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Abbiamo una concomitanza di eventi e avvenimenti che devono essere ben

coordinati da loro: Ad esempio – le crisi recenti hanno aperto gli occhi a una
revisione “totale” ai capisaldi del nuovo millennio.
La crisi ha evidenziato una serie problematiche (Gli Stati Europei hanno provveduto
con degli interventi che, però, sono arrivati troppo tardi).
La BCE è intervenuta sopperendo agli interventi della politica (azioni di Mario
Draghi).
La normativa bancaria e finanziaria è una normativa di carattere speciale, laddove
esiste. La specialità delle fonti di carattere finanziario sta ad indicare che se c’è una
regola scritta nella disciplina del mercato finanziario quella è prevalente. Queste
regole, laddove esistono, prevalgono sulle regole generali.
FONTI DEL DIRITTO:
Criteri Generali
- Gerarchico → (Prevalenza) Legge superiore prevale su regole inferiore
- Cronologico → Legge posteriore deroga legge anteriore (si applica
sostanzialmente alle leggi penali nel nostro Paese, ha valenza assoluta)
Nell’ambito delle fonti, all’interno del sistema italiano abbiamo:
Leggi – Regolamenti – Usi
La Costituzione prevale sulle forme interne (non può essere modificata se non con
procedure aggravate), poi vengono le leggi (fonti primarie) e regolamenti (fonti
secondarie).
Separazione delle competenze:
Ci sono delle fonti che possono essere adottate soltanto da determinati organi
prestabiliti (separazione Nazionale e Regionale)

FONTI DELL’ORDINAMENTO FINANZIARIO:


Il rapporto fra fonti nazionali e fonti europee ruota intorno al principio della
prevalenza dell’ordinamento europeo sull’ordinamento nazionale, quindi si crea un
contrasto (è possibile che in attesa dell’adeguamento dell’ordinamento nazionale
all’ordinamento europeo si ha una disapplicazione della normativa nazionale).
Nell’ambito delle fonti dell’ordinamento europeo, in estrema sintesi, possiamo fare
una distinzione fra:
- ATTI VINCOLANTI (Regolamenti – Direttive)
- ATTI NON VINCOLANTI (Raccomandazioni – Pareri)
Nell’ordinamento finanziario, le fonti non vincolanti vincolano comunque nella
pratica gli operatori.
REGOLAMENTI (hanno portata generale, sono obbligatori in tutti gli elementi e
producono effetti diretti – Il regolamento europeo è direttamente applicabile)
DIRETTIVE (vincolano gli Stati nel risultato da raggiungere, lasciando libertà su forma
e mezzi da adottare – Quando viene emanata una direttiva europea, ogni Stato deve
recepirla con un provvedimento Nazionale)
Qual è la differenza?
Essendo direttamente applicabili, i regolamenti sono uguali per tutti gli Stati. Nel
caso delle direttive, invece, dovendo essere recepite, c’è la possibilità che vengano
riadattate dagli Stati.
Il processo di integrazione europea (anni 70) dal punto di vista finanziario è
avvenuto esclusivamente mediante l’emanazione di direttive (non era possibile, per
le differenze che vi erano fra i diversi Stati membri, fare in modo che la disciplina
fosse uguale per tutti senza procedere per gradi). Ciò ha consentito, col tempo, di
creare una certa armonizzazione europea del mercato finanziario europeo che, ad
oggi, è completamente armonizzato. La direttiva è stata, inizialmente, una direttiva
di armonizzazione minima – cioè venivano date due regole e il resto di tutta la
direttiva poteva essere recepita o meno a seconda della situazione giuridica e/o
economica dello Stato.
A partire dal 2004/2005 si è cominciati a progredire sotto questo aspetto mediante
direttive di armonizzazione massima – direttive che imponevo ai singoli stati
membri l’adozione di tutte le regole contenute nella direttiva, lasciando meno
spazio alle regole facoltative da recepire, arrivando, dunque, all’applicazione di
regolamenti.
Con le prime direttive in materia bancaria, nonostante fossero di armonizzazione
minima (basate sostanzialmente sull’esistenza dei requisiti), vi era un lungo periodo
di recepimento da parte degli Stati – cosa che accade tuttora nonostante le direttive
vengano scritte con la partecipazione degli Stati e nonostante l’emanazione delle
regole passi da un processo di consultazione da parte di una commissione scelta.
L’esigenza di garantire la “better regulation” nel mercato finanziario ha portato
all’adozione di procedure per cui le regole sono sempre condivise (nel momento in
cui vengono scritte, sono già state discusse e le imprese già le conoscono) poiché
esistono documenti di consultazione – sito CONSOB ad esempio. Prima dell’entrata
in vigore, la regola viene postata sul sito e si apre una fase di CONSULTAZIONE
PREVENTIVA in cui gli operatori possono esprimersi tramite osservazioni e
consultazioni, queste osservazioni vengono valutate e, a quel punto, il
provvedimento, viene pubblicato. Così facendo gli operatori stessi possono rendersi
conto degli aspetti importanti della regola (C’è soprattutto un’informazione
preventiva che sicuramente gioca a favore del mondo delle imprese – nell’industria
finanziaria si percepisce già il cambiamento in modo preventivo). Ai fini della
corretta applicazione della regola, questo processo è fondamentale perché
permette di comprendere la finalità della regola stessa fin dal principio.

Nel mercato finanziario, il sistema delle regole è molto variegato:


Esistono atti giuridici obbligatori e vincolanti (norme) e atti giuridici non vincolanti
(come detto in precedenza).
Il mercato finanziario è così sensibile alle vicende, alle voci che cambiano il mercato
e ciò dà particolare importanza alle fonti non vincolanti poiché quando parla
un’autorità tecnica nazionale o europea allora il settore si deve adeguare (al fine di
evitare sanzioni di mercato). Ciò ci porta a dedurre che le fonti vincolanti non sono
state efficienti (la disciplina dell’attività bancaria e finanziaria per essere efficiente
deve essere accompagnata dalle buone regole che prescindono un po’ da tutto il
resto – da qui l’importanza delle fonti non vincolanti all’interno del mercato
finanziario).
Anticipazione su SOFT LAW:
Non esiste un ordinamento finanziario europeo/globale (cioè non esistono norme
internazionali che regolino l’ordinamento finanziario) ma sono stati creati degli
organismi che stabiliscono delle regole (non obbligatorio o vincolanti) che
rappresentano una sorta di “gentlemen agreement” affinché tutto funzioni
regolarmente. L’accordo di Basilea è un esempio pratico (accordo uniforme fra gli
Stati che permetta una maggiore integrazione fra gli stessi).

La particolarità dell’ordinamento finanziario sta nel dare particolare attenzione alle


norme secondarie (regolamenti – norme delle autorità di settore – nel nostro Paese
mentre normative vincolanti e non vincolanti a livello Europeo). Negli anni 30 (Legge
bancarie del 36) viene affidato alle disposizioni dell’autorità di settore la disciplina di
argomenti importantissimi: adeguatezza patrimoniale, controlli interni,
concentrazione dei rischi, organizzazione del consiglio di amministrazione, tutela
degli investitori (ancora oggi è cosi). Essendo il mercato bancario sensibile alla
reazione della realtà sottostante, doveva essere disciplinato anche dalla normativa
tecnica secondaria (è proprio questa la specialità) e ciò si percepì fin dagli anni 30
(parliamo del nostro Paese mediante Banca d’Italia). La legge fin dagli anni 30 è stata
definita una Legge Cornice – Legge Quadro – in cui si stabiliscono i principi generali
(che fanno da cornice) e non vanno nel dettaglio, poiché quest’ultimo è affidato alle
autorità di settore (essendo per l’appunto una materia più tecnica).

Le Fonti:
Quelle dell’ordinamento Italiano (e dell’ordinamento finanziario) si possono definire
stratificate – devono essere considerati vari livelli:
La Costituzione in Italia prevale sulle altre leggi, ha un organismo rafforzato di
modifica.
Sotto la Costituzione vi sono le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge:
Decreto Legge e Decreto Legislativo.
A livello comunitario abbiamo direttive e regolamenti.
Se c’è un conflitto fra normativa italiana e normativa europea, prevale quella
europea (la normativa italiana si disapplica); fatta eccezione per la Costituzione.
Sotto le leggi abbiamo i regolamenti.
In ambito bancario e finanziario abbiamo:
BCE (attività di vigilanza e formalizza decisioni vincolanti)
Autorità Europee - ESAS (European Supervisory Authorities):
EBA (European Banking Authority) – in ambito bancario
ESMA (European Securities and Markets Authority) – in ambito mobiliare
EIOPA (European Insurance and Occupational Pension Authority) – in ambito
assicurativo
Normalmente queste autorità hanno il potere di emanare atti di SOFT LAW che
hanno un impatto rilevante nell’ordinamento proprio perché emanate da autorità
europee – anche se non obbligatorie – e seguono il principio di comply or explain
(nel momento in cui non recepisco la norma, io come banca, devo spiegare perché
ho disatteso le indicazioni).
Regolazione Amministrativa:
Si tratta di adempimenti amministrativi a carico degli operatori per assicurare le
finalità di vigilanza affinché tutti operino sotto le stesse regole.
Dove può nascondersi il problema della regolazione?
Non tenere conto dei fallimenti di mercati o del legislatore stesso. Se le regole
risultano poco chiare, i comportamenti non si indirizzano verso il fine giusto e dove
c’è discrezionalità, c’è corruzione. Ciò ha impatto a livello economico (ne risente il
PIL).
Le più importanti tipologie di fallimento di mercato sono riconducibili alla presenza
di:
- ESTERNALITA’
- ASIMMETRIE INFORMATIVE
- POTERE DI MERCATO
- BENI PUBBLICI (Non escludibilità dal consumo)

EVOLUZIONE NORMATIVA (AMBITO BANCARIO E FINANZIARIO):


