione nelle Accertamenti clinici


inte nd e sottoporsi a un programma di recu pero. 24 ore e di laboratorio
la mi sura cautelare è sostituit a dagli ar r esti domiciliari
diagnostiche e
previa istan z.a dell 'interessato e ce rtifi cazione attestante l'uso medir-legali
abituale o la s1alo di dipendenza da alcol efo stupefacenti
Valutazione Gli accertamenti
·Il Giudice dispone i controlli neces sari ad accertare !"adesione al • Riscontro documentale clinico.. Clinici e di
program ma terapeutico funzionale del: Laboratorio sono
·Sègni di assunzione abituale
• I res pon sabi li de ll e st rutture che accolgono il soggetto per il .. grado di eft'ettuati clo strutture
·Sintomi fisici I psichici in atto pubbliche da
rec upero socio-riabilitativo sono tenuti a segna lare all'Autorità dipendenza
• Sindrome di astinenz..a in atto personale con
Giudiziaria eventuali infrazioni c he comportano la revoca della .. intensità
· Presenza di sost. stup. e/o specifica esperienza
concessione dell' abuso
meQboliti nei liquidi biologici nel settore

9
04/12/2014

TUTELA DELLA COLLE'ITIVITA'


(D PR 11. 309190 moli. con L<ru:t 11. 79120 1~)

Art. 108 Azione di prevenzione e accertamenti


sanitari per l'idoneità a mansioni militari
Art. 109 Stato di tossicodipendenza degli
arruolati (volontari) o dei militari in servizio
permanen te
Art. 124 Lavoratori tossicodipendenti
Art. 125 Accertamenti di assenza di
tossicodipendenza in lavoratori destinati a
mansioni che comportano rischi per la sicurezza,
l'incolumità e la salute di terzi.

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10
04/12/2014

Finalità delle Indagini Tossicologiche per C.d.S


Codice della Strada
(L. n. 285 del 30/4/92 - mod. ottobre 07) "Diagnosi di Attualità d'uso"
Dosaggio di alcol e/o stupefacenti su liquidi
Art. 186 Guida sotto l'influenza di alcol biologici di guidatoi-i sanzionati per violazione
Art. 187 Guida sotto l'effetto di Stupefacenti agli art. 186 e 187 (guida in stato di ebbi-ezza o
abuso di stupefacenti)
D. Min. Infrastrutture e trasporti 30/9/03
"Giudizio di idoneità alla guida"
(G.U. n. 88 15/4/04)
Recepimento Direttiva 2000/56/CE Verifica della condizione di drug-free, di uso
abituale o di dipendenza da alcol e/o
Disposizioni Comunitarie in materia di
stupefacenti richiesta dalle Commissioni
patenti di guida
Mediche Locali (artl19) nei casi di ritiro,
i-evisione. sosnensione o revoca della natente .

I ART. 186 (Guida sotto ioflueoza di alcol)


J
Com ma 3: Al fine di acquisire elementi utili per motiYare
l'obbligo di sottoposizioae agli acce11amenti gli organi di Polizia
possono sottoporre i conùucenti ad accertamenti qualitath·i non
invasil·i o a prove, anche attranrso apparecchi portatili.
Comma .J: Quando gli accertamenti qualitativi han oo dato esito
posith·o, gli organi di Polizia banno la facoltà di effettuare
l'accerta mento con strumenti e procedure determinati dal
regolamento.
Comma 5 : Per i conducenti coin\'olti in incidenti strada li e
sottoposti a cure mediche, l'accertamento viene effettuato da
parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o
comunque a tali fini equiparate

11
__ _AmbLti _T.F. __ OJ>p.o.cL \•--6na.
";.~ .-- -....: --·..:::-~.::;::.;=--=-~ -=-~==-::::-- ------,,._-~---- ~-)
Brlnut1c:.

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J'.irprd.>:.m."l:O
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Ad"ct~ -*"" .......r~u..


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O•n'..' d~ TBC)
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T,..J .. .?J."J 3 ..'\Q0<1:t1u .. d ~ 1 .. 1-.n n• 11111nrm<'11I,. ot<.:Jf • • rl"" .J,·.,-nuln ~lun 1ii p,.utirn ;i:."1 fi·.:;,~.
pi.irulo;:.lr':1,. 1uJl1• r:t111. :t. • LS!J=:Jit'fflcJ:11nléc' dt·J/' 111.Jc.lu lr.m;;u·o. ··VD!'t cJ1pCT1d111tr...,
rlf'$.11Uf.t'lrv:"t:l;TI-IC~Trtr:tidro::tnn-, bJmlf: (.)E01~di rfiC"ttJ: j..,.-.).,,~trc:tl roirr.uJ

Tipo di sostanze utilizzate


Rapporto Dipendenza/Danni Fisici (popolazione generale 15-64 anni- Anno 20'i 2 )

Con< •
3 1
plil s 51-a112e 13,51%) ' -.....

()

o 2 3 \'SOD150S"LV'it.~AU.lOK> LINA \ '01.J".\ NrCU\TUDill U,,IZ.'111-4.ff~ I


tcotcAl-1.._C"O~ .. LUOR.Q
Physical Harm fwW:SrldoGl"$.OPA2011-~Pol*lwAn~

Consumo di stupefacenti (prevalenza •J.) nella popolazione generale


(15-64 anni - Anni 2010-2012)
Regione Campania - Consumatori di sostanze

~11
·::! :-= :-
CONSUMO ~~ ~

--
Altre
Cannabis sostanze

Uso Occas~nale
51,8% 3.J,1% 9,4% 83,5%
~

Font•: Slu6 GPS.


OPA 20 10 e GPS-OPA 2012
-Dipattlm.mo Po/ifiche
~·~
V~::1° '
Uso periodico 37.rm 43,0% 115,8% 13 ,1%

""""'°"'
~ Uso quotidiano
11 .2% 23,9% 73,9% l ,•%

PREVALENZA 1%) 15-0<ANNI 4,3% 1,7% 0,5% 1,8%

· ,.,, CONSUMO DI QUALSIASI SOSTANZA IUEGALE • 1,3% 15-64 •nnl


____
Fattori che influenzano gll effetti delle d~

- --
Regione Campania - Consumatori di sostanze
~-- __:._--
·-· ::-·
~ ~
,.
CONSUMO
c....-.
87.241 21 ,900
"'"""'
... .....
1.717

-
~

57.244
F•norl chimici e f• nn•eologi ci :

O Stato chlmic<Mlsleo in cui viene usuM11


O Dose

--
u... - . . . -
~ UJ1i•t11 I TU • ll.IU . 11,192•\W-. . !J Vi• di lnltoduVone (~rent•ral•. 1nal•toria, anlffing di polveri ete.)

-=~
......
..... -
U-.o~
62 201
st ..... ·MH1
28 4 20
UJ.U•OMit ..,. .....
3.072 8..981
\ .a.M .. 1'121
___ __,----
18.~
~
Uso quohd.ano 15.774 13.s.17 2.338 Fattori pslcologld e sociali:
(POU)
1ftU• tt0t l.i•t UHt • STO • ll-!2' n• - • 111 <- Circostanze ed ambiente In cui vlone ass unta
163.259 66.094 18.336 68.563 .i:· Aspettative del consumatore
TO TAl..E CONSUMATOfU
u.o.1ti.11s 1u nu1 \0$Ul t..1aJ•JiO'f1 1•ou -1n 111 <- Storia e personaliti del consumatore
Num.ro di ToulcodìpoftdOnti In tnuuunento: 15.937

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~ -•.-uW1-"n1il •"<C.cOHU

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t~t:-l'f•I • ~~f,-Jrf.f!tf'l""lo'tHl,1r,Jlr',.- /•r1 '"1 1WtJt'l•'9"/.• ,.,_'1•• "'°"'rlr-
f tt11àl..a ~ ... ,,a.u ;...,..,J.o1t•• 1:11orn1.1r...,, "''' " " wa.. O>hf,ç.- 1
l••r• .... 1- • - -..- • •d•r-••• .. ·- - -.. •· ... - · - ............ _...,_.. .. _ _,,,

L'eroina da strada è una miscela EROINA (3,6-dtacctil morfina)


costitulb do: - --
. ::. O.rlvalo MfM. sintetico della
• Eroina In 'li variabile
• SonOf>'odonl di origm. o ..-
..: ·,.,,. mof1lna
• Dllvonti (z:uccheri o polveri Inetti) ·~ L'•rolno • più lipooolubilo dell

~
• S<mann do toglio (Procoina, Coflolno, P•routamolo otc.)
rnolflna • """'"""" pkì
facH.,,.nte la i..m.n. ermto
Clreolano pe<ùnto miscele con dlvena clenomlnulone:
oncofollca p..- la~ dol -
Eroina Bianco (cinese) • si presenti come polvere t:rls111/lìna bianca gruppi ...11llcl •I - l o dol -
8town Sugar • si presenta In forma granulare di colore avana onkf~ll (OH) In poohione 3 • s.

~
Spffd Ba/I • Eroina+ Coc•lna +tagli f1nn1cologle1mente attivi
Anche la magg~r• tossldt;i

.........,...
--------- ----·
...
--- -----·-----t
<JJ ·n-..11... _ _..
... ..... ....
..................................
"_ __.
f•...lA.-•t.O ........_on~
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......
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""'~ "' ...pd'k,..1-.
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..
......_..,_,·~·-·-----
..........- ......
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•MONtMllK

·-
t~ ........... _...,..,,~

dell'oroln• rispetto alla motflnl,
mlsuraa c-CHM OLSO, • c:orret:.tta
alla rapldidi con la quate fefOina
att,.veraa ta barrien em.uo
tnc.tallca.:
.__._.._ -1-AM.
~ _

•2~vo1t11Pù
-
"··-·-.................
~

o-" ....,.
--· :v-l..,..
..CM, T
O-.< ç
I
.,... e.v. rEtolno
to&llko ~ 7 voft•
Pù tonica do. . MOffiM.

.,.,._.,*" '' AAonoh.,.•A •• ..,__,,._ •••1 .......... -••••o..._~ .. ..-,,,__,. •... ,._,,,.
•-L.'ll •""'·•lrP.

2
Modalità di assunzione de/l'eroina I Segni clinici connessi all'abuso di oppiacei

Via .Endovenosa ~ Uso cronico ; rny.,lk 11\loiidt-:.


[):,:1't<;.~C'l1t ~ Jti]i."O I fin.J !C'a;.~~· - :cn CJ;u:o.il.
Dùumu....-ucd:J::I p1e: :~ us:< ~l<n•~ 1:tlo:11u-: · ·o11e COll >llGCh)._
Via inalatoria di polvere (sniffing) o fumi ( snorting) q Uso saltuario R.lt1t1.JmtC:·d:i1.:rrptt:mir...
0Uuii111do1~ dri !IDaW.

L'assorbimento dell'eroina per via inalatoria ed il suo passaggio attra verso Snlpt'llo!ocom;i.
Edau.1 ?Cloc1'3ft.
la m ucosa rinofaringea, pur se rapido, produce effetti fannacologici pari a
.~hcr.t2!0t1t ~l\:i f1111r.fo1rt!i1J p.1 1 nénlt~ti.'\:1.lt (<lm'nll ;i l;jl:..J1uo 11ilo1im. c1Jr11i111u-br.e od
circa il 1 ~20% rispetto all'assunzione per e.v. ••»ai..:11ddla:x:i il'l..+.i iut~iilitlc l:l'l.lt.:1•1ù<":-,c11k 1it10Wuc:lk.i ~'llV'lllltlc.UhJ d.ùl• :i.l\•twc.>).
Sp•111n NI:# \it Mlini
DW1iunI.iN~ lldU ditirui (ptr \plmo .1t!nutirn ~ dri nm..,oli d!lla w~lrn : con 111i'uimc
L' esçrezione urinaria do lor~
in consumatori abituali di eroina .-\hauinU ddiit\.'W1111J1.L:u.cu1~ ,i,iwc l\.,.,ofi.Vi.I.
Pnd1u Jdh \.ttl.\:l>'Jci d0Wnf1c-:i
dipende dalla modalita di assunzione pertanto la % di morfina
.~Ull .ID i:1c;i;i;i-.-ità et Olltf'llTJZ::OOt lllelll.J.lt.
rinvenibile nell'urina: .A•ln~ :t~li ani t:J°~L
- dopo iniezione e.v. è circa Il 68% della dose somministrata, f'trdiD CC\11f~l!12dil'istUI0 $>6\>\~t (nd~ (Oiun ; i('!:Hl\'1110 lJ~;iC<L"Dit\ dtl tklo r,P.;C'!Ult
- dopo somministrazione per via nasale è circa il 26% tll!H::.lt1n<:-~ ).
5.n,U1:i;:im: e 11tn1on.
- dopo inalazione da fumo è soltanto il 14%

I I

CARATTERJSnCHE DELLA DIPENDENZA DA OPPIACEI METABOLISMO DELL' EROINA


r· \"'
Di(1t'U1 l: u1:1 1Mtbio
foni!oi.o1'1 dip:1ih\ìJI ~iclti•;1 :I~ ~i JU.n:fc:,u tGS;lt 1li;i ~pi111,l p1~u1e (00 in.i co~uizi<-n:) )
;... N ell'organismo è rapidamente
disbibuita n ei tessuti m olt o
~ rSl >

- >
irrorati (p olmone. ren e. fega to) Ol~CCIO ,j ·\:iooa~,,
c,:ii t llirur.::1ph.~:r~b dri'J?clip-o.::i:r.r~c:in~m"420. "a: booo..
..._.__
'r è co nvertita rapidament e (1().15
mr.r•rirnnfK.ir:a
R.if·:d:l t llcii~;tit.g:.od!lb 4il~l!.:l IÌ.lica eh: ;uo~no coo rum~ll.ll!d!lbd-»t. :. ~~ mi.n.) in 6-monoacetilmorfina
{&-Ali<!) e poi più lentamente
i \'>
0}>.
u: d:ra:~mzillr Jtlaùeop(o l 11.)0llJ!Lilil;iui1~ W.w11:t'li:-11 ,p:cifi.:i.c-.u:il11iÙl.".\01cd i

~~~
11'il"C.'l:tne}d.-:1:munr lt c~Ul.'I~ uuadNÌIO»H-dJ 1.>Jlfl!IC11 (""'~1J !inir.i1 C!!inruiJ~ ~ (4-6 ore) in M orfin a. _ ,._
ort<l"y.o l\tlim:i:i:suuic:Jrdid:~i rJ;:pun;tllil fim'!on~i.itxdti11i'ntio (Clp't I·~ ~icinitd>pO
r la 6-AM è individuabile ...,., M
Hrolp.11t;p;n.1~ !l(L~lt).
n ell'urina in funzione della
"""'"' ~
/
~ Map1ilte
I
loltr:mn
freq uenza di abuso m entre la
m orfina (libera e totale) è ! Co~ll(µli:in 'Y
S\i:n1'V'J Wru1! ll"fo;u1Z;111!bù:C1!3 :I:: Uciu:\k mi:~1.11 1r 1uu-:ifo~<lkLW Pomli:i:i!i Wo!-'
'/""'
,_ ->- "°~
0:A
p:ret110:.:-~ ;6 dfo1i fat11arfo~i:i iiuzi.1l!.
rilevabile fin o a 4-5 giorni "
(nell'assuntore abitu ale).
--
OIJfSK I "o.
I Noormpt~

L'intossicazione acuta da oppioidi


L {3-~<etù.mo.or)
f-nioM~rihicrlio.G (:'Ll)[!
L'acute narcotism
si manifestl con la s eguente sintomatologia :
I :cKtac~ujoo~) euforia, prurito cutaneo, miosi, sonnolenza, d iminuzione della
frequenza e dell'ampiezza del respiro, ipotensione, bradicardia,
3-0-:nt-~•r
~ -
~ C\-d~r1il) ~ !ionuor&.:.
diminuzione della temperatura corporea.

co.teka i .(<=u~·~,~~-i;o?=>oci<o) Tale sintomatologia può evolvere in


coma, depressione respiratoria, apnea e morte
J r.I.:::::fin a l.ibm I ~lo~J-mctti)-.
~hiru:oa.i~ TERAPIA DEL PAZIENTE IN OVERDOSE
Ventilazione del paziente, Il cui respiro è primariamente depresso
dall'oppioide (oblio respiratorio}, seguita dalla somministrazione
r'iu : 1Juau;)ai.1t (• • .) dell'antidoto specifico Il Naloxone®.
...
~1orlic li'len mc> La durata d ' azione del Naloxone è Inferiore a quella degli oppiacei,
per cui I sintomi di overdose possono ripresentarsi nel giro di poche
ore e ciò richiede somministrazioni ripetute dell'antagonista ed un
periodo di osservazione superiore alle 12 ore.

3
Fattori determinanti /'acute narcotism Metadone
farmaco di alntHt uhRz:zato con :wc.c.uo cA ott,. trtnf'annl

,. assunzione di d051 superiori al hvello di lolle~nu


ne.Ila,.,,.pi.I
~bfutiVa cMHa dipendanu di ero+N

individuale; Le sue proprietà prMom1n.ant1 s.ono;


<• rartJviti •n..~aiu
, uso di sostanze ad elevata purena: '> l'effieac~ delLI aommlnlstru.lone onile
, pollabuso (altra droghe, alcol• BOZ); •>11 soppnsalone duraturi del 1lntoml Mlras:tinenza
Oiff<tten.te fwmKodnetlchee fannococlòNmkhe tn Eroòn• e M"adone
,. •overdose" nel body-packer
Enhn.1 \lt-0i1dou~

\ '" dt.sommint\ln,uoM Endo""~ Oratt'

lnsori.tQ.Vl dt-:.11 tntu1 lJD.medi1eo 30 UJio

DuratA d1 abot1t' Uort 24-36orc

-
-·- E\1forù.

t.uor:tn:tA suuonu 1unntu1:1ah


Primt-J·2o"

DopoJ.,.;f o,..
A$$«tof t

DopoUor"e

METABOLISMO DEL METADONE


BUPRENORFINA
Oppioide -"1tetlco con proprieti aMig..lcCMM1rcoti<he plU

nel> tuaphl l>mlKOloglca sostitu!jya et.Ila di,.......,.


potenti datla morfina. vt.ne umministnto in • lt9tnlttvli al Net.adone
da oppbc..i
1._n,,.. "'° "'°""'~
Ouarteristich• dalla Buptwnorllna:
•La lunga durate di axlone, • quindi notevo.. attività 1na~ia~ che
permen e S. 1omm.lnl1tra:done del F• mw1ço ad intervaUI più lunghi rispetto
al Metadone (1lno a 4 giorni).

• La òif>*nd.nu llsle> lndolta, di min<n OflbtA o dvDta rl1petto al


lol-.
·La blondll .tmoma1ologl> ntlnerwolo che "' maNlata, In gti>ere, con
un rltatdo dMt ""' di 2 giorni a 2 ........,..,. o pen<l- per dtca 1·2
Mltlmarw.

Accertamenti clinici
• di laboratorio

-~odrocv~W.
• Segnldl
"6i.mzielrm *""* !
Pt"4f\U <tJ .wt.. •tvp fllo
.....
• V~cl~UfWOf'\ale
•Sintomi rit.ld I
pt.kf'Md ln -'10
metllbolitineilllq"&dt
blologlcl .
• gr.do ~ dJpencMnu
• Slndt ome dli GN KCetQll'Mnd dinid • dJ
• ln~""hti d•,U'abwO UbJMJ\U fn •tto LabofMOf'° "~ «f'f•'1"1H!ti
-+4 ... _,-- .....
.-·.
.. "'. ot' •-. ~··
~-
."'
M4 ror M Sl
c>o 1Jtrul1\H• pubblich9 d4
~con&pedflca
..,.,titnu Ml a.nor•

4
CT'lltlfcll S111u 111:uolo:i.1 vrr Oopc r mn;m uo;t-
SINTOMI E SEGNI CLINICI DELLA SINDROME DA ASTINENZA u ll11C'U.ol t:roln~ :'\lo. &1ci ) hl:itlH.f'

·:· Pupille midriatiche


.:i,,ua-n;lu Jc-i ..91i µu:;D.la111yi•1uL111.1~Lp1kcu:.oi•1tc..
"
·:· Polso l"apido
b~:'ll: (t('Q!J:UiCWll."\•~f'lni. \"lllap\lt di c:iUoot!di ~<>,.
terazioni della funzionalità gastrointestinale dr>to:illk:u..,"t<~~i1111S< O:.Ì. :n.oicnb ) 1.: I~ JS--.:
con na diarrea cr ali
·:· Sbadigli e aumentata salivazione ?i• ilu-JUlil., lml.I~\ tl:l!.a
;\l:.J:i:tll'- lb 1oi11tc>111i pn:n l::u;j
rr"'~iOM ~r.~t." ~n"' '"'lf"'-T.l'l'llD '"'?tt'-"· d..1b rr....
·:· Aumentata sudorazione qu::zw.11qxu!"U!Ki1::. 1~?ir.11U1iot d:-U.tfi:t~11;11:•1kl1-.\so.
·:· Tremori, pallore e "pelle d'oca" Sttq1i!1au. m1·~ lii·~~ ::'..!->6
·:· Agitazione, insonnia
l.m:btlr ruiiti11m1" :mc""'\!-11i p111[-..::ltc;~.fitf'tn"t- r~­
·:· Aumento del secreto dalla mucosa nasale
:Ì.1'11~ ra1:icckku1 s.:i ru~ -.vmic:e dur.a. o·rnt10. :U 1r.n.
·:- Tosse p<d.t.l di~~. ~;a;:,V..K"flt ~pn11.;uit1 . M?:t; •ao an.">COti•
·:· Spasmi muscolari e dolori localizzati al dorso ed ttlCllil'ttl~. l.!t10:<'t11os1. t(lSUIOp:lli<.. 3111?iC:UO OdLl
alle ossa ?li;:.uni.:i :::6·.'>t .~(-JS

·:· Bramoso desiderio di assumere l'eroina


"l:ibrll:t 1'-,_ SindmH1' ili :l"li11r1u;i da u_;,.-, I/i rmi11:1. mnrfi1rn r mt-1 ;alnnr. U:i111Jtmo
lf'ID fKN'"ITf'tfi

Sc:1.hl Clioic-.1 ner l'ARfocnz~ da On fac · ICOWS. C1inic11! Oni•tl! l f'i1lldnnwa!Scol1!\.. 2003
requenz.a cardiaci • riposo: rrequlete:aa ....,,. .. .....,,adont
l!equRnU ardiK• di IO o lnlerio!t 1iuu • si.e Mdulo lnwlobllt.
fftqU111onUçacdiKlollln-1oa 1 dllficalti • ......, Mdulo i.-oblk,
h~c.diaQdlHt1-n11 ~~h~o~dbfKdalgarolbe
SINTOJ\fl + tllfqlllltftUçacdiau ~ .. •12'1 - rlesct • S1"91'e .-ao~ .ACOndl
pisturbo gastroinlutN!e ~ ma:I"..,. ~'iod!Mwrll"t.I'~
Mssuno~lo

Vlimito a ott~dlgU..1 o 2YOlle


1UUM11olecl molli esbadigua3ol*!l'Oftl"
fumori vomlloodlaonu
~on.Vane~ muro..
I "sbMhgll• "'°"" Wlltelmlnl.llo
SudoruiuDc IAM~olnttabl&ltà
-Ml~bltvtdlo~t
Lacrhna:doec
Cont nuioai i;nuscul=>ri
........... osteo~rt
DiuTn
Vomi10

11Ued'oc.a
L=.crim:n:fonc l•-•lsc:I• -Plluenl"
la •i:loneivi~anchl"Wllebnic:c:A onunu- ~ui. o or.dli ln~olhlMf'llle umidi
.21on.~

Sc1u:ar.iurn· ~wo I fn:dd:i t:n.nskmll delt• puptffie nuo dlii! çoY o~ i.hl: a.corr- sulle vu•nu
Pnl.N> cPm~fum: Arh:ritos:.
Punl'"'~io 1n1:ilc:
1.b I :a Ili nr,.:.: IU·lO= :i$tior:n:u1 1ncLli•: >lO• ">lincn-.::i cttncl~lll:al~

~
Cocaina
Erytroxylon Coca: arbusto di altezza variabile 2-Sm.
:.?--<C>
Foglia ova le o lanceolata verde scuro, margini lisci

Principio att1vo stupefacente : Cocaina •Adulteranti :


-Atropina
·Nomi da strada: Coka, Neve, Nose Powder, Charl y, - Hydrox~rzina
- Phenacetina I Paracetamolo
Cake, Gaiette Crack, Nuttendiesel,..... . KUoc.l•W• .... o; ·)14- w:.- -Diltiazem

~:-/'z·ClO•~:·:.
Polvere bianca (cocaina cloridrato} schegge o palline
bianco-sporco o grigie o marrone chiaro (cocaina
base) COCAINA A.UE
. ,.;u~,

C:t.t: CJC

Cocaina "superspeed" è più addlttlva delle


amfetamine

Crude Coca paste: Neurotossica poiché contiene


residui d i kerosene

5
Cocaina cloridrato Insorgenza e durata di
azione della Cocaina
·Dosi natl'u.so rtcre.az:Jonale
• 1 O• 120 mg per pr1nclplanll
• Consumatori ablt~ll tollttrano nno a 5g I dia ......
• Consumat0f1 computslvt : 1 • 7 81nches nelle 24 h

• llpologl• di Abuso
• Snlffing I s.-ting

--
• lv - lnjection (Coca In un braccio ed Eroina nell'altro . . .

"l _-r
Stere<Mn}ecllon)

. . ~ Momenlof
Adminb1ration
. . .

Cocaine - HCI vs Cocaine - Base (Crack) lnhalation


Administratlon Routes

lv - lnfection S nlmng lnhalallon (Cocalne B•••I

M f'dl#•c•blr.IVdl
SWKl..,ia• Vrill _,....._
... .......
J••rVrilt Jlls•rVfllt
..........

-...-.........-
.....,_.pa.aticV-

llYC')
nn
s.n--'-.ftl"•
lSVC')
ltieMHnnA~
-...-..v-.... -...enrtA•l'lile

_....,_,.
-..... .. _-
........,T,,..a;-
-~
',..._,,v_
_
'-
~\·~

..
Ld8nr1Atn-.
ùfl:Bnn Vftlitl'klt
'-
.....
LdOnri ,,..,...
.............
-
l.d8ml1.A."-
..... -..-
......
......
c.,.....,And"\
.....
c.r.tWArtrf'\

·-
c.aftlliidAn'1".'

Azione anestetica locale della cocaina


iv-lnjection

.Q2;Q
,..__ _,,,
Nonnala funzionamento del canale del sodio

L--
~anale del sodio bloccato dalla cocaina

6
Azione stimolante della cocaina Effetti dell'uso cronico di Cocaina
L'azione stimolante e Indotta dal
blocco della rias$unnooe dei - Dipendenza Psicologica+++
principali neurotrasmenitorl - Dipendenza fisica +
(Dopamina, Serotonina,
Noradrenalina): - Tollennz.a a dosi quotidiane +

A) Q~ndo le molecole di
neurotrasmettitore vengono
liberate dal~ vescicc~ esse
attra.ve.rsano a
fessura slnaptica
e s timolano le cellule neJYosa
suc;cesstve.. Una parte delle
mofecole di neurotrasmehitore
che 51 trovano nella fessura
sinaptica viene r1pompata verso il
neurone che.,, ha liberate;
P~tc.1 10 ::.rieC:)rdi.ilcbe:
B) in presenza di Cocaina il - canlionii111m1i:1 tlilat;ui\ :1
reuptake dei neorotrasmettttorf
- ipt·nnJ fi:1i·:u-cli:1r:1
viene bloccato e l'azione
- :11c r11s-.: krtt,_i :1<·('ckr:11:1.
t stimolante aumenta con l'aumento
della concentrazione di tali -mi11c anli1i11C'11n1r:1 t•ti11n· B:tn1l
mediatml dell'Impulso N..:t-ru-.;i
nella fessura sinaptica.

Brain lmaging
Positron Emission Tomography PET Magnetic: Resonance lmaging MRI

= .==::,:::::r~ •
c~~••IMJ'w.tchafllrn,..._.
Induca COC.lne Cn•"'"9-
I effetti euforici
'-----~
J~ e::::::> Ip sicosi paranoide
n
At.as d lh<i! lklill ola ..
a) Sind1ome euforica
b) Sindrome disforica V
Coc;aln,,Us~,...Up-...

.
::"\ .
l'1:T Scans ... , ... Drug Xl.S
. ansia
r e) Psicosi paranoide
~ . pia nto immotivalo
. euforia . delirio di persecuzione
. a umento delle funzioni
. apat.ia
. allucinazioni visive
Intellettuali . m;1linconia
. allucinazioni uditive
. iperattività . anoressia
TNs PETimagels fonned • . allucinazioni olfattive
rrornEne.1gyemftled bya • insonnia . Insonnia
. comportamento violento
~·-..,.,.., ... Ug.... - · • '. . iperse.ssualità . Incapacità di
t~tst:IKtlvfly anKttu to •• '-
Oopamlrie 02 Receptors on . tenden%.a al co ncentrazione
BTain C111:Hto. PET Sludti can comportamento Jl
be- used 10 evalu.ii te and
compare the DIS!rlbutitm and
Density ol Rec•ptDI' or
aggress ivo
IConvulsion i
T1<11nspofter Sttu in Drug Morte per arresto cardiaco
~us:rs :r.= ~lo~~~.
~•-b_io_c_co_r•_•_P_ira_i_o_ri_o_~ <__JÌ

Drug relateci deaths in Campania region


Cocaine Acute Poisoning
Secondo le statistiche intemazionali in USA : rlumberc2se< by year (n. 267)
la Cocninn f In cnusa più fn~quente delle Orn~-rc!atc tl Duths (ORD) 10F .~----=-------ciCI---~
- napprcsrnf:'1 In prima csm sn nei dece55i h·A i sog~ttti di et:\< 35 anni

j.....---H~-~ ·-------<
Freqli:ncy et illicit
(SptiSO R.Ssun t.a come Crack) 30 drug ir.volved in
drug relaied
In Europa
La Cocai;:;c é !a seconda causa ofDRD dopo le morti c!a E1oina, IO ] 12
L--r t
deaths (n. 267) in
Campania region
(llaly) overlhe
ma la situazione é ancor.a incerta:
D Cocalne--rclated Denths non sono dosi co1Tebte
LO 1J tt- period 2008 10
2012

O Le O'\'erdosi acute da assunzione di sola Coca ina sono rare (Poliabuso) SOl.NW: t...b. o/
Fw.nskToJCkology-
O La si ndrome acuta da Coca ina prevede: ~dUtW.n:ityol

- lperstimolai.ione del SNC N•p/es(SUNJ

- E uforin, lperattivitit • Foly-Jru' iLnt • f&-OH


- Agitazione, Midriasi
- l1>ertennia, Infarto R Bonie/Jo et al. A five yea/3 study on drug+re/ated deaths in Campania (ltaly) .
- Arresto restJir.llorio (nd alte dosi) Anna/es ISS-Vol. 50 n. 4- 2014

7
Overdose da cocaina Metabolismo della cocaina

"'----«~
1) R•ptdrd dò inM><genza

2) Convul~toru tonko-clonkM (>-- '\....,.,.,.. ••


0,;:n.a:oy ro.cgonine
3) Arnsto utdbco per fibrittavoM: wnt11eo&are
...~· ~
n dK.uso pw mossk;Q;ione acuta pu6 • ....,.. a.cambiato per ...,
""Htacc.o cardiaco"" ~ nece:ss1tl dta1ncbglne louicologic;a ~-<><
.;
M~~g:mfflf TndidoNte l!<>gon"'

Management del Paziente •AcldoAce1ilsUdllco


.r
~..,.,., .......
affetto da sindrome
coronarica acuta =~~~ (,> ~ 0000.••
Cocalna-<:orrelata ·11-81ockon~~~~~~ ,;
N~tnyt•ne
/"'•

~e·

Metabolism of Concentrazioni e persistenza di cocaina e


Cocai ne metaboliti in Sangue e Urina
dopo uso ricreazionale
Drogai Conc-entn.done Oet-.cdon O.tec:Oon
Met11bottb ematl~ llme lime
SANGUE URINA

Coc.aira 0.02 to 0.5 mg/L 4 •• 12 h llo12h

....,
C.,... I

~-·
otpM->1
BEG

EME
0.1101.0 m91L

0.02 to 0.5 mg/L


3010""

11103011
44toKh

24to40h

CocHlhylone o.os to 0.7 mg/L Cto12h


'°'°""
Cnck(AEME) O.OOl to 0.015 mg/L <0.5h <2h

---------·..o..u-

Dipendenza da Cocaina Danni da "abuso di cocaina•


si rNnifesta con t. s.fndrom• d 1 11t1nenp psichic•
che pu0 c-rire .U. dopo .., periodo ~to cl uoo • doso!l!ll olevali I.a c:oulna p<"IWOCa nmm-o. vnocos!!Blont ~•I p<li> IOITl'nrw fno
che dopo qualche glOmo cl uso compu!Mw. aU.. -rosi dd• mucose e alll bpla jl9ffon1DOM del....., nasale
n poltft toulcotnanigo<>o dello coulM • btlo .... clu<am. ruso compulSIYo
un lndfviduo pu6 INUmef"e fino • 30 g nena 2' h L'lllO cronico di cocam - " ' profondamente:
n q""dro cfinlco - •Sindro me d'astfn erua" viene distmto In !J; 1) I •il:tatM nervos.o centnle
a) Prima fase ; crash (crollo) 2) L'appanito canf>0vucola,.
b) Seconda fase : wlthdn1w1I (utlnenu)
<I Tena fase : utlnctlon (estlottlone) l) I legalo
4) produc9 ahri effetti olo,.mlcl

I .tntomi deU1n1ouicuione CfOf'lka aono conseguenu di un aho orado dl


MR&fbl-

8
1) Sistema Nervoso Centrale 2) Danni cardiovascolari

O Infarto cardiaco
Alterazioni psichiche:
psicosi paranoide associata ad euforia e disforia. Q Aritmogene.si
9 Rottura dell'aorta ascendente
In termini neurobiochimici tali eventi sono ascrivibili alla inibizione della
ricaptazione della dopamina ad alla s ensibilizzazione dei recettori g Rottura di aneurismi
dopaminergici o Miourdite da cocaina con necrosi dei cardiomiociti

;.. Alterazioni cliniche:


emorragia subaracnoidea, rottura di aneurismi basilari, 3) Fegato: necrosi epatica da radicali liberi
convulsioni e "ipertermia".
La cocaina può percorrere una via ossidativa minore: norcocaina -
Tali eventi s ono riconducibili all'effetto simpatico mimetico indiretto che la -7 norcoeaina nitrossido ad opera del citocro mo P~O
cocaina es ercita
La norcocaina nitrossido può tos sificarsi, mediante perdita di un
elettrone, in un radicale libero, capace d i causare deplezioni di
glutatlone, necrosi epatica con lipoperossidarione

4) Altri effetti
COMPLICANZE VASCOLARI ASSOCIATE ALL'USO 01 coc~
a) Bronchite cronica
b) Edema polmonare
c) Aumento del tono simpatico: Nervoso Ernoraggia cereb1ale. inrarto cerebrale , convuls.1oni.
emicrania, V35.CUlile, cecltii
o tachicardia
Ca r dia c o Vasospasmo coronarko, ischemia. int:Jrlo, arl1mie.
o ipertensione mtocard1te . cardiomiopa tia

9 Ipertermia Grossi Vasi Dissezione elc ronura aort1ca. lper1ensione


o midriasi Gas1rointestinale Ischemia e lnfar 10 mesenlerico. perforazione
gaslrolntestinale. lnsutticienu ep:itica. mfarto splenico
9 iperglicemia
Respiratorio Edema po lmonare. Intano
o aumento del metabolismo basale
Mu sco lo sche le trico Rabdomiol isi
G vasocostrizione delle estremità Cuta neo Ischemia
d) Diminuita secrezione gastrica e intestinale Riproduttivo fe m mi nile 015\acco pl3Cenl3re, aborto sponto:Jneo, prema1urita.
r i la1di di sviluppo. rit ardi d i c1 esclta. malformazion i
e) Rallentata peristalsi congenite
f} Azione anoressica Gen ito u rinario Infarto re n ale o teslicola re. miog lobinu rla con
insutticlenu renale

Venoso Vascuhti, l rombo5i e lromboflebiri superficiali e


profonde

FISIOPATOLOGIA MULTIFATTORIALE DELL'INFARTO/ISCHEMIA DEL


MIOCARDIO DA COCAINA
Cannabis Sativa L
Pi nn t:i erba cea, nltn 1-3 in,
con infio1·escen ze a spign
nella pin ntn fem min ile
Pi·incipio a t tivo: ii 9-THC
Effe tti sogg ettivi: eufo ria,

.
Aumentata
frequenza comunicabilit:ì, na usen ,
pnlpitnzioni, so1111olc11zn .
contrattilità
cardiaca, Consistente dipenùenzn psichica
aumentata
pressione Oosi> J OOmg: fo r te agitazione,
arteriosa ipcr:1 t tivitiì.
Dosi> 20 0 mg: effetto psicotossico
co n a llu cin azioni

9
I Principi atti.,; cont•nutl nella Cannabis Sattva L
I Principali derivati della Cannabis Sativa L

, ... .......
-.....
~ Grc,\M"' 1HC' I'•) ;--....:.
,......,..,.
,.....,.c:c................
.... ("- ··--·--
• .)"·fll~


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,...,, -·Utl.
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.... ,..,.,~, ... . . . ~ ....... U&tfll.MQ

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% di THC nei reperti d1 cannabis (inflorescenze e foglie) e suol


derivati (hashish e oh), 2010- 2013
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Reperti di
~-.,.Mdl
CON•CBOm11
c-ont.nenti
THC> 111'1'..

10
(
SEGNI E SINT.OMI CONNESSI ALL'ABUSO DI CANNABINOIDI
(HASHISH O MARUUANA)
J
1 .Un neurone (in blu) libera
normalmente il GAS~ un
O Euforia associata a sensazione di benessere fisico e psichico
messaggero chimico con
O Alterata percezione del tempo e de.Ilo spaz:io funzione inibitoria.
2..Flss.3ndosl sul suo recettore_
O Riduzione della soglia di risposta a stimoli acustici e visivi
il GASA frena l'attività di Un
O Alterazione dei processi di memorizzazione
O Ansietà, Aggressivit3 1 Aumento dell'appetito
O Pupille invariate, Aumento della frequenza cardiaca
O Orofaringiti, Bronchiti, Asma
O Vasi ciliari "iniettati di sangue"
O Diminuzfone della pressione arteriosa in ortostatismo
O Aumento degli errori su un percorso automobilistico s imulato
(aumentato rischio di incidenti stradali)
KETAMINA
La ke~mlna è un anestetico per U$O r.I• vrtorinar1o che umano
recentemente ogg.,tto di abuso lnl I giovani pen:h6 a piccole dosi
causa dlssoclazlone psichica • lieve an•lgesl•.
Dosaggi sulHlnestetlcl pouono provocare l ortl alluclnazlonl
vl!llvo-audltlve deflnlte come "di pr...morte.., con apparenti vl$10nl
del futuro (nashto1W1Jrd) e vista dol proprio corpo d•ll'esterno.

Nella fase di r1SVOiJllO possono


manife.5tJirsf 1 seguenti sintomi:
u KCIWlone
O sogni vividi (piacevoli o spiacevoli}
O confusione m-1•
iJ compo11amento Irrazionale.
U aumento del tono dell• muscolatura
scheltnrlco con compun di mo'limenll
lonicl • elonlel, sim1h •Il• eonvumoni.

I L'auunvone con1Hlu.1e di Ke1amtna /alcol


rap;.rese.r.u un componamento molto ns.chia:$0

Metabolic pathways of ketamine Amfetamine


Sostanze di sintesi con
effetti stimolanti simili
alla cocaina.
Inducono dipendenza
e Tolleranza inversa.
Le complicazioni
legate all'uso, sono
simili a quelle indotte
dalla cocaina.

12
S"IRUTIURA DEGLI ANALOGHI DI SINTESI DELLE AMFETAMINE
Ecstasy

·[ ]-
.1;.a.w......... ~~
r1:>.1.. b'.... cncii

MOMA drog a di sintesi (compresse)

Empat o gena o entactogena

Il deficit di Serotonina che si instaura


a seguito dell' assunzione di ecstasy é
l"YYL.
V ,..,
0 responsabile della depressione che
segue l'effetto stimolante deU:ecstasy

L'intossicazione acuta da ecstasy si


maniresta con gli stessi sintomi del
colpo di calore

Gli effetti stimolanti pregiudicano le


capacita di stimare i rischi con nessi a
determinati comportamenti (es. guida
veloce) .
~r.,:l"':'ll...y,....(> ?·:..O'W."""'fV.::;.ll .
t.....:•, t f ..CV,<. ~..,_"'1"'"-CG Wff!OIC."O

ECSTASY: alcune tipologie


segnalate
.. MDMA+MDA
MDMA + MDA+MDE
Amfetamina+Metamfeta m lna.
Amfet.+Metamfet+Feniletilamina
MDMA + MDA+MBDB solo Cocaina
. MDMA + Caffeina solo Ketamina
.
.. MDMA +Cocaina
MDMA + Efedrina
sofo 2CB
Efedrina+Pseudoefedrina

. MDMA + Ketamina
MDMA+ 2C B
solo Caffeina
Scopolamina (•1100%)
. MDMA+medicinali vari Caffeina+Paracer..molo+Udocaina
Paracetamolo+Voltaren
Eroina+Paracetamolo+Cocaina+Caffeina

Metabolismo dell' Amfetamina e Metamfetamina

13
NPS - NUOVE SOSTANZE
PSICOATIIVE
PSICOATTIVE -~
caratteristiche -~ caratteristiche
1. Natura sintetica (%>) ma anche vegetali (%<) 6. Assuntorl da 15 - 55 aa, spesso Inconsapevoli dei
2. Potenti, molto tossiche e pericolose reali contenuti (mlx non dichiarali)
3. Effetti e danni prlndpafl sul sistema nervoso e
psiche ma anche su cuore e altri organi 7. Dì difficile Individuazione laboratorisllca e diagnosi
nelle emergenze
4. Numero elevato (oltre 1000) con varlantl facilmente
ottenlblll 8. In molti paesi non ancora rese Illegali
5. DI facile reperibilità, vendute «mimetizzate• su
9. In rapida diffusione a livello internazionale
Internet e negli smart shop In co-marketlng con atre
sostanz.e e merci varie 1O. Gestite da nuove organizzazioni crlmlnall

0i'°ic.:>I"_, respirate~
S<;dor<?iore
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All~iNZ•Or;
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In uno Sman Shop
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Quesito Anah51 111a1w:a1a ahfentdic.allOlle
di ponapl anlvi Cftlla classe dei cannabtnOld1
consvmpt~ ~•s• contact
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m1me110 (JWH ltd analoghi) e ncerca d• alln
P• d·ed Wlfl/111211/°'n
pnnopo a111Vl 1abtll111 secondo 11 OPR 309/90 v•ry. M•t» 11) Pnl~
e SUCC- mod

14
EJ
. DESIGNER DRUGS

. Ll me1aclorofcnilpip:rU10::i (m CPP ). è una molec:ofo di siolcsi :app:intocn1e alfa cl3SSe


delle feoi.lpiperazine. in g:xio d1 s,'Qlgcrc si::i effetti an1idepressi''i che stimoluo1i.
Pool Rcpcni Cnnceotruiooc media Vicoc scopo ricreu:ioo.:i.Je. in discoteci e nO r.:i.n: pa~. motfro per cui
us.31'1 .. e illegale
JWB-l ll paesi europei.
in dr."Cf"S1

H:i tffcrti sol sis1ema sero101u ~ico penante rassurWonc:: può proYocare a nsi a ,
1-5 2.7%
confusione, tremori. ' 'omito, 1>a urit di perde re il controUo, emicr:mie,
&- 10 3.8"/.
- ... -· I atfll cchi d i panico, ipcrunsibilicà nUa 1uce e 21 rumore.
.:. .;.·.-.:.·- ·:.! ! =·-- . - IJ-15
L"-19 ! .O'Y.

DOSI C/RCOLAN71 DI JWH-122

Conteztonl klenttche sequestrate in a ltre


citta c o n t enevano JWH-250 •
Nel Cdso da nol esam inato, con t en evano
solo il J WH-122. caratte rizzalo da
consistente va1iabilltà q uantitativa,
compresa ha 40 e 76 mg, per slng°'"'
bartetb da circa 2g.

Fenetilamine e varianti
('NH
..
<""Y N-.../

BZP
~1
Cl

"'CPP TfMPP

* ..

OUOU 0041 H

POPPER
CA.Jl.DLE NITRITO;
JSOPENIU:E NITRITO)

Modalità di assuoziooc:
Assunto J>er inalazione
dci ,·:apuri.
FormuJ:11 chi.U no
slrvtrur.a:
(CH,):CHCff:CH:ONO

GHB
(llquid Ecstasy)

o
H~OH
Anabolizzante,
Ipnoinduttore,
Socializzante

15
09/1 2/2014

LA DIAGNOSTICA TOSSICOLOGICA
sul vivente e sul cadavere

Prof. Paola Cassandra

Finalità dell'indagine tossicologica

Clinica Medico legale


Amministrativa

. è di rigore " l'accuratezza" delle indagini e la " certezza" del dato analitico

1
09/12/2014

Per il Trattamento di disassuefazione da ~sostanze di abuso" è indispensabile

O il monitoraggio preliminare per verificare I' abitudine assuntiva del


paziente

> impostare la terapia

O Controllare il programma terapeutico durante:


~ per implementare la terapia
> per controllare l'adesione al programma terapeutico

~ Scongiurare eventuale overdose o inefficacia terapeutica (metadone) x


interazioni con Farmaci (modifica del pH urinario, inibitori /induttori metab)

O Controllare il programma terapeutico al termine ed a distanza:


~ per tenere sotto controllo eventuale assunzioni del paziente sia verso la
sostanza per cui si era instaurata la dipendenza, sia verso altre sostanze
alternative

Corretta
interpretazione

Prova dell'osservanza o meno di una norma --7 certezza ed affidabilità


del dato

2
09/12/2014

Le indagini tossicologiche con finalità diagnostica


prevedono l' analisi di liquidi biologici e/o matrici
alternative
i cui esiti , da soli o in combinazione tra loro,
forniranno elementi utili per un corretta diagnosi
con valenza medico-legale
in diversi contesti:

L'approccio metodologico

pur se diversificato a seconda della finalità


dell'indagine

non potrà prescindere

dall'applicazione della classica criteriologia medico


legale di avvelenamento che correla

il dato chimico-tossicologico

ai dati che scaturiscono da una attenta valutazione


degli altri criteri

3
09/12/2014

Campioni biologici
Il tossicologo ha la possibilità di sceg liere tra una vasta gamma di
campioni biologici

Matrici convenzionali
Sangue
Urine
Contenuto gastrico
Matrici alternative
Capelli
Saliva
Sudore, Umor vitreo, Meconio, etc.

ognuno dei quali fornisce preziose informazioni riguardanti


il tempo intercorso dall'assunzione al momento del prelievo.

-.-

Ma quale matrice biologica scegliere I


- . - --

Teoria >~~] ( Pratica


J

• Finalità dell'accertamento
(attualità d' uso, uso
pregresso)
• Matrice disponibile
• Praticabilità del prelievo
• Strumentazioni
Tecnolo iche ossedute

4
09/12/2014

Sangue e saliva
Capelli ·
/Attualità d'uso . /Uso pregresso/remoto
/Invasività del /Prelievo semplice
prelievo ematico /Finestra di rilevabilità:
/Consenso . ampia
informato ./Facile conservazione
/Correlabilità / Difficilmente adulterabile
saliva/sangue

Pre-requisito importante in caso di indagine tossicologica è la


corretta raccolta del campione biologico
intoss. in atto, pregressa, remota
La scelta dei campioni biologici
f Via d 'introduz. del tossico , organotropis
\ Finalità clinica o forense

La tecnica di campionamento ~ Vials, siringhe, contenitori


Fluoruro di Na x prevenire la
Eventuali additivi o conservanti - degradazione 0 fermentazione aie

Etichettamento (codice alfa numerico)

Elementi circostanziali (terapie in corso)

Trasporto

T 0 di Solventi, Volatili (congelamento)


Stoccaggio -

Cianuri (conservati in frigo, neoformazione x congelamento


catena di custodia

5
09/12/2014

CATENA DJ CUSTODIA
garantisce la privacy, la " non manomissione" e la corretta
identificazione d e l campione biologico

OOrHe13.

-.....-
'fr ~~

\. "
I

~~~~~c_a_t_e_n_a_d_i_c_u_s_to_d_i_a~~~__,]
Garantisce:

)> L'integrità del campione e la corretta identificazione del soggetto;

)> La conservazione dell'aliquota necessaria per l'analisi di revisione

)> La trasparenza degli atti e la rintracciabilità

"dell'operato e dell'operatore"

6
09/12/2014

Accettazione Smaltimentc
della del
richiesta campione
biologico

Perché è indispensabile d.o cu

- -- - ------------------------
09/12/2014

Una vorta verificata la idoneita'


del campione biologico
si procede alle determinazioni analitiche
richieste ·

·~· :.:;.
::;;9:... ·:..

PROCEDURE ANALITICHE

Le tecniche analitiche
SICTIO'.'\ !: O.TrC.OJUZI.~G.·ISA.LYTICAL ITC.~lQTIS

.:i r~~iq";n ~ lb! :aul"':I~ l':drog!-.'l:l;~·:t• imybt'd::~ùia\ tll>: WrE-tr:n:~:1.,-, N~ ~:l :Ila:
di=-.nu:u::a~ -; ..n:. :,t-1• l F'"t!!I t=pt.i e: thf'..• l«l=<jQ• mi.41.> 0tdtt cf d>-:tu!:.u~
.u-r.m:ia":.t! ;w.-.t: 6-t-:DA :e C'

:~~~--~~~~-~·~~--~-·,:-:-:-::-.:-~-=~
-:-~-~-~~-~~-0_11_,;_-~_:!_1<_~_-_~_'>Ctl'_·_;_·~

8
09/12/2014

Tipologie di analisi:
SCREENING
(Metodi imm unochimici, Test colorimetrici)
Analisi preliminare volta alla identificazione di grandi
gruppi di sostanze
Determina , in riferimento a cut-off prestabiliti, la positività
o la negatività di un campione

CONFERMA
(Spettrometria di massa)
Analisi più specifica che conferma , identifica e/o
quantifica una sostanza o i suoi metaboliti

TECNICHE SPECIFICHE (A.A., GC/HS, etc)


per un determinato analita o per una ristretta gamma di
analiti

L'identificazione di una sosta

·l'interpretazione e valutazione del dato

g
09/12/2014

INDAGINE TOSSICOLOGICA

Generica Mirata

ASSENZA DI DATI
CONCRETA INDICAZIONE
CIRCOSTANZIALI, CLINICI ED
ANAMNESTICI;
o
SOSPETTO DELLA PRESENZA DI
SOSTANZA TOSSICA
ASPECIFICITA' DEI RILIEVI
ANATOMO-PATOLOG ICI

TECNICHE PRELIMINARI DI OTilMIZZAZIONE DELL'INTERO


SCREENING PROCEDIMENTO ANALITICO

Metodiche di screening (METODI DIRETTI)

Tecniche preliminari volte alla identificazione di


grandi gruppi di sostanze

I metodi di screening sono indispensabili:

O emergenza clinica (max informazioni in poco tempo)

O quando vi è la necessità di analizzare un elevato numero


di campioni in tempi brevi

O quando abbiamo a disposizione poco campione biologico

O assenza di dati circostanziali

10
09/12/2014

Questi metodi, per le loro caratteristiche intrinsec he ,


producono esclusivamente un

I risultato di tipo presuntivo

vale a dire la probabile presenza o assenza


di un analita o di una classe di sostanze ,

relativamente a un valore di cut-off prestabilito

Appr:ofondimento della ricerca in caso di positività

Non puo' avere" validità forense " un risultato positivo


ottenuto attraverso la so/a indagine di screening
è' pertanto
. .
indispensabile

Color test
sono "test di tipo qualitativo", basati sulla produzione di
colore derivante dall'interazione
di gruppi cromofori (alcaloidi, fenoli, gruppi insaturi,
composti aromatici, etc.) con agenti ossidanti.

Sono "test aspecifici" che presentano difficoltà interpretative


in quanto non forniscono informazioni sulla identificazione
del singolo alcaloide.

L'identificazione del colore può essere influenzata da vari


fattori:
Fattori soggettivi;
Effetto della concentrazione del soluto;
Effetto del mezzo solvente;
Riarrangiamento strutturale dei cromofori
Presenza sul cromoforo di eventuali gruppi o atomi

11
09/12/2014

METODI DI SCREENING

Le più utilizzate

tecniche immunochimiche : si basano sulla reazione competitiva tra la


sostanza da identificare (Antigene) e la stessa sostanza marcata (Antigene
marcato), nei confronti di un Anticorpo specifico.

EMIT RIA FPIA

I
Enzima (Glucosio-6
fosfato deidrogenasi) cb I
Fluoresceina
I

-- PARAMETRI CARATTERIZZANTI LE TECN ICHE IMMUNOCHIMICHE


-
e• . Sensibilità: è la P.iù plccola quantità di ~ostanz~che- il metodo riesce
_- : a dosare~ Tanto più è sensibile il sistema analitico, tanto più piccola
: >
-

sarà la sostanza dosabile. La sensibilità è influenzata dal marl<er usato.


~ e- . --
--~--
'• ~ Specificità: è la capacita del metodo analitico di dosare solo il _
_ .. composto in esame. La specificità diperide daf tipo di anticorpo usato
(mono o policlonale). I metodi di screening sono caratterizzati da
ridotta s ecificità - - ~· _ -

la specificità di questi test è rivolta non alla slngola sostanza ma


piuttosto al ru o di a artenenza della sostanza (specificità di
gruppo}. Per questo motivo sono possibili dei"falsi ositivi".

• I "falsi positivi" possono essere causati sia dalla presenza di sostanze


appartenenti alla stessa ." famiglia" per cui è stato creato l'anticorpo
(es. metaboliti) oppure quando nel campione sono presenti specie
simili di composti in grado di legare l'anticorpo e quindi di essere
rilevate ma non discriminate dal metodo Es. Cocaina - Lidocaina
- .

• Inoltre, la reazione antigene-anticorpo può risentire di interferenti


naturalmente presenti nella matrice {pH alterato, torbidita eccessiva
ecc.) oppure intenzionalmente aggiunti con l'ottenimento di un "falso
ne ativo"

12
09/12/2014

11
Cosa si intende per cut-off?
Il
~ rappresenta un limite di concentrazione (valore soglia) definito
per stabilire se un campione è positivo o negativo.

~ viene utilizzato sia per le procedure di screening che per i metodi di


conferma

~ deve essere condiviso ed omogeneament.e app!ica·~ in tutti i laboratori


j

coinvolti nelle stesse tipologie di analisi (es. laboratori SERT, Laboratori


Universitari di Riferimento, Forze Armate, Emergenza etc)

~ chiaramente in d lcato nel refa rto

> varia in funzione:


della matrice biologica
della metodologia utilizzata
della finalità dell'indagine

Vantaggi e svantaggi
dei metodi di screening

SVANTAGGI
VANTAGGI 0
• falsi positivi I negativi (pH, T ,

• campione biologico tal adulterazione, interferenti)


quale ed in piccola
quantità • la risposta riguarda gruppi
analitici (mancanza di specificità)
• velocità di risposta di
una indagine
la sensibilità non è la stessa
• Con una stessa all'interno di una stessa famiglia
determinazione si di sostanze
possono analizzare più
sostanze Metodiche validate
prevalentemente su matrice urinaria
• sensibilità elevata per la
finalità dell'indagine
Nuove droghe e nuove matrici:
• bassi costi di esercizio carenza di kit
???

13
09/12/2014

Metodi di conferma

Campione b iologico

Analisi strumentale
GC-MS
LC-MS

Il Metodi di conferma
11

Basati su un principi chimico-fisico diversi e dotati di elevata


sensibilità e specificità (GLC, GC/MS, LC/MS, etc)

A differenza dei metodi di screening (diretti), prevedono:


• l'estrazione dell'analita dalla matrice biologica (L/L o SPE)
• Aggiunta dello Standa rd Interno
• Possesso di Standard di riferimento certificati

14
09/12/2014

FASE ESTRATTIVA

Isolamento
dell'analita dalla
matrice biologica
Rimozione del materiale
proteico e non
(Ammonio solfato)

Concentrazione
dell'analita

Estrazion
Estrazione in fase solida (SPE)
liquido/liquido
(L/L)
Colonnine contenenti adatti adsorbenti
si basa sul principio della (resine polimeriche modificate x l'inserimento
di gruppi funzionali)
ripartizione dell'analita da estrarre,
tra due fasi immiscibili tra loro, in
Si dividono in:
funzione della sua solubilità in esse
Polari
Coefficiente di ripartizione K = eone. fase
organica I fase acquosa Non polari
Punti critici: A scambio ionico
solvente organico,
Q!i (anfoteri, ammoni quaternari) a seconda delle modificazioni subite e
forza ionica. quindi delle interazioni predominanti tra
analita e adsorbente
L'efficienza di una estrazione può
essere migliorata : I principali obiettivi dell'SPE

estrazioni multiple Estrazione e Concentrazione dell'analita


retro - estrazione Rimozione di sostanze interferenti

15
09/12/2014

ESTRAZIONE LIQUIDO - LIQUIDO

Mecca ni s m o d e ll a ripa rtizione (coefficiente di ripa rtizione K)

[.-\N ..\LIT A] fase <>rg:micn


K=------ - - ---
[..\N..\.LITA) fase a cc1uosn

PUNTI CRITICI
~ scelta del solvente di estrazione
~ pH del campione (anfoteri, ammoni quaternari
~ forza ionica del campione

Estrazione LIQUIDO/LIQUIDO:
esecuzione

.i
V •1

16
09/12/2014

Processo di estrazione che coinvolge un liquido


ed una fase solida

Il campione passa attraverso una fase


stazionaria e gli analiti sono separati m
funzione della loro ripartizione (o
adsorbimento) nella fase stazionaria

Meccanismo di estrazione in fase solida

u·.-
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: Sono li interferenti che 's1 le ·~mo ". Le molecole dell 'analita rimangono
alla fase adsorbente. legate alla fase adsorbente

Se gli analiti non interagiscono con e vengono rimossi mediante eluizione


l'adsorbente e se solo gli interferenti con adatto solvente
sono ritenuti, la fase solida può Gli interferenti e le molecole del
essere usata per la urificazione di solvente in cui l'analita è disciolto non
matrici difficili (filtrare sono ritenuti e possono essere
semplicemente il campione) allontanati con un semplice lavagg io
della colonna.

17
09/12/2014

Fase
Strumentale

LC-MS

Gascromatografia

E' un metodo analitico separativo


ampiamente utilizz~to , per la sua estrema sensibilità, specificità
ed affidabilità

Si basa sulla ripartizione di una sostanza tra due fasi:

Fase stazionaria Fase mobile

può essere costituita da un liquido Il gas di trasporto


o un solido adesi alla colonna ( carrier gas)

18
09/12/2014

GAS CT-rRO:\L-\..TO <--;RAPHY

0'.:'EN

4 '?"C ORCF"P..l
U=. I A SY"!::t:. ' "

ù campione . ·v iene vaporizzato, trqspor(ato ali' i.n.ierno de.ila .


cofoi11~à. crpr1Ja.togrà_
f ica da unflusso .d{gas (.~arrièr J>ògni :
èoinpohènte . :sf distribuirà. rn ·modo divers.o : tra :fase:::
sta~ionarta :e·fase_mobile:· per_cul [:vari é6fT1po_n_ enti ::::::::: .. ::
usc;irann.o. ~epar~t.arne.n.t~ e:v.errannp ca.t(ura(i pa .u.n .: ·:.: ·: .. .
opporluno : r/veJatore ~ :::::::::. :.::.:: . . . . : . . . . ........ .
I·co_
mborieriti:se.parati: ~h·e elui~cor:i·o: ve·rrann·o _
i dentificati :fn: ·::.:
b~s_è : ai · loro· tèmpi _dL rit~nz_i:Ohe :(Tr)_,: c?rnpara_ti .a_:sta~·~ard _noti.:

La separazione cromatografica è data dalla


combinazione di due forze contrastanti:

Le forze che permettono la migrazione del soluto


lungo la colonna (dovute al movimento
del gas di trasporto)

le forze che tendono a trattenere il soluto nella fase


stazionaria
Fase ( affinità per la fase stazionaria)
stazionaria

L Gas di
trasporto

19
09/12/2014

Le limitazioni della GC:

gli analiti devono essere sostanze gassificabìli e termostabili

DETECTOR { rivelatore)

I detector rilevano l' uscita dell'analita dalla colonna


cromatografica. Il segnale elettrico viene convertito in
forma grafica e viene generato un cromatogramma

Il tempo di ritenzione (Tr)

è un indice cromatografico ed indica il tempo che


intercorre tra il momento dell' iniezione e la fuoriuscita del
campione dalla colonna.

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10 I '9 1 o ... 9 10·· 9

20
09/12/201 4

La GC-MS
nella letteratura scientifica internazionale, viene proposta come
unica tecnica da utilizzare per l'analisi di conferma

La GC-MS fornisce informazioni


sulla struttura della sostanza (peso molecolare, formula
molecolare)
permettendone l' identificazione di certezza, con sensibilità
nell'ordine di tento grammi.

••··~· Principio fisico del metodo

si basa sulla produzione di ioni da composti neutri;


gli ioni possono essere ottenuti per impatto elettronico (El) o per
ionizzazione chimica (Cl).
Gli ioni ottenuti sono ricchi di energia per cui tendono a
decomporsi in una serie di frammenti caratteristici di massa
inferiore

21
09/12/2014

VALUTAZIONE DEL DATO

• Non è stato assunto


• E' stato eliminato dai trattamenti
ospedalieri Confronto con i dati della letteratura
E' stato degradato (fenomeni Rilevanza epidemiologica nazionale
putrefattivi o trasformaz. post ed internazionale
mortali Concordanza con gli altri criteri
Medico-Legali
• Tecnicamente non rilevabile: Idoneità del mezzo
sensibilità del metodo, ricerca
generica non sufficientemente
ampia, normalmente presente
nell'organismo, non corretto
campionamento, non corretta r
di conservazione, etc.

Rapporto analitico (Referto)

Deve essere consegnato solo a chi ha richiesto l'accertamento o a persona con


delega scritta

Nel ra pporto ana litico bisogna indicare:


• Identificazione del laboratorio che ha eseguito l'analisi

• estremi identificativi d ell'utente o eventuale codice di richiesta


• campione biologico analizzato

• li risu ltato dell'indagine con riferimento alla metodologia utilizzata, al cut-


off ed all'unità di misura

• finalit à dell'accertamento
• data, firma leggibile e timbro del direttore del laboratorio
• data e firma di chi ritira il referto
Copia de l referto dovrebbe essere conservata per a lmeno 3 anni

22
09/12/2014

L'indagine tossicologica post-mortem

Viene richiesta quando si sospetta una noxa chimica nel


determinismo della morte

è indispensabile per determinare se alcol., droghe o altri


veleni (noxa chimica) possono aver causato o contribuito
alla morte di una persona

· NJorte d~ qrog~ .· .
r ~ ·~· • ~ • '!;

Morte per intossicazione acuta


da stupefacenti
Morte da narcotismo acuto
intossicazione acuta, dovuta all'a ss un zione di una dose massiccia di
sostan za, risultata letale in funzione del grado di tolleranza
dell'assuntore

evoluzione probl e matica droga

morte droga correlata


':.'.
{di cui le morti da narcoti ~ mo àcuto .sono solo una categ?ri ?)

23
09/12/2014

Probl ematiche valutative delle


morti droga- correlate
ascrivibili a classificazioni disomogenee

Morti droga correlate

morte dovuta ad
overdose
volontaria o
mortedo(. \
a b uso prot ratto
.
(patologie
.
~.
.. d./O . .d.
Suic1 1 m 1c1 1
connessi con la
eventi accidentali
d
t• d
causa 1 a 11a
.
.. t . d" d roga
accidentale correlate:epatit1 oss1co 1pen enza (incidenti stradali
miocarditi) e sul lavoro)

La definizione di narcotismo acuto


(Overdose assoluta)

nel tempo è andata modificandosi

./sia per la " relatività del concetto di overdose"


(sensibilità, grado di dipendenza e tolleranza dell'assuntore*)

./sia perchè non s empre si evidenziano livelli serici e


tessutali di droga, tali da giustificare il decesso .

..
*Astinenza x disassuefazione o detenzione, utilizzo di sost.diverse

24
09/12/2014

Oggi, quindi, il t ermine Acute Narcotism è stato sostituito d a

"reazione acuta alla droga "


intendendo una abnorme reattiv ità dell ' organismo alla droga,
dovut a alla :

1. Pofiassunzione:
~ Eterogeneità quali-quantitativa dei principi attivi delle
droghe circolanti ;
. .
}:> Imprevedibilità delle interazioni farmacologiche e farmaco-
tosslcologiche;
. ··~~·
·' .!
"-" ,·~

2. Sofferenza epatica (con diminuzione della sintesi di


enzimi necessari alla metabolizzazione delle droghe e
quindi conseguente aumento della concentrazione
ematica e dell ' emivita delle droghe nell 'organismo);

3. Via di assunzion e e. v. (anche per quelle droghe che


tradizionalmente venivano assunte per via inalatoria o per via
orale (Cocaina, Metadone, Psicofarmaci):

·Variazione della DL

• Complicanze infettive (epatite virale , infezione tetanica,


AIDS)

• Patològie derivanti dall'uso· di F. de~tinati all'uso orale ed


assunfrper via e.v. ( eccipienti x cp, che se somministrati p·~r
via e .v~ possono portare alla forma:zione di èmboli)
~ , ,,, ;<;. :.....i r~ .;<'' 'C

25
09/12/2014

4. Condizioni fisiche del soggetto assuntore


(patologie plurifattoriali, degenerative, immunitarie)

"predisponenti e/o condizionanti"


l'effetto tossico della sostanza stupefacente

La sostanza stupefacente quindi,


può esplicare la sua azione
in dosi sub-letali,

inidonee a giustificare il decesso.

La diagnosi di morte da droga

rientra nello schema criteriologico cui si ricorre


classicamente ogni qualvolta si debba considerare
ripotesi di una
intossicazione acuta

26
09/12/2014

Esigenza di una equipe multidisciplinare


dove ognuno, nell'ambito della propria competenza specifica, può
portare il suo contributo valutativo.

E' questo è proprio quanto ci viene imposto dalla classica


criteriologia medico legale di avvelenamento

che vede coinvolti, in stretta collaborazione, il Tossicologo, il


Medico Legale e l'Anatomo Patologo che, operando con uniformità
procedurale, posson~ ,
·, ... - . .... ~- ' ,• ~ .. ' . ...~

c:onço'rfere ,in'"mq~q_ 9rìlvoc·& ··- .


3

aiì'a diagnosi,, .di- mòrte,d'a


". :<:\' ·"' ··;;
droga.
-: ~

L'approccio tossicologico
per una indagine post mortem segue lo schema
classico dell'indagine sul vivente:

1. Studio degli atti

2. Dato circostanziale e clinico anamnestico

3. Campioni biologici (numerosi e vari ma non sempre


{
. disponibili}, con indicazione del sito del prelievo ,
•'- ,.. ' .• - ·;,. •• -, ~- .,. . ~ < • ~ • '·.;·'. . •,

·s.
;r. '

27
09/12/2014

. '

Overdose da eroina

Dati circostanziali significativi:


testimoniali (acquisto dello
stupefacente, malore, stato soporoso ... ); rinvenimento di siringhe,
residui di polvere, etc.

Dati clinico-anamnestici: consumatore cronico o occasionale di eroina,


trattamento di disassuefazione, detenzione, ricoveri ospedalieri, etc.

Indagini anatomo-patoloqiche: reperti polmonari significativi


(congestione, edema emorragico, presenza di macrofagi nei lumi
alveolari, manifestazioni flogistiche, sa_ng\Je fluido x morte asfittica ) ;

esam e esterno: esiti cicatriziali di vecchie e.v. o segni recenti, fuoriuscita


dalla bocca e narici di liquido derivante dall'edema emorragico
- -

Campionamento

I ca mpioni post-mortem possono essere numerosi, variabili, e


vengono sce lti in base alla storia del caso ed ai quesiti posti
dal magistrato.

L'eventuale degradazione post-mortale, con i suoi


cambiamenti autolitici e putrefattivi potrebbero limitare la
selezione e l'utilità dei campioni.

La qu_alità e l'affidabilità dei risultati analitici dipendono


dai campioni biologici esaminati

28
09/12/2014

Campionamento

In generale, i campioni raccolti routinariamente durante


l'autopsia includono:
sangue da siti periferici e dal cuore, urine, bile, contenuto
gastrico, organi ( in particolare il fegato), etc.

In alcuni casi, non tutti questi campioni sono disponibili

ca.m pioni supplementari e matric:i altern.a tive,


.... , ,-J\. •-:

·-:
come capelli, unghie, -umorvitreo _o campi_oni di pelle
potrebberoessér_g r~~sqtti pèr c«~inpletar~ !'..indagine ·
,, --# " , -
tossicologica. •
V
-"':' · .
~~
•" - .-...
M -~
,
.
~~ J~ """"·

Indagine post mortem


finalità clinica
../supportare il Med Leg nella
../ Indagini urgenti; diagnosi di avvelenamento
../ supportare il clinico in caso di
avvelenamento; ../ su sangue intero (ricco di
./ viene effettuata su siero o inte rfe re nti)
plasma;
./ non è affetta da problemi ../ spesso in piccola quantità e
dovuti ad interferenti; talvolta, unico reperto
../ la gravità dell'intossicazione _ disponibile;
viene dedotta dal tass9 ematico
del tossico, comparato a!la D.L.,
o.T: o o.Ter~peutica -
./ ~ po-ssibiÌe ris_~l:ir~ all~ q.tà
·· <~ · ·"assu·rità · - ,

29
09/12/2014

La concentrazione post mortem


è influenzata dalla

Ridistribuzione post mortale (PMR)

con tale termine viene indicato il movimento del Farmaco a/l'interno del corpo,
dopo la morte

con conseguente aumento della


concentrazione ematica a livello centrale

L'esatto meccanismo della PMR non è del tutto chiaro

tuttavia in letteratura viene riportato che vi sono


" fattori che favoriscono" la PMR:

1. Rilascio passivo delle droghe dagli organi di deposito


(organi cavi o con alta capacità concentrativa: es stomaco
fegato, polmone, etc. sequestrano alcune droghe e le
rilasciano dopo la morte, ridistribuendole ai tessuti
circostanti);

2. Modificazioni cellulari e tessutali


--7 Cambiamenti di pH e della struttura delle proteine con
rottura del legame Farmaco-proteico

3. Persistenza dei processi metabolici, subito dopo la morte

4. La natura e le proprietà della droga


F. Bas ici con grande Volume di dis tribuzione sono i più
soggetti alla PMR (Volume di distribuzione >3UKg}

30
09/12/2014

Altri Fattori che possono influenzare l'entità


del PMR

../ Temperatura del corpo (la PMR è ritardata dalla refrigerazione


a 4°C);

./ Tempo intercorso dall'exitus (aumenta con il ritardo


dell'autopsia);

./ Condizioni patologiche preesistenti possono influenzare la


ridistribuzione.

' f • ~ ~· ... .I. • '·'>· . ~- .

Indagini chimico-tossicologiche

Criticità interpretative:

• Scelta dei reperti bio/Ogici ed indicqilone del .sito di


~. •.: •· ;, '. ' .. 1 -.. •• • • "' /

campionamen~t<? · " ·

31
09/12/2014

O L'esatto campionamento

può limitare l'errata interpretazione dei dati tossicologici

Il campione ematico di scelta x le analisi t ossicologiche è


il sangue f emorale perché riflette la concentrazione ematica ante mortem

perché il sangue periferico è m eno soggetto alla ridistribuzione (potrebbe


provenire soltanto dal tessuto muscolare adiacente o dal grasso)

La ridistribuzione verso i vasi centrali, invece, è > perché proviene dal tratto
gastrointestinale, fegato, polmone, etc.,
per cui

la concentrazione del sangue a livello centrale è maggiore.

O Interpretazione del dato

Vari fattori contribuiscono alle criticità interpretative del dato


tossicologico e _non sempre vengono evidenziate
concentrazioni tali da poter formulare una diagnosi
"certa" di avvelenamento;

»- Tolleranza individuale;
)> Variabilità biologica interindividuale ;
)> Interazione tra droghe e/o Farmaci
)> Presenza/Assenza di patologie preesistenti
)> Tempo di sopravvivenza (metabolismo)
)> Stabilità delle droghe

32
.... 09/12/2014

Stabi li tà/ Instabilità di varie droghe :

Es . la Coc ain a: viene idrolizzata , in vivo ed in vitro (prima e dopo la morte), dal le
colinesterasi seriche per cui nella valutazione dobbiamo tener conto anche della
concentrazione dei metabo liti.

Es. la Morfina glucuronide: nel sa ngue cadaverico, può essere convertita in Morfina
libera in caso di contaminazione batterica che può scindere il legame con
ac.glucuronico.

Es. LSD : Deg radata a causa della luce

Es Il buprop ione : ha mostrato una degradazione lineare dipendente sia dalla T0 che
dal pH

Es. Sostanze volatil i: Effetto della conservazione sulla stabilità


Cianuri (conservati in frigo, neoformazione x congelamento)

33
Medicina del Lavoro

La medicina del lavoro nasce come branca della medicina interna per tutelare lo stato di salute
psicofisica di lavoratori esposti ad agenti di rischio occupazionali, nell'accezione più usata per
rischio si intende una misura della probabilità o della frequenza che si verifichi un evento nocivo o
almeno indesiderato.

In Italia in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti
chimici, fisici e biologici nell'ambiente di lavoro è stato applicato il DL 277/91 che :
• Riguarda 3 principali rischi lavorativi → piombo, amianto e rumore
• Stabilisce responsabilità per datore di lavoro, lavoratori e medico del lavoro
• Chiede una valutazione tramite indagini ambientali mirate del rischio
• Definisce gli obblighi per la riduzione dell'esposizione e per la sorveglianza sanitaria
• Stabilisce l'obbligo di autodenuncia all'USL (organo che deve assicurare l'applicazione del
DL), ricorda che oltre all'USL anche l'ISPESL (Istituto superiore di prevenzione e sicurezza
sul lavoro) è un organo di controllo

Successivamente si aggiunse il DL 629/94 (decreto cardine che per la prima volta ha suddiviso in
capi e titoli le problematiche della sicurezza nei luoghi di lavoro in modo da dare delle direttive
precise a tutte le figure addette al sistema sicurezza su come organizzare questo sistema per ridurre
al minimo l'insorgenza di infortuni) che:
• Estende le misure per la tutela della salute nei luoghi di lavoro a tutti i settori lavorativi
pubblici e privati, eccetto polizia, protezione civile e forze armate
• Estende le misure tutelative anche nei confronti di altri fattori di rischio (cancerogeni, agenti
biologici)
• Stabilisce l'importanza dell'istituzione di un servizio di prevenzione e protezione da parte del
datore di lavoro che deve individuare rischi ed elaborare misure protettive e preventive
nonché informare il lavoratore su tutti gli aspetti di sicurezza e salute

Dopo questi decreti sono stati poi emanati quelli tutt'ora vigenti che sono:
• DL 81/08 e DL 106/09→
◦ Si da carico di responsabilità non solo ai medici del lavoro ma anche ai:
▪ RLS → Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, una persona eletta dai
lavoratori che si interfaccia col datore di lavoro per tutte le problematiche sollevate
dai singoli lavoratori
▪ RSPP → Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, può essere formato
da una o più persone che redigono in un documento di valutazione dei rischi tutti i
rischi presenti nella realtà lavorativa che tutti i responsabili della sicurezza sono
obbligati a firmare per presa visione di questo documento
◦ Si effettuano visite mediche :
▪ Preventive → per controllare eventuali stati pregressi di malattia in atto come una
ipersensibilità che potrà provocare allergia nel soggetto se esposto ad uno specifico
agente di rischio
▪ Periodiche → perchè non è detto che una eventuale patologia di base non possa
slatentizzarsi in seguito all'attività lavorativa
▪ Alla fine del rapporto di lavoro
▪ Quando c'è un cambio di mansioni
◦ Il medico del lavoro è obbligato a redigere una cartella dove sono dettagliate una serie di
caratteristiche anamnestiche e lavorative del soggetto che si sottopone a visita, è molto

Darmix87 - 1
simile ad una cartella di degenza ma sono presenti anche dati relativi all'azienda di
provenienza e l'anamnesi lavorativa (importante per definire uno “stato zero” e capire se
c'è stata una pregressa esposizione ad un agente di rischi
◦ Si rilascia un giudizio di idoneità che può essere →
• Pieno
• Con limitazioni → come ad esempio nei pazienti che hanno una lombosciatalgia
e che fanno lavori con un alto indice MAPO (indice che quantizza il rischio da
movimentazione di pazienti come nei reparti dove ci sono molti pazienti
allettati), questi soggetti ritornano a lavoro dopo un periodo di malattia ma con
un giudizio di idoneità parziale in modo che egli può ridurre il carico di lavoro e
riprendere la sua mansione non rischiando il licenziamento.
• Temporanea → esempio: chirurgo con Epatite C in fase attiva, in tal caso può
interrompere l'attività lavorativa per 6-12 mesi
• Permanente
◦ Il lavoratore ha diritto a confutare il giudizio avverso espresso dal medico del lavoro e
fare ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio, nell'ASL c'è una
sezione definita “organo di vigilanza territorialmente competente” composto da medici
del lavoro e tecnici non medici che valutando la cartella clinica ed il giudizio espresso
esprime un giudizio inderogabile

Figure del sistema Di sicurezza (DL 81/08)


Si distinguono:
• Il lavoratore → si considerano tali anche coloro che non retribuiti svolgono attività al sol
fine di apprendere un mestiere o una professione (studenti ed apprendisti) che dovranno
essere sottoposti a sorveglianza sanitaria
• Il datore di lavoro → è il massimo responsabile del sistema di sicurezza e deve informare il
lavoratore, provvedere alla sorveglianza sanitaria, nominare il medico del lavoro, stendere il
documento di valutazione dei rischi
• Dirigente o preposto → deve vigilare sull'osservanza degli obblighi di formazione e
sorveglianza sanitaria cui il lavoratore deve sottostare, essi stessi sono sottoposti
obbligatoriamente a corsi di formazione con verifica periodica
• RSPP
• AGE → Addetti alla gestione emergenza e anti-incendio, sono lavoratori nominati in
numero variabile, colui che viene nominato non può sottrarsi a tale compito a meno che il
medico del lavoro non lo giudichi inidoneo, sono anche formate all'utilizzo del defibrillatore

Classificazione degli agenti di rischio


• Fisici → radiazioni ionizzanti e non, vibrazioni, rumore, microclima
• Chimici → gas anestetici, farmaci antiblastici, detergenti, disinfettanti
• Biologici → HBV, HBC, HIV, TBC, morbillo, parotite, rosolia (in reparti di ginecologia e
pediatria), ebola! (domanda d'esame: quali sono gli agenti di rischio biologico
maggiormente presenti nel settore sanitario?)
• Movimentazione manuale dei carichi (mmc) e movimenti ripetitivi → sono esposti a mmc
tutte le realtà lavorative, le patologie colpiscono soprattutto rachide, spalla, polso. Mmc e
movimenti ripetitivi rientrano nell'ambito dell'ergonomia del lavoro, una branca della
medicina del lavoro che studia l'esatta organizzazione del lavoro per poi sviluppare ambienti
adatti e supporti adatti alle esigenze del lavoratore (luminosità, sedie etc). Oltre a questi,
nell'ergonomia del lavoro, rientrano anche i videoterminalisti, lavoratori (segretari,
impiegati) che trascorrono almeno 20h non continuative a settimana utilizzando

Darmix87 - 2
videoterminali
• Rischi trasversali → dipendono dalle cosiddette “dinamiche aziendali” , cioè dall'insieme
dei rapporti lavorativi, interpersonali, e di organizzazione che si creano all'interno di un
ambito lavorativo, sono riconosciuti dal 2008 e ritenuti responsabili di provocare stress e
patologie psicologiche lavoro correlate, si tratta di : sindrome del burn out, mobbing, lavoro
a turni
• Allergopatie professionali → alcune forme asmatiche, dermatiti

Rischio biologico
Per rischio biologico si intende non solo l'esposizione diretta ad un agente patogeno ma anche
l'esposizione di un lavoratore in maniera indiretta ad un microrganismo (quindi anche i biologi, i
chimici, i biotecnologi possono essere esposti a rischio biologico).
Si classifica il rischio biologico in:
• Agenti biologici di gruppo 1 → quelli che presentano poche probabilità di causare malattie
negli uomini
• Agenti biologici di gruppo 2 → possono causare un rischio negli uomini ma nei loro
confronti sono quasi sempre presenti misure profilattiche e vaccinali
• Agenti biologici di gruppo 3 → possono causare malattie gravi negli uomini, possono
propagarsi nella comunità e sono quasi sempre disponibili misure profilattiche terapeutiche
• Agenti biologici di gruppo 4 → per i quali non esistono ancora misure profilattiche e
vaccinali (come l'ebola)
Questa classificazione è importante perchè permette di quantizzare il rischio biologico in una
struttura, in realtà la quantizzazione la fa il datore di lavoro, ed il medico del lavoro può solo
esprimere la sua opinione in merito

La trasmissione può avvenire con modalità diverse :


• Nosocomiali → da ambiente ospedaliero infetto a paziente
• Occupazionali → da paziente infetto ad operatore
• Da operatore a paziente → oggi su questa modalità di trasmissione non ci sono ancora dcreti
specifici, si tratta di una problematica scottante per cui ci sono solo dei consigli che possono
essere seguiti come nel caso in cui un operatore abbia HCV può chiedere al paziente il
consenso informato a farsi operare
• Operatore – Operatore → molto rara

Quando si parla di rischio biologico, si intende non solo l'uso deliberato (esposizione certa al fattore
di rischio biologico come nei laboratori di microbiologia, ospedali, centri di ricerca) ma anche l'uso
potenziale (esempio videoterminalista che si infetta di legionellosi perchè non c'è stata
manutenzione degli impianti di condizionamento)

La legge 81/08 sancisce che il datore di lavoro che intende esercitare un'attività che comporti uso di
agenti biologici di gruppi 2 o 3 comunichi all'organo di vigilanza territoriale il nome e l'indirizzo
dell'azienda ed un documento che descriva le fasi del processo lavorativo, il numero di lavoratori
addetti alle fasi, i metodi e le procedure adottate ed il programma di emergenza per la protezione dei
lavoratori (se si verificano incidenti che possono provocare la dispersione nell'ambiente di un
agente biologico appartenente ai gruppi 2-3-4, i lavoratori devono abbandonare la zona interessata
ed il datore di lavoro deve informare al più presto l'organo di vigilanza territoriale).
Il datore di lavoro che intende usare un agente biologico del gruppo 4 deve munirsi di
autorizzazione del Ministero della sanità, ha durata di 5 anni ed è rinnovabile,

Darmix87 - 3
Oltre alla tipologia del rischio biologico si tiene conto anche del livello di rischio, identificando:
• Livello di rischio trascurabile → non c'è assistenza diretta al paziente e non vi è
manipolazione dei campioni biologici (es. specializzazioni in igiene e medicina del lavoro)
• Livello lieve → assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici (es.
reparti di un ospedale)
• Livello medio → esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione
• Livello elevato → manipolazione di campioni biologici e condizioni tecniche, procedurali
ed organizzative sfavorevoli

Monitoraggio ambientale
Con tale termine si intende la misura e valutazione degli agenti lesivi per la salute negli ambienti di
lavoro e la valutazione dell'esposizione dei rischi per la salute a essa associati, usando appropriati
limiti di riferimento.
Le finalità del monitoraggio ambientale saranno:
• Verificare le condizioni di inquinamento dell'ambiente di lavoro in rapporto ai limiti di
riferimento
• Studio delle correlazioni tra le concentrazioni di uno o più inquinanti presenti nell'ambiente
di lavoro e la dose nei fluidi biologici dei lavoratori esposti
• Istituzione di un archivio di dati ambientali al fine di definire eventuali relazioni causa-
effetto tra una patologia osservata nei lavoratori ed eventuale esposizione documentata
• Istituzione di un libretto di rischio per ciascun lavoratore che riporti i valori di esposizione
per ogni singola mansione nel tempo

Presenta però dei limiti:


• Fornisce informazioni sulle concentrazioni atmosferiche nel corso di un periodo di tempo
breve
• Considera solo la via di penetrazione respiratoria di un tossico nell'organismo
• Valuta solo le concentrazioni dei tossici presenti in ambiente lavorativo e non extra
• Valuta la concentrazione degli inquinanti ma non la dose assorbita

Tra gli obiettivi principali del monitoraggio ambientale vi è la verifica che le concentrazioni
atmosferiche nell'ambiente di lavoro siano entro i limiti di riferimento di esposizione occupazionale
(OEL=Occupational exposure limit) e cioè che la concentrazione nell'aria di una sostanza nociva
che, se le norme vengono rispettate, non ha effetti dannosi sulla salute dei lavoratori esposti 40h la
settimana; il limite di esposizione non è però una linea di separazione assoluta tra concentrzioni
nocive e non, ma solo una sorta di guida per la prevenzione.

Nella definizione dei limiti di esposizione diventano cardine due osservazioni:


• Non vi è alcun pericolo per la salute fino a quando una determinato livello di esposizione
non sia in grado di indurre nell'organismo un'alterazione di tipo ed entità riconoscibili come
indice di una malattia potenziale
• Un potenziale stato di malattia esiste appena l'organismo va incontro alla pur minima ed
iniziale deviazione dalle condizioni normali, di qualsiasi genere, purchè misurabili
Ne deriva che la malattia (intesa come insieme delle conseguenze sanitarie di un'esposizione ad una
noxa ambientale) va differenziata dalla compromissione funzionale che precede il danno, infatti
l'organismo risponde agli stimoli (endogeni ed esogeni) con processi di compenso (adattamento ed

Darmix87 - 4
omeostasi) che mantengano inalterate le funzioni organiche, ma quando divengono inefficaci
compare l'insufficienza funzionale.

Secondo l'OMS si distinguono due tipi di limiti di esposizione professionale


• Limiti di esposizione basati sulla capacità di proteggere la salute, definiti come massimi
accettabili di concentrazione che consentano di proteggere la salute umana
• Limiti di esposizione accettati, che vengono adottati dopo aver valutato l'effetto sulla salute
e gli aspetti socio-economico-politici che intervengono in tali decisioni.

In italia solo per un numero limitato di sostanze ed agenti fisici sono presenti norme di legge
specifiche, per la restante parte ci si affida alla lista dell'ACGIH (american conference
governmental industrial hygenist) in cui è rilevante soprattutto la lista dei TLV (valori limite di
soglia riferiti a concentrazioni atmosferiche di sostanze alle quali si ritiene che quasi tutti i
lavoratori possano essere esposti ripetutamente senza andare incontro ad effetti nocivi). Si
riscontrano:
TLV-TWA (time weighted average) → concentrazione media per un giorno lavorativo di 8h e per
una settimana lavorativa di 40h, la sua definizione ha lo scopo di garantire buone condizioni di
lavoro in cui possa essere tutelata la salute di quasi tutti i lavoratori
TLV-STEL (short term exposure limit) → limite soglia per esposizioni di breve durata che ha la
finalità di proteggere i lavoratori dall'insorgenza di irritazioni, danni tissutali irreversibili o narcosi
di grado sufficiente ad aumentare il rischio di infortuni. Le esposizioni STEL non devono mai
superare i 15 minuti a non devono essere più di 4 in un turno di lavoro e tra le due esposizioni
successive devono intercorrere almeno 60 minuti
TLV-C (ceiling) → limite per esposizioni di breve durata rappresentato dalla concentrazione da non
superare mai durante l'esposizione lavorativa.

Principi e metodi per il monitoraggio ambientale


L'esecuzione dell'indagine ambientale avviene previa richiesta dell'azienda, concordata con le
organizzazioni sindacali o per decisione di un'autorità giudiziaria. Viene svolta dall'igienista
industriale che deve raccogliere informazioni riguardanti:
• Processo di produzione → fasi di lavorazione dalla materia prima al prodotto finito, numero
e tipo di sostanze chimiche utilizzate o potenzialmente inquinanti, apparecchiature e sorgenti
di emissione
• Ambiente → caratteristiche chimico-fisiche dei potenziali inquinanti, quantità di sostanze
consumate in ciclo o in un determinato periodo, ventilazione, numero di ricambi d'aria
previsti
Ottenute le informazioni va effettuato un sopralluogo conoscitivo finalizzato a determinare
concentrazioni di inquinanti aerodispersi tramite campionamenti:
• Diretti → un idoneo contenitore (plastica o vetro) si riempie con l'aria dell'ambiente in
esame e viene poi portato in laboratorio per essere analizzato
• Indiretti → l'aria viene fatta passare attraverso un elemento attivo, il substrato di raccolta,
che trattiene le sostanze di interesse anche se presenti a basse concentrazioni, necessita di
apparecchiatura complessa, generalmente dotata di pompa aspirante in grado di fornire un
flusso d'aria, un contatore volumetrico a secco ed un substrato di raccolta (elemento in grado
di trattenere le sostanze ricercate con diverse modalità come filtrazione, reazione chimica,
assorbimento, adsorbimento). L'aria che attraversa l'orifizio di ingresso del sistema di
campionamento nell'unità di tempo è chiamata “flusso di campionamento” e va da qualche
millilitro a decine di litri al minuto, deve essere costante.

Per rilevare emissioni o fughe di sostanze inquinanti in uno spazio ristretto e per misurare

Darmix87 - 5
l'esposizione professionale in operazioni di brevissima durata in cui non si può effettuare
campionamento di altro tipo si usano le “fiale rivelatrici”, tubicini di vetro riempiti con un supporto
inerte sulla cui superficie si trova un reattivo capace di reagire con la sostanza da misurare, dando
vita a prodotti colorati (il viraggio cromatico indicherà la presenza dell'inquinante, mentre la
concentrazione sarà proporzionale alla lunghezza del tratto che ha cambiato colore). Hanno come
limite le possibili interferenze tra le sostanze presenti nell'ambiente e quelle da ricercare

Monitoraggio biologico
Definito come la misura degli agenti tossici o dei loro metaboliti nei tessuti, secreti, escreti, aria
espirata o in ogni combinazione di queste matrici allo scopo di valutare l'esposizione ed il rischio
per la salute. Sostanzialmente se il monitoraggio ambientale costituisce la prima fase del processo
di prevenzione, il monitoraggio biologico rappresenta la seconda fase e la sorveglianza sanitaria la
terza.

Per quanto concerne i valori di riferimento, tutti i risultati vanno confrontati con degli indicatori
biologici nella popolazione generale non esposta per motivi professionali ad una determinata
sostanza tossica. Abbiamo
• Indicatori biologici di dose interna → per un corretto impiego è indispensabile considerare il
loro comportamento in rapporto alla durata dell'esposizione
◦ Indicatori di esposizione → quando la loro quantità è correlabile con la quantità di
sostanza presente nell'ambiente di lavoro (es. in caso di esposizione professionale al Pb,
esso viene assorbito e per il 90% si lega agli eritrociti, per la restante parte resta libero in
forma diffusibile (metabolicamente attiva). Ne deriva che la piombiemia, valutando le
concentrazioni del metallo nel sangue in toto i cui livelli ematici sono proporzionali alla
quantità presente nell'aria dell'ambiente di lavoro , è un indicatore di esposizione e non
di dose vera)
◦ Indicatori di accumulano → misurano la concentrazione di tossico accumulatasi
nell'organismo in determinati distretti da cui poi può essere rilasciata
◦ Indicatori di dose vera → valutano la quantità di sostanza biologicamente attiva presente
nel sito dove esercita i suoi effetti
• Indicatori biologici di effetto
◦ Indicatori di effetto subcritico → permettono di valutare l'effetto di una esposizione di
un tossico quando ancora non si sono verificate alterazioni cellulari
◦ Indicatori di effetto critico → evidenziano effetti biologici precoci potenzialmente
reversibili
Per un corretto impiego degli indicatori di dose interna è indispensabile considerare il loro
comportamento in rapporto alla durata dell'esposizione, infatti la stessa piombemia è valido
indicatore di esposizione solo se dosata surante o immediatamente dopo l'esposizione stessa,
viceversa i livelli di cadmio nelle urine sono correlabili con l'esposizione solo dopo mesi dall'inizio
dell'attività lavorativa, in quanto il metallo si lega dopo l'iniziale assorbimento alla metallotionina
epatica e solo quando essa è saturata il metallo viene reso disponibile in circolo. Altro aspetto
importante è il tempo di raccolta dei campioni biologici, in quanto per sostanze a rapida escrezione
(emivita < 5 h) è necessario effettuare il dosaggio alla fine del turno lavorativo, per quelli a lunga
emivita a fine settimana lavorativa. Il dosaggio dell'aria alveolare potrebbe essere utilizzato per
valutare l'esposizione professionale a sostanze volatili come i solventi, se la misurazione viene
effettuata durante il turno di lavoro il risultato è indicativo dell'esposizione istantanea, se invece
viene effettuata dopo 16h (inizio del turno successivo) sarà indicativo di accumulo.
I risultati del monitoraggio biologico vanno confrontati con i BEI (indici di esposizione biologici)
cioè le quantità di una sostanza o dei suoi metaboliti nelle matrici (tessuti, liquidi biologici).

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Ricorda → In germania si sono stabiliti BAT (quantità massima tollerabile nell'organismo umano
di una sostanza ad uso industriale o dei suoi metaboliti, per evitare effetti dannosi sulla salute dei
lavoratori) e gli EKA (indici di correlazione tra concentrazione atmosferica del cancerogeno e
valore limite degli indicatori biologici di esposizione, che permettono di valutare la dose assorbita
solo per via respiratoria)

Sorveglianza sanitaria

La sorveglianza sanitaria è la valutazione periodica medico-fisiologica, dei lavoratori esposti, con


l'obiettivo di proteggere la salute e prevenire le malattie correlate al lavoro. In corso di sorveglianza
sanitaria il tipo di valutazione sarà diversa se gli accertamenti sanitari vengono eseguiti per
• Visita periodica → intende verificare il mantenimento dello stato di salute in seguito
all'esposizione ad un agente lesivo professionale
• Visita preassuntiva → al momento dell'assunzione del lavoratore, ha lo scopo di verificare
l'idoneità alla mansione specifica
In caso di esposizione a cancerogeni, la sorveglianza prevede solo la valutazione dell'esposizione e
non del rischio, non potendo essere identificata una soglia di effetto, considerando cancerogene le
sostanze che provocano cancro e quelle che possono provocare cancro per inalazione e le eventuali
diagnosi si malattie andranno comunicate all'ISPESL. Invece, in caso di esposizione ad agenti
biologici la sorveglianza prevede accertamenti sanitari, vaccinazione, segnalazioni all'ISPESL

Giudizio di idoneità al lavoro


Nella valutazione dell'idoneità al lavoro sono rilevanti due parametri:
• L'attitudine → fattori fisiologici e psicologici + abilità (capacità+esperienza), è sufficiente
che una sola di tali qualità si riduca per indurre una condizione di ridotta idoneità
• Ambiente → che può influire positivamente o negativamente
La formulazione di un giudizio di idoneità deve essere realizzata con massima perizia perchè
potrebbe portare a considerare idoneo un soggetto con malattia organica o considerare non idoneo
un lavoratore che in realtà lo è con conseguenze socio-economiche gravi.
Nella formulazione di tale giudizio si effettuano:
• Valutazione dell'ambiente di lavoro → viene effettuata per prima, poiché se l'ambiente è
considerato non idoneo, la valutazione sul lavoratore diverrebbe inutile. La valutazione
igienistico-ambientale viene effettuata facendo riferimento ai TLV, anche se quando si parla
di limiti di esposizione al lavoro oggi si intende far riferimento a “la concentrazione nell'aria
di una sostanza nociva che, se le norme vengono rispettate, non ha generalmente effetti
dannosi, anche a lungo termine e nelle generazioni successive, sulla salute dei lavoratori
esposti da 8-10h/die per 40h/settimana. È necessario allestire libretti di rischio, cioè
documenti sui quali vengono annotati tutti i dati ambientali rilevati. Si potranno avere 3 tipi
di giudizio:
◦ Idoneità assoluta → l'ambiente è privo di rischi per cui è idoneo sia per lavoratori sani
che menomati
◦ Idoneità relativa → le condizioni di rischio si mantengono a livello dei limiti di
riferimento TLV, per cui l'ambiente sarà idoneo per i soggetti sani mentre quelli con
menomazioni, soprattutto a carico degli organi bersaglio ed esposti a rischio chimico
saranno valutati di volta in volta, tali soggetti infatti risentiranno più di quelli sani
dell'esposizione a inquinanti (es. soggetti con epatite virale esposti a sostanze
epatotossiche)
◦ Non idoneità → se l'ambiente è rischioso sia per il lavoratore sano che per il malato
• Valutazione del lavoratore → le prestazioni di medicina del lavoro in termini di idoneità
possono essere richieste per 3 eventualità

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◦ Visite mediche di avviamento al lavoro
◦ Visite mediche periodiche
◦ Visite mediche per presunta sopravvenuta incapacità al lavoro nella specifica mansione
Si avrà:
◦ Idoneità assoluta → assenza di condizioni patologiche o modifiche biologiche
◦ Idoneità parziale → possibilità a svolgere la mansione solo in presenza di fattori
associati al rischio professionale (uso di mezzi di protezione) di ridotta attitudine
individuale
◦ Non idoneità → temporanea o permanente, se sono presenti condizioni patologiche negli
organi impegnati nei processi di biotrasformazione dei tossici industriali o quando
l'espletamento della mansione è richiesto ad organi già menomati

Suscettibilità individuale

All'interno di una popolazione diversi individui rispondono in modo diverso all'esposizione a fattori
di rischio, per cui all'interno di essa potranno essere presenti soggetti ipersensibili e resistenti. I
principali fattori che condizionano la suscettibilità sono distinti in:
• Genetici → si parla di ipersuscettibilità congenita che si divide in
◦ Condizionata da fattori genetici → sono i principali responsabili di marcate differenze
quali e quantitative nella risposta a determinate sostanze, si distinguono metabolizzatori
lenti che biotrasformano una sostanza lentamente per cui aumenta il rischio di tossicità
da accumulo e reazioni avverse, rispetto ai soggetti normali o metabolizzatori rapidi in
cui potrebbe verificarsi un'inattivazione troppo precoce della sostanza
◦ Con manifestazioni idiosincrasiche → rappresentano le forme più classiche di
iperreattività congenita che si possono manifestare sin dalla prima esposizione o
▪ Con effetti tossici → da
• Ridotta sintesi di enzimi
◦ Anemia emolitica da deficit di G6PD → enzima importante per mantenere il
glutatione allo stato ridotto nelle emazie, per cui le sostanze che riducono i
livelli di GSH (Pb, NO, arsenico, ozono, derivati aminici o nitrici, benzene)
causano in questo caso una massiva emolisi
◦ Acatalasia → da deficit di catalasi, enzima che idrolizza l'acqua ossigenata in
condizioni fisiologiche, ma che in questo caso si accumula in seguito
all'esposizione a ozono o Hg provocando ulcere gangrenose soprattutto nel
cavo orale
◦ PAI (porfiria acuta intermittente) → da deficit di uroporfirinogeno sintetasi,
scatenate soprattutto dal Pb (che potenzia l'ALA-sintasi)
◦ Metaemoglobinemia → da deficit di metaemoglobina reduttasi, enzima che
mantiene il Fe allo stato ridotto nelle emazie per cui nitriti, idrocarburi
benzenici causano la reazione
◦ BPCO o enfisema → in soggetti con deficit di alfa1-antitripsina e dopo
esposizione a fumo di sigaretta o irritanti respiratori
• Sintesi di enzimi alterati →
◦ Apnea prolungata → causata da organofosforici in soggetti con alterata
prodzione di pseudo colinestersi
◦ Effetti mutageni cancerogeni → da esposizione a sostanze di tale tipo in
soggetti con alterazione del riparo del DNA
▪ Con mancata comparsa dell'effetto atteso

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• Acquisiti
◦ Da fattori fisiologici
▪ Peso corporeo → poiché il volume di acqua corporea è correlato alla massa
dell'organismo, il peso è una variabile che condiziona la risposta ad una sostanza, in
quanto a parità di dose di esposizione l'attività è maggiore nei soggetti magri
▪ Età → poiché nel bambino è ridotto il legame farmaco proteico, eventuali sostanze
assorbite sono più libere nel plasma e ridotta è la clearance renale, viceversa
nell'anziano aumenta la tossicità poiché si riduce l'attività del CYPP450 e diminuisce
la clearance renale
▪ Sesso → poiché nelle donne abbiamo una maggiore attività del CYP3A4
▪ Gravidanza → in quanto vi è un elevato rischio di teratogenesi e di tossicità
◦ Da fattori patologici
▪ Insufficienza epatica → riduzione dei processi di biotrasformazione
▪ Insufficienza renale → riduzione dell'eliminazione
▪ Insufficienza circolatoria → l'ipoafflusso d'organo diminuisce la clearance epatica e
renale
▪ Anemia → maggiore suscettibilità a sostanze mielotossiche
▪ Immunodeficit → ipersuscettibilità a pesticidi, metalli, radiazioni ionizzanti ed
immunosoppressori
◦ Da abitudini voluttuarie → interferenze con sostanze voluttuarie come fumo ed alcol.
Esempio l'alcol inibisce il CYP2E1 interferendo col metabolismo di alcuni tossici
industriali (xilene, stirene, tricloroetilene)

Fisiopatologia dei solventi


Per solvente si intenfe qualsiasi sostanza in grado di portare un soluto in soluzione, e quindi può
essere anche un solido o un gas, in genere è un liquido. I solventi di uso industriale sono
rappresentati da:
• Glicoli → etilenglicole, propilenglicole
• Idrocarburi alifatici → pentano, esano, eptano
• Alcoli → metanolo, etanolo
• Aldeidi → formaldeide, acetaldeide
• Chetoni → acetone
• Acidi → acido acetico
• Eteri → dietiletere
• Esteri → acetato di etile
• Ammidi e altri

Usi comuni dei solventi organici:


• 50% → produzione di vernici e diluenti, inchiostri da stampa, colle e adesivi, profumi
• 20% → produzione di gomma, industria calzaturiera
• 10% → produzione di pesticidi, industria tessile, industria farmaceutica

Alcuni parametri sono correlati con la pericolosità dei solventi:


• Temperatura di ebollizione
• Temperatura di fusione
• Tensione di vapore → al diminuire della temperatura di ebollizione e all'aumentare della
tensione di vapore aumenta la volatilità del composto, per cui il rischio di esposizione per

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via inalatoria si incrementa, mentre quello per via cutanea si riduce
• Peso molecolare → al suo diminuire si incrementa la capacità di superare le barriere
biologiche
• Coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua (COA) → esprime il grado di lipofilia, riflette la
capacità di un composto di superare le membrane ma anche di accumularsi negli organismi
dando vita al fenomeno della bioconcentrazione. In relazione alla solubilità in acqua e alla
lipofilia i solventi possono essere polari, apolari o bipolari
• Concentrazione di soglia del riconoscimento dell'odore (TOC) → tutti i solventi hanno un
odore caratteristico che va dall'aromatico dl benzene a pungente degli acidi o dello stirene.
Una bassa TOC può costituire una sorta di avvisatore di pericolo percepito dal lavoratore
• Densità relativa rispetto all'acqua (DRL) → esprime la tendenza di un solvente immiscibile
a restare in superficie o a depositarsi
• Densità relativa rispetto all'aria (DRV) → esprime la tendenza dei vapori di un solvente ad
accumularsi negli strati inferiori dell'atmosfera in uno spazio confinato (per cui con la DRL
permette di valutare la contaminazione degli ambienti di lavoro) ed aumenta col PM
• Punto di infiammabilità

Se un solvente entra in contatto con l'organismo determina alterazioni:


• Tossicocinetiche →
◦ Assorbimento → può avvenire per
▪ Inalazione → rappresenta la via principale di ingresso nel corpo di sostanze durante
il lavoro
▪ Ingestione → piuttosto infrequente anche se non impossibile, ricordiamo il divieto
ad assumere cibi e bevande nei luoghi di lavoro e il divieto di conservare cibi e
bevande in frigoriferi dove sono stoccate sostanze pericolose
▪ Contatto cutaneo → in genere le sostanze chimiche sono assorbite più lentamente
dalla pelle che dall'intestino o dai polmoni, in particolare i solventi organici possono
penetrare nel corpo sia direttamente che attraverso vestiti impregnati, tra le norme
igieniche ricordiamo l'eliminazione della pratica di lavarsi le mani sporche di grasso
con solventi perchè questo oltre ad esporre il lavoratore al contatto cutaneo diretto
comporta anche una modifica dello strato lipidico del derma che rappresenta una
barriera protettiva naturale
◦ Distribuzione → a prescindere dalla via di assorbimento appena un solvente raggiunge il
circolo ematico inizia la sua rapida distribuzione quindi :
▪ Solventi molto lipofili (alta COA) → si distribuiscono a tessuti ricchi di lipidi quali
il tessuto adiposo, SNC e SNP
▪ Solventi solubili in acqua con buona affinità anche per componenti lipidiche →
distribuzione omogenea
◦ Biotrasformazione → tramite reazioni di fase I (idrolisi, riduzione, ossidazione) e II
(glucuroconiugazione) nel fegato , per cui i solventi sono resi più solubili. Una quota è
metabolizzata anche dalla flora intestinale
◦ Escrezione → 10-90% della frazione assorbita è eliminata per via respiratoria, mentre la
restante parte per via renale ed in parte per via bilio-fecale. Per alcuni composti bipolari
è possibile l'escrezione gastrica, con conseguente comparsa di pirosi, algie addominali,
nausea e vomito (soprattutto acetone, metilchetone, dimetilformammide)
• Tossicodinamiche
◦ Effetti acuti →
▪ Generali → sono a carico di SNC, cute e mucose principalmente con ebbrezza e

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narcosi nonché irritazione con cheratocongiuntiviti chimiche, irritazioni bronchiali,
polmoniti chimiche . La potenza depressiva sul SNC decresce nell'ordine →
composti alogenati → eteri → esteri → acidi organici → alcoli → alcheni → alcani.
▪ Specifici → acidosi metabolica da metanolo, psicosi acuta da solfuro di carbonio
◦ Effetti cronici → l'esposizione prolungata nel tempo a basse dosi di numerosi solventi
causa effetti tossici soprattutto a carico di :
▪ SNC → toluene, solfuro di carbonio → amnesia, difficoltà di concentrazione,
irritabilità, affaticabilità, depressione e possibile evoluzione in degenerazione
cerebrale o cerebellare
▪ SNP → polinevriti sensitivo-motorie con riduzione della velocità di conduzione,
parestesie, astenia degli arti inferiori e poi superiori fino all'areflessia
▪ Fegato e rene → alcol etilico, triclorometano, tetraclorometano, tetracloroetilene ,
causano epatotossicità centrolobulare, il glicol etilenico causa uropatia con
formazioni di cristalli di ossalato di Ca che precipitano nel lume tubulare
▪ Cute e mucose
▪ Neoplasie

Nella maggior parte dei casi l'esposizione professionale è discontinua per cui la cinetica di
distribuzione comporta fluttuazioni complesse con maggiori concentrazioni tissutali durante la fase
espositiva ed una successiva diminuzione. Una condizione espositiva relativamente costante è
quella che caratterizza la popolazione generale. È noto infatti che: benzene, tetracloroetilene,
metilcloroformio, metiletilchetone sono inclusi nei VOC (volatile organic compounds), una
componente dell'aria quotidianamente inalata. Esse sono sempre quantificabili in ambiente indoor
ed outdoor di giorno e di notte sia nelle aree rurali sia nelle aree densamente abitate.
Oggi le patologie da solventi con intossicazioni acute si riscontrano solo in sporadici casi,
l'esposizione registrata si rivela a più sostanze, discontinua nel tempo e a basse dosi.

Tossicità speciale dei solventi


• Idrocarburi alifatici (n-esano) → deprime il SNC, polineurite sensitivo-motoria ed
irritazione cutaneo mucosale
• Idrocarburi aromatici → il benzene è il capostipite, ma troviamo anche toluene, xilene,
stirene che provocano depressione del SNC, irritazione cutaneo mucosale, dermatiti e
polineuriti
• Idrocarburi alifatici alogeno sostituiti (tricloroetilene) → cancerogenesi e steatosi
• Alcoli (alcol metilico ) → acidosi metabolica e necrosi del nervo ottico
• Aldeidi (aldeide formica e formaldeide) → effetti irritativi dei seni paranasali ed effetti
cancerogeni
• Ammidi (dimetilforamide) → ricorda che DMF + alcol → effetto di accumulo di aldeide
acetica con comparsa di flushing, ipotensione, vomito, cefalea tensiva
• Glicoli → dai glicoli possono derivare eteri ed acetati che hanno carattere bipolare
responsabili di alterazioni del SNC e di vomito, pirosi gastrica, alterazioni dell'emopoiesi e
lesioni testicolari

Patologie da metalli

I metalli sono elementi chimici solidi a T ambiente (ad eccezione del Hg), buoni conduttori di
elettricità e calore. Tali proprietà dipendono dal basso numero di elettroni negli orbitali più esterni,
per cui hanno una elevata tendenza a perderli formando ioni positivi. Sono distinti in:
• Metalli pesanti → se peso > 5 g/cm3

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• Metalli leggeri → se peso < 5 g/cm3
• Non metalli (Cloro, Iodio, Fosforo, Bromo)→ mancano di elettroni per completare lo stadio
esterno
• Semimetalli (Boro, Silicio, Arsenico)→ con caratteristiche intermedie

In rapporto agli effetti sulla salute dell'uomo sono ulteriormente suddivisi in


• Essenziali (oligoelementi) → generalmente si comportano da coenzimi ed i loro effetti
tossici compaiono in caso di carenza, hanno minori probabilità di generare effetti tossici
perchè l'organismo dispone di meccanismi omeostatici (es. controllo dell'assorbimento
intestinale) e di apposite proteine di trasporto, sono chiamati essenziali perchè:
◦ La ridotta assunzione induce danno funzionale
◦ La reintroduzione nella dieta in quantità fisiologiche previene e cura i sintomi da
deficienza
◦ Influisce direttamente sul metabolismo di un organismo
◦ L'azione non può essere completamente vicariata dalla sostituzione con un altro
elemento
◦ Sono: Na, K, mg, Ca, Cl, Fe, Cu, H,C,N,O,P,S, Cr
• Tossici → sono privi di essenzialità ed il loro eccessivo apporto può causare effetti dannosi
sulla salute tanto più è maggiore la dose assorbita
• Misti

Se un metallo entra in contatto col nostro organismo può comportare alterazioni


• Tossicocinetiche → per lo studio delle proprietà tossicocinetiche dei metalli sono
attualmente usati modelli multicompartimentali, di cui i più emblematici sono quelli di
Cadmio e Piombo. Mentre per il Cadmio in seguito ad assorbimento questo si distribuisce in
3 compartimenti :B1 metallo diffusibile e legato alle proteine che passa ai tessuti e viene
eliminata con le feci , B2 eritrociti, B3 legato alla metallotionina nel plasma, queste ultime
passano al rene dopo metabolismo epatico e poi eliminati con le urine.
◦ Assorbimento → può avvenire per inalazione (principale), ingestione o per via cutanea
(soprattutto Pb e MetilHg). L'esposizione a particelle metalliche in forma di polveri e
fumi è più frequente di quella a vapori propriamente dette ed il grado di assorbimento
sarà condizionato da dimensioni delle particelle inalate (infatti se hanno diametro
elevato vengono eliminate tramite clearance muco-ciliare). L'assorbimento polmonare
può avvenire direttamente nel sangue per qui composti che facilmente diffondono
attraverso la membrana alveolo-capillare, tramite i macrofagi alveolari che passano nel
sistema linfatico. Per quanto riguarda la via GI in linea di massima l'assorbimento di
tossici professionali è inferiore a quello polmonare ma nella popolazione generale
diviene prevalente (ingestione di Hg col pesce, Arsenio-Pb – Cadmio con l'acqua
potabile, Pb col vino)
◦ Distribuzione → condizionata dalla frazione diffusibile e cioè la quota di metallo capace
di diffondere ai tessuti e dall'entità del legame proteico nonché dalla permeabilità e
vascolarizzazione dei tessuti
◦ Escrezione → può avvenire principalmente per via renale o biliare ma anche
respiratoria, cutanea ed intestinale
• Tossicodinamiche
◦ Effetti Irritativi
◦ Tossico sistemici
◦ Allergici
◦ Teratogeni

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◦ Mutageni e Cancerogeni

Patologia da Pb
Tutta la popolazione risulta esposta al piombo che è presente:
• Nell'aria
• Negli alimenti
• Nell'acqua potabile

Secondo l'INAIL il saturnismo!, o intossicazione da Pb di origine professionale, è al 10° posto tra


le malattie da lavoro

La piombemia (PbB) nella popolazione generale si assesta intorno a 5 (donne) e 10(uomini)


microgrammi/100 ml
Il rischio di assorbimento di piombo si è ridotto per i settori di lavoro più tradizionali ed oggi i più
a rischio sono lavoratori che lavorano in fonderie, in raffinazione di Pb e Zn, riparazione dei
radiatori delle auto, saldatura a Pb.
E' assorbito generalmente per via inalatoria, per via cutanea non c'è assorbimento a meno che questa
non sia lesionata.

La valutazione dell'entità di esposizione al Pb si avvale dei seguenti indicatori biologici:


• Piombemia o PbB → concentrazione di Pb nel sangue, è indicativa solo del determinato
momento in cui si effettuano le analisi, si normalizza alla fine dell'esposizione anche se c'è
accumulo nell'organismo, aumenta progressivamente in caso di esposizione continuativa
fino a stabilizzarsi e può alterarsi in presenza di altri fattori come anemia
◦ PbB < 60 microgr /L → sintomi assenti
◦ PbB 60-70 microgr/L → sintomi lievi
◦ PbB > 80 microgr /L → sintomi gravi
• Piomburia Pbu → concentrazione nelle urine
• PbU EDA → concentrazione nelle urine dopo somministrazione di un chelante (versene) che
favorisce la rimozione dai siti di accumulo e l'escrezione quindi è un indicatore di dose
capace di rilevare un'esposizione pregressa anche a distanza di anni
• ALA → i livelli aumentano nelle urine in modo proporzionale con l'inibizione dell'ALA-
deidrasi esercitata dal piombo entro 2 settimane dall'esposizione, per poi normalizzarsi
rapidamente. E' un indicatore di effetto
• ALAD → ala deidrasi eritrocitaria la cui attività si riduce in seguito ad esposizione
• Protoporfirina IX eritrocitaria → si accumula negli eritrociti poiché il Pb inibisce l'eme
sintasi ed è utile indicatore anche per esposizioni medio-elevate ma l'incremento si verifica
dopo 2-3 settimane dall'esposizione e si normalizza entro molti anni
• Coproporfina → aumenta nelle urine in modo proporzionale alla inibizione della sua
conversione in protoporfirina

I sintomi dell'intossicazione compaiono dopo anni e si distinguono:


• Effetti sistemici → anemia normocitica normocromica modesta, orletto gengivale di Burton
(linea blu di 1 mm a livello dei canini ed incisivi causata da deposizione di piombo), coliche
addominali, neuropatie periferiche, nefropatia
• Effetti sulla riproduzione
• Effetti cancerogeni

Il limite ambientale di Pb è 150 microgrammi/mc, quello biologico è 60 microgrammi/L (40 nelle

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donne in età fertile).
Il Versene! È un chelante del piombo che serve come terapia del saturnismo e determinazione del
piombo urinario chelabile

Malattie respiratorie da polveri minerali

Si definisce pneumoconiosi l'accumulo di polveri nei polmoni e la reazione tissutale ad esse.


Possiamo distinguere
• Pneumoconiosi non collagena → causata dall'accumulo intrapolmonare di polvere non
fibrogenica ed in cui l'architettura alveolare rimane intatta, la reazione stromale è minima, la
reazione alla polvere è potenzialmente reversibile
• Pneumoconiosi collagena o sclerogena → causata dall'accumulo intrapolmonare di polvere
fibrogenica ed in cui l'architettura alveolare è distrutta o alterata in modo permanente, la
reazione stromale è di grado variabile e la fibrosi parenchimale è permanente. Le più
studiate in medicina del lavoro sono quelle da amianto (asbestosi) e silice (silicosi)

L'inalazione delle polveri può inoltre causare altre affezioni respiratorie


• Bronchite cronica → se è presente tosse produttiva per 3 mesi l'anno da almeno 2 anni
• BPCO → se al quadro di bronchite cronica si associano deficit spirometrici di tipo ostruttivo
ed irreversibili
• Broncopatia cronica ostruttiva asmatiforme → se al quadro di bronchite cronica si associa
un deficit spirometrico ostruttivo reversibile

Silicosi

Pneumoconiosi sclerogena con lesioni nodulari parenchimali, causata dall'inalazione di polveri


contenenti silice libera o biossido di silicio. La silice è ubiquitaria nella crosta terrestre,
particolarmente rappresentata nell'arenaria e nell'ardesia, può inoltre trovarsi in forma cristallina
(quarzo) che ha il più elevato potere scerogeno. La farina fossile, o fango siliceo, è formata da
biossido si silicio dello scheletro sedimentato dei protozoi marini e che con il tempo si trasforma in
roccia incoerente.
I lavoratori più esposti sono quelli impiegati nei seguenti settori:
• Industria mineraria e lavori di perforazione di rocce
• Industria siderurgica
• Lavorazione della farina fossile
• Industria ceramica
• Industria di vetro e cristallo
• Industria del cemento

Tra i fattori di suscettibilità ricordiamo


• Genotipo, età, sesso → le donne sono più suscettibili
• Fattori ambientali → microclima, fatica fisica che incrementano la resistenza dei macrofagi
• Abitudini di vita → dieta iperlipidica, iperproteica, tabacco
• Malattie intercorrenti → infezioni, asma

Patogenesi
Le particelle di silice inalate penetrano nelle vie aeree e si distribuiscono in rapporto alle loro
caratteristiche aerodinamiche e alla densità:
• Particelle di 5-15 micrometri di diametro sono allontanate dalla clearance muco-ciliare

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• Particelle < 0,5 micrometri vengono espirate
• Particelle di 0,5-5 micrometri si depositano a livello bronchiolare ed alveolare e formano la
frazione respirabile della polvere. Le particelle con maggiore potere fibrogeno misurano
circa 0,5-0,7 micrometri, si depositano e richiamano i macrofagi alveolari che le fagocitano,
ma nei confronti dei quali sono propriamente citotossiche e di conseguenza, alterando la
clearance alveolare delle particelle stesse viene favorita la silicosi.

Entro 48h dalla deposizione, gran parte delle particelle sono fagocitate e si trovano all'interno dei
macrofagi alveolari che possono andare incontro ad apoptosi liberando ROS, enzimi lisosomiali,
ossidanti e nuova silice che amplifica in modo vizioso il circuito. Tali sostanze danneggiano sia gli
pneumociti di tipo II che la matrice parenchimale, i macrofagi carichi di polvere migrano poi per
via linfatica ai linfonodi ilari e parailari e vanno incontro a morte inducendo degenerazione fibrotica
e deposizione di sali di Ca (per cui all'rx abbiamo l'aspetto a guscio di uovo). I macrofagi ancora
viventi possono raggiungere in modo ameboide le vie aeree ciliate ed allontanare la silice o
amplificare la risposta infiammatoria richiamando neutrofili e fibroblasti che producono collagene e
quindi fibrosi. Nella patogenesi sono coinvolti anche i linfociti Th2 che si espandono e reclutano
cellule B

• In caso di esposizione intensa al silice si ha una silicosi acuta → iperplasia degli pneumociti
di tipo II e loro attivazione, che può determinare obliterazione dello spazio aereo ed
insufficiente clearance macrofagica (i macrofagi pur essendo numerosi sono insufficienti
rispetto al carico tossico per cui muoiono) → silico-proteinosi (oggi rara) che porta a morte
il paziente per una condizione di distress respiratorio, epato e splenomegalia
• In caso di esposizioni meno intense gli pneumociti attivati producono proteine del
surfattante e fosfolipidi favorendo la formazione di noduli silicotici

Anatomia patologica
• All'esame macroscopico → il polmone appare grigiastro, sono presenti noduli biancastri
lievemente rilevati, di consistenza dura e localizzati, in modo bilaterale, in sede apicale, la
pleura viscerale è ispessita e talvolta fusa con quella parietale, i linfonodi ilari sono
ipertrofici
• All'esame istologico → nodulo silicotico → i macrofagi e i neutrofili si accumulano
nell'alveolo inducendo flogosi e rilasciando prodotti che attivano i fibroblasti che
cominciano a deporre collagene intorno ad una zona centrale di cellule mononucleate, si
formano granulomi le cui cellule successivamente sono rimpiazzate da fibre reticolari e
collagene a disposizione concentrica formando il nodulo con 3 zone distinte:
◦ Esterna → fibre di collagene disposte in modo disordinato + scarsi elementi cellulari
(macrofagi carichi di silice, fibroblasi)
◦ Intermedia → fibre di collagene disposte concentricamente a velo di cipolla
◦ Centrale → acellulare ma ricca di fibre collagene ialinizzate
Ricorda che non bisogna mai confondere il follicolo silicotico definito da Mosinger
(lesione nodulare semplice di 0,5-2 mm di diametro) con il reperto radiografico di
immagini nodulari di 2-5 mm frutto della confluenza di più follicoli silicotici

Quadri clinici
• Silicosi nodulare pura →
◦ A decorso cronico semplice → la forma più classica, con decorso subdolo, a lungo
asintomatico e con comparsa dopo 20 anni di esposizione moderata e sopravvivenza
media di 40 anni. Sono presenti noduli di 1-10 mm + tosse secca + dispnea da sforzo +
emottisi

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◦ A decorso cronico complicato da fibrosi massiva progressiva → compare in soggetti a
dosi cumulative elevate nei quali i noduli confluiscono in masse di grosse dimensioni,
l'evoluzione più grave è verso l'ipertensione polmonare che può configurare un quadro di
cuore polmonare cronico
◦ A decorso acuto o accelerato → rara, compare in soggetti esposti ad alte quantità di
silice cristallina per 4-8 anni. I noduli sono più frequentemente isolati, e le cellule
alveolari vanno incontro a metaplasia cuboide. I sintomi respiratori sono precoci ed
invalidanti
◦ Proteinasi alveolare silicotica → particolarmente grave e porta rapidamente a morte per
ARDS (dispnea da sforzo poi a riposo, cianosi, tosse secca). rara
• Pneumoconiosi a polveri miste → a basso contenuto di silice, i noduli silicotici però sono
immaturi, privi di ialinizzazione o calcificazione e si riscontrano particelle di carbone, ferro
ed altri minerali
• Fibrosi polmonare diffusa
• Silicotubercolosi → azione sinergica tra silice e M. tubercolosis, in quanto il complesso
primario tubercolare interferisce con il drenaggio linfatico ed induce l'accumulo di polvere
che a sua volta riduce le capacità dei macrofagi che non sono più in grado di uccidere il
patogeno per cui se ne incrementa la virulenza
• Sindrome di Caplan → compare nei soggetti con artrite reumatoide esposti a silice
• Sindrome di erasmus → variante di silicosi associata a sclerodermia

Diagnosi →
• Raccolta anamnesi patologica e lavorativa
• E.O. Del torace con regioni apicali appianate, rantoli crepitanti, segni di cuore polmonare
cronico
• Prove di funzionalità respiratoria, normali nella fasi iniziali, ma col tempo possono
documentare un quadro di tipo restrittivo
• Emogasanalisi → che documenta ipossiemia in fase avanzata
• RX del torace che permette la diagnosi di silicosi quando si riscontrano opacità nodulari
rotondeggianti dei lobi superiori bilaterali

DD va fatta con tubercolosi, cancro del polmone, fibrosi interstiziale idiopatica, sarcoidosi,
asbestosi

Sorveglianza → il valore limite di esposizione, TLV-TWA (valore di massima esposizione in una


giornata lavorativa di 8h) deve essere di 0,025 mg/m3, quindi in monitoraggio ambientale la silice
presente nell'atmosfera deve essere inferiore a questo livello

Pneumoconiosi da carbone
Carbone è il nome generico di un combustibile solido formato da residui di sostanze fossili vegetali
che dopo essere state coperte da roccia sedimentaria, isolate dall'aria e sottoposte a pressione e
calore sono state convertire in composti ricchi di carbonio.
Le particelle di carbone di diametro tra 0,5-5 micrometri possono raggiungere i bronchioli
respiratori e gli alveoli ed ivi depositarsi, vengono inglobate dai macrofagi alveolari per essere
allontanate con la clarance muco-ciliare o raggiungono l'interstizio e si riversano nei vasi linfatici
peribronchiali determinando pneumoconiosi.

• Macroscopicamente → noduli neri irregolari nel polmone, di piccole dimensioni e


consistenza inferiore a quelli silicotici

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• Microscopicamente → coal dust o anche detto nodulo carbonioso interstiziale, cioè lesione
interstiziale di forma irregolarmente stellata e con diametro di 0,5-3mm, conseguente
all'accumulo sia di particelle libere che fagocitate
La dd con la silicosi consiste nel fatto che nella pneumoconiosi da carbone mancano i noduli
silicotici ed il collagene è simile alla placca ialina dell'asbestosi.

La prognosi è infausta e l'exitus si verifica in 5-15 anni per insufficienza cardio-respiratoria

TLV del carbone è 2 mg/cm3

Asbestosi

Con il termine asbesto non si intende un unico materiale, ma un gruppo di silicati idrati di Mg che si
dividono in:
• Asbesti di serpentino → le fibre di amianto di serpentino hanno una lunghezza fino a 5 cm e
diametro tra 0,7 e 1,5 micrometri
• Asbesti di anfibolo → lunghezza fino a 8 cm e diametro fino a 4 micrometri
hanno in comune la struttura chimica, l'alta resistenza alla trazione, l'elevata flessibilità e il potere
coibente.

Dal 1992 la legge 257 ne vieta l'estrazione e la commercializzazione. L'esposizione lavorativa


infatti oggi si ha solo in un caso: attività lavorative che si occupano della bonifica di ex strutture che
ancora contengono amianto al loro interno. La legge prevede che non ci sia mai il rilascio di
indumenti nell'ambiente perchè il problema dell'amianto è legato non solo all'esposizione diretta ma
anche all'insorgenza di asbestosi e mesotelioma in tutti i familiari che ne siano venuti a contatto, gli
operai tornavano a casa, depositavano i loro indumenti sporchi e queste fibre si diffondevano in
tutta la casa.

Patogenesi
Le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più grandi
vengono eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei
bronchioli respiratori dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che
porterà all'insorgenza di fibrosi polmonare che è alla base dell'asbestosi. Non tutti i macrofagi
sopravvivono al contatto con le fibre di amianto, alcuni vanno incontro a citolisi, altri inglobano le
fibre e rilasciano fattori di crescita per le cellule, soprattuto fibroblasi e produzione di fibronectina.
Macrofagi, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo infiammatorio
che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell'asbestosi.

• All'esame macroscopico il polmone asbestosico in fase iniziale di esposizione all'amianto


non presenta lesioni tipiche asbestosiche, nelle forme più avanzate i polmoni si presentano
di volume ridotto e consistenza aumentata. Per fare diagnosi differenziale con la silicosi si
tiene conto che esse prevedono un interessamento di zone polmonari diverse, le fibre di
asbesto inizialmente si localizzano ai lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi
la localizzazione avviene soprattutto a livello medio-apicale, inoltre nell'asbestosi sono
presenti corpuscoli di asbesto con fibre di asbesto inglobate in fagolisosomi presenti nel sito
di flogosi polmonare che al loro interno presentano proteine con ferro che circondano la
fibra e non sono presenti in silicosi.
Clinica
Il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni dall'esposizione all'amianto presenta
• Dispnea prima da sforzo poi a riposo

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• Tosse secca
• Toracodinia → dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche
• Alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione ossiemoglobinica, riduzione
dell'ipossiemia, cianosi
• Atelettasia per ispessimento della pleura viscerale
• Mesotelioma (80%) → ha una lunghissima latenza dai 15 ai 40 anni dall'esposizione, ci
aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma per gli ex esposti
• Placche pleuriche → Sono ispessimenti circoscritti che interessano esclusivamente la pleura
parietale (diaframmatica compresa); sono di norma multiple, bilaterali, talvolta
simmetriche, hanno estensione e spessore variabili, risparmiano apici e seni costofrenici e
possono calcificare. Sono un reperto frequente in una popolazione professionalmente
esposta (riscontrabile in un follow up di 30 anni fin nel 50% dei soggetti). Generalmente vi
è un periodo di latenza piuttosto lungo tra inizio dell’esposizione e comparsa delle placche
(dai 10 ai 30 anni). Non è stata dimostrata alcuna correlazione con i livelli di esposizione.
Al contrario, la comparsa delle placche sembra più correlata alla durata dell’esposizione che
alla dose. Placche pleuriche sono descritte anche in relazione a livelli di esposizione
relativamente bassi (esposizioni ambientali). Le placche pleuriche bilaterali localizzate alla
pleura parietale costituiscono una lesione abbastanza specifica da amianto.!

Diagnosi
• Esame metodologico → la differenza tra un esame semeiologico fatto in fase avanzata di
esposizione rispetto ad un esame fatto nei primi due anni è questa: a livello auscultatorio e
percussorio abbiamo assenza completa di rumori in fase iniziale, nelle fasi avanzate si
ascoltano rantoli migranti (perchè presenti su tutti gli ambiti polmonari), crepitii su tutti gli
ambiti polmonari. (domanda d'esame!)
• Prove di funzionalità respiratoria → esame spirometrico
• In fase più avanzata posso fare
◦ Test di diffusione polmonare di CO
◦ Esame dell'espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti
◦ Fibrobroncoscopia
◦ Rx → viene utilizzata la classificazione dell'ILO (International Labour Office) secondo
la quale le fibre che si manifestano come opacità lineari a livello dell'esame radiografico,
vengono distinte a seconda del diametro. Le fibre con opacità di diametro fino a 1,5 mm
sono classificate con lettera S, tra 1,5-3 mm con lettera T, tra 3-10 mm con lettera o
◦ HRTC → tomografia computerizzata ad alta risoluzione , da la possibilità di notare
anche placche pleuriche ed ispessimento a livello della pleura parietale che si verifica
dopo 15-20 anni dall'esposizione all'amianto

Mesotelioma pleurico

Fino agli anni 60 era un tumore maligno considerato molto raro; si erano avuti dei casi manifestatesi
in Africa quindi non se ne aveva conoscenza in Europa. Le prime indicazioni minime sono arrivate
in Europaverso gli anni 50-60: si pensava che il mesotelioma fosse un tumore secondario non
primario, derivante da un adenocarcinoma primitivo. I mesoteliomi che più frequentemente si
osservano collegati nel 95% dei casi all’esposizione all’amianto sono mesoteliomi di tipo epiteliale,
che comunque hanno una tempistica dalla scoperta del mesotelioma al decesso di brevissima durata
ma che fortunatamente rappresentano il 50% rispetto a quelli completamente indifferenziati, a
decesso ancora più rapido che rappresentano il 10% del totale.
Si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1000000; in Europa è previsto un rapporto

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maggiore per i maschi che per le femmine; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione
a fibre di asbesto e nel 20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare che ne è stato esposto.
Dal punto di vista epidemiologico, studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore
determinante l’insorgenza del mesotelioma nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma
il tempo trascorso dalla prima esposizione. È la latenza dalla prima esposizione che fa la differenza
nell’insorgenza.
Altre forme di mesotelioma non a livello della pleura ma a livello di altre sierose sono meno
frequenti ma sono comunque state osservate negli anni e negli ex esposti all’amianto con i loro
familiari: a livello peritoneale, del pericardio, della tunica vaginale . Oggi con la Medicina del
lavoro della SUN è in corso proprio un progetto sui tumori ovarici collegati all’esposizione
all’amianto di donne che ne sono venute a contatto tramite operai esposti fino al 1992.

I segni e sintomi sono:


• Dolore toracico prima transitorio poi continuo, che aumenta con i colpi di tosse;
• Dispnea progressiva ingravescente;
• Sindrome mediastinica;
• Decesso entro 18-24 mesi;

La sorveglianza sanitaria prevede una Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico
e qualora si abbia una positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame
dell’espettorato). Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGH (ente americano
preposto ai valori limite per l’esposizione a sostanze chimiche per i lavoratori) si può prevedere
un’esposizione (questo vale solo per quelli che lo smaltiscono che sono esposti all’amianto in
condizioni di iperprotezione, utilizzo dell’unità UFP e utilizzo dello scafandro, che vedete che
utilizzano anche le persone esposte all’Ebola) di 0.1fibra per cm3. (cm3 è l’unità di misura che si
utilizza in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova eventualmente a inalare queste
fibre).

Varie segnalazioni anche se rare di mesotelioma si erano manifestate già nei primi anni del 900. Nel
1991 si è avuto il primo decreto legge che parla di regolamentazione dell’esposizione all’amianto.
Nel 1992 l’amianto è stato eliminato. Grazie alla classificazione della IAC (ente preposto al
raggruppamento delle sostanze chimiche cancerogene per l’uomo), nel 1992 con il DL 257
l’amianto è stato eliminato da tutti i processi lavorativi, vietandone l’utilizzo, l’importazione e
l’esportazione. In tutte quelle che sono le attività di protezione e prevenzione del datore di lavoro è
necessario e obbligatorio prevedere una manutenzione di eventuali costruzioni a base di amianto.
Non sempre l’amianto presente negli edifici può essere causa di concentrazioni nell’atmosfera per
le persone che si trovano ad inalarlo. Il problema amianto è molto presente nelle nostre scuole
(recentemente è stata chiusa una scuola, poi riaperta, ai Colli Aminei perché non era sottoposta
periodicamente a questi controlli relativi alla misurazione ambientale di fibre amianto). Non tutti gli
edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli che sono sottoposti più
facilmente a vibrazioni, in quelli dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle
pareti o
se sono in condizioni di non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente
disperdono nell’aria le fibre amianto).

Un datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni di istallazione dell’edificio
e monitoraggio ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto
disperse nell’edificio. Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffatrometria,
spettrometria) che vanno ad analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, vengono
messe su dei vetrini, conteggiate e quantizzate tramite queste metodiche. Con il DL 257 oltre a

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stabilire un valore limite di esposizione per coloro che vengono a contatto con le fibre di amianto,
sono state date delle indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici a
base di amianto. Il DL 257/1992 prevede tre fasi ai fini dell’eliminazione dell’amianto dagli edifici :
rimozione, incapsulamento e confinamento. La rimozione è una tipologia di eliminazione delle fibre
di amianto che prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di fibre; rappresenta un rischio
molto elevato per gli addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli che smaltiscono questa grossa
quantità di fibre. È una pratica che da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro
non viene realizzata perché determina una grossa emissione di fibre e non rispecchia il principio di
protezione e prevenzione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo
l’esposizione. Incapsulamento e confinamento sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate
in tutti gli edifici per rimuovere, eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di
amianto. Vengono utilizzati dei prodotti chimici che vanno ad adsorbire le fibre, ad esempio si
utilizzano delle pellicole di protezione nelle stanze dove è più presente la dispersione rispetto alle
altre. I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la permanenza del materiale di amianto
nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di manutenzione viene fatto ogni anno. Se
questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche vengono fatti ogni anno si può anche
lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una manutenzione periodica. Infine il
confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree, nelle stanze dove è più presente
l’amianto rispetto a quelle in cui non c’è.
Il decreto Ruocco successivamente modificato dal DL 8/11/1997 ha previsto una legislazione
dedicata allo smaltimento dei rifiuti che contengono amianto, per evitare la dispersione delle fibre
nell’aria. I decreti legge che tutelano l’esposizione all’amianto esistono ma non vengono
completamente rispettati. Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in
merito all’amianto.

CASO CLINICO
Lavoratore di 74 anni, inviato al pronto soccorso dal medico curante per un riscontro casuale
aspecifico di crisi ipertensiva.
Anamnesi fisiologica: nella norma. Nega fumo, alcol e assunzione di farmaci. Alimentazione
regolare.
Anamnesi patologica remota: CEI (comuni esantemi infantili), appendicectomia a 16 anni e
un’erniectomia inguinale a 46 anni. Lamenta episodi saltuari e recidivanti di bronchite da quando
era giovane.
Anamnesi patologica prossima: forte astenia, dispnea da sforzo, forti palpitazioni, inappetenza e
perdita di peso di 5kg negli ultimi due mesi.
Anamnesi lavorativa: dall’età di 18 anni fino a 25 anni attività di operaio edile prima in
un’acciaieria del litorale flegreo e in seguito è stato addetto alla coibentazione di tetti, case, edifici a
scopo domestico. Da 15 anni riferisce di essere in pensione.
E.O: assenza di murmure vescicolare, PA con una massima borderline e minima nella norma, FC
140, buona saturazione di O2.
ECG: nella norma. Spirometria: sindrome disventilatoria di tipo misto, con prevalente componente
restrittiva. In fase avanzata di una pneumoconiosi la riduzione dei volumi polmonari determina un
quadro spirometrico di tipo restrittivo. RX torace: calcificazioni di tipo lamellare lungo tutto la
pleura. HRTC: placche pleuriche.
Fatta la diagnosi si procede con le altre indagini (toracocentesi) che vanno a confermare il
mesotelioma pleurico.

Agenti di rischio trasversali

Dal 2008, nell’ambito degli agenti di rischio trasversali, lo stress da lavoro viene riconosciuto per la

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prima volta come agenti di rischio a tutti gli effetti. Lo stress da lavoro è una condizione definita
come un insieme di reazioni fisiche ed emotive, non commisurate alle capacità e risorse provenienti
dall’esterno. Lo stress viene studiato in medicina del lavoro perché condizioni di stress insorte sul
lavoro sono facilmente correlate agli infortuni quindi ridurre lo stress significa ridurre gli infortuni.
Lo stress è il secondo problema di salute in Europa, secondo alle problematiche muscolo-
scheletriche. Interessa quasi un lavoratore su quattro. L’accordo quadro europeo nel 2004 già aveva
riconosciuto lo stress come agente di rischio professionale. In Italia solo nel 2008 è stato
riconosciuto come tale ed è stato inserito nel DL 81/2008. Il riconoscimento dello stress da lavoro
era stato fatto dalla legislazione europea per accrescere la consapevolezza e la comprensione dello
stress da parte delle autorità, dei lavoratori e dei
loro rappresentanti. L’accordo europeo offriva un quadro di riferimento per individuare le linee per
gestire le problematiche correlate allo stress da lavoro. L’accordo europeo definiva lo stress come
un insieme di sintomi fisici, psichici e sociali, non inteso come malattia ma come segnale di
malattia che può derivare qualora a livello lavorativo non vengano effettuate le dovute misure di
protezione e prevenzione atte a ridurre al minimo tali manifestazioni. Nell’articolo 28 del DL
81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo stress
presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei
lavoratori e della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono
stressati per motivi lavorativi. Quindi nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo
stress ma non veniva detto come. La circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico
che rappresenta il livello di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di
lavoro. La valutazione dello stress viene fatta in due fasi: una valutazione preliminare e una
valutazione eventuale. Nella valutazione preliminare (obbligatoria) si vanno a valutare degli
indicatori oggettivi. Il datore di lavoro nella fase preliminare o obbligatoria deve fare un’analisi
statistica degli indici di infortuni presenti in quell’azienda, valutare il numero di assenze per
malattia, il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto delle leggi sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro. Oltre a questo, deve andare a valutare degli indicatori di contesto e contenuto.
Viene proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande. Queste
domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto
ai compiti a cui deve assolvere,se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori
sono adeguati. La fase preliminare significa quindi proporre check-list e andare a valutare il numero
di infortuni e malattie perché questo percorso metodologico prevede di capire se ci sono soggetti
stressati che si assentano facilmente per motivi derivati dallo stress. Con queste check-list che si
propongono si va a verificare se il lavoratore è soddisfatto della sua ambientazione lavorativa, dei
suoi rapporti interpersonali e del suo ruolo nell’organizzazione. L’ultima famiglia di indicatori che
si vanno a valutare sono quelli di contenuto lavorativo. Vengono fatte delle domande,ad esempio :
l’illuminazione nella stanza dove lavori è sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue
conoscenze? Com’è la sedia? Tutta questa parte preliminare permette tramite l’analisi di eventi
esterni (numero di infortuni, numero di malattie denunciate, numero di segnalazioni da parte del
medico competente nonché indicatori di contesto e indicatori di contenuto) permette di fare lo
screening preliminare per capire se siamo in un rischio basso di stress lavoro correlato o meno. D: la
valutazione dello stress viene fatta anche per noi studenti? R: la valutazione dello stress nell’ateneo
viene fatta non a tutti, ma a gruppi. La proposta della check-list viene fatta a campione. Esempio:
industria meccanica ha diverse sezioni, a gruppi di 4-5 in base al numero totale vengono proposte
queste check-list per quantizzare questi indicatori. L’esito negativo significa che abbiamo fatto le
check-list a campione nei vari settori, ed è stata espressa una percentuale. Se questa percentuale è
uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza particolari condizioni di
disorganizzazione lavorativa. Non c’è stress. La legge prevede che la rivalutazione si faccia dopo 24

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mesi in maniera obbligatoria. Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio che va dal 25
al 50%, immediatamente il datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali,
organizzativi e strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress nei
lavoratori. C’è un anno per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato
psicologico del lavoratore. Dopo un anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito. Se
l’esito è ancora positivo si passa alla fase
eventuale, seconda fase. Si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo
programma il datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del
lavoro che ha la competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari stress
lavoro correlati. I questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito. La fase eventuale è
obbligatoria e prevede la somministrazione di questionari ad personam. Nella proposta di
questionari ad personam, siamo in fascia medio o alta, entrano in gioco una serie di interventi non
solo a livello strutturale, organizzativo e ergonomico ma si parla di soluzioni terapeutiche
all’individuo, quindi si può arrivare alla proposta di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune
realtà industriali grandi attivano uno sportello fatto da persone competenti dove il lavoratore
stressato va e segue il suo percorso. La legge prevede che dal momento in cui si scopre al momento
in cui si deve risolvere ci siano tutti gli strumenti per eliminare la problematica di stress lavoro
correlato. Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore
stressato. È previsto che il medico del lavoro nell’ambito della sorveglianza sanitaria, da medico
scopra eventuali condizioni di disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica. La
sorveglianza sanitaria viene proposta come occasione per scoprire delle situazioni di disagio
psicologico da segnalare al datore di lavoro. Considerato che il DL 81/2008 alla voce stress
prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc per il mobbing e per il burnout, parlare di mobbing
significa parlare di un’attività persecutoria che in quanto tale può portare all’espulsione del
lavoratore dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso
sfociano in vere e proprie malattie. In psichiatria c’è una classificazione con la quale si parla del
“disturbo post-traumatico da stress” e “disturbo da disadattamento lavorativo”. Solo queste due
condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul territorio preposto al risarcimento da malattia
professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore ha sviluppato “disturbo post traumatico da
stress lavorativo” e “disturbo da disadattamento lavorativo”, indennizza il lavoratore; quindi non il
mobbing né lo stress lavoro correlato, ma patologie psichiatriche sono quelle riconosciute associate
a problematiche come il mobbing e il burnout che l’INAIL eventualmente riconosce. Oggi sono
pochissime le malattie professionali riconosciute da agenti di rischio trasversale e quindi da stress
lavoro correlato. Lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato
coinvolgimento lavorativo o hanno ridotte capacità lavorative. Soggetti bersagliati sono quelli
“diversi”: lavoratori immigrati oppure soggetti con disabilità hanno una soglia individuale più
bassa, sono ipersuscettibili a malattie come il mobbing. Le conseguenze sulla salute sono
inizialmente: cefalea,ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione. In seguito si associa a queste
patologie una vera e propria patologia d’organo. Ecco perché rientrano nel disturbo di adattamento
o nel disturbo post traumatico da stress, che sono le uniche riconosciute dall’INAIL. La sindrome
del burnout è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure professionali d’aiuto.
Nonostante siano state date nuove definizioni del burnout che la classificano come una patologia
che si manifesta con il deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro, in tal senso
farebbero rientrare nella definizione anche non solo figure d’aiuto. Generalmente si parla del
burnout come di una patologia che colpisce figure d’aiuto: educatori, insegnanti, medici, poliziotti,
vigili del fuoco, carabinieri, sacerdoti, operatori assistenziali, psichiatri, psicologi. Queste figure
sono caricate da una duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la persona che
viene assistita. In percentuale la categoria più a rischio è rappresentata dal settore degli insegnanti e
dai video terminalisti che lamentano tutta una serie di fattori di malessere (attività lavorativa
monotona).

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Se non opportunamente trattati sfociano nella fase finale del burnout di logoramento psico-fisico
che è l’apatia. Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:
• Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;
• Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la
possibilità di realizzarle nell’ambiente lavorativo;
• Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;
• Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che
viene definita vera e propria “morte professionale”.

Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi
come in futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.

Posture, movimenti lavorativi e sindromi muscolo-scheletriche

Sono affezioni multifattoriali dove le particolari mansioni lavorative, con posture inadeguate,
giocherebbero un ruolo concausale. Tra tali affezioni ricordiamo
• Low back pain → lombalgia cronica nella maggior parte dei casi conseguente ad un'ernia
discale
• Cumulative trauma disorders → sindromi del distretto cervico-brachiale, caratterizzate da
affaticamento, impaccio, disabilità o dolore persistente a carico di articolazioni, muscoli,
tendini e tessuti molli
• Affezioni agli arti superiori → movimenti ripetitivi, sindromi da overuso

I principali meccanismi con cui una condizione di lavoro diventa elemento di rischio per la salute
sono
• Sovraccarico meccanico
• Movimentazione manuale dei carichi
• Posture fisse o protratte

Movimentazione manuale dei carichi

Durante le operazioni di movimentazione si determinano forze compressive sulle strutture del


rachide lombare che possono condurre a micro o a macro lesioni. E' stato calcolato che il
sollevamento di un carico di 25 kg da terra (a schiena flessa) fino al torace può comportare forze di
compressione sul disco superiori a 500 kg, che nel rachide lombare possono causare microfratture. I
carichi di frattura sono 600-700 kg nei maschi con meno di 40 anni, 400-500 in quelli tra 40-60
anni, 300 in quelli d'età superiore. Nelle donne i limiti di rottura sono del 17% inferiori.

I soggetti più esposti a questo rischio sono


• Edilizia
• Trasporti e traslochi
• Carico e scarico merci
• Lavori di magazzinaggio

Tramite il rapporto peso sollevato/peso massimo sollevabile ricaviamo l'IS (indice di sollevamento),
in base al quale l'operazione sarà accettabile se < 1 o inaccettabile in caso contrario. Bisognerà
considerare i seguenti aspetti
• Il sovraccarico meccanico ha documentato un ruolo nell'insorgenza di danno da
movimentazione manuale

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• L'ernia discale e la discopatia, ma non l'artrosi, rappresentano il terreno di fondo su cui
interviene il danno lavorativo
In generale il medico competente formulerà solo un giudizio di sospetto di malattia professionale
se ricorrono contemporaneamente elementi di
• Esposizione → almeno 5 anni di esposizione a indici di sollevamento > 6 o 10 anni ad indici
>3
• Danno → protrusione o ernia discale
Posizioni di lavoro tendenzialmente fisse e protratte

Il mantenimento di posizioni di lavoro erette sostanzialmente fisse può interferire con il processo
nutritivo dei dischi intervertebrali lombari, innescando precocemente il processo degenerativo.
Sappiamo infatti che il disco viene nutrito attraverso giochi pressori che inducono il passaggio di
sostanze per diffusione, ne deriva che posizioni protratte tali da far persistere condizioni di
sottocarico o sovraccarico comportano dopo poche ore un arresto del ricambio per diffusione, con
conseguente sofferenza discale.
I soggetti più esposti sono impegnati in:
• Lavoro in catena di montaggio
• Confezionamento di indumenti
• Guida professionale di automezzi

Sarà necessario effettuare delle alternanze per almeno 5-10 minuti ogni ora al fine di evitare il
danno da postura prolungata, le posture più sfavorevoli sono la posizione protratta senza schienale
che supporti il tronco, posizione seduta con rachide ed arti superiori supportati

Movimenti ripetitivi e/o forzati degli arti superiori

I gesti lavorativi compiuti con gli arti superiori possono divenire elemento di rischio quando
• Sono frequentemente e rapidamente ripetuti per lunghi periodi del turno di lavoro
• Richiedono sviluppo di forza manuale
• Non sono alternati con adeguati periodi di recupero e riposo
Tali elementi inducono la CTD (patologia da sovraccarico degli arti superiori). Il quadro risultante è
dominato dall'affaticamento cronico dei muscoli e dall'irritazione meccanica di tendini e strutture
peritendinee, con possibile coinvolgimento delle guaine. Tra tali sindromi ricordiamo:
• Radicolopatia spinale → parestesie alle mani, ipoestesie degli arti superiori in presenza di
dolore alla pressione delle apofisi cervicali
• Sindrome del tunnel carpale → disturbo canalicolare da compressione del nervo mediano
con parestesie
• Sindrome di De Quervain → dolore nella tabacchiera anatomica e test di Finkeinstein
positivo

I soggetti più esposti sono quelli impegnati in


• Levigatura → de quervain, tunnel carpale
• Assemblaggio in catena e sopra la testa
• Dattilografia
• Sala operatoria
• Lavori al banco
La diagnosi di malatie osteo-muscolo articolari si basa su
• anamnesi dei disturbi del tratto cervicale, toracico o lombare

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• Manovre di dolorabilità (punti di valleix)
• Manovre che valutano alterazioni della distensibilità muscolo tendinea del rachiede e di
irritazione nervosa

I dati ricavati permetteranno diagnosi di


• SAP o spondiloartropatia clinico-funzionale di I grado, cervicale e lombosacrale (se
abbiamo positività anamnestica), dorsale (se abbiamo anche dolorabilità dei muscoli
paravertebrali)
• SAP di II grado → se è interessato il rachide in toto,
• SAP di III grado → sovrapponibile al II + mobilità dolorosa + Lasengue o Wasserman
positivi

La prevenzione prevede:
• Movimentazione manuale dei carichi → ausili meccanici, automatizzazione dei processi più
gravosi dell'operazione
• Movimenti ripetitivi e posture fisse → automazione dei processi, utilizzo di strumenti di
lavoro più ergonomici

La prevenzione secondaria invece sarà garantita dai controlli sanitari, infatti i lavoratori
potenzialmente esposti a condizioni di sovraccarico muscolo-scheletrico sono soggetti a controlli
sia pre-impiego che periodici

VDT Ergonomia, stress, mobbing, burnout e lavoro

I VDT sono apparecchiature che permettono la visualizzazione di informazioni su uno schermo, le


attività svolte ai videoterminali sono distinte in:
• Immissione di dati, inseriti tramite digitazione su tastiera per cui le mani sono sempre sulla
tastiera, gli occhi devono fissare il testo da digitare e controllare lo schermo, oltre al carico
visivo vengono sollecitati rachide, muscoli della schiena, braccia e mani
• Attività di dialogo, in cui il VDT è utilizzato per ricevere informazioni
• Elaborazione e stesura dei testi
• Produzione ed animazione grafica
• Multimedia

Il posto e l'ambiente di lavoro che comprendono VDT devono essere correttamente progettati e
sottoposti a controllo/manutenzione per evitare lo sviluppo di patologie. Gli impianti di
illuminazione mirano a rendere ben visibile quanto circonda il soggetto, per rendere congrue le
condizioni illuminotecniche di un determinato luogo di lavoro bisogna quindi considerare
• Tipo di illuminazione → lampada a luce fredda o calda
• Flusso luminoso → energia luminosa emessa/tempo espressa in lumen
• illuminamento → flusso per superficie espresso in lux
• Intensità luminosa → espressa in candela
I livelli di illuminazione raccomandati variano a seconda dei compiti visivi e sono
• 200-300 lux → compiti semplici
• 500-700 lux → esigenze elevate
• > 2000 → compiti di notevole difficoltà

Si considera addetto al videoterminale quel lavoratore che lavora al computer almeno 20h alla
settimana.

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Spesso in ambiente di lavoro con VDT coesistono due condizioni di rischio e cioè l'illuminazione
inadeguata e un'attività ad elevato impegno visivo, ne deriva la necessità di realizzare un buon
condizionamento ambientale in grado di ridurre il calore prodotto dalle macchine e dai CDT,
garantire ricambi d'aria, ridurre gli inquinanti aerodispersi ed adeguare l'illuminazione artificiale e
naturale.

I principali disturbi segnalati negli operatori VDT sono


• Astenopia (principale) → disturbi visivi legati ad affaticamento della vista, che comprende
◦ Disturbi visivi → visione sdoppiata, abbagliamento, annebbiamento, scotomi
◦ Sintomi oculari → lacrimazione, bruciore, prurito
◦ Cefalea, vertigini, nausea e vomito
• Malattie cutanee → dermatite seboroica, acne
• Sindromi ansioso-depressive → con stress, che rientra negli agenti di rischio trasversale

A scopo preventivo, quindi, seguendo il DL 626/94 deve essere effettuato


• Adeguato MA → valutazione del microclima, ambiente ed illuminazione
• Sorveglianza sanitaria → visite ergo-oftalmologiche (non sono visite oculistiche che
prevedono la misurazione della vista, ma visite che vanno ad indagare se ci sono problemi
legati alla sindrome astenopeica effettuate con un apparecchio chiamato ergovisio), visite
riguardanti il sistema muscolo-scheletrico
◦ Il lavoratore < 50 anni esegue una sorveglianza sanitaria ogni 5 anni → la tempistica
può essere modificata, con visite più frequenti, qualora il lavoratore presenti frequenti
congiuntiviti o altre problematiche oculari (422/00)
◦ Il lavoratore > 50 anni ogni 2 anni (perchè si sovrappongono all'astenopia anche altre
patologie della vista)

L'ergonomia è una metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro, ha come
obiettivo quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l'ambiente all caratteristiche
psico-fisiche del lavoratore (DL 81/08). Il concetto di ergonomia è molto importante in quanto le
patologie che possono insorgere durante un lavoro non ergonomico possono essere molteplici
• Tendiniti, borsiti
• Epicondiliti, trocleiti
• Sindrome del tunnel carpale

La legge 422 del 2000 ha modificato il concetto di monte-ore cioè con questa legge si identifica un
lavoratore al videoterminale non solo quello che utilizza il computer per 4h al giorno per un totale
di 20h alla settimana ma anche quello che utilizza un videoterminale in maniera non continuativa
per un totale di 20h alla settimana (un giorno 6h, un giorno 3h etc). Un altro concetto espresso da
questa legge sono le pause lavorative, i lavoratori sono obbligati a fare una pausa di 15 minuti ogni
2 h di applicazione continuativa al VDT

Requisiti minimi di sicurezza per lavoratori videoterminalisti


• Postazione di lavoro →
◦ Scrivania di colore non riflettente (non bianca, non nera, ma color ciliegio) per non
creare riflessi sul monitor che affaticherebbero di più la vista e superficie ampia per
posizionare gli avambracci (in caso contrario comporterebbe indolenzimento fino a
sindrome del tunnel carpale)
◦ Adeguato alloggiamento degli arti inferiori
◦ Sedia girevole, con schienale regolabile, convessità che ripercorre le fisiologiche

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concavità e convessità della colonna vertebrale
◦ Poggiapiedi non obbligatorio ma può essere richiesto (esempio da una donna in
gravidanza)
◦ Distanza di 50-70 cm dal pc, con sedia più alta rispetto al monitor (lo spigolo del
monitor deve stare più in basso della visuale che passa tra occhi ed orizzonte)
◦ Cavi lontano (possono far inciampare il lavoratore)
• Adeguato microclima

Il medico del lavoro valuta con questionari random a tutti i lavoratori le condizioni di ergonomia e
di stress, se questo è positivo si passa alla fase soggettiva dove viene proposto un questionario ad
personam, è il datore di lavoro con l'aiuto del medico del lavoro o dello psicologo a preparare questi
questionari

La formazione del videoterminalista è anche molto importante e si propone di


• Istruire il lavoratore ad alzarsi dalla postazione e dissuefare i muscoli posturali o facendo
una rampa di scale o una piccola passeggiata durante i 15 minuti di pausa
• Istruire il lavoratore ad effettuare:
◦ Palming → assumendo una posizione seduta, comoda, coprire entrambi gli occhi chiusi
col palmo delle mani fino ad ottenere una condizione di colore nero di fondo per
rilassare la mente e dissuefare i muscoli oculari
◦ Blinking → ammiccare per 1-2 minuti per rilubrificare la congiuntiva
◦ Sunning → esporre gli occhi alla luce solare a palpebre chiuse per qualche minuto (la
luce solare ha potere vasodilatante e quindi favorisce l'afflusso sanguigno a livello
oculare)
◦ Washing → lavare con acqua fredda gli occhi per ridurre la secchezza oculare

Lo stress da lavoro correlato → può essere definito come l'insieme di reazioni fisiche ed emotive
dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle
capacità, risorse o esigenze del lavoratore. Può influire negativamente sulle condizioni di salute e
provocare infortuni (interessa 1 europeo su 4). La valutazione dello stress lavoro correlato si
articola in due fasi:
• Una preliminare (necessaria) → rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili ove
possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a 3 distinte famiglie:
◦ Assenze per malattia
◦ Indici infortunistici
◦ Segnalazioni del medico competente
◦ Frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori
La valutazione deve consentire di quantificare il livello di rischio secondo una scala
parametrica basso/medio/alto, se la valutazione non rileva elementi di rischio da stress
• Una eventuale → da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di
rischio da stress e le misure di correzione adottate risultino inefficaci

Tipi di interventi correttivi


• Soluzioni che intervengono sull'organizzazione
◦ Potenziamento degli automatismi tecnologici
◦ Orario sostenibile e riprogrammazione delle attività
◦ Ergonomia dell'ambiente
• Soluzioni di interfaccia con i gruppi di lavoratori → formazione post-valutazione
• Soluzioni rivolte agli individui → supporto ai singoli lavoratori con counselling e sportelli

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di ascolto
Principali fattori di stress nel lavoro:
• Rapporto conflittuale uomo-macchina → quando la macchina è difficile da usare, quando
può perdere dati
• Lavoro monotono e ripetitivo
• Carico di lavoro troppo elevato o troppo scarso
• Responsabilità troppo alta o troppo bassa
• Rapporti conflittuali con i colleghi
• Rumori, spazi inadeguati

La sorveglianza sanitaria non costituisce una misura di elezione in tutte le situazioni di stress
lavoro-correlato, andando invece privilegiati gli interventi sull'organizzazione del lavoro

Mobbing → E’ un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici,


angherie,vessazioni,demansionamento,emarginazione,umiliazioni,maldicenze,ostracizzazione,etc.)
perpetrati da parte di uno o più individui nei confronti di un altro individuo, in modo prolungato nel
tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. I
singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né
debbono essere di per sé illegittimi, ma nell'insieme producono danneggiamenti pluri offensivi
anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza.
Per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve essere funzionale alla espulsione del
lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in
specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad
andamento cronico.

Soggetti colpiti
• Ogni lavoratore, indipendentemente dalle caratteristiche della propria personalità e del
proprio carattere, può essere oggetto di molestie morali. Tuttavia, oltre alla soglia
individuale di resistenza alla violenza psicologica, alcune caratteristiche personologiche o
situazionali possono favorirne l’insorgenza o la diffusione.
• Sono potenziali bersagli soprattutto: • lavoratori con elevato coinvolgimento nell’attività
svolta, o con capacità innovative e creative;
• Soggetti con ridotte capacità lavorative o portatori di handicap collocati obbligatoriamente
nel posto di lavoro, ma osteggiati dal datore di lavoro, dal preposto, dai nuovi compagni di
lavoro;
• diversi” sotto vari punti di vista e tratti socio-culturali (provenienza geografica, religione,
abitudini di vita, preferenze sessuali).
• Lavoratori rimasti estranei a pratiche illecite e/o irregolari di altri di colleghi.

Conseguenze sulla salute

Precoci sono i segnali di allarme psicosomatico (cefalea, tachicardia, gastro-enteralgie, dolori


osteoarticolari, mialgie, disturbi dell’equilibrio), emozionale (ansia, tensione, disturbi del sonno,
dell’umore), comportamentale (anoressia, bulimia, potus, farmacodipendenza). Se lo stimolo
avverso è duraturo, oltre al possibile concorso nello sviluppo di patologia d’organo, i sintomi
descritti possono organizzarsi nei due quadri sindromici principali che rappresentano le risposte
psichiatriche a condizionamenti o situazioni esogene: il disturbo dell’adattamento e il disturbo post-
traumatico da stress.

Tenendo conto della sistematizzazione nosografica del DSM-IV, le conseguenze sulla salute che

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possono derivare da una condizione di mobbing dovrebbero essere comprese nell’insieme definito
“Reazioni ad Eventi”. Tali reazioni includono:
• Disturbo dell’adattamento (DA)
•Disturbo acuto da stress (DAS)
•Disturbo post-traumatico da stress (DPTS)
• Secondo alcuni è opportuno includere anche il DAS fra i principali quadri sindromici prodotti da
una condizione di mobbing, poiché, sulla base della loro esperienza, esiste la possibilità che, in un
arco di tempo limitato (inferiore ai sei mesi), si manifestino condizioni di mobbing che determinano
non soltanto manifestazioni patologiche acute, ma anche postumi permanenti. In tal caso si potrebbe
considerare il DAS dovuto a mobbing come un possibile esordio del DPTS con potenziali caratteri
di reversibilità, laddove sia possibile intervenire in tempo emendando la condizione di mobbing, o,
viceversa, come un caso conclamato di DPTS, laddove la condizione di mobbing persista.

Burnout
La sindrome da burnout è l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che
esercitano professioni di aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi
eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere.

Maslach e Leiter (2000) hanno meglio chiarito le componenti della sindrome attraverso tre
dimensioni:
• deterioramento dell'impegno nei confronti del lavoro,
• deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro ed
• un problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di
quest'ultimo.
In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d'aiuto ma
probabile in qualsiasi organizzazione di lavoro.

Chi colpisce?

Il burnout interessa educatori, medici, poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri, sacerdoti
,infermieri, operatori assistenziali, tecnici di radiologia medica, psicologi, psichiatri, educatori
professionali in case psichiatriche protette, assistenti sociali, fisioterapisti, medici ospedalieri,
ostetriche, studenti di medicina, responsabili e addetti a servizi di prevenzione e protezione,
personale della protezione civile, operatori del volontariato, ecc. Queste figure sono caricate da una
duplice fonte di STRESS: il loro stress personale e quello della persona aiutata.

Cosa comporta
•Ne consegue che, se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento
processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità
per sostenere e scaricare lo stress accumulato ("burnout" in inglese significa proprio "bruciarsi").
• Comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al
cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale.I soggetti colpiti
• Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con
entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché
una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. Il burnout si
accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come
l'insonnia, psicologici come la depressione. I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale,
ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l'abuso di alcol, di sostanze psicoattive
ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.

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Le fasi del burnout
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo 4 fasi.
1) preparatoria, è quella dell'entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di
tipo assistenziale.
2) (stagnazione) il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi
conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed
il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.
3) (frustrazione) il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di
insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso
tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente
atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
4) (apatia) l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia
subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale".

Le conseguenze del burnout

• A LIVELLO INDIVIDUALE:
Atteggiamenti negativi verso i clienti/utenti •
Atteggiamenti negativi verso se stessi •
Atteggiamenti negativi verso il lavoro •
Atteggiamenti negativi verso la vita •
Calo della soddisfazione lavorativa •
Calo dell'impegno verso l'organizzazione •
Riduzione della qualità della vita personale •
Peggioramento dello stato di salute
•A LIVELLO ORGANIZZATIVO:
•Aumento dell'assenteismo •
Aumento del turnover
•Calo della performace
•Calo della qualità del servizio
•Calo della soddisfazione lavorativa

Rumore e danno alla persona


Il rumore, inteso come suono fastidioso o molesto, è un fattore di rischio professionale di tipo fisico
capace di indurre danni uditivi (soprattutto ipoacusia) ed extra uditivi. Il rumore è costituito da
un'oscillazione e rarefazione dell'aria che viene generata da un corpo vibrante e si trasmette in un
mezzo elastico in rapporto alle sue caratteristiche di
• Frequenza → numero di oscillazioni compiuto da uno stesso punto dell'onda nell'unità di
tempo. Si misura in Hertz. L'orecchio umano percepisce frequenze dai 20 ai 2000 Hz.
Differenzia il suono da acuto a grave
• Periodo → intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Si misura
in secondi
• Lunghezza d'onda → spazio percorso dall'onda in un periodo
• Intensità → potenza media con la quale l'energia viene trasmessa nel vuoto. L'unità di
misura è il decibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0-10 decibel, quella del dolore
130-140 decibel. Una normale conversazione 60-70 decibel, il traffico stradale 80 decibel.
Differenzia il suono da lieve a forte

I settori maggiormente interessati sono

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• Industria metalmeccanica
• Industria per costruzioni
• Industria estrattiva
• Industra biochimica

L'apparato uditivo ha la funzione di trasformare un segnale meccanico (onde sonore) in elettrico che
attraverso il nervo acustico raggiunge il cervello e da luogo alla sensazione sonora. Le strutture
sono
• Orecchio esterno → formato da padiglione auricolare, timpano, condotto uditivo e raccoglie
le onde sonore convogliandole verso l'orecchio medio
• Orecchio medio → tuba di eustachio, staffa, incudine e martello che dalla membrana del
timpano trasmette alla finestra ovale l'energia sonora
• Orecchio interno o coclea → la coclea ha due ruoli
◦ Trasmissione del suono → tramite la finestra ovale all'epitelio ciliato dell'organo del
corti
◦ Trasduzione del suono → l'energia sonora è trasformata in impulsi elettrici a livello del
nervo acustico

Quadri patologici
Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell'organo del Corti con
una ipoacusia neurosensoriale irreversibile, le prime strutture ad essere danneggiate sono le cellule
ciliate esterne in cui si ha frammentazione delle ciglia fino alla scomparsa ed una rottura della
membrana cellulare con sostituzione con cellule di sostegno. Per esposizioni a rumori che hanno un
livello costante si osservano alterazioni prima di tipo metabolico-funzionale poi di tipo metabolico-
morfologico, mentre per i rumori impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche più
precoci. In linea generale possiamo dire che il peggioramento dell'udito non è lineare ma il soggetto
inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con progressione anche molto veloce di danno per
i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non cambi l'attività
lavorativa con esposizione ad altro tipo di rumore
• Quando vi è una esposizione ad un rumore che è superiore a 140 Db si causa un dolore
immediato a carico dell'apparato uditivo, nei casi più gravi anche rottura della membrana
timpanica con danno a carico delle cellule ciliate, la lesione in questo caso è sempre
monolaterale in quanto la testa fa da schermo per l'altro orecchio → evenienza rara nei
luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio e non malattia professionale (es. scoppio
di una caldaia). Generalmente nei casi più favorevoli c'è restitutio ad integrum
• Quando vi è una esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile come
un'esposizione ad 80 Db per circa 8h al giorno per molti anni, se non adeguatamente
accompagnata da dispositivi di protezione individuale causerà una ipoacusia da trauma
acustico cronico classificata in più fasi:
◦ Fatica uditiva (o spostamento temporaneo della soglia uditiva) che si traduce in un calo
dell'udito la cui entità è proporzionale all'intensità del rumore ed al tempo di
esposizione. Si distinguono due tipi di fatica uditiva:
▪ STS2 → fisiologica, si misura dopo 2 minuti dall'esposizione al rumore ed ha durata
di 16h, identifica un'innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livello normali, i
rumori industriali provocano una STS2 sulle frequenze di 3000-4000 Hz
▪ STS16 → patologica, permane anche oltre le 16h dall'esposizione allo stimolo
acustico perchè l'orecchio di un soggetto esposto cronicamente al rumore ha perso la
capacità di recupero progressivamente fino ad arrivare all'ipoacusia franca
◦ Fase di latenza → il soggetto non ha sintomi sebbene l'ipoacusia peggiori con

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innalzamento della soglia uditiva di circa 40/50 Db sui 4000 Hz evidenziato all'esame
audiometrico
◦ 3° fase in cui ricompare la sintomatologia → il soggetto non sente il ticchettio
dell'orologio e mostra un'innalzamento della soglia uditiva di circa 60 Db sui 4000 Hz
◦ 4° fase → stadio di sordità

Le caratteristiche dell'ipoacusia da rumore quindi sono 4:


• Il deficit è percettivo perchè il danno è sul nervo sensoriale
• E' inizialmente prevalente su frequenze media (4000 Hz) poi si estende sulle alte e basse
frequenze
• e' bilaterale e simmetrico
• è irreversibile

Comporta effetti anche extra-uditivi imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture
acustiche con le altre struttre del SNC come la formazione reticolare;
• Sistema cardio-vascolare → aumenta frequenza, pressione e vasocostrizione
• Sistema endocrino → aumenta produzione ormonale
• Sistema visivo → dilatazione pupillare
• Sistema neuropsichico → disturbi di concentrazione, equilibrio, attenzione
• Sistema GI → diminuzione motilità, aumento ulcere
• Sistema respiratorio → aumento frequenza respiratoria

L'esposizione al rumore causa due tipi di risposte nell'organismo:


• Risposta d'allarme → aumento della pressione pupillare, sudorazione, aumento frequenza
cardiaca e respiratoria, si esaurisce rapidamente ed è causata da rumori di alta intensità e
breve durata
• Risposta neurovegetativa → lenta e segue quella d'allarme con alterazioni a carico di tutti gli
organi

Bisogna distiguere l'ipoacusia dalla presbiacusia (progressiva riduzione della capacità uditiva
fisiologica, dopo i 40 anni si perdono circa 4,5 db all'anno e si verifica soprattutto per le alte
frequenze )

Il DL 81/08 valuta il “livello di esposizione settimanale al rumore” calcolato su una giornata


lavorativa di 5 h, il limite di esposizione è 87 db (l'esposizione media durante una giornata
lavorativa non può superare questo limite). Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro
ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello da rumore e
• se l'esposizione non supera 80 db si danno solo dispositivi di protezione acustica al
lavoratore che non svilupperà patologie
• se il rumore supera 80 db si procede a misurare il rumore nel luogo di lavoro con un
fonometro e
◦ Se supera 80 db → obbligo di fornire dispositivi di protezione individuali che possono
richiedere di essere sottoposti a sorveglianza sanitaria
◦ Se supera 85 db → obbligo di attuare delle misure tecnico-organizzative per ridurre la
rumorosità degli ambienti di lavoro, indicare con cartelli i luoghi in cui i lavoratori sono
sottoposti a tale intensità di rumore, sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori, deve
inoltre assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione che sono:
▪ Inserti auricolari
▪ Cuffie auricolari → per esposizioni prolungate e permettono l'ascolto delle

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conversazioni
▪ Caschi → per attività più rumorose come utilizzo di martelli pneumatici
▪ Archetti

Patologia da vibrazioni
Le vibrazioni costituiscono un rilevante agente lesivo e vengono distinte da Wisner in:
• Basse frequenze (0-2 Hz) → si verificano nei mezzi di comunicazione e trasporto e danno
luogo al mal di trasporto (mal di mare) o chinetosi (nella sua insorgenza sono coinvolte
anche afferenze olfattive ed ottiche, nonché dei meccanocettori cutanei e sottocutanei delle
zone mesenteriche ed addominali)
• Medie frequenze (2-20 hz) → generate da impianti industriali e macchine e determinano
effetti su tutto il corpo ed osteopatie
• Alte frequenze (> 20 Hz) → generate da strumenti vibranti a percussione (scalpello), a
rotazione (perforatrici), a movimento misto (trapani) e causano malattie ostoarticolari ed
angioneurotiche soprattutto degli arti

Le patologie da vibrazioni che si trasmettono a tutto il corpo (basse e medie frequenze) vanno ad
interessare l'apparato osteo-articolare ma anche quello oto-vestibolare con disturbi dell'equilibrio.

Principali attività lavorative in cui insorgono queste patologie sono


• Settore dell'edilizia
• Settore metameccanico
• Industria del legno
• Settore terziario (agricolo)

Le lesioni possono essere


• Osteo-articolari → sono simil artrosiche, cioè caratterizzate da un quadro necrotico-
degenerativo osteo-cartilagineo con interessamento preferenziale delle aree sottoposte a
sovraccarico funzionale, sono diagnosticate all'rx
• Tendinee → fenomeni flogistici, ischemici e degenerativi a carico soprattutto del gomito, si
può calcificare con successiva ossificazione (compare lo sperone olecranico), segno di
Dupuytren e cioè retrazione dell'aponevrosi palmare
• Neurologiche → riguardano soprattutto il nervo mediano (tunnel carpale) ed ulnare
• Venose → flebo-trombosi da microtauma ripetuto, soprattutto quando all'azione delle
vibrazioni si associa quella della posizione sollevata ed abdotta dell'arto superiore (es.
minatori con martello pneumatico), spesso nel distretto succlavio-maxillo-brachiale
• Vascolari → configurano il quadro di Raynaud secondario, il FR è costituito da un arresto
transitorio del flusso arterioso alle zone acrali delle mani che si slatentizza dopo esposizioni
al freddo generalmente, il paziente lamenta torpore e formicolio a carico delle ultime
falangi, dita fredde pallide o rossastre e poi bluastre, dolenzia. Se lo stimolo scatenante
persiste la lesione si estende anche alle falangi distali ed è accompagnata da dolore e senso
di freddo, tali crisi angiospastiche sono stadiate in
◦ Stadio 0 → sintomi vasospastici assenti in soggetto esposto a vibrazioni mano-braccio
◦ Stadio 1 → FR lieve con occasionali episodi di pallore alle estremità di uno o più dita
◦ Stadio 2 → FR moderato con pallore a carico delle falangi distali e intermedie di uno o
più dita
◦ Stadio 3 → FR severo con pallore di tutte le falangi
◦ Stadio 4 → FR molto severo e corrisponde allo stadio 3 + disturbi trofici cutanei alle
dita

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La diagnosi si basa su
• Anamnesi
• EO
• Valutazione emodinamica (ecodoppler)
• DD tra FR di tipo funzionale o organico con prove tecniche (cold test, consiste
nell'immergere nel mani in acqua fredda in soggetto a riposo da 15 minuti e senza fumare da
60 minuti) e farmacodinamiche ( somministrazione di trinitroglicerina sublinguale e
successivo doppler) → il recupero dell'irrorazione si ha dopo 20-25 minuti in un soggetto
con FR organico, dopo molto più tempo in un soggetto con FR da vibrazioni
• Capillaroscopia → mostra alterazioni a livello delle falangi acrali
• Rx del gomito e del distretto scapolo-omerale → segni di artrosi

Il decreto 81/08 afferma che i valore massimo di esposizione giornaliera a vibrazioni total body è
riferito ad una giornata di 8h per 40h settimanali ed il limite di esposizione deve essere di 5 m/s^2,
inoltre il valore d'azione giornaliero (range che non deve essere superato per far si che non si abbia
l'insorgenza di danni) è di 2,5 m/s^2. Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi sempre a livello
più bassi

Diritti delle lavoratrici in gravidanza

DL 151/2001 !! viene posto l'accento su


• Congedo di maternità → l'astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice
• Congedo di paternità → l'astensione dal lavoro del lavoratore fruito in alternativa al congedo
di maternità
• Congedo parentale → astensione facoltativa del lavoratore o lavoratrice
• Congedo per malattia del figlio

Il testo unico per la tutela della salute (81/08) prevede che


• Le lavoratrici posano beneficiare di particolari misure di sicurezza per tutta la durata della
gravidanza e per i 7 mesi successivi al parto
• Vi sia l'obbligo del congedo per maternità (astensione obbligatoria) tra i 2 mesi precedenti e
i 3 mesi successivi al parto, se la gravidanza comporta un rischio per madre o nascituro il
congedo può essere richiesto con anticipo. Può inoltre continuare a lavorare fino all'8 mese
previa certificazione ginecologica ed usufruire del concetto di flessibilità del congedo, ciò
comporta restare a casa con il nascituro per 4 mesi dopo il parto anziché 3
• Siano vietati alle lavoratrici lavori faticosi e lavori notturni da momento in cui dichiarano al
datore di lavoro la propria gravidanza e fino ad un anno di vita del figlio, la donna non può
essere sottoposta a strumentazioni rumorose ed a radiazioni ionizzanti, a sollecitazioni
termiche ed ad agenti biologici (di classe da 2 a 4) ed ad agenti chimici
• Permessi retribuiti durante la gravidanza per sostenere esami e visite mediche
• Vietato il licenziamento dall'inizio fino al termine della gravidanza

Rischi in ambiente domestico


Legge 493/1999 → riconosciuto alla casalinga lo status di lavoratrice in ambito domestico con
istituzione di una assicurazione contro i danni derivanti dal lavoro svolto in ambito domestico.
La legge ha inteso definire alcuni concetti:

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• per "lavoro svolto in ambito domestico" si intende l'insieme delle attività prestate all’interno
dell’abitazione abituale, senza vincolo di subordinazione e a titolo gratuito, finalizzate alla
cura delle persone e dell'ambiente domestico;
• per "ambito domestico" si intende l'insieme degli immobili di civile abitazione e delle
relative pertinenze ove dimora il nucleo familiare dell'assicurato. Qualora l'immobile faccia
parte di un condominio, l'ambito domestico comprende anche le parti comuni condominiali;
• il lavoro in ambito domestico si considera svolto in via esclusiva allorché l'assicurato non
svolga altra attività che comporti l'iscrizione presso forme obbligatorie di previdenza
sociale.

Tutte le attività lavorative svolte dalla casalinga in questi ambiti possono causarle degli infortuni
con conseguenze invalidanti permanenti, per tale motivo è previsto che la lavoratrice stipuli
un’assicurazione obbligatoria per la tutela dal rischio infortunistico. Tale assicurazione che è gestita
dall’INAIL, deve essere obbligatoriamente sottoscritta da persone aventi un’età compresa tra i 18 e
i 65 anni che svolgono esclusivamente l’attività di casalinga, ed in base ad una modifica apportata
dalla Legge Finanziaria del 2007, attualmente comprende i casi di infortunio dai quali derivi
un’inabilità permanente al lavoro domestico non inferiore al 27%. Non è riconosciuta nessuna
indennità per l’invalidità temporanea. Per poter usufruire della copertura contro gli infortuni
domestici, le casalinghe devono effettuare un versamento di 12,91 € entro il 31 gennaio di ogni
anno, tramite bollettino oppure con pagamento online all’INAIL, che è l’Ente autorizzato a gestire
un apposito fondo in cui confluiscono tutti i premi assicurativi versati dalle casalinghe e che
provvede ad emettere le somme per il risarcimento in caso di infortunio.

Tumori professionali

Si definiscono professionali i tumori nella cui genesi ha agito l'attività lavorativa con esposizione ad
agenti cancerogeni.
Il processo di cancerogenesi si sviluppa in 3 fasi
• Iniziazione → una sostanza mutagena o cancerogena determinerebbe a comparsa di
mutazioni tali da indurre la trasformazione cellulare
• Promozione → sostanze promotrici che modifica l'espressione di geni che regolano la
proliferazione cellulare
• Progressione

Il periodo che intercorre tra l'inizio dell'esposizione al cancerogeno e il tumore è chiamato periodo
di latenza, per i tumori professionali è particolarmente lungo, tanto che la diagnosi può essere fatta
in soggetti gia pensionati.

Sono state realizzate a partire dagli anni 70 delle liste di sostanze (liste IARC international agency
of research on cancer) associate a tumori distinte in 5 categorie
• Gruppo 1 → cancerogeno per l'uomo in cui vi è dimostrato il nesso causale → polmone
(arsenico, asbesto, talco, cadmio), Pelle (arsenico, catrame), vescica (pece, benzidina),
leucemie (benzene)
• Gruppo 2 A → probabile cancerogeno per l'uomo
• Gruppo 2 B → possibilmente cancerogeno nell'uomo (esiste evidenza sufficiente solo in
animali)
• Gruppo 3 → non classificabile circa la cancerogenicità per l'uomo
• Gruppo 4 → probabilmente non cancerogeno

I principali tumori professionali sono

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• Della pelle → sono carcinomi indotti da agenti chimici e fisici ed i lavoratori più a rischio
sono quelli che lavorano in agricoltura (raggi UV), industria estrattiva (raffinazione di
petrolio e estrazione di arsenico), industria del gas (produzione di carbone), industria tessile,
radiologi
• Dell'apparato respiratorio
◦ Tumori di cavità nasali e paranasali → sono molto rari nella popolazione generale ma
aumentati nei lavoratori esposti a nichel e formaldeide
◦ Tumori del polmone → in lavoratori esposti ad arsenico, cromo, nichel, amianto, silicio,
cadmio, ferro e acciaio, radon
◦ Tumori delle sierose → colpiscono pleure e peritoneo, il periodo di latenza è di circa 30
anni ed un ruolo rilevante l'avrebbe l'esposizione all'amianto
• Delle vie urinarie → più colpita è la vescica dove i metaboliti escreti a livello renale
possono concentrarsi sono uro cancerogeni: toluidina, benzidina ed altre amine aromatiche
che provocano uroteliomi di vario grado di malignità
• Del tratto GI → angiosarcoma epatico (da cloruro di vinile ) e adenocarcinoma gastrico
(nei lavoratori della gomma)
• Dell'apparato ematopoietico → leucemie principalmente causate da benzene

Prevenzione
DL 626/94 → un agente è considerato cancerogeno se indicato come R45 (può provocare il cancro)
R49 (può provocare cancro se inalato. Prevenzione
• Primaria → riduzione dell'esposizione ai cancerogeni, esecuzione di monitoraggio
ambientale
• Secondaria → diagnosi precoce con controlli ogni 6 mesi

Gli addotti molecolari sono prodotti di reazione derivanti dal legame covalente tra molecole
esogene elettrofile e siti nucleofili di macromolecole biologiche e permettono di calcolare la dose
della sostanza metabolicamente attiva . Riflettono l'esposizione all'agente genotossico, il rischio
cancerogeno e le capacità di riparo del DNA

Idoneità difficili: L'epilessia

La prima considerazione da fare di fronte ad un soggetto epilettico è vedere se


• Gia lavora → il medico del lavoro deve valutare quanto la comparsa della sintomatologia
infici l'attività lavorativa, talvolta è necessario effettuare un cambio di mansione che
purtroppo può coincidere con la fine del rapporto di lavoro
• E' in cerca di occupazione

Sarà necessaria sorveglianza sanitaria (insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di
salute e sicurezza dei lavoratori tenendo conto dell'ambiente di lavoro, dei fattori di rischio
professionali e del modo in cui viene svolta l'attività lavorativa) → si effettuano visite preventive e
periodiche al fine di stabilire o meno una idoneità, oggi si valuta anche la positività ad alcool e
droghe quindi nei confronti di un lavoratore che fa uso cronico di alcool verrà espresso un giudizio
di inidoneità temporanea, il lavoratore verrà poi rivalutato dopo 6 mesi. Nell'esprimere un giudizio
di idoneità nei confronti di un lavoratore epilettico bisognerà valutare:
• Capacità lavorativa del soggetto
• Caratteristiche del lavoro a cui il soggetto è adibito
◦ Bisogna valutare se il paziente sarà esposto a lavoro notturno (per periodo notturno si
intende quello tra le 24 e le 5), il lavoratore notturno è colui che svolge tre ore del suo

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orario giornaliero durante la notte per almeno 80 giorni l'anno. L'epilessia è una
controindicazione al lavoro notturno perchè molti farmaci epilettici hanno azione
sedativa diretta e sono responsabili della comparsa di sonnolenza → riduzione della
performance lavorativa, inoltre le crisi sono favorite dal deficit di sonno
• Caratteristiche dell'ambiente di lavoro
◦ Esposizione a determinate sostanze chimiche → esempio tricloroetilene che può far
insorgere crisi epilettiche
◦ Esposizione a lavoro in alta quota → il medico deve valutare se le crisi compaiono di
giorno la frequenza e l'efficacia della terapia e consultare il neurologo che ha in cura il
soggetto
◦ Guida di automezzi → sono concessi patente A e B ad un paziente che non ha crisi da
almeno 2 anni ma non le patenti CDE
• Stress psicologico del paziente

Allergopatie professionali

Rino-congiuntivite allergica → si manifesta con


• Ostruzione dei seni paranasali
• Congestione nasale
• Rinorrea acquosa
• Irritazione oculare
• Secchezza della gola
• Tosse secca
• Prurito
• Anamnesi familiare positiva per atopia, positività a PRIST, RIST e RAST (si dosano le IgE
specifiche nei confronti degli allergeni sospetti), edema dei turbinati e gonfiore alle mucose
nasali

Dermatite da contatto → è professionale quando è legata ad eventi prevedibili connessi con


l'attività lavorativa, la quale è causa preminente, è un'affezione infiammatoria cutanea superficiale
ad evoluzione acuta, subacuta o cronica che insorge per esposizione a cause esogene di natura
chimica, fisica o biotica
• Dermatite da contatto irritante (DIC) → Le sostanze chimiche possono alterare il film
cutaneo protettivo o le strutture epidermiche, le lesioni sono in genere limitate all'area del
contatto con l'agente causale, gli aspetti clinici più comuni sono: eritematoso, vescicoloso,
desquamativo, eczematiforme. es. esposizioni a calce (ulcere) , cloruro di sodio (ulcere),
acido fluoridrico, detergenti
• Dermatite allergica da contatto (DAC) → comune patologia cutanea riconosciuta come una
forma da ipersensibilità ritardata, tra i fattori predisponenti ritroviamo: cute sottile,
alterazioni del film idrolipidico, traumatismi locali, detergenti aggressivi. Può essere
aerotrasmessa (vapori di formaldeide, fumi di saldatura, fibre di vetro), o da contatto con
solidi o liquidi in cui compare inizialmente la lesione nella sede di contatto con l'allergene e
poi possono insorgre lesioni secondarie
• Orticaria da contatto → lesioni pomfoidi localizzare o generalizzate a rapida insorgenza e di
breve durata che compaiono dopo contatto con specifiche sostanze e possono associarsi
sintomi a carico di mucose respiratorie o GI, mediata dalle IgE e si manifesta dopo pochi
minuti dal contatto con l'antigene, presuppone una sensibilizzazione precedente. Può essere
dovuta a resine come il lattice, nichel, platino, profumi, legno

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Dispositivi di protezione individuali (DPI)
• Maschere, boccagli, occhiali generalmente fabbricati in gomma o in plastica, in caso di
dermatite da contatto professionale la scelta deve ricadere su materiali ipoallergici,
economici, ergonomici, sicuri
• Creme di barriera → applicate su mani formano una sottile pellicola protettiva, devono
essere applicate frequentemente e non possono essere usate al posto dei guanti

Asma bronchiale → malattia cronica delle vie aeree con dispnea espiratoria ricorrente. Tra i fattori
predisponenti troviamo
• Fattori genetici → anormale risposta delle IgE ereditata come carattere autosomico
dominante ed predisposizione genetica per l'iperreattività bronchiale
• Fattori allergici → allergeni quali acari della polvere, pollini, pelo di animali
• Fattori professionali
• Farmaci
Tra i fattori scatenanti
• Esercizio fisico → genera iperventilazione, riduzione del calore ed aumento dell'umidità per
cui aumento della stimolazione vagale e rilascio di leucotrieni
• Infezioni delle vie aeree → soprattutto virali
• Fattori irritativi ambientali
• Fattori emozionali
• Reflusso Gastroesofageo
Patogenesi
• Sensibilizzazione → l'allergene è presentato dalle cellule dendritiche ai Th2 che interagendo
con LB stimolano lo switch isotipico verso le igE, le quali dunque si legano ai recettori ad
alta affinità presenti su mastociti e basofili
• Reazione immediata → aggregazione e degranlazione di mastociti con rilascio di istamina, e
mediatori della broncocostrizione
Reazione tardiva → dopo 4-5 h con picco dopo 8-12h la reazione infiammatoria tardiva che
riesacerba la bronco costrizione e determina una maggiore reattività quando quest'ultima cessa

All'E.O. Ascoltiamo rantoli, ronchi, fischi e sibili e sono prevalentemente espiratori perchè
l'espirazione è una fase passiva, in cui si riduce il calibro delle vie aeree e nei soggettiin cui il
calibro è gia ridotto è più facile apprezzare i rumori.

Alveolite allergica estrinseca (polmonite da ipersensibilità)→ processo infiammatorio di natura


immunologica a carico delle strutture polmonari distali, dovuto a ripetute inalazioni di polveri
organiche di diversa natura in soggetti predisposti. La forma acuta può comportare restitutio ad
integrum (si manifesta dopo 2-9 ore dal'esposizione all'antigene e comporta tosse, oppressione
sistemica, febbre , nausea e vomito), la forma cronica può comportare fibrosi polmonare(può essere
preceduta da un episodio acuto o insorgere con esordio subdolo comporta dispnea da sforzo
ingravescente e sintomi di bronchite cronica). E' una reazione di ipersensibilità di tipo 3 e di tipo
4Può essere legata a:
• microrganismi (actinomiceti, spore di miceti, lieviti, amebe) → a rischio sono agricoltori e
allevatori di bestiame
• Polveri vegetali → a rischio coltivatori di funghi, allevatori
• Derivati animali (proteine aviarie, ittiche) → a rischio allevatori di uccelli ed addetti
all'industria alimentare

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Diossina

La diossina è una sostanza tristemente nota per l'estrema tossicità e distribuzione persistente,
capillare ed ubiquitaria nell'ambiente. Nella sua formula molecolare si riconoscono due anelli
benzenici uniti da altrettanti atomi di ossigeno e coniugati in varie posizioni con molecole di cloro.
La diossina fa parte di una più ampia famiglia di composti chimici strettamente accumunati per
caratteristiche e tossicità, le diossine ed i furani, che pur causando effetti dannosi similari,
presentano un diverso grado di tossicità.
Avvelenamento acuto e cronico da diossina ed epidemiologia
Nel linguaggio comune, quando si parla semplicemente di diossina si fa in genere riferimento alla
TCDD (2,3,7,8 tetracloro-dibenzo-diossina), la più tossica tra tutte le sostanze appartenenti
all'omonima categoria e conosciuta anche come diossina di Seveso (in riferimento al disastro
avvenuto nell'omonima città nel lontano 1976). Nel Luglio di quell'anno in seguito ad un incidente
occorso in un impianto deputato alla produzione di diserbanti, si liberarono ingenti quantità di
diossina, con gravissime ripercussioni sulla salute degli abitanti delle zone limitrofe. La diossina è
infatti cancerogena e come tale, a concentrazioni opportune, può provocare diversi tumori - in
particolare linfomi, cancro al fegato e alla mammella - malattie della tiroide, endometriosi, diabete e
danni al sistema immunitario, emopoietico e riproduttivo. Un'altra manifestazione tipica
dell'intossicazione acuta da diossina è la cloracne, simile all'acne giovanile, si manifesta in
qualunque parte del corpo e a qualsiasi età in seguito all'esposizione massiccia al tossico. La
pericolosità della diossina è stata confermata non solo dalle indagini medico-scientifiche ma anche
dall'osservazione diretta delle ripercussioni sulla salute degli abitanti di Seveso e dei villaggi
vietnamiti colpiti dall'agente Orange, un defogliante estremamente potente contenente diossina ed
utilizzato dagli Americani nel conflitto del 1964-1975.
La pericolosità della diossina è accresciuta dalla lunga persistenza negli ecosistemi; trasportata dalle
correnti atmosferiche, in virtù della sua volatilità, ricade in zone anche molto distanti da quella di
origine, contaminando l'acqua ed il terreno, per poi passare nell'alimentazione animale e da qui
all'uomo. Nell'organismo, essendo liposolubile, si concentra ed accumula nel tessuto adiposo; per
l'uomo l'emivita varia da 7 ad 11 anni (questo arco di tempo è necessario per "smaltire" il 50% della
dose accumulata). I fenomeni del bioaccumulo, della contaminazione su scala mondiale e
dell'eliminazione attraverso il latte materno, suggeriscono anche una possibile e preoccupante
possibilità di danno trans-generazionale; il pericolo, quindi, potrebbe essere concreto anche a dosi
molto più basse rispetto a quelle ritenute cancerogene o comunque pericolose per la salute. In ogni
caso, si tratta di un pericolo probabilmente non così grave nel breve periodo (sicuramente inferiore
rispetto agli allarmismi sollevati periodicamente dai media), ma che non dobbiamo assolutamente
trascurare per tutelare il nostro futuro e quello dei nostri figli.
Diossina ed analoghi non rivestono alcuna utilità pratica; come tali non vengono prodotti
intenzionalmente, ma si formano durante una serie di reazioni chimiche. Sono ad esempio prodotti
come impurità indesiderate durante processi industriali di combustione in ambiente clorato, quali
fonderie, sbiancatura della pasta per carta, combustione di oli usati, riscaldamento domestico e
traffico stradale. Tra i più importanti produttori di diossine vi sono gli inceneritori di rifiuti, in
particolar modo quando bruciano residui plastici come il PVC ed altri composti clorati. Molto
dipende comunque dalle tecnologie adottate ed in questi ultimi anni la liberazione di diossina dagli
inceneritori è stata notevolmente ridotta, almeno nei Paesi che hanno adottato misure adeguate in
merito. Nonostante ciò, il problema torna periodicamente ad allarmare i consumatori ed il personale
preposto al controllo delle derrate alimentari, a causa degli scoop mediatici e delle rigorose misure
adottate in materia dall'Unione europea, che ha fissato i tassi massimi consentiti di diossina sia
nell'alimentazione umana che in quella animale. I prodotti alimentari più esposti al rischio diossina
sono le parti grasse (in particolare il burro ed i pesci grassi, come quello azzurro ed il salmone), il

Darmix87 - 39
latte ed i suoi derivati; un ruolo importante è ricoperto dal posizionamento nella catena alimentare
dell'animale e dal grado di contaminazione delle aree preposte al suo allevamento.

Bias
 Nel rapportare l’efficacia di un programma di screening alle conoscenze sulla storia naturale
della malattia, insorgono problemi legati alla presenza di eventuali distorsioni o bias, errori
sistematici, metodologici ed inevitabili della ricerca clinica, che portano a conclusioni
fuorvianti sulle differenze fra i gruppi o sulla distribuzione delle patologie (potendo
intervenire sia in fase di pianificazione che di conduzione dello studio, sia di analisi che
interpretazione dei dati). Dal momento che né gli errori né i bias possono essere del tutto
controllabili è fondamentale che i dati siano sempre interpretati con cautela e spirito critico.
L’errore può essere: da distorsione, da selezione, da distorsione da informazione, da
confondi mento. 1-In primis il confondimento si riferisce al confronto dei gruppi e si ha
quando i gruppi confrontati differiscono per caratteristiche diverse dal fattore studiato
(fattore di rischio apparente ma falso; malattia; associazione statistica ma non causale) che
diverrà il fattore di confondimento(contro la vera causa di malattia). 2-Il bias di selezione è
derivato dalla scelta della popolazione di studio, in quanto i soggetti studiati sono un
campione conveniente piuttosto che rappresentativo della popolazione obiettivo (volontari,
soggetti istituzionalizzati, elenchi incompleti, cartelle cliniche). Poiché la probabilità di
inclusione dei soggetti nello studio dipende dall’esposizione e dalla malattia, esistono
differenze percentuali di partecipazione (preferenze del paziente, drop-out), differenze di
probabilità di ospedalizzazione (bias di Berkson), differenze di probabilità di inclusione
nell’analisi.
Il bias di informazione si riferisce alle informazioni raccolte ed è dovuto: all’errata misurazione
dell’esposizione o dell’esito; alla modalità e tempi di osservazione diversi nei bracci confrontati; a
differente memoria dell’esposizione (recall bias); a informazioni raccolte in modo differente dai
diversi ricercatori; ad analisi, interpretazione e presentazione dei dati secondo gli interessi e
l’esperienza del ricercatore (bias di interpretazione); a pubblicazione selettiva dei risultati (bias di
pubblicazione). Schematizzando possiamo dire che distinguiamo: -distorsione da anticipazione
diagnostica(lead time); -distorsione da tempo derivato(lenght time); -distorsione da autoselezione,
dove i primi due tendo a ridursi progressivamente nel corso dal programma iniziale ai controlli
diagnostici successivi.
- distorsione da anticipazione diagnostica. Dovrebbe essere intuitivo che un arretramento nel tempo
del momento iniziale di questo periodo verso l’insorgenza biologica rende possibile la diagnosi
precoce ed aumenta la sopravvivenza. Ma tale assunto, corretto sul piano formale, non è esito di
reale efficacia se non si realizzano le seguenti condizioni: -il trattamento terapeutico che segue la
diagnosi precoce è efficace; -il tasso biologico di progressione della malattia consente un intervento
preventivo efficace. Quando il lead time è molto breve(k polmonare) può accadere che la terapia
che segue al diagnosi precoce non dia alcun beneficio, oppure se il lead time è lungo e la diagnosi
precoce avviene in prossimità di t1 è possibile che i soggetti individuati con lo screening vivano più
a lungo di quelli non sottoposti a screening, anche se la terapia non dà alcun beneficio. Il metodo
più appropriato per evitare il bias da anticipazione diagnostica, e valutare l’effettivo tempo di
sopravvivenza guadagnato, è quello di confrontare i tassi di mortalità standardizzati per età tra il
gruppo di soggetti sottoposti a screening ed un gruppo di controllo in tutto simile al precedente, ma
che non ha partecipato al programma (mentre l’analisi dei soli tempi di sopravvivenza è fallace).
- distorsione da tempo derivato. Il lenght time fa riferimento alle diverse velocità con cui una stessa
malattia si sviluppa in soggetti diversi, per cui questo tipo di errore si determina a causa della
proporzione di lesioni a crescita lenta (che lo screening individua nel corso del programma) e che è
maggiore di quella relativa alle lesioni diagnosticate durante una comune prassi medica.

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Conseguentemente si ha l’impressione che lo screening ed un trattamento precoce siano una
strategia di prevenzione efficace. La spiegazione a questo tipo di errore è che se la probabilità per
un soggetto reclutato nel programma di essere riconosciuto positivo al test è condizionata dalla sua
fase pre-clinica, maggiore è la DPCP, maggiore è la possibilità di diagnosi allo screening, che
invece in caso di lesione a crescita rapida non si verifica poiché la diagnosi è già clinica. Pertanto
diviene ragionevole attendersi che lo screening individui casi con decorso clinico lento e a prognosi
migliore prescindendo dall’efficacia.
-distorsione da autoselezione. Dipende dalla compliance o partecipazione dei soggetti al
programma. Se rispetto alla popolazione eleggibile a priori le adesioni sono state ridotte, l’efficacia
dello screening risulta compromessa ed è per questo che molti autori considerano un livello soglia
sufficiente di adesione al programma pari e non inferiore al 60%. Frequentemente uno screening su
soggetti volontari appare essere efficace per il loro miglior stato di salute, per cui in questi casi non
si può parlare di indipendenza tra stato di malattia e adesione al programma e la valutazione non
può essere effettuata per l’impossibilità di identificare i fattori che causano l’autoselezione. Questo
errore può essere evitato mediante studi sperimentali che conteggiano l’insieme degli esiti nei
gruppi, indipendentemente dal metodo di diagnosi o dal grado di partecipazione, per cui i pazienti
saranno assegnati casualmente ai vari gruppi e presenteranno frequenze confrontabili di adesione al
programma.

INFORTUNIO BIOLOGICO

In occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure preventive previste
dal programma di sorveglianza sanitaria. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago),
immediatamente aumentare il sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare. In caso
di contaminazione di mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente
abbondante. In caso di contaminazione di cute lesa vista la maggiore probabilità di super infezione
anche qui lavare con acqua e sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità. La diversità è
solo per le mucose dove si va immediatamente a detergere per andare a diluire la carica microbica
che è entrata in contatto con le mucose. Cosa fare dopo ? Immediatamente rivolgersi ad un agente
preposto come caposala, docente, direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e
sarete immediatamente inviati verso il pronto soccorso che vi rilascerà un referto di infortunio
biologico senza il quale non può essere attuato il follow-up sierologico presso la medicina del
lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento che ci permette di capire se è avvenuta una sovra infezione da
HBV HCV o HIV. Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post- esposizione quando abbiamo
un titolo anticorpale inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV. Quando un operatore viene
a contatto con un soggetto HIV + a seguito dell’esposizione per azzerare il rischio di trasmissione
virale bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la somministrazione di farmaci
antivirali al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività del paziente.
Bisogna recarsi per attivare questo tipo di procedura in pronto soccorso che dovrebbe essere munito
di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.

TUBERCOLOSI
Si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia coinvolta nella problematica della tubercolosi
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Attualmente nell’ anno 2008 si stimano circa 193 nuovi casi
per centomila abitanti, sebbene i nuovi casi avvengano nelle regioni endemiche . Dal punto di vista
epidemiologico la diffusione dell’infezione tubercolare si localizza principalmente in SudAfrica e in
Russiacon casi di incidenza molto più alti che in Europa. Il primo caso che ha destato allerta in
Italia nel 2011 si è verificato per un infermiera del reparto di pediatria dell’Umberto I di Roma che
era strutturato da più di 10 anni, ma non era stata sottoposta a sorveglianza sanitaria e per tanto
aveva contratto la patologia. I medici del lavoro romani furono inquisiti. Da questo caso di

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tubercolosi in fase attiva è derivato tutto quello che si sta facendo oggi in tutta Italia per gestire la
problematica della tubercolosi. In Italia la tubercolosi è una problematica in aumento rispetto al
passato con un aumento di 10 casi per 100000 abitanti con maggior incidenza nel nord Italia rispetto
al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a flussi migratori nelle regioni del Nord Italia (Piemonte,
Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est, mentre in altre zone di Europa
l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori provenienti dall’Africa. Il numero dei
casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle regioni del Nord Italia, ma
maggiore rispetto alle regioni del Sud. Nel 2012 in collaborazione con il prof. Moscatiello primario
di pneumologia abbiamo stilato le linee guida del nostro ateneo per la gestione dei casi di
tubercolosi per la multifarmaco resistenza che i ceppi tubercolari presentavano. Causata dal
Micobatterium Tuberculosis di cui fanno parte una sequela di altri micobatteri tra cui il principale è
rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis Hominis. E’ un patogeno intracellulare, con
caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che gli connota una peculiare acido
resistenza insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e alla reazione di
ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux. Il bacillo di Koch
difficilmente determina l’instaurarsi di una infezione laringea e polmonare perché la tubercolosi è
una patologia che nel 95% dei casi si manifesta in fase latente e solo nel 5 % dei casi in forma
cavitaria che corrisponde alla tubercolosi in fase attiva. La probabilità di evoluzione di una forma
latente in una forma cavitaria aumenta nei dieci anni successi al contagio, per tanto il medico del
lavoro è tenuto a sorvegliare tutti i lavoratori al fine di impedire la riattivazione della patologia. La
trasmissione della tubercolosi avviene per via aerea tramite gocce di saliva di piccolissime
dimensioni diffuse nell’area : pflugge, starnuto, tosse o catarro, anche se la trasmissione dipende
principalmente dalla concentrazione nell’area del bacillo, per tanto pazienti allettati in luoghi di
piccole dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono trasmettere il bacillo. Quali
sono le problematiche di gestione del medico del lavoro ? Sono la scoperta in visita preventiva o
periodica di una condizione di tubercolosi in fase latente più raramente in fase attiva. Come viene
fatta la diagnosi ? In condizione di tubercolosi in fase attiva con la clinica caratteristica si
indirizzano i pazienti dagli pneumologi, si effettuano una serie di esami tra cui quello fondamentale
è l’esame colturale che ci da una risposta certa in 4-8 settimane oppure per altri tipi di terreni 2-3
settimane. Per diagnosi di malattia latente si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si
iniettano dosi di tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione ponfoide nel derma della faccia
volare dell’avambraccio del lavoratore sottoposto. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il
bacillo tubercolare la positività della reazione di Mantoux si appaleserà come un reazione di
ipersensibilità di 4°grado. Ci sono dei cut-off utilizzati per la misura del diametro del ponfo e quindi
la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o meno. Questi diametri sono variabili a seconda
dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore. Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio
latente oppure operatori sanitari del Cotugno a contatto con pazienti allettati affetti da tubercolosi
presenteranno dei cut-off differenti rispetto ad un soggetto che non ha mai avuto contatto con il
bacillo. In questi casi il diametro della reazione ponfoide sarà superiore ai 5mm ancor più se
abbiamo a che fare con immigrati provenienti da aria d’Africa a prevalenza di malattia. La positività
alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche quando
apparentemente il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. L’art. 17
coma 1 decreto 81-2008 (non sono sicuro) obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica
TBC in ambiente ospedaliero, obbliga ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico
del lavoro almeno una volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano
automaticamente una serie di
indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria. Questa visita va effettuata per
tutti i contatti lavorativi che sono venuti a contatto con il lavoratore affetto dalla patologia.
Come fa un medico del lavoro a sapere quando e con che intervallo visitare un lavoratore esposto al
bacillo di Koch ? Nel documento di valutazione del rischio il medico del lavoro è obbligato a fare

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un indagine epidemiologica dell’ ospedale interessato basandosi su un concetto che ha al centro il
numero di casi di lavoratori affetti da TBC nell’anno. Secondo le linee guida se abbiamo in un
ospedale meno di 3 casi l’anno parliamo di rischio basso o bassissimo,(per la prof. va distinto la
fascia di rischio basso da quello bassissimo perché entrambi connotato un rischio non elevato, ma
danno un segnale di allarme differente),nel rischio intermedio e alto rientrano ospedali dove il
numero di casi l’anno risulta essere maggiore e non si fa solo scoperta di patologia tramite
fibrobroncoscopia come avviene negli ospedali del nostro ateneo dopodiché i pazienti vengono
inviati al Cotugno dove ci sono le degenze per i pazienti tubercolotici.
Andiamo a trattare la chemioprofilassi, vaccinazione e dispositivi di protezione individuale.
La sorveglianza sanitaria viene effettuata per la TBC in sede di visita preventiva, periodica o in
seguito all’esposizione con pazienti affetti. I dottorandi, specializzandi e strutturati della chirurgia
toracica dopo essere entrati in contatto con i pazienti affetti da TBC sono rientrati negli elenchi
della sorveglianza sanitaria inviati dalla direzione sanitaria, che effettua indagine e analisi dei
contatti, li invia ai medici del lavoro che eseguono i controlli periodici effettuati al punto zero e
ripetuti ogni 60 giorni, perché la letteratura ci dice che potremmo trovare un falso negativo al punto
zero che diventa un vero positivo nell’arco dei 60 giorni successivi alla prima visita. Tutti i contatti
vengono sottoposti a doppia Mantoux al punto zero e dopo 60 giorni. Una risposta alla tubercolina
superiore a 10 può verificarsi in un lavoratore che ha eseguito la vaccinazione, però il vaccino con il
bacillo di CG non viene più proposto in maniera obbligatoria perché gli studi epidemiologici
effettuati nel 2009/2010 hanno stabilito che il vaccino non avesse un immunità nei confronti del
bacillo, perché la popolazione successivamente sottoposta a Mantoux si presentava completamente
negativa. Quindi l’immunità nei confronti del bacillo di Koch non si era realizzata per cui il vaccino
viene proposto esclusivamente in due casi : per la popolazione pediatrica entro 5 anni nelle zone
dove la TBC è endemica e nei lavoratori che si ritrovano ad alto rischio di contagio per la TBC,
soprattutto in condizione di immunodeficienza e multi farmaco resistenza. DOMANDA DI
ESAME : La vaccinazione con il Bacillo di CG non viene più effettuata a tappeto per il personale
sanitario? La prevenzione si fa con la proposta della intradermoreazione di Mantoux che va a
slatentizzare una condizione di Tubercolosi latente a cui segue chemioprofilassi tramite consenso
informato. L’unica misura di prevenzione non è più la vaccinazione, ma la Mantoux una volta sola.
ALTRA COSA IMPORTANTE : Oggi la Mantoux va abbinata con un altro test che ha elevata
sensibilità e specificità (intorno al 95-98 %) i test IGRA, in cui non si va ad iniettare tubercolina,ma
si va a dosare direttamente nel sangue l’interferon gamma rilasciato dai leucociti come segnale del
pregresso contatto con il bacillo di Koch. Solo quelli che non hanno avuto il contatto presentano nel
sangue l’interferone gamma che viene dosato.
Perché non si sostituisce la Mantoux con il test IGRA che ha una specificità e sensibilità superiore
di circa 300 volte rispetto alla Mantoux ? Perché non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta
scala, cioè in tutta la popolazione. Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa
vaccinazione o tramite un contatto che non si è a conoscenza, solo tramite test IGRA possiamo
avere la certezza del contagio. Se l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione
radiologica e pneumologica, se il test IGRA è negativo l’iter diagnostico si conclude. La cosa
fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del test IGRA si fa diagnosi certa di TBC
latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test IGRA negativo possiamo
escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch. Purtroppo il
test IGRA non può essere effettuato su vasta scala perché ha un costo proibitivo, si promuove nelle
realtà ospedaliere dove il medico del lavoro può richiederla al datore di lavoro poiché il numero del
personale da analizzare risulta ristretto a 100-150 persone.
NOZIONI SPECIALISTICHE :
Se abbiamo una Mantoux positiva in visita preventiva, questa sarà sempre un vero positivo e si
procederà in visita periodica proponendo il test IGRA.
Valori borderline di 0.35 di Quantiferon comportano una ripetizione a 3 mesi perché questi valori

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devono essere poi riconfermati a 6 mesi. Quindi il medico del lavoro deve riconvocare una piccola
percentuale di persone borderline, perché questi possono diventare francamente positivo e quindi
andare incontro a chemioprofilassi.
In conclusione la collaborazione del medico del lavoro, pneumologo e direzione sanitaria della
realtà ospedaliera permette di gestire anche e soprattutto i casi di TBC in fase attiva con i quali il
lavoratore può venire a contatto. Questi punti rientrano nel programma di formazione e
informazione in cui al lavoratore viene spiegato cosa fare quando viene a contatto con il bacillo di
Koch, quali dispositivi utilizzare, quale iter seguire e quali controlli fare a 0 e 60 giorni per
infezione tubercolare. Quindi la sola sorveglianza sanitaria non è sufficiente a ridurre al minimo
l’incidenza di infortuni e malattie professionali, fondamentale in questo sistema sono la valutazione
dei rischi, la prevenzione, protezione, formazione e informazione sul rischio. Quindi il primo
momento del sistema sicurezza significa visitare il lavoratore a rischio biologio, mentre il secondo
momento è informare e formare il lavoratore sui rischi

IGIENE

Calendario vaccinazioni

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Sensibilità → Con il termine sensibilità, in statistica, più precisamente nel campo della
epidemiologia, si indica la capacità intrinseca di un test di screening di individuare in una
popolazione di riferimento i soggetti malati. Essa è data dalla proporzione dei soggetti realmente
malati e positivi al test (veri positivi) rispetto all'intera popolazione dei malati.
Un test sarà tanto più sensibile quanto più bassa risulterà la quota dei falsi negativi (cioè di soggetti
malati erroneamente identificati dal test come sani). Un test molto sensibile, in definitiva, ci
consente di limitare la possibilità che un soggetto malato risulti negativo al test. SI Calcola → Veri
positivi / Totale malati = Veri positivi / (Veri positivi + Falsi negativi)

Specificità → In termini statistici, la specificità di un test è la probabilità di un risultato negativo


(PT) in soggetti sicuramente sani (M-), ossia P(T | M-) e si esprime come il rapporto fra i veri
negativi e il totale dei sani. La specificità di un test sarà inversamente proporzionale alla quota di
«falsi positivi», cioè dei soggetti sani identificati però dal test come malati. Un test molto specifico,
in definitiva, diminuisce la probabilità che un soggetto sano risulti positivo al test. Nel caso in cui
un test diagnostico non desse falsi positivi, e perciò la specificità fosse 1 (specificità massima) il
segno è detto "patognomonico". Si calcola → Veri negativi / Totale sani = Veri negativi / (Veri
negativi + Falsi positivi)

VPP → Per predittività, in medicina, si intende la probabilità che un soggetto positivo ad un test di
screening sia effettivamente malato.
È direttamente legata alla prevalenza di una malattia nella popolazione e non è una caratteristica
intrinseca del test. Questo significa che se una malattia è molto frequente in una popolazione la
predittività dello stesso test (con pari sensibilità e specificità) cresce rispetto ad una popolazione la
cui frequenza è inferiore. Per aumentare la predittività, pertanto, sarà bene scegliere accuratamente
la popolazione su cui avviare lo screening, per evitare di dover fare i conti con una quota troppo
elevata di falsi positivi. Il Valore Predittivo Positivo, che esprime numericamente la predittività, si
calcola come quota di soggetti veri positivi sul totale dei positivi (veri e falsi positivi).

VPN → se un test è negativo, quanto è probabile che la persona non abbia la malattia? Questa
informazione è data dal valore predittivo negativo (VPN) e corrisponde alla proporzione di pazienti
con un test negativo che non hanno la malattia, quindi diagnosticati correttamente come sani
Rischio assoluto → rischio di sviluppare la malattia per un periodo di tempo. Tutti abbiamo rischio
assoluto di sviluppare varie malattie come le malattie cardiache, cancro, ictus, ecc Lo stesso rischio
assoluto può essere espressa in modi diversi. Ad esempio, supponiamo di avere un 1 in 10 rischio di
sviluppare una certa malattia nella vostra vita. Questo può anche dire di essere un rischio del 10%, o
un rischio 0,1 - a seconda se si utilizza percentuali o decimali.

Rischio relativo → è utilizzato per confrontare il rischio in due diversi gruppi di persone. Per
esempio, i gruppi potrebbero essere fumatori e non fumatori. Tutti i tipi di gruppi vengono
confrontati con gli altri nella ricerca medica per vedere se appartenente ad un gruppo aumenta o
diminuisce il rischio di sviluppare alcune malattie. Ad esempio, la ricerca ha dimostrato che i
fumatori hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiache rispetto a (rispetto a) i non
fumatori.

NNT → la stima del numero di pazienti da sottoporre al trattamento per ottenere una unità di
vantaggio rispetto al trattamento di confronto o, in parole semplici, quanti pazienti trattare perché
uno di essi ne tragga beneficio. NNT è calcolabile in ogni trial i cui esiti siano espressi da risultati
binari (guarigione/malattia, sopravvivenza/morte, ecc.). Un trattamento è tanto più efficace quanto
più basso è NNT:

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Incidenza → L'incidenza è una misura di frequenza, una particolare relazione matematica utilizzata
in studi di epidemiologia, che misura quanti nuovi casi di una data malattia compaiono in un
determinato lasso di tempo (ad esempio può essere rapportato ad un mese od un anno)[1], il suo fine
ultimo è quello di stimare la probabilità di una persona di ammalarsi della malattia in oggetto di
esame.

Prevalenza → La prevalenza è una misura di frequenza, una formula ad uso epidemiologico


mutuata dalla statistica. La prevalenza è il rapporto fra il numero di eventi sanitari rilevati in una
popolazione in un definito momento (od in un breve arco temporale) e il numero degli individui
della popolazione osservati nello stesso periodo. Per migliorare la leggibilità del dato si moltiplica il
risultato per una costante (pari a dieci od un suo multiplo).

Bisogno → la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della
persona.

Studi trasversali → Gli studi trasversali (o di prevalenza) sono studi che si basano
sull'osservazione del campione in un preciso momento al fine di verificare la presenza di una
malattia e contemporaneamente l'esposizione ad uno o più fattori di rischio (RF, o FR), o la
presenza di qualsiasi altra condizione che possa essere associata al fenomeno che è oggetto dello
studio.

Studi caso controllo → Tutti i buoni disegni degli studi sono controllati, cioè comportano un
controllo o confronto. Per studio caso-controllo in epidemiologia si intende un tipo particolare di
studio controllato in cui si confrontano gruppi che differiscono per l’effetto in esame (ad esempio
gruppi di malati e non malati, di soggetti con o senza complicazioni, di soggetti che hanno
abbandonato il servizio o che sono tuttora in carico, di suicidi e di non suicidi) e ci si chiede come
differiscono per caratteristiche e esperienze precedenti. Sono l’opposto degli studi di coorte. Talora
negli studi caso-controllo si procede all’appaiamento (matching in inglese): ogni caso viene
appaiato con uno o più controlli che abbiano le sue stesse caratteristiche (ad esempio stesso sesso,
stessa residenza, età simile) in modo da rendere più confrontabili i due gruppi. In uno studio caso-
controllo, a differenza che in studio di coorte, non è possibile calcolare il rischio attribuibile e il
rischio relativo. E’ però possibile calcolare l’odds ratio (vedi misure di associazione), che
rappresenta spesso una buona approssimazione del rischio relativo. Lo studio osservazionale caso-
controllo è di solito più economico da effettuare di uno studio di coorte ed è particolarmente
vantaggioso rispetto allo studio di coorte per studiare l’effetto di più interventi o di più esposizioni
su esiti rari (ad esempio complicazioni rare). E’ più soggetto però al rischio di distorsione.

Studi di coorte → Lo studio di coorte o longitudinale è uno studio in cui gruppi di persone
sottoposte a trattamenti diversi o a “esposizioni” diverse (ad esempio con diverse abitudini
alimentari o rischi ambientali) vengono seguiti nel tempo per accertare in che misura vanno
incontro a esiti diversi. Gli studi controllati randomizzati sono studi di coorte sperimentali. Si
contrappone per direzione dell’indagine allo studio caso-controllo, in cui si parte dall’effetto per
risalire alle possibili cause.

Appropriatezza → misura di quanto una scelta o un intervento diagnostico o terapeutico sia


adeguato rispetto alle esigenze del paziente e al contesto sanitario. Un intervento diagnostico o
terapeutico risulta appropriato nel momento in cui risponde il più possibile, relativamente al
contesto in cui si colloca, ai criteri di efficacia, sicurezza ed efficienza.

Efficacia ED Efficienza → L'efficacia indica la capacità di raggiungere l'obiettivo prefissato,

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mentre l'efficienza valuta l'abilità di farlo impiegando le risorse minime indispensabili.
Efficacia ed efficienza sono concetti molto importanti nel mondo del lavoro ed in generale nella
pianificazione e nel controllo di qualsiasi attività.
Se due atleti si prefiggono di correre i 100 metri in meno di 10 secondi e riescono nel loro intento,
sono entrambi efficaci; tra i due risulterà più efficiente quello che avrà raggiunto l'obiettivo con il
minimo dispendio di risorse (tempo dedicato all'allenamento e costi per materiale tecnico,
allenatore, nutrizionista, integratori ecc.).
Il concetto di efficacia ed efficienza viene espresso anche nell'immagine sottostante, dove il
cerchietto indica il punto di partenza e la stellina quello di arrivo, mentre la linea di congiunzione
tra i due simboli rappresenta l'insieme di azioni intraprese per raggiungere l'obiettivo (traguardo o
punto di arrivo). Nel primo caso si nota una particolare tortuosità dell'azione, che riflette una spesa
di ingenti risorse per tagliare il traguardo; di conseguenza, l'azione è efficace ma per niente
efficiente. Nel secondo caso, invece, il bersaglio viene centrato con l'utilizzo minimo di energia:
l'azione intrapresa per raggiungere l'obiettivo è quindi particolarmente efficiente.

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Medicina del lavoro
Lezione 2(3\10\14)

La medicina del lavoro si differenzia dalle altre pratiche specialistiche perché si occupa delle patologie lavo-
ro correlate. Il medico del lavoro ha il compito di visitare i lavoratori prima di iniziare l’attività lavorativa
per giudicarne l’idoneità al lavoro, e durante la stessa per individuare eventuali patologie professionali.

I fattori di rischio sono classificati in rischi per la sicurezza o infortunistici, per la salute o di natura igienico
alimentare (correlati all’esposizione ad agenti chimici\fisici\biologici) , per la sicurezza e la salute (riguarda-
no la sicurezza sul lavoro valutando anche l’impegno emotivo).

Anche l’operatore sanitario è ovviamente esposto a fattori di rischio. Nello specifico lo specializzando , con-
siderato a tutti gli effetti un lavoratore, verrà sottoposto a visite di idoneità lavorative e a seconda del re-
parto è esposto a fattori di rischio operativi più o meno specifici . Tra questi:
• rischio biologico , correlato al contatto con emoderivati o patogeni aereodispersi rischio
allergologico, ad esempio ai guanti in lattice;
• rischio ergonomico, che riguarda alcune classi specifiche ovvero i chirurghi in relazione a
posizioni incongrue che assumono o anche per la stazione eretta prolungata possono in-
correre in patologie discali, così come gli stessi infermieri soggetti a patologie discali o
disturbi del cingolo scapolare;
• rischio correlato all’esposizione ad agenti fisici ovvero radiazioni ionizzanti;
• agenti chimici (ad esempio infermieri adibiti alla preparazione di farmaci antiblastici che
se non accuratamente manipolati espongono ad un grave rischio per la salute sia di tipo
neoplastico che al sistema cardiocircolatorio):
• rischio stress.

Tratteremo in particolare il RISCHIO CORRELATO AL RUMORE (stress fisico).

Che il rumore sia un fattore di rischio è risaputo da tempi antichi, basti pensare che già Plinio il Vecchio in
tempi remoti si fece costruire una camere da letto per non udire gli schiamazzi degli schiavi, gli stessi Cice-
rone e Seneca raccontavamo come gli abitanti della Valle del Nilo avessero l’udito compromesso per il ru-
more delle cascate e nella città di Sibari era vietato introdurre all’interno delle mura galli che potessero di-
sturbare il sonno o attuate rumorosi lavori meccanici e addirittura alcune strade erano chiuse al traffico.

Per quanto riguarda il mondo moderno si è ottenuto una riduzione dell’esposizione a questo fattore ma in
ogni caso le migliorie tecnologiche non sono state affiancate da soluzioni atte a ridurre la rumorosità, a
questo bisogna aggiungere che noi tutti siamo esposti a questo fattore di rischio in relazione al traffico vei-
colare, aereo automobilistico.

I settori lavorativi maggiormente interessati sono 4: industria metalmeccanica, per le costruzioni, estrattiva
e biochimica. Per tanto questa patologia è ancora molto idennizzata. Qualsiasi medico che svolge la propria
funzione e si rende conto che una patologia può essere di origine professionale è costretto a denunciarla
alle autorità competenti e queste patologie verrano poi analizzate in base alla funzione lavorativa e si deci-
derà se idennizzarle o meno. Attualmente è la seconda causa di denunce. Riguarda soprattutto i lavoratori
in ambito industiale (cantieri edili, fonderie, siderurgie, officine meccaniche) e nei servizi (laboratori chimi-
ci, tipografie, operatori discoteche) ma anche nel settore primario. La situazione in campania riflette la me-
dia nazionale.

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Effetti fisici del rumore. Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un corpo elastico messo
in vibrazione che crea movimento nelle molecole dell’Aria e quindi onde sonore. IL suono è una vibrazione
delle molecole d’aria che crea un’onda con caratteri di periodicità, a differenza del rumore (onda non pe-
riodica). Il rumore è per definizione qualsiasi onda sonora che crea sull’uomo effetti non voluti, dannosi, di-
sturbanti e che quindi determina un deterioramento qualitativo dell’ambiente. Le caratteristiche fisiche del
suono sono: frequenza, periodo, lunghezza d’onda, l’ampiezza ,la velocità e l’intensità di propagazione.

 Frequenza : numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo.
Si misura in Hertz. L’orecchio umano percepisce f che vanno dai 20 a 20000 Hertz.

 Periodo: intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Unità di misura è
il s.

 Lunghezza d’onda: spazio percorso dall’onda in un periodo

 Velocità propagazione suono : velocità con la quale un suono si propaga in un mezzo e dipende dal-
la densità di questo.

 Intensità : potenza media con la quale l’energia viene trasmessa nel vuoto. L’unità di misura è il De-
cibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0 e 10 decibel, quella del dolore 130\140 come un
aereo al decollo. Una normale conversazione presenta un’intensità tra i 60\70 decibel, il traffico
stradale 70\80 decibel.

Quello che differenzia un suono acuto da una suono grave è la frequenza, invece ciò che differenzia un
suono lieve da un suono forte è l’intensità.

Effetti del suono sull’uomo

Il sistema uditivo è costituito da due parti: il sistema deputato al trasporto del suono e l’apparato di perce-
zione o neurosensoriale. Anatomicamente distinguiamo 3 parti : orecchio esterno (timpano, padiglione au-
ricolare e condotto uditivo) che attraverso la membrana timpanica trasmette la vibrazione all’orecchio me-
dio (tubo di eustachio e 3 ossicini martello, incudine, staffa detti adattatori di frequenza) il quale provvede
attraverso la staffa tramite il canale vestibolare al trasferimento del suono all’orecchio interno (coclea co-
stituita dal canale vestibolare e timpanico separati dalla membrana basale ,e i canali semicircolari deputati
al mantenimento dell’equilibrio) e da qui perturbazioni dell’endolinfa giungono alle ciglia della membrana
basale e di qui tramite i rami nervosi al cervello.

La coclea ha quindi essenzialmente 2 ruoli: trasmissione del suono (trasferire l’energia acustica tramite la
finestra ovale all’epitelio ciliato) e trasduzione del suono ( l’energia sonora convertita in impulsi elettrici a
livello del nervo acustico). In questo caso avremo soprattutto una sordità specifica per alcune sequenze,
frequenze medie dai 4000 ai 6000 Hz, e sono alterate entrambe le trasmissioni sia per via aerea che per via
ossea. Le cause sono molteplici ed è importante attuare una adeguata diagnosi differenziale. Nello specifico
riscontriamo ipoacusia neurosensoriale da: trauma acustico cronico, retinoma dell’acustico, ototossicosi.

E’ importante fare un adeguata anamnesi professionale, essenziale per un adeguata diagnosi differenziale.

La presbiacusia è la progressiva riduzione della capacità uditiva fisiologica, dopo i 40anni infatti ognuno di
noi ha una perdita di circa 3,5 decibel all’anno. Anche qui abbiamo alterazione di entrambe le vie però vi è
una caduta sulle frequenze più alte (intorno ai 20000 Hz).

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In un tracciato audiometrico in assi cartesiani sulle ordinate vengono riportate le frequenze, sulle ascisse i
decibel. Normalmente noi udiamo intorno ai 10 decibel su tutte le frequenze. I (…) indicano l’orecchio de-
stro mentre i siasolini (?) l’orecchio sinistro. Le frecce rivolte verso destra indicano la trasmissione del suo-
no per via ossea dell’orecchio destro, quelle verso sinistra la percezione del suono per via ossea del sinistro.

Nel tracciato ipoacustico vediamo linee continue che indicano la via aerea dell’orecchio dx e sx.
Nell’ipoacusia percettiva sono alterate entrambe le vie quindi vedrete una depressione sia per la via aerea
che ossea in un tracciato che è simmetrico per entrambe le orecchie. Nell’ipoacusia percettiva da rumore
c’è una depressione caratteristica: vi è una caduta sui 4000 Hz seguita da una risalita del tracciato. Quindi
per far sentire il suono al paziente dovremo aumentare l’intensità intorno ai 40\60 Db per le frequenze
medie non per le f più alte. Nell’ipoacusia trasmissionale la via ossea non è alterata quindi intorno ai 10 Db
percepisce tutte le vibrazioni. Nella Presbiacusia il soggetto non sente intorno agli 8000Hz quindi bisogna
aumentare l’intensità.

E’ chiaro quindi che l’esposizione al rumore causa danni uditivi ma anche extrauditivi.

Esistono fattori predisponenti: sesso (donne meno colpite), l’età, patologie dell’orecchio medio, uso di so-
stanze ototossiche (farmaci quali gentamicina, streptomicina o sostanze chimiche come benzene, piombo),
hobbies particolari (pesca subacquea).

Gli effetti uditivi si dividono in acuti ( da stimolo uditivo intenso e di breve durata) e cronici (esposizione
cronica al rumore) divisi in 4tipi.

Quando vi è un’esposizione a un rumore che è superiore ai 140 Db si causa un dolore immediato a carico
dell’apparato uditivo, nei casi più gravi si può avere rottura della membrana timpanica con danno a carico
delle cellule ciliate. La lesione in questo caso è quasi sempre monolaterale in quanto la testa fa da schermo
per l’altro orecchio. E’ un’evenienza rara nei luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio non come
malattia professionale dovuta ad esempio allo scoppio di una caldaia. Il soggetto subito dopo un trauma
acustico di lieve intensità accusa un dolore lacerante all’orecchio, senso di stordimento, ipoacusia completa
all’orecchio , riferisce la percezione di fischi e presenta vertigini. Generalmente i disturbi regrediscono e nei
casi più favorevoli vi può essere la restitutio ad integrum , le cellule nervose riprendono la loro normale
funzonalità, la membrana timpanica cicatrizza e anche il tracciato audiometrico ritornerà normale.

Per quanto riguarda invece l’esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile: un’esposizione
superiore agli 80 Db 8h al giorno per molti anni lavorativi se non adeguatamente accompagnata dall’uso di
dispositivi di protezione individuale e misure di abbattimento del rumore da parte delle macchine sicura-
mente causerà una ipoacusia da trauma acustico cronico. Prima però dell’ipoacusia si ha la cosiddetta “fa-
tica uditiva” o “spostamento temporaneo della soglia uditiva”. Difatti un’esposizione prolungata causa delle
modificazioni dell’apparato uditivo che si traduce in un calo dell’udito la cui entità è proporzionale
all’intensità del rumore e al tempo d’esposizione. Si distinguono due tipi di fatica uditiva: STS2 e STS16, si
parla di fatica uditiva fisiologica e patologica e si distinguono sulla base di diverse caratteristiche quali la
durata, l’entità e la sede. L’STS2 si misura dopo 2 minuti dall’esposizione al rumore e ha una durata di 16h e
identifica un’innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livelli normali pre esposizione. Già oltre la soglia
degli 80Db vi è una STS su più frequenze e nello specifico i rumori industriali provocano una STS2 sulle fre-
quenze dei 3000 e 4000Hz. L’STS16 definita come fatica uditiva patologica permane anche oltre le 16h
dall’esposizione allo stimolo acustico perché l’orecchio di un soggetto esposto cronicamente al rumore non
ha più progressivamente la capacità di recupero fino ad arrivare all’ipoacusia franca. Le due STS sono quin-
di espressione di un esaurimento più o meno marcato dei recettori acustici periferici per un apporto ener-
getico insufficiente. Un recupero completo è quindi possibile solo a patto che l’esaurimento funzionale si
mantenga entro certi limiti, in casi contrari si parla di danno uditivo irreversibile.

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Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell’organo del Corti con una
ipoacusia neurosensioriale irreversibile. La gravità del danno è proporzionale alla quantità dell’energia so-
nora somministrata usando un rumore continuo di livello costante e le prime strutture ad essere danneg-
giate sono le cellule ciliate esterne: si ha una frammentazione fino alla scomparsa delle ciglia e una rottura
della membrana cellulare e sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono integre
molto più a lungo: la lesione primitiva è rappresentata dalla fusione di queste. Per esposizioni al rumore
che hanno un livello costante si osservano alterazioni che sono prima di tipo metabolico-funzionale e poi
metabolico-morfologiche, mentre per i rumori impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche
più precoci. In linea generale si può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare ovvero
il soggetto inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con una progressione anche molto veloce di
danno per i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non cambi attività la-
vorativa con esposizione a un altro tipo di rumore.

L’ipoacusia di rumore è classificata in più fasi:

 una prima fase definita fatica uditiva: compare pochi giorni dopo l’inizio dell’attività uditiva con un
esame audiometrico normale o al massimo un innalzamento sulle frequenze medie e il pz riferisce
acufeni e stordimento;

 una 2° fase definita di latenza: il soggetto non ha sintomi sebbene l’ipoacusia peggiori con innalza-
mento della soglia uditiva di circa 40\50 Db sui 4000Hz evidenziato all’esame audiometrico,

 nella 3° fase ricompare la sintomatologia: il soggetto riferisce ad esempio di non sentire il ticchettio
dell’orologio con un esame audiometrico che mostra un innalzamento di circa 60 decibel sui 4.000
heartz ed il deficit viene esteso anche alle altre frequenze dai 2000 ai 3000 .

 Nella quarta fase c’è lo stadio di sordità da rumore con un deficit permanente esteso anche alle
frequenze più basse ed alle più alte.

Quindi inizialmente ridotta capacità di udito temporanea, poi apparente stato di benessere, quindi difficol-
tà a percepire i toni acuti e poi difficoltà a sentire le conversazioni.

Le caratteristiche dell’ipoacusia da rumore sono 4:

1. Il deficit è Percettivo perchè il danno è sul nervo sensoriale

2. E’ iniziale e prevalente sulle frequenze medie (4000 Hz), poi si estende sulle alte e basse frequenze

3. E’ bilaterale e simmetrico cioè i tracciati audiometrici di orecchio dx ed sx sono sovrapponibili

4. E’irreversibile, il danno non è recuperabile

Il rumore è causa anche di effetti extra-uditivi, imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture acu-
stiche con le altre strutture del SNC come la formazione reticolare.

Gli effetti più studiati sono a carico del Sistema Cardiovascolare-> aumento frequenza cardiaca, vasocostri-
zione periferica, aumento p arteriosa
ma esistono anche effetti
Neuropsichici -> disturbi del tono motorio, dell’equilibrio, della concentrazione, dell’attenzione, che posso-
no mettere a rischio la vita del lavoratore (es. aumento del tempo di reazione, diminuzione della percezio-
ne di segnali di pericolo con conseguente aumento del rischio infortunistico)
Endocrini-> aumentata produzione di alcuni ormoni
Visus-> dilatazione pupillare

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Gastroenterico-> diminuzione motilità con fenomeni spastici, aumento delle ucere e gastroduodeniti
Respiratori-> aumento frequenza respiratoria
Livello superiori a 65 decibel durante il giorno e 55 durante la notte sono dannosi ed aumentano il rishio di
infarto del miocardio, TIA (?)
L’esposizione al rumore causa l’attivazione nell’organismo di due tipi di risposte
1. Risposta d’allarme-> causata da rumori di alta intensità e breve durata, si esaurisce rapidamente, la sua
durata ed intensità non dipendono dal livello sonoro o dal tempo di persistenza dello stimolo. Caratte-
rizata da: aumento della pressione pupillare, sudorazione cutanea, aumento delle secrezioni e motilità
gastrica, aumento delle frequenze cardiaca e respiratoria
2. Risposta Neurovegetativa-> è lenta e generalmente segue quella di allarme, si manifesta per stimoli in-
tensi e varia in funzione dell’intensità e della durata dello stimolo con alterazioni a carico di tutti gli or-
gani

La valutazione dei rischi derivati dall’esposizione ad agenti fisici nel luogo di lavoro è oggetto di studio della
medicina del lavoro.
Il decreto legislativo 81 del 2008 detta le regole per la valutazione del rischio rumore nel luogo di lavoro, e
le misure preventive per ridurre il rischio di ipoacusia da trauma acustico cronico nel luogo di lavoro.
Il decreto valuta il Livello di Esposizione Giornaliera al rumore, è un valore medio calcolato su una giornata
lavorativa di 8 ore e il Livello di Esposizione Settimanale al rumore calcolato su una giornata lavorativa di 5
ore.
Il decreto prevede dei limiti di esposizione e dei valori di azione.
Il limite di esposizione è 87 decibel ciò significa che durante una giornata lavorativa l’esposizione media al
rumore non può superare tale valore.
Il valore superiore d’azione è 85 decibel. Il valore inferiore d’azione è 80 decibel.
Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello
rumore facendo un sopralluogo con esperti (responsabili sicurezza, ingegneri), valutando le informazioni
fornite dalle case produttrici dei macchinari, la presenza di apparecchiature progettate per ridurre
l’emissione del rumore, quanto tempo il lavoratore è esposto al rumore.
1. Se l’esposizione al rumore non supera gli 80 dB non si procede, dando solo dei dispositivi di protezione
acustica al lavoratore che, quindi, non svilupperanno patologie professionali.

2. Se l’esposizione al rumore supera gli 80 dB, si procede alla seconda fase misurando direttamente il ru-
more nel luogo di lavoro con un Fonometro (su una giornata lavorativa di 8 h o settimanalmente, su
una giornata di 5 h)
A. Se il rumore supera il valore inferiore d’azione il datore ha l’obbligo di fornire i dispositivi di protezione
individuali ai lavoratori che possono chiedere di essere sottoposti a sorveglianza sanitaria (il medico
competente esegue esame obiettivo ed audiometrico)
B. Se è superato il valore superiore d’azione (85 dB) il datore di lavoro ha l’obbligo di attuare delle misure
tecnico-organizzative per ridurre la rumorosità degli ambienti di lavoro, indicare con cartelli i luoghi in
cui i lavoratori sono sottoposti a tale intensità di rumore, sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavorato-
ri, deve inoltre assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione. Dalla sorveglianza sanita-
ria scaturisce un giudizio di idoneità che può essere Completa al lavoro, con prescrizione o con medica-
zione, o non idoneità al lavoro (dipende dalla patologia del soggetto, dal rischio a cui è esposto, dalla
presenza di danno. Es. un soggetto con ipoacusia sottoposto ad una alta esposizione al rumore è non
idoneo a quella attività lavorativa).

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Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare i lavoratori sul rischio da esposizione al rumore, qundi sulla na-
tura dei rischi, sui valori d’azione e sul limite d’esposizione, sui risultati delle misurazioni del rumore effet-
tuate.

I dispositivi di protezione auricolare sono


- Gli inserti auricolari
- Le cuffie auricolari-> adatte per esposizioni prolungate, più efficaci dei precedenti, permettono l’ascolto
delle conversazioni
- I caschi-> utilizzati per le attività più rumorose (es. utilizzo martello pneumatico)
- Gli archetti
Agiscono tutti per la via aerea con una attenuazione che non supera i 50 dB. I caschi, coprendo anche la via
ossea danno una attenuazione superiore.
Tuttti i tipi devono attenuare il rumore consentendo l’ascolto della voce parlata, la scelta dipende
dall’ambiente di lavoro, dalle patologie d’organo esistenti, dal tipo di lavoro.

Esposizione al particolato atmosferico


Tale tipo di esposizione si può avere sia negli ambienti domestici ( sorgenti indoor-> fumo di sigaretta, ca-
minetti, stufe, candele, l’attività di …(51.23)) che in quelli lavorativi.
I lavoratori esposti a questo fattore di rischio sono molti, soprattutto quelli esposti a mobile work.
Il particolato è formato da particelle fini ed ultrafini la cui fonte di emissione principale è rappresentata dal
traffico veicolare (sorgente outdoor), soprattutto dalla combustione dei motori diesel.
Queste particelle possono essere causa di danni a carico dell’apparato respiratorio, cardiovascolare, cuta-
neo, SNC.

Le popolazioni più suscettibili a queste particelle sono gli anziani ed i bambini, soggetti con patologie pol-
monari preesistenti infiammatorie o infettive. I bambini sono più suscettibili perchè inalano una quantità
maggiore di aria per peso corporeo, hanno un assorbimento più elevato, hanno maggiori richieste energeti-
che. L’esposizione di madri non fumatrici al particolato atmosferico durante la gestazione è causa di altera-
ta funzionalità polmonare in età prescolare nei figli. Gli anziani sono più suscettibili perchè presentano una
preesistente compromissione della funzionalità respiratoria, frequentemente presentano patologie cardio-
respiratorie, spesso hanno una alimentazione non corretta (che influenza le difese immunitarie).
Le particelle sono classificate in
-PM10-> frazione grossolana, solo le più innoque perchè essendo superiori al …(52.35) non raggiungono le
vie aeree più fini
-La frazione più fine che arriva agli alveoli
-La frazione ultrafine (nanoparticelle) che dagli alveoli diffondono a tutto l’organismo

La frazione inalabile sono tutte le particelle che penetrano nell’albero respiratorio attraverso le narici e la
bocca durante un normale atto respiratorio.
La frazione toracica sono le particelle fini che raggiungono la trachea.
La frazione ultrafine sono le particelle che arrivano ai sacchi alveolari.

Le vie d’ingresso nell’organismo sono: la pelle, il tratto respiratorio, l’apparato digestivo (organi target prin-
cipali).
L’efficacia dei meccanismi di clearance polmonari diminuisce all’aumentare del numero di particelle inalate
(quindi dell’esposizione ad esse), i macrofagi non sono più in grado di fagocitarle.
Le particelle possono essere ingoiate direttamente o essere presenti sui cibi (soprattutto quelli ben cotti)
Le particelle possono depositarsi nella cute e penetrare tramite essa.

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Una volta penetrati, attraverso il sangue, raggiungono la (54.50), il SNC (probabilmente attraverso il nervo
olfattivo) , il fegato, la milza ed altri.

Gli effetti sulla salute sono: Alterazioni del SNC e del sistema nervoso autonomo, basso peso alla nascita,
nascita pretermine, anomalie congenite (soprattutto malformazioni cardiache), ritardo nell’accrescimento
intrauterino, incremento della mortalità pre e post-natale, aumentata incidenza di asma e di altre patologie
respiratorie nei bambini, riduzione della funzionalità polmonare, patologie cardiovascolari, cancro.
Gli effetti a breve termine sono-> aumento f cardiaca e valori pressori (c’è correlazione tra i giorni di mag-
giore inquinamento e il numero di accessi ospedalieri per patologie respiratorie o cardiovascolari)
Queste particelle determinano a carico del polmone determinano alterazione della funzionalità, della rispo-
sta immunitaria, esacerbazione di patologie polmonari preesistenti (asma, BPCO), fibrosi, tumori (c’è corre-
lazione, nei pz asmatici, tra uso dei broncodilatatori e inquinamento ambientale, e c’è una maggiore inci-
denza di neoplasie polmonari in soggetti sottoposti ad esposizione lavorativa, es.saldatori).
Per quanto riguarda l’azione sull’ apparato cardiovascolare le particelle sono state messe in relazione con
ischemia cardiaca, TIA, aumento dei valori pressori, riduzione della cavità (? 58.40) e della frequenza car-
diaca e aumento dei markers di trombosi ed infiammazione.
L’esposizione alle particelle ultrafini è responsabile di alterato rilascio delle citochine a livello ippocampale
e quindi di depressione e deficit cognitivi (uno studio ha dimostrato un declino cognitivo più precoce e stati
simil-ansiosi in donne che vivono in centri urbani rispetto a donne in aree rurali). Hanno relazione anche
con il morbo di Alzheimer.
Le nanoparticelle assorbite attraverso il tratto gastroenterico sono responsabili di una risposta infiammato-
ria che può essere causa del morbo di Crohn.

Il meccanismo patogenetico comune a tutti i tipi di danno indotti da queste particelle è l’attivazione del
processo infiammatorio con rilascio dei vari mediatori, quindi il danno è provocato non solo dalla particella
stessa (che essendo piccola supera la barriera capillare e raggiunge il sangue) ma anche dalle sostanze che
da essa sono introdotte nell’organismo, come i metalli che le particelle captano dall’atmosfera.
Il danno interessa tutte le strutture cellulari: il nucleo, la membrana, i ribosomi, l’apparato del Golgi e così
via.

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Sono la dottoressa Lamberti e mi occupo della parte clinica di medicina del lavoro. Il corso fatto da me
verterà sulla gestione delle problematiche cliniche di origine occupazionale da parte del medico del lavoro.
Di tutti gli agenti di rischio occupazionali presenti nelle realtà lavorative, quelli che maggiormente risultano
pericolosi sono:
 I movimenti ripetitivi
 La movimentazione manuale dei carichi [spostamento di pesi (edilizia) o di pazienti ( ospedale)]*
 Rumore
*è una problematica molto presente, cioè ha una tra le maggiori incidenze di denuncia tra le malattie
professionali correlate a queste patologie.

La medicina del lavoro nasce come branca della medicina interna, per tutelare lo stato di salute psicofisica
dei lavorati esposti ad agenti di rischio occupazionali. I decreti legislativi che vi mostrerò, senza i quali il
medico del lavoro non può attuare la sua attività di sorveglianza sanitaria, sono nati esclusivamente per un
motivo : ridurre al minimo l’insorgenza di infortuni e morti presenti nelle realtà lavorative.
Il medico del lavoro, ma tutti i medici, il med.lavoro più degli altri perché è soggetto ad una sanzione più
salata qualora non ottemperi, è obbligato , qualora faccia una visita medica ad un lavoratore che presenti
una patologia, per esempio una lombosciatalgia che insorge durante lo svolgimento dell’attività lavorativa,
o una neoplasia di origine occupazionale, collegata ad esposizione ad agente cancerogeni, è obbligato a
denunciare questa patologia e se non lo fa incorre in sanzioni salatissime.
La med del lavoro nasce per ridurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e malattie professionali.
Il tasso d’incidenza che ora si attesta a circa 2 morti al giorno sul lavoro è un valore che deve portarsi a 0
con la giusta applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza dettate dalla medicina del lavoro.

Andiamo ai decreti legislativi. Ce ne sono stati tanti che già dal 1800 hanno regolamentato la medicina del
lavoro, in particolare i decreti legislativi:
 DL 277/91
 DPR 303/56
 DL 626/94 ( “decreto cardine della sicurezza sui luoghi di lavoro”)
Hanno dettato le regole fondamentali per attuare un sistema di sicurezza sui luoghi di lavoro.
I primi due hanno parlato per la prima volta di tutela nei confronti degli agenti di rischio chimico-fisici del
rumore del piombo e dell’amianto.
Con decreto legislativo 626/94 si è per la prima volta diviso in titoli (11) ed articoli quelli che sono tutti gli
agenti di rischio presenti nelle realtà lavorative. Ciò significa che per la prima volta una legge è stata
strutturata in capi, versi e titoli in modo da dare delle direttive precise a tutte le figure addette al sistema
sicurezza su come organizzare questo sistema per indurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e delle
malattie professionali.
Quindi il decreto cardine che ha per la prima volta suddiviso e in capi e titoli le problematiche della
sicurezza nei luoghi di lavoro è il decreto 626/1994.
Dopo questo i decreti che sono stati emanati, che sono quelli vigenti, secondo i quali noi medici del lavoro
lavoriamo, sono stati quelli nati dal Ministero Prodi. Allora il ministro Prodi, prima di passare la staffetta al
lungo ministero Berlusconi, fortemente spronato dai sindacati, ha emanato questo decreto il DL 81/2008,
che ha stravolto tutti quelli che erano gli obblighi alle varie figure relative alla sicurezza, che dopo vedremo,
dando per la prima volta un carico di responsabilità alle singole figure, non solo al medico del lavoro, ma a
tutta una serie di figure che girano intorno alla sicurezza.
Quindi il DL 81/2008 e poi DL 106/2009 sono quelli vigenti ora che dettano i requisiti e le caratteristiche per
operare in sicurezza negli ambienti di lavoro.

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Tutto quello che vi spiegherò in queste poche lezioni che faremo, nasce da questi due decreti attualmente
vigenti.
Ci sono diverse figure addette alla sicurezza. La mia branca è un po’ al limite tra la medicina legale e la
medicina interna. E’ un’applicazione in clinica di una serie di leggi per tutelare la salute, non dei pazienti,
ma del lavoratore. Protagonista di questa tutela non è solo il medico del lavoro. Questi si trova ad interagire
con una serie di figure , che sono deputate dai decreti ad ottemperare ad una serie di obblighi in materia di
sicurezza. Faccio sempre l’esempio della nostra università: per voi che siete dipendenti a tutti gli effetti
secondo il DL 81/08 come studenti o tirocinanti che stanno svolgendo attività lavorativa, anche solo ai fini
di apprendere un mestiere, dovete essere sottoposti a visita medica, sorveglianza sanitaria, anche gli
studenti anche gli apprendisti, perché la legge dice che anche una tempistica breve, come un’esposizione di
breve durata ad un agente di rischio biologico, che potete incontrare quando andate a fare i tirocini, può
fare insorgere nello studente una patologia di origine lavorativa. In questo sistema di tutela non c’è solo il
medico del lavoro, ma il datore di lavoro, in questo caso il rettore, i dirigenti e i preposti , che non sono
altro che coloro a cui viene fatto un demando di obblighi. Questo perché in una realtà aziendale cosi grande
non è detto che il proprietario di quella struttura sia sempre presente in tutte le micro realtà. Quindi è
necessario demandare compiti relativi alla sicurezza ad una serie di figure che sono i dirigenti e i preposti
che devono aiutare il datore di lavoro, nell’ottemperanza degli obblighi in materia di sicurezza.
Ci sono altre figure di minore importanza, che aiutano il datore di lavoro.
RLS: rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Una persona eletta dai lavoratori, che si interfaccia col
datore di lavoro per tutte le problematiche sollevate dai singoli lavoratori.
( ci sono anche i Sindacati, ma, nella realtà lavorativa di riferimento, c’è un rappresentante che va a gestire
le problematiche di ordine quotidiano, come le mascherine non efficaci …. e rappresenta l’interfaccia col
datore di lavoro)
RSPP: responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Può essere composta da uno o più persone.
Redige in un libro ( documento di valutazione dei rischi) tutti i rischi presenti nella realtà lavorativa. Tutti i
responsabili della sicurezza sono obbligati a firmare, per presa visione, questo testo.
Preposto: è un tutor a cui si è assegnati per un semestre.

La cartella sanitaria di rischio. Il medico del lavoro è obbligato ad redigere una cartella dove sono
dettagliate una serie di caratteristiche anamnestiche e lavorative del soggetto che si sottopone a visita.
La cartella è molto simile ad una cartella presente in un reparto di degenza. Ci sono delle piccole differenze
legate ad alcuni capi, quali: dati relativi all’azienda di provenienza e oltre, all’anagrafica dei lavoratore, c’è
una parte relativa all’anamnesi lavorativa. Quest’ultima è necessaria soprattutto per fare uno stato zero e
capire se c’è stata una pregressa esposizione ad un agente di rischio.
E’ molto importante fare questo back-ground anamnestico lavorativo, perché, qualora insorga una malattia
professionale, questo dato viene valutato dall’INAIL , ente preposto sul territorio nazionale per l’indennizzo
dei danni allo stato di salute, che possono insorgere nel lavoratore.
Quindi vengono effettuate delle visite mediche preventive e delle visite mediche periodiche nell’ambito
della sorveglianza sanitaria.
La visita medica preventiva viene fatta per controllare degli eventuali stati pregressi di malattie in atto. Per
esempio, un lavoratore con una dermatite allergica da contatto cronica che deve essere esposto ad
allergeni di origine professionale. Quindi la visita preventiva è fondamentale per ritrovare stati di
ipersuscettibilità clinica, atopie in questo caso, presenti nel lavoratore che dovrà essere sottoposto ad un
agente di rischio che potrà interferire con questa situazione di ipersuscettibilità.

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La condizione presente in fase di visita preventiva determina delle decisioni in merito a quello che è il
giudizio d’idoneità, che permetteranno di lavorare o di non lavorare o di lavorare con opportune
precauzioni.
La cartella di sanitaria di rischio nasce con questi termini, perché il DL81/08 e DL106/2009 e di altri piccoli
decreti d’integrazione ci dicono che la cartella deve essere fatta in questo modo.
La visita viene fatta in fase preventiva e poi in maniera periodica. Perché non è detto che la problematica di
salute non possa essere slatentizzata dall’attività lavorativa, quindi una tempistica diversa per ogni agente
di rischio lavorativo prevede una visita periodica.
La legge ha stabilito che ci siano altre visite obbligatorie. Sempre quando c’è l’esposizione agli agenti di
rischio cancerogeno, la legge stabilisce che ci sia una visita obbligatoria alla fine del rapporto di lavoro.
Perché, per esempio, tecnico di radiologia esposto a radiazioni ionizzanti, si effettua una visita alla
cessazione del rapporto di lavoro per attestare lo stato di salute dopo l’esposizione ad un agente
cancerogeno. Lo stesso vale per l’esposizione ad agenti cancerogeni come metalli, come la silice e come
l’amianto. Altra visita obbligatoria è quella che viene effettuata quando c’è un cambio di mansioni.
Alla fine della cartella sanitaria viene espresso un giudizio sullo stato di salute del lavoratore. Non è quasi
mai un giudizio di idoneità piena. La legge prevede anche un giudizio di idoneità parziale che viene definito
con prescrizione o limitazione. Ciò significa mantenere il lavoratore alla sua precedente attività lavorativa,
ma farlo con delle precauzioni. Ci sono una serie di patologie croniche che non potrebbero essere gestite se
non tramite l’utilizzo di queste limitazioni e prescrizioni. Quindi significa di consigliare al lavoratore di
utilizzare ulteriori dispositivi di protezione individuale, come guanti, mascherine, camici, tutto ciò che va a
tutelare come presidio esterno la salute del lavoratore.
Esprimere un giudizio d’idoneità con limitazione significa riorganizzare l’attività lavorativa del lavoratore
che ha una particolare patologia per essere reinserito nel lavoro. Grazie a questi giudizi si riescono a
mantenere al lavoro alcuni lavoratori con problematiche serie come l’epatite o meno complicate come la
lombosciatalgia cronica e permettere di ritornare alla precedente mansione con opportune precauzioni per
tutelare il lavoratore stesso. Esempio: il lavoratore con lombosciatalgia cronica eventualmente sottoposto a
un ciclo farmacologico di decontratturanti e antiinfiammatori che non risolve la problematica. Molto spesso
le lombosciatalgie sono refrattarie alla terapia farmacologia, refrattarie a una terapia riabilitativa fisiatrica,
quindi dopo uno o due mesi il lavoratore deve tornare a lavorare, magari è un lavoratore nel settore
dell’edilizia o un infermiere che si trova in reparti con un alto indice MAPO, che è un indice che viene
utilizzato per quantizzare il rischio da movimentazione di pazienti soprattutto in reparti come la geriatria
dove ci sono pazienti allettati e ci sono infermiere che movimentano questi pazienti e vanno a sollecitare il
rachide. Quindi supponiamo che questo infermiere vada incontro periodicamente a lombosciatalgie che
periodicamente determinano un rientro dopo un’assenza per malattia. Il medico del lavoro gestisce questa
situazione dando un’idoneità con limitazione che permetterà al lavoratore di tornare al lavoro svolgendo la
sua attività riducendo però il carico (esistono linee guida di medicina del lavoro che stabiliscono dei carichi
massimi lavorativi o che consigliano dei sussidi prescritti da fornire al lavoratore che vengono utilizzati per
ridurre il peso che grava sulla colonna vertebrale). In questo modo il lavoratore potrà riprendere la sua
precedente mansione e non rischierà un licenziamento.
Abbiamo poi l’inidoneità che può essere temporanea o permanente. Es. temporanea chirurgo con Epatite
C in fase attiva che si sta sottoponendo a una terapia antivirale; in questo caso le linee guida consigliano di
interrompere l’attività lavorativa per 6 o 12 mesi. Dopo tale periodo con le analisi e la consulenza
infettivologica o eventualmente consulenze diverse per altri lavori, si procede all’espressione del giudizio di
inidoneità temporanea o permanente con il quale si può sfociare nel licenziamento.
Il lavoratore ha diritto di confutare il giudizio avverso espresso dal medico del lavoro e a tal proposito per
legge è ammesso il ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio stesso. Quindi il

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lavoratore (ma anche il datore di lavoro) ha diritto a confutarlo seguendo un iter (il giudizio è in mano al
lavoratore ma anche al datore di lavoro). Il giudizio viene portato all’asl di riferimento territoriale; nell’asl
c’è una sezione definita organo di vigilanza territorialmente competente composta da medici del lavoro e
tecnici non medici che vanno a valutare la cartella clinica, i protocolli strumentali utilizzati, il giudizio
espresso per quel lavoratore che ha fatto ricorso. Dopo la valutazione quest’organo esprime un giudizio
finale inderogabile. Questo diventa il giudizio vigente che il lavoratore deve rispettare. Tutto ciò era già
stabilito dal decreto legislativo 626 del’94 ed è stato ribadito, perfezionato e integrato dal decreto 81/2008
e dal 106/2009.
Il ruolo del medico del lavoro è quello di prevenire i danni causati da condizioni insalubri legati alle attività
lavorative e quello di individuare le cause di origine lavorativa che possono aver fatto scatenare la patologia
occupazionale e soprattutto di effettuare denuncia di malattia professionale o di infortuni di origine
lavorativa. Qualora si ponga al medico una patologia recidivante come una patologia allergica, è
importante non solo dare la terapia ma anche capire se tale patologia sia legata al luogo di lavoro (per
esempio l’allergia al talco presente nei guanti al lattice che utilizza un infermiere professionale
ospedaliero).
Il medico di medicina generale come il medico del lavoro ha l’obbligatorietà di denunciare malattie
professionali o infortuni insorti in attività lavorative. Tutti i medici sono obbligati eticamente a denunciare
malattie professionali (per esempio pazienti esposti a silice); questa denuncia viene fatta con appositi
moduli dati ai medici di base ma che sono scaricabili anche dal sito dall’INAIL da tutti i medici che ne
vengono a conoscenza.
Esempio di denuncia del lavoratore per malattia professionale e giudizio negativo :
in un centro di radiologia un tecnico di radiologia donna di 27 anni viene in visita periodica e tramite
radiografia scopre di avere un carcinoma mammario. Attivato l’iter oncologico, io medico del lavoro
riempio i moduli relativi alla denuncia da malattie professionali usando anche tabelle di riferimento dove
ogni malattia è associata a un agente di rischio, in questo caso cancerogeno. Una copia della denuncia viene
inviata all’INAIL, una copia all’asl e una copia la manda il datore di lavoro. La copia che io mando all’INAIL
prevede una serie di indagini. Dopo la denuncia la struttura ha avuto una serie di controlli da parte
dell’INAIL sull’adeguatezza dei luoghi di lavoro relativi a quell’agente di rischio, in questo caso era
importante soprattutto la valutazione delle apparecchiature radiologiche. La struttura è stata chiusa non
per le apparecchiature (che erano tutte a norma) ma per una scala a chiocciola che non era idonea e che
poteva portare a infortuni sul lavoro. L’INAIL ha poi mandato una risposta relativa alla non presenza di
nesso di causalità della patologia con il lavoro perché la lavoratrice aveva lavorato nella struttura solo per
18 mesi, dei quali solo 3-4 di effettiva esposizione poiché aveva avuto una gravidanza. Inoltre i dosimetri
per le radiazioni inviati ogni 2 mesi al controllo segnalavano una quota nulla di esposizione a radiazioni
ionizzanti. Quindi l’INAIL ha accertato l’assenza del nesso di causalità e la lavoratrice non ha avuto nessun
indennizzo.
Esempio di denuncia e giudizio positivo: insorgenza di patologie neoplastiche associate all’esposizione
all’amianto nei quali casi i lavoratori o i loro familiari in caso di decesso dello stesso sono stati indennizzati.
Fino al 2002 era obbligatorio completare la specializzazione in medicina del lavoro in anestesia e radiologia
per firmare i referti come medico del lavoro. Quindi queste 3 specializzazioni permettevano di svolgere il
lavoro di sorveglianza sanitaria.
Nel 2002 il decreto accorpato nel 81/2008 stabilì che anche gli specialisti in igiene e medicina legale
potevano equipararsi ai medici del lavoro e svolgere attività di sorveglianza sanitaria; ciò successivamente è
stato modificato in modo che questi specialisti dovessero effettuare un master abilitante di secondo livello
di 10 mesi per poter esercitare la sorveglianza sanitaria.

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L’art 39 del decreto 81/2008 stabilisce anche che il medico del lavoro operi secondo criteri stabiliti dalla
commissione dell’ICOH (ente internazionale preposto alla sicurezza nei luoghi di lavoro). Il medico del
lavoro opera secondo i principi legati all’ente ICOH.
Il medico del lavoro non si occupa solo di effettuare visite mediche preventive e periodiche ma ha un’altra
serie di adempimenti obbligatori (secondo l’art 25 del decreto 81 del 2008) come:
- collaborare alla valutazione dei rischi insieme al datore di lavoro
- istituire aggiornare e custodire la cartella
- consegnare alla cessazione del rapporto di lavoro la cartella al lavoratore soprattutto in caso di
esposizioni cancerogene
- informare il lavoratore dei risultati della sorveglianza sanitaria (si può avere copia dei risultati e risposta
riguardo lo stato di salute, rappresenta un diritto del lavoratore tutelato dalla legge)
- effettuare il sopralluogo dei luoghi di lavoro (visitare il luogo di lavoro 1-2 volte l’anno) dove afferiscono i
miei lavoratori. Andare a osservare il luogo di lavoro serve per capire se vi sono altri agenti di rischio oltre a
quelli già segnalati. Per esempio posso scoprire che l’anestesista oltre ad essere esposto a rischi di tipo
biologico passa anche molto tempo al pc per lavoro e questo rappresenta un altro fattore di rischio che
vado a riportare nel documento di valutazione dei rischi. L’obbligo del sopralluogo vige sia per il datore di
lavoro che per il medico di lavoro.
- collaborare alla valutazione dei rischi
- effettuare formazione e informazione sui rischi in ogni attività lavorativa (ad esempio lezioni a lavoratori
esposti al rischio di radiazioni ionizzanti per spiegare come lavorare in sicurezza).

Se il medico del lavoro non adempie ai suoi obblighi (sorveglianza sanitaria, sopralluoghi controlli di lavoro,
formazione e informazione sui rischi), è soggetto a sanzioni per legge.
Tutti questi obblighi sono ben specificati da decreti ben strutturati, ma vi è il problema dell’attuazione della
sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò accade soprattutto al sud e consiste nella mancata ottemperanza degli
obblighi di legge. Nel meridione la medicina del lavoro non si è incrementata, al contrario di alcune regioni
del nord, dove invece è una realtà molto presente.

Agenti di rischio:
-agenti di rischio chimico sono quelli collegati all’esposizione a metano, solventi, cancerogeni.
-agenti di rischio fisici come rumore, vibrazione ecc.
-agenti di rischio biologico come hbv, hcv, hiv ecc.
-agenti di rischio trasversali (perche riguardano tutte le condizioni lavorative), rappresentati da stress
lavoro correlati come mobbing o burn out (riconosciuti come rischi professionali a tutti gli effetti in Europa
dal 2004 e in italia dal 2008).
-le allergopatie professionali come l’asma allergico professionale e le dermatiti irritative e da contatto di
origine lavorativa.
-a parte rientrano le problematiche di disergonomia come la movimentazione manuale di carichi, i
movimenti ripetitivi, l’assunzione di posture incongrue e i danni da utilizzo protratto di videoterminali (pc).

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LEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO 14 0TTOBRE 2014, prof Lamberti

Figure del sistema sicurezza, agenti di rischio e introduzione al contesto lavorativo dell’ambiente
ospedaliero (rischio biologico).

Oggi facciamo un excursus rapido sulle figure addette al sistema sicurezza. (quanto di seguito riportato fa
capo a quanto stabilito dal DL 81/2008)
Il lavoratore: consideriamo tale anche colui che, non retribuito, svolge un’attività al sol fine di apprendere
un mestiere, un arte o una professione, quindi anche gli studenti e gli apprendisti, i quali dovranno pertanto
essere sottoposti a sorveglianza sanitaria, in quanto si ritiene che una esposizione, anche breve, a rischio
lavorativo, vuoi sia biologico o chimico, ecc., possa produrre degli effetti sul suo organismo. La tutela di
queste figure è un obbligo del datore di lavoro. Nelle realtà industriali (??? Non sono certa sia la parola
giusta, ma è quanto mi è parso di capire, nds) se il lavoratore non si presenta a visita o al corso di formazione
in materia di sicurezza è sottoposto a sanzione, ciò sta a significare che si tratta di un obbligo.
Il datore di lavoro: è la figura massimamente responsabile del sistema sicurezza e maggiormente coinvolta
dal sistema sanzionatario. È il soggetto titolare del rapporto di lavoro col lavoratore. Si distingue dalle altre
figure (dirigente, preposto ecc.) poiché è l’unico che retribuisce il lavoratore, tutti gli altri obblighi possono
essere demandati alle altre figure, ma con obbligatorietà di firma, ovvero è possibile delegare la formazione
in materia di sicurezza, la sorveglianza e altro, purchè si sottoscriva (da ambo le parti) un documento che
sancisca il passaggio di responsabilità. Doveri del datore di lavoro: informare e formare il lavoratore,
provvedere alla sorveglianza sanitaria, nominare il medico del lavoro, corrispondere il trattamento
economico e stendere il documento di valutazione dei rischi. Questo documento elenca tutti i fattori di
rischio cui è esposto il lavoratore in funzione dell’ambiente in cui opera e della mansione che svolge; in
particolare all’articolo 28 della legge, si dice che tale documento non deve tralasciare alcun tipo di rischio,
come le problematiche stress lavoro correlate, deve altresì riportare le misure di sicurezza messe in atto per
la tutela delle lavoratrici in stato di gravidanza: il decreto per la prima volta introduce il concetto di
differenza di genere.
Dirigente o preposto: (per es. direttore di dipartimento) deve vigilare sull’osservanza degli obblighi di
formazione e sorveglianza sanitaria cui il lavoratore deve sottostare, assicurarsi che la formazione sia
adeguata e messa in pratica sul campo e che solo coloro che sono adeguatamente formati possano accedere a
determinate mansioni, egli deve anche fare segnalazione tempestiva di inefficienze relative a dispositivi o
metodiche di protezione individuale al datore di lavoro, il quale disporrà appositi sopralluoghi di verifica ed
eventuali provvedimenti. Anche dirigenti o preposti sono sottoposti obbligatoriamente a corsi di formazione
con verifica periodica.
RSPP (responsabile del servizio di protezione e prevenzione) figura nominata dal datore di lavoro per
aiutarlo alla stesura del documento di valutazione dei rischi.
AGE (addetti alla gestione emergenza e anti-incendio) sono lavoratori che vengono nominati in numero
variabile, 1 o più in funzione della grandezza della realtà lavorativa di cui sono responsabili, e
successivamente formati allo svolgimento di questa nuova mansione; colui che viene nominato non può
sottrarsi a tale compito (articolo 18) a meno che il medico del lavoro (previa richiesta di visita valutativa da
parte del datore di lavoro) non lo giudichi inidoneo per caratteristiche psico-fisiche. Tali figure sono anche
formate (nel nostro ateneo a partire dal mese prossimo) all’utilizzo del defibrillatore (la cui presenza è
diventata obbligatoria sui luoghi di lavoro a partire da gennaio 2013) e al BLSD.
Volendo riassumere, le finalità della sorveglianza sanitaria sono: operare formazione in materia di sicurezza
sul luogo di lavoro, monitoraggio e valutazione dello stato di salute psicofisica di ogni lavoratore; il medico
del lavoro è inoltre tenuto a stilare ogni anno una relazione sullo stato di salute della popolazione lavorativa
di cui è responsabile, da inviare poi all’INAIL; questa relazione riporta tutte le patologie professionali che si
sono eventualmente manifestate, senza alcun riferimento anagrafico del malato; tali dati saranno sottoposti a

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valutazione dall’INAIL per fare uno studio epidemiologico che monitori e porti a conoscenza delle patologie
professionali che sono presenti in Italia.
Vi avrà poi già detto il prof Sannolo che la visita preventiva del lavoratore da parte del medico del lavoro
serve soprattutto a individuare quelle condizioni di ipersuscettibilità individuale a determinati fattori che
possono diventare dei deterrenti all’assunzione del soggetto o al suo inserimento in contesti che espongano a
particolari agenti di rischio.
Veniamo ora alla classificazione degli agenti di rischio che possiamo incontrare in qualsiasi contesto
lavorativo:
-fisici: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, vibrazioni, rumore, microclima
-biologici: (i principali) hbv, hcv, hiv, tbc, morbillo parotite e rosolia (limitatamente a piccole realtà, come la
pediatria), ebola (era un problema molto raro in passato, ritornato tristemente in auge negli ultimi tempi)
-chimici: gas anestetici, farmaci antiblastici, detergenti, disinfettanti, sterilizzanti e solventi; di questi alcuni
sono anche cancerogeni come ad esempio gli antiblastici, di questi poi alcuni hanno specifiche tossicità
d’organo come il 5fluorouracile che è etichettato come cardiotossico. La manipolazione di queste sostanze
senza adeguati dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherina) ha provocato la manifestazione di
patologie a carico di determinati organi o apparati.
-movimentazione manuale dei carichi (mmc) e movimenti ripetitivi: come abbiamo già detto nella scorsa
lezione, sono esposti a mmc tutte le realtà lavorative, in ambiente ospedaliero parliamo di movimentazione
manuale dei pazienti da parte di infermieri, soprattutto nei reparti di lunga degenza come quelli di geriatria e
ortopedia; le patologie che più frequentemente scaturiscono da mmc sono a carico di rachide, polso e spalla.
Mmc e movimenti ripetitivi rientrano nell’ambito dell’ergonomia del lavoro, una branca della medicina del
lavoro che in particolare studia l’esatta organizzazione del lavoro, gli aspetti più pratici, per poter poi
sviluppare ambienti e supporti adattati alle esigenze del lavoratore (per es. luminosità, sedie, ecc.) esempio di
mestieri caratterizzati da movimenti ripetitivi è quello della cassiera. Rientrano anche nelle competenze
dell’ergonomia del lavoro i vdt (videoterminalisti) che sono quei lavoratori (segretari, impiegati) che
trascorrono almeno 20h, non necessariamente continuative, a settimana utilizzando dei videoterminali;
questo limite delle 20h non continuative è una novità del 2000 (legge comunitaria poi acquisita e introdotta
nel DL 81/2008), precedentemente, infatti, si consideravano vdt solo coloro che stavano al videoterminale
per 4h/die per 5 giorni consecutivi . Per questa categoria di lavoratori c’è un titolo della legge che stabilisce
come e con che cadenza vanno visitati.
(un ragazzo chiede se non vadano inquadrate come vdt anche molte altre figure lavorative e non solo, la prof
risponde che in pratica è così, ma la legge prevede che, relativamente ai soli lavoratori ovviamente, siano
sottoposti a visita solo coloro che vengono definiti vdt dal datore di lavoro –sempre a patto che rispettino il
limite delle 20h-, fa quindi l’esempio dei docenti della facoltà di medicina che vengono dichiarati solo come
esposti al rischio biologico pur se passano molte ore al pc a stendere lavori di ricerca, pertanto saranno
sottoposti solo a visita per rischio biologico e non per i problemi visivi che pure potrebbero avere; altro
esempio è fatto parlando dell’ipotetico caso dell’autista che trasporta pz che devono fare fisioterapia
dichiarato invece dal datore di lavoro come fisioterapista, in questo caso il problema è più grave, perché al
fisioterapista non si fanno ad esempio i controlli sul tasso alcolemico che invece sarebbero previsti per
l’autista, ma lo si visita solo, per es., per mmc, è chiaro quindi le conseguenze di questa non esatta
dichiarazione del datore di lavoro possono rivelarsi molto più pericolose. La prof aggiunge che, qualora
emergesse la realtà di questa situazione, l’unico penalmente responsabile e perciò perseguibile, nonché
sottoposto a pesanti sanzioni, è proprio il datore di lavoro, in quanto il medico del lavoro ha l’obbligo di fare
esclusivamente i controlli dovuti, relativamente ai soli rischi dichiarati dal datore di lavoro per quella
categoria di lavoratori, non è tenuto di accertarsi che quanto dichiarato risponda al vero e non ha
responsabilità in caso accada qualcosa – come conseguenza del rischio non indagato perché non dichiarato-).

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-rischi trasversali: sono riconosciuti dal 2008 e ritenuti responsabili di provocare stress e patologie
psicologiche lavoro-correlate, si tratta di: sindrome del burn out, mobbing, lavoro a turni
- allergopatie professionali come alcune forme asmatiche, dermatiti atopiche e da contatto, esse sono
presenti in diverse realtà lavorative.
-cuore e lavoro: per es. infartuato da reinserire, al riguardo non ci sono linee guida e si sta ancora valutando
come procedere
(Filomena Boccia)
E andiamo ai rischi presenti in ambiente ospedaliero (siamo ancora alla prima lezione, io mi auguravo che a
quest’ora fossimo già alla terza, però mi fa piacere che mi fate le domande e rendiamo la lezione più
discorsiva).
Quando faccio vedere queste immagini dico sempre che la mia specializzanda, avendo fatto l’erasmus in
Francia,in un ospedale di Nizza, ha mostrato quest’immagine che ben si presta alla spiegazione di tutti gli
agenti di rischio ospedalieri,in quanto l’ospedale rappresenta un esempio di realtà lavorativa dove ci sono il
90% degli agenti di rischio che prima abbiamo mostrato. Il laboratorio,la sala operatoria e i reparti di
degenza sono quelli in cui il rischio biologico,quello chimico e quello fisico sono largamente presenti, non
da ultimi anche i rischi trasversali. In ambiente sanitario rischi da stress lavoro-correlato sono principalmente
la sindrome del burn out,che è una patologia che riguarda le figure d’aiuto, quindi medici e infermieri, che
porta, in una serie di fasi successive, da una condizione iniziale di grande entusiasmo per la professione a
una condizione di completo distacco dalla professione stessa, per un inevitabile contrasto quotidiano con
quelle che sono le impossibilità di realizzare tutte le idee positive in merito alla professione medica, legate
molto spesso all’inadeguatezza dei luoghi di lavoro.
E andiamo al rischio biologico, che è la seconda parte della lezione. Ragazzi questa è una lezione a cui tengo
parecchio, quindi mi auguro che la seguiate con attenzione.
Domanda: i turni di lavoro di 12 ore( notturni e diurni) possono essere considerati fattori di rischio
trasversali? se sì, perché non vengono eliminati?
Risposta: solo quelli notturni sono riconosciuti come tali ( i turni prolungati giornalieri non sono
contemplati) e questo ha una motivazione scientifica, perché la mancanza di sonno si associa a
un’alterazione del bioritmo fisiologico ,c’è un’alterazione ormonale, una iperproduzione di cortisolo,quindi
questa problematica è stata correlata all’insorgenza di ansia e depressione e ancora ad altre cose:ci sono una
serie di lavori scientifici relativi a donne (medici o infermiere) che hanno sviluppato il ca mammario, quindi
parliamo di uno stress lavoro-correlato che provoca l’insorgenza di patologie neoplastiche. Nella valutazione
dello stress non ci si basa solo sulle dichiarazioni del soggetto interessato, ma si ricorre a questionari
standardizzati, che vi farò vedere, con items di riferimento, per cui il risultato sarà confrontato con delle
fasce di riferimento verde, giallo o rosso, come un semaforo: l’esito in fascia verde comporta la riproposta
del questionario negli anni, l’esito in fascia giallo-rossa comporta la riproposta del questionario non più a
gruppi di lavoratori ma ad personam, questionari soggettivi, e qualora il questionario soggettivo confermi il
disturbo psicologico, il datore di lavoro è tenuto a pagare la terapia psicologica e il recupero psicologico o
psichiatrico( perché la psicoterapia può anche non essere sufficiente) fatti al lavoratore. La valutazione del
turno notturno come causa si stress viene fatta dall’INAIL, che contribuirà a pagare di tasca sua, insieme alla
struttura che ha scatenato lo stress, sulla base del lavoro già fatto dai medici del lavoro e dagli psicologi e
ulteriormente confermato da un team di medici dell’INAIL (pneumologi, ortopedici, dermatologi), tramite
ulteriori visite mirate a stabilire se c’è il nesso di causalità. Quindi non basta dire “sono stressato”, ma ci sarà
un’attenta valutazione per capire se questo stress è effettivamente legato al lavoro, valutazione clinico-
strumentale che comincia nella struttura grazie al medico del lavoro e si completa nell’ente che poi paga. La
donna in stato di gravidanza viene sottratta dal turno notturno per i nove mesi della gravidanza e per sette
mesi dopo il parto fino a un anno di vita del bambino, in maniera obbligatoria, fino a 3 anni di vita del
bambino potrà sottrarsi in maniera facoltativa; quindi il riconoscimento di rischio reale c’è,la letteratura

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medica lo dimostra e la legge lo riconosce, però ottenere un indennizzo per stress lavoro-correlato sarà di
sicuro più indaginoso rispetto al riconoscimento di una sovrainfezione da epatite B o C, qualora in seguito a
un follow up fatto da noi insorga una problematica di questo tipo che prima non era presente, poiché in tal
caso il dato è oggettivo, mentre per lo stress pochissime sono state le cause effettive riconosciute fino ad ora
(ricordiamo che è stato riconosciuto dal 2008).
Come vi ho detto ( e questa è una domanda che faccio frequentemente agli esami) gli agenti di rischio
biologico maggiormente presenti nel settore sanitario (perché poi ce ne sono tanti altri in settori non sanitari,
che non tratteremo) sono: HBV, HCV, HIV, bacillo della tubercolosi e poi morbillo, parotite e rosolia in casi
selezionati, cioè nei reparti di ginecologia e pediatria, e non da ultimo il virus Ebola.
In ambiente ospedaliero il rischio più noto e studiato è il rischio biologico: per rischio biologico intendiamo,
secondo il decreto legislativo 81 del 2008, non solo l’esposizione diretta ad un agente patogeno e quindi
microorganismo o OGM (organismo geneticamente modificato) ma anche l’esposizione di un lavoratore in
maniera indiretta a un microorganismo, per esempio coltivato in una coltura cellulare: quindi anche i biologi,
i chimici, i biotecnologi possono essere esposti a rischio biologico. Ci sono vari modi di classificare il rischio
biologico; nel famoso diario di valutazione dei rischi, io, medico del lavoro, che ho per la prima volta
l’incarico in un ospedale , trovo le informazioni relative a quali sono i rischi ai quali sono esposti i lavoratori
di cui mi occupo e,solo grazie a queste ,potrò realizzare un adeguato protocollo di sorveglianza sanitaria,
quindi vado a ricercare in quel documento, presente nell’azienda, quali sono le caratteristiche di rischio
biologico presenti in quella realtà. Per fare ciò mi servono delle classificazioni: le classificazioni di
riferimento vanno ad etichettare il rischio biologico in base a dei criteri di infettività, di trasmissibilità,di
patogenicità e neutralizzabilità. Nella pratica la classificazione degli agenti biologici è questa: (al nostro
ateneo è attribuita una classe di rischio tra 2 e 3) gli agenti biologici di gruppo 1 sono quelli che presentano
poche probabilità di causare malattie negli uomini, quelli di gruppo 2 possono causare malattia negli uomini
e quindi costituire un rischio per i lavoratori ,ma nei loro confronti sono sempre o quasi sempre presenti
misure profilattiche e vaccinali, quelli di gruppo 3 possono causare malattie gravi negli uomini e quindi
costituiscono un serio rischio nei lavoratori, possono propagarsi nella comunità e sono quasi sempre
disponibili misure profilattiche terapeutiche ( lo sapete che oggi anche per l’HCV in America è prevista una
terapia a pagamento che determina guarigione), infine ci sono quelli che non mi auguravo mai di trattare, gli
agenti di gruppo 4, per i quali non esistono ancora misure profilattiche e vaccinali, come ad esempio il virus
Ebola. Questa classificazione è importantissima perché permette ai medici del lavoro di andare a quantizzare
il rischio biologico in una determinata struttura. In realtà non lo faccio io medico del lavoro ma lo fa il datore
di lavoro, io posso esprimere la mia e dire ad esempio “guarda, i lavoratori che mi hai mandato non sono
sottoposti a rischio 2 ma 3, quindi adeguati!” ma non sarò mai io, altrimenti nessuno si specializzerebbe in
medicina del lavoro (o igiene e medicina legale e dopo farebbe il master), a modificare l’entità del rischio nel
diario apposito, ma si tratto di un obbligo del datore di lavoro.
Come si trasmettono gli agenti di rischio biologico?ci sono vari tipi di trasmissione:
-nosocomiale, che si studia maggiormente in igiene, da paziente infetto ad altro paziente oppure da ambiente
ospedaliero infetto a paziente;
-occupazionale, di cui ci occupiamo noi, da paziente infetto a operatore;
La domanda intelligente che potreste fare è “e quella che avviene da operatore a paziente?”: sul danno a terzi
ci sono decreti del ministero dell’Italia e Europa che non sono stati ancora emanati,si tratta di una
problematica ancora molto scottante, soprattutto in Italia. In merito alla questione ci sono dei consigli, che
possono essere utilizzati e ci vengono dalla Gran Bretagna, dove un operatore con epatite C cronica viene
invitato a chiedere al paziente il consenso informato a farsi operare; ovviamente è una proposta non
universalmente condivisa.
Domanda : ma in relazione alla trasmissione operatore-operatore? Cioè io medico infetto posso trasmettere
oltre che al paziente anche al collega…

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Risposta: è una cosa molto rara, in ogni caso il collega è sottoposto,come tutti gli altri operatori sanitari, a
sorveglianza sanitaria e lo sarà anche il medico infetto,quindi si sa già da prima se ci sono potenziali rischi di
trasmissione di uno stato infettivo e si cerca di gestirli quando possibile: se c’è un caso di epatite in fase
attiva, le nostre linee guida consigliano di allontanare il lavoratore, anche se fa il chirurgo e può fare solo
quello. Quindi sì ci può stare e scattano tutte le misure profilattiche e preventive, che sono la gestione
dell’infortunio, che ora vediamo,il referto del pronto soccorso e il follow-up a 0-3-6-12 mesi per vedere se
c’è stata la sovrainfezione.
Un altro concetto che dovete avere sul rischio biologico è questo: quando si parla di rischio biologico ci si
riferisce al titolo decimo del decreto legislativo 81 del 2008 e ci si riferisce non solo all’uso deliberato ,che
significa certo, cioè esposizione certa al fattore di rischio biologico, come nell’ambiente ospedaliero, ma
anche all’ uso potenziale: un esempio di esposizione potenziale al fattore di rischio biologico può essere
quello di un banale ufficio di una segreteria amministrativa, dove il videoterminalista lavora al computer per
quelle 20 ore settimanali e si becca una bella legionellosi, perché all’impianto di condizionamento non è stata
fatta la regolare manutenzione che comporta la pulizia dei filtri e vi si è annidata la legionella pneumofila. I
settori lavorativi con esposizione deliberata al rischio biologico sono invece l’università, i centri di ricerca
come i laboratori di microbiologia, i laboratori che sperimentano farmaci, l’industria delle biotecnologie e
degli OGM. Ci sono tutta un’altra serie di lavorazioni che vengono etichettate come a rischio biologico non
ospedaliero, che sono l’industria alimentare, l’agricoltura, la zootecnia, i servizi veterinari,la macerazione
delle carni e, non da ultimo, il servizio di raccolta,trattamento e smaltimento dei rifiuti; altre attività sono i
servizi di disinfezione, sterilizzazione e disinfestazione.
Andiamo quindi ai nostri agenti patogeni pericolosi, li ripetiamo fino alla noia:HBV,HCV,HIV,micobatterio
tubercolare e in rari casi anche la meningite, ma non la tratteremo. Questi dati nascono dalla letteratura
scientifica internazionale pubblicati dalla nostra agenzia di medicina del lavoro e igiene industriale, la
SIMLII dopo 30 anni di attività lavorativa da parte di medici competenti: si è notato che in realtà lavorative
vecchie di 30 anni fa ,quando il vaccino per l’epatite B non era obbligatorio, il range di sovrainfezione per
l’epatite B era più elevato di quello per l’epatite C, principalmente per i chirurghi e gli infermieri
professionali.
Nella mia piccola esperienza dal 2004 nel corso di medicina e chirurgia ci sono stati pochissimi casi si
studenti che si sono punti,rispetto a quelli delle lauree triennali,anche perché, tornando al discorso di
prima,da programma didattico c’è un gradualità di rischio biologico a cui siete sottoposti,dal momento che al
terzo anno dovreste imparare come minimo a misurare una pressione e a fare un’intramuscolo e al sesto a
inserire un sondino naso-gastrico (risata generale).
Questa è un’altra cosa importante: nel contatto percutaneo (sangue infetto-sangue non infetto) abbiamo una
percentuale di sovrainfezione più elevata per l’epatite C( ma stiamo comunque parlando di percentuali basse,
che rasentano lo 0, per HCV è lo 0,45% dopo lesioni percutanee e aumenta se la cute non è integra);è quindi
importantissimo usare i guanti, ma fino a 2-3 anni fa ho visto infermieri professionali in reparti di malattie
infettive senza guanti con pazienti cirrotici allettati: nel caso questi si pungano e sviluppino una dermatite da
contatto con microlesioni saranno più esposto alla sovrainfezione. Nell’HIV la sovrainfezione avviene invece
maggiormente con contatto mucoso. Le percentuali di sovrainfezione da contatto percutaneo sono comunque
basse perché entrano in gioco una serie di fattori: il vaccino contro l’epatite B che dà immunità certa se il
titolo anticorpale è superiore a 10 unità/L, per HCV entra in gioco prima di tutto la carica virale:c’è
differenza cioè tra una goccia di sangue o se ti sei imbrattato completamente di sangue,come può succedere
durante un intervento a cuore aperto dove non è la goccina di sangue ad andarti negli occhi o in bocca,
sempre se non tieni gli occhiali e la mascherina (perché ragazzi qua parliamo di infortuni, ma non parliamo
del fatto che nel 98% dei casi questi sono accaduti perché gli operatori non indossavano nemmeno le scarpe
antiscivolo: in sala operatoria non si va senza mascherina, non si va senza occhiali, non si va senza cuffia o
senza guanti, ancor di più se non c’è una condizione di protezione dall’epatite B, perché c’è una piccola
percentuali di voi che è non responders e quindi potrà fare anche il vaccino cento volte ma non si
immunizza.; quindi prima i dispositivi di protezione individuale, poi la tutela).

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Oltre alla descrizione della tipologia di rischio biologico, si tiene conto anche del livello di rischio biologico
su cui si basa un’altra classificazione:
-livello trascurabile: non c’è assistenza diretta al paziente e non vi è manipolazione dei campioni biologici; io
faccio l’esempio delle specializzazioni, in particolare degli specializzandi in medicina del lavoro o di igiene
(medicina legale no, perché gli operatori fanno le autopsie)che, a meno che non si dilettino a fare i prelievi,
risultano sottoposti a rischio biologico trascurabile;
-livello lieve: assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici: qui rientrano tutti i
reparti di un ospedale;
-livello medio: esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione, ad esempio interventi chirurgici in
sala operatoria;
-livello elevato: c’è assistenza diretta al paziente e manipolazione in prima persona di campioni biologici ma
in più ci sono condizioni tecniche, organizzative e procedurali insufficienti o sfavorevoli;
Domanda : un chirurgo si classifica come a rischio medio-alto?
Risposta : dipende…in genere è classificato a rischio medio alto, ma bisogna tener conto anche del tipo di
interventi che esegue: non in tutti i reparti in cui si fa chirurgia c’è questo rischio medio alto, il livello sarà
medio in una sala in cui quotidianamente si fanno interventi di ernia, alto in una in cui si fanno trapianti di
cuore.
E andiamo al caso clinico per rendere le cose più interessanti ( le lezioni sono strutturate in questo mondo
perché ci tenevo tanto che poi poteste avere un ricordo della medicina del lavoro come di qualcosa collegata
alla medicina interna, in effetti la nostra è una branca della medicina interna, dove senza le nozioni di
cardiologia, pneumologia, radiologia e ortopedia, non possiamo esercitare la nostra professione; quindi il
caso clinico, come lo avete visto in altre branche, viene presentato allo stesso modo anche qui, solo che oltre
all’anamnesi familiare e personale, c’è anche un’anamnesi lavorativa)
Medico di 50 anni attivo nella branca di microchirurgia ricostruttiva, presta attività lavorativa nel settore
ospedaliero da circa 15 anni. Ha un’anamnesi fisiologica senza grosse note (alvo e diuresi regolari, abitudini
voluttuarie normali,nega uso di alcol e stupefacenti,fuma 10 sigarette al giorno da 15 anni, riferisce di avere
assolto al servizio di leva, nega terapie farmacologiche in atto). L’anamnesi familiare rivela una negatività
per epatiti pregresse in atto (perché, come voi sapete, può capitare che in una famiglia ci sia più di un caso,
vista la facilità di trasmissione per la HCV- per HBV ormai siamo invece quasi tutti vaccinati-per abitudini
sessuali particolari o anche semplicemente andando dal barbiere o dall’estetista). All’anamnesi patologica
remota riferisce i CEI (comuni esantemi infantili: morbillo, parotite e varicella), non è vaccinato per HBV,
lamenta episodi frequenti di mialgie e lombalgie,iperfrequenti nelle realtà ospedaliere. Come sintomatologia
lamenta da circa due anni un’astenia aspecifica. Interventi chirurgici: appendicectomia e tonsillectomia in
età infantile. Infortuni lavorativi (domanda:hai mai avuto infortuni lavorativi?):ferita da taglio accidentale
durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciata come da protocollo di infortunio (
questo è un caso simile a quello che è realmente capitato a me,cioè quello di una specializzanda che ha
scoperto di avere l’epatite e ha ricordato di essersi tagliata, negli anni antecedenti alla scuola di
specializzazione,in un reparto di dialisi: solo quell’episodio nel suo background anamnestico si poteva
ricollegare a una pregressa infezione). Anamnesi patologica prossima( come stai adesso?): persistenza di
lieve astenia e calo ponderale, quindi segni molto aspecifici. E andiamo all’esame obiettivo: oltre a un dato
di peso, altezza e pressione arteriosa, si effettua, soprattutto in fase di visita preventiva, un esame obiettivo
generale per andare a osservare lo stato di salute clinica generale: andremo a fare un esame obiettivo del
cuore, del torace, con tutti quelli che sono i momenti (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) e
in particolare ci si concentra soprattutto su quell’organo dove immaginiamo di trovare un’alterazione
collegata al nostro agente di rischio lavorativo, che nel nostro caso è il fegato,che alla palpazione appare
debordante di 1 cm dall’arcata costale ,con una milza in questo caso nei limiti. Esami ematochimici: dati di
glicemia e azotemia bene o male nei limiti così come la creatininemia,AST e ALT 250 e U/l, quadro protido-

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elettroforetico nella norma. Voi avete già avuto nozione dei markers epatitici? Ce li rileggiamo insieme:il
nostro lavoratore presenza assenza di antigene Australia HbSAg, una presenza di HbSAb, un’assenza di
HbEAb e una presenza di anticorpi anti core HbCAb. Allora questo è un grafico omnicomprensivo (indica la
slide) che mi auguravo di trattare a mente fresca( in Finlandia i bambini iniziano a studiare a sette anni,
lavorano per 45 min e 15 min si riposano, voi siete più grandi ma già è passata un’ora e mezza di lezione),
quindi è meglio che questo ce lo andiamo a vedere nella prossima lezione.

(Carola Borrelli)

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Medicina del Lavoro 20/10/2014

Allora ragazzi la scorsa volta ci siamo lasciati descrivendo il caso clinico di un lavoratore di 50 anni attivo
nella branca … con un anzianità lavorativa di 15 anni, anamnesi fisiologica familiare e patologica remota
negativa, non vaccinato per hbv e con questa particolarità anoressica per il mercurio biologico avvenuta
durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciato come da protocollo infortunio sul
lavoro. Esame obiettivo per lo più negativo tranne che per una positività a livello epatico per una lieve
epatomegalia, ecg e spirometria nella norma. Gli esami ematochimici di primo livello chiesti da un medico
del lavoro furono l’azotemia, glicemia, creatinina ( ai limiti), le transaminasi con AST 150 ALT 250 per litro,
emocromo, QPE nella norma. Andiamo ai markers epatitici: Hbs Ag Assente, Hbs Ab presente, Hb Ab
assente, Hbc Ab presente. Ritroviamo una positività del nostro lavoratore per gli anticorpi contro l’
antigene australe Hbs Ag e una positività per gli anticorpi contro l’antigene del core. Compare dopo 2-4
settimane dal contagio, compare dopo all’incirca 5-6 mesi e viene sostituito dall’anticorpo Hbs Ab, può
esserci una piccola eccezione legata al periodo finestra di breve durata dove possono convivere l’Hbs Ab e
l’Hbs Ag ad indicare una condizione di infezione recente nei confronti della quale l’organismo sta reagendo
con la comparsa dell’anticorpo Hbs Ab. Per quanto riguarda l’anticorpo Hbc Ag è un antigene che non viene
rivelato nel sangue del paziente, ma compaiono gli anticorpi contro questo antigene. Invece l’ HbE Ag è un
antigene che si ritrova nel sangue del paziente ed è associato al concetto di non proiettività in atto. Nei
confronti del Hb E Ag compaiono Hb E ab. Gli anticorpi contro il core possono essere di due tipi IgM o IgG a
seconda se l’infezione risulti recente o meno. Nel caso del nostro lavoratore il dosaggio di IgG, che molto
raramente sono compresenti con gli antigeni, ci andava ad indirizzare verso un infezione di vecchia data. La
presenza esclusiva degli Hbs Ab e l’assenza di tutti gli altri marcatori antigenici e anticorpali depone oggi
per un ragazzo di 25 anni per una pregressa vaccinazione, in tal modo i medici del lavoro valutando il titolo
anticorpale possono proteggere il lavoratore dal contatto con nuovi virus in sala operatoria o in altre
strutture sanitarie e allo stesso tempo valutare se effettuare una 4° dose di richiamo della vaccinazione
oppure ricominciare il ciclo. Il nostro lavoratore presentava una positività contemporanea degli anticorpi
anti-Hbv per una pregressa infezione e anti-Hcv, le indagini di secondo livello che vengono effettuate
dosaggio dell HCV-Rna e la collaborazione dello specialista. L’infettivologo richiederà un dosaggio quali e
quantitativo del Hcv-Rna ed un ecografia epato-splenica oltre ad effettuare una visità clinica. Andiamo alla
diagnosi di pregressa infezione da Hbv e di infezione in atto da Hcv, il medico del lavoro invierà il paziente al
centro infettivo logico, al medico del lavoro arriverà la certificazione specialistica che impugnerà per
decidere cosa fare in merito al giudizio di idoneità.

Ciò che interessa al medico del lavoro è la valutazione dello stato di infettività del lavoratore non solo per
una sovra infezione a terzi ma ciò che può succedere al nostro lavoratore stesso. Viene attribuito un
giudizio di inidoneità temporale per procedure invasive svolte in prima persona, tra le quali annoveriamo :
interventi in osso, interventi chirurgici che espongono il lavoratore ad elevate quantità di sangue. Altre
motivazioni la terapia con l’interferone può comportare cefalea, astenia, febbre, queste condizioni
favoriscono l’insorgenza di infortuni nelle sale operatorie. Per tanto il lavoratore viene allontanato dalla
sala operatoria con un giudizio di revisione a 3 mesi e la successiva gestione del giudizio viene ad essere
valutata in base alla progressione della patologia, remissione dell’epatopatia, valutando quindi valori e
andamento delle transaminasi e della replicazione virale associata ad un esame clinico accurato. Il decreto
81 è in merito alla gestione del rischio biologico, in particolare degli agenti patogeni presenti in ambiente
ospedaliero, i lavoratori per i quali viene evidenziato un rischio biologico vengono regolarmente sottoposti
a sorveglianza sanitarià, il datore di lavoro su parere del medico del lavoro adotta misure protettive
particolari. Qualora il medico del lavoro richieda guanti antitaglio per ridurre al minimo la possibilità di
taglio e quindi la possibile sovra infezione da agenti biologici. Il medico del lavoro contatta il datore di

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lavoro, gli chiede l’acquisto di questi guanti e allora il datore è obbligato secondo il titolo 10 articolo 179
comma 2a a fornire dispositivi di protezione individuale adeguati al rischio.

Rapidamente parliamo del vaccino HBV, vaccino sintetico costituito da Dna ricombinante, fatto un ciclo
completo la percentuale di siero conversione è del 95%. Mi è capitato di visitare grossi gruppi di lavoratori
provenienti dal casertano, dalla medesima asl, che nonostante il ciclo completo di vaccino presentavano un
titolo anticorpale bassissimo rientrando nella piccola percentuale di non responders. Tutto ciò è dovuto
essenzialmente a un problema dei lotti di vaccini forniti in quelle zone. La durata della protezione varia tra
5-10 anni, le nuove linee guida di malattie infettive ribadiscono che la protezione dell’individuo è tale per
valori di Hbs Ab superiore a 10 unità per litro, per tanto è possibile quando presenti questi valori evitare di
effettuare il 4° richiamo vaccinale mantenendo intatta la protezione. La vaccinazione per HBV è
raccomandata, ma non obbligatoria, per vari operatori socio-sanitari, personali di assistenza in casa di cura
privata,trasfusi o emodializzati e conviventi con pazienti affetti da epatite B cronica hanno diritto ad avere il
ciclo vaccinale completo per legge dal medico di famiglia. Di fondamentale importanza è la sensibilizzazione
nei confronti di un virus che è facilmente contraibile, sia in ambiente sanitario che all’esterno vista la sua
trasmissione ematica o sessuale in base allo stile di vita e vista la grande diffusione dei virus B e C in
Campania. Il protocollo (le analisi strumentali ed ematochimiche) che rientrano nella sorveglianza sanitaria
del lavoratore esposto ad agenti patogeni virali sono : esami ematochimici di base (azotemia glicemia
transaminasi creatinemia emocromo) e i markers del epatite B e C, esami di secondo livello: Hbv-dna e Hcv-
Rna.

Andiamo ora all’INFORTUNIO BIOLOGICO.

In occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure preventive previste dal
programma di sorveglianza sanitaria. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago), immediatamente
aumentare il sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare. In caso di contaminazione di
mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente abbondante. In caso di
contaminazione di cute lesa vista la maggiore probabilità di super infezione anche qui lavare con acqua e
sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità. La diversità è solo per le mucose dove si va
immediatamente a detergere per andare a diluire la carica microbica che è entrata in contatto con le
mucose. Cosa fare dopo ? Immediatamente rivolgersi ad un agente preposto come caposala, docente,
direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e sarete immediatamente inviati verso il
pronto soccorso che vi rilascerà un referto di infortunio biologico senza il quale non può essere attuato il
follow-up sierologico presso la medicina del lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento che ci permette di capire se è
avvenuta una sovra infezione da HBV HCV o HIV. Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post-
esposizione quando abbiamo un titolo anticorpale inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV.
Quando un operatore viene a contatto con un soggetto HIV + a seguito dell’esposizione per azzerare il
rischio di trasmissione virale bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la
somministrazione di farmaci antivirali al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività
del paziente. Bisogna recarsi per attivare questo tipo di procedura in pronto soccorso che dovrebbe essere
munito di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.

TUBERCOLOSI

Si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia coinvolta nella problematica della tubercolosi
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Attualmente nell’ anno 2008 si stimano circa 193 nuovi casi per
centomila abitanti, sebbene i nuovi casi avvengano nelle regioni endemiche . Dal punto di vista
epidemiologico la diffusione dell’infezione tubercolare si localizza principalmente in SudAfrica e in Russia

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con casi di incidenza molto più alti che in Europa. Il primo caso che ha destato allerta in Italia nel 2011 si è
verificato per un infermiera del reparto di pediatria dell’Umberto I di Roma che era strutturato da più di 10
anni, ma non era stata sottoposta a sorveglianza sanitaria e per tanto aveva contratto la patologia. I medici
del lavoro romani furono inquisiti. Da questo caso di tubercolosi in fase attiva è derivato tutto quello che si
sta facendo oggi in tutta Italia per gestire la problematica della tubercolosi. In Italia la tubercolosi è una
problematica in aumento rispetto al passato con un aumento di 10 casi per 100000 abitanti con maggior
incidenza nel nord Italia rispetto al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a flussi migratori nelle regioni del
Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est, mentre in altre zone di
Europa l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori provenienti dall’Africa. Il numero dei
casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle regioni del Nord Italia, ma maggiore
rispetto alle regioni del Sud. Nel 2012 in collaborazione con il prof. Moscatiello primario di pneumologia
abbiamo stilato le linee guida del nostro ateneo per la gestione dei casi di tubercolosi per la multifarmaco
resistenza che i ceppi tubercolari presentavano. Causata dal Micobatterium Tuberculosis di cui fanno parte
una sequela di altri micobatteri tra cui il principale è rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis
Hominis. E’ un patogeno intracellulare, con caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che
gli connota una peculiare acido resistenza insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e
alla reazione di ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux. Il bacillo di
Koch difficilmente determina l’instaurarsi di una infezione laringea e polmonare perché la tubercolosi è
una patologia che nel 95% dei casi si manifesta in fase latente e solo nel 5 % dei casi in forma cavitaria che
corrisponde alla tubercolosi in fase attiva. La probabilità di evoluzione di una forma latente in una forma
cavitaria aumenta nei dieci anni successi al contagio, per tanto il medico del lavoro è tenuto a sorvegliare
tutti i lavoratori al fine di impedire la riattivazione della patologia. La trasmissione della tubercolosi avviene
per via aerea tramite gocce di saliva di piccolissime dimensioni diffuse nell’area : pflugge, starnuto, tosse o
catarro, anche se la trasmissione dipende principalmente dalla concentrazione nell’area del bacillo, per
tanto pazienti allettati in luoghi di piccole dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono
trasmettere il bacillo. Quali sono le problematiche di gestione del medico del lavoro ? Sono la scoperta in
visita preventiva o periodica di una condizione di tubercolosi in fase latente più raramente in fase attiva.
Come viene fatta la diagnosi ? In condizione di tubercolosi in fase attiva con la clinica caratteristica si
indirizzano i pazienti dagli pneumologi, si effettuano una serie di esami tra cui quello fondamentale è
l’esame colturale che ci da una risposta certa in 4-8 settimane oppure per altri tipi di terreni 2-3 settimane.
Per diagnosi di malattia latente si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si iniettano dosi di
tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione ponfoide nel derma della faccia volare dell’avambraccio
del lavoratore sottoposto. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il bacillo tubercolare la positività
della reazione di Mantoux si appaleserà come un reazione di ipersensibilità di 4°grado. Ci sono dei cut-off
utilizzati per la misura del diametro del ponfo e quindi la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o
meno. Questi diametri sono variabili a seconda dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore.
Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio latente oppure operatori sanitari del Cotugno a contatto con
pazienti allettati affetti da tubercolosi presenteranno dei cut-off differenti rispetto ad un soggetto che non
ha mai avuto contatto con il bacillo. In questi casi il diametro della reazione ponfoide sarà superiore ai 5mm
ancor più se abbiamo a che fare con immigrati provenienti da aria d’Africa a prevalenza di malattia. La
positività alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche quando
apparentemente il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. L’art. 17 coma 1
decreto 81-2008 (non sono sicuro) obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica TBC in ambiente
ospedaliero, obbliga ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico del lavoro almeno una
volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano automaticamente una serie di

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indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria. Questa visita va effettuata per tutti i
contatti lavorativi che sono venuti a contatto con il lavoratore affetto dalla patologia.

Come fa un medico del lavoro a sapere quando e con che intervallo visitare un lavoratore esposto al bacillo
di Koch ? Nel documento di valutazione del rischio il medico del lavoro è obbligato a fare un indagine
epidemiologica dell’ ospedale interessato basandosi su un concetto che ha al centro il numero di casi di
lavoratori affetti da TBC nell’anno. Secondo le linee guida se abbiamo in un ospedale meno di 3 casi l’anno
parliamo di rischio basso o bassissimo,(per la prof. va distinto la fascia di rischio basso da quello bassissimo
perché entrambi connotato un rischio non elevato, ma danno un segnale di allarme differente),nel rischio
intermedio e alto rientrano ospedali dove il numero di casi l’anno risulta essere maggiore e non si fa solo
scoperta di patologia tramite fibrobroncoscopia come avviene negli ospedali del nostro ateneo dopodiché i
pazienti vengono inviati al Cotugno dove ci sono le degenze per i pazienti tubercolotici.

Andiamo a trattare la chemioprofilassi, vaccinazione e dispositivi di protezione individuale.

La sorveglianza sanitaria viene effettuata per la TBC in sede di visita preventiva, periodica o in seguito
all’esposizione con pazienti affetti. I dottorandi, specializzandi e strutturati della chirurgia toracica dopo
essere entrati in contatto con i pazienti affetti da TBC sono rientrati negli elenchi della sorveglianza
sanitaria inviati dalla direzione sanitaria, che effettua indagine e analisi dei contatti, li invia ai medici del
lavoro che eseguono i controlli periodici effettuati al punto zero e ripetuti ogni 60 giorni, perché la
letteratura ci dice che potremmo trovare un falso negativo al punto zero che diventa un vero positivo
nell’arco dei 60 giorni successivi alla prima visita. Tutti i contatti vengono sottoposti a doppia Mantoux al
punto zero e dopo 60 giorni. Una risposta alla tubercolina superiore a 10 può verificarsi in un lavoratore che
ha eseguito la vaccinazione, però il vaccino con il bacillo di CG non viene più proposto in maniera
obbligatoria perché gli studi epidemiologici effettuati nel 2009/2010 hanno stabilito che il vaccino non
avesse un immunità nei confronti del bacillo, perché la popolazione successivamente sottoposta a Mantoux
si presentava completamente negativa. Quindi l’immunità nei confronti del bacillo di Koch non si era
realizzata per cui il vaccino viene proposto esclusivamente in due casi : per la popolazione pediatrica entro
5 anni nelle zone dove la TBC è endemica e nei lavoratori che si ritrovano ad alto rischio di contagio per la
TBC, soprattutto in condizione di immunodeficienza e multi farmaco resistenza. DOMANDA DI ESAME : La
vaccinazione con il Bacillo di CG non viene più effettuata a tappeto per il personale sanitario? La
prevenzione si fa con la proposta della intradermoreazione di Mantoux che va a slatentizzare una
condizione di Tubercolosi latente a cui segue chemioprofilassi tramite consenso informato. L’unica misura
di prevenzione non è più la vaccinazione, ma la Mantoux una volta sola. ALTRA COSA IMPORTANTE : Oggi la
Mantoux va abbinata con un altro test che ha elevata sensibilità e specificità (intorno al 95-98 %) i test
IGRA, in cui non si va ad iniettare tubercolina,ma si va a dosare direttamente nel sangue l’interferon gamma
rilasciato dai leucociti come segnale del pregresso contatto con il bacillo di Koch. Solo quelli che non hanno
avuto il contatto presentano nel sangue l’interferone gamma che viene dosato.

Perché non si sostituisce la Mantoux con il test IGRA che ha una specificità e sensibilità superiore di circa
300 volte rispetto alla Mantoux ? Perché non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta scala, cioè in
tutta la popolazione. Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa vaccinazione o tramite
un contatto che non si è a conoscenza, solo tramite test IGRA possiamo avere la certezza del contagio. Se
l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione radiologica e pneumologica, se il test IGRA è
negativo l’iter diagnostico si conclude. La cosa fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del
test IGRA si fa diagnosi certa di TBC latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test
IGRA negativo possiamo escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch. Purtroppo il

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test IGRA non può essere effettuato su vasta scala perché ha un costo proibitivo, si promuove nelle realtà
ospedaliere dove il medico del lavoro può richiederla al datore di lavoro poiché il numero del personale da
analizzare risulta ristretto a 100-150 persone.

NOZIONI SPECIALISTICHE :

Se abbiamo una Mantoux positiva in visita preventiva, questa sarà sempre un vero positivo e si procederà
in visita periodica proponendo il test IGRA.

Valori borderline di 0.35 di Quantiferon comportano una ripetizione a 3 mesi perché questi valori devono
essere poi riconfermati a 6 mesi. Quindi il medico del lavoro deve riconvocare una piccola percentuale di
persone borderline, perché questi possono diventare francamente positivo e quindi andare incontro a
chemioprofilassi.

In conclusione la collaborazione del medico del lavoro, pneumologo e direzione sanitaria della realtà
ospedaliera permette di gestire anche e soprattutto i casi di TBC in fase attiva con i quali il lavoratore può
venire a contatto. Questi punti rientrano nel programma di formazione e informazione in cui al lavoratore
viene spiegato cosa fare quando viene a contatto con il bacillo di Koch, quali dispositivi utilizzare, quale iter
seguire e quali controlli fare a 0 e 60 giorni per infezione tubercolare. Quindi la sola sorveglianza sanitaria
non è sufficiente a ridurre al minimo l’incidenza di infortuni e malattie professionali, fondamentale in
questo sistema sono la valutazione dei rischi, la prevenzione, protezione, formazione e informazione sul
rischio. Quindi il primo momento del sistema sicurezza significa visitare il lavoratore a rischio biologio,
mentre il secondo momento è informare e formare il lavoratore sui rischi.

LA TUTELA DELLA DONNA LAVORATRICE IN STATO DI GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO

Il decreto cardine che tutela la donna in stato di gravidanza è il decreto 151 del 2001 inserito all’interno del
testo unico 81 del 2008. Excursus storico : nel 1948 entra in vigore la Costituzione che sancisce l'
eguaglianza storica tra uomo e la donna, 1977 divieto di discriminazione in accesso al lavoro per la
formazione e retribuzione della donna , nel 1994 1999 e 2000 con la legge 53 riconoscono nella donna in
gravidanza e allattamento il diritto al congedo di maternità e congedi parentali (congedi per malattia dei
figli). Fino ad arrivare al 2014 in cui il numero di lavoratrici donne aumenta sempre più nel tempo.

LEGGI DI TUTELA

La legge 120 del 1971, la legge 53 del 2000 e la legge 151 del 2001 tutelano la donna lavoratrice in periodo
di gravidanza e allattamento. La tutela per la lavoratrice in stato di gravidanza e allattamento non
comprende solo i 9 mesi di gravidanza, ma fino ai 7 mesi successivi al parto. La comunicazione di stato di
gravidanza va effettuata dalla lavoratrice immediatamente al suo riconoscimento certo in qualsiasi attività
lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto venendo a conoscenza dello stato della lavoratrice a tutelare per i
primi 30-45 lo sviluppo e l'integrità del bambino allontanando la lavoratrice da qualsiasi agente teratogeno.
Quindi è necessario e fondamentale dichiarare con imminenza lo stato di gravidanza al dirigente preposto o
datore di lavoro. Il datore di lavoro quando viene a conoscenza dello stato di gravidanza se è possibile
modifica la mansione della lavoratrice oppure cambiare la mansione della lavoratrice. Quando il datore di
lavoro non può cambiare mansione della lavoratrice, come può accadere nelle industrie tessili dove la
maggior parte del lavoro è manuale a contatto con numerose sostanze alcune teratogene, fa un esposto
all'ispettorato provinciale del lavoro chiedendo l'allontanamento della lavoratrice da quel determinato
fattore di rischio. La lavoratrice che non può svolgere altra mansione rimarrà a casa percependo il suo
salario, questa è la novità del decreto 151 del 2001 che tutela in pieno lo stato di gravidanza andando a

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farsi che la donna non perda la sua attività lavorativa e allo stesso tempo venga tutelata la salute del feto.
Nel momento in cui si verifica questa condizione scatta quella che si chiama interdizione anticipata per
maternità. Questa interdizione ovviamente si verifica per quelle donne con alti rischi lavorativi.

La legge 151 del 2001 prevede due allegati uno A e B dove vengono descritti tutti i lavori a cui la lavoratrice
non può essere più sottoposta. La lavoratrice in stato di gravidanza non può essere sottoposta a vibrazioni
meccaniche o a movimentazioni da manovale di carichi pesanti che comportano rischi a livello dorso-
lombare, non può essere più sottoposta a strumentazioni rumorose e assolutamente non può essere
esposta a radiazioni ionizzanti superiori a 1 millisider, non può essere sottoposta a sollecitazioni termiche
(es: Vigili del fuoco) e agenti biologici da 2 a 4 della classificazione che abbiamo visto l'ultima volta per i
quali esistono o meno misure profilattiche nei confronti dei vari agenti biologici. Lo stesso discorso vale per
gli agenti chimici come metalli e sostanze chimiche etichettate come tossiche. Il decreto 151 2001 dice che
qualsiasi lavoratrice non può essere obbligata ad effettuare il turno notturno,dalle 24 alle 6 del mattino,
fino ad un anno di vita del bambino, inoltre fino all'età di tre anni può facoltativamente scegliere di fare o
meno il turno notturno, allo scoccare del terzo anno dovrà sottoporsi al turno notturno a meno che non sia
esente per altre patologie.

CONGEDO OBBLIGATORIO PER MATERNITA'

Il COM scatta automaticamente due mesi prima del parto (a partenza dal settimo mese) e per i tre mesi
successivi alla nascita del bambino (con un ammontare totale di 5 mesi) indipendentemente dall'attività
lavorativa svolta. Il COM può essere anticipato qualora ci siano delle condizioni pregiudizievoli nei confronti
della gravidanza alle quali non è possibile effettuare una riorganizzazione lavorativa. Nessun datore di
lavoro può obbligare la donna a lavorare per i 5 mesi di COM, la quale sarà normalmente retribuita. Altra
condizione di congedo anticipato per maternità, differente da quella precedente in cui il congedo era
anticipato per fattori di rischio lavorativi in caso di mancata riorganizzazione, si verifica quando ci troviamo
di fronte ad gravidanza a rischio. La lavoratrice con certificato di visita ginecologica che attesta il rischio di
aborto e l'incompatibilità con il lavoro svolto può godere del congedo anticipato rimanendo a casa la stessa
giornata del rilascio e ritornare sul posto di servizio tre mesi dopo la nascita del bambino. La lavoratrice se
vuole può continuare a lavorare fino all'ottavo mese di gravidanza, previa certificazione ginecologica e
accettazione della domanda da parte del medico del lavoro della struttura a cui afferisce, utilizzando il
concetto di flessibilità del congedo. Ciò comporta di rimanere a casa con il nascituro per 4 mesi dopo il
parto anzichè 3 mesi, recuperando il mese avendo posticipato il congedo.

ASSENZE RETRIBUITE NEL PERIODO POST-GRAVIDANZA

Se si prevede un orario di lavoro superiore alle sei ore la legge prevede un riposo di due ore se invece
inferiore alle sei una sola ora di riposo, per i parti gemellari questo valore va raddoppiato o triplicato. L'art.
28 DL. 81/2008 dice che il datore di lavoro nel diaro del documento di valutazione del rischio deve avere un
capitolo a parte sulla gravidanza e sulla gestione della gravidanza se non lo fa incombe in una causa penale
e una sanzione superiore a 15000 euro per danno biologico. Nella relazione il datore di lavoro oltre ad
indicare le persone a rischio deve specificare, quali sono le misure per gestire la gravidanza, quali sono le
procedure immediate e quali sono le persone incaricate a gestire la condizione di gravidanza da parte della
lavoratrice.

Mi scuso per tutti gli eventuali errori. In Fede

FORZA NAPOLI <3 1926 <3 Luigi Giugliano

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Medicina del Lavoro 27-10-2014

Prof.ssa Monica Lamberti

DANNI DA ESPOSIZIONE A STRUMENTI VIBRANTI (Prima parte)

Tratteremo oggi i danni da esposizione a strumenti vibranti in ambienti di lavoro, sempre


nell’ambito degli agenti di rischio fisico occupazionali. Allora facendo un breve excursus sulle
caratteristiche delle vibrazioni,le caratteristiche fisiche di una vibrazione sono l’ampiezza espressa
in metri,la velocità espressa in m/s e la frequenza intesa come numero di oscillazioni al secondo.La
misura che definisce la frequenza di una vibrazione è l’Hertz.Quindi ampiezza,velocità,frequenza.
Secondo Misner le frequenze delle vibrazioni che determinano patologie occupazionali si dividono
in basse,medie e alte frequenze.Le basse frequenze sono quelle che vanno da 0 a 2 Hz e sono
associate a mezzi di trasporto come automobili,navi e aerei. Determinano nel gruppo di lavoratori
che ne è esposto il cosiddetto Mal dei trasporti.Le medie frequenze che sono quelle che vanno dai
2 ai 20 Hz associate a macchine di impianti industriali come trattori,come gru,come scavatrici
determinano effetti su tutto il corpo,in particolare osteopatie.Le vibrazioni ad alta frequenza sono
vibrazioni caratterizzate da una frequenza superiore ai 20 Hz e intendiamo per queste strumenti
vibranti come lo scalpello,le perforatrici e il martello pneumatico.Inducono patologie
angioneurotiche e osteoarticolari.Determinano la cosiddetta patologia distrettuale perché vengono
utilizzati dalla mano destra per i destrimani e dalla mano sinistra per i non destrimani e sono quelle
che interessano la Medicina del Lavoro.Quindi riassumendo: patologie che interessano tutto il
corpo sono determinate da basse e medie frequenze,patologie distrettuali sono causate da
vibrazioni ad alta frequenza. Le patologie da vibrazioni che si trasmettono a tutto il corpo (bassa e
media frequenza) vanno a interessare l’apparato osteoarticolare e l’apparato oto-
vestibolare.L’interessamento di quest’ultimo determina una iperstimolazione a livello
vestibolare,quindi a livello dei canali semicircolari determinando appunto disturbi dell’equilibrio
che si ritrovano frequentemente nei lavoratori che sono esposti a basse e medie frequenze.Anche
gli impulsi afferenti dai meccanocettori cutanei e sottocutanei dalle zone mesenteriche e
addominali giocano un ruolo nell’insorgenza della patologia total body collegate alle vibrazioni a
frequenza bassa e media.E andiamo ai danni al sistema osteoarticolare.La colonna vertebrale è la
struttura che maggiormente risente delle vibrazioni total body, in particolare, questo tipo di
vibrazioni determinano una ipersollecitazione a livello del tratto lombare,dorsale e cervicale.Questi
lavoratori possono lamentare più facilmente rispetto ad altri una patologia a livello cervicale e
lombosacrale.Cosa ne deriva?Ne deriva una riferita lombalgia o lombosciatalgia
cronica,slatentizzazioni di ernie o di soluzioni discali soprattutto a livello del tratto lombare e non
da ultimo alterazioni precoci degenerative a livello del rachide lombari questi lavoratori
presentano condizioni di artrosi pregressa e ingravescente.Quindi in età giovanile se sottoposti già
all’utilizzo senza sistema di prevenzione e sicurezza degli strumenti vibranti vanno incontro ad
artrosi pregressa e ingravescente legata al lavoro,dunque di origine occupazionale. E andiamo alla
patologia distrettuale dovuta agli strumenti vibranti.L’utilizzo di martello pneumatico,scavatrici
possono determinare un insieme di disturbi neurologici,vascolari e osteo-articolari che riguardano
in particolare il sistema mano-braccio,quindi collegati ad utensili vibranti ad alta frequenza.E’ chiaro
che ci sono dei fattori che favoriscono l’insorgenza della patologia distrettuale collegati sia alla
modalità d’utilizzo dello strumento vibrante,sia alle caratteristiche peculiari del soggetto che lo
utilizza.Andiamo a vedere quali sono questi fattori determinanti e quindi l’insorgenza della
patologia distrettuale.
Le caratteristiche delle vibrazioni la frequenza,l’ampiezza sono collegate all’insorgenza di una
diversa patologia

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Le caratteristiche delle esposizioni quindi per quanto tempo viene utilizzato quello
strumento,quell’utensile sono collegate chiaramente maggiormente per quelli che lo utilizzano tutti
i giorni all’insorgenza di una patologia distrettuale.Ancora un altro fattore importante è il fattore
biodinamico e cioè come viene mantenuto l’utensile durante lo svolgimento della propria attività
lavorativa,che tipo di forza di prensione viene utilizzata e se questa modalità di utilizzo che è tipica
del singolo lavoratore può più facilmente far insorgere un microtraumatismo a livello delle falangi
acrali delle mani.Fattori ambientali quindi una condizione di microclima sfavorevole che si associa
principalmente ad un utilizzo errato dell’utensile può favorire l’insorgenza della patologia
distrettuale.Patologie preesistenti,quindi condizioni di ipersuscettibilità come malattie vascolari,
come pregressi traumi e lesioni a livello delle falangi distali della mano possono favorire
l’insorgenza di una patologia distrettuale da strumenti vibranti.
E andiamo alle principali attività lavorative dove appunto questa problematica clinica può
manifestarsi più frequentemente: settore dell’edilizia,settore metalmeccanico,le
fonderie,l’industria del legno e anche il settore terziario quindi agricolo forestale.Quali sono quindi i
danni che si associano più frequentemente alle esposizioni alle vibrazioni ad alta frequenza?Lesioni
di tipo vascolare,lesioni di tipo osteo-articolare,lesioni di tipo neurologico e lesioni di tipo
tendineo.Andiamo ad analizzare prima le lesioni vascolari.Caratteristica fondamentale dell’utilizzo
protratto in condizioni di non sicurezza degli strumenti vibranti è l’insorgenza del fenomeno di
Raynauld del tipo secondario.Come ben sapete il fenomeno di Raynaud è caratterizzato da un
arresto transitorio che si slatentizza dopo particolari esposizioni(es freddo) del flusso arterioso delle
zone acrali delle mani e andiamo appunto a vedere quali sono le condizioni predisponenti dei
lavoratori che utilizzano questa tipologia di utensili,condizioni predisponenti all’insorgenza del
fenomeno di Raynaud secondario, perché secondario?Perchè collegato appunto all’utilizzo di
strumenti vibranti.Una condizione cronica di riduzione del flusso sanguigno, dell’ipotensione
arteriosa oppure una stenosi a livello vasale a monte delle arteriole che irrorano le falangi distali
possono favorire,in lavoratori predisposti un fenomeno di Raynaud secondario all’utilizzo di
strumenti vibranti.E andiamo ai vari stadi.Questa classificazione di Stoccolm ci va a rappresentare
quelle che sono le fasi che si evidenziano nei lavoratori che utilizzano strumenti vibranti.Nello
stadio zero non si riferiscono sintomi vaso-spastici quindi non c’è una sintomatologia suggestiva di
fenomeno di Raynaud.Negli stadi successivi,quindi dallo stadio uno in poi si evidenziano fenomeni
di pallore all’estremità di uno o più dita.Nello stadio 2 si evidenziano episodi di pallore alle falangi
distali ed intermedie di tre o quattro dita fino ad arrivare agli stadi 3 e 4 dove oltre al danno legato
all’ipoafflusso sanguigno si manifestano segni distrofici a livello cutaneo e quindi siamo in fase di
malattia professionale da utilizzi di strumento vibrante per la quale si attiva un iter di denuncia di
malattia professionale all’INAIL per cui il lavoratore se dimostra che ha contratto questa patologia
al lavoro viene indenizzato per questa malattia professionale che risulta da causa lavorativa.Quali
sono le indagini che vanno ad approfondire una lesione vascolare come il fenomeno di Raynaud?Ce
ne sono tante.Alcune sono di facile esecuzione e sono le prove termiche e dinamiche che possono
essere fatte anche in un laboratorio di medicina di base,altre richiedono l’utilizzo di
apparecchiature più sofisticate come la fotodismografia(?) e la capillaroscopia.Andiamo a spiegare
prima le prove termiche e le prove farmaco-dinamiche.La prova termica o cold test si basa sul
concetto di slatentizzazione del fenomeno di Raynaud collegato a immersione delle mani in acqua
fredda(circa 10 gradi) da uno a cinque minuti in ambiente confortevole con astensione da fumo di
tabacco che potrebbe dare un falso negativo da almeno un’ora e quello che si va a visualizzare, a
valutare che ci permette di fare diagnosi di fenomeno di Raynaud secondario è il recupero della
irrorazione a livello delle falangi distali che normalmente in una tempistica di 20-25 minuti,in un
lavoratore che presenta fenomeno di Raynaud secondario a utilizzo di strumenti vibranti senza
misure di prevenzione e sicurezza adeguate,questi tempi si allungano di molto.Quindi la tempistica
della non irrorazione che avviene dopo mezz’ora si va a fare diagnosi di fenomeno di Raynaud

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secondario.Sullo stesso principio si basa il test farmaco-dinamico: vengono proposti al lavoratore
derivati della nitroglicerina,in particolare la trinitroglicerina.In condizioni di riposo,il lavoratore
ingerisce la trinitroglicerina a livello sublinguale e i tempi di recupero dell’irrorazione a livello delle
falangi distali vengono valutati come normali o come patologici e quindi collegati all’utilizzo di
strumenti vibranti. Ci sono poi altre apparecchiature come la capillaroscopia e la (?) che a volte
vengono associate a queste prove farmacologiche e chiaramente si richiede l’acquisto di queste
strumentazioni per fare una diagnosi più approfondita.Quando il medico del lavoro fa diagnosi di
fenomeno di Raynaud secondario si richiede il supporto dello specialista in questo caso il
reumatologo che con l’indagine capillaroscopica ci va a mostrare un’alterazione a livello delle
falangi acrali e sarà un’alterazione morfologica,quindi di forma dei capillari e di numero.La
relazione che lui ci mosterà ci permetterà di fare le nostre considerazioni in merito al giudizio di
ideoneità alla mansione di quel lavoratore.Abbiamo quindi analizzato le lesioni vascolari dovute
all’utilizzo di strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo a approfondire gli altri danni che si
possono verificare nel lavoratore che utilizza strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo alle
lesioni osteoarticolari. A livello del semiunare si possono verificare lesioni vacuolari e a livello del
gomito come vi ho detto una condizione di artrosi pregressa e ingravescente che avviene in età
giovanile e ha un andamento che difficilmente risponde alla terapia. Quindi a livello dell’Rx del
gomito andremo a evidenziare quelli che sono i segni di un’artrosi a livello appunto del gomito
quindi la presenza di esostosi e osteofiti.Altra lesione osteoarticolare che ci troveremmo a
osservare nell’ambito del nostro esame obiettivo saranno alterazioni sempre di tipo artrosico
quindi degenerativo a livello dell’articolazione acromio-clavicolare e scapolo-omerale.Questi
distretti insieme al fenomeno di Raynaud vanno valutati sempre sia in visita preclinica che in visita
periodica da noi medici del lavoro.E andiamo alle lesioni di tipo neurologico.Un altro fenomeno
molto frequente è la sindrome del tunnel carpale.Il lavoratore manifesterà alterazioni a livello della
sensibilità tattile e termica,alterazioni legate all’interessamento del nervo mediano e ulnare con
conseguenti variazioni della velocità di conduzione sensoriale e ulnare.Le indagini che andremo a
effettuare sono in prima istanza l’elettromiografia e i potenziali evocati. E quindi l’elettromiografia
come indagine principale per la diagnosi di tunnel carpale perché l’utilizzo protratto,cronico dello
strumento vibrante va a determinare una paralisi del nervo mediano secondaria alla compressione
del nervo stesso collegata ad un edema flogistico da utilizzo protratto dello strumento vibrante con
conseguente insorgenza della sindrome del tunnel carpale.L’ultimo danno potenziale
nell’utilizzatore di strumenti vibranti sono le lesioni tendinee.Quelle più frequenti sono lesioni a
livello dell’olecrano e delle mani.A livello dell’olecrano si possono osservare dei tipici speroni ossei
che si possono ritrovare a livello radiologico e che ci permettono di confermare il dato anamnestico
e semeiologico effettuato sui lavoratori e che è necessario richiedere per fare diagnosi di lesione
tendinea da utilizzo di strumenti vibranti.Alle lesioni tendinee si può associare il morbo di
Dupuytren quindi la retrazione dell’aponeurosi palmare è un altro fenomeno che si può
evidenziare.Un’ultima patologia distrettuale dovuta all’utilizzo di strumenti vibranti è la flebo-
trombosi a livello del distretto succlavio-maxillo-brachiale nei lavoratori che utilizzano lo strumento
vibrante lavorando sempre con l’avambraccio e il braccio lontani rispetto al corpo,quindi lavoratori
che non seguono un corso di formazione adeguato,che non hanno i guanti per ridurre al minimo la
trasmissione delle vibrazioni a livello delle mani e dell’avambraccio possono incorrere anche in una
flebo-trombosi a livello succlavio maxillo brachiale.

E andiamo alle legislazione.Il decreto legislativo 81/2008 descrive tutto ciò che io vi ho raccontato fino ad
adesso dando all’articolo 7 delle indicazioni su come far lavorare i lavoratori in sicurezza nell’esposizione
da vibrazioni e che riguardino il sistema mano-braccio e che riguardino il corpo intero.E quindi andiamo a
questi valori limiti di esposizione e valori di azione. Come vi ha spiegato il prof Sannolo ci sono dei valori
limiti di soglia per gli agenti di rischio chimico a cui si può essere esposti in ambiente di lavoro oltre i quali la

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letteratura scientifica internazionale ci dice che possono esserci dei danni organici nei lavoratori.Lo stesso
vale per tutti gli altri agenti di rischio.Se ci riferiamo alle vibrazioni io andrò a cercare un parametro,un
numero associato ad un’unità di misura.Il decreto 81/2008 dice che il valore massimo di esposizione
giornaliera a vibrazioni total body è riferito a una giornata di otto ore al giorno per quaranta ore
settimanali.Quindi per il sistema mano-braccio il decreto dice che per una giornata di otto ore questo
valore limite di esposizione deve essere di 5 metri a secondo quadrato. Un altro concetto che dovete
apprendere è il valore d’azione giornaliero significa quel range che non deve essere mai superato per far sì
che potenzialmente non si abbia l’insorgenza di tutti quei danni clinici di cui abbiamo parlato fino ad
adesso.Quindi l’81/2008 dice che il valore massimo d’esposizione è di 5 m al secondo quadrato ma dice al
datore di lavoro “attieniti sul valore d’azione che è 2,5 metri al secondo quadrato,e non superare mai i 5”.Si
dice valore di azione perché è il valore che fa scattare l’azione preventiva. Lo stesso vale per le vibrazioni
che si trasmettono a tutto il corpo,sono parametri ancora più bassi e quindi il valore che fa scattare l’azione
è di 0,5 metri al secondo quadrato e non deve superare mai 1 metri al secondo quadrato.Quindi per 8 h al
giorno l’entità delle vibrazioni non deve essere mai superiore per tutto il corpo a 1 e per il sistema mano-
braccio a 5.Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi comunque su valori più bassi.Questo serve per
attuare un sistema di prevenzione e sicurezza che impedisca al lavoratore di manifestare una malattia
professionale.Nel caso in cui successivamente alla valutazione dei rischi risultino superate i valori d’azione
immediatamente si attuano una serie di misure preventive e di sicurezza. Oltre a misurare le vibrazioni a cui
è esposto il lavoratore,oltre a verificare che i parametri di riferimento siano quelli bisogna formare il
lavoratore sull’utilizzo in sicurezza degli strumenti vibranti,sul risultato delle misurazioni relative all’utilizzo
di quei strumenti vibranti per far sì che si riduca allo 0% la possibilità d’insorgenza delle malattie
professionali.

ERGONOMIA E LAVORO: UTILIZZO IN SICUREZZA DEI VIDEOTERMINALI (Seconda parte)

Ergonomia: metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro.L’obiettivo dell’ergonomia
è quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l’ambiente alle caratteristiche psico-fisiche
del lavoratore stesso.Il rispetto dell’ergonomia è sempre previsto dal decreto legislativo 81/2008 in
particolare il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,nella concezione dei posti di
lavoro è un concetto che serve a ridurre al minimo il danno sulla salute collegato a un lavoro di tipo
monotono e ripetitivo come quello da utilizzo di computer.Perchè il decreto legislativo 81/2008 dà grande
importanza al concetto di ergonomia?Perchè le patologie che possono insorgere al lavoro in condizioni di
disergonomia come una tendinite a livello del sovraspinoso,una tendinite a livello del bicipite o anche
banali borsiti che si possono verificare negli utilizzatori di videoterminali sono riconosciute come malattie
professionali secondo delle tabelle,tabelle di malattie professionali a cui noi facciamo riferimento quando
andiamo a fare una denuncia di malattia professionale.Quindi implementare nei luoghi di lavoro il concetto
di ergonomia significa ridurre al minimo l’insorgenza di queste patologie che sono riconosciute come
malattie professionali. Altre ancora riconosciute come malattie professionali sono le epicondiliti,le trocleiti
e la sindrome del tunnel carpale a livello dell’arto superiore,a livello dell’arto inferiore abbiamo le borsiti
del ginocchio,le tendinopatie del quadricipite femorale e la meniscopatia degenerativa.Quindi queste
patologie osteoarticolari che possono insorgere nel videoterminalista insieme a tutta la problematica
oculare che ora andiamo a vedere sono riconosciute come malattie professionali secondo la tabella delle
malattie professionali del 21-7-2008.Attualmente è stata fatta una revisione di questa tabella.Quindi queste
malattie sono collegate a una disergonomia del luogo di lavoro per cui è molto importante rispettare nella
progettazione dei luoghi di lavoro il concetto di ergonomia.E andiamo ai videoterminali.Per videoterminale
intendiamo un’apparecchiatura dotata di schermo alfanumerico e quindi rientrano in questa categoria tutti
i personal computer e i sistemi dotati di elaborazione dati,testi o immagini.L’addetto al videoterminale è
un lavoratore che per definizione utilizza il videoterminale per almeno 20 ore a settimana.Se mi trovo ad

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andare in una struttura dove il datore di lavoro mi dice che non ci sono video terminalisti,deve fare una
dichiarazione che i suoi ad esempio 10 lavoratori con i dieci nomi utilizzano i videoterminali per 18 ore alla
settimana. In questo caso non scatterà la sorveglianza sanitaria.Quali sono i decreti legislativi che sono stati
ripresi dal decreto legislativo 81/2008 e che hanno parlato in particolare di video visione del lavoro?In
particolare ci interessa la legge 422 del 2000 che ha modificato il concetto del monte-ore (appunto di venti)
collegate al danno da utilizzo di videoterminale. Quindi la variazione della definizione di videoterminalista
che ora vi spiegherò è legata alla legge 422 del 2000 che è stata inserita nel decreto legislativo 81/2008
all’art 7.Quindi si intende per lavoratore non solo come ho detto prima quello che utilizza il computer per 4
ore al giorno per un totale di 20 ore alla settimana,ma anche quello che utilizza un’attrezzatura munita di
videoterminale in modo abituale per 20 ore settimanali,ma in modo non continuativo il che significa che il
lavoratore un giorno lavora 6 ore,un giorno lavora 3,un giorno non lavora proprio con il computer ma
realizza comunque un monte-ore di 20 tramite questa legge 422 del 2000 è riconosciuto comunque come
videoterminalista.Quindi l’utilizzo sistematico ma non continuativo del videoterminale grazie alla legge 422
del 2000 permette di recuperare tutte quelle persone che utilizzano il videoterminale anche in maniera non
continuativa e quindi di inserirle in un sistema di soverglianza santaria per ridurre al minimo l’insorgenza
delle patologie muscolo-scheletriche e oculari che ora andremo a vedere.Ogni quanto viene effettuata la
sorveglianza sanitaria?Il decreto 422 del 2000 ha stabilito un criterio che deve essere rispettato: il
lavoratore fino a 50 anni esegue una sorveglianza sanitaria quinquennale.Dopo i 50 anni la visita viene
effettuata ogni due anni perché si presuppone che si sovrappongono nel 90-95% della popolazione di
videoteminalisti problematiche come la presbiopia che possono interferire in qualche modo con la visione.
Questa tempistica stabilita del legislatore di 5 anni può essere modificata qualora vengano espressi giudizi
di idoneità con prescrizione e quindi lavoratori che hanno problematiche oculari ad es congiuntivite
ricorrente,lavoratori che hanno problematiche lombo-sacrali ricorrenti il medico del lavoro può decidere di
visitarli più frequentemente rispetto a questa tempistica di 5 anni anni prevista fino ai 50 anni dal
legislatore. Altro concetto espresso appunto dall’articolo settimo della legge 422 2000 sono le pause
lavorative.I lavoratori che utilizzano il videoterminale per 20 ore a settimana sono obbligati a fare una
pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.La sorveglianza sanitaria
chiaramente andrà a valutare con maggior attenzione l’apparato oculare e il sistema muscolo scheletrico.Il
datore di lavoro dovrà predisporre le attrezzature da lavoro in modo da assicurare una condizione di
minimo affaticamento oculare e dorso lombare,in particolare(D.lvo 151/2001) per le lavoratrici gestanti che
utilizzano il videoterminale ci sono delle regole da rispettare con un aumento delle pause che quindi
saranno più frequenti.Si consiglia alla lavoratrice in stato di gravidanza di alzarsi dal posto di
lavoro,decontratturare la muscolatura paravertebrale e disassuefare i muscoli oculari dal videoterminale.
Andiamo quindi a quelli che sono i requisiti minimi per un lavoratore in sicurezza del
videoterminalista.Come deve essere la postazione di lavoro?La scrivania dove si poggia un videoterminale
dovrebbe essere consigliata dalle linee guida di colore non riflettente,quindi non bianco,non nero,ma color
ciliegio.Si consiglia per l’acquisto di scrivanie per il videoterminalista definite ergonomiche una superficie
ampia,non riflettente,non di colore bianco.Altra cosa la grandezza della scrivania deve essere notevole in
modo da assicurare un corretto posizionamento degli avambracci al di sopra della stessa perché vedremo
che qualora non ci sta lo spazio per poggiare bene l’avambraccio e quindi muovere con tranquillità
l’avambraccio sulla scrivania nell’utilizzo del mouse si va a sovraccaricare e quindi portare meno
ossigenazione a livello della mano dell’avambraccio con insorgenza di indolenzimento e da ultimo anche la
sidrome di tunnel carpale che è una delle patologie collegate all’uso protratto non in sicurezza del
videoterminalista.Ancora un’altra caratteristica della postazione di lavoro ergonomica è un adeguato
alloggiamento degli arti inferiori,quindi sotto la scrivania deve esserci lo spazio sufficienza perché anche per
questo si può incorrere in patologie a livello degli arti inferiori che possono inteferire con
l’attività.(Domanda: perché non deve essere riflettente il colore della scrivania?Perchè va a creare degli
sfarfalii sul monitor che affaticano gli occhi).Inoltre la sedia deve essere di tipo girevole,con lo schienale
regolabile e con una curvatura ben precisa:una convessità ben precisa che è quella che ripercorre le

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fisiologiche concavità e convessità della colonna vertebrale..Il poggiapiedi non è un obbligo del datore di
lavoro.Se viene richiesto dal lavoratore,ad esempio può essere richiesto da una donna in stato di
gravidanza si presuppone una condizione più frequente di edema agli arti inferiori per cui il poggiapiede
può servire per decontratturare i muscoli degli arti inferiori,quindi su richiesta del lavoratore il datore di
lavoro deve fornire il poggiapiedi.Altra caratteristica che deve avere la postazione di lavoro del
videoterminalista è di avere un adeguato microclima,quindi la scrivania non deve stare né troppo vicino al
termosifone né troppo vicino all’impianto di condizionamento perché il microclima con le caratteristiche di
eccessiva umidità o di poca umidità può determinare secchezza oculare. Alla scrivania bisogna stare con la
schiena diritta e non piegata sulla scrivania.La distanza deve essere 50-70 cm dallo schermo e in più per
evitare affaticamento muscolare soprattutto a livello cervicale e affaticamento visivo,lo spigolo inferiore
dello schermo deve essere al di sotto della visuale che passa tra gli occhi e l’orizzonte,quindi la sedia deve
stare più in alto rispetto al monitor.Quindi questi sono i requisiti minimi che dobbiamo verificare quando
facciamo il famoso sopralluogo annuale.Altra cosa: tutti i fili e filetti collegati al computer devono stare
possibilmente aldilà della postazione perché capita spesso che i fili fanno inciampare il lavoratore che può
rompersi una gamba per un motivo banale.Quindi il decreto prevede anche questo:l’adeguato
alloggiamento di tutto l’impianto elettrico per il funzionamento del videoterminale deve essere
possibilmente attaccato al muro di fronte al videoterminalista.E andiamo ai danni da utilizzo del
videoterminale in condizioni non ergonomiche.La prima alterazione oltre ai disturbi muscolo scheletrici che
già vi ho fatto vedere è la condizione di astenopia = fatica visiva.Quindi sindrome astenopica,disturbi
muscolo scheletrici e stress lavoro-correlato.I video terminalisti sono lavoratori che lamentano più
frequentemente condizioni di stress lavoro-correlato e come vi ho detto rientra negli agenti di rischio
trasversali riconosciuti dal decreto legislativo 81/2008.Che cos’è l’astenopia?E’ una condizione di
debolezza,facile affaticabilità dell’occhio ,dolori oculari,visione confusa o doppia,quindi diplopia.I
lavoratori che utilizzano videoterminali per 20 ore a settimana lamentano frequentemente questa
patologia.Quindi la sindrome che presenta cefalea,emicrania,difficoltà di concentrazione è l’astenopia.Lo
stress lavorativo è molto frequente nei video terminalisti perché il lavoro del videoterminalista molto
spesso ha delle caratteristiche che sono alla base dell’insorgenza di una condizione stressogena: condizioni
di lavoro monotono e ripetitivo,carico di lavoro o eccessivo o troppo scarso,condizione di responsabilità
avvertite dal lavoratore come molto basse rispetto al desiderio di comando da parte del lavoratore
stesso,rapporti conflittuali con i proprio colleghi o superiori e non da ultimo condizioni di disergonomia. I
disturbi di tipo psicologico o psicosomatico sono insonnia,condizione di sindrome ansioso-
depressiva,cefalea e tensione nervosa.Come valuta questo il medico del lavoro?( se viene richiesto il
medico del lavoro,può anche essere incaricato uno psicologo)Viene proposto un questionario fatto
inizialmente in maniera random a tutti i lavoratori e poi qualora questo questionario risulti essere positivo
per cluster di lavoratori,a quel cluster di lavoratori si passa alla cosidetta fase soggettiva,quindi viene
proposto il questionario ad personam.Qualora questa seconda fase risulti essere positiva il datore di lavoro
è tenuto secondo il decreto legislativo 81/2008 a pagare le spese di recupero psicologico-psichiatrico del
lavoratore che presenta questa patologia.La legge però dice che è il datore di lavoro a preparare questi
questionari o con il supporto del medico del lavoro o con il supporto dello psicologo.I difetti visivi come la
presbiopia,come la miopia,come l’ipermetropia non sono causati dal videoterminale ma sono condizioni
che possono essere peggiorate dall’utilizzo protratto in condizioni di non sicurezza del
lavoratore.Quindi,ancora,un’inquinamento a livello dell’aria respirata dal lavoratore ad esempio una sede
con molte fotocopiatrici o una sede con un rilascio di sostanze,questo si chiama inquinamento
indoor,possono determinare irritazione oculare,irritazione a livello delle mucose vanno a determinare più
facilmente una condizione di sindrome astenopica.I distrurbi muscolo-scheletrici sono soprattutto a
collo,schiena,braccia spalle e mani,quindi arti superiori,arti inferiori.Le principali cause lavorative che nel
videoterminalista determinano alterazione a livello della colonna vertebrale sono posture di lavoro
fisse,quindi mantere sempre la stessa postura per tutto l’orario di lavoro in maniera lavorativa può
determinare l’insorgenza di patologie a livello cervicale e dorso lombare.Utlizzare il mouse in maniera

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ripetitiva e con movimenti rapidi può determinare un sovraccarico a livello della mano e dell’avambraccio
con un indolenzimento che può far insorgere oltre al dolore la sindrome del tunnel carpale.

Il Niosh è un ente internazionale che ci va a dire per ogni agente di rischio quali sono i valori limite da
rispettare e in questo caso per il video terminale quali sono le condizioni di lavoro collegate al
videoterminale che possono far insorgere alterazioni muscolo-scheletriche? Assunzione di posture
incongrue sono collegate all’insorgenza di patologie muscolo-scheletriche.

La formazione anche in questo caso è importante.Fare formazione al videoterminalista significa dare queste
principali linee guida:

-Movimento : durante i 15 min di pausa è consigliato alzarsi dalla postazione e se possibile disassuefare i
muscoli posturali o facendosi una rampa di scale o facendosi una piccola passeggiata a piedi per
riossigenare la muscolatura paravertebrale e degli arti inferiori

-Per quanto riguarda gli occhi vengono dati tre consigli: 1)Il palming.Assumendo una posizione
seduta,comoda coprire entrambi gli occhi chiusi con i palmi della mano fino a ottenere questa condizione di
colore nero di fondo.In questo modo si ottiene il rilassamento della mente e si disassuefanno i muscoli
oculari 2)Blinking, significa ammiccamento degli occhi,permette chiudendo le palpebre per 1-2 min di
rilubrificare la congiuntiva oculare e quindi riduce quella sensazione di secchezza collegata all’utilizzo
protratto del videoterminale.3)Sunning che significa esporre gli occhi alla luce solare a palpebre chiuse per
alcuni minuti.Questo è un consiglio che viene dato perché la luce solare ha il potere di vasodilatare ,quindi
di favorire l’afflusso sanguigno a livello oculare,quindi tiutti questi consigli sono utili per la riossigenazione
oculare.Inoltre abbiamo il Washing:lavare con acqua fredda gli occhi è un altro piccolo consiglio che viene
proposto per ridurre sempre al minimo la secchezza oculare.

Vengono anche suggeriti nei corsi di formazione esercizi muscolari di disassuefazione dei muscoli
paravertebrali che permettono

INTRODUZIONE ALLA LEZIONE SUCCESSIVA

Argomento: Patologia da esposizione all’amianto e conseguente mesotelioma che ha determinato nel 2012
ha determinato risarcimenti di grossa entità per le famiglie di lavoratori che avevano avuto esposizione
all’amianto da cui ne era derivata la morte.Questa è una sentenza storica emessa a Torino nel 2012e per la
prima volta in Italia si è parlato di disastro doloso da esposizione all’amianto.

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Medicina del lavoro, prof.ssa Lamberti 4/11/2014

ASBESTOSI

La scorsa volta vi mostrai le immagini rappresentative di una sentenza storica emessa da un gruppo di
Guariniello in merito al risarcimento alle famiglie di operai che erano stati esposti all’amianto nella regione
Lombardia, quindi c’è stato il primo riconoscimento da parte del tribunale della Lombardia nel 2012 di
grossa entità per le famiglie di ex esposti all’amianto.

Il termine amianto non definisce un unico minerale ma comprende un gruppo di silicati di magnesio che si
dividono in due categorie: “asbesti di serpentino” e “asbesti di anfibolo”,che a loro volta si dividono in
amosite, crocidolite e antofillite. La differenza di queste due categorie di amianto sta nelle caratteristiche
fisiche delle fibre: le fibre di amianto serpentino hanno una lunghezza che va fino ai 5cm e un diametro tra
0.7µm e 1.5µm; l’amianto di anfibolo ha un diametro che va fino ai 4µm e una lunghezza maggiore, fino a
8cm.
L’amianto è stato un prodotto largamente utilizzato in varie attività lavorative, soprattutto per la
costruzione di edifici. Dal 1992 la legge 257 vieta l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione di
amianto o di prodotti contenenti amianto; dal 1992 ad oggi nessuna attività può produrre o può prevedere
cicli produttivi che impieghino l’amianto come prodotto di partenza. L’esposizione lavorativa all’amianto
oggi si ha solo in un caso : attività lavorative che si occupano della bonifica di ex strutture che ancora
contengono amianto al loro interno; nella nostra regione Campania ce ne sono ancora tantissime.
Nel decreto ministeriale del 6/9/1994 vengono dettati i requisiti minimi per attività che espongono
lavoratori all’amianto nello smaltimento dell’amianto stesso; vi ho portato l’immagine di uno spogliatoio
che si chiama unità UDP dove la legge prevede in maniera dettagliata che non ci sia mai il rilascio di
indumenti nell’ambiente perché il problema dell’amianto è legato non solo all’esposizione diretta ma anche
all’insorgenza di asbestosi e mesotelioma in tutti i familiari che ne sono venuti a contatto. Questi operai
tornavano a casa, depositavano i loro indumenti sporchi e queste fibre si diffondevano in tutta la casa. Non
so se vi è capitato di vedere interviste fatte a intere famiglie decimate dal mesotelioma quindi è molto
importante quello che dice la legge, che prevede uno spogliatoio per coloro che si occupano dello
smantellamento degli edifici a base di amianto, una pulizia separata dal rilascio di indumenti sporchi e
separata completamente dall’esterno per evitare al minimo la diffusione delle fibre fortemente
cancerogene nell’atmosfera e quindi nella popolazione.
L’amianto è stato largamente utilizzato prima del decreto perché ha le caratteristiche di: incombustibilità;
resistenza alle alte temperature; resistenza all’usura, all’aggressione di sostanze chimiche e alla trazione. La
caratteristica dell’indistruttibilità era legata alla incombustibilità, alla grande elasticità, alla fono assorbenza
e alla capacità di creare impianti termoisolati. L’amianto è stato usato nella creazione dei soffitti e pareti
delle case, nell’industria tessile per la creazione di tessuti ignifughi per le varie attività dove è necessario
prevedere questo tipo di rivestimenti. Molti impianti sportivi, ancora oggi ce ne sono nelle scuole,
prevedevano nelle controsoffittature l’utilizzo delle fibre di amianto per la grande capacità di isolamento
rispetto all’ambiente esterno e per la grande capacità di resistenza alle variazioni di temperatura. Impianti
sportivi e alberghieri, quindi, sono stati costruiti con l’utilizzo di amianto. L’industria ferroviaria e navale
(costruzione di rivestimenti condensanti e pannelli) hanno largamente utilizzato l’amianto. Le lavorazioni
dove maggiormente l’amianto ha esposto i lavoratori a intossicazione e all’insorgenza di mesotelioma sono
state l’estrazione in cava o miniera, l’industria del cemento, l’industria dei freni, l’industria tessile,chimica,
dei cartoni. Oggi l’esposizione è prevista solo per lo smaltimento dei manufatti e dei rottami contenti
amianto. Tutte queste industrie ora devono utilizzare materiali alternativi.

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Secondo l’ISPES che è un ente preposto alla prevenzione nei luoghi di lavoro ora accorpato all’INAIL (non
esiste più l’ISPES, esiste solo l’INAIL che ha una sezione chiamata ISPES) si prevede addirittura che ci siamo
ancora 607000 unità produttive presenti sul territorio italiano che espongono i lavoratori all’amianto e si
prevede circa che 3500000 persone siano esposte ancora oggi al problema amianto con una diversità di
esposizione che è maggiore in Veneto e Lombardia ma soprattutto Liguria e Piemonte rappresentano le
regioni dove il problema amianto è ancora molto presente. Noi siamo in una posizione intermedia ma
comunque con elevata esposizione all’amianto.

PATOGENESI
Le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più grandi vengono
eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei bronchioli respiratori,
dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che porterà all’insorgenza della fibrosi
polmonare che è alla base dell’asbestosi. La chemiotassi dei macrofagi, con l’intervento del complemento,
inizia con una tempistica di 48-72 ore. Non tutti i macrofagi sopravvivono al contatto con le fibre di
amianto; alcuni vanno in contro a citolisi, altri inglobano le fibre e rilasciano fattori di crescita per altre
cellule, soprattutto fibroblasti. Un fattore fondamentale nell’iniziazione e perpetuazione del processo
flogistico è FGF e la Fibronectina. Oltre ai fibroblasti sono coinvolte altre cellule flogistiche che
contribuiscono all’insorgenza e alla formazione del granuloma fibrotico che si crea a livello del parenchima
polmonare. Macrofagi attivati, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo
infiammatorio che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell’asbestosi.

ANATOMIA PATOLOGICA
All’esame macroscopico il polmone asbestosico in fase iniziale di esposizione all’amianto non presenta le
lesioni tipiche asbestosiche. Nelle forme più avanzate, quando c’è stata un’esposizione maggiore
all’amianto, i polmoni si presentano di volume ridotto e consistenza aumentata. Tutte le fibre di asbesto
sono in grado di provocare una fibrosi interstiziale diffusa che comincia inizialmente nei lobi inferiori
polmonari poi diffonde a tutti i campi polmonari, destro e sinistro. È importante sottolineare che per fare
diagnosi differenziale con un’altra pneumoconiosi (l’asbestosi è una pneumoconiosi di tipo collagenico
perché le cellule infiammatorie rilasciano collagene a livello dell’interstizio polmonare) molto studiata in
medicina del lavoro, la silicosi, si tiene conto del fatto che esse prevedono un interessamento di zone
diverse a livello polmonare. Se a livello anatomo-patologico le fibre di asbesto inizialmente si localizzano ai
lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi la localizzazione avviene soprattutto a livello medio-
apicale. Un’altra caratteristica tipica dell’asbestosi, non presente nella silicosi, sono i corpuscoli di asbesto,
tipici dell’asbestosi e non presenti nella silicosi. Essi sono fibre di asbesto inglobate in fagolisosomi presenti
nel sito di flogosi polmonare che al loro interno presentano proteine con ferro che circondano la fibra. Sono
detti corpi ferruginosi e sono presenti a livello polmonare in corso di asbestosi.

Mostra una sezione istologica che fa vedere la consistenza aumentata rispetto a un parenchima polmonare
normale, una struttura molto più compatta tipica dell’asbestosi rispetto a un parenchima normale in cui non
c’è stata invasione delle fibre e trasformazione in fibrosi polmonare.

CLINICA
L’E.O. presenta delle caratteristiche tipiche.
Il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni dall’esposizione all’amianto presenta:
 Dispnea da sforzo e in fase avanzata anche dispnea a riposo;
 Tosse secca, a volte accompagnata da broncospasmo o tosse produttiva;

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 Toracodinia, dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche;
 In fase avanzata una condizione di alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione
ossiemoglobinica, riduzione dell’ipossiemia, cianosi;
 Gli ispessimenti a livello della pleura viscerale determinano delle atelettasie a livello polmonare;
 Mesotelioma che 8 lavoratori su 10 (80%) hanno manifestato dopo esposizione a fibre di amianto;

La caratteristica del Mesotelioma è di avere una lunga latenza, dai 15 ai 40 anni dall’esposizione
all’amianto. Ci aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma nelle regioni italiane per
tutti quelli che sono ex esposti, ora non lo sono più, all’amianto.

DIAGNOSI
 Esame metodologico. La differenza (domanda d’esame) tra un esame semeiologico fatto in fase
avanzata di esposizione, rispetto a un esame semeiologico fatto nei primi due anni di esposizione
all’amianto, è questa : a livello ausculatorio e percussorio abbiamo assenza completa di rumori in
fase iniziale, ascoltate il murmure vescicolare fisiologico; nelle fasi avanzate dell’esposizione
ascoltate reperti tipici, rantoli o crepitii teleinspiratori su tutti gli ambiti polmonari. I rantoli
migranti, migranti perché all’orecchio percepite questi rumori che sembrano migrare perché
presenti su tutti gli ambiti polmonari, si sentono in fase di teleinspirazione nelle fasi avanzate
dell’esposizione.
 Prove di funzionalità respiratoria, proposte dal medico del lavoro. L’indagine di più facile
somministrazione è l’esame spirometrico. Solo nei casi conclamati quando c’è positività all’esame
semiologico di presenza di rantoli, anche a livello diagnostico avremo una positività all’esame
spirometrico.
Altre indagini fatte solo in fase più avanzata sono:
 Test di diffusione polmonare di CO;
 Esame dell’espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti;
 Fibrobroncoscopia e BAL;
 Scitigrafia polmonare con Gallio 67;
 HRTC, ancor prima dell’rx torace;

A livello radiologico viene utilizzata la classificazione dell’ILO (International Labour Office) secondo la quale
le fibre che si manifestano come opacità lineari a livello dell’esame radiografico, vengono distinte a
seconda del diametro. Le fibre con opacità di diametro fino a 1.5mm vengono classificate con la lettera s;
tra 1.5-3mm con la lettera t; tra 3-10mm con la lettera o.

A livello delle sezioni effettuate tramite HRTC è possibile vedere le stesse opacità in maniera ancora più
evidente. A ex esposti all’amianto è difficile che venga proposta solo l’RX del torace ma si procede quasi
sempre alla HRTC perché la tac ha anche la possibilità di vedere le placche pleuriche, ispessimenti a livello
della pleura parietale che si manifestano dopo 15-20 anni dall’esposizione all’amianto.

MESOTELIOMA PLEURICO
Fino agli anni 60 era un tumore maligno considerato molto raro; si erano avuti dei casi manifestatesi in
Africa quindi non se ne aveva conoscenza in Europa. Le prime indicazioni minime sono arrivate in Europa

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verso gli anni 50-60: si pensava che il mesotelioma fosse un tumore secondario non primario, derivante da
un adenocarcinoma primitivo.
I mesoteliomi che più frequentemente si osservano collegati nel 95% dei casi all’esposizione all’amianto
sono mesoteliomi di tipo epiteliale, che comunque hanno una tempistica dalla scoperta del mesotelioma al
decesso di brevissima durata ma che fortunatamente rappresentano il 50% rispetto a quelli completamente
indifferenziati, a decesso ancora più rapido che rappresentano il 10% del totale.
Si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1000000; in Europa è previsto un rapporto maggiore
per i maschi che per le femmine; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione a fibre di asbesto
e nel 20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare che ne è stato esposto.
Dal punto di vista epidemiologico, studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore
determinante l’insorgenza del mesotelioma nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma il
tempo trascorso dalla prima esposizione. È la latenza dalla prima esposizione che fa la differenza
nell’insorgenza.
Altre forme di mesotelioma non a livello della pleura ma a livello di altre sierose sono meno frequenti ma
sono comunque state osservate negli anni e negli ex esposti all’amianto con i loro familiari: a livello
peritoneale, del pericardio, della tunica vaginale . Oggi con la Medicina del lavoro della SUN è in corso
proprio un progetto sui tumori ovarici collegati all’esposizione all’amianto di donne che ne sono venute a
contatto tramite operai esposti fino al 1992.

I segni e sintomi sono:


 Dolore toracico prima transitorio poi continuo, che aumenta con i colpi di tosse;
 Dispnea progressiva ingravescente;
 Sindrome mediastinica;
 Decesso entro 18-24 mesi;

La sorveglianza sanitaria prevede una Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico e
qualora si abbia una positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame dell’espettorato).
Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGH (ente americano preposto ai valori limite per
l’esposizione a sostanze chimiche per i lavoratori) si può prevedere un’esposizione (questo vale solo per
quelli che lo smaltiscono che sono esposti all’amianto in condizioni di iperprotezione, utilizzo dell’unità UFP
e utilizzo dello scafandro, che vedete che utilizzano anche le persone esposte all’Ebola) di 0.1fibra per cm³.
(cm³ è l’unità di misura che si utilizza in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova
eventualmente a inalare queste fibre).

Varie segnalazioni anche se rare di mesotelioma si erano manifestate già nei primi anni del 900. Nel 1991 si
è avuto il primo decreto legge che parla di regolamentazione dell’esposizione all’amianto. Nel 1992
l’amianto è stato eliminato. Grazie alla classificazione della IAC (ente preposto al raggruppamento delle
sostanze chimiche cancerogene per l’uomo), nel 1992 con il DL 257 l’amianto è stato eliminato da tutti i
processi lavorativi, vietandone l’utilizzo, l’importazione e l’esportazione. In tutte quelle che sono le attività
di protezione e prevenzione del datore di lavoro è necessario e obbligatorio prevedere una manutenzione
di eventuali costruzioni a base di amianto. Non sempre l’amianto presente negli edifici può essere causa di
concentrazioni nell’atmosfera per le persone che si trovano ad inalarlo. Il problema amianto è molto
presente nelle nostre scuole (recentemente è stata chiusa una scuola, poi riaperta, ai Colli Aminei perché
non era sottoposta periodicamente a questi controlli relativi alla misurazione ambientale di fibre amianto).
Non tutti gli edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli che sono sottoposti
più facilmente a vibrazioni, in quelli dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle pareti o

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se sono in condizioni di non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente disperdono
nell’aria le fibre amianto).

Un datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni di istallazione dell’edificio e
monitoraggio ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto disperse
nell’edificio. Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffatrometria, spettrometria) che
vanno ad analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, vengono messe su dei vetrini,
conteggiate e quantizzate tramite queste metodiche.
Con il DL 257 oltre a stabilire un valore limite di esposizione per coloro che vengono a contatto con le fibre
di amianto, sono state date delle indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici
a base di amianto.
Il DL 257/1992 prevede tre fasi ai fini dell’eliminazione dell’amianto dagli edifici : rimozione,
incapsulamento e confinamento. La rimozione è una tipologia di eliminazione delle fibre di amianto che
prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di fibre; rappresenta un rischio molto elevato per gli
addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli che smaltiscono questa grossa quantità di fibre. È una
pratica che da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro non viene realizzata perché
determina una grossa emissione di fibre e non rispecchia il principio di protezione e prevenzione dei
lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo l’esposizione. Incapsulamento e
confinamento sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate in tutti gli edifici per rimuovere,
eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di amianto. Vengono utilizzati dei prodotti
chimici che vanno ad adsorbire le fibre, ad esempio si utilizzano delle pellicole di protezione nelle stanze
dove è più presente la dispersione rispetto alle altre. I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la
permanenza del materiale di amianto nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di
manutenzione viene fatto ogni anno. Se questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche
vengono fatti ogni anno si può anche lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una
manutenzione periodica. Infine il confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree, nelle
stanze dove è più presente l’amianto rispetto a quelle in cui non c’è.

Il decreto Ruocco successivamente modificato dal DL 8/11/1997 ha previsto una legislazione dedicata allo
smaltimento dei rifiuti che contengono amianto, per evitare la dispersione delle fibre nell’aria. I decreti
legge che tutelano l’esposizione all’amianto esistono ma non vengono completamente rispettati.
Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in merito all’amianto.

CASO CLINICO
Lavoratore di 74 anni, inviato al pronto soccorso dal medico curante per un riscontro casuale aspecifico di
crisi ipertensiva.
Anamnesi fisiologica: nella norma. Nega fumo, alcol e assunzione di farmaci. Alimentazione regolare.
Anamnesi patologica remota: CEI (comuni esantemi infantili), appendicectomia a 16 anni e un’erniectomia
inguinale a 46 anni. Lamenta episodi saltuari e recidivanti di bronchite da quando era giovane.
Anamnesi patologica prossima: forte astenia, dispnea da sforzo, forti palpitazioni, inappetenza e perdita di
peso di 5kg negli ultimi due mesi.
Anamnesi lavorativa: dall’età di 18 anni fino a 25 anni attività di operaio edile prima in un’acciaieria del
litorale flegreo e in seguito è stato addetto alla coibentazione di tetti, case, edifici a scopo domestico. Da 15
anni riferisce di essere in pensione.
E.O: assenza di murmure vescicolare, PA con una massima borderline e minima nella norma, FC 140, buona
saturazione di O2.

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ECG: nella norma.
Spirometria: sindrome disventilatoria di tipo misto, con prevalente componente restrittiva. In fase avanzata
di una pneumoconiosi la riduzione dei volumi polmonari determina un quadro spirometrico di tipo
restrittivo.
RX torace: calcificazioni di tipo lamellare lungo tutto la pleura.
HRTC: placche pleuriche.

Fatta la diagnosi si procede con le altre indagini (toracocentesi) che vanno a confermare il mesotelioma
pleurico.

SILICOSI
Non riusciremo a trattare la movimentazione manuale dei carichi che vi andate a vedere dalle slide.

La silicosi è una pneumoconiosi collagenica che riguarda ancora la medicina del lavoro perché l’esposizione
a silice a valori normati è ancora prevista nelle realtà lavorative.

CASO CLINICO
Uomo di 60 anni dispnoico, cianotico, tachicardico.
Anamnesi fisiologica: alvo- diuresi nella norma, nega fumo, alcol e assunzione di farmaci.
Anamnesi patologica remota: riferito intervento chirurgico di mastectomia parziale all’età di 48 anni.
Anamnesi patologica prossima: dispnea, astenia, facile affaticabilità a riposo, non ha febbre né calo
ponderale negli ultimi mesi.
Anamnesi lavorativa: sin dai 18 anni si è occupato nel settore estrattivo per la costruzione di trafori e
gallerie.
E.O.: rumori secchi diffusi a tutti gli ambiti polmonari, dispnea, cianosi diffusa al volto, toni tachicardici
all’ECG.
ECG: tachicardia sinusale, con una FC di 150.
Emogasanalisi: segni di iniziale acidosi.
Rx torace : opacità nodulari diffuse irregolari per forma e dimensioni in entrambi i campi polmonari.
HRTC: nella porzione posteriore dei lobi superiori polmonari, diffusa nodularità di variabile grandezza. La
forma di queste nodularità viene definita a guscio d’uovo.

Di fonte a una HRTC di un silicotico e di un asbestotico, la diagnosi differenziale si basa sulla localizzazione:
la localizzazione della silicosi è soprattutto agli apici; in corso di asbestosi la localizzazione è soprattutto alle
basi polmonari.

Diagnosi: silicosi grado avanzato.

Le pneumoconiosi sono patologie polmonari legate ad un accumulo di polveri nei polmoni e alla reazione
stromale che ne deriva. L’inalazione non avviene mai per una singola sostanza chimica, ma l’inalazione si ha
per una miscela di polveri tra cui la silice, che hanno caratteristiche fisico- chimiche variabili. Sono affezioni
dei polmoni provocate da inalazione di polveri miste da cui ne derivano reazioni fibrotiche nodulari dei
polmoni, ossia granulomi. La gravità della manifestazione fibrotica e la tempistica che porta
all’interessamento di entrambi i campi polmonari è legata alla suscettibilità individuale del soggetto
all’esposizione che riceve durante la vita lavorativa.

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Distinguiamo le fibrosi polmonari in “collageniche” e “non collageniche”. Le “non collageniche” sono
caratterizzate dall’accumulo intrapolmonare di polveri inerti non fibrogeniche; nella pratica sono
pneumoconiosi che non determinano alterazione a livello della trama bronchiale perché l’architettura
alveolare non viene sconvolta, la reazione stromale è minima, la reazione alla polvere è reversibile quindi
non si crea un processo flogistico cronico che invece si crea nelle forme collageniche, dette anche
sclerogene o maligne. Le pneumoconiosi “collageniche” più studiate in medicina del lavoro sono quelle da
amianto e da silice, asbestosi e silicosi. La silicosi è una pneumoconiosi sclerogena collegata all’inalazione di
quantità variabili di silice libera o biossido di silice. La tipologia di silice che è una sostanza presente nella
crosta terrestre più diffusa è il quarzo, quindi si parla di silice di quarzo.
La silicosi è causata dall’accumulo intrapolmonare di polvere fibrogenetica che determina un’alterazione
permanente dell’architettura alveolare con reazione stromale collagenica e fibrosi polmonare cronica dose
dipendente, la cui entità di manifestazione è direttamene collegata alla ipersuscettibilità individuale. Una
condizione di distruzione a livello alveolo capillare, quindi una condizione di alterazione bronco alveolare
che si osserva in fase finale nel silicotico e asbestosico, determina di riflesso uno scompenso a livello
cardiaco. Il cuor polmonare cronico è il finale di un soggetto che presenta una pneumoconiosi di tipo
sclerogeno- collagenica. Come e quando si arriva a questa condizione finale che è il cuore polmonare
cronico dipende non tanto dalla dose ma dalla risposta a quella dose perché ci sono soggetti con condizioni
genetiche di ipersuscettibilità individuale che presentano una risposta maggiore anche a quantità minori di
fibre di amianto e silice. La risposta e la tempistica della manifestazione del cuore polmonare cronico che è
il finale di queste patologie fibrotiche dipende dalla risposta individuale del lavoratore.
Nell’inalazione si prevede l’inalazione a polveri miste: silice, ossido di ferro e di alluminio. È però la silice
che va a determinare l’insorgenza del granuloma sclerogeno da esposizione lavorativa.
Le lavorazioni che ancora oggi prevedono l’esposizione a silice sono: industria mineraria, siderurgica, della
ceramica, del vetro e cristallo, nonché del cemento.

Le particelle di silice entrano a livello delle vie aeree e si distribuiscono a secondo delle dimensioni, della
forma, e della massa. Quella da 5-15µm impattano le vie aeree ciliate ma essendo grandi vengono
eliminate dalla clearance. Le più piccole vanno a depositarsi a livello degli alveoli dei lobi superiori. La
reazione flogistica che si viene a creare è molto simile a quella dell’asbestosi: entro 48h dalla deposizione
delle particelle di silice, gran parte di queste vengono fagocitate dai macrofagi. Alcuni macrofagi rimangono
vitali, altri raggiungono tramite movimento ameboide le vie aeree ciliate e vengono eliminate dalla
clearance. Alcuni rilasciano citochine che richiamano neutrofili e fibroblasti. I maggiori fattori di crescita che
vanno a perpetuare il processo infiammatorio sono il TNFα, vTGF e TGFβ. Si creano così i noduli silicotici.
L’inalazione di particelle di silice porta alla formazione di un granuloma sotto forma di nodulo che
rappresenta la risposta infiammatoria focale ad andamento cronico caratterizzato dall’accumulo e
proliferazione di cellule mononucleate. Le principali cellule coinvolte sono non solo monociti e macrofagi
ma anche neutrofili, eosinofili, mastociti, linfociti T e B. La creazione del tessuto di granulazione determina
la neoangiogenesi, formazione di endoteli vascolari e l’evoluzione verso la fibrosi polmonare. Tutto ciò va a
distruggere la trama bronco alveolare e a creare noduli di grosse dimensioni. Nello stadio iniziale si crea un
nodulo che presenta molte cellule flogistiche. Col passare del tempo, 15-20 anni dopo l’esposizione, le
cellule lasciano il posto al collagene rilasciato dai fibroblasti. In fase finale il nodulo non ha più una forma
rotondeggiante ma ha una forma sferica con la caratteristica presenza di tre zone concentriche : la zona
esterna è quella più giovane, formata da fibre collagene disposte in maniera disordinata; la zona intermedia
è formata da fibre collagene in maniera ordinata; all’interno abbiamo una zona centrale completamente
ialinizzata e priva di cellule.

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La silicosi nodulare può manifestarsi in varie forme. Può avere un decorso cronico semplice, decorso
cronico complicato con fibrosi, decorso acuto accelerato oppure può manifestarsi con proteinosi alveolare
silicotica. La forma più frequente è quella a decorso cronico semplice. La forma a decorso cronico
accelerato e la proteinosi alveolare silicotica sono legate ad alte concentrazioni di silice che oggigiorno non
si vedono più. La forma a decorso cronico semplice è quella che si studia di più. Ha una latenza di 20 anni
dall’esposizione, inizialmente completamente asintomatica, in fase avanzata con dispnea, tosse secca o
produttiva, eventuale sovrainfezione con bronchite cronica con febbre e ippocratismo digitale. A causa
della sovrapposizione di bronchiti e asma presenta un quadro tipicamente ostruttivo.
La diagnosi differenziale quindi si basa su due elementi: la localizzazione (asbestosi alle basi, silicosi agli
apici) e l’esame spirometrico. In corso di silicosi l’esame spirometrico presenta un pattern ostruttivo in fase
media di esposizione,in fase finale abbiamo sindromi restrittive perché c’è fibrosi polmonare diffusa. In fase
iniziale media però abbiamo un pattern ostruttivo, solo in seguito arriviamo a una sindrome restrittiva. In
passato era più facile vedere la sovrapposizione di due patologie come la contemporanea presenza di AR e
silicosi o la contemporanea presenza di Sindrome di Erasmus, sclerodermia e fibrosi perché chiaramente la
condizione di immunodepressione andava a slatentizzare queste altre problematiche. Oggi sono casi molto
rari.
La IARC ha inserito la silice nei sicuri cancerogeni e il finale della patologia è il cuore polmonare cronico.
A livello radiologico si utilizzano gli stessi parametri dell’asbestosi: le lettere alfabetiche che vanno ad
etichettare non la fibra ma il diametro delle opacità nodulari. A secondo del diametro la lettera potrà
essere p,q,r,s,t,u in base alla grandezza dei noduli. (consiglia di vedere questa cosa da soli)
I noduli silicotici inizialmente singoli vanno pian piano a confluire e si formano delle grosse opacità
radiologiche.
Il follow-up viene fatto in base al diametro di queste opacità che vanno a superare anche i 5cm, 10cm.
La prognosi è legata alla ipersuscettibilità individuale quindi la risposta o meno all’esposizione è legata alle
caratteristiche del singolo individuo (non solo la genetica, ma tutte le abitudini voluttuarie e alimentari che
insieme al pattern genetico fanno la differenza nell’insorgenza in tempi più o meno rapidi della patologia).
Valore limite di esposizione, il TLV-TWA (valore di massima esposizione in una giornata lavorativa di 8h per
un totale di 20h settimanali) secondo l’ACGH deve essere di 0.025mg/m³. Questo significa che quando vado
a dosare facendo il monitoraggio ambientale la silice presente nell’atmosfera il valore deve essere meno di
0.025mg/m³; se è superiore scattano una serie di misure immediate di segnalazione all’asl, chiusura della
struttura dopo le quali il lavoratore non dovrebbe più essere esposto. Solo con le misure di prevenzione,
solo con adeguati dispositivi di protezione individuale e formazione di sorveglianza sanitaria è possibile
tenere sotto controllo questa patologia.

AGENTI DI RISCHIO TRASVERSALI


Dal 2008, nell’ambito degli agenti di rischio trasversali, lo stress da lavoro viene riconosciuto per la prima
volta come agenti di rischio a tutti gli effetti. Lo stress da lavoro è una condizione definita come un insieme
di reazioni fisiche ed emotive, non commisurate alle capacità e risorse provenienti dall’esterno. Lo stress
viene studiato in medicina del lavoro perché condizioni di stress insorte sul lavoro sono facilmente
correlate agli infortuni quindi ridurre lo stress significa ridurre gli infortuni.
Lo stress è il secondo problema di salute in Europa, secondo alle problematiche muscolo-scheletriche.
Interessa quasi un lavoratore su quattro. L’accordo quadro europeo nel 2004 già aveva riconosciuto lo
stress come agente di rischio professionale. In Italia solo nel 2008 è stato riconosciuto come tale ed è stato
inserito nel DL 81/2008. Il riconoscimento dello stress da lavoro era stato fatto dalla legislazione europea
per accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress da parte delle autorità, dei lavoratori e dei

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loro rappresentanti. L’accordo europeo offriva un quadro di riferimento per individuare le linee per gestire
le problematiche correlate allo stress da lavoro. L’accordo europeo definiva lo stress come un insieme di
sintomi fisici, psichici e sociali, non inteso come malattia ma come segnale di malattia che può derivare
qualora a livello lavorativo non vengano effettuate le dovute misure di protezione e prevenzione atte a
ridurre al minimo tali manifestazioni.
Nell’articolo 28 del DL 81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo
stress presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei lavoratori e
della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono stressati per motivi
lavorativi. Quindi nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo stress ma non veniva detto
come. La circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico che rappresenta il livello di
attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di lavoro. La valutazione dello stress
viene fatta in due fasi: una valutazione preliminare e una valutazione eventuale. Nella valutazione
preliminare (obbligatoria) si vanno a valutare degli indicatori oggettivi. Il datore di lavoro nella fase
preliminare o obbligatoria deve fare un’analisi statistica degli indici di infortuni presenti in quell’azienda,
valutare il numero di assenze per malattia, il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto
delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre a questo, deve andare a valutare degli indicatori di
contesto e contenuto. Viene proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande.
Queste domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto ai
compiti a cui deve assolvere,se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori sono
adeguati. La fase preliminare significa quindi proporre check-list e andare a valutare il numero di infortuni e
malattie perché questo percorso metodologico prevede di capire se ci sono soggetti stressati che si
assentano facilmente per motivi derivati dallo stress. Con queste check-list che si propongono si va a
verificare se il lavoratore è soddisfatto della sua ambientazione lavorativa, dei suoi rapporti interpersonali e
del suo ruolo nell’organizzazione. L’ultima famiglia di indicatori che si vanno a valutare sono quelli di
contenuto lavorativo. Vengono fatte delle domande,ad esempio : l’illuminazione nella stanza dove lavori è
sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue conoscenze? Com’è la sedia?
Tutta questa parte preliminare permette tramite l’analisi di eventi esterni (numero di infortuni, numero di
malattie denunciate, numero di segnalazioni da parte del medico competente nonché indicatori di
contesto e indicatori di contenuto) permette di fare lo screening preliminare per capire se siamo in un
rischio basso di stress lavoro correlato o meno.

D: la valutazione dello stress viene fatta anche per noi studenti?


R: la valutazione dello stress nell’ateneo viene fatta non a tutti, ma a gruppi. La proposta della check-list
viene fatta a campione. Esempio: industria meccanica ha diverse sezioni, a gruppi di 4-5 in base al numero
totale vengono proposte queste check-list per quantizzare questi indicatori.

L’esito negativo significa che abbiamo fatto le check-list a campione nei vari settori, ed è stata espressa una
percentuale. Se questa percentuale è uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza particolari
condizioni di disorganizzazione lavorativa. Non c’è stress. La legge prevede che la rivalutazione si faccia
dopo 24 mesi in maniera obbligatoria. Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio che va dal 25 al
50%, immediatamente il datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali, organizzativi
e strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress nei lavoratori. C’è un anno
per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato psicologico del lavoratore. Dopo un
anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito. Se l’esito è ancora positivo si passa alla fase

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eventuale, seconda fase. Si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo programma il
datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del lavoro che ha la
competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari stress lavoro correlati. I
questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito.
La fase eventuale è obbligatoria e prevede la somministrazione di questionari ad personam. Nella proposta
di questionari ad personam, siamo in fascia medio o alta, entrano in gioco una serie di interventi non solo a
livello strutturale, organizzativo e ergonomico ma si parla di soluzioni terapeutiche all’individuo, quindi si
può arrivare alla proposta di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune realtà industriali grandi attivano
uno sportello fatto da persone competenti dove il lavoratore stressato va e segue il suo percorso. La legge
prevede che dal momento in cui si scopre al momento in cui si deve risolvere ci siano tutti gli strumenti per
eliminare la problematica di stress lavoro correlato.
Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore stressato. È previsto che il
medico del lavoro nell’ambito della sorveglianza sanitaria, da medico scopra eventuali condizioni di
disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica. La sorveglianza sanitaria viene proposta
come occasione per scoprire delle situazioni di disagio psicologico da segnalare al datore di lavoro.

Considerato che il DL 81/2008 alla voce stress prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc per il mobbing e
per il burnout, parlare di mobbing significa parlare di un’attività persecutoria che in quanto tale può
portare all’espulsione del lavoratore dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche
che spesso sfociano in vere e proprie malattie. In psichiatria c’è una classificazione con la quale si parla del
“disturbo post-traumatico da stress” e “disturbo da disadattamento lavorativo”. Solo queste due
condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul territorio preposto al risarcimento da malattia
professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore ha sviluppato “disturbo post traumatico da stress
lavorativo” e “disturbo da disadattamento lavorativo”, indennizza il lavoratore; quindi non il mobbing né lo
stress lavoro correlato, ma patologie psichiatriche sono quelle riconosciute associate a problematiche come
il mobbing e il burnout che l’INAIL eventualmente riconosce. Oggi sono pochissime le malattie professionali
riconosciute da agenti di rischio trasversale e quindi da stress lavoro correlato.
Lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato coinvolgimento lavorativo o
hanno ridotte capacità lavorative. Soggetti bersagliati sono quelli “diversi”: lavoratori immigrati oppure
soggetti con disabilità hanno una soglia individuale più bassa, sono ipersuscettibili a malattie come il
mobbing.
Le conseguenze sulla salute sono inizialmente: cefalea,ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione. In
seguito si associa a queste patologie una vera e propria patologia d’organo. Ecco perché rientrano nel
disturbo di adattamento o nel disturbo post traumatico da stress, che sono le uniche riconosciute
dall’INAIL.

La sindrome del burnout è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure professionali
d’aiuto. Nonostante siano state date nuove definizioni del burnout che la classificano come una patologia
che si manifesta con il deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro, in tal senso
farebbero rientrare nella definizione anche non solo figure d’aiuto. Generalmente si parla del burnout
come di una patologia che colpisce figure d’aiuto: educatori, insegnanti, medici, poliziotti, vigili del fuoco,
carabinieri, sacerdoti, operatori assistenziali, psichiatri, psicologi. Queste figure sono caricate da una
duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la persona che viene assistita. In percentuale
la categoria più a rischio è rappresentata dal settore degli insegnanti e dai video terminalisti che lamentano
tutta una serie di fattori di malessere (attività lavorativa monotona).

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Se non opportunamente trattati sfociano nella fase finale del burnout di logoramento psico-fisico che è
l’apatia.
Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:
 Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;
 Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la possibilità di
realizzarle nell’ambiente lavorativo;
 Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;
 Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che viene
definita vera e propria “morte professionale”.

Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi come in
futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.

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Medicina del Lavoro 19/11/2014

Il modello di determinazione del danno è rappresentato da una sequenza di blocchi che partono
dall’esposizione del rischio e, passando per varie fasi, arrivano alla malattia. In realtà possiamo
leggere questa sequenza di fasi anche in senso contrario, partendo dalla malattia e arrivando a
descrivere l’agente del danno. Questo modello si utilizza quando al soggetto è riconosciuto un
danno professionale con lo scopo di capire quale sia stata la causa della malattia.

Ciò è fondamentale per:

- consentire il risarcimento al lavoratore per il danno subito;


- fare prevenzione sui soggetti non malati ma esposti allo stesso rischio;
- individuare soggetti ipersensibili a quell’agente per proprie caratteristiche individuali a
differenza degli altri lavoratori che non avranno la stessa malattia.

Le varie fasi del modello sono connesse tra di loro sia per conoscere l’evento sia per fare
prevenzione. Possiamo partire dall’agente e arrivare alla malattia, oppure dalla malattia e
individuare gli agenti. Ciò che cerchiamo di capire è l’insieme di tutte le sostanze alle quali il
lavoratore è esposto compresi quelli dell’ambiente di lavoro. Ad esempio in una fabbrica per la
produzione di oggetti in plastica dobbiamo conoscere quali sono eventualmente i materiali che
possono esporre il lavoratore a un rischio di danno però dobbiamo considerare anche gli agenti
ambientali. Questa è la valutazione del rischio: stabilire la pericolosità intrinseca di ciascun agente
(sia professionale sia ambientale) e conoscere a priori l’effetto lesivo che ne può scaturire. Solo così
possiamo prevedere l’insorgenza della malattia.

Allora se partiamo dalla sostanza e dalla sua pericolosità dobbiamo arrivare al rischio (la
probabilità che si verifichi un evento avverso). Per fare ciò dobbiamo anche sapere per quanto
tempo il soggetto è stato esposto e a quale dose. Quindi i 3 parametri importanti per la valutazione
del rischio sono:

- pericolosità intrinseca della sostanza;


- dose della sostanza;
- tempo di esposizione del soggetto alla sostanza.

Così possiamo sapere la probabilità e l’eventualità che ci si possa ammalare. Inoltre dobbiamo
monitorare nel tempo per controllare in che modo si evolve la situazione dopo che è avvenuto il
contatto. In questo caso utilizzeremo tutta una serie di indicatori che ci permettono di valutare le
modifiche biologiche che avvengono nell’organismo e gli eventuali danni a tessuti organi e
apparati. Ecco come passiamo a leggere il modello di determinazione del rischio dalla malattia alle
cause che l’hanno determinata con la possibilità di fare prevenzione perché analizziamo
l’evoluzione delle modificazioni cellulari verso il danno, molto tempo prima rispetto a una
diagnosi precoce.

Ciò che rende complesso il modello (e tutte le sue fasi) è l’individualità. Tener conto di questo
elemento rende più accurata la valutazione del rischio. Perciò comprendiamo la necessità di una
attenta anamnesi lavorativa. Ad esempio un fattore di rischio molto importante è lo stress lavoro

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correlato che ci permette di capire come uno stesso luogo di lavoro può essere percepito in modo
diverso tra i lavoratori. Perciò possiamo dire che il rischio diventa individualizzato.

Il medico del lavoro è chiamato non solo alla prevenzione ma anche alla promozione della salute.
Il medico di medicina generale ha un contatto ancora più diretto con il lavoratore. Ciò permette
una corrispondenza importantissima tra medico del lavoro e medico di medicina generale. Infatti
il medico di medicina generale può partecipare alla prevenzione non limitandosi a chiedere
soltanto la professione svolta dal lavoratore, ma approfondendo l’anamnesi professionale. Online,
sul sito ISTAT c’è la pagina ATECO (= classificazione delle attività lavorative) in cui sono
classificati 10 settori lavorativi con i corrispondenti sottosettori. Per ogni settore vengono indicati:
le mansioni frequenti, i compiti lavorativi, i fattori di rischio presenti. Quindi in base all’attività
lavorativa possiamo vedere tutte le caratteristiche associate. Le informazioni che vengono da
queste banche dati hanno carattere di tipo generale a cui si aggiungono informazioni proprie del
territorio offerte da altre fonti.

La valutazione del rischio è importante non solo per la conoscenza del rischio, ma anche perché da
questa analisi quantitativa scaturiscono misure e decisioni per la gestione del rischio. Si elaborano
una serie di opzioni e si sceglie il provvedimento da realizzare. Ad esempio per ridurre
l’inquinamento in città si dispongono zone a traffico limitato.

Il modello generale di regolamentazione dell’esposizione ad agenti di rischio prevede

- l’identificazione di un qualsiasi agente di rischio (fisico, chimico, biologico o ambientale)


con alta o più bassa potenzialità di provocare un danno sul luogo di lavoro;
- di stabilire i rapporti tra la dose e l’effetto ( a che dose si ha l’effetto) e tra l’esposizione e
l’effetto (dopo quanto tempo si ha l’effetto);
- monitoraggio sulle persone esposte a quegli agenti;
- la caratterizzazione del rischio cioè la capacità dell’agente di provocare disturbi o danni
più o meno importanti su un numero elevato di persone e di fare un bilancio per una
valutazione economica. Ad esempio il mal di schiena è causa di molte assenze lavorative
anche se la patologia di per sé è meno grave di molte altre. Lo stesso vale per l’influenza.
- la gestione del rischio che porta allo sviluppo di diverse opzioni e alla scelta delle norme da
mettere in pratica.

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MEDICINA DEL LAVORO

Lezione del 25/11/14

Prof.Sannolo

Ricollegandosi alla lezione precedente il professore fa riferimento ad uno schema utilizzato in medicina del
lavoro e che prende il nome di valutazione dei rischi. Il modello che permette la valutazione dei rischi è
composto da una parte scientifica,ed una gestionale detta anche decisionale e che mette in opera le misure
per la valutazione del rischio.

La valutazione ha inizio con l’identificazione dei fattori di rischio, che ci porta ad identificare le circostanze e
le sostanze che possono determinare danni alla salute. Successivamente si passa ad attribuire a questi
fattori identificati una potenzialità di danno intrinseco detta pericolosità o pericolo;si prosegue poi con il
monitoraggio seguendo nel tempo l’esposizione dei soggetti a questi fattori.

Un modo semplice di approcciarsi alla valutazione del rischio prevede lo studio di tre parametri che sono:

-gravità del danno legato alla pericolosità dell’agente di rischio

-tempo di esposizione

-livello di esposizione.

Se accettiamo la definizione per la quale il rischio altro non è che la possibilità che si verifichi un
danno,possiamo semplicemente fare riferimento ad un’equazione che prenda in considerazione almeno
due parametri, che sono la pericolosità intrinseca e l’entità dell’esposizione. Attraverso queste
equazioni, ed una volta assegnati dei valori ai due parametri di cui abbiamo precedentemente
parlato,otterremmo in maniera semiquantitativa dei grafici rappresentati su un sistema di assi cartesiani.
Incrociando i valori dei parametri sull’asse, avremo subito un’idea di quali siano i rischi associati a delle
sostanze che noi abbiamo già qualificato.

ll valore intrinseco di pericolosità si attribuisce sulla base di una sperimentazione condotta su animali o
linee cellulari,che come prima cosa ci permettono di delineare la curva dose-risposta e di conoscere la
dose, al di sotto della quale ,non riconosciamo nessuna alterazione del sistema biologico in studio. <A
questo punto il prof. mostra 3 esempi di curva dose-risposta: -la prima curva è rettilinea e passa per lo 0
ed è tipica di alcuni cancerogeni,sostanze per le quali non esiste una dose incapace di procurare danno; -la
seconda curva ha aspetto sigmoideo, per cui inizialmente ci saranno tutta un serie di dosi ,corrispondenti al
tratto parallelo all’asse delle ascisse,che non producono effetto o meglio che producono sempre lo stesso
effetto(definito effetto back-ground) ed un valore soglia oltre il quale invece ci saranno tutta una serie di
dosi, che invece causano danno; -il terzo tipo curva identifica una condizione nella quale all’aumentare
della dose anziché verificarsi un danno si verifica un vantaggio.>

In base all’andamento della curva dose-risposta ,si ci orienta sul tipo intervento del medico del lavoro ,che
può essere limitato all’osservazione e follow-up oppure ,può richiedere l’uso di strumenti che permettono
di prevenire il danno alla salute.

La sperimentazione animale ci permette di conoscere la DL50 O DOSE LETALE 50%,che corrisponde alla
dose alla quale è avvenuta la morte del 50% delle cavie. Oltre alla letalità di un’agente possiamo studiare

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altre caratteristiche, come la tossicità acuta subacuta e cronica che vanno studiate, rispettivamente nei
primi 14 giorni,nei 90 giorni e entro i 2 anni.

In pratica,tramite la sperimentazione, possiamo ottenere un database dei fattori di rischio e della loro
pericolosità: una sostanza che ha una DL50inferiore o pari a 1mg/kg rientra nella categoria delle sostanze
ESTREMAMENTE TOSSICHE. Via via, al crescere del valore della DL50 ,avremo sostanze sempre meno
tossiche. Sull’etichetta di queste sostanze entrate in commercio ,ad indicare la pericolosità ,avremo una
serie di simboli che per le sostanze estremamente tossiche sarà il teschio con le tibie incrociate ,mentre per
sostanze che stanno più in basso nella scala della pericolosità, sarà ad esempio la croce di Sant’Andrea.
Spesso affianco all’immagine ,ritroviamo anche una classificazione lessicale che specifica la natura della
pericolosità attraverso le cosiddette frasi di rischio(ad es. NON INALARE etc.).

Dal momento che le sperimentazioni sono condotte sugli animali ,va tenuto presente che i dati che
otteniamo debbano in qualche modo essere corretti e adattati, nel momento in cui vogliamo usarli per
l’uomo. Prendiamo ad esempio in considerazione la NOAL(la dose più alta che non causa effetti) per poterla
adattare all’uomo la si divide almeno per 1000( dal momento che attribuiamo valore 10 ai 3 parametri che
prendiamo in considerazione per l’adattamento ovvero:- il fatto che si tratti di animali da esperimento -la
differenza tra specie e -la suscettibilità individuale)per cui la dose risulta di molto ridotta nel passare
all’uomo. Questi dati ,vengono utilizzati per stabilire i VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE, cioè stabiliamo quale
sia la concentrazione max a cui può essere esposta la popolazione nel luogo di lavoro, tenendo anche conto
della durata dell’esposizione. Va detto che, per stabilire con esattezza la pericolosità di un agente ,si fanno
anche studi epidemiologici cioè si studia una popolazione di individui che sono stati esposti a
concentrazioni note dell’agente nei luoghi di lavoro, e si osserva la comparsa di malattie o l’insorgere di casi
di morte,andando ad integrare dati sperimentali e quelli epidemiologici .Un’altra questione è che oltre a
tenere conto dell’esposizione ,bisogna tenere conto anche della suscettibilità individuale che può essere
geneticamente determinata ma può essere anche temporanea e\o acquisita(es. la donna lavoratrice in
gravidanza).In medicina del lavoro abbiamo anche la possibilità di distinguere gli effetti acuti dagli effetti
cronici e la possibilità di capire quali agenti possono produrre danni immediati e quali possono invece
provocarli a distanza dopo esposizione prolungata ,per cui abbiamo già gli strumenti per distinguere
l’infortunio dalla malattia professionale. Uno xenobiotico può penetrare nell’organismo in diverse modi a
seconda delle sue caratteristiche chimico-fisiche(ad es attraverso la via inalatoria se si tratta di polveri o gas
o attraverso la cute, se si tratta di una sostanza particolarmente liposolubile), in più questa sostanza una
volta giunta nell’organismo può comportarsi in modi diversi :+può per esempio competere con molecole
biologiche per il legame a substrati che svolgono ruoli chiave nella sopravvivenza dell’organismo oppure,
legare molecole con ruoli ritenuti “secondari”; + possono essere biotrasformate dall’organismo in molecole
che hanno una minore capacità lesiva ,ma più spesso ,la biotrasformazione comporta la formazione di
sostanze considerate ancora più tossiche; + in parte possono essere eliminate o accumularsi. tutte queste
fasi devono essere conosciute e monitorate per ovvi motivi .

La valutazione dell’esposizione ,si fa attraverso il MONITORAGGIO AMBIENTALE e il MONITORAGGIO


BIOLOGICO. Una volta identificati gli agenti di rischio, abbiamo la possibilità di misurare nel tempo la loro
concentrazione nei luoghi di lavoro,attraverso il monitoraggio ambientale, e misurare la quantità di questi
agenti nell’organismo ,attraverso il monitoraggio biologico ,(intendendo per biologico il fatto che usiamo
matrici biologiche tipo sangue urine) utilizzando i cosiddetti marcatori biologici ,abbiamo la capacità di
misurare la quantità di queste sostanze che hanno intercettato molecole biologiche o sistemi biologici
importanti per il rischio della salute e ,sempre nell’ambito del monitoraggio biologico,possiamo verificare
se queste sostanze si sono accumulate nell’organismo, perché l’accumulo equivale a un esposizione

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permanente 24h/24 dell’organismo all’agente. Come fase finale abbiamo la possibilità di fare una
sorveglianza sanitaria grazie alla visita periodica alla quale vengono sottoposti questi individui,verificando i
danni indotti da queste sostanze.

L’organo bersaglio è quello sul quale l’agente produce l’effetto o il danno,generalmente è un dato che si ha
già a disposizione nella sperimentazione animale .L’organo critico è l’organo verso il quale l’agente produce
una modificazione non definibile danno .Viene definito critico perché è il primo organo nel quale si
raggiunge una concentrazione,detta critica, tale da rilevare un evento biologico osservabile ,ed è come una
sentinella che allarma il sistema dell’imminenza del danno. La conoscenza dell’organo critico diventa uno
strumento di prevenzione, e ci permette di assumere una serie di iniziative per proteggere l’organo
bersaglio. Quando un soggetto mostra segni di danno,la prima cosa che viene fatta è l’allontanamento dal
fattore di rischio.

Ovviamente i modelli che vengono usati sono semplificati rispetto alla complessità dell’organismo e dei
fattori di esposizione ,che normalmente non sono mai singoli. Il soggetto può essere esposto a più agenti di
rischio,per cui bisogna almeno ipotizzare che sul luogo di lavoro ci siano più fattori di rischio che possono
interagire ed avere un effetto additivo,o sinergico ,oppure che la presenza di un agente a livello
dell’organismo potenzia la pericolosità intrinseca di un altro agente. Oltre agli agenti chimici, ci sono tutta
una serie di altri stressor quotidiani che gravano sul singolo lavoratore ,e che partecipano a differenziare la
risposta allo stesso agente a parità di esposizione da un individuo ad un altro( basti pensare a malattie
pregresse all’età la situazione familiare lo stress etc.). Per cui un medico di medicina del lavoro deve
considerare tutti questi aspetti,ragione per cui il suo ruolo è più vicino a quello del medico generalista che a
quello del medico specialista proprio perché appunto il medico del lavoro conosce molto del suo paziente.

È la dose che fa il tossico, a prescindere dalla pericolosità intrinseca,nel senso che qualunque sostanza a
determinate dosi può determinare un danno e anche l’accesso di acqua può essere considerato dannoso, e
le dosi devono essere anche considerate in relazione alle eventuali interazioni con altre sostanze tossiche
già presenti nell’organismo.

<A questo punto il prof fa una serie di domande ed esempi per far capire che in pratica se si facesse
solamente un monitoraggio ambientale sia sottostimerebbe l’esposizione di alcune categorie di lavoratori e
rimarca quindi l’importanza del monitoraggio biologico o del singolo lavoratore o di gruppi di lavoratori
considerati “uguali dal punto di vista dell’esposizione” cioè dividendo i lavoratori in gruppi in base a
caratteristiche di omogeneità e aiutandosi con la statistica. Quest’ultima cosa la si può fare per studiare
l’andamento del fenomeno ma non per conoscere l’esposizione del singolo individuo o per studiare
l’ipersuscettibilità del soggetto(che dipende dalla capacità del soggetto di biotrasformare l’agente di rischio
e dipende anche dalla velocità con cui questa sostanza viene trasformata e anche dal tipo di sostanza
perché se la sostanza che ha capacità lesiva viene a formarsi proprio tramite biotrasformazione allora sarà
logico che il fast metabolizer o metabolizzatore rapido sarà un soggetto ipersuscettibile).

In ultima analisi ,con il monitoraggio ambientale ,conosciamo la dose esterna ,con il monitoraggio biologico
conosciamo la dose all’interno dell’organismo. La dose esterna verrà comparata con il valore limite di
esposizione ottenuta dagli esperimenti e con il NOAL per stabilire se l’ambiente di lavoro è accettabile o
meno. Con La dose interna (si stabilisce se il soggetto è metabolizzatore rapido se è metabolizzatore lento)
e una volta fatte le misurazioni vanno comparate con gli indici biologici di riferimento e ci dicono quanto il
singolo soggetto è stato esposto e possiamo individuare anche la dose di esposizione all’agente al di fuori
dell’ambiente di lavoro(la memoria dell’esposizione c’è solo nel monitoraggio biologico).

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MEDICINA DEL LAVORO 4-12-2014

L'argomento di oggi è collocato sempre in questa idea che si possa immaginare il rischio collegato
alle esposizioni a un agente o a più agenti di rischio lungo questa direttrice, che abbiamo visto altre
volte, che porta questo modello molto semplificato dalle esposizione fino alla comparsa del cancro.
Volevo sottolineare ancora una volta che questo modello è utilizzabile non solo nell'ambito della
salute dei lavoratori, ma è un modello universale per tenere sotto controllo i rischi connessi con
l'esposizione a specifici agenti che, chimici/fisici, si possono trovare anche nelle condizioni di vita
ordinarie. Vi faccio un esempio: uno degli argomenti che sta molto invocando il dibattito sulla terra
dei fuochi, ma in generale su tutta l'area campana interessata ai roghi e al seppellimento dei rifiuti
tossici, è il fatto di accertare se queste persone delle quali si dice che siano state colpite da malattie
gravissime, quali tumore e via discorrendo, siano realmente state esposte a questi agenti di rischio.
In quel modello che abbiamo visto le volte scorse, il così detto “management”, cioè il che fare nei
confronti del rischio, comporta che uno sappia che cosa determina il rischio; se uno non lo sa, non
conosce i meccanismi che hanno prodotto il danno e, quindi, uno non sa che tipo di misura adottare.
Sapere che cosa fare, cioe prendere le decisioni “di tipo politico” ed evitare che si subiscano danni,
comporta necessariamente la conoscenza dei fattori di rischio, della loro importanza in termini
quantitativi nei luoghi in cui questi agenti vengono individuati nel tempo, che rimangono in questi
luoghi e che possono dare dei fenomeni di esposizione e dei possibili effetti che si subiscono sia in
termini irreversibili sia in termini di reversibilità. Solo se ho una conoscenza scientifica di questa
serie di eventi dalla identificazione degli agenti di rischio fino alla registrazione di una
modificazione di tipo biologico o del danno, è possibile prendere una decisione. Anche allocare
risorse cioè stabilire, ad esempio, non faccio camminare più frequentemente i pullman a Napoli
però i soldi che dovrei utilizzare per comprare 10/15 pullman li utilizzo per bonificare questo sito
perché da questa bonifica ne riceverà un beneficio la popolazione e questa si apprezza avendo
chiaro quale sia il meccanismo che abbia esposto la popolazione al pericolo esaminato. Molte
fallimenti nel prendere decisioni risiede nel fatto che ci sono carenze o assenze in termini della
valutazione del rischio. Questo modello della volta scorsa, nella stringa di sopra porta “National …
American... 1983”, e vi voglio sottolineare che questo sistema di regolamentazione dell'esposizione
degli agenti di rischio, che formalmente è stato messo a punto dal “National Reaserch Contry” degli
USA, è stato concepito per salvaguardare la popolazione generale, cioè è stato proprio costruito per
produrre vantaggi alla popolazione. È stato concepito in questo modo perché i decisori politici che
volevano investire in sicurezza per la salute degli statiunitensi avevano bisogno di sapere perché la
gente si ammalava, quali agenti producevano le malattie e con quali meccanismi ci stava
l'interazione con l'uomo, e quindi, con molecole, cellule critiche. La medicina del lavoro ha adottato
questo lavoro e lo ha perfezionato per il fatto che l'ambito lavorativo costituisce un ambiente utile
per sperimentare quel modello perché a differenza dell'ambiente di vita dove gli individui esposti a
possibili fattori di rischio sono intanto per età e condizioni economiche molto diverse tra di loro.
Quindi è difficile valutare l'impatto di una eventuale esposizione su una popolazione così ampia nel
tentativo di capire se ci sono delle correlazioni. Per questo si usa la sperimentazione animale.
Quando si fa la sperimentazione sugli animali a questo si tende; cioè a individuare un gruppo di
animali che hanno caratteristiche biologiche simili fra di loro in modo tale che, in effetti, si
constatarono attraverso la sperimentazione siano fallimenti attribuibili esclusivamente all'agente a
cui sono stati esposti. Se ci sono delle variabili di età, malattie, povertà, alimentazione è più difficile
individuare il rischio. Il mondo della medicina del lavoro si è prospettato interessante per affinare il
modello proprio perché aveva i lavoratori che avevano una fascia di età certa tra i 20 e 60 anni. Ma
non solo. Anche il luoghi di lavoro sono “sorvegliati”. Di questi lavoratori, il medico competente ha
conoscenza delle loro condizioni generali di salute. Viene monitorato nel tempo. Si possono anche
fare eventuali correlazioni tra modifiche di inquinanti per quantità e qualità nell'ambiente di lavoro
e comparsa di malattie. Un buon progetto di sorveglianza permette di tutelate le modifiche
dell'ambiente con comparsa alla salute dei lavoratori. Abbiamo visto il ruolo del medico generico
nella popolazione generale, invece il medico della medicina del lavoro malgrado un ruolo centrale

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della salvaguardia della salute della popolazione non ha gli strumenti né come missione quella di
tenere questa […] così stringente rispetto ai fattori di rischio. Al medico di base sfugge il tipo di
esposizione cui puoi essere esposto durante il lavoro, non lo sa a meno che non faccio una scheda
dettagliata sul tipo di lavoro e tutti i fattori di rischio. Gli manca un pezzo dei fattori di rischio cui
un soggetto può essere esposto o è esposto che può essere causa di malattie. Nei luoghi di lavoro di
attività ordinaria, tutti i fattori di rischio sono conosciuti e quantificati. Le volte scorse abbiamo
preso in esame quelle valutazioni di tipo semiqualititavo o qualitativo, quelle matrici colorate, in
realtà ha dietro progetto quello di identificare quelli che sono i fattori di rischio e attribuire a
ciascuno di essi un peso in termini di rischio collegato all'esposizione. Nei luoghi di lavoro, questa
operazione di trovare i fattori di rischio e di attribuirgli un peso, è facile perché il lavoro è un
sistema aperto e controllabile. Come se fosse uno spazio in cui si sa cosa entra (ad esempio in una
azienda chimica, le sostanze che arrivano all'industria) e si sa cosa esce (prodotto finito) e cosa
succede (processo di lavorazione). Quindi è un ambiente simile a quello della sperimentazione, per
avere una idea chiara dei rischi. Si adottano questi sistemi che sono quelli che abbiamo registrato
nelle varie stazioni, questa sequenza che vedete qui. La prima parte di questa sequenza ha come
finalità, ragionando su un fattore di rischio per volta, per esempio al benzene o piombo, quella di
stabilire la dose alla quale questo soggetto è esposta. La dose la immaginiamo come dose esterna,
cioè quella che ha a che vedere con la concentrazione dell'inquinante nell'ambiente, e la dose
interna, concentrazione dell'inquinante all'interno dell'organismo. È importante parlare di
monitoraggio della dose esterna, o monitoraggio ambientale. Attraverso il monitoraggio, esame
sistematico e protratto nel tempo di questa dose, si ha la rappresentazione della variazione della
concentrazione in quel punto nel tempo. Si fa per stagione, la stagionalità in cui […] influiscono
sulla concentrazione dell'inquinante. Le concentrazioni di queste determinazioni si confrontano con
quei valori di riferimento che abbiamo visto nelle volte scorse, cioè quelle concentrazione che si
valutavano pericolose per gli animali che poi si confrontavano con le concentrazioni pericolose per
l'uomo. Quelle concentrazioni si chiamano “VALORI LIMITE” e si mettono a confronto il dato
esterno con il dato di legge (variabile, che viene aggiornato di anno in anno). Questo valore limite è
la concentrazione di agente aereodisperso (presenti nell'aria) alla quale si ritiene che la maggior
parte dei lavoratori possa essere esposta per tutta la vita senza subire danni. Questo “maggior parte
dei lavoratori” è sottolineato da quel dato che noi abbiamo accennato più volte, cioè che esistono
delle risposte di ipersuscettibilità. Il medico competente ha il compito di identificare le persone che
fanno parte dei lavoratori che devono essere tutelati tenendo conto che la risposta biologica è anche
a concentrazioni più basse di quelle normali. Questo T.L.V. (valori limite di esposizione) è la chiave
di volta per capire se uno è esposto alla dose pericolosa o meno. Per la predizione del rischio e per
la gestione del rischio, il T.L.V. è stato diviso in tre parti; cioè si sono identificati tre TLV: è una
divisione schematica e anche molto logica. Esistono una miriade di sostanze di sintesi le quali
hanno delle caratteristiche epidemiologiche più disparate. Ci sono sostanze molto pericolose o poco
pericolose. Sono sostanze che hanno un effetto residuo immediatamente e non immediatamente,
cioè a comparsa tardiva. Allora io attribuisco un certo tipo di TLV alle sostanze che possono creare
danni a comparsa tardiva, oppure un TLV alle sostanze che fanno un danno immediato, oppure un
TLV a delle sostanze, ad esempio, con effetti neurotossici. Queste tre categorie di sostanze
corrispondono o meno alle situazioni di salvataggio che si possono identificare in tempo. Eppoi ci
sono quelle sostanze che possono provocare dei danni transitori che vengono considerati con un
altro TLV. È chiaro che questo è schematico. Faccio delle misure nel luogo i lavoro, stabilisco qual
è la concentrazione inquinante. La concentrazione è accettabile o no? Vado a vedere di quella
sostanza qual è il TLV e faccio il confronto. Come si fa il confronto? Si fa il confronto tenendo
conto durante la giornata lavorativa o durante la vita lavorativa, perché questa rappresentazione che
vedete qui è immaginabile nel tempo zero/otto ore, zero/365 giorno ecc.; è un confronto che si può
fare istantaneamente rispetto al TLV nell'arco di tempo lungo. È ovvio nel caso di sostanze che
hanno comparsa tardiva, posso fare questo confronto nella settimana, nel mese, nell'anno. In caso
delle sostanze che hanno un effetto acuto, il confronto lo devo fare oggi, istantaneamente, e non
durante l'arco dell'anno per vedere quante volte io ho superato il limite. Se vado a vedere dopo,

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nell'arco della settimana, quante volte è stato superato questo TLV, vedrò che sarà superato 10 volte
e non farò più la prevenzione. Facciamo un esempio pratico. Questa maniera di capire se questa
cosa funziona o non funziona (se andate in regione gli assessorati competenti queste cose qua non le
sanno [chissà perché ndr] e non le usano per svolgere questo ruolo istruttorio), la rappresentazione
che si da ai cluster della convenzionale in un sistema di assi cartesiani, tempo in ascissa e la
concentrazione che noi misuriamo nelle ordinate. Poiché il TLV con il quale dobbiamo confrontarci
è un dato di concentrazione, lo metterò in ordinata. Se noi dobbiamo verificare il TLV durante le
otto ore lavorative, tracciamo una linea parallela all'asse delle ascisse e vediamo come varia la
concentrazione dell'inquinante. Si inizia da una concentrazione presente durante la giornata
lavorativa, ad esempio poniamo il caso che questo valore valga 5 ppm (parti per milione – maniera
per esprimere una concentrazione delle sostanze disperse) e poniamo che il TLV sia sette.
Cominciamo a misurare questa concentrazione nel luogo di lavoro. Il fatto che sia 5 all'inizio, c'è di
fondo un concentrazione; è raro andare in un luogo e non trovare una concentrazione di fondo.
Comincia il lavoro, come una saldatura, noi registriamo mano a mano la concentrazione in
corrispondenza di questa operazione. C'è un momento in cui l'andamento della curva della
concentrazione che stiamo misurando, supera il TLV, poi finisce l'operazione e la concentrazione
nell'ambiente si riduce grazie alla depurazione, alla ventilazione. A questo punto succede un'altra
fase, un'altra operazione, un'altra saldatura; nei luoghi di lavoro si ripetono le attività. Comincia la
saldatura un'altra volta e si ha un altro picco. Probabilmente se avessimo aspettato altro tempo
sarebbe scesa ancora di più perché sarebbe diluito di più. E la concentrazione sale di nuovo. Alla
fine delle otto ore lavorative avremo questa specie di sinusoide, “come se un serpente circonda la
linea del TLV”. C'è una apparente contraddizione in questa rappresentazione; se bisogna
salvaguardare le persone non bisogna superare il TLV, il valore limite. In questo caso ci sono dei
superamenti, ma anche aree al di sotto. Nel caso di sostanze a comparsa tardiva siamo di fronte a
una gestione di questo limite, che tiene conto del fatto che è scientificamente dimostrato. Siamo nel
problema in cui è possibile superare la soglia purché i superamenti della soglia siano compensati
dall'escursione al di sotto di questa soglia. Questo deriva dal fatto che questi agenti o queste
caratteristiche di TLV hanno comparsa tardiva. Alla fine la soglia totale non deve essere superata.
Sono consentite le escursione purché siano compensate. Come si fa a sapere se sono compensate? Si
misurano le aree al di sopra, si confrontano con le aree al di sotto della curva e se c'è più
abbondanza dell'area al di sotto si dice che è rispettato il valore. Quando abbiamo a che fare con
sostanze neurotossiche, con effetti immediati non gravi recuperabili facilmente (ad esempio un
uomo che usa solventi su un palo della luce in alto), si dice che si avrà dei livelli di riferimento che
sono più alti del TLV, ma ai quali devi rimanere per poco tempo, cioè in poco tempo si ha un minor
effetto e piccola deviazione dallo stato normale e recupero fisiologico di, per esempio, un'ora. Si
dice che queste sostanze sono per brevi esposizioni, 15 minuti al massimo, tempo secondo cui si
pensa che non si inneschino e non si possa provocare danno. Le sostanze, per le quali l'effetto è
immediato, hanno un limite che non può essere mai superato e deve essere monitorato
continuamente altrimenti c'è il rischio di danni gravi. Tutte le sostanze che sono ponderate nel
tempo seguono il TLV-TWA (Time Weighted Averages). Come succede nelle autostrade: il limite è
a 80; non significa che uno non possa arrivare a 100. Uno può arrivare a 100 temporaneamente per
un sorpasso, e non è sanzionato. La cosa importante è che ai passaggi successivi si accerti che
quell'eccesso sia stato compensato dalla minore velocità; cioè dal prossimo controllo mostra che è
rientrato completamente. Molte sostanze hanno anche un TLV-STEL (Short-Term Exposure Limit),
cioè valore limite di soglia per breve periodo di esposizione. Ad certe concentrazioni possono dare
effetti tardivi, ad altre concentrazioni danno effetti acuti. In questo caso specifico non si deve
superare il STEL, e quindi che non si manifesti l'effetto acuto, è superato il TLV-TWA. Le aree al di
sopra sono in eccesso rispetto alle aree al di sotto. È come se in autostrada, tipo l'autostrada Napoli-
Roma, non si potesse superare i 100 km/h, ma sono 100 km/h ponderati. Ad esempio se vado a 110
eppoi a 90, va bene, ma se vado a 150 devo essere sanzionato. Questi dati sulle attribuzioni su
ciascuna sostanza dei vari TLV sono riportati in tabelle sia quelle di agenzie internazionali tipo
questa “ACIGH”, oppure in tabelle della Unione Europea. In più ci sono anche delle note che, in

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questo caso qua, significano “quella sostanza aereodispersa passa anche attraverso [...]”. e quindi
affianco si mette un altro valore che si chiama il […] che indica il limite che noi andiamo a
controllare all'interno dell'organismo. Il monitoraggio ambientale ha una sua articolazione interna.
Se dico che questa zona è inquinata perché ho un dato di dose esterno alto, io ho messo una
macchina che aspira l'aria ad un certo posto, e questa aria una volta che è stata aspirata, la vado ad
analizzare e trovo le dosi esterni. Ma se lo faccio su un territorio molto vasto, saprò la
concentrazione nel posto dove ho messo la macchina, mica in tutti posti dell'area vasta. In effetti
saprò che quel luogo in quel posto ha un certo grado di inquinamento. Poi ci sono pure le variabili
del vento oppure la temperatura, notte/giorno, situazioni che hanno molta influenza su questo dato.
Il luogo di lavoro comunque è un luogo più raccolto e quindi si possono mettere le macchine
campionatrici anche vicino alle zone a rischio. La maniera più interessante per stabilire se uno è
esposto a una dosa alta o meno, è quello di fare un “campionamento personale”, cioè invece di
mettere un campionatore in un posto, si mette il campionatore addosso alla persona. Un po' come
quegli ausili che usano i radiologi. Il radiologo viene giudicato se esposto o no, non tanto sulla base
che il fisico-sanitario misura le radiazioni della macchina alla fonte e dice che i radiologi sono
esposti; non è vero. Il radiologo durante l'rx può svolgere vari ruoli rispetto a un altro radiologo che
sta eseguendo l'esame e quindi non vero che tutti i radiologi sono esposti. E allora si mettono questi
dosimetri personali. In questo caso si rileva quale è la dose di quelle sostanze che sono esposte
quelle persone durante lo svolgimento di molteplici cose. Si campiona, si confronta con il valore
limite e si prende una decisione. Si può mandare la persona a lavorare da un'altra parte in modo da
creare queste compensazioni di queste sostanze; è possibile fare il management dei ruoli, è un
problema di tipo organizzativo. Si può anche usare una “pompa peristaltica” per aspirare l'aria in
prossimità della bocca, questi captatori di aria ambiente vicino al bavero della giacca e questo
simula la qualità dell'aria che entra dentro i polmoni. Si possono usare il “carbone attivo(?)” o si
possono usare dei dischetti simili a quelli dei radiologi che attirano passivamente l'aria. Per le
polveri si usano dei sistemi a filtro che captano l'aria e bloccano sul filtro le polveri. Possiamo
trovarci davanti a sostanze liposolubili e passano attraverso la via cutanea; quale migliore cosa ti fa
il dosaggio dentro l'organismo, e quindi il carico interno di queste sostanze, che poi quello che
svolge l'effetto lesivo? I liquidi biologici. A parte l'eventualità che la sostanza possa entrare dentro
l'organismo attraverso la via cutanea, la quantità di sostanza che entra dentro l'organismo dipende
anche dal territorio. Dal solo dato ambientale, dal solo TLV, non ricaviamo la certezza che
all'interno dell'organismo ci sia la sostanza; può passare per la cute, la via respiratoria o anche dal
cibo. Stiamo parlando del piombo o il benzene. Se andiamo a vedere sulle matrici biologiche la
dose interna, noi integriamo in un dato tutte le vie attraverso le quali l'agente entra nell'organismo,
anche nelle extra-professionali. Qui abbiamo un dato reale di rischio che non dipende solo dal
rischio occupazionale ma anche il rischio legato a una esposizione extra-occupazionale. Il
monitoraggio biologico è più potente rispetto a monitoraggio occupazionale riguardo alle materie di
predizioni del rischio. Attraverso questo campionamento in tempi e modi opportuni, possiamo
valutare quale è la dose degli agenti che può entrare in un organismo e dare degli effetti biologici.
Gli effetti che si possono determinare sono diversi, sia deterministici, allergici e stocastici; gli
esempi che prendiamo in considerazione sono di tipo deterministico e andremo a indagare questi,
cioè quelli nei quali c'è un rapporto dose/risposta, e questo permette anche una gestione facile
perché se noi misuriamo una dose all'esterno o all'interno e sappiamo che c'è un effetto noi,
possiamo organizzare tutto affinché l'effetto non si produca. Tema degli effetti stocastici, cioè di
effetti che non sono correlati alla dose ma alla probabilità dell'evento avverso (che si studia
prevalentemente attraverso l'epidemiologia molecolare). Attraverso il monitoraggio biologico si
misura o dalla sostanza dal quale [...] o attraverso i prodotti di biotrasformazione, oltre a registrare
altre alterazioni reversibili. Le matrici biologiche che si usano a medicina del lavoro sono quelle che
si raccolgono con nulla o minima invasività. Quindi capelli, unghie, saliva, ecc.; per alcune sostanze
che richiedono controllo ma non sono inquinanti, tipo le droghe, che in alcune categoria di
lavoratori devono essere misurate per legge, soprattutto nel tipo di lavoro si pone danno a terzi. Le
sostanze che si misurano sono “indicatori” o meglio, visto che lavoriamo su matrici biologiche,

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“indicatori biologici”. L'indicatore è il parametro che noi misuriamo con il suo corredo di qualità.
Le qualità che questi indicatori hanno, cioè abbiamo indicatori di dose e possono essere:
- indicatori di dose che marcano l'esposizione,
- indicatori di dose che marcano l'accumulo eventuale di questa sostanza nell'organismo,
- indicatori di dose che marcano la quota della dosa che produce l'effetto in corrispondenza
dell'organo bersaglio (indicatori di dose vera o biologicamente efficace).
Accanto a questa serie di indicatori di dose noi abbiamo gli indicatori di esposizione. Queste tre
sotto categorie di indicatori di dose, consente di avere una lettura accurata di quelle che possono
essere i rischi previsti e stimati all'interno del corpo. Gli indicatori di esposizione ci dice solo che
c'è stata una esposizione, e per definizione deve avere una variabilità legata alla variabilità della
dose esterna. Non si può dare il caso che aumenti la dose esterna e non aumenti la dose di
esposizione. È un indicatore prezioso che ci registra che noi siamo stati esposti all'esterno a una
concentrazione di sostanza. Ad esempio, in un dato ambiente due persone hanno indicatori di
esposizione diversi, e ciò vi pone il problema che a parità di dose esterna: perché uno lo ha più
basso e l'altro più alto? Poi magari si scopre che uno era più vicino alla fonte dell'inquinante. Gli
indicatori di accumulo hanno riferimento alle sostanze particolari tipo solventi che hanno il potere
di accumularsi all'intermo dell'organismo. Questo accumulo da un lato conferisce a questo agente il
potere di danno permanente, perché hanno un potere lesivo a esposizioni croniche a basse
concentrazioni. Hanno anche un altro potere, perché se noi riusciamo a mobilizzare queste sostanze,
ci danno la storia dell'esposizione dell'individuo, un po' come tagliare un albero e capirne la vita dai
cerchi del tronco. Nel caso del piombo, se noi riusciamo a mobilizzare il piombo accumulato in vari
organi, tipo osso trabecolare, possiamo capire se l'individuo ha avuto una esposizione alta o bassa di
piombo. Questo può spiegare delle situazioni di salute che registriamo e può consentire il
riconoscimento di “malattia professionale” e quindi di indennizzo a carico dell'istituto assicurativo.
È importante dal punto di vista della predizione del rischio perché è il netto che è entrato all'interno
dell'organismo. Non tutto quello che è entrato nell'organismo è un target efficace del danno; una
quota che è la frazione della dose, che entra, che arriva all'organo che viene danneggiato o una
macromolecola che produce danno, quella quota si chiama “dose biologica lesiva”, ed è quello sulla
base su cui si ragiona per gestire il rischio, soprattutto su agenti molto lesivi. Abbiamo degli
indicatori che ci registrano gli effetti, cioè gli eventi biologici che vengono modificati, allorché la
molecola interagisce con un meccanismo cellulare, succede qualche cosa che viene registrato.
Questi eventi ci servono in chiave predittiva; sono effetti reversibili, eventi che servono ad essere
registrati e ad adottare delle misure sulla salute. Le tabelle per il monitoraggio ambientale hanno
anche una sezione per il monitoraggio biologico. In quest'area delle tabelle si dice che, dato una
sostanza, benzene, qual è l'indicatore che devo cercare? Il benzene quale, quale metabolita, alcuni
metaboliti del benzene sono utili altri no, per esempio alcuni metaboliti sono comuni al
metabolismo di altre sostanze. Quindi ci dice quali metaboliti da dosare che siano facilmente
dosabili. Oltre a questo, le tabelle ci dice dove prenderli, o sangue o orecchie o urine, e questo
campionamento quando lo abbiamo fatto? Prima o dopo l'esposizione? Sono parametri per
l'accuratezza del dato. Questo significa che andiamo a fare le misure all'esterno, per diossine,
cromo, bisogna dire in quali matrici biologiche, in quali condizioni è stato prelevato il campione.
Per prelevare un solvente bisogna stabilire il tempo durante il quale prendere il campione di urine;
un solvente organico, che requisiti ha che impone che uno stabilisca a priori il tempo in cui si va a
prendere il campione? I solventi hanno una emivita breve. Se uno fa la raccolta delle urine il giorno
dopo, può darsi che non c'è ne più di solvente, perché è stato tutto biotrasformato. Quindi dobbiamo
dire la finestra temporale della raccolta. Il piombo (si misura con esame del sangue) non ha finestre
temporali e il tempo di dimezzamento è di circa 15-20 giorni. Durante un arco di tempo di 15
giorni, che poi continua con l'esposizione, si può raccogliere accuratamente in qualsiasi momento.
Persone che sono esposte a monossido di carbonio, che hanno patologie cardiocircolatorie, se uno
deve accertare che queste persone possono continuare a lavorare, si deve accertare questa
esposizione alla fine del turno di lavoro, perché sono 4 ore il tempo di dimezzamento. Il laboratorio
alle sette del pomeriggio non ha una persona che va in fabbrica che va a prendere il prelievo. Dice

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che viene la mattina dopo e la mattina dopo non c'è più monossido di carbonio nell'organismo. E
quindi il medico competente da l'ok per svolgere quel lavoro. In queste tabelle ci sono anche una
serie di notazioni che guidano la lettura del dato, cioè dicono se:
- quella sostanza che stiamo studiando è un indicatore biologico che può avere un background di
interpretazione,
- se è non specifico quell'indicatore, nel senso che c'è un incertezza sulla presenza di un dato visto
che la ricerca non è arrivata ancora al punto di identificare un indicatore specifico per quella
sostanza, e se le misure sono semi quantitative.
Ogni sostanza viene identificata con un numero, ci dice qual è il suo indicatore biologico. Ad
esempio per il benzene uno può usare l’acido S-enil-mercapturico (SPMA) e l’acido trans,trans-
muconico (TTMA). La maggior parte del benzene che entra nell'organismo viene subito
biotrasformato. Vengono usate queste sostanze qui che sono molto rappresentative dal genitore da
cui provengono. Quando si fa il prelievo, qual è il valore di riferimento per queste sostanze e
quando si deve fare il prelievo. Uno gli indicatori se li sceglie, questo vale per i medici competenti
non per voi. Bisogna conoscere la tossicocinetica e i suoi effetti. Ad esempio, il piombo che si
accumula nelle ossa, nei denti come si può determinare? È poco frequente che si dica che si prende
un pezzetto d'osso, e quanto deve essere grande? 50 grammi, 100 grammi. “Immaginate un
lavoratore che sta esposto al piombo che deve fare un indagine biologica al piombo e scopritegli la
gamba e chiedete un pezzetto di osso. Vi spara.” Ci sono altre tecniche per valutare l'accumulo del
piombo. Il campionamento deve essere non invasivo. Dovete inquadrare il soggetto nella sua
interezza, tra le condizioni di salute e le esposizioni.

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Uno  dei  rischi  in  sala  operatoria  risulta  essere  rappresentato  dall'INALAZIONE  degli  ANESTETICI.  
I  principali  anestetici  che  vengono  utilizzati  sono  rappresentati  da  :  PROTOSSIDO  DI  AZOTO, 
ISOFLUORANO, ENFLUORANO e l'ALOTANO. 

La  più  importante  fonte  di  esposizione  risulta  essere  rappresentato  dalle  PERDITE  DI  GAS 
ANESTETICO  dall'apparecchiatura  per  anestesia,  ma  da  non  sottovalutare  sono  i  comportamenti 
degli  anestesisti,  oltre  alla  scorretta  installazione  e  manutenzione  dei  sistemi  di  aspirazione  e  di 
convogliamento  all'esterno  dei  gas.  Nel  1989  il  Ministero  della  Sanità  ha  stabilito  il  VALORE 
MASSIMO  DI  100  ppm  (TWA)  come  limite  tecnico  per  le  sale  operatorie  esistenti  e  di  50  ppm  per 
quelle di nuova costruzione.  

L'ESPOSIZIONE  A  GAS  ANESTETICI  viene  valutata  mediante  tecniche  di  MONITORAGGIO 


AMBIENTALE, tramite : 

ANALIZZATORI per CAMPIONAMENTI FISSI; 
DOSIMETRI per CAMPIONAMENTI PERSONALI.   

Per quanto riguarda il DESTINO METABOLICO, per tutti gli anestetici volatili è stata dimostrata una 
BIOTRASFORMAZIONE: 

della quota di ALOTANO, assorbito e poi metabolizzato a livello epatico, si ritrova nelle urine 
un 18‐20% come bromuri e un  12% come acido trifluoro acetico; 
l'ENFLUORANO  subisce  una  biotrasformazione  più  limitata,  viene  eliminato  come  tale  per 
l'80% per via respiratoria e la quota restante con le urine; 
l'ISOFLUORANO viene eliminato quasi in toto per via respiratoria; 
il  PROTOSSIDO  DI  AZOTO,  essendo  poco  solubile  nel  sangue  e  nei  tessuti,  viene  solo 
parzialmente  metabolizzato  dall'organismo  e  rapidamente  eliminato  per  via  respiratoria.  
 

Per quanto riguarda poi gli EFFETTI BIOLOGICI: 

FEGATO,  determinano  PEROSSIDAZIONE  LIPIDICA,  CITOLISI  EPATICA  ed  effetti  sugli  enzimi 
epatici microsomiali. 
SISTEMA  EMOPOIETICO.  Nel  1950  è  stata  dimostrato  che  nei  pz  con  tetano  trattati  con 
anestetici  si  determinava  DEPRESSIONE  MIDOLLARE  con  una  ANEMIA  PERNICIOSA.  Esso 
dovrebbe  agire  inattivando  la  VITAMINA  B12  e  dunque  la  METIONINA  SINTASI.  E'  proprio 
all'INATTIVAZIONE DELLA VITAMINA B12 che è dovuto anche l'EFFETTO GONADOTOSSICO e 
NEUROTOSSICO.  
ANOMALIE  DELLA  RIPRODUZIONE  quali  aborti  spontanei  e  malformazioni  congenite  nella 
prole, ma sono stati poi smentiti da studi epidemiologici condotti in altri Stati.  

 
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L'asma professionale è una malattia cronica infiammatoria delle vie aeree caratterizzata da: 

OSTRUZIONE VARIABILE DELLE VIE AEREE; 
IPERRESPONSIVITA' DELLE STRUTTURE BRONCHIALI.  
Sulla base della presenza o meno di un periodo di latenza nella comparsa dei sintomi, distinguiamo: 

ASMA  IMMUNOLOGICO,  compare  dopo  un  periodo  di  latenza  variabile,  durante  il  quale  si 
verifica  la  sensibilizzazione  ad  un  agente  asmogeno  presente  nell'ambiente  di  lavoro.  E'  la 
forma più frequente di asma bronchiale professionale; 
ASMA  IRRITATIVO,  in  cui  non  c'è  periodo  di  latenza.  Esso  compare  dopo  un'esposizione 
intensa  a  polveri,  vapori,  fumi  irritanti.  E'  raro.  In  alcuni  pz,  dopo  l'episodio  acuto,  l'asma 
persiste nel tempo.  
Per  quanto  riguarda  l'asma  immunologico,  c'è  da  dire  che  le  forme  di  ABP  IgE‐mediate  non  sono 
distinguibili  dal  punto  di  vista  clinico  e  funzionale  da  quelle  in  cui  le  IgE  non  svolgono  un  ruolo 
preminente (isocianati, cedro rosso).  

Il  meccanismo  patogenetico  comune  coinvolge  il  sistema  immunitario.  In  entrambi  i casi  l’evento 
che condiziona la malattia è la sensibilizzazione. 

 
Gli  AGENTI  EZIOLOGICI  più  comuni  sono  :  ISOCIANATI,  FARINE,  LEGNI,  LATTICE  NATURALE.  
I SINTOMI sono: 

o DISPNEA ACCESSUALE, notturna o mattutina; 
o SIBILI INTRATORACICI; 
o TOSSE; 
o OPPRESSIONE TORACICA.  
Nella PATOGENESI rientrano:  

SPASMO DELLA MUSCOLATURA LISCIA,  
EDEMA DELLA MUCOSA  
IPERSECREZIONE.  
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Consideriamo poi che esistono FATTORI DI SUSCETTIBILITA' INDIVIDUALE:  
ATOPIA (solo per gli asmogeni ad alto peso molecolare) 
FUMO DI TABACCO; 
RINITE PRESISTENTE, che è un fattore predisponente per l'asma.  
DIAGNOSI 

STORIA CLINICA E SINTOMATOLOGIA CARATTERISTICA; 

RILIEVO ANAMNESTICO  ed E.O.; 

TEST  CUTANEI  O  IN  VITRO  POSITIVI  PER  ALLERGENI  ANAMNESTICAMENTE  SIGNIFICATIVI.  Tra 
questi è compreso il Prick Test con allergeni presenti nell'ambiente lavorativo. 

TEST  DI  PROVOCAZIONE  BRONCHIALE  POSITIVI.  Il  test  di  provocazione  bronchiale  più  diffuso  è  il 
test  con  metacolina.  In  questo  test  il  soggetto  inala  dosi  crescenti  di  metacolina,  una  sostanza 
farmacologica  che  determina  una  minima  ostruzione  dei  bronchi  dei  soggetti  con  asma  bronchiale 
mentre  non  ha  nessun  effetto  nei  bronchi  dei  soggetti  normali.  Dunque,  dopo  ogni  singola 
inalazione, viene effettuata una spirometria (va a misurare la funzione del polmone, in particolare il 
volume  e/o  la  velocità  con  cui  l’aria  può  essere  inspirata  o  espirata  da  un  soggetto.  Il  risultato  ci 
fornisce  anche  il  grado  di  pervietà  dei  bronchi),  i  cui  risultati  vengono  rapportati  a  quelli  della 
spirometria basale, eseguita prima di cominciare il test. Spesso, infatti, la spirometria risulta negativa 
anche  in  pz  con  asma  bronchiale  se  non  è  in  corso  una  crisi  asmatica.    Se  il  test  è  positivo  viene 
rilevata l'ipereattività bronchiale, tipica dell'asma bronchiale. Si ottiene così una curva dose‐risposta 
che esprime il grado di responsività bronchiale del soggetto. 

MONITORAGGIO  DEL  PEF.  La  misurazione  del  picco  di  flusso  espiratorio  (PEF)  viene  eseguita 
soffiando con la massima forza possibile dentro uno spirometrino portatile, in genere di materiale 
plastico da utilizzare al proprio domicilio al mattino, alla sera e ogni volta che si è in presenza di una 
crisi asmatica. I valori misurati devono essere riportati in un diario del respiro. Il misuratore del PEF 
rappresenta quindi uno strumento indispensabile per l'autovalutazione domiciliare dell'asma; 

RICERCA DI IgE SPECIFICHE per allergeni presenti nell'esposizione lavorativa. 

  Segni preclinici di asma professionale  

   Per l’asma IgE‐mediata la positivizzazione dei test cutanei o della ricerca di IgE specifiche per 
allergeni presenti nell’ambiente di lavoro.  
 
 Per l’asma non IgE‐mediata non disponiamo di segni preclinici 
 

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Con  il  termine  alveolite  allergica  estrinseca  o  polmonite  da  ipersensibilità  si  definisce  un  processo 
infiammatorio  di  natura  immunologica  a  carico  delle  strutture  polmonari  distali,  dovuto  a  ripetute 
inalazioni di polveri organiche di diversa natura in soggetti predisposti.  

Gli AGENTI EZIOLOGICI sono: 

MICRORGANISMI spore di miceti, lieviti, amebe Ne deriva che le classi di 
lavoratori a rischio sono agricoltori, allevatori di bestiame, coltivatori di funghi, 
lavoratori del formaggio, conciatori di pellami, parrucchieri. 
POLVERI VEGETALI (spore di funghi, caffè verde); sono a rischio, quindi, coltivatori di funghi e 
lavoratori del caffè 
DERIVATI ANIMALI (proteine aviarie, ittiche, proteine urinarie di ratto, proteine di larve di 
baco da seta)‐‐> a rischio allevatori di uccelli, ricercatori, allevatori bachi da seta. 
SOSTANZE CHIMICHE SEMPLICI (isocianati).  
 
PATOGENESI 

CLINICA 

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Le alveoliti allergiche intrinseche possono presentarsi in forma ACUTA o SUBACUTA e quindi 
possono evolvere verso una completa restitutio ad integrum, oppure dar vita alla forma CRONICA 
che evolve verso la FIBRO SI POLMONARE.  

1. La forma ACUTA è caratterizzata da : 
 SINTOMI  SISTEMICI  quali  FEBBRE,  DOLORI  ARTICOLARI  E  MUSCOLARI,  NAUSEA, 
VOMITO E DIARREA; 
 SINTOMI  RESPIRATORI  come  SENSO  DI  OPPRESSIONE  TORACICO,  TOSSE  CON  O 
SENZA ESPETTORAZIONE, DISPNEA A RIPOSO O DA SFORZO.  
2. La forma SUBACUTA è caratterizzata da: 
 SINTOMI SISTEMICI quali FEBBRICOLA, CALO PONDERALE;   
 SINTOMI  RESPIRATORI  quali  TOSSE  CON  SCARSA  ESPETTORAZIONE,  DISPNEA  DA 
SFORZO.  
3. La forma CRONICA è caratterizzata da: 
 ASSENZA DI SINTOMI SISTEMICI; 
 SINTOMI  RESPIRATORI  quali  DISPNEA  DA  SFORZO  INGRAVESCENTE  e  SINTOMI  DI 
BRONCHITE CRONICA E/O DI CUORE POLMONARE.  
Inoltre, non sono stati individuati ad oggi marker genetici di predisposizione e numerosi studi 
suggeriscono che l'abitudine al fumo sia un fattore di protezione, sia nei riguardi della 
sensibilizzazione sia nei riguardi della malattia. 

CLINICA 

Quadri clinici caratteristici sono: 
polmone dell'agricoltore  
polmone da coltivatore di funghi  
polmone dei lavoratori del formaggio  
polmone dei lavoratori del caffè  
polmone dell allevatore di uccelli  
 
DIAGNOSI DI MALATTIA 
Valutazione della Gravità del  quadro anatomo clinico  
Valutazione della evolutività 
Diagnosi di interstiziopatia  
Radiografia del torace 
TAC ad alta risoluzione  
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Studio citologico e fenologico del liquido di broncolavaggio (BAL)  

Biopsia transbronchiale  
Biopsia a cielo aperto  
Scintigrafia con Gallio 67  
 Indagini funzionali respiratorie  

• Esame spirometrico (CV‐VEMS‐VRCPT)  

• (Esame pletismografico)  

• Studio della capacità di diffusione del CO  

• Emogasanalisi  

Alterazioni funzionali respiratorie  

• Il quadro tipico è caratterizzato da una insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo. 

 • Sono frequenti le alterazioni funzionali di tipo ostruttivo sovrapposte  
 

Criteri maggiori  

Sintomi compatibili alcune ore dopo l’esposizione;  
Accertamento dell’esposizione: a) rilievo anamnestico b) riscontro di anticorpi precipitanti 
per Ag delle AAE c) studio igienistico ed aerobiologico ambientale. 
Rx torace o TAC con alterazioni compatibili con AAE  
Linfocitosi nel BAL con fenotipo caratteristico 
Quadro istologico compatibile con AAE alla biopsia  
Positività test di esposizione “naturale” (lavorativa).  
Criteri minori  

1. Rantoli crepitanti basali all’auscultazione toracica; 
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 2. Insufficienza respiratoria di tipo restrittivo  

2. Diminuita capacità di diffusione alveolocapillare del CO; 

 3. Ipossiemia a riposo o dopo sforzo 

INDICATORI BIOLOGICI 
DI SUSCETTIBILITA’  
 
Nell’ambito del monitoraggio biologico i fattori di suscettibilità genetica e/o acquisita possono essere 
utilizzati quali indicatori biologici di suscettibilità per descrivere, spiegare e/o misurare la variabilità 
osservata negli indicatori biologici.  
 
 
APPLICAZIONI DEGLI INDICATORI BIOLOGICI DI SUSCETTIBILITA’  
Gli indicatori biologici di suscettibilità possono fornire un importante contributo per: 
•una corretta interpretazione della variabilità degli indicatori biologici di esposizione o di effetto  
•una comprensione dei meccanismi biochimici e molecolari alla base di modificazioni biologiche che 
possono o precedere una manifestazione clinica  
•una stima del rischio mirata al singolo individuo o su sottogruppi di soggetti ipersuscettibili  
 

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L’inquinamento  indoor  si  riferisce  alla  presenza  di  contaminanti  fisici, 
chimici  e  biologici  nell’aria  degli  ambienti  chiusi  di  vita  e  di  lavoro  non 
industriali e in particolare di tutti i luoghi confinati adibiti a dimora, svago, 
lavoro  e  trasporto.  Con  il  temine  “indoor”  si  intendono  pertanto  sia  le 
abitazioni, gli uffici pubblici e privati (ospedali, scuole, uffici, caserme, ecc.), 
le strutture commerciali (alberghi, banche, ecc.), i locali destinati ad attività 
ricreative e/o sociali (cinema, bar, ristoranti, negozi, strutture sportive, ecc.) 
ed  infine  i  mezzi  di  trasporto  pubblici  e  privati  (auto,  treno,  aereo,  nave, 
ecc.). 
 

Le  CAUSE  dell'inquinamento  possono  essere  molteplici.  I  vari  contaminanti  possono  infatti 
derivare da: 

IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE E DI RISCALDAMENTO; 
ARREDI; 
PRODOTTI PER LA PULIZIA E LA MANUTENZIONE; 
ARIA ESTERNA; 
PERSONE.  
I parametri che influenzano la qualità dell'aria indoor possono essere: 

 fisici 
 chimici 
 microbiologici 
I parametri fisici che influenzano la qualità dell'aria indoor sono: 

VENTILAZIONE, processo di scambio dell'aria interna contaminata con l'aria esterna pulita; 
TEMPERATURA; 
UMIDITA' DELL'ARIA; 
CONFORT  TERMOIGROMETRICO,  stato  psicofisico  in  cui  un  soggetto  esprime  soddisfazione 
nei riguardi dell'ambiente termico, in termini sia del confort globale sia di disconfort locale.  
Analizziamo  ora  i  PRINCIPALI  CONTAMINANTI  e  i  loro  effetti: 
1.  ANIDRIDE  CARBONICA.  Deriva  principalmente  dalla  respirazione  e  da  fonti  di  combustione. 
Determina difficoltà di respirazione, mal di testa e nausea. 

2. MONOSSIDO DI CARBONIO. Deriva dall'ossidazione incompleta di composti organici in processi di 
combustione  (sistemi  di  riscaldamento,  fumo  di  tabacco,  fonti  outdoor  come  il  traffico 
autoveicolare).  
3.  PARTICOLATO.  Deriva  dal  fumo  di  sigaretta  e  impianto  di  ventilazione  non  in  ottimo  stato  di 
manutenzione. Gli effetti sono correlati con l'inalazione delle sostanze adsorbite sulla sua superficie 
che  WWWW.SUNHOPE.IT
facilmente  possono  penetrare  nell'apparato  respiratori  (come  i  composti  organici  volatili). 
4.  VOC  (COMPOSTI  ORGANICI  VOLATILI).  Derivano  dal  fumo  di  sigaretta,  ma  anche  disinfettanti, 
insetticidi,  colle  ed  adesivi.  Determinano  EFFETTI  ACUTI  e  CRONICI:  senso  di  fatica,  mal  di  testa, 
vertigini,  debolezza,  irritazione  cutanea,  oculare  e  al  tratto  respiratorio,  aritmia  cardiaca.  
5.  FORMALDEIDE.  Deriva  dal  fumo  di  sigaretta  e  dai  collanti  per  prodotti  in  legno.  Determinano 
effetti irritativi e sensibilizzanti: irritazione oculare, a naso, gola,starnuti e tosse, nausea e dispnea.  
6.  OZONO.  Deriva  da  strumenti  elettrici  come  stampanti  laser,  fax.  Determina  aumento  della 
reattività bronchiale, riduzione della funzione ventilatoria, aumento di infezioni batteriche e disturbi 
del SNC.  

7. AGENTI BIOLOGICI (acari,funghi, muffe e batteri). Deriva da fonti outdoor, polveri su superfici e 
moquette, componenti del sistema di ventilazione. Determinano effetti tossici e danni soprattutto a 
livello dell'apparato respiratorio.  

8.  RADON.  Dal  suolo  sottostante  l'edificio,  il  radon  viene  spinto  verso  l'esterno  (dalla  differenza  di 
pressione o per diffusione) e penetra negli edifici mediante le fessure presenti nelle fondamenta. Il 
Radon  è  un  gas  radioattivo  classificato  come  cancerogeno.  
 

Le PRINCIPALI PATOLOGIE che sono connesse con una cattiva qualità dell'aria degli ambienti 
indoor sono: 

1.  MALATTIE  ASSOCIATE  AGLI  EDIFICI:  sintomi  o  affezioni  che  colpiscono  uno  o 
più  abitanti  di  un  edificio,  attribuibili  ad  un  agente  causale  noto,  generalmente 
correlato  a  una  CATTIVA  MANUTENZIONE  DELL'IMPIANTO  DI  VENTILAZIONE  E 
CONDIZIONAMENTO DELL'ARIA.  

Rientrano: 
‐ malattie infettive (legionellosi, tbc, aspergillosi); 

‐ malattie immunologiche (polmonite da ipersensibilità); 

‐ malattie allergiche (dermatiti, riniti); 

‐ malattie irritative (dermatiti, irritazione delle vie aeree).  

2.  SINDROME  DELL'EDIFICIO  MALATO  :  sindrome  che  colpisce  la 


maggior  parte  degli  occupanti  di  un  edificio  e  che  si  manifesta  con 
sintomi ASPECIFICI ma RIPETITIVI e che non riconosce un agente causale 
specifico.  I  sintomi  sono  IRRITATIVI  (riguardano  occhi,  cute  e  mucose 
delle prime vie aeree) e GENERALI (cefalea, sonnolenza, talvolta nausea, 
difficoltà  di  concentrazione).  Tale  sintomi  si  manifestano  dopo  qualche  ora  dall'inizio  del  lavoro  e 
generalmente  tendono  a  regredire  entro  2‐3  giorni  dall'abbandono  del  luogo  di  lavoro.  
3. MCS (MULTIPLE CHEMICAL SENSITIVITY. Sindrome cronica da ipersensibilità a molteplici sostanze 
chimiche  in  dosi  molto  basse,  caratterizzata  da  sintomi  ricorrenti  a  diversi  organi  e  apparati,  in 
particolare al SNC: cefalea, insonnia, tremori, ansia, vertigini, irritabilità. Ci sono ovviamente anche 
sintomi irritativi.  

*********** 
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Nel caso degli ambienti indoor, risultano assenti VALORI LIMITE per i vari inquinanti.  

In Italia, solo da pochi anni, sono state emanate le "LINEE GUIDA PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE 
DELLA  SALUTE  NEGLI  AMBIENTI  CONFINATI"  e  i  "REQUISITI  IGIENICI  PER  LE  OPERAZIONI  DI 
MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE".  

Come si effettua la VALUTAZIONE DEL RISCHIO? Si basa su differenti punti: 

1. ACQUISIZIONE DATI SULL'EDIFICIO:  

o CARATTERISTICHE  DELL'EDIFICIO  (come  è  stato  costruito,  dove  si  trova  e  com'è  il 
suolo sul quale poggia); 
o CENSIMENTO  DELLE  PRINCIOPALI  FONTI  DI  INQUINAMENTO  INDOOR  (arredi  e 
impianti); 
o PROCEDURE DI GESTIONE (pulizia e manutenzione).  
2.  ANALISI  DELLA SITUAZIONE  mediante  SOPRALLUOGHI  e  SOMMINISTRAZIONE  DI  QUESTIONARI 
SULLA PERCEZIONE SOGGETTIVA DEL COMFORT DEI LAVORATORI.  

3.  INDAGINE  AMBIENTALE  STRUMENTALE  mediante  la  misura  dei  differenti  parametri 
(microclimatici, anidride carbonica, monossido di carbonio); 

4. INDAGINE AMBIENTALE SPECIALISTICA mediante la misura di parametri come composti organici e 
formaldeide.  

Tra le varie misure di sicurezza e prevenzione : 

‐ per le POLVERI, tra le misure primarie rientra una settimanale pulizia e riduzione/eliminazione di 
tappeti  e  moquette,  tra  le  misure  secondarie  miglioramento  dei  sistemi  di  riscaldamento, 
ventilazione e condizionamento dell'aria; 

‐  per  le  FOTOCOPIATRICI  e  STAMPANTI  LASER  tra  le  misure  rientra  la  COLLOCAZIONE  IN  LOCALI 
APPOSITI; 
‐  per  il  RADON,  bisognerà  aumentare  la  ventilazione  e  mantenere  una  differente  pressurizzazione 
intorno al seminterrato.  

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Il rischio biologico rappresenta l'esposizione ad agenti biologici nell'ambito dell'attività lavorativa. 

La definizione di agente biologico sec. il decreto legislativo 81/08:  

•  per  Agente  Biologico  si  intende  qualsiasi  microrganismo,  anche  se  geneticamente  modificato, 
coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.  

• Microrganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire 
materiale genetico.  

• Coltura cellulare: risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari 

Classificazione degli agenti biologici. (Art. 268 D.Lgs.81/08)  
Gli agenti biologici sono ripartiti nei seguenti quattro gruppi a seconda del rischio di infezione: 

agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie 
in soggetti umani  
agente  biologico  del  gruppo  2:  un  agente  che  può  causare  malattie  in  soggetti  umani  e 
costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di 
norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (come ad esempio S. Aureus, C. 
Tetani, B. Pertussis, N. Meningitidis, N. Gonorrhoeae)  
agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e 
costituisce un serio rischio per i lavoratori; l'agente biologico può propagarsi nella comunità, 
ma  di  norma  sono  disponibili  efficaci  misure  profilattiche  o  terapeutiche  (come  ad  es.  per 
HBV, HCV, HIV, S. Typhi)  
agente  biologico  del  gruppo  4:  un  agente  biologico  che  può  provocare  malattie  gravi  in 
soggetti  umani  e  costituisce  un  serio  rischio  per  i  lavoratori  e  può  presentare  un  elevato 
rischio  di  propagazione  nella  comunità;  non  sono  disponibili,  di  norma,  efficaci  misure, 
profilattiche o terapeutiche (come ad es. per Virus Ebola, Variola, Crimea‐Congo) 
I Rischi presenti in ambito ospedaliero non sono solo biologici, ma ci sono anche il rischio chimico: 
[sale  operatorie  (gas  anestetici)],  quello  fisico  (radiazioni  ionizzanti  e  non  ionizzanti)  e  quello 
trasversale. 

  “L’ambiente  sanitario  risulta,  tra  quelli  abitati  dall’uomo, 


un’area dove si possono realizzare importanti concentrazione 
 
di microrganismi patogeni nelle migliori condizioni per la loro 
  diffusione” 

 Il rischio da agenti biologici, in ospedale, è dovuto a:  
Presenza di sorgenti naturali di infezione: pazienti affetti da patologie da agenti biologici con 
frequente necessità di prelievo e/o manipolazione di loro materiali biologici;  
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Modalità di contatto per lavorazioni specifiche (es. laboratori di microbiologia o di anatomia 
patologica)  
presenza di agenti biologici e/o derivati che può essere riferita a quella di qualsiasi moderno 
edificio (es. rischi legati al sistema di condizionamento dell’aria) 
****************** 

Titolo X D.lgs.81/08 
Il  campo  di  applicazione  del  Titolo  X  del  Decreto  comprende  tutte  le  attivita'  che  possono 
comportare rischio di esposizione ad agenti biologici:  

sia quelle con uso deliberato di microrganismi: Settori lavorativi con l’uso deliberato di agenti 
biologici sono: 
 Universita'  e  Centri  di  ricerca  –  ricerca  e  sperimentazione  nuovi  materiali  e  processi 
utilizzanti agenti biologici; – laboratori di microbiologia (diagnostica e saggio)  
  Sanita‘  –  ricerca  e  sperimentazione  nuovi  metodi  diagnostici,  –  farmaci  contenenti 
agenti biologici (uso e sperimentazione)  
 Industria delle biotecnologie – produzione di microrganismi selezionati 
che quelle con rischio potenziale di esposizione: attivita' con potenziale esposizione ad agenti 
biologici sono 
 Industria alimentare  
 Agricoltura  
 Macellazione carni  
 Servizi veterinari  
 Industria di trasformazione di derivati animali (cuoio, pelle, lana, ecc.)  
 Servizi di raccolta, trattamento, smaltimento rifiuti  
 Servizio Sanitario Servizi sanitari  
 attività ambulatoriale o di ricovero (studi dentistici, ect.)  
 Laboratori  diagnostici  (esclusi  quelli  di  microbiologia  in  cui  si  effettuino  attività 
comportanti uso deliberato di microrganismi)  
 Servizi mortuari e cimiteriali  
Altre attivita' con potenziale esposizione ad agenti biologici  
 Servizi di disinfezione e disinfestazione  
 Impianti  industriali  di  sterilizzazione,  disinfezione  e  lavaggio  di  materiali  potenzialmente 
infetti  
 Impianti depurazione acque di scarico  
 Manutenzione impianti fognari 
****************************** 
 

Principali rischi infettivi in ambiente sanitario sono Virus Epatitici: HBV, HCV e altri 
agenti virali epatitici, HIV, TBC., scabbia, agenti infettivi causa di meningite. 

Le MODALITÀ DI TRASMISSIONE sono diverse 

Nosocomiale (da paziente infetto a paziente, da ambiente a paziente)  
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Occupazionale (da paziente infetto ad operatore)  
Da operatore infetto a paziente  
La TRASMISSIONE può essere:  

o Diretta:  Contatto  sessuale  Contatto  tra  cute  e/o  mucose  Via  transplacentare 
Passaggio attraverso il canale del parto Allattamento materno  
o Indiretta:  Goccioline  di  saliva  nell’aria  espirata,  vomito,  feci,  urine,  sangue,  pus, 
attrezzature, aghi, oggetti taglienti, attrezzature contaminate  
o Vettori : insetti, artropodi  
Le VIE DI TRASMISSIONE sono: ingestione, Inalazione (aerogena per: contatti stretti come i familiari, 
contatti regolari o saltuari), Inoculazione, contaminazione di cute e mucose 

Ma  in  che  modo  si  può  essere  esposti  al  rischio  biologico?  Vediamo  le  MODALITA'  DI 
ESPOSIZIONE:  punture  accidentali  con  aghi  contaminati  (modalità  più  frequente),  tagli  con 
oggetti  taglienti  (bisturi,  vetri  rotti,  etc.),  contatto  con  mucose  integre  (occhi,  cavo  orale,  naso)  o 
cute  lesa  (eczemi,  lesioni)  altri  fluidi  corporei  assimilabili  al  sangue,  attraverso  liquidi  corporei: 
sperma,  secrezioni  vaginali,  liquido  cerebrospinale,  liquido  sinoviale,  liquido  pleurico,  liquido 
pericardico,  liquido  peritoneale,  liquido  amniotico,  saliva  nelle  pratiche  odontoiatriche,  colture 
cellulari  o  colture  di  tessuti  infettati  da  HIV  o  HBV,  sangue,  organi  o  altri  tessuti  di  animali  da 
laboratorio infettati sperimentalmente con HIV o HBV. 

Il livello di RISCHIO è : 

o TRASCURABILE,  quando  non  c'è  assistenza  diretta  dei  pz,  nè  manipolazione  di 
campioni biologici; 
o LIEVE, quando c'è assistenza diretta ai pz o manipolazione dei campioni biologici; 
o MEDIO, esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione; 
o ALTO,  quando  c'è  assistenza  diretta  ai  pz,  manipolazione  di  campioni  biologici, 
esecuzione  di  procedure  invasive  a  rischio  di  esposizione  in  condizioni  tecniche, 
organizzative, procedurali insufficienti o sfavorevoli 
 

MISURE DI PREVENZIONE
WWWW.SUNHOPE.IT  (norme di corretto comportamento)  
o divieto di fumare mangiare al di fuori degli spazi appositamente riservati  
o vietato  toccare  oggetti  (telefono,porta,ecc  )  con  guanti  utilizzati  per  prestazioni 
sanitarie  
o tutti gli operatori sanitari devono adottare le misure necessarie a prevenire incidenti 
causati da aghi,bisturi ed altri oggetti taglienti utilizzati  
o gli aghi non debbono essere reincappucciati, o volontariamente piegati o rotti, rimossi 
dalle siringhe o altrimenti manipolati, al fine di prevenire punture accidentali  
o dopo  l’uso  gli  aghi  ,  le  lame  di  bisturi  e  altri  oggetti  taglienti  debbono  essere  riposti 
,per  l’eliminazione  ,  in  appositi  contenitori  sistemati  in  posizione  vicina  e  comoda 
rispetto al posto dove vengono usati 
E'  fondamentale  l'  INFORMAZIONE  E  FORMAZIONE.  Nelle  attività  nelle  quali  esistono 
rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni su: a) i rischi 
per  la  salute  derivanti  dagli  agenti  biologici  utilizzati  b)  le  precauzioni  da  prendere  per  evitare 
l’esposizione c) le misure igieniche da osservare d) l’impiego di mezzi individuali di protezione e) le 
procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici di gruppo 4 f) il modo di prevenire gli 
infortuni e ridurne al minimo le conseguenze.  

Nel  luogo  di  lavoro  sono  presenti  cartelli  in  cui  sono  riportate  le  procedure  da  seguire  in  caso  di 
infortunio.  La  formazione  è  fornita  prima  che  i  lavoratori  siano  adibiti  alle  attività  in  questione  e 
ripetuta con frequenza almeno quinquennale.  

Il  datore  di  lavoro:  a)  evita  l’utilizzo  di  agenti  biologici  nocivi,  se  il  tipo  di  attività  lavorativa  lo 
consente  e  limita  al  minimo  i  lavoratori  esposti  al  rischio  di  agenti  biologici  b)  progetta 
adeguatamente i processi lavorativi ed adotta misure collettive o individuali di protezione c) adotta 
misure  igieniche  per  prevenire  e  ridurre  al  minimo  la  propagazione  accidentale  di  un  agente 
biologico fuori dal luogo di lavoro e definisce procedure di emergenza per gestire infortuni d) Segnala 
adeguatamente  la  presenza  di  rischio  biologico  f)  predispone  i  mezzi  necessari  per  lo  smaltimento 
dei rifiuti e concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto di agenti biologici nel luogo di 
lavoro  

Misure specifiche di protezione e di prevenzione 
 Il  datore  di  lavoro,  sulla  base  dell’attività  e  della  valutazione  dei  rischi  di  cui  all’articolo  60‐bis, 
provvede  affinché  il  rischio  sia  eliminato  o  ridotto  mediante  la  sostituzione,  qualora  la  natura 
dell’attività  lo  consenta,  con  altri  agenti  o  processi  che,  nelle  condizioni  di  uso,  non  sono  o  sono 
meno pericolosi per la salute dei lavoratori.  

Quando la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione il datore 
di  lavoro  garantisce  che  il  rischio  sia  ridotto  mediante  l’applicazione  delle  seguenti  misure 
nell’indicato ordine di priorità:  

progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonchè uso di attrezzature 
e materiali adeguati;  
misure di protezione collettive; 
misure di protezione individuali; 
sorveglianza sanitaria dei lavoratori.  
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Inoltre,  il  datore  di  lavoro  adotta  misure  protettive  particolari  per  quei  lavoratori  per  i  quali  si 
richiedano  delle  misure  speciali  di  protezione,  come  la  messa  a  disposizione  di  vaccini 
efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni a quel determinato agente biologico presente 
nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente. Vediamone alcuni: 

Vaccino Anti HBV Vaccino sintetico con la tecnica del DNA ricombinante. Dopo un ciclo completo la 
% di sieroconversione è superiore al 95% nei soggetti sani, sia bambini , che adulti. La durata della 
protezione  varia  tra  5‐10  aa.  Vaccino  anti‐HBV  La  vaccinazione  contro  l'epatite  virale  B  è 
raccomandata,  e  offerta  gratuitamente  –  agli  operatori  sanitari  –  e  al personale  di  assistenza  degli 
ospedali  e  delle  case  di  cura  private  –  alle  persone  conviventi  con  portatori  cronici  del  virus 
dell'epatite B – agli operatori di pubblica sicurezza – ai politrasfusi e agli emodializzati – e a tutte le 
altre categorie indicate nel D.M. del 4 ottobre 1991  

Vaccinazione  antitubercolare  Il  DPR  465  del  7/11/2001  ha  stabilito  che  la  vaccinazione 
antitubercolare  è  ora  obbligatoria  soltanto  per  il  personale  sanitario,  gli  studenti  in  medicina,  gli 
allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo: – operi in ambienti 
sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti – oppure che operi in ambienti 
ad alto rischio e non possa essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni 
cliniche all’uso di farmaci specifici  

Cosa fare dopo la Mantoux? 

o Se negativa: non è necessario fare altro‐‐‐> direttamente vaccinazione  
o Se positiva –> Rx torace   
 Se il torace è normale con assenza di sintomi (infezione senza malattia) si esegue 
una profilassi farmacologica.   
 Torace normale con presenza di sintomi si prosegue l’iter diagnostico   
 Rx  torace  alterato  si  prosegue  l’iter  diagnostico,  vale  a  dire  visita  specialistica 
pneumologica,  infettivologica,  esame  escreato  e  coltura  batterica  per  diagnosi 
differenziale (TB o altra malattia).  
DISPOSITIVI  DI  PROTEZIONE  INDIVIDUALE  Guanti  Maschere  Camici  Occhiali  Calzari 
DPI  

Camici. In campo sanitario gli indumenti da lavoro di norma non sono considerati D.P.I. salvo quando 
vengono  utilizzati  in  aggiunta  alla  divisa  per  proteggersi  da  un  rischio  specifico  presente 
nell’ambiente.  I  camici  da  adottare  come  D.P.I.  sono  quelli  di  tipo 
chirurgico  monouso  di  tipo  idrorepellente  in  tessuto  non  tessuto,  con 
allacciatura posteriore, maniche lunghe con polsino di elastico o maglia, di 
lunghezza  almeno  al  di  sotto  del  ginocchio.  Durante  l’esecuzione  di 
particolari manovre in cui l’operatore sanitario può essere esposto a schizzi 
di liquido, per esempio broncostimolazione, il camice può essere rinforzato 
anteriormente  e  sulle  braccia  può  essere  utilizzato  un  manicotto  di 
materiale  barriera  che  oltrettutto  facilita  l’adesione  del  guanto  sopra  il 
camice. I camici non vanno utilizzati fuori dalle aree di esposizione, come va 
assolutamente evitato il loro utilizzo dopo precedenti esposizioni.  
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Maschere: E' indispensabile l'uso di maschere filtranti facciali a conchiglia quando si eseguono atti 
sanitari su pazienti che trasmettono malattie per via aerea o se si eseguono operazioni che possono 
produrre schizzi di sangue. E' preferibile la conchiglia di tipo rigido, con idonea e morbida bardatura, 
con stringinaso e con due elastici, in modo da permettere di adattare perfettamente la maschera al 
viso dell'operatore sanitario  

Occhiali: Gli occhiali devono essere dotati di protezione laterale oppure 
a mascherina. Per gli Operatori che utilizzino sistemi di correzione, i DPI 
devono  essere  compatibili  con  l’uso  degli  occhiali  o  con  le  lenti  a 
contatto. Sono sconsigliati gli schermi a visiera perché si sono verificate 
contaminazioni degli occhi soprattutto quando si eseguono lavori che possono produrre schizzi con 
notevole quantità di materiale biologico oppure schizzi provenienti dal basso. Devono avere lenti in 
policarbonato antigraffio, incolori, otticamente neutre che non producano distorsioni (Classe ottica 
1), montatura robusta, comoda, leggera e ben aderente al viso, possibilmente con astine regolabili. 
Devono  essere  resistenti  all’impatto  (almeno  simbolo  F  sia  per  la  montatura  che  per  le  lenti), 
antiappannanti  (simbolo  N)  ed  antigraffio  (simbolo  K).  Per  gli  Operatori  che  utilizzino  sistemi  di 
correzione,  i  DPI  devono  essere  compatibili  con  l’uso  degli  occhiali  o  con  le  lenti  a  contatto.  Gli 
occhiali vanno lavati dopo l'uso con un detergente compatibile non aggressivo (sapone di marsiglia) e 
sciacquati sotto un moderato getto d'acqua. L’eventuale disinfezione deve essere attuata utilizzando 
prodotti quali: l’amuchina al 3%. In caso di sterilizzazione si devono utilizzare sistemi a freddo come 
l’ossido  di  etilene  o  l’acido  peracetico.  Non  bisogna  mai  usare  detergenti  abrasivi  o  fortemente 
alcalini, solventi o liquidi organici come benzina.  

 Guanti Per la protezione delle mani occorre indossare  guanti monouso in 
lattice sufficientemente lunghi in modo da essere sempre indossati sopra i 
polsini  dei  camici.  Essi  vanno  indossati  in  tutte  le  fasi  di  manipolazione, 
diretta ed indiretta, del sangue o di altri materiali biologici.  

Non  esistono  guanti  in  lattice  capaci  di  garantire  una  impermeabilità 
assoluta al sangue ed una lunga resistenza nel tempo e pertanto devono 
essere sostituiti ogni 30 minuti. I guanti in PVC possono essere utilizzati quando si deve manipolare 
uno strumento od eseguire una procedura che termina in pochi minuti.  

E’  necessario  che  sul  guanto  sia  presente  la  marcatura  CE  come  DPI  di  terza  categoria  ai  sensi  del 
D.Lgs.  475/92  e  possegga  una  certificazione  che  attesti  i  requisiti  prescritti  dalla  norma  tecnica  EN 
374  (protezione  contro  i  microrganismi  di  classe  3‐  allegato  XI  del  D.  Lgs  626/94).  Un  organismo 
notificato  mediante  opportuna  certificazione  deve  attestare  le  caratteristiche  tecniche  e  i  requisiti 
tecnici  del  DPI  prevedendo  test  con  impiego  del  batteriofago  Phi  X  174.  Si  raccomanda  anche 
un’accurata  selezione  della  misura  per  ciascun  Operatore  (un  guanto  che  non  calzi  bene,  perché 
troppo  stretto  o  troppo  largo,può  costituire  di  per  se  un  rischio);  un  altro  parametro  di  grande 
importanza di valutare all’atto dellla fornitura è lo spessore (in mm e frazioni), dovendosi soddisfare 
le esigenze di resistenza alla lacerazione e/o alla perforazione con quelle di sensibilità, vestibilità e 
tollerabilità  per  l’Operatore.  Prima  di  indossare  i  guanti  e  soprattutto  dopo  averli  rimossi  bisogna 
lavare accuratamente le mani. 

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Guanti  antitaglio  Esistono  dei  presidi  di  protezione  in  fibra  para  – 
aramidica  al  100%  (kevlar)  che  possono  essere  utilizzati  come 
sottoguanto  durante  gli  interventi  chirurgici a maggior  rischio  di  taglio 
e/o abrasione e comunque in tutti quei campi lavorativi che presentano 
un rischio più accentuato. I guanti in kevlar possono essere riutilizzati. • 
Le  caratteristiche  di  questi  guanto  sono:  elasticizzato  al  polso, 
ambidestro,  in  fibra  spectra  o  in  kevlar  con  garanzia  di  una  buona 
resistenza al taglio, buona destrezza e sensibilità operativa, sterilizzabile 
in  autoclave  a  vapore.  Ai  fini  della  protezione  nei  confronti  di  agenti  biologici,  il  guanto  antitaglio 
andrà abbinato al guanto monouso  

Sovrascarpe    o  calzari  monouso  in  tessuto  non  tessuto  (TNT)  sono 


necessarie  in  quanto  evitano  la  diffusione  della  contaminazione.  Si 
sottolinea che questi presidi devono essere intesi come  dispositivi per 
i visitatori e di emergenza per l’operatore sanitario perché questi deve 
utilizzare  idonei  zoccoli  in  sala  operatoria  e  nelle  terapie  intensive, 
nido compreso.  

Inoltre  i  calzari  devono  essere  in  dotazione  presso  le  U.O.  Pronto 
Soccorso,  Pneumologia,  Malattie  infettive,  Microbiologia  e  Anatomia 
Patologica.  

Cuffie Le cuffie monouso devono essere utilizzate per proteggere i capelli da possibili contaminazioni 
in  presenza  di  aerosol  e  di  batteri  o  virus  diffusibili  per  via  aerea.    Si  sottolinea  che  questi  presidi 
devono essere intesi come dispositivi di emergenza e per i visitatori  

Grembiuli  Grembiuli  monouso  impermeabili  da  utilizzarsi  in  particolari  situazioni,  che  si  possono 
presentare in sala operatoria, sala parto e anatomia patologica, con allacciatura in vita e sul collo  

DISPOSITIVI DI PROTEZIONE COLLETTIVA 
A questa categoria appartengono DOCCE e LAVAOCCHI : in realtà, si intende l'insieme di procedure 
ed  accorgimenti  tecnici  attuabili  per  la  gestione  del  rischio  biologico.  
E' obbligatorio lavarsi le mani: 

in caso di contatto accidentale con liquidi biologici; 
dopo essersi tolti i guanti; 
prima e dopo aver mangiato; 
dopo aver utilizzato i servizi igienici; 
tra un contatto e l'altro tra pz diversi; 
prima di procedure invasive.  
Quanto  alle  ATTREZZATURE,  il  lavandino  è  preferibile  sia  dotato  di  rubinetto  a  pedale  o  ad 
azionamento a gomito o mediante fotocellula e deve contenere sapone liquido e non in pezzi, mezzi 
per asciugarsi (carta in rotolo e salviette) e liquido disinfettante.   

Un corretta procedura di lavaggio prevede: 

togliere bracciali, anelli, orologi; 
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insaponare per circa 10 secondi; 
sciacquare con acqua corrente in modo completo.  
solo in casi particolari (ad esempio dopo imbrattamento con liquidi organici), bagnare 
le mani con liquido antisettico per almeno 30 secondi; 
asciugarsi con la carta; 
chiudere i rubinetti con la carta a perdere per asciugarsi, se non presenti dispositivi a 
fotocellula. 
Usare quantità appropriate di saponi e antisettici; 
Aver cura di sciacquare completamente le mani dopo sapone o antisettico; 
 Alternare gli antisettici disponibili; 
A fine giornata lavorativa usare creme protettive. 
La SORVEGLIANZA SANITARIA relativamente al rischio da agenti biologici prevede: 

o ESAMI  DI  LABORATORIO  :  per  valutare  l'immunizzazione  nei  confronti  di  agenti 
biologici per i quali è disponibile un vaccino efficace; 
o ESAME EMATOCHIMICO: transaminasi, glicemia, azotemia, cretininemia,QPE Markers 
virali: HBsAb, HBcAb, HBsAg,HBeAb. HCVAb. 
In occasione di infortunio con rischio infettivo per punture da ago o lesione da altri oggetti 
taglienti o per contaminazioni muco‐ cutanee con sangue e/o materiali biologici, l'operatore è tenuto 
ad  adottare  immediatamente  le  misure  di  prevenzione  e  gestione  previste  dalla  Sorveglianza 
Sanitaria.  

Misure di prevenzione da adottare:

a)  in  caso  di  esposizione  parenterale  (puntura  d'ago)  aumentare  il  sanguinamento,  detergere 
abbondantemente  con  acqua  e  sapone,  disinfettare  la  ferita;
b)  in  caso  di  contaminazione  delle  mucose(schizzo  di  liquido  nel  cavo  orale  o  nella  congiuntiva), 
risciacquare  abbondantemente  con  acqua  corrente  o  con  soluzione  fisiologica;
c) in caso di contaminazione di cute lesa (liquido biologico su una soluzione di continuo di cute non 
protetta) detergere abbondantemente con acqua e sapone, disinfettare la zona;

Avvisare  immediatamente  il  responsabile  della  Divisione  o  del  Servizio  di  appartenenza(Primario  o 
altro  Dirigente,  Preposto,  Direttore  del  dipartimento  o  dell'istituto,  Direttore  della  scuola  di 
specializzazione); recarsi nel più breve tempo possibile al Pronto Soccorso per le eventuali misure di 
primo intervento e per ottenere la certificazione medica di apertura di infortunio.

Eseguire perlievo per markers virali a tempo: Tempo 0 Tempo 3 mesi Tempo 6 mesi Tempo 12 
mesi. 

Nel caso dell'epatite la somministrazione del farmaco entro 4 ore ha azione nel 98% dei casi. 

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La  tubercolosi  (TBC)  è  la  malattia  infettiva  a  più  elevata  mortalità  e  morbilità  da  singolo  agente 
patogeno ed interessa circa un terzo della popolazione mondiale, rappresentando uno dei maggiori 
problemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo. 

EPIDEMIOLOGIA NEL MONDO Nell’anno 2008 numero di casi incidenti di malattia TB pari a 9,4 
milioni  (143  nuovi  casi  per  100.000)  11,1  milioni  di  casi  prevalenti  1,3  milioni  di  morti  tra  soggetti 
non‐HIV+ 520.000 morti tra HIV+ 

Sebbene  circa  il  95%  dei  nuovi  casi  si  verifichino  in  aree  ad  elevata  endemia,  dalla  seconda  metà 
degli  anni  ‘80  l’infezione  tubercolare  ha  presentato  un  nuovo  e  progressivo  incremento  in  tutti  i 
paesi  industrializzati:  le  cause  sono  attribuibili  a  diversi  fattori  quali  l’immunodepressione,  i  flussi 
migratori  e,  negli  ultimi  anni,  l’abbandono  dei  programmi  sanitari  di  controllo  e  prevenzione 
dell’infezione. 

EPIDEMIOLOGIA IN ITALIA  
A  fronte  di  questa  apparente  stabilità  però  il  quadro  epidemiologico  della  tubercolosi  in  Italia  è 
andato  modificandosi  sensibilmente  negli  ultimi  anni.  L’attuale  situazione  epidemiologica  della 
tubercolosi  in  Italia  è  caratterizzata  da  una  concentrazione  della  maggior  parte  dei  casi  in  alcuni 
gruppi a rischio e in alcune classi di età.  Nell'ultimo decennio i tassi di incidenza delle notifiche di tbc 
sono stabili e inferori ai 10 casi per 100.000 abitanti, valore che pone l'Italia al di sotto della soglia dei 
Paesi a bassa endemia. 

Nonostante  il  quadro  nazionale  non  desti  particolare  preoccupazione,  sono  presenti  notevoli 
differenze tra regioni sia nei tassi grezzi di incidenza totali che nei tassi disaggregati per classi di età e 
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nazionalità. Dai dati disponibili, i casi di tbc si concentrano in particolare nel Centro‐Nord Italia. 
In  particolare  si  è  assistito  ad  una  riduzione  dell'incidenza  tra  gli  over  65  e  ad  un  aumento 
dell'incidenza tra i 15 e i 64 anni. 

Un'altra condizione che crea difficoltà è la presenza di ceppi multifarmacoresistenti 

EZIOLOGIA  
La  tubercolosi  è  causata  daL  Mycobacterium  tubercolosis  complex  di  cui  fanno  parte:  M. 
tuberculosis, M.bovis, M. africanum. Il più importante è M.tuberculosis hominis  

Mycobacterium tuberculosis è un patogeno intracellulare a trasmissione interumana, a lento tempo 
di moltiplicazione, presenta Alcol acido resistenza  

Il bacillo tubercolare, a differenza della maggior parte dei batteri patogeni per l’uomo, è sprovvisto di 
costituenti  propri  capaci  di  esercitare  un’azione  lesiva  diretta  nei  confronti  dell’organismo  infetto. 
Ciò  che  determina  l’entità  e  la  gravità  del  danno  conseguente  all’infezione  tubercolare  è 
esclusivamente il tipo di risposta immunitaria che contro di essa viene organizzato  

La risposta immunitaria nei confronti del BK è un classico esempio di reazione cellulo‐mediata, nella 
quale, cioè, svolgono un ruolo preminente linfociti T e macrofagi, con scarsa o nulla partecipazione 
di  cellule  produttrici  di  anticorpi  o  di  altri  fattori  umorali.  Le  conseguenze  dell’aggressione 
immunitaria  sono  spesso  sproporzionate  rispetto  alla  sua  efficacia,  dal  momento  che  il  germe 
sopravvive talvolta per anni all’interno dell’organismo infetto. 

 
Oltre all'immunità cellulo‐mediata, un ruolo è svolto anche dall'immunità naturale. 

IMMUNITÀ NATURALE (innata) 

Costituisce la prima barriera atta a distruggere il germe non appena esso raggiunge la sede di 
infezione. 
I principali artefici di questo processo sono i macrofagi alveolari, dato che nella maggior parte 
dei casi il BK penetra nell’organismo attraverso la via inalatoria. 

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La  distruzione  del  BK  in  questa  fase  dipende  sia  dal  potere  battericida  intrinseco  del 
macrofago alveolare, sia dalle caratteristiche di virulenza (velocità di replicazione) del bacillo 
inalato. 
La capacità del BK di potersi mantenere vivo e non essere distrutto dai macrofagi non attivati è stata 
messa  in  relazione  con  la  capacità  di  questo  microrganismo  di  impedire  la  fusione  delle  vescicole 
fagosomiche  con  i  lisosomi.  Nel  fagolisosoma  i  microrganismi  sono  uccisi,  digeriti  e  smontati  in 
peptidi  espressi  sulla  superficie  cellulare,  collegati  con  molecole  del  complesso  maggiore  di 
istocompatibilità (MHC) di classe II. È il complesso MHC/peptidi di derivazione microbica che stimola 
i linfociti T CD4+ e avvia una reazione immunitaria specifica.  

E'  bene  ricordare  che  la  funzionalità  del  compartimento  macrofagico  alveolare  può  essere 
compromessa  da  una  varietà  di  condizioni  patologiche  acquisite  che  rendono  queste  cellule 
metabolicamente meno efficienti o ne producono un sovraccarico funzionale. 

 
Qualora  i  macrofagi  alveolari  non  riescano  a  eliminare  completamente  i  bacilli  inalanti,  si  può 
assistere  a  una  fase,  detta  latente,  nella  quale  i  BK  si  moltiplicano  attivamente  in  macrofagi 
immaturi, di derivazione ematica, senza che vengano stimolati i processi battericidi a opera di questi 
ultimi e in assenza di effetti citocidi da parte del BK. La crescita esponenziale del bacillo tubercolare 
in questa fase prelude l’intervento dell’immunità acquisita antitubercolare, mediata dai linfociti T.  

IMMUNITÀ ACQUISITA (adattativa) 

 Alla  prima  infezione  tubercolare,  caratterizzata  da  un  infiltrato  flogistico  aspecifico  composto 
prevalentemente da granulociti e dalla crescita dei micobatteri all’interno dei fagociti professionali, 
segue  lo  sviluppo  di  un’immunità  acquisita  cellulare  di  tipo  T  helper  1  (Th1),  che  nella  stragrande 
maggioranza dei pazienti immunocompetenti riesce a controllare l’infezione tubercolare, attraverso 
la formazione del granuloma tubercolare. 

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TRASMISSIONE  
Avviene  per  VIA  AEROGENA  attraverso  le  Goccioline  di  Flugge  (saliva),  particelle  di  1‐5  micron  di 
diametro che contengono il bacillo di Koch e sono in grado di arrivare agli alveoli La carica infettante 
è bassa: alcune decine di microrganismi possono provocare l’infezione Le particelle vengono emesse 
con lo starnuto, la tosse, il catarro o semplicemente respirando o parlando  

Altre  modalità  con  cui  si  può  trasmettere  l'infezione  x  via  aerogena:  durante  l’aerosol  o 
broncolavaggi  
Contatti stretti (familiari, compagni di 
La contagiosità della Malattia dipende da:  camera, amici, colleghi di lavoro) 
Immunità individuale   Condivisione stabile di uno spazio confinato 
N° organismi espulsi   per molte ore al giorno Contatti regolari 
Volume dello spazio‐ambiente e ventilazione   Condivisione regolare dello stesso spazio 
Tempo di esposizione all’aria contaminata   chiuso Contatti saltuari (amici, colleghi o 
  familiari che abbiano contatti non 
ravvicinati) 
 

La trasmissione può avvenire anche meno frequentemente per:  

INGESTIONE di latte non pastorizzato contaminato dal M.bovis  

INCIDENTI di laboratorio  

FORME CLINICHE 
TUBERCOLOSI  LATENTE  L’OMS  ha  stimato  che  circa  un  terzo  della  popolazione  mondiale  ospiti  il 
Micobatterio tubercolare allo stato di latenza, indicando per l’Italia una prevalenza del 12%.  

TBC POLMONARE PRIMARIA 

TBC POST PRIMARIA: quadri morbosi polmonari: il più comune è un focolai infiammatorio localizzato 
nei  lobi  superiori  (infiltrato  precoce  di  Assmann)  che  può  andare  incontro  a  remissione  o 
escavazione, c è poi la lobite, una broncopolmonite a focolai disseminati, una pleurite e versamento 
pleurico ed infine la tbc miliare 

TUBERCOLOSI MILIARE 

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1. Tubercolosi linfonodale: scrofula 

 
2.Tubercolosi genitourinaria 

 
3.Tubercolosi scheletrica:  MORBO DI POTT 
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4. Tubercolosi scheletrica:  ARTRITE TUBERCOLARE 

5.  Tubercolosi 
gastrointestinale 

 
6. Tubercolosi del SNC 

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DIAGNOSI  
Anamnesi ed Esame Obiettivo  

Individuare i pazienti a rischio  
Individuare sintomi e segni della malattia sistemici e organo specifici che possono indirizzare 
verso la tubercolosi  
Storia di malattia, infezione o esposizione alla tubercolosi ed eventuali trattamenti  
Condizioni che aumentano il rischio di sviluppo della malattia tubercolare  
 

Diagnosi di malattia attiva  

DIAGNOSI PRESUNTIVA: MICROSCOPIA DIRETTA Presenza di bacilli acido‐resistenti (AAR) all’esame 
tradizionale  con  colorazione  di  Ziehl  Neelsen  ‐  Auramina‐Rodamina.  La  presenza  di  micobatteri 
all’esame diretto dell’espettorato, del lavaggio gastrico o del BAL è il segno della massima infettività  

DIAGNOSI DEFINITIVA: ESAME COLTURALE Sono necessarie 4/8 settimane prima di poter rilevare la 
crescita;  tuttavia  l’uso  di  terreni  liquidi  con  rilevatore  radiometrico  di  crescita  può  ridurre  a  2/3 
settimane il tempo necessario  

IL  CAMPIONE  Può  trattarsi  di  espettorato,  frammenti  di  tessuto  etc.  Sebbene  le  linee  guida 
raccomandino l’analisi di tre campioni raccolti in giorni diversi, recenti studi negano che il secondo e 
il terzo esame aumentino la sensibilità diagnostica 

Il  sospetto  iniziale  di  TB  è  spesso  basato  su  anomalie  radiografiche  in  soggetti  con  sintomi 
respiratori.  

Quadro classico:  

coinvolgimento dei lobi superiori  
infiltrati e caverne In realtà la TB può presentarsi persino con radiogrammi negativi.  
ALTRI AUSILI Amplificazione degli acidi nucleici: Può permettere la diagnosi in poche ore, ma ha una 
bassa sensibilità (maggiore dell’esame diretto, minore del colturale) e alti costi. Le indicazioni sono:  
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1. soggetti con AAR all’esame diretto,  
2. conferma di malattia in soggetti negativi all’esame diretto 
In  casi  selezionati  si  può  ricorrere  ai  Test  di  sensibilità  ai  farmaci  –  inizialmente  isoniazide, 
rifampicina ed etambutolo – se vengono rilevate resistenze o se il paziente non risponde alla terapia 
è necessario testare anche altri antibiotici  

INTRADERMOREAZIONE SECONDO MANTOUX  

utilizzato nello screening di LTBI  
limitata sensibilità e specificità per la TB  
iniezione intradermica di PPD (mix di antigeni di MTB): 
 
1. il soggetto che ha immunità specifica produce una papula (lettura dopo 48‐72 h)  
2. si misura l’infiltrato, non l’eritema 
 

Falsi positivi:  

•Legati  a  cross‐
reazione  con  altri 
micobatteri  

•Legati a vaccinazione con BCG (Effetto booster)  

•Legati alla somministrazione  

•Legati alla lettura Falsi negativi:  

•Legati al soggetto testato (infezione da MTB recente, disendocrinopatie, età, terapie ecc.)  

•Legati alla somministrazione o alla lettura  

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TEST  BASATI  SULL’INTERFERON  GAMMA  (IGRA)  Test  in  vitro  che  misurano  l’IFN‐γ  rilasciato  dai 
linfociti  T  in  risposta  ad  antigeni  tubercolari  specifici  come  ESAT‐6  e  CFP‐10,  assenti  nel  BCG. 

IL RISCHIO TUBERCOLOSI NEGLI OPERATORI SANITARI  
EPIDEMIOLOGIA  Il  settore  sanitario  è  tradizionalmente 
considerato a maggior rischio di TB occupazionale. In nazioni con 
elevata incidenza di TB, gli operatori sanitari hanno un rischio di 
contrarre  la  patologia  fino  a  3  volte  superiore  rispetto  alla 
popolazione generale 

GESTIONE DEL RISCHIO TBC NEI LUOGHI DI LAVORO  

•  Valutazione  dei  rischi:    La  valutazione  del  rischio  tubercolare 


deve prendere in considerazione i seguenti elementi:  

incidenza della TBC nella popolazione servita dalla struttura sanitaria  
numero  di  pazienti  con  TBC  contagiosa,  che  annualmente  vengono  assistiti  dalla  struttura 
sanitaria e assistenziale  
profili di resistenza della popolazione ricoverata 
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• Misure prevenzione e protezione:   

Misure di prevenzione ambientale  
Gestione di casi indice  
Dispositivi di protezione individuale  
Vaccinazione La necessità o meno di vaccinazione antitubercolare discende da una specifica 
valutazione del rischio, così come previsto dal DPR 465/2001 e dal D.lgs. 81/2008. Secondo il 
DPR 465, la vaccinazione deve essere solamente considerata in quelle rare situazioni in cui, 
per  il  controllo  del  rischio  professionale,  non  si  possa  ricorrere  al  follow‐up  e  alla  terapia 
preventiva,  per:  a)  Operatori  esposti  ad  un  documentato  rischio  di  infezione  tubercolare 
sostenuti da bacilli MDR b) Soggetti con controindicazioni all’uso dei farmaci antitubercolari. 
VACCINO BCG BACILLO DI CALMETTE E GUERIN Vaccino vivo‐attenuato costituito da un ceppo 
di  M.Bovis  isolato  dalla  ghiandola  mammaria  di  una  vacca  (ceppo  Nocard),  attenuato 
mediante  254  passaggi  su  patata  biliata  e  glicerinata.  Somministrato  per  via  intradermica 
nella regione deltoidea bassa, monodose  
La vaccinazione routinaria è raccomandata alla nascita nei paesi ad alta prevalenza di TB per 
la  protezione  dei  bambini  da  forme  severe  (meningiti  e  miliari)  Tra  gli  effetti  collaterali  (1‐
10%)  ricordiamo:  ulcerazione  locale  e  linfoadenite.  Ha  una  bassa  efficacia:  0‐80%,  la 
protezione dura 10 anni. Determina positività al TST, che diminuisce col passare degli anni 
Chemioprofilassi: ha l’obiettivo di ridurre nel tempo il serbatoio naturale della malattia tubercolare. 
Costituisce, pertanto, un valido strumento per il controllo della TBC e si basa sulla somministrazione 
di un farmaco antitubercolare in particolari situazioni:  

o contatti recenti e stretti di un caso contagioso di tubercolosi  
o oggetti con forme di infezione tubercolare latente. 
Il  regime  di  trattamento  raccomandato  è  Isoniazide  per  6  mesi  (5  mg/kg/die  max  300  mg/die)  in 
somministrazione quotidiana. Un trattamento che ha mostrato una efficacia equivalente negli adulti 
è  rappresentato  dall’associazione  di  Rifampicina  (10  mg/kg/die  max  600  mg/die)  e  Isoniazide  (5 
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mg/kg/die max 300 mg/die) per 3 mesi. 
Secondo  CDC  e  OMS  per  prevenire  la  trasmissione  nosocomiale  della  tubercolosi  il  controllo  deve 
essere attuato su tre livelli che, in ordine di priorità, sono:  

GESTIONE  (isolamento)  DEL  PAZIENTE  CONTAGIOSO  ‐‐>CONTROLLI  AMBIENTALI  E  TECNICHE  CHE 


RIDUCONO  LA  CONCENTRAZIONE  DEI  “DROPLET  NUCLEI”  INFETTI‐‐>  DISPOSITIVI  DI  PROTEZIONE 
INDIVIDUALE.  

L’utilizzo  di  dispositivi  di  protezione  individuale  respiratoria  va  raccomandato  a  tutti  gli  operatori 
sanitari che entrano in ambienti confinati dove sono ricoverati pazienti con tb polmonare accertata o 
sospetta.  

•  Sorveglianza  sanitaria  Per  quanto  riguarda  la  sorveglianza  degli  operatori  sanitari  e  dei  soggetti 
equiparati, tre sono i momenti fondamentali di controllo  

Visita  preventiva  Visita  preventiva  In  relazione  a  quanto  evidenziato  nel  Documento  di 
valutazione dei rischi, nel contesto della visita preventiva, deve essere valutata l’opportunità 
di effettuare lo screening per il rischio TBC che dovrebbe includere: ANAMNESI: valutazione 
della  storia  personale  o  familiare  di  TBC,  evidenza  documentata  dei  risultati  dei  test  per 
infezione  tubercolare  (Test  di  Mantoux  –  TST  e/o  IGRA)  e  della  pregressa  vaccinazione  con 
BCG  Ciò  consentirà  di  non  sottoporre  soggetti  già  vaccinati  ad  un’altra  vaccinazione  e  di 
valutare il significato di una eventuale positività al test tubercolinico.  
ESAME OBIETTIVO: valutazione di segni e sintomi compatibili con TBC o malattie che rendano 
il lavoratore suscettibile all’infezione tubercolare  
DIAGNOSTICA:  esecuzione  di  test  per  infezione  tubercolare,  se  non  disponibili  precedenti 
risultati  documentati  positivi  (diametro  dell’infiltrato  ≥  10  mm)  o  negativi  nei  12  mesi 
precedenti.  
All’assunzione, tutti i soggetti professionalmente esposti, inclusi quelli già precedentemente 
vaccinati  con  BCG,  dovrebbero  eseguire  una  intradermoreazione  con  PPD  con  tecnica  di 
Mantoux,  esclusi  quelli  con  cutipositività  documentata  nei  precedenti  2  anni  o  hanno  una 
storia documentata di malattia tubercolare adeguatamente trattata.  
Una  risposta  al  PPD  di  diametro  ≥  10  mm  nel  soggetto  vaccinato  dovrà,  comunque,  essere 
valutata come attribuibile a probabile contagio. 
 Negli individui vaccinati con BCG, l’uso di test basati sul rilascio di interferon‐gamma (IGRA) è 
raccomandato come test di conferma nei pazienti risultati positivi all’intradermoreazione. La 
negatività del test IGRA può essere considerata indicativa di assenza di infezione tubercolare 
anche in presenza di positività del TST. 
Per i soggetti ad altissimo rischio di sviluppare la malattia tubercolare, se affetti o se portatori 
di  condizioni  che  determinano  alto  rischio  relativo  di  malattia  in  seguito  ad  infezione  con 
Bacillo di Kock, il cut off è abbassato da 10 mm a 5 mm. 
Controlli periodici  
ANAMNESI  valutazione  della  storia  personale  o  familiare  di  TBC  evidenza  documentata  dei 
risultati dei test per infezione tubercolare (Test di Mantoux – TST e/o IGRA)  
ESAME OBIETTIVO valutazione di segni e sintomi compatibili con TBC o malattie che rendano 
il lavoratore suscettibile all’infezione tubercolare  
PERIODICITÀ  DELLO  SCREENING  CON  PPD  La  necessità  di  ripetere  lo  screening  e  la  sua 
periodicità vanno stabilite in base alle specifiche valutazioni del rischio per le singole aree di 
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attività  ed  i  singoli  profili  professionali. 

 
Esposizione professionale a seguito di incidente/infortunio(visita straordinaria)  nel caso di 
esposizione  professionale  avvenuta  in  assenza  delle  idonee  misure  di  sicurezza,  a  tutti  i 
soggetti individuati come “contatti stretti” il medico competente dovrà garantire un apposito 
monitoraggio  in  ambiente  specialistico.  Nella  gestione  di  tali  condizioni  indispensabile  è  la 
stretta  collaborazione  tra  medico  competente  e  specialista  pneumologo.  Gli  accertamenti 
andranno ripetuti a distanza di 60 giorni dall’avvenuta esposizione 
• Formazione e informazione  

 Corretto utilizzo dei DPI  
 Sensibilizzazione  degli  operatori  a  richiedere  visita  al  MC  in  presenza  di  sintomatologia 
suggestiva di malattia tubercolare  
 Corretta gestione dei casi infetti  
 Informativa sui test diagnostici per la TBC  
 Informativa su terapia preventiva nelle forme latenti – Informativa sulla vaccinazione 
Il  datore  di  lavoro,  secondo  quanto  previsto  dall’art.  17,  comma  1  let.  a,  del  D.lgs.  n.  81/2008,  ha 
l’obbligo  di  effettuare  la  valutazione  dei  rischi  per  il  lavoratore  (artt.28‐30);  alla  stessa,  è  tenuto  a 
collaborare il medico competente (art. 25, comma 1 let. a) 

 GIUDIZIO DI IDONEITÀ 
IDONEITÀ PIENA:  

Contatti che non si sono positivizzati.  
Lavoratori con forme latenti che rifiutano la terapia ma che non afferiscono a reparti a rischio 
per sé e per i pazienti  
Lavoratori con pregressa malattia tubercolare eradicata farmacologicamente 
IDONEITà CON LIMITAZION:  

Lavoratori  con  forme  latenti  che  rifiutano  la  chemioprofilassi  che  afferiscono  a  reparti  a 
rischio per sé e per i pazienti  
Lavoratori con controindicazioni alla terapi o al vaccino 
IDONEITà CON PRESCRIZIONI 

Lavoratori che afferiscono a reparti ad alto rischio per TBC MDR 
INIDONEITà TEMPORANEA 

Lavoratori con TBC attiva,  
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in trattamento farmacologico,  
con  sputum  positivo  e/o  effetti collaterali  del  trattamento farmacologico  che interferiscano 
con le capacità lavorative 
 

 
AMIANTO 
 

Quando sorge il pericolo per le costruzioni manufatte a base d’amianto? Quando questo materiale, 
oltre ad essere in cattive condizioni e oltre ad essere altamente friabile, viene soggetto ad esempio a 
notevoli  vibrazioni  dell’edificio,  viene  soggetto  a    notevoli  correnti  d’aria,  che  favoriscono  la 
dispersione nell’atmosfera o a grossi movimenti nella struttura, da parte di  macchine e di persone.  

Cosa dovrebbe essere fatto per rimuovere la diffusione di amianto nell’aria? Ci sono delle persone 
che  si  dedicano  proprio  alla  valutazione  del  rischio  da  amianto  presente  nei  territori  dove  è  stato 
utilizzato.  

La  prima  cosa  che  viene  fatta  è  lo  studio  delle  condizioni  dell’installazione  delle  strutture  dove  è 
presente  amianto,  per  valutare  se  oggettivamente  possono  essere  rilasciate  fibre  di  amianto  in 
quella  realtà  o  meno.  Dopo  di  che  vengono  misurate  queste  fibre  di  amianto  nell’atmosfera  per 
capire  se  siano  al  di  sopra  o  al  di  sotto  quei  parametri  massimi  consentiti  di  esposizione  alla 
popolazione e ai lavoratori. Le fibre di amianto vengono captate e ci sono una serie di tecniche, come 
la spettrometria, che permettono di analizzare nell’aria captata, il quantitativo di fibre presenti. Dal 
quantitativo di fibre presenti si capisce se quella è un’area a rischio o meno. E quindi, dopo questa 
valutazione  ed  eventualmente,  dopo  aver  scoperto  che  viene  superato  questo  valore  di  0,1 
fibre/cm^3, vengono attuate una serie di misure organizzative, procedurali, igienico‐sanitarie atte a 
contenere la diffusione dell’amianto.  

La rimozione dell’amianto può avvenire in tre modi: con un processo che si chiama rimozione totale 
dell’amianto e altre due modalità che sono l’incapsulamento e il confinamento. 

La  rimozione  dell’amianto  totale  comporta  un  aumento  del  rischio  di  esposizione  per  i 
lavoratori.  Inoltre,  il  materiale  che  viene  completamente  asportato,  deve  essere  smaltito, 
quindi  c’è  anche  tutta  la  procedura  di  controllo  e  prevenzione  per  colore  che  smaltiscono  i 
rifiuti  speciali.  Nella  pratica,  però,  la  rimozione  totale 
dell’amianto  non  viene  mai  effettuata  perché  ha  un 
costo  elevatissimo,  perciò  vengono  spesso  preferite  a 
questa altre due fasi, che sono molto meno pericolose e 
cioè l’incapsulamento e il confinamento. 
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Nell’incapsulamento,  praticamente,  le  fibre  di  amianto  vengono  incapsulate  e  quindi 
rimangono  nello  stabilimento,  vengono  bloccate  nella  loro  emissione  e  questo  processo 
comporta  un  minimo  rischio  per  i  lavoratori  che  ne  vengono  esposti,  però  per  coloro  che 
abitano poi in quella struttura, la problematica più importante è la manutenzione periodica 
dell’effettiva tenuta delle fibre di amianto in questo sistema di incapsulamento. 
Confinamento:  le  fibre di  amianto vengono  confinate  tramite  una 
barriera  che  viene  sollevata  tra  l’ambiente  esterno  e  l’ambiente 
dove  c’è  l’amianto.  La  barriera  è  una  barriera  a  tenuta,  come  se 
fosse  una  parete.  L’attendibilità  del  confinamento  deve  essere 
sempre controllata da una buona manutenzione.  
Infine,  tutti  i  decreti  legislativi,  come  la  626/94,  il  D.Lgs  81/08,  il  106/09 
hanno  bandito  completamente  l’utilizzo  dell’amianto,  hanno  ribadito 
l’eliminazione  dell’amianto  da  tutti  i  processi  produttivi  e  ritengono  che  l’amianto  sia  ancora  un 
problema  per  la  salute.  Oggigiorno  è  fondamentale  identificare  le  principali  fonti  di  dispersione  e 
poter  intervenire  per  eliminarle  o  quanto  meno  controllarle,  in  modo  da  ridurre  al  minimo  la 
diffusione anche nella popolazione generale.  

La medicina del lavoro tutela la SALUTE (intesa come BENESSERE PSICO‐FISICO DEL LAVORATORE) e 
la SICUREZZA DEI LAVORATORI, regolamentate giuridicamente in italia dal DECRETO LEGISLATIVO 
n.81 del 2008. 
Salute e sicurezza sono infatti esposte a RISCHI OCCUPAZIONALI: lo scopo della medicina del lavoro 
è  pertanto  PREVENTIVO  e  CURATIVO  (ricorda  che  la  prevenzione  può  essere 
PRIMARIA=individuazione  e  d  eliminzaione  dei  rischi,  SECONDARIA=diagnosi  precoce  di  malattia, 
TERZIARIA=  cura,riabilitazione,  contenimento  lesioni  permanenti…Un  medico  di  medlav  che  fa 
dianosi tardiva ha FALLITO!!) 

La medicina del lavoro pertanto, si occupa di: 

 INFORTUNI SUL LAVORO; 
 MALATTIE PROFESSIONALI; 
 FATTORI DI RISCHIO OCCUPAZIONALI. 
Per SALUTE intendiamo lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, non solo assenza di malattia. 
E’  uno  stato  che  permette  agli  individui  di  svolgere  il  proprio  ruolo  sociale.  La  salute  è  garanzia 
di…..BENESSERE, che può essere soggettivo, oggettivo, psicologico e sociale 
I soggetti coinvolti sono: 

DATORE DI LAVORO;   
MEDICO COMPETENTE; 
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RESPONSABILE E ADDETTI AL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE:     essi 
devono visitare il posto di lavoro, verificare quali sono gli agenti di rischio ed emettere il 
DOCUMENTO  DI  VALUTAZIONE  DEL  RISCHIO  in  collaborazione  con  il  medico 
competente; 
RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA; 
LAVORATORI.  Bisogna  tener  conto  che  ad  essere  esposti  ai  fattori  di  rischio 
professionali non sono solo i lavoratori, ma anche gli EX LAVORATORI (ricordiamo le 
malattie  tumorali  che  compaiono  a  lunga  latenza,  dopo  anni  dall'esposizione  a 
materiali  tossici  e  radioattivi)e  i  FAMILIARI  DEL  LAVORATORE  (può  essere 
contaminato l'ambiente domestico oppure l'abitazione può trovarsi vicino al luogo 
di lavoro). 
Nell'inquadramento  generale  della  medicina  del  lavoro,  vediamo  anche  quali  sono  le  principali 
AGENZIE nazionali e internazionali che riguardano tale settore: 
 ACGIH, americana; 
 DFG, tedesca; 
 SCOEL, europea 
 NIOSH, riveste grande importanza; 
 SIVR (società italiana valori di riferimento) e INAIL (istituto nazionale per l'assicurazione 
contro  gli  infortuni  sul  lavoro),  insieme  a  tante  altre,  in  ITALIA.  Innanzitutto,  però,  nella 

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nostra nazione facciamo riferimento alla legislazione italiana e poi, se c'è qualche mancanza, si 
ricorre allo SCOEL e all'ACGIH. 
 
 
Tre sono gli obiettivi principali della Medicina del Lavoro: 

• il mantenimento e la promozione della salute e della capacità  lavorativa; 
• il miglioramento dell’ambiente di lavoro e del lavoro stesso per renderli compatibili ad esigenze di 
sicurezza e di salute; 
• lo sviluppo di una organizzazione e di una cultura del lavoro che vada nella direzione della salute 
e della sicurezza. La Medicina del Lavoro oggi si occupa di preservare non solo la salute ma anche il 
benessere psicofisico del lavoratore. (Art. 2087 codice civile) 
 
 
 

Ruolo del MEDICO DEL LAVORO 
o Riconoscimento della rilevanza dell’attività lavorativa per lo stato di salute. 
o Identificazione dei fattori di rischio ambientali, sociali e personali e delle loro 
interazioni. 
o Valutazione dei rischi per la salute. 
o Informazione e formazione sui rischi, sulla prevenzione degli infortuni e delle 
malattie professionali e promozione della salute. 
o Sorveglianza sanitaria dei gruppi di lavoratori esposti. 
o Diagnosi di alterazioni precoci dello stato di salute individuale. 
o Diagnosi e trattamento di patologie occupazionali e lavoro‐correlate. 
o Riconoscimento e controllo dei fattori di suscettibilità individuale (congeniti e 
acquisiti). 
o Valutazione (e prevenzione) degli effetti avversi di esposizioni lavorative in affezioni 
non correlate con il lavoro. 
o Trattamento terapeutico‐riabilitativo. 
o Reinserimento lavorativo, terapia occupazionale. 
 
 
Decreti legislativi che hanno dettato le regole per la sicurezza 
nei luoghi di lavoro 
I Nuovi decreti post 626 
Testo unico in materia di tutela e sicurezza dei lavoratori D. Lgs 81/2008  D. 
Lgs 106/09 

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DEFINIZIONI 
Rischio= Probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di 
esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione. 
Pericolo= Proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare 
danni. (per esempio di un materiale) 
Esposizione= probabilità reale e misurabile di contatto del lavoratore con un agente di rischio. 
(vedere le condizioni di esposizione…x es se ho messo i guanti o no) 
CLASSIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI RISCHI NEL LUOGO DI LAVORO 
Il rischio viene espresso : 
in  termini  di  PROBABILITA',  come  il  PRODOTTO DELL'ESPOSIZIONE  PER IL  PERICOLO ed 
eventualmente per la SUSCETTIBILITA' INDIVIDUALE. Dunque:  R = E x P (x S); 

P Indice di pericolosità intrinseca di una sostanza o di una miscela (identificato con le frasi o 
indicazioni di pericolo H) E livello di esposizione dei soggetti nella specifica attività lavorativa 

 
 

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come STIMATORE DI PROBABILITA' (che un evento dannoso si verifichi), in termini di PRODOTTO 
DEL DANNO PER LA PROBABILITA'. 
In realtà, sebbene la prima definizione sia quella più accreditata, viene utilizzata anche la seconda. Il 
motivo  è  che  esiste  una  particolare  griglia  che  si  può  utilizzare  per  stimare  il rischio  di  un'attività 
lavorativa, la quale è così costituita: 
 

 
La  probabilità  è  matematicamente  indicata  con  un  numero  (0  =  non  c'è  probabilità,  1  =  100%  di 
probabilità). 
 
 
Gli STRUMENTI di cui si avvale la medicina del lavoro sono: 
1. VALUTAZIONE DEI RISCHI, intesa come: 
a. IDENTIFICAZIONE DEGLI AGENTI DI RISCHIO; 
b. VALUTAZIONE DELL'ENTITA' DEL RISCHIO. 
2. GESTIONE DEI RISCHI, di cui fa parte: 
a. SORVEGLIANZA SANITARIA; 
b. MISURE ORGANIZZATIVE (turni, gestione del personale, ecc..); 
c. MISURE DI CONTROLLO (monitoraggio); 

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Va sottolineato che "valutazione rischi" e "gestione rischi" sono dei processi in CONTINUO DIVENIRE: 
per legge, bisogna rifare la valutazione dei rischi e la gestione dei rischi in qualsiasi momento ci sia 
una modifica aLl'interno sia della struttura gerarchica, sia del ciclo produttivo dell'azienda e, anche 
se esse non ci sono, vengono comunque fissate delle scadenze in cui tali strumenti vanno rinnovati. 
 
 
CLASSIFICAZIONE. 
Vediamo innanzitutto brevemente la differenza tra: 
RISCHIO OGGETTIVO, quando esiste una potenzialità lesiva OGGETTIVA. Un rischio oggettivo  è 
una sostanza cancerogena, che, in effetti, ha una potenzialità di danno elevata; 
RISCHIO SOGGETTIVO, è la percezione diversa del rischio che può avere una persona rispetto ad 
un'altra. La percezione di un rischio ALTO, sebbene esso OGGETTIVAMENTE SIA BASSO, da parte di 
una  persona  nell'ambiente  lavorativo  può  comportare  INCREMENTO  DEL  RISCHIO  EFFETTIVO  che 
subisce  il  lavoratore  stesso  e  può  determinare  il  FALLIMENTO  DI  TUTTI  I  PROGRAMMI  DI 
PREVENZIONE. 
Quindi, quando questo si verifica è FONDAMENTALE incrementare i programmi di formazione al fine 
di far percepire correttamente il rischio. 
I rischi vengono classificati in: 
RISCHI PER LA SICUREZZA, di NATURA INFORTUNISTICA: possono essere dovuti alle 
STRUTTURE STESSE, ai MACCHINARI, agli IMPIANTI ELETTRICI o a SOSTANZE PERICOLOSE; 
 RISCHI PER LA SALUTE, di NATURA IGIENICO‐AMBIENTALE: possono essere dovuti ad 
AGENTI CHIMICI, FISICI e BIOLOGICI. 
Gli agenti chimici, indicati nella categoria precedente come SOSTANZE PERICOLOSE, hanno questa 
duplice azione : possono causare incidente quando le si tocca e possono compromettere la salute 
quando vengono lentamente assunte a seguito dell'esposizione ad esse. 
 RISCHI PER LA SALUTE E PER LA SICUREZZA, di tipo TRASVERSALE. 
Più nei dettagli, abbiamo: 
 RISCHI DI TIPO FISICO, in cui rientrano RUMORI E VIBRAZIONI; Rischi da esposizione a fattori 
fisici   che   interagiscono   in   vari   modi   con   l'organismo   umano:   •Rumore •Vibrazioni 
•Ultrasuoni •Radiazioni non ionizzanti (presenza di apparecchiature che impiegano radiofrequenze, 
microonde,  radiazioni  infrarosse,  luce,  laser,  etc.)  •Microclima  (carenze  nella  climatizzazione 
dell'ambiente  per  quanto  attiene  a  temperatura,  umidità  relativa,  ventilazione,  calore  radiante, 
condizionamento)  •Illuminazione  (carenze  nei  livelli  di  illuminamento  ambientale  e  dei  posti  di 
lavoro (in relazione alla tipologia della lavorazione) 
•Videoterminali (posizionamento, illuminotecnica, postura, microclima, etc.) 
 RISCHI  DI  TIPO  BIOLOGICO,  in  cui  rientrano  varie  malattie  come  EPATITE,  AIDS,  TBC, 
MORBILLO,  PAROTITE,  ROSOLIA;  Rischi  connessi  con  l'esposizione  (ingestione,  contatto 
cutaneo,  inalazione)  a  organismi  e  microrganismi  patogeni  o  non,  colture  cellulari, 
endoparassiti umani, presenti nell'ambiente a seguito di: • emissione involontaria (impianto 
condizionamento, emissioni di polveri organiche, etc.) • emissione incontrollata (impianti di 
depurazione  delle  acque,  manipolazione  di  materiali  infetti  in  ambiente     ospedaliero, 

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impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti ospedalieri, etc.) • trattamento o manipolazione 
volontaria,  a  seguito  di  impiego  per  ricerca  sperimentale  in  vitro  o  in  vivo  o  in  sede  di  vera  e 
propria attività produttiva (biotecnologie) 
 RISCHI  DI  TIPO  ALLERGOLOGICO,  in  cui  rientrano  DERMATITI  DA  CONTATTO  e  ASMA 
BRONCHIALE; 
 RISCHI TRASVERSALI, 
Organizzazione del lavoro 
 Processi di lavoro usuranti: per esempio, lavori in continuo, sistemi di turni, lavoro 
notturno 
 Pianificazione degli aspetti attinenti alla sicurezza e alla salute: programmi di 
controllo e monitoraggio ambientale e biologico 
 Manutenzione degli impianti, comprese le attrezzature di sicurezza 
 Procedure adeguate per far fronte agli incidenti e a situazioni di emergenza 
 Movimentazione manuale dei carichi Lavoro ai VDT (es.: DATA ENTRY) 
Fattori psicologici 
 Intensità, monotonia, solitudine, ripetitività del lavoro 
 Carenze di contributo al processo decisionale e conflittualità 
 Complessità delle mansioni e carenza di controllo 
 Reattività anomala a situazioni di emergenza 
Fattori ergonomici 
 Sistemi di sicurezza e affidabilità delle informazioni 
 Conoscenze e capacità del personale 
 Norme di comportamento 
 Soddisfacente comunicazione e istruzioni corrette in condizioni variabili 
 
Condizioni di lavoro difficili 
 Lavoro con animali 
 Lavoro in atmosfere a pressione superiore o inferiore al normale 
 Condizioni climatiche esasperate 
 Lavoro in acqua: in superficie (es.: piattaforme) e in immersione 
 Conseguenze di variazioni ragionevolmente prevedibili dalle procedure di lavoro in 
condizioni di sicurezza 
 Ergonomia delle attrezzature di protezione personale e del posto di lavoro 
 Carenza di motivazione alle esigenze di sicurezza; 
 RISCHI  DI  TIPO  CHIMICO,  in  cui  rientrano  SOLVENTI,  CANCEROGENI  e  METALLI.  Rischi  di 
esposizione connessi con l'impiego di sostanze chimiche, tossiche o nocive in relazione a: 
ingestione, contatto cutaneo, inalazione per presenza di inquinanti aerodispersi sotto forma 
di: polveri, fumi, nebbie, gas e vapori. 

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Le  sostanze chimiche  sono ETICHETTATE con un pittogramma indicazioni di pericolo, consigli 


di prudenza e presentano una SCHEDA DI SICUREZZA, ovvero una sintesi di specifiche caratteristiche e 
modalità  di  gestione  dell’agente  chimico.  L’etichetta  è  una  striscia  di  materiale  non  facilmente 
rovinabile apposta sul recipiente o sulla confezione. 

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1.ETICHETTE 
 

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Questi pittogrammi arancionni, oggi non sono più usati, ma ne sono stati creati dei nuovi al fine 
di UNIFORMARE A LIVELLO MONDIALE LA NOMENCLATURA E LA RAPPRESENTAZIONE 
 

Notare che il pittogramma con la bombola è nuovo! Non c’è il corrispettivo arancione! Inoltre non 
c’è  più  differenza  tra  tossico  ed  estremamente tossico,  ma  c’è  differenza  tra  tossico  che  produce 
effetti ACUTI e tossico che produce effetti CRONICI. 

Frasi di rischio chimico 
 

Frasi R 
Sono chiamate frasi R (frasi di rischio) alcune frasi convenzionali, oggi abrogate, che descrivevano   i 
rischi  per  la  salute  umana,  animale  ed  ambientale  connessi  alla  manipolazione  di  sostanze 
chimiche[1]. 
Queste frasi erano state codificate dall'Unione europea nella direttiva 88/379/CEE, sostituita dalla 
direttiva 1999/45/CEE a sua volta modificata dalla direttiva 2001/60/CEE. La normativa prevedeva 
che  ogni  confezione  di  prodotto  chimico  recasse  sulla  propria etichetta le  frasi  R  e  le frasi     S 
corrispondenti al prodotto chimico ivi contenuto. Ad ogni frase era associato un codice    univoco 

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composto dalla lettera R seguita da un numero, e ad ogni codice corrispondevano le diverse 
traduzioni della frase in ogni lingua ufficiale dell'Unione europea. 
In seguito la direttiva 1999/45/CEE è stata abrogata dal Regolamento (CE) n. 1272/2008, che ha 
sostituito le frasi R con le frasi H. 

Le frasi H (Hazard statements), contenute all'interno del Regolamento (CE) n. 1272/2008, 
rappresentano indicazioni di pericolo relative a sostanze chimiche. 
Riporto qualche esempio detto a lezione: H300= letale se ingerito; H301= tossico se ingerito; H302= 
nocivo se ingerito; H350= può provocare cancro 

Frasi S 
Sono chiamate frasi S (frasi di sicurezza) alcune frasi convenzionali, oggi abrogate, che descrivevano i 
consigli di prudenza cui attenersi in caso di manipolazione di sostanze chimiche. 

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Le frasi S erano state codificate dall'Unione europea nella direttiva 88/379/CEE, che prevedeva che 
ogni  confezione  di  prodotto  chimico  recasse  sulla  propria  etichetta  le  frasi  R  e  le  frasi  S 
corrispondenti  al  prodotto  chimico  ivi  contenuto.  Ad  ogni  frase  era  associato  un  codice  univoco 
composto  dalla  lettera  S  seguita  da  un  numero,  e  ad  ogni  codice  corrispondevano  le  diverse 
traduzioni della frase in ogni lingua ufficiale dell'Unione europea. 
Nel  2008  è  entrato  in  vigore  il  Regolamento  (CE)  n.  1272/2008,  che  ha  sostituito  le  frasi  S  con  i 
cosiddetti consigli P. 
 
 
I  cosiddetti  consigli  P  (Precautionary  statements)  sono  prescrizioni  di  natura  sanitaria 
contenute  all'interno  del  Regolamento  (CE)  n.  1272/2008[1]  e  rappresentano  consigli  di  prudenza 
relativi a sostanze chimiche. 
I consigli P hanno sostituito le più vecchie frasi S, oggi abrogate. 
Per  esempio  P301=  se  la  respirazione  è  difficile,  trasportare  l’infortunato  all’aria  aperta  e 
mantenerlo in posizione a riposo. 

2  SCHEDA DI SICUREZZA 
1.Identificazione del preparato e della società 
La  denominazione  del  prodotto  deve  essere  la  stessa  che  compare  in  etichetta.  Devono  essere 
riportati  i  dati  d’identificazione  del  responsabile  dell’immissione  sul  mercato  (fabbricante, 
importatore o distributore), con nominativo, indirizzo completo, telefono. 

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2. Composizione – Informazioni sugli ingredienti 
L’informazione  deve  permettere  d’identificare  agevolmente  i  rischi 
rappresentati  dal  preparato,  mediante  l’indicazione  della  presenza  e 
relativa  concentrazione  di:  sostanze  pericolose  per  la  salute  ai  sensi 
della  legge  256/74  e  successive  modifiche,  sostanze  per  le  quali 
esistono,   in   virtù   delle   disposizioni   comunitarie,   dei   limiti    di 
esposizione riconosciuti, ma che non sono coperte dalla direttiva suddetta con menzione della 
classificazione, vale a dire i simboli e le frasi R loro assegnate 
3. Identificazione dei pericoli 
Si  devono  identificare  i  rischi  più  importanti  che  presenta  il  preparato,  con 
descrizione degli effetti dannosi più importanti per la salute dell’uomo ed i sintomi 
che  insorgono  in  seguito  all’uso  ed  al  cattivo  uso  ragionevolmente  prevedibili,  in 
analogia a quanto riportato sull’etichetta. 
4. Misure di primo soccorso 
Devono  essere  fornite  indicazioni,  brevi  e  di  facile 
comprensione, sulle misure di primo soccorso per l’infortunato, 
per  le  persone  a  lui  vicine  e  per  coloro  che  prestano  i  primi 
soccorsi.  I  sintomi  e  gli  effetti  devono  essere  descritti 
succintamente  e  le  istruzioni  devono  indicare  cosa  si  debba 
fare subito in caso d’infortunio e quali effetti ritardati siano da 
attendersi  a  seguito  dell’esposizione.  Si  consiglia  l’uso  di 
ripartizione in paragrafi relativi a: • inalazione • contatto con la 
pelle • contatto con gli occhi • ingestione. 
Indicare se è necessaria o consigliabile la consultazione di un medico. Per alcuni prodotti può essere 
importante  segnalare  se  occorre  la  presenza,  sul  posto  di  lavoro,  di  mezzi  speciali  di  trattamento 
specifico ed immediato 
5 Misure antincendio 
Devono essere indicate le prescrizioni per la lotta contro gli incendi causati 
dal prodotto, o che si sviluppano nelle sue vicinanze, precisando: • I mezzi 
di  estinzione  appropriati  •  I  mezzi  di  estinzione  che  NON  devono  essere 
usati  •  Eventuali  rischi  di  esposizione  derivanti  dal  preparato  stesso  dai 
prodotti  di  combustione,  dai  gas  prodotti  •  L’equipaggiamento  speciale  di 
protezione per gli addetti all’estinzione degli incendi. Misure antincendio 
6. Misure in caso di fuoriuscita accidentale 
Indicare, sulla base del tipo di prodotto, le misure da adottare in caso di fuoriuscita accidentale. 
Misure relative alle precauzioni individuali: rimuovere le fonti d’innesco di 
incendio,  predisporre  di  adeguata  ventilazione  o  di  una  protezione 
respiratoria, lotta contro le polveri, prevenzione del contatto con la pelle e 
con gli occhi. 

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Misure relative alle precauzioni ambientali: tenere la sostanza lontano dagli scarichi, dalle acque di 
superficie e sotterranee e dal suolo, dare l’allarme al vicinato ed alle autorità competenti, misure 
relative ai metodi di pulizia, quali: uso di materiale assorbente (ad es sabbia, farina fossile, legante 
acido, legante universale, segatura, ecc), riduzione con acqua dei gas e dei fumi, diluizione 
7. Manipolazione e stoccaggio 
MANIPOLAZIONE Se il caso indicare gli accorgimenti tecnici per la manipolazione in sicurezz 
STOCCAGGIO Indicare, se il caso, le condizioni per uno stoccaggio sicuro: • Progettazione specifica 
dei locali e dei contenitori • Paratie di contenimento • Ventilazione • Materiali incompatibili • Limiti 
o intervalli di temperatura ed umidità, luce, gas inerte • Necessità di impianto elettrico speciale • 
Prevenzione  dell’accumulo  di  elettricità  speciale  •  Limiti  quantitativi  in  condizioni  di  stoccaggio  • 
Indicazioni sul tipo di materiale utilizzato per l’imballaggio ed i contenitori del preparato 
8. Controllo dell’esposizione – Equipaggiamento per la protezione individuale 
Indicare  ulteriori  misure  e  accorgimenti  per  garantire  la 
sicurezza  durante  la  manipolazione  del  prodotto,  a 
completamento  delle  informazioni  relative  alla 
manipolazione.  E’  bene  ricordare  che  occorre  sempre 
privilegiare  le  misure  di  natura  tecnica,  per  il  controllo 
dell’esposizione,  e  soltanto  in  seconda  battuta  o  per 
complemento, ricor rere ai DPI. Indicare in questa sezione 
eventuali parametri specifici di controllo, quali valori limite 
o  standard  biologici.  Fornire  informazioni  in  merito  ai 
procedimenti di controllo raccomandati indicandone   i 
riferimenti. Nel caso in cui occorra una protezione individuale, specificare il tipo di equipaggiamento 
in grado di fornire l’adeguata protezione. • Protezione respiratoria: autorespiratori, maschere e filtri 
adatti. • Protezione delle mani: guanti o misure supplementari per la protezione della pelle o delle 
mani • Protezione degli occhi: occhiali di sicurezza, visiera, schermo facciale • Protezione della pelle: 
camice, grembiule, stivali, indumenti protettivi completi. 
9. Proprietà fisiche e chimiche 
Questa voce comprende, se attinenti, le seguenti informazioni sul preparato: • Aspetto: stato fisico 
(solido, liquido, gassoso) e colore del preparato all’atto della fornitura • Odore: se percettibile • pH 
• Punto  o  intervallo  di  ebollizione  •  Punto  o  intervallo  di  fusione  •  Punto  di  infiammabilità  • 
Infiammabilità  (solidi,  gas)  •  Auto‐infiammabilità  •  Proprietà  esplosive  •  Proprietà  comburenti  • 
Pressione di vapore • Densità relativa • Solubilità: idrosolubilità o liposolubilità (solvente grasso da 
precisare)  •  Coefficiente  di  ripartizione:  n‐ottanolo/acqua  •  Altri  dati:  indicare  i  parametri 
importanti per la sicurezza, come la densità di vapore, la miscibilità, la velocità di evaporazione, la 
conducibilità, la viscosità 
10. Stabilità e reattività 
Questa  voce  riguarda  la  stabilità  del  preparato  chimico  e  la  possibilità  che  si  verifichino  reazioni 
pericolose  in  determinate  circostanze  Occorre  pertanto  indicare:  •  Le  condizioni  di  rischio  (es. 
temperatura, pressione, luce, urti e simili) • Le sostanze che possono reagire in modo pericoloso (es 

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acqua, aria, acidi, basi, ossidanti o altre sostanze) • Prodotti di decomposizione pericolosi11. 
Informazioni tossicologiche 
11. Informazioni tossicologiche 
Devono essere indicati: • Gli effetti nocivi che possono derivare dall’esposizione al 
preparato, sulla base dell’esperienza o di conclusioni tratte da esperimenti 
scientifici  •  Le  vie  di  esposizione  (inalazione,  ingestione,  contatto  con  la pelle 
o con gli occhi) con descrizione dei sintomi • Eventuali effetti ritardati 
ed immediati in seguito ad esposizione breve o prolungata: ad esempio effetti 
sensibilizzanti, cancerogeni, mutageni, tossici per la riproduzione compresi gli 
effetti teratogeni, nonché narcotizzanti 
12. Informazioni ecologiche 
Fornire  una  valutazione  d’impatto  ambientale  del  prodotto.  Indicare  eventuale:  • 
Persistenza e degradabilità • Potenziale di bioaccumulo • Tossicità acquatica ed altri 
dati  relativi  all’ecotossicità,  ad  esempio,  comportamento  negli  impianti  di 
trattamento delle acque residue 
13. Considerazioni sullo smaltimento 
Indicare metodi di smaltimento idonei compresi quelli per i contenitori 
contaminati (incenerimento, riciclaggio, messa in discarica, ecc) 
14. Informazioni sul trasporto 
 
 
15. Informazioni sulla regolamentazione 
Questa voce prevede la trascrizione delle informazioni riportate in etichetta, in applicazione della 
normativa  sulla  classificazione,  sull’imballaggio  e  sull’etichettatura  dei  preparati  pericolosi. 
Eventualmente,  si  devono  indicare  al  destinatario  specifiche  disposizioni  comunitarie  in  relazione 
alla protezione dell’uomo e dell’ambiente (ad es. restrizioni di commercializzazione ed uso,  valori 
limite  di  esposizione  negli  ambienti  di  lavoro).  E’  inoltre  raccomandato  che  la  scheda  di  sicurezza 
ricordi al destinatario di fare riferimento ad ogni altra disposizione nazionale applicabile 
16. Altre informazioni 
Questa voce può contenere qualsiasi altra informazione che potrebbe essere rilevante per la sicurezza 
e la salute. Può inoltre essere indicata qui la data dell’emissione della scheda 

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Tutte  le  attività  lavorative  vengono  classificate  nel  CODICE  ATECO  (attualmente  in  uso  la  versione 
del 2007, prima quella del 2002). Tale classificazione è stata adottata dall'ISTAT (istituto nazionale di 
statistica italiana), per effettuare delle rilevazioni statistiche italiane di carattere economico.       È la 
traduzione  italiana  della  Nomenclatura  delle  Attività  Economiche  (NACE)  creata  dall'Eurostat, 
adattata   dall'ISTAT   alle   caratteristiche   specifiche   del   sistema    economico    italiano. L'ATECO 
è stata definita ed approvata da un COMITATO DI GESTIONE appositamente costituito. Esso prevede la 
partecipazione, oltre all'Istat che lo coordina, di numerose figure istituzionali: i Ministeri interessati, 
gli  Enti  che  gestiscono  le  principali  fonti  amministrative  sulle  imprese  (mondo  fiscale  e  camerale,    
enti    previdenziali,     ecc.)     e     le     principali     associazioni     imprenditoriali. Grazie alla stretta 
collaborazione  avutasi  dai  membri,  per  la  prima  volta  il  mondo  della  statistica  ufficiale,  il  mondo 
fiscale e quello camerale adotteranno la stessa classificazione delle attività economiche. 
Il codice ATECO è una classificazione alfa‐numerica con diversi gradi di dettaglio: le lettere indicano il 
macro‐settore  di  attività  economica,  mentre  i  numeri  (che  vanno  da  due  fino  a  sei  cifre) 
rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le articolazioni e le disaggregazioni dei settori stessi. Le 
varie  attività  economiche  sono  raggruppate,  dal  generale  al  particolare,  in  sezioni  (codifica:  1 
lettera), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre), categorie (5 cifre) e sottocategorie (6 cifre). 
Ovviamente le sei cifre, vanno ad indicare sempre più specificamente di cosa si tratta: pertanto, ad 
esempio, ogni denuncia di un lavoratore per malattia professionale o per infortunio sul lavoro, deve 
specificare qual è l'appartenenza al settore Adeco del lavoratore stesso. 

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La  precedente  classificazione  ATECO  2002  si  sviluppava  in  cinque  livelli  di  dettaglio:  sezioni 
(codifica: 1 lettera), sottosezioni (due lettere), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre) e 
categorie (5 cifre) 

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MEDICINA DEL LAVORO
La medicina del lavoro è quella branca che studia i rischi per la salute presenti negli ambienti di lavoro ai fini
della tutela della salute dei lavoratori attraverso:

1. Studio e valutazione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro e dei loro effetti sulla salute dei
lavoratori
2. Diagnosi e cura precoce delle malattie da lavoro
3. Sorveglianza sanitaria dei lavoratori (ipersuscettibilità, effetti pre clinici, giudizi di idoneità)
4. Partecipazione alla programmazione delle misure preventive.

I soggetti esposti a tali FR occupazionali sono soprattutto:

1. I lavoratori
2. Gli ex lavoratori
3. I familiari (contaminazione ambiente domestico o contiguità con l’area lavorativa).

Possiamo distinguere i rischi negli ambienti di lavoro in:

1. Rischi per la SICUREZZA (di natura infortunistica), dovuti a:


a) Strutture
b) Macchine
c) Impianti elettrici
d) Sostanze pericolose
e) Incendi o esplosioni

2. Rischi per la SALUTE (di natura igienico-ambientale), dovuti a:


a) Agenti chimici (gas anestetici, farmaci antiblastici)
b) Agenti fisici (radiazioni ionizzanti, campi elettromagnetici, microclima)
c) Agenti biologici (epatiti, AIDS, TBC)

3. Rischi per la SICUREZZA E SALUTE (di tipo trasversale), dovuti a:


a) Organizzazione del lavoro (straordinari)
b) Fattori psicologici (stress)
c) Fattori ergonomici: l’ergonomia del lavoro è quella branca della medicina del lavoro che
studia l’esatta organizzazione del lavoro per poter poi sviluppare ambienti e supporti
adattati alle esigenze del lavoratore. Tra questi abbiamo:
♦ Movimentazione manuale dei carichi (mmc) e movimenti ripetitivi: determinano
patologie soprattutto a carico di rachide, polso e spalla.
♦ Videoterminalisti.
d) Condizioni di lavoro difficili

Inoltre, possiamo distinguere i rischi a cui va incontro ogni lavoratore in:

1. Rischi specifici della mansione (agenti fisici, chimici, biologici, microclima, posture incongrue)
2. Rischi elettivi e generici della strada (inquinamento, clima, traffico, microcriminalità)
3. Rischi psicosociali (inappropriato carico di responsabilità, limitate relazioni sul luogo di lavoro,
scarso senso di appartenenza al team)
4. Rischi collegati allo stile di vita (alimentazione, tabagismo, turni notturni e straordinari)

Ancora, possiamo classificare i FR in:

1. PRIMO GRUPPO: fattori caratterizzanti gli ambienti in cui l’uomo lavora, ma non legati alla
particolare attività svolta, come AGENTI NATURALI (clima, luce, rumore ambientale).
2. SECONDO GRUPPO: fattori strettamente derivanti dall’attività svolta. Tra questi:
a) AGENTI FISICI: rumore, pressione atmosferica, radiazioni, illuminazione.
b) AGENTI CHIMICI: polveri, gas, fumi, vapori.
c) AGENTI BIOLOGICI: virus e batteri.
d) SITUAZIONI CHE CAUSANO INFORTUNI: accidentalità, mancanza di mezzi individuali di
protezione.

3. TERZO GRUPPO: fattori derivanti dall’organizzazione del lavoro svolto sotto l’aspetto del carico
fisico e psicofisico. Tra questi rientrano:
a) FATICA FISICA: come spostamento di pesi, movimenti incongrui, mantenimento prolungato
di posture fisse.
b) ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO: straordinari, mancata gratificazione, monotonia,
autoritarismo.

Il RUOLO DEL MEDICO DEL LAVORO è quindi quello di:

1. Prevenzione dei danni causati alla salute da condizioni legate al lavoro.


2. Individuazione delle noxae patogene responsabili di danno (FR)
3. Diagnosi delle malattie professionali: è importante una diagnosi eziologica precoce al fine di
allontanare la fonte di rischio e consentire una remissione totale o parziale del quadro clinico.
Bisogna tuttavia tener conto che molti quadri clinici possono sovrapporsi e che spesso non vi è
terapia specifica per le malattie occupazionali.
4. Denuncia di malattie professionali e infortuni.
5. Effettuare sopralluoghi dei luoghi di lavoro (1-2 volte/die)
6. Aggiornare e custodire le cartelle cliniche e consegnarle alla cessazione del rapporto di lavoro.

Medico DL e MMG hanno molto interessi in comune, in quanto entrambi si occupano di prevenzione, della
diagnosi eziologica e dell’individuazione delle noxae patogene responsabili del danno; essi collaborano
soprattutto in caso di dubbi di origine professionale. Bisogna tuttavia tenere conto del concetto di
SUSCETTIBILITA’ INDIVIDUALE, per cui soggetti che lavorano in identiche condizioni di esposizione a un
tossico possono manifestare risposta di variabile intensità o frequenza degli effetti correlati a un dato livello
di esposizione. Coloro che presentano effetti avversi già a bassi livelli di esposizione sono definiti
IPERSUSCETTIBILI rispetto alla popolazione indagata. Vi sono due fattori che contribuiscono alla variabilità:

1. FATTORI DI SUSCETTIBILITA’ GENETICA: come polimorfismi genetici e mutazioni rare.


2. FATTORI DI SUSCETTIBILITA’ ACQUISITA: come dieta, stato di salute, stato socio economico e età.

La legge che regola la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è il DECRETO LEGISLATIVO 81/08 (insieme al
106/2009 hanno sostituito il 626 del ‘94), il quale si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a
tutte le tipologie di rischio.

PRINICIPI SU CUI SI BASA:

1. SALUTE: stato di benessere fisico, mentale e sociale, non solo assenza di malattia; è quello stato
che permette agli individui di svolgere il proprio ruolo sociale.
2. SICUREZZA: è una situazione certa e costante di non pericolo, tale da garantire lo svolgimento di
qualsiasi attività senza pregiudizio alla propria integrità fisica e psichica.
3. PREVENZIONE: il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi
dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della
popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno. Può essere distinta in:
a) PRIMARIA: individuare i rischi e eliminarli/ridurli; individuare i soggetti a rischio.
b) SECONDARIA: diagnosi precoce delle malattie.
c) TERZIARIA: cura, riabilitazione e contenimento di lesioni permanenti.
DEFINIZIONI:
1. RISCHIO: probabilità che un evento dannoso si verifichi. (oppure probabilità che si raggiunga il
limite potenziale di danno nelle condizioni di esposizione a un determinato fattore).
2. PERICOLO: proprietà di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni (FR).
3. ESPOSIZIONE: possibilità reale e misurabile di contatto del lavoratore con un agente di rischio.

R=P x E (x S) dove P corrisponde al pericolo e E all’esposizione.

4. INFORTUNIO SUL LAVORO: danno che si verifica per causa violenta (cioè concentrata in un turno
lavorativo) e in occasione di lavoro.
5. MALATTIA PROFESSIONALE: danno che si verifica per esposizione, in genere diluita nel tempo, a
uno o più FR che assumono un ruolo causale nel determinare malattia. A differenza della
precedente, in cui l’esposizione è istantanea e la causa violenta (es. caduta di un peso sul piede)
6. MALATTIA CORRELATA AL LAVORO: malattia in cui l’attività lavorativa svolge un ruolo favorente
nell’insorgenza del fenomeno morboso. I FR presenti nell’ambiente di lavoro possono agire come
concause o fattori di aggravamento della malattia. Es. discopatia lombare da postura incongrua.

I SOGGETTI COINVOLTI in tale processo sono:

1. DATORE DI LAVORO: è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque,
colui che ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri
decisionali e di spesa. Secondo il DL 81/08, gli obblighi del datore di lavoro verso i lavoratori sono:
a) OBBLIGO DI CORRISPONDERE IL TRATTAMENTO ECONOMICO E NORMATIVO DOVUTO:
cioè la retribuzione e i relativi accessori.
b) OBBLIGO DI SICUREZZA: attraverso:
♦ Valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto
dall’articolo 28.
♦ Designazione del RSPP.
♦ Designare i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e
lotta antincendio, evacuazione, primo soccorso e, in generale, della gestione
dell’emergenza.
♦ Fornire ai lavoratori i necessari e idonei Dispositivi di protezione Individuale.
♦ Inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste.
c) OBBLIGO DI TUTELARE LA RISERVATEZZA DEL LAVORATORE
d) OBBLIGO DI INFORMAZIONE: nei confronti del lavoratore e del sindacato.
e) OBBLIGO DI NOMINARE IL MEDICO COMPETENTE: nei casi in cui la legge preveda
sorveglianza sanitaria obbligatoria per i lavoratori a rischio.

2. DIRIGENTE PREPOSTO: è quella persona che a seguito delle comprovate competenze professionali
rende operative le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa ed effettuando gli
adeguati controlli. Gli OBBLIGHI del preposto consistono in:
a) Vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavorator dei loro obblighi di legge.
b) Verificare che solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone
con rischio grave e specifico.
c) Informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e
immediato.
d) Segnalare l’eventuale deficienza dei messi o dei dispositivi di protezione.
e) Frequentare appositi corsi di formazione.

3. RSPP- RESPONSABILE SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE: nominato dal datore di lavoro,


deve possedere la capacità e i requisiti adatti alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro per
poter poi organizzare e gestire il sistema di prevenzione e protezione dai rischi. Gli OBBLIGHI sono:
a) Rilevare i FR e elaborare un piano contenente le misure di sicurezza da applicare per la
tutela dei lavoratori.
b) Presentare i piani formativi e informativi per i lavoratori.
c) Collaborare col datore di lavoro per elaborare date sulla descrizione degli impianti, i rischi
nell’ambiente di lavoro.

4. AGE- ADDETTI GESTIONE EMERGENZE e antincendio: lavoratori incaricati dell’attuazione delle


misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di
pericolo, di salvataggio, di primo soccorso e, in generale, di gestione dell’emergenza.
Sono nominati dal datore di lavoro.

5. LAVORATORE: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività


lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza
retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione.

6. MEDICO DEL LAVORO/COMPETENTE: è un riferimento per:


a) VALUTAZIONE E GESTIONE DEI RISCHI: cioè la valutazione globale e documentata di tutti i
rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, al fine di individuare adeguate misure di
prevenzione e protezione.
b) FORMAZIONE E INFORMAZIONE

Egli è un consulente del datore di lavoro e dei lavoratori, addetto alla valutazione della
compatibilità lavoro-uomo e uomo-lavoro. Nel DL 81/08 sono 3 g articoli che regolamentano il
ruolo del medico competente:

a) ARTICOLO 38 (TITOLI E REQUISITI): il medico competente deve avere:


♦ Specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori.
♦ Docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva o in tossicologia industriale o
in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro.
♦ Autorizzazione di cui all’articolo 55 del DL 15/08/91 n 277
♦ Specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.

I medici in possesso dei titoli sono tenuti a frequentare appositi percorsi formativi
universitari.

b) ARTICOLO 39 (SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITA’ DI MEDICO COMPETENTE):


♦ L’attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina del lavoro e
del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale.
♦ Il medico competente svolge la propria attività in qualità di:
 Dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata.
 Libero professionista.
 Dipendente del datore di lavoro.

c) ARTICOLO 25 (OBBLIGHI):
♦ Collabora col datore di lavoro e col servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
♦ Collabora all’attuazione di programmi volontari di promozione della salute.
♦ Programma o effettua la Sorveglianza Sanitaria.
♦ Istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, la cartella sanitaria e di
rischio per ogni lavoratore sottoposta a sorveglianza.
♦ Consegna al datore di lavoro la documentazione in suo possesso al termine dell’incarico
♦ Consegna al lavoratore la copia della CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO (allegato 3A); i
contenuti minimi che bisogna inserire sono:
 ANAGRAFICA DEL LAVORATORE.
 DATI RELATIVI ALL’AZIENDA (differenza rispetto a una cartella normale).
 VISITA PREVENTIVA: per controllare eventuali stati pregressi di malattia.
 Programma di Sorveglianza Sanitaria.
 EO e accertamenti integrativi: per valutare eventuale ipersuscettibilità
 Eventuali provvedimenti del medico competente
 GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE SPECIFICA
 Scadenza visita medica successiva
 VISITE SUCCESSIVE PERIODICHE: valutando:
 Reparto e mansione specifica
 Variazioni del programma di sorveglianza sanitaria
 FR, EO e accertamenti integrativi
 GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE SPECIFICA
 Scadenza visita medica successiva
♦ Fornisce info ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti.
♦ Informa ogni lavoratore interessato sul risultato della sorveglianza.
♦ Comunica per iscritto i risultati ANONIMI collettivi della sorveglianza effettuata, al fine
di attuare misure per la tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del lavoratore.
♦ Visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno.
♦ Partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori.

La SORVEGLIANZA SANITARIA, secondo l’articolo 2, è definita come l’insieme degli atti medici,
finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di
lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Ha quindi una duplice finalità:
a) Monitorare lo stato di salute di ogni lavoratore al fine di tutelarlo e verificare l’assenza di
controindicazioni allo svolgimento del lavoro.
b) Fornire dati collettivi inerenti l’andamento della salute nell’azienda e nei diversi reparti e
mansioni, al fine di poter leggere l’evoluzione dei rischi e della prevenzione in maniera
oggettiva, cioè senza le variabili riferite al singolo individuo.

Gli ACCERTAMENTI eseguiti dal medico competente (secondo l’art.41 comma 2) possono essere:
a) PREVENTIVI: per constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro
b) PERIODICI: per controllare nel tempo lo stato di salute del lavoratore.
c) SU RICHIESTA DEL LAVORATORE
d) IN OCCASIONE DEL CAMBIO DI MANSIONE
e) ALLA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO: in questo caso la visita potrà essere fatta in
fase preassuntiva o subito prima la ripresa a lavoro.

Sulla base di ciò il medico potrà poi dare un GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE; avremo:
1. IDONEITA’
2. IDONEITA’ PARZIALE, TEMPORANEA O PERMANENTE: a sua volta sarà:
♦ Con prescrizioni: ad es lavoro usano vari DPI o terapia medica.
♦ Con limitazioni: il lavoratore riprende la mansione ma magari riducendo il carico.
3. INIDONEITA’, TEMPORANEA O PERMANENTE: in questo caso il datore di lavoro, se
possibile, può adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o inferiori, garantendo il
trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.

Il lavoratore potrà fare ricorso del giudizio del medico entro 30gg dalla data di comunicazione del
giudizio stesso; esiste una sezione dell’ASL definita organo di vigilanza territorialmente competente
costituita da MDL e tecnici non medici che vanno a valutare la cartella clinica, i protocolli, il giudizio
espresso dal medico e infine esprimono un giudizio inderogabile che il lavoratore deve rispettare.
NOZIONI DI TOSSICOLOGIA E IGIENE INDUSTRIALE
TOSSICOLOGIA: è la scienza che studia la natura e i meccanismi degli effetti nocivi delle sostanze chimiche
sugli organismi viventi e sui sistemi biologici; si occupa inoltre della valutazione quantitativa degli effetti
tossici in relazione ai livelli di esposizione, alla loro durata e frequenza. Distinguiamo:
1. Tossicità ambientale: inquinante nell’ambiente.
2. Tossicità occupazionale: sostanze tossiche presenti negli ambienti di lavoro.
Inoltre possiamo distinguere il danno tossico (intossicazione) in:
1. Acuta: esposizione singola o plurima ad un agente pericoloso, ma in breve periodo di tempo (24h).
2. Subacuta
3. Subcronica
4. Cronica: esposizione prolungata e ripetuta a bassi livelli di dose di un agente pericoloso.

I fattori che influenzano la tossicità sono numerosi, ma fra questi i principali sono:
1. Vie di penetrazione: in quanto è ovvio che una sostanza che penetra per os, ad es., può subire un
processo di metabolizzazione rispetto a una sostanza assorbita per via inalatoria, e che quindi passa
direttamente alla circolazione sistemica. In ordine decrescente di efficacia abbiamo:
Inalatoria Intraperitoneale Sottocutanea Im Intradermica Orale Dermica.
Conoscere la via di penetrazione è anche molto importante per definire l’assorbimento della
sostanza, in quanto in caso di DL orale o dermica= alla evassorbimento rapido.
In caso di DL dermica>DL orale assorbimento ridotto dalla cute.
2. Durata e frequenza di esposizione.

Per poter valutare questi concetti bisogna introdurre alcune definizioni:


1. DOSE: quantità totale di una sostanza somministrata, assunta o assorbita da un organismo. Viene
distinta ulteriormente in:
a) Dose esterna: quantità di sostanza esogena a contatto con l’organismo nell’unità di tempo.
b) Dose interna: quantità di sostanza esogena realmente assorbita dall’organismo.
L’EPA adopera il NOEL (No observed adverse effect level) per calcolare le dosi di riferimento per
stabilire i valori accettabili per le sostanze inquinanti.
2. CONCENTRAZIONE: quantità di sostanza contenuta in un determinato sistema.
3. BIODISPONIBILITA’: frazione della sostanza non modificata che raggiunge la circolazione sistemica e
poi l’organo bersaglio o viceversa.
4. EFFETTO: modificazione nella statica o dinamica di un sistema provocata dall’azione di un agente,
che si esplica con l’alterazione di un parametro biochimico o funzionale quantitativamente
misurabile; un effetto è una risposta GRADUALE, misurabile di continuo. Possiamo distinguere:
a) Effetto reversibile: regredisce al cessare dell’esposizione.
b) Effetto irreversibile: effetto persistente anche al cessare dell’esposizione.

c) Effetto locale: effetto prodotto nel sito di primo contatto fra agente tossico e organismo.
d) Effetto sistemico: effetto che coinvolge organi a distanza dal punto di assorbimento.

e) Effetti somatici: a carico di organi e tessuti.


f) Effetti genetici: a carico del genoma, con danno al DNA. Tale effetto può poi essere
reversibile (se l’addotto viene rimosso dal DNA) o irreversibile.

g) Effetti additivi: quando due sostanze somministrate contemporaneamente danno un


effetto uguale alla somma dei singoli effetti.
h) Effetti sinergici: quando due sostanze somministrate contemporaneamente danno un
effetto maggiore della somma dei singoli effetti.
i) Effetti con potenziamento: quando una sostanza, non tossica, se somministrata
contemporaneamente a un'altra (dannosa) ne aumenta l’effetto.
5. RISPOSTA: modificazione verificatasi nella statica o nella dinamica di un sistema come reazione
all’azione di un agente. La risposta si dice QUANTALE quando si riferisce a una popolazione.
6. EFFETTO DOSE-DIPENDENTE: modificazione di un sistema in funzione della quantità di una sostanza
somministrata, assunta o assorbita.
7. RELAZIONE DOSE-EFFETTO: legame tra quantità totale di sostanza somministrata, assunta o
assorbita e alterazione graduale di un parametro biochimico-funzionale. Permette di:
a) Stabilire il grado di dipendenza esistente tra le variabili studiate (correlazione).
b) Valutare l’andamento del fenomeno.
c) Valutare la tossicità di una sostanza.

L’andamento è di tipo esponenziale. Essa può essere distinta in:

a) Tossicocinetica: studia i processi di assorbimento, distribuzione, metabolizzazione e


eliminazione delle sostanza pericolose. Può essere definita come la relazione quantitativa
tra la dose e l’andamento della sostanza pericolosa nel sangue e/o nei tessuti.
b) Tossicodinamica: studia i meccanismi molecolari che portano all’effetto e la relazione
quantitativa fra la dose del tossico e l’entità dell’effetto. Distinguiamo due tipi di organi:
♦ ORGANO BERSAGLIO: organo che in caso di intossicazione viene specificamente
danneggiato dal tossico.
♦ ORGANO CRITICO: organo in cui si manifesta la prima modificazione in seguito a
esposizione di questo a una concentrazione critica, cioè alla più bassa concentrazione
capace di causare un effetto.

8. RELAZIONE DOSE-RISPOSTA: legame tra quantità totale di un agente assorbita da un organismo o


una popolazione e le alterazioni che si sono sviluppate in risposta all’esposizione. Rappresenta
quindi la FREQUENZA di individui nella popolazione studiata che presentano un effetto al variare
della dose. Essa si costruisce quindi riportando sull’asse X la dose e sull’asse Y la % di individui che
presentano l’effetto. La curva avrà:
a) Andamento sigmoide.
b) Soglia e pendenza dipendenti dal tipo di effetto studiato e dalla suscettibilità individuale.

Affinchè esista la relazione dose/risposta, si presuppongono due assunti:


a) Nesso di causalità: l’effetto deve essere dovuto all’agente relazione qualitativa
b) La risposta deve essere in funzione della dose relazione quantitativa. Ciò indica che esiste
un bersaglio recettoriale dell’agente tossico e che la risposta dipende dalla concentrazione,
a sua volta dipendente dalla dose somministrata.

Esistono due tipi di curva dose-risposta:


a) GRADUALE: riferita all’individuo.
b) QUANTALE (cioè effetto SI/NO): riferita alla popolazione. Si tratta di una curva di tipo
CUMULATIVO, cioè ad ogni dose corrispondono non solo i soggetti che rispondono a quella
dose, ma anche i soggetti che rispondono a dosi minori.
Nel caso in cui l’agente tossico è un elemento essenziale, la curva avrà un andamento a U, per cui
avremo tossicità sia in caso di dosi molto basse che molto alte.
Per delineare una curva dose risposta in caso di nuova sostanza si procede con:
a) Determinazione dell’INDICE DI LETALITA’: indica il grado di potenza di una sostanza; esso si
valuta attraverso:
♦ CL50: concentrazione dell’agente tossico a cui viene esposto l’animale e che ne causa la
morte nel 50% dei casi.
♦ DL50: dose somministrata all’animale che ne causa la morte nel 50% dei casi. Si ottiene
così una curva sigmoide con una porzione relativamente lineare compresa fra il 16 e
l’84%; a sinistra di questa curva avremo gli individui IPERSENSIBILI, che rispondono
quindi a dosi basse, mentre a destra della curva avremo i soggetti RESISTENTI, che
rispondono a dosi alte.
b) Analisi istologica di organi e tessuti: per ottenere informazioni sugli eventi che hanno
causato la morte e quindi sul MECCANISMO D’AZIONE.

Dopo aver ottenuto la curva saremo in grado di determinare altri due parametri fondamentali, cioè:
a) POTENZA: concentrazione o dose della sostanza necessaria a produrre una risposta pari alla
metà del valore massimo (EC50 o ED50). Può dipendere:
♦ Affinità per la sostanza verso i recettori.
♦ Frequenza con cui l’effetto si presenta.
E’ ovvio che nell’uomo la determinazione della DL50 è troppo elevata, per cui i utilizzano
valori minori al di sotto dei quali si suppone che la sostanza non abbia effetto (DL5 o DL10).
b) EFFICACIA: entità dell’effetto generato; dipende da:
♦ Potenza della sostanza.
♦ Capacità di raggiungere recettori (dipendente da assorbimento, distribuzione, volume
di distribuzione ecc.).

IGIENE INDUSTRIALE: è quella branca che si occupa di:


1. Identificazione, valutazione e controllo dei FR ambientali fisici, chimici, biologici.
2. Valutazione periodica delle condizioni di esposizione individuale e collettiva
3. Protezione di sicurezza e salute del lavoratore e della collettività

L’igienista industriale è colui che assume la responsabilità di individuare, valutare e controllare, ai fini della
prevenzione e della eventuale bonifica, i fattori ambientali chimici, fisici, biologici derivanti dall’attività
lavorativa che possono alterare lo stato di salute e benessere dei lavoratori e della popolazione. Egli deve
conoscere e saper applicare:
1. Le metodologie di verifica e controllo della generazione e della propagazione degli agenti di rischio.
2. Le metodologie di valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione umana.
3. Le tecniche di mitigazione di tali rischi, quindi interventi tecnici e gestionali.

La VALUTAZIONE DEL RISCHIO (art. 2 comma 1 del DL 81/08) è la valutazione globale e documentata di
tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori in quell’ambito lavorativo, al fine di individuare adeguate
misure di prevenzione e protezione e elaborare un programma di misure atte a migliorare nel tempo i livelli
di salute e sicurezza. Nella VdR ci si avvale di diverse figure professionali come l’igienista industriale,
l’impiantista, l’ergonomo ecc.

L’ANALISI DEL RISCHIO prevede diverse fasi:

1. Identificazione degli agenti di rischio presenti: devono essere considerate materie prime, intermedi
di lavorazione, prodotti finali, composti secondari non desiderati ma che possono formarsi.
Per ogni sostanza bisogna tener conto delle caratteristiche chimico-fisiche e di quelle tossicologiche
2. Fonti di generazione-emissione: il processo va scomposto nelle singole operazioni e per ciascuna di
queste è necessario conoscere:
a) Parametri operativi: temperatura, pressione, portata.
b) Modalità operative: tecniche di lavorazione e macchinari.
3. Modalità di propagazione dei FR in ambiente: devono essere considerate:
a) La geometria dell’ambiente che può favorire il ristagno dell’inquinante (ad es. ventilazione).
b) Modalità di stoccaggio e trasporto.
c) Caratteristiche chimico-fisiche dei composti nelle condizioni ambientali.
4. Modalità di contato esposizione con gli agenti di rischio: tenendo presente:
a) Vie di assorbimento e concentrazione nell’aria.
b) Dispositivi di protezione adoperati.
c) Modalità di manipolazione.
d) Abitudine igieniche e alimentari.
5. Entità dell’esposizione: considerando i dati di monitoraggio ambientale, la modalità di contatto-
assorbimento, il tipo di attività lavorativa.
6. Presenza di rischi della sicurezza: da valutare in relazione alle caratteristiche di locali e macchinari e
alla presenza dei relativi sistemi antinfortunistici (es. incendi, esplosioni, soffocamento).

Si procede attraverso due tipi di valutazione:

1. VALUTAZIONE DI TIPO PRELIMINARE SU BASE DOCUMENTALE: con schema dei reparti, descrizione
del ciclo tecnologico, schede tecniche di macchine e impianti usati, programmi di manutenzione,
dispositivi di protezione individuale ecc.
2. VALUTAZIONE DETTAGLIATA DEL RISCHIO: attraverso utilizzo di algoritmi o misure di monitoraggio
ambientale specifiche e statisticamente significative. Esse sono:
a) Necessarie: nei casi previsti dal DL 81/08
b) Utili: nei casi dubbi o per esposizione e sostanze di elevata tossicità intrinseca o in grado di
provocare danni alla salute, anche se presenti a basse dosi.

Le STRATEGIE DI MONITORAGGIO dell’esposizione a questi composti chimici sono utili per:

1. Misurare la concentrazione degli agenti chimici aerodispersi.


2. Consentire il confronto dei dati nel tempo
3. Definire la periodicità delle misure
4. Rapportare l’esposizione inalatoria degli operatori con i VALORI LIMITE; essi corrispondono alla
concentrazione nell’aria di una sostanza pericolosa che, se sono rispettati gli standard, non ha
effetti dannosi sulla salute di un lavoratore esposto per 8-10h/die x 40h a settimana, inclusi gli
effetti a lungo termine nella progenie.
Il rispetto dei valori limite di esposizione professionale nei luoghi di lavoro è il principale strumento
di riduzione del rischio e di prevenzione dei possibili effetti sulla salute dei lavoratori. Esistono due
tipi di valore limite:

a) HEALTH BASED o IOELV (Indicative Occupational Exposure Limit Value): per sostanze per le
quali è possibile stabilire una dose soglia al di sotto della quale esposizioni per 8h/die e x
40h settimanali non causano effetti avversi. Si distinguono in:
♦ NOEL: livello di esposizione sotto il quale non si osservano effetti sulla salute.
♦ LOEL: più basso livello di esposizione con cui si manifestano effetti sulla salute.

b) RISK BASED o BOELV (Binding Occupational Exposure Limit Value): per quelle sostanze per
cui non è possibile stabilire soglie di rischio per alcuni effetti avversi, come genotossicità,
carcinogenicità, sensibilizzazione respiratoria; in questo caso si deve presumere che
qualunque livello di esposizione possa comportare rischio e gli OEL per tali sostanza devono
quindi essere definiti in modo pragmatico (precauzionale).

Gli OEL sono definiti dalla SCOEL, cioè un gruppo di 21 membri dei paesi comunitari, di varie
estrazioni scientifiche, in modo tale da riunire competenze e esperienze diverse per essere in grado
di suggerire limiti occupazionali.
In Italia i valori limite fanno riferimento a quelli imposti dall’ ACGIH; sono valori limite non
ufficialmente vincolanti per legge e quindi vengono utilizzati solo come riferimento generale per
valutare la pericolosità di una sostanza.
Tuttavia vi sono limiti di esposizione ufficialmente e legalmente vincolanti in caso di:

a) Sostanze riportate nell’allegato 38


b) Amianto e piombo
c) Benzene, cloruro di vinile monomero e polveri di legno.

Distinguiamo tre tipi di valori limite di soglia (TLV):

a) TLV-TWA: è il valore limite per esposizioni prolungate nel tempo, cioè la concentrazione
media degli inquinanti presenti nell’aria dell’ambiente di lavoro nell’arco dell’intero turno
lavorativo; esso non va superato nell’arco della giornata.
b) TLV-STEL: è il valore limite per esposizioni di breve durata, cioè la concentrazione alla quale
il lavoratore non può essere esposto per più di 15 minuti, previa la comparsa di irritazioni,
danni irreversibili, riduzione dello stato di vigilanza.
c) TLV-C: valore limite di soglia massimo, cioè quella concentrazione che non può mai essere
superata durante tutto il turno lavorativo, neanche per un istante. E’ un limite previsto solo
per un insieme di sostanze ad azione immediata, irritante sulle mucose o ad effetto
narcotico.
VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO
La VALUTAZIONE DEL RISCHIO (art. 2 comma 1 del DL 81/08) è la valutazione globale e documentata di
tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori in quell’ambito lavorativo, al fine di individuare adeguate
misure di prevenzione e protezione e elaborare un programma di misure atte a migliorare nel tempo i livelli
di salute e sicurezza. Essa prevede diverse fasi:
1. Identificazione degli agenti potenzialmente pericolosi, con successiva valutazione delle loro
potenzialità nocive per la salute.
2. Identificazione dei lavoratori esposti.
3. Valutazione quantitativa della tossicità: definizione della relazione dose-risposta, per studiare la
relazione tra entità della dose o il livello di esposizione all’agente di rischio e la prevalenza di un
determinato effetto negativo nella popolazione esposta.
4. Valutazione dell’esposizione, stimata in modo qualitativo o quantitativo (MA e MB).
5. Caratterizzazione del rischio, ovvero la stima della probabilità e della gravità di eventuali effetti
nocivi in una popolazione esposta a una determinata dose.
6. Giudizio sulla necessità o meno di interventi per prevenire o tenere sotto controllo il rischio.

Secondo il DL 81/08, i principali articoli che regolano questo processo sono:

1. Art. 28: la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori,
compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari come:
a) Rischi collegati allo stress lavoro-correlato
b) Rischi riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza.
c) Rischi connessi alle differenze di genere, età e provenienza da altri Paesi.

Questi tre punti sono una importante NOVITA’ rispetto alla legge 626/94. Inoltre, sempre come
novità alla legge precedente, con la 81/08 la sorveglianza sanitaria ha anche il fine di verificare
l’assenza di alcool dipendenza o uso di sostanze stupefacenti.
Nell’art.28 viene anche regolamentato il DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO, un
documento redatto a conclusione della valutazione e che deve essere munito di:

a) Data certa
b) Firma del datore di lavoro
c) Sottoscrizione da parte di RSPP, RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) e MC.

2. Art.29, modalità di effettuazione della VdR: il datore di lavoro effettua la valutazione in


collaborazione con il RSPP e il MC; essa va rifatta a scadenza fisse determinate sulla base dei diversi
agenti; la VdR va rielaborata immediatamente in caso di:
a) Modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro
b) Evoluzione della tecnica di prevenzione o protezione
c) Infortuni significativi o quando la sorveglianza sanitaria ne evidenza la necessità.

3. Art. 181-190-202-209-216: titolo 8 per gli agenti fisici.


4. Art. 223-236-249: titolo 9 per le sostanze pericolose
5. Art. 271: titolo 10 per gli agenti biologici.

La VdR può essere di due tipi:

1. SENZA MISURAZIONI: a sua volta può essere:


a) QUALITATIVA: in cui la stima del rischio viene fatta attraverso algoritmi, banche dati e
modelli prestabiliti. Ad es. per il rischio chimico abbiamo:
♦ Modello Regione Piemonte: valuta il rischio di quell’agente sulla base di:
 Gravità: pericolosità intrinseca dell’agente di rischio. Distinguiamo 3 classi:
 Classe 1: danno lieve con effetti reversibili; es. codice R36 (irritante per gli
occhi), R37 (irritante per le vie respiratorie), R38 (irritante per la pelle).
 Classe 2: danno modesto con effetti potenzialmente irreversibili; es. R34
(provoca ustioni), R35 (gravi ustioni).
 Classe 3: danno di entità media con effetti irreversibili.
 Durata dell’esposizione: può essere:
 Occasionale: <10% dell’orario di lavoro
 Frequente: 10-25% dell’orario di lavoro Entità
 Abituale: 26-50% dell’orario di lavoro dell’esposizione
 Sempre: 51-100% dell’orario di lavoro
 Livello di esposizione: variabile da 0 (assente) a 5 (molto alta).

Sulla base di ciò si ottengono delle classi di rischio:

 1-10 (Basso): non necessarie misure di protezione.


 11-25 (Modesto): opportune misure a medio termine.
 26-50 (Medio): opportune misure a breve termine.
 51-75 (Alto): indispensabili misure a breve termine.
 76-100 (Molto Alto): misure urgenti.

♦ MoVaRisCh: approvato dai gruppi tecnici di Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia,


consente di classificare i lavoratori a rischio irrilevante e quelli a rischio non irrilevante.

b) SEMIQUANTITATIVA: in cui, mediante dati ottenuti da modelli quantitativi (es.


monitoraggio ambientale), viene validato un algoritmo da poter poi applicare ad un
contesto lavorativo reale. Es. elaborazione e validazione di un algoritmo per la VdR da
esposizione a pesticidi; in questo caso si procede prima con monitoraggio ambientale (ad
es. 20 aziende agricole), misurando l’esposizione inalatoria, cutanea e altre informazioni; a
quel punto si elabora il modello.

2. CON MISURAZIONI o VALUTAZIONE QUANTITATIVA: in cui i dati di monitoraggio vengono


comparati con valori limite occupazionali. (MONITORAGGIO AMBIENTALE E BIOLOGICO, vedi dopo).

La GESTIONE DEL RISCHIO prevede invece la valutazione delle conseguenze sociali, economiche e politiche
sulla salute pubblica, con successivo sviluppo di opzioni come sistemi di protezione, monitoraggio
comunicazione del rischio alla popolazione esposta. Essa è regolamentata dall’articolo 15 del DL 81/08,
dove si parla appunto di gestione della prevenzione e delle misure generali da adottare, come:
1. Valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza
2. Programmazione della prevenzione
3. Eliminazione dei rischi o riduzione al minimo e anche sostituzione di ciò che è pericoloso con un
analogo non pericoloso o meno pericoloso.
4. Limitazione al minimo dei lavoratori esposti l rischio e usi di sistemi di protezione
5. Utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro.
6. Controllo sanitario dei lavoratori (SORVEGLIANZA SANITARIA, vedi sopra)

Praticamente si procede quindi con:

1. Misure strutturali: come insonorizzazione e stanze filtro


2. Misure organizzativo-gestionali: come turnazione, accesso limitato e segnaletica.
3. Misure di controllo: come monitoraggio, sorveglianza sanitaria e manutezione.
4. Uso di dispositivi di protezione
5. Formazione/informazione/addestramento
MONITORAGGIO AMBIENTALE E BIOLOGICO
Sorveglianza sistematica dei rischi ai quali i lavoratori sono esposti, mirata ai fini della salute e progettata
per portare, se necessario, ad azioni correttive. Esso è di fondamentale importanza in quanto la continua e
ripetuta esposizione ad un agente chimico disperso nell’ambiente può determinare una malattia
(CONTINUUM DEGLI EVENTI):

ESPOSIZIONE (su cui agisce il monitoraggio ambientale)(da qui agisce il monitoraggio biologico)
Assorbimento e trasformazione metabolica Interazione con molecole bersaglio  effetti biologici
precoci alterazione del rapporto struttura/funzione  MALATTIA

Il monitoraggio consta di due componenti:

1. MONITORAGGIO AMBIENTALE: misura continua o periodica delle concentrazioni di un inquinante


nell’ambiente di lavoro, per confrontare le misure ottenute con i valori di riferimento.

A che serve:
a) Verifica dei livelli di inquinamento
b) Verifica dell’efficacia di misure di prevenzione

Come si fa: attraverso tre fasi:

a) RACCOLTA INFORMAZIONI: in particolare si procede con:

♦ CARATTERISTICHE CHIMICO FISICHE, TOSSICOLOGICHE E ECOLOGICHE: valutando:


 Aspetto (odore, colore, stato fisico)
 pH
 Punto di ebollizione, fusione e infiammabilità
 Densità e solubilità
 Informazioni tossicologiche: valutando effetti nocivi che possono derivare
dall’esposizione al preparato, sulla base dell’esperienza o di conclusioni tratte da
esperimenti scientifici.
 Informazioni ecologiche: valutando la persistenza e degradabilità, il potenziale di
bioaccumulo, tossicità acquatica e altri dati relativi all’ecotossicità.

Tali informazioni sono FONDAMENTALI per conoscere la quantità da adoperare, il


trasporto, la manipolazione, lo stoccaggio ecc. Le diverse info sono reperibili dalle
schede di sicurezza .

♦ INDIVIDUAZIONE DELLE FONTI DI INQUINAMENTO: individuabili utilizzando le


conoscenze che si hanno su quel determinato agente chimico e rifacendosi a mappe p
al ciclo produttivo. E’ inoltre importante conoscere la sorgente, perché in questo modo
si può capire quali sono i lavoratori per i quali è maggiore l’esposizione.
Es. Campo agricolo sistema aperto; impianto industriale sistema chiuso

♦ PERSONALE ESPOSTO E CARATTERISTICHE DELL’ESPOSIZIONE:


 Personale esposto: in particolare valutare il tempo di esposizione, turnazione e
gruppi omogenei di esposizione.
 Caratteristiche dell’esposizione: costante, variabile ecc.

♦ VERIFICA DELL’ESISTENZA DI METODI UFFICIALI E DI NORMATIVA SPECIFICA


b) CAMPIONAMENTO, ANALISI E QUANTIFICAZIONE:
♦ CAMPIONAMENTO: possiamo distinguerlo sulla base di:
 Modalità di campionamento:
 Singolo completo
 Multiplo: a sua volta distinto in:
• Parziale
• Completo
• Istantaneo
• Breve
 Tecnica di campionamento: distinguiamo:

 Campionamento di superficie (WIPE TEST): individuazione di superifici


potenzialmente inquinanti; si strofina (wipe) la superficie con delle garze
imbibite di una soluzione solubilizzante e stabilizzante. L’agente chimico che
ricerchiamo viene raccolto sulla garza e successivamente si procede con
l’analisi e la quantificazione.

 Campionamento personale:
• Valutazione dell’esposizione cutanea: attraverso:
♦ Pads: fogli di forma rotonda o quadrata di vario materiale (alfa-
cellulosa, garza chirurgica, cotone ecc), piccole dimensioni. Essi sono
compresi fra 2 fogli di supporto (di alluminio o plastica), uno posto al di
sotto mentre l’altro, al di sopra, è tagliato per permettere l’esposizione
della superficie di raccolta. Vengono applicati tramite cerotti.
L’esposizione viene calcolata estrapolando i livelli di contaminazione
del pad all’intera regione anatomica rappresentata dal pad stesso.
♦ Indumenti: coprono intere regioni anatomiche o tutto il corpo; gli
indumenti vengono indossati per tutto il turno e successivamente
vengono ritagliati per sezione anatomica e trattate per estrarre il
fitofarmaco e procedere con l’analisi. In questo caso non c’è
estrapolazione in quanto i livelli di contaminazione sono relativi a tutta
l’area corporea.
• Valutazione dell’esposizione inalatoria: attraverso FIALE e FILTRI; abbiamo:
♦ Campionamento attivo: aspirazione di un volume d’aria attraverso il
sistema di campionamento (pompa), che poi viene fatto passare
attraverso una sostanza adsorbente selettiva in grado di intrappolare i
composti inquinanti (es. Button Sampler o IOM).
♦ Campionamento passivo: si utilizza un supporto adsorbente
(campionamento per diffusione); in questo caso il campionatore è
costituito da una scatola chiusa con 2 superfici, una diffusiva e una
adsorbente. Es. sono i campionatori passivi a simmetria radiale (es.
RADIELLO) e quelli a SIMMETRIA ASSIALE.

 Campionamento di aria ambientale: attraverso FIALE COLORIMETRICHE che


valutano l’esposizione inalatoria all’agente chimico.

♦ ANALISI: attraverso estrazione, separazione e rivelazione.


♦ QUANTIFICAZIONE: la quantificazione del campione incognito si ottiene partendo dalla
misura della risposta strumentale del campione standard e costruendo una RETTA DI
TARATURA.

c) INTERPRETAZIONE DEI DATI E CONFRONTO CON VALORI DI RIFERIMENTO: il confronto del


dato ottenuto deve avvenire con:
♦ Valori di riferimento a) Normativa nazionale
♦ Valori Limite Ambientali secondo b) Normativa Europea
♦ Valori Limite Occupazionali c) Agenzie accreditate (come
ACGIH-vedi prima)
2. MONITORAGGIO BIOLOGICO: misurazione e quantificazione di sostanze chimiche o di loro
metaboliti in tessuti, fluidi, secreti, escreti, aria espirata o qualsiasi combinazione, condotte per
valutare esposizione e rischi per la salute, comparate con un appropriato riferimento.

Come di effettua: mediante la valutazione della concentrazione di INDICATORI BIOLOGICI (sostanza


chimica, metabolita o complesso di questi con sostanze endogene), ovvero un parametro che indica
un evento di natura biochimica, funzionale o strutturale. Distinguiamo:
a) INDICATORI DI DOSE: misura di elementi o composti chimici esogeni (xenobiotici) assorbiti
nel corso dell’esposizione professionale, di loro metaboliti o ancora di complessi con
molecole endogene (es. CoHB), misurato nelle MATRICI CORPOREE, come:
♦ Urina
♦ Sangue
♦ Aria espirata
♦ Altri campioni (capelli, unghia).

Tali indicatori permettono di caratterizzare l’accumulo o la dose totale assorbita integrando


le diverse fonti di esposizione e le vie di assorbimento. La validità di tali indicatori dipende
comunque da numerosi fattori correlati come la modalità di esposizione, i tempi di
campionamento, le caratteristiche individuali del soggetto studiato. Distinguiamo:

♦ INDICATORI DI DOSE INTERNA: misura diretta o indiretta(misura dei metaboliti) della


concentrazione di xenobiotico accumulata in un determinato compartimento.
♦ INDICATORI DI DOSE EFFICACE: misura dell’esposizione più vicina al bersaglio, fornendo
quindi informazioni molto sensibili e specifiche della minima frazione di xenobiotico
che ha legato un determinato bersaglio. Il bersaglio può poi essere:
 Critico: organo o processo metabolico in cui si manifesta la prima modificazione
rilevabile alla concentrazione critica del tossica, cioè la concentrazione più bassa
che riesce a causare l’effetto critico.
 Non critico: indipendente dall’organo bersaglio, come ad es. gli addotti all’ Hb per
composti che sono tuttavia epato o nefrotossici come l’acetaldeide.

Altra distinzione degli indicatori di dose prevede la suddivisione in:


 INDICATORI DI ESPOSIZIONE: concentrazione dell’indicatore correlabile alla
quantità di sostanza presente nel posto di lavoro.
 INDICATORI DI ACCUMULO: concentrazione di tossico accumulata nell’organismo.
 INDICATORI DI DOSE VERA: concentrazione della frazione biologicamente attiva.

Il ricorso a questi indicatori è finalizzato alla prevenzione di effetti nocivi sul singolo
lavoratore ma non sono da considerarsi indicatori precoci di malattia; la loro presenza
impone solo la rimozione del FR o il suo contenimento.

b) INDICATORI DI RISPOSTA O EFFETTO: alterazione biochimica o fisiologica misurabile in un


organismo che, a seguito dell’esposizione ad un determinato FR e a seconda dell’entità ,
indica un danno effettivo o potenziale alla salute o una vera e propria malattia.
Vengono utilizzati per:
♦ Diagnosi precoce di alterazioni a carico dell’organo bersaglio (es. dosaggio micro
proteinuria nei lavoratori esposti a cadmio).
♦ Identificare condizioni ambientali di rischio per i lavoratori, che sarebbero di difficile
caratterizzazione se valutassimo solo la dose del singolo inquinane. Questo perché
sono state descritte associazioni esposizionerisposta in assenza di relazione
doseeffetto, come nel caso della cancerogenesi chimica o malattie multifattoriali in
cui è implicata anche la suscettibilità del singolo individuo.

In queste situazioni, l’indicatore di effetto ci permette di valutare il potenziale nocivo


dell’ambiente di lavoro.

c) INDICATORI DI SUSCETTIBILITA’: indicano un’intrinseca o acquisita diminuzione della


capacità dell’organismo di rispondere a possibili effetti conseguenti all’esposizione ad un
determinato xenobiotico. Essi possono essere:
♦ Congeniti: come sesso (a parità di livelli di esposizione a piombo, la protoporfirina IX è
più elevata nella donna), razza, polimorfismi genetici e mutazioni rare.
♦ Acquisiti: come:
 Alimentazione: carne troppo cotta o carne rossa aumentano l’escrezione urinaria di
IDROSSIPIRENE nelle ore successive ai pasti.
 Farmaci: l’uso di ASA contemporaneo all’esposizione a XILENE riduce l’escrezione di
a. metil ippurico (metabolita del solvente) del 50%.
 Alcol: può interferire col metabolismo di molti solventi.
 Caratteristiche dell’esposizione: continua o discontinua, la sorgente di esposizione.

Essi possono fornire informazioni per:

♦ Una corretta interpretazione della variabilità degli indicatori biologici di esposizione o


effetto.
♦ Comprensione dei meccanismi biochimici e molecolari alla base di modificazioni
biologiche che possono precedere una manifestazione clinica.
♦ Stima del rischio mirata al singolo individuo o su sottogruppi di soggetti ipersuscettibili.

d) NUOVI INDICATORI “OMICI”: sono gli indicatori del futuro, che ci permettono di valutare le
alterazioni genomiche conseguenti all’esposizione ad un tossico; es.
♦ Trascrittomica: frazione del genoma trascritta in RNA
♦ Proteomica: proteine prodotta dalla trasduzione
♦ Metabolomica: metaboliti prodotti dalle proteine.

Così come per il MA, anche qui abbiamo delle strategie di monitoraggio (come si fa):
a) RACCOLTA INFORMAZIONI: tenendo conto di:
♦ Caratteristiche chimico-fisiche: così da poter conoscere la modalità di campionamento,
i contenitori da adoperare e eventuali condizioni di stabilità del composto
♦ Informazioni tossicologiche (tossicocinetiche e tossicodinamiche): così da poter
conoscere cosa e dove dosarlo, gli effetti ecc.
♦ Personale esposto e caratteristiche dell’esposizione: tenendo conto di:
 Fattori di suscettibilità.
 Mansioni: se agricole (sistema aperto) o industriali (sistema chiuso).
 Caratteristiche dell’esposizione.
♦ Verifica dell’esistenza di Metodi ufficiali e Normativa specifica.

b) CAMPIONAMENTO, ANALISI E QUANTIFICAZIONE: l’ACGIH indica per ciascuna sostanza:


♦ COSA: indicatore biologico da ricercare
♦ DOVE: la matrice in cui ricercarla
♦ QUANDO: il periodo di prelievo; questo dipende dall’emivita e dall’escrezione; ad es.
 Escrezione rapida (emivita <5h): campionamento a fine turno.
 Escrezione lenta (emibita >5h): campionamento a fine settimana lavorativa.
♦ COME: procedura dell’analisi.
♦ PERCHE’: stima dell’esposizione, effetti, significato predittivo ecc.

c) INTERPRETAZIONE DATI E CONFRONTO CON:


♦ VALORI DI RIFERIMENTO: riferiti alla popolazione generale, non esposta (SIVR).
♦ VALORI LIMITE BIOLOGICI: riferiti ai lavoratori esposti (solitamente, per 8h e per 40h
settimanali). Tra questi i più usati sono quelli dell’ACGIH (American Conferenze of
Governamental Industrial Hygienist), come i TLV (per il MA) e i BEI (per il MB).
I BEI rappresentano le concentrazioni degli indicatori biologici che, con elevata
probabilità, si riscontrano in campioni biologici prelevati da lavoratori sani esposti a
livelli di concentrazione dell’aria dell’ordine di grandezza del TLV-TWA (sempre per
esposizione di 8 h per 40h settimanali). Al di sotto di tali valori la maggior parte dei
lavoratori non dovrebbe subire effetti negativi per la salute. Le notazioni riportano
informazioni addizionali per gli IBE:
 Notazione B: indicatore biologico da background
 Notazione NS: indicatore biologico non specifico
 Notazione SQ: interpretazione semiquantitativa della misura dell’indicatore
A che cosa serve: per chiarire a cosa serve il MB è necessario qualche cenno circa:
a) Significato qualitativo degli indicatori: cioè la sola presenza dell’indicatore.
b) Significato quantitativo degli indicatori: cioè la correlazione significativa dell’indicatore.
c) Significato molteplice degli indicatori: in quanto uno stesso parametro biologico può
rappresentare diversi indicatori. Es. ADDOTTI al DNA rappresentano:
♦ Indicatori di esposizione: perché non possono formarsi in assenza di assorbimento della
sostanza che li genera.
♦ Indicatori di effetto: in quanto la loro formazione richiede l’interazione con una
macromolecola cellulare, la cui modificazione indica un effetto biologico.
♦ Indicatori di suscettibilità: in quanto la loro persistenza riflette le capacità individuali di
riparazione del danno al DNA.

Il MB è importante per molti motivi:


a) Sorveglianza sanitaria e tutela della salute
b) Valutazione del Rischio: infatti:
♦ Se è nota la relazione tra esposizione e dose interna, l’indicatore esprimerà
correttamente l’esposizione dell’individuo ma non sarà in grado di dare informazioni
circa il rischio per la salute.
♦ Se è nota la relazione tra dose interna e effetti, l’indicatore sarà espressione del rischio
e consentirà una diretta prevenzione degli effetti nocivi per la salute.
c) Stima di esposizione, assorbimento, interazione e effetti del composto, usi dei Dpi.

Fattori che limitano la pratica del MB sono:

a) Variabilità individuale
b) Esistenza di un numero limitato di indicatori disponibili
c) Non sempre sono note le conoscenze tossicocinetiche e tossicodinamiche di uno
xenobiotico, necessarie per l’impiego dell’indicatore
d) Il progressivo miglioramento delle condizione dei luoghi di lavoro ha determinato la
progressiva riduzione dei livelli di esposizione, quindi sono necessarie tecniche sempre più
sensibili.
RISCHIO CHIMICO
Rappresenta il rischio connesso con la presenza nel ciclo lavorativo di sostanze o miscele chimiche
pericolose che, a seconda della loro natura, possono dar luogo a:

1. Rischi per la sicurezza o rischi infortunistici: come incendi, esplosioni ecc.


2. Rischi per la salute o rischi igienico-ambientali: esposizione a sostanze tossiche o nocive, irritanti,
cancerogene ecc.

Classificazione: le sostanze chimiche o i loro composti possono essere classificate in base a:

1. STATO FISICO: distinguiamo composti:


a) Aeriformi (stato gassoso): possono essere a loro volta distinti in:
♦ GAS: come l'idrogeno
♦ VAPORE: come il mercurio
b) Particellari (stato liquido o gassoso): distinti in:
♦ Polveri: particelle solide provenienti dalla lavorazione di materie prime.
♦ Fumi: particelle solide provenienti da reazioni chimiche e cambiamenti di stato.
♦ Nebbie: particelle liquide, ad es. nebbie da oli lubrificanti o da acidi inorganici forti

2. EFFETTI SULL’ORGANISMO (punto di vista sanitario): dipendono da diversi parametri:


a) Livello, durata e frequenza dell’esposizione
b) Dose assorbita
c) Caratteristiche dei soggetti esposti (sesso, età, presenza di patologie)
d) Tossicità intrinseca dell’agente chimico.

Possiamo quindi distinguere i composti in:

a) Molto tossico: sostanze che in piccolissime quantità possono essere mortali o provocare
lesioni acute o croniche.
b) Tossico: sostanze che in piccole quantità possono essere mortali o provocare lesioni acute o
croniche.
c) Nocivo: sostanze che possono essere mortali o provocare lesioni acute o croniche.
d) Corrosivo: sostanze con azione distruttiva sui tessuti con cui vengono a contatto
e) Irritanti: sostanze ad azione infiammatoria diretta sui tessuti con cui entrano in contatto.
f) Sensibilizzanti: sostanze che possono dar luogo a reazioni di ipersensibilizzazione, per cui
una successiva esposizione produce effetti caratteristici
g) Cancerogeno: sostanze che possono provocare cancro o aumentarne la frequenza
h) Mutageno: sostanze che possono produrre difetti genetici ereditari o aumentare la freq.
i) Tossico per il ciclo riproduttivo: effetti nocivi non ereditari nella prole o a carico della
funzione riproduttiva maschile o femminile.
j) Pericoloso per l’ambiente: rischi immediati o differiti per delle componenti ambientali.

3. DEFINIZIONE DELL’81/08 (regolamento CLP): la gestione delle sostanze chimiche viene


regolamentato da due tipi di regolamenti:
a) REACH (acronimo di Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals): entrato in vigore
il 1 giugno 2007, esso introduce un sistema integrato che si basa su quattro elementi
fondamentali da applicare alla valutazione/gestione delle sostanze chimiche:
♦ REGISTRAZIONE
♦ VALUTAZIONE
♦ AUTORIZZAZIONE
♦ RESTRIZIONI
La regolamentazione di questi elementi consente:

♦ Il miglioramento della conoscenza dei pericoli e dei rischi derivanti da prodotti chimici
(classificazione).
♦ La comunicazione del rischio, delle corrette misure di gestione e delle condizione
operative per un uso sicuro delle sostanze chimiche. Strumenti indispensabili per tale
comunicazione sono ETICHETTA e SCHEDA DATI DI SICUREZZA (SDS, dove si riportano
informazioni chimico-fisiche, uso della sostanza, condizioni operative e gestione), che
riportano:
b) REGOLAMENTO CLP (Acronimo di Classification, Labelling and Packaging): esso aggiorna i
criteri di classificazione e modalità di comunicazione attraverso:
♦ Nuovi criteri di classificazione: identificazione delle sostanze chimiche pericolose.
♦ Fornitura di etichette e schede di dati di sicurezza: strumenti necessari per segnalare
agli utenti i pericoli correlati all’uso di quelle sostanze, aggiornate al GHS (Globally
Harmonized System, un ente che ha armonizzato i criteri di classificazione a livello
mondiale). Le modifiche rispetto al REACH consistono in:
 Aggiunta di miscele al posto di “soluzione composta da una o più sostanze”
 Modifica di “categorie di pericolo” in “classi di pericolo”: il CLP definisce 28 classi
di pericolo, di cui 16 di pericolo fisico, 10 di pericolo per la salute umana, 1 di
pericolo per l’ambiente e 1 per le sostanze pericolose per lo strato di ozono.
 Modifica di “frase di rischio R” in “indicazione di pericolo H( Hazard statement)”:
a ogni pericolo è assegnato un codice univoco alfa-numero con 1 lettera (H) e 3
numeri, di cui il 1° indica il tipo di pericolo.
 Modifica di “frase di prudenza S” in “consiglio di prudenza P (precautionary
statement): anche esso con un codice alfa numerico con 1 lettera (P) e un numero
che indica il tipo di precauzione da adottare:
 1= generico
 2= prevenzione
 3= risposta
 4= immagazzinamento
 5= eliminazione
 Modifica di “indicazione di pericolo” in “avvertenze”
 Modifica di “simboli di pericolo” in “pittogrammi”

Scheda di sicurezza e etichetta devono essere sempre allegate al prodotto, fornite dalla
ditta produttrice, in italiano e forniscono info sulla pericolosità della sostanza e su come va
manipolata, stoccata e smaltita.
ETICHETTA destinata sia ai consumatori che ai lavoratori.
SDS destinata all’utilizzatore professionale per consentire al datore di valutare se sul
luogo di lavoro vi sono agenti chimici pericolosi e i rischi connessi al loro uso. Essa:
♦ Deve essere compilata nella lingua dello stato in cui avviene l’immissione sul mercato.
♦ Deve riportare la data di compilazione
♦ Deve essere redatta in modo chiaro e preciso
♦ Deve usare linguaggio semplice
♦ Deve essere fornita gratuitamente, in modo cartaceo o elettronico
♦ Deve essere predisposta a prescindere dal volume di produzione.
Tossicocinetica e tossicodinamica: gli agenti chimici possono penetrare nell’organismo umano per varie vie,
quali quella inalatoria, digerente e transcutanea; passano quindi al circolo ematico e si distribuiscono ai vari
compartimenti in funzione di:

1. Vascolarizzazione
2. In base alle caratteristiche chimico-fisiche: per cui possiamo avere accumulo (composti lipofili),
rapida eliminazione per via respiratoria (composti volatili) o renale (composti idrofili) ecc.

Una volta introdotti nell’organismo, gli effetti possono essere di tipo:

1. Locale: se danneggia solo la parte con cui è entrato in contatto.


2. Sistemico: se il tossico si diffonde ad altri organi.

3. Acuto: breve esposizione a dosi elevate.


4. Cronico: lunga esposizione a basse dosi.

Gli effetti saranno a carico di tutti gli organi e/o apparati:

1. CUTE: DIC, DAC, orticaria, acne professionale.


2. APPARATO RESPIRATORIO: patologie acute (polmonite chimica da esposizione a metalli pesanti),
croniche (pneumoconiosi da esposizione a silicati) o neoplastiche.
3. APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO: aritmie, vasculopatie.
4. APPARATO GI: ulcere, emorragie, flogosi.
5. FEGATO E RENI: reazioni steatosiche, citotossiche e necrotiche.
6. APPARATO RIPRODUTTIVO: alterazione del liquido seminale (alcuni pesticidi).
7. APPARATO EMOPOIETICO: anemie e leucemie.
8. SN:
a) Effetti sulla motilità: atassia, convulsioni, paralisi, tremori, astenia.
b) Effetti sulla sensibilità: disturbi di udito, olfatto, sensibilità tattile, vista.
c) Effetti sulle funzioni cognitive: confusione, disturbi della memoria, alterazioni della parola,
disturbi della personalità, delirio, depressione.
d) Effetti generali: anoressia, fica, stupore.

Per quanto riguarda la VdR da agenti chimici:

1. Se il rischio è non basso o non irrilevante per la salute: bisogna sostituire l’agente pericoloso con
altri che non lo siano o lo siano meno, uso di DPI e mezzi adeguati, MA e MB.
2. Se il rischio è basso: solo misure di protezione generiche.

Per quanto riguarda la Gestione del rischio chimico, essa è regolamentata dall’articolo 224, secondo cui i
rischi legati ad agenti chimici devono essere eliminati o ridotti al limite mediante:

1. Progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro


2. Fornitura di attrezzature idonee per il lavoro
3. Riduzione al minimo dei lavoratori esposti e dell’intensità dell’esposizione

Per quanto riguarda i METALLI PESANTI, essi sono metalli con numero atomico solitamente superiore a
quello del ferro (NA 26), con una densità molto elevata (>5g/cm3) e causa di inquinamento e tossicità negli
organismi biologici; la loro tossicità è legata al fatto che nella formazione di Sali si comportano da cationi, i
quali sono capaci di legare facilmente i gruppi sulfidrilici (-SH), generalmente presenti negli enzimi che
controllano la velocità delle reazioni metaboliche nel corpo umano. Il complesso metallo-zolfo determina
poi inibizione enzimatica.

I metalli essenziali per i sistemi biologici (a basse o bassissime dosi) sono Cr, Mn, Fe, Co, Cu e Zn.
PIOMBO
E’ un metallo pesante dall’aspetto lucido e colore bluastro, piuttosto morbido, molto malleabile e duttile; è
un mediocre conduttore di elettricità ma molto resistente alla corrosione. A contatto con l’aria di ossida e si
annerisce.

Fonti di inquinamento: possono essere distinte in:

1. Professionali: per estrazione da minerali, processi galvanici, saldature, stampa (in passato),
ceramica o vernici. I principali lavoratori esposti a questo tipo di metallo sono quindi:
a) Addetti alla produzione e raffinazione del metallo dai minerali.
b) Costruzione o demolizione di accumulatori.
c) Saldatura
d) Utilizzo di additivi al Pb nell’industria della plastica.
e) Cantieristica stradale.
2. Extra professionali: proiettili, alimenti o bevande, ceramiche, sigarette (trattamento con pesticidi a
base di piombo), picacismo (ingestione di sostanze non nutritive).

Tossicocinetica:

1. Assorbimento: avviene principalmente attraverso tre vie:


a) Inalatoria: prevalentemente esposizione professionale, dipende da:
♦ Granulometria e solubilità dei composti di Pb: infatti:
 Le particelle con diametro >5 microm sono trattenute dalle prime vie aeree,
epurate con meccanismi muco ciliari e avviate all’apparato GI o espettorate.
 Le particelle con diametro < 5 microm arrivano a livello bronchiolo-alveolare e sono
assorbite fino al 70% in 24h.
♦ Frequenza respiratoria.

b) Orale: prevalentemente esposizione extraprofessionale, va considerato per:


♦ Il Pb proveniente da depurazione muco-ciliare
♦ Il Pb ingerito con cibi e bevande, dentro e fuori l’ambito lavorativo.

A parità di dose, il Pb ingerito produce meno danni rispetto a quello inalato in quanto solo
un 20% viene assorbito, mentre il resto viene eliminato con le feci.

c) Cutanea: limitata se la cute è integra.

2. Distribuzione: una volta assorbito il Pb si equilibra tra liquidi extra cellulari e plasma, dove in parte
lega le proteine come l’albumina e in parte resta diffusibile, distribuendosi immediatamente ad
encefalo, fegato e reni e solo successivamente ad ossa e denti. In parti inoltre può passare a saliva,
latte e placenta (con distribuzione nell’organismo fetale uguale a quella dell’adulto).

Il Pb diffonde inoltre rapidamente ai GR, dove può legare:


a) La membrana: determinando modificazioni strutturali che portano facilmente ad emolisi.
b) L’emoglobina.

Il rapporto Pb eritrocitario-Pb plasmatico varia tra 99:1 e 95:5 a seconda della concentrazione tot
del metallo; la maggior concentrazione si ha comunque a livello si fegato, reni e SNP.
Per quanto riguarda il tempo di dimezzamento, esso corrisponde a 1-2gg nel plasma e circa 40gg
nei tessuti molli.

3. Escrezione: 50-60% urinaria, la metà invece per via fecale.


Tossicodinamica: l’azione del Pb dipende molto dalla sua capacità di mimare il Ca e di sostituirsi ad esso in
molti dei processi cellulari fondamentali; nei GR il Pb attraversa la membrana in un senso mediante lo
scambiatore anionico Cl-/HCO3- e nell’altro senso attraverso la pompa Ca2+/ATPasica.
In altri tessuti il piombo permea attraverso canali per il Ca voltaggio dipendenti o altri tipi di canali che
trasportano Ca.

Effetti: la tossicità dipende dallo stato del Pb:

Inorganico a livello di numerosi apparati ma soprattutto emopoietico, rene, SN e GI.


Organico prevalentemente limitata a SN e cute.

L’intossicazione da Pb può essere distinta in:


1. CLINICA: con sintomatologia evidente:
a) INTOSSICAZIONE ACUTA: piuttosto rara, si caratterizza per:
♦ Colica da spasmo
♦ IA da spasmo arteriolare glomerulare e ischemia renale
♦ Oliguria
♦ Anemia emolitica
b) INTOSSICAZIONE CRONICA o SATURNISMO: caratterizzata da:
♦ Anemia
♦ Polineuropatia periferica
♦ Encefalopatia
♦ Patologie vascolari croniche (renale o sistemica)
♦ Tubulopatia renale
2. SUBCLINICA: senza manifestazioni evidenti ma con alterazioni funzionali;
a) Polineuropatia (astenia)
b) Anemia (con lieve emolisi e depressione dell’eme)
c) Effetti genetici
d) Effetti comportamentali.

Il tutto dipende dai livelli di piombemia (PbB):


1. <60microg/100mL: manifestazioni cliniche spesso assenti
2. 60-70microg/100mL: manifestazioni cliniche lievi
3. >80microg/100mL: manifestazioni cliniche anche gravi

Distinguiamo quindi:
1. EFFETTI GI: per azione sui muscoli lisci dell’intestino. Possiamo avere:
a) STIPSI: manifestazione precoce, soprattutto negli adulti, che tende a peggiorare col
procedere dell’intossicazione, associandosi anche ad anoressia; talora invece abbiamo
diarrea.
b) COLICA SATURNINA: spasmo intestinale, tipico soprattutto delle forme avanzate da
intossicazione acuta, caratterizzato da dolore è crampiforme, violento, continuo e diffuso
ma particolarmente concentrato a livello della regione periombelicale. A ciò si associa:
♦ Chiusura dell’alvo a feci e gas
♦ Oliguria
♦ Ipertensione
♦ Iperazotemia transitoria
In genere, se la colica non è grave, l’allontanamento dalla fonte di esposizione può essere
sufficiente alla regressione dei sintomi.
DD con addome acuto, in cui abbiamo febbre, leucocitosi neutrofila e palpazione dolorosa,
invece assenti nella colica saturnina (alla palpazione il pz sente addirittura sollievo).
2. EFFETTI SUL SNC E SUL SNP:
a) EFFETTI NEUROMUSCOLARI:
♦ PARALISI SATURNINA (intossicazione subacuta): rara, si associa inizialmente a
debolezza muscolare e astenia e solo successivamente ma non necessariamente
compare la paralisi, in particolare dei muscoli particolarmente attivi come estensori
dell’avambraccio, polso e delle dita e muscolatura estrinseca dell’occhio.
♦ PARALISI DEI MUSCOLI ESTENSORI DEL CARPO (da intossicazione cronica): in particolare
dei muscoli innervati dal nervo radiale, è considerabile come un segno patognomonico
della malattia (caduta del polso); in genere non si associa a coinvolgimento sensoriale.

b) ENCEFALOPATIA SATURNINA (da intossicazione cronica): si manifesta con:


♦ Sintomi precoci: movimenti impacciati, vertigini, atassia, perdita dell’equilibrio, cefalea,
insonnia, irrequietezza e irritabilità.
♦ Sintomi tardivi: eccitazione e confusione, seguiti da delirio, convulsioni tonico cloniche,
letargia e coma; comuni sono anche vomito e disturbi visivi. Talora possiamo anche
avere meningite proliferativa, edema, emorragie puntiformi, gliosi e necrosi focale.
Negli adulti più frequente la neuropatia periferica
Nei bambini più frequente l’encefalopatia

3. EFFETTI EMATOLOGICI: abbiamo fondamentalmente ANEMIA, generalmente di modesta entità (10-


12 g/dl di Hb), con eritrociti a punteggiatura basofila (soprattutto quando la concentrazione
ematica di Pb > 80microg/dL); tale punteggiatura è dovuta ad aggregazione dell’acido ribonucleico
legata all’effetto inibitori del Pb sull’enzima pirimidino 5’ nucleotidasi. Non è patognomonica.
L’anemia può essere legata a:
a) Intossicazione acuta aumentata emolisi per alterazione della membrana diretta e dose-
dipendente. L’anemia è normocromica, con la caratteristica nello striscio periferico di:
♦ Corpi di Heinz: evidenziabili col il blu brillante di cresile
♦ Presenza di “Bite cells”, cioè eritrociti con una morsicatura semicircolare da un lato
della cellula.
♦ Eccentrociti: che presentano l’Hb addossata a un’estremità della cellula, lasciando
l’altra libera.
b) Intossicazione cronica inibizione della sintesi di eme, con ridotta produzione di Hb, per
legame ai gruppi –SH degli enzimi addetti alla sintesi dell’eme. L’anemia è ipocromica.

4. EFFETTI RENALI: l’esposizione cronica a Pb causa alterata regolazione del Sistema RAA, dei canali
Na+-K+ e Ca2+, con alterazione del controllo pressorio. Inoltre possiamo avere due distinti quadri:
a) Disturbo reversibile a livello dei tubuli renali in genere nei bambini postesposizione acuta
b) Nefropatia interstiziale irreversibile tipica di esposizioni industriali a lungo termine.
Clinicamente avremo una sindrome tipo Fanconi con proteinuria, ematuria, cilindruria, iperuricemia
e gotta.

5. ALTRI EFFETTI:
a) SI: esposizione a alte dosi inibisce l’attività di linfo B, T e NK e aumento dei livelli di IL4 e
IgE, con comparsa di fenomeni allergici.
b) OSSO: sostituzione del Pb con Ca e quindi aumentato riassorbimento osseo, ridotta densità
corticale e aumentato rischio di fratture e infezioni.
c) COLORITO CINEREO DEL VISO E PALLORE DELLE LABBRA
d) PUNTEGGIATURA RETINICA
e) ORLETTO DI BURTON: orletto nero-grigiastro a livello del margine gengivale dovuto a
deposizione periodontale di solfuro di piombo (per reazione di Pb con idrogeno solforato
proveniente dagli alimenti).
f) INVECCHIAMENTO PRECOCE CON POSTURA INCURVATA
g) EFFETTI ENDOCRINI: con ridotta fertilità, ridotta conta spermatica, ridotta funzionalità
tiroidea e danni al feto da passaggio della BEP.
h) ALTERAZIONE DEL CYP450 E DEL METABOLISMO DI V.D E LIPIDI
i) EFFETTI MUTAGENI/CANCEROGENI: a livello di SNC, stomaco e rene.

Sorveglianza sanitaria: si effettua quando:


1. TLV (su 40h settimanali) > 0,075mg/m3 (il limite ambientale è fissato a 150 mg/m3; per valori
ambientale < 40 mg/m3 non sono necessari interventi di bonifica ambientale).
2. Valori di PbB nei singoli lavoratori > 40 microg/100mL (il limite biologico è fissato a 60
microg/100ml nell’uomo e 40 microg/100ml nella donna in età fertile).

La valutazione dell’entità di Pb assorbito dovrebbe essere fatta dosando il metallo diffusibile nel
plasma; questo tuttavia non è possibile in quanto tale parametro non è misurabile in modo
attendibile, motivo per cui gli indicatori di dose che utilizziamo sono:
a) Concentrazione di Pb nel sangue (Piombemia-PbB)
b) Concentrazione di Pb nelle urine (Piomburia-PbU)
c) Concentrazione di Pb nelle urine dopo somministrazione di un farmaco chelante PbU-EDTA

In particolare:
a) Per l’esposizione recente: andiamo a misurare:
♦ PbB: confrontandolo con i valori di Pb atmosferica, per distinguere fra soggetti normali
e soggetti dall’assorbimento abnorme.
♦ PbU
b) Per l’esposizione pregressa (accumulo): usiamo la PbU EDTA dopo somministrazione di un
farmaco chlante (VERSENE).

Per quanto riguarda invece gli indicatori di effetto, andremo a valutare l’alterazione della sintesi
dell’eme e quindi di enzimi come ALA deidratasi, ALA U, protoporfirina 9 ecc.

PARTICOLATO ATMOSFERICO

Il particolato è formato da particelle fini ed ultrafini, che possono essere causa di danni a carico
dell’apparato respiratorio, cardiovascolare, cutaneo, SNC. Le particelle sono classificate in
1. PM10: frazione grossolana, solo le più innoque perchè non raggiungono le vie aeree più fini
2. La frazione più fine che arriva agli alveoli
3. La frazione ultrafine (nanoparticelle) che dagli alveoli diffondono a tutto l’organismo

La frazione inalabile sono tutte le particelle che penetrano nell’albero respiratorio attraverso le narici e la
bocca durante un normale atto respiratorio.
La frazione toracica sono le particelle fini che raggiungono la trachea.
La frazione ultrafine sono le particelle che arrivano ai sacchi alveolari.

Le popolazioni più suscettibili a queste particelle sono:


1. I bambini sono più suscettibili perchè inalano una quantità maggiore di aria per peso corporeo,
hanno un assorbimento più elevato, hanno maggiori richieste energetiche. L’esposizione di madri
non fumatrici al particolato atmosferico durante la gestazione è causa di alterata funzionalità
polmonare in età prescolare nei figli.
2. Gli anziani sono più suscettibili perchè frequentemente presentano patologie cardio-respiratorie, o
hanno una alimentazione non corretta (che influenza le difese immunitarie).
3. Soggetti con patologie polmonari preesistenti, infiammatorie o infettive
Le fonti di emissione possono essere:
1. SORGENTI OUTDOOR: la principale è rappresentata dal traffico veicolare, soprattutto dalla
combustione dei motori diesel.
2. SORGENTI INDOOR: negli ambienti domestici come fumo di sigaretta, caminetti, stufe, candele.

Le vie d’ingresso nell’organismo sono:


1. Pelle
2. Tratto respiratorio: l’efficacia dei meccanismi di clearance polmonare diminuiscono all’aumentare
del numero di particelle inalate (quindi dell’esposizione ad esse) in quanto i macrofagi non sono più
in grado di fagocitarle.
3. Apparato digestivo: le particelle possono essere ingoiate direttamente o essere presenti sui cibi
(soprattutto quelli ben cotti)

Una volta penetrati, attraverso il sangue, raggiungono vari organi come il SNC (probabilmente attraverso il
nervo olfattivo), il fegato, la milza ed altri.

Il meccanismo patogenetico comune a tutti i tipi di danno indotti da queste particelle consiste in:
1. Danno diretto: per attivazione del processo infiammatorio con rilascio dei vari mediatori da parte
della particella stessa (che essendo piccola supera la barriera capillare e raggiunge il sangue)
2. Danno indiretto dovuto alle sostanze introdotte nell’organismo, come i metalli che le particelle
captano dall’atmosfera.
Il danno interessa tutte le strutture cellulari: nucleo, membrana, ribosomi, l’apparato del Golgi e così via.

Gli effetti sulla salute sono distinti in:


1. Effetti a breve termine: sono:
a) Aumento FC e valori pressori (c’è correlazione tra i giorni di maggiore inquinamento e il
numero di accessi ospedalieri per patologie respiratorie o cardiovascolari)
b) Esacerbazione di patologie polmonari preesistenti (asma e BPCO).

2. Effetti a lungo termine:


a) Alterazioni del SNC e del sistema nervoso autonomo
b) Anomalie congenite: soprattutto malformazioni cardiache, ritardo di accrescimento
intrauterino.
c) Alterazioni alla nascita: basso peso alla nascita o nascita pretermine, incremento della
mortalità pre e post-natale
d) Aumentata incidenza di asma e di altre patologie respiratorie nei bambini
e) Riduzione della funzionalità polmonare, fibrosi, cancro (c’è una maggiore incidenza di
neoplasie polmonari in soggetti sottoposti ad esposizione lavorativa, es.saldatori).
f) Patologie cardiovascolari: le particelle sono state messe in relazione con ischemia cardiaca,
TIA, aumento dei valori pressori, riduzione della FC e aumento dei markers di trombosi ed
infiammazione.
g) L’esposizione alle particelle ultrafini è responsabile di alterato rilascio delle citochine a
livello ippocampale e quindi di depressione e deficit cognitivi (uno studio ha dimostrato un
declino cognitivo più precoce e stati simil-ansiosi in donne che vivono in centri urbani
rispetto a donne in aree rurali). Hanno relazione anche con il morbo di Alzheimer.
h) Le nanoparticelle assorbite attraverso il tratto gastroenterico sono responsabili di una
risposta infiammatoria che può essere causa del morbo di Crohn.
ASBESTO
Il termine amianto non definisce un unico minerale ma comprende un gruppo di silicati di magnesio che si
dividono in due categorie, distinte in base alle caratteristiche fisiche delle fibre:
1. Asbesti di serpentino: hanno una lunghezza che va fino ai 5 cm e un diametro tra 0.7µm e 1.5µm
2. Asbesti di anfibolo: hanno una lunghezza fino a 8 cm e un diametro che va fino ai 4µm.

A loro volta si dividono in amosite, crocidolite e antofillite.


L’amianto è stato un prodotto largamente utilizzato in varie attività lavorative per le sue caratteristiche di:
1. Incombustibilità
2. Resistenza alle alte temperature
3. Resistenza all’usura, all’aggressione di sostanze chimiche e alla trazione.
4. Fono assorbenza
5. Capacità di creare impianti termoisolati.

Per tale motivo l’amianto è stato usato nella creazione dei soffitti e pareti di case, impianti sportivi,
alberghi, scuole; nell’industria tessile per la creazione di tessuti ignifughi per le varie attività dove è
necessario prevedere questo tipo di rivestimento; l’industria ferroviaria e navale (costruzione di
rivestimenti condensanti e pannelli) hanno largamente utilizzato l’amianto.
Le lavorazioni dove maggiormente l’amianto ha esposto i lavoratori a intossicazione e all’insorgenza di
mesotelioma sono state l’estrazione in cava o miniera, l’industria del cemento, l’industria dei freni,
l’industria tessile, chimica, dei cartoni. Tutte queste industrie ora devono utilizzare materiali alternativi.

Dal 1992 la legge 257 vieta l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione di amianto o di prodotti
contenenti amianto. L’esposizione lavorativa all’amianto oggi si ha solo in un caso: attività lavorative che si
occupano della bonifica di ex strutture che ancora contengono amianto al loro interno; nella nostra regione
Campania ce ne sono ancora tantissime. Nel decreto ministeriale del 6/9/1994 vengono dettati i requisiti
minimi per attività che espongono lavoratori all’amianto nello smaltimento dell’amianto stesso; esistono
degli spogliatoi noti come unità UDP, il cui fine è quello di evitare il rilascio di indumenti nell’ambiente e
quindi l’esposizione all’amianto non solo del lavoratore, ma anche dei familiari.

Patogenesi: le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più
grandi vengono eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei
bronchioli respiratori, dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che porterà
all’insorgenza della fibrosi polmonare che è alla base dell’asbestosi. La chemiotassi dei macrofagi, con
l’intervento del complemento, inizia con una tempistica di 48-72 ore. Non tutti i macrofagi sopravvivono al
contatto con le fibre di amianto; alcuni vanno incontro a citolisi, altri inglobano le fibre e rilasciano fattori di
crescita per altre cellule, soprattutto fibroblasti. Un fattore fondamentale nell’iniziazione e perpetuazione
del processo flogistico è FGF e la Fibronectina. Oltre ai fibroblasti sono coinvolte altre cellule flogistiche che
contribuiscono all’insorgenza e alla formazione del granuloma fibrotico che si crea a livello del parenchima
polmonare. Macrofagi attivati, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo
infiammatorio che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell’asbestosi.

Anatomia patologica:
All’esame macroscopico il polmone asbestosico:
1. In fase iniziale di esposizione all’amianto non presenta le lesioni tipiche asbestosiche.
2. Nelle forme più avanzate, quando c’è stata un’esposizione maggiore all’amianto, i polmoni si
presentano di volume ridotto e consistenza aumentata.
All’esame microscopico tutte le fibre di asbesto sono in grado di provocare una fibrosi interstiziale diffusa
che comincia inizialmente nei lobi inferiori polmonari, poi diffonde a tutti i campi polmonari, dx e sx.
È importante sottolineare che per fare DD con un’altra pneumoconiosi (l’asbestosi è una pneumoconiosi di
tipo collagenico perché le cellule infiammatorie rilasciano collagene a livello dell’interstizio polmonare), la
silicosi, si tiene conto di alcune caratteristiche tipiche:
1. Interessamento di zone diverse a livello polmonare: se a livello anatomo-patologico le fibre di
asbesto inizialmente si localizzano ai lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi la
localizzazione avviene soprattutto a livello medio- apicale.
2. Presenza dei corpuscoli di asbesto: tipici dell’asbestosi e non presenti nella silicosi. Essi sono fibre
di asbesto inglobate in fagolisosomi, presenti nel sito di flogosi polmonare, che al loro interno
presentano proteine con ferro che circondano la fibra. Sono detti corpi ferruginosi e sono presenti
a livello polmonare in corso di asbestosi.

Clinica: l’EO presenta delle caratteristiche tipiche; il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni
dall’esposizione all’amianto presenta:

1. Dispnea da sforzo e in fase avanzata anche dispnea a riposo


2. Tosse secca, a volte accompagnata da broncospasmo o tosse produttiva.
3. Toracodinia, dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche.
4. In fase avanzata una condizione di alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione
ossiemoglobinica, riduzione dell’ipossiemia, cianosi;
5. Gli ispessimenti a livello della pleura viscerale determinano delle atelettasie a livello polmonare;
6. Mesotelioma, che 8 lavoratori su 10 (80%) hanno manifestato dopo esposizione a fibre di amianto;
la caratteristica del Mesotelioma è di avere una lunga latenza, dai 15 ai 40 anni dall’esposizione
all’amianto. Ci aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma nelle regioni italiane
per tutti quelli che sono ex esposti, ora non lo sono più, all’amianto.

Diagnosi:

1. Esame metodologico: la differenza (domanda d’esame) tra un esame semeiologico fatto in fase
avanzata di esposizione rispetto a un esame semeiologico fatto nei primi due anni di esposizione
all’amianto, è questa: a livello ausculatorio e percussorio abbiamo:
a) In fase iniziale: assenza completa di rumori, ascoltate il murmure vescicolare fisiologico.
b) Nelle fasi avanzate dell’esposizione: ascoltate reperti tipici, rantoli o crepitii teleinspiratori
su tutti gli ambiti polmonari. I rantoli migranti (migranti perché all’orecchio percepite
questi rumori che sembrano migrare perché presenti su tutti gli ambiti polmonari), si
sentono in fase di teleinspirazione nelle fasi avanzate dell’esposizione.

2. Prove di funzionalità respiratoria, proposte dal medico del lavoro. L’indagine di più facile
somministrazione è l’esame spirometrico. Solo nei casi conclamati quando c’è positività all’esame
semiologico di rantoli, anche a livello diagnostico avremo una positività all’esame spirometrico.
3. Altre indagini fatte solo in fase più avanzata sono:
a) Test di diffusione polmonare di CO;
b) Esame dell’espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti;
c) Fibrobroncoscopia e BAL;
d) Scintigrafia polmonare con Gallio 67;
e) HRTC, ancor prima dell’rx torace; a livello radiologico viene utilizzata la classificazione
dell’ILO (International Labour Office), secondo la quale le fibre che si manifestano come
opacità lineari a livello dell’esame radiografico, vengono distinte a seconda del diametro.
♦ Le fibre con opacità di diametro fino a 1.5mm vengono classificate con la lettera s
♦ Tra 1.5-3mm con la lettera t
♦ Tra 3-10mm con la lettera o.

A livello delle sezioni effettuate tramite HRTC è possibile vedere le stesse opacità in
maniera ancora più evidente. A ex esposti all’amianto è difficile che venga proposta solo
l’RX del torace ma si procede quasi sempre alla HRTC, perché la TC ha anche la possibilità di
vedere le placche pleuriche, ispessimenti a livello della pleura parietale che si manifestano
dopo 15-20 anni dall’esposizione all’amianto.
MESOTELIOMA PLEURICO

I mesoteliomi più frequenti (95% associai all’esposizione all’amianto) sono mesoteliomi epiteliali, con una
tempistica dalla scoperta al decesso di brevissima durata e che fortunatamente rappresentano il 50%
rispetto a quelli completamente indifferenziati, a decesso ancora più rapido, che rappresentano il 10%.

Epidemiologia: si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1.000.000; in Europa è previsto un
rapporto maggiore M>F; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione a fibre di asbesto e nel
20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare esposto.
Studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore determinante l’insorgenza del mesotelioma
nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma il tempo trascorso dalla prima esposizione. Altre
forme di mesotelioma a livello di altre sierose sono meno frequenti ma sono comunque state osservate
negli ex esposti all’amianto con i loro familiari a livello peritoneale, del pericardio e della tunica vaginale.
Non tutti gli edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli sottoposti più a
vibrazioni o dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle pareti o se sono in condizioni di
non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente disperdono nell’aria le fibre).

Clinica: i segni e sintomi sono:


1. Dolore toracico prima transitorio poi continuo, che aumenta con i colpi di tosse;
2. Dispnea progressiva ingravescente;
3. Sindrome mediastinica;
4. Decesso entro 18-24 mesi;

Legislazione: la sorveglianza sanitaria prevede:


1. Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico.
2. Qualora si abbia positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame dell’espettorato).

Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGIH si può avere un’esposizione (questo vale per i
lavoratori che lo smaltiscono in condizioni di iperprotezione, con utilizzo dell’unità UFP e dello scafandro) di
0.1fibra per cm³. (cm³ è in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova a inalare queste fibre).

Il datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni dell’edificio e monitoraggio
ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto disperse nell’edificio.
Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffratrometria, spettrometria) che vanno ad
analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, messe su dei vetrini, conteggiate e quantizzate.
Con il DL 257/92, oltre a stabilire un VLE per coloro che vengono a contatto con le fibre di amianto, sono
state date indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici a base di amianto:
1. Rimozione: è un tipo di eliminazione che prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di
fibre; rappresenta un rischio molto elevato per gli addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli
che smaltiscono. Essa da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro non viene
realizzata perché determina una grossa emissione e non rispecchia il principio di protezione e
prevenzione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo l’esposizione.
2. Incapsulamento e confinamento: sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate in tutti gli
edifici per rimuovere, eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di
amianto. L’incapsulamento viene effettuato attraverso prodotti chimici che vanno ad adsorbire le
fibre, ad es delle pellicole di protezione nelle stanze dove è più presente la dispersione rispetto alle
altre.
I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la permanenza del materiale di amianto
nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di manutenzione viene fatto ogni anno.
Se questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche vengono fatti ogni anno si può
anche lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una manutenzione periodica.
Il confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree dove è più presente l’amianto.
Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in merito all’amianto.

SILICOSI
Per pneumoconiosi intendiamo patologie polmonari legate ad accumulo di polveri nei polmoni e alla
reazione stromale che ne deriva. L’inalazione non avviene mai per una singola sostanza chimica, ma si ha
per una miscela di polveri tra cui la silice, ossido di ferro e ossido di alluminio, che hanno caratteristiche
fisico-chimiche variabili. Quello che ne deriva sono reazioni fibrotiche nodulari dei polmoni, i granulomi, la
cui gravità e evoluzione dipendono dalla suscettibilità individuale del soggetto. Distinguiamo:

1. Pneumoconiosi non collageniche: sono caratterizzate dall’accumulo intrapolmonare di polveri inerti


non fibrogeniche; nella pratica sono pneumoconiosi che non determinano alterazione a livello della
trama bronchiale perché l’architettura alveolare non viene sconvolta, la reazione stromale è
minima, la reazione alla polvere è reversibile quindi non si crea un processo flogistico cronico.
2. Pneumoconiosi collageniche o sclerogene o maligne: in cui la reazione stromale è tale da alterare la
struttura di bronchi e alveoli, fino alla completa fibrosi e evoluzione anche maligna.
Le pneumoconiosi collageniche più studiate in medicina del lavoro sono da amianto e da silice.

La silicosi è una pneumoconiosi sclerogena collagenica collegata all’inalazione di quantità variabili di silice
libera o biossido di silice; la tipologia di silice (che è una sostanza presente nella crosta terrestre) più diffusa
è il quarzo, quindi si parla di silice di quarzo. Le lavorazioni che ancora oggi prevedono l’esposizione a silice
sono: industria mineraria, siderurgica, della ceramica, del vetro e cristallo, nonché del cemento.

Eziopatogenesi: le particelle di silice entrano a livello delle vie aeree e si distribuiscono a secondo delle
dimensioni, della forma, e della massa.

1. Quella da 5-15µm impattano le vie aeree ciliate e vengono eliminate dalla clearance.
2. Le più piccole vanno a depositarsi a livello degli alveoli dei lobi superiori. La reazione flogistica che
si viene a creare è molto simile a quella dell’asbestosi: entro 48h dalla deposizione delle particelle
di silice, gran parte di queste vengono fagocitate dai macrofagi.
Alcuni macrofagi raggiungono tramite movimento ameboide le vie aeree ciliate e vengono eliminati
dalla clearance; altri restano vitali e rilasciano citochine, come TNFα, vTGF e TGFβ, che richiamano
neutrofili e fibroblasti e vanno a perpetuare il processo infiammatorio.
Si creano così i noduli silicotici, costituiti non solo da monociti e macrofagi ma anche neutrofili,
eosinofili, mastociti, linfociti T e B; la creazione del tessuto di granulazione determina inoltre la
neoangiogenesi, con formazione di endotelio vascolare e l’evoluzione verso la fibrosi polmonare.
Tutto ciò va a distruggere la trama bronco alveolare.
a) Nello stadio iniziale si crea un nodulo che presenta molte cellule flogistiche.
b) Col passare del tempo, 15-20 anni dopo l’esposizione, le cellule lasciano il posto al
collagene rilasciato dai fibroblasti.
c) In fase finale, il nodulo non ha più forma rotondeggiante ma sferica, con la caratteristica
presenza di tre zone concentriche:
♦ Zona esterna: la più giovane, formata da fibre collagene disposte in modo disordinato
♦ Zona intermedia: formata da fibre collagene in maniera ordinata;
♦ Zona interna: zona centrale completamente ialinizzata e priva di cellule.

I noduli silicotici, all’inizio singoli, vanno poi a confluire e si formano grosse opacità radiologiche.
L’accumulo intrapolmonare di polvere fibrogenetica determina quindi un’alterazione permanente
dell’architettura alveolare, con reazione stromale collagenica e fibrosi polmonare cronica dose
dipendente, la cui entità dipende anche però ipersuscettibilità individuale. Quella condizione di
distruzione a livello alveolo capillare, che si osserva in fase finale nel silicotico e asbestosico,
determina di riflesso un cuore polmonare cronico, che risulta il finale di un soggetto con
pneumoconiosi collagenica.
Clinica: la silicosi nodulare può manifestarsi in varie forme:

1. Decorso cronico:
a) semplice: più frequente, ha una latenza di 20 anni dall’esposizione; inizialmente è
completamente asintomatica, ma in fase avanzata si presenta con dispnea, tosse secca o
produttiva, eventuale sovrainfezione con bronchite cronica con febbre e ippocratismo
digitale.
A causa della sovrapposizione di bronchiti e asma presenta un quadro tipicamente
ostruttivo
b) cronico complicato con fibrosi
2. Decorso accelerato
3. Decorso acuto (con proteinosi alveolare silicotica? la prof non è chiara)

La diagnosi differenziale quindi si basa su due elementi:

1. Localizzazione: asbestosi alle basi, silicosi agli apici


2. Esame spirometrico: in corso di silicosi l’esame spirometrico presenta un pattern ostruttivo in fase
iniziale/media di esposizione, mentre in fase finale abbiamo sindromi restrittive perché c’è fibrosi
polmonare diffusa.

La IARC ha inserito la silice nei sicuri cancerogeni e il finale della patologia è il cuore polmonare cronico. A
livello radiologico si utilizzano gli stessi parametri dell’asbestosi: le lettere alfabetiche che vanno ad
etichettare non la fibra ma il diametro delle opacità nodulari. A secondo del diametro la lettera potrà
essere p, q, r, s, t, u in base alla grandezza dei noduli. (consiglia di vedere questa cosa da soli)

Il follow-up viene fatto in base al diametro di queste opacità che vanno a superare anche i 5cm, 10cm.

La prognosi è legata alla ipersuscettibilità individuale, quindi alle caratteristiche del singolo individuo (non
solo la genetica, ma tutte le abitudini voluttuarie e alimentari che insieme al pattern genetico fanno la
differenza nell’insorgenza in tempi più o meno rapidi della patologia).

Valore limite di esposizione, il TLV-TWA (valore di massima esposizione in una giornata lavorativa di 8h per
un totale di 20h settimanali) secondo l’ACGH deve essere di 0.025mg/m³; se è superiore scattano una serie
di misure immediate di segnalazione all’ASL, chiusura della struttura dopo le quali il lavoratore non
dovrebbe più essere esposto. Solo con le misure di prevenzione, solo con adeguati dispositivi di protezione
individuale e formazione di sorveglianza sanitaria è possibile tenere sotto controllo questa patologia.
AGENTI CANCEROGENI
Per tumore professionale si intende un tumore per cui l’esposizione ad agenti cancerogeni durante
l’attività lavorativa è causa (condizione necessaria e sufficiente) o concausa (condizione necessaria ma non
sufficiente); in questo caso diagnosi difficile perché magari l’esposizione è avvenuta anni e anni prima.
Possiamo distinguere due categorie di tumori lavoro-correlati: Per frazione eziologica si
1. Tumori a frazione eziologica medio-alta (o tumori patognomonici): in cui intende il rapporto fra la
l’incidenza del tumore nella popolazione lavorativa è maggiore rispetto a differenza assoluta di
quella della popolazione generale e risultano rari in assenza di esposizione rischio tra esposti e non
(es. mesoteliomi, neoplasie naso-sinusali, angiosarcomi epatici). esposti e rischio negli
2. Tumori a frazione eziologica professionale medio-bassa: in cui la diagnosi di esposti.
MP non è certa ma possibile (es. neoplasie polmonari, vescicali,
dell’apparato emolinfopoietico, laringe e cute).
La differenza quindi tra tumore professionale e lavoro correlato è proprio il fatto che nel primo il tumore si
ha solo con esposizione, mentre nel secondo il tumore si può avere anche nei non lavoratori, ma tende ad
esserci maggior frequenza in caso di alcune categorie lavorative.
Per ogni specifica patologia tumorale è necessario conoscere lo specifico periodo di latenza (tempo tra
inizio dell’esposizione e manifestazione clinica) in quanto la diagnosi eziologica è possibile quando vi è
compatibilità fra inizio esposizione e inizio clinico della malattia (plausibilità biologica), per cui l’esposizione
deve essere stata sufficiente nell’indurre o promuovere la neoplasia. Il periodo di latenza può dipendere da:
1. Potenza cancerogena dell’agente
2. Entità o tempo di esposizione
3. Suscettibilità d’organo
4. Fattori individuali

Per effettuare diagnosi di un tumore professionale occorre:


1. Diagnosi di neoplasia attraverso comuni esami strumentali ed esame istologico
2. Diagnosi eziologica anamnesi lavorativa
3. Dimostrazione del nesso causale fra effettiva esposizione a un agente cancerogeno durante
l’attività lavorativa e insorgenza della neoplasia. Questo può essere reso difficoltoso da:
a) Lungo periodo di latenza fra esposizione e insorgenza della patologia (generalmente 20-30
anni per i tumori solidi, un po’ meno per quelli emolinfopoietici), il che rende difficile
risalire alle condizioni di lavoro e alle sostanze a cui si è stati esposti.
b) Difficoltà a identificare tutte le sostanze con le quali il lavoratore è venuto a contatto e
difficoltà a definire l’intensità dell’esposizione.
c) Scarse conoscenze sulle esposizioni multiple
d) Interazioni fra esposizioni professionali, abitudini di vita (fumo e alcool) e suscettibilità
individuale.
Esempi di tumori professionali:
1. Neoplasie delle cavità nasali e dei seni paranasali: rare nella popolazione generale ma
particolarmente frequente nei lavoratori esposti a:
a) Cr e composti
b) Raffinazione del nichel
c) Polveri di legni duri (come acero, olmo, betulla)
2. Apparato respiratorio: possiamo infatti avere:
a) Ca Polmonare: per esposizione ad arsenico, cadmio, cromo, nichel.
b) Mesotelioma pleurico: da esposizione all’asbesto.
Dobbiamo fare una distinzione fra:
1. AGENTI MUTAGENI: causano alterazioni permanenti e trasmissibili a carico del materiale genetico:
a) A livello genico mutazione geniche
b) A livello cromosomico mutazioni o aberrazioni cromosomiche strutturali
c) A livello genomico mutazioni o aberrazioni cromosomiche numeriche (aneuploidia)
2. AGENTI CANCEROGENI: agenti in grado di provocare l’insorgenza di una neoplasia attraverso un
danno al DNA non necessariamente trasmissibile ma significativo per l’omeostasi cellulare; ad es.
a) Formazione di addotti al DNA
b) Inibizione degli enzimi di riparazione
c) Inibizione dell’apoptosi di cellule danneggiate
d) Promozione dell’espansione di cellule iniziate
e) Capacità di favorire la progressione del tumore

Vi sono diverse fasi nella cancerogenesi:


a) INIZIAZIONE: deriva dall’esposizione delle cellule ad un agente cancerogeno (iniziante) che
determina un danno irreversibile al DNA della cellula ma non letale, quindi è condizione
necessaria ma non sufficiente allo sviluppo del tumore.
b) PROMOZIONE: proliferazione della cellula iniziata con amplificazione dell’elemento
trasformato e acquisizione di un vantaggio replicativo rispetto ad una cellula non iniziata.
c) PROLIFERAZIONE: acquisizione da parte della cellula di caratteristiche di crescita accelerata,
capacità di invasione e capacità di metastatizzazione grazie a mutazioni aggiuntive.

Possiamo distinguere i cancerogeni in base al meccanismo d’azione in:

a) AGENTI EPIGENETICI: cancerogeni che non interagiscono direttamente col DNA ma possono
produrre alterazioni nella sua struttura terziaria. Essi presentano effetti deterministici, con
una dose soglia al di sotto della quale non compaiono malattie.
b) AGENTI GENOTOSSICI: che interagiscono direttamente col DNA. Questi a loro volta possono
essere distinti in

♦ DIRETTI: non necessitano di alcuna trasformazione chimica per espletare la loro azione
cancerogena. Es. agenti alchilanti e acilanti.
♦ INDIRETTI: necessitano di essere trasformati in cancerogeni attivi attraverso uno o più
passaggi del metabolismo di fase I o attraverso sviluppo di ROS. Es. amine aromatiche.

In questo caso abbiamo effetti probabilistici in assenza di dose soglia, anche se sono state
dimostrate relazioni dose-risposta. Possiamo dividere sulla base di ciò 4 gruppi:
♦ GENOTOSSICI SENZA SOGLIA
♦ GENOTOSSICI SENZA SOGLIA AL MOMENTO SUFFICIENTEMENTE SUPPORTATA
♦ GENOTOSSICI PER CUI E’ AMMISSIBILE UNA SOGLIA PRATICA (PRECAUZIONALE)
♦ NON GENOTOSSICO: per il quale è possibile stabilire una soglia.

La SCOEL ammette la possibilità di definire gli OEL per i cancerogeni del gruppo C e D.

Classificazione dei cancerogeni: esistono molte classificazioni da parte di vari enti, ad es.
a) IARC:
b) ACGIH:

c) CLP:

PREVENZIONE PRIMARIA
Il datore di lavoro evita o riduce l’uso dell’agente cancerogeno
sostituendolo con uno non nocivo o meno nocivo; se non possibile,
bisogna utilizzare l’agente mutageno in un sistema chiuso.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO

MA MB
Misura degli addotti al DNA.
Indici di effetto precocitecniche citogenetiche
PREVENZIONE SECONDARIA Indici di effetto tardivimarkers tumorali e citologia

REGISTRO DEGLI ESPOSTI

SORVEGLIANZA SANITARIA
Per tutti i lavoratori che si sospetta siano esposti all’agente,
i quali vengono iscritti nel registro di esposizione, in cui è
riportato l’agente cancerogeno a cui è stato sottoposto il
lavoratore e eventualmente le concentrazioni.

Differenza tra agente chimico e cancerogeno? Gli esposti agli agenti cancerogeni sono iscritti ad un registro
nazionale dei tumori e vi sono tre tipi di registri
RISCHIO FISICO
RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI

Esse sono regolamentate dall’articolo 180 del DL 81/08, secondo cui:


1. Per agenti fisici si intendono rumore, US, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici
(CEM), radiazioni ottiche, radiazioni artificiali, microclima e le atmosfere iperbariche.
2. Le radiazioni ionizzanti non sono disciplinate dall’81/08 ma dal DL marzo 1995 n. 230 e sue
modificazioni.
Lo spettro elettromagnetico viene tradizionalmente diviso in due tipi di radiazione (definita come
trasferimento nello spazio di energia trasportata da onde e particelle, la quale viene ceduta quando la
radiazione incontra la materia):
1. RADIAZIONI IONIZZANTI: hanno la capacità energetica di rimuovere un elettrone orbitale
dall’atomo colpito. Si differenzia dalle NIR per l’energia che è > 12 elettronVolt.

Classificazione: vengono distinte in:


a) CORPUSCOLARI: come:
♦ Radiazioni alfa: cede rapidamente energia in percorsi brevi; essendo costituite da atomi
leggerissimi (chiamati elio), come dimostrò Rutherford, possono essere schermate da
un semplice foglio di carta.
♦ Radiazioni beta: perdono energia in percorsi più lunghi e, a differenza dei precedenti,
possono essere schermate da una lastra di alluminio.
b) ONDULATORIE: come i raggi gamma e i raggi X. Sono onde EM molto più “energetiche” e
penetranti delle due precedenti, motivo per cui la schermatura avviene solo con materiali
ad alta densità come il piombo. La loro pericolosità sta proprio nel fatto che riescono a
penetrare facilmente nei tessuti viventi.
I raggi gamma in genere accompagnano una radiazione alfa o beta.

Sorgenti: possono essere distinte in:


a) NATURALI:
♦ RADIAZIONE PRIMORDIALE: proviene dai nuclidi radioattivi presenti sulla terra.
♦ RADIAZIONE COSMICA: proviene dal nostro sole.
♦ RADIAZIONE COSMOGENICA: cascata a valanga di particelle prodotte nell’alta
atmosfera a causa dell’urto della radiazione cosmica sulle molecole d’aria.

b) ARTIFICIALI: da estrazione di minerali, produzione di isotopi radioattivi ecc. In particolare, in


AMBITO SANITARIO, le principali sorgenti le abbiamo in:
♦ RADIODIAGNOSTICA: ad es. RX, mammografia, TC.
♦ RADIOTERAPIA
♦ MEDICINA NUCLEARE: SPET, PET e scintigrafia.
♦ ANALISI RADIOCHIMICHE: con utilizzo di radioisotopi e raggi X. I radioisotopi
(radiofarmaci) sono sostanza capaci di rendere temporaneamente il corpo una
sorgente di radiazione, rilevabile poi con l’apposita strumentazione. Da non confondere
quindi con i mdc, che invece permettono alla radiazione (emessa da una sorgente
esterna) di essere assorbita da parti del corpo che altrimenti non sarebbero rilevabili.

Meccanismi di danno biologico: può essere:


a) DIRETTO: interazione fra radiazione e macromolecole (ionizzazione).
b) INDIRETTO: interazione fra radiazione e acqua produzione di ROS.
Vi è comunque una diversa radiosensibilità dei tessuti che, secondo la legge di Bergoniè e
Tribondeau, risulta direttamente proporzionale alla sua attività mitotica e inversamente
proporzionale al suo grado di differenziazione.
Sulla base di ciò distinguiamo tessuti radiosensibili (come cute, midollo e gonadi) e tessuti
radioresistenti (come SN, muscoli, reni, fegato).

Effetti: distinti in:


a) DANNI SOMATICI DETERMINISICI: in cui i danni compaiono solo al superamento della dose-
soglia e, se ciò avviene, l’insorgenza dell’effetto si verifica in tutti gli irradiati,
indipendentemente dalla variabilità individuale. Frequenza e gravità variano con la dose,
mentre il periodo di latenza è solitamente breve (gg o settimane). Possiamo avere:
♦ Sindrome del SNC (per esposizioni >10 Gy-Gray): aumento permeabilità dei vasi
encefalici con edema cerebrale e ipertensione endocranica. Si associa inizialmente a
iperattività e convulsioni, seguiti da apatia e coma. Morte in 48h.
♦ Sindrome GI (esposizione acuta a 6-10 Gy): disepitelizzazione dell’intestino con perdita
di liquidi, elettroliti, aumento rischio di infezioni e morte entro 3-5gg.
♦ Sindrome emopoietica (esposizione a 2-5Gy): in questo caso avremo:
 Per dosi di 2-3 Sv (vedi dopo) morte di linfociti maturi e precursosi ematologici,
da cui severa linfopenia (48h).
 Per dosi acuta > 3-5 Sv: infezioni letali e emorragie.
♦ Effetti sulla cute:
 Dopo 1 min-1h dall’esposizione: eritema temporaneo.
 Dopo 2-3 settimane:
 Ricompare l’eritema
 Flittene con necrosi.
♦ Effetti sulle gonadi:
Uomo oligospermia o sterilità permanente.
Donna sterilità temporanea o permanente.
♦ Effetti su embrione/feto: dipende dal fatto che le cellule hanno elevato indice mitotico;
i danni variano a seconda della dose assorbita e del momento dell’esposizione:
 Prima dell’impianto embrionale (fino al 9°gg): nessuna conseguenza o morte.
 Morfogenesi (9° giorno-fine 2° mese): malformazioni
 Vita fetale (dal 3° mese in poi): si riduce la frequenza e la gravità delle
malformazioni ma aumenta il rischio di tumori e RM.

b) DANNI STOCASTICI: in cui la probabilità di accadimento è funzione della dose ma non la


gravità, la quale risponde alla legge del tutto o nulla, quale che sia la dose. Distinguiamo:
♦ DANNI SOMATICI: come leucemie e tumori solidi. Si manifestano dopo anni.
♦ DANNI GENETICI: cioè sulla progenie, anche se non è possibile rilevare un eccesso di
malattie ereditaria nella progenie di soggetti esposti alle radiazioni ionizzanti rispetto
alla progenie dei non esposti.

Radioprotezione: innanzitutto bisogna parlare di DOSIMETRIA, distinguendo fra:


a) DOSE ASSORBITA: quantità di energia assorbita dall’unità di massa interessata dalla
radiazione. Si calcola E(energia)/m(massa) e si misura in Gray o RAD (1Gy=100RAD).
b) DOSE EQUIVALENTE: esprime la densità di assorbimento di energia per ciascuna rdiazione,
tenendo conto che esse si comportano in maniera diversa rispetto alla capacità di produrre
ioni per unità di percorso. Unità di misura= Sievert (Sv).
Ht= D (dose assorbita media) x Wr (fattore di ponderazione, un indice che si assegna a
ciascun tipo di radiazione e valutato relativamente alla radiazione X, che ha valore 1).
c) DOSE EFFICACE: esprime la densità di assorbimento di energia per ciascuna radiazione per
ciascun tessuto, tenendo conto della diversa sensibilità. Unità di misura=Sievert
E= Wt (fattore di ponderazione tissutal) x D x Wr

Sulla base di ciò, si definisce lavoratore esposto a radiazioni ionizzanti colore che hanno una
esposizione annua >o= 1mSv. In particolare distinguiamo:
a) Categoria A: esposizione annua 6-20 mSv
b) Categoria B: esposizione annua 1-6 mSv

La radioprotezione è fondata su due strumenti operativi:


a) SORVEGLIANZA FISICA: insieme dei dispositivi adottati, delle valutazioni, delle misure e
degli esami effettuati, delle indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati al fine di
garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione.
Il tutto è basato su misurazioni di grandezze fisiche (dose efficace, dose equivalente ecc.) e
affidato ad un esperto qualificato che:
♦ Classifica le zone lavorative in:
 Zona interdetta
 Zona controllata: area di lavoro
con rischio di superamento dei
valori.
 Zona sorvegliata: ambiente di
lavoro in cui può essere
superato, in un anno solare, uno dei limiti fissati per il pubblico.
♦ Misura la contaminazione individuale (total body counter) e dell’ambiente di lavoro.

b) SORVEGLIANZA MEDICA: ha funzione preventiva al fine di accertarsi dell’assenza di


controindicazioni allo svolgimento di attività a rischio di radiazioni (valutando lo stato di
salute generale e le condizioni degli organi a più elevata sensibilità).
Il tutto viene fatto attraverso l’analisi dei rischi individuali connessi all’attività lavorativa,
tramite:
♦ Visite mediche
♦ Esami strumentali
♦ Accertamenti laboratoristici
♦ Consulenze specialistiche
Da qui si passa all’idoneità.

Malattie professionali tabellate e malattie con obbligo di denuncia-referto.


2. R
A
DIAZIONI NON IONIZZANTI: sono comprese tutte quelle radiazioni con energia < 12 eV e che non
possiedono sufficiente energia per penetrare all’interno della cellula e danneggiare direttamente il
DNA nel nucleo. Vengono distinte in:

a) OTTICHE: tutte le radiazioni EM nella gamma di 100nm-1mm, come le radiazioni UV (100-


380nm), le radiazioni visibili (380-780 nm) e le radiazioni IR (780nm-1mm). Sono quelle
effettivamente cancerogene. Possiamo ulteriormente distinguerle in:
♦ NON COERENTI: qualsiasi radiazione ottico diversa dalla radiazione laser.
♦ COERENTI (LASER-Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation): un laser è
un qualsiasi dispositivo capace di amplificare le radiazioni EM nella gamma di lunghezza
d’onda delle radiazioni ottiche; la RO prodotta è quindi detta radiazione laser.

Struttura: Il laser è costituito da 3 elementi:


 Materiale “attivo”: materiale che, operando una transizione dallo stato
fondamentale a quello eccitato, emette una radiazione lunghezza d’onda specifica
(caratteristica del materiale)
 Risonatore: cilindro allungato inserito fra una coppia di specchi contrapposti,
all’interno del quale è posto il materiale attivo. Gli specchi rinviano continuamente
la radiazione attraverso il materiale attivo, così che la radiazione che lo attraversa
viene amplificata. Uno dei due specchi è parzialmente trasparente per consentire
l’uscita del fascio (fascio collimato)
 Sistema di eccitazione (pompaggio = sorgente di energia): che, fornendo energia al
materiale attivo, favorisce la transizione allo stato eccitato (es. lampada flash)

Il fascio di luce che viene emesso presenta 3 caratteristiche:


 Coerente: i fronti d’onda della luce laser hanno identica fase nello spazio e nel
tempo
 Monocromatico: cioè è costituito da una singola lunghezza d’onda, a differenza
della luce bianca che è una combinazione di radiazioni ad ampio spettro diffuso
 Collimato: il fascio di luce è concentrato nello spazio in una certa direzione a
differenza della luce bianca che viene emessa in molte direzioni.
La luminosità (brillanza) delle sorgenti laser è elevatissima a paragone di quella delle
sorgenti luminose tradizionali proprio perchè la radiazione di elevata potenza viene
concentrata in un' area molto piccola.

Classi esposte:
 In ambito industriale:
 Taglio di materiali ad elevata resistenza (acciaio, leghe dure, diamanti..)
 Marcature ed incisioni
 Saldatura di componenti metallici
 Misurazioni dimensionali delle superfici
 Nella vita quotidiana: discoteche, telecomunicazioni e reti informatiche.
 Spettacolo: effetti speciali.

Classificazione: le categorie di rischio delle sorgenti laser sono stabilita sulla base dei
LEA (Limite di Esposizione Accettabile, cioè il livello di radiazione massimo di una
sorgente cui può accedere un operatore), la cui valutazione permette la collocazione
dell’apparecchio nell’opportuna categoria di rischio. Essi vengono determinati sulla
base dello studio della sogli di danneggiamento per l’occhio e la cute in funzione della
lunghezza d’onda e della durata di esposizione.
Distinguiamo 7 classi di sicurezza:
 Classe 1: sono sicuri nelle condizioni di funzionamento ragionevolmente
prevedibili, incluso l'uso di strumenti ottici per la visione diretta del
fascio.
 Classe 2: emettono radiazione visibile nell'intervallo di lunghezze d'onda Nessuna
tra 400 e 700 nm; la protezione dell'occhio è normalmente assicurata precauzione
dalle reazioni di difesa compreso il riflesso palpebrale, nelle condizioni
di funzionamento ragionevolmente prevedibili, incluso l'uso di
strumenti ottici per la visione del fascio.

 Classe 1M: emettono nell'intervallo di lunghezze d'onda tra 302,5 nm e


400nm che sono sicuri nelle condizioni di funzionamento
ragionevolmente prevedibili; possono essere pericolosi se l'operatore
impiega ottiche di osservazione all'interno del fascio (lenti
d'ingrandimento, binoculari, ecc.). Precauzione:
 Classe 2M: Emettono radiazione visibile nell'intervallo di lunghezze non usare
d'onda tra 400 e 700 nm; la protezione dell' occhio è normalmente strumenti ottici
assicurata dalle reazioni di difesa, compreso il riflesso palpebrale; la
visione del fascio può però essere pericolosa se l'operatore impiega
strumenti ottici di osservazione all'interno del fascio (lenti
d'ingrandimento, binoculari, ecc.).

 Classe 3R: Emettono nell'intervallo di lunghezze d'onda tra 302,5 e 106


nm, per i quali la visione diretta del fascio è potenzialmente pericolosa, Non osservare
ma il rischio è più basso rispetto ai laser di Classe 3B. direttamente
 Classe 3B: Normalmente pericolosi nel caso di visione diretta del fascio; il fascio
la visione della radiazione riflessa è normalmente non pericolosa.

 Classe 4: Sono in grado di produrre riflessioni diffuse pericolose; possono causare


lesioni alla cute e potrebbero anche costituire un pericolo d'incendio. Il loro uso
richiede un'estrema cautela. E’ pericolosa anche l’osservazione della radiazione
diffusa da uno schermo. Per tale motivo bisogna:
 Evitare l’esposizione dell’occhio e della pelle a radiazione diretta o diffusa
 Usare particolare cautela in quanto possibile fonte d’incendio

Effetti: dipendono dal grado di penetrazione e assorbimento nei vari tessuti; i principali
organi interessati sono occhio e cute. Possiamo distinguere gli effetti in:
 Effetti dovuti a interazione di natura termica: dipendono dall’innalzamento della
temperatura nell’organo colpito, che a sua volta dipende da:
 Intensità della radiazione
 Durata dell’esposizione
 Dimensioni della superficie irradiata
 Termosensibilità dell’organo bersaglio

Il tipo di lesione è proporzionale


 All’energia totale depositata (dose)
 Alla velocità di deposizione (rateo di dose)

Mentre la gravità della lesione è funzione della capacità del tessuto di dissipare il
calore (idratazione e vascolarizzazione del tessuto); solitamente meccanismi che
producono una lesione termica necessitano di elevate quantità di energia radiante.

 Effetti dovuti a interazione di natura fotochimica: sono conseguenti ad interazione


della radiazione con componenti cellulari cromofore come acidi nucleici, acido
urocanico, aa aromatici, precursori della melanina. L’energia assorbita può causare:
 Rottura di legami chimici
 Formazione di ROS
 Ossidazioni e isomerizzazioni
La tipologia (fotochimico, termico) degli effetti dipende dalla lunghezza d'onda della
radiazione incidente (che determina la penetrazione-assorbimento), mentre gravità e
probabilità che tali effetti si verifichino dipendono dall' intensità e, per alcuni effetti
sulla pelle, dalla fotosensibilità individuale.
Gli effetti di natura termica e fotochimica possono essere distinti ciascuno in:
 ACUTI: con latenza da poche ore a qualche giorno; in questo caso è possibile
stabilire la “dose soglia” al di sotto della quale non si verifica l’effetto.
 CRONICI: con latenza di mesi o anni; la loro probabilità è tanto maggiore
quanto più è elevata la dose accumulata nell’individuo.
 Effetti indiretti: rischio elettrico, esplosioni, incendi, rischio chimico.

EFFETTI SULLA CUTE:

Effetti acuti:
 DirettiEritema e ustioni: sono dose e lunghezza d’onda dipendenti.
 UV: effetto fototossico con eritema che compare dopo alcune ore
dall’esposizione e raggiunge il picco in 24-48h.
 IR: scarsa capacità di penetrazione della cute, quini rilasciano calore
determinando vasodilatazione, bruciore e addirittura comparsa di flittene.
 Indiretti:
 Fotosensibilizzazione: non è legata a effetti termici o fotochimici ma a una
reazione di natura fototossica e fotoallergica, con comparsa di manifestazioni
cliniche che dipendono dall’interazione della radiazioni con molecole fotoattive
(farmaci, cosmetici, inquinanti).
 Rischi associati ad apparecchiature: stress termico, contatto con superfici
calde, rischi di natura elettrica, rischio incendio, esplosione innescati dalle
sorgenti di ROA o dal fascio di radiazioni (es: laser elevata potenza).

Effetti cronici:
 Fotoinvecchiamento (R-UV): fenomeno multifattoriale, accentuato nel fototipo
chiaro; si manifesta nelle aree fotoesposte (braccia, viso, collo) con secchezza
cutanea, epidermide generalmente ispessita, rugosità, perdita di elasticità,
pigmentazione irregolare.
 Cheratinosi attinica: si manifesta nelle aree fotoesposte con lesioni discheratosiche
piane o leggermente rilevate, aderenti, uniche o più spesso multiple, ben
circoscritte ma talvolta con tendenza a confluire, usualmente asintomatiche
Dipende da fattori come etnia e fototipo chiaro, età; è una lesione precancerosa.
 Neoplasie: le più frequenti sono:
 Basalioma (86%): associato a picchi di esposizione (scottature).
 Ca. spinocellulare (14%): associato a esposizione cronica cumulativa.
 Melanoma maligno.

Effetti sulla funzione immunitaria:


 Immunosoppressione da R-UV (herpes simplex, lupus eritematoso)
 Risposta immunitaria locale e sistemica coinvolta nella cancerogenesi fotoindotta
EFFETTI SULL’OCCHIO: dipendono da:
 Entità e tipo di esposizione
 Lunghezza d’onda della radiazione
 Assorbimento specifico a livello delle strutture bersaglio.

Effetti acuti:
 UV fotocheratocongiuntivite: reazione infiammatoria di cornea e congiuntiva, a
meccanismo fotochimico per interazione della radiazione (max efficacia con
lunghezza d’onda tra 265-275 nm) con un cromoforo. Si manifesta con una latenza
di alcune ore con:
 Dolore acuto
 Fotofobia
 Sensazione di sabbia negli occhi.
Tali sintomi hanno carattere transitorio; sono soggetti a rischio soprattutto i
saldatori ad arco elettrico, i soggetti esposti a lampade UV e coloro che sono
esposti per lungo tempo sulla neve e in acqua.
Prevenzione uso di occhiali o maschere con visiera filtrante.

Cornea e congiuntiva assorbono completamente i raggi UV, quindi non si hanno


danni retinici da questo tipo di radiazioni; tuttavia ci sono casi in cui ciò si verifica:
 Afachia congenita (assenza di cristallino).
 Sostituzione chirurgica di cristallini privi di filtri UV

 VIS danno da luce blu (380-550 nm) con fotoretinite: danno di natura
principalmente fotochimica (il meccanismo termico potrebbe agire in sinergia
causando un abbassamento del valore di soglia) e dose dipendente (prodotto
dell'irradiazione per la durata dell'esposizione): il danno retinico da luce blu
possiede un valore soglia, indipendentemente dalla durata dell'esposizione, oltre il
quale si manifesta comunque. Avviene per:
 Esposizioni brevi di elevata irradianza a livello macula.
 Per effetto cumulativo di esposizioni di maggiore durata (ore o giorni) a
irradianze non elevate (es. visione diretta prolungata di lampade ad alogenuri
metallici (teatri, supermercati, ambienti esterni) o di fari di veicoli
(potenzialmente esposti i lavoratori delle officine e di riparazione auto) o di
lampade scialitiche da sala operatoria.
Si manifesta clinicamente con uno scotoma nell'area irradiata (se lo scotoma
coinvolge la zona maculare, possono verificarsi gravi deficit visivi).
 IR: in particolare:
 IR-A ustioni retiniche
 IR-B e C ustioni corneali, con una distruzione estesa dello strato epiteliale.

Effetti cronici:
 Cataratta fotochimica: da UV in soggetti suscettibili x afachia congenita o acquisita.
 Fotoretinite da VIS
 Danno al cristallino da IR
 Pterigio: escrescenza di tessuto fibrovascolare a forma di ala o di cuneo, che si
forma sulla parte superficiale della sclera.
 Pinguecola: neoformazione benigna del connettivo della congiuntiva, situata in
corrispondenza dell’apertura palpebrale dalla parte nasale
 Cheratopatia climatica a gocce: deposizione lipidica focale nella cornea.

Il DL 81/08 richiede che vengano adottate specifiche azioni di prevenzione solo:


♦ Qualora la valutazione evidenzi la possibilità di superamento dei VLE
oppure
♦ La sorveglianza sanitaria evidenzi alterazioni apprezzabili dello stato di salute dei
lavoratori correlata all’esposizione a ROA.
Tali azioni di prevenzione prevedono:
♦ Misure Tecniche ed Organizzative:
 ROA INCOERENTI: qualora si sia verificata l’indispensabilità della sorgente si
procede con tali misure, come:
 Contenimento della sorgente all'interno di idonei alloggiamenti schermanti o
attenuazione.
 Adozione di schermi ciechi o inattinici a ridosso delle sorgenti
 Separazione fisica degli ambienti nei quali si generano ROA potenzialmente
nocive, rispetto alle postazioni di lavoro vicine
 Impiego di automatismi (interblocchi) per disattivare le sorgenti ROA
potenzialmente nocive
 Definizione di "zone di accesso limitato", contrassegnate da idonea segnaletica
di sicurezza, ove chiunque acceda deve essere informato e formato sui rischi e
sulle appropriate misure di protezione
 LASER:
 Schermatura del fascio al termine del suo percorso utile
 Protezione delle eventuali superfici riflettenti presenti sul percorso del fascio e
per le specifiche lunghezze d'onda, al fine di evitarne riflessione o diffusione
 Installazione di segnaletica di sicurezza e segnali di avvertimento sugli accessi
alle aree (Zona Laser Controllata ZLC e Zona Nominale di Rischio Oculare ZNRO)
 Predisposizione di procedure per l'accesso in sicurezza alle aree a rischio (es:
evitare oggetti riflettenti introdotti dal personale)
 Collegare i circuiti del locale o della porta ad un connettore di blocco remoto
 Abilitazione dello strumento mediante comando a chiave, hardware o software
 Inserimento di un attenuatore di fascio (o arresto)
[attenuatore: dispositivo che riduce la radiazione laser ad un valore uguale o
inferiore ad un determinato livello]
♦ Delimitazione aree: l'area va indicata tramite segnaletica e l’accesso va limitato
laddove ciò sia tecnicamente possibile e sussista un rischio di superamento dei VLE.
 ROA INCOERENTI: in questo caso manca uno specifico cartello di avvertimento e si
utilizza quello previsto per le macchine che emettono ROA non coerenti. Nel caso
in cui servano dei DPI, questi vanno segnalati.
 LASER: in questo caso si parla di zon:
 Zona Laser Controllata (ZLC): la presenza e l’attività delle persone al suo interno
sono regolate da apposite procedure di controllo
 Zona Nominale Rischio Oculare (ZNRO): zona nella quale l’irradiamento o
l’esposizione energetica del fascio supera l’esposizione massima permessa
(EMP) per la cornea.

♦ DPI: come occhiali, maschere e ripari facciali.

♦ Informazione e formazione.

♦ Sorveglianza sanitaria:
 Visita preventiva per i lavoratori esposti
 Visita periodica (annuale o con periodicità diversa, se opportuno, per i lavoratori:
 Particolarmente sensibili
 Per i quali siano previsti DPI
 Con esposizioni protratte a UV
 Lavoratori esposti a laser classe 3B e 4
 Controllo medico per i lavoratori con livello di esposizione > ai VLE.

Essa è prevista per lavoratori esposti a ROA ma non prevista per lavoratori esposti a
radiazione solare (anche se vi sono malattia tabellate per l’agricoltura )

A differenza dei CEM, l'obiettivo della SS per le ROA è anche quella di prevenire e
scoprire tempestivamente effetti a lungo termine (quindi anche effetti cancerogeni)

♦ Valutazione dei soggetti particolarmente sensibili al rischio:


 Donne in gravidanza
 Minorenni
 Albini e individui di fototipo 1 per esposizione a radiazioni UV
 Portatori di malattie del collagene (Sclerodermia e Lupus Eritematoso nelle sue
varie forme, dermatomiosite) per esposizioni a radiazioni UV
 Soggetti in trattamento cronico o ciclico con farmaci fotosensibilizzanti (es:
antibiotici come le tetracicline ed i fluorochinolonici; FANS come l’ibuprofene ed il
naprossene; diuretici come la furosemide; ipoglicemizzanti come le sulfoniluree)
 Soggetti affetti da alterazioni dell’iride (colobomi, aniridie) e della pupilla (midriasi,
pupilla tonica)
 Lavoratori che abbiano lesioni cutanee maligne o pre-maligne, per esposizioni a
radiazioni UV;
 Lavoratori affetti da patologie cutanee fotoindotte o fotoaggravate, per esposizioni
a radiazioni UV e IR;
 Lavoratori affetti da xeroderma pigmentosus, per esposizioni a radiazioni UV;

b) NON OTTICHE (CAMPI ELETTROMAGNETIC): tutte le radiazioni con una frequenza compresa
fra 0 e 300 GHz come i campi statici, i campi ELF, le radiazioni a bassa frequenza, le
radiazioni a media/alta frequenza (microonde).
Sorgenti: distinguiamo:
♦ SORGENTI NATURALI: date dal fondo elettromagnetico naturale: distinguiamo:
 CAMPI ELETTRICI: a loro volta distinti in:
 STATICI: dati dalla separazione di cariche fra la superficie della terra e
l’atmosfera.
 VARIABILI: dovuta ai temporali e alle pulsazioni magnetiche che producono
correnti interne alla terra (correnti telluriche).
 CAMPI MAGNETICI: distinti anch’essi in:
 STATICI: dovuto all’interazione fra:
• Interno: generato dalla corrente elettrica che fluisce dal nucleo alla
superficie terreste.
• Esterno: generato dall’attività solare ed atmosferica.
 VARIABILI: generati dalle influenze lunari e solari sulle correnti ionosferiche
oppure dall’attività solare e dai temporali.

♦ SORGENTI ARTIFICIALI: dispositivi artificiali che generano radiofrequenze e microonde


vengono usati per due scopi:
 TELECOMUNICAZIONI A DISTANZA: quindi l’esposizione coinvolge la popolazione
generale ma sono categorie professionali a rischio tutti gli operatori la cui
mansione comporta ascesa su torri e tralicci.
 GENERAZIONE DI CALORE: esposizione prettamente professionale per tutti i
lavoratori nelle industrie tessili, elettronica, legno ecc.

Effetti: possiamo distinguerli in:


♦ EFFETTI BIOFISICI DIRETTI: provocati direttamente nel corpo umano a causa della sua
presenza all’interno del campo elettromagnetico. Comprendono:
 EFFETTI TERMICI: dovuti alla cessione di energia e al rialzo termico dei tessuti,
tipico dell’esposizione ad alte frequenze; vengono distinti in:
 SANITARI (nocivi per la salute): ad es. il riscaldamento dei tessuti con
opacizzazione del cristallino e alterazioni della spermatogenesi.
 SENSORIALI (disturbi transitori delle percezioni sensoriali e modifiche minori
della funzione cerebrale): ad es. fosfeni
 EFFETTI NON TERMICI: induzione di correnti in tessuti elettricamente stimolabili; in
genere si verifica a basse frequenze e anche qui possiamo avere effetti:
 SANITARI: stimolazione di nervi e muscoli (aritmie, contrazione muscolare)
 SENSORIALI: ad es. vertigini
♦ EFFETTI INDIRETTI: effetti provocati dalla presenza di un oggetto in un CEM, che
potrebbe essere causa di un pericolo per la salute e sicurezza, quali:
 Interferenza con attrezzature e dispositivi medici elettronici, compresi stimolatori
cardiaci e altri impianti o dispositivi medici portati sul corpo;
 Rischio propulsivo di oggetti ferromagnetici all'interno di campi magnetici statici;
 Innesco di dispositivi elettro-esplosivi (detonatori);
 Incendi ed esplosioni dovuti all'accensione di materiali infiammabili a causa di
scintille prodotte da campi indotti, correnti di contatto o scariche elettriche.

Per quanto riguarda gli effetti cronici, il rapporto di causalità tra esposizione a CEM e
comparsa di effetti cronici non è suffragato da un’adeguata evidenza scientifica; tuttavia la
IARC, nel 2011, ha inserito RF e MW come possibile cancerogeno per l’uomo sulla base dell’
evidenza epidemiologica di associazione tra uso di telefono cellulare e rischio di glioma.
Tuttavia tale evidenza è limitata e non unanimamente riconosciuta.
Prevenzione e protezione: per quanto riguarda ciò, bisogna prima introdurre alcuni concetti:
♦ VALORE LIMITE DI ESPOSIZIONE (VLE): valori stabiliti sulla base di considerazioni
biofisiche e biologiche, in particolare sulla base degli effetti diretti acuti e a breve
termine scientificamente accertati, ossia gli effetti termici e la stimolazione elettrica dei
tessuti; distinguiamo:
 VLE relativi agli effetti sanitari: VLE al di sopra dei quali i lavoratori potrebbero
essere soggetti a effetti nocivi per la salute, quali il riscaldamento termico o la
stimolazione del tessuto nervoso o muscolare.
 VLE relativi agli effetti sensoriali: VLE al di sopra dei quali i lavoratori potrebbero
essere soggetti a disturbi transitori delle percezioni sensoriali e a modifiche minori
nelle funzioni cerebrali.
♦ VALORI DI AZIONE (VA): livelli operativi stabiliti per semplificare il processo di
dimostrazione della conformità ai pertinenti VLE e, ove appropriato, per prendere le
opportune misure di protezione o prevenzione.

La prevenzione da CEM è regolata dall’articolo 209-210-211; in particolare, secondo il PAF


(portale agenti fisici), tale prevenzione si basa su:
♦ Installazione e layout: gli apparati emettitori di CEM siano installati in aree di lavoro
adibite ad uso esclusivo degli stessi e ad idonea distanza dalle altre aree di lavoro.
♦ Delimitazione delle aree: le aree di lavoro ove i valori di esposizione possono risultare
superiori ai livelli di riferimento per la popolazione dovranno essere delimitate con
cartelli di segnalazione.
♦ Formazione e addestramento del personale: in particolare su:
 Eventuali effetti indiretti dell'esposizione
 Possibilità di sensazioni e sintomi transitori dovuti a effetti sul SNC o SNP
 Possibilità di rischi specifici nei confronti di lavoratori appartenenti a gruppi
particolarmente sensibili al rischio, quali i soggetti portatori di dispositivi medici o
di protesi metalliche e le lavoratrici in stato di gravidanza.
♦ Dispositivi di prevenzione individuali:
 Qualora l’accesso alle aree con rischio di superamento del VALORE DI AZIONE per i
lavoratori non possa essere impedito fisicamente [es: lavorazioni su tralicci, su linee
elettriche di alta tensione] è necessario dotare i lavoratori di 
Monitor portatile di CEM con dispositivo d’allarme per segnalare tempestivamente
il superamento dei valori d’azione di campo elettrico e magnetico fissati dalla
normativa
 Qualora il superamento dei VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE non possa essere
prevenuto andranno forniti
indumenti di protezione specifici per le frequenze di interesse. [Nel caso delle radio
frequenze (RF) ad es. abiti e tute, caschi di protezione, guanti e calze]

♦ Interventi sulle sorgenti (acquisto nuovi macchinari):


la progettazione dei macchinari deve essere tale da
limitare emissione di radiazioni a quanto necessario al
loro funzionamento e tale che i suoi effetti sulle
persone esposte siano nulli o comunque non
pericolosi. In funzione del livello di emissione di
radiazioni, il fabbricante deve assegnare alla macchina
una categoria di emissione di radiazioni. Per le 3
categorie di emissione possibili sono previste diverse
misure di protezione, informazione, addestramento
Esempi di misure di prevenzione e protezione da CEM:
♦ Campi elettrici e magnetici ELF (es corrente elettrica): protezione collettiva/individuale
si effettua attraverso interventi di carattere impiantistico e organizzativo:
 Progettazione dei posti di lavoro
 Individuazione delle sorgenti emittenti
 Idonee schermature
♦ RF e MW:
 Schermatura: si ostacola la trasmissione del campo per riflessione e dissipazione
attraverso:
 Pannelli metallici
 Reti metalliche

 Collegamento a terra delle RF: attraverso:


 Piastre collocate sotto l’attrezzatura
 Reti metalliche

Per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria (regolamentata dall’articolo 211), essa viene
effettuata periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità inferiore decisa dal
medico competente con particolare riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili:
♦ Portatori di dispositivi medici impiantati attivi o passivi
♦ Uso di dispositivi medici sul corpo
♦ Lavoratrici in stato di gravidanza
L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità
diversi da quelli forniti dal medico competente.
Nel caso in cui un lavoratore segnali effetti indesiderati o inattesi sulla salute, il datore di
lavoro garantisce che siano forniti al lavoratore o ai lavoratori interessati un controllo
medico e, se necessario, una sorveglianza sanitaria appropriati.
I controlli e la sorveglianza di cui al presente articolo sono effettuati, a cura e spese del
datore di lavoro, in orario scelto dal lavoratore.
RUMORE

Il rumore è per definizione qualsiasi onda sonora non periodica che crea sull’uomo effetti non voluti,
dannosi, disturbanti e che quindi determina un deterioramento qualitativo dell’ambiente.
Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un corpo elastico messo in vibrazione, che crea
movimento nelle molecole dell’aria e quindi onde sonore; le caratteristiche fisiche del suono sono:
1. Frequenza : numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo.
Si misura in Hertz. L’orecchio umano percepisce f che vanno dai 20 a 20000 Hertz.
2. Periodo: intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Unità di misura: s.
3. Lunghezza d’onda: spazio percorso dall’onda in un periodo.
4. Ampiezza.
5. Velocità di propagazione: velocità con la quale un suono si propaga in un mezzo (dipende dalla
densità di questo).
6. Intensità : potenza media con la quale l’energia viene trasmessa nel vuoto. L’unità di misura è il
Decibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0 e 10 decibel, quella del dolore 130\140 come
un aereo al decollo. Una normale conversazione presenta un’intensità tra i 60\70 decibel, il traffico
stradale 70\80 decibel.

Quello che differenzia un suono acuto da una suono grave è la frequenza, invece ciò che differenzia un
suono lieve da un suono forte è l’intensità.

Il sistema uditivo è costituito da due parti: il sistema deputato al trasporto del suono e l’apparato di
percezione o neurosensoriale. Anatomicamente distinguiamo 3 parti:
1. Orecchio esterno (timpano, padiglione auricolare e condotto uditivo): che trasportano il suono.
2. Orecchio medio (tuba di Eustachio, martello, incudine e staffa detti adattatori di frequenza)
3. Orecchio interno: formato da:
a) Coclea: costituita dal canale vestibolare e timpanico separati dalla membrana basale; essa
ha quindi essenzialmente 2 ruoli:
♦ Trasmissione del suono: trasferire l’energia acustica tramite la finestra ovale all’epitelio
ciliato
♦ Trasduzione del suono: l’energia sonora convertita in impulsi elettrici a livello del nervo
acustico.

b) Canali semicircolari: deputati al mantenimento dell’equilibrio.


Da qui perturbazioni dell’endolinfa giungono alle ciglia della membrana basale e di qui tramite i
rami nervosi al cervello.

Effetti sull’uomo: il rumore è causa di due tipi di effetti sull’uomo:

1. UDITIVI: gli effetti vengono distinti in:


a) ACUTI: da stimolo uditivo intenso (>140Db) e di breve durata; in genere è un’evenienza
rara nei luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio più che come malattia
professionale (ad es. esplosione di una caldaia).
Si caratterizza per un un dolore lacerante all’orecchio, senso di stordimento, ipoacusia
completa all’orecchio, percezione di fischi, vertigini e, nei casi più gravi, rottura della
membrana timpanica con danno a carico delle cellule ciliate; la lesione in questo caso è
quasi sempre monolaterale in quanto la testa fa da schermo per l’altro orecchio.
Generalmente i disturbi regrediscono e nei casi più favorevoli vi può essere la restitutio ad
integrum , le cellule nervose riprendono la loro normale funzonalità, la membrana
timpanica cicatrizza e anche il tracciato audiometrico ritornerà normale.
a) CRONICI: esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile; in genere
un’esposizione superiore agli 80 Db per 8h al giorno per molti anni lavorativi, se non
adeguatamente accompagnata dall’uso di DPI e misure di abbattimento del rumore delle
macchine sicuramente causerà una ipoacusia da trauma acustico cronico (oltre al trauma
acustico cronico, altre cause di ipoacusia neurosensoriale sono retinoma dell’acustico e
ototossicosi. Abbiamo 4 fasi:

♦ 1° fase o fatica uditiva o spostamento temporaneo della soglia uditiva: compare


pochi gg dopo l’inizio dello stimolo e si presenta con un esame audiometrico normale o
al massimo un innalzamento sulle freq medie, mentre clinicamente il pz riferisce
acufeni e stordimento; si distinguono due tipi di fatica uditiva, sulla base di diverse
caratteristiche quali la durata, l’entità e la sede:

 STS2: si misura dopo 2 minuti dall’esposizione al rumore e ha una durata di 16h;


identifica un innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livelli normali pre-
esposizione. Già oltre la soglia degli 80Db vi è una STS su più frequenze e nello
specifico i rumori industriali provocano una STS2 sulle frequenze dei 3000 e
4000Hz.
 STS16 definita come fatica uditiva patologica, permane anche oltre le 16h
dall’esposizione allo stimolo acustico perché l’orecchio di un soggetto esposto
cronicamente al rumore non ha più progressivamente la capacità di recupero fino
ad arrivare all’ipoacusia franca.

Le due STS sono quindi espressione di un esaurimento più o meno marcato dei
recettori acustici periferici per un apporto energetico insufficiente. Un recupero
completo è quindi possibile solo a patto che l’esaurimento funzionale si mantenga
entro certi limiti, in casi contrari si parla di danno uditivo irreversibile.

♦ 2° fase definita di latenza: il soggetto non ha sintomi sebbene l’ipoacusia peggiori con
innalzamento della soglia uditiva di circa 40\50 Db sui 4000Hz, evidenziato all’esame
audiometrico.
♦ 3° fase: in cui ricompare la sintomatologia e il soggetto riferisce, ad es, di non sentire il
ticchettio dell’orologio; l’esame audiometrico mostra un innalzamento di circa 60 Db
sui 4000 Hz ed il deficit viene esteso anche alle altre frequenze dai 2000 ai 3000 Hz.
♦ 4° fase: stadio di sordità da rumore, con un deficit permanente esteso anche alle
frequenze più basse ed alle più alte (es difficoltà a sentire le conversazioni).

Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell’organo del
Corti, con una gravità del danno proporzionale alla quantità dell’energia sonora; le prime
strutture ad essere danneggiate sono le cellule ciliate esterne, per cui si ha una
frammentazione fino alla scomparsa delle ciglia e una rottura della membrana cellulare e
sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono integre molto più a
lungo: la lesione primitiva è rappresentata dalla fusione di queste.

Per esposizioni al rumore che hanno un livello costante si osservano alterazioni che sono
prima di tipo metabolico-funzionale e poi metabolico-morfologiche, mentre per i rumori
impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche più precoci. In linea generale si
può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare, ovvero il soggetto
inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con una progressione anche molto veloce
di danno per i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non
cambi attività lavorativa con esposizione a un altro tipo di rumore.
Le caratteristiche dell’ipoacusia da rumore sono 4:
♦ Il deficit è percettivo, perchè il danno è neurosensoriale, e interessa entrambe le
trasmissioni (sia aerea che ossea).
♦ Inizialmente è prevalente sulle frequenze medie (4000 Hz), poi si estende alle alte e
basse
♦ E’ bilaterale e simmetrico, cioè i tracciati audiometrici di orecchio dx ed sx sono
sovrapponibili
♦ E’ irreversibile, per cui il danno non è recuperabile

In un tracciato audiometrico sulle ordinate vengono riportate le frequenze, sulle ascisse i


decibel. Normalmente noi udiamo intorno ai 10 decibel su tutte le frequenze.
Nell’ipoacusia percettiva sono alterate entrambe le vie, quindi avremo una depressione sia
per la via aerea che ossea in un tracciato che è simmetrico per entrambe le orecchie;
inoltre, nel caso dell’ipoacusia percettiva da rumore c’è anche una depressione
caratteristica con caduta sui 4000 Hz seguita da una risalita del tracciato. Quindi per far
sentire il suono al paziente dovremo aumentare l’intensità intorno ai 40\60 Db per le
frequenze medie e non per le f più alte.
DD:
♦ Nell’ipoacusia trasmissionale la via ossea non è alterata quindi intorno ai 10 Db
percepisce tutte le vibrazioni.
♦ Nella presbiacusia (progressiva riduzione della capacità uditiva, fisiologica dopo i
40anni, con perdita di circa 3,5 Db all’anno; anche qui c’è alterazione di entrambe le vie
però vi è una caduta sulle frequenze più alte (intorno ai 20000 Hz) il soggetto non sente
intorno agli 8000Hz quindi bisogna aumentare l’intensità.

Esistono ovviamente dei fattori predisponenti:


♦ Sesso (donne meno colpite)
♦ Età
♦ Patologie dell’orecchio medio
♦ Uso di sostanze ototossiche (farmaci quali gentamicina, streptomicina o sostanze
chimiche come benzene, piombo)
♦ Hobbies particolari (pesca subacquea)

2. EXTRAUDITIVI: effetti imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture acustiche con le altre
strutture del SNC, come la formazione reticolare. Gli effetti principali sono a carico di:
 Sistema Cardiovascolare aumento FC, vasocostrizione periferica, aumento PA
 Neuropsichici disturbi del tono motorio, dell’equilibrio, della concentrazione, dell’attenzione,
che possono mettere a rischio la vita del lavoratore (es. aumento tempo di reazione, riduzione
della percezione di segnali di pericolo con conseguente aumento del rischio infortunistico)
 Endocrini aumentata produzione di alcuni ormoni
 Visusdilatazione pupillare
 Gastroenterico riduzione motilità con fenomeni spastici, aumento di ulcere e gastroduodeniti
 Respiratori aumento frequenza respiratoria
 Livello superiori a 65 decibel durante il giorno e 55 durante la notte sono dannosi ed
aumentano il rischio di infarto del miocardio, TIA

L’esposizione al rumore causa l’attivazione nell’organismo di due tipi di risposte


1. Risposta d’allarme: causata da rumori di alta intensità e breve durata, si esaurisce rapidamente, la
sua durata ed intensità non dipendono dal livello sonoro o dal tempo di persistenza dello stimolo.
Caratterizzata da: aumento della pressione pupillare, sudorazione cutanea, aumento delle
secrezioni e motilità gastrica, aumento delle frequenze cardiaca e respiratoria
2. Risposta neurovegetativa: lenta, in genere segue quella di allarme, si manifesta per stimoli intensi e
varia in funzione di intensità e durata dello stimolo con alterazioni a carico di tutti gli organi

Legislazione: il DL 81/08 detta le regole per la valutazione del rischio rumore nel luogo di lavoro, e le misure
preventive per ridurre il rischio di ipoacusia da trauma acustico cronico nel luogo di lavoro.
Il decreto prevede:
1. LIMITI DI ESPOSIZIONE: è di 87 decibel, ciò significa che durante una giornata lavorativa
l’esposizione media al rumore non può superare tale valore.
2. VALORE LIMITE DI AZIONE: il valore superiore d’azione è 85 Db; il valore inferiore d’azione è 80 Db

Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello
rumore facendo un sopralluogo con esperti (responsabili sicurezza, ingegneri), valutando le informazioni
fornite dalle case produttrici dei macchinari, la presenza di apparecchiature progettate per ridurre
l’emissione del rumore, quanto tempo il lavoratore è esposto al rumore.
1. Se l’esposizione al rumore non supera gli 80 dB si danno solo dei dispositivi di protezione acustica al
lavoratore che, quindi, non svilupperanno patologie professionali. I principali sono:
a) Le cuffie auricolari: adatte per esposizioni prolungate, più efficaci dei precedenti,
permettono l’ascolto delle conversazioni
b) I caschi: utilizzati per le attività più rumorose (es. utilizzo martello pneumatico)
c) Gli archetti
Agiscono tutti per la via aerea con una attenuazione che non supera i 50 dB. I caschi, coprendo
anche la via ossea danno una attenuazione superiore.
Tutti i tipi devono attenuare il rumore consentendo l’ascolto della voce parlata, la scelta dipende
dall’ambiente di lavoro, dalle patologie d’organo esistenti, dal tipo di lavoro.

2. Se l’esposizione al rumore supera gli 80 dB, si procede alla seconda fase misurando direttamente il
rumore nel luogo di lavoro con un Fonometro (su una giornata lavorativa di 8 h o settimanalmente,
su una giornata di 5 h)
a) Se il rumore supera il valore inferiore d’azione, il datore ha l’obbligo di fornire i dispositivi
di protezione individuali ai lavoratori che possono chiedere di essere sottoposti a
sorveglianza sanitaria (il medico competente esegue esame obiettivo ed audiometrico)
b) Se è superato il valore superiore d’azione (85 dB), il datore di lavoro ha l’obbligo di:
♦ Attuare delle misure tecnico-organizzative per ridurre la rumorosità
♦ Indicare con cartelli i luoghi in cui i lavoratori sono sottoposti a tale intensità di rumore
♦ Assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione.
♦ Informare i lavoratori sul rischio da esposizione al rumore, quindi sulla natura dei rischi,
sui valori d’azione e sul limite d’esposizione, sui risultati delle misurazioni del rumore
effettuate.
♦ Sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori: dalla sorveglianza sanitaria scaturisce
un giudizio di idoneità che può essere completa al lavoro, con prescrizione o con
medicazione, o non idoneità al lavoro (dipende dalla patologia del soggetto, dal rischio
a cui è esposto, dalla presenza di danno. Es. un soggetto con ipoacusia sottoposto ad
alta esposizione al rumore è non idoneo a quella attività).
STRUMENTI VIBRANTI

Le vibrazioni possono essere considerate delle onde e in quanto tali presentano delle caratteristiche fisiche
tipiche, come:
1. Ampiezza, espressa in metri.
2. Velocità, espressa in m/s
3. Frequenza: intesa come numero di oscillazioni al secondo, espressa in Hertz. Le frequenze delle
vibrazioni che determinano patologie occupazionali si dividono in:
a) Basse frequenze: sono quelle che vanno da 0 a 2 Hz e sono associate a mezzi di trasporto
come automobili, navi e aerei. Determinano nel gruppo di lavoratori che ne è esposto il
cosiddetto mal dei trasporti.
b) Medie frequenze: sono quelle che vanno dai 2 ai 20 Hz, associate a macchine di impianti
industriali come trattori, gru, scavatrici, che determinano effetti su tutto il corpo, in
particolare osteopatie.
Le basse e medie frequenze determinano patologie trasmesse a tutto il corpo, che in
particolare vanno a interessare:
• Apparato osteoarticolare: la colonna vertebrale è la struttura che maggiormente risente
delle vibrazioni total body; in particolare, questo tipo di vibrazioni determinano una
ipersollecitazione a livello del tratto lombare, dorsale e cervicale. Questi lavoratori possono
lamentare più facilmente rispetto ad altri lombalgia o lombosciatalgia cronica,
slatentizzazioni di ernie o di soluzioni discali soprattutto a livello del tratto lombare e non
da ultimo alterazioni precoci degenerative a livello del rachide lombare; questi lavoratori
presentano condizioni di artrosi pregressa e ingravescente.
• Apparato oto vestibolare: in particolare a livello dei canali semicircolari, determinando
disturbi dell’equilibrio, che si ritrovano frequentemente nei lavoratori esposti a basse e
medie frequenze.
• Meccanocettori cutanei e sottocutanei dalle zone mesenteriche: giocano un ruolo
nell’insorgenza della patologia total body collegate alle vibrazioni a frequenza bassa e
media.

c) Alta frequenza: sono quelle superiori ai 20 Hz, associate a strumenti vibranti come lo
scalpello, le perforatrici e il martello pneumatico. Inducono patologie distrettuali perché
vengono utilizzati dalla mano destra per i destrimani e dalla mano sinistra per i non
destrimani e sono quelle che interessano la Medicina del Lavoro; le patologie sono di tipo
angioneurotiche e osteoarticolari. E’ chiaro che ci sono dei fattori determinanti
l’insorgenza della patologia distrettuale, collegati sia alla modalità d’utilizzo dello
strumento vibrante, sia alle caratteristiche peculiari del soggetto che lo utilizza:
♦ Caratteristiche delle esposizioni, quindi per quanto tempo viene utilizzato lo strumento
♦ Fattore biodinamico: cioè come viene mantenuto l’utensile durante lo svolgimento
della propria attività lavorativa, che tipo di forza di prensione viene utilizzata e se
questa modalità di utilizzo che è tipica del singolo lavoratore può più facilmente far
insorgere un microtraumatismo a livello delle falangi acrali delle mani.
♦ Fattori ambientali: quindi una condizione di microclima sfavorevole che si associa
principalmente ad un utilizzo errato dell’utensile può favorire l’insorgenza della
patologia distrettuale.
♦ Patologie preesistenti: quindi condizioni di ipersuscettibilità come malattie vascolari,
pregressi traumi e lesioni a livello delle falangi distali della mano possono favorire
l’insorgenza di una patologia distrettuale da strumenti vibranti.
Le principali attività lavorative dove appunto questa problematica clinica può manifestarsi
più frequentemente sono:
♦ Settore dell’edilizia
♦ Settore metalmeccanico
♦ Fonderie
♦ Industria del legno
♦ Settore terziario quindi agricolo forestale.

I danni che si associano più frequentemente alle vibrazioni ad alta frequenza sono:
♦ Lesioni di tipo vascolare: la più frequente risulta il fenomeno di Raynaud secondario,
caratterizzato da un arresto transitorio del flusso arterioso delle zone acrali delle mani,
che si slatentizza dopo particolari esposizioni (es freddo),detto secondario perché
appunto collegato all’utilizzo di strumenti vibranti.

Condizioni predisponenti all’insorgenza del fenomeno di Raynaud secondario sono:


 Una condizione cronica di riduzione del flusso sanguigno
 Ipotensione arteriosa
 Stenosi a monte delle arteriole che irrorano le falangi distali.

L’evoluzione della patologia presenta diversi stadi secondo la classificazione di


Stoccolm, la quale ci va a rappresentare quelle che sono le fasi che si evidenziano nei
lavoratori che utilizzano strumenti vibranti:
 Stadio 0: non si riferiscono sintomi vaso-spastici, quindi non c’è una sintomatologia
suggestiva di fenomeno di Raynaud.
 Stadio 1: in poi si evidenziano fenomeni di pallore all’estremità di uno o più dita.
 Stadio 2: si evidenziano episodi di pallore alle falangi distali ed intermedie di tre o
quattro dita.
 Stadi 3 e 4: dove oltre al danno legato all’ipoafflusso sanguigno si manifestano
segni distrofici a livello cutaneo, e quindi siamo in fase di malattia professionale da
utilizzi di strumento vibrante, per la quale si attiva un iter di denuncia di malattia
professionale all’INAIL per cui il lavoratore se dimostra che ha contratto questa
patologia al lavoro viene indenizzato.

Le indagini che vanno ad approfondire il fenomeno di Raynaud sono:


 Prova termica o cold test: si basa sul concetto di slatentizzazione del fenomeno di
Raynaud collegato a immersione delle mani in acqua fredda (circa 10 gradi) da uno
a cinque minuti in ambiente confortevole, con astensione da fumo di tabacco, in
quanto potrebbe dare un falso negativo.
Quello che ci permette di fare diagnosi di fenomeno di Raynaud secondario è il
recupero della irrorazione a livello delle falangi distali che, in un lavoratore che
presenta fenomeno di Raynaud secondario a utilizzo di strumenti vibranti senza
misure di prevenzione e sicurezza adeguate, presenta tempi molto allungati
(normalmente 20-25 minuti).
 Prove farmaco-dinamiche: vengono somministrati al lavoratore derivati della
nitroglicerina, in particolare la trinitroglicerina. In condizioni di riposo, il lavoratore
ingerisce la trinitroglicerina a livello sublinguale e i tempi di recupero
dell’irrorazione a livello delle falangi distali vengono valutati come normali o come
patologici e quindi collegati all’utilizzo di strumenti vibranti.
 Capillaroscopia: ci va a mostrare un’alterazione morfologica di forma e numero dei
capillari a livello delle falangi acrali
Altra patologia distrettuale vascolare è la flebo- trombosi a livello del distretto
succlavio-maxillo-brachiale nei lavoratori che utilizzano lo strumento vibrante
lavorando sempre con l’avambraccio e il braccio lontani rispetto al corpo, quindi
lavoratori che non seguono un corso di formazione adeguato o che non hanno i guanti
per ridurre al minimo la trasmissione delle vibrazioni.

♦ Lesioni di tipo osteo-articolare:


 A livello del semilunare si possono verificare lesioni vacuolari
 A livello del gomito una condizione di artrosi pregressa e ingravescente che avviene
in età giovanile e ha un andamento che difficilmente risponde alla terapia. Quindi a
livello dell’Rx del gomito andremo a evidenziare quelli che sono i segni di
un’artrosi, come la presenza di esostosi e osteofiti.
 Alivello dell’articolazione acromio-clavicolare e scapolo-omerale: sempre artrosi.
Questi distretti, insieme al fenomeno di Raynaud, vanno valutati sempre sia in visita
preclinica che in visita periodica da noi medici del lavoro.

♦ Lesioni di tipo neurologico: in particolare sindrome del tunnel carpale, con alterazioni a
livello della sensibilità tattile e termica, legate all’interessamento del nervo mediano e
ulnare con conseguenti variazioni della velocità di conduzione sensoriale e ulnare.
Le indagini che andremo a effettuare sono in prima istanza l’elettromiografia e i
potenziali evocati.

♦ Lesioni di tipo tendineo: quelle più frequenti sono:


 Lesioni a livello dell’olecrano: si possono osservare dei tipici speroni ossei che si
possono ritrovare a livello radiologico e che ci permettono di confermare il dato
anamnestico e semeiologico effettuato sui lavoratori e che è necessario richiedere
per fare diagnosi di lesione tendinea da utilizzo di strumenti vibranti.
 Lesioni delle mani: con comparsa del morbo di Dupuytren, quindi la retrazione
dell’aponeurosi palmare è un altro fenomeno che si può evidenziare.

Legislazione: il DL 81/08 descrive tutto ciò nell’articolo 7, indicando anche come far lavorare i lavoratori in
sicurezza nell’esposizione da vibrazioni, sia per quanto riguarda il sistema mano-braccio sia per il corpo
intero.
I VLE definiti dal DL 81/08 sono di 5m/s^2 per il sistema mano-braccio e 1m/s^2 per tutto il corpo, riferito a
una giornata di otto ore al giorno per quaranta ore settimanali.
Il valore d’azione giornaliero (ovvero quel range che non deve essere mai superato per far sì che
potenzialmente non si abbia l’insorgenza di tutti i danni clinici) è di 2,5 m/s^2 e non superare mai i 5” per il
sistema mano braccio, mentre per tuto il corpo i valori di azione sono di 0.5m/s^2.Si dice valore di azione
perché è il valore che fa scattare l’azione preventiva.

Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi comunque su valori più bassi, al fine di attuare un sistema di
prevenzione e sicurezza che impedisca al lavoratore di manifestare una malattia professionale. Nel caso in
cui successivamente alla valutazione dei rischi risultino superate i valori d’azione, immediatamente si
attuano una serie di misure preventive e di sicurezza. Oltre a misurare le vibrazioni a cui è esposto il
lavoratore, bisogna formare il lavoratore sull’utilizzo in sicurezza degli strumenti vibranti, sul risultato delle
misurazioni relative all’utilizzo di quei strumenti vibranti per far sì che si riduca allo 0% la possibilità
d’insorgenza delle malattie professionali.
VIDEOTERMINALI

Ergonomia: metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro. L’obiettivo dell’ergonomia
è quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l’ambiente alle caratteristiche psico-fisiche
del lavoratore stesso. Il rispetto dell’ergonomia è sempre previsto dal DL 81/08, in particolare il rispetto dei
principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro al fine di ridurre al minimo il danno sulla salute collegato
a un lavoro di tipo monotono e ripetitivo come quello da utilizzo di computer.
Il DL 81/08 dà grande importanza al concetto di ergonomia perchè le patologie che possono insorgere a
lavoro in condizioni di disergonomia sono riconosciute come malattie professionali secondo delle tabelle a
cui noi facciamo riferimento quando andiamo a fare una denuncia di malattia professionale.
Le principali patologie riconosciute sono:
1. Tendinite a livello del sovraspinoso
2. Tendinite a livello del bicipite
3. Borsiti negli utilizzatori di videoterminali
4. Epicondiliti, trocleiti e sindrome del tunnel carpale arto superiore
5. Borsite del ginocchio, tendinopatie del quadricipite femorale e meniscopatia degenerativa arto
inferiore.
Implementare nei luoghi di lavoro il concetto di ergonomia significa ridurre al minimo l’insorgenza di queste
patologie, riconosciute come malattie professionali.

Per videoterminale intendiamo un’apparecchiatura dotata di schermo alfanumerico come i personal


computer e i sistemi dotati di elaborazione dati, testi o immagini. L’addetto al videoterminale è un
lavoratore che per definizione utilizza il videoterminale per almeno 20 ore a settimana, sia esso in modo
continuativo (es. 4h/die per 5 gg a settimana), sia in modo non continuativo (ad es. un gg per 6h, un altro
per 3h, raggiungendo però un totale di 20h settimanali).
Tale definizione è stata per la prima volta introdotta con la legge 422 del 2000, che ha modificato il
concetto del monte-ore (appunto di venti) collegate al danno da utilizzo di videoterminale.

Secondo il decreto 422 del 2000, la sorveglianza sanitaria va eseguita:


1. Nel lavoratore fino a 50 anni  quinquennale; tale tempistica può essere modificata qualora
vengano espressi giudizi di idoneità con prescrizione, per cui i lavoratori che hanno problematiche
oculari, come congiuntivite ricorrente, o lombo sacrali ricorrenti, possono essere visitati più spesso.
2. Dopo i 50 anni ogni due anni, perché si presuppone che si sovrappongono problematiche, come
la presbiopia, che possono interferire in qualche modo con la visione.

Altro concetto espresso dall’articolo 7 della legge 422 2000 sono le pause lavorative:
1. I lavoratori che utilizzano il videoterminale per 20 ore a settimana sono obbligati a fare una pausa
di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.
2. Le lavoratrici gestanti avranno un aumento delle pause, che quindi saranno più frequenti. Si
consiglia alla lavoratrice in stato di gravidanza di alzarsi dal posto di lavoro, decontratturare la
muscolatura paravertebrale e disassuefare i muscoli oculari dal videoterminale.

Il datore di lavoro dovrà anche predisporre le attrezzature da lavoro in modo da assicurare una condizione
di minimo affaticamento oculare e dorso lombare; in particolare:
1. SCRIVANIA:
a) Colore non riflettente (non bianco, non nero, ma color ciliegio)
b) Superficie ampia: in modo da assicurare un corretto posizionamento degli avambracci al di
sopra della stessa, in quanto qualora non ci sia lo spazio per poggiare bene l’avambraccio e
quindi muoverlo con tranquillità sulla scrivania nell’utilizzo del mouse, si va a sovraccaricare
e quindi portare meno ossigenazione a livello della mano, con insorgenza di
indolenzimento o sindrome del tunnel carpale.
c) Adeguato alloggiamento degli arti inferiori, quindi sotto la scrivania deve esserci lo spazio
sufficiente per non incorrere in patologie a livello degli arti inferiori.

2. SEDIA: deve essere di tipo girevole, con lo schienale regolabile e con una curvatura ben precisa che
ripercorre le fisiologiche concavità e convessità della colonna vertebrale.
3. POGGIAPIEDI: Il poggiapiedi non è un obbligo del datore di lavoro ma se viene richiesto dal
lavoratore, ad esempio una donna in stato di gravidanza che presenti una condizione più frequente
di edema agli arti inferiori, il datore di lavoro deve fornire il poggiapiedi.
4. ADEGUATO MICROCLIMA: quindi la scrivania non deve stare né troppo vicino al termosifone né
troppo vicino all’impianto di condizionamento perché l’eccessiva umidità o la poca umidità può
determinare secchezza oculare.
5. POSIZIONE: alla scrivania bisogna stare con la schiena diritta e non piegata sulla scrivania, ad una
distanza che deve essere 50-70 cm dallo schermo e in più, per evitare affaticamento muscolare
soprattutto a livello cervicale e affaticamento visivo, lo spigolo inferiore dello schermo deve essere
al di sotto della visuale che passa tra gli occhi e l’orizzonte, cioè la sedia deve stare più in alto
rispetto al monitor.
6. ADEGUATO ALLOGGIAMENTO DI TUTTO L’IMPIANTO ELETTRICO: deve essere attaccato al muro di
fronte al videoterminalista, così da evitare che possano far inciampare il lavoratore.

Questi sono i requisiti minimi che dobbiamo verificare quando facciamo il famoso sopralluogo annuale.
Per quanto riguarda i danni da utilizzo del videoterminale in condizioni non ergonomiche, abbiamo:
1. Astenopia = fatica visiva; è una condizione di debolezza, facile affaticabilità dell’occhio, dolori
oculari, visione confusa o doppia (diplopia), cefalea, emicrania. I lavoratori che utilizzano
videoterminali per 20 ore a settimana lamentano frequentemente questa patologia.
I difetti visivi come la presbiopia, miopia e ipermetropia non sono causati dal videoterminale ma
possono essere peggiorate dall’utilizzo protratto in condizioni di non sicurezza del lavoratore.
Allo stesso modo, un inquinamento dell’aria respirata dal lavoratore (ad es una sede con molte
fotocopiatrici o con rilascio di sostanze - inquinamento indoor-) può determinare irritazione oculare
o delle mucose, che vanno a determinare più facilmente una condizione di sindrome astenopica.
2. Disturbi muscolo scheletrici: sono soprattutto a collo, schiena, braccia, spalle, mani e arti inferiori.
Le principali cause lavorative che determinano alterazione a livello della colonna vertebrale sono:
a) Posture di lavoro fisse, quindi mantenere sempre la stessa postura per tutto l’orario di
lavoro può determinare l’insorgenza di patologie a livello cervicale e dorso lombare.
b) Utilizzare il mouse in maniera ripetitiva e con movimenti rapidi, che può determinare un
sovraccarico a livello della mano e dell’avambraccio con un indolenzimento che può far
insorgere, oltre al dolore, la sindrome del tunnel carpale.
Il Niosh è un ente internazionale che ci va a dire per ogni agente di rischio quali sono i valori limite
da rispettare e nel caso del video terminale quali sono le condizioni di lavoro che possono far
insorgere alterazioni muscolo-scheletriche? Assunzione di posture incongrue.
3. Stress lavoro-correlato: i video terminalisti sono lavoratori che lamentano più frequentemente
condizioni di stress lavoro-correlato perché il lavoro ha delle caratteristiche intrinseche che sono
alla base dell’insorgenza di una condizione stressogena:
a) Condizioni di lavoro monotono e ripetitivo
b) Carico di lavoro o eccessivo o troppo scarso
c) Condizione di responsabilità avvertite dal lavoratore come molto basse rispetto al desiderio
di comando da parte del lavoratore stesso
d) Rapporti conflittuali con i proprio colleghi o superiori
e) Condizioni di disergonomia.
Si presenta con disturbi di tipo psicologico o psicosomatico come insonnia, condizione di sindrome
ansioso- depressiva, cefalea e tensione nervosa. Tale condizione viene valutata dal medico del
lavoro attraverso due fasi:
a) Fase 1: utilizzo di questionari random tra i lavoratori; qualora questo questionario risulti
essere positivo per alcuni cluster, si passa alla fase 2.
b) Fase 2 o fase soggettiva, in cui viene proposto il questionario ad personam. Qualora questa
seconda fase risulti essere positiva, il datore di lavoro è tenuto secondo il DL 81/08 a
pagare le spese di recupero psicologico-psichiatrico al lavoratore. La legge però dice che è il
datore di lavoro a preparare questi questionari o con il supporto del medico del lavoro o
con il supporto dello psicologo.

La formazione anche in questo caso è importante:


1. Movimento : durante i 15 min di pausa è consigliato alzarsi dalla postazione e se possibile
disassuefare i muscoli posturali o facendosi una rampa di scale o facendosi una piccola passeggiata
a piedi per riossigenare la muscolatura paravertebrale e degli arti inferiori.
2. Per quanto riguarda gli occhi vengono dati tre consigli:
a) Palming: assumendo una posizione seduta, comoda, coprire entrambi gli occhi chiusi con i
palmi della mano fino a ottenere questa condizione di colore nero di fondo. In questo
modo si ottiene il rilassamento della mente e si disassuefanno i muscoli oculari.
b) Blinking (ammiccamento degli occhi): permette, chiudendo le palpebre per 1-2 min, di
lubrificare la congiuntiva oculare e quindi ridurre quella sensazione di secchezza collegata
all’utilizzo protratto del videoterminale.
c) Sunning che significa esporre gli occhi alla luce solare a palpebre chiuse per alcuni minuti.
Questo è un consiglio che viene dato perché la luce solare ha il potere di vasodilatare,
quindi di favorire l’afflusso sanguigno a livello oculare.
d) Washing: lavare con acqua fredda gli occhi è un altro piccolo consiglio che viene proposto
per ridurre sempre al minimo la secchezza oculare.
RISCHIO BIOLOGICO
Viene definito come la probabilità che un lavoratore incorra in un danno indotto da un agente biologico, di
cui i principali nel settore sanitario (perché poi ce ne sono tanti altri in settori non sanitari) sono: HBV, HCV,
HIV, bacillo della tubercolosi, morbillo, parotite e rosolia in casi selezionati, cioè nei reparti di ginecologia e
pediatria, e non da ultimo il virus Ebola. Per il DL 81/08, tuttavia, il rischio biologico non indica solo
l’esposizione diretta ad un microorganismo o OGM (organismo geneticamente modificato), ma anche
l’esposizione di un lavoratore in maniera indiretta a un microorganismo, per esempio coltivato in una
coltura cellulare (quindi anche i biologi, i chimici, i biotecnologi) oppure videoterminalisti che, posti in un
luogo chiuso per lungo tempo, possono essere esposti a rischio biologico ad es. da legionella, oppure
ancora ci sono tutta una serie di lavorazioni che vengono etichettate come a rischio biologico non
ospedaliero, che sono l’industria alimentare, l’agricoltura, la zootecnia, i servizi veterinari, la macerazione
delle carni e, non da ultimo, il servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti; altre attività sono i
servizi di disinfezione, sterilizzazione e disinfestazione.

Classificazione: le classificazioni di riferimento vanno ad etichettare il rischio biologico in base a dei criteri di
infettività, trasmissibilità, patogenicità e neutralizzabilità. Nella pratica la classificazione distingue:

1. Gruppo 1: sono quelli che presentano poche probabilità di causare malattie negli uomini.
2. Gruppo :2 possono causare malattia negli uomini e quindi costituire un rischio per i lavoratori ,ma
nei loro confronti sono sempre o quasi sempre presenti misure profilattiche e vaccinali.
3. Gruppo 3: possono causare malattie gravi negli uomini e quindi costituiscono un serio rischio nei
lavoratori, possono propagarsi nella comunità e sono quasi sempre disponibili misure profilattiche
terapeutiche ( lo sapete che oggi anche per l’HCV in America è prevista una terapia a pagamento
che determina guarigione).
4. Gruppo 4: per i quali non esistono ancora misure profilattiche e vaccinali, come ad es il virus Ebola.

Questa classificazione è importantissima perché permette ai medici del lavoro di andare a quantizzare il
rischio biologico in una determinata struttura.
Altra classificazione tiene conto anche del livello di rischio biologico:

1. Livello trascurabile: non c’è assistenza diretta al paziente e non vi è manipolazione dei campioni
biologici; ad es. specializzandi in medicina del lavoro o di igiene (medicina legale no, perché gli
operatori fanno le autopsie) che risultano sottoposti a rischio biologico trascurabile.
2. Livello lieve: assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici: qui rientrano
tutti i reparti di un ospedale.
3. Livello medio: esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione, ad esempio interventi
chirurgici in sala operatoria.
4. Livello elevato: c’è assistenza diretta al paziente e manipolazione in prima persona di campioni
biologici ma in più ci sono condizioni tecniche, organizzative e procedurali insufficienti o sfavorevoli

Trasmissione: ci sono vari tipi di trasmissione:

1. Nosocomiale: che si studia maggiormente in igiene, da paziente infetto ad altro paziente oppure da
ambiente ospedaliero infetto a paziente.
2. Occupazionale, di cui ci occupiamo noi, da paziente infetto a operatore; ad es.
a) HCV: nel contatto percutaneo (sangue infetto-sangue non infetto) abbiamo una
percentuale di sovrainfezione più elevata, anche se stiamo comunque parlando di
percentuali basse, che rasentano lo 0;è quindi importantissimo usare i guanti.
b) HIV la sovrainfezione avviene invece maggiormente con contatto mucoso.

Per quanto riguarda quella che avviene da operatore a paziente, sul danno a terzi ci sono decreti del
ministero dell’Italia e Europa che non sono stati ancora emanati.
Misure precauzionali: vengono distinte in:

1. Universali: utilizzo di aghi, bisturi e lame inseriti in appositi contenitori; in caso di lesione interna,
evitare procedure a rischio di esposizione, lavare le mani (lavaggio antisettico dopo contatto con
sangue e liquidi corporei in caso di contatto con le mucose).
2. Personali (DPI): guanti, maschere, grembiuli e camici; importante utilizzarli contemporaneamente e
valutare la loro integrità e pulizia.

Vaccino HBV: vaccino sintetico costituito da DNA ricombinante, fatto un ciclo completo la percentuale di
siero conversione è del 95%, anche se esiste una piccola percentuale di non responders. La durata della
protezione varia tra 5-10 anni, le nuove linee guida di malattie infettive ribadiscono che la protezione
dell’individuo è tale per valori di HbS Ab superiore a 10 unità per litro, per tanto è possibile, quando
presenti questi valori, evitare di effettuare il 4° richiamo vaccinale mantenendo intatta la protezione.

La vaccinazione per HBV è raccomandata, ma non obbligatoria, per vari operatori socio-sanitari, personali
di assistenza in casa di cura privata, trasfusi o emodializzati, mentre conviventi con pazienti affetti da
epatite B cronica hanno diritto ad avere il ciclo vaccinale completo per legge dal medico di famiglia.
Il protocollo (le analisi strumentali ed ematochimiche) che rientrano nella sorveglianza sanitaria del
lavoratore esposto ad agenti patogeni virali sono:

1. Esami ematochimici di base (azotemia glicemia transaminasi creatinemia emocromo)


2. Markers del epatite B e C
3. Esami di secondo livello: HBV-DNA e HCV- RNA.

Infortunio biologico: in occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure
preventive previste dal programma di sorveglianza sanitaria.

1. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago), bisogna immediatamente aumentare il


sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare.
2. In caso di contaminazione di mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente
abbondante.
3. In caso di contaminazione di cute lesa, vista la maggiore probabilità di super infezione, anche qui
lavare con acqua e sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità.

Successivamente bisogna immediatamente rivolgersi ad un agente preposto come caposala, docente,


direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e si viene immediatamente inviati verso il
pronto soccorso, che rilascerà un referto di infortunio biologico senza il quale non può essere attuato il
follow-up sierologico presso la medicina del lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento, che ci permette di capire se è
avvenuta una sovra infezione da HBV, HCV o HIV.

Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post- esposizione quando abbiamo un titolo anticorpale
inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV.

Quando un operatore viene a contatto con un soggetto HIV +, a seguito dell’esposizione, per azzerare il
rischio di trasmissione virale, bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la
somministrazione di farmaci antivirali, al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività
del paziente. Bisogna recarsi, per attivare questo tipo di procedura, in pronto soccorso, che dovrebbe
essere munito di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.
TUBERCOLOSI
La tubercolosi è la malattia infettiva a più elevata mortalità e morbilità da singolo agente patogeno ed
interessa circa un terzo della popolazione mondiale.

Epidemiologia: si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia affetta da tubercolosi, soprattutto nei
paesi in via di sviluppo. Nell’ anno 2008 ci sono stati circa 143 nuovi casi per centomila abitanti, sebbene la
diffusione dell’infezione si localizzi principalmente in paesi in via di sviluppo come Sud Africa e Russia.
In Italia la tubercolosi è una problematica in aumento rispetto al passato, con un aumento di 10 casi per
100.000 abitanti con maggior incidenza nel nord Italia rispetto al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a
flussi migratori nelle regioni del Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai
Paesi dell’Est, mentre in altre zone di Europa l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori
provenienti dall’Africa. Il numero dei casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle
regioni del Nord Italia, ma maggiore rispetto alle regioni del Sud.

Eziopatogenesi: è causata dal Micobatterium Tuberculosis Complex, di cui fanno parte una sequela di altri
micobatteri tra cui il principale è rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis Hominis.
E’ un patogeno intracellulare, con caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che
determina una peculiare acido resistenza, insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e
alla reazione di ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux.

La trasmissione della tubercolosi può avvenire in vari modi:


1. AEROGENA: è la via principale, tramite gocce di saliva di piccolissime dimensioni diffuse nell’area
(pflugge) emesse attraverso starnuto, tosse o catarro; altre modalità di trasmissione per via
aerogena sono l’aereosol e i broncolavaggi. La contagiosità della malattia dipende da:
a) Immunità individuale
b) N° organismi espulsi: anche se la carica infettante è bassa, per cui bastano poche decine di
microrganismi per provocare l’infezione.
c) Volume dello spazio-ambiente e ventilazione: la trasmissione dipende principalmente dalla
concentrazione nell’area del bacillo, per tanto pazienti allettati in luoghi di piccole
dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono trasmettere il bacillo.
d) Tempo di esposizione all’aria contaminata.
2. INGESTIONE di latte non pastorizzato contaminato da M bovis
3. INCIDENTI DI LABORATORIO

Una volta raggiunti gli alveoli, il bacillo viene inglobato dai macrofagi alveolari, i quali possono:
1. Distruggere il bacillo, non determinando l’infezione.
2. Attivare la risposta infiammatoria, che è quella che effettivamente determina l’entità e la gravità
del danno da infezione tubercolare, visto che il batterio di per sé non ha costituenti tali da
determinare azione lesiva nei confronti dell’organismo infetto. In caso di infezione:
a) Nel 95% dei casi le cellule T controllano l’infezione, che si manifesta in fase latente. La
probabilità di evoluzione di una forma latente in una forma cavitaria aumenta nei dieci anni
successi al contagio, per tanto il medico del lavoro è tenuto a sorvegliare tutti i lavoratori al
fine di impedire la riattivazione della patologia.
b) Nel 5% dei casi si presenta in forma attiva (forma cavitaria).

Distinguiamo due tipi di immunità:


1. IMMUNITA’ NATURALE: è la prima barriera atta a bloccare il germe ed è determinata
principalmente dai macrofagi alveolari. La loro capacità battericida e la velocità di replicazione del
bacillo inalato sono quelle che determinano la distruzione del bacillo. Inoltre il bacillo è in grado di
impedire la fusione dei fagosomi con i lisosomi, contribuendo al processo di resistenza.
Qualora i macrofagi alveolari non riescano ad eliminare completamente i bacilli inalati, si passa alla
fase di latenza dove i bacilli si moltiplicano rapidamente nei macrofagi immaturi, i quali sono
incapaci di attivare la risposta battericida. Da ciò deriva l’attivazione della risposta acquisita
mediata dai linfociti T.

2. IMMUNITA’ ACQUISITA: è un’immunità principalmente CELLULO MEDIATA, con ruolo


predominante dei linfociti Th1, mentre la risposta umorale è nulla o assente. Essa permette di
controllare l’infezione tubercolare con formazione del GRANULOMA TUBERCOLARE:

Clinica: distinguiamo diverse forme:


1. TUBERCOLOSI POLMONARE:
a) LATENTE
b) PRIMARIA
c) POST PRIMARIA possiamo avere infiltrato precoce di Assmann, lobite, broncopolmonite,
pleurite o versamento pleurico.
d) MILIARE
2. TUBERCOLOSI LINFONODALE (SCROFULA)
3. TUBERCOLOSI INTESTINALE
4. TUBERCOLOSI GENITOURINARIA
5. TUBERCOLOSI SCHELETRICA

Diagnosi:
1. Anamnesi ed EO: ci permette di:
a) Individuare i pz a rischio
b) Individuare sintomi e segni della malattia sistemici e organo specifici, che possono
indirizzare verso la tubercolosi
c) Storia di malattia, infezione o esposizione alla tubercolosi ed eventuali terapie
d) Condizioni che aumentano il rischio di sviluppo della malattia tubercolare

2. Diagnosi di malattia attiva: in condizione di TBC attiva con la clinica caratteristica si procede con:
a) RX: anomalie radiografiche in pz con sintomi respiratori, come:
♦ Coinvolgimento dei lobi superiori
♦ Infiltrati e caverne
b) Raccolta di un campione: che può essere espettorato, frammento di tessuto ecc. Su di esso
possiamo poi procedere con:
♦ MIROSCOPIA DIRETTA: presenza di bacilli acido-resistenti con colorazione di Ziehl
Neelsen; la loro presenza su espettorato, lavaggio gastrico o BAL è il segno di massima
infettività DIAGNOSI PRESUNTIVA
♦ ESAME COLTURALE: sono necessarie 4-8 settimane prima di poter rilevare la crescita
oppure per altri tipi di terreni 2-3 settimane.
c) PCR: in caso di:
♦ Soggetti con positività ai bacilli acido resistenti all’esame diretto
♦ Conferma di malattia in soggetti negativi all’esame diretto

3. Diagnosi di malattia latente: si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si iniettano


dosi di tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione pomfoide nel derma della faccia volare
dell’avambraccio del lavoratore. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il bacillo tubercolare
la positività della reazione si appaleserà come un reazione di ipersensibilità di 4°grado dopo 48-72h.
Ci sono dei cut-off utilizzati per la misura del diametro del pomfo (quindi si misura solo l’infiltrto,
non l’eritema) e quindi la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o meno. Questi diametri
sono variabili a seconda dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore:
a) >o= 5mm:
♦ Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio latente.
♦ Contatti recenti di TBC o Rx compatibile
♦ Trapiantati e immunosoppressori.
b) >o=10mm: in caso di:
♦ Immigrati di recente da aree ad alta prevalenza.
♦ Tossicodipendenti e operatori sanitari a rischio.
♦ Silicosi, IRC, leucemie.
c) >o=15mm: soggetti senza fattori di rischio.

La positività alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche
quando il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. Possiamo avere:
a) FALSI POSITIVI: per:
♦ Cross reazione con altri micobatteri
♦ Vaccinazione con BCG
♦ Somministrazione errata
♦ Errata lettura
b) FALSI NEGATIVI:
♦ Legati al soggetto testato
♦ Legato a somministrazione o lettura.

Eventualmente è possibile eseguire test più specifici come l’IGRA, che misurano l’IFNy rilasciato dai
linfociti T in risposta ad antigeni tubercolari specifici come ESAT6 e CFP 10, assenti nel BCG.
Non è possibile sostituire la Mantoux con IGRA, che ha specificità e sensibilità superiore di 300
volte, perché essendo molto costosa non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta scala.

Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa vaccinazione o un contatto che non
si è a conoscenza, per cui si procede con test IGRA per avere la certezza del contagio.
Se l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione radiologica e pneumologica
Se l’IGRA è negativo l’iter diagnostico si conclude.
La cosa fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del test IGRA si fa diagnosi certa di
TBC latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test IGRA negativo possiamo
escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch.

Legislazione: l’art. 17 comma 1 DL 81/08 obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica TBC in
ambiente ospedaliero e ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico del lavoro almeno
una volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano automaticamente una serie di
indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria.

La GESTIONE DEL RISCHIO TBC NEI LUOGHI DI LAVORO prevede:

1. VALUTAZIONE DEI RISCHI: essa deve prendere in considerazione i seguenti elementi:


a) Incidenza della TBC nella popolazione servita dalla struttura sanitaria.
b) N° di pz con TBC contagiosa, che annualmente vengono assistiti dalla struttura.

Sulla base di ciò possiamo distinguere:


a) RISCHIO MOLTO BASSO: struttura che non assiste malati di TBC.
b) RISCHIO BASSO: struttura in cui può essere fatta diagnosi di TBC, ma in quel caso il pz viene
trasferito in una struttura adeguata.
c) RISCHIO INTERMEDIO: in cui la positività alla Mantoux non è maggiore rispetto alla
popolazione generale e non si sono avute positività negli operatori negli ultimi 3 mesi.
d) RISCHIO ELEVATO: in cui c’è una positività maggiore della popolazione generale e si è avuto
un cluster di cuticonversione fra gli operatori.
2. MISURE PREVENZIONE E PROTEZIONE: attraverso:
a) Misure di prevenzione ambientale
b) Gestione di casi indice
c) DPI
d) Vaccinazione: con bacillo di Calmette e Guerin, un vaccino vivo attenuto costituito da un
ceppo di M.Bovis; essa non viene più fatta a tappeto per gli operatori sanitari, ma deve
essere considerata per:
♦ Operatori esposti a documentato rischio di infezione da bacilli MDR
♦ Soggetti con controindicazioni all’uso di farmaci antitubercolari.
♦ Bambini nati in aree endemiche.

Oramai, comunque, l’unica misura di prevenzione prevede la Mantoux periodica e chemioprofilassi


dopo consenso informato.

3. CHEMIOPROFILASSI: isoniazide per 6 mesi, somministrazione quotidiana, al fine di andare a ridurre


il serbatoio naturale della malattia tubercolare.
Secondo l’OMS, per prevenire la trasmissione nosocomiale della tubercolosi, il controllo deve
essere attuato su tre livelli che, in ordine di priorità, sono:
GESTIONE DEL PZ CONTAGIOSOCONTROLLI CHE RIDUCONO LA CONCENTRAZIONE DEI DROPLET
NUCLEI INFETTIDPI.

4. SORVEGLIANZA SANITARIA: attraverso 3 momenti fondamentali:

a) VISITA PREVENTIVA:
Anamnesi valutazione della storia personale o familiare di TBC, valutando se è stata già
fatta la vaccinazione così da evitare una seconda somministrazione.
EO valutare segni e sintomi compatibili con TBC.
Diagnostica esecuzione di Mantoux (positività per pomfo >o=10mm) al tempo 0 e dopo
60gg, perché potrebbe non essersi positivizzata.
Nei pz positivi con vaccinazione, si esegue IGRA per conferma.

b) CONTROLLI PERIODICI: anamnesi, EO e mantoux ogni 12 mesi in caso di rischio intermedio


o ogni 6 mesi in caso di rischio alto.

c) ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A SEGUITO DI INCIDENTE/INFORTUNIO: apposito


monitoraggio a tutti i soggetti individuati come contatti stretti.

5. FORMAZIONE E INFORMAZIONE

Alla fine della sorveglianza sanitaria si esprime un GIUDIZIO DI IDONEITA’:

1. IDONEITA’ PIENA: in caso di contatti che non si sono positivizzati, lavoratori con TBC latente che
rifiutano la terapia ma non afferiscono a reparti a rischio o lavoratori con malattia eradicata
farmacologicamente.
2. IDONEITA’ CON LIMITAZIONI: lavoratori con forme latenti che rifiutano la chemioprofilassi e che
afferiscono a reparti a rischio o lavoratori con controindicazioni a vaccino o terapia.
3. IDONEITA’ CON PRESCRIZIONI: lavoratori che afferiscono a reparti con alto rischio per TBC MDR
4. IDONEITA’ TEMPORANEA: lavoratori con TBC attiva o in corso di trattamento farmacologico.
EPATOPATIE PROFESSIONALI
Sono un gruppo di patologie causate dall’esposizione a agenti infettivi, fisici o chimici; benchè il fegato sia
vulnerabile, sono comunque poche le condizioni in cui l’esposizione ad un agente tossico può essere
riconosciuta come causa di epatopatia, per cui frequentemente si tratta di esposizioni acute ad alte
concentrazione e per lo più accidentali. Il tutto è però favorito da alcuni fattori, come:

1. Uso di sostanze voluttuarie (alcool) o cattiva alimentazione


2. Malattie dismetaboliche
3. Uso di farmaci
4. Suscettibilità individuale

Eziopatogenesi: alla base del danno vi è un’interferenza di questi agenti con i processi metabolici essenziali
dell’epatocita come sintesi proteica, ATP ecc., che determina un danno alle strutture essenziali
dell’epatocita e distruzione dello stesso. I principali agenti coinvolti sono:

1. AGENTI INFETTIVI: possiamo avere:


a) Epatiti virali: da:
♦ VIRUS A: a rischio per:
 Personale di cura e assistenza, laboratorio, servizio e manutenzione, a contatto con
materiale biologico dei pz affetti.
 Personale di asili nido, cucine e addetti al settore alimentare.
 Operatori ecologici.
♦ VIRUS B e C:
 Personale infermieristico, sanitario, studenti, tirocinanti che vengono a contatto
con siringhe o aghi infetti.
 Addetti alla manipolazione di materiale biologico.
 Addetti alla raccolta di rifiuti domestici e ospedalieri.

b) Epatiti batteriche: epatite brucellare  a rischio pastori, allevatori, veterinari.


Morbo di Weil a rischio agricoltori, fornaciai, pescatori d’acqua dolce.
c) Epatiti protozoitarie: ascesso amebico.
d) Epatiti parassitarie: echinoccosi a rischio agricoltori, veterinari, pescatori, allevatori.

2. AGENTI FISICI: raramente il fegato è bersaglio di agenti fisici, anche se risulta sensibile soprattutto a
colpi di calore, con danno del metabolismo evidente già per temperature > 41° (alterazioni
ischemiche e colestatiche). Nelle forme più severe si può avere congestione, degenerazione e
necrosi epatocellulare.

3. AGENTI CHIMICI: possiamo classificarle in base alla modalità con cui si realizza il danno:
a) STEATOSI: degenerazione grassa del fegato, legata a metalli (arsenico, fosforo, selenio),
idrocarburi alifatici (CCl4), alcoli ecc.; tali sostanze bloccano il metabolismo degli a.g. e ne
determinano accumulo a livello epatico.
Diagnosi:
♦ Test di laboratorio (ALT e AST): negativi in assenza di flogosi.
♦ ECO e TC: 3 gradi ecografici in base a se la perdita di echi in profondità è <33%, <50% o
> 50%.
♦ Diagnosi di certezza con biopsia epatica: in genere la steatosi è indice di esposizioni
croniche.

Evoluzione: è reversibile allontanando l’agente, ma nei casi gravi si può avere cirrosi
b) EPATOPATIA CRONICA FIBROSANTE: evoluzione variabile in base all’esposizione:
♦ Acuta CIRROSI POST NECROTICA: condizione cronica e irreversibile, dove la normale
architettura del lobulo è sostituita da tessuto fibroso e noduli. In genere è legata a
sostanze come CCl4, fosforo e dimetil-nitrosamina.
♦ Cronica FIBROSI EPATICA DIFFUSA: fibrosi periportale senza alterazione
dell’architettura fondamentale del fegato. Molto frequente negli anni 50-60’ per
lavoratori esposti a cloruro di vinile monomero (CMV).

c) EPATOMEGALIA ASINTOMATICA DA INDUZIONE ENZIMATICA: causata da sostanze capaci di


indurre l’attività di sistemi enzimatici dell’epatocita come pesticidi, idrocarburi, alcoli,
diossine, benzene e toluene. Inizialmente, l’esposizione a queste sostanze determina:
♦ Ipertrofia
♦ Iperfunzione
♦ Assenza di segni di danno.

All’aumentare della dose o dell’esposizione avremo poi deficit, scompenso metabolico e


danno.

d) COLESTASI INTRAEPATICA: raro in ambito lavorativo. L’unica sostanza capace di


determinarlo è il 4,4 diaminodifenilmetano, utilizzato come indurente delle resine
epossidiche.

I principali agenti epatotossici sono i SOLVENTI ORGANICI, impiegati sia come materie prime che
come componenti di vernici, diluenti, collanti e inchiostri.
Patogenesi: flogosi e disfunzione del cit.450, con conseguente disfunzione mitocondriale e
stress ossidativo.
Clinica:
♦ Esposizione acuta necrosi o steatosi.
♦ Esposizione cronica cirrosi epatica.

Diagnosi: attraverso:

1. Anamnesi lavorativa
2. Caratteristiche cliniche associate alle epatopatie: fatica, perdita di peso e appetito, ittero, prurito.
3. Relazione temporale tra esposizione e inizio dei sintomi: per distinguere fra acuto e cronico.
4. Esclusione di altre cause di danno epatico
5. Ricerca di segni e sintomi di danno extraepatico
6. TEST PER VALUTARE L’EPATOTOSSICITA’:
 Marcatori sierici: distinti in:
• Markers di necrosi AST e ALT:
Incremento severo di 8-10 volte danno acuto.
Incremento modesto di 2-3 volte danno cronico in risoluzione.
• Markers di colestasi AP (fosfatasi alcalina) e GGT
 Test biochimici di funzionalità epatica:
• Test Clearance epatica: valutando captazione, metabolismo e escrezione.
• Test del metabolismo epatico: valutando l’attività metabolica degli enzimi epatici nella
clearance di sostanze esogene.
• Test della funzione di sintesi epatica (albumina, ferritine, fattori della coagulazione).
 Esami strumentali: eco, TC, RMN
 Biopsia epatica: gold standard per la diagnosi delle patologie parenchimali subacute e croniche.
EMOPATIE PROFESSIONALI
Disordini ematologici conseguenti all’esposizione ad agenti nocivi presenti in ambito lavorativo.

Classificazione: distinguiamo:

1. In base all’agente tossico:


a) Agenti fisici radiazioni ionizzanti.
b) Agenti chimici piombo, benzene, sostanze metemoglobinizzanti.
c) Agenti biologici anchilostomiasi.
2. In base alla sede d’azione:
a) Sull’organo emopoietico benzene
b) Sul sangue circolante CO, sostanze emolizzanti.
c) Su entrambi (Pb), sull’emostasi/coagulazione (CS2)

Meccanismi fisiopatologici: l’agente tossico può agire:


Dove Come
1. Cellule staminali del midollo 1. Agente cancerogeno/mutageno
2. Cellule periferiche 2. Agente emolitico
3. Piastrine 3. Agente metaemoglobinizzante
4. Fattori della coagulazione 4. Aptene di processi Immunobiologici
5. Parete vasale

Principali manifestazioni:

1. METAEMOGLOBINEMIA: condizione patologica in cui più dell’1% dell’Hb si trova sottoforma di


metaemoglobinemia, cioè con la presenza di un Fe in stato ossidato (Fe3+) invece che ridotto
(Fe2+), che risulta quindi incapace di trasportare O2.

Eziopatogenesi: i principali agenti coinvolti sono:


a) Composti aminici e nitroderivati (es. industria gomma e coloranti).
b) Composti nitro alifatici (es. industria petrol-chimica).
c) Farmaci come antimalarici o cloramfenicolo (industria farmaceutica).

Clinica: ha un esordio spesso insidioso con astenia, cefalea, vertigini, cardiopalmo, dispnea. Poi la
sintomatologia varia in base alla percentuale di metaemoglobina nel sangue:
a) >10%  cianosi
b) >20%  dispnea
c) >30%  cut off oltre il quale si ha danno d’organo.
d) >70%  coma

Diagnosi: dosaggio metaemoglobina e striscio di sangue periferico CORPI DI HEINZ.


Terapia: si procede con ossigenoterapia ad alti flussi, lavaggio della cute per l’assorbimento trans
dermico e lavanda gastrica; in caso di valori >20%  blu di metilene.
In caso di emolisi massiva trasfusione di emazie concentrate.

2. ANEMIA: le sindromi anemiche secondarie ad esposizione occupazionale possono essere distinte in


a) ANEMIE DA ALTERATA PRODUZIONE DI ERITROCITI: 65% idiopatiche, 35% secondarie a
microrganismi, farmaci, sostanze chimiche e radiazioni ionizzanti.

Patogenesi: diverse sostanze tossiche come benzene, RI, pesticidi, arsenico e agenti
alchilanti inibiscono la sintesi di eme e degli acidi nucleici dei GR immaturi, determinando:
♦ Danno diretto sulle cellule staminali
♦ Danno immunomediato sulle cellule staminali
♦ Danno a carico dell’ambiente stromale:

Clinica: l’EO è generalmente nella norma, con assenza di linfadenomegalia o splenomegalia.


In genere c’è regressione spontanea se rimossa la causa, altrimenti si va incontro a
cronicizzazione ed è necessario il trapianto di midollo osseo. Può anche evolvere in
sindrome mielodisplastica o in leucemia acuta.

Diagnosi:
♦ Biopsia midollare: ridotta cellularità, morfologia normale, assenza di infiltrazione neopl.
♦ Esame emocromocitometrico: anemia normocromica normocitica e conta
reticolocitaria ridotta. La presenza a tale esame di deficit a carico di 2 o più linee
cellulari con o senza sintomi deve sempre far pensare a uno stato di aplasia midollare.

b) ANEMIE EMOLITICHE: i principali meccanismi patogenetici sono:


♦ Stress ossidativo
♦ Immuno-allergico formazione di auto-IgG contro proteine eritrocitarie.
♦ Lesivo diretto alterazione della struttura delle emazie per agenti come piombo,
benzene, arsilina, anilina, mercurio, argento, rame.

3. POLICITEMIA: aumento percentuale della massa dei GR nel sangue. Può essere:
a) Primaria.
b) Secondaria: da cobalto, CO. Si determina un’inibizione del metabolismo ossidativo con
ipossia e stimolazione alla secrezione di eritropoietina.
Nel caso di policitemia da CO, i più esposti sono:
♦ Esposti a fumi di saldatura.
♦ Esposti a gas di scarico di motori a scoppio (meccanici, vigili urbani).
♦ Esposti a fumi in corso di incendi e esplosioni (vigili del fuoco).
♦ Produzione o distribuzione di miscele gassose contenenti CO (industria chimica).

4. PIASTRINOPENIA: rare, descritte in seguito a esposizione a pesticidi organoclorurati o isolamento di


poliuretano toluene.

5. SINDROMI MIELODISPLASTICHE: gruppo eterogeneo di disordini clonali del midollo osseo


caratterizzati da un’alterata maturazione delle cellule emopoietiche con insufficiente e anomala
produzione di GR, GB e piastrine e da un rischio variabile di trasformazione leucemica.
Si caratterizza per:
a) Anemia microcitica alo striscio di sangue periferico
b) Anomalie della conta piastrinica
c) Ipercellularità a livello del midollo osseo
d) Frequenti anomalie citogenetiche del midollo
e) Assenza di alterazioni metaboliche o deficit nutrizionali (Fe o v.B12).

Diversi studi hanno dimostrato associazione di tale condizione con radiazioni ionizzanti,
chemioterapia, benzene, e altre attività lavorative come addetti all’agricoltura, settore tessile ecc.

6. NEOPLASIE DEL SISTEMA EMOLINFOPOIETICO: tra cui LH, LNH a cellule B e T, leucemia e mieloma
multiplo. Gli unici agenti occupazionali per cui è stato dimostrato effetto cancerogeno sul sistema
emopoietico sono benzene e radiazioni ionizzanti.
NEFROPATIE PROFESSIONALI
Alterazione dell’integrità strutturale e funzionale del rene, alla quale l’attività lavorativa abbia dato un
contributo eziopatogenetico.

Eziopatogenesi: distinguiamo due tipi di nefropatie:


1. Acute: da esposizione a farmaci e sostanze chimiche legate all’attività lavorativa svolta.
2. Croniche: difficoltà nell’individuare l’eziologia professionale.

I meccanismi con cui una sostanza può portare danno renale sono vari:
1. TOSSICO DIRETTO: interessa quasi esclusivamente le cellule del tubulo contorto prossimale dei
nefroni sottocapsulari. In questo caso avremo alterazione dell’omeostasi del Ca deplezione ATP
cellulare ossidazione gruppi sulfidrilici di membrana abnorme attività dellafosfolipasi
compromissione integrità della membrana e delle attività enzimatiche formazione di ROS.

Agenti che agiscono in tal modo sono piombo, cadmio, cromo, arsenico, solfato di rame, mercurio,
idrocarburi policiclici aromatici e alifatici e le RI.
I quadri che si sviluppano sono del tutto simili alla sindrome di Fanconi (aminoaciduria, glicosuria,
fosfaturia, proteinuria a basso PM); in particolare:
a) Per esposizioni acute (dosi massive): avremo tubulo necrosi e IRA.
b) Per esposizioni croniche (dosi minori): avremo danno tubulare.

2. ISCHEMICO-ANOSSICO: il distretto colpito più precocemente e severamente è la corticale renale,


ma nei casi più gravi si può avere anche danno tubulare.

3. IMMUNO-MEDIATO: in questo caso avremo una risposta dose dipendente che interessa soggetti
che hanno una particolare predisposizione. Le sostanze più coinvolte sono mercurio, Sali d’oro e
idrocarburi utilizzati come solventi.
Patogenesi: le sostanze si comportano come apteni e legano antigeni autologhi, rendendo le cellule
immunogeniche e attivando la risposta infiammatoria nei loro confronti da parte di cellule T.
Clinica: s. di Goodpasture o GN membranosa.

4. OSTRUTTIVO: condizioni che determinano:


a) Emoglobinuria solfato di rame e idrogeno arsenicale.
b) Metaemoglobinemia amine aromatiche, propile e nitrati di Na e K
c) Mioglobinemia per intossicazione da CO o Crush-syndrome

5. INFETTIVO: da legionella, leptospira, HIV, HBV, che agiscono con meccanismo citotossico diretto
sulle cellule tubulari. La leptospira, inoltre, agisce anche con un meccanismo secondario attraverso
la sindrome emorragica sistemica. I principali lavoratori esposti in questo caso sono:
a) Lavorator agricoli e forestali
b) Addetti ai laboratori di ricerca a contato con roditori
c) Addetti a manutenzione di impianti di condizionamento, vasche, piscine.
d) Personale sanitario.

Clinica:
1. IRA: sindrome clinica caratterizzata da una rapida riduzione della funzione renale che determina:
a) Oligo anuria (Volume urinario < 400-500 ml/24h)
b) Alterazioni elettrolitiche (iperkaliemia, iperfosforemia, iponatremia)
c) Alterazioni dell’equilibrio acido-base
d) Rapido aumento di urea e creatinina
e) Si possono associare IA e edema polmonare.
Distinguiamo 3 tipi di causa di IRA:

a) PRE RENALE: per ridotta PA o ridotto volume circolante.


b) POST RENALE: per ostruzione delle vie escretrici
c) RENALE: per lesioni organiche del parenchima.

2. IRC: perdita graduale, progressiva e irreversibile della funzionalità renale; in fase iniziale si presenta
in genere asintomatica, per poi comparire lentamente una serie di alterazioni idroelettrolitiche,
deficit di v.D e eritropoietina, acidosi metabolica e necessità di dialisi.

Principali agenti nefrotossici:


1. PIOMBO: intossicazione cronica con danno tubulo interstiziale.
2. CADMIO: possiamo avere:
a) Intossicazione acuta: nausea, vomito, diarrea, dolore toracico, edema polmonare, crampi
muscolari, cefalea, ipersalivazione.
b) Intossicazione cronica: enfisema polmonare, necrosi spermatocitaria, IRC.

Segni di disfunzione renale si presentano con aumentata escrezione di proteine a basso PM; in fase
avanzata compaiono poi sindrome di Fanconi conclamata, fibrosi interstiziale diffusa e IR terminale.
Il cadmio rientra nelle sostanze per cui vige l’obbligo di denuncia.

3. CROMO
4. SILICE
5. IDROCARBURI:
a) Tossicità acuta: neurotossicità centrale, irritazione di cute e mucose, Gn membranosa,
cardiotossicità, epatotossicità, s. di Goodpasture.
b) Tossicità cronica: SNC, SNP, midollo osseo, fegato, mucose.
6. ARSENICO E ARSINA
7. PARAQUAT E DIQUAT

Diagnosi:
1. Anamnesi lavorativa: volta a individuare le sostanze potenzialmente nefrotossiche, l’entità e la
durata dell’esposizione.
2. Sorveglianza sanitaria: il medico del lavoro sottopone ad indagini preliminare e periodiche sulla
funzionalità renale i lavoratori
a) Esposti a rischi specifici
b) Soggetti che sia clinicamente che anamnesticamente fanno sospettare nefropatie o
pregresse esposizioni a sostanze nefrotossiche.

I principali parametri valutati risultano albumina, proteine a basso PM (B2 microglobulina) e


indicatori di citolisi come NAG.
AGENTI DI RISCHIO TRASVERSALI
Dal 2008, nell’ambito degli agenti di rischio trasversali, lo stress da lavoro viene riconosciuto per la prima
volta come agenti di rischio a tutti gli effetti. Lo stress da lavoro è una condizione definita come un insieme
di reazioni fisiche ed emotive, non commisurate alle capacità e risorse provenienti dall’esterno, che non
viene inteso come malattia ma come segnale di malattia che può derivare qualora a livello lavorativo non
vengano effettuate le dovute misure di protezione e prevenzione atte a ridurre al minimo tali
manifestazioni; esso viene studiato in medicina del lavoro perché condizioni di stress insorte sul lavoro
sono facilmente correlate agli infortuni quindi ridurre lo stress significa ridurre gli infortuni.

Epidemiologia: lo stress è il secondo problema di salute in Europa, dopo le problematiche muscolo-


scheletriche, con un’incidenza di quasi un lavoratore su quattro. In Italia solo nel 2008 è stato riconosciuto
ed è stato inserito nel DL 81/2008. Il riconoscimento dello stress da lavoro era stato fatto dalla legislazione
europea per accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress da parte delle autorità, dei
lavoratori e dei loro rappresentanti.

Nell’articolo 28 del DL 81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo
stress presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei lavoratori e
della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono stressati per motivi
lavorativi. Tuttavia nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo stress ma non veniva detto
come; la circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico che rappresenta il livello di
attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di lavoro.
La valutazione dello stress viene fatta in due fasi:
1. Valutazione preliminare (obbligatoria): si vanno a valutare degli indicatori oggettivi, per cui il
datore di lavoro fa un’analisi statistica di:
a) Indici di infortuni presenti in quell’azienda
b) Valutare il numero di assenze per malattia
c) Valutare il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto delle leggi sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro.
d) Valutare degli indicatori di contesto e contenuto: vengono fatte delle domande, ad es:
l’illuminazione nella stanza è sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue
conoscenze? Com’è la sedia?
Viene quindi proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande. Queste
domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto
ai compiti a cui deve assolvere, se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori
sono adeguati.

Tutto ciò permette di fare lo screening preliminare per capire se siamo in un rischio basso di stress
lavoro correlato o meno, espresso in percentuale.
a) Se questa percentuale è uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza
particolari condizioni di disorganizzazione lavorativaNon c’è stress. La legge prevede che
la rivalutazione si faccia dopo 24 mesi in maniera obbligatoria.
b) Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio dal 25 al 50%, immediatamente il
datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali, organizzativi e
strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress. C’è un anno
per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato psicologico del
lavoratore. Dopo un anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito.
c) Se l’esito è ancora positivo si passa alla fase eventuale, seconda fase.
2. Valutazione eventuale: si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo
programma il datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del
lavoro, che hanno la competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari
stress lavoro correlati. I questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito.

In questo caso entrano in gioco una serie di interventi non solo a livello strutturale, organizzativo e
ergonomico, ma si parla di soluzioni terapeutiche all’individuo, quindi si può arrivare alla proposta
di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune realtà industriali grandi attivano uno sportello
fatto da persone competenti dove il lavoratore stressato va e segue il suo percorso. La legge
prevede che dal momento in cui si scopre al momento in cui si deve risolvere ci siano tutti gli
strumenti per eliminare la problematica di stress lavoro correlato.
Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore stressato, ma è
previsto che il medico del lavoro, nell’ambito della sorveglianza sanitaria, scopra eventuali
condizioni di disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica; la sorveglianza
sanitaria viene quindi proposta come occasione per scoprire delle situazioni di disagio psicologico
da segnalare al datore di lavoro.

Il DL 81/2008 alla voce stress associa due condizioni in particolare:


1. Mobbing: attività persecutoria che in quanto tale può portare all’espulsione del lavoratore
dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in vere
e proprie malattie psichiatriche come il “disturbo post-traumatico da stress” e il “disturbo da
disadattamento lavorativo”; solo queste due condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul
territorio preposto al risarcimento da malattia professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore
ha sviluppato “disturbo post traumatico da stress lavorativo” e “disturbo da disadattamento
lavorativo”, indennizza il lavoratore.
I lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato coinvolgimento
lavorativo o hanno ridotte capacità lavorative, come lavoratori immigrati oppure soggetti con
disabilità che hanno una soglia individuale più bassa.
Le conseguenze sulla salute sono inizialmente cefalea, ansia, depressione, disturbi
dell’alimentazione; in seguito si associa a queste patologie una vera e propria patologia d’organo.

2. Sindrome del burnout: è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure
professionali d’aiuto (educatori, insegnanti, medici, poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri, sacerdoti,
operatori assistenziali, psichiatri, psicologi), definita come una patologia che si manifesta con il
deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro.
Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la
persona che viene assistita. In percentuale la categoria più a rischio è rappresentata dal settore
degli insegnanti e dai video terminalisti che lamentano tutta una serie di fattori di malessere
(attività lavorativa monotona); se non opportunamente trattati, essi sfociano nella fase finale del
burnout di logoramento psico-fisico che è l’apatia.
Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:

a) Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;


b) Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la
possibilità di realizzarle nell’ambiente lavorativo;
c) Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;
d) Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che
viene definita vera e propria “morte professionale”.

Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi
come in futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.
PATOLOGIE MUSCOLOSCHELETRICHE DA SOVRACCARICO BIOMECCANICO
Sono patologie a carico di strutture osteomuscolo-neuro-tendinee e delle borse, che risultano sottoposte
ad un costante impegno funzionale sovraccarico biomeccanico.
Sono molto diffuse, determinando conseguenze pesantissime a:
1. Lavoratore determinando sofferenza e possibile riduzione del reddito
2. Datore di lavoro riduzione dell’efficienza aziendale
3. Paese aumento della spesa sanitaria e previdenziale

I principali organi colpiti risultano:


1. RACHIDE: dove possiamo avere:
a) DEGENERZIONE DEL DISCO INTERVERTEBRALE (ERNIA DISCALE): il sovraccarico
biomeccanico determina infatti microfratture delle cartilagini limitanti e dell’anello fibroso
del disco, cui si associa il progredire del nucleo polposo e quindi l’ernia.
b) DEGENERAZIONI ARTROSICHE: le degenerazione del disco si associa anche a detensione dei
legamenti longitudinali, con formazione di becchi artrosici nei soggetti più maturi.
La pressione critica sui dischi lombari al di sotto della quale non si verificano danno è di circa 250kg
di forza di compressione.

2. ARTI SUPERIORI:
a) TENDINITI e BORSITI DELLA SPALLA: frequente è la diagnosi di sindrome da conflitto
(periartrite scapolo-omerale) che può poi evolvere in tendinite calcifica (morbo di Duplay) o
nella s. della spalla congelata.
Possiamo anche avere tendinite della cuffia dei rotatori, processo flogistico che interessa
uno o più tendini fra sovraspinoso, sottospinoso, piccolo rotondo e sottoscapolare.
b) PATOLOGIE DA INTRAPPOLAMENTO DEI NERVI: come la s. del tunnel carpale.
c) DEGENERAZIONI ARTROSICHE:

3. ARTI INFERIORI PATOLOGIE DEGENERATIVE DEL GINOCCHIO.

Dal punto di vista legislativo, l’articolo 167 del titolo VI del DL 81/08 definisce come:
1. Movimentazione manuale dei carichi: operazioni di trasporto o sostegno di un carico ad opera di
uno o più lavoratori, comprese le azioni di sollevare, spingere, tirare, portare o spostare un carico
che comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso lombari.
2. Patologie da sovraccarico biomeccanico: patologie delle strutture osteoarticolari, muscolo-
tendinee e nervo-vascolari.

L’articolo 168, invece, definisce quelli che sono gli obblighi del datore di lavoro in questi casi:
1. Egli adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati pe evitare una
movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Se ciò non è possibile, egli fa comunque in modo di fornire ai lavoratori mezzi adeguati per ridurre il
rischio di sviluppare patologie conseguenti a tali carichi, come:
a) Organizza i posti di lavoro in modo da assicurare sicurezza e salute.
b) Si occupa dell’informazione, formazione e addestramento del lavoratore
c) Riduce i rischi di sviluppare patologie dorso-lombari, tenendo conto di:
♦ Fattori di rischio individuali: come:
 Inidoneità fisica
 Indumenti, calzature o altri effetti personali portati dal lavoratore
 Insufficiente conoscenza o formazione o addestamento.
♦ Caratteristiche dell’ambiente di lavoro.
d) Sottopone i lavoratori a sorveglianza sanitaria
La valutazione del rischio si effettua attraverso metodi diversi in base al tipo di movimento:
1. SOLLEVAMENTO METODO NIOSH: permette di determinare un peso limite raccomandato
attraverso un'equazione che, a partire da una costante di peso iniziale sollevabile in condizioni
ottimali, considera l'eventuale esistenza di elementi sfavorevoli e tratta questi con appositi fattori
di demoltiplicazione (che possono assumere valori compresi fra 0 e 1):
a) Se l’elemento di rischio potenziale corrisponde a una condizione ottimale il fattore
assume valore 1, quindi nessun decremento del peso iniziale.
b) Se l’elemento di rischio potenziale corrisponde a una condizione non ottimale il fattore
assume valore inferiore a 1 e sarà tanto più piccolo quanto maggiore è l’allontanamento
dalla relativa condizione ottimale.

Al termine della procedura di valutazione, è possibile calcolare l’indice di sollevamento (LI),


dividendo il peso realmente sollevato con quello limite raccomandato.
Valori <1 sollevamento sicuro (compreso fra 0.86 e 1).
Valori>1 all’aumentare del valore si riduce la quota di lavoratori in grado di svolgere il compito
senza rischio di sviluppare lombalgia.

2. MOVIMENTAZIONE PAZIENTI MAPO: tale indice si calcola come:


(NC/Op * FS+PC/Op * FA)*FC*Famb*FF dove FS fattore sollevatore
Essa quindi consente di: FA fattore ausili minori
a) Individuare i fattori coinvolti in ogni realtà FC fattore carrozzine
b) Stimare l’entità della riduzione dell’indice Famb fattore ambiente
di rischio in seguito agli interventi FF fattore formazione
c) Pianificare le misure preventive, NC/Op rapporto fra pz non collaboranti e operatori
intervenendo in modo mirato. PC/Op rapporto fra pz parzialmente collaboranti e
Tuttavia essa risulta non applicabile in ambiente operatori.
extraospedaliero.
ALLERGOPATIE PROFESSIONALI
Sono considerato come tale:

1. Le allergopatie legata a fattori esclusivamente presenti nell’ambiente di lavoro


2. Le allergopatie legate a fattori ubiquitari, particolarmente concentrati nell’ambiente di lavoro
3. Le allergopatie legate a fattori non professionali, ma aggravate dalla permanenza nell’ambiente di
lavoro.

Uno dei maggiori problemi per il medico del lavoro è quello di distinguere fra patologie allergiche e non
allergiche, ma soprattutto identificare la sostanza coinvolta, il che spesso non è semplice essendo il
lavoratore esposto contemporaneamente a molte sostanze. Fondamentale risulta distinguere fra:

1. FENOMENO IRRITATIVO: fenomeno infiammatorio che si verifica in risposta a un agente nocivo,


indipendentemente dalla predisposizione del soggetto. In tali casi basta ridurre l’esposizione per
avere un miglioramento della sintomatologia.
2. FENOMENO ALLERGICO: fenomeno infiammatorio umorale che si verifica per sensibilizzazione del
soggetto verso quella particolare sostanza che, normalmente, non risulta nociva. Bisogna in questo
caso togliere l’agente causale; nel caso in cui ciò non sia possibile, si va a ridurre l’esposizione e, se
la sintomatologia persiste, si cambia mansione (denuncia di malattia professionale).

Le differenze tra questi due fenomeni risiedono in alcune caratteristiche:


1. ANALISI DOSE SOGLIA:
Fenomeno allergico riduzione della dose soglia, per cui bastano periodi di esposizione sempre più
brevi per scatenare la sintomatologia.
Fenomeno irritativo: la soglia non varia, cioè devo dare sempre la stessa quantità di sostanza per
avere la lesione.
2. INDAGINE ANAMNESTICA:
Fenomeno allergico: si ha un certo periodo di latenza, per cui il fenomeno non insorge appena
espongo il lavoratore all’allergene, ma dopo un periodo che può variare da settimane a anni. Inoltre
la sintomatologia tenderà ad aggravarsi sempre più (pattern in crescendo).
Fenomeno irritativo: non esiste periodo di latenza ma le manifestazioni si verificano
immediatamente dopo il contatto.

Fattori di rischio:
1. Fattori dell’ospite (suscettibilità individuale):
a) Atopia
b) Fattori genetici
c) Iperattività specifica delle vie aeree
d) Fumo di tabacco
2. Fattori ambientali (relazione dose-risposta):
a) Livello espositivo
b) Durata
c) Frequenza

Principali allergeni: possono essere distinti in:


1. ALLERGENI DI ORIGINE ANIMALE: come acari, forfore animali, larve di coleotteri, per cui sono
maggiormente a rischio allevatori, veterinari, agricoltori.
2. ALLERGENI DI ORIGINE VEGETALE: come farine, fibre tessili, lattice, pollini, semi; nell’ultimo
decennio è però molto aumentata la frequenza di sensibilizzazioni al lattice, sostanza di origine
vegetale presente in molti oggetti, per cui diverse sono le categorie a rischio (lavoratori del settore
sanitario, soggetti che hanno subito ripetuti interventi chirurgici durante l’infanzia come i bambini
con spina bifida)
3. ALLERGENI DERIVANTI DA FUNGHI E BATTERI: come antibiotici, enzimi proteolitici; quindi sono
categorie a rischio i lavoratori delle industrie farmaceutiche, di biodetersivi e quelle alimentari
4. ALLERGENI CHIMICI: come farmaci e coloranti.

Clinica: le principali reazioni allergiche sono:

1. Asma da irritanti: è dato dall’esposizione acuta ad irritanti respiratori.


2. Asma bronchiale allergico: reazione di ipersensibilità di tipo 1, con il ruolo delle IgE; si manifesta
con i classici sintomi dell’asma, talora associato a manifestazioni cutanee.
Un caso particolare risulta quello dei lavoratori nelle fonderie, in cui ci sono spazi enormi coperti da
tettoie, ma aperti, per cui la causa di asma potrebbe essere anche legata all’esposizione al freddo.
Le sostanze sensibilizzanti sono numerose (almeno 250), e sono stati classificate in 2 gruppi:
a) ALTO PESO MOLECOLARE (>5000D): provvedono da soli allo sviluppo del meccanismo
allergico, fungendo da soli da antigeni completi.
b) BASSO PESO MOLECOLARE (<5000D): sono per lo più sostanze di sintesi chimica che
agiscono con meccanismi non del tutto noti.

3. Alveolite allergica estrinseca: reazione allergica a sostanze esogene presenti in ambiente


lavorativo, costituite da particelle di diametro inferiore ai 5 micron in grado di penetrare a livello
dell’alveolo. Le categorie più a rischio sono quelle che lavorano in atmosfere contaminate da
polveri organiche, come gli agricoltori/allevatori (es. FARMERS’LUNG o polmone del contadino 
dovuto al fieno ammuffito e fermentato che è ricco di spore fungine. Queste spore sono piccole,
vengono respirate e giungono fino all’alveolo).

Clinica: in questo caso il meccanismo alla base dell’alveolite è una reazione di tipo 3 (IC) o tipo 4
(linfociti T). Le manifestazioni possono essere:
a) Acute: dopo 4h dall'inalazione di polvere si hanno manifestazioni simil-influenzali come
cefalea, algie, tosse con scarso espettorato, febbre. Dopo 2-3gg la sintomatologia si risolve
spontaneamente.
b) Croniche: alterazione morfologica degli alveoli, fino a una vera e propria dispnea da sforzo.

Diagnosi:

a) RX torace: opacità pseudonodulari reticolari a causa della fibrosi, soprattutto ai campi medi
b) Prove di funzionalità respiratoria: essendoci una continua sostituzione fibrotica del
parenchima polmonare, si avrà un quadro di tipo RESTRITTIVO, con riduzione della
diffusione alveolo capillare.
c) Presenza i precipitine specifiche nel sangue circolante
d) BAL

4. Bissinosi: dovuta alla macerazione in ambiente umido di fibre come cotone, lino e canapa.
Determina la comparsa della febbre del lunedì, con una reazione simil-influenzale simile a quella
delle alveoliti che tende a peggiorare e cronicizzare col tempo.
Il tutto è legato alla liberazione diretta di istamina provocata da endotossine prodotte da batteri G-
presenti nella polvere del cotone.
5. Pneumopatia da metalli duri: tungsteno, cromo e vanadio, usati in tutti gli strumenti da taglio; in
genere si presenta nei lavoratori esposti con asma o alveolite (nelle forme più gravi).
Diagnosi: BAL, Rx torace e test di funzionalità respiratoria; se si ha un’allergia, si può anche andare
alla ricerca delle IgE specifiche Co-Hsa.
6. Rinite allergica: si presenta con starnuti, prurito, bruciore, ostruzione nasale e rinorrea acquosa
7. Congiuntivite allergica
8. Dermatite da contatto allergica
Il rischio allergologico per gli operatori sanitari si sviluppa soprattutto per:
1. MANUFATTI IN GOMMA: soprattutto il lattice nei guanti, anche se ormai si hanno a disposizione dei
guanti ipoallergenici come quelli di vinile e di nitrile. Nei quanti in lattice troviamo infatti:
a) Latex scatena un meccanismo IgE mediato con sintomatologia respiratoria e cutanea
b) Acceleranti, ossidanti e coloranti (molecole >5000Da) DAC o ipersensibilità tipo IV
c) Polvere di mais irritativo
2. DISINFETTANTI: come:
a) Formaldeide: agente cancerogeno usato in anatomia patologica come solidificante; solo
quella liquida è pericolosa in quanto può evaporare.
b) Gluteraldeide: usata soprattutto come disinfettante nelle endoscopie, risulta irritante ma
NON cancerogena.
3. FARMACI: come gli antiblastici, presenti soprattutto nel reparto di oncologia, sono sostanze
allergizzanti. Sono cancerogeni e hanno effetti genotossici e mutageni. Essi presentano:
a) Effetti irritanti su cute e mucose, con rischio di congiuntivite e ulcere corneali.
b) Effetti allergicilocali e raramente sistemici

I test da eseguire sono:


1. Prick test intradermico, con ago sottocutaneo lettura dopo 20 minuti.
2. Patch test: epicutaneo, cerotto con sostanza messo a contatto con la cute lettura dopo 48-96h.
3. Dosaggio IgE totali
4. RAST test: dosaggo IgE specifiche per un determinato allergene
5. Test d’uso far indossare il guanto al soggetto
6. Test di provocazione bronchiale per patologie respiratorie.
7. PEF: picco espiratorio di flusso per valutare la variabilità di risposta del lavoratore allergico nel
tempo

La prevenzione si distingue in:


Prevenzione primaria
Valutazione del rischio

Misure tecniche Controllo del rischio Sostituzione sostanza a rischio


Si esegue cercando di ridurre il rischio tramite robotizzazione del lavoro, mantenimento idonee condizioni
microclimatiche, uso di DPI, rotazione del personale esposto e schedatura di tutte le sostanze utilizzate.

Prevenzione secondaria

Personale (DPI) Igiene Ambientale

Protezione personale

Sorveglianza sanitaria
Con le finalità di verificare l’assenza di segni di malattia professionale e definire un giudizio di idoneità. Modalità:
1. Accertamenti preventivi: anamnesi, valutazione stato atopico, prove di funzionalità respiratoria.
2. Accertamenti periodici per esposti ad allergeni inalanti: anamnesi, test immunologici e spirometrici, reattività
bronchiale.
3. Accertamenti periodici per esposti a sostanze sensibilizzanti per contatto: anamnesi e test epicutanei.

Prevenzione terziaria Riabilitazione


LA TUTELA DELLA DONNA LAVORATRICE IN STATO DI GRAVIDANZA E
ALLATTAMENTO

Il decreto cardine che tutela la donna in stato di gravidanza è il decreto 151 del 2001 inserito all’interno del
testo unico 81/08. La legge 120 del 1971, la legge 53 del 2000 e la legge 151 del 2001 tutelano la donna
lavoratrice in periodo di gravidanza e allattamento. La tutela per la lavoratrice in stato di gravidanza e
allattamento non comprende solo i 9 mesi di gravidanza, ma fino ai 7 mesi successivi al parto.

La comunicazione di stato di gravidanza va effettuata dalla lavoratrice immediatamente al suo


riconoscimento certo in qualsiasi attività lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto, venendo a conoscenza
dello stato della lavoratrice, a tutelare per i primi 30-45 giorni lo sviluppo e l'integrità del bambino
allontanando la lavoratrice da qualsiasi agente teratogeno e quindi a modificare o cambiare la mansione;
quando il datore di lavoro non può cambiare mansione della lavoratrice, come può accadere nelle industrie
tessili dove la maggior parte del lavoro è manuale ma a contatto con numerose sostanze alcune teratogene,
fa un esposto all'ispettorato provinciale del lavoro chiedendo l'allontanamento della lavoratrice da quel
determinato fattore di rischio.
La novità del DL151/2001 è che la lavoratrice che non può svolgere altra mansione rimane a casa
percependo il suo salario, questa è la novità del decreto 151 del 2001 che tutela in pieno lo stato di
gravidanza, andando a far si che la donna non perda la sua attività lavorativa e allo stesso tempo venga
tutelata la salute del feto. Nel momento in cui si verifica questa condizione scatta quella che si chiama
interdizione anticipata per maternità. Questa interdizione ovviamente si verifica per quelle donne con alti
rischi lavorativi.

La legge 151 del 2001 prevede due allegati uno A e B dove vengono descritti tutti i lavori a cui la lavoratrice
non può essere più sottoposta. La lavoratrice in stato di gravidanza non può essere sottoposta a:
1. Vibrazioni meccaniche o a movimentazioni da manovale di carichi pesanti che comportano rischi a
livello dorso- lombare
2. Strumentazioni rumorose
3. Radiazioni ionizzanti superiori a 1 millisider
4. Sollecitazioni termiche (es: Vigili del fuoco)
5. Agenti biologici da 2 a 4 o agenti chimici come metalli e sostanze chimiche tossiche.
6. Turno notturno: dalle 24 alle 6 del mattino, fino ad un anno di vita del bambino, inoltre fino all'età
di tre anni può facoltativamente scegliere di fare o meno il turno notturno, allo scoccare del terzo
anno dovrà sottoporsi al turno notturno a meno che non sia esente per altre patologie.

CONGEDO OBBLIGATORIO PER MATERNITA'


Il COM scatta automaticamente due mesi prima del parto (a partenza dal settimo mese) e per i tre mesi
successivi alla nascita del bambino (con un ammontare totale di 5 mesi) indipendentemente dall'attività
lavorativa svolta. Nessun datore di lavoro può obbligare la donna a lavorare per i 5 mesi di COM, la quale
sarà normalmente retribuita. Esso può essere anticipato nel caso in cui:
1. Ci siano delle condizioni rischiose nei confronti della gravidanza per le quali non è possibile
effettuare una riorganizzazione lavorativa.
2. Gravidanza a rischio: la lavoratrice con certificato di visita ginecologica che attesta il rischio di
aborto e l'incompatibilità con il lavoro svolto può godere del congedo anticipato rimanendo a casa
la stessa giornata del rilascio e ritornare sul posto di servizio tre mesi dopo la nascita del bambino.
La lavoratrice se vuole può continuare a lavorare fino all'ottavo mese di gravidanza, previa
certificazione ginecologica e accettazione della domanda da parte del medico del lavoro della
struttura a cui afferisce, utilizzando il concetto di flessibilità del congedo. Ciò comporta di rimanere
a casa con il nascituro per 4 mesi dopo il parto anzichè 3 mesi, recuperando il mese avendo
posticipato il congedo.
ASSENZE RETRIBUITE NEL PERIODO POST-GRAVIDANZA

Se si prevede un orario di lavoro superiore alle sei ore la legge prevede un riposo di due ore; se invece
inferiore alle sei una sola ora di riposo, per i parti gemellari questo valore va raddoppiato o triplicato.
L'art. 28 DL. 81/2008 dice che il datore di lavoro nel diario del documento di valutazione del rischio deve
avere un capitolo a parte sulla gravidanza e sulla gestione della gravidanza; se non lo fa incombe in una
causa penale e una sanzione superiore a 15000 euro per danno biologico. Nella relazione il datore di lavoro,
oltre ad indicare le persone a rischio, deve specificare quali sono le misure per gestire la gravidanza, quali
sono le procedure immediate e quali sono le persone incaricate a gestire la condizione di gravidanza da
parte della lavoratrice.

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