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DIRITTO DELL’ENERGIA

Ci occuperemo di quei settori energetici che sono più importanti per il Legislatore perché rispondono ad un
preminente interesse pubblico e quindi sono disciplinati in modo tendenzialmente esaustivo, da una
disciplina anzitutto europea e poi anche nazionale (statale e regionale): settore elettrico e settore del gas
naturale. Fattori comuni che si ritrovano in ogni regolamentazione di settore nel diritto dell’energia sono: a)
una regolamentazione dettagliata di natura pubblicistica e multilivello (cioè europea, statale, regionale e
provinciale nelle due province autonome); b) un intreccio di molteplici interessi pubblici e privati.

Il settore elettrico e il settore del gas naturale sono caratterizzati da alcuni elementi comuni:
1) La filiera produttiva: l’insieme cioè delle attività che compongono l’industria dell’energia elettrica e del
gas. Questa filiera si compone di varie attività, le più importanti delle quali sono: l’approvvigionamento, il
trasporto, la distribuzione e la vendita.
- Approvvigionamento: le uniche due modalità con cui approvvigionarsi di energia sono la produzione
nazionale e l’importazione dall’estero.
- Trasporto: che è il veicolamento dell’energia dai luoghi in cui viene prodotta o importata, sulle reti ad alta
e altissima tensione;
- Distribuzione: cioè il trasporto dell’energia sulle reti a media o bassa pressione; l’energia infatti per essere
consumata deve essere trasformata in media bassa tensione e trasportata fino alla casa dell’utente finale.
- Vendita: che non è più attività di rete ma una mera attività commerciale di fornitura di energia al cliente
finale che la compra. 

2) L’esistenza dei monopoli naturali: si ha un monopolio naturale quando è più economico ed efficiente che
una certa attività la svolga una sola impresa rispetto a quando ci sono più imprese che operano in quel settore
(per cui “naturale” nel senso che è la natura di quella attività a dettare che sia più conveniente un regime di
monopolio). I mercati dell’energia e del gas sono monopoli naturali per quanto riguarda la gestione delle reti,
delle infrastrutture: le reti su cui passa energia o gas sono quindi tendenzialmente gestite da un solo soggetto.
In alcune delle fasi di rete o infrastrutturali non ci possono essere delle duplicazioni di rete perché ciò
sarebbe inefficiente.

3) L’esistenza di una disciplina di derivazione sostanzialmente europea e tendenzialmente sistematica


della materia. I riferimenti normativi sono D.lgs.79/1999 e successive modifiche (detto “decreto Bersani”
che recependo un’apposita direttiva europea disciplina il settore dell’energia elettrica) e D.lgs.164/2000
(detto “decreto Letta” che disciplina il settore dei gas naturali).

4) La presenza di una pluralità di interessi pubblici e privati che si intersecano tra loro e che spesso
sono in contrasto: es l’interesse alla sicurezza dell’approvvigionamento (nel senso che è necessario poter
disporre in ogni momento della quantità di energia e di gas necessaria per le nostre attività quotidiane);
l’interesse a che vi siano adeguate garanzie del servizio pubblico a tutela degli utenti (nel senso che il
servizio pubblico deve garantire una fornitura sufficiente e a prezzi sostenibili/accessibili agli utenti);
l’interesse alla tutela della concorrenza (tra le imprese che operano in questi settori, in particolare quello
elettrico); l’interesse alla tutela dell’ambiente e del paesaggio (la problematica si è posta in particolare con
riferimento all’installazione di parchi eolici: molte p.a., regioni, comuni, hanno presentato ricorsi per
opporvisi perché danneggiavano il paesaggio - interesse configgente con quello ad ottenere energie
rinnovabili).

Peraltro tra i due settori in questione vi sono anche delle differenze:


a) L’energia elettrica si può produrre, materialmente parlando, sostanzialmente in qualsiasi luogo; per
produrre gas è invece necessario che vi sia un giacimento di gas (l’Italia non è un paese con grandi
disponibilità di gas, il nostro fabbisogno di gas naturale è soddisfatto solo per il 10% dalla produzione
nazionale; Russia, Algeria, Tunisia e Libia sono i nostri fornitori principali).
b) La 2° differenza attiene all’immagazzinamento dell’energia: l’energia elettrica per natura non è stoccabile;
va prodotta e messa in rete e consumata istantaneamente, motivo per cui attività fondamentale per il sistema
elettrico è il “dispacciamento” cioè l’attività di bilanciamento costante tra la quantità di energia elettrica
immessa nella rete e la quantità di energia elettrica che viene consumata (oggi è la società pubblica quotata
“Terna” che garantisce questo bilanciamento). Il gas invece è stoccabile.
EVOLUZIONE STORICA SETTORE DELL’ENERGIA
Essenzialmente si possono individuare 3 fasi dell’intervento pubblico nel settore dell’energia:

1) Fase dello STATO NEUTRALE (o “liberale”) - dall’Unità d’Italia (1861) ai primi decenni del 1900: in
cui lo stato si limitò a fissare la cornice normativa del fenomeno energetico lasciando l’attività
imprenditoriale in mano ai privati.
La prima questione che il legislatore si trovò ad affrontare, vista l’evoluzione tecnologia del tempo che
consentì l’inizio dello sfruttamento di gas ed energia, fu la qualificazione del concetto di “energia” ai fini
civilistici e penalistici.
Al riguardo si sollevò un dibattito dottrinal-giurisprudenziale: il filone dottrinale riteneva l’energia, in quanto
isolabile, qualificabile come cosa/bene, quindi potenziale oggetto di diritti da parte dei privati od enti
pubblici (e quindi il contratto di fornitura d’energia un contratto di somministrazione); il filone
giurisprudenziale invece qualificava l’energia come oggetto di un servizio, e cioè la fornitura e vendita
dell’energia ai consumatori (e quindi il contratto di fornitura d’energia come appalto).
La situazione è stata risolta dai codici, sia dal Codice penale (1930), che da quello civile (1942), che
qualificano ogni energia suscettibile di avere un valore economico (quindi sia quella elettrica che il gas)
come beni mobili. Rilevano al riguardo:
- L’art. 624 Co2 cp: “agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni
altra energia che abbia un valore economico”. Ne consegue che la sottrazione di energia integra la
fattispecie delittuosa del furto, espressamente definito “impossessamento della cosa mobile altrui” dal primo
comma del medesimo articolo 624.
- L’art.814 cc: “si considerano beni mobili le energie naturali aventi valore economico”. Ne consegue che il
contratto di fornitura di energia viene qualificato come una specifica ipotesi di contratto di somministrazione
con il quale “una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire a favore dell’altra, prestazioni
periodiche o continuative di cose.

La seconda questione che il legislatore si trovò ad affrontare, fu disciplinare l’accesso alle fonti di energia
(quali beni pubblici) da parte delle imprese. Le due discipline legislative fondamentali sono:
- Il Regio Decreto 1443/1927 c.d. Legge Mineraria: che disciplina in particolare il settore degli idrocarburi
(quindi anche del gas) che in base al cc appartengono - così come le miniere - al patrimonio indisponibile
dello stato, e sono quindi beni pubblici.
- Il Regio Decreto 1775/1933 (cioè il T.U. sulle Acque Pubbliche): che stabilì che l’acqua è un bene
pubblico appartenente al demanio dello stato.
La disciplina sulle acque pubbliche è ancora oggi regolata per larga parte da questo testo unico, il quale
peraltro ha introdotto una particolare magistratura: i giudici delle acque, che sono giudici ordinari in quanto
le controversie in materia di acque pubbliche riguardano diritti soggettivi. Si distinguono al riguardo:
A) I tribunali regionali delle Acque pubbliche (TRAP): istituiti presso le corti d’appello, sono 8 in tutta
Italia (Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e a Cagliari) .
Esempio: quando un privato vuole usare acqua pubblica per produrre energia, ottenuta la concessione, deve
pagare un corrispettivo, il canone di concessione. Se il soggetto privato ritiene di dover pagare un canone
minore perché l’ente ha commesso un errore nella valutazione, si rifà al tribunale regionale delle acque
pubbliche. Le sentenze possono puoi essere impugnate presso il giudice d’appello (TSAP).
B) Il tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP): che ha sede presso il palazzo della Cassazione a
Roma, è composto in parte da giudici di cassazione e in parte da giudici del consiglio di stato, e che ha la
doppia natura di giudice d’appello delle sentenze dei TRAP e di giudice di primo grado per le impugnazioni
dei provvedimenti amministrativi in materia di acque pubbliche (in quest’ultimo caso è possibile fare appello
dinnanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione). Per cui in caso di controversie su interessi legittimi, es l’amministrazione
respinge la richiesta di concessione del privato, non bisogna andare presso il tribunale regionale ma direttamente presso il TSAP.

La prospettiva liberistica dello stato neutrale sta nel fatto che le attività di sfruttamento di questi beni
vengono lasciate ai privati attraverso il rilascio di un provvedimento di concessione col quale la p.a.
costituisce in favore di questi il diritto ad utilizzare beni pubblici.
L’unica eccezione di rilievo è costituita dalla “municipalizzazione” cioè la presa in gestione diretta da parte
degli enti locali e delle regioni attraverso imprese di diritto pubblico (c.d. “municipalizzate”) della fornitura,
vendita e distribuzione di energia (non invece della produzione).
2) Fase dello STATO IMPRENDITORE - dagli anni ’20/30 agli anni ’90: in cui lo stato diventa
imprenditore intervenendo direttamente nel settore, dapprima con l’istituzione di imprese statali che operano
nei settori energetici e in un secondo momento riservando a sé il monopolio di alcune attività nel settore del
gas (dove però si creerà un monopolio di fatto in favore dell’Eni) e il monopolio totale e legale (in quanto
fondato sull’art.43 cost) nel settore energetico in favore dell’Enel (a cavallo tra anni ’50 e ’60).

La volontà politica dei governi del tempo di attuare un intervento pubblico nel settore nacque dal fatto che le
grandi imprese private entrate nel business dell’energia si erano divise il territorio nazionale tra loro creando
veri e propri oligopoli privati; non si era quindi sviluppata una vera e propria concorrenza, e questo
comportava tariffe molto alte e sviluppo delle infrastrutture insufficiente (ogni operatore si interessava alla
propria zona e non alla interconnessione con le altre).
Lo stato cominciò così, già nei primi anni ’20, ad istituire delle imprese pubbliche nel settore del gas e del
petrolio, in particolare: l’AGIP (che si occupava di idrocarburi) e la SNAM (che si occupava di importazione
di gas e di trasporto, che esiste ancora oggi).
Inoltre anche nel settore dell’energia acquisì (soprattuto attraverso l’IRI - Istituto per la ricostruzione
industriale) tutta una serie di imprese ed entrò nel mercato, tanto che nel 1952 il 26% dell’energia elettrica
nazionale viene prodotta dallo stato tramite le società partecipate dall’IRI.

A partire dagli anni ’50 questi interventi vengono ritenuti insufficienti per un coordinamento e uno sviluppo
adeguato dei settori energetici: in particolare le reti in alcune zone del territorio nazionale non erano
sufficientemente sviluppate e s’è detto di come s’erano andati creando oligopoli privati a danno della
concorrenza.
Per effettuare un intervento più incisivo nel settore si decise dunque di applicare l’art.43 cost nel settore
energetico al fine di monopolizzarlo. Esso infatti stabilisce che
“A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire mediante espropriazione e
salvo indennizzo, allo stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti,
determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di
energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
È evidente che le imprese in esame rispondevano ai requisiti richiesti nell’art.43 per procedere a
espropriazione:
- I fini di utilità generale nel settore dell’energia erano evidenti: consentire uno sviluppo delle reti e una
fornitura di energia ad un prezzo ragionevole e a condizione di efficienza e qualità;
- Si trattava per le stesse ragioni di imprese con carattere di preminente interesse generale;
- Tali imprese inoltre rientravano nelle 3 tassative categorie di imprese che possono essere oggetto di
intervento statale: imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia, a situazioni di
monopolio (nel campo dell’energia, avevamo visto che erano nate degli oligopoli privati).

Questo articolo ricevette applicazione sia nel settore degli idrocarburi che nel settore dell’energia elettrica.

A) Settore degli IDROCARBURI: dal punto di vista cronologico fu il primo settore (rispetto a quello
dell’energia elettrica) ad essere interessato dall’applicazione dell’art.43. In questo settore intervenne la
l.136/1953 che istituì l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) assegnandogli alcune attività della filiera del gas;
sulla base di tale riserva si realizzerà però un “monopolio di fatto” in tutte le attività del gas.
L’ENI è sostanzialmente una holding che possiede partecipazioni azionarie di varie società energetiche che
operano nei vari settori (AGIP, SNAM ecc); così facendo interviene in tutta la filiera del gas. Essendo un
ente pubblico, il potere di vigilanza e direzione dell’ENI spetta comunque allo stato.
Questo fenomeno in cui un soggetto riesce ad occuparsi di tutte le diverse attività di una filiera, in economia
viene definito “integrazione verticale”.
I principali motivi dell’intervento in questo settore furono che: negli anni ’50 erano stati scoperti giacimenti
di gas in valle padana e lo stato voleva assicurarne una gestione efficiente; inoltre c’era la necessità di una
gestione pubblica unitaria delle attività del settore, per garantire gli approvvigionamenti nazionali.
Lo strumento individuato per realizzare questo fine fu l’ENI, un ente con personalità di diritto pubblico a cui
venne conferito in esclusiva ex art.43 cost il diritto di svolgere attività di ricerca e coltivazione di
idrocarburi in val padana (una riserva quindi limitata, sebbene tuttavia ENI svilupperà un monopolio di
fatto; qui giacimenti dunque, non potevano essere sfruttati dai soggetti privati).
[ Quindi vi è una deroga della l.136/53 a quella legge mineraria del 1927 per cui le miniere erano patrimonio
indisponibile dello stato e i privati potevano ottenere le concessioni di sfruttamento].
Inoltre, ENI viene avvantaggiata dal punto di vista normativo per quanto riguarda la costruzione di gasdotti.