In Italia vi è un’arretratezza finanziaria (non c’è un’attenzione specifica al fenomeno
finanziario). Nel diciannovesimo secolo regolava tutto il codice del commercio
(regole uguali per qualsiasi tipo di industria).
Vi era una banca mista fino al 1936 (Introduzione legge bancarie), essa si sostanzia
nella differenziazione delle raccolte a breve e a lungo – la raccolta a breve può
essere impiegata a medio e lungo termine e viceversa. In Italia la prima authority è
stata creata nel 1893 con la Banca d’Italia e all’epoca la possibilità di emettere
moneta ce l’avevano solo 3 istituti (denaro predeterminato che si poteva emettere
dalla legge).
Un discorso analogo per la borsa:
C’è una prima disciplina organica nel 1913, ma sostanzialmente si trattava di una
borsa pubblicistica (l’ordinamento delle borse era effettuato in funzione
pubblicistica e le borse erano sottoposte al controllo del governo). Vi era un libero
accesso degli operati di mercato alla borsa (accesso a coloro che erano capaci di
obbligarsi) – sicuramente era un contesto più semplice in cui lo Stato poteva
intervenire – figura dello Stato Gestore che interviene direttamente nell’economia
e, come è successo in passato, acquista anche capitale azionario delle società più
importanti a livello strategico. In alcune società, ad oggi, vi sono le Golden Shares
(Lo Stato tramite partecipazioni può riservarsi la possibilità di decidere).
Per quanto riguarda il settore monetario, l’intervento dello Stato sarebbe stato
facilitato solo se fosse stata eliminata la pluralità di soggetti che potevano emettere
moneta e questo viene fatto nel 1926 (resta solo la Banca d’Italia – monopolio
dell’emissione). Vi è un intervento diretto dello Stato che entra nell’ordinamento del
credito attraverso un controllo sull’ingresso del mercato (ad esempio il numero di
sportelli era deciso dallo Stato). Vi era la possibilità di effettuare ispezioni per
valutare le conformità alle normative e l’obbligo di accantonare una percentuale di
utili destinati a riserva. Questo modello di banca mista resterà in vigore fino al 1936.
Viene riconosciuto, inoltre, l’interesse pubblico nella regolarità delle borse valori
dando una certa importanza al mercato che si stava ampliando. Vi è una brusca
frenata nel 1929 (caduta dei consumi accompagnata da un generale ristagno della
domanda) – la situazione si aggrava poiché le banche non si accorgono della
crescente richiesta di circolante e non emettono moneta. La presenza del modello di
banca mista e le limitate forme della vigilanza pubblica sul settore finanziario
consentirono alla crisi di trasmigrare dall’industria alla finanza (Raffaele Mattioli:
«nefasta fratellanza siamese»).
Dopo il ’29 appare evidente una riforma radicale dell’intero settore. Iniziano a farsi
strada le regolamentazioni bancarie degli anni 30 (Prima gli USA, poi Belgio e
Germania). In Italia, però, continua l’interventismo pubblico – nasce l’IRI e vi è una
progressiva pubblicizzazione della gestione delle imprese. L’IRI, attraverso il
possesso azionario, acquista diverse società e la cosa sembra funzionare
specialmente nei periodi di boom economico – ma ciò sfocerà in una miriade
incontrollabile di società.
Si inizia ad impedire che certe banche svolgano operazioni di credito mobiliare.
Con la fine della banca mista, si vira sulla banca pura con la nuova legge del 1936 (si
distingue tra aziende di credito che effettuato attività bancaria nel breve termine e
gli istituti di credito speciale che, invece, operano nel medio e lungo termine). La
finalità è quella di impedire agli appartenenti al settore di non riuscire a far fronte
all’impossibilità di adempire ai propri doveri. Vi è, dunque, una separazione fra
banca e industria per la prima volta e una specializzazione funzionale – ovvero una
correlazione fra raccolta e impiego.
La legge del 1936 era una cosiddetta LEGGE QUADRO (normativa in bianco in cui
venivano semplicemente identificate le autorità competenti, i poteri d’intervento e
le materie d’interesse – norma in bianco vuol dire che è possibile un uso molto
ampio di questi poteri e ciò porta ad una situazione di incertezza poi stata alla base
di molte situazioni osservate).
BOOM ECONOMICO – DOPOGUERRA:
Inizialmente c’è ancora lo Stato Gestore (poi diventato Stato Regolatore – laddove vi
siano settori strategici è ovvio che debbano esserci degli esperti che assicurino un
impatto positivo sul mercato). Nel dopoguerra vediamo un sistema in espansione e
una crescente attenzione del legislatore nei confronti di banca e risparmio; a tal
proposito, con gli articoli 41 e seguenti della Costituzione si va a regolare l’iniziativa
economica e privata e si va a promuovere e incentivare il risparmio.
ART 47 COMMA 1 → Parla di tutte le forme di risparmio tutelate.
E’ un principio generale, quello della tutela del risparmio. Inizia, però, a portarsi
avanti un’idea concorrenziale di questo mercato (fino ad allora in mano soltanto a
determinati player) e, quindi, il modello di banca pura inizia a confrontarsi con il
mercato concorrenziale. Iniziano ad esserci degli interventi che vanno ad attenuare
la maggiore autonomia per le banche maggiormente capitalizzate, con conseguente
ampliamento di quella parte di mercato che consisteva nella raccolta e negli impeghi
a breve termine.
PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA:
Iniziano a infondersi concetti base sulla regolamentazione a livello bancario:
- Sana e prudente gestione
- Libera competitività sul mercato
- Serietà sul profilo patrimoniale e delle iniziative (delimitare gli assetti
proprietari – il controllo su di essi permette di delineare gli effetti a livello
macro bancario e non)
- Assunzione di modalità organizzative adeguate (le banche devono avere una
determinata struttura e una determinata governance)
Prima direttiva:
Direttiva 77/780/CEE – La definizione di attività bancaria non cambia ma, come è
già stato anticipato, non c’è più il cosiddetto “bisogno del mercato” (non c’è
l’intervento pubblico nell’economia perché c’è bisogno del mercato da parte delle
banche). C’è un approccio diverso: Concorrenza nel mercato. L’intervento pubblico
trova la sua ratio giustificatrice nella verifica delle condizioni patrimoniali,
organizzative e operative degli enti creditizi. E’ evidente che assumono particolare
rilievo le regole sull’esistenza di fondi minimi sufficienti (presenti tutt’ora ma con
diverse stratificazioni) – sono necessarie delle barriere all’ingresso per la ratio
normativa e per la finalità del mercato (non tutte le società possono fare banca),
l’intervento pubblico è finalizzato proprio a definire questo tipo di approccio,
delimitando quindi capitale minimo (in base a quelli che sono i servizi forniti alla
clientela – come i servizi di investimento che prevedono un’autorizzazione). In
questa fase va a verificarsi l’esistenza di:
- Fondi minimi
- Controllo sulla compagine monetaria e sul management
- Requisiti di onorabilità e professionalità (poi diventati sempre più specifici e
sempre più stringenti)
- Programma di attività (dimostrare ad esempio che il programma sia
compatibile con i criteri di sana e corretta gestione e contenimento del rischio
– la valutazione avviene da parte della Banca d’Italia, Consob, IVAS che fanno
vigilanza, la maggior parte delle volte, sullo stesso soggetto)
La vigilanza è funzionale. Ad esempio: la Banca d’Italia va a guardare la sana e
prudente gestione, il contenimento del rischio; la CONSOB va a vigilare sulla
trasparenza e la correttezza dei provvedimenti; mentre l’IVAS agisce sul versante
assicurativo.
Seconda direttiva:
Direttiva n. 1989/646 /CEE: Si entra più nel dettaglio per quanto riguarda regole di
derivazione europea essenziali per il business transnazionale e le crossboard
transaction essenziali al business bancario moderno. Si introducono concetti come:
- Mutuo riconoscimento (Si consente alla banca di avere, proprio perché c’è
una vigilanza comune, - che poi viene fortificata dall’introduzione di 3 autorità
che servono a affermare e monitorare la Supervisory Convergence - un’unica
licenza valida in tutto il territorio dell’Unione Europea tramite il quale è
possibile, avendo rispettato i requisiti, aprire succursali in altri Paesi senza
nuova autorizzazione ma soltanto tramite comunicazione all’autorità di
vigilanza del Paese ospitante mediante il quale viene definito il programma di
attività).
- Home Country Control (La vigilanza è del Paese di appartenenza della Banca e
si avvarrà dei funzionari di autorità del Paese di vigilanza, se necessario, ma le
regole di vigilanza sono quelle del Paese di appartenenza – eccezioni sono
quelle relative a materie che nella sostanza hanno rilievo sulla liquidità
aziendale che rimane affidata all’autorità di vigilanza del Paese ospitante).

Già dagli anni 70 si sono cercati degli spiragli per rinnovare il modello bancario,
viene introdotto, dunque con questa direttiva anche il modello di banca universale
(la banca diviene attiva su tutti i segmenti del mercato finanziario, si inizia a parlare
di conglomerato finanziario cosi come lo è oggi – da questo momento la banca è
motivo di interesse per tutte e tre le autorità di vigilanza!).
Anche con questa direttiva si vanno a specificare concetti già analizzati come:
- Finalità dell’azione di vigilanza (si sposta da un profilo strutturale a un profilo
prudenziale – si focalizza sulle caratteristiche dell’intermediario in termini
organizzativi, finanziari e di competitività ed efficienza in modo che lo stesso
possa stare sul mercato con una corretta consapevolezza del rischio assunto e
con una corretta composizione sociale di esponenti aziendale)
- La concorrenza diventa su base universale e non settoriale proprio perché la
banca diventa universale
Processo di Privatizzazione Bancaria e Focus sull’Italia:
Gradualmente si passa da un rilievo pubblicistico ad un rilievo privatistico (con
eccezione ad oggi della Monte dei Paschi). Il processo di privatizzazione bancaria
inizia negli anni ’90; si cerca di far transitare il sistema dal pubblico al privato e
questo processo viene distinto in più fasi:
Privatizzazione Formale e Privatizzazione Sostanziale.
Le fasi possono essere cosi distinte:
Legge Amato: si danno delle regole di diritto privato alle banche, ma l’azionista resta
lo Stato (si elimina l’elemento pubblicistico formale e legislativo – cambiano solo le
normative applicabili). In questo contesto di particolare rilevanza è il ruolo delle
fondazioni (si trattava di S.p.a con azionista di controllo la fondazione pubblica) che
avrebbero dovuto cedere le partecipazioni in queste banche. Vi era, quindi, un
soggetto pubblico che possedeva le azioni ma che non poteva effettuare l’attività
bancaria.
Tramite una serie di leggi si è andata a smontare l’attività delle fondazioni.
Legge n. 1 del 1991, la cd. legge sulle SIM: Si arriva a un modello privato e ad un
modello di autoregolamentazione (il mercato regolamentato è, dunque, gestito
dalla società di gestione – un soggetto privato). Il business si autoregolamenta sia
come regolamento del mercato sia per quanto riguarda le società quotate (in
particolare c’è un comitato che gestisce il codice di regolamentazione delle società
quotate e a cui tutte le società aderiscono e partecipano mediante varie modifiche).
Testi unici: Perché ci fu necessità dei testi unici? Quasi tutti gli interventi di sostanza
della normativa bancaria e finanziaria (in Italia) sono preceduti da uno scandalo. Il
TUF e il TUB non sono esenti da questa regola. Si tratta di norme di principio, di
finalità.
- Testo Unico Bancario (D. Lgs. 385/1993) -> C’erano nuovi soggetti e nuovi
player sul mercato, c’era la necessità di fare chiarezza andando a
regolamentare in maniera unica, efficiente ed omogena ambito mercati,
ambito emittenti e ambito intermediari.
- Testo Unico Finanza (D. Lgs. 58/1998)

Non esiste un diritto dei mercati internazionale, non esiste una procedura
amministrativa a livello europeo che vincola tutti gli stati. Non c’è una procedura
legislativa globale che introduca norme giuridiche obbligatorie e vincolanti nei
confronti degli altri Stati
Nell’evoluzione normativa, per comprendere le regole, conta capire come
determinati provvedimenti siano stati emanati e per quale motivo.
ART 2 TUF: Rapporto tra norme nazionali e norme europee con principio di
prevalenza della norma europea su quella nazionale (in determinate materie) –
PRINCIPIO GENERALE! Ma nel TUF c’è una norma che espressamente stabilisce, a
livello legislativo, questo tipo di regolamento. MEF – Banca D’Italia – CONSOB
esercitano i poteri loro attribuiti in armonia con le disposizioni comunitarie,
applicano i Regolamenti e le Decisioni dell’Unione Europea e provvedono in merito
alle raccomandazioni concernenti le materie disciplinate dal presente decreto.
◼ Infatti l’ART 2 enuncia: “il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca
d’Italia e la Consob esercitano i poteri loro attribuiti in armonia con le
disposizioni comunitarie, applicano i Regolamenti e le Decisioni dell’Unione
Europea e provvedono in merito alle raccomandazioni concernenti le materie
disciplinate dal presente decreto”.
L’esercizio, da parte delle Autorità, dei poteri sull’ applicazione del diritto europeo
deve avvenire in armonia con le disposizioni comunitarie. Le Autorità hanno il
compito di provvedere in merito all’applicazione dei Regolamenti e delle Decisioni
dell’Unione Europea, nonché delle raccomandazioni concernenti le materie regolate
dal Testo Unico.
Riprendendo la differenziazione fra norme vincolanti e norme non vincolanti:
La norma vincolante è direttive e regolamenti (le prime recepite con regolamenti
nazionali, le seconde cosi come son scritti vengono applicati ed entrano in vigore)
La norma non vincolante (atti giuridici che provengono dall’UE) sono
raccomandazioni e pareri che hanno un’importanza nel sistema finanziario e lo
regolano e lo “guidano”, perché l’ordinamento finanziario si basa sulla fiducia dei
buoni meccanismi di mercato. Se le istituzioni europee emanano delle
raccomandazioni o pareri nei confronti degli intermediari, è bene che quest’ultimi le
recepiscano e le capiscano. L’autorità di vigilanza ha poteri di ispezione, regolazione
e informazione. La distinzione fra norme primarie e norme secondarie è
fondamentale per comprendere l’ordinamento finanziario.
In Europa abbiamo norme primarie e normative secondarie (di attuazione delle
direttive) ma abbiamo tutta una serie di provvedimenti che non hanno funzione
normativa, ma che rappresentano un ruolo fondamentale nell’armonizzare –
uniformare – le prassi degli intermediari. Con una raccomandazione, gli operatori
vengono istruiti (ad esempio). Se le raccomandazioni non vengono seguite possono
diventare obbligatorie e vincolanti!
Fonti ordinamento finanziario
Nel sistema Nazionale abbiamo:
- Art.41 Cost. → Tutela il diritto soggettivo di libertà d’impresa
- Art.47 Cost → Tutela il diritto al risparmio in tutte le sue forme. Questo
articolo è diventato il riconoscimento della libertà economica; i poteri pubblici
possono dettare norme NON per limitarla o indirizzarla ma per organizzare i
mercati e vigilare sul corretto funzionamento. L’Art.41 è la disposizione che
legittima la regolazione dei mercati.

