Sei sulla pagina 1di 10

Res in usu publico e beni

comuni - Riassunto
Istituzioni Di Diritto Privato
Università degli Studi di Roma La Sapienza
9 pag.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
Res in usu publico e beni comuni

Iniziamo ora un approfondimento riguardo al contrasto tra beni pubblici (e di uso


pubblico) e beni privati; lo faremo analizzando le parti principali di un saggio
molto interessante scritto dal giurista Andrea Di Porto, docente di Diritto Privato
all’università La Sapienza di Roma, intitolato Res in usu publico e beni comuni.

Il punto di partenza della riflessione di Di Porto è un blocco di sentenze, di eguale


motivazione, emesse dalle Sezioni Unite civili della Cassazione tra il 14 ed il 18
febbraio 2011 con cui la Suprema Corte ha chiuso la vicenda giudiziaria
riguardante l’appartenenza delle Valli da pesca della laguna di Venezia
riconoscendone sì la natura demaniale ma qualificandole come beni comuni.
Il rilievo che la nozione di bene comune sia fondata sulla funzione del bene e cioè
alla sua destinazione all’uso pubblico a prescindere dalla proprietà, pubblica o
privata, del bene medesimo, ha indotto il prof. Di Porto a ricercare indietro nella
giurisprudenza ordinaria dall’unità d’Italia ai giorni nostri.
Il risultato è stato la ricostruzione di una storia di sentenze che prende l’avvio con
la celebre decisione della Cassazione di Roma del 9 Marzo 1887 che riconosce lo
ius deambulandi del popolo di Roma su Villa Borghese; da tale sentenza parte
infatti un cinquantennio di pronunce durante il quale viene creata la categoria dei
diritti di uso pubblico, quali diritti che “interessano intere popolazioni, sia pel lato
igienico, artistico, scientifico, e sia, in generale, per qualsiasi utilità che possa
interessare il pubblico di una città, borgo o regione” e che, come tali, non possono
classificarsi né tra le servitù prediali né tra quelle personali, ma devono invece
essere considerati “diritti autonomi di natura particolare il cui regolamento
appartiene in gran parte al diritto pubblico” (Sentenza Mortara-D’amelio).
Con l’entrata in vigore del Codice Civile del 1942 diventa norma l’orientamento
che la Cassazione aveva respinto nei precedenti cinquant’anni e pertanto si
ricompone il dogma della proprietà pubblica quale proprietà individuale dello
Stato; la giurisprudenza mostra invece un comportamento ambiguo: da un lato si
allinea alle disposizioni del nuovo codice ma dall’altro continua a ripetere i
principi creati in quel cinquantennio di sentenze mantenendo così viva la
fiammella su quei principi, fra i quali spicca il principio di legittimazione popolare
secondo cui la legittimazione ad agire spetta anche al titolare del diritto d’uso.
La giurisprudenza, come detto, tiene viva la fiammella su quel mezzo secolo di
sentenze, ma per tornare a vedere i riflettori sul dibattito giuridico riguardo ai
beni destinati all’uso pubblico occorre attendere il suddetto blocco di sentenze
delle sezioni unite della Cassazione riguardo alle Valli da pesca.

Le sentenze sulle Valli da pesca – In questo blocco di sentenze la Cassazione


conferma la natura demaniale delle Valli da pesca ma aggiunge, a quella di

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
stampo tradizionale, una motivazione incentrata sulla nozione di bene comune
come “bene strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i
cittadini” a prescindere dalla proprietà pubblica o privata del bene.
Tale nozione di bene comune fa leva sulla funzione che un bene deve svolgere
nella società, sulla sua idoneità a realizzare gli interessi dei cittadini, sulla sua
destinazione all’uso collettivo.

La Cassazione, stante la diretta applicabilità degli artt. 2, 9, 42 della


Costituzione, delinea “il principio della tutela della umana personalità e del suo
corretto svolgimento nell’ambito dello Stato sociale, anche nell’ambito del
paesaggio, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti (…) il demanio e il
patrimonio oggetto della proprietà dello Stato ma anche riguardo a quei beni che
(…) per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino (…) funzionali al
perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività”.

Il ragionamento della Corte suprema si pone dunque nell’ottica di fornire una


risposta alla domanda “a chi e a che cosa servono i beni pubblici ?”; quella stessa
domanda a cui il giurista Massimo Severo Giannini, al principio degli anni
sessanta del secolo scorso, aveva risposto elaborando una classificazione dei beni
pubblici di natura sostanziale e non formale (come quella del codice).
Il risultato è l’individuazione di una categoria di beni comuni che,
indipendentemente dalla titolarità, ben potendo appartenere tanto a soggetti
pubblici quanto a soggetti privati, siano per le loro intrinseche connotazioni
destinati alla realizzazione degli interessi dei cittadini.