Per quanto riguarda come ENI riuscì a creare tale monopolio bisogna avere riguardo a:
- Produzione: quasi la totalità del gas nazionale veniva prodotta da ENI mediante AGIP (che diventa
monopolista a livello produttivo, controllata dalla holding ENI). Ciò si verifica perché la quasi totalità dei
giacimenti era situata in val padana.
- Importazione dall’estero: pur se giuridicamente è un’attività libera, è quasi interamente in mano a SNAM
(monopolista a livello di importazioni, controllata dalla holding ENI), questo per ragioni tecniche,
economiche e politiche; infatti l’Italia deve importare la maggior parte della materia prima da stati con cui
spesso è difficile dialogare e mediante contratti di acquisto a lunga durata per grandi quantitativi di gas da
importare, che richiedono una parte contrattuale di peso e che dia le giuste garanzie finanziarie: solo una
società controllata dallo stato può avere tali requisiti (si pensi alla clausola “take or pay”, per cui
l’acquirente di gas deve pagare un certo importo anche a prescindere dal fatto che poi ritiri effettivamente
il gas).
- Trasporto: in Italia lo sviluppo delle reti di trasporto è stato fortemente collegato alla realizzazione delle
reti di importazione; anche in questo caso ENI opera mediante SNAM.
- Distribuzione e vendita: per quanto attiene a distribuzione e vendita non si può parlare di monopolio;
ITALGAS è quella dell’ENI; ma in questa parte della filiera avevano acquistato molta importanza i
comuni, in particolare le aziende comunali che erogano il servizio.

B) Settore dell’ENERGIA ELETTRICA: qui la nazionalizzazione fu invece pressoché integrale; la


l.1643/1962 istituì l’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) introducendo un vero e proprio “monopolio
legale” dell’energia elettrica (salvo qualche limitata eccezione).
Il provvedimento di riservare allo stato tutto il settore dell’elettricità venne posta come condizione politica
dal partito socialista del tempo per l’appoggio al governo che si stava formando (DC + partito socialista),
mentre forze politiche come il partito liberale erano contrarie e sostenevano che si potesse conseguire gli
stessi obiettivi con un’azione di coordinamento dei privati. Gli obiettivi erano: a) sviluppare le infrastrutture
per garantire l’adeguatezza del servizio sul territorio nazionale; b) benefici per gli utenti, soprattutto in
termini di prezzi; c) nazionalizzare la produzione.
L’approvazione della l.1643/62 comportò l’istituzione dell’ENEL (che peraltro, a differenza di ENI, è un
“Ente operativo” che non ha società partecipate ma opera direttamente, sotto il potere di direzione e controllo
del governo), la riserva a questa ex art.43 cost di tutte le attività della filiera dell’energia elettrica sull’intero
territorio nazionale (produzione, importazione, trasporto e vendita) nonché l’espropriazione (dietro colossale
indennizzo che tuttora pesa sul debito pubblico) e il trasferimento all’ENEL delle imprese elettriche esistenti.

Nacque così il monopolio legale nazionale sull’energia elettrica.


In realtà la nazionalizzazione del settore fu quasi integrale: vi furono infatti delle limitate eccezioni
riguardanti gli autoproduttori (soggetti che producono energia elettrica per impiegarla nelle attività
economiche), le piccole imprese elettrice (sotto certe soglie) e le aziende municipalizzate (a cui fu consentito
di continuare l’attività; es l’azienda energetica di Merano e di Bolazno).

Effetto della nazionalizzazione fu: l’eliminazione della concorrenza dal settore nella produzione, nelle
gestioni delle reti, nell’acquisto e nella vendita di energia elettrica.
Tuttavia tale nazionalizzazione generò un ampio contenzioso in ordine alla legittimità costituzionale e
comunitaria del provvedimento (l.1643/1962), il famoso caso Costa vs ENEL (noto per aver stabilito la
preminenza del diritto comunitario sul diritto nazionale).

Il caso vide l’avvocato Flaminio Costa, titolare di alcune azioni di una società che è stata nazionalizzata, non
pagare una piccola fattura dell’ENEL per andare in processo e verificare la costituzionalità e la conformità al
diritto comunitario della legge di nazionalizzazione.
La questione venne rimessa dal giudice di Milano alla corte costituzionale che si pronuncerà nella
sentenza 7 Marzo 1964 n°14.
Corte Cost.: sentenza 7 marzo 1964, n°14:
Le questioni sollevate dinnanzi alla corte furono:
1) Violazione del divieto di mandato imperativo: il giudice di Milano aveva constatato la violazione di tale
divieto previsto all’art.67 cost, in quanto molti parlamentari nel votare la legge di nazionalizzazione avevano
precisato di averla votata per vincolo di partito.
La Corte costituzionale invece disse che la legge non è contrastante con la costituzione solo perché il
parlamentare ha seguito il vincolo del partito, se no qualunque legge potrebbe essere messa in discussione
per tale motivo.
2) Violazione dell’art. 43 Cost.: il giudice di Milano aveva constatato la violazione, da parte della legge di
nazionalizzazione, dell’art.43 in quanto non diceva quali fossero i fini di utilità generale a giustificazione
dell’utilizzazione dell’articolo.
La Corte costituzionale invece dice: la legge non deve essere motivata, il provvedimento legislativo non è
quello come quello amministrativo che deve essere motivato. Oltre a ciò, sia dal testo della legge sia dai
lavori parlamentari emergono i fini che la legge vuole perseguire.
3) Violazione dell’articolo 41 Cost.: che tutela la libertà economica privata: la Corte però al riguardo osserva
come la corretta applicazione dell’art.43 non comporti violazione dell’art.41.
4) Violazione dell’articolo 11 Cost. per contrasto con il trattato CE: la Corte fa un ragionamento che verrà
superato dal giudice comunitario, dicendo: il trattato del 1957 è stato recepito in Italia con un ordine di
esecuzione e con una legge ordinaria, come la legge di nazionalizzazione del 1964. Quindi questi due atti
sono sullo stesso piano della gerarchia delle fonti, quindi la legge successiva può modificare o abrogare la
legge precedente e può superare il trattato. Quindi la Corte rigetta la questione costituzionale sollevata dal
giudice di Milano e ritiene conforme alla costituzione la legge di nazionalizzazione.

La questione torna al giudice a quo che istruisce una questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di giustizia
Europea, per presunta violazione di norme del trattato che vietavano la creazione di monopoli da parte degli
stati membri, nell’ottica di promozione della concorrenza in un mercato comune europea.

Sentenza Corte di giustizia CE, 15 luglio 1964, C. 6/64: Costa/ENEL: in caso di contrasto tra legge
italiana successiva e diritto europeo precedente prevale la norma europea. Da questo punto di vista sembra
essere favorevole a Costa, egli ha il diritto di sollevare la questione.
Dal punto di vista della questione che riguardava contrasto tra trattato e legge di nazionalizzazione: il tratto
non vieta qualsiasi monopolio nazionali, ma solo i monopoli con “carattere commerciale” che sono idonei,
come tali, a introdurre discriminazioni tra i cittadini degli stati membri per quanto attiene alle possibilità di
approvvigionamento. La legge del 64 non avendo tale carattere non è in violazione del trattato europeo.
L’ENEL quindi subentrerà in tutti i settori dell’energia elettrica, anche quelli che riguardavano l’energia
idroelettrica, dove si poteva ottenere lo sfruttamento con concessioni.

L’ENEL diverrà soggetto di concessioni perpetue, realizzerà una rete adeguata di trasporto e di distribuzione
e diventerà l’unico venditore, compiendosi così il monopolio nazionale.
3) Fase dello STATO REGOLATORE - dagli anni ’90 ad oggi: in cui lo stato dismette la veste di
imprenditore diretto per prendere quella di regolatore dei mercati e garante del funzionamento di questi
settori; è questa la fase della privatizzazione e della liberalizzazione, concetti alle volte erroneamente
sovrapposti ma in realtà diversi.
La privatizzazione attiene ai soggetti che svolgono una certa attività: privatizzare significa trasformare un
soggetto da ente pubblico in soggetto di diritto privato (quel che successe a Enel o Eni che da enti pubblici
sono stati trasformati in s.p.a.).
La liberalizzazione attiene ai settori economici: che da monopoli vengono aperti alla concorrenza, come è
successo al settore energetico sulla spinta di apposite direttive europee. Lo stato assume con la
liberalizzazione un altro ruolo: non più quello di imprenditore ma di garante della concorrenza e dei
consumatori utenti; e il soggetto che svolge questa attività non è l’antitrust ma l’Autorità di regolazione per
energia, reti e ambiente (ARERA) (prima si chiamava Autorità per l’energia e il gas, istituita nel 1995) che
si occupa non solo dell’energia, ma anche del servizio idrico e dei rifiuti.

Il processo evolutivo che portò alla fase dello stato regolatore, è stato fortemente influenzato dal diritto
comunitario che introdusse una serie di modifiche legislative, consentendo di superare i monopoli di stato e
giungere a una sostanziale liberalizzazione di questi mercati.
Le tappe di questo processo sono sostanzialmente le seguenti:

A) La prima è quella dei due trattati comunitari settoriali che trattano di materie energetiche: il trattato
istitutivo della CECA 1951 (tratta di carbone e acciaio), il trattato istitutivo dell’EURATOM 1957 (tratta
dell’energia atomica). Il terzo dei trattati comunitari invece, il Trattato di Roma istitutivo della CEE, non
trattò tematiche energetiche e non presentava norme di carattere generale attributive di competenze alla
comunità in materia energetica, che veniva considerata ancora di competenza esclusiva degli stati, i quali
peraltro avevano discipline profondamente differenti.
La situazione cominciò a cambiare quando dagli stati extracomunitari, dai quali gli stati comunitari
dipendevano sul piano dell’energia, cominciarono ad alzare i prezzi del petrolio provocando uno shock:
gli stati occidentali capirono che ci poteva essere un fattore esterno non controllabile che poteva danneggiare
da un giorno all’altro le economie nazionali con l’interruzione del rifornimento di petrolio; ciò indusse a una
riflessione sulla necessità di sviluppare una politica energetica comunitaria.
Gli organi comunitari assunsero inizialmente risoluzioni (in particolare nel 63 e 65) che sono atti di natura
politica, non giuridica, dalle quali si fa convenzionalmente iniziare la politica europea comune.

B) Una prima svolta si ebbe dunque con l’adozione dell’Atto Unico Europeo (1986): un trattato
modificativo di quello di Roma, che pone le basi della costruzione del mercato unico europeo, che assicura
libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali.
L’atto unico europeo anziché prevedere l’attribuzione alle CE delle competenze in materia di energia, pose
l’obiettivo di prevedere un mercato unico dell’energia, per il perseguimento del quale, vista l’importanza di
tale settore e la diversità delle discipline nazionali, si rendeva necessario un progressivo allineamento di
queste ultime.
L’energia venne così qualificata come una merce, soggetta al regime della libera circolazione e alle regole
della concorrenza.
L’attività di fornitura venne qualificata come servizio, soggetto al regime della libera circolazione dei servizi
e alla libertà di stabilimento.
Il vero ostacolo all’apertura dei mercati, era la presenza di monopoli di stato in quei settori, per cui se per
esempio si fosse applicata la libera prestazione dei servizi in forma generalizzata, si sarebbe avuto che
un’impresa belga poteva venire in Italia e fare attività di produzione di energia; ma questo avrebbe
contrastato con il monopolio nazionale dell’ENEL.
Ecco che dal punto di vista giuridico, la soluzione che per molti anni permise il mantenimento dei monopoli
nazionali, fu rappresentata dall’art. 86 paragrafo 2° del trattato CE (ora art.106 TFUE) secondo il quale
“le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale sono sottoposte alle regole
del trattato (e in particolare alle regole della concorrenza) solo nei limiti in cui l’applicazione di tali norme
non osti all’adempimento in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.
Essendo l’energia un servizio di interesse economico generale, può essere sottratto alle regole della
concorrenza.
Sentenze importanti in questa materia sono:
1) Costa/ENEL 1964 che giustifica i monopoli nazionali;
2) Sentenza “comune di Almelo” del 27 aprile 1994: in cui un comune olandese contestava davanti a
un giudice interno la normativa nazionale che imponeva al comune di rifornirsi di energia da un unico
soggetto, che era un’impresa di distribuzione regionale. Questo era un monopolio. La Corte di
giustizia disse che era evidente la restrizione alla concorrenza della normativa nazionale, ma essa è
consentita dall’art.86 qualora necessaria per garantire un servizio di interesse economico generale,
qual’e la fornitura di energia nel caso di specie.

C) Una seconda svolta si ebbe con il Trattato di Maastricht (1992): inizia infatti a comprendersi che il
mantenimento dei monopoli comporta serie difficoltà con la realizzazione della politica energetica
comunitaria.
Si stabilisce così che gli organi europei possono adottare misure, quindi anche atti normativi, in materia di
energia. Per la prima volta viene introdotta una competenza europea specifica in materia di energia.
Progressivamente il legislatore europeo comincia ad adottare delle direttive che hanno lo scopo di aprire i
settori dell’energia alla concorrenza e quindi liberalizzare i settori dell’energia in maniera tale da superare i
monopoli nazionali.
La prima è la direttiva 22/1994: riguarda il solo settore degli idrocarburi e ha lo scopo di liberalizzare
l’attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio europeo (per valorizzare le risorse interne e
limitare l’importazione da paesi extracomunitari). Questa direttiva in Italia scardina il regime di riserva in
favore dell’ENI in materia di idrocarburi. Questa è la prima volta che la CE con un atto normativo dice agli
stati che non possono mantenere in questo settore una riserva allo stato. Il tutto perché gli stati erano troppo
dipendenti dall’approvvigionamenti dall’estero.
Questa era comunque una normativa settoriale, per avere una liberalizzazione del settore bisogna arrivare al
c.d. “pacchetto energia” composto da:
▪ Direttiva CE 96/92 che ha dettato “Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”,
finalizzata a liberalizzare l’intero settore dell’energia elettrica;
▪ Direttiva CE 98/30 che ha dettato “Norme comuni per il mercato interno del gas naturale”,
finalizzata a liberalizzare il mercato del gas.
Queste direttive portano a una liberalizzazione cauta dei mercati energetici, in funzione di una progressiva
instaurazione del mercato unico europeo dell’energia elettrica e del gas naturale.
Liberalizzare un settore significa aprirlo alla concorrenza di più operatori economici, fare sì che un
determinato settore economico che prima era sottoposto a regime di monopolio, con un solo operatore o
pochi che per legge avevano l’esclusiva, venga superato permettendo ad una serie di operatori di poter
svolgere quell’attività.
Le modalità concrete di attuazione vengono comunque lasciate agli stati membri, trattandosi di direttive.

Nei punti della filiera relativi a vendita, trasporto e distribuzione le direttive consentono comunque di evitare
una liberalizzazione concreta. La gestione delle reti resta generalmente sottoposta al controllo pubblico:
questo perché è una questione nevralgica e quindi le direttive su ciò lascia carte bianca agli stati,
permettendo un monopolio delle reti. “Secondo pacchetto energia”: sono le direttive 2003/54 e 2003/55.
“Terzo pacchetto energia”: sono le direttive 2009/72 e 2008/73.
Tutte queste direttive hanno portato all’apertura totale del mercato per i clienti finali —> oggi, tutti i clienti
sono liberi dal lato della domanda.
Dal 2008 in poi si parla anche di “pacchetti clima-energia” in quanto la finalità del legislatore non è più
solo quella della liberalizzazione dei mercati ma anche quella di promuovere le energie rinnovabili.
Il primo è del 2008, poi ancora nel 2014, nel 2019 (cosiddetto “winter package o clean energy package”):
finalità di tali pacchetti: a) ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. b) aumentare l’efficienza energetica
riducendo il consumo; c) soddisfare i consumi energetici europei con fonti energetiche rinnovabili (incentivi
alle rinnovabili e snellimento procedimentale).
Ulteriore piano europeo: il “green (new) deal europeo” del dicembre 2019: questa è una comunicazione
(atto) della commissione. Piano molto ambizioso, si stimava almeno 300 miliardi l’anno per conseguire al
passaggio alle rinnovabili e alla decarbonizzazione. Piano purtroppo rallentato per la situazione in cui stiamo
vivendo. La situazione COVID-19 ha portato al cambio di priorità e distribuzione diversa delle risorse. Il
recovery plan comporta un taglio degli investimenti da dedicare alla spesa per l’ambiente- viene mantenuto
circa ¼ degli investimenti previsti.
SITUAZIONE DEI MERCATI IN ITALIA ALLA VIGILIA DELLA LIBERALIZZAZIONE:
Nel settore elettrico era quella di un monopolio legale dell’ENEL in tutte le fasi della filiera elettrica; nel
settore del gas naturale quella di un monopolio di fatto dell’ENI.

Occorre dare conto di un fenomeno che ha caratterizzato l’ordinamento interno in questa stagione, e cioè la
privatizzazione dei monopolisti pubblici: nel 1992 c’è una fase di grave crisi economica, il governo Amato
preleva forzatamente dai conti correnti degli italiani. Con la l.359/1992 ENEL ed ENI vengono trasformati
da enti pubblici economici in s.p.a. partecipate dallo stato, per “fase cassa” vendendo in borsa i pacchetti
azionari.
Si pone così il problema giuridico dell’applicazione dell’art.43 cost, non più giustificabile perché ENEL ed
ENI non sono più enti pubblici. Trasformandoli in s.p.a. occorreva modificare il regime di riserva previsto
fino a quel momento. Le attività riservate vennero poste in capo allo stato direttamente: es nel settore
elettrico titolare della riserva non era più l’ENEL ma lo stato, che divenne monopolista in via diretta, e dava
queste attività in concessione ad ENEL ed ENI —> i quali dunque non sono più intestatari ma concessionari.
Si possono poi distinguere diversi step di questa privatizzazione, la quale inizialmente è formale (in quanto il
capitale resta integralmente pubblico) e successivamente diviene sostanziale (in quanto vengono cedute le
quote azionarie sul mercato).
Oggi il 30% di ENI è in mano agli azionisti pubblici di controllo, il 25,96% è in mano alla CDP (cassa
depositi e prestiti) e il 4,37% è in mano al ministero dell’economia.
ENEL: 23,6% ministro dell’economia, 60,3% investitori istituzionali e 16,1% investitori individuali.

Al fine poi di tutelare il servizio pubblico nell’ottica di una progressiva apertura alla concorrenza in questi
settori, dal momento che la privatizzazione di questi soggetti avrebbe potuto causare il perseguimento da
parte di questi del mero interesse all’utile, si istituì nel 1995 un’autorità indipendente garante dei
consumatori: l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che oggi si chiama ARERA acronimo di “Autorità di
regolazione per energia, reti e ambiente” in quanto si occupa anche del sistema idrico e dei rifiuti.

[ Autorità indipendenti: sono organismi pubblici dotati di un certo grado di indipendenza dall’esecutivo e
di autonomia organizzativa, contabile e finanziaria, istituiti per regolare determinati settori considerati
sensibili, essenzialmente con riferimento a due elementi: che sono settori tecnici che richiedono una certa
competenza; che sono settori che il legislatore ha ritenuto di sottrarre al diretto potere di influenza del
governo.
L’origine di questi organismi risiede negli USA a fine ‘800, dove furono fondate le prime Indipendent
regulatory comissions (commissioni di regolazione indipendenti), in particolare nel settore del trasporto
ferroviario. Dagli anni 70’ del secolo scorso sono state istituite anche in Europa, in settori dei servizi
pubblici, concorrenza, contratti pubblici, privacy —> in Italia ci sono la CONSOB (commissione nazionale
sulla società e la borsa), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (antitrust), l’Autorità garante
delle comunicazioni, l’ANAC (autorità nazionale anticorruzione, soprattutto nel settore degli appalti
pubblici).
La loro indipendenza è assicurata attraverso:
• Regole dirette a limitare la discrezionalità del governo nella nomina degli organi di vertice (esempio:
membri antitrust e ANAC sono nominati dai presidenti delle camere);
• Elevati requisiti di professionalità e di moralità;
• Lunga durata in carica: esempio per l’ARERA sette anni in carica;
• Sottrazione al potere di direttiva e di controllo del governo.
I loro poteri si possono raggruppare in tre gruppi:
A) Poteri di natura consultiva, d’indagine, di proposta legislativa nel settore di competenza;
B) Poteri ispettivi e sanzionatori, con la previsione di adeguate forme di contraddittorio con l’incolpato
(esempio: sanzioni amministrative pecuniarie).
C) Poteri regolamentari (determinazione delle tariffe; per garantire la concorrenza occorre separazione
contabile ed amministrativa delle varie attività della filiera se gestite dallo stesso operatore- c.d.
unbundling).
In quanto organismi pubblici trova applicazione la l. 241/90 sul procedimento amministrativo e sull’accesso
ai documenti; eventuali controversie sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
inoltre tutti i provvedimenti amministrativi dell’ARERA vanno impugnati davanti al TAR Lombardia. ]
ARERA:
Composizione: 1 Presidente e 4 membri nominati nominati con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ed acquisizione del parere vincolante, a maggioranza dei 2/3
delle commissioni parlamentari competenti, su proposta del ministro dello sviluppo economico d’intesa con
il ministro dell’ambiente.
I componenti restano in carica 7 anni, non rinnovabili; nel corso del mandato, si applica un regime di
incompatibilità con altre attività lavorative (non possono intrattenere alcun rapporto di collaborazione, di
consulenza o di impiego con le imprese operanti nei settori di competenza) esteso anche ai 2 anni successivi
alla fine dell’incarico.
Il finanziamento avviene mediante contributo parametrato sui ricavi delle imprese del settore; non è il
bilancio dello stato che lo sostiene, ma le stesse imprese controllate del settore energetico che destinano per
legge una parte del fatturato al funzionamento dell’ARERA.
Le funzioni dell’ARERA sono sostanzialmente due:
- Tutelare gli interessi dei consumatori, decidendo su segnalazioni e reclami presentati dagli utenti del
servizio energetico;
- Promuovere la concorrenza, l’efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità; quando
ci sarà una vera concorrenza nei settori energetici, allora la funzione dell’ARERA sarà diverso.
Nel 2011 le sono state poi attribuite competenze anche in materia di servizi idrici, e nel 2017 funzioni di
regolazione e controllo con riferimento al ciclo dei rifiuti.

L’espressione “cattura del regolatore”, elaborata dalla scuola di economia di Chicago, in particolare dal
premio Nobel George Stigler, è utilizzata con riferimento a situazioni in cui un’agenzia di regolamentazione
statale, creata per agire nell’interesse pubblico, agisce invece in favore degli interessi commerciali o speciali,
dominanti nell’industria o nel settore oggetto della regolamentazione.
Per cui l’istituzione di autorità di regolazione comporta sempre un rischio, e cioè che le imprese (ex
monopoliste) che operano in questi settori, che sono imprese molto forti e influenti non solo economicamente
ma anche politicamente, “catturino” le autorità di regolazione, nel senso che riescono ad esercitare una forte
influenza sul regolatore (il legislatore).
È una teoria di tipo liberale che sottolinea l’inefficacia dell’intervento pubblico (fallimento dello stato)
poiché le imprese soggette ai vincoli amministrativi, mediante opportune pressioni, sono in grado di
“catturare” i regolatori, influenzandone le decisioni a proprio favore.
LIBERALIZZAZIONE DEI SETTORI DELL’ENERGIA
Sono particolarmente importanti 3 provvedimenti legislativi che hanno liberalizzato i mercati in questione in
Italia:
- D.lgs.625/1996: che ha recepito la direttiva comunitaria mineraria, determinando la cessazione della
riserva dell’ENI in val padana e la liberalizzazione dell’attività di produzione del gas, cioè ricerca e
coltivazione di idrocarburi.
- D.lgs.79/1999 “Decreto Bersani”: che ha recepito la direttiva comunitaria del ‘96 e liberalizzato il
mercato dell’energia elettrica.
- D.lgs.163/2000 “Decreto Letta”: che ha recepito la direttiva comunitaria del ’98 e liberalizzato il settore
del gas in Italia.
In sintesi il decreto Bersani e il decreto Letta hanno liberalizzato l’attività di produzione e di vendita
dell’energia. Il consumatore finale può quindi (dal 2003 nel settore del gas naturale e dal 2007 nel settore
dell’energia elettrica) liberamente scegliere il fornitore, con la garanzia della qualità e del prezzo della
fornitura, assicurata dall’ARERA.
È rimasto il controllo pubblico delle reti per motivi di sicurezza del sistema (peraltro esso è più forte nel
settore dell’energia elettrica con un controllo centralizzato da parte della società “Terna” che ha ottenuto la
concessione da parte dello stato; nel settore del gas questo controllo cosi centralizzato non c’è).

Nei settori liberi il provvedimento amministrativo tipico è l’autorizzazione, nei settori non liberi dove c’è un
controllo dello stato sull’attività il provvedimento tipico è la concessione.
L’autorizzazione è atto amministrativo che consente un’attività che in linea di principio è libera, ma che per
essere esercitata in concreto ha bisogno che la p.a. verifichi che il richiedente sia in possesso di determinati
presupposti. Inoltre, essa non comporta che venga in essere un rapporto giuridico di natura contrattuale tra il
richiedente e la p.a.—> es: patente o esercitare la professione forense.
La concessione crea ex novo in favore del concessionario un vero e proprio diritto speciale in un settore di
norma riservato alla p.a. —> es: la concessione di lavori pubblici con la quale il concessionario viene
incaricato di costruire una cosa per l’interesse pubblico e, una volta costruita potrà gestirla per un tot di anni
per recuperare il denaro speso per la realizzazione (il c.d. utile d’impresa), di cui il tipico esempio sono le
concessioni autostradali (concessioni di costruzione e gestione).
Nella concessione vi sono sono diritti e obblighi reciproci, es: il concessionario delle acque pubbliche, una
volta rilasciata la concessione ha diritto a derivare l’acqua per produrre energia elettrica, ma anche un
obbligo per es di pagare un certo canone.
Quindi la concessione crea un rapporto giuridico, contrattuale tra la P.A. e il concessionario.
La disciplina negoziale dei rispettivi obblighi e diritti viene inserita in un atto contrattuale che di norma è
separato dalla concessione, atto chiamato convenzione.

Concludendo il discorso sull’evoluzione del sistema energetico in generale bisogna dar conto di alcuni ultimi
elementi.
Innanzitutto, con la legge costituzionale 3/2001 (riforma del titolo 5°cost) fu introdotto un nuovo riparto di
competenze stato-regioni in materia d’energia, inserendo all’art.117 Co3 la nuova materia “produzione,
trasporto e distribuzione nazionale di energia” e dunque allocando la competenza in materia d’energia come
materia di competenza concorrente, in cui la potestà legislativa spetta alle regioni nel rispetto dei principi
fondamentali stabiliti dalla legge statale.
In attuazione della l.3/2001 il legislatore ha adottato la l.239/2004 c.d. “Legge Marzano”, con la finalità di
ripartire le competenze amministrative nel settore dell’energia tra stato, regioni ed enti locali.
Professor Florenzano: ENERGIA NELLA DISCPLINA COSTITUZIONALE:
La nozione di energia al tempo della Costituzione (1947) non era un qualcosa di totalmente sconosciuto.
Essa veniva considerata un’entità naturale e qualificata dal cc come bene mobile, quindi anche possibile
oggetto di furto.
I padri costituenti si occuparono di parlare di energia solo nell’art. 43, dove si parla di “fonti di energia”,
però essa stava già assumendo un’importanza rilevante.
Nel 1948 vengono approvati 4 statuti speciali (bisogna attendere il 63’ per quello del Friuli), dove invece
sono presenti plurimi cenni all’energia, con particolare riguardo al suo sfruttamento.
- Lo statuto del Trentino-Alto Adige: riconosceva la potestà esclusiva in materia di miniere, comprese le
cave, le torbiere, le acque minerali e termali e una competenza concorrente in materia di utilizzazione di
acque pubbliche (utilizzate anche per produrre energia elettrica).
- Lo statuto speciale della Valle d’Aosta assegnava in concessione per 99 anni alla regione le acque
pubbliche (la Valle D’Aosta è l’unica che non ha competenza concorrente, ma esclusiva e integrativa) e si
occupava di dire che la regione ha una competenza legislativa-attutiva in materia di energia;
- Lo statuto della Sicilia aveva già iniziato a sperimentare un’esperienza innovativa, aveva istituito un ente
pubblico l’ESE che era l’ENEL della Sicilia.
- Lo statuto della Sardegna tra le materie di competenza legislativa concorrente aveva ricompreso quella
di produzione e di distribuzione di energia elettrica.
- Nel 63’ arriva lo statuto del Friuli, ma c’era già stata nel 62’ la nazionalizzazione con l’ENI, quindi al
Friuli venne riconosciuto soltanto un diritto patrimoniale sui canoni delle concessioni elettriche.

Mentre il testo costituzionale non si occupa troppo del settore dell’energia, i trattati comunitari rivolgono
invece molta attenzione a tali settori (i primi due trattati si occupano del settore nucleare e del carbone/
acciaio) —> qui puoi mettere i discorsi sull’energia nell’Ue visti supra p.6-7

Restando a livello nazionale, vengono in rilievo: la “Riforma Bassanini” degli anni ’90, che riguarda il
rapporto stato-enti locali, ed ha assegnato il terzo trasferimento di funzioni dallo stato alle regioni,
considerando finalmente l’energia; il d.lgs.112/98 (in particolare gli artt.11 e 28): che definisce le funzioni
relative alla “materia energia” e cioè ricerca, produzione, trasporto e distribuzione; emerse così la materia
energia.
Dopo la riforma del titolo 5° la parola energia entra in costituzione anche all’art.117 sul riparto di
competenze legislative, il quale affida la produzione il traporto e la distribuzione di energia alle materie di
legislazione concorrente.
[ Nella riga riguardante l’energia vi è un errore: per definizione il trasporto è il trasferimento d’energia su reti
nazionali, quando si parla di distribuzione per definizione è locale. Quindi scrivere distribuzione nazionale è
un ossimoro possiamo dire ]
Si parla finalmente d’energia, però questa non è una norma che definisce l’energia o che ne esprime un
principio di valore, ma è soltanto una norma di riparto.
La corte Costituzionale poi con varie sentenze ha dato una lettura correttiva di questo riparto in senso
sfavorevole alle regioni.

[ non c’è da alle, e non penso da fare, capisci tu alla fine:


Si cercarono di portare due riforme che sono state approvate, ma poi bocciate da un referendum:
- 2005 (proposta del centro-destra): individuazione di due competenze, una esclusiva dello stato che
riguardava la produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia. e poi una
competenza concorrente per la produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, nel senso che se tali
attività riguardano l’ambito locale, non è competenza della regione, ma è concorrenziale.
- 2016 (centro-sinistra): introdurre nelle materie di competenza esclusiva dello stato la produzione,
trasporto e distribuzioni nazionali dell’energia, senza più riconoscere tra le materie di competenza
regionale una competenza riguardante l’energia. inoltre, in ogni momento anche nelle materie di competenza
regionale doveva essere previsto che su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie
riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della
Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. ]
Prima della l.3/2001 il riparto di competenze tra stato e regioni era il seguente:
In difetto di riferimenti, l’energia non era una materia ma un fascio di attribuzioni riferite a più materie: ciò
aveva comportato che di fatto il legislatore nazionale aveva legiferato e lasciato pochissimo spazio alle
regioni. Inoltre, il legislatore aveva riconosciuto alle regioni spazi di competenza amministrativa
d’esecuzione, attraendo a sé tutte le iniziative in quei settori riconosciuti strategici (come quello
dell’energia).
Sono intervenuti la legge Bassanini e il d.lgs.112/98, in seguito ai quali l’energia è stata definita come una
materia. Talune competenze sono divenute di riserva statale (tra queste: la ricerca scientifica in capo
energetico; le determinazioni inerenti all’importazione, all’esportazione e allo stoccaggio di energia
limitatamente allo stoccaggio di metano in giacimento; l’attività strategica che non può che essere promossa
e gestita a livello nazionale; la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi ecc.), quelle non indicate
come di riserva statale spettavano alle regioni, poi altre agli enti locali ai comuni e alle province.

A questo punto è intervenuta la riforma costituzionale. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale di


energia vengono inserite nelle materie concorrenti, dove lo stato detta i principi fondamentali e alle regioni
spetta di declinarli. Tale competenza concorrente si applica anche alle regioni speciali, in virtù della clausola
che prevede che in previsione di maggiori attribuzioni alle regioni ordinarie, tali disposizioni più favorevoli
si applicano anche alle regioni speciali.
I limiti alla competenza regionale sono: i principi fondamentali (spetta allo stato fissarli); i limiti esterni (tra
cui i vincoli europei ed internazionali derivanti dagli atti comunitari come le direttive, la tutela dell’unità
economia, la libertà di circolazione di persone e cose, le materie trasversali ex art.117Co2, i principi
fondamentali in altre materie di legislazione concorrente).
La corte costituzionale negli anni ha specificato taluni principi fondamentali:
- La previsione di un’autorizzazione unica per produrre energia idroelettrica;
- Il regime provvedimentale: per consentire la produzione, la legge dello stato non può essere derogata dalla
legge regionale;
- Quando il legislatore nazionale nel disciplinare il procedimento amministrativo riferito ad un ambito,
prevede che una certa cosa debba essere disciplinata d’intesa con le regioni, tale procedura d’intesa è
principio fondamentale.
- La Corte ha eretto a principio la previsione di un organo dello stato come organo di controllo (istituzione
dell’ARERA).
- Tutela dell’ambiente: a volte una certa disciplina è ammessa alla spettanza statale per poter garantire altre
tutele che si potrebbero scontrarsi.
- (questo c’è solo da alle) l’attrazione in sussidiarietà: in ogni materia quando emergono interessi unitari e
quell’opera può essere realizzata solo a livello statale, la legislazione statale ha la competenza legislativa
anche in settori di competenza delle regioni;
LA DISCIPLINA DELLA FILIERA ELETTRICA
1) PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA:
“Produzione è la generazione di energia elettrica, comunque prodotta”: questa è la definizione data dall’art.2
del decreto Bersani del ’99. La generazione di elettricità è dallo stesso legislatore qualificata come “attività
libera ed aperta alla concorrenza”, dunque qualsiasi soggetto può, ottenendo un’autorizzazione, realizzare o
gestire un impianto di produzione di energia elettrica.
C’è poi una differenza nella disciplina normativa tra la produzione mediante impianti di generazione a fonti
convenzionali (con emissione di CO2 c.d. termoelettriche: gas, carbone, etc.) ovvero a fonti rinnovabili (c.d.
idroelettrico, fotovoltaico, eolico, etc.).

1.1) Produzione da fonte rinnovabile:


Per quanto riguarda la produzione da fonte rinnovabile, la disciplina è contenuta nell’art.12 d.lgs.387/2003,
il quale prevede il rilascio di un’autorizzazione unica di competenza regionale, oppure provinciale nel caso
delle province autonome di Trento e Bolzano e delle province delegate dalla regione, sempre che si rimanga
sotto una soglia producibile fino a 300 Megawatt (MW); infatti per gli impianti di potenza superiore, la
competenza è statale (del ministero dello sviluppo economico o se l’impianto è collocato offshore - in mare -
del ministero dei trasporti, previa concessione d’uso del demanio marittimo).
L’autorizzazione è rilasciata al termine di un procedimento unico (della durata massima di 90 gg) a cui
partecipano tutte le amministrazioni interessate, con la modalità della conferenza dei servizi, al cui termine
viene rilasciata l’autorizzazione unica: un titolo autorizzativo che consente al richiedente di costruire e di
gestire l’impianto.
Nella conferenza si compie una valutazione congiunta degli interessi pubblici coinvolti (es: i profili
paesaggistici, la valutazione di impatto ambientale, la verifica di eventuali immissioni in atmosfera, la
valutazione sismica e altri..).
Le opere da realizzare per costruire ed esercitare un impianto da fonte rinnovabili sono di “pubblica utilità”,
nel senso che l’amministrazione nell’eventualità che sia necessario può espropriare i terreni dove si prevede
di costruire l’impianto.
Non è necessario modificare il piano regolatore e dopo mettere nell’area designata l’impianto, basta rilasciare
l’autorizzazione e questo agisce in via automatica, in quanto ove necessario l’approvazione del progetto
integra variante allo strumento urbanistico.

In sede di conferenza unificata stato-regioni sono state approvate, in attuazione dell’art. 12 D.lgs. 387/2003,
le “linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da FER” (Fonte d’Energia Rinnovabile), in
seguito emanate con D.M. 10 settembre 2010, in attuazione delle quali le regioni possono identificare dei
siti in cui le varie non possono essere ubicati impianti alimentati da FER.
A fronte di questa normativa, si è venuto a sviluppare un ampio contenzioso costituzionale tra lo stato e le
regioni/province autonome di Trento e Bolzano, circa la localizzazione di questi impianti: le regioni molto
spesso hanno tentato di disciplinare questa materia e in particolare di limitare le possibilità di installare
impianti di produzione di energia rinnovabile sul loro territorio (per esempio imponendo delle distanze
minime da rispettare, o rendendo più gravoso il processo di autorizzazione unica).
La Corte costituzionale nel 2020 ha invece assunto una posizione a favore dello stato affermando che la
disciplina di tale materia (impianti d’energia da fonti rinnovabili) è riconducibile alla materia “produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (articolo 117 Co3 Cost.) quindi tocca allo stato stabilirne i
principi fondamentali.
Inoltre, i principi fondamentali della materia sono dettati dall’art.12 d.lgs. 387/2003, in attuazione della
direttiva europea, e dalle linee guida. Per la Corte tali linee guida (adottate in sede di conferenza unica e
quindi espressione della collaborazione fra stato e regioni) sono vincolanti.
Secondo la corte dunque:
▪ Le regioni e le province autonome possono individuare caso per caso, quelli che sono dei siti non
idonei alla localizzazione degli impianti, rispettando gli specifici principi e criteri stabiliti nelle linee
e all’esito di un’istruttoria volta a prendere in considerazione tutti gli interessi coinvolti.
▪ Le regioni e le province autonome non possono prescrivere dei limiti generali inderogabili, valevoli
sull’intero territorio regionale. Per esempio: non possono imporre una distanza minima perché ciò
andrebbe contro il principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili, stabilito dal legislatore
statale in conformità alla normativa europea.
Sentenze corte costituzionale pronunciate durante il contenzioso:
▪ 224/2012 (Alle): viene dichiarata incostituzionale la legge sarda che, invertendo il criterio delle linee
guida, indicava le aree in cui si potevano mettere impianti eolici, con la conseguenza che nel resto del
territorio regionale vi era il divieto.
▪ 69/2018: viene dichiarata incostituzionale la legge veneta che stabiliva delle distanze degli impianti
dalle abitazioni, in violazione dei principi stabiliti dalla legge dello stato.
▪ 86/2019: viene dichiarata incostituzionale la legge della Basilicata che prevedeva che in certe aree
vicine a quelle ritenute non idonee poteva sempre essere autorizzata l’installazione di impianti FER,
perché in base ai principi delle linee guida è necessario sempre effettuare un’adeguata istruttoria
(analizzando caso per caso) che tenga conto delle circostanze concrete, sia per escludere sia per
consentire l’installazione di impianti.
▪ 106/2020: questione di legittimità costituzionale promossa avverso una nuova legge della regione
Basilicata: con tale legge il legislatore regione aveva ritenuto di poter allungare il procedimento
autorizzatorio, con una proroga di altri 60 giorni del termine previsto di 90. La Corte ritiene che
allungare il procedimento al di là dal termine previsto dalle linee guida, diviene un aggravamento
irragionevole, va a ledere il favor per la promozione delle energie rinnovabili.
Inoltre, la Corte rileva una violazione dell’articolo 97 della Cost. il principio del buon andamento
della pubblica amministrazione.
▪ 275/2011 (Alle): originata da un conflitto di attribuzioni tra stato e regioni; oggetto di impugnazione
erano le linee guida, impugnate dalla provincia autonoma di Trento che sosteneva certe sue
disposizioni non fossero ad essa applicabili perché alcune avevano ad oggetto anche la materia della
tutela del paesaggio (oltre all’energia), che secondo lo statuto speciale è di competenza provinciale. Il
ricorso è stato accolto, statuendo che le linee guida, in quanto decreto ministeriale, non possono
interferire nella materia tutela del paesaggio che è di competenza della provincia.

Anche l’energia idroelettrico è rinnovabile, ma in questo caso non è sufficiente l’autorizzazione unica, perché
è necessario fruire dell’acqua, che è un bene pubblico; è necessario dotarsi quindi, oltre che di
un’autorizzazione, anche di una concessione, che abbia ad oggetto il bene acqua.

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