La regolazione finanziaria è un mix tra HARD LAW e SOFT LAW (Nel momento in cui
la HARD LAW viene violata c’è subito la risposta dell’ordinamento).
Non esiste un diritto internazionale finanziario (il complesso di norme generali e
astratte vincolanti per tutto il mondo)
I Paesi interessati alla finanza, hanno iniziato a riunirsi per realizzare degli organismi
(tramite consensi fra autorità di vigilanza) mirati a far funzionare bene il mercato –
stabilire delle regole, obbligo di informare le imprese, ispettiva per fare ispezioni
laddove necessario – il fatto che tutti riescano ad operare tramite criteri analoghi fa
bene alla finanza mondiale (Cosi nasce la SOFT LAW – nel momento in cui questa
tipologia di mercato finanziario ha iniziato ad espandersi).
SOFT LAW: Ricapitolando, è stata, prima di diventare una direttiva, un insieme di
considerazioni fra le autorità che hanno determinato il regolamento. Si dà il valore
di SOFT LAW anche all’esternazione di autorità pubblica (esternazioni,
considerazioni non vincolanti fra autorità che però gli operatori dei mercati
rispettano perché le percepiscono come vincolanti anche se non lo sono).
Per capire la regolazione finanziaria nazionale, occorre ripercorre l’evoluzione
normativa.
Alle origini la disciplina dell’intermediazione finanziaria si esauriva e coincideva con
la disciplina delle banche. Per capire il tipo di regolazione che abbiamo avuto in Italia
c’è da dire che le varie leggi di settore son sempre intervenute in seguito ad una crisi
(ad una crisi corrisponde sempre una nuova normativa).
L’evoluzione normativa della disciplina del mercato finanziario dipende proprio da
determinate crisi conseguite durante gli anni (crisi finanziarie, bancarie più o meno
grandi). Non c’è una norma speciale che disciplina il settore bancario. Le banche
sono imprese che svolgono la loro attività liberamente (c’è il codice del commercio
che tratta le banche come una qualsiasi altra impresa, con il riconoscimento della
loro esistenza). A un certo punto lo Stato inizia a capire di dover investire in queste
“imprese”, attuando un processo di consolidamento e sviluppo industriale derivato
proprio dalle risorse di queste imprese che svolgono attività di intermediazione –
banche. Questa attività, inizia ad essere chiaro, è un’attività fondamentale e
significativa per il Paese.
Riforma bancaria del 1926:
Nel 1926 per la prima volta l’attività bancaria viene disciplinata da una legge
speciale – le banche che svolgono attività a breve nei confronti dei risparmiatori
sono soggette a una disciplina speciale (che prevale sulla normativa generale –
codice del commercio). Questa legge stabilisce che: Le banche sono soggetti speciali
perché svolgono un’attività particolare e devono essere soggette a un controllo
all’entrata (autorizzazione affinché possano svolgere l’attività), a dei controlli di
bilancio (che deve essere approvato e vidimato dall’autorità di vigilanza) e, inoltre, ci
si accorge che c’è un interesse pubblico a regolare l’attività bancaria (nel momento
in cui, ad esempio, la banca va in crisi si destabilizza l’intero sistema bancario).
Questa legge, però, permane nel modello operativo della banca (già previsto dal
codice del commercio) secondo cui la banca viene definita “banca mista” (banca
libera di fare qualsiasi cosa senza vincoli). E’ una legge speciale ma che dà soltanto
un controllo all’ingresso e del bilancio; si caratterizza, però, la legge del ’26, nella sua
operatività, per attribuire una totale libertà di assunzione di partecipazione (anche
di controllo) nelle altre società industriali (l’elemento negativo di questa legge è
proprio che non si è intervenuti in nessun modo a regolare il rapporto tra banche e
imprese – le prime potevano acquisire partecipazioni all’interno di imprese) –
questo elemento non va tralasciato, poiché ha rappresentato il presupposto
principale che ha poi scaturito la crisi del 1929 – le banche avevano talmente tante
quote partecipative nel settore industriale che quando è fallita l’impresa industriale,
quest’ultima ha portato con se le banche. Ciò ha determinato il fallimento della
legge bancaria del ’26.
La conservazione del modello della banca mista e limitate forme di vigilanza
pubblica hanno consentito la trasmissione della crisi dall’industria alla finanza. La
carenza di regole aveva consentito gestioni non prudenti con eccessiva
concentrazione dei crediti e molti enti bancari si erano trasformati in holding delle
industrie, protese al sostegno dei loro titoli che detenevano in misura ingente in
portafoglio. Esigenza di una riforma radicale del settore.
La riforma degli anni 30:
La grande depressione ha portato a una revisione delle leggi esistenti in materia
bancaria in tantissimi Paesi. La riforma in Italia si distingue per essere
particolarmente rigida. La riforma del ’36 (Vigilanza regolamentare – affidamento
alle autorità tecniche delle disposizioni secondarie) introduce a livello normativo
l’opzione di un mercato bancario in cui le banche sono sottoposte alla vigilanza
pubblica (vigilanza forte e penetrante) che arriva, non soltanto a vigilare sulla forma,
ma anche a vigilare sull’operatività e sulle scelte aziendali. Con ciò si è voluto
impedire che le banche si ritrovassero a non riuscire, nuovamente, a far fronte ai
propri impegni (cosi come visto durante la crisi del 1929). Le banche, a partire dal
1936 (fino agli anni ’70), in Italia, per qualsiasi operazione facessero (fusione,
acquisto di partecipazioni) dovevano essere soggette all’autorizzazione della Banca
d’Italia. Il mercato era comunque stabile, ma ingessato – c’erano oneri su operazioni
davvero care, ma c’era una certa sicurezza ad esempio nell’investimento in buoni
del tesoro. Ciò ha sicuramente costituito una certa sfiducia dei risparmiatori e
un’amplificazione delle turbolenze finanziarie. C’era, da parte della Banca d’Italia,
una sorta di equa divisione del lavoro bancario – banche istituite per finanziare
determinate opere pubbliche ad esempio. La regolazione negli anni ’30, quindi, è
incentrata sulla specializzazione funzionale (si era visto con la crisi del ’29 che le
banche davanti ai risparmiatori a breve termine non potevano rispondere perché
avevano impiegato i fondi in investimenti a lungo termine e nel momento in cui è
crollata l’industria, automaticamente sono crollate le banche), i cui capisaldi
possono essere cosi riassunti:
- Correlazione fra raccolta e impiego
- Distinzione fra aziende di credito ordinario
- Istituti di credito speciali (aziende di credito che raccolgano ed erogano a
breve senza finanziare il settore industriale)
- Separatezza fra banca e industria (ogni assunzione di partecipazione
all’interno dell’industria doveva essere autorizzata dalla Banca d’Italia che
andava a valutare le esigenze economiche di mercato – valutazione
discrezionale)

L’obiettivo era quello di rendere il settore bancario stabile. In sostanza, viene


superato definitivamente il modello di “banca mista” e viene introdotto il nuovo
modello di “banca pura”.
La riforma del 1936 (definita anche Legge Quadro) identifica le autorità competenti
e i poteri di intervento nelle materie ad esse attribuite. Le norme in tema di mercato
di capitali rimanevano comunque scarse (doveva esserci l’autorizzazione per
l’emissione di azioni e obbligazioni). L’obiettivo principale era comunque quello di
mantenere il sistema stabile.
Processo di integrazione europea:
Processo iniziato a partire dagli anni ’70 (Prima direttiva CEE del ’77) con
l’emanazione delle prime direttive (che nascono per essere recepite con un
provvedimento nazionale) volte a disciplinare i rapporti fra sistema bancario e
finanziario. Queste direttive hanno armonizzazione minima (lasciano la facoltà agli
Stati membri di stabilire le regole sul resto dopo aver recepito la direttiva). Questo
non bastava, alcuni Stati ad esempio non recepivano le direttive, quindi il legislatore
ha “inventato” le direttive self executive:
Categoria per la quale le direttive europee, in attesa del recepimento, sono
vincolanti nelle finalità da perseguire.
Il primo elemento su cui il processo di integrazione europea è stato attuato, è stato
quello bancario. Il primo, quindi, negli anni 70 con la prima direttiva in materia di
coordinamento delle disposizioni bancarie (uniformando per consentire la libertà di
stabilimento – libertà di circolazione – ed eliminando il criterio delle esigenze
economiche di mercato). Paesi come l’Italia, però, hanno avuto difficoltà a recepire
questo tipo di direttive perché ciò voleva dire andare a sconvolgere il sistema
interno. Proprio per questa tipologia di motivazioni, il legislatore ha deciso di
istituire le direttive self executive (di fronte ai ritardi di Paesi come l’Italia, in
attesa del recepimento; nel momento in cui vengono emanate, le direttive sono
eseguibili – obbligatorie e vincolanti immediatamente per quanto riguarda le
finalità da raggiungere)
Con la seconda direttiva CEE del ’89 vengono introdotti i principi del:
- Home Country Control
- Mutuo Riconoscimento

Nell’operatività bancaria arriva una svolta.


Mutuo Riconoscimento: Fondamentale per il mercato unico. Qualsiasi impresa
bancaria può svolgere la propria attività in un Paese della comunità europea in
situazione di libertà di stabilimento o libera prestazione dei servizi attraverso una
succursale, senza ottenere l’autorizzazione del Paese ospitante. Il mutuo
riconoscimento identifica il principio della libertà di circolazione.
Esempio: Impresa Italiana che ha succursale in Germania è tenuta a rispettare
normativa Italiana bancaria e la vigilanza sulla banca Italiana sarà della Banca d’Italia
(Home Country Control)
Considerando l’esempio appena citato è normale poter pensare che questo,
sicuramente, comporta problemi di efficienza dovuti all’alta concorrenza
determinata dalla rigidità della regolazione del sistema bancario italiano a discapito
di quello straniero.
Quindi, il vero meccanismo che ha dato l’input al cambiamento della regolazione
(nel nostro Paese) è stato proprio determinato da questo tipo di concorrenza fra
regole.
Il processo di armonizzazione è stato finalizzato a creare le basi per una regolazione
europea il più possibile armonizzata (cioè senza contrasti di norme fra i vari Paesi).
Legge 1991/1 SIM:
Legge sull’istituzione delle SIM. Introduce un intermediario polifunzionale (Società di
Intermediazione Mondiale) che può svolgere tutte le attività che si identificano
come attività di investimento. La normativa è prettamente nazionale e,
fondamentalmente, è servita a coordinare i rapporti fra Banca d’Italia e CONSOB.
Stabilisce una finalità della vigilanza per funzioni (Banca d’Italia persegue la stabilità
del sistema e la CONSOB la trasparenza e la correttezza).
Decreto EUROSIM:
A distanza di due anni, nel 1993, vengono emanate due direttive europee
(1993/22/CEE e 1993/6/CEE), in materia di disciplina quadro dei mercati di
strumenti finanziari, che introducono il principio dell’armonizzazione minima (si
stabiliscono regole univoche per tutti – riferite al mercato finanziario inteso come
“operatore che negozia sul mercato” e sia come “piazza finanziaria in cui vengono
svolte le negoziazioni”), del mutuo riconoscimento degli intermediari, secondo lo
schema già adottato dalle banche, per le assicurazioni e per gli organismi di
investimento collettivo e dell’home country control (da intendere sia come
intermediari finanziari sia come “piazze finanziarie” – proprio per intendere che
anche l’attività di borsa possa essere svolta ovunque in Europa).
Il quadro istituzionale che caratterizza quel periodo è complesso e problematico,
segnato dalle grandi questioni conseguenti al progredire dell’integrazione
monetaria, dall’avvio di ambiziosi programmi di privatizzazione, da un quadro
politico spesso instabile, ma comunque caratterizzato da una crescente attenzione
ai profili della regolazione economica in senso generale. Poi, l’avanzare del diritto
comunitario tende a modificare lo stesso modo di intervento pubblico nella
regolazione dell’economia, attraverso un progressivo arretramento dei fattori
politici, a vantaggio di interventi di natura squisitamente tecnica: il recepimento
delle 2 direttive è l’occasione per attuare una rifondazione complessiva della
disciplina sul mercato mobiliare, con l’obiettivo di supportare la crescita e lo
sviluppo del mercato finanziario italiano.
Evoluzione Normativa dal 1998 ad oggi:
Nel 1998, in Italia, abbiamo il Testo Unico Finanziario (tendenzialmente in linea con
la normativa Europea). Il problema fra fonti nazionali e fonti europee è comunque,
ad oggi, un problema attuale. Dopo il TUF, nel 2004, per affrontare il problema della
diversità tra regole dei Paesi, viene introdotto il divieto del GOLD PLATING (il divieto
di introdurre regole aggiuntive rispetto a quelle derivanti dai Testi Comunitari) –
proprio perché, al fine di rendere efficaci queste regole, è necessaria
l’armonizzazione massima tra esse.
Dagli anni 2000 si è cominciato a progredire nel processo di integrazione finanziaria
e bancaria (dal punto di vista della regolazione) cercando una tecnica di regolazione
del mercato finanziario. Un comitato europeo (prendendo il nome del proprio
presidente – LAMFALUSSY) ha inventato una procedura che distingue varie fasi del
processo di regolazione:
1. Decisione politica: Vera e propria direttiva (disegno di legge) approvata dal
Consiglio e dal Parlamento
2. Consultazione e approvazione: Valutazione, dal punto di vista tecnico,
dell’efficacia della regolazione con conseguente approvazione di misure di
attuazione della direttiva (ad opera della Commissione Europea)
3. Recepimento/Cooperazione fra Stati: Viene recepita la direttiva negli
ordinamenti interni degli Stati Membri
4. Applicazione e Controllo: Effettiva applicazione delle direttive negli
ordinamenti interni e controllo da parte della Commissione per verificare
l’effettiva conformità degli Stati Membri

L’obiettivo, dietro la creazione di questo comitato, era proprio quello di creare un


rapporto “dall’alto al basso” mediante il quale le direttive emanate avevano bisogno
della consultazione dei professionisti, dei tecnici e degli operati che effettivamente
dovevano applicarle, al fine, appunto, di rendere la regola particolarmente efficace.
Con i default si riaccende il dibattito sugli assetti della regolamentazione del
mercato mobiliare e finanziario. Il dibattito prosegue tra fasi alterne sino al
dicembre 2005, con l’approvazione della legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante
“Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”.
Incisivo risulta l’intervento della legge n. 262/2005 (Legge per la tutela del
risparmio) per quanto riguarda gli assetti e le competenze delle Autorità di vigilanza:
Si ipotizza un’unica Authority. La disposizione maggiormente significativa è
rappresentata dall’art.19 comma 7, in base al quale il Governatore dura in carica sei
anni, con la possibilità di un solo rinnovo del mandato. Gli altri membri del Direttorio
durano in carica sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo del mandato. Le
competenze della Banca d’Italia in materia di concorrenza nel settore bancario e
finanziario sono ridimensionate.

Il passaggio fondamentale, per quanta riguarda il cambiamento della regolazione,


avviene nel 2007 (con la crisi nata dapprima degli USA e poi sfociata in Europa e nel
mercato finanziario internazionale). La Commissione Europea, nonostante le
immissioni di liquidità, non riusciva a trovare una soluzione e affida a un comitato di
esperti (che prende il nome di Comitato De Larosière) che si ritrovano a dover
capire le cause e le soluzioni mediante il quale si potesse risolvere questa nuova
crisi. Questo comitato ha capito che il problema vero era che l’Europa, fino ad allora,
aveva scelto di affidare la vigilanza, sugli intermediari e sul mercato, alle singole
autorità degli Stati Membri. Il comitato capisce che l’operatività sul mercato
finanziario era talmente interconnessa che lo spettro della vigilanza nazionale non
era più, ormai, sufficiente. Era necessario coordinarla a livello europeo. Secondo il
comitato, le regole non hanno funzionato perché il processo di armonizzazione
minima (al fine di consentire la libertà di circolazione dei servizi finanziari), declinato
poi nel principio di armonizzazione massima, fra Stati, ha avuto effetti positivi a
livello normativo primario (regole che rispettano i principi fondamentali – direttive e
regolamenti europei) ma non con la normativa secondaria (attuazione effettiva delle
leggi affidata all’autorità di settore – attuazione, pareri emanati da autorità tecniche
– regolamento CONSOB, istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia). Ci si rende che
conto, quindi, che il mercato è globalizzato e che per gestire un mercato così
interconnesso ci sia bisogno di una vigilanza diversa (un controllo dall’alto
dell’operatività di eventuali rischi sistemici). Questa conclusione arriva sulla base di
un’altra conclusione: Il processo di armonizzazione ha decisamente fallito, avrà
funzionato a livello primario (normativa di legge – tutti gli Stati hanno adempiuto e
hanno armonizzato i testi normativi) mentre a livello secondario (attuazione della
normativa primaria che viene emanata dall’autorità di settore) non c’era
un’adeguata armonizzazione fra Stati.
La proposta di soluzione del comitato De Larosière (poi approvata dalla
Commissione Europea che tra l’altro nel 2011 emanerà diversi regolamenti) è quella
di istituire una nuova architettura di vigilanza finanziaria a livello europeo. Questa
nuova architettura è divisa in due pilastri:
Macro – prudenziale: Si rende conto che in ambito europeo è necessario avere una
vigilanza che sia attenta ai rischi che ci possono essere e, quindi, lo svolgimento di
questa vigilanza viene affidata ad un comitato europeo per il rischio sistemico (CERS
– presieduto dalla BCE) che ha il compito di percepire le allerte di vigilanza
attraverso il controllo dei dati macro prudenziali, in modo da comunicare alle varie
istituzioni i vari rischi di crisi.
Micro - prudenziale: Viene affidata a tre autorità europee di vigilanza: EBA (Autorità
bancaria europea – formata da tutte le autorità vigilanza bancaria dei singoli stati
europei) – ESMA (autorità mercati finanziari – formata da tutte le autorità di
vigilanza europee) – EIOPA (autorità assicurazioni e fondi pensione – formata da
IVASS e COVIP), queste tre autorità insieme formano l’ESAS. E’ una rete di autorità
in cui tutti i Paesi partecipano alle delibere di queste autorità. Da questo punto in
poi le autorità saranno chiamate ad emanare progetti di regole tecniche che
saranno uguali per tutte le autorità di vigilanza europee.

Domande e risposte prova intermedia

1. La regolazione della materia bancaria e finanziaria è riconducibile a


disposizioni Costituzionali?
Il fondamento Costituzionale della legge bancaria e di quella finanziaria è
l’art.47 (perché è lì che si tutela il risparmio)
2. Da dove prendono spunto le teorie di better regulation?
Dai fallimenti del mercato e del regolatore
3. I meccanismi di consultazione pubblica:
Sono alla base del processo di AIR (Analisi di impatto della regolazione)
- Metodologia di valutazione preventiva dei vantaggi e degli eventuali
svantaggi dei provvedimenti regolativi - ha la funzione di accertare se,
presumibilmente, ogni nuova regolazione (ossia ogni legge, regolamento o
procedura) risulta vantaggiosa per la società, contribuendo al
raggiungimento di benefici superiori ai costi necessari per introdurla o
rispettarla.
4. L’Unione Bancaria Europea è pienamente realizzata?
No, manca il terzo pilastro
5. Le disposizioni emanate da Banca d’Italia sono di rango?
Secondario (come tutte quelle che vanno a specificare la legge generale lo
sono)
6. Quale atto non è direttamente applicabile in Italia?
La direttiva perché la direttiva deve essere recepita mediante decreto
legislativo
7. La legge 47 della Costituzione attribuisce il compito della tutela del
risparmio?
Alla Repubblica perché l’art.47 dice che la Repubblica incoraggia e tutela il
risparmio in tutte le sue forme, disciplina, coordina e controlla l’esercizio del
credito. Perché non la legge? Perché quando nella Costituzione c’è scritto
“legge” vuol dire che viene posta una “riserva di legge”, ovvero quella
norma, per quel tipo di materia, deve essere per forza disciplinata dalla
legge ordinaria o atti aventi forza di legge; il fatto che ci sia Repubblica
giustifica l’intervento dell’autorità di settore
8. I servizi accessori sono esclusi nella riserva di attività?
Si. Sono esclusi. Le attività riservate sono quelle nei servizi delle attività di
investimento. I servizi accessori sono quelli propedeutici a quell’attività ma
non sono riservati (ad esempio le cassette di sicurezza, la consulenza non in
materia di investimenti – consulenza aziendale). Il servizio accessorio può
farlo chiunque, non vi deve essere autorizzazione, ma qualora questo
servizio venga posto in essere da un soggetto vigilato, la vigilanza nei
confronti di quei servizi è uguale a quella nei confronti del servizio riservato
(siccome quel servizio può in qualche modo impattare sull’attività core).
9. La gestione collettiva del risparmio è un servizio attività di investimento?
No.

Disciplina emittenti e prospetto informativo


Va fatta una distinzione: Nel momento in cui si parla di società quotate viene
applicata la normativa speciale (in deroga alla disciplina generale) – diritto degli
intermediari finanziari; nel momento in cui si parla di società non quotate viene
applicata la normativa generale – quella sul diritto societario. Proprio perché
quando si parla di società quotate si parla di “gestione del risparmio” e, dunque, si
fa riferimento all’art.47 della Costituzione.
Cosa si intende per prodotti finanziari?
L’art. 1 del TUF definisce come prodotti finanziari: Quegli strumenti finanziari (più
tutti i mezzi di pagamento) e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria.
Strumenti finanziari:
Qualsiasi strumento come: azioni, obbligazioni, derivati ecc. Il concetto di strumento
finanziario è una sorta di evoluzione del termine “valori mobiliari”. Si intende, per
valori mobiliari, tutti quei valori che possono essere negoziati nel mercato dei
capitali – concetto quasi del tutto superato e sostituito dagli strumenti finanziari.
Parlando di prodotti finanziari parliamo di tutti gli strumenti finanziari, compresi
anche i mezzi di pagamento.
Società quotate:
Il fatto che sia quotata (quindi raccoglie risparmio) giustifica la disciplina speciale nei
confronti della società quotata piuttosto che in quelle non quotate.
Fonti di finanziamento:
- Mezzi propri (azioni)
- Forme di indebitamento (ricorso alle fonti di credito)
Parlando di società quotate si parla di emittenti; ma una società può avere anche
azioni non quotate. Qualora si tratti di una società non quotata, ma le cui azioni, in
misura rilevante, appartengono ad una platea importante di soggetti, allora si
applica il TUF e, in particolare, le disposizioni dell’art.116 del TUF.
Come si quota una società?
Con l’IPO una società diffonde i propri titoli sul mercato e diventa “pubblica” (cioè
quotata – viene acquistata da soggetti del mercato)
Varie tipologie di IPO:
OPS (Offerta Pubblica di Sottoscrizione) -> L’obiettivo è quello di incrementare il
capitale sociale – la società emette nuove azioni e chiunque può acquistarle
OPV (Offerta Pubblica di Vendita) -> Viene data la possibilità a chi è già azionista di
vendere sul mercato – disinvestimento del proprio titolo
OPVS (Commistione delle due cose)
IPO e OPA sono accumunate dalla sollecitazione all’investimento e ogni qualvolta ci
si trova davanti ad un’operazione di sollecitazione all’investimento viene applicata la
disciplina del TUF (perché stiamo stimolando il soggetto ad acquistare/stiamo
stimolando il risparmio e, dunque, dobbiamo tutelare il soggetto)
L’obiettivo di questo intervento speciale: Garantire trasparenza ai destinatari
dell’offerta.
Quando un soggetto si quota, dunque, raccoglie e gestisce il risparmio dei soggetti
(risparmio che deve essere tutelato). È l’importanza di questa tutela che giustifica la
riduzione dell’autonomia privata.
Obiettivi della disciplina speciale:
- Level playing field – parità delle condizioni (Tutti vengano trattati allo stesso
modo – tutela delle minoranze e degli interessi di tutti)
- Trasparenza ed efficienza nella gestione societaria (Tutela dell’investitore
attraverso la trasparenza, quindi, dandogli tutte le informazioni necessarie
che gli consentano di arrivare a un fondato giudizio sull’acquisto o meno del
titolo in questione)

Cosa fa la CONSOB?
È presente in tutte le tappe fin dal momento in cui una società si quota.
- Tutela la trasparenza verificando che il soggetto abbia tutte le informazioni
necessarie
- Verifica che vengano rispettati gli obblighi informativi in capo alle società
quotate.
- Può ritenere necessario di richiedere notizie e informazioni e se ritiene che le
informazioni fornite non siano sufficienti a garantire la trasparenza nel
mercato può richiedere ulteriori informazione, di contro, qualora ritenga che
tali norme non vengano rispettate può predisporre ispezioni (seguite da
sanzioni nel caso in cui l’ispezione non vada a buon fine).
Il TUF (disciplina primaria – ma speciale poiché si tratta di un decreto legislativo)
rimanda alla disciplina di dettaglio (regolamenti). Nel contesto delle società quotate
e dei poteri della CONSOB, la disciplina primaria è il TUF e la disciplina secondaria è il
cosiddetto regolamento emittenti.
Nel contesto della disciplina emittenti rientra la disciplina degli assetti proprietari
(importante per capire chi sta al vertice e chi possiede le partecipazioni della
società). Quando parliamo della disciplina degli assetti proprietari, parliamo di tutte
le norme in materia di:
- Partecipazioni rilevanti
- Disciplina dei patti parasociali
Partecipazioni rilevanti:
Parliamo di tutte le norme che riguardano gli obblighi e gli oneri in capo a soggetti
che detengono partecipazioni rilevanti all’interno della società quotata e che questi
ultimi sono tenuti a rispettare. L’obiettivo è assicurare la trasparenza (il mercato, nel
momento in cui le società sono quotate, deve essere a conoscenza di chi ha le
partecipazioni e di chi, di conseguenza, influenza l’attività della società). Parliamo di
tutto quel complesso di obblighi informativi. Chi detiene una partecipazione
rilevante deve comunicare di avere questa partecipazione, all’interno della società
quotata, sia alla società stessa (oltre che alle sue partecipate) che alla CONSOB
(art.120 comma2 del TUF). Qualora la comunicazione non avvenga, e dunque,
l’obbligo informativo non viene rispettato, il diritto di voto applicato a determinate
azioni viene neutralizzato (quindi neutralizzando la sua logica di investimento). La
partecipazione rilevante, e il conseguente obbligo di comunicazione, scatta già dal
3% in poi (Soglia che aumenta al 5% per una piccola/media impresa). Una volta
comunicato il superamento della soglia alla CONSOB, quest’ultima avrà 3 gg per
comunicare il superamento della soglia al mercato (primo obbligo informativo del
soggetto verso la CONSOB, seguito da un secondo obbligo informativo della
CONSOB – in 3 gg – nei confronti del mercato). A quel punto scatta l’obbligo di
conoscenza.

Patti parasociali:
Sono accordi stipulati, in qualsiasi forma, tra i soci di una società quotata. In quanto
tali sono sottoposti a una serie di norme specifiche (perché influenzano in maniera
importante e significativa l’andamento della società e le decisioni delle società
stessa). Il mercato deve essere a conoscenza del fatto che all’interno di una certa
società sono stati stipulati dei patti parasociali. Vengono disciplinati dall’art.122 e
123 del TUF e hanno durata di 3 anni (scaduti i 3 anni devono essere rinnovati –
equivalgono ad un contratto) – parlando di società quotate.
Esistono vari tipi di patti parasociali:
- Patti di voto (come votare all’interno dell’assemblea)
- Patti di consultazione (patto che obbliga le parti – obbligo di consultarsi
prima di prendere una decisione)
- Sindacati di blocco (limitano il trasferimento e la sottoscrizione dei diritti
aventi di voto e/o della quota societaria)
- Patti che obbligano l’acquisto concertato di titoli aventi diritto di voto
- Esercizio congiunto dell’influenza dominante
- Contrasto o concordanza sugli obiettivi di un OPA (qualora ci dovesse essere
un’OPA, i facenti parte del patto possono contrasto o aderire all’OPA stessa)
Tutti i patti seguono la stessa norma.
L’obiettivo della norma è quello di rendere pubblico il patto parasociale al fine di
rafforzare la trasparenza del mercato (fare in modo che il mercato sia consapevole
che ci sono dei patti parasociali che possono influenzare l’andamento della società)
ed evitare che venga influenzata e/o contrastata l’efficienza del mercato.
Quando viene sottoscritto un patto deve essere comunicato entro 5 gg, dalla data di
sottoscrizione, alla CONSOB. A quel punto, entro 10 gg deve essere pubblicato sulla
stampa quotidiana ed entro altri 15 gg deve essere pubblicato all’interno del
registro delle imprese (dando le opportune indicazioni alla società quotata e a tutte
le sue controllate). Qualora ci si trova di fronte a un patto parasociale di una società
non quotata si applica la disciplina del codice civile (la durata si estende da 3 anni a
5 anni e si applica la disciplina dell’art. 2341-bis/ter del codice civile).
Operazioni con parti correlate:
Si intende qualunque tipo di operazione che può essere trasferimento, servizio,
rapporto di credito e attività posta in essere dalla società quotata e soggetti
correlati/collegati alla società stessa, a prescindere che sia stato definito un
corrispettivo in cambio. Queste operazioni sono disciplinate dal codice civile
(art.2391-bis), però si rimanda alla disciplina speciale (in particolare al regolamento
n.17221 del 2010 che disciplina le operazioni con parti correlate: si rimanda alla
CONSOB la disciplina di tutti gli aspetti qualitativi/quantitativi delle operazioni
stesse.
Perché le operazioni con parti correlate necessitano di un comparto normativo più
articolato?
Perché un’operazione con una parte correlata (ovvero un soggetto che ha legami
particolari con la società) potrebbe andare ad influenzare l’operazione stessa (che in
tal caso non verrebbe più fatta in ottica di efficienza di mercato ma verrebbe
effettuata in ottica di convenienza del soggetto stesso).
Cosa si intende, quindi, per parte correlata?
Esiste un elenco di soggetti che pongono in essere operazioni con la società quotata
e, in quanto tale, l’operazione svolta viene definita operazione con parte correlata e
la definizione la troviamo all’interno dell’allegato 1 del regolamento Consob 17221
del 2010: Una parte correlata è tale quando si tratta di un soggetto che detiene
una parte idonea ad esercitare un’influenza dominante all’interno della società
(potrebbe sorgere il problema di conflitto d’interessi e, dunque, di convenienza
economica del soggetto).
Parti correlate possono essere:
- Uno dei dirigenti (o un suo stretto familiare)
- Fondo pensionistico costituito per gli stessi dipendenti della società
(potrebbe esserci conflitto di interesse nelle operazioni poste in essere tra la
società e il fondo pensionistico)
- Joint Venture
L’allegato 1 del regolamento CONSOB non è esaustivo e viene continuamento
aggiornato con nuove tipologie di soggetti.
Perché nasce questo tipo di normativa? Per tutelare le minoranze e, quindi, evitare
che soci di minoranza, ad esempio, si ritrovino sovrastati da operazioni che non
vengono poste in essere nell’interesse della società.
L’obiettivo è proprio quello di evitare che un’operazione posta in essere da una
parte correlata vada ad innescare un rischio nei confronti dei soggetti di minoranza
(definito anche come estrazione dei benefici privati del controllo – effettuare
un’operazione estraendo un interesse privato a discapito dell’interesse della società
e, quindi, di tutti i soci).
C’è la necessità di presidiare correttezza e convenienza economica dell’operazione
posta in essere dall’emittente nell’interesse della società e non del singolo.

In che modo si tutelano le minoranze e in che modo si interviene nel momento in cui
l’operazione posta in essere è un’operazione con parte correlata?
All’interno di ogni società quotata vi è un comitato parti correlate in cui troviamo
amministratori indipendenti all’operazione (soggetti non interessati alle operazioni
stesse) che prendono decisioni sul porre in essere le operazioni oppure no. Non è,
quindi, l’assemblea che approva l’operazione ma un comitato specifico composto da
soggetti indipendenti che non hanno alcun tipo di convenienza economica se
l’operazione viene effettuata o meno. Tali soggetti valutano la convenienza
economica dell’operazione e che l’operazione venga effettuata nel rispetto delle
condizioni di mercato. Il compito di approvare o meno questo tipo di operazioni
spetta, dunque, ad un comitato indipendente che si occupa dell’istruttoria (studio
dell’operazione) e dell’approvazione dell’operazione stessa. Il comitato valuta che
l’operazione sia o meno adeguata alle condizioni del mercato e sia idonea al
processo della società. Se il comitato respinge l’operazione (perché definita
inadeguata), questa può essere comunque effettuata se prevista dallo statuto della
società (lo statuto deve espressamente prevedere che qualora il comitato dinieghi il
porre in essere dell’operazione con parte correlata, l’operazione può essere
effettuata mediante l’approvazione dell’assemblea dei soci – questa eccezione è
valida solo per operazioni di estrema rilevanza che hanno un certo impatto
sull’andamento della società e sul suo relativo sviluppo). In questo specifico caso gli
unici a non votare sono gli azionisti di maggioranza e la decisione spetta
esclusivamente agli azionisti di minoranza. A quel punto, se sono d’accordo,
l’operazione viene posta in essere. In questo contesto, i soci di minoranza vengono
definiti Indipendent Shareholder (la votazione che viene effettuata soltanto dagli
azionisti di minoranza viene definita whitewash).
Il comitato cambia a seconda, o meno, del rinnovo degli amministratori
indipendenti.

Disciplina prospetto:
Nel momento in cui si pone in essere qualsiasi tipo di attività che rientra nella
sollecitazione al pubblico risparmio, il soggetto deve essere consapevole di quello
che sta acquistando attraverso il prospetto informativo.
Il prospetto informativo deve essere redatto obbligatoriamente tutte le volte che si
fa ricorso alla sollecitazione al pubblico risparmio.

Come deve essere fatto?


Deve avere tutte le condizioni idonee a mettere l’investitore nelle condizioni di
poter esprimere un ragionevole giudizio sull’acquisto del titolo.
La normativa di rifermento è il regolamento prospetti 1129 del 2017,
congiuntamente con gli art.94 e seguenti del TUF (la parte specifica e tecnica è
rimandata al regolamento prospetti).
Principali finalità della normativa:
- Obbligo di pubblicazione di un prospetto adeguato e quanto più possibile
standardizzato tra i vari emittenti (informazioni uguali per tutti e adeguati
allo stesso modo)
- Redazione del prospetto in maniera semplice e chiara
- Deve avere l’obiettivo di armonizzare le diverse prassi dei Paesi dell’Unione
Il prospetto informativo può essere un unico documento oppure può essere
articolato in 3 diversi documenti (nella maggior parte si opta per la ripartizione).
Abbiamo:
- Documento di registrazione (carta d’identità dell’emittente – vengono
specificati origine, core business, obiettivo della società stessa, iscrizione nel
registro delle imprese ecc.)
- Nota informativa (racchiude le informazioni dello strumento finanziario in
quanto tale)
- Nota di sintesi (racchiude tutte le caratteristiche tecniche del prodotto stesso
– compresa anche la classe di rischio mifid e il livello di esperienza e
conoscenza che quel determinato strumento richiede)
Chi redige il prospetto informativo?
La società (ad opera del c.d.a) - a deliberare è l’assemblea straordinaria.
Deve essere sottoposto all’approvazione della CONSOB.
Nel regolamento CONSOB sono stabiliti dei termini, ma nel caso in cui non vengano
rispettati non vale comunque il silenzio assenso (il prospetto non si presume
approvato in caso di silenzio da parte della CONSOB). La CONSOB verifica la
competenza delle informazioni. La competenza del prospetto verifica che il
prospetto abbia tutte le componenti necessarie, la coerenza del prospetto stesso e
la sua comprensibilità.
La CONSOB non deve verificare la veridicità delle informazioni inserite nel prospetto,
agisce solo come autorità di vigilanza (non di controllo). Nel caso in cui le
informazioni non siano veritiere, a risponderne sarà la società.
Responsabilità da prospetto:
- Responsabilità in capo all’emittente (a colui che redige il prospetto stesso) che
risponde nei confronti dell’investitore qualora le informazioni contenute nel
prospetto non siano veritiere. In questo caso facciamo riferimento all’art.94
comma 8 del TUF; si parla di responsabilità relativa perché l’emittente verrà
sanzionato qualora non riuscirà a dimostrare che lui stesso abbia posto in
essere tutte le informazioni che riteneva necessarie (dimostrare che ha agito
senza dolo e con diligenza)
- Responsabilità riconosciuta anche alla CONSOB (nata in seguito ai fatti di
CIRIO e PARMALAT – dalla quale nasce anche la legge sul risparmio). Il profilo
di responsabilità della CONSOB è diverso perché non risponde della veridicità
delle informazioni ma risponde dell’omessa o insufficiente attività di controllo
(secondo molti situazione accaduta in seguito al fallimento di CIRIO e
PARMALAT).
Tutte le norme e le responsabilità della CONSOB si trovano nell’art.24 della legge sul
risparmio → La CONSOB ha responsabilità nell’esercizio delle sue funzioni (vigilare e
verificare sulla correttezza delle informazioni – qualora non l’abbia fatto risponderà
dell’esercizio delle sue funzioni – operazione di interesse legittimo).
Gestione collettiva del risparmio e fondi comuni di
investimento:
Parlando di gestione del risparmio si parla, tendenzialmente, di due macro categorie
di attività:
- Gestione di portafoglio (Gestione del risparmio in forma individuale –
autorizzate SIM e SGR)
- Gestione in forma collettiva (Tipica ed esclusiva delle SGR)
La gestione collettiva del risparmio si definisce come una gestione a monte (Il fondo
comune di investimento viene considerato come un gigantesco portafoglio –
ammontare di denaro gestito da un soggetto specializzato, l’SGR, che prende
decisione “a monte” nell’interesse degli investitori). È il servizio che si realizza
attraverso la gestione di OICR e dei relativi rischi.
Chi è il “gestore”?
- La SGR, SICAV o SICAF che gestisce direttamente i propri patrimoni.
Quali sono i vantaggi dell’avvalersi di un soggetto come l’SGR?
- Asset Selection (L’SGR è in grado di individuare i tipi di asset in cui i beni del
fondo devono essere investiti)
- Stop Picking (Una vola individuata la categoria in cui si investe – ad esempio,
azioni – allora l’SGR deciderà di investire in determinate azioni, piuttosto che
in altre, valutando il profilo di rischio dell’investitore)
- Market Timing (Il gestore prende delle decisioni di investimento e
disinvestimento rapido che consentono all’investitore di massimizzare il
proprio profitto – individuazione del momento opportuno in cui investire e
disinvestire)
Qual è il grande vantaggio della gestione collettiva del risparmio?
La diversificazione – ciò consente anche ad un investimento di natura ridotta di
essere altamente diversificato e, quindi, ottenere come beneficio la diminuzione del
rischio.
Caratteristiche della gestione collettiva del risparmio (specificate dal regolamento
della Banca d’Italia):
- Gestione di un patrimonio (Il fondo contiene un ammontare di asset che
vengono raccolti tra una pluralità di investitori)
- Gestione dei rischi di tale patrimonio (Secondo il rispetto dei limiti
regolamentari dettati da Banca d’Italia)
- Carattere collettivo dell’attività, caratterizzata dalla gestione delle OICR
(Autonomia dai partecipanti, modalità di raccolta del patrimonio – asset
raccolti tra il pubblico mediante un processo di commercializzazione -,
pluralità di investitori, politica di investimento)

Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR):


L’OICR è l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del
risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante
l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli
investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari ,
crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi dai consumatori, a valere sul
patrimonio dell’OICR, partecipazioni o altri beni immobili o mobili, in base a una
politica di investimento predeterminata.
OICR APERTO → I partecipanti hanno il diritto di chiedere il rimborso delle quote o
azioni a valere sul patrimonio dello stesso, secondo modalità e con la frequenza
prevista dal regolamento, dallo statuto e dalla documentazione d’offerta dell’OICR.
OICR CHIUSO → I partecipanti non possono chiedere il rimborso delle quote o
azioni.
Distinguiamo:
1. SICAV Costituite in
2. SICAF forma societaria

Costituiti in forma
3. FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO contrattuale

Fondi comuni di investimento:


L’OICR costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e
gestito da un gestore (SGR).
- Sono privi di personalità giuridica
- Sono suddivisi in quote (non azioni) di uguale valore e diritto
- La gestione è affidata ad un soggetto specializzato, l’SGR (ma può essere
gestito anche da una SICAF – poiché quest’ultima può essere
contemporaneamente gestore e fondo)
- Sono patrimoni autonomi (I beni di pertinenza del fondo non potranno essere
aggrediti da soggetti terzi rispetto agli investitori del fondo)
Si distinguono, in base alla loro funzione, in:
- Fondi aperti e chiusi (in base alle modalità di sottoscrizione e rimborso)
- Retail e riservati (in base alla tipologia del sottoscrittore – per riservati si
intendono riservati a determinate categorie di investitori)
- Plain Vanilla e speculativi, a capitale protetto, garantiti, ad indice,
armonizzati o no (in base alla rischiosità)
- Mobiliari e immobiliari, fondi di fondi, master – feeder (in base
all’investimento – ad esempio la politica di investimento dei fondi di fondi è
quella di investire in quote di altri fondi)
L’investitore aderisce, e quindi acquista la quota, ma non partecipa alle scelte di
investimento che sono adottate dall’SGR (a questo principio fanno eccezione i “fondi
riservati” – riservati a certe categorie di investitori professionali e/o istituzionali).
Esistono, però, delle prerogative che possono essere esercitate dai gestori del fondo
sia nell’assemblea dei sottoscrittori, sia negli advisory commitee. Nell’ambito di
queste due assemblee i quotisti possono prendere delle decisioni che hanno finalità
protettiva (possono inserirsi nelle decisioni delle SGR qualora ritengano che le
decisioni dell’SGR siano pregiudizievoli nei loro confronti). A tal proposito vengono
inserite, all’interno dei fondi comuni di investimento, delle soglie di materialità –
quando l’SGR deve prendere decisioni particolarmente onerose viene chiesto il
parere dei quotisti che possono semplicemente opporsi – e ciò fa sì che i poteri
assegnati ai quotisti non confliggano con i poteri generali della gestione a monte.
Struttura tipica dei fondi comuni di investimento:
Abbiamo organi di corporate governance:
- Assemblea dei sottoscrittori (delibera per modifiche di regolamento e
liquidazione del fondo)
- Advisory Committee (si esprime du business plan, emissione di nuove quote e
per operazioni in cui vi è conflitto di interessi)
Abbiamo organi di controllo:
- Banca depositaria (svolge attività di custodia dei valori mobiliari e delle
disponibilità liquide del fondo, di accertamento della conformità al
regolamento, di verifica della documentazione)
- Esperti indipendenti (solo nei fondi immobiliari)
- Società di revisione
Abbiamo gli organi esecutivi:
- Consiglio di amministrazione
- Collegio sindacale

Ciò che caratterizza gli organismi di investimento collettivo del risparmio, e che li
differenzia dalla SICAV e dalla SICAF, è che sono disciplinati da un regolamento.
- Se il fondo è retail, il regolamento viene approvato dalla Banca d’Italia
- Se il fondo è riservato, non viene approvato

Le SGR:
Sono S.p.A., con sede legale e direzione generale in Italia. Hanno caratteristiche
particolari, fra queste il capitale sociale (diverso a seconda della tipologia di fondi
gestiti). Le SGR che gestiscono fondi riservati possono avere un capitale più piccolo
(500.000 euro) – proprio perché si tratta di un investitore specializzato e quindi
consapevole.
Cosa può fare un SGR?
Tutto quello che possono fare le SIM (gestione di portafoglio, consulenza,
commercializzazione di OICR) più la gestione collettiva del risparmio.
Le SGR vengono autorizzate da Banca d’Italia (sentita la CONSOB).
Requisiti:
- Capitale sociale versato non inferiore a quello richiesto
- Requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza per chi svolge funzioni
di amministrazione, direzione e controllo
- Presentazione del programma di attività e relazione sulla struttura
organizzativa

Le SICAF:
E’ una società d’investimento a capitale fisso. È l’OICR chiuso costituito in forma di
società per azioni a capitale fisso con sede legale e direzione generale in Italia
avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto
mediante l’offerta delle proprie azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi.
Possono essere contemporaneamente gestori e fondi. E’ un fondo chiuso poiché si
tratta di una società di investimento a capitale fisso e, dunque, costituito come
società per azioni).
Può essere:
- Autogestita e eterogestita
- Riservata e non riservata
- Sotto soglia

Autogestita:
E’ contemporaneamente gestore e fondo. Gestisce direttamente il proprio
patrimonio.
Eterogestita:
Affida la gestione del patrimonio a un terzo soggetto (SGR). E’ solamente un fondo.
La responsabilità di gestione è della SGR. Gli amministratori della SICAF hanno
obblighi di vigilanza.
Retail:
Commercializza le proprie azioni a soggetti retail. Le azioni SICAF vengono acquistare
da qualsiasi investitore.

Riservata:
Le azioni vengono acquistate soltanto da determinate categorie di investitori.
Sotto soglia:
Sono SICAF con capitale più piccolo (perché gestiscono soltanto determinati tipi di
fondi – in particolare quelli che non ricorrono alla leva finanziaria) e sono meno
rischiosi. In materia di controlli interni è prevista un’unica funzione.
Costituzione delle SICAF:
Devono essere autorizzate da Banca d’Italia (sentita la CONSOB) e questa avviene
quando vengono rispettati i requisiti della sana e prudente gestione
dell’intermediario e le norme in tema di gestione degli investimenti.
Requisiti per la costituzione:
• la forma della società per azioni
• un capitale sociale iniziale minimo di almeno 1 milione di euro (che può essere
ridotto a 500.000 euro qualora si tratti di SICAF riservata)
• la sede legale e la sede principale devono trovarsi in Italia
• l'oggetto sociale deve prevedere esclusivamente l'investimento collettivo del
patrimonio raccolto mediante l'offerta di proprie azioni e di altri strumenti finanziari
previsti dallo statuto
• il possesso da parte dei soci fondatori dei requisiti di onorabilità
• il possesso da parte degli esponenti aziendali dei requisiti di onorabilità, di
professionalità e di indipendenza

Nelle SICAF l'investitore ricopre simultaneamente, e nell'ambito di un unico


investimento, il ruolo di partecipante e di azionista, prendendo maggiormente parte
all'operatività della società.
SICAV: Società di investimento a capitale variabile. È l’OICR aperto costituito in
forma di società per azioni a capitale variabile con sede legale e direzione generale
in Italia avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio
raccolto mediante l’offerta delle proprie azioni

Direct Lending:
Con il decreto competitività (d.l. 91/2014) viene modificato il TUF e viene attribuita
agli OICR la possibilità di concedere finanziamenti (ovviamente solo nei confronti di
imprese, società industriali e non persone fisiche). Da quel momento i fondi hanno
iniziato a fare concorrenza alle banche.
Con il d.l. 18/2016 vengono chiarite le modalità operative del direct lending da parte
di OICR:
I FIA (Fondi di investimento alternativi) possono erogare in Italia a condizione che
vengano autorizzati a investire in crediti dal proprio paese di origine, abbiamo forma
chiusa ed uno schema di funzionamento analogo a quello dei FIA italiani, e che le
norme del paese di origine siano equivalenti a quelli dei FIA italiani.

La gestione collettiva del risparmio viene disciplinata anche da norme di rango


europeo, mediante il quale viene spacchettato il mondo della gestione collettiva del
risparmio in due categorie:
- OICVM (Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari): Sono
disciplinati dalle direttive UCITS; si tratta di fondi aperti che non fanno utilizzo
della leva finanziaria (sono tendenzialmente poco rischiosi)
Direttiva UCITS:
Cosa prevede?
L’introduzione del “passaporto europeo” (garantisce la commercializzazione
dell’OICVM in uno stato membro dell’UE – ad esempio un investitore italiano poteva
acquistare una quota di un OICVM francese), previa notifica alle autorità di controllo
competenti dei paesi interessati alla distribuzione.

- FIA (Fondi di investimento alternativi): Sono disciplinati dalle direttive AIFMD;


si tratta di fondi aperti e/o chiusi che fanno utilizzo della leva finanziaria (fondi
speculativi – fondi di private equity). Possono essere anche riservati (quasi
tutti lo sono proprio perché particolarmente rischiosi). Acquisto ed
erogazione di crediti è riservato alle FIA (gli OICVM non la fanno).
Direttiva AIFMD:
Cosa prevede?
Ha come obiettivo la creazione di un mercato unico per la commercializzazione dei
FIA a investitori professionali. E’ stato introdotto il “passaporto europeo” per i
gestori.

I MERCATI FINANZIARI (DEFINIZIONI, CARATTERISTICHE E NORMATIVA DI


SETTORE)
Cos’è un mercato?
È un sistema organizzato di strutture, regole ed istituzioni, volto a favorire l’incontro tra domanda
e offerta con l’obiettivo di ridurre i costi di transazione.
Nel corso del tempo c’è stata un’evoluzione dei mercati, si è passato dalla BORSA MERCI alla
BORSA VALORI (passaggio avvenuto con la legge 216/1974 – legge che ha istituito la CONSOB).
Precisazione sulla CONSOB:
- Ha controllo sulle società quotate e sulla borsa
- Controlla la sollecitazione al pubblico risparmio
Qual è stata l’evoluzione normativa dei mercati finanziari?
Si è passati dalla legge SIM:
- legge 1 del 1991 nata per istituire le SIM (Soggetti a cui, insieme alle banche, viene
riservata l’attività di investimento e i relativi servizi); i mercati mantengono ancora la loro
natura pubblicistica (non diventano privati)
Poi abbiamo il decreto EUROSIM:
- decreto legislativo 415 del 1996 in cui si ha il passaggio del mercato da pubblico a privato;
mercato operante in regime di concorrenza e autoregolantesi (lo Stato interviene soltanto
laddove il mercato dovesse fallire)
Infine abbiamo l’attuale impianto normativo, il TUF:
- decreto legislativo 58 del 1998 in cui viene inglobala tutta la disciplina dei mercati e le
relative modifiche apportate nel corso del tempo
LA MIFID:
Si tratta della direttiva 2004/39/CE (recepita con decreto legislativo 164/2007) -> MIFID I
Si tratta della direttiva 2014/65/UE (recepita con decreto legislativo 129/2017) -> MIFID II
Dal punto di vista dei mercati, la MIFID distingue:
- I mercati regolamentati
- MTF
- Internalizzatori Sistematici (IS) (In questo caso si parla di intermediario e NON di un
mercato)
La MIFID interviene anche per quanto riguarda l’abolizione dell’obbligo di concentrazione degli
scambi:
- Cioè è necessario garantire quanto più possibile diverse piattaforme di negoziazione
affinché venga garantita la concorrenza
La MIFID II enfatizza ciò che viene detto dalla MIFID I e introduce una nuova piattaforma: L’OTF;
inoltre modifica e aggiunge un requisito all’internalizzatore sistematico e inizia a disciplinare il
cosiddetto High Frequency Trading (HFT) (Scambiare quantitativi enormi di titoli sfruttando la
minima variazione che avviene all’interno dei mercati).

Nel momento in cui parliamo di mercati regolamentati il primo collegamento che dobbiamo fare è
quello con le SGM (Società di Gestione del Mercato) -> Nate con il decreto Eurosim, poiché non ci
può essere un mercato regolamentato se non vi è dietro una società di gestione del mercato. Il
ruolo della SGM è quello di organizzare e gestire mercati regolamentati di strumenti finanziari,
cioè quei particolari mercati che godono dei benefici del mutuo riconoscimento e del passaporto
europeo.
Cos’è un mercato regolamentato?
A dircelo è l’articolo 1 del TUF che lo definisce come “Un sistema multilaterale che consente e
facilita l’incontro al suo interno, e in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di
acquisto e vendita, nel rispetto delle regole del mercato stesso; è gestito da una società di
gestione, viene autorizzato dall’autorità di vigilanza e funziona regolarmente”.
Quando parliamo di società di gestione parliamo di quel soggetto che organizza e crea il mercato
stesso.
Nel caso delle SGM, per poter ottenere l’autorizzazione è necessario che esistano i presupposti
oggettivi:
- Essere sotto forma di S.p.a
- Deve presentare un piano dove viene messa in evidenza l’esistenza di risorse finanziarie
- Deve avere l’esclusività dell’oggetto sociale (non può mettere nell’oggetto sociale attività
diverse rispetto alla gestione di un mercato regolamentato)
- Deve avere requisiti esponenti aziendali
- Deve presentare un adeguato programma di attività
Contenuto tipico dell’attività del gestore del mercato:
- Predisporre le strutture, fornire i servizi del mercato e determinare i corrispettivi ad esso
dovuti
- Assicurare e verificare il rispetto dei requisiti del mercato regolamentato
- Disporre l’ammissione, l’esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari e degli
operatori dalle negoziazioni
- Adottare tutti gli atti necessari per l’ordinato funzionamento del mercato
- Adottare le disposizioni e gli atti necessari a prevenire e identificare abusi di informazioni
privilegiate e manipolazioni del mercato
- Provvedere agli altri compiti eventualmente ad esso affidati dalle autorità competenti
Nello svolgimento dell’attività di gestione del mercato regolamentato, la società di gestione (cosi
come i gestori delle altre sedi di negoziazione) sono tenuti al rispetto di obblighi di trasparenza per
e post negoziazione e ad obblighi di segnalazione relativamente alle operazioni in strumenti
finanziari concluse.
Con riguardo alla trasparenza, bisogna distinguere quella relativa agli strumenti finanziari
rappresentativi di capitale e quella relativa a strumenti finanziari non rappresentativi di capitale.
Per i primi è previsto che i gestori delle sedi di negoziazione ne rendano pubblici i prezzi correnti di
acquisto e di vendita. Per i secondi, sia in fase di pre-negoziazione e post-negoziazione è prevista
la stessa disciplina in linee generali. Le sedi di negoziazione che intendono non utilizzare la
trasparenza devono farne espressa richiesta di autorizzazione alla CONSOB e a Banca d’Italia.
Quando la CONSOB autorizza una SGM ad organizzare e gestire un mercato, automaticamente sta
autorizzando anche il regolamento del mercato (elemento senza il quale il mercato non può
esistere).

Cos’è il regolamento del mercato?


È quell’atto fondamentale affinché si possa gestire un mercato e quindi all’interno del
regolamento del mercato sono presenti TUTTE le modalità e il tipo di organizzazione del
mercato stesso. La società di gestione del mercato che vuole essere autorizzata a creare un
mercato regolamentato, non solo deve avere tutti i requisiti di cui sopra ma deve presentare il
suo regolamento del mercato e riceverne l’approvazione. Quindi, il regolamento del mercato
deve contenere le regole e le procedure per il funzionamento dello stesso, regole e procedure
che nel rispetto dei principi di trasparenza e non discrezionalità, devono garantire una
negoziazione corretta e ordinata, nonché fissare criteri e obiettivi per l’efficiente esecuzione
degli ordini.
Il contenuto del regolamento di mercato è costituito da:
- Condizioni e modalità di ammissione e di esclusione e sospensione degli operatori e degli
strumenti finanziari dalle negoziazioni. La CONSOB determina le modificazioni da
apportare al regolamento per regolare le ipotesi di conflitto d’interesse e dispone
direttamente l’ammissione, l’esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari.
Nell’approvare il regolamento del mercato, la CONSOB è chiamata a valutare l’equilibrio
prospettato tra gli standard qualitativi richiesti dalla società di gestione per la permanenza degli
strumenti finanziari.
- Condizioni e modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli
operatori e degli emittenti (al fine di garantire l’ordinato svolgimento degli scambi).
- Modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi.
- I tipi di contratti ammessi alle negoziazioni nonché i criteri per la determinazione dei
quantitativi minimi negoziabili.
- Condizioni e modalità per la compensazione, liquidazione e garanzia delle operazioni
concluse sui mercati.

Chi approva il regolamento del mercato?


- La CONSOB
Chi lo delibera?
- L’assemblea ordinaria (salvo diverse disposizioni, poiché a seconda del modello –
monistico o dualistico – potrebbe essere deliberato dal consiglio di sorveglianza)
Per i mercati finanziari, per il regolamento del mercato e, quindi, anche per le società di gestione
del mercato vale la regola del mutuo riconoscimento (una volta autorizzata, la società di gestione
del mercato può liberamente operare in qualsiasi Paese dell’Unione) e dell’home country control
(la vigilanza spetta al Paese di origine della società).
Quando parliamo di mercati finanziari, facciamo riferimento a una doppia struttura di controllo e
di vigilanza:
L’attività di controllo e di vigilanza sul corretto funzionamento del mercato viene effettuata
direttamente dalla SGM (parliamo di un sistema self regulated audited); ovviamente ciò non è
sufficiente, deve intervenire anche l’autorità di vigilanza (la CONSOB – che effettua una vigilanza
regolamentare, informativa ed ispettiva) al fine di poter effettuare un ulteriore controllo sulla
gestione e sul mercato. Si parla, dunque, di controllo di I e II livello. Lo Stato, interviene soltanto
successivamente poiché il sistema si autocontrolla (nel primo livello). Nel secondo livello, i
controlli effettuati dalla CONSOB sono: prodromici (pre approvazione del regolamento),
contestuali (mentre il mercato effettua le transazioni) e successivi.

**Possibile domanda d’esame**


Cos’è il Bail-in e qual è la direttiva che lo disciplina?
Significa “salvataggio interno” da parte degli azionisti ed è un istituto giuridico introdotto
nell’ordinamento italiano nel recepimento della direttiva BRRD che disciplina il risanamento e la
risoluzione in ambito bancario, volti a prevenire e contenere le crisi di banche e imprese di
investimento. Si contrappone al Bail-out. Nel caso di un conto contestato, il Bail-in impatta fino a
100.000 euro a persona. I fondi comuni d’investimento può essere impattato dal Bail-in, tuttavia
c’è un caso in cui i fondi comuni d’investimento non vengono impattati dal Bail-in, ovvero nel caso
di una banca depositaria (che detiene titoli per conto di una SGR).

Qual è la differenza tra MTF e IS?


L’MTF è un mercato e opera su base multilaterale, mentre l’IS è un intermediario e opera su base
bilaterale (non è un mercato).
Quando parliamo di sistema multilaterale facciamo riferimento all’incontro tra interessi multipli
(acquisti e vendita), mentre in quello bilaterale l’IS fa market maker (crea il mercato e si pone
come contropartita diretta tra acquisto e vendita – proprio per questo è un intermediario e non un
mercato). Un sistema multilaterale di negoziazione è, quindi, gestito da un’impresa di
investimento o da un gestore del mercato che consente l’incontro, al suo interno e in base a
regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti
finanziari, in modo da dare luogo a contratti. Un sistema organizzato di negoziazione è un sistema
multilaterale diverso da un mercato regolamentato o da un sistema multilaterale di negoziazione
che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a
obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissioni e strumenti derivati, in modo da
dare luogo a contratti.
L’MTF opera senza discrezionalità, l’IS è un soggetto che negozia per conto proprio.
Criteri che caratterizzano un IS:
- Organizzazione
- Frequenza
- Sistematicità
- Sostanzialità (aggiunto con la MIFID II) -> Misurata per dimensioni delle negoziazioni OTC
L’IS è definito come “l’impresa di investimento che in modo organizzato, frequente, sistematico e
sostanziale negozia per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di un mercato
regolamentato, di un sistema multilaterale di negoziazione o di un sistema organizzato di
negoziazione senza gestire un sistema multilaterale”. Il modo frequente e sistematico si misura
per numeri di negoziazioni fuori listino (OTC) su strumenti finanziari effettuate per proprio conto
eseguendo ordini di clienti. Il modo sostanziale si misura per dimensioni di negoziazioni OTC
effettuate dal soggetto su uno specifico strumento finanziario in relazione al totale delle
negoziazioni effettuate sullo strumento finanziario dal soggetto medesimo. Non costituisce un
nuovo o autonomo servizio di investimento (come MTF o OTF), ma si tratta di un’operatività
riconducibile a due servizi d’investimento:
- La negoziazione per conto proprio
- L’esecuzione di ordini per conto dei clienti
Affinché sia configurabile un internalizzatore sistematico è necessario che l’attività di negoziazione
posta in essere sia “per conto proprio”, cioè esercitata “nel proprio interesse”, “impegnando
posizioni proprie” e non di terzi (vi è un’assunzione diretta del rischio da parte del negoziatore,
che assume il ruolo di controparte del contratto).
I market maker non sono IS, ma semplici partecipanti al mercato regolamentato o al MTF o all’OTF
al quale aderiscono. Per market maker si intende una persona che si propone, nelle sedi di
negoziazione e/o al di fuori delle stesse, su base continuativa, come disposta a negoziare per
conto proprio acquistando e vendendo strumenti finanziari in contropartita diretta ai prezzi della
medesima definiti.
L’impresa di investimento che sceglie di assoggettarsi al regime di internalizzatore sistematico, è
tenuta ad informare la Consob. La comunicazione viene effettuata in sede d’avvio dell’attività e ad
ogni successivo cambiamento.
Per gli MTF valgono le stesse regole di trasparenza che governano i mercati regolamentati.
Nell’esercizio del mercato il gestore di un MTF o di un OTF non sarà tenuto nei rapporti con i
partecipanti/membri del sistema al rispetto delle regole di condotta in materia di trasparenza e
correttezza dei comportamenti che disciplinano i rapporti tra intermediari e clientela, rimanendo
invece tenuti al rispetto di dette regole i partecipanti/membri nei confronti della propria clientela.
Inoltre, vi sono dei requisiti soggettivi e oggettivi che accomunano MTF e OTF.
Tra i requisiti soggettivi troviamo la disponibilità di risorse finanziarie sufficienti ad assicurare il
funzionamento ordinato del sistema. Quanto ai requisiti oggettivi, richiesti sia al momento
dell’autorizzazione sia successivamente, quelli comuni a MTF e OTF, consistono nella disponibilità
di:
- Regole e procedure trasparenti che garantiscono un processo di negoziazione corretto e
ordinato nonché di criteri obiettivi che consentono l’esecuzione efficiente degli ordini
(regole, quindi, che costituiscono il “regolamento di funzionamento del MTF”)
- Misure per garantire una gestione sana dell’operatività del sistema, compresi dispositivi di
emergenza efficaci per far fronte ai rischi di disfunzione del sistema
- Misure atte ad individuare puntualmente e a gestire o per i loro membri o partecipanti e
clienti di eventuali conflitti tra gli interessi del sistema multilaterale di negoziazione, del
sistema organizzato di negoziazione, dei loro proprietari, del gestore del sistema
multilaterale di negoziazione o del sistema organizzato di negoziazione e il sano
funzionamento dei sistemi
- Almeno tre membri o partecipanti o cliente concretamente attivi, ciascuno dei quali con la
possibilità di interagire con tutti gli altri per quanto concerne la formazione dei prezzi
- Regole e misure per favorire il regolamento efficiente delle operazioni concluse sul sistema
Requisiti oggettivi per i soli MTF sono invece la presenza di regole non discrezionali per
l’esecuzione degli ordini nel sistema (rispetto agli OTF) e di procedure e meccanismi per
identificare e gestire i rischi ai quali è esposto il sistema (elemento che accomuna gli MTF ai
mercati regolamentati).
I sistemi multilaterali di negoziazione, come MTF e OTF, sono molto simili al mercato
regolamentato sotto molti aspetti (soprattutto considerando che sono sistemi di negoziazione
multilaterali, autorizzati dalla CONSOB e disciplinate da regole sottoposte dalla CONSOB), ma
presentano delle differenze per quanto riguarda l’aspetto gestionale. Infatti, essi possono essere
gestiti anche da soggetti diversi dalla SGM (ad esempio banche o SIM) purché autorizzati allo
specifico servizio di investimento della gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.
*Ricordare* → OTF e MTF sono servizi d’investimento; pertanto il soggetto che voglia investire un
OTF, o MTF, dovrà essere autorizzato quale impresa d’investimento, con le conseguenze previste
per l’abusivo esercizio d’attività qualora l’autorizzazione difetti.

La MIFID II, inoltre, aggiunge un nuovo tipo di mercato: l’OTF (Organised Trading Facility)
È un mercato dove vengono negoziati tutti gli strumenti diversi dalle azioni. “È un sistema
multilaterale diverso da un mercato regolamentato o sistema multilaterale di negoziazione che
consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e vendita di terzi relativi a obbligazioni,
strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati, in modo da dare luogo a
contratti”. Negli OTF non troviamo il carattere della “non discrezionalità” come negli MTF; quindi,
l’OTF può collocare e/o ritirare un dato ordine all’interno del sistema oppure può abbinare o meno
un ordine di un cliente con gli altri disponibili nel sistema (purché ciò sia conforme alle istruzioni
ricevute dal cliente e non violi gli obblighi di best execution). Una disciplina speciale concerne la
così detta “negoziazione matched principal” consentita ai soli gestori di OTF ed ammessa solo nel
caso in cui il cliente vi abbia acconsentito e la negoziazione interviene su obbligazioni, strumenti
finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati non appartenenti a una categoria di
derivati dichiarata soggetta all’obbligo di compensazione. Agli stessi gestori di OTF è anche
consentito di effettuare negoziazioni per conto proprio.
L’introduzione degli OTF ha lo scopo di rendere i mercati dell’Unione più trasparenti ed efficienti
nonché di definire condizioni eque tra le varie sedi di negoziazione multilaterale.
La gestione di un OTF, al pari quella di un MTF, costituisce un servizio d’investimento; pertanto il
soggetto che voglia gestire un OTF dovrà essere autorizzato quale impresa d’investimento. Vi è
incompatibilità tra la gestione di un OTF e la qualifica di internalizzatore sistematico. Agli OTF, al
netto di alcune differenze, si applica la disciplina relativa ai requisiti organizzativi, di
funzionamento ed operativi prevista per gli MTF (comprese le norme in tema di ammissione,
sospensione ed esclusione degli strumenti finanziari, e di accesso degli operatori alle sedi di
negoziazione, cosi come quelle in tema di vigilanza delle Autorità). È previsto, inoltre, che alle
operazioni concluse in un OTF si applicano le regole di trasparenza e correttezza dei
comportamenti previste per gli intermediari, la cui applicabilità è invece esclusa per le operazioni
concluse sui MTF.

LA CONSULENZA
Per consulenza in materia di investimenti si intende la prestazione di raccomandazioni
personalizzate al cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a
una o più operazioni relative a strumenti finanziari.
Il cliente può richiedere l’upgrade e, dunque, richiedere di essere classificato come investitore
professionale per accedere a strumenti al quale un cliente retail non potrebbe accedere.
La MIFID definisce la consulenza come una raccomandazione personalizzata (non generica) fatta
in base alle caratteristiche del cliente.
La consulenza in materia d’investimento è, chiaramente, un’attività riservata (cosi come lo è la
gestione collettiva del risparmio – attività riservata alle SGR – ma, la gestione collettiva del
risparmio, non è un servizio di attività di investimento perché va ricordato che viene realizzata
attraverso la promozione, l’istituzione e l’organizzazione di fondi comuni d’investimento).
Una delle principali novità introdotte dalla MIFID II è la differenza tra consulenza indipendente e
consulenza non indipendente:
Il consulente indipendente è un “libero professionista” a cui il cliente si rivolge per chiedere un
consiglio in materia d’investimenti. Il consulente indipendente viene remunerato con una
commissione.
Il consulente non indipendente lavora per conto di qualcuno e nella maggior parte dei casi lavora
per incentivi. Affinché l’incentivo sia accettabile è necessario che la consulenza sia a valore
aggiunto (mi rivolgo a quel consulente pur consapevole che quel consulente viene remunerato per
propormi un determinato prodotto, ma allo stesso tempo ricevo un monitoraggio costante
sull’adeguatezza del mio portafoglio – concetto di adeguatezza).
• Tra i documenti da leggere prima di effettuare l’investimento rientrano il KIID (Key
investor information document) – che fa riferimento ai fondi; se nel fondo c’è anche una
componente assicurativa deve esserci anche il DIP - e il prospetto informativo.
• Il consulente, inoltre, deve consegnare al cliente la lettera dei reclami, il FIA (Foglio
informativo analitico) e solo su richiesta il regolamento del fondo
La MIFID II dice che, ex-post, il cliente deve ricevere almeