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CAPITOLO I – LE FONTI E L’EFFICACIA DELLE NORME TRIBUTARIE

PREMESSA : RIPARTIZIONE E UNICITÀ DELLE FONTI DI DIRITTO TRIBUTARIO E NORME


COSTITUZIONALI
La materia tributaria è caratterizzata da norme che possono essere di diverso genere: impositrici,
agevolative, procedimentali, processuali, sanzionatorie; innanzitutto è fondamentale considerare
la forza che ciascun atto possiede in base all’ordine gerarchico delle norme , infatti la
collocazione gerarchica delle norme agisce in modo che gli effetti normativi non possono essere
modificati o estinti attraverso atti gerarchicamente subordinati : in caso di contrasto vige la
prevalenza della norma di grado superiore.
Alla base del sistema delle fonti del diritto tributario vi è l’ art. 23 Cost. secondo cui <<nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge>>.
L’art. 23 contiene una riserva (relativa e non assoluta) di legge, che corrisponde ad un principio
classico delle democrazie liberali (no taxation without representation), in base al quale ogni
intervento pubblico sulla proprietà e sulla libertà dei cittadini può avvenire solo per
legge.
I principi fondamentali in materia tributaria sono previsti prevalentemente da norme
costituzionali, che insieme alle norme comunitarie del Trattato UE, limitano l’attività del legislatore
nazionale ponendo una serie di divieti in sede di regolamentazione dei tributi; le norme
costituzionali operanti in materia tributaria sono riconducibili ai principi fondamentali sanciti negli
artt. 3 – 23 – 53 -75 – 81 – 117 - 119 Cost. . Sulla base di alcune di tali norme è stato
emanato in forma di legge ordinaria lo Statuto dei diritti del contribuente : legge n.
212/2000.
Attualmente l’assetto delle fonti di diritto tributario è caratterizzato da un ampliamento della
potestà normativa in materia tributaria, che non è più appannaggio esclusivo del legislatore
nazionale, ma è condivisa a livello locale con le Regioni, ed in misura più ridotta con i Comuni e le
Province dotati di sola potestà regolamentare.

LE NORME DEL TRATTATO UE IN MATERIA FISCALE: LE DIRETTIVE, LE DECISIONI ED I


REGOLAMENTI COMUNITARI
L’applicazione di norme comunitarie come quelle del Trattato UE, come quelle del Trattato di
Lisbona (entrato in vigore nel 2009) che ha istituito il TFUE Trattato sul Funzionamento
dell’Unione Europea, concernono la disciplina e lo sviluppo coerente ed equilibrato delle attività
economiche nel territorio europeo. I rapporti tra ordinamento comunitario e quello nazionale sono
stati oggetto di esame da parte della nostra giurisprudenza costituzionale fino al raggiungimento
della tesi del primato della norma UE rispetto a quella nazionale ed anche quelle
costituzionali (facendo salvi principi inderogabili della Costituzione). I principi dei trattati UE
apportano implicazioni per quanto riguarda la concorrenza e il libero mercato, tali principi
attraverso gli artt. 10, 11 e 117 Cost. vincolano il legislatore nazionale, il giudice e l’A.F. allo
stesso modo delle norme costituzionali. Le norme emesse dagli organi comunitari sono
regolamenti, direttive e decisioni :
● I regolamenti : hanno portata generale, sono integralmente obbligatori ed direttamente
applicabili in tutti il loro elementi in ciascuno degli Stati membri. Tuttavia, non essendo
interamente trasferita la competenza in materia fiscale alla UE, il regolamento in materia
tributaria limita eccessivamente la sovranità fiscale nazionale e pertanto, viene utilizzato in
casi particolari come quelle di repressione di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali in materia
d’IVA
● Le direttive : non hanno portata generale ma vincolano gli Stati membri per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, mentre è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati
l’adozione degli strumenti e i mezzi per raggiungerlo. Le direttive si collocano tra le fonti
primarie di diritto tributario e sono lo strumento maggiormente idoneo per raggiungere gli
obbiettivi di armonizzazione o integrazione fiscale, il loro effetto è diretto e quando
contengono disposizioni precise e incondizionate la cui applicazione non richiede norme
ulteriori, consentono di ovviare alle negligenze degli Stati membri (l’applicabilità diretta esprime
la funzionalità massima sul piano processuale, nel senso che un cittadino può vedere riconosciuto
il proprio diritto attraverso l’eliminazione di un comportamento incompatibile con il diritto CE,
perché ciò avvenga è necessario che la norma CE possa essere applicata dai giudici nazionali).
● Le decisioni : sono atti comunitari che riguardano casi specifici come gli aiuti di Stato, la
recente giurisprudenza (Cassazione) ha riconosciuto la portata vincolante di questi atti. Tali atti
comunitari se definitivi, incondizionati chiari e precisi, sono idonei a sopprimere o modificare la
norma interna che prevede l’aiuto e, anche con specifico riferimento agli aiuti di Stato, a vincolare
il giudice nazionale.

LE LEGGI ORDINARIE, LE LEGGI REGIONALI E GLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE:


DECRETI LEGGE E DECRETI LEGISLATIVI
LEGGI ORDINARIE : fonti del diritto tributario sono, principalmente, le leggi e gli altri atti aventi
valore di legge. L’art. 23 Cost. prevede la nascita dell’obbligazione tributaria attraverso lo
strumento della legge, il principio di riserva di legge contenuto nell’art. 23 Cost. è una garanzia
per i contribuenti. Le ragioni che giustificano il ricorso alla legge per l’individuazione e l’istituzione
dei tributi sono molteplici: innanzitutto la preminenza di tale fonte rispetto alle altre e la sua
subordinazione alle sole norme costituzionali evita la soccombenza in caso di contrasto con altre
fonti inferiori.
Di peculiare vi è che le leggi tributarie :
a) non possono essere abrogate con referendum popolare (art. 75 2° comma Cost.)
b) non possono essere approvate con la legge di bilancio (art. 81 Cost.), perché il costituente
ha inteso conservare la distinzione tra leggi sostanziali (che disciplinano i tributi e le spese) e
legge formale di mera approvazione del bilancio (predisposto dal Governo).
La funzione legislativa spetta al Parlamento; il Governo, però, può emanare decreti con forza di
legge, ossia decreti legge e decreti legislativi.
DECRETI LEGGE : i decreti legge sono <<provvedimenti provvisori con forza di legge>> che
possono essere adottati dal Governo
<<in casi straordinari di necessità ed urgenza>> e debbono essere convertiti in legge entro
60 gg. altrimenti decadono ex tunc; se il decreto non è convertito, vengono meno tutti gli effetti
giuridici sorti dal decreto.
DECRETI LEGISLATIVI : l’art. 77 Cost. consente al Parlamento di delegare al Governo
l’esercizio della funzione legislativa
<<con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e
per oggetti definiti >>; pertanto possono istituire tributi, nonché modificare o abrogare altre
norme di legge.
Vi è un uso abnorme di questi atti aventi forza di legge : il ricorso frequente in materia tributaria
al meccanismo della delega trova la sua ragione nella circostanza che le norme tributarie, per la
celerità dei loro interventi (per far fronte ad urgenti esigenze finanziarie dello Stato) o per il loro
tecnicismo mal si presentano per essere discusse in parlamento. Queste tipologie di fonte giuridica
conducono inevitabilmente ad un fenomeno di iperlegificazione e degenerazione della produzione
legislativa, determinando una situazione di profonda incertezza nei confronti del contribuente. Per
tale motivo ha assunto particolare importanza l’art.4 dello Statuto del contribuente con il quale si
è sancita l’inutilizzabilità del decreto legge per l’istituzione di nuovi tributi.
TESTI UNICI : il testo unico è una fonte caratterizzata da un particolare contenuto, ossia la
riunificazione in un unico testo, di norme contenute in leggi diverse (leggi, decreti
legge,decreti legislativi e regolamenti).

LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE


La legge n.212 del 2000, lo Statuto dei diritti dei contribuenti, ha introdotto una serie di
principi che sono espressione delle norme costituzionali. Le norme dello Statuto riguardano
i rapporti tra l’Amministrazione Finanziaria e contribuenti, disciplinano i procedimenti
tributari e prevedono nuovi e specifici obblighi per il legislatore e l’A.F. che contribuiscono ad una
maggiore civiltà giuridica nel nostro sistema fiscale oltre che nel rapporto fisco-contribuente.
Le norme contenute nella legge 212/200, in quanto leggi ordinarie, restano derogabili solo
espressamente da norme di pari rango, anche se la clausola di auto-rafforzamento prevista nello
Statuto dei diritti del contribuente (art.1) sancisce la deroga espressa delle norme dello Statuto e
l’impossibilità di derogarle attraverso norme speciali. Mentre la Corte Costituzionale ha escluso
il rango costituzionale di tali norme, la Suprema Corte di Cassazione ha considerato tali norme
aventi portata vincolante per l’interprete come <<utile parametro di riferimento ai fini
interpretativi>> e riconoscendo una <<superiorità dei principi espressi dallo Statuto>>.

I REGOLAMENTI GOVERNATIVI, I REGOLAMENTI MINISTERIALI


I regolamenti statali sono atti non aventi forza di legge e rappresentano fonti secondarie in
quanto si collocano immediatamente al di sotto della legge ordinaria, regionale e degli atti aventi
forza di legge. Questi atti assumono particolare rilevanza in materia tributaria in quanto vi è
spesso l’esigenza, a fini integrativi, di demandare l’attività di regolamentazione procedurale o
l’attuazione sul piano tecnico della disciplina legislativa ad atti amministrativi emanati dal
Ministero dell’Economia e delle finanze. I regolamenti si distinguono in governativi e
ministeriali:
 Regolamenti governativi : sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri
 Regolamenti ministeriali : sono adottati nelle materie di competenza di un singolo ministro,
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (D.p.c.m.)

I REGOLAMENTI E GLI STATUTI DEGLI ENTI LOCALI


L’autonomia normativa tributaria degli enti locali si basa su norme che rappresentano fonti
secondarie: Comuni e Province hanno un potere regolamentare tributario, nel rispetto degli artt.
23 e 119 Cost. , che non consiste nell’imporre e disciplinare autonomamente il tributo, ma nello
stabilirne ed individuarne gli aspetti procedimentali (accertamento e riscossione) ed un
potere agevolativo nell’ambito di quanto previsto dalla legge: quindi l’autonomia normativa
tributaria degli Enti locali si pone su di un piano diverso rispetto a quello delle Regioni in quanto
essa si basa su norme (regolamenti e statuti) che non possono rientrare nella sfera
dell’art. 23 Cost. Il d.lgs. 446 del 1997 (art.52) e la legge 42 del 2009 (art.12) definiscono i
limiti dell’autonomia tributaria o meglio impositiva degli enti locali e della potestà regolamentare.
Tuttavia sul regime delle esenzioni e delle agevolazioni e su altri aspetti dell’individuazione
della natura tributaria gli artt. 23 e 119 Cost. attribuiscono un grado di autonomia impositiva più
ampio agli enti locali rispetto al mero potere amministrativo di accertare e riscuotere i tributi
propri.

LE CIRCOLARI MINISTERIALI E LE RISOLUZIONI


Le circolari sono atti amministrativi di indirizzo con i quali vengono impartiti
dall’Amministrazione centrale istruzioni sul piano interpretativo agli uffici periferici allo
scopo di uniformare il comportamento di quest’ultimi e di orientare l’attività dei privati. Sia la
portata meramente interna, sia la mancanza di un vincolo legislativo di tali atti tende ad
escludere la loro efficacia giuridica, e quindi non sono vincolanti né per il giudice e né per i
contribuenti. Tuttavia è difficile non annoverare le circolari tra le fonti di diritto tributario in
quanto consentono all’A.F. di attuare precetti contenuti nelle norme giuridiche fornendo quindi un
utilissimo supporto. L’Amministrazione può modificare l’interpretazione di una disposizione di legge
ma il revirement interpretativo non può essere retroattivo, in quanto violerebbe la tutela
all’affidamento, nel caso di non irrogazioni delle sanzioni e richiesta di interessi su un
orientamento (delle circolari) sul quale il contribuente ha posto fiducia (art. 10 Statuto dei diritti
del contribuente su quanto disposto da art.97 Cost.).
Le risoluzioni invece, a differenza delle circolari, hanno diretta efficacia nei riguardi
dell’Ufficio al quale sono dirette e possono essere risposte a quesiti posti da privati; è quindi
difficile collocare tali atti tra le fonti, anche se apparentemente privi di portata generale rispetto
alle circolari, ma da come sottolineato dalla dottrina, possono assumere diretta rilevanza anche
per gli altri uffici per il fatto di costituire comunque dei precedenti per l’A.F., come avviene nei
pareri di interpello.

L’EFFICACIA ED ENTRATA IN VIGORE DELLE NORME TRIBUTARIE


Le leggi e i decreti legislativi dopo l’approvazione parlamentare e dopo la promulgazione da
parte del Presidente della Repubblica, sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale ed entrano in
vigore a partire dal 15° giorno successivo alla pubblicazione; i decreti legge, di solito,
hanno efficacia dal giorno della loro pubblicazione (salvo che non sia stata stabilita una data
diversa) e perdono efficacia ex tunc se non sono convertiti in legge entro 60 gg. . Di norma le
leggi e i regolamenti entrano in vigore (e sono efficaci) dopo un certo lasso di tempo, vacatio
legis, dopo la loro pubblicazione.

CESSAZIONE DELLE NORME TRIBUTARIE: ABROGAZIONE, DICHIARAZIONE DI


INCOSTITUZIONALITÀ, DECLARATORIA DI INCOMPATIBILITÀ COMUNITARIA
² ABROGAZIONE : uno dei casi di cessazione della legge più frequenti è quello
dell’abrogazione, regolata dall’art.15 delle disposizioni preliminari del c.c., il quale prevede che
essa può avvenire per : a) per dichiarazione espressa del legislatore , b) per incompatibilità tra le
nuove disposizioni e le vecchie, c) perché la nuova legge regola l’intera materia già disciplinata
dalla legge anteriore. Il legislatore generalmente si serve della deroga (espressa o implicita)
quando vuole introdurre un’eccezione alla disciplina dettata da una certa disposizione nel
corpo della stessa legge, al fine di garantire una maggiore certezza del diritto, avvolte in materia
tributaria, viene posto un divieto di deroga e di modifica se non in forma espressa. Con
l’abrogazione, l’efficacia di una legge abrogata cessa ex nunc: essa continua però a regolare i
fatti avvenuti nell’arco temporale che va dalla sua entrata in vigore fino alla data della sua
abrogazione.
² DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ : la dichiarazione di incostituzionalità di una
legge fa cessare l’efficacia ex tunc; perciò, dopo la pronuncia della Corte costituzionale,
la legge giudicata illegittima è da considerare come mai esistita.
² DECLARATORIA DI INCOMPATIBILITÀ COMUNITARIA : anche la declaratoria di
incompatibilità comunitaria, sancita dalla Corte di giustizia, fa cessare l’efficacia di una legge
ex tunc.
La perdita di efficacia ex tunc, in seguito alle sentenze della Corte costituzionale e delle sentenze di
incompatibilità comunitaria, consente ai contribuenti di esercitare il diritto al rimborso, con
esclusione dei casi in cui i rapporti si sono esauriti (come il passaggio in giudicato di una sentenza,
oppure come la prescrizione, oppure come la decadenza). Quindi non sembrano esserci dubbi
riguardo l’individuazione del dies a quo per poter esercitare il diritto al rimborso da indebito
versamento sorto a causa di incostituzionalità; mentre è un la situazione di incompatibilità
comunitaria dove il dies a quo decorre dal versamento del tributo ed è garantito dalla tutela
dell’affidamento.

L’EFFICACIA TEMPORALE DELLA NORMA TRIBUTARIA E LA RETROATTIVITÀ


Nel nostro ordinamento non esistono norme costituzionali che sanciscono un divieto della
retroattività in materia tributaria, ma disposizioni di rango inferiore come l’art. 11 delle Preleggi
sancisce che: <<la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto
retroattivo>> e l’art.3 della legge 212/2000 <<salvo quanto previsto dall’art.1, 2° comma,
le leggi tributarie non hanno effetto retroattivo>>, quest’ultima norma afferma (al
1°comma) che per quanto riguarda i tributi periodici, le modifiche introdotte in materia tributaria si
applicano al periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore. Quindi è particolarmente
complesso il problema dell’identificazione del concetto di retroattività tributaria nel nostro
ordinamento in quanto fenomeno patologico in grado di porsi in contrasto con una serie di
principi generali e norme dettagliate. Una norma tributaria si considera veramente retroattiva
quando risulta essere innovativa, irrazionale ed ingiustificata in modo da incidere sfavorevolmente
oppure di alterare e sconvolgere situazioni giuridiche consolidate o garantite.
Per graduare gli effetti della retroattività si sono operate alcune distinzioni come: la
retroattività propria (che sarebbe in grado di modificare fattispecie giuridiche già disciplinate
da precedenti leggi tributarie) e retroattività impropria (che si collega alla nascita di una nuova
obbligazione tributaria a fatti verificatisi all’emanazione della legge stessa); oppure la distinzione
tra norma retroattiva sostanziale attinente alla fattispecie e agli effetti, e norma di
applicazione immediata che è di tipo procedimentale e coinvolge un’attività amministrativa in
corso di svolgimento al momento dell’entrata in vigore della nuova legge.
Per limitare il fenomeno della retroattività, si è fatto inizialmente ricorso all’ attualità della
capacità contributiva espressa dall’art.53 Cost. o permanenza dell’idoneità alla contribuzione del
presupposto al momento dell’entrata in vigore della nuova legge e della prevedibilità, ma
l’attualità della capacità contributiva ha senso se è intesa in senso oggettivo e non quindi
riconducibile a stati soggettivi del contribuente. Più recentemente per limitare la retroattività
tributaria si è fatto ricorso al principio della tutela del legittimo affidamento, consentendo al
contribuente di operare sulla base di una situazione giuridica precedente all’innovazione
normativa senza subire il pregiudizio di successive modifiche sfavorevoli.
Un limite invalicabile della norma retroattiva resta quello delle situazioni consolidate come il
giudicato (sentenze passate in giudicato), la prescrizione e la decadenza.

EFFICACIA DELLA NORMA TRIBUTARIA NELLO SPAZIO


Particolare ed attuale problema in diritto tributario concerne la definizione dell’efficacia della norma
nello spazio. L’ iscrizione anagrafica di un soggetto riguardante la sua permanenza per la
maggior parte del periodo d’imposta in un determinato paese o il suo domicilio abituale, e per
quanto riguarda le società, il luogo della sede principale o degli interessi economici sono elementi
necessari per determinare la residenza ai fini fiscali; ma tali elementi presuntivi, avente
carattere formale, possono essere superati dalla dimostrazione della residenza
effettiva.
La maggior parte dei paesi UE e gli USA adottano il principio della tassazione del reddito
mondiale (worldwide taxtion) attraverso il quale si considera quale criterio impositivo il
collegamento soggettivo: la residenza fiscale assoggetta il reddito dei propri residenti
prodotto ovunque nel mondo al fine di recuperare gettito derivante da attività economiche
finanziarie svolte parzialmente in altro Paese. Altro criterio è quello della fonte (source taxation) e
si riferisce al territorio, quindi l’imposizione fiscale può essere effettuata esclusivamente nel
territorio di un Stato, a prescindere dalla provenienza di colui che la produce. Il binomio personalità
(residenza) e territorialità (fonte) si è espresso ai fini dell’eliminazione della doppia
imposizione internazionale.
In ambito comunitario dove l’obbiettivo principale è quello di favorire lo sviluppo economico degli
Stati membri sono limitati al perseguimento della libera concorrenza, all’eliminazione dei ostacoli
di natura fiscale, alle libertà fondamentali (ad es. divieto di discriminazione fiscale e divieto sugli
aiuti di Stato), in questo modo si è resa indispensabile una limitazione, attraverso norme
comunitarie, della sovranità fiscale nazionale al fine di garantire maggiormente i contribuenti da
eventuali disparità di trattamento. La cooperazione tra Amministrazioni Finanziarie (A.F.) in
ambito comunitario, sebbene prevista da norme comunitarie e nonostante risulti preliminare al
riconoscimento dello stesso trattamento fiscale tra residenti e non residenti, resta ancora limitata
dalle complessità e diversità di molti sistemi fiscali nazionali che usano metodi differenti di
determinazione delle basi imponibili.
CAPITOLO II – I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO TRIBUTARIO

PARTE I – I PRINCIPI COSTITUZIONALI: CAPACITÀ CONTRIBUTIVA,


SOLIDARIETÀ ED UGUAGLIANZA LA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA
Uno dei più importanti limiti sostanziali al potere impositivo è rappresentato dalla capacità
contributiva. L’ art. 53 Cost. stabilisce che <<tutti sono tenuti a contribuire alle spese
pubbliche in ragione della propria capacità contributiva >>, il principio del concorso alle
spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva è collegato ad altri precetti
costituzionali quali il principio di solidarietà sancito nell’art.2 Cost. dove è richiesto
<<l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale >> e
il principio di uguaglianza sancito nell’art.3 Cost., ed agli artt. 41 e 42 Cost. ; giustificando in
tal modo il sacrificio del singolo all’attività impositiva attraverso il fine solidaristico, economico e
sociale.
La nozione di capacità contributiva è sempre stata oggetto di dibattiti dottrinali e
giurisprudenziali. Alla luce dell’interpretazione della Corte costituzionale, l’art. 53 risponde
all’esigenza di garantire che ogni prelievo si basi su presupposti che siano concreti indici
rilevatori di ricchezza dai quali sia deducibile l’idoneità soggettiva all’obbligazione imposta,
salvo il controllo di costituzionalità sotto il profilo dell’arbitrarietà o irrazionalità. Successivamente
la Corte ha mutato orientamento riguardo l’idoneità soggettiva, anche grazie all’introduzione di
alcune norme comunitarie sulla concorrenza, passando da una concezione in senso oggettivo
ad una concezione oggettiva e non personalistica della capacità contributiva ritenendo che
qualunque fatto che esprime potenzialità o forza economica nella sua oggettività può
essere considerato presupposto d’imposta. La giurisprudenza costituzionale ha evidenziato
che il presupposto, espressione di potenzialità economica e a cui deve collegarsi la partecipazione
alle spese pubbliche, deve possedere i requisiti dell’effettività e dell’attualità:
² Effettività : la capacità contributiva deve essere innanzitutto effettiva nel senso di certa e
non meramente fittizia; ciò pone un limite all’attività del legislatore nell’identificazione del
presupposto e della base imponibile, dovendosi evitare il ricorso a mezzi o criteri di
determinazione miranti a colpire entità non esistenti in concreto in quanto elaborati in termini
astratti e forfettari che siano penalizzanti per i contribuenti come le presunzioni assolute.
² Attualità : strettamente connesso al requisito dell’effettività è quello dell’attualità di
imposizione fiscale che consente di limitare la retroattività della norma tributaria; deve
escludersi che la norma tributaria possa legittimamente assoggettare ad imposta situazioni che,
sebbene economicamente valutabili, non sono più attuali in quanto verificatesi in epoca remota
rispetto al momento genetico dell’obbligazione tributaria; tuttavia il criterio dell’attualità in
funzione antiretroattiva insieme a quello della prevedibilità sono tuttavia estremamente flessibili
in quanto soggetti ad interpretazione e a valutazioni inevitabilmente soggettive.
ãProgressività : intimamente connesso al principio di capacità contributiva ed a quello di
eguaglianza è il criterio di progressività al 2° comma dell’art 53 Cost. << Il sistema tributario
è informato a criteri di progressività >> che determina un aumento del carico tributario al
crescere della ricchezza prodotta in maniera proporzionale ed al quale si informa il nostro sistema
tributario.

L’UGUAGLIANZA : l’art.3 Cost. sancisce il principio dell’eguaglianza che si collega a quello


della capacità contributiva. Il principio di eguaglianza ha portata generale e postula lo stesso
trattamento giuridico sia impositivo che agevolativo di situazioni uguali o comparabili
(eguaglianza statica) e un trattamento diverso in situazioni diverse (eguaglianza dinamica).
L’art.3 nel 2° comma prevede l’obbligo di rimozione degli ostacoli di ordine sociale ed economico
che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini quindi un eguaglianza sostanziale. La Corte di
Cassazione ha inoltre considerato l’eguaglianza sostanziale congiunta all’art.53 Cost. quale
corollario del fenomeno dell’abuso del diritto in materia tributaria, in quanto consente di
contrastare operazioni elusive non espressamente previste dal legislatore e pertanto garantisce la
parità di trattamento fiscale.
L’eguaglianza tra tutti i contribuenti, strettamente connessa all’art.53 Cost., viene comunemente
intesa come eguaglianza verticale che verte sulla base economica e eguaglianza orizzontale
che verte sulla territorialità o provenienza dei soggetti (residenza).

LA RISERVA DI LEGGE – IL RIPARTO DELLA COMPETENZA LEGISLATIVA IN MATERIA


TRIBUTARIA TRA STATO – REGIONI – ENTI LOCALI
L’art.23 Cost. sancisce che <<nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge>>, quindi pone una garanzia dell’intervento pubblico sulla
proprietà e sulla libertà dei cittadini che può avvenire solo per legge e sono comprese non solo le
prestazioni imposte aventi carattere tributario, ma anche quelli non aventi tale natura.
L’art.23 Cost. quindi contiene una riserva di legge, riserva che è relativa e non assoluta,
tale natura relativa consente la corretta individuazione e ripartizione gerarchica tra la normativa
primaria e secondaria che disciplina la materia tributaria. La norma costituzionale richiede che la
prestazione patrimoniale sia imposta in base alla legge e non esclusivamente ad opera della
legge; da ciò si desume la possibilità di determinare con legge gli elementi essenziali, i criteri
generali e direttivi del tributo (base legislativa) e quindi di demandare a fonti diverse e
subordinate la regolamentazione degli elementi non essenziali e secondari come quelli
procedimentali: quindi l’art.23 quindi consente l’esercizio della potestà tributaria anche da parte di
enti diversi dallo Stato (ad es. enti locali), derivandone una più o meno ampia autonomia che essi
possono esercitare nelle aree non riservate alla legge.
Il legislatore deve comunque predeterminare i criteri base e le linee generali di disciplina della
discrezionalità amministrativa, cioè la base legislativa nei suoi elementi essenziali, vale a dire :
presupposto, soggetto passivo, base imponibile ed aliquota entro limiti prestabiliti. C’è da
considerare che sia la base imponibile che l’aliquota sono criteri di determinazione quantitativa
delle prestazioni, ma mentre la prima richiede un’attività complessa ed è quindi riservata
esclusivamente alla legge, l’aliquota può essere demandata a fonti diverse per motivi di esigenza
tecnica e specifica o per esigenze di amministrazioni locali.
L’art. 117 Cost. stabilisce al 1° comma che : << La potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali >>, quindi tenendo anche
conto degli artt. 23 e 119 Cost. la competenza tributaria è così ripartita :
² Allo Stato : è attribuita in via esclusiva la potestà di disciplinare il sistema tributario dello
Stato e di stabilire i principi fondamentali del sistema tributario complessivo.
² Alle Regioni : è attribuita potestà legislativa ma concorrente : l’art.117 Cost. al 4°
comma recita <<spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia
non espressamente riservata alla legislazione dello Stato >>. Anche perché l’art.23 Cost.
stabilisce una riserva di legge relativa, ed inoltre come stabilito nell’art.119 Cost. 2°comma <<
stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i
principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario>>, ciò significa che le
regioni possono istituire e stabilire tributi propri regionali determinando gli elementi
fondamentali nel rispetto del principio di coordinamento.
² Agli Enti Locali Comuni-Province- Città metropolitane: l’art.119 Cost. 1° comma, a
seguito della riforma del Titolo V, stabilisce che << I Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa >>; quindi
apparentemente, limitando la lettura al 1° comma dell’art.119 Cost. si potrebbe ritenere che
sia stato rimosso il limite all’autonomia finanziaria costituito dal rinvio alla legge nazionale,
ma al 2° comma lo stesso art.119 Cost. stabilisce che <<I Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile al loro territorio >>, quindi risulta chiaro che il potere di stabilire ed applicare
tributi ed entrate può attuarsi solo attraverso rispetto dei principi di coordinamento, e
quindi può essere garantito solo dalla legge nazionale, e dalle Regioni in ragione dell’art.
117 4° comma Cost.
La legge delega 42/2009 rappresenta la norma attuativa delle disposizioni contenute
nell’art.119 Cost. , che fissa i principi e le linee direttive in base alle quali sono stati e dovranno
essere emanati i decreti legislativi. Le interpretazioni della Corte costituzionale sull’art.119 Cost.
ha portato a considerare per lungo tempo l’attribuzione del potere di stabilire ed applicare
tributi locali in base al tipo di norma (legge dello Stato) con la quale sono stati istituiti, in
quest’ultimi anni, senza alcuna possibilità di intervento da parte dell’ente territoriale. Ma la
legge delega 42/2009 in attuazione dell’art.119 da una parte ha riconosciuto alle Regioni la
possibilità di istituire tributi con propria legge, nel rispetto del limite della doppia imposizione,
e di incidere su quelli propri istituiti dalla legge statale; dall’altra, tuttavia, ha previsto il doppio
vincolo nazionale e comunitario che consentirebbe di superare l’orientamento della Corte
costituzionale (a ciò vanno aggiunti gli obblighi derivanti dal patto di stabilità che non
consentono a nessun livello di governo di mantenere un
disavanzo ed un debito elevati e che incombono anche sugli Enti locali e sulla loro
autonomia finanziaria). Inoltre l’art.119 Cost. ai commi 2° e 3° prevede che lo Stato
dovrebbe assicurare agli Enti territoriali insieme ai tributi ed entrate propri, alla
compartecipazione relativa al gettito dei tributi collegati al territorio, e al fondo perequativo,
la sufficienza di risorse rispetto ai loro fabbisogni finanziari. L’autonomia di entrata e di
spesa “prevista” sul finanziamento degli Enti istituzionali si basa :
° su tributi ed entrate proprie
° su compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile a loro territorio (le
compartecipazioni sono una quota di un tributo statale che viene devoluto agli enti territoriali,
riducendosi la parte che viene incassata dallo Stato). La compartecipazione, essendo
destinata all’ordinario fabbisogno regionale, è considerata dalla nuova disposizione
costituzionale e dalla legge delega 42/2009 come relativa al gettito dei tributi collegati al
territorio regionale o dell’ente locale, la compartecipazione delle regioni ai tributi erariali dovrà
tenere conto del luogo di consumo, di quello di prestazione lavorativa e della residenza del
percettore dei tributi riferiti alle persone fisiche
° su un fondo perequativo, che senza vincoli di destinazione e sulla base di criteri diversi
rispetto al passato, sia volto a riequilibrare le finanze delle Regioni e degli enti locali (il fondo
perequativo è uno strumento che dovrebbe compensare eventuali squilibri fra le entrate
tributarie delle Regioni e consentire a tali enti di erogare i servizi di loro competenza a livelli
uniformi su tutto il territorio nazionale; lo scopo è quello di garantire che in tutte le Regioni, a
prescindere quindi dalla capacità di ricavare risorse fiscali dal loro territorio, siano rispettati gli
stessi standard nella prestazione di determinati servizi)

LA TUTELA DELL’AFFIDAMENTO, LA BUONA FEDE E L’IMPARZIALITÀ DELLA P.A.


(chiarezza, conoscenza ed informazione del contribuente)
La tutela della buona fede e del legittimo affidamento trova il suo riferimento nell’art.97 Cost.
ed è disciplinato dall’art.10 della legge
212 del 2000 (con riguardo all’operato dell’A.F.) e rappresenta uno dei principi fondamentali di
diritto tributario in quanto è volto a garantire la coerenza e la certezza del diritto in un
sistema complesso come quello fiscale. Gli artt. 5-6-7 dello Statuto del contribuente, nel prevedere
chiarezza, conoscenza e informazione del contribuente, rappresentano l’espressione del principio
costituzionale di buona fede e del buon andamento dell’attività svolta dall’AF, ispirato ad un
livello di civiltà giuridica basato sulla riduzione della conflittualità, sulla trasparenza,
sull’economicità dell’azione amministrativa e sulla partecipazione del contribuente.
Il principio dell’affidamento, nel suo naturale svolgimento, quindi non riguarda soltanto
l’attività discrezionale dell’amministrazione finanziaria, ma anche l’attività vincolante del
legislatore in quanto un comportamento scorretto può ipotizzarsi anche nelle attività di
quest’ultimo. Quindi la tutela dell’affidamento in materia tributaria svolge un’importante funzione
limitativa ai tentativi di arbitrarietà da parte dell’A.F. e del legislatore, infatti riguardo a :
² Portata retroattiva della legge : facendo riferimento agli interventi interpretativi su norme
oscure o confuse il divieto di retroattività della legge tributaria deve basarsi sulla tutela
dell’affidamento quale logico completamento del principio dell’attualità della capacità contributiva
coerentemente con il principio di certezza del diritto, della libertà di iniziativa economica e della
pianificazione fiscale. Tuttavia la portata non assoluta della tutela all’affidamento determina
alcune situazioni di sostanziale deroga in cui, in presenza di una valida ragione, non si
determina la violazione di tale principio; inoltre va considerato il caso relativo alla mancata
operatività del principio del perseguimento di preminenti interessi pubblici ed alla prevedibilità
dell’intervento in termini di “effetto annuncio” (l’effetto annuncio è determinato dalla
pubblicazione del disegno di legge o da qualsiasi situazione di fatto o di diritto finalizzata alla
diffusione della conoscenza da parte del contribuente della futura modifica normativa). La
violazione dell’affidamento è consentita solo nel caso in cui l’irretroattività e le esigenze di
certezza del diritto siano in contrasto con altri interessi costituzionalmente protetti. Anche in
ambito comunitario il principio dell’affidamento subisce una ponderazione (legitmate
expectation), ed in particolare nella giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte europea
dei diritti dell’uomo ove non è considerato un divieto assoluto; considerando non solo la
prevedibilità (di una norma) ma anche rivolgendo attenzione al principio di proporzionalità
dell’intervento retroattivo in relazione all’obiettivo che si vuole raggiungere che è quasi sempre di
natura economica, condizionando in tal modo sia il legislatore che l’A.F.
² Attività ermeneutica ministeriale : la tutela dell’affidamento svolge una funzione nei
confronti dell’A.F. e degli altri soggetti attivi dell’obbligazione tributaria con riguardo alla loro
attività discrezionale in una logica di imparzialità, in particolare si fa riferimento all’ nel caso di
diverse interpretazioni o mutamenti di interpretazioni precedenti ( revirement), anche riguardo
agli aspetti procedurali, che possono determinare tassazione di un presupposto anche su
notevoli distanze temporali con pregiudizi sia riguardo alla certezza giuridica sia all’attività
economica.
² Rapporti tra A.F. e contribuenti : in ordine alle modifiche interpretative dell’A.F. il 1°comma
dell’art 10, legge n 212/2000 stabilisce che i rapporti fra amministrazione e contribuente sono
improntati al principio della collaborazione e della buona fede, mentre al 2°comma si prevede
che non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente qualora
quest’ultimo si sia attenuto alle indicazioni contenute in atti dell’A.F. ancorché successivamente
modificati dall’amministrazione stessa; seguendo quest’ordine di idee una interpretazione dei
due commi dell’art.10 porta a non escludere una responsabilità dell’amministrazione in ogni
caso di revirement ministeriale in peius di una sua precedente interpretazione. Al riguardo la
Suprema Corte ha ritenuto l’art.10 come norma immediatamente precettiva dotata di capacità
espansiva nel senso che l’A.F. non può venire contra factum proprium emanando un atto
impositivo in contrasto con proprie precedenti indicazioni sulle quali abbia fatto legittimo
affidamento il contribuente. Di recente è stato evidenziato che il rapporto di buona fede
determina nell’A.F. il dovere di assumere nei confronti del contribuente una condotta
collaborativa ai fini della corretta identificazione degli uffici competenti o del mutamento della
ripartizione di competenze territoriali degli uffici.

PARTE II – I PRINCIPI COMUNITARI

L’ARMONIZZAZIONE E IL COORDINAMENTO DEI SISTEMI FISCALI - INTEGRAZIONE


POSITIVA (ARMONIZZAZIONE) E INTEGRAZIONE NEGATIVA
Il ravvicinamento delle legislazioni nazionali è sancito dall’art. 114 TFUE (ex art.94 TUE) e
riguarda le norme che incidono direttamente sull’instaurazione e il funzionamento del mercato
comune. Il ravvicinamento non presuppone l’unicità di mezzi e può realizzarsi anche in materia
fiscale ove la competenza non è trasferita agli organi istituzionali UE qualora la norma tributaria
rappresenti un ostacolo al mercato e si concretizza attraverso le direttive.
In tale contesto l’armonizzazione è considerata come una procedura attraverso la quale è
possibile rendere affini le discipline normative e le disposizioni regolamentari nazionali per la
realizzazione di un fine comune in ambito comunitario. Il processo di armonizzazione consente di
identificare i punti di partenza e la determinazione del rapporto in cui vari gruppi di norme devono
trovarsi. Ci sono correnti di sostenitori per la teoria dell’armonizzazione coattiva e sostenitori
dell’armonizzazione spontanea o di coordinamento:
² armonizzazione coattiva : i sostenitori di questa corrente sostengono che i vari Paesi di
comune accordo attraverso l’Autorità sovranazionale prevedono la modifica di una determinata
norma tributaria o l’adeguamento di essa in conformità del modello unico
² armonizzazione spontanea o di coordinamento : i sostenitori di questa corrente ritengono
invece che le imposte dirette determinano effetti distorsivi marginali in quanto le forze libere del
mercato portano necessariamente ed automaticamente ad un equilibrio senza un intervento
comunitario vincolante
Quindi :
° In materia di imposte dirette : dagli anni 60 al 1990 furono compiuti studi e formulate
proposte di armonizzazione delle imposte dirette, che portarono a pochi risultati concreti, un
tentativo di sblocco si è avuto con le direttive del 1990 (434-435-436) che istituivano regole
fiscali comuni per consentire alle imprese di adeguarsi all’esigenze del mercato comune,
riguardanti il trattamento tributario neutrale delle plusvalenze risultanti da fusioni, scissioni e
conferimenti, la direttiva madre/figlia per le società collocate in stati diversi e la procedura
arbitrale in materia di doppia imposizione. Questo periodo di stallo si è concluso nel 2003 con le
direttive sulla tassazione dei redditi da risparmio (dir. 2003/48 e 2003/49); attraverso tali
interventi è stato previsto un regime comune di tassazione del risparmio in ambito UE.
° In materia di imposte indirette : diversa è la situazione per quanto riguarda
l’armonizzazione delle imposte dirette ed in
particolare dell’IVA; tale procedimento, avviato con l’emanazione della sesta direttiva del 1977
e poi seguito ultimamente con la direttiva 2006/212, quest’ultima ha predisposto un testo unico
delle norme sul sistema comune dell’IVA, rielaborando, razionalizzando e coordinando le
numerose modifiche intervenute consentendo un sufficiente livello di armonizzazione dell’IVA in
ambito comunitario.
Mentre l’armonizzazione o integrazione positiva (art.114 TFUE ex art.94TUE) rispetta
parzialmente la sovranità degli Stati membri, intervenendo attraverso direttive e lasciando ai
legislatori degli Stati membri la scelta del metodo di attuazione; l’armonizzazione o il
ravvicinamento delle normative tributarie degli Stati membri per il corretto funzionamento del
mercato interno è iniziato attraverso l’applicazione di norme antirestrittive, mediante un
procedimento di integrazione di tipo negativo basato non su direttive, ma
sull’interpretazione e l’applicazione (da parte della Corte di giustizia) di norme primarie del
Trattato sulle libertà fondamentali; al riguardo la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di
imposte dirette ha dato un contributo significativo.

PRINCIPI E DIVIETI COMUNITARI – IL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE FISCALE


– I DIVIETI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Le norme del Trattato che hanno contenuto o rilevanza tributaria non sono rivolte a procurare
entrate, ma ad assicurare che il mercato comune abbia le caratteristiche di un mercato
interno e che si svolga in un regime di libera concorrenza . Tale modello di mercato si
esprime attraverso i principi: della libera circolazione dei lavoratori, della libertà di
stabilimento e della libera circolazione dei capitali.
Il principio di non discriminazione fiscale, in particolare, rappresenta il principio di
eguaglianza in ambito comunitario: <<Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio
delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base
alla nazionalità>>(art.18 TFUE ex art.12 TUE); il divieto proibisce espressamente trattamenti
discriminatori basati sulla nazionalità ed è stato il punto di partenza per l’elaborazione di regole
fondamentali del commercio e dell’economia internazionale, che condizionano e vincolano gli
ordinamenti tributaria nazionali : come quello della clausola della nazione più favorita, di
restrizione fiscale alle libertà fondamentali, del libero accesso al mercato.
L’interpretazione della Corte di giustizia sulle libertà fondamentali e del principio di non
discriminazione previste dal Trattato UE determinano una sfera di applicazione in materia fiscale
che riguarda situazioni non tipicamente intracomunitarie ma quasi di diritto interno. Tuttavia
esistono una serie di deroghe o giustificazioni (rules of reasons) al divieto di discriminazione
sancite dallo stesso Trattato, esaminate dalla Corte di giustizia e fatte valere dagli Stati membri;
le motivazioni di queste deroghe rispondono a finalità di tipo economico (politica economica e
finanziaria, coerenza ed integrità del sistema fiscale) e di tipo economico-giuridico come la
prevenzione di comportamenti di elusione fiscale o dell’abuso di diritto sul trasferimento di
ricchezze in altri Paesi per beneficiare di vantaggi fiscali.
Il Trattato UE contiene una serie di disposizioni che proibiscono trattamenti discriminatori quali:
 Il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità dei lavoratori degli
Stati membri (art.45 TFUE) : la Corte di giustizia ha affermato che quando un lavoratore
produce la maggior parte del suo reddito in uno Stato in cui non è residente, gli devono essere
accordate le stesse attenuazioni del carico fiscale che sono connesse ai residenti, quindi ha
considerato come criterio effettivo di collegamento della persona fisica al territorio, ai fini del
riconoscimento delle agevolazioni fiscali, il luogo dove è localizzata la fonte principale del reddito.
 Il divieto di discriminazione fiscale al fine di garantire la libera circolazione delle merci
(art.110 TFUE), tale norma rientra tra le poche disposizioni fiscali e garantisce l’eliminazione di
ogni imposizione indiretta su prodotti degli altri Stati membri che sia superiore rispetto a quella
che colpisce i prodotti nazionali e che comprometta il commercio intracomunitario.
Notevole poi è stato l’apporto della giurisprudenza della Corte di giustizia, la cui attività si è
tradotta nell’accertamento di specifiche situazioni di incompatibilità di norme fiscali
nazionali con i principi comunitari:
 Con riferimento al divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento : la Corte ha fissato un
principio generale sancendo che se una società o un ente non residenti come la stabile
organizzazione versano nelle stesse condizioni fiscali, essi non potranno essere discriminati con
riguardo al riconoscimento di agevolazioni e benefici tributari. Il divieto di diverso trattamento
fiscale tra soggetti che operano nei Paesi membri UE non riguarda soltanto i non residenti,
ma può coinvolgere anche il diverso trattamento fiscale tra gli stessi enti o società residenti in
uno stesso Stato.
 Con riferimento del divieto di restrizione alla libera circolazione dei capitali : la Corte,
per la verifica dei requisiti del divieto di discriminazione, ha adottato una comparazione basata
sulle finalità delle norme attinenti alle diverse fattispecie (interna e comunitaria) e sulle
giustificazioni economiche dei diversi trattamenti fiscali addotte dai Paesi membri. Le norme
comunitarie antirestrittive in tema di libertà di circolazione dei capitali possono contemplare
situazioni di diritto interno di uno Stato membro rivolgendosi ai propri residenti che svolgono
attività finanziarie in un altro Stato membro, evitando fenomeni di distorsione della circolazione
di capitali oppure di doppia imposizione; infatti secondo la Corte è vietata qualsiasi misura che
complica o rende meno attraente o meno conveniente il trasferimento transfrontaliero di capitali
scoraggiando l’investitore.

L’EFFETTIVITÀ E L’EQUIVALENZA : i diritti del contribuente sono tutelati da norme e principi di


diritto comunitario; da qui la necessità di una tutela piena ed effettiva e la loro corrispondenza
rispetto a quelli previsti dall’ordinamento tributario nazionale:
° Il principio dell’effettività : garantisce che le norme interne (processuali o procedimentali)
non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti riconosciuti
dall’ordinamento giuridico comunitario e trova il suo fondamento nell’art.10 del Trattato UE
° Il principio di equivalenza : strettamente correlato all’effettività, impone invece l’utilizzo di
procedimenti nazionali e di condizioni a tutela dei diritti previsti a livello comunitario equivalenti
a quelli analoghi utilizzati nello Stato membro per la tutela di una posizione giuridica dello
stesso tipo, ma fondata sul diritto interno
Il mancato rispetto dei principi dell’effettività e dell’equivalenza, può rendere in alcuni casi,
eccessivamente difficoltoso o impossibile l’esercizio dei diritti dei contribuenti in materia di
rimborso di imposta; sulla base di tali principi è inviolabile la garanzia del contribuente
corrispondente al divieto rivolto al legislatore nazionale di adottare una disposizione procedurale
nazionale che riduca lo spazio di recuperabilità dei tributi (ad es. termine di decadenza)
indebitamente percepiti secondo quanto stabilito da norme comunitarie.

LA LIBERA CONCORRENZA E IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO : uno dei maggiori vincoli alla
potestà tributaria nazionale e locale che riducono notevolmente la discrezionalità dell’A.F. e del
giudice tributario è rappresentato dalla normativa sugli aiuti di Stato (artt. 107-108 TFUE ex
artt.87-88 TUE). Tali norme hanno una sfera di applicazione più ampia rispetto a quelle dei divieti
di discriminazione e restrizione: in materia di esenzioni e agevolazioni fiscali alle imprese, il
legislatore deve osservare le norme (artt.107-108) del Trattato, secondo le quali sono
incompatibili con il mercato comune gli aiuti di Stato che incidono sugli scambi tra Stati
membri e quelli che favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minacciano di
falsare la concorrenza. L’incompatibilità degli aiuti di Stato con il diritto comunitario deriva
dalla loro incidenza sulle risorse nazionali, dall’effetto discorsivo della concorrenza, dal
condizionamento delle attività commerciali tra Stati membri e, soprattutto, dal rivolgersi
selettivamente a talune imprese direttamente o indirettamente (criterio della selettività).
La Corte di giustizia ha precisato che le agevolazioni fiscali rientrano tra gli aiuti qualora
costituiscano delle mancate entrate come conseguenza di trattamenti tributari di favore. Se le
agevolazioni o gli incentivi fiscali possono potenzialmente essere considerati aiuti di Stato, non
sempre rientrano nel divieto previsto dall’art.107 TFUE; è necessario compiere un’attenta
valutazione delle agevolazioni nella logica del sistema fiscale e della concorrenza tra imprese
europee, seguendo le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia e soprattutto dalla commissione
UE. L’aiuto fiscale per essere tale deve rappresentare una deroga ai principi del sistema di
uno Stato membro nel senso di un’eccezione ingiustificata all’applicazione dei principi basilari
del sistema tributario. Agendo in tale ottica si può evitare che il divieto comunitario possa
affievolire i vincoli costituzionali e condizionare eccessivamente le discipline giuridiche.
CAPITOLO III – IL TRIBUTO E LE PRESTAZIONI PATRIMONIALI IMPOSTE

LE PRESTAZIONI PATRIMONIALI
L’art.23 Cost. indica che l’imposizione di una prestazione personale o patrimoniale può sussistere
solo in corrispondenza della legge, e solo in questo caso siamo in corrispondenza di legalità
tributaria; osservando che:
² Nel caso di prestazioni personali : si considerano come attività attinenti
all’esplicazione di energie fisiche, con conseguente limitazione per il privato di destinare
liberamente le energie medesime
² Nel caso di prestazioni patrimoniali : si considerano le prestazioni che decurtano il
patrimonio del privato, tali prestazioni possono riguardare anche oggetti diversi dal denaro
² La prestazione imposta : si caratterizza per essere imposta coattivamente con un atto
dell’autorità senza che vi concorra la volontà del’obbligato; la prestazione imposta di natura
patrimoniale presenta caratteri di coattività più ampi in quanto conosce due tipi di
imposizione: formale e sostanziale
°le prestazioni imposte in senso formale, vale a dire con atto autoritativo, esplicano effetti
(i tributi) che sono indipendenti dalla volontà del soggetto passivo
°le prestazioni imposte in senso sostanziale, invece, pur avendo natura contrattuale,
costituiscono il corrispettivo di un servizio pubblico che soddisfa un bisogno essenziale, e sia
reso in regime di monopolio
La Corte costituzionale, considerando l’art.23 Cost., ha proceduto alla definizione delle prestazioni
patrimoniali imposte intese quali prestazioni dedotte in rapporti obbligatori alla cui costituzione
non concorre la volontà dell’obbligato e quindi non negoziali, non contrattuali ma istituite con atti
autoritativi. Il concetto di prestazioni patrimoniali imposte, in definitiva, va ricondotto alla
categoria più ampia delle entrate dello Stato e degli Enti locali; risultano invece estranee ai
principi di legalità, di capacità contributiva e di progressività le entrate di diritto privato dello
Stato, che provengono dall’amministrazione del patrimonio o dalla stipulazione di negozi di diritto
privato o dalla gestione di imprese pubbliche o dal compimento di atti e fatti di rilievo privatistico.
Quindi tra i due regimi classici, diritto pubblico e diritto privato, può individuarsi una
sottocategoria del secondo definibile di diritto speciale nella quale sono compresi rapporti nascenti
direttamente dalla legge o dal contratto, le cui norme pur essendo privatistiche sono sensibilmente
modificate da norme di diritto pubblico.

LA NOZIONE DI TRIBUTO E I SUOI ELEMENTI FONDAMENTALI


Tutte le entrate pubbliche imposte coattivamente nei confronti del soggetto passivo rientrano
nella categoria giuridica della prestazioni imposte. L’elemento caratteristico del tributo è la
coattività, essendo il tributo un’entrata “coattiva” o “autoritativa”, la cui obbligatorietà è
imposta con un atto dell’autorità, senza che vi ricorra la volontà dell’obbligato . Nel
nostro ordinamento non esistono definizioni legislative del tributo e nemmeno per le sue
varie sottospecie (imposta, tassa etc.); anche in ambito comunitario manca un concetto univoco di
tributo: axes, charges, customs, rates, sono solo alcuni dei termini con cui in lingua inglese si cerca
di tradurre la varietà di specie tributarie e di prestazioni tributarie nazionali o meglio si cerca di
adattare le complesse fattispecie interne a denominazioni giuridiche prive di carattere universale.
Nelle Costituzioni moderne il tributo assolve una funzione non solo fiscale ma anche una funzione
sociale volta a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo. L’identificazione di una data prestazione
patrimoniale assume un’estrema rilevanza sia in rapporto al contenuto degli artt. 81 e 119 Cost.
che ai fini giurisdizionali (art.2 d.lgs. 546/1992). Tutte le entrate pubbliche che si fondano, nei
confronti del soggetto passivo, sull’elemento della coattività rientrano nella categoria giuridica
delle prestazioni patrimoniali imposte. Uno degli elementi rilevanti ai fini dell’identificazione del
tributo è il collegamento di una prestazione patrimoniale ad un fatto indice di capacità
contributiva in attuazione del concorso di tutti al finanziamento della spesa pubblica. Nella
dottrina si è più volte affermato che il tributo deve possedere il requisito della capacità
contributiva “per essere costituzionale”, non per essere tributo.
La Suprema Corte ai fini della qualificazione o meno di un tributo conferisce particolare rilievo
alla qualificazione formale da parte del legislatore; quindi una tassa sarebbe tale innanzitutto ove
questa qualificazione fosse espressamente assegnata dal legislatore ad un’entrata pubblica.
La Corte Costituzionale argomenta in modo più convincente, ai fini dell’individuazione della natura
tributaria di una data prestazione, devono necessariamente sussistere alcuni criteri, che,
indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina tali entrate, consistono
nella doverosità della prestazione e nel collegamento di questa alla pubblica spesa con riferimento
ad un presupposto economicamente rilevante; tali criteri si diversificano su tre tipizzati profili :
² un profilo strutturale : strutturalmente il tributo è la fonte legale che comporta il sorgere
dell’obbligazione
² un profilo funzionale (visto alla luce dell’art.53 Cost.) inteso come prelievo avente il la
funzione di realizzare il << concorso alla spesa pubblica>>
² un profilo del regime giuridico della fattispecie, quindi del fatto (di regola un fatto
economico) generatore del tributo che lo distingue da altre fattispecie che generano altre
obbligazioni come ad es. le sanzioni pecuniarie che derivano da illeciti; quest’ultimo criterio
assume rilievo solo in caso di inadeguatezza del dato strutturale e di quello funzionale

L’IDENTIFICAZIONE DEI TRIBUTI : 1-IMPOSTE 2-TASSE 3-IMPOSTE SOSTITUTIVE 4-


CONTRIBUTI 5-TARIFFE 6-CANONI 7- TRIBUTI DI SCOPO 8-MONOPOLI DI STATO 9-
DAZI DOGANALI E TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE
Ai fini dell’esatta riconduzione al genere e alla specie di imposte o tasse o delle eterogenee
denominazioni delle varie entrate locali e statali, bisogna schematizzare
1- IMPOSTE : l’imposta è un tributo essenzialmente contributivo che si fonda su un
presupposto (es. tipico il possesso di un reddito) posto in essere dal soggetto passivo,
senza alcuna relazione specifica con una determinata attività dell’ente pubblico; quindi è
un presupposto del tutto indipendente dall’attività dell’ente che ne è il soggetto attivo-creditore.
Lo scopo delle imposte è, essenzialmente, quello di suddividere tra i contribuenti il carico
finanziario delle attività pubbliche, per questo le imposte sono comunemente considerate
entrate destinate a finanziare le spese indivisibili.
2- TASSE : la tassa è un tributo il cui presupposto è collegato direttamente
all’erogazione/fruizione di determinate attività pubbliche o servizi resi dall’ente
impositore alla collettività ; pertanto la tassa si distingue da un semplice corrispettivo in
quanto si tratta di un tributo e quindi di una prestazione patrimoniale imposta per lo
scambio di un servizio coattivamente imposto dalla legge. Secondo un autorevole
ricostruzione la tassa, a differenza dell’imposta, troverebbe la sua giustificazione, non tanto nel
profilo solidaristico della capacità contributiva, quanto nell’esigenza di far fronte ad una spesa
pubblica riferibile ad un determinato soggetto che l’ha causata o che ne ha tratto vantaggio,
evitando di far gravare i corrispondenti oneri sull’intera collettività. Le tasse sono destinate a
finanziare le spese pubbliche divisibili. La tassa è stata a ragione considerata un
“concetto mediano” incerto e disputato, che ha indotto il legislatore ad avvalersi di strumenti
di prelievo “apparentemente meno problematici”; in quest’ottica di considerazioni si è assistito
al fenomeno della mutazione in base al quale le entrate originariamente concepite come tasse
vengono gradualmente trasformate in imposte (imposta di registro, imposta ipotecaria e
catastale etc.), oppure a livello locale, vengono, insieme alle imposte, defiscalizzate, cioè
trasformate in canoni, tariffe e prezzi pubblici. La tassa è il servizio di cui fruisce un soggetto che
è dovuto a pagare un corrispettivo, mentre canone o prezzo pubblico costituiscono il nesso fra
entrata pubblica ed erogazione del servizio. Una tassa è tale quando questa qualificazione sia
espressamente assegnata dal legislatore ad un’entrata pubblica; dove non risulti questa
qualificazione si deve ritenere che il legislatore abbia optato per un diverso modulo di copertura
finanziaria dei costi del servizio pubblico (entrate extrafiscali). Il nostro ordinamento tributario
contrappone le imposte che sono considerate entrate destinate a finanziare le spese
indivisibili, alle tasse che tendono a coprire le spese divisibili e che si pongono al confine che
separa i tributi dalle entrate di diritto privato. Tutti i tributi relativi a servizi divisibili non
giustificati da una capacità economica dovrebbero essere costituzionalmente illegittimi.
3- IMPOSTE SOSTITUTIVE : con norma derogatoria il legislatore fiscale può stabilire che
talune categorie di fatti siano sottratti dall’applicazione dell’imposta e siano
assoggettate ad altro regime speciale : si determina così una fattispecie sostitutiva o
regime fiscale sostitutivo; l’imposta sostitutiva quindi adotta una nuova imposizione rispetto
al normale regime fiscale che può essere qualificata “eccezionale” o “speciale”. Le motivazioni
di tale scelta risiedono nell’esigenza della semplificazione del meccanismo impositivo:
infatti l’imposta sostitutiva da un lato unifica fattispecie separatamente imponibili facendole
confluire nel presupposto di un’unica specifica imposta, dall’altro eleva a fattispecie
imponibile fatti che confluirebbero nel presupposto di una diversa
imposta periodica. L’imposta sostitutiva è riferita a determinati soggetti ovvero a determinati
settori di attività considerati oggettivamente; talvolta ci si riferisce all’imposta sostitutiva
anche considerando le ritenute alla fonte a titolo definitivo o d’imposta. Tuttavia ogni ipotesi di
regime fiscale sostitutivo comporta apparentemente una deviazione rispetto ai principi
costituzionali: uguaglianza, progressività e capacità contributiva, ma non è così : l’imposta
sostitutiva non è una disciplina che contrasta con i principi costituzionali, infatti può integrare
una modalità che consente di stabilire o ristabilire l’eguaglianza o la capacità contributiva in
relazione a situazioni particolari. Pertanto in considerazione di interessi o valori posti dalle
disposizioni costituzionali l’imposta sostitutiva deve essere dotata di ragionevolezza.
4- CONTRIBUTI : il contributo è un tributo che ha come presupposto il beneficio che perviene
al contribuente non come singolo ma come membro di una collettività qualificata nei cui
confronti l’ente pubblico svolge la propria attività ovvero in favore della quale pone in esecuzione
un opera pubblica. Ciò distingue il contributo dalla tassa, la quale risulta collegata ad una
prestazione divisa e individuata, invece il contributo è imposto a seguito di un’attività
amministrativa indivisa in assenza di singole prestazione. Tra le principali tipologie di contributi:
 Il contributo di miglioria : secondo il quale i proprietari di terreni che avrebbero
beneficiato degli incrementi di valore dovuto alla realizzazione dell’opera dovevano sostenere il
costo della stessa.
 Il contributo di costruzione : assimilava il contributo di costruzione ad una contribuzione
imposta per le opere di trasformazione del territorio. Secondo altre tesi il contributo
presentava il carattere di tassa occasionata dal rilascio della concessione edilizia, per la
prestazione di servizi al costruttore da parte della collettività. Con l’introduzione del nuovo
Testo Unico, la situazione di incertezza non è mutata, è stata evidenziata la natura mista del
contributo, in virtù della possibilità riconosciuta al titolare del permesso di costruire di
realizzare in proprio le opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri e del potere-
dovere a carico dei Comuni e delle Regioni di aggiornare periodicamente gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria e il costo di costruzione per i nuovi edifici.
 Il contributo di bonifica : si tratta dell’obbligo di contribuire alle opere di bonifica e
risanamento eseguite da un consorzio di bonifica per i proprietari di immobili inclusi nel
perimetro consortile, con il conseguente potere di imposizione da parte del consorzio. Al
riguardo la Suprema Corte ha affermato che si è in presenza di un esborso di natura
pubblicistica (tributaria), non costituendo, in senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione
liberalmente richiesta (come la fornitura di acqua), rappresentando così una forma di
finanziamento di un servizio pubblico attraverso il trasferimento dei relativi costi su di un area
dove i relativi individui, in linea di massima, dovrebbero conseguire un beneficio (quindi non
vi è un esatta corrispondenza tra costi e benefici sul piano individuale).
 Il contributo previdenziale : tale contributo andrebbe classificato nell’ambito dei tributi o
meglio delle imposte: trattasi di una prestazione patrimoniale obbligatoria ex lege imposta agli
individui in considerazione di finalità di interesse generale non inquadrabile in uno schema
sinallagmatico privatistico.
5- TARIFFE : la tariffa ha un duplice senso: quello di indicare il criterio di quantificazione
di una prestazione sia tributaria che corrispettiva, pertanto elemento qualificabile come
species della tassa in considerazione della sua tipicità che riguarda la quantificazione della
prestazione imposta. È importante osservare che in presenza del godimento di un bene pubblico
o della fruizione di un pubblico servizio il discrimine tra contributi e tributi (tasse) è molto
sottile, quindi dipende dal legislatore, sulla base di valutazioni squisitamente politiche, la scelta
del regime giuridico da applicare. Riguardo questo tema, particolare è la vicenda della
ricostruzione della natura giuridica della TIA (tariffa igiene ambientale), largamente dibattuta, e
sulla quale è intervenuta la Cassazione (nel 2009), la quale analizzando la disciplina della TIA,
ha notato molte analogie con le prestazioni giudicate non tributarie dalla Corte Costituzionale:
il riferimento va alla copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio che si ritrova sia
nella disciplina della tariffa del servizio idrico integrato sia nella TIA, in particolare l’assenza di
norme riguardanti l’accertamento, le sanzioni, il contenzioso e l’assoggettamento all’IVA della
TIA; tutti elementi che porterebbero ad escludere la natura tributaria della tariffa. I giudici di
legittimità hanno evidenziato che il legislatore ha scelto per la privatizzazione dei servizi, in
riferimento alla finanza locale, in una prospettiva federalista che giustifica il passaggio dalla
tassa alla tariffa. Invece la Corte Costituzionale ha affermato le caratteristiche strutturali e
funzionali della TIA, caratteristiche del tributo che costituisce una mera variante della Tarsu,
conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima; ma quest’interpretazione della Corte
Costituzionale non convince del tutto: nella TIA possono essere individuate due diverse
prestazioni patrimoniali scorporabili e collegate alle quote, di cui solo la prima obbligatoria ed
avente la natura tributaria. Successivamente è intervenuta di nuovo la Cassazione a Sezioni
Unite (nel 2010) confermando la natura tributaria della TIA e stabilendo alcuni principi
importanti in materia, come : l’intrasferibilità del potere di deliberare le tariffe TIA, anche in casi
in cui vi sia emergenza, e in particolare si è affermato, in tale sentenza, che le controversie in
materia di TIA spettano alle Commissioni tributarie.
6- CANONI : il termine canone richiama un antico e controverso istituto, quello del canone
demaniale, ritornato di attualità con riferimento all’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche
e sull’installazione dei mezzi pubblicitari. Sulla natura di tali canoni, è che si tratti di un
corrispettivo dovuto a fronte del mero godimento di un bene, da ricomprendere tra le
prestazioni patrimoniali non tributarie. La concessione-contratto è, dunque, la fonte delle
obbligazioni e non il presupposto per l’applicazione del prelievo.
Un passo in avanti per la definizione di canone è stato compiuto con due sentenze della Corte
costituzionale in materia di Cosap e Cimp. Per quanto riguarda il Cosap (canone per
l’occupazione di spazi ed aree pubblici), in base alla sentenza della Corte costituzionale, non
ha natura tributaria con la conseguenza che è illegittima l’attribuzione della competenza alle
commissioni tributarie; non altrettanto è stato per il Cimp (canone per l’istallazione dei mezzi
pubblicitari) le cui controversie rientrano nella giurisdizione delle commissioni tributarie; infine,
la Corte Costituzionale si è pronunciata anche in riguardo al canone per lo scarico e la
depurazione delle acque, ribadendo la natura non tributaria del canone, discendendone
l’incostituzionalità, nella parte in cui si attribuiscono le cognizioni sulle controversie relative a
prestazioni patrimoniali di natura non tributaria, dell’attribuzione di giurisdizione alle commissioni
tributarie.
In definitiva il canone può presentare o meno natura tributaria e, per individuare la natura
tributaria, bisognerebbe riferirsi alla doverosità della prestazione, alla mancanza di un rapporto
sinallagmatico, al collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un
presupposto economicamente rilevante.
7- TRIBUTI DI SCOPO : con l’imposta di scopo, istituita dalla legge n.296/2006 (finanziaria
2007), i Comuni possono, con apposito regolamento all’interno del quale viene indicata
l’opera da realizzare, l’ammontare della spesa, le aliquote e modalità di versamento, istituire
un’imposta di scopo destinata alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di
opere pubbliche (opere per il trasporto pubblico, opere di arredo urbano, opere di restauro,
opere relative a spazi per attività culturali). L’imposta dovuta per un periodo massimo di 5 anni,
è determinata applicando alla base imponibile dell’Ici un aliquota massima dello 0,5 per mille;
nel caso in cui, entro 2 anni dalla data prevista del progetto esecutivo, l’opera non è stata
realizzata, i contribuenti possono chiedere il rimborso dei versamenti effettuati (è configurata
un’ipotesi di rimborso di ufficio). La qualificazione di imposta di scopo, sollevando molte
perplessità, non dovrebbe esistere in quanto l’imposta per definizione dovrebbe avere i
caratteri di generalità e indeterminatezza in modo da far affluire entrate indistinte e indivisibili
all’ente impositore; più correttamente avrebbe dovuto assumere la denominazione di un
contributo: il richiamo va al contributo di miglioria previsto dal vecchio testo unico della finanza
locale, infatti il contributo di miglioria non poteva identificarsi, né con una tassa, né con un
imposta, in quanto presentava i caratteri di un contributo speciale diretto a colpire parzialmente
le spese di pubblica utilità a favore di determinati proprietari di immobili. L’istituzione
dell’imposta può avere luogo per:
• opere il trasporto pubblico
• opere varie con l’esclusione della manutenzione straordinaria e ordinaria delle opere esistenti
• opere di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi
• opere di risistemazione di aree dedicate a parchi e giardini
• opere di realizzazione di parcheggi pubblici
• opere di restauro
• allestimenti museali e biblioteche
La tipizzazione porterebbe a ritenere illegittime quelle imposizioni volte a finanziare opere
diverse da quelle indicate, tuttavia la legge sul federalismo fiscale n.42/2009 riguardo ai
Comuni estende la facoltà di applicare il tributo di scopo anche al finanziamento degli oneri
derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana: tra queste anche l’ imposta
di soggiorno (per i Comuni) può essere considerata come tributo di scopo, trattandosi di una
imposta che in base alla legge delega, può essere istituita con legge dello Stato o con legge
regionale disciplinata nei particolari dai singoli Comuni, evitando così ogni vincolo di doppia
imposizione sul medesimo presupposto, salvo addizionali previste dalla legge statale, particolare
è il riferimento all’imposta di soggiorno istituita dalla finanziaria regionale 2007 della Sardegna
(il prelievo veniva applicato ai non residenti in vacanza in strutture ricettive, comprese le case
private, nelle misure di 1 o 2
euro al giorno; erano esenti tutti i residenti, i minorenni, chi effettuava periodi di studio o
seguiva corsi di formazione professionale, i lavoratori dipendenti e autonomi in servizio
documentabile; per le case private erano esentati: il proprietario, il coniuge, i parenti o affini
fino al 3° grado, gli ospiti che soggiornano insieme ad un componente della famiglia del
proprietario. L’introito complessivo, più le sanzioni comminate, restava per metà al Comune,
che doveva utilizzare i soldi entro due anni, l’altro 50% spettava alla Regione), la Corte
Costituzionale ha ritenuto legittima l’imposta di soggiorno di soggetti non residenti, poiché
fruiscono sia di servizi pubblici locali e regionali, sia del patrimonio culturale e ambientale. Anche
riguardo alle Province, costituisce novità di rilievo la stessa possibilità dell’istituzione del tributo
e di applicarlo in riferimento a particolari a particolari scopi istituzionali.
8- MONOPOLI DI STATO : i monopoli determinano un’entrata pubblica in quanto per
disposizione di legge la commercializzazione di un determinato bene è riservata allo
Stato in modo che esso possa trarne una fonte di finanziamento ; in definitiva il monopolio
rappresenterebbe una particolare forma di imposizione sui consumi, coattiva, e dunque
assoggettata ai principi di riserva di legge e capacità contributiva. L’art.31 del Trattato dell’Unione
europea prevede che gli Stati membri procedono ad un progressivo riordinamento dei monopoli
nazionali che presentino carattere commerciale, in modo che venga esclusa alla fine del periodo
transitorio qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda gli
approvvigionamenti e gli sbocchi, in altre parole lo sviluppo degli scambi non deve essere
compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità. Soltanto con le prime
liberalizzazioni degli anni 80, ad opera della Commissione europea, si è assistito ad un
progressivo abbattimento dei principali monopoli nazionali dei grandi servizi pubblici
(telecomunicazioni, servizi postali, trasporti, gas, energia elettrica), allo stato attuale
permangono soltanto il monopolio dei tabacchi lavorati e delle sigarette, pur con svariati profili
di liberalizzazione, ed il monopolio fiscale del settore dei giochi e delle scommesse.
9- I PREZZI PUBBLICI : si può definire prezzo pubblico quel prelievo il cui ammontare è
determinato con regole pubblicistiche tendente a coprire il costo del servizio o del bene
ricevuto dall’Ente Pubblico. I prezzi pubblici condividono da un lato con i tributi l’autoritatività
del prelievo, dall’altro sono connotati da piena corrispettività che genera un rapporto con il
servizio ricevuto. I prezzi pubblici hanno natura contrattuale, costituendo un’autentica
controprestazione per un’attività resa dall’amministrazione, quindi sono prestazioni
patrimoniali di carattere pubblico e non tributario che generalmente trovano fondamento in
un contratto di diritto pubblico fra l’Ente che presta il servizio ed il cittadino, questo contratto
potrà anche presentare la forma del contratto per adesione. I prezzi pubblici sono quantificati in
base al principio della sufficienza, quindi devono essere determinati ad un livello che come
minimo copra i costi derivanti dalla prestazioni di servizi o in misura equilibrata all’utilità del
privato; i prezzi pubblici possono essere distinti in 4 categorie:
● Prezzi quasi privati relativi ai beni che possono essere venduti a prezzo di mercato
● Prezzi pubblici di monopolio relativi ad entrate monopolistiche, beni la cui diffusione è
pericolosa
● Prezzi pubblici economici che imitano il prezzo di mercato
● Prezzi pubblici politici quando i prezzi praticati da una società che svolge servizi di
pubblica utilità sono tali che i ricavi sono sistematicamente inferiori al costo variabile.
10- DAZI DOGANALI E TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE: l’art. 28 TFUE (ex art.23 TUE)
vieta l’istituzione di dazi doganali e di qualsiasi altro tributo che abbia gli stessi effetti tra i
Paesi dell’Unione; la ratio sta nella prassi, diffusa tra gli Stati membri, di eludere la norma con
l’istituzione di forme di prelievo interne occulte che abbiamo comunque una funzione. La
giustificazione del divieto di dazi doganali e di tasse di effetto equivalente va ricercata
nell’ostacolo che oneri pecuniari, imposti a causa del passaggi di una frontiera, costituiscono
per la circolazione delle merci. Il Trattato non definisce la nozione di “tassa ad effetto
equivalente ad un dazio”, per questo motivo è stata la giurisprudenza a delinearla; infatti la
Corte di Giustizia ha più volte affermato che un onere pecuniario, anche se minimo, gravante
sulle merci nazionali ed estere imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione o
dalla sua struttura, per il fatto che varchino una frontiera, se non è un dazio doganale vero e
proprio, costituisce una tassa di effetto equivalente. Non è decisivo che l’onere venga preteso
all’attraversamento della frontiera piuttosto che in un momento successivo, sempre che l’aumento
del costo del bene, conseguentemente all’imposizione dell’onere, sia ugualmente riconducibile
all’operazione di importazione o esportazione, ed è anche irrilevante che il beneficiario del
gettito sia lo Stato o un’autorità locale. Tuttavia l’art.29 TFUE (ex art.28 TCE) consente agli Stati
membri di adottare misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative quando esse siano
giustificate da un interesse generale e non economico: essendo questa deroga un’eccezione ad
un principio, richiede una rigida applicazione. Con riguardo ai tributi ambientali, un’ipotesi tipica
del divieto di tassa di effetto equivalente riguarda le imposizioni tributarie sulle merci che hanno
un impatto ambientale al momento o per il fatto di transitare i confini nazionali: si consideri il
trasporto di rifiuti, i quali non hanno valore economico e per questo non sarebbero da
considerare merci in stricto sensu; tuttavia la Corte, ha attribuito a tali prodotti la qualifica di
merce (a prescindere dalla possibilità di riciclaggio) rendendoli così soggetti al divieto.
CAPITOLO IV – LA NORMA TRIBUTARIA

PARTE I – LA STRUTTURA DELLA NORMA TRIBUTARIA

L’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
La funzione della norma tributaria è principalmente quella di procurare il finanziamento
delle spese pubbliche . L’obbligazione tributaria corrisponde alla specificazione, in capo al
contribuente, attraverso il verificarsi del presupposto, del dovere di contribuzione ex art.53
Cost., correlato al potere di imposizione. La norma tributaria utilizza uno schema di carattere
obbligatorio modellato su quello dell’obbligazione di diritto civile; a differenza di
quest’ultima, quella tributaria è di fonte legale, non presentando, di regola, rilevanza la volontà
dei soggetti coinvolti in detto schema obbligatorio.
L’obbligazione tributaria s’inserisce in un sistema di amministrazione che presenta aspetti
procedimentali altamente derogatori rispetto alla disciplina civilistica del rapporto obbligatorio.
L’A.F., tuttavia, può esprimere il potere amministrativo a mezzo di uno strumento consensuale
(l’accordo è infatti uno strumento giuridico duttile ed efficiente) che le permette di realizzare
l’interesse pubblico nel modo più efficiente, coinvolgendo il privato, sia salvaguardando l’interesse
di questi, sia rimanendo ancorati al principio di legalità di azione.
Strutturalmente l’obbligazione tributaria è composta da : presupposto; soggetto passivo (di cui
parleremo più avanti); base imponibile; aliquota

IL PRESUPPOSTO O FATTISPECIE
Il presupposto o fattispecie d’imposta consiste in quei fatti eventi o situazioni, previsti
dalla legge, che rappresentano indici di capacità contributiva; quindi il presupposto è
quell’evento (o fatto economico) che determina, direttamente o indirettamente il sorgere
dell’obbligazione tributaria.
Il presupposto o fattispecie tributaria è diversamente connotato dal legislatore sotto vari profili,
quindi comprende una diversificata e variegata gamma di situazioni o fatti. La fattispecie si
distingue in 1- oggettiva; 2-soggettiva; 3-statica; 4-dinamica :
1- oggettiva : riguarda le operazioni, atti o fatti
2- soggettiva : riguarda i soggetti nel loro status e nella loro qualifica
3- statica : cioè la disciplina in termini generali ed astratti che comprende: la descrizione del
fatto espressione di capacità contributiva, la fissazione dei criteri di stima di detto fatto,
l’individuazione del soggetto passivo, la determinazione della misura del tributo
4- dinamica : riguarda le procedure idonee che assicurano la corretta e concreta attuazione
della norma tributaria (cioè dell’ente impositore e i suoi poteri di indagine, di accertamento, di
riscossione, sanzionatorio etc.)
Mentre il diritto comune procede alla preventiva individuazione dei soggetti e poi all’imputazione
ad essi di fattispecie oggettive, nel diritto tributario si procede prima alla fissazione delle
fattispecie oggettive e poi successivamente a quelle soggettive; inoltre in ambito privatistico il
contenuto e la misura della fattispecie dovuta vengono generalmente determinate tra debitore e
creditore, tramite un accordo bilaterale di volontà, invece, nel rapporto obbligatorio d’imposta il
contenuto e la misura della prestazione sono previsti dalla legge.
In dottrina si opera una classificazione fra: 1- fattispecie sostitutive, 2- fattispecie equiparate e
3- fattispecie supplementari
1- fattispecie sostitutiva : si ha fattispecie sostitutiva nel momento in cui il legislatore
stabilisce che alcune categorie di fatti siano sottratte al regime impositivo ordinario ad esse
astrattamente applicabile e siano sottoposte ad altro speciale regime
2- fattispecie equiparata : si parla di fattispecie equiparate in quei casi in cui il legislatore
prevede che siano sottoposti ad imposizione anche casi diversi dal presupposto tipico di un certo
tributo ciò affinché determinati fatti economici non sfuggano a tassazione
3- fattispecie supplementare o surrogatoria : sono quelle fattispecie imponibili che il
legislatore aggiunge a quelle tipiche al fine di evitare che il contribuente possa far uso dello
strumento racchiuso nella fattispecie supplementare a fini elusivi

LA DETERMINAZIONE DEL PRESUPPOSTO : l’art.53 Cost. non contiene un elenco degli


indici di capacità contributiva ma richiede soltanto l’esistenza di un effettivo collegamento
del presupposto d’imposta con fatti e situazioni di potenzialità economica. Il presupposto
(fatto o evento espressione di capacità contributiva) può variamente atteggiarsi e dalla sua
qualificazione dipende la classificazione delle imposte. Quindi
Il presupposto può essere espressione di una manifestazione diretta o indiretta della capacità
contributiva abbiamo la distinzione tra 1- imposte dirette e 2- imposte indirette :
1- Imposte dirette : sono dirette le imposte che colpiscono direttamente il reddito o il
patrimonio; quindi il presupposto risulta espressione di una manifestazione diretta di
capacità contributiva, rientrano in questa categoria : IRPEF imposta sul reddito delle
persone fisiche, IRES imposta sul reddito delle società, IRAP imposta regionale sulle attività
produttive, ICI imposta comunale sugli immobili
2- Imposte indirette : sono tutte le altre, quindi quelle che colpiscono manifestazioni
indirette di ricchezza ovvero indirettamente il patrimonio (imposte sui consumi, sui
trasferimenti e sugli affari), rientrano in questa categoria (tanto per fare un esempio) : l’
imposta di registro, l’imposta sul valore aggiunto (IVA), l’imposta di bollo, l’imposta
ipotecaria, l’imposta sulle pubblicità, le accise l’imposta sulla fabbricazione e sul
consumo
il presupposto può essere un fatto istantaneo o un fatto continuativo, e quindi considerato in base
alla sua manifestazione temporale le imposte possono distinguersi in : 1- imposte
periodiche e 2- istantanee, anche se questa distinzione ha rilievo essenzialmente descrittivo,
tuttavia, assume particolare utilità ed importanza riguardo all’efficacia del giudicato in ordine ai
rapporti controversi concernenti lo stesso tributo periodico dovuto per un altro periodo d’imposta :
1- Imposte periodiche : sono quelle che hanno come presupposto una fattispecie che si
prolunga nel tempo, per cui assume rilievo giuridico un insieme di fatti che si collocano in un
dato arco temporale o periodo d’imposta (corrispondente generalmente all’anno solare oppure
alla durata dell’esercizio sociale per le società ad es. come le imposte sui redditi)
2- Imposte istantanee : hanno per presupposto fatti istantanei
(ad es. imposta di registro) La legge d’imposta deve, infine,
sempre collegare il presupposto al territorio di uno Stato.

DELIMITAZIONE DEL PRESUPPOSTO: AGEVOLAZIONI, ESENZIONI ED ESCLUSIONI: nella


disciplina di un tributo, vi sono, o possono esservi enunciati legislativi che ampliano o
restringono l’area di applicazione di una determinata fattispecie imponibile. Pertanto :
1- Agevolazioni : la categoria generale dell’agevolazione si riferisce a forme di attenuazione
della tassazione (minor carico fiscale) o a semplificazioni formali. Quindi può essere
definita agevolazione ogni previsione che, in deroga a quanto previsto in via ordinaria,
riduce il peso dell’imposta,.
2- Esenzioni : si determina una esenzione fiscale allorquando una norma di natura speciale
sottrae (relativamente a un determinato tributo o categoria reddituale) all’imposizione
situazioni e soggetti che, altrimenti, ricadrebbero nell’ambito della previsione della
norma impositiva. In pratica ad una norma impositiva generale si contrappone una norma
particolare, la quale esclude, in considerazione di una valutazione di opportunità riconducibile a
motivi socio-politici. L’esenzione, in quanto può escludere l’an del debito, va tenuta distinta dalle
detrazioni, le quali consentono di sottrarre oneri al contribuente e quindi si riflettono sul
quantum. Inoltre l’esenzione va distinta dallo sgravio d’imposta il quale si differenzia dalle
altre agevolazioni in quanto non discende direttamente dalla legge, ma da provvedimenti emessi
dall’Amministrazione nell’esercizio di un potere conferito giuridicamente.
3- Esclusioni : le mere esclusioni d’imposta si riferiscono a situazioni sostanzialmente
estranee alla norma impositiva (Tes: in quanto le esclusioni risultano da enunciati con cui il
legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo senza derogare) o per l’assenza di
elementi fondamentali, o perché esso è già colpito da altro tributo, avente funzioni
sostitutive di quello dal quale è concessa l’esenzione.
Le fattispecie agevolative, anche se considerano fatti o atti che costituiscono minore idoneità
contributiva riferibili a soggetti o a categorie di soggetti, attuano con le altre norme impositive il
concorso alla spesa pubblica, quindi concorrono insieme ad altre norme ad individuare la
disciplina impositiva di una data norma tributaria nel rispetto del principio di capacità contributiva
combinato con quello di eguaglianza e nel divieto comunitario degli aiuti di Stato. Nell’ambito di
queste previsioni possiamo operare ulteriori distinzioni come: le agevolazioni per concessioni, di cui
è possibile godere solo tramite apposito provvedimento amministrativo; agevolazioni ex lege che
operano automaticamente per il solo verificarsi della situazione agevolata; oppure ci sono
agevolazioni istantanee ed agevolazioni pluriennali che esplicano efficacia in
più periodi d’imposta.
I valori sottesi alle norme agevolative, però, comportano tendenzialmente, da un lato l’apertura
verso il potenziamento del valore promozionale o extrafiscale con conseguente estensione della
portata della norma agevolativa, dall’altro comportano il rischio di un indebito utilizzo delle stesse
da parte di chi non possiede i requisiti normativamente previsti, con la conseguenza di possibili
elusioni o evasioni di imposta. Pertanto la Corte Costituzionale ha contrastato la potenzialità
espansiva delle fattispecie agevolative, procedendo ad una estrema valorizzazione dei canoni
della ragionevolezza e della proporzionalità ed ha evidenziato che il carattere straordinario della
congiuntura economica e finanziaria può consentire l’adozione di disposizioni volte a sopprimere
norme di agevolazione fiscale preesistenti. Per quanto riguarda la problematica
dell’interpretazioni di tali norme, la giurisprudenza della Suprema Corte spesso non ha ritenuto
ammissibile l’interpretazione analogica ma quella estensiva, sottolineando, recentemente, che le
norme agevolative, rappresentando una deroga rispetto al principio generale, non consentono il
ricorso al criterio ermeneutico estensivo o analogico.

LA BASE IMPONIBILE
La base imponibile è l’elemento o grandezza economica, normalmente espresso in denaro, a
cui si applica l’aliquota per determinare l’ammontare del tributo. La base imponibile deve
essere necessariamente coerente con il presupposto di cui è misura, pena l’illegittimità
costituzionale della norma. È la legge ad indicare di regola quali sono gli elementi che
compongono la base imponibile; ed è sempre la legge a qualificare gli elementi attivi e passivi ed i
rispettivi criteri di tassabilità e deducibilità. La legge fa salva la non imponibilità del minimo vitale
(ossia lo stretto necessario per la mera sopravvivenza), da ciò discende l’illegittimità di esenzioni
puramente simboliche che determinino di fatto la tassazioni di situazioni personali non superiori
al minimo imponibile (la base imponibile è un concetto che si può sovrapporre o identificare con
il presupposto, infatti il minimo imponibile è presupposto per la applicazione dei tributi).

L’ALIQUOTA : l’aliquota è la percentuale che si applica sulla base imponibile della


determinazione dell’importo o l’ammontare dell’imposta. Più in particolare :
² L’imposta è proporzionale : quando l’aliquota non muta con il variare della base imponibile
² L’imposta è progressiva : quando l’aliquota aumenta con l’aumentare della base imponibile;
l’imposta progressiva colpisce maggiormente i redditi più elevati, tendendo ad attenuare le
concentrazioni di ricchezza ed il divario tra redditi maggiori e minori:
 nel sistema della progressione per scaglioni (il metodo più usato), la base imponibile viene
suddivisa in tanti scaglioni a ognuno dei quali corrisponde una diversa aliquota
 nel sistema della progressione per classi l’aliquota varia a scatti, nel passaggio da una classe
all’altra, mentre rimane costante per tutto il reddito di una medesima classe (questo tipo di
progressione penalizza i redditi che superano di poco il limite della classe inferiore)
² L’imposta è regressiva : se l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile
L’art.53 Cost. impiega una formula generica per l’aliquota che non si riferisce ad aliquote
progressive bensì a criteri di progressività, infatti recita <<il nostro sistema tributario è informato
a criteri di progressività>> (quindi è legittimo che anche le Regioni, nell’esercizio del loro
autonomo potere di imposizione, improntino il prelievo al criterio della progressività).

PARTE II – INTERPRETAZIONE ED ELUSIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA

L’INTERPRETAZIONE LETTERALE, ESTENSIVA, RESTRITTIVA, ANALOGICA E AUTENTICA


DELLA NORMA TRIBUTARIA
L’interpretazione consiste in una attività conoscitiva che, muovendo dall’analisi del testo letterale
giunge alla determinazione della norma giuridica in esso oggettivata; l’art. 12 delle preleggi c.c.
sancisce che : << nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che
quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse, e dalla intenzione del legislatore>>. Tuttavia il linguaggio tributario è intriso di
tecnicismi: vi sono comprese produzioni normative non coordinate e spesso inquadrate in istituti
giuridici di altri settori che rendono difficile l’individuazione dei principi generali, poi c’è da
considerare l’iperlegificazione tributaria che deriva sia dalla necessità di adeguare la legislazione
alle nuove realtà economiche, sia per far fronte a situazioni di emergenza. L’interpretazione e la
stessa conoscenza delle leggi tributarie presentano problemi e difficoltà particolari, quindi :
² Il dato letterale : il primo elemento su cui si basa l’operazione interpretativa è il dato
letterale; quindi nell’interpretazione della legge il significato tecnico prevale su quello
corrente; si ritiene che, nei collegamenti con altri istituti giuridici la norma tributaria non
ridefinisce le nozioni vigenti di altri settori giuridici.
² Interpretazione estensiva : con l’interpretazione estensiva si estende la portata della
norma fino al più ampio significato con essa compatibile, sempre avendo come punto di
riferimento la ratio della norma stessa.
² Interpretazione restrittiva : è il procedimento inverso a quello estensivo, dal significato
più ampio fino a quello particolare della norma.
² Interpretazione analogica : problemi di integrazione possono sorgere nel caso in cui la
legge non fornisce all’interprete la disciplina del caso e quindi si ha una lacuna; in questa
situazione si ricorre alla natura interpretativa del procedimento analogico volto appunto a
colmare le lacune legislative. Questo procedimento presenta affinità con l’interpretazione
estensiva, l’ interpretazione analogica si applica nel caso in cui una situazione di fatto non
espressamente prevista dalla legge manifesti elementi non comuni che siano irrilevanti nei
confronti della ratio. È vietata l’applicazione analogica di alcune leggi tributarie, tale
divieto combacia con il divieto di analogia delle corrispondenti norme sanzionatorie penali e di
esenzione che deroga alla ratio della legge istitutiva del tributo; il motivo risiede nell’intento
di evitare l’estensione di un efficacia che andrebbe a minare l’unità del sistema basato
sul fondamento costituzionale dell’art.23 Cost., quindi il divieto di analogia è riferito alle
norme che indicano soggetti o oggetti colpiti dall’obbligazione tributaria (i soggetti o oggetti non
indicati espressamente dalla legge non possono essere colpiti da tassazione come da art.23
Cost.).
² L’interpretazione autentica (le leggi di interpretazione) : le leggi di interpretazione
autentica si caratterizzano per la loro funzione di provvedere a fissare come
vincolante uno dei molteplici significati già attribuiti alla medesima allo scopo di
ristabilire la certezza del diritto. Quindi lo scopo di tali leggi è quello di eliminare
incertezze e contraddizioni relative alla legge interpretata. Tuttavia l’interpretazione autentica
può assumere connotati di particolare complessità in materia tributaria, infatti il legislatore,
attribuendo un significato innovativo ad una legge tributaria precedente, può incidere
retroattivamente sui rapporti giuridici in corso, consentendo di attrarre o di recuperare a
tassazione situazioni poste in essere; si delinea così il problema della tutela dei diritti
fondamentali e del legittimo affidamento del contribuente. Una legge è effettivamente
interpretativa quando illumina il significato della precedente, senza intaccare o integrare i
contenuti che sono la sua essenza originaria.
Un eccessivo ricorso a questa tecnica legislativa può senza dubbio produrre effetti lesivi nei
riguardi delle garanzie poste a favore dei contribuenti; proprio in questo contesto si inserisce
l’art.1 dello Statuto dei contribuenti, secondo il quale le norme interpretative in materia tributaria
possono essere adottate solo in casi eccezionali.

ELUSIONE FISCALE E ABUSO DEL DIRITTO


L’elusione fiscale consiste in un comportamento che mira ad ottenere un vantaggio o
un minor carico fiscale , evitando il verificarsi del presupposto previsto dal legislatore
cui la legge ricollega la nascita dell’obbligazione tributaria, oppure ponendo in essere un
presupposto diverso, attraverso l’abuso delle forme (uso improprio) delle forme giuridiche e
operazioni non conformi alla ratio delle norme tributarie. L’elusione è un concetto differente
dall’evasione, quest’ultima appartiene all’area dell’illecito (amministrativo o penale) occultando
il presupposto dell’imposta; infatti l’elusione non si verifica attraverso una violazione
diretta di una norma tributaria, ma attraverso l’organizzazione di fattispecie (equivalenti)
lecite che prevedono un trattamento fiscale più favorevole che vanificano l’imposizione effettiva
dell’ipotesi prevista. La norma tributaria viene così elusa mediante un abuso dei diversi regimi
giuridici previsti per una stessa operazione per ottenere un vantaggio indebito.
Per poter individuare l’elusione fiscale e distinguerla dal lecito risparmio di imposta bisogna
distinguere i vantaggi fiscali indebiti da quelli conformi alla logica ed alla ratio della norma
tributaria, più precisamente bisogna distinguere un risparmio d’imposta patologico, e quindi
elusivo, da un risparmio d’imposta fisiologico che non ha necessità di essere giustificato con vere
e presunte “valide ragioni”. La recente
giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte di Cassazione si è basata sul principio
generale dell’ abuso di diritto di matrice comunitaria; questa nozione usata in ambito
comunitario in materia di IVA, si configura in presenza di operazioni volte al perseguimento del
vantaggio fiscale, la cui concessione appare contraria alla ratio della direttiva IVA e della
disposizione nazionale che la traspone ad uno o più obiettivi della stessa. L’abuso del diritto
comunitario è stato considerato un principio giurisprudenziale, applicabile d’ufficio in ogni stato e
grado a prescindere da specifiche deduzioni o istanze; tale formulazione è stata considerata
riconducibile nel nostro ordinamento ad un principio generale applicabile anche nel settore delle
imposte dirette.
Per poter comprendere la portata di tali interventi giurisprudenziali sul nostro sistema fiscale, è
necessario precisare che una funzione fondamentale del diritto tributario è rappresentata dalla
prevenzione dei comportamenti elusivi determinati da alcune leggi tributarie di per sé suscettibili di
aggiramento. Per ovviare questi problemi si potrebbe procedere ad effettuare dei miglioramenti
e correzioni legislativi che eliminano le distorsioni, ed in secondo luogo dotare di una maggiore
discrezionalità l’A.F. e la giurisprudenza al fine di scorgere i vantaggi fiscali attraverso
comportamenti elusivi: ma in merito alla maggiore discrezionalità (dell’A.F. e della
giurisprudenza) verrebbe sacrificato il garantismo connesso al rispetto delle norme; su questo
punto la dottrina italiana ha sempre ritenuto che a discrezionalità dell’A.F. contrasta con la certezza
del diritto.
In una attenta analisi la nozione di abuso di diritto, elaborata in diritto comunitario, anche se
consente di superare il principio di tassatività delle fattispecie elusive, non appare molto diversa
da quelle di elusione fiscale; tuttavia la Corte di giustizia si è dimostrata, infatti, rigorosa
nello stabilire che cosa debba essere considerato abuso in materia tributaria ed in quali
settori del diritto tributario può ritenersi operante tale principio in presenza di costruzioni
meramente artificiose e nel rispetto della proporzionalità e della necessarietà; pertanto non devono
ritenersi compatibili con il dispositivo comunitario le norme interne che impongano misure
maggiormente restrittive di quelle ragionevolmente idonee a garantire l’attività di controllo dell’A.F.
La nostra giurisprudenza ha individuato un limite fondamentale per l’applicazione delle regole
anti-abuso per quanto riguarda la libera iniziativa economica, in tal contesto è stato riconosciuto
che appare necessaria una gran cautela da parte dell’A.F. nella verifica dell’esistenza di una pratica
abusiva; tali considerazioni devono essere necessariamente rapportate alla definizione generale
dell’abuso di diritto racchiusa nel disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale
approvato dal CDM il 16 Aprile 2012 : nel disegno di legge delega, la condotta abusiva viene
identificata nell’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta,
ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione.
In riferimento all’onere della prova, è a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare il disegno
abusivo e le modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici
utilizzati, nonché una loro non conformità ad una logica di mercato; grava sul contribuente,
invece, l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che
giustifichino il ricorso a tali strumenti.

L’IDENTIFICAZIONE DEGLI INTERPELLI


L’interpello consente al contribuente di azionare un procedimento per ottenere il parere
interpretativo dell’A.F. sull’applicabilità di alcune norme tributarie a specifiche operazioni
data la potenziale portata elusiva di alcune fattispecie. Esistono nel nostro ordinamento diverse
forme di interpello, dove oltre a quello ordinario, la dottrina più attenta ha operato una diversa
suddivisione delle istanze di interpello in considerazione delle finalità e degli effetti sulle istanze
stesse; quindi:
² Interpello ordinario : previsto dallo Statuto del contribuente ha portata generale ed
efficacia più marcata rispetto ad altre forme di interpello, oltre a rappresentare una forma di
prevenzione del contenzioso, svolge l’importante funzione di determinare orientamenti uniformi
volti ad evitare ingiustificate disparità di trattamento tra i contribuenti
² Interpello consultivo : ossia l’interpello ordinario in cui l’amministrazione fornisce un
parere in ordine all’interpretazione di una determinata norma di legge
² Interpello probatorio : caratterizzato per il fatto che il parere dell’Agenzia incide sulla
distribuzione dell’onere probatorio fra le parti
² Interpello disapplicativo : è una forma di interpello che autorizza l’accesso ad un regime
diverso da quello ordinario
Le recenti indicazioni di prassi tendono a valorizzare la sostanziale unitarietà del’interpello in
termini di atto che, pur in considerazione dei diversi profili funzionali, resta pur sempre un mero
atto di indirizzo ed orientamento del comportamento dei destinatari.
ã Procedimento : l’istanza di interpello è presentata alla A.F., in merito a una disposizione la cui
interpretazione si presenti obiettivamente incerta; l’Amministrazione la quale dovrà rispondere
entro 120 gg. con un parere motivato. Il parere reso dall’Agenzia vincola con esclusivo riferimento
alla questione oggetto dell’istanza d’interpello; qualora la risposta non pervenga al contribuente
entro il termine di 120 gg. si ha tacito assenso. Il parere dell’Agenzia vincola gli uffici
dell’A.F. i quali non possono emettere atti impositivi o sanzionatori in difformità rispetto al
contenuto della risposta del quesito oggetto di interpello.
CAPITOLO V – I SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E LA SOLIDARIETÀ

PARTE I – I SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E IL CONCETTO DI


SOGGETTIVITÀ
LA SOGGETTIVITÀ TRIBUTARIA
La nozione di soggettività tributaria fa riferimento ai soggetti coinvolti nel rapporto giuridico
d’imposta di singole situazioni giuridiche collettive. Nel rapporto giuridico d’imposta occorre
distinguere due soggetti :
● i soggetti passivi (debitori) che sono tenuti, al verificarsi del presupposto previsto dalla legge,
all’adempimento degli obblighi formali e al pagamento delle imposte secondo il concorso alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva
● i soggetti attivi (creditori) dell’obbligazione tributaria che hanno il potere impositivo

I SOGGETTI PASSIVI : LA SOGGETTIVITÀ DEGLI ENTI SENZA PERSONALITÀ GIURIDICA


L’obbligazione tributaria sorge in capo a tutti i soggetti che pongono in essere il
presupposto previsto dalla norma. Tuttavia non è sufficiente considerare il versamento del
tributo ai fini di attribuire soggettività tributaria e ritenere che quel soggetto centro autonomo di
imputazione di indici rilevanti ai fini fiscali. Sono soggetti passivi d’imposta :
1- Persone fisiche : il soggetto passivo, persona fisica, è il contribuente per eccellenza,
ovvero colui che è tenuto all’adempimento dell’obbligazione tributaria e quindi a contribuire, ai
sensi dell’art. 53 Cost., alle spese pubbliche.
2- Enti collettivi dotati di personalità giuridica : le società di capitali (società per azioni e
in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società
di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato) fondazioni e associazioni riconosciute.
Sono persone giuridiche e possono assumere tutte le posizioni giuridiche connesse ai loro interessi.
3- Società di persone, associazioni non riconosciute, altre organizzazioni appartenenti
ad altri soggetti passivi : <<nei cui confronti delle quali il presupposto si verifica in modo
unitario ed autonomo >> (art.73 TUIR), ai sensi dell’art.73 TUIR sono soggetti passivi ai fini IRES.
Partendo dalla definizione dell’art.73 TUIR è possibile individuare alcuni elementi fondamentali ai
fini dell’identificazione della soggettività tributaria come attitudine alla titolarità di situazioni
giuridiche soggettive; tali elementi, quindi, consentono di superare la teoria formalistica in base alla
quale la soggettività e di conseguenza la capacità giuridica spetterebbero esclusivamente alle
persone fisiche e giuridiche, in effetti gli enti non personificati (senza personalità giuridica) non
godrebbero di una propria capacità, ma semplicemente di una autonomia patrimoniale, quindi
una capacità giuridica ridotta, la quale non impegna tutte le posizioni giuridiche connesse ai loro
possibili interessi. Occorre puntualizzare che la capacità giuridica, intesa come attitudine a
diventare titolare di posizioni giuridiche, assume una diversa rilevanza nel diritto tributario, cioè
un ambito di applicazione che non coincide con quello del diritto comune, pertanto sono compresi
anche enti senza rilevanza soggettiva in diritto civile ( soggetti non personificati ad es. società di
persone, associazioni non riconosciute, comitati, consorzi).

ALCUNE FATTISPECIE PECULIARI : 1- LE SOCIETÀ CONTROLLATE ED I GRUPPI DI


SOCIETÀ 2- LE STABILI ORGANIZZAZIONI 3- IL FALLITO 4- IL TRUST
1- Le società controllate ed i gruppi di società: la legge n.80 del 2003 ha introdotto in
materia di imposte dirette, la tassazione consolidata di gruppo prevedendo un’unica tassazione
dei redditi fondata su un’unica base imponibile compensando i risultati positivi e negativi dei
singoli componenti. La disciplina del consolidato nazionale è stata inserita nel TUIR (artt. 117-129)
e prevede la determinazione in capo alla controllante, su opzione facoltativa dei singoli soggetti
di un’unica base imponibile relativa alle società che aderiscono alla tassazione di gruppo. La
norma non prevede una specifica soggettivazione passiva del gruppo, ma una specifica ed
autonoma soggettività passiva della controllante; in particolare, le società controllate hanno il
dovere di collaborare con la società controllante per l’adempimento degli obblighi tributari. Se ne
deduce che per effetto dell’opzione per la tassazione consolidata del gruppo, si è attribuito alla
controllante il diritto di far confluire in un unico rapporto dichiarativo, i redditi e le perdite di
ciascuna controllata che altrimenti, in difetto di opzione, sarebbero state costrette a dichiarare
autonomamente: in definitiva le società controllate non perdono la propria soggettività
tributaria, nonostante venga prevista l’elezione di domicilio da parte di ciascuna società
controllata presso la controllante, rimangono pur sempre autonomamente assoggettabili ad
attività di accertamento, quindi ciascuno dei soggetti rientranti nel gruppo mantiene la propria
autonomia sul piano giuridico e delle responsabilità patrimoniali.
Anche se, in virtù, della separazione e dell’autonomia dei procedimenti di accertamento nei
confronti di consolidate e consolidante, si aveva come conseguenza l’emissione di distinti atti
impositivi, un recente intervento legislativo (art.35 del d.l. 78 del 2010) che ha provveduto ad
integrare il d.p.r. 600 del 1973 inserendo l’art.40-bis avente ad oggetto la rettifica delle
dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale, prevede la partecipazione
contemporanea sia della consolidante che della consolidata al procedimento di accertamento, al
fine di produrre effetti positivi in termini di efficienza e tempestività della Pubblica Amministrazione.
2- Le stabili organizzazioni : la stabile organizzazione assume rilievo, nel diritto tributario
internazionale sia ai fini della distribuzione del potere impositivo tra Stati nelle convenzioni
bilaterali (art.7 Modello di convenzione contro le doppie imposizioni OCSE) sia ai fini delle
modalità di tassazione delle società non residenti. L’art.162 TUIR fornisce una definizione specifica
di stabile organizzazione, che sostanzialmente coincide con quella prevista in sede OCSE,
qualificandola come <<una sede fissa d’affari per mezzo della quale l’impresa non residente
esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato >>. La Corte di Cassazione ha
precisato, inoltre, che deve trattarsi di un’organizzazione stabile, tale da poter essere utilizzata in
maniera durevole e non meramente occasionale, ed inoltre l’organizzazione deve essere
strumentale ad un’attività che l’ente straniero svolge abitualmente in Italia. Per sede fissa si fa
riferimento a : a) una sede di direzione
b) una succursale c) un ufficio d) una officina e) un laboratorio f) una miniera, pozzo di petrolio
o gas, una cava o altro luogo di estrazione e sfruttamento di risorse naturali g) un cantiere di
costruzione, montaggio o installazione la cui durata oltrepassa i 3 mesi. Nelle imposte dirette la
giurisprudenza comunitaria ha sancito la consacrazione di alcune stabili organizzazioni quali centri
di imputazione soggettiva della tassazione societaria in ambito UE; le stabili organizzazioni,
potendo talvolta assumere autonomia tale da essere soggette alla stessa imposizione a livello
mondiale delle società residenti, manifestano al stessa potenzialità economica delle società che si
trovano nello Stato della fonte.
3- Il fallito : il riconoscimento della soggettività tributaria autonoma del fallimento o del fallito è
stato oggetto di un ampio dibattito. Una imputazione soggettiva al fallimento è stata
definitivamente esclusa (art.183 TUIR) prevedendo la soggettività tributaria dell’imprenditore
fallito o dei soci coinvolti nel fallimento a quali rimangono gli obblighi formali tributari che non
sono esclusi dalla legge o espressamente attribuiti al curatore. Secondo la legge fallimentare si
opera una dissociazione tra proprietà e potere di amministrazione giuridica e materiale del
patrimonio, perdendo il fallito sia la disponibilità che il possesso del suo patrimonio, tuttavia il
fallito non perde la titolarità dei rapporti giuridici patrimoniali e neanche la soggettività d’imposta,
il soggetto d’imposta sarà sempre il fallito e non la curatela fallimentare; infatti è stata chiarita
definitivamente la posizione del curatore fallimentare (tramite l’art.37 del d.l. n.223 del 2006) al
quale è stata attribuita la qualifica di sostituto d’imposta. Inoltre l’avviso di accertamento emesso
dall’A.F. avente ad oggetto crediti i cui presupposti si sono verificati in periodi antecedenti alla
dichiarazione di fallimento, deve essere notificato, a pena di nullità, sia al curatore che al fallito.
Quindi un soggetto passivo d’imposta anche se dichiarato fallito resta esposto alle conseguenze
patrimoniali e sanzionatorie scaturenti dalla definitività della pretesa tributaria; inoltre, anche se
la legittimazione passiva agli effetti d’imposta resta in capo al fallito, in tema di riscossione sarà
il liquidatore ad essere chiamato agli adempimenti in luogo dell’imprenditore.
4- Il trust : il trust è una figura giuridica di origine anglosassone, è l’accordo (di durata limitata
nel tempo) con il quale uno o più soggetti (settlors) trasferiscono (con atto tra vivi o mortis causa)
la proprietà di beni mobili o immobili ad un altro soggetto ( trustee) con l’obbligo a carico di
quest’ultimo di amministrarli e, allo scadere dell’accordo o a scadenze periodiche, di trasferire a
terzi ( beneficiaries) i redditi derivanti dalla gestione del trust nonché il patrimonio originariamente
trasferito. Con il trust si verifica la perdita da parte del settlor del diritto di proprietà sui beni
trasferiti al trustee; il settlor, tuttavia può riservarsi delle preferenze in merito alla gestione dei beni
mediante le c.d. lettere di desideri (letters of wishes), tuttavia tali istruzioni non sono vincolanti
per il trustee i quale le può disattendere qualora ritenga che un interesse degno di tutela vi si
opponga. Dal suo canto il trustee può sia amministrare che disporre dei beni che gli sono stati
trasferiti, ma non disperderli né tantomeno distrarli dalle finalità per le quali gli sono stati trasferiti.
Il trust, sulla base delle finalità da perseguire, si può distinguere in trust con beneficiario e trust di
scopo. Il trust è regolato dalla Convenzione dell’Aja del 1985 ed è stata recepita nel nostro
ordinamento (con legge n.364/1989); la Finanziaria del 2007 ha introdotto per la prima volta
nell’ordinamento tributario nazionale disposizioni in materia di trust, attribuendo ai trust
autonoma soggettività tributaria li ha inclusi tra i soggetti passivi dell’IRES. Il trust, in quanto
soggetto passivo, sarà tenuto a presentare le dichiarazioni dei redditi nei modi e nei tempi
previsti per i soggetti IRES.

SOGGETTI ATTIVI E LE LORO COMPETENZE - IL POTERE IMPOSITIVO E LA


DISCREZIONALITÀ DEI SOGGETTI ATTIVI
Si definiscono soggetti attivi del rapporto tributario coloro che, in virtù della legge, hanno il
potere di applicare e pretendere la riscossione del tributo, diventando in tal modo
creditori dell’obbligazione; tale potere/dovere deve essere esercitato nel rispetto della legge. I
soggetti attivi dell’attività finanziaria prendono il nome di enti impositori e sono titolari di poteri
attuativi connessi alla concreta determinazione della fattispecie. Tali poteri sono i poteri di
accertamento, controllo e riscossione delle imposte, inoltre a tali attività si aggiunge anche quella
sanzionatoria che consiste nella possibilità degli uffici tributari di irrogare sanzioni di carattere non
penale.
I soggetti attivi a cui spetta il potere impositivo sono: lo Stato/amministrazione che opera
attraverso uffici centrali e periferici, e gli enti territoriali minori (regioni, province e comuni). Non
sempre il soggetto attivo che applica il tributo coincide con quello che lo accerta e riscuote.
 Potere impositivo e discrezionalità : l’A.F. è investita ex lege della funzione di imposizione dei
tributi che consiste nel potere di provvedere alla determinazione del tributo dovuto. La funzione
impositiva è un’attività amministrativa volta a soddisfare lo scopo del prelevamento tributario
secondo i criteri fissati dalla legge: infatti la funzione di imposizione-ripartizione tributaria deve
essere vincolata e non discrezionale. L’obbligazione tributaria, in quanto ex lege, sorge appena
si verifica il presupposto al quale la norma la ricollega, per cui è solo la legge tributaria a poter
disporre in modo diverso: la discrezionalità amministrativa dell’A.F. non svolge alcuna
valutazione che prescinda da quanto previsto normativamente né in ordine all’an né in
ordine al quantum dell’imposta dovuta. Tuttavia il potere di imposizione va anche esercitato
nell’ambito di specifiche norme, oltre che nel rispetto dei principi costituzionali e fondamentali
quali quello della capacità contributiva, stabilendo espressamente delle esenzioni totali e parziali a
favore che si trovano in determinate condizioni; quindi la discrezionalità dell’A.F. si estrinseca
attraverso la concessione della sospensione di un atto impositivo, la rateizzazione o
l’individuazione delle categorie di soggetti sottoposti a controllo.

L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA : IL MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE E


L’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’amministrazione finanziaria si divide tra uffici centrali ed uffici periferici, ed è stata
completamente riformata dalla leggi n.59 del 1997 e dalla legge n.300 del 1999 (riforma del
Governo). La riforma ha portato alla creazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha
accorpato e sostituito i dicasteri dell’Economia e delle Finanze, del Tesoro, del Bilancio e
Programmazione Economica. Pertanto distinguendo le varie competenze :
1- Il Ministero dell'economia e delle finanze : ha competenze in materia di politica economica,
politica finanziaria e fisco
2- L'Agenzia delle entrate : è competente in materia di imposte dirette, imposta sul valore
aggiunto e di tutti gli altri tributi gestiti e di competenza del dipartimento dell’Entrate del
Ministero. Il rapporto tra l’Agenzia delle Entrate con il Ministero dell’Economia e delle Finanze è
regolato con una convenzione triennale, con la quale vengono stabiliti gli obiettivi, le modalità di
verifica di gestione, le risorse finanziarie ed i risultati che l’Agenzia deve conseguire. Le funzioni
dell’Agenzia sono : garantire l’adempimento degli obblighi tributari, semplificare i rapporti con i
contribuenti, offrire assistenza ed informazione ai contribuenti, accertamento, amministrazione
e riscossione dei tributi, contrasto all’evasione fiscale, interpretazione delle norme attraverso
l’emissione di circolari, gestione del contenzioso tributario. L’organizzazione dell’Agenzia si
esplica sia a livello centrale sia a livello regionale sia a livello periferico :
- A livello centrale :i sono 7 Direzioni (accertamento, affari legali, normativa, servizi ai
contribuenti, personale, amministrazione pianificazione e controllo, audit e sicurezza) e 3 Uffici
di staff (Ufficio del direttore, Ufficio studi, Settore comunicazione). I compiti delle strutture
centrali sono di programmazione, indirizzo e coordinamento alle due strutture decentralizzate:
Direzioni Regionali ed Uffici periferici.
- A livello regionale : ci sono 21 Direzioni che hanno sede in 19 capoluoghi di regione (ad
eccezione del Trentino Alto Adige e delle province autonome di Trento e Bolzano). Esse svolgono
attività di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo nei confronti degli Uffici
periferici; inoltre svolgono attività di particolare rilievo in materia di riscossione dei tributi e in
materia di contenzioso soprattutto nei confronti dei cd. “grandi contribuenti” (ad es. società).
- A livello periferico :gli Uffici periferici sono quelli che svolgono di fatto le funzioni
operative e sono strutturati in: 111 Direzioni provinciali, 7 Centri di assistenza multicanale, 2
Centri operativi, Centri satelliti. In particolare le Direzioni provinciali sono articolate in Ufficio
controlli e in uno o più Uffici Territoriali. Gli Uffici Territoriali si occupano di quelle tipologie di
controllo a maggior diffusione sul territorio (comunicazioni di irregolarità, controllo formale
delle dichiarazioni dei redditi, accertamento in materia di imposte di registro, imposta
successione, imposta donazione, riscontro della veridicità dei dati rilevanti ai fini legali ai fini
degli studi di settore); inoltre con riguardo all’erogazione dei servizi ai contribuenti svolgono le
tradizionali attività di front office attraverso sportelli decentrati (registrazione di atti pubblici e
privati, tutoraggio assistenza alla compilazione e trasmissione delle dichiarazioni fiscali, rilascio di
codice fiscale di IVA).
3- L'Agenzia delle dogane : è divisa in compartimenti doganali, ha competenza per quanto
riguarda l’amministrazione, la riscossione ed il contenzioso tributario dei tributi doganali, delle
accise sulla produzione e sui consumi e della fiscalità connessa agli scambi internazionali.
4- L'Agenzia del Territorio : esercita compiti relativi ai servizi catastali e alle Conservatorie dei
registri immobiliari; svolge, inoltre, compiti di determinazione estimativa di beni immobili e tali
risultati possono essere utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per modificare il valore di alcuni
tributi.
5- L'Agenzia del Demanio : è l’unica a non avere funzioni di natura tributaria, si occupa
dell’amministrazione e della manutenzione degli immobili di proprietà dello Stato.

LE REGIONI E GLI ENTI LOCALI


Un primo riconoscimento dell’autonomia tributaria degli enti locali e della loro soggettività
tributaria si è avuto con la legge 142/1990 (ordinamento delle autonomie locali) che ha
riconosciuto maggiori poteri agli Enti locali in materia di risorse proprie e di quelle trasferite ed
una potestà impositiva ai Comuni e Province; in seguito il d.lgs. 446/1997 ha determinato una
modifica della fiscalità locale, attuando un decentramento del prelievo dallo Stato alle Regioni e
agli Enti Locali che ribadiva la facoltà, per i comuni e le province di disciplinare con regolamento
o le proprie entrate, anche tributarie (istituzione dell’ Irap, revisione degli scaglioni, delle aliquote e
detrazioni Irpef, istituzione dell’addizionale regionale Irpef, riordino della disciplina dei tributi
locali), tuttavia non erano stati precisati confini entro cui la potestà generale poteva essere
esercitata, aggiungendo immediatamente dopo il limite rappresentato dalla individuazione e
definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli
tributi, che dovranno avvenire per legge dello Stato.
La riforma più significativa in materia di finanza locale è avvenuta ad opera della legge Cost. n.3
del 2001 che ha modificato l’intero Titolo V dall’art. 114 al 132. Il novellato art.114 Cost., sotto
l’aspetto del riparto delle competenze legislative, riconosce ad enti territoriali molto diversi tra loro
(regioni, province, comuni, città metropolitane e Stato) una autonomia esercitabile in base alle
proprie norme, poteri e funzioni. L’art.117 Cost. riconosce la potestà legislativa allo Stato ed
alle Regioni una potestà legislativa residuale in tutte le materie <<non espressamente
riservate alla legislazione statale>> (4° comma), mentre i Comuni, le Province e le Città
metropolitane hanno potestà regolamentare << in ordine alla disciplina dell'organizzazione e
dello svolgimento delle funzioni loro attribuite>>. L’art.119 ribadisce le basi dell’autonomia
finanziaria fra Regioni, Province, Comuni, basato sui principi di solidarietà redistributiva <<in
armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario>> disponendo sia la compartecipazione (comma 2 art.119) ai tributi erariali
riferibili al territorio, sia mediante l’istituzione di un fondo perequativo (comma 3 art. 119) per
territori con minore capacità fiscale.
Se da un lato non è possibile riconoscere competenza esclusiva alle regioni in materia tributaria
attraverso la residualità prevista dall'articolo 117 4° comma, a causa dell'articolo 23 che pone
una riserva di legge statale, dall'altro l'utilizzo della legge regionale in alcuni ambiti, la nuova
formulazione dell'articolo 119 e la competenza ripartita tra Stato e regioni in materia di
coordinamento del sistema tributario, rendono più elastica tale riserva, ampliando la potestà
impositiva e agevolativa in materia fiscale. Ciò in quanto esistono delle esigenze imprescindibili di
unitarietà, di equilibrio e di coerenza del sistema riconosciute dallo stesso legislatore delegato, il cui
rispetto deve essere garantito tramite i principi generali fissati dalle leggi dello Stato. Tuttavia i
limiti della potestà regionale tributaria restato non ancora ben definiti, infatti la
materia verrà disciplinata in sede di attuazione della legge delega n.42 del 2009 emanazione di
decreti legislativi.
Secondo l'articolo 119, le regioni e gli enti locali possono stabilire da applicare tributi propri però
la finanza regionale non può comprendere tributi propri che abbiano gli stessi presupposti dei
tributi già istituiti dallo Stato, e che si risolvano in un duplicato, per struttura e disciplina, di quelli
erariali già esistenti. Ancor di più risultano ridotte le competenze dei Comuni: il limite
dell’autonomia tributaria degli enti locali è comunque ben individuato nel d.lgs. 446 del 1997 e
dalla legge delega 42 del 2009. Il ruolo dei Comuni quali soggetti attivi del rapporto tributario e
la potestà regolamentare li rendono sicuramente diversi rispetto alle Regioni.
In ordine al servizio di accertamento e riscossione, quindi il Comune potrà affidare, mediante
apposita convenzione, l’accertamento e la riscossione delle imposte locali a soggetti terzi, ma il
potere di accertamento spetta al soggetto concessionario e non al Comune; l’attribuzione di tali
poteri determinano non solo la legittimazione sostanziale ma anche una legittimazione
processuale per eventuali controversie, senza che si verifichi una ipotesi di litisconsorzio
necessario tra ente concessionario e Comune.

IL CONCESSIONARIO DELLA RISCOSSIONE (tale paragrafo è superfluo e lo si rimanda al


capitolo 10 - Le funzioni e le competenze di Equitalia S.p.A.)

PARTE II – LA NOZIONE DI SOLIDARIETÀ TRIBUTARIA E DI SOSTITUZIONE D’IMPOSTA

PREMESSA : LA SOLIDARIETÀ E LA SOSTITUZIONE


Gli istituti della solidarietà e della sostituzione connessi a quelli della soggettività, hanno come
scopo primario quello di rafforzare il credito del fisco, garantendo in tal modo la riscossione sicura
del tributo.

LA SOLIDARIETÀ: 1-LA SOLIDARIETÀ PARITETICA E LA TEORIA DELLA


SUPERSOLIDARIETÀ 2- LA SOLIDARIETÀ DIPENDENTE
Si parla di solidarietà laddove, oltre al debitore dell’imposta, la norma individua un altro
soggetto, obbligandolo solidalmente col primo o con tutti, a specifici adempimenti e in
particolare al versamento del tributo. L’istituto della solidarietà trova al sua origine nel diritto
civile nell’art. 1292 c.c. secondo cui <<l’obbligazione è in solido quando uno o più debitori sono
obbligati tutti per la medesima prestazione in modo che ciascuno può essere costretto
all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri >>. Con la
solidarietà tributaria, quindi, più soggetti passivi sono tenuti all’adempimento dell’obbligazione
tributaria. Nella coobbligazione il creditore può chiedere a ciascun condebitore, senza intentare
cause a quanti sono i suoi debitori, l’adempimento dell’intera prestazione oggetto
dell’obbligazione: la conseguenza dell’adempimento di un coobbligato è la liberazione degli altri
condebitori dal rapporto con il creditore; il debitore avrà poi diritto di regresso dell’adempimento
nei confronti degli altri coobbligati. La solidarietà si distingue in : 1- paritetica e 2- dipendente
1- SOLIDARIETÀ PARITETICA (O PARITARIA) E LA TEORIA DELLA SUPERSOLIDARIETÀ :
si realizza nelle situazioni di condebito, cioè di con titolarità di una posizione debitoria tra più
soggetti, in altre parole si ha solidarietà paritetica quando si fa riferimento a tutte quelle
situazioni in cui il presupposto d’imposta si realizza nei confronti di tutti i coobbligati
verso l’Erario, per la medesima prestazione, salvo diverso carico d’imposta. In pratica qualora
tutti i soggetti hanno concorso alla realizzazione del medesimo presupposto dell’imposta, si
stabilisce un vincolo di solidarietà tra essi nell’adempimento dell’obbligazione tributaria. Ciò vuol
dire che il presupposto è unitario e plurisoggettivo, pertanto ogni condebitore solidale è obbligato
in via principale, ovvero in maniera autonoma e indipendente da tutti gli altri coobbligati; quindi
l’amministrazione finanziaria potrà rivolgersi indifferentemente a uno o a qualsiasi condebitori
solidali. L’adempimento di uno libera gli altri condebitori, ma il condebitore che adempie per
intero, vanta nei confronti degli altri obbligati (non escussi) un diritto di regresso di quanto
pagato (ad es. vi è solidarietà paritetica tra i coobbligati in materia di imposta di registro, oppure
tra gli eredi all’apertura della successione, sono tenuti solidalmente al pagamento per intero
dell’imposta di successione).
ã Supersolidarietà : fino al 1968 era consolidata la teoria della supersolidarietà, secondo la
quale ogni atto impositivo posto in essere nei confronti di uno solo dei coobbligati solidali
vincolasse tutti gli altri condebitori: in pratica non esistevano tante obbligazioni ma un’unica
obbligazione con più titolari e ciò avvantaggiava l’amministrazione finanziaria che vedeva
accentuate le sue garanzie patrimoniali, ma penalizzava i condebitori a cui non era stato
notificato alcun atto, in tal modo veniva violato il loro diritto alla difesa. Alla luce di tutto ciò, nel
1968 è intervenuta la Corte Costituzionale, che per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., ha ritenuto
illegittima la supersolidarietà.
ã Efficacia soggettiva del giudicato : può accadere che un avviso di accertamento non
venga impugnato da un condebitore solidale paritetico e che l’atto sia divenuto definitivo nei suoi
confronti. Secondo l’art. 1306 c.c. <<la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori
in solido non ha effetto contro gli altri debitori>>, ma la giurisprudenza al fine di
delimitare l’ambito di applicazione dell’art.1306 c.c. ha ritenuto che il condebitore ha
possibilità di opporre all’A.F., nella successiva fase di impugnazione degli atti di liquidazione
o di riscossione, la sentenza favorevole ottenuta da un altro coobbligato in solido, quindi
la sentenza può valere ultra partes purché non si sia in presenza di due preclusioni alternative:
° il condebitore solidale dell’imposta non può invocare il giudicato favorevole per la
ripetizione di quanto già pagato per l’imposta liquidata d’Ufficio
° il condebitore, nei cui confronti si sia direttamente formato un giudicato di segno opposto,
non può invocare la sentenza pronunciata nei confronti di altro coobbligato
° il condebitore che ha adempiuto all’obbligazione tributaria, nei rapporti interni con gli altri
condebitori, potrà avvalersi su di essi pro quota
2- SOLIDARIETÀ DIPENDENTE : la solidarietà dipendente si verifica nel caso in cui, sebbene
il presupposto del tributo sia stato posto in essere da uno o più soggetti, venga obbligato dalla
legge un altro soggetto, estraneo al presupposto cui non è riferibile la capacità contributiva,
ma che ha realizzato una ulteriore e diversa fattispecie, quindi una fattispecie collaterale per
l’adempimento dell’obbligazione tributaria (principale). Lo scopo della solidarietà dipendente è
quello di garantire l’adempimento della cd. obbligazione principale posta in essere da uno
o più soggetti, mediante una fattispecie secondaria (o collaterale) posta in essere da un
altro soggetto che assume per legge la veste di obbligato dipendente. Si viene a creare così
un rapporto di pregiudizialità/dipendenza, tra le due fattispecie: quella dell’obbligato
principale, che ha fatto sorgere il debito d’imposta, e quella dell’obbligato dipendente; in virtù di
questo rapporto l’obbligazione secondaria segue le vicende sostanziali della principale. Per
quanto concerne, invece nei rapporti tra amministrazione e coobbligati :
° Rapporti con l’amministrazione: i due soggetti coobbligati (principale e dipendente) sono
posti sullo stesso piano nei rapporti con l’amministrazione, la quale potrà rivolgersi
indifferentemente sia all’uno che all’altro
° Rapporti interni tra coobbligati : il coobbligato dipendente che ha adempiuto
all’obbligazione potrà avvalersi per intero, e non pro quota (come avviene nell’obbligazione
paritetica)
° Sul piano processuale : la dottrina ritiene che l’obbligato dipendente non è vincolato
dall’imposizione definitiva del coobbligato principale, ma potrà contestare i presupposti con
autonomo giudizio (così come accade per l’obbligato paritetico)

LA SOSTITUZIONE : IL SOSTITUTO ED IL RESPONSABILE D’IMPOSTA


Si verifica la sostituzione quando la legge, sebbene individui il soggetto, cui si riferisce la
ricchezza imponibile, trasferisca ad altri ogni dovere ed ogni facoltà relativi ad una
specifica imposizione fiscale ; in pratica attraverso l’istituto della sostituzione, si realizza il
principio di attribuzione ad un soggetto dell’onere di versare le imposte al posto di altri. Nella
sostituzione troviamo le figure del sostituto e del sostituito:
² il sostituto d’imposta : <<è colui che in forza di disposizioni di legge è obbligato al
pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili, anche a titolo
di acconto>> (art.64 d.p.r. n.600 del 1973); quindi è colui che a seguito della deviazione
del’imputazione del carico tributario diviene, per esigenza di efficienza del prelievo, soggetto
passivo d’imposta in luogo o assieme al sostituito
² il sostituito : il titolare della ricchezza (fattispecie) imponibile
Il sostituto d’imposta si identifica con il soggetto erogatore di un reddito obbligato, per legge, a
realizzare il prelievo tributario attraverso il meccanismo della ritenuta alla fonte, trattenendo una
percentuale al momento della corresponsione e, versando la somma così trattenuta all’Erario. Il
sostituto poi ha una serie di obblighi : l’ obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito (il
datore di lavoro che avrà versato l’imposta in sostituzione del dipendente, si rivarrà sullo stesso
mediante la ritenuta); l’ obbligo di effettuare il versamento allo Stato delle somme ritenute;
l’obbligo di presentare la dichiarazione (dovrà indicare, in relazione ai pagamenti effettuati
nell’anno solare precedente, la generalità dei percipienti sostituiti, l’ammontare delle somme loro
corrisposte al lordo e al netto della ritenuta, e l’importo della ritenuta). Eventuali omissioni (di
presentazione della dichiarazione, di versamento, di ritenuta) saranno addebitabili solo ed
esclusivamente al sostituto, essendo questi l’unico debitore: la sostituzione garantisce all’Erario
un’anticipazione del prelievo tributario.
Per quanto riguarda le ipotesi di inadempienza del sostituto:
° il sostituto che non ha effettuato la ritenuta ma ha versato l’importo allo Stato: il sostituito
non avrà alcuna conseguenza essendo stato versato l’importo; al sostituto saranno applicate le
sanzioni previste per omesso obbligo di operare la ritenuta, ma potrà comunque esercitare il
diritto di rivalsa
° il sostituto non ha effettuato la ritenuta e non ha versato l’importo allo Stato:
l’accertamento per omessa dichiarazione, omesso versamento ed omessa ritenuta riguarderà
esclusivamente il sostituto
° il sostituto ha effettuato la ritenuta ma non ha versato l’importo allo Stato: in questo caso
anche il sostituito deve ritenersi fin dall’origine obbligato solidale al pagamento dell’imposta;
deriva da ciò che anche il sostituito d’imposta sarà soggetto al potere di accertamento con i
relativi oneri, fermo restando il diritto di regresso verso il sostituito (quindi il lavoratore, nel
caso di mancato versamento della ritenuta d’acconto da parte del datore di lavoro, sarà
obbligato con quest’ultimo al pagamento del tributo, laddove pretenda il rimborso dell’indebito
tributario dovrà rivolgere domanda sia nei confronti del sostituto sia nei confronti
dell’amministrazione finanziaria).
Il responsabile d’imposta : è colui che, in forza di disposizioni di legge è obbligato al
pagamento di imposte insieme ad altri per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi.
Diversamente dal sostituto, il responsabile ha il diritto ma non l’obbligo di rivalsa, nonché il
responsabile deve adempiere all’obbligazione tributaria, ma non è tenuto ad alcun obbligo di
carattere formale (la figura tipica di responsabile d’imposta è quella del notaio, estraneo al
rapporto tributario, ma obbligato al pagamento del tributo di registro insieme ad altri per fatti
riferibili a questi e verso i quali vanta diritto di rivalsa).
Dal punto di vista processuale le controversie nascenti dal rapporto di sostituzione tributaria
hanno dato origine ad un importante contenzioso tributario che ha avuto come principale obiettivo
quello di individuare il giudice presso il quale incardinare le liti, quindi per:
² Liti da rimborso: avendo come controparte la l’amministrazione finanziaria (possono essere
instaurate sia dal sostituto che dal sostituito) e sorgendo a seguito di una richiesta che può
portare ad un diniego espresso o tacito, la competenza è affidata alle Commissioni
tributarie, anche perché si è in presenza di un atto impugnabile.
² Liti da rivalsa : concernenti il rapporto tra sostituto e sostituito sono state oggetto, e lo
sono ancora, di contrasti dottrinali e giurisprudenziali, riguardando una lite sorta tra due
soggetti privati senza che vi sia un atto impugnabile innanzi al giudice tributario. Anche
l’orientamento della Suprema Corte è stato fortemente criticato dalla dottrina, orientamento della
Cassazione che in primis si era orientato vero la competenza delle commissioni tributarie ed in
ultimo (sent. 2010) si espressa in favore della competenza del giudice ordinario.

LA SOSTITUZIONE SOGGETTIVA A TITOLO D’IMPOSTA E A TITOLO D’ACCONTO


La sostituzione d’imposta (soggettiva) si realizza in due forme: a titolo d’imposta
(denominata anche “sostituzione propria” o a titolo definitivo) e a titolo d’acconto (denominata
anche “sostituzione impropria”):
² Sostituzione a titolo d’imposta (sostituzione propria o a titolo definitivo): la ritenuta
effettuata dal sostituto estingue l’obbligazione, sia per il sostituto che per il sostituito. Il
sostituito non è obbligato a presentare la dichiarazione in relazione a quanto percepito e
quindi non è obbligato a effettuare il versamento del tributo per quanto percepito e gli obblighi
ricadono esclusivamente sul sostituto. Pertanto, nella sostituzione a titolo definitivo o propria il
sostituto subentra totalmente nella posizione del sostituito diventando l’unico debitore
verso il Fisco dell’imposta dovuta ; il suo adempimento estingue l’intera obbligazione,
quindi il contribuente sostituito, non sarà tenuto ad alcun obbligo di collaborazione attiva,
poiché la ritenuta effettuata dal sostituto costituisce adempimento integrale del tributo dovuto
sulla specifica manifestazione di capacità contributiva. La sostituzione a titolo d’imposta si verifica
solo in capo alle società o enti dotati di una certa organizzazione che corrispondono ai soci redditi
di capitale.
² Sostituzione a titolo d’acconto (sostituzione impropria): si concretizza nell’obbligo, a carico
del sostituto, di operare una ritenuta e di versarne l’importo all’Erario quale anticipazione
provvisoria dell’imposta che, poi, sarà eventualmente dovuta dal sostituito sul totale dei redditi
da questi percepiti nell’anno di riferimento. Nella sostituzione impropria si instaura, quindi, un
rapporto tra l’Erario ed il sostituito, che è obbligato a presentare la dichiarazione; mentre il
sostituto non è soggetto passivo del’imposta (come invece avviene nella sostituzione a
titolo d’imposta), bensì soggetto passivo di un obbligo di versamento: il soggetto
passivo dell’imposta è il sostituito, in quanto l’obbligazione fiscale fa capo unicamente a chi
realizza il presupposto impositivo.

LA TRASLAZIONE E L’ACCOLLO
La traslazione è un contratto o una pattuizione accessoria con la quale si prevede che il tributo sia
a carico di un soggetto diverso da quello previsto dalle norme tributarie. I privati sono liberi di
stipulare patti di traslazione di imposta e lo strumento utilizzato per realizzare tale scopo è
usualmente l’accollo del debito d’imposta. Tale istituto è stato disciplinato dallo Statuto dei
diritti del contribuente il quale (art.8 2°comma) prevede che è ammesso l’accollo del debito
d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario. Quindi viene attribuito al debitore
(accollatario) il diritto di agire verso il contribuente accollante. Diverso è, invece, l’accollo interno
tra contribuente accollato e contribuente accollante che non produce effetti per il creditore, in
questo caso il Fisco creditore non vanta alcun diritto verso l’accollante.
CAPITOLO VI – GLI OBBLIGHI STRUMENTALI DEL CONTRIBUENTE

NATURA E FUNZIONE DELLA CONTABILITÀ NEL SISTEMA GIURIDICO


Le scritture contabili costituiscono un sistema di rivelazione di accadimenti, dell’attività
imprenditoriale o professionale, ridotti in unità di misura quale il denaro e devono essere
obbligatoriamente tenute da una serie di soggetti elencati nel d.p.r. 600 del 1973 (art.13):
● Soggetti passivi IRES: società di capitali, enti commerciali residenti, trust
● Imprenditori individuali, società di persone
● Enti non commerciali compresi i trust con attività commerciale accessoria ed Onlus
● Lavoratori autonomi, associazioni professionali e società tra professionisti
● Soggetti residenti all’estero con stabile organizzazione in Italia
Le risultanze delle scritture contabili, al termine di ogni esercizio, vengono opportunamente
riclassificate e confluite nella formazione del rendiconto di esercizio che rappresentano per le
imprese minori ed i professionisti il risultato economico (utile o perdita) conseguito, mentre per le
imprese maggiori il bilancio di esercizio.
Le scritture contabili devono essere tenute ai sensi dell’art.2919 c.c. come previsto dal d.p.r. 600
1973 (art.22): esse vanno trascritte su degli appositi registri (o libri) contabili rispettando una
serie di formalità estrinseche ed intrinseche: le formalità estrinseche prevedono che i libri contabili
vanno numerati progressivamente pagina per pagina prima di essere utilizzati; le formalità
intrinseche si sostanziano nell’obbligo di una contabilità tenuta in modo chiaro ed ordinato, inoltre
è previsto che tutti i documenti contabili siano conservati per almeno 10 anni anche attraverso
supporti informatici.

LE SCRITTURE CONTABILI OBBLIGATORIE


I libri contabili obbligatori secondo quanto stabilito nel d.p.r. 600 del 1973 sono quelli previsti dal
codice civile, e quindi : il libro giornale, il libro degli inventari, i libri sociali obbligatori per le società
di capitali, le scritture ausiliarie; inoltre devono essere tenute le scritture contabili previste
esclusivamente dalle leggi fiscali quali i registri IVA, le scritture ausiliarie di magazzino e il
registro dei beni ammortizzabili. L’impianto appena descritto viene denominato di “contabilità
ordinaria” e rappresenta il regime contabile obbligatorio per le persone giuridiche e per quelle
imprese che superano un determinato volume di affari e che pertanto non possono essere
qualificate come imprese minori. Le cd. “imprese minori” (individuate nel d.p.r. 600 del 1973) non
essendo tenute alla tenuta della contabilità ordinaria hanno come regime naturale il regime di
“contabilità semplificata”: la contabilità semplificata rileva i flussi reddituali ma non la situazione
patrimoniale. Oltre ai regimi contabili innanzi descritti il legislatore, per i soggetti esercenti
l’attività imprenditoriale in forma individuale e per i lavoratori autonomi, ha previsto un ulteriore
regime contabile particolarmente semplificato. Va precisato che anche le persone fisiche esercenti
arti o professioni, sia in forma individuale che in forma associata, e le società tra professionisti
hanno un regime contabile naturale e il regime della contabilità semplificata. Infine il legislatore,
per i soggetti esercenti attività imprenditoriale in forma individuale e per i lavoratori autonomi, ha
previsto un ulteriore regime fiscale particolarmente semplificato: il cd. “regime fiscale di
vantaggio”.
Il d.l. 98 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n.111 del 2011 al fine di agevolare la
costituzione di nuove imprese da parte dei giovani e di coloro che hanno perso il lavoro o di coloro
che svolgevano attività svolte in forma occasionale o precaria, ha introdotto un regime contabile e
fiscale particolarmente privilegiato: il regime fiscale di vantaggio per le persone fisiche
residenti nel territorio dello Stato esercenti attività imprenditoriali o arti o professioni i cui ricavi
nell’anno precedente non risultino essere superiori ad € 30.000 e non abbiano acquistato beni
strumentali per un importo superiore ad € 15.000. Per tali soggetti gli adempimenti contabili sono
ridotti solo all’obbligo di numerazione e conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette
doganali ed emissione delle fatture e scontrini privi di IVA; è opportuno precisare che tale regime
fiscale di vantaggio ha una applicazione temporale limitata (a differenza del precedente regime dei
minimi).

I PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI TRA NORMATIVA FISCALE E CODICE CIVILE


Al termine di ogni esercizio le risultanze contabili opportunamente riclassificate confluiscono nel
rendiconto di esercizio o, per le società di capitali, formano il bilancio di esercizio.
Il bilancio di esercizio è un documento di sintesi attraverso il quale viene evidenziato lo stato
economico-finanziario dell’impresa; le risultanze del bilancio a seconda dei criteri di valutazione
adottati possono assumere dei valori molto diversi. Il codice civile si preoccupa di dettare dei
criteri di valutazione volti alla tutela dell’integrità del capitale sociale, o meglio del patrimonio
sociale: i criteri di valutazione dettati dal codice civile sono improntati prevalentemente al criterio
della veridicità e della prudenza.
Gli stessi accadimenti aziendali assumono rilevanza anche sotto l’aspetto tributario laddove la base
imponibile delle imposte dirette discende dalle stesse risultanze contabili che formano il bilanci odi
esercizio. Qui si evidenzia il diverso obiettivo del legislatore fiscale: questi detta dei criteri di
valutazione con finalità diverse da quelle del codice civile. La norma civilistica detta norme
finalizzate a che il management dell’azienda non tenda a rappresentare una situazione
economico/patrimoniale superiore a quella reale. La norma fiscale, viceversa, nei limiti
costituzionali del giusto imponibile, detta dei criteri di valutazione e di imputazione delle
componenti reddituali che pongono delle limitazioni affinché non venga rappresentata una realtà
economico/patrimoniale inferiore a quella reale.
Il regolamento CE n.1606 del 2002 ha disposto l’applicazione obbligatoria dei principi contabili
internazionali per la redazione del bilancio consolidato di tutte le società con azioni quotate in uno
dei mercati regolamentati di uno Stato UE; tale regolamentazione ha lasciato gli Stati membri liberi
di decidere se imporre o consentire l’applicazione degli Ias/Ifrs anche per la redazione dei bilanci
di esercizio e anche alle società con azioni non quotate in mercati regolamentati. Il legislatore
italiano ha quindi provveduto a dare attuazione al citato regolamento prevedendo una serie di
obblighi in materia di distribuzione di utili e riserve e più di recente una disciplina (art.83 TUIR) per
la determinazione del reddito d’impresa ai fini IRES delle società di capitali che redigono il bilancio.

LA RELAZIONE TRA RISULTATO D’ESERCIZIO E REDDITO D’IMPRESA


La presenza nel nostro ordinamento di due gruppi di norme, di diritto tributario e di diritto
commerciale, disciplinanti la medesima materia (conto economico e stato patrimoniale) ha reso
necessario l’intervento del legislatore volto ad eliminare i cd. fenomeni di inquinamento fiscale del
bilancio, perché valutazioni del bilancio, fatte su una base normativa meramente fiscale, non
consentirebbero una rappresentazione veritiera e corretta imposta dal codice civile.
I sistemi adottati per disinquinare il bilancio sono stati principalmente quelli del doppio binario e
del principio di derivazione :
² Doppio binario : con il principio del doppio binario si consente all’operatore di apportare
extracontabilmente le rettifiche fiscali ad integrazione del risultato di esercizio,
giungendo alla determinazione del reddito fiscale. Tale principio è stato recepito nel nostro
ordinamento nel 2004 con la cd. riforma Tremonti, sostanziandosi attraverso l’introduzione, da
una parte, del divieto di inquinare il bilancio attraverso valutazioni di natura esclusivamente
fiscale e, dall’altra, dando la possibilità al contribuente di poter procedere extracontabilmente a
deduzioni aventi la loro origine esclusivamente da norme natura fiscale attraverso la previsione
di un apposito quadro da compilare in sede di dichiarazione dei redditi. Il sistema del doppio
binario pur avendo il pregio di conservare anche nel nuovo sistema le stesse opportunità fiscali
precedentemente utilizzabili, non rappresentava un meccanismo facilmente gestibile, sia per
le complessità di memorizzare le differenze fiscali in sede di dichiarazione dei redditi e in sede
contabile, sia perché civilisticamente occorreva comunque tener conto della gestione delle
imposte differite e di quelle anticipate.
² Principio di derivazione : mediante il principio di derivazione non viene più ammessa
la possibilità di operare rettifiche extracontabili in applicazione di norme fiscali aventi
natura sovvenzionale; nella determinazione del reddito fiscale, il redattore dovrà considerare
direttamente il risultato di esercizio facendo salve contabilmente le disposizioni previste dalla
normativa fiscale.
L’abbandono del principio del doppio binario a favore di quello di derivazione (avutosi con la legge
finanziaria del 2008) ha come conseguenza che il limite di deducibilità (di svalutazione dei crediti,
ammortamenti, accantonamenti etc.) applicabile è quello più restrittivo tra quello risultante
dall’applicazione della normativa fiscale e quella civilistica. Il vantaggio indiscusso di tale criterio è
determinato dalla semplificazione, in quanto il redattore del bilancio terrà conto della svalutazione
dei crediti e degli accantonamenti delle risultanze di bilancio scaturenti dall’impianto contabile. Di
converso il rischio di tale criterio è quello che i redattore, al fine di non rinunciare ai vantaggi
derivanti dall’applicazione dei parametri fiscali (se più vantaggiosi di quelli civilistici) rediga il
bilancio di esercizio adattando i criteri civilistici a quelli fiscali, determinando in questo modo un
inquinamento fiscale del bilancio.
LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
Con la nascita del cd. “Fisco di massa” si è introdotto l’obbligo della presentazione della
dichiarazione dei redditi da parte di tutti i contribuenti. Attraverso la dichiarazione il
contribuente, mediante la compilazione di modelli ministeriali approvati per ciascun periodo di
imposta, attua una forma di auto accertamento dei redditi recepiti nell’anno d’imposta di
riferimento ed alla conseguente autoliquidazione delle imposte da versare. La dichiarazione,
essendo assoggettata a controllo, assume rilevanza procedimentale e riveste un rilevante ruolo
probatorio. Se essa risulta fedele non si svolgeranno ulteriori fasi di controllo, viceversa qualora
emerga l’infedeltà o l’inesattezza di dati dichiarati, si procederà all’accertamento del maggior
reddito ed all’irrogazione di sanzioni.
In linea generale sono obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi tutti
coloro che nel periodo d’imposta di riferimento abbiano conseguito dei redditi,
indipendentemente se dalla conseguente liquidazione dovessero emergere delle imposte da
versare; sono comunque tenuti alla presentazione della dichiarazione quei soggetti i cui redditi
sono determinati sulla base delle scritture contabili pur in assenza di un reddito imponibile e
anche in presenza di una perdita di esercizio. La normativa prevede dei casi di esonero
dall’obbligo della dichiarazione a favore dei contribuenti persone fisiche che non siano imprenditori
o lavoratori autonomi che abbiano prodotto unicamente redditi esenti o redditi da lavoro dipendente
e reddito derivante dall’abitazione principale.
ã Dichiarazione unica : i soggetti passivi di IVA e IRAP devono presentare una
dichiarazione unificata presentata su un modello comprendente la dichiarazione sulle imposte
sui redditi, quella IVA e IRAP; anche i sostituti d’imposta possono presentare la propria
dichiarazione usufruendo del modello unificato. Con la dichiarazione unificata si è in presenza di una
pluralità di dichiarazioni autonome con la differenza che vengono presentate contemporaneamente
entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.
ã Iter del calcolo dell’imposta dovuta : alla fase di auto accertamento della base imponibile ne
consegue quella della liquidazione che si concretizza nella determinazione dell’imposta da versare:
applicando alla base imponibile l’aliquota (o le aliquote in caso d’imposta progressiva) si quantifica
l’imposta lorda di competenza; da tale imposta vengono operate le detrazioni per oneri (se
spettanti) pervenendo all’imposta netta dalla quale, sottraendo le eventuali ritenute subite e gli
acconti versati, si determina l’imposta da versare oppure il credito maturato.
Per quanto concerne i termini e le modalità per la presentazione la dichiarazione dei redditi va
presentata:
 se in forma cartacea entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento
 se in forma telematica entro il 30 settembre (se si è soggetto IRES con esercizio non coincidente
con l’anno solare, entro il 9° mese dalla fine del periodo d’imposta)

LA RETRATTABILITÀ E L’EMENDABILITÀ DELLE DICHIARAZIONI


Nella seconda metà degli anni 90 la Suprema Corte ammetteva le rettificabilità della
dichiarazione in diminuzione in riferimento alla sola natura materiale dell’errore determinatosi
nella redazione dell’atto; in sostanza la Corte di Cassazione rilevava cha la dichiarazione non deve
essere valutata alla luce di categorie privatistiche ma pubblicistiche, che la dichiarazione stessa è
soggetta ad una disciplina pubblicistica caratterizzata da vincoli formali e temporali volti a
garantire la stabilità delle situazioni, e detti vincoli non possono essere posti nel nulla dalla
determinazione di un regime di emendabilità della dichiarazione erronea che non sia ancorato al
carattere materiale ed alla testuale riconoscibilità dell’errore. In quest’ottica il principio di
immodificabilità della dichiarazione annuale dei redditi, al di là delle scadenze stabilite per la
presentazione di essa, impediva al contribuente di porre a fondamento dell’istanza di rimborso fatti
in essa originariamente non esposti con la conseguenza che detti fatti potevano essere dedotti nel
giudizio di impugnazione dell’eventuale accertamento in rettifica. La dichiarazione in quanto
momento di un procedimento di diritto pubblico, ancorché da presentarsi entro termini di
decadenza, non può cristallizzare per sempre fatti ed effetti giuridici contrastanti con quelli dovuti
per legge. Con sentenza nel 2002 (SS.UU. n.15063 del 2002) la Cassazione ha risolto la
problematica dell’emendabilità della dichiarazione tributaria viziata da errore a danno del
contribuente: la possibilità di rettificare la dichiarazione richiama la natura di atto non negoziale e
non dispositivo recante una mera esternazione di scienza e giudizio, quindi movendo da analoghe
considerazioni la ritrattabilità della dichiarazione integra un momento dell’iter procedimentale
inteso all’accertamento di tale obbligazione ed al soddisfacimento delle ragioni erariali che ne sono
oggetto.
In sostanza, dal carattere pubblicistico della denuncia non deriva il principio
dell’immodificabilità della stessa. Il legislatore (legge 212 del 200) ha svincolato la
rettificabilità della dichiarazione dalle tradizionali concezioni sulla natura della stessa ed ha risolto
il problema correttamente muovendo dalla funzione della dichiarazione nel procedimento di
attuazione della norma tributaria: quella di essere al tempo stesso atto di accertamento e
fattispecie per la riscossione. La dichiarazione tributaria è una dichiarazione pro veritate avente la
funzione di portare a conoscenza della Finanza la concreta capacità contributiva alla cui esatta
individuazione è indirizzata l’attività di accertamento.
CAPITOLO VII – PRINCIPI E NOZIONI IN FASE ISTRUTTORIA E DI ACCERTAMENTO

PARTE I – I PRINCIPI

L’INDISPONIBILITÀ DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E IL PRINCIPIO DI


COLLABORAZIONE E BUONA FEDE
L’obbligazione tributaria non differisce, nei suoi aspetti ontologici, dalle obbligazioni tipiche del
diritto civile; l’ amministrazione finanziaria, pur dotata di poteri autoritativi, dispone di una
discrezionalità vincolata; quindi non può disporre di una serie di facoltà: quali quella della
rinuncia, del rifiuto, della rimessione, della compromissione, della transazione etc. perché
verrebbe alterato ogni criterio di riparto e di prelievo così come legislativamente determinato: il
potere impositivo è vincolato e deve essere esercitato secondo i criteri fissati dalla
legge in modo tale che l’imposta sia paritariamente ed imparzialmente ripartita a carico
di ciascun contribuente . I principi di indisponibilità dell’obbligazione tributaria e dei
vincoli dell’azione amministrativa trovano il loro fondamento nella Costituzione (artt. 2, 3, 53 e
97); l’A.F. è volta a garantire il rispetto dell’efficienza e dell’imparzialità da parte degli uffici
periferici nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, tale attività si esercita attraverso
l’emanazione di atti regolamentari ed interpretativi aventi diversa efficacia, con tali atti si
concorre a determinare il sistema delle fonti di diritto tributario vincolato dall’art.23 Cost. (come
nel caso del redditometro, degli studi di settore e dei criteri selettivi per indicare i contribuenti da
sottoporre a verifica).
Il diritto tributario è caratterizzato anche da istituti quali il condono, l’accertamento con adesione,
conciliazione giudiziale, e la cd. adesione ai processi verbali di costatazione, tali istituti non sono
delle eccezioni alle regole ora esaminate, ma sono istituti che permettono definizioni concordate
ed anticipate in un momento in cui l’obbligazione tributaria non è certa nell’an e nel quantum.
Per quanto concerne l’attività conoscitiva dell’A.F. deve essere espletata nel rispetto di alcune
regole fondamentali riconosciute dallo Statuto dei diritti del contribuente: ad es. il principio di
affidamento o di buona fede, della conoscenza e chiarezza degli atti, dell’obbligo di
motivazione e del contradditorio tra le parti; tali principi di matrice privatistica devono essere
letti in armonia con l’art. 97 Cost., con l’ovvia conseguenza che la P.A. deve perseguire l’interesse
pubblico generale contemperando, nella maniera più equa, corretta ed imparziale possibile gli
interessi pubblici con quelli privati, al fine di raggiungere il fondamentale obiettivo di prelievo
fiscale basato sull’effettività della capacità contributiva.

L’INTERESSE FISCALE
L’interesse fiscale è quel valore destinato ad assicurare il regolare svolgimento della vita
finanziaria dello Stato e di conseguenza l’esistenza della comunità: in sostanza la
percezione dei tributi permette il perseguimento di quelle finalità pubbliche che si concretizzano nel
raggiungimento di adeguati livelli di libertà, uguaglianza, sviluppo e sicurezza riconosciuti e
garantiti dalla stessa Carta Costituzionale; d’altro canto al cittadino, in forza dell’art.2 Cost., sono
riconosciuti diritti inviolabili, sia come singolo, sia come membro della comunità. Accanto a tali
diritti si profilano due interessi: da un lato l’interesse o inclinazione egoistica del contribuente,
considerato nella sua individualità, ad attenuare il prelievo tributario cui è sottoposto se non
addirittura a sottrarsi al pagamento delle imposte; dall’altro vi è l’interesse del cittadino, quale
membro della collettività, che tende allo sviluppo ed alla tutela della propria stessa esistenza
sociale, dove la pretesa tributaria diviene un elemento necessario ed imprescindibile. Proprio in
quest’ottica è che il legislatore costituzionale individua un punto di equilibrio della capacità
contributiva, dove l’interesse fiscale e le garanzie del singolo contribuente si intersecano e si
limitano a vicenda, raggiungendo l’obiettivo comune che è quello del corretto funzionamento del
sistema tributario.

IL CONTRADDITTORIO E LA COOPERAZIONE CON L’A.F.


Il procedimento tributario è pacificamente considerato species del più ampio genus
rappresentato dal procedimento amministrativo; tuttavia a differenza di quest’ultimo, non è
previsto un diritto di partecipazione all’agere dell’A.F. da parte del cittadino: manca un
principio generale di contraddittorio nell’ordinamento tributario anche se questo risulta
ricavabile da norme costituzionali come gli artt. 3 e 97. Nonostante ciò già prima della riforma
degli anni 70 cominciavano a delinearsi forma di partecipazione del privato, anche se
rigorosamente previste dalla legge e tutte finalizzate all’attuazione dell’interesse della P.A. al giusto
prelievo erariale; in seguito negli anni 70 con l’avvento della cd. “fiscalità di massa” è cominciato a
mutare nel panorama sociale e giuridico il ruolo del contribuente, infatti si era resa necessaria una
nuova forma di partecipazione del privato per la “richiesta di chiarimenti” prevista dalla legge
17/1985 a pena di nullità per la validità dell’accertamento basato sui coefficienti, parametri e
criteri statistico-matematici. Nel decennio successivo è continuato il processo riformatore della
disciplina tributaria, che sempre più è andato alleggerendo gli obblighi di dichiarazione elevando
i limiti per l’esonero, eliminando quasi completamente gli allegati alle dichiarazioni dei redditi o
IVA. La partecipazione del contribuente in una funzione di cooperazione rispetto all’attuazione
del tributo, ma anche di tutela delle proprie posizioni giuridiche e patrimoniali (contraddittorio)
andava attenuando la rigidità che connotava i vecchi sistemi accertativi.
Quindi il contribuente ha una forma di partecipazione all’attività dell’A.F., nonostante
manchi una norma generale idonea a sancirla in via astratta, tramite la previsione di norme
specifiche relative a singoli istituti, nello specifico :
² tutte le volte che dai controlli automatici o dal controllo formale della dichiarazione
emerge un dato diverso da quello dichiarato, l’A.F. deve comunicare al contribuente l’esito
del controllo e garantirgli la possibilità di fornire i chiarimenti opportuni (artt. 36- bis, 36-ter
d.p.r. 600/1973 e art. 6 legge 212/2000)
² qualora l’A.F. ritenga di dover applicare la normativa antielusiva deve richiedere, a
pena di nullità, chiarimenti al contribuente (art. 37-bis d.p.r. 600/1973)
² prima di emettere un avviso di accertamento sintetico, l’A.F. deve invitare il
contribuente a comparire per dargli la possibilità di dimostrare che il maggior reddito
determinato sinteticamente non è tassabile o è già stato tassato (art. 38 d.p.r. 600/1973)
² quando si recuperano a tassazioni costi derivanti da operazioni intrattenute con
imprese estere partecipate , aventi sede nei cd. paradisi fiscali, l’A.F. deve invitare il
contribuente a fornire la prova dell’effettività dell’attività economica svolta nel Paese in cui hanno
sede (art. 110, 11° comma TUIR)
² terminate le verifiche fiscali, devono essere dati al contribuente 60 gg. di tempo
per effettuare le proprie osservazioni e richieste all’ufficio (art. 12, 7°comma legge 212/200)
² il cd. concordato, azionabile sia dal contribuente che d’ufficio nelle ipotesi di
contraddittorio tra ufficio e contribuente che terminano con l’accertamento con adesione
Ma ci sono anche ipotesi in cui il legislatore ha dato all’A.F. una mera facoltà, quindi non un
obbligo, di contraddire con il contribuente, come ad es. nel caso di emissione di un avviso di
accertamento fondato su presunzioni ricavate dai conti correnti bancari, l’A.F. può interpellare il
contribuente al fine di fornire la prova contraria; altra ipotesi è invece quando sia il
contribuente a decidere di interloquire con l’A.F. azionando il proprio diritto di interpello.
Con riferimento agli atti notificati a decorrere al 1 Aprile 2012 è stato disposto che per le
controversie di valore non superiore a € 20.000, relative agli atti emessi dall’Agenzia delle
entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo,
escludendo la conciliazione giudiziale, la presentazione del reclamo è condizione di
inammissibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; tale istituto,
tuttavia presenta profili critici, poiché non prevedendo obbligatoriamente il contraddittorio tra le
parti, sancisce la trasformazione del reclamo in ricorso nel caso in cui non si pervenga ad un
accordo.

IL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI : l’accesso ai documenti amministrativi rappresenta


un’applicazione del principio di trasparenza dell’agere amministrativo (legge n.241 del
1990). Contestualmente al riconoscimento del diritto di accesso, quale diritto fondamentale
dell’azione amministrativa, il legislatore ha previsto delle ipotesi di esclusione; in particolare le
limitazioni imposte a tutela di segreto e riservatezza, come il diritto di accesso agli atti tributari. Il
quadro normativo attuale è tale per cui non è riconosciuto al cittadino un diritto di accesso agli
atti che lo riguardino, benché inerenti ad un procedimento tributario instaurato nei propri
confronti. Tuttavia è possibile ritenere che il diritto di accesso sia parzialmente riconosciuto
attraverso l’obbligo di conoscenza degli atti dell’A.F. (art.6 legge 212/2000), prevedendo che
l’Amministrazione deve assicurare al contribuente la conoscenza degli atti a lui destinati attraverso
comunicazioni ed è altresì disciplinato l’obbligo d’informazione di ogni fatto o circostanza a
conoscenza della stessa A.F. dai quali possa derivare per il contribuente il mancato
riconoscimento di un credito o l’irrogazione di una sanzione.
LA RISERVATEZZA E LA PRIVACY : nell’esercizio della propria azione l’A.F. può venire a
conoscenza di dati, notizie ed informazioni relative ai singoli contribuenti; tali possibilità di venire in
contatto con aspetti e notizie propri del singolo cittadino confligge con il diritto riconosciuto a
quest’ultimo di veder non violata la propria riservatezza. Per far fronte a tale esigenza il legislatore
ha dettato una serie di norme, lo Statuto dei diritti del contribuente e il d.lgs. 196 del 2003 il c.d.
Codice della privacy (dove il legislatore ha codificato in un unico testo tutte le norme, anche
regolamentari e deontologiche, che hanno avuto negli anni la funzione di regolare la materia
della riservatezza) tese a disciplinare lo svolgimento delle ispezioni in maniera da preservare,
per quanto possibile, il diritto alla riservatezza spettante al singolo. Proprio per la presenza di un
interesse pubblico, il diritto alla privacy trova contemperamento più rilevante rispetto ad altri
settori in cui pure enti istituzionali si trovano ad agire e conoscere dati, notizie ed informazioni sui
cittadini. Ed infatti l’A.F. è legittimata, durante l’effettuazione di verifiche ed ispezioni fiscali, ad
accedere a qualunque dato personale senza nessuna necessità di ottenere il parere favorevole
dell’interessato, tantomeno è tenuta ad effettuare lacuna notifica al Garante della privacy. L’unico
limite del trattamento di tali dati è quello di non impiegarli per fini diversi di quelli di natura
erariale.

CHIAREZZA E TRASPARENZA DEGLI ATTI DELL’A.F. : nell’ambito della realizzazione degli


obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità della P.A. la chiara motivazione degli atti
acquista un ruolo fondamentale al fine di dare al cittadino garanzia sull’agere amministrativo.
L’emanazione della legge 241/1990 (norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi) ha riformato in senso garantista il rapporto cittadino/Fisco,
successivamente l’introduzione dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000) ha
espressamente previsto che gli atti dell’A.F. e dei concessionari della riscossione devono
tassativamente indicare:
a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto
notificato o comunicato e il responsabile del procedimento
b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame, o anche
nel merito, dell’atto in sede di autotutela
c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è
possibile ricorrere in caso di atti impugnabili La norma citata ha portato al riconoscimento
a favore del contribuente di un diritto all’informazione ed alla chiarezza.

L’AUTOTUTELA : l’autotutela è espressione di un potere riconosciuto alla P.A. di rimuovere


essa stessa gli ostacoli che si frappongono fra il provvedimento ed il risultato cui la stessa P.A.
mira, cioè la realizzazione dell’interesse pubblico per la tutela del quale il provvedimento è stato
emanato. Tale principio va raccordato con quello di legalità e buona fede cui deve attenersi la P.A.
nel proprio agere; ne deriva che se l’atto tributario emesso risulta viziato in quanto posto in
essere in violazione di norme di legge ovvero in modo da non garantire un corretto prelievo
fiscale, l’A.F. ha il dovere di provvedere utilizzando l’istituto dell’autotutela; in particolare
il provvedimento emesso potrà essere annullato o revocato, più precisamente si avrà
l’annullamento a fronte di atti che abbiano vizi di legittimità e la revoca di atti infondati, ossia viziati
nel merito. I provvedimenti che possono essere suscettibili di autotutela sono gli atti impositivi e
tutti gli atti della riscossione, ivi compresi lo sgravio e la sospensione della stessa.
L’autotutela, inoltre, può essere richiesta direttamente dal contribuente o può essere
azionata d’ufficio è ciò prima che l’atto sia stato impugnato in sede giudiziale, sia in pendenza
di giudizio e sia dopo che l’atto stesso sia divenuto definitivo; in realtà neppure il formarsi del
giudicato impedisce in via assoluta il potere di autotutela dell’A.F. : essa può sarà sempre possibile
a patto che la caducazione dell’atto sia stata effettuata per ragioni che non vadano a contraddire le
motivazioni della sentenza passata in giudicato. Quindi, considerando che gli atti emessi dall’A.F.
sono sempre vincolanti e mai discrezionali, se ne deduce che l’Ufficio deve procedere alla
correzione ed all’annullamento di un atto viziato; inoltre, in caso di mancata autotutela, il cittadino
sarebbe titolare di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo con conseguente possibilità di
risarcimento.

PARTE II – LA FASE ISTRUTTORIA

I POTERI ISTRUTTORI
L’attività istruttoria dell’A.F. ha carattere conoscitivo ed è potenzialmente in grado di
intaccare diritti e libertà costituzionalmente riconosciuti; i poteri istruttori si concretizzano
sostanzialmente in una attività di controllo della corretta determinazione dell’imposta e del
rispetto dei connessi obblighi formali da parte del contribuente; a fronte dell’esercizio di tali
poteri, la posizione del contribuente può consistere in un facere, in un dare o in un pati : in tale
contesto assumono primaria importanza gli accessi, le ispezioni e le verifiche e pertanto l’A.F.
può:
1- procedere all’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche
2- invitare i contribuenti a comparire per fornire dati notizie ovvero per
esibire o trasmettere atti e documenti 3- inviare questionari per
l’acquisizione di dati e notizie
4- richiedere a soggetti terzi, anche dell’Amministrazione dello Stato, che effettuano riscossioni
e pagamenti, dati e notizie per singoli soggetti o per categoria
5- avviare, previa autorizzazione, indagini finanziarie nei confronti di soggetti preventivamente
individuati, attraverso specifiche richieste da inoltrare agli intermediari finanziari
Da ciò si deduce che le modalità di controllo a disposizione dell’A.F. possono distinguersi in tre
tipologie:
a) poteri istruttori esterni che si concretizzano in un intervento presso il luogo in cui si svolge
l’attività del contribuente
b) poteri istruttori operati per iscritto “a distanza” nei confronti del soggetto controllato
c) poteri istruttori nei confronti dei terzi
Tra le varie ipotesi tipizzate dal legislatore, la scelta dell’A.F. di esercitare uno o più poteri deve
tener conto da un lato del rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, dall’altro del
diverso grado di ingerenza nella sfera giuridica del contribuente. Una certa discrezionalità
nell’individuazione degli strumenti utilizzabili da parte dell’A.F. non può essere né assoluta e né
arbitraria, incontrando il limite delle garanzie poste dalla Costituzione a tutela della persona e del
domicilio; dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. e della capacità contributiva.
La scelta dei soggetti destinatari dei poteri ispettivi dell’A.F. deve attenersi a dei criteri selettivi
stabiliti nei decreti di programma emanati annualmente.
I controlli sono : 1- liquidazione e 2- controllo formale della dichiarazione, 3- controllo
sostanziale (con accessi, ispezioni e verifiche) e 4- verifiche bancarie

1- LIQUIDAZIONE : disciplinato dal d.p.r. n 600 del 1973, è un controllo automatico della
dichiarazione in via informatica che è volto, non alla rettifica del reddito, ma a correggere
errori risultanti; consiste infatti nella verifica dell’esattezza dei dati numerici indicato e nella
rettifica di tali dati. La comunicazione della liquidazione è effettuata attraverso un atto
impositivo da notificare entro il periodo di presentazione della dichiarazione per l’anno
successivo, preceduto da avviso bonario che consente al contribuente di evitare iscrizione a
ruolo adempiendo o fornendo entro 30 gg. chiarimenti o elementi necessari.
2- CONTROLLO FORMALE DELLA DICHIARAZIONE : attraverso tale strumento l’A.F. procede ad
una valutazione formale delle dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti e dai
sostituti d’imposta, soffermandosi in particolare su alcuni elementi della dichiarazione, quali
deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta ed etc., meritevoli di essere giustificate documentalmente
dal soggetto passivo d’imposta. Non tutte le dichiarazioni presentate sono sottoposte al controllo
suddetto, ma solo quelle individuate sulla base di criteri selettivi fissati dal Ministero delle
finanze e comunque entro il 31 Dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione
delle stesse.
Il controllo formale non riguarda irregolarità formali, ma violazioni sostanziali della
normativa tributaria con immediato recupero delle maggiori imposte. L’esito di tale procedura
dipende fortemente da quanto e come il contribuente sia riuscito a giustificare rispetto ai dati
formalmente dichiarati, laddove manchi adeguata motivazione; l’esito di tale controllo può variare
tra una serie di ipotesi:
² possono essere escluse le ritenute scomputate in sede di dichiarazione
² possono essere escluse le deduzioni del reddito
² possono essere escluse le detrazioni d’imposta
² possono essere riquantificati i crediti d’imposta spettanti
² possono essere corretti gli errori materiali e di calcolo
² può essere liquidata la maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche o i maggiori
contributi dovuti, risultanti da dichiarazioni o certificati del sostituto d’imposta
L’esito del controllo formale deve essere comunicato al contribuente con atto motivato che
indichi le ragioni che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute
alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati. Laddove, all’esito del controllo, il contribuente
dovesse risultare debitore di un maggior carico tributario, lo stesso riceverà la suddetta
comunicazione e potrà versare la somma dovuta in sede di autoliquidazione, evitando così
l’iscrizione a ruolo con conseguente riduzione della sanzione ad un terzo.
3- CONTROLLO SOSTANZIALE: ACCESSI, ISPEZIONI, VERIFICHE : il controllo sostanziale
delle posizioni fiscali dei contribuenti viene affidato dagli organi preposti (A.F., Guardia di finanza,
Agenzia delle entrate) attraverso specifici poteri d’indagine: accessi, ispezioni e verifiche.
Tali poteri investigativi non sono generalizzati ma specifici e sono esercitabili solo a fronte
del verificarsi di presupposti legislativamente previsti e nel rispetto delle libertà
fondamentali del contribuente costituzionalmente tutelate; quindi sono poteri esercitabili in un
opera di bilanciamento di interessi contrapposti e cioè in un quadro dove si ammetta la limitazione
di libertà fondamentali e garanzie personali solo se ricorrano precise e ben individuate finalità di
carattere erariale finalizzate all’interesse pubblico. In tal proposito lo Statuto dei diritti del
contribuente riconosce una serie di diritti e garanzie al contribuente come l’obbligo di informare
quest’ultimo dell’inizio della verifica o dello svolgimento delle verifiche fiscali arrecando la minor
turbativa alle attività del contribuente. Quindi per quanto riguarda gli :
ACCESSI : l’accesso incide sul diritto alla libertà individuale,al domicilio e più in generale alla
riservatezza ed è circondato da particolari cautele (l’art.14 Cost. infatti proclama che il domicilio è
inviolabile, ed ammette, ispezioni, perquisizioni e sequestri solo nei casi e nei modi stabiliti dalla
legge) e pertanto l’accesso deve essere autorizzato e tale autorizzazione deve indicare i
motivi dell’accesso; la disciplina varia se sono locali destinati all’esercizio di attività
commerciali; locali destinati all’esercizio di arti o professioni; locali aventi altra destinazione
(abitazioni):
² accesso nei locali adibiti ad attività commerciali o professionali : per l’accesso a questi locali
è sufficiente l’autorizzazione del capo dell’ufficio dell’Agenzia delle Entrate; se poi questi locali
sono adibiti anche ad abitazione si richiede anche l’autorizzazione del Procuratore della
Repubblica, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica è un atto amministrativo
discrezionale, deve essere motivato e può essere sindacato dal giudice tributario.
² accesso in locali adibiti all’esercizio di arti o professioni : è richiesta la presenza del titolare
dello studio (o di un suo delegato); se sono studi professionali per l’esame dei documenti e
notizie per cui vige il segreto professionale, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore
della Repubblica
² accesso in locali destinati esclusivamente ad abitazione : oltre all’autorizzazione del capo
dell’ufficio si richiede anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che può essere
concessa solo in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali e allo scopo di reperire
prove delle violazioni
Con il Decreto Sviluppo (d.l. 70 del 2011) del 2011 è stato introdotto l’obbligo di coordinamento
preventivo dell’attività di verifica in forma di accesso tra le Agenzie fiscali, Guardia di Finanza ed
enti previdenziali e del lavoro, infatti tali amministrazioni hanno l’onere di scambiarsi
preventivamente i dati inerenti l’attività di verifica da intraprendere e di comunicarne i dati tra le
stesse amministrazioni; inoltre sempre con il Decreto Sviluppo è stato disposto che il periodo di
permanenza presso la sede del lavoratore autonomo o dell’impresa con contabilità semplificata
non può essere superiore ai 15 gg. lavorativi contenuti nell’arco di un trimestre.
ISPEZIONI : l’ispezione si concretizza in un esame della documentazione contabile del
soggetto sottoposto a verifica. La presa visione dei documenti non è vincolata ad un obbligo di
conservazione degli stessi, per cui l’A.F. può ispezionare tutti i libri, i registri, documenti e
scritture che si trovano nei locali, indipendentemente dalla loro obbligatorietà; i documenti di cui
è rifiutata l’esibizione non possono essere usati successivamente dal contribuente come mezzo di
prova a sua difesa, in sede amministrativa o contenziosa.
VERIFICAZIONI : consistono in un controllo effettuato dagli organi ispettivi nei confronti del
personale, degli impianti e delle merci con l’obiettivo di compiere un riscontro sulla correttezza
della contabilità.
ã Verbali : tutte le attività compiute durante l’accesso devono essere descritte cronologicamente
ed analiticamente, la descrizione dettagliata delle operazioni compiute viene operata in una atto
denominato “ processo verbale di verifica”, che deve essere sottoscritto dal contribuente che ne
ha diritto a una copia; inoltre, al termine di tutte le operazioni, viene redatto un “ processo
verbale di constatazione” nel quale vengono sintetizzati i dati rilevati durante l’accesso.
4- VERIFICHE BANCARIE : gli accertamenti bancari costituiscono uno dei mezzi istruttori più
efficaci utilizzati dall’A.F. ai fini dell’accertamento dei redditi del contribuente. Tale potere di
indagine incontrava un limite invalicabile nel segreto bancario, infatti, in Italia, fino al 1971 si
riteneva che il segreto bancario non potesse subire deroghe neppure ai fini fiscali quando,
seppur timidamente, si è incominciato dare deroghe al segreto bancario; nel 1982 il legislatore
(d.p.r. 463/1982) ha fatto un passo in avanti nell’abbattimento di tale ostacolo; ma è stato nel
1991 (legge 413/1991) che il legislatore è intervenuto a ridimensionare notevolmente la
rilevanza del segreto bancario in ambito tributario. Attualmente l’Agenzia delle entrate e la
Guardia di finanza possono svolgere indagini bancarie senza il limite posto dal segreto bancario.
La stessa Corte Costituzionale ha chiarito che il dovere di riservatezza non può essere tutelato
al punto di ostacolare la necessaria attività di accertamento degli illeciti tributari. Per svolgere le
indagini bancarie, gli Uffici dell’Agenzia e la Guardia di finanza devono essere autorizzati
rispettivamente, dalla Direzione regionale dell’Agenzia e dal Comandante regionale; l’azienda di
credito deve dare immediatamente notizia al contribuente delle richieste ricevute.
Quindi l’A.F. può richiedere alle banche e/o all’amministrazione postale copia dei conti trattenuti
con il contribuente indagato, con una specificazione di tutti i rapporti connessi o inerenti a tali
conti; nel caso in cui le banche o l’amministrazione postale non trasmettano tempestivamente i
dati richiesti ovvero vi sia il fondato sospetto che le notizie trasmesse siano inesatte o
incomplete, l’A.F. può disporre l’accesso dei propri funzionari presso le banche o
l’amministrazione postale ai fini di rilevare direttamente i dati richiesti o controllare l’esattezza o
la completezza di quelli ricevuti; le banche devono, inoltre, comunicare all’anagrafe tributaria il
nome dei loro clienti e la natura dei rapporti intrattenuti. Una volta acquisiti i dati bancari, se
questi non trovano riscontro nella contabilità, operano delle presunzioni legali relative
all’evasione: se vi sono incassi non registrati ad essi quindi corrispondono ricavi non registrati; se
si riscontrano prelevamenti non registrati, ai quali il contribuente non sa dare spiegazione, tali
prelevamenti legittimano il Fisco ad accertare dei ricavi. In particolare la presunzione fondata sui
prelevamenti, va precisato che trattasi di una doppia presunzione: vi è quella per cui il
prelevamenti si ritiene utilizzato per remunerare un acquisto inerente la produzione del reddito
e quella per cui al costo non contabilizzato si ritiene corrispondere un ricavo altrettanto non
contabilizzato. Ai fini IVA, la constatazione, quando non si trova riscontro nella contabilità di :
assegni emessi fanno presumere che siano state pagate forniture acquistate senza fattura; mentre
assegni incassati fanno presumere vendite non fatturate.
Un ulteriore potenziamento delle indagini finanziarie si è avuto con il d.l. n.138 del 2011 che
prevede che gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare periodicamente all’Anagrafe
tributaria le movimentazioni relative ai rapporti finanziari ed ogni altra informazione relativa ai
predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni
finanziarie stesse. Quindi gli operatori finanziari dovranno collaborare per consentire
l’elaborazione di “liste selettive meramente ricognitive” di contribuenti dalle quali poter attingere
per scegliere i soggetti da sottoporre a accertamento fiscale; al riguardo si è chiarito che nessun
ufficio dell’Agenzia delle Entrate potrà avere un accesso automatico alle informazioni medesime,
solo nel caso sia attivato un controllo l’ufficio potrà ottenere informazioni di dettaglio mediante
specifica richiesta agli intermediari finanziari.

IL PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE E L’ADESIONE


Al termine delle operazioni di accesso, ispezione e verifica l’A.F. o la Polizia tributaria redigono
un documento che sintetizza l’esito delle operazioni di controllo effettuate, tale documento prende
il nome di processo verbale di constatazione. Tale atto è meramente istruttorio in quanto la
sua funzione è unicamente quella di portare a conoscenza agli uffici finanziari le violazioni
normative compiute dal contribuente ed accertate a seguito dell’esercizio dei poteri di indagine.
I verbalizzanti rivestono la qualifica di pubblici ufficiali e, dunque, il processo verbale di
costatazione da loro redatto assume la valenza di atto pubblico. Il processo verbale di
constatazione deve essere sottoscritto dal contribuente, tale sottoscrizione è espressione della
collaborazione dello stesso alla redazione del processo verbale, ponendosi cioè come
dimostrazione certa della presa di visione dell’atto da parte del destinatario delle operazioni di
verifica fiscale in esso descritte. Le dichiarazioni rese dal contribuente nella fase dell’acceso e
riportate nel processo verbale di constatazione assumono il rilievo di ammissione e non di
confessione; in ogni caso le eventuali dichiarazioni rese
dal contribuente possono attenere esclusivamente alle operazioni meramente materiali svolte dai
verificatori, ma non anche alle deduzioni e presunzioni che gli stessi abbiano ritenuto di trarre in
base alle deduzioni logiche.
Una delle forme di tutela del contribuente nella fase di verifica fiscale, in applicazione del principio
di collaborazione tra Fisco e contribuente, consiste nella possibilità offerta a quest’ultimo di
comunicare, entro 60 gg. dal rilascio della copia del processo verbale di constatazione,
osservazioni e richieste che devono essere esaminate dagli uffici impositori; pertanto l’avviso di
accertamento non può essere emesso prima della scadenza di tale termine, pena la sua illegittimità
(salvo che non sia giustificato da particolari motivazioni di comprovata urgenza).
ã Adesione : l’istituto dell’adesione ai verbali di constatazione (d.lgs. 218/1997 art. 5bis)
prevede la possibilità per il contribuente di prestare la propria adesione al contenuto dei processi
verbali di constatazione redatti dagli organi ispettivi al termine di operazioni di verifica fiscale; in
particolare con l’adesione ai verbali il contribuente può confidare nell’emissione di un avviso di
accertamento parziale sostanzialmente basato sui rilievi indicati nel medesimo verbale e nella
riduzione delle sanzioni ad 1/8 del minimo edittale.

PARTE III – I SINGOLI ATTI IMPOSITIVI

L’AVVISO DI ACCERTAMENTO E I SUOI REQUISITI


L’avviso di accertamento è l’atto mediante il quale l’A.F. manifesta la pretesa impositiva nei
confronti del contribuente nell’ambito di un rapporto di obbligazione tributaria; esso è
conseguenza diretta di un complesso ed articolato procedimento amministrativo espressione di una
funzione vincolata, non discrezionale dell’Amministrazione.
Per quanto riguarda la natura e la funzione dell’avviso di accertamento trattasi di un atto di
imposizione, imposto unilateralmente, esecutivo e autoritativo non più ufficioso (a
seguito delle modifiche derivanti dalla legge n.122 del 2010), infatti dal 1 Luglio del 2011 il nuovo
atto di accertamento è un unico atto che racchiude in sé sia la fase della riscossione che
dell’accertamento , per accorciare i tempi tra l’accertato e la riscossione. L’avviso di
accertamento è in grado di incidere sulla situazione giuridica soggettiva del contribuente e
suscettibile di divenire definitivo se non opportunamente impugnato. Con l’atto di accertamento
si determina l’entità qualitativa e quantitativa del presupposto del tributo e quindi
l’imponibile in rettifica della dichiarazione o in sostituzione di essa.
Intorno alla natura di tale atto impositivo sono sorte questioni che concernono gli effetti e la
posizione soggettiva del singolo, in merito a tali dibattiti sono state enunciate due teorie : la
teoria dichiarativa e la teoria costitutiva :
² Teoria dichiarativa : in cui il contribuente sarebbe titolare di una situazione soggettiva
qualificata come diritto soggettivo, in quanto gli effetti dell’obbligazione tributaria
sarebbero già sorti ex ante, conferendo all’avviso di accertamento valore dichiarativo e non
costitutivo di un fatto espressione di una manifestazione autoritativa dell’Amministrazione.
² Teoria costitutiva : secondo tale teoria la situazione soggettiva del contribuente sarebbe di
interesse legittimo e quindi non di diritto soggettivo, conferendo all’accertamento tributario una
chiara efficacia costitutiva dei rapporti d’imposta, siccome gli atti emanati dall’A.F.
avrebbero l’attitudine a creare, costituendo ex novo, un rapporto obbligatorio non
preesistente all’emanazione dell’atto.
CONTENUTO (dispositivo) : il contenuto dell’avviso di accertamento, in quanto atto
legittimante la riscossione di una quota di imposta dovuta a titolo provvisorio, è subordinato ad
una pluralità di norme sulle quali si fonda la legittimità dell’azione amministrativa; tali
disposizioni (il dispositivo da Tes.) non attengono solo al contenuto ma anche ai requisiti ed alla
competenza dell’ufficio impositore, quindi ai sensi del d.p.r. 600 del 1973 (art.42) l’avviso di
accertamento deve indicare << dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote
applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di
acconto e dei crediti d’imposta
>>
MOTIVAZIONE : oltre ai vincoli posti dalla legge, l’avviso di accertamento deve rispondere, tra
l’altro, a quelli posti dallo Statuto dei diritti del contribuente (art.7), infatti l’atto accertamento
deve essere motivato ed inoltre deve contenere : l’indicazione dell’ufficio presso il quale è
possibile ottenere informazioni, l’indicazione del responsabile del procedimento, l’organo o
l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito in
sede di autotutela, le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa
cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.
In particolare l’obbligo della motivazione ha il fine di mettere in condizione il contribuente di
conoscere le ragioni della pretesa tributaria e di sviluppare le proprie deduzioni difensive, ai fini
di un’efficace contestazione sia dell’ an che del quantum debeatur; la motivazione
dell’accertamento tributario, richiesta a pena di nullità dell’atto impositivo, assolve ad una
funzione di garanzia nei confronti del destinatario dell’atto.
ã Prova e motivazione per relationem : è importante distinguere la motivazione che è la
ragione della pretesa tributaria, dalla prova che è la dimostrazione della fondatezza della pretesa
impositiva (solitamente avviene in sede contenziosa), la prova pertanto non è un elemento
dell’avviso. Altra precisazione attiene alla legittimità della motivazione per relationem, ovvero alla
legittimità delle ragioni giuridiche dell’atto impositivo mediante rinvio ad altri atti come il
processo verbale di constatazione: è stato chiarito in giurisprudenza che la motivazione per
relationem mediante il rinvio ad un altro atto non è illegittima per mancanza di un autonoma
valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi acquisiti non arrecando, quindi, alcun pregiudizio al
corretto svolgimento del contraddittorio ed al diritto alla difesa; di recente anche la Cassazione si è
espressa per l’assoluta validità della motivazione per relationem.
Oltretutto è importante precisare che l’A.F. non può modificare o integrare la motivazione dell’atto
impositivo una volta che lo stesso sia stato notificato al contribuente in ragione del c.d. divieto di
motivazione successiva nel corso del processo, in quanto gli elementi non risultanti nel
provvedimento impugnato non sarebbero idonei ad integrare la motivazione.

L’AVVISO DI LIQUIDAZIONE
L’avviso di liquidazione è un provvedimento di imposizione che l’ente impositore emette a
seguito di una serie di operazioni volte al controllo ed alla verifica dei versamenti eseguiti
dal contribuente, dalle quali può risultare un pagamento dell’imposta o parziale oppure uguale
oppure maggiore. Quindi è un atto con il quale l’ufficio determina imposte dovute in
riferimento alle denunce presentate dal contribuente. Quindi l’avviso di liquidazione:
² ha natura di atto impositivo autoritativo, in quanto in caso di mancata impugnazione nei
termini di legge da parte del contribuente, diventa definitivo
² costituisce un presupposto valido per la riscossione coattiva al pari dell’avviso di accertamento
² che la sua natura provvedimentale farebbe ritenere fondata l’estensione dell’obbligo di
motivazione anche in relazione ai fatti giuridici che l’hanno determinato

LA PATOLOGIA DEGLI ATTI IMPOSITIVI: ANNULLABILITÀ E NULLITÀ


Nel merito della patologia degli atti tributari va precisato che intercorre una differenza con la
patologia degli atti di diritto comune: infatti secondo le norme del codice civile per ciò che
riguarda la nullità e l’annullabilità degli atti:
² nullità : quando un contratto è nullo è inefficace e non produce effetti
² annullabilità : quando un contratto è annullabile è pienamente efficace fino a quando
colui che abbia interesse non promuova la relativa azione di annullamento
Queste disposizioni di diritto comune non trovano alcuna conferma nel diritto amministrativo o
tributario, laddove : 1- un provvedimento nullo sarebbe altresì efficace e produttivo di effetti,
ma suscettibile solo di annullamento, giacché la nullità dell’atto coincide con la sua
annullabilità e 2- il provvedimento amministrativo viziato risulterebbe affetto da illegittimità e
quindi illegittimo, in altre parole in diritto tributario esistono solo atti annullabili e atti
illegittimi:
1- Nullità = annullabilità : nel diritto tributario la nullità dell’atto impositivo equivale
all’annullabilità di tale contratto, in genere l’inosservanza delle disposizioni stabilite a pena di
nullità non genera provvedimenti nulli, ma annullabili; ciò significa che per ottenere
l’annullamento dell’atto è necessario far ricorso al giudice tributario o presentare istanza di
autotutela (annullamento in seguito a sentenza del giudice o in sede di autotutela).
2- Atto illegittimo = atto viziato : è evidente che un atto impositivo viziato, sebbene
illegittimo, può essere pur sempre efficace ed esistente; diversamente in altre ipotesi l’atto
viziato risulta essere giuridicamente inesistente ovvero privo di vita ab initio; tale ultima
patologia si presenta in tutte quelle ipotesi in cui non sussistono gli elementi minimi
essenziali dell’atto, ovvero : a) quando l’atto è privo di notifica, b) quando l’atto è privo di
sottoscrizione, c) quando è inesistente il destinatario, d) quando è indeterminato o manca il
dispositivo, e) quando è emesso in assenza di potere cioè in assenza assoluta di attribuzione di
competenza; e anche nelle ipotesi quando
f) sia stato adottato in violazione o elusione del giudicato, g) in altri casi espressamente previsti
dalla legge.
Nonostante ciò, il contribuente, per vedersi tutelata la sua posizione giuridica soggettiva di
fronte ad un atto inesistente, dovrà pur sempre impugnare l’atto notificato, onde evitare
che lo stesso diventi definitivo.

LA NOTIFICAZIONE
L’atto di accertamento è un atto recettizio esso esiste e produce effetti in quanto è portato a
conoscenza effettiva e non presunta del destinatario: l’atto esiste ed esplica i suoi effetti, in
quanto esso sia perfettamente notificato al contribuente . Anche per gli atti tributari vige la
medesima disciplina per gli atti di diritto comune, attraverso l’applicazione sistematica delle
norme di procedura civile in quanto applicabili, quindi la notificazione degli atti di accertamento
tributario può avvenire :
² mediante i messi comunali ovvero da messi autorizzati dall’ufficio impositore, in questo
caso l’addetto alla notificazione dell’atto impositivo deve far sottoscrivere l’atto al destinatario
² è ammessa la notifica a mezzo servizio postale, in tal caso vale la data di spedizione, ma i
termini processuali e procedimentali decorrono dalla data in l’atto è ricevuto
ã Domicilio fiscale : la notifica deve avvenire presso il domicilio fiscale del contribuente, fatta
salva la consegna a mani proprie. Il domicilio fiscale assurge a requisito indispensabile, ed è dato
dalla residenza anagrafica per le persone fisiche residenti, dal Comune in cui si è prodotto il
reddito, o in cui si è prodotto il reddito più elevato per le persone fisiche non residenti, mentre
per i soggetti diversi dalle persone fisiche occorre aver riguardo alla sede legale, in mancanza, alla
sede amministrativa ed in mancanza anche di questa nel Comune ove è stabilita una sede
secondaria o una stabile organizzazione, o nel Comune dove è esercitata in prevalenza l’attività.
ã Vizi di notifica : sulla questione dei vizi della notifica va chiarito che la giurisprudenza di
legittimità è tutt’altro che pacifica nel ritenere applicabili agli atti tributari il principio codicistico del
raggiungimento dello scopo, operante per la notifica degli atti di diritto civile: secondo un primo
orientamento l’atto sarebbe sanato qualora il destinatario abbia ricevuto conoscenza dell’atto
nei termini previsti dalla legge, di conseguenza, nella successiva impugnazione, l’impugnazione
dell’atto e la costituzione in giudizio del contribuente sarebbero sufficienti a sanare il vizio di
notificazione dell’atto.
In altre circostanze l’atto è da ritenersi totalmente inesistente, qualora, sia privo dei requisiti
essenziali per la sua qualificazione giuridica (come la mancanza di sottoscrizione così in Cass.)
rende del tutto insuscettibile di sanatoria in applicazione del principio del raggiungimento dello
scopo, rendendo l’atto privo di vita ab initio.
ã Decadenza : la legge impone che la notifica di un atto tributario debba avvenire entro un
termine previsto a pena di decadenza con conseguente illegittimità dell’atto emesso dopo tale
termine; la decadenza opera anche nei confronti del contribuente che intende impugnare tale atto
con la conseguenza che decorsi i termini il ricorso è inammissibile e l’atto diventa definitivo con
conseguente inopponibilità ed esaurimento del potere di impugnazione.

PARTE IV – LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO

PREMESSA I DIVERSI METODI DI ACCERTAMENTO


La diversità dei contribuenti fiscalmente accertabili ha indotto il legislatore, coerentemente con
dottrina e giurisprudenza, all’elaborazione dei diversi metodi di accertamento contraddistinti da
specifici presupposti normativamente previsti. Le diverse tipologie di accertamento, funzionali
all’emissione dell’avviso di accertamento sono : l’accertamento analitico, l’accertamento analitico
induttivo, l’accertamento induttivo extracontabile, gli studi di settore, l’accertamento sintetico,
l’accertamento parziale, l’accertamento integrativo, l’accertamento con adesione, l’accertamento
catastale, disciplinati nel d.p.r. 600/1973 (artt. 38, 39).

L’ACCERTAMENTO ANALITICO E ANALITICO CONTABILE (IMPRESE) : l’accertamento


analitico (art.38 del d.p.r. 600/1973 rubricato rettifica delle persone fisiche) è quello che
costituisce la base imponibile del reddito, partendo da un’analisi delle singole
componenti reddituali; sul punto si distingue a seconda che si tratti di un accertamento a
persone fisiche, oppure se si tratti di un accertamento avente ad oggetto redditi d’impresa:
● Persone fisiche : la norma contenuta nell’art.38 introduce la possibilità di rettifica in via
analitica della dichiarazione qualora il reddito dichiarato sia inferiore a quanto risulti in via
effettiva, e laddove al contribuente non spettino in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le
detrazioni d’imposta indicate nella dichiarazione; è possibile rilevare anomalie e inesattezze dalla
dichiarazione e ricorrere a presunzioni semplici.
● Redditi d’impresa : l’accertamento analitico contabile per i redditi d’impresa è eseguita
mediante la determinazione, ovvero la rettifica, delle singole componenti positive e negative del
reddito; ciò presupponendo l’attendibilità delle scritture contabili sulla cui base operare le
singole variazioni reddituali. Tale accertamento può scaturire sia dal confronto tra dichiarazioni,
bilancio e scritture contabili; sia dalla documentazione contabile; o ancora su circostanze
estranee alla contabilità; per questo motivo è stato correttamente precisato che tale
accertamento si definisce analitico contabile.

L’ACCERTAMENTO ANALITICO INDUTTIVO - LE PRESUNZIONI : per la tassazione dei


redditi d’impresa e dei lavoratori autonomi si ricorre all’accertamento analitico induttivo,
laddove la base imponibile, anch’essa fondata sulla contabilità, si avvale di una ricostruzione
induttiva del reddito, tale accertamento si fonda anche sulle cd. presunzioni. Le presunzioni sono
quelle conseguenze logiche che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto
ignoto; le presunzioni possono essere legali e semplici :
● presunzioni legali : sono conseguenze che la legge trae da un fatto noto per risalire ad un
fatto ignoto, contenute di solito, nella legge e possono a loro volta suddividersi in : presunzioni
assolute che non ammettono prova contraria e presunzioni relative che ammettono prova
contraria
● presunzioni semplici : sono lasciate alla prudenza del giudice e il fatto sul quale si fondano
deve essere provato in giudizio, mentre il relativo onere grava su colui che intende trarne
vantaggio
L’accertamento analitico induttivo si avvale di circostanze contrastanti, anche presuntive, che
emergono sia dalla contabilità che da elementi esterni ad essa: in linea di massima trova
applicazione sugli elementi indicati nella dichiarazione che non corrispondono a quelli indicati nel
bilancio, se l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e
nei relativi allegati risultano tali quando emergono da verbali, questionari, ispezioni delle scritture
contabili ed altre verifiche. Ai fini della legittimità dell’azione accertatrice rileva il fatto che tali
circostanze debbono necessariamente essere delle presunzioni gravi, precise e concordanti.

L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO EXTRACONTABILE : nell’ambito dell’accertamento basato su


presunzioni assume ruolo di primo piano la specificità dell’accertamento induttivo extracontabile,
tale specificità è comprovata dal fatto che tale accertamento rappresenta una espressa
deroga alle modalità accertative previste (art. 39 comma 1); difatti l’accertamento induttivo
extracontabile è esperibile in quattro circostanze espressamente tipizzate dalla legge:
1- quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione
2- qualora dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque
sottratto all’ispezione una o più scritture contabili prescritte, quando le scritture medesime non
sono disponibili per causa di forza maggiore
3- quando le omissioni e le false o inesatte dichiarazioni ovvero le irregolarità formali delle
scritture contabili risultanti dal verbale si ispezione sono gravi, numerose e ripetute da rendere
inattendibili le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica
4- quando il contribuente non ha dato seguito agli
inviti disposti dagli uffici Quindi sussistendo anche
una sola di queste circostanze l’A.F. può:
² determinare il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a
conoscenza
² avvalersi anche di presunzioni supersemplici, ovvero prive dei requisiti di gravità, precisione
e concordanza
Soltanto all’esito di tali circostanze, l’Amministrazione potrà avvalersi di presunzioni
supersemplici cioè prive di requisiti di gravità,
precisione e concordanza, basandosi su dati e notizie comunque raccolti per fondare l’attività
accertativa. Tuttavia l’ufficio dovrà comunque ricostruire il presupposto con diligenza ed
esattezza, proprio perché non può basare la sua attività su elementi privi di ragionevolezza e
fondamento che comprovino la fondatezza dell’accertamento.

GLI STUDI DI SETTORE : gli studi di settore, finalizzati all’accertamento di un maggior reddito
per esercenti attività d’impresa, arti e professioni, sono strumenti diretti alla determinazione
presuntiva dei ricavi che si basano su di una ricostruzione statistica dei ricavi e compensi
delle imprese e professionisti elaborata sulla base del settore di appartenenza, sebbene
variabile in base a parametri qualitativi e quantitativi, relativi alle attività espletate indicate nei
questionari inviati a contribuenti o da circostanze rilevabili in dichiarazione. Come stabilito dalla
Corte di Cassazione, ed anche dagli ultimi orientamenti giurisprudenziali gli studi di settore
costituiscono pur sempre delle elaborazioni statistiche che, per quanto possono avere un buon
grado di approssimazione, sono frutto di una mera ipotesi probabilistica e, quindi, possono essere
agli occhi del Fisco solo una presunzione semplice, ammissibile di prova contraria, quindi tali
parametri devono essere necessariamente personalizzati nell’ambito del contraddittorio, la
sussistenza del contraddittorio deve essere parte integrante della motivazione dell’atto di
accertamento.
Con l’obiettivo di assumere informazioni, l’A.F. ha predisposto appositi questionari che ha inviato
ai contribuenti nel corso degli anni; a tal fine : le imprese sono state divise in gruppi omogenei
ovvero i cluster, in base ad una molteplicità di fattori (modelli organizzativi, tipo di clientela,
area di mercato, tipo di prodotto etc.); quindi per ciascun cluster, vengono calcolati
presuntivamente i ricavi e l’attitudine a realizzare i compensi. L’A.F. ricorre a tale accertamento
non solo per i contribuenti in regime di contabilità semplificata qualora non vi sia corrispondenza
tra i ricavi dichiarati e i ricavi indicati negli studi di settore, ma anche per altri soggetti, esercenti
arti o professioni in regime di contabilità ordinaria, non solo quando la contabilità risulti
inattendibile, ma anche nel caso che l’ammontare dei ricavi determinati dagli studi di settore è
superiore all’ammontare dei ricavi dichiarati in due periodi d’imposta su un totale di tre periodi
interrotti. Imprese e professionisti possono farsi rilasciare dai CAF e dai soggetti professionali
abilitati uno speciale visto detto “visto pesante”; tale visto assevera che gli elementi
comunicati all’Amministrazione finanziaria nella dichiarazione dei redditi corrispondono alla
contabilità e alla documentazione dell’impresa.

L’ACCERTAMENTO SINTETICO : il reddito delle persone fisiche può essere accertato, altresì,
mediante l’accertamento sintetico; tale accertamento basa le sue valutazioni sulla cd.
capacità di spesa, cioè valutando circostanze e fatti economicamente valutabili come ad
esempio gli investimenti ovvero spese e consumi, pertanto viene anche definito “accertamento
basato sulla spesa”. I presupposti per l’accertamento sintetico risultano due: il primo che il
reddito netto accertabile si deve discostare per almeno un quinto da quello dichiarato; il secondo e
che tale conseguenza si manifesti per almeno un annualità d’imposta.
Essendo l’accertamento sintetico basato sulla capacità di spesa del contribuente, risulta di
primaria importanza individuare i fatti indice di spesa mediante i quali l’Ufficio giunge alla
qualificazione ed alla quantificazione dell’imposta, a tal fine l’A.F. si avvale, tra gli strumenti
normativamente previsti, del redditometro che è uno strumento di accertamento sintetico che
consente di ricostruire i redditi del contribuente partendo dalle spese sostenute, guardando non
tanto come viene prodotta la ricchezza, ma come essa viene usata per mantenere un certo
tenore di vita, più precisamente il redditometro consente di risalire al reddito mediante un’analisi
delle manifestazioni di capacità contributiva; tale strumento considera come indici di maggior
reddito, la disponibilità, da parte di contribuenti, di particolari beni di lusso indicatori di una elevata
capacità contributiva, quali : aerei, imbarcazioni, autoveicoli, beni immobili e così via.
IL redditometro comporta la cd. inversione dell’onere della prova, infatti è stato osservato (in
dottrina) che il redditometro avrebbe una efficacia vincolante per l’Amministrazione accertatrice;
viceversa, non risulterebbe vincolante per i contribuenti, i quali avranno l’onere di dimostrare
all’Amministrazione l’infondatezza di quanto affermato su basi presuntive. D’altro canto nemmeno
per i giudici tributari le basi presuntive del redditometro possono risultare vincolanti, poiché,
come è noto, anche i regolamenti aventi ad oggetto fatti indice possono essere disapplicati
dall’Autorità giudiziaria tributaria, qualora ne sussistano i presupposti.
È opportuno distinguere tra il redditometro che potrà essere utilizzato dall’Amministrazione
finanziaria per i redditi conseguiti fino al 2008 dal nuovo redditometro che potrà essere
utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per controllare tutte le dichiarazioni dei redditi presentate
dall’anno 2009 in poi. Il legislatore ha previsto un obbligo di preventivo contraddittorio tra fisco e
contribuente, il quale sarà invitato a comparire e a fornire prova contraria anche in sede di
contraddittorio, prime dell’emissione dell’avviso di accertamento.
Collegato al redditometro è il cd. spesometro, introdotto con il d.l. 78 del 2010 che riguarda
l’obbligo della comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo non inferiore ad €
25.000, invece per i soggetti passivi IVA le operazione comprensive di IVA non inferiori a € 3.600.
I dati acquisiti saranno raccolti in un’apposita banca dati e, tramite gli incroci con le altre
informazioni contenute nell’Anagrafe tributaria, consentiranno un’analisi del rischio finalizzata alla
selezione dei soggetti da sottoporre a controllo che potrà incidere in misura più che efficace sul
contrasto all’evasione.

L’ACCERTAMENTO INTEGRATIVO : l’accertamento integrativo può essere integrato o


modificato mediante l’emissione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di
nuovi elementi, indicando, a pena di nullità del medesimo avviso, tali nuovi elementi e gli atti o fatti
venuti a conoscenza dell’ufficio; pertanto l’accertamento integrativo è valido solo se sorgono
nuovi elementi successivi all’emissione del primo avviso di accertamento.
L’integrazione del secondo accertamento, che può vertere sia sulla variazione in aumento
dell’imponibile, che su di una diversa qualificazione del reddito accertato, non preclude all’ufficio
l’esercizio del potere, in sede di autotutela, di ridurre o annullare il precedente accertamento
precedentemente notificato, sempreché tale istituto non rappresenti un escamotage volto a
correggere i vizi causati da carenze organizzative e strutturali dell’ufficio. Ciò presuppone che la
potestas integrandi dell’Amministrazione non travalichi i limiti dell’attività integrativa, tali da
modificare o correggere eventuali errori di sostanza sussistenti nel precedente atto di
accertamento: infatti in ossequio ad un principio garantista al contribuente, è necessario che
l’atto integrativo sia fondato su prove non soltanto irrilevanti ma anche che non rientravano, al
momento dell’emissione dell’atto pregresso, nella sfera di conoscenza o conoscibilità
dell’Amministrazione.

L’ACCERTAMENTO CON ADESIONE : al fine di limitare il contenzioso tributario, il legislatore


ha introdotto un istituto finalizzato ad una semplificazione dei rapporti tra A.F. e contribuente. A
tale esigenza risponde l’istituto dell’accertamento con adesione o concordato, il quale costituisce
una forma di accertamento definitivo e vincolante per l’A.F.; tale procedimento si fonda su un
accordo tra le parti che può avvenire:
● Su invito dell’A.F. : in questo caso l’ufficio può invitare il contribuente a comparire, indicando
i periodi di imposta interessati all’adesione, nonché le modalità del contraddittorio
● Su istanza del contribuente : in tal caso, il contribuente può inoltrare all’ufficio competente
un’istanza di adesione in carta semplice allorquando sono stati eseguiti accessi, ispezioni,
verifiche, prima che gli venga notificato un avviso di accertamento; ovvero nel caso in cui sia già
stato notificato un avviso di accertamento o di rettifica non preceduto dall’invito a comparire
Una volta avviata la procedura di adesione entro 60 gg. dalla notifica dell’atto di accertamento, la
legge prevede una sospensione di 90 gg. sia per il termine di pagamento, sia per l’impugnazione
dell’atto notificato; quindi inoltrata l’istanza (che sia da parte del contribuente o da parte
dell’ufficio), ed una volta raggiunto l’accordo tra le parti, l’accertamento con adesione viene
redatto con atto scritto in duplice esemplare, sottoscritto sia dal contribuente che dal capo
dell’ufficio (o da un delegato di questi), indicante elementi e motivazione di ciascun tributo, la
liquidazione delle maggiori imposte, delle sanzioni e di altre eventuali somme; il versamento deve
essere eseguito entro 20 gg. dalla redazione dell’atto. Va altresì precisato che la definizione con
adesione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice ed integratrice da parte
dell’ufficio, in particolare l’accertamento con adesione può essere integrato soltanto:
² se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali possibile accertare un maggior
reddito
² se la definizione riguarda accertamenti parziali
² se la definizione riguarda redditi derivanti da società o enti per i quali vale il principio di
trasparenza
A seguito della definizione, le sanzioni amministrative per le violazioni concernenti i tributi
oggetto dell’adesione commesse nel periodo d’imposta, vengono ridotte ad un quarto del minimo;
mentre per le sanzioni penali, queste sono diminuite fino alla metà in materia di imposte sui reddito
e IVA.
L’ACCCERTAMENTO PARZIALE : con l’accertamento parziale, introdotto in deroga al principio
generale dell’unicità e globalità dell’atto di accertamento, l’A.F. può emettere atti di accertamento
fondati su circostanze ed elementi non definitivi oppure su notizie frammentarie ed incomplete,
provenienti dai sistemi informativi dell’Anagrafe tributaria o della Guardia di Finanza o dalle
pubbliche amministrazioni ed enti pubblici. Tale accertamento è ammesso nelle ipotesi in cui
l’Ufficio impositore giunge a conoscenza di circostanze reddituali e fattuali, presumibilmente
certe, seppur parziali, derivanti da elementi in precedenza già acquisiti; con l’accertamento parziale
l’Ufficio può modificare in modo unilaterale la sfera giuridica del contribuente attraverso la notifica
di ulteriori atti, ed inoltre può anche revisionare l’atto parziale notificato qualora ne sussistano i
presupposti. Va precisato che i limiti dell’ulteriore accertamento sono da individuarsi nei termini
per l’accertamento (art.43 d.p.r. 600/1973) e nel giudicato della sentenza sull’accertamento
parziale.

L’ACCERTAMENTO CATASTALE : l’accertamento catastale è un accertamento funzionale alla


tassazione dei redditi fondiari, ovvero dei terreni e dei fabbricati. Trattasi di una
consultazione degli archivi del Catasto mediante l’individuazione di taluni parametri di ricerca
finalizzata all’acquisizione di informazioni, in ordine alle proprietà possedute da un contribuente. Il
Catasto è stato definito come un sistema dei redditi ravvisabili dai cespiti immobiliari; esso non è
altro che un inventario finalizzato alla descrizione della proprietà terriera, suddivisa in particelle,
recante l’indicazione dell’appartenenza del cespite, della qualificazione, classificazione e
l’indicazione del reddito medio ordinario e quindi delle c.d. rendite catastali. La relativa
suddivisione in catasto dei terreni e catasto dei fabbricati, assolve ad una sia ad una
funzione descrittiva della qualificazione e delle titolarità degli immobili, sia ad una funzione
indicativa della redditività degli immobili. L’adeguamento delle rendite catastali viene eseguito
mediante taluni strumenti, cioè mediante :
² i coefficienti di aggiornamento: per contravvenire alla svalutazione monetaria
² le domande di voltura catastale e denunzie di variazione di classamento : per far fronte
alle modificazioni giuridiche ed economico produttive dei beni
² le revisioni di tariffe d’estimo : per adeguare il valore dei beni alle variazioni generali del
mercato
CAPITOLO VIII – LE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE

PARTE I – NOZIONI E PRINCIPI

L’ILLECITO AMMINISTRATIVO TRIBUTARIO


La violazione degli obblighi imposti dalle norme tributarie dà luogo all’irrogazione di sanzioni
prevalentemente di natura amministrativa, salva la previsione di fattispecie a rilevanza
penale (nel caso i cui la medesima violazione sia punita sia con sanzione amministrativa e sia con
sanzione penale, per evitare il cumulo delle sanzioni, si applica la disposizione speciale rispetto a
quella generale).
Originariamente alla sanzione amministrativa penale veniva riconosciuto sia il carattere afflittivo
tipico della pena pecuniaria sia quello risarcitorio della sopratassa; solo negli anni 90 si è maturata
la convinzione di addivenire ad una radicale riforma del sistema sanzionatorio tributario
amministrativo (legge delega 662 del 1996) che, abbandonando il carattere risarcitorio, ha
privilegiato la natura afflittiva delle sanzioni amministrative, assoggettata ai principi di legalità,
imputabilità e colpevolezza, e riferibile alla persona fisica autrice della violazione.
ã La sanzione unica amministrativa e le sanzioni accessorie : il d.lgs. 472/1997, stante
il superamento del modello risarcitorio, elimina ogni riferimento alla sopratassa,
introducendo quale unica sanzione amministrativa la sanzione pecuniaria; accanto alla
sanzione pecuniaria il decreto legislativo contiene la previsione di sanzioni accessorie che possono
essere irrogate nei soli casi previsti e che consistono nell’interdizione nella carica amministratore,
sindaco o revisore di società di capitali, nell’interdizione dalla partecipazione a gare pubbliche,
nell’interdizione nel conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni, nella sospensione,
per un massimo di sei mesi, dall’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa.
Gli illeciti assoggettabili a sanzioni amministrative sono divisibili in tre gruppi :
² illeciti concernenti le violazioni di obblighi meramente formali
² illeciti relativi alla dichiarazione tributaria
² illeciti concernenti l’omesso o ritardato versamento dell’imposta

IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ ED I SUOI COROLLARI : la disciplina generale delle sanzioni


amministrative tributarie è contenuta nel d.lgs.
n.472 del 1997 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di
norme tributarie), ed il principio di legalità
contenuto nell’art. 3 stabilisce al:
1 comma : <<nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata
in vigore prima della commissione della violazione ed esclusivamente nei casi considerati dalla
legge>> si ispira chiaramente al principio penalistico nulla poena sin lege e prevede che solo
la legge possa introdurre sanzioni, sancendo, inoltre, la irretroattività della norma tributaria
sanzionatoria in forza di una regola che si distingue da quella prevista dall’art.3 della legge 212 del
2000. Diversamente dalle norme sanzionatorie e da quelle sostanziali, la giurisprudenza e la
prassi amministrativa non riconoscono il limite della irretroattività alle norme di carattere
procedimentale, anche se riferite a modalità di accertamento.
2 comma : <<salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzione per
un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è
stata già irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa
ripetizione di quanto già pagato>> sovverte il principio tempus regit actum vale a dire della
non ultrattività della norma tributaria sanzionatoria, quindi è previsto che non si possa essere
assoggettati a sanzioni per un fatto che, secondo la legge successiva non costituisce violazione
punibile
3 comma : << se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi
posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il
provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo >>, sempre in ossequio al principio del favor
rei quindi è prevista l’applicazione della sanzione più favorevole al reo, nel caso in cui la legge
vigente al momento della violazione e leggi posteriori stabiliscano sanzioni diverse.
Diversa dalla cd. abolitio criminis è l’abolizione di un tributo (ILOR, ICIAP etc.) che non
incidendo specificatamente sulla fattispecie sanzionatoria non estingue l’illecito.

IL PRINCIPIO DELLA PERSONALITÀ : il modello introdotto nel 1997 è di tipo personalistico


(o penalistico): i caratteri dell’illecito amministrativo sono molto più prossimi agli illeciti penali
(che trova fondamento nell’art. 27 Cost. << la responsabilità penale è personale>>); l’illecito non
è riferibile al contribuente (soggetto passivo della pretesa tributaria), ma alla persona
fisica che materialmente ha commesso la violazione: il contribuente continua a rispondere
del tributo, il trasgressore, invece, della sanzione: i due soggetti possono coincidere ma non
necessariamente coincidono. La trasposizione del modello personalistico nel sistema sanzionatorio
tributario ha comportato:
² innanzitutto ha definitivamente sancito la intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi: la
morte del trasgressore comporta l’estinzione dell’obbligazione derivante dall’irrogazione della
sanzione
² per società e/o enti con personalità giuridica, il principio personalistico ha subito un
evidente ridimensionamento, infatti è stato specificatamente previsto (però nel 2003 d.l. 269)
che le sanzioni relative a rapporti tributari di società o enti con personalità giuridica sono
esclusivamente a carico di queste ultime, abrogando tacitamente le norme del d.lgs. n.472 del
1997 che disponevano o presupponevano l’irrogazione della sanzione alle persone fisiche che
avevano agito per le persone giuridiche.

L’ELEMENTO SOGGETTIVO E LA COLPEVOLEZZA : nel modello sanzionatorio personalistico


assume rilievo il cd. elemento soggettivo, è del tutto pacifico che l’applicazione della sanzione
non può aver luogo se l’azione o l’omissione non sia stata posta in essere da un soggetto
imputabile e non sia qualificata almeno come colposa o dolosa.
Si ha colpa (art.43 c.p.) quando l’evento non è voluto dall’agente e si verifica a causa di
negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero in inosservanza di legge, regolamenti, ordini e
discipline. Risulta complicato, soprattutto in considerazione dei poteri e delle metodologie di
accertamento dell’amministrazione finanziaria, è invece l’indagine della colpa grave sul dolo dei
quali ilo legislatore ha provato a dare definizione: <<quando l’imperizia e la negligenza del
comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente della portata della
norma violata e di conseguenza risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari
obblighi tributari >>; la stessa A.F. confortata dalla migliore dottrina, ha ritenuto più semplice
privilegiare la contestazione della colpa, che si presume in caso di violazione di legge e
regolamenti, piuttosto che la colpa grave o il dolo che necessiterebbero di una specifica
motivazione.
ã Recidiva : degna di nota, inoltre, è la previsione della recidiva, intesa come aumento della
sanzione nei confronti dei soggetti che nei tre anni precedenti abbiano commesso violazioni della
stessa indole non definite né come ravvedimento, né in via breve o con adesione.

IL CONCORSO DI PERSONE : <<quando più persone concorrono in una violazione ciascuna di


esse soggiace alla sanzione per questa disposta>> il concorso presuppone la partecipazione di più
soggetti alla realizzazione della violazione, con un contributo causale al verificarsi del fatto e con
la volontà di cooperare o commette l’illecito. Il concorso può essere sia materiale oppure di
natura meramente psicologica quando il soggetto concorrente crea o rafforza il proposito di altri
alla commissione dell’illecito. Il concorso è escluso nei casi in cui la violazione consista
nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti perché in tal caso la
sanzione irrogata è unica e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo
il diritto di regresso.

L’AUTORE MEDIATO : autore mediato è colui che, con violenza (fisica o morale), o minaccia o
induce altri in errore colpevole, oppure si avvale di persone incapaci di intendere o volere,
determinando la commissione di una violazione; in tal caso l’autore mediato risponde della
violazione in luogo dell’autore materiale. Si è osservato che la norma fungerebbe da valvola di
sfogo al criterio di imputazione della violazione all’autore materiale; nel caso in cui l’autore
materiale sia stato indotto in errore colpevole non si applica la disposizione sull’autore mediato e si
rientra nella previsione del concorso di persone con evidente responsabilità sia dell’autore che
dell’istigatore (autore mediato).

RESPONSABILITÀ PER LE SANZIONI AMMINISTRATIVE : in tema di responsabilità


amministrativa, quando l’illecito è ascrivibile ad una persona che ha operato in qualità di
dipendente o rappresentante legale di società, associazione o ente oppure dipendente,
rappresentante o amministratore di enti o società con e senza personalità giuridica,
l’associazione o ente nell’interesse nel quale ha agito l’autore della
violazione è obbligata solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata salvo il
diritto di regresso.
ã Nel caso di cessione di azienda : la solidarietà del cessionario per il pagamento delle
imposte e delle sanzioni riferibili a violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e
nei due precedenti, nonché di quelle irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a
violazioni commesse in epoca anteriore, in questo caso, a tutela del cessionario, è previsto che
la sua obbligazione è limitata al debito risultante alla data di trasferimento; le limitazioni alla
richiamata corresponsabilità solidale non operano nel caso in cui la cessione sia stata effettuata
con frode.
ã Nei casi di trasformazione, fusione e scissione societaria : la società o ente risultante
dall’operazione straordinaria subentra negli obblighi delle società trasformate o fuse relative al
pagamento dei tributi.

LE CAUSE DI NON PUNIBILITÀ : la mancanza di colpevolezza trova sostanza nella


previsione normativa di alcune cause di non punibilità tassativamente disciplinate dalla
legge e di diretta derivazione delle esimenti tipiche del diritto penale, non sempre rinvenibili nel
procedimento tributario, quindi :
1) L’errore incolpevole che si verifica quando l’agente crede di realizzare un fatto diverso da
quello vietato dalla norma ovvero esclude l’esistenza di elementi costitutivi del reato
2) Non danno luogo a violazioni punibili le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei
valori di bilancio; è inoltre esclusa la colpa quando le valutazioni estimative si discostano da
quelle accertate in una misura inferiore al 5%
3) Riguardo l’incerta portata di norme tributarie e al loro ambito di applicazione, c’è un esimente
che consente di escludere la colpevolezza quando la violazione sia imputabile a difficoltà
interpretative oggettive o da incertezza delle istruzioni dei modelli di dichiarazione o
contraddittorietà nelle informazioni dell’A.F.
4) L’errore di diritto derivante dall’ignoranza inevitabile della legge tributaria (espressa previsione
normativa)
5) La forza maggiore (espressa previsione normativa) normalmente riferibile ad accadimenti
estranei alla volontà dell’agente (fenomeni naturali ad es. terremoti, alluvioni); al riguardo non
è condivisibile l’orientamento che ha ritenuto di estendere tale ambito di applicazione anche per
motivi di crisi economica e finanziaria indipendenti dalla volontà del contribuente
6) Non è punibile il soggetto che dimostri l’imputabilità ad un terzo del mancato pagamento del
tributo (ad es. rapporti contribuente, sostituto o responsabile)
7) È esclusa la punibilità delle violazioni formali che non incidono sul debito d’imposta e che non
arrecano pregiudizio all’attività di controllo dell’A.F.

IL RAVVEDIMENTO : in base a quanto previsto dalla disciplina vigente, il contribuente può


sanare la violazione commessa pagando una sanzione ridotta contestualmente al tributo o alla
differenza da versare, se dovuti, gli interessi moratori, purché la violazione non sia già stata
constatata e comunque non sia stata iniziata alcuna attività di accertamento della quale l’autore
non abbia formale conoscenza. In tal caso si parla di ravvedimento, che può essere perfezionato
entro 30 gg. con un pagamento della sanzione a un dodicesimo del minimo.
Il ravvedimento è ammesso, inoltre, per qualsiasi errore od omissione, anche se incidenti sul
pagamento o determinazione del tributo; è sanabile anche l’omessa presentazione della
dichiarazione entro 90 gg . dalla scadenza con il pagamento di una sanzione (il dodicesimo
del minimo) ridotta per l’omissione della dichiarazione.

CONCORSO DI ILLECITO E CONTINUAZIONE : per ovviare alle gravose conseguenze


derivanti dall’applicazione del cumulo materiale (irrogazione di tante sanzioni per quanto sono le
violazioni) il legislatore ha introdotto, come in diritto penale, il cd. cumulo giuridico che consiste
nell’applicazione di una sola sanzione maggiorata secondo le previsioni del d.lgs. 472/1997. La
norma giuridica in questione disciplina tre ipotesi diverse di cumulo giuridico :
1- Concorso formale : si parla di concorso formale quando un soggetto viola più norme anche
in relazione a tributi diversi con una sola azione; viene definito omogeneo quando con una sola
azione o omissione si commettono diverse violazioni della medesima disposizione, si definisce
eterogeneo quando con una sola azione o omissione anche relative a tributi diversi vengono
violate disposizioni diverse. È prevista l’applicazione della sanzione più grave aumentata di un
quarto.
2- Concorso materiale : il concorso materiale si realizza quando la medesima disposizione è
violata più volte; per avere rilevanza e consentire il cumulo giuridico esso deve riferirsi solo a
violazioni formali restando escluse quelle sostanziali.
3- Illecito continuato : presuppone la commissione di una molteplicità di violazioni, anche in
tempi diversi, che nella loro progressione, conducano all’alterazione della determinazione
dell’imponibile ovvero al liquidazione periodica del tributo; il cumulo giuridico si applica, inoltre,
anche nel caso in cui le violazioni della stessa indole vengano commesse in periodi d’imposta
diversi. Nel caso in cui l’Ufficio non contesti tutte le violazioni contemporaneamente, al
momento della contestazione dell’ultima violazione, deve rideterminare la sanzione
complessiva; anche il giudice, in sede processuale, deve provvedere alla rideterminazione
complessiva tenendo conto delle sentenze precedenti.

LE DIVERSE FORME DI CONTESTAZIONE DELLA VIOLAZIONE: 1 LA CONTESTAZIONE CON


ATTO SEPARATO 2- LA CONTESTAZIONE CON ATTO CONTESTUALE ALL’AVVISO DI
ACCERTAMENTO 3- LA CONTESTAZIONE CON ATTO CONTESTUALE MEDIANTE
ISCRIZIONE A RUOLO
Il sistema sanzionatorio ha introdotto (d.lgs. 472/1997) una codificazione dei procedimenti di
irrogazione comuni a tutte le violazioni e tributi. Il legislatore delegato ha previsto tre forme
procedimentali destinate ad operare :
1- PRIMA FORMA PROCEDURALE – CONTESTAZIONE CON ATTO SEPRATO : opera come
metodo generale, quindi come procedimento ordinario, per la sola irrogazione delle
sanzioni; tale procedura è l’unica per l’irrogazione di sanzioni afferenti violazioni non collegate
all’accertamento. Il procedimento inizia con la notificazione di un atto denominato “atto di
contestazione”, e deve indicare a pena di nullità, i fatti attribuiti al trasgressore, le prove, le
norme sanzionatorie, ed i criteri seguiti nel determinare la sanzione. Una volta ricevuto l’atto di
contestazione il trasgressore (o presunto tale) dispone di tre facoltà che consistono :
² nella definizione agevolata delle sanzioni con il pagamento di un quarto della sanzione
irrogata, tale definizione impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie
² nella presentazione di deduzioni difensive in sede amministrativa
² nella proposizione immediata di ricorso, presso i competenti organi della giurisdizione
tributaria entro 60 gg. dalla notifica
2- SECONDA FORMA PROCEDURALE – CONTESTAZIONE CON ATTO CONTESTUALE
ALL’AVVISO DI ACCERTAMENTO DEL
TRIBUTO : con tale procedura, in deroga rispetto al procedimento ordinario, le sanzioni collegate
al tributo possono essere irrogate senza previa contestazione, con atto contestuale all’avviso di
accertamento o di rettifica motivato a pena di nullità. Nella prassi tale meccanismo
procedimentale di irrogazione delle sanzioni ha finito per rivelarsi addirittura prevalente, laddove
applicabile, essendo più conveniente sotto il profilo della snellezza burocratica.
3- TERZA FORMA PROCEDURALE – CONTESTAZIONE CON ATTO CONTESTUALE
MEDIANTE ISCRIZIONE A RUOLO : riguarda
l’irrogazione delle sanzioni mediante diretta iscrizione a ruolo, si può ricorrere a tale
procedimento per le sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi. Anche tale
procedimento di irrogazione delle sanzioni risponde a criteri di velocizzazione delle procedure.

L’ESECUZIONE E LA RISCOSSIONE DELLE SANZIONI E LORO ESTINZIONE


Il d.lgs. 472/1997 ha previsto la riscossione parziale della sanzione pecuniaria sulla base
della decisione di primo grado, disponendo l’applicazione delle norme regolanti la riscossione in
pendenza di contenzioso, anche nei casi in cui non opera la riscossione frazionata del tributo.
Peculiare nel procedimento cautelare di sospensione delle sanzioni la previsione della misura
cautelare che stabilisce che <<deve essere concessa se viene prestata idonea garanzia>>, che
ha anche alimentato il dibattito sulla possibilità di sospendere anche gli effetti dell’atto
impugnato, generalmente negata da giurisprudenza e dottrina.

DECADENZA E PRESCRIZIONE : circa i termini di decadenza e la prescrizione per l’esercizio del


potere sanzionatorio:
Decadenza : l’atto di decadenza deve essere notificato a pena di decadenza antro il 31 Dicembre
del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto
per l’accertamento dei singoli tributi.
Prescrizione : il diritto alla riscossione si prescrive nel termine di 5 anni che decorrono però da
quando l’Ufficio ha il potere di attivarsi per l’esecuzione e cioè da quando il provvedimento
irrogativo delle sanzioni è divenuto definitivo. Da osservare che la giurisprudenza di legittimità ha
ritenuto che tale termine prescrizionale di 5 anni è applicabile solo in caso di atto definitivo per
mancata impugnazione; mentre nel caso di definitività derivante da giudicato (a seguito di un
processo) sia quello più lungo di anni 10.

IPOTECA E SEQUESTRO CONSERVATIVO : la tutela cautelare al credito sanzionatorio si


esplica attraverso gli istituti dell’ipoteca e del sequestro conservativo, finalizzati a conservare
l’integrità patrimoniale del trasgressore nelle more del processo giurisdizionale.
Ipoteca: l’iscrizione ad ipoteca ha il fine di costituire una prelazione attribuendo
all’amministrazione creditrice il diritto di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito e di
essere soddisfatta con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione.
Sequestro conservativo: ha come finalità quella di evitare che i beni del trasgressore vengano
dispersi facendo venir meno la garanzia che gli stessi costituiscono per il creditore, essendo
improduttive di effetti le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto il bene posto sotto
sequestro.
Per avviare la procedura cautelare è necessario che sia stato notificato al trasgressore un
processo verbale di contestazione o un avviso di irrogazione della sanzione e che, l’Ufficio
impositore abbia un fondato timore che il debitore possa sottrarre i suoi beni e così diminuire le
garanzie che l’amministrazione vanta sul patrimonio dello stesso debitore.

SOSPENSIONE DEI RIMBORSI E COMPENSAZIONE : la sospensione dei rimborsi ha una


chiara natura cautelare che si sostanzia nella possibilità per l’amministrazione finanziaria di
sospendere l’erogazione di rimborsi laddove il creditore risulti destinatario di un atto di
contestazione o di un provvedimento di irrogazione di sanzione. La sospensione opera nei limiti
della somma risultante dall’atto o dalla sentenza; una volta che il provvedimento sanzionatorio
diventa definitivo, l’Ufficio competente per il rimborso può pronunciare la compensazione del
proprio debito con il credito derivante dalle sanzioni. In entrambi i casi sono atti che devono
essere notificati al trasgressore e sono impugnabili innanzi agli organi della giurisdizione tributaria.

PARTE II – LE SANZIONI PENALI TRIBUTARIE

LA RIFORMA DELLE SANZIONI PENALI


Il sistema penale tributario è stato oggetto di una radicale riforma effettua con il d.lgs. n.74 del
2000; lo spirito della legge delega è stato quello di colpire con la sanzione penale solo le
fattispecie più gravi di violazioni tributarie e non più le violazioni formali e/o prodromiche
all’evasione. L’intento del legislatore di circoscrivere la previsione di fattispecie penali ai casi di
violazioni più gravi, ha portato a caratterizzare il reato penale tributario per la presenza
dell’elemento soggettivo del dolo specifico e per la frequente previsione di soglie di punibilità al di
sotto delle quali non scatta la violazione penale, ma si rimane nell’ambito dell’illecito
amministrativo.
La legge n.205 del 1999 ha avuto il merito di abolire il principio dell’ultrattività delle norme
penali tributarie che consentiva, al pari delle norme sostanziali, la sopravvivenza dei reati anche
dopo la loro abrogazione.
Il rapporto tra illecito penale e illecito amministrativo è stato disciplinato sul presupposto
dell’unicità della sanzione, ma nell’ambito di questo rapporto opera il principio di specialità
che trova la sua ratio nell’unicità della misura afflittiva: in base a tali principi, ad un illecito
sanzionato sia penalmente che amministrativamente viene applicata la disposizione speciale; la
norma penale tributaria è considerata speciale rispetto a quella amministrativa, di
conseguenza allo stesso illecito punito sia sul piano amministrativo che penale viene irrogata la
sanzione penale (ad es. l’omessa dichiarazione dei redditi costituisce violazione punibile sia con
sanzioni amministrative che con sanzioni penali).
Il rapporto tra il procedimento penale e quello tributario erano strettamente connessi in virtù della
pregiudiziale tributaria, ossia la regola secondo la quale l’esercizio dell’azione penale veniva
subordinato alla definitività dell’accertamento dell’imposta, la pregiudiziale tributaria è stata abolita
nel 1982, ed il principio ancor oggi vigente è rappresentato dal doppio binario ossia
l’indipendenza dei due procedimenti e processi: tributario e penale, che possono svolgersi
simultaneamente e secondo le diverse regole del processo tributario e del codice di procedura
penale. Tuttavia per consentire la corretta applicazione del principio di specialità
l’esecuzione della sanzione amministrativa irrogata viene sospesa quando pende un processo
penale; se questo si conclude con una condanna verrà applicata la norma speciale penale e la
sanzione amministrativa diventa ineseguibile, se al contrario il processo penale si dovesse
concludere con l’archiviazione o con sentenza di assoluzione o proscioglimento, permarrebbero i
presupposti per l’applicazione della sanzione amministrativa.

LE DIVERSE TIPOLOGIE DI REATI TRIBUTARI (d.lgs. n.74 del 2000)


Il d.lgs. n.74 del 2000 suddivide le ipotesi di reato in due gruppi :
A) I delitti in materia di dichiarazione
B) I delitti in materia di documenti fiscali e pagamenti d’imposta

A) REATI IN MATERIA DI DICHIARAZIONE DEI REDDITI i delitti in materia di


dichiarazione sono caratterizzati dalla necessaria sussistenza del dolo specifico e dalla previsione
di soglie di punibilità riferite all’imposta evasa, al superamento delle quali si perfeziona il reato.
Rientrano in questa categoria la 1- dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri
documenti per operazioni inesistenti; 2- dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; 3-
dichiarazione infedele e 4- dichiarazione omessa disciplinati nel Capo I Titolo II del d.lgs.
74 del 2000 :
1- Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti inesistenti
(art.2 d.lgs. 74 del 200): si verifica nell’ipotesi in cui, al fine di evadere le imposte sui redditi
o sul valore aggiunto, vengono indicati nelle dichiarazioni, elementi passivi fittizi avvalendosi
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti mediante la registrazione nelle scritture
contabili obbligatorie , o siano detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione
finanziaria. Tale reato è punito con la reclusione da 18 mesi a 6 anni, la norma non prevede
soglie di punibilità.
2- Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3 d.lgs. 74 del 200): il delitto in
questione ricorre quando, in sede di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, le indicazioni
mendaci di elementi attivi inferiori a quelli reali e/o di elementi passivi superiori a quelli
effettivi siano suffragate da documentazione contabile tesa a fuorviare ed intralciare la successiva
attività di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria; a differenza del precedente reato che si
riferisce esclusivamente ai costi fittizi, nel reato in questione, le indicazioni riguardano tanto gli
elementi passivi sia gli elementi attivi . Il reato è punito con la reclusione da 18 mesi a 6 anni
ma solo quando ricorra il superamento delle soglie di punibilità è cioè quando congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore ad € 30.000 e b) quando l’ammontare complessivo degli
elementi attivi sottratti ad imposizione anche mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi è
superiore al 5% all’ammontare degli elementi attivi o comunque è superiore ad € 1 milione.
3- Dichiarazione infedele (art.4 d.lgs. 74 del 200): il reato di dichiarazione infedele ha
carattere residuale rispetto alle dichiarazioni fraudolente e si realizza allorquando si indichino,
sia nella dichiarazione dei redditi che in quella IVA, elementi attivi per un ammontare inferiore
a quello effettivo o elementi passivi fittizi, tale delitto comprende anche i comportamenti evasivi
tenuti da soggetti non sottoposti all’obbligo delle scritture contabili. Tale reato è punito con la
reclusione da uno a tre anni quando congiuntamente : a) l’imposta evasa è superiore, con
riferimento a taluna delle singole imposte,ad € 50.000, b) l’ammontare complessivo degli
elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi, è
superiore al 10% dell’ammontare degli elementi attivi indicati in dichiarazione.
4- Dichiarazione omessa (art.5 d.lgs. 74 del 200): tale reato riguarda chiunque, al fine di
evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto non presenta, essendovi obbligato, una
delle dichiarazioni annuali relative dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore ad
€ 30.000. Tale reato è punito con la reclusione da uno a tre anni. Non si considera omessa la
dichiarazione presentata entro 90 gg. dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta
su uno stampato conforme al modello prescritto.

B)DELITTI IN MATERIA DI DOCUMENTI E PAGAMENTO DI IMPOSTE : come scritto nel


Capo II del d.lgs. 74/2000 sono illeciti relativi agli obblighi strumentali non direttamente
connessi alla dichiarazione, che riguardano il momento della riscossione dei tributi; quali :
1-emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti 2- occultamento o
distruzione di documenti contabili 3- sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
1- Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art.8 d.lgs. 74 del
200): l’emissione di fatture false è un delitto punibile con la reclusione da 18 mesi a 6 anni, e
si realizza quando, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore
aggiunto , un soggetto emetta o rilasci fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Trattasi di un reato istantaneo che si consuma al momento dell’emissione della fattura falsa, non
essendo necessario che lo scopo perseguito sia effettivamente conseguito; i reati di chi emette
fatture false e di chi utilizza fatture false per una dichiarazione fraudolenta sono puniti
autonomamente non quindi come a titolo di concorso (si pensi alle cd. cartiere, società create
allo scopo di vendere fatture false agli imprenditori).
2- Occultamento o distruzione di documenti contabili (art.10 d.lgs. 74 del 200): è punito con
la reclusione da sei mesi a cinque anni
<<chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire
l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i
documenti di cui e' obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la
ricostruzione dei redditi o del volume di affari>>; il dato caratterizzante della disposizione
in esame è rappresentato dall’impossibilità di ricostruire il volume di affari o la situazione
reddituale a causa della distruzione o occultamento di scritture o altri documenti contabili
obbligatori, pertanto tale reato non si realizza se l’A.F. riesce a ricostruire in altro modo il reddito
o il volume di affari.
3- Omesso versamento di ritenute certificate (art.10-bis d.lgs. 74 del 200) : il sostituto
d’imposta che non versi entro il termine per la presentazione della relativa dichiarazione annuale
ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a
€ 50.000 per ciascun periodo d’imposta è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.
4- Omesso versamento IVA (art.10-ter d.lgs. 74 del 200): chi non versa l’importo sul valore
aggiunto, per un ammontare superiore a €
50.000 dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto
relativo al periodo d’imposta successivo è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.
5- Indebita compensazione (art.10-quarter d.lgs. 74 del 200): chiunque non versa le imposte
dovute per un importo superiore ad € 50.000, utilizzando in compensazione crediti non spettanti
o inesistenti è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.
6- Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art.11 d.lgs. 74 del 200):: la
figura di reato riguarda di chi si sottrae al pagamento delle imposte, compiendo atti
fraudolenti che potrebbero rendere inefficacie la procedura coattiva in questo caso però
commette reato chi simula l’alienazione o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui
beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficacie la riscossione coattiva per un importo
superiore ad € 50.000; la pena prevista per questo delitto è la reclusione da 6 mesi a 4 anni.
CAPITOLO X - LA RISCOSSIONE (D.P.R. 602 1973)

EVOLUZIONE LEGISLATIVA DELLA DISCIPLINA DELLA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI


La riscossione rappresenta la fase finale del procedimento impositivo finalizzata alla concreta
acquisizione di risorse finanziarie per lo Stato e per gli enti pubblici, pertanto la riscossione
garantisce all’ente impositore di acquisire le somme allo stesso spettanti a titolo di tributo. Gli atti
autoritativi della riscossione hanno l’idoneità ad essere eseguiti coattivamente a mezzo di
esecuzione forzata, al pari degli atti esecutivi di diritto privato, però, a differenza di questi
ultimi, sono formati e posti in essere da procedure amministrative particolari e non
giurisdizionali.
Il sistema della riscossione dei tributi può essere distinto in due parti: una prima parte che
concerne la disciplina delle modalità ed i termini di attuazione della riscossione dei tributi ed
una seconda parte che regola le modalità di gestione del servizio di riscossione; la disciplina
delle due parti ha subito nel tempo moltissime riforme tutte finalizzate alla semplificazione delle
modalità di esazione dei tributi ed all’efficienza del servizio di riscossione.
Per quanto riguarda le modalità di riscossione (prima parte) delle imposte dirette il primo
decisivo cambiamento, distingueva tre modalità di riscossione: la ritenuta diretta, il
versamento diretto e l’iscrizione a ruolo. Invece il servizio di riscossione (seconda parte)
avveniva mediante il sistema privatizzato con l’affidamento del servizio a soggetti professionali,
impegnati nel settore del credito e delle attività finanziarie: gli esattori erano nominati a seguito
di asta pubblica con incarico di durata decennale, tale incarico avveniva attraverso l’istituto del
“riscosso per non riscosso” che comportava l’obbligo per il gestore del servizio di versare
ratealmente all’ente creditore le somme da esso iscritte nei ruoli, a prescindere dall’effettiva
riscossione delle stesse.
Le riforme più significative si ebbero negli anni 70 con l’avvento del cd. “fisco di massa” avendo
il d.p.r. 600 del 1973 posto il principio dell’obbligo della dichiarazione tributaria per tutti
i soggetti passivi dei nuovi tributi segnando in tal modo il passaggio dalla riscossione a
mezzo ruoli alla modalità di riscossione in autoliquidazione mediante l’adempimento
spontaneo del contribuente. Tali innovazioni resero necessaria l’attuazione della legge delega
del 1971 mediante il d.p.r. n. 602 del 1973, tutt’ora in vigore, nel quale furono dettati principi
generali in materia di riscossione, i passaggi principali furono :
²l’estensione del metodo di riscossione mediante ritenuta diretta ai redditi di lavoro autonomo, ai
contributi corrisposti da enti pubblici; e fu operata la distinzione tra le ritenute dirette a titolo di
acconto e a titolo definitivo
²fu ampliato il procedimento di riscossione con versamenti diretti con il quale dovevano essere
versati i tributi in autoliquidazione
²fu prevista l’anticipazione del pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e sul
reddito delle persone giuridiche in data anteriore alla presentazione della dichiarazione
Nell’anno 1988 fu operata un’altra riforma mediante il d.p.r. n.43 del 1988, incentrata
principalmente sul versante dell’organizzazione e gestione del servizio di riscossione, infatti la
gestione della riscossione veniva affidata al Servizio Centrale della riscossione secondo le
direttive dell’A.F. ed alle dirette dipendenze del Ministero delle Finanze; in secondo luogo furono
soppresse la modalità di riscossione mediante ingiunzione fiscale, affidando al concessionario
la riscossione coattiva mediante ruolo della quasi totalità dei tributi indiretti.
Nel 1997, con altri interventi legislativi, si soppressero i servizi autonomi di cassa presso gli uffici
IVA e gli uffici del Registro, e fu previsto il versamento diretto tramite istituti di credito e l’Ente
Poste italiane (d.lgs. 237/1997); inoltre fu disciplinato il versamento unitario dei contributi
dovuti all’INPS e agli altri enti previdenziali, delle altre somme dovute a Stato e Regioni,
prevedendo la possibilità di compensare debiti e crediti afferenti anche a tributi diversi e prelievi
non tributari(d.lgs. 241/1997).
Nel 1998 la legge delega n. 337 pose le basi per il riordino del servizio di riscossione e
il concessionario della riscossione, prevedendo l’affidamento, mediante procedure ad
evidenza pubblica, ai concessionari della riscossione di tutte le entrate (tributarie e non) dello
Stato, degli enti territoriali, degli enti pubblici anche previdenziali; la delega inoltre prevedeva
l’eliminazione del “riscosso per il non riscosso” gravante sui concessionari, a favore di un
sistema di compensi collegate alle somme iscritte a ruolo, alla tempestività della riscossione e ai
costi della riscossione. La riscossione a mezzo ruolo, affidata al concessionario, fu estesa a tutte le
entrate dello Stato e degli enti pubblici anche previdenziali, possibilità estesa anche per regioni,
province e comuni, disponendo l’obbligatorietà dell’utilizzo del ruolo per la riscossione
coattiva (d.lgs. n. 46 del 1999).
Ma nonostante ciò, nel decennio successivo (2000-2004), la percentuale delle somme
coattivamente riscosse rispetto a quelle iscritte nei ruoli risultava sempre scarsissima consentendo
una grossa evasione; per tali ragioni nel 2005 fu adottata la scelta rivoluzionaria di abbandonare
il sistema di riscossione appaltata (gli esattori) a favore di un sistema gestito
direttamente dalla P.A., con la legge n.248 del 2005 il sistema della riscossione fu affidato
all’Agenzia delle Entrate che lo esercita tramite un soggetto costituito con capitale pubblico: la
Riscossione S.p.A. rinominato successivamente Equitalia S.p.A. . A completamento della
riforma, il legislatore con la legge n.122 del 2010 ha fuso la fase di riscossione con quella
di accertamento, rendendo già titoli esecutivi gli atti di accertamento, in modo che il ruolo e la
cartella di pagamento non sono più necessari, e si passa direttamente alle azioni esecutive che,
comunque, a pena di decadenza devono iniziare nel biennio successivo a quello in cui
l’accertamento è divenuto definitivo.

LA FUNZIONE E LE COMPETENZE DI EQUITALIA S.P.A.


Il sistema di riscossione è affidato all’Agenzia delle entrate, che lo esercita tramite un soggetto di
emanazione pubblica : Equitalia S.p.A.; le competenze affidate ex lege ad Equitalia S.p.A. sono
tre :
² competenza esclusiva di riscossione mediante ruolo
² attività di riscossione di entrate tributarie o patrimoniali di enti pubblici anche locali
e territoriali (riscossione spontanea, accertamento e liquidazione) tale competenza non è
esclusiva ma eventuale : al fine della costituzione del rapporto tra Comuni, Province ed
Equitalia S.p.A. occorre che l’affidamento avvenga tramite gara ad evidenza pubblica, mentre
per il rapporto con le Regioni è sufficiente la semplice richiesta di quest’ultime
² competenza (non esclusiva) in attività strumentali a quelle svolte dall’Agenzia delle entrate
Per lo svolgimento delle proprie attività Equitalia S.p.A. oltre ai poteri espropriativi, cautelari e
conservativi, quale agente della riscossione ha l’accesso a tutte le banche dati
dell’amministrazione e la possibilità di acquisire dati finanziari del contribuente; è prevista,
inoltre la collaborazione alle attività di Equitalia S.p.A. della Guardia di Finanza, che potrà
avvalersi dei medesimi poteri e facoltà, già di propria competenza, in materia di accertamento,
imposte dirette ed IVA.
Equitalia S.p.A. è un ente di diretta emanazione dello Stato, operante nel settore fiscale, che nei
limiti della legge, è dotato di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale,
organizzativa, contabile e finanziaria; l’intero capitale costitutivo di Equitalia è di fonte pubblica
sottoscritto esclusivamente da due soggetti : Agenzia delle Entrate e INPS (51% Agenzia delle
Entrate e 49% INPS), il ché comporta l’assoggettamento del controllo della Corte dei conti.
Socio maggioritario di Equitalia è quindi l’Agenzia delle Entrate; a quest’ultima appartiene
l’esercizio dell’amministrazione e la gestione delle entrate pubbliche erariali, mentre al Ministro
delle finanze compete il relativo potere di indirizzo e di controllo. Anche se sussiste un necessario
collegamento tra i due soggetti (Agenzia- Ministero delle finanze) l’Agenzia delle Entrate si
configura come un ente pubblico, dotato di un’autonomia statuaria consona alla natura tecnica
delle proprie funzioni, tale autonomia non colloca l’Agenzia delle entrate in una posizione di terzietà
rispetto all’organo di vertice dell’amministrazione finanziaria, proprio perché l’Agenzia svolge
funzioni proprie dello Stato. Pertanto Equitalia S.p.A. è in un rapporto di strumentalità con
l’Agenzia e da questa in prevalenza partecipata, e che trattasi di strumentalità pubblicistica,
ed il suo oggetto sociale non sottende ad una causa tipica lucrativa bensì ad un interesse connesso
ad una pubblica funzione, quindi Equitalia agisce in veste di organo indiretto dell’A.F. : se ne
deduce che la natura di Equitalia è quella di un ente pubblico di tipo strumentale che svolge
una pubblica funzione cioè quella della riscossione dei tributi, organizzato su di un modello
codicistico societario al solo fine di una gestione più agile ed efficace nel procedimento
riscossivo dei tributi e delle entrate dello Stato e degli enti pubblici territoriali e locali.
PARTE I - LE MODALITÀ DI RISCOSSIONE

Per quanto riguarda le modalità ed i termini di riscossione regolate dal d.p.r. 602 del
1973 (prima parte), queste possono essere distinte in tre specie :
1- Riscossione spontanea o in autoliquidazione
2- Riscossione coattiva a mezzo ruolo : quando il tributo viene riscosso in modo coercitivo
anche tramite procedure espropriative, qualora il contribuente non vi abbia provveduto
spontaneamente
3- Riscossione spontanea o non coattiva a mezzo ruolo : quando l’iscrizione non deriva da
un inadempimento del contribuente, ma da una previsione legislativa o da una scelta del’ente
creditore

1- RISCOSSIONE SPONTANEA O IN AUTOLIQUIDAZIONE : L’ADEMPIMENTO SPONTANEO


DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
Si ha riscossione spontanea quando l’obbligo di pagamento è adempiuto da parte del contribuente
in modo spontaneo, corretto e tempestivo; le modalità sono : le ritenute, i versamenti diretti,
gli acconti e versamenti periodici, il versamento unitario e la compensazione:

LE RITENUTE : la ritenuta diretta è una modalità di estinzione parziale o totale


dell’obbligazione tributaria che è realizzata mediante il trattenimento di somme, poi versate
all’erario, da parte del sostituto, che eroga emolumenti, indennità, compensi a favore del
soggetto passivo del tributo definito sostituito, nel momento in cui le somme vengono
corrisposte. Il sostituto ha l’obbligo di attuare il prelievo nel momento in cui viene realizzato il
presupposto d’imposta, il sostituito quindi è il soggetto inciso da tale prelievo. La ritenuta diretta
può essere:
A titolo d’imposta o definitivo: se l’obbligazione tributaria è completamente e
definitivamente estinta, in questo caso il prelievo svolge la doppia funzione di riscossione e di
regime fiscale sostitutivo
 A titolo di acconto : se detta obbligazione è parzialmente estinta e il conguaglio avverrà
in sede di dichiarazione, ed è operata normalmente dal sostituto d’imposta, la sua
caratteristica è quella di costituire un prelievo anticipato rispetto alla chiusura del periodo
d’imposta, ma sempre collegata al presupposto dell’obbligazione essendo operata sui
proventi che concorrono a formare il reddito complessivo del soggetto che la subisce
Quindi per i :
° Redditi di lavoro dipendente : società di capitali, società cooperative, società di mutua
assicurazione, società di persone, associazioni, imprenditori individuali, enti pubblici e privati
diversi dalle società, persone fisiche che esercitano un’arte o una professione sono obbligati ad
operare una ritenuta a titolo di acconto IRPEF, ai sensi del d.lgs. 600 del 1973, quando
corrispondono somme o valori, a qualunque titolo percepito, in relazione al rapporto
di lavoro dipendente comprese le pensioni di ogni genere, a compensi per incarichi di
amministratori, sindaci e revisori di società, compensi per collaborazioni a riviste, giornali,
enciclopedie e simili, compensi per collaborazioni coordinate e continuative svolte senza vincolo
di subordinazione. La ritenuta sui redditi di lavoro dipendente è determinata applicando alla
somma versata un’aliquota IRPEF corrispondente allo scaglione di reddito in cui
presumibilmente si colloca la somma percepita dal prestatore di lavoro, scomputando le
detrazioni per carichi di famiglia.
° Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente : la determinazione della ritenuta sui
redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di regola, seguono gli stessi criteri sanciti
per la ritenuta sui redditi di lavoro dipendente , ad eccezione delle operazioni di
conguaglio che per queste fattispecie di redditi non sono previste.
° Soggetti non residenti : per tali soggetti la ritenuta sui redditi di lavoro autonomo è
prevista nella misura del 30% ed è definitiva, essendo questa a titolo d’imposta.
° Redditi di capitale ed interessi : per tali redditi si opera una ritenuta IRPEF che può
essere a titolo di acconto o a titolo d’imposta, a seconda del soggetto percipiente, e con
aliquote diverse in relazione alla tipologia del provento derivante dall’impiego del capitale. Per
gli interessi corrisposti dall’Ente poste italiane o dalle banche ai titolari di conti correnti e
depositi è applicata una ritenuta IRPEF, a titolo d’imposta, nella misura del 12,50%; la
tassazione che viene applicata sui rendimenti a decorrere dal 1 Gennaio 2012 è del 20% (dal 1
Luglio 2014 del 26%). Tale misura (20%) è valida anche per altri redditi di capitale come gli utili
di partecipazione a società o a enti commerciali, utili derivanti da associazioni in partecipazione,
compensi per prestazioni di fideiussione o altra garanzia.
° Enti pubblici ed istituzioni : le Regioni, le Province, i Comuni e gli antri enti pubblici o privati
quando erogano contributi ad imprese devono operare una ritenuta a titolo di acconto o
d’imposta nella misura del 4% della somma erogata. La ritenuta IRPEF che devono operare le
amministrazioni dello Stato e le amministrazioni delle Camere (Deputati e Senato) e della Corte
Costituzionale sulle somme da loro corrisposte per prestazioni di lavoro dipendente e per
prestazioni di lavoro autonomo del tutto simile a quella applicata dai soggetti privati (sopra
descritti).
° Redditi da lotterie e premi (redditi diversi) : per tali redditi, derivanti da: operazioni a
premi, su vincite di fortuna, da giochi di abilità, da pronostici e scommesse corrisposti dallo
Stato, da persone giuridiche private o pubbliche, si applica una ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta: per i premi di lotterie l’aliquota è del 10% mentre, per giochi svolti in occasione di
spettacoli radio-televisivi è del 20%.

I VERSAMENTI DIRETTI: i versamenti diretti possono essere di due tipi : versamenti eseguiti dal
soggetto passivo del tributo e versamenti eseguiti dal sostituto allo Stato
² Versamenti eseguiti dal soggetto passivo : sono i versamenti che il soggetto passivo del
tributo, in autoliquidazione, provvede direttamente all’adempimento dell’obbligazione tributaria;
trattasi del versamento delle imposte dovute sull’IRPEF, sull’IRES e sull’IRAP, nonché
il versamento dell’imposta sostitutiva sui redditi di capitali corrisposti da soggetti non
residenti a soggetti residenti nel territorio dello Stato.
² Versamenti eseguiti dal sostituto : vi appartengono il versamento delle ritenute
operate dai sostituti sui redditi di lavoro dipendente, sui redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente, sui redditi di lavoro autonomo e sui redditi conseguiti per prestazioni eseguite in
assunzioni di obblighi di fare, non fare o permettere, sugli interessi e sui redditi di capitale,
sui compensi ed altri redditi corrisposti dallo Stato, sui premi e sulle vincite.
I versamenti diretti vengono eseguiti mediante delega ad un istituto di credito convenzionato
oppure alle Poste Italiane S.p.A. , quest’ultimi rilasciano l’attestazione di pagamento con efficacia
liberatoria per il contribuente e versano le somme riscosse alla tesoreria dello Stato. Detta delega
può essere rilasciata attraverso il:
Modello F24 : per il versamento delle imposte dirette, dell’imposta del valore aggiunto e
dell’imposta sulle attività produttive
Modello F23 : per il versamento delle imposte indirette e delle tasse, tale modalità di
versamento si è resa necessaria a seguito della soppressione dei servizi autonomi di cassa
operanti presso l’Ufficio del Registro.
La delega può essere redatta su supporto cartaceo o può essere conferita per via telematica, dal
2006 è stato imposto l’obbligo a soggetti titolari di partita IVA, per la delega in via telematica è
previsto l’utilizzo del modello F24. A partire dal 1995 è stato posto l’obbligo a carico delle banche
delegate di registrare su supporti magnetici i dati relativi alle attestazioni rilasciate ed ai
versamenti effettuati e di trasmetterli agli uffici dell’A.F.

GLI ACCONTI E I VERSAMENTI PERIODICI : gli acconti d’imposta, al pari delle ritenute
d’acconto, costituiscono una modalità di estinzione parziale dell’obbligazione tributaria
con la sostanziale differenza che, mentre le ritenute alla fonte sono liquidate su segmenti di redditi
effettivamente prodotti, gli acconti d’imposta sono calcolati sulla base di imposte stimate
e, quindi, del tutto slegate al presupposto d’imposta. L’istituto degli acconti d’imposta è stato
introdotto nel 1977 (legge n.97), in particolare è stato posto l’obbligo a carico dei contribuenti
soggetti passivi di IRPEF, (ai tempi IRPERG) IRES, ed analogamente per l’imposta sul valore
aggiunto (a decorrere dal 1991 in base a liquidazioni mensili o trimestrali a scelta del
contribuente) e per l’IRAP (a decorrere dal 1997) di effettuare, a titolo di acconto
dell’imposta dovuta per il periodo in corso, un versamento che ha come parametro
l’imposta dovuta per il precedente periodo . Gli acconti afferenti alle imposte sul reddito,
sull’IVA e sull’’IRAP, sono versati mediante delega irrevocabile con il modello F24 ad un istituto di
credito o alle Poste Italiane S.p.A.
Se il contribuente ritiene che l’imposta dovuta per l’anno in corso è inferiore a quella dell’anno
precedente, a causa della percezione di minor reddito o per maggiori detrazioni di imposta o per
crediti d’imposta, può abbandonare il metodo di calcolo storico e determinare l’acconto sulla base
dell’imposta stimata, applicando ad essa la medesima misura percentuale che avrebbe dovuto
applicare all’imposta dovuta per l’anno
precedente.

IL VERSAMENTO UNITARIO E LA COMPENSAZIONE : i contribuenti possono versare


cumulativamente, mediante un versamento unitario, con contestuale compensazione dei
crediti dello stesso periodo: imposte sui redditi, addizionali sulle imposte sui redditi, ritenute alla
fonte, IVA, imposte sostitutive, IRAP, contributi previdenziali ed assistenziali ed interessi in ipotesi
di pagamento rateale dei tributi. A tal fine viene utilizzato il modello F24 alle Poste Italiane S.p.A.
o ad un istituto di credito.
La dottrina maggioritaria ritiene che il versamento unitario sia un istituto pubblicistico, che si dice
per comodità, di “compensazione fiscale” essendo il versamento unitario una somma
algebrica di partite debitorie e creditorie del contribuente: trattasi un’operazione contabile
differente dalla compensazione civile, contraddistinta, peraltro, da un ristretto campo di azione. I
crediti che possono essere portati in compensazione sono quelli derivanti dalle dichiarazioni fiscali
e quelli derivanti dalle denunce periodiche previdenziali, possono essere portati in
compensazione anche i crediti d’imposta che scaturiscono da errori commessi dal contribuente
nel caso abbia versato importi maggiori.

2- LA RISCOSSIONE COATTIVA
La riscossione coattiva viene eseguita quando il versamento del tributo non è adempiuto
spontaneamente dal contribuente e può avvenire a mezzo ruolo o a mezzo di ingiunzione fiscale
GLI ATTI PRODROMICI: COMUNICAZIONI DI IRREGOLARITÀ E L’AVVISO BONARIO :
nel procedimento di riscossione, per atti prodromici si intendono tutti quelli che
l’amministrazione finanziaria o l’agente della riscossione notifica al contribuente prima di
procedere all’iscrizione ai ruoli; tali atti hanno la duplice finalità di portare a conoscenza del
contribuente che si sta procedendo all’iscrizione a ruolo di somme a suo carico e quindi di evitare
l’avvio della fase di riscossione coattiva a mezzo ruolo. A tale fine ci sono:
● Comunicazioni di irregolarità : che originariamente avevano la funzione di colmare una
carenza legislativa che non consentiva al contribuente di conoscere il termine entro il quale era
stata eseguita l’attività di controllo, le comunicazioni di irregolarità non esprimono una pretesa
tributaria compiuta ed incondizionata, sono meri inviti a fornire documenti, dati, ed elementi
non considerati dall’amministrazione o erroneamente valutati dalla stessa ai fini della
liquidazione, pertanto essi non sono impugnali.
● Avvisi bonari : prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi
risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione,
l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente a fornire chiarimenti necessari entro un
termine congruo di 30 gg., i provvedimenti emessi in mancanza di tale formalità sono
nulli. Infatti la giurisprudenza tributaria afferma che la mancanza di avviso determina la
nullità insanabile della successiva cartella esattoriale che diviene priva di una condizione
di validità dell’azione di riscossione; la stessa A.F. è concorde nell’affermare che l’avviso fa parte
del procedimento di riscossione del tributo, e quindi ha carattere obbligatorio. Si può ritenere
ammissibile l’impugnazione degli avvisi bonari (Cassazione) quando questi contengono una
pretesa tributaria compiuta e definita, anche se la loro mancata impugnazione non comporta la
cristallizzazione della pretesa tributaria (questa è la differenza che li contraddistingue dalle
comunicazioni di irregolarità).
Sia le comunicazioni di irregolarità che gli avvisi bonari non sono indicati negli atti
impugnabili espressamente elencati (art.19 d.lgs. 546/1992).

IL RUOLO : il ruolo è l’atto fondamentale per procedere alla riscossione coattiva del tributo; in
particolare il ruolo è un atto amministrativo che racchiude un elenco di somme da
riscuotere (per imposte, interessi, sanzioni), formato dall’Ufficio ai fini della riscossione coattiva
a mezzo concessionario; nel ruolo deve essere indicato il codice fiscale del contribuente, la specie
del ruolo, la data in cui il ruolo diviene definitivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di
accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa tributaria.
ã Oggetto e specie dei ruoli : nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi
dovute dai contribuenti; la disciplina attuale prevede due specie di ruoli :
² ruoli ordinari : dove sono confluiti i ruoli principali
² ruoli straordinari : sono formati quando vi è un fondato pericolo per la riscossione
L’Ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari
operano e che ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il
domicilio fiscale in un Comune compreso nell’ambito territoriale. Non si può procedere a iscrizione
a ruolo per somme inferiori a €10,33.
Iscrizioni a titolo definitivo : sono iscritti a titolo definitivo nei ruoli le imposte e le ritenute
liquidate al netto dei versamenti diretti, le imposte, le maggiori imposte, le ritenute alla fonte
liquidate in base ad accertamenti divenuti definitivi ed i relativi interessi, soprattasse e pene
pecuniarie.
Iscrizioni a titolo provvisorio : le iscrizioni provvisorie vengono effettuate nei ruoli in base ad
accertamenti non definitivi; ed inoltre vengono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli: le imposte, i
contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio e non ancora definitivi,
dopo la notifica di accertamento.

LA CARTELLA DI PAGAMENTO : la cartella è l’atto di riscossione con cui si porta a


conoscenza del contribuente il ruolo limitatamente alla partita iscritta a suo carico e si
avanza la pretesa tributaria ; tale atto è notificato dagli ufficiali della riscossione o da altri
soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero dai messi comunali o
dagli agenti della polizia municipale, la notifica può avvenire anche mediante l’invio di una
raccomandata con avviso di ricevimento. Quando la notificazione della cartella di pagamento
avviene nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o
all’azienda, non è richiesta la sottoscrizione dell’originale da parte del consegnatario.
La questione dei termini di notifica è stata al centro di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale
per lungo tempo; la questione muoveva dal sospetto di incostituzionalità in quanto non era
previsto per il concessionario della riscossione un termine per la notifica del ruolo: in
mancanza di tale termine il contribuente poteva ricevere notifica dell’atto in questione fino alla fine
del termine decennale di prescrizione, che se interrotto dal ricevimento di un avviso di mora,
poneva il contribuente in una condizione di una indefinita soggezione e incertezza all’azione
esecutiva del Fisco; in quanto il contribuente poteva conoscere la pretesa erariale solo al momento
della notifica della cartella, non era più in grado né di dimostrare l’eventuale infondatezza della
pretesa del fisco né controllare la legittimità dell’azione dell’A.F. Dopo gli interventi della Corte di
Cassazione è intervenuta con sentenza nel 1997 dichiarando l’illegittimità della liquidazione
delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei contribuenti effettuata oltre il 31 dicembre
dell’anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione; e sotto la spinta della Corte
costituzionale nel 2005, il legislatore ha reso irrilevante tutta la fase amministrativa della
formazione e della consegna dei ruoli ed ha considerato il solo termine di notificazione della cartella
di pagamento; infatti l’ attuale formulazione prevede che il concessionario notifichi la cartella di
pagamento, al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena
di decadenza, entro il 31 Dicembre, per i tributi erariali:
² del terzo anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione per le somme
che risultano dovute a seguito di attività di liquidazione
² del quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione per le somme
che risultano dovute a seguito dell’attività del controllo formale
² del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le
somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio
² nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali, la cartella di pagamento o l’ingiunzione
fiscale, devono essere notificati al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 Dicembre del
terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo (intervento effettuato
nel 2006)
ãResponsabile del procedimento : per quanto concerne il responsabile del procedimento,
è stato posto l’obbligo (a partire dal 1° Giugno 2008) di indicare, sotto pena di nullità, il
responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e quello di emissione di notifica della cartella
di pagamento.
ãMotivazione : un altro elemento essenziale della cartella di pagamento è la motivazione che,
come ha chiarito la Cassazione, alle cartelle di pagamento si applicano i principi di ordine generale
sull’obbligo di motivazione fissati per ogni provvedimento amministrativo; sempre la
Cassazione ha affermato che <<la cartella di pagamento emessa deve contenere, in forma
comprensiva e non criptica, l’indicazione della qualifica e dell’ammontare del tributo
richiesto>>.
ãModalità di pagamento : è previsto che il pagamento delle somme iscritte a ruolo può essere
effettuato presso gli sportelli del concessionario, le agenzie postali e le banche, i costi
dell’operazione sono posti a carico del contribuente; fuori del territorio nazionale il pagamento
può essere effettuato mediante bonifico bancario sul contro corrente bancario indicato dal
concessionario nella cartella di pagamento.
ãModalità di pagamento mediante compensazione volontaria del debito iscritto a ruolo
con credito d’imposta : l’Agenzia delle Entrate, in sede di rimborsi d’imposta, verifica se il
beneficiario risulta iscritto a ruolo e, in caso affermativo, trasmette la segnalazione all’agente della
riscossione, quest’ultimo notifica all’interessato una proposta di compensazione tra credito
d’imposta e debito iscritto a ruolo, invitandolo a dare comunicazione dell’accettata proposta
entro 60 gg., in caso di accettazione, l’agente della riscossione incassa le somme entro i limiti
dell’importo complessivamente dovuto iscritto a ruolo.
ãAccertamento esecutivo :con il d.l. 78 del 2010 è stato introdotto il c.d. accertamento
esecutivo al fine di velocizzare e semplificare la riscossione per gli avvisi di accertamento
concernenti le imposte dirette e l’IVA nonché i connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni
emessi il 1 Ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso dal 21 Dicembre 2007 e
successivi; la riscossione delle somme risultanti a ruolo è affidata agli agenti della riscossione
anche ai fini dell’esecuzione forzata.
Dalla notifica all’inizio della procedura di esecuzione forzata intercorre un arco temporale di circa 270
gg. , infatti:
²gli atti diventano esecutivi decorsi 60 gg. dalla notifica: pertanto in caso di
inadempimento totale se l’atto non è impugnato o inadempimento parziale in caso di
tempestiva presentazione del ricorso, decorrono 30 gg. per il pagamento
²una volta decorsi infruttuosamente i 30 gg. per il pagamento , l’agente della
riscossione, sulla base del titolo esecutivo così formato e senza la preventiva notifica della
cartella di pagamento, può procedere ad espropriazione (esecuzione) forzata con i poteri, le
facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo
²tuttavia l’esecuzione forzata è inibita ex lege, per ulteriori 180 gg. , ma tale ultima
sospensione non opera in diversi casi soprattutto quando l’Agenzia delle Entrate abbia il
fondato timore che vi sia pericolo per l’esito positivo della riscossione (invero in tal caso non
opera neppure il termine di 30 gg. per proporre ricorso , per cui l’esecuzione forzata può avere
inizio decorsi 60 gg.)
Quindi : 60 gg. dalla notifica + 30 gg. utili per il pagamento + 180 gg. di sospensione ex lege
dell’esecuzione forzata = 270 gg.

LA DILAZIONE DI PAGAMENTO DELLE SOMME ISCRITTE A RUOLO : in materia di dilazioni di


pagamento delle somme iscritte ai ruoli, la competenza del provvedimento di rateizzazione è
attribuito all’agente della riscossione (Equitalia S.p.A.) o a sue società partecipate. Secondo
l’attuale formulazione, l’Agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere,
nelle situazioni di obiettiva difficoltà dello stesso, la dilazione del pagamento delle somme
iscritte a ruolo fino ad un massimo di 72 rate mensili, il debitore perde tale beneficio in caso di
mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di 2 rate consecutive, e l’intero importo
del ruolo diviene immediatamente ed automaticamente riscuotibile in un'unica soluzione.
Equitalia ha cercato di individuare criteri generali ed obiettivi per l’accertamento della “temporanea
situazione di obiettiva difficoltà”:
● per le persone fisiche e gli imprenditori individuali in regime di contabilità semplificata:
rilevano due parametri cioè l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (I.S.E.E.) del
nucleo familiare; e l’entità del debito
● per le società di capitali, società cooperative, mutue assicurazioni, società di persone ed
imprenditori individuali in regime di contabilità ordinaria: rileva la capacità di far fronte ai debiti
di prossima scadenza con propri mezzi, accertata mediante l’applicazione dell’indice di
“Liquidità”, che è l’indice impiegato nelle analisi di bilancio per stabilire la maggiore o minore
capacità dell’impresa ad assolvere gli impegni finanziari a breve termine delle proprie
disponibilità liquide; inoltre le società di capitali, cooperative e mutua assicurazione devono
presentare una copia dell’ultimo bilancio e una relazione dello stato economico patrimoniale
La discrezionalità per l’agente della riscossione è una discrezionalità di tipo tecnico, poiché se
sussistono tali requisiti di “temporanea situazione di obiettiva difficoltà”, secondo il principio di
imparzialità e di buon andamento delle pubbliche amministrazioni, tale dilazione di pagamento
deve essere concessa.
In ultimo c’è la possibilità di chiedere la proroga per le rateazioni concesse entro il 28 Dicembre
2011, anche se c’è stata decadenza della rateazione, per un ulteriore periodo di 72 mesi, a patto
che il debitore provi il peggioramento della sua situazione di difficoltà.

L’INGIUNZIONE FISCALE : è la modalità di riscossione dei tributi locali quando questi sono
riscossi direttamente dagli enti locali, anche attraverso proprie società partecipate o unioni di
Comuni oppure ai concessionari (cd. minori) iscritto nell’apposito albo. Secondo la consolidata
giurisprudenza, l’ingiunzione ha natura di atto amministrativo complesso, il quale, non ha solo la
funzione di formale accertamento del credito, ma cumula in sé anche le caratteristiche di forma e
di efficacia di titolo esecutivo e di precetto.
Circa l’impugnabilità dell’ingiunzione fiscale, va chiarito, innanzitutto, che è un atto
amministrativo recettizio che esplica i suoi effetti nel momento in cui si perfeziona la notifica
ovvero quando viene a conoscenza del destinatario; l’ingiunzione consiste in un ordine di
pagamento con il quale l’ente impositore intima di pagare l’importo richiesto entro un preciso arco
di tempo. La Corte di Cassazione ha precisato che il giudice competente a sindacare la legittimità
dell’ingiunzione fiscale è il giudice tributario (non quello ordinario).

LE AZIONI ESPROPRIATIVE : il ruolo, una volta scaduto infruttuosamente il termine di 60


gg. dalla data di notifica della cartella di pagamento, e l’ingiunzione fiscale, scaduto l’analogo
termine concesso per il pagamento, se non vi è impugnazione, diventano ope legis titoli
esecutivi ai fini delle azioni cautelari, conservative ed espropriative. Il procedimento di
espropriazione forzata è regolato dalle norme del codice di procedura civile, ma con alcune
deroghe, una differenza rilevante tra le due discipline è che l’Agente della riscossione assume
tutte le funzioni di competenza degli Ufficiali giudiziari e provvede direttamente alla vendita
dei beni pignorati senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, governando così tutto il
procedimento espropriativo, salvo l’intervento del giudice dell’esecuzione in sede di riparto ed
assegnazione delle somme ricavate dalla vendita. Il giudice esecutore: a) può nominare uno
stimatore ai fini della determinazione del prezzo degli oggetti preziosi b) su istanza del debitore o
dell’agente della riscossione ordinare la pubblicità degli incanti a mezzo giornale o altra forma
idonea di pubblicità c) esercita il controllo di legittimità sull’operato dell’agente della riscossione
(che è tenuto al risarcimento dei danni al seguito di autonomo giudizio dopo il compimento
dell’esecuzione forzata d) può sospendere il procedimento esecutivo qualora ricorrano gravi motivi
e vi sia fondato pericolo di grave ed irreparabile danno.
Circa le azioni espropriative, il legislatore ha previsto tre forme di espropriazione forzata:
1- espropriazione mobiliare 2-
espropriazione immobiliare 3- espropriazione presso terzi :
1- Espropriazione mobiliare : l’agente della riscossione deve astenersi dal pignoramento o
desistere dal procedimento quando è dimostrato che i beni appartengano a persona diversa dal
debitore iscritto a ruolo o dai coobbligati, tale dimostrazione può essere offerta solo mediante
esibizione di atto pubblico o di scrittura privata autenticata: il diritto di proprietà opponibile
all’agente della riscossione deve essere sorto in base ad un titolo o documenti certi, prima della
nascita della pretesa tributaria iscritta a ruolo
2- Espropriazione immobiliare : molte sono le deroghe alla disciplina dell’espropriazione
immobiliare dettate dal codice di procedura civile. Innanzitutto il concessionario può procedere
all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui si procede supera
complessivamente €8.000. Il criterio di determinazione del prezzo base dell’incanto nella
procedura di espropriazione si richiama alle regole di valutazione automatica degli immobili, in
base alla rendita catastale, superando in questo modo le lungaggini dei tempi di estimazione a
mezzo consulenza tecnica d’ufficio.
3- Espropriazione presso terzi : particolarmente coercitivo ed immediato è il procedimento di
espropriazione dei beni mobili o crediti del debitore presso terzi, infatti è previsto che l’agente
della riscossione, senza citare in giudizio il terzo per l’accertamento del credito può rivolgere
direttamente a questi l’ordine di versare le somme dovute e già maturate entro 15 gg. dalla
notifica dell’atto di pignoramento; l’agente della riscossione, prima di procedere al pignoramento,
può chiedere ai soggetti debitori del soggetto esecutato, le cose e le somme da loro dovute al
soggetto iscritto a ruolo. Strumentale all’espropriazione presso terzi è anche l’istituto del blocco
dei pagamenti da parte di pubbliche amministrazioni a soggetti iscritti nei ruoli.

L’iter della riscossione in sintesi


Æ ATTI PRODROMICI - COMUNICAZIONI DI IRREGOLARITÀ E AVVISI BONARI: se il
contribuente non accetta l’invito a fornire chiarimenti o non si conforma alle pretese tributarie si
passa a
Æ ISCRIZIONE AI RUOLI E NOTIFICA DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO: una volta avvenuta
l’iscrizione nei ruoli e avvenuta la notifica della cartella di pagamento se il contribuente, entro 60
gg. dalla notifica dell’atto, non ha provveduto ad adempiere al pagamento della pretesa
tributaria o non ha impugnato il provvedimento, gli atti diventano titoli esecutivi e si procede alle
Æ AZIONI ESPROPRIATIVE :

PARTE III – LE AZIONI E I PROVVEDIMENTI DI GARANZIA DEI CREDITI ERARIALI

LE AZIONI E I PROVVEDIMENTI DI GARANZIA DEI CREDITI ERARIALI :


REVOCATORIA – SEQUESTRO CONSERVATIVO – ISCRIZIONE AD IPOTECA DEGLI
IMMOBILI DEL DEBITORE E DEI COOBBLIGATI – FERMO AMMINISTRATIVO DEI BENI
MOBILI REGISTRATI
Il d.lgs. 602/1973 (art.49 1° comma) riconosce al concessionario il potere di procedere la
recupero delle somme affidategli, ai fini del contrasto al fenomeno dell’evasione da riscossione il
legislatore ha inteso rafforzare le competenze dell’agente della riscossione, infatti quest’ultimo
può tutelare la pretesa erariale attraverso molteplici mezzi di conservazione del patrimonio del
soggetto iscritto a ruolo:
² Revocatoria : l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) tende a far dichiarare l’inefficacia di tutti
quegli atti con i quali il debitore trasferisce agli altri un diritto che gli appartiene (ad es. vendita
di un immobile, cessione del credito), ovvero costituisce diritti a favore di terzi (ipoteca), con
conseguente insufficienza del suo patrimonio a garantire il soddisfacimento del creditore.
² Sequestro conservativo : il sequestro conservativo (art. 2905) ha lo scopo di bloccare i
beni disponibili del debitore nel patrimonio dello stesso, ancorandoli alle ragioni dell’esecuzione
forzata, rendendo inopponibili al creditore procedente gli effetti degli atti concernenti i beni
sottoposti a sequestro conservativo.
² Iscrizione ad ipoteca degli immobili del debitore e dei coobbligati : l’art. 77 del d.p.r.
602/1973 dispone che il ruolo, decorso inutilmente il termine di 60 gg. dalla notifica della cartella
di pagamento costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati
per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito erariale iscritto, se l’importo
complessivo del credito per cui si procede non supera il 5% del valore dell’immobile da
sottoporre ad espropriazione. Se il debito non viene estinto entro i 6 mesi dall’iscrizione ad
ipoteca, lo stesso concessionario procede all’espropriazione forzata immobiliare. Il legislatore
nella legge 73/2010, ha disposto che non può essere iscritta ipoteca da parte dell’agente della
riscossione se l’importo complessivo del credito per cui si procede è inferiore a €8.000. Il
provvedimento di iscrizione ad ipoteca è impugnabile dinanzi al giudice tributario; ma la
Cassazione ha chiarito che l’iscrizione a ipoteca ed il fermo amministrativo sono assunti dalla
competenza del giudice tributario se la cartella di pagamento ha ad oggetto crediti tributari,
nell’ipotesi contraria la giurisdizione è quella del giudice ordinario.
² Fermo amministrativo dei beni mobili registrati : l’art. 86 del d.p.r. 602/1973 dispone che
il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in
pubblici registri, dandone notizia alla direzione generale delle entrate ed alla regione di
residenza; in particolare il fermo si esegue mediante iscrizione, a cura del concessionario, del
relativo provvedimento nei registri dei beni mobili (ossia il Pubblico Registro Automobilistico
P.R.A. tenuto dall’ A.C.I.);l fermo trova applicazione anche se il bene registrato risulti di facile
reperibilità e a disposizione degli ufficiali giudiziari.
Il fermo non è ammissibile ad un pignoramento, dal momento che quest’ultimo ha una validità
limitata nel tempo, è convertibile o riducibile e soprattutto ha dei limiti dell’individuazione dei
beni assoggettabili alla procedura esecutiva, mentre il fermo non ne possiede alcuno. L’istituto
in oggetto non può essere considerato atto della procedura di riscossione, perché non è finalizzato
in via diretta al soddisfacimento del credito mediante l’aggressione immediata del bene mobile
individuato; il fermo possiede solo la peculiarità dell’afflittività della sanzione amministrativa, ma
non si correla ad alcuna violazione di norma tributaria, facendo seguito semplicemente alla
notifica della cartella esattoriale e al suo mancato pagamento nei termini previsti. Il fermo
amministrativo, quindi, è da ritenersi il risultato dell’azione di un soggetto privato,
concessionario di pubblici servizi, che emette un provvedimento amministrativo, in virtù di un
potere discrezionale, incidente sulla situazione giuridica soggettiva del contribuente di interesse
(legittimo) al corretto esercizio dello stesso.

PARTE V – I RIMBORSI
I CREDITI D’IMPOSTA E LE VARIE TIPOLOGIE DI RIMBORSO : il rimborso in materia
tributaria si confronta con il corrispondente istituto civilistico della ripetizione dell’indebito
disciplinato dall’art.2033 c.c. che recita: <<chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di
ripetere ciò che ha pagato>>; seppure manchi in materia tributaria una norma che disciplina
specificatamente la ripetizione dell’indebito, non può dubitarsi che il divieto di arricchirsi
ingiustificatamente ai danni di altri, in quanto espressione di un principio generale
dell’ordinamento, vige anche nell’ambito del diritto tributario. La legittimità della sussistenza al
diritto di rimborso è anche collegata all’art.53 Cost., infatti in virtù del principio di capacità
contributiva, nessuno può essere chiamato a corrispondere pagamenti superiori o non dovuti in
base alla propria capacità contributiva.
Il contribuente può vantare un credito nei confronti del fisco per varie ragioni : perché ha versato
una somma non dovuta, perché ha versato acconti che superano il dovuto o perché si sono
verificate situazioni a cui il legislatore collega il sorgere di un credito d’imposta; la dottrina ha
cercato di tenere distinti i rimborsi fisiologici o strutturali dove le somme versate erano
originariamente dovute (ad es. rimborso da acconti o altri versamenti fatti provvisoriamente, o
somme iscritte a ruolo provvisoriamente poi risultate superiori al dovuto in sede di liquidazione)
dai rimborsi patologici o accidentali nei quali rientrano le somme versate che già all’origine
erano indebite (per errore di calcolo o per errata interpretazione di una norma). Pertanto
nell’ambito dei rimborsi bisogna distinguere :
1- RIMBORSO DA ACCONTI (o altre somme debitamente versate) : in quanto la restituzione
si realizza in presenza di una situazione creditoria del contribuente scaturente da fattispecie
agevolative, equitative o di aiuto finanziario
2- CREDITO D’IMPOSTA (IN SENSO TECNICO) : quando si riferisce ad una situazione
creditoria diversa da quella ottenuta con indebito, e votata alla compensazione
3- RIMBROSO DA INDEBITO VERSAMENTO : che sorge a favore di un soggetto che
corrisponde una somma non dovuta, le fattispecie generatrici del rimborso da indebito si
collegano sia a) fattispecie collegate all’attuazione dei tributi sia a b) fattispecie
collegate all’illegittimità di norme impositrici :
a) Fattispecie collegate all’attuazione dei tributi : a queste possono ricondursi le
ipotesi che riguardano la presentazione di un’errata dichiarazione con relativa liquidazione e
versamento d’imposta maggiore al dovuto, oppure in ipotesi di accertamento dove l’Ufficio
determini un debito maggiore rispetto a quello dovuto, o in ipotesi di errori riguardanti le
ritenute dirette, i versamenti diretti o somme iscritte a ruolo e non dovute.
b) Fattispecie collegate all’illegittimità di norme impositrici : si riferiscono alle ipotesi più
frequenti che riguardano i casi in cui il pagamento indebito sia stato effettuato :
² sulla base di una norma che non esista
² sulla base di un decreto legge non convertito
² sulla base di una norma che sia stata abrogata retroattivamente
² in ossequio ad una norma che successivamente sia stata dichiarata incostituzionale oppure
ad una norma che sia incompatibile con la norma tributaria comunitaria : per quanto
riguarda il pagamento dei tributi regolati da norma che successivamente vengono
dichiarate incostituzionali, il dies a quo per poter esercitare il diritto al rimborso nasce in
seguito alla sentenza di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte
Costituzionale, allo stesso modo delle sentenze di incompatibilità comunitaria, con esclusione
dei casi in cui i rapporti si sono esauriti (in tal modo la giurisprudenza, per poter evitare
una portata troppo ampia e incontrollabile delle decisioni della Corte Costituzionale, tenendo
conto che le sentenze costituzionali hanno efficacia ex tunc (dall’origine) e di conseguenza
considerano l’obbligazione tributaria inesistente ab origine, in entrambi i casi si vuole così
limitare l’efficacia retroattiva delle sentenze ex tunc).

IL RIMBORSO D’UFFICIO : l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate deve provvedere ad effettuare il


rimborso d’ufficio di tutto ciò che risulta non dovuto dal contribuente qualora emergano:
² errori materiali o duplicazioni dovuti allo stesso Ufficio dell’Agenzia delle
Entrate
² eccedenze di acconti e ulteriori versamenti provvisori rispetto all’imposta
liquidata in base alla dichiarazione
² crediti d’imposta derivanti dalla medesima dichiarazione
Trattasi, in tutti questi casi, di versamenti provvisori dovuti, che poi in via di definitiva
liquidazione risultano in parte indebiti: in tali circostanze l’Ufficio dovrà provvedere alla
ripetizione dell’indebito, non solo senza l’istanza della parte interessata, ma anche senza che il
contribuente abbia fatto menzione del credito nella sua dichiarazione annuale. Se l’Ufficio non
provvede autonomamente ad effettuare il rimborso, il contribuente dovrà presentare un’apposita
istanza entro il termine prescrizionale di dieci anni, e qualora l’Ufficio non risponda, il contribuente
dovrà presentare ricorso avverso il silenzio rifiuto alle Commissioni tributarie, in tal caso il
contribuente oltre a chiedere la condanna al pagamento da parte dell’A.F. , potrà chiedere gli
interessi maturati per il ritardo del rimborso.

PROCEDIMENTO DI RIMBORSO E TUTELA GIURISDIZIONALE AVVERSO IL DINIEGO :


tanto il rifiuto tacito quanto quello espresso con provvedimento dell’A.F. presuppongono una
precedente attività del creditore cioè la proposizione di una apposita istanza di rimborso. Il
termine decadenziale entro il quale deve essere presentata l’istanza di rimborso è di 2 anni ma
ha carattere residuale e pertanto questo termine è valido solo qualora non vi siano specifiche
disposizioni che regolino le singole imposte, quindi :
● per il rimborso di ritenute e versamenti diretti i termini decadenziali per presentare la
domanda di rimborso sono di 48 mesi
● per il rimborso di imposte indirette : di 3 anni, decorrente dal pagamento indebito (ad es.
imposta di registro, imposta sulle donazioni, successioni etc.)
● per il rimborso dei crediti IVA la domanda di rimborso va presentata entro il termine di
decadenza di 2 anni
ã Diniego di rimborso : se la domanda è esplicitamente respinta, il rifiuto espresso è atto
impugnabile dinanzi alla commissione tributaria entro 60 gg.; se l’Amministrazione rimane inerte
per 90 gg. esprimendosi con il silenzio il rifiuto, l’interessato può proporre ricorso alla
commissione tributaria dopo il novantesimo; la sentenza di accoglimento emessa in seguito ad un
giudizio instaurato con ricorso avverso un rifiuto espresso, sarà una sentenza di annullamento
dell’atto impugnato; invece la sentenza di accoglimento avuta a seguito di un giudizio instaurato
con ricorso avverso rifiuto tacito sarà di accertamento del credito del contribuente, sempre con
condanna al rimborso.
CAPITOLO XI – LA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

PARTE I – IL PROCESSO E LA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA: I PRINCIPI

I CARATTERI DEL PROCESSO TRIBUTARIO: IL GIUDIZIO DI IMPUGNAZIONE-MERITO E


L’IDIVIDUAZIONE DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA
Il processo tributario nasce come contenzioso amministrativo; le commissioni tributarie,
originariamente nate come organi competenti in materia di accertamento dei redditi,
hanno subito un travagliato processo di “giurisdizionalizzazione” consacrato solo all’inizio degli
anni 70 solo a seguito del riconoscimento della giurisdizionalità delle Commissioni tributarie è stato
possibile recepire alcuni dei principi fondamentali di ogni tipo di processo, quali, ad es. la
ripartizione dell’onere della prova tra le parti in giudizio e l’applicazione del principio del
contraddittorio. Detti principi hanno trasformato il processo tributario in un processo vero e proprio.
Anche se è indubbio che l’interesse fiscale merita tutela di particolare rilievo, essendo il dovere
tributario un dovere inderogabile di solidarietà, commisurato alla capacità contributiva, l’interesse
fiscale non dovrebbe mai attenuare il diritto alla difesa e le regole del giusto processo sanciti
nell’art. 111 Cost.
Il sistema del contenzioso tributario è essenzialmente disciplinato dai dd.llgs. n. 545 e 546 del
1992. La legge n.69 del 2009 ha apportato al codice di procedura civile numerose modifiche, le
modifiche del processo civile possono essere distinte in: disposizioni che si applicano al processo
tributario in quanto riguardano fattispecie non disciplinate dal d.lgs. n.546 del 1992; e in
disposizioni che non si applicano in quanto incompatibili con il processo tributario o per la
sussistenza di norme autonome nel d.lgs. n.546 del 1992. La Corte di Cassazione ha limpidamente
chiarito che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento”,
ma tra i processi di “impugnazione-merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione
giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della
dichiarazione resa dal contribuente, che del procedimento dell’ufficio.
L’individuazione della giurisdizione tributaria : fino al 2001 la giurisdizione delle commissioni
tributarie aveva per oggetto soltanto le liti relative ad un specifico elenco di tributi, mentre le liti
relative agli altri tributi appartenevano alla giurisdizione dei giudici ordinari. Dal 2002 la
giurisdizione delle commissioni tributarie è stata ampliata e comprende tutte le controversie aventi
ad oggetto itributi di ogni genere e specie compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il
contributo per il servizio sanitario nazionale, nonché le sovraimposte e le addizionali, le sanzioni
amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi ed ogni altro accessorio; inoltre
sono state considerate rientranti nella giurisdizione tributaria alcune controversie in materia
catastale. In definitiva il giudice tributario, attualmente, è competente a conoscere tutte
le controversie in materia di tributi di ogni genere e specie comunque denominati ,
unitamente ad un ampia competenza di carattere incidentale in merito a qualsiasi questione da
cui dipende la decisione sul rapporto principale, escluse quelle in materia di querela di falso e
stato di capacità delle persone e con esclusione, in via principale, delle controversie riguardanti
gli atti di esecuzione forzata tributaria: da ciò deriva che l’oggetto della giurisdizione tributaria ha
ormai assunto carattere di generalità.
Inoltre va delineandosi, da qualche tempo, l’esistenza di una giurisdizione comunitaria dei giudici
tributari, infatti il giudice nazionale tributario è tenuto a pronunciarsi direttamente in ogni stato e
grado del giudizio su questioni di incompatibilità della legislazione fiscale nazionale con le norme
del Trattato UE.
La giurisdizione tributaria, essendo di impugnazione-merito, è subordinata
all’impugnazione di uno degli atti normativamente indicati nell’art.19 del d.lgs. 546 del
1992, pertanto, con riguardo all’estensione della giurisdizione tributaria, accanto al “limite
materiale” si delinea uno specifico “limite funzionale” al di fuori di una determinata controversia
potrà rientrare nella competenza del giudice ordinario o, in alcuni casi, del giudice amministrativo.
Tuttavia riguardo alla competenza di giurisdizione esistono ancora orientamenti
discordanti che si riflettono sull’individuazione da parte del contribuente del giudice competente a
conoscere la controversia. Tra i vari casi di contrasto di giurisdizione :
● Sulle liti sostituto- sostituito in punto di ripartizione della giurisdizione è stato oggetto di
contrasto giurisprudenziale: nel medesimo giorno le Sezioni unite della Cassazione hanno
depositato due decisioni dal contenuto opposto
● La controversia tra il cedente e il cessionario in merito alla legittimità della rivalsa dell’IVA : la
Corte di Cassazione a Sezioni unite ha poi ribadito che appartiene alla giurisdizione ordinaria
e non a quella tributaria, quindi in ordine all’addebito della rivalsa dell’IVA la controversia fra
cliente e fornitore atterrebbe ad un rapporto privato
● Le domande relative agli interessi ed al risarcimento danni da svalutazione monetaria : non si
comprendono le ragioni in base alle quali appartengono alla cognizione delle commissioni
tributarie, sebbene quest’ultima presenti carattere autonomo rispetto alla domanda principale
inerente al rapporto tributario
In conclusione, il riferimento legislativo alle controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere
e specie comunque denominati, porta a considerare che, sotto il profilo oggettivo, la
controversia potrà essere considerata tributaria solo nel caso in cui abbia ad oggetto
l’accertamento del rapporto giuridico di imposta; sul piano soggettivo la controversia deve
necessariamente avere come protagonisti da un lato il contribuente e dall’altro l’ente impositore.
Al di fuori di questi limiti la controversia non potrà qualificarsi tributaria in senso tecnico con
la conseguenza che non potrà essere legittimamente devoluta alla cognizione delle Commissioni
tributarie.

LA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E LA TASSATIVITÀ DEGLI ATTI IMPUGNABILI


Il processo tributario si attiva con l’impugnazione di un provvedimento o
comportamento dell’A.F.; il legislatore divide gli atti impugnabili in due categorie: atti
autonomamente impugnabili (espressamente enumerati) e altri atti non impugnabili
autonomamente (tali atti non sono indicati espressamente):
ATTI AUTONOMAMENTE IMPUGNABILI : sono espressamente previsti dal legislatore
nell’art.19 del d.lgs. 546 del 1992, ognuno di questi atti può essere impugnato solo per vizi
propri e, per vizi della attività ad essi presupposti (che non danno luogo a atti autonomamente
impugnabili). La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati
precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.
1) avviso di accertamento
2) avviso di liquidazione
3) provvedimento che irroga sanzioni
4) iscrizione a ruolo e cartella di pagamento
5) avviso di mora
6) atti delle operazioni catastali
7) rifiuto espresso o tacito di restituzione (rimborso)
8) diniego o revoca di agevolazioni e rigetto di domande di definizione agevolata
9) iscrizione di ipoteca sugli immobili e fermo dei beni mobili registrati
L’elenco degli atti autonomamente impugnabili sembra essere tassativo: una enumerazione
tassativa ammette letture estensive ma esclude integrazioni analogiche, infatti l’opinione
giurisprudenziale considera l’elenco tassativo ma interpretabile estensivamente: ciò consente di
ampliare la categoria degli atti autonomamente impugnabili (in quest’ottica la Corte di Cassazione
ha ritenuto impugnabili il cd. preavviso di fermo di beni mobili registrati emesso dall’agente della
riscossione, l’avviso di liquidazione per indebita detrazione, l’estratto di ruolo in quanto costituisce
una parziale riproduzione del ruolo).
ATTI NON AUTONOMAMENTE IMPUGNABILI (art. 19 3°comma d.lgs. 546/1992): sono gli atti
diversi da quelli espressamente previsti dal legislatore (ad es. il processo verbale di constatazione),
tali atti non sono impugnabili autonomamente: gli atti non autonomamente impugnabili sono
impugnabili con quelli autonomamente impugnabili; in pratica il contribuente quando riceve
notifica di un atto non autonomamente impugnabile dovrà attendere che gli giunga notifica di
un atto autonomamente impugnabile e proporre ricorso contro entrambi.

IL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCESSO, IL DIRITTO DI DIFESA E LA PARITÀ DELLE PARTI


L’art.111 Cost. sancisce che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla
legge e che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità
dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale; si delinea, in tal modo, un modello al quale
qualsiasi giudice ordinario o speciale deve uniformarsi a prescindere dall’oggetto della tipologia
di controversia considerata. Pertanto la specificità del processo tributario non può essere
invocata per escludere l’applicabilità dell’art.111 anche a tale processo. Tanto il diritto
alla difesa sancito nell’art. 24 Cost., tanto il principio della necessaria motivazione nell’originario
art.111 Cost., non v’è dubbio che anche il principio del contraddittorio, dell’imparzialità e della
terzietà del giudice, attraverso l’emanazione del nuovo art.111 sono stati incorporati nella
Costituzione. Tuttavia il perfetto adeguamento della disciplina del processo tributario con l’art. 111
Cost. non è stato raggiunto, infatti nel processo tributario:
° dovrebbero essere semplificata l’instaurazione dei procedimenti di
rimborso
° la discussione orale dovrebbe essere la regola
° in materia cautelare, sarebbe necessario riconoscere espressamente il potere del giudice di
appello di sospendere gli atti impugnati come in primo grado
In tal senso fa riflettere ciò che è disposto nel d.lgs. n.546 del 1992 che non prevede,
allo scopo di equilibrare le posizioni, la possibilità da parte del contribuente di produrre in
giudizio dichiarazioni di terzi quali prove testimoniali ; tale possibilità, ancorché valutata ai
fini indiziari dalla giurisprudenza, non è contemplata da alcuna norma. Ma la prospettiva
interpretativa della Corte Costituzionale ritiene che in definitiva il valore della parità delle parti
fosse già compreso nel disposto degli artt. 3 e 24 Cost.; il richiamo alla parità di parti può essere
utile sia in ordine all’orientamento giurisprudenziale che attribuisce al giudice poteri officiosi,
spendibili solo a favore dell’A.F., al fine di tutelare l’interesse pubblico, che riguardo al regime delle
eccezioni a favore dell’A.F., oltre che in materia di decadenza.

PARTE II – GLI ORGANI E L’ORDINAMENTO DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE

LE COMMISSIONI TRIBUTARIE : a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n.545 del 1992 le
Commissioni tributarie si articolano in: Commissioni tributarie provinciali aventi sede in
ciascun capoluogo di provincia che giudicano in primo grado e Commissioni tributarie regionali
aventi sede in ciascun capoluogo di regione che giudicano in grado di appello. A ciascuna
commissione tributaria è preposto un presidente che presiede anche la prima sezione; a ciascuna
sezione sono assegnati un presidente, un vicepresidente e non meno di 4 giudici tributari; il
collegio giudicante è però costituito da 3 membri, tra cui il presidente o il vicepresidente di sezione,
che lo presiede.
I componenti delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze. I presidenti delle
commissioni tributarie e delle loro sezioni sono scelti tra magistrati ordinari, amministrativi o
militari, in servizio o a riposo; i vicepresidenti tra gli stessi magistrati o tra i componenti che hanno
esercitato per almeno 5 anni (commissioni provinciali) o 10 anni (commissioni regionali) le funzioni
di giudice tributario. I componenti delle commissioni tributarie cessano dall’incarico al compimento
del 75° anno di età; la nomina non costituisce un rapporto di pubblico impiego, i giudici tributari
percepiscono un compenso fisso mensile e un compenso aggiuntivo per ogni ricorso deciso.

GLI UFFICI DI SEGRETERIA : le commissioni tributarie sono supportate da uffici di segreteria,


dipendenti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, e svolgono attività preparatorie all’udienza
e assistono ai collegi giudicanti; per ciascuna commissione tributaria regionale è operativo un
ufficio del massimario che provvede a rilevare, classificare e ordinare le decisioni delle
commissioni tributarie provinciali e regionali; predetti al servizio di tale ufficio sono un congruo
numero di giudici, di cui uno con funzioni di direttore, in pratica lo scopo dell’Ufficio del
massimario è quello di alimentare la banca dati del servizio di documentazione tributaria.
Gli uffici di segreteria oltre ad essere organi di assistenza alle commissioni tributarie sono anche
investiti di funzioni che la legge attribuisce loro direttamente; tali funzioni possono essere
concorrenti con quelle del giudice: redazione del processo verbale di udienza o esecuzione degli
ordini della commissione; altre sono autonome: iscrizione dei ricorsi nel registro generale, la
formazione e tenuta dei fascicoli processuali, il rilascio di copie autentiche delle pronunce
giudiziali, le comunicazioni o notificazioni e pubblicazioni delle sentenze.

IL CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA : il Consiglio di


Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT) è l’organo di autogoverno della magistratura
tributaria; il Consiglio è costituito con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro dell’Economia e delle Finanze, ed è composto da: 11 membri eletti da e tra i componenti
delle commissioni tributarie provinciali e regionali e 4 membri eletti dal Parlamento 2 dalla
Camera e 2 dal Senato.
Il Consiglio di Presidenza dura in carica per 4 anni ed elegge nel suo ambito un presidente e due
vicepresidenti. Il Consiglio ha il compito di verificare i titoli di ammissione dei propri componenti e
di decidere sui reclami attinenti alle elezioni, deliberare sulle nomine e su ogni altro
provvedimento riguardante i componenti delle commissioni tributarie, stabilire i criteri di massima
per la formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti e per la ripartizione dei ricorsi nell’ambito
delle commissioni tributarie divise in sezioni, ed inoltre promuovere iniziative intese a
perfezionare la formazione e l’aggiornamento professionale dei giudici tributari, vigilare sulle
commissioni e disporre ispezioni. Il CPGT è anche il custode della deontologia professionale dei
giudici tributari allorquando si promuove l’azione disciplinare su iniziativa del Presidente del
Consiglio e dei Presidenti delle Commissioni regionali nell’esercizio del loro potere di vigilanza.

PARTE III – LE PARTI E GLI ATTI DEL PROCESSO TRIBUTARIO

IL GIUDICE TRIBUTARIO: COMPETENZA E POTERI ISTRUTTORI


Le Commissioni tributarie provinciali sono presenti in ogni capoluogo di provincia; ciascuna
Commissione tributaria provinciale è competente per le controversie proposte nei confronti degli
uffici tributari del Ministero delle Finanze, degli enti locali e dei concessionari del sevizio di
riscossione che hanno sede nella sua circoscrizione.
Le Commissioni tributarie regionali hanno competenza in appello per le sentenze delle
Commissioni tributarie provinciali; le Commissioni tributarie regionali sono presenti in ogni
capoluogo di regione, nella cui circoscrizione ha sede la Commissione tributaria provinciale che ha
emesso la sentenza impugnata.
La presentazione di un ricorso ad un giudice territorialmente non competenze non è un
errore irrimediabile , infatti, dopo che la commissione si è dichiarata incompetente, il
ricorrente potrà riassumere la causa innanzi alla commissione dichiarata competente; la
riassunzione deve avvenire nei termini indicati dal giudice o, se non indicato, nei termini di
legge, altrimenti il processo si estingue; con l’estinzione del processo l’atto, impugnato innanzi al
giudice incompetente, diventa definitivo. In materia di competenza, nei casi in cui l’ufficio
finanziario che ha formato il ruolo ha sede in una provincia diversa rispetto a quella del
concessionario della riscossione che ha emesso la cartella di pagamento, giurisprudenza e dottrina
concordano che la soluzione sta nella proposizione di due distinti e separati ricorsi innanzi a
entrambe le commissioni, in considerazione del fatto che la legge individua la competenza
delle commissioni tributarie sulla base della sede del soggetto che ha emanato l’atto
impugnato.
Il d.lgs. n.546 del 1992 (art.7) disciplina i poteri istruttori del giudice, affermando il
principio del parallelismo tra i poteri istruttori delle commissioni tributarie e quelli dell’ente
impositore; tale disposizione trova la sua giustificazione in quanto le commissioni tributarie,
originariamente nate come organi competenti in materia di accertamento dei redditi, hanno subito
un travagliato processo di “giurisdizionalizzazione” consacrato solo all’inizio degli anni 70.
Ma tale disciplina contrasta con la ormai indiscussa natura giurisdizionale che caratterizza le
Commissioni tributarie; perché innanzitutto i poteri istruttori delle Commissioni derivano dai
procedimenti amministrativi di accertamento degli uffici rivolti verso il contribuente; quindi non
potendosi eliminare quella unidirezionalità che caratterizza i due poteri istruttori (quello
giurisdizionale e quello amministrativo), il potere istruttorio del giudice non potrà operare in ugual
misura con le due parti (Amministrazione e contribuente). Inoltre le Commissioni hanno la
facoltà e non già l’obbligo di esercitare i poteri istruttori, anche quando le parti abbiano
inoltrato apposita formale istanza per la loro assunzione; ove però la Commissione non accolga
l’istanza e, conseguentemente non disponga l’adempimento istruttorio, deve specificatamente
giustificarla nella motivazione della sentenza.
Quindi la Commissione tributaria regionale, quindi, non ha la piena libertà istruttoria di
cui dispone la Commissione tributaria provinciale, ma può esercitare i poteri istruttori in
quanto ne sussista la necessarietà ai fini della pronuncia . Tuttavia i poteri
istruttori non sono esercitabili incondizionatamente, essendo l’attività istruttoria dei giudici tributari
sottoposta a precisi limiti, i quali trovano fondamento nella specifica natura del processo
tributario inteso quale processo di impugnazione di atti impositivi aventi prevalentemente
carattere dispositivo.
L’attività istruttoria dei giudici, pertanto, può essere esercitata nell’ambito dei fatti dedotti dalle
parti, cioè dei fatti posti a fondamento della pretesa tributaria; si deve escludere, invece,
qualsiasi autonoma indagine da parte delle Commissioni, in quanto ogni intervento in tal senso
comporterebbe un ampliamento dell’oggetto del contendere ed uno scavalcamento dei limiti dei
poteri istruttori che necessariamente devono essere circoscritti.

LE PARTI : IL RICORRENTE – LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA IL RESISTENTE – LA


LEGITTIMAZIONE PASSIVA

IL RICORRENTE: LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA : il d.lgs. 546/1992 individua direttamente i


soggetti che possono essere parti del processo, tuttavia quando si riferisce al ricorrente usa un
termine generico che non consente l’immediata individuazione di chi sia effettivamente tale
soggetto. Il problema della legittimazione ad agire consiste nell’individuazione della persona fisica
o giuridica cui spetta l’interesse ad agire, infatti, affinché la Commissione tributaria
provveda nel merito, non basta che il ricorso sia stato proposto, ma occorre che sia stato
proposto proprio da quel soggetto che, per legge, può agire giurisdizionalmente.
Una volta notificato l’atto impositivo, la posizione di legittimato attivo deve essere
riconosciuta in capo al destinatario dell’atto anche quando vi sia stata un’erronea
individuazione del contribuente; in tal caso il ricorrente non è privo della legittimazione attiva, ma
si verifica una infondatezza soggettiva della pretesa tributaria. Il ricorso, proposto da un
soggetto privo della necessaria legittimazione, perché terzo rispetto al rapporto d’imposta,
deve essere dichiarato inammissibile. Il difetto di legittimazione ad agire va distinto dal
difetto di legittimazione processuale che è l’incapacità di agire nel processo ossia di esercitare il
diritto di azione.

IL RESISTENTE : LA LEGITTIMAZIONE PASSIVA : la legittimazione passiva si determina sulla


base dell’atto che si intende impugnare, pertanto il resistente è l’ente o l’ufficio che ha
emanato l’atto impositivo . Se dopo la presentazione di un’istanza di rimborso, l’ente o l’ufficio
non ha emanato l’atto richiesto si forma il silenzio rifiuto; legittimato a resistere avverso tale
silenzio è l’ufficio o l’ente cui è stata presentata l’istanza, una volta individuato tale soggetto, si
determina anche la Commissione provinciale competente. Gli uffici dell’agenzia e gli enti stanno in
giudizio senza difensore tecnico.
Con l’entrata in vigore delle Agenzie fiscali, e avendo queste la natura di enti pubblici, si deve
ritenere che l’espressione “ufficio del Ministero”, vada sostituita con l’espressione “ufficio
dell’Agenzia delle Entrate”; ne consegue che il soggetto legittimato passivo è l’Ufficio locale
dell’Agenzia delle entrate che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto.
L’ente locale nei cui confronti è preposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente
dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione
organizzativa in cui è collocato detto ufficio. Il destinatario della notifica della sentenza emessa
dalla Commissione tributaria provinciale è l’Ufficio resistente.
Infine, il ricorso per cassazione, se proposto contro l’ufficio periferico anziché contro il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, è inammissibile, atteso che, essendo l’ufficio periferico di detto
Ministero privo di soggettività esterna per quanto attiene tale giudizio non risulta alcuna azione
proposta nei confronti di alcun legittimo contraddittore.
Se si contestano vizi della cartella dovrà essere notificato il ricorso al concessionario della
riscossione, mentre, se la controversia riguarda la parte erariale dovrà essere chiamato in causa
l’ente impositore.
Considerato che il confine tra le differenti ipotesi di legittimazione passiva può risultare alquanto
difficile da individuare, potrebbe essere consigliabile, in linea di principio, procedere alla chiamata
in causa, oltre che dell’Agenzia delle Entrate, anche dell’Agente della riscossione; il giudice adito,
quindi, potrà dichiarare il difetto di legittimazione della parte in cui non sono ascrivibili violazioni.

IL LITISCONSORZIO E IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO : al processo tributario


possono partecipare, oltre al ricorrente ed al resistente, anche altri soggetti; si parla in tal caso di
litisconsorzio, che è necessario quando l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più
soggetti, tale situazione si verifica quando l’accertamento giudiziale della situazione dispiega i suoi
effetti nei confronti di una pluralità di soggetti cosicché la mancata partecipazione di alcuni di
essi determina una limitazione del diritto alla difesa ; quindi il litisconsorzio è necessario
per una parità di trattamento e per un interesse ad evitare contrasto tra i giudicati e per
garantire l’unicità del trattamento giudiziale.
Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 546 del 1992 l’istituto del litisconsorzio trovava già
applicazione, infatti era ammesso il litisconsorzio facoltativo che prevede la possibile
partecipazione di altri soggetti, a giudizio già instaurato, in quanto era stabilito che fossero
applicabili al processo tributario le norme del c.p.c., la formula attualmente prevista nel processo
tributario sembra diversa da quella racchiusa nel c.p.c. (art. 102 c.p.c. litisconsorzio necessario) in
quanto appare più restrittiva; tra le varie ipotesi di litisconsorzio da prendere in considerazione:
° litisconsorzio che riguardano le controversie sostituto e sostituito: una situazione controversa
che parte della giurisprudenza afferma il carattere litisconsortile del giudizio, altra parte della
giurisprudenza è invece orientata nel senso di escludere la sussistenza di un litisconsorzio
necessario tra sostituto d’imposta e sostituito nelle controversie con l’A.F.
° nelle controversie che vedono coinvolti soci e società di persone, secondo un orientamento
costante della Cassazione, si prefigura la sussistenza di un litisconsorzio necessario e la
celebrazione di un giudizio senza la partecipazione di tutti i litisconsorziati necessari è affetta da
nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio
° ipotesi di litisconsorzio necessario può configurarsi dal lato attivo della pretesa impositiva tra
l’Agenzia del territorio e l’ente locale nelle liti catastali
Il principio del contraddittorio è disciplinato nell’art. 111 Cost. (e non come scritto nel libro art. 111
c.p.c.) secondo il quale ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di
parità di fronte ad un giudice terzo ed imparziale. La mancata proposizione di ricorso di tutte le
parti litisconsorti non determina la inammissibilità dello stesso, ma è imposto al giudice di
ordinare l’integrazione del contraddittorio fissando un termine entro il quale i ricorrenti devono
chiamare in causa gli altri legittimati: il litisconsorte deve costituirsi, a pena di decadenza, nei
termini di 30 gg.; la sentenza che deve essere emanata a contraddittorio non integro è
inutiliter data e il vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

L’ASSISTENZA TECNICA : è obbligatoria l’assistenza tecnica nel processo quando la lite


sia di valore pari o superiore ai vecchi 5 milioni di lire; inoltre è previsto che nelle controversie di
modico valore, per le quali non è obbligatoria l’assistenza tecnica, il presidente della commissione
o della sezione o il collegio giudicante possono, se lo ritengono opportuno, ordinare la
contribuente di munirsi di assistenza tecnica fissando un termine entro il quale egli è tenuto, a
pena di inammissibilità, a conferire l’incarico ad un difensore abilitato. Il professionista a cui
è affidata la difesa tecnica obbligatoria è scelto tra gli appartenenti a determinate categorie, la
norma distingue tra un’abilitazione a carattere generale e una a carattere limitato; rientrano nella
prima categoria gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali purché
iscritti negli appositi albi professionali; la seconda categoria comprende professionisti di
determinate materie ovvero consulenti del lavoro, ingegneri, architetti, geometri, periti edili, dottori
agronomi, periti agrari, spedizionieri.
Questi professionisti possono stare in giudizio dinanzi alle commissioni tributarie senza l’assistenza
tecnica di altri difensori; la procura deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata
autenticata, e può essere speciale o generale; il giudice assegna alle parti un termine
perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza. Il ricorso deve
essere sottoscritto dal difensore, la sanzione per la carenza di sottoscrizione è l’inammissibilità del
ricorso.
È previsto il gratuito patrocinio per i non ambienti, per poter beneficiare di tale assistenza è
necessario avere un reddito imponibile non superiore ad €9.296,22; l’interessato in questo caso
deve presentare un’istanza all’apposita commissione (provinciale o regionale); chi è ammesso al
patrocinio può nominare un difensore tra gli iscritti negli appositi albi (elenco degli avvocati) o un
difensore scelto nell’ambito di altri albi od elenchi.

GLI ATTI DEL GIUDICE TRIBUTARIO: IL DECRETO, L’ORDINANZA, LA SENTENZA


Il giudice tributario (come il giudice ordinario) può emettere 3 tipi di atti : sentenza, ordinanza,
decreto
1- Sentenza : il decreto legislativo sul processo tributario disciplina precisamente la sentenza, il
collegio si pronuncia con sentenza in tutti i casi in cui si definisce il giudizio; la sentenza deve
essere emanata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana,
deve essere sottoscritta dal presidente della Commissione, deve contenere: l’indicazione della
composizione del collegio, delle parti e dei difensori, lo svolgimento del processo, le richieste
delle parti, la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, il dispositivo.
2- Ordinanza : il collegio pronuncia ordinanza in tutti i casi in cui non definisce il giudizio (ad
es. quando sospende l’atto impugnato), l’ordinanza presuppone il contraddittorio e deve essere
motivata; la commissione emana un’ordinanza quando dispone la separazione di processi,
quando decide in merito alla sospensione dell’atto cautelare, dispone la sospensione o
l’interruzione del processo.
3- Decreto : il decreto è un atto che può essere emanato solo da un organo monocratico, ovvero
dal presidente della commissione o dal presidente della sezione. i decreti riguardano, in
genere, lo svolgimento del processo; il presidente della commissione o della sezione emette
un decreto : quando fissa la trattazione della controversia, quando dichiara inammissibilità
manifesta del ricorso, la sospensione del processo, l’interruzione del processo e l’estinzione del
processo.

GLI ATTI DELLE PARTI: IL RICORSO, LE CONTRODEDUZIONI, I DOCUMENTI E LE MEMORIE


Ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. 546/1992 il processo è introdotto dal ricorrente con ricorso alla
Commissione tributaria provinciale. Nel ricorso a pena di inammissibilità devono essere indicati:
1- la commissione a cui è diretto, quindi la commissione competente per territorio e per grado
funzionale
2- il ricorrente e il suo legale rappresentante, la residenza o la sede legale o il domicilio eletto
ai fini del giudizio nel territorio dello Stato ed il codice fiscale del ricorrente, l’omissione del codice
fiscale non è motivo di inammissibilità
3- l’ufficio del Ministero delle Finanze (attualmente la Direzione provinciale) o l’ente
locale o il concessionario del servizio di riscossione, quindi colui che ha emanato l’atto, nei
cui confronti il ricorso è preposto
4- l’atto impugnato e l’oggetto del ricorso; quindi quando si impugna il rifiuto tacito ad
un’istanza di rimborso; l’oggetto della domanda consiste nel provvedimento che si chiede al
giudice di emanare (annullamento dell’atto, concessione del rimborso, concessione
dell’agevolazione)
5- i motivi, ovvero le ragioni di fatto e di diritto per le quali si richiede di rimuovere l’atto o
concedere il rimborso o l’agevolazione; il contribuente non può addurre successivamente in
giudizio motivi che non siano stati formulati nel ricorso
Di recente è stata posta (d.l. n.98 del 2011) come condizione per l’ammissibilità del ricorso
giurisdizionale per le liti il cui ammontare è inferiore a € 20.000, la procedura del reclamo-
mediazione in ambito amministrativo; la portata vincolante di tale istituto e l’inammissibilità in
materia tributaria in caso di mancata presentazione, oltre all’automatica trasformazione del
reclamo in ricorso decorsi i 90 gg. consentono di configurare una forma di giurisdizione
condizionata.
Altre particolarità sul ricorso :
² Il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore del ricorrente e contenere l’indicazione
dell’incarico, salvo che il ricorso non sia proposto personalmente
² Per la giurisprudenza un ricorso non sottoscritto dal difensore ma dal contribuente è
inammissibile, se entro un dato termine il contribuente non nomina un difensore
² Il resistente (ufficio del Ministero o ente locale o concessionario della riscossione) si
costituisce in giudizio entro 60 gg. dalla notifica del ricorso con il deposito presso la segreteria
della commissione adita del fascicolo contenente le proprie controdeduzioni e i documenti offerti
in comunicazione: nelle controdeduzioni sono esposte le difese contestando i motivi enunciati nel
ricorso
² La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso , mentre la
mancata costituzione del resistente non è essenziale ai fini del giudizio, ma genera delle
conseguenze dal punto di vista processuale: la parte non costituita non riceve l’avviso di
trattazione, non avrà la notifica dell’avviso di fissazione di udienza né quella del dispositivo della
sentenza. Sebbene sia indicato un termine per la costituzione del resistente, tale termine non è
perentorio, e giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere che l’ufficio o l’ente resistente
possa costituirsi in giudizio successivamente, sebbene gli siano inibite talune attività (ad es. la
chiamata in giudizio di un terzo). È questione controversa, invece, in mancanza di una specifica
previsione normativa, l’individuazione del limite temporale oltre il quale anche la costituzione
tardiva deve ritenersi preclusa, non esistendo, nel processo tributario, l’istituto della contumacia.
² È consentito alle parti di poter depositare memorie illustrative fino a 10 gg. liberi prima della
data di trattazione; tali memorie hanno l’unica funzione di precisare ulteriormente
argomentazioni e conclusioni già assunte
PARTE IV – LE PROVE

MOTIVAZIONE DELL’ATTO IMPOSITIVO E ONERE DELLA PROVA : l’atto impositivo deve


contenere la ragioni giuridiche che ne hanno portato all’emanazione. L’art.7 dello Statuto del
contribuente (legge 212/2000) prevede espressamente che nei provvedimenti amministrativi
devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato le
decisioni dell’Amministrazione; tale obbligo incombe anche sul concessionario della riscossione.
L’onere della prova costituisce un elemento fondamentale all’interno del processo
tributario, laddove, il rapporto sostanziale tra l’Amministrazione ed il contribuente è quello tra il
creditore e il debitore. Nell’ambito del rapporto d’imposta spetta all’Amministrazione l’onere di
provare i fatti costitutivi della pretesa erariale mentre, di contro, ricade sul contribuente la
prova del fatto modificativo ed estintivo dell’obbligazione tributaria. La veste di parte attore in
senso sostanziale è assunta dall’Amministrazione, mentre il contribuente è formalmente attore, ma
dal punto di vista sostanziale è l’Amministrazione creditrice che deve fornire la prova del credito
vantato. Pertanto dal combinato disposto dell’onere della prova e del divieto di richiesta, rivolta al
contribuente, di produrre documenti già in possesso dell’Amministrazione, deriva l’obbligo per
quest’ultima di produrre in giudizio qualsiasi documento, anche favorevole al contribuente.
La posizione formale delle parti, in conclusione, non rileva ai fini del riparto dell’onere
della prova: infatti, in materia di rimborso l’onere della prova grava sul contribuente che in
questo caso è il soggetto più indicato a fornire la dimostrazione dell’errore materiale commesso
dall’Amministrazione; mentre nel processo tributario d’impugnazione grava sull’A.F. l’onere di
provare tali fatti, vale a dire il presupposto del tributo e gli elementi in base ai quali l’A.F. ha
operato la quantificazione.

PROVE ESCLUSE : l’art.7 del d.lgs. 546 del 1992 prevede che non sono ammessi il giuramento
e la prova testimoniale, sottolineando il carattere scritto e documentale del processo
tributario. Con riguardo all’esclusione della prova testimoniale questa risponderebbe all’esigenza
che i fatti economici, aventi rilevanza tributaria, siano documentati e, quindi, dovrebbero
coordinarsi con le numerose norme che, nelle leggi tributarie sostanziali, stabiliscono
l’esclusività della prova documentale. Nonostante ciò si dubita se sia opportuno tale
esclusione, in quanto stabilita in termini generali ed assoluti, dato che non sempre la disciplina
sostanziale richiede che i fatti con rilevanza tributaria siano documentati per iscritto. Il divieto di un
mezzo di prova, ed il divieto di prova testimoniale in particolare, limita gli strumenti di ricostruzione
della verità e incide negativamente sulla completa attuazione del contraddittorio e sul diritto di
prova. La Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione della prova testimoniale, secondo la
quale non esiste affatto un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di
regole processuali tra i diversi tipi di processo, pertanto il divieto della prova testimoniale trova,
nella sua specie, una sua non irragionevole giustificazione, da un lato nella specificità del processo
tributario rispetto a quello del giudizio civile ed amministrativo, dall’altro nella circostanza che il
processo tributario è ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale;
anche la Corte europea dei diritti dell’uomo si espressa in senso negativo sulla prova testimoniale.

PROVE ATIPICHE ED ELEMENTI INDIZIARI : le norme che, in tema di accertamento,


riconoscono espressamente la possibilità di utilizzare variamente dati e notizie o altri atti e
documenti in possesso dell’ufficio, diversi da quelli formati o acquisiti nell’esercizio dei poteri
istruttori tipici del procedimento tributario, hanno ampliato, nel tempo, l’uso di fonti di prove
atipiche nel contenzioso tributario. Il ruolo delle prove atipiche nel processo tributario è
destinato ad assumere importanza crescente; tuttavia le prove atipiche non possono essere
equiparate, quanto alla loro efficacia, a quelle tipiche anche per ragioni di diritto positivo. Infatti gli
argomenti di prova non sono propriamente prove ma strumenti logico-critici per valutare le prove
tipiche, né possono costituire una compiuta e sufficiente catena di anelli presuntivi, ma solo,
concorrere, in un ragionamento induttivo, con altri elementi tratti dai risultati delle prove atipiche o
da fatti non contestati.
Tra le prove atipiche utilizzabili nel processo, può costituire fonte di convincimento del giudice la
perizia di parte, oppure la cd. contabilità “in nero”, risultante da appunti personali ed informali
dell’imprenditore, ovvero le indicazioni rinvenute su di un supporto magnetico, oppure, ancora, le
dichiarazioni rese in sede di verifica utilizzate dall’A.F., sono tutti elementi che possono costituire
validi elementi indiziari.
DIVERSE TIPOLOGIE DI PROVE: ACCESSO, RICHIESTA DI DATI, INFORMAZIONI,
CHIARIMENTI, CONSULENZA TECNICA,
DICHIARAZIONE DI TERZI : l’art.7 d.lgs. 546 del 1992 attribuisce alle Commissioni tributarie
gli stessi poteri istruttori conferiti all’ufficio dalle singole leggi d’imposta, ciò significa che i poteri
del giudice non sono sempre gli stessi ma variano col mutare del tributo oggetto della
controversia. La ratio della norma, attribuendo al giudice un potere analogo a quello
dell’amministrazione, garantisce un sostanziale riequilibrio tra le parti in contraddittorio; infatti
l’attribuzione delle medesime prerogative riconosciute all’ente impositore avrebbe il fine di
garantire al giudice di una possibilità di verifica ex post dell’istruttoria primaria, soprattutto laddove
i risultati di tale attività fossero contestati dalla parte privata. Ciò appare necessario in ragione del
fatto che non è previsto il diritto di partecipazione del contribuente alla fase
procedimentale istruttoria, in tal modo si riconosce ad un organo terzo e imparziale di verificare
la legittimità e la validità (ai fini decisori) degli elementi raccolti dall’Ufficio prima dell’emissione
dell’atto. Inoltre il giudice, al fine di acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, può
richiedere una consulenza tecnica (C.T.U.), nel caso in cui i documenti prodotti in giudizio e i fatti
notori non siano sufficienti per poter giudicare e sia necessario fare ricorso a speciali
conoscenze di carattere extragiuridico, richiedendo apposite relazioni; tale consulenza è sottratta
alla disponibilità delle parti ed è rimessa al potere discrezionale del giudice.
Nella libera formazione del proprio convincimento, il giudice potrà trarre considerazioni rilevanti ai
fini della decisione dalla consulenza tecnica richiesta. La Commissione, infine, potrà decidere di
rinnovare le indagini richieste dal perito, allorché i risultati raggiunti dalla consulenza già espletata
siano ritenuti insufficienti.

INUTILIZZABILITÀ DELLE PROVE ACQUISITE ILLEGITTIMAMENTE : prima di procedere alla


valutazione della prova il giudice tributario deve verificare che siano state rispettate tutte le
norme procedimentali che regolano l’attività istruttoria dell’A.F .; la prima forma di tutela
adoperata dal legislatore tributario, per contemperare l’interesse pubblico al prelievo con quello
attinente alla sfera personale dei privati, è l’istituto dell’autorizzazione, infatti la tutela della
libertà personale e quella di domicilio costituiscono il limite più rilevante all’esercizio della
potestà ispettiva.
In particolare il d.p.r. 633 del 1972 prevede che gli uffici finanziari e la Guardia di Finanza
possono disporre l’accesso dei propri impiegati a condizione che siano muniti di una apposita
autorizzazione; tale autorizzazione deve essere preventiva, ed è rilasciata in forma scritta, deve
indicare i locali dove è destinata a svolgersi l’azione ispettiva, nonché le generalità del funzionario
responsabile del procedimento ovvero il dipendente dell’Amministrazione al quale il contribuente
può rivolgersi per chiedere informazioni e chiarimenti e per inoltrare eventuali lamentele. Le
autorizzazioni sono rilasciate dal capo dell’Ufficio e congiuntamente a quella rilasciata dal
Procuratore della Repubblica per i locali adibiti promiscuamente ad abitazione privata ed
attività commerciale. Il provvedimento che autorizza alla perquisizione di un domicilio di un
soggetto, emesso dall’autorità competente, consente di acquisire in tale domicilio anche la
documentazione relativa ad altro soggetto, pur non menzionando il provvedimento stesso.
La giurisprudenza di merito e la Suprema Corte si sono espresse per l’inutilizzabilità degli
elementi probatori raccolti nel corso di accessi effettuati in mancanza dell’autorizzazione
del Procuratore della Repubblica, nonché in casi di insufficiente motivazione della stessa,
ritenendo che il giudice tributario, prima di utilizzare, ai fini della decisione, una prova, deve
verificare la regolarità della relativa acquisizione, in quanto non potrà porre a base della sua
decisione prove indebitamente raccolte; in particolare la Suprema Corte ha riconosciuto il
potere-dovere al giudice di verificare che la pretesa fiscale non trovi fondamento su prove
irritualmente acquisite in violazione degli artt. 13 e 14 Cost.

PARTE V – IL PRIMO GRADO DEL GIUDIZIO

LA PROPOSIZIONE DEL RICORSO : il ricorso alla competente Commissione tributaria


provinciale, va notificato all’ufficio che ha emanato l’atto entro 60 gg. dalla data in cui il
contribuente ha ricevuto il medesimo atto. Per le domande di rimborso alle quali l’Amministrazione
non ha dato risposta il ricorso si può produrre dopo 90 gg. dalla data di presentazione della
richiesta. Con la proposizione del ricorso si instaura solo il contraddittorio tra le parti; il ricorso deve
essere notificato all’ufficio che ha emesso l’atto contestato.

LA COSTITUZIONE DELLE PARTI : il ricorrente entro 30 gg. dalla proposizione del ricorso
deposita o trasmette a mezzo posta in plico raccomandato con avviso di ricevimento, a pena di
inammissibilità, nella segreteria della commissione tributaria adita, l’originale del ricorso notificato.
In caso di consegna o spedizione a mezzo di servizio postale la conformità dell’atto depositato a
quello consegnato o spedito è attestata conforme dallo stesso ricorrente.
L’inammissibilità del ricorso è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
Il termine perentorio di 30 gg. decorre dalla data in cui si propone il ricorso. Il termine di 60 gg.
previsto per la costituzione in giudizio della parte resistente, non è da considerarsi perentorio
bensì di natura chiaramente ordinatoria; la parte resistente può costituirsi anche
posteriormente ai suddetti 60 gg., ultimo termine va individuato fino a 20 gg. liberi prima della
discussione della lite.

LA PRODUZIONE DEI DOCUMENTI E I MOTIVI AGGIUNTI : l’integrazione dei motivi del


ricorso è ammessa entro il termine perentorio di 60 gg. dalla data in cui l’interessato ha notizia di
tale deposito; se è già stata fissata la trattazione della controversia, l’interessato, a pena di
inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione, che intende proporre motivi aggiuntivi.
Principio centrale del processo tributario è quello dell’immodificabilità della domanda;
infatti, proposto il ricorso, è fatto divieto al contribuente, salvo naturalmente che si tratti di
eccezioni rilevabili d’ufficio, di integrare i motivi già evidenziati nell’atto introduttivo del giudizio.
Tale principio non può essere derogato per volontà della avversa parte processuale manifestata
attraverso l’accettazione del contraddittorio, in quanto esso trova fondamento in un esigenza di
speditezza del processo tributario.

LA TRATTAZIONE DELLA CONTROVERSIA IN CAMERA DI CONSIGLIO O IN PUBBLICA


UDIENZA : la trattazione della controversia da parte del collegio può avvenire in camera di
Consiglio (modalità ordinaria) o in pubblica udienza. La trattazione in pubblica udienza può
essere richiesta da una delle parti mediante apposita istanza da depositare nella segreteria e
notificata alle altre parti costituite.
Se l’istanza è proposta correttamente la trattazione della controversia in pubblica udienza è
obbligatoria; nel caso in cui, nonostante la richiesta di pubblica udienza, la causa è trattata con il
rito camerale, la sentenza emessa è nulla per violazione del diritto alla difesa.

LA DECISIONE DELLA CONTROVERSIA: COMUNICAZIONE DEL DISPOSITIVO,


PUBBLICAZIOJNE E NOTIFICAZIONE DELLA
SENTENZA : la sentenza è resa pubblica nel testo integrale originale mediante deposito nella
segreteria della Commissione tributaria entro
30 gg. dalla deliberazione. La sentenza non pubblicata è giuridicamente inesistente. La
comunicazione del dispositivo alle parti costituite che il segretario della commissione deve
eseguire entro 10 gg. dal deposito ha valore meramente informativo, non assumendo neanche
rilevanza ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione, mentre il deposito da parte del
giudice rileva ai fini dell’esistenza della sentenza.
L’interesse alla notifica della sentenza è il decorso del cd. “termine breve” per l’impugnazione
innanzi alla Commissione tributaria Regionale (CTR) quindi in appello, in questo caso il termine
per l’appello sarà di 60 gg. dalla suddetta notificazione, o, in assenza di questa, di 6 mesi dalla
data di deposito della sentenza.
La notifica può essere fatta in 3 modi :
1) mediante ufficiale giudiziario (modalità prevista dal codice civile), in tal caso l’ufficiale
giudiziario consegna al destinatario copia autentica dell’atto di notifica, e restituisce l’originale
al ricorrente
2) spedizione postale, con plico senza busta, raccomandata e con avviso di ricevimento, in tal
caso le notifiche si considerano perfezionate alla data di ricezione
3) consegna diretta dell’atto alla controparte

1-SOSPENSIONE 2- INTERRUZIONE 3-ESTINZIONE DEL PROCESSO


1- SOSPENSIONE : l’ art. 39 del d.lgs. n.546 del 1992 prevede due casi di sospensione del
processo: a) quando è presentata querela
di falso e b) quando debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o
sulla capacità delle persone , escluso che si tratti della capacità di stare in giudizio; tale
ipotesi di pregiudizialità non si riferisce a rapporti di pregiudizialità interna cioè ai rapporti fra
giudizi pendenti dinanzi al giudice tributario, ma a rapporti di pregiudizialità esterna (tra giudice
tributario e giudice ordinario) . Oltre le cause previste dall’art.39 il processo è sospeso :
a) quando viene presentato regolamento preventivo di giurisdizione
b) quando viene sollevata una questione di costituzionalità
c) quando viene sollevata una questione di interpretazione delle norme comunitarie
d) quando viene presentato ricorso per la ricusazione del giudice
2- INTERRUZIONE : il processo è interrotto se, dopo la proposizione del ricorso si verifica :
a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle
parti, diversa dall’ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale
rappresentanza
b) la morte o la radiazione o sospensione dall’albo o dall’elenco di uno dei difensori incaricati
L’interruzione si ha al momento dell’evento se la parte sta in giudizio personalmente e nei casi
in cui la causa dell’interruzione riguardi il difensore. Negli altri casi,l’interruzione si ha quando
l’evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del
difensore della parte a cui l’evento si riferisce.
Durante la sospensione e l’interruzione non possono essere compiuti atti del processo; i termini
in corso sono interrotti e ricominciano a decorrere dalla presentazione del’istanza di trattazione.

3- ESTINZIONE : il processo tributario può estinguersi:


a) rinuncia al ricorso : la rinuncia deve essere sottoscritta dalla parte personalmente o da un
suo procuratore; la rinuncia acquista efficacia nel momento in cui sia accettata dalla
controparte costituita in giudizio che possa vere interesse alla prosecuzione del giudizio stesso
b) inattività delle parti : si verifica ogni qualvolta le parti non si attivano per porre in essere gli
atti del processo, dovuti o ordinati dal giudice
c) la cessazione della materia del contendere : quando viene meno l’oggetto del processo,
cioè si determina nei casi in cui cessa la causa che ha instaurato la controversia tra le parti,
come ad es. quando avviene la conciliazione; o quando l’amministrazione ritira l’atto impugnato
esercitando il suo potere di autotutela

LA SOSPENSIONE DELL’ATTO IMPUGNATO : l’istanza di sospensione è un atto incidentale


che può essere formulato solo nel caso in cui sia instaurato il processo principale sull’atto
impugnato. Con tale domanda il contribuente chiede alla Commissione tributaria provinciale
l’esecuzione dell’atto impugnato in considerazione della sussistenza di due propositi: il fumus
boni iuris (ossia la probabile fondatezza del ricorso) ed il periculum in mora (ossia che nelle more
del processo si verifichi un danno grave ed irreparabile).
La decisione in merito alla domanda cautelare spetta alla commissione adita, tuttavia in caso di
eccezionale urgenza il presidente con decreto può disporre la provvisoria sospensione
dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio. Il collegio decide in camera di consiglio dopo aver
sentito le parti e dopo aver delibato il merito; il collegio stesso provvede con ordinanza motivata
non impugnabile. La sospensione può essere anche parziale e subordinata alla prestazione di
idonea garanzia; gli effetti della sospensione cessano con la pubblicazione della sentenza di primo
grado

LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE : nel processo tributario le parti possono trovare un


accordo tramite la conciliazione; la conciliazione può essere conclusa solo davanti la
commissione tributaria provinciale e quindi, non oltre la prima udienza. La ratio sottesa a
tale previsione normativa va, senza dubbio, individuata nell’esigenza di potenziare la portata
definitiva dell’istituto cercando di evitare atteggiamenti attendisti.
La conciliazione comporta per il contribuente innanzitutto il beneficio della riduzione delle sanzioni
fino ad un terzo di quanto irrogato; altro beneficio previsto è la riduzione della pena consentita può
essere superiore ad un terzo delle pene previste per i reati tributari.
Nella legge non è posto nessun limite alla possibilità di conciliare, ma ciò non significa per
l’Amministrazione di comportarsi arbitrariamente, l’Amministrazione, quindi, non può accedere
ad alcuna soluzione che non appaia conforme al diritto e che non rappresenti la giusta
composizione della lite: dal punto di vista oggettivo l’accordo può sicuramente investire il
quantum dell’obbligazione, più complessa è la problematica per quanto concerne l’an.
La conciliazione può riguardare tutte le questioni oggetto della controversia e in questo
caso si avrà estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere; se invece la
conciliazione riguarda solo alcune questioni si avrà estinzione del giudizio limitatamente alle sole
questioni conciliate. La conciliazione può avvenire sia in sede extraprocessuale che in sede
processuale :
● In sede extraprocessuale : il procedimento conciliativo fuori udienza si instaura mediante il
deposito, da parte dell’ente impositore, di una proposta conciliativa a cui il contribuente abbia
preventivamente aderito
● In sede processuale : ciascuna delle parti costituite può proporre all’altra la conciliazione
totale o parziale della controversia, la conciliazione può essere proposta anche dalla
commissione. Quando viene raggiunto l’accordo è redatto un processo verbale che chiude il
giudizio, e che costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute; qualora una delle parti
abbia proposto l’accordo e questo non riesca a raggiungersi nel corso della prima udienza, la
commissione può assegnare un termine non superiore a 60 gg. per la redazione di una
proposta che successivamente seguirà il procedimento di conciliazione fuori udienza
La conciliazione è sottoposta al vaglio del Presidente della commissione o del collegio,
tale controllo è di mera legittimità formale e sostanziale, teso quindi alla sola verifica del
rispetto dei termini, della competenza e del contenuto obbligatorio della proposta; quindi il
controllo del giudice non è un controllo di merito che investe la congruità dell’accordo o
l’opportunità dell’accordo stesso.
Il perfezionamento dell’accordo (adempimento dell’obbligazione) è recepito o mediante il
decreto di estinzione del giudizio (in caso di conciliazione fuori udienza) o tramite un apposito
processo verbale (il verbale di conciliazione in sede processuale), dai quali risultano indicate le
somme dovute per imposte, sanzioni ed interessi; sia il decreto di estinzione che il processo
verbale costituiscono titolo per la riscossione delle somme dovute, pagabili in unica soluzione o in
forma rateale a decorrere dalla data di comunicazione del decreto di estinzione o dalla data di
redazione del processo verbale: in caso di mancato pagamento, anche di una sola rata, il
competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate provvede all’iscrizione a ruolo delle somme dovute.

PARTE VI – LE IMPUGNAZIONI

PREMESSA
I mezzi d’impugnazione esperibili nel processo tributario sono: l’appello alla Commissione
tributaria regionale contro le sentenze della Commissione tributaria provinciale; il ricorso per
Cassazione contro le sentenze della Commissione tributaria regionale; la revocazione contro le
sentenze di primo e secondo grado. Si considerano mezzi di impugnazione “ordinaria” l’appello,
il ricorso per cassazione e la revocazione ordinaria, le sentenze passano in giudicato quando non
possono essere più impugnate con tali mezzi; costituisce, invece, mezzo di impugnazione
“straordinaria” la revocazione proponibile contro le sentenze passate in giudicato. Non sono
proponibili né l’opposizione di terzo, né il regolamento di competenza

L’APPELLO : per il deposito in Commissione tributaria, sia del ricorso introduttivo del giudizio dia
del ricorso in appello:
² consegna diretta o spedizione a mezzo del servizio postale
² attestazione di conformità, da parte del ricorrente, dell’atto depositato a quello consegnato o
spedito
² inammissibilità del ricorso rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio
Costituisce causa d’inammissibilità non la mancata attestazione, da parte
dell’appellante, della conformità tra il documento depositato e il documento notificato,
ma solo la loro effettiva difformità. In caso di contumacia del resistente o dell’appellato si è
evidenziato che: qualora l’appellato sia rimasto contumace, venendo a mancare in radice la
possibilità di riscontrare e denunciare la difformità, s’impone la declaratoria dell’inammissibilità
dell’appello. L’atto di appello deve essere proposto nel termine di 60 gg. dalla notificazione
della sentenza di primo grado; in mancanza di notificazione si considera il termine lungo di 6 mesi
dalla data di deposito della sentenza.
Nel procedimento di appello, l’atto deve contenere a pena di inammissibilità l’indicazione del
giudice adito, dell’appellante e delle parti nei cui confronti l’appello è proposto, gli estremi della
sentenza impugnata, l’espropriazione dei fatti; l’oggetto della domanda ed i motivi specifici
dell’impugnazione, nonché recare la sottoscrizione del difensore o della parte, sia nell’originale che
nelle copie.
ã Nuove prove : il giudice di appello non può disporre di nuove prove, salvo che non le
ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel
precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile; è ancora riconosciuta, però, alle
parti la facoltà di produrre nuovi documenti: di conseguenza è condivisibile l’impostazione in
base alla quale il giudizio di appello non costituisce una revisio prioris instantie, bensì un “nuovo
giudizio”. Tuttavia la facoltà di produrre nuovi documenti non può eludere il divieto di ampliamento
dell’oggetto della decisione che fissa il divieto di produrre nuove domande e nuove eccezioni che
non siano rilevabili d’ufficio in grado di appello pena l’inammissibilità.
In ordine ai capi che hanno formato oggetto di impugnazione si determina l’effetto devolutivo in
base al quale le deduzioni ed i materiali acquisiti in primo grado passano automaticamente
all’attenzione del secondo giudice. Le decisioni d’appello possono avere un contenuto soltanto
processuale (decisione di inammissibilità dell’appello, di remissione al primo giudice, di estinzione
del giudizio di appello) o di merito (dette decisioni sostituiscono quelle di primo grado sia nel caso
in cui accolgono l’appello sia nel caso respingono l’appello).
ã Cause di rimessione al 1° grado: il giudice d’appello deve rimette la causa al primo giudice
quando: a) dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice, b)
quando nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o
integrato, c) quando la sentenza impugnata ha erroneamente dichiarato estinto il processo in sede
di reclamo contro il provvedimento presidenziale, d) quando il collegio della commissione tributaria
provinciale non era legittimamente composto; e) quando manca la sottoscrizione della sentenza di
primo grado.

IL RICORSO IN CASSAZIONE : le sentenze della commissioni tributarie regionali sono


impugnabili dinanzi alla Corte di Cassazione, al ricorso in Cassazione si applicano le norme dettate
dal codice di procedura civile in quanto compatibili con il d.lgs. 546 del 1992.
ã Motivi per il ricorso alla Cassazione : il ricorso per Cassazione (art.360 c.p.c.) è proponibile
per: a) motivi attinenti alla giurisdizione, b) per violazione delle norme sulla
competenza, c) per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e
accordi collettivi nazionali di lavoro, d) per nullità sella sentenza o del procedimento, e) per
omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio.
ã Procedimento : il termine per proporre ricorso in Cassazione è quello breve di 60 gg. dalla
notificazione della sentenza della commissione tributaria regionale, se la sentenza non è notificata
vale il termine lungo di 6 mesi dal deposito della stessa. Il ricorso per cassazione deve essere
sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto nell’apposito albo munito
di procura speciale (cassazionista). Nel caso in cui viene accolto il ricorso, il giudizio di
cassazione si conclude con una sentenza che annulla la sentenza impugnata senza rinvio o con
rinvio; il rinvio si opera generalmente dinanzi alla Commissione tributaria regionale, in alcuni casi
dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.
La cassazione si può pronunciare eccezionalmente sul merito , ma solo nel caso in cui siano
necessari ulteriori accertamenti di fatto. La riassunzione del giudizio tributari di merito deve
avvenire entro il termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza della Suprema
Corte che ha cassato la sentenza, rinviando la causa al giudice di primo o di secondo grado; se la
riassunzione non avviene entro il predetto termine o si avvera successivamente a essa una causa
di estinzione del giudizio di rinvio, “l’intero processo si estingue”. Sul punto è opportuno
considerare che la mancata riassunzione dopo l’intervento di una sentenza di cassazione con
rinvio, fa sì che l’atto impositivo originariamente impugnato diviene definitivo, legittimando
l’iscrizione a ruolo di imposte, sanzioni ed interessi.
Nel giudizio di rinvio le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel
procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste
diverse da quelle prese in tale procedimento gli adeguamenti di cui alla sentenza di cassazione.

LA REVOCAZIONE : a differenza dell’appello, impugnazione a carattere generale e a critica libera,


la revocazione è un impugnazione limitata, a critica vincolata, proponibile solo in ordine ai motivi
tassativamente indicati dalla legge non suscettibili di integrazione analogica. La revocazione delle
sentenze delle commissioni tributarie è possibile per motivi:
² di revocazione ordinaria : si tratta di motivi palesi intrinseci alla sentenza (errore di fatto e
contrasto con il precedente giudicato); il termine per farli valere è quello ordinario di 60 gg.
dalla notificazione della sentenza o di sei mesi dal deposito della sentenza in caso di mancata
notificazione della stessa
² di revocazione straordinaria : trattasi di motivi occulti esteriori alla sentenza (costituiti
dal dolo della parte, falsità della prova, ritrovamento di documenti decisivi, dolo del giudice)
che possono essere scoperti dalla parte interessata anche più in là nel tempo: il termine per
proporre l’impugnazione decorre dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza del motivo
legittimante
Sono soggette a revocazione : a) le sentenze della commissioni tributarie provinciali passate in
giudicato, limitatamente alla revocazione straordinaria; se non sono passate in giudicato è
sempre esperibile l’appello; b) le sentenze delle commissioni tributarie regionali sia per
revocazione ordinaria che straordinaria; c) le sentenze della Corte di Cassazione in caso di errore di
fatto.
Il ricorso di revocazione, a pena di inammissibilità, deve contenere gli stessi elementi del ricorso
in appello e la specifica indicazione del motivo di revocazione. Allo svolgimento del processo in
esame si applicano le regole dettate per il procedimento dinanzi alla commissione adita.

PARTE VII – L’ESECUZIONE DELLE SENTENZE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE

IL PAGAMENTO DEL TRIBUTO E DELLE SANZIONI PECUNIARIE IN PENDENZA DEL


GIUDIZIO
Il d.lgs. 546 del 1992 (art.68) disciplina il “pagamento frazionato” in pendenza del processo,
pertanto anche per quanto previsto, in deroga del decreto (546/1992), dalle singole leggi
d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto del giudizio dinanzi
alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato :
a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso
b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale,e
comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso
c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale
La riscossione frazionata è sempre stata intesa come strumento di temperamento della normale
esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, in funzione cautelare delle ragioni sia del
contribuente che della Pubblica amministrazione.
Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla
sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi
fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro 90 gg. dalla notificazione della sentenza. Per dare
esecuzione ai provvedimenti giudiziari non occorre attendere la notifica della sentenza favorevole
al contribuente, le somme devono essere restituite entro 90 gg. dalla comunicazione del
dispositivo della sentenza da parte della segreteria della commissione tributaria all’ufficio. Tale
obbligo è riferito alle sentenze delle commissioni tributarie regionali, ma si ritiene che lo stesso
obbligo anche alle commissioni tributarie regionali ed alla commissione tributaria centrale.

LA CONDANNA DELL’UFFICIO AL RIMBORSO : <<Se la commissione condanna l’ufficio del


Ministero delle Finanze o l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione al pagamento
di somme, comprese le spese di giudizio, e la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria
ne rilascia copia spedita in forma esecutiva>> (art. 69 d.lgs. 546/1992); detta norma obbliga
l’Amministrazione ad effettuare il rimborso soltanto in esecuzione di sentenze passate in giudicato.
L’Agenzia deve provvedersi sollecitamente, con abbandono del contenzioso in ogni stato e
grado del giudizio anche in assenza di sentenza; la stessa Agenzia sottolinea che tali rimborsi
devono effettuarsi in via prioritaria rispetto ad altre tipologie di rimborso spettanti ad i contribuenti,
al fine di evitare giudizi di ottemperanza o procedure di esecuzione forzata con conseguente
aggravio di lavoro e spese a carico
degli Uffici.

IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA : l’ottemperanza è azionata nel caso in cui, a seguito di un


giudicato l’A.F. non ottemperi all’obbligo di restituzione di somme derivanti da rimborso o da
importi già versati in virtù della riscossione in pendenza di giudizio.
Il giudice, anche mediante nomina di un commissario ad acta, adotta provvedimenti in luogo
dell’amministrazione inadempiente. Il giudizio di ottemperanza e l’espropriazione forzata sono
mezzi a disposizione del contribuente alternativi e cumulativi, il giudizio di ottemperanza è
strumentale all’adozione di provvedimenti di merito in luogo dell’amministrazione inadempiente. Lo
scopo del procedimento di ottemperanza è quello di rendere effettivo il comando
contenuto nelle sentenze definitive dei giudici tributari.
ã Procedimento : il ricorso deve essere proposto dopo la scadenza del termine entro il quale
è prescritto dalla legge l’adempimento dell’ufficio del Ministero delle finanze o dell’Ente locale
all’obbligo posto a carico della sentenza. Il contribuente dovrà, tramite l’ufficiale giudiziario
mettere in mora l’amministrazione ed attendere 30 gg. per poi proporre il ricorso dimostrando
proprio la messa in mora che integra l’unica condizione di procedibilità del giudizio in oggetto.
Competente a giudicare sull’ottemperanza è la commissione tributaria provinciale, qualora la
sentenza sia passata in giudicato sia da essa pronunciata, in ogni altro caso la competenza è
attribuita alla commissione tributaria regionale. I provvedimenti emessi nel giudizio di
ottemperanza sono immediatamente esecutivi.

IL GIUDICATO TRIBUTARIO : il passaggio in giudicato della sentenza si verifica a seguito del


decorso dei termini di impugnazione della sentenza. Il giudicato in senso formale riguarda si alle
sentenze aventi contenuto meramente processuale, sia le sentenze di merito; la cosa giudicata in
senso sostanziale è invece riferibile esclusivamente alle sentenze di merito.
Bisogna ancora distinguere tra giudicato interno e giudicato esterno (formatosi in altro
processo; la Corte di Cassazione ha operato un ridimensionamento all’efficacia ultra litem del
giudicato tributario : la valenza del giudicato esterno in materia tributaria sarebbe da ricondursi a
quella di un mero precedente. La ragione della mancata estensione del giudicato penale in
ambito tributario deriva dai differenti regimi probatori dei due processi: in particolare, il giudice
tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati
tributari, deve in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad
operare.

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