Come emerge dalla Relazione predisposta dall’Ufficio del Massimario della


Cassazione (ufficio che, tra i suoi compiti, ha appunto quello di redigere relazioni
riguardo agli orientamenti principali della Corte), tale sentenza fa riferimento alla
nozione di beni comuni elaborata dalla Commissione Rodotà che li ha definiti
come “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali,
nonché al libero sviluppo della persona (…) e che non rientrano (in senso stretto)
nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere
non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente,
le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi, le
foreste e le zone boschive; le zone di montagna ad alta quota, i ghiacciai e le nevi
perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora
tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientrano, altresì, i beni
archeologici, culturali e ambientali”.

La questione della legittimazione ad agire era stata risolta dalla Commissione


riconoscendo la tutela inibitoria a chiunque possa fruire delle utilità del bene

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
comune in quanto titolare del diritto soggettivo alla loro fruizione; tuttavia questa
proposta della Commissione non poteva essere presa in considerazione essendo
fuori dal perimetro della controversia.

Non vi è dubbio, secondo Di Porto, che il nucleo essenziale delle motivazioni del
suddetto blocco di sentenze è costituito dal dettato costituzionale.
La Corte fa tuttavia riferimento anche a norme di rango ordinario per evidenziare
il dato positivo, ormai diffuso, della scindibilità fra proprietà pubblica e privata
del bene e destinazione dello stesso ad usi e finalità della collettività.

La sentenza su Villa Borghese – Il punto di partenza del cinquantennio di


sentenze di cui si è detto è certamente la celebre sentenza della Cassazione di
Roma del 9 marzo 1877 che ha riconosciuto lo ius deambulandi dei cittadini
romani sulla Villa dei Principi Borghese, cioè il diritto di camminare liberamente
godendo del paesaggio della Villa.

Andiamo dunque ad analizzare questa interessante e storica controversia in cui


tutto contribuisce a rendere celebre il caso: l’oggetto della lite, i contendenti,
l’autorevolezza del collegio difensivo e del collegio giudicante.
L’oggetto della controversia è, come detto, la Villa; i contendenti sono la famiglia
dei Principi Borghese da una parte ed il Comune di Roma dall’altra; a difesa dei
Borghese vi è il noto avvocato fiorentino (ed ex Ministro della Giustizia) Adriano
Mari; a difesa del Comune troviamo Lorenzo Meucci, grande giurista, ed il grande
uomo di stato, oltre che giurista, Pasquale Stanislao Mancini, cui si deve una
mirabile arringa nel Tribunale civile di Roma che sarà pubblicata su Il Filangieri;
il collegio giudicante, infine, è presieduto da Giuseppe Miraglia, presidente della
Corte dal 1876 al 1891.

La controversia nasce dalla deliberazione del principe Borghese, nel Maggio 1885,
di chiudere i cancelli, dopo che per oltre due secoli, per espressa volontà del
fondatore, il cardinale Scipione Borghese, la Villa era stata tenuta aperta in modo
che “potesse usufruirne il popolo di Roma”.

Il Comune di Roma esperisce l’azione di reintegrazione (ottenere nuovamente il


possesso del bene) e, in via subordinata, l’azione di manutenzione (ottenere la
cessazione di molestie e turbative); il Pretore del terzo Mandamento di Roma
accoglie la subordinata ma rigetta la principale; il Tribunale civile di Roma, in
riforma della sentenza di primo grado, accoglie invece l’azione principale
riproposta in appello; la Cassazione di Roma, infine, chiude la controversia
confermando la sentenza del Tribunale.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
Poiché, come osserva correttamente Di Porto, in Cassazione le questioni di merito
giungono distillate, per comprendere meglio la controversia è opportuno fare
riferimento alle arringhe dinanzi al Tribunale Civile.

Nell’arringa in Tribunale, per spiegare il contenuto del diritto che esercita il


popolo di Roma il Mancini afferma che tale diritto “non si limita solo al passaggio,
ma comprende altresì il libero godimento, qualunque libero e prolungato
trattenimento e riposo nella Villa (…) comprende il diritto di coglier fiori ed erbe,
quelle almeno che sono presso i viali, quello di udire la Messa in una cappella
destinata al pubblico; il diritto essenzialissimo di accedere in determinati giorni nel
Palazzo a visitare il Museo ricco d’insigni oggetti d’arte e antichità (…) Siamo in
presenza di un diritto sui generis di uso pubblico sopra un immobile, vasto e
magnifico, appartenente al dominio di un privato (…) con destinazione e scopo (…
) per apportare un proprio benefizio: alla salute degli abitanti, alla loro istruzione”
La Cassazione, sintetizzando il diritto spiegato da Mancini sintetizzandolo
nell’espressione ius deambulandi, afferma comunque che: “qui non è questione di
trovare un nome o il tipo già prestabilito di un diritto, ma di trovare un principio, un
sistema di legislazione che l’implichi, e che per ciò stesso l’ammetta”.
La Suprema Corte rileva inoltre che, del principio che definisce la lite, nel diritto
romano troviamo solo il germe: l’uso pubblico si svolse solo in una delle sue
forme, cioè quella della conversione della proprietà privata in pubblica, con uso
dei cittadini; la Cassazione ritiene poi che il diritto moderno muove da questa
tradizione classica “per giungere all’altra forma evolutiva della proprietà privata
sottoposto ad un uso pubblico, cioè alla coesistenza dei due diritti, per la quale è
divenuta possibile su quella privata l’esistenza dell’uso pubblico stesso”.

La Corte ritiene inoltre che anche nel sistema di legislazione vigente vi è il


principio che definisce la lite, facendo riferimento all’art. 3 della legge 28 Giugno
1871 che afferma che “i diritti per fondazione e per qualsivoglia altro diritto
possano appartenere al pubblico, saranno mantenuti”; la Corte interpreta tali
diritti come “quelli di uso, acquisiti dai cittadini, rispetto all’accesso nelle ville, nelle
biblioteche” e pertanto riconosce lo ius deambulandi del popolo di Roma e
conferma la sentenza emessa dal Tribunale Civile di Roma.

La sentenza Mortara – D’Amelio – Degna di menzione, secondo Di Porto, è la


sentenza delle sezioni unite della Cassazione di Roma del 14 aprile 1917, che
prende il nome da due membri del collegio giudicante (il presidente Mortara e
l’estensore D’Amelio).
La controversia verte su una presa d’acqua che la popolazione del piccolo

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
Comune di Sennori, in Sardegna, vanta su un fondo privato, di proprietà di
Antonio Veccia.

Nella sentenza si ribadisce che i diritti di uso pubblico “interessano intere


popolazioni, sia pel lato igienico, artistico, scientifico, e sia, in generale, per
qualsiasi utilità possa interessare il pubblico di una città, borgo o regione”.
La questione però riguarda un altro punto: ai diritti di uso pubblico sono
applicabili, in via analoga, la disciplina delle servitù prediali ?

La Suprema Corte risponde negativamente al quesito, affermando che le servitù


prediali nulla hanno in comune con i diritti di uso pubblico e pertanto sono da
considerare come “diritti autonomi di natura particolare, il cui regolamento
appartiene in gran parte al diritto pubblico”.
Della disciplina delle servitù parleremo naturalmente in seguito, per ora basti
sapere che in giurisprudenza si nega la loro corrispondenza con i diritti di uso
pubblico.

Il punto di arrivo – Tra il 1928 ed il 1931, come ricorda Di Porto, escono sette
sentenze che affrontano tutte il tema della legittimazione ad agire. In queste
decisioni si afferma, a chiusura di un contrasto nella giurisprudenza di merito, la
legittimazione ad agire del singolo titolare del diritto di uso pubblico.
Si afferma dunque la vera e propria legittimazione popolare, che si ricollega (con
le dovute differenze ricordate in precedenza) all’azione popolare del diritto
romano.

Importantissima, secondo Di Porto, è la sentenza n.2722/1934 della Cassazione


con la quale la Corte porta a compimento il percorso avviato dalla sentenza su
Villa Borghese, in quanto non riguarda solo l’uso pubblico sui beni privati ma
abbraccia anche l’uso collettivo sui beni demaniali.
La Cassazione ripudia la concezione secondo cui il diritto dei singoli sulle cose
demaniali e sui beni privati soggetti ad uso pubblico è un diritto destituito
d’azione perché è un diritto è dell’ente, cioè della Pubblica Amministrazione, che
deve tutelarlo contro ogni usurpazione e perturbamento.
La Corte afferma che l’art.2 del codice civile (del 1865), che afferma che gli enti
(compresi comuni, province ecc.) “sono considerati come persone e godono dei
diritti civili secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”, è da intendersi
nel senso che gli enti sono assimilabili alle persone ma non possono essere
perfettamente corrispondenti ad essi: pertanto la persona giuridica (l’universalità,
l’astrazione) è incapace del godimento dei diritti civili.
Questa lettura proposta dalla Cassazione ricorda, come osserva correttamente Di
Porto, le parole scagliate nel 1884 da Jhering ne Lo scopo del diritto: “La nostra
scienza moderna, invece dei singoli membri (…) prende in considerazione la

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
persona giuridica, come se questo ente soltanto pensato, che non può né godere, né
sentire, avesse un’esistenza autonoma”.

La Cassazione, a conclusione di questo ragionamento, respinge (giudicandola


inesatta) l’affermazione formulata dal giudice d’appello secondo cui riguardo agli
usi di natura collettiva manchi la norma che tuteli l’interesse particolare affinché
divenga un diritto assistito da azione; la Corte ribadisce che questi diritti trovano
la disciplina “oltre che nell’antica tradizione, negli usi osservati come diritto
pubblico dei quali è cenno nell’art.2 dello stesso codice”.

Il secondo periodo – L’entrata in vigore del codice civile del 1942 spezza,
secondo Di Porto, questo percorso: il nuovo codice adotta una classificazione dei
beni pubblici meramente formale basata sull’elemento soggettivo
dell’appartenenza.
In particolare , l’art.823 c.c. afferma che per i beni che fanno parte del demanio
pubblico la tutela spetta all’autorità amministrativa; l’art. 824 c.c. estende il
medesimo regime anche ai beni delle province e dei comuni; l’art. 825 c.c., pur
recependo i diritti (creati dalla giurisprudenza) di uso pubblico su beni privati, li
qualifica però come “diritti demaniali su beni altrui” sottomettendoli al regime del
demanio pubblico, affidandone dunque la tutela all’autorità amministrativa.

La fiammella tenuta accesa – La giurisprudenza ordinaria tuttavia prosegue per


la via consolidata nei precedenti cinquant’anni ed interpreta l’art.825 c.c.
continuando a ripetere meccanicamente i principi affermati anteriormente al
codice mantenendo accesa la fiammella su tali principi.
In tal modo, sentenza dopo sentenza, attraverso tutta la metà del novecento e fino
alla sentenza del 2011 sulle Valli da pesca della laguna di Venezia, si trova
ribadito che dal lato attivo dei diritti di uso pubblico vi è la pluralità dei cittadini,
istituzionalmente organizzata, o addirittura, una comunità di persone, anche se
non organizzata in ente pubblico territoriale, purché si presenti come una
collettività indeterminata dai individui considerati quali titolari di interessi di
carattere generale; che il concetto di pubblica utilità non corrisponde a quello di
necessità, ma comprende ogni vantaggio che la collettività possa ritrarre, anche di
natura estetica, spirituale, di salubrità e di mero diletto; che la legittimazione ad
agire spetta pure al titolare del diritto di uso pubblico senza che ricorra
necessariamente con il Comune o con altro ente rappresentativo della collettività.
Il legislatore, tuttavia, non ha previsto ancora una norma che disponga il diritto
d’azione per il singolo. Secondo Di Porto, la via da seguire in attesa del legislatore,
è quella di tenera ancora viva la fiammella sul dibattito mediante la
giurisprudenza ordinaria.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
“Cuore di questa legittimazione deve essere la convinzione moralmente e
giuridicamente fondata, che l’ambiente, il paesaggio, il territorio (…) sono un bene
comune sul quale tutti abbiamo, individualmente e collettivamente, non solo un
passivo diritto di fruizione, ma un attivo diritto-dovere di protezione e difesa”
(S. Settis)

Il pensiero di Scialoja – A conclusione del proprio saggio, Andrea Di Porto


presenta il pensiero in merito ai beni pubblici di un grande giurista come Vittorio
Scialoja proponendo una lettura combinata di due scritti meno noti riguardanti i
beni demaniali di uso pubblico e l’azione popolare.

Quello su cui opera Scialoja è un terreno difficile, specialmente in quegli anni, in


cui si gioca una disputa scientifica sui beni demaniali di uso pubblico, che si può
sintetizzare negli interrogativi di Lorenzo Meucci: “Chi è il vero soggetto della
proprietà pubblica ? E’ lo stato gerarchico ? E’ il popolo o la collettività ? Sono i
singoli ?”.

Nel saggio “Per la proprietà dello Stato sui beni demaniali d’uso pubblico”, Vittorio
Scialoja pone la questione di fondo se, alla luce della legislazione vigente, possa
ammettersi una vera e propria proprietà dello Stato sui beni del pubblico
demanio.
Scialoja, dopo aver dato conto delle diverse posizioni sulla questione posta, si
mostra favorevole alla tesi della proprietà.
Scialoja vede tuttavia gli ostacoli normativi di tale tesi, come ad esempio nella
formulazione dell’art.429 c.c. che afferma che “tutti i beni che cessino di essere
destinati all’uso pubblico, passando dal demanio pubblico al patrimonio dello
Stato”, potendo lasciar intendere (se strettamente interpretato) che prima della
cessazione dell’uso pubblico tali beni non appartenessero allo Stato.
Ma Scialoja ritiene gli argomenti, a favore della tesi della proprietà dello Stato,
che si possono ricavare dalla legge sulle opere pubbliche del 29 Marzo 1865 dove
l’art.22 dell’allegato F dispone che “”il suolo delle strade nazionali è proprietà dello
Stato, quello delle strade provinciali appartiene alle Province, ed è proprietà dei
comuni il suolo delle strade comunali”.

In seguito Scialoja sottolinea la dimensione formale della tesi proprietaria,


asserendo che la proprietà, essendo un diritto elastico ed indefinito, in diritto non
può esistere in funzione dell’utilità: in parole povere, la proprietà esiste a
prescindere dall’utilità del bene sul quale si esercita.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
“Ho sempre parlato sin qui di proprietà privata dello Stato e degli altri enti pubblici.
E’ utile notare peraltro che la speciale natura di questi enti fa sì che la loro
proprietà, per quanto possa dirsi privata, non si può mai equiparare del tutto a
quella delle persone fisiche. Ciò vale tanto per la proprietà dei beni del demanio
privato, quanto per quella del demanio pubblico. Ma, come questa necessaria
differenza non vale a distruggere il concetto di proprietà del demanio privato, così
non vale, neppure unita al diritto pubblico nascente dalla pubblica destinazione, a
distruggerlo pel demanio pubblico”. (V. Scialoja).

Nel saggio intitolato “Per l’azione popolare a tutela dei diritti pubblici diffusi”,
Vittorio Scialoja si mostra favorevole alla legittimazione popolare ad agire.
Scialoja concepisce la azioni popolari come strumento efficace per una
partecipazione, attiva, forte e responsabile del cittadino alla vita dello Stato; ma
anche strumento di controllo del potere della pubblica amministrazione, che nella
realtà non rappresenta gli interessi di tutta la collettività, ma esprime la volontà
della maggioranza di governo del momento; e pure rimedio per chiedere conto
della trasgressione o della in applicazione delle disposizioni legali e, per reagire,
all’inerzia o all’ingiustizia di un pubblico funzionario.

Scialoja prospetta poi la seguente gradazione di diritti:

-diritto spettante alla comunità come ente a sé e da esercitarsi mediante un organo


speciale di essa

-diritto spettante alla comunità come ente a sé e da esercitarsi da qualunque suo


membro

-diritto spettante a tutti i membri della comunità e da esercitarsi perciò da ciascuno


di essi

“Questo diritto è bensì pubblico, spetta all’individuo come membro del popolo: ma
tuttavia un diritto che spetta a lui, e non già al popolo come un ente diverso e
totalmente distinto da lui. Se mi fosse lecito parlare figuratamente direi che si tratta
qui non già di un diritto pubblico concentrato, ma di un diritto pubblico diffuso in
tutti i membri della comunità”. (V. Scialoja).

A conclusione del proprio saggio, Andrea Di Porto individua il punto di equilibrio


(che Scialoja immagina) tra l’imputazione dei beni pubblici allo Stato secondo gli
schemi della proprietà privata e l’auspicio che il legislatore riconosca le
legittimazioni popolari: i beni demaniali di uso pubblico devono essere di
proprietà dello Stato e su di essi lo stato deve esercitare tutte le prerogative del

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)
pubblico potere; ma, accanto a tale diritto, si trova il diritto di uso dei singoli
cittadini, da intendersi, secondo la qualificazione di Scialoja, come diritto
pubblico diffuso, cioè un diritto pieno, tutelato da azione che il cittadino può
esperire a tutela del proprio diritto d’uso o per chiedere conto dell’inapplicazione
delle disposizioni legali o per reagire all’inerzia di un pubblico funzionario.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: elisa-trillo-1 (elisatrillo91tw@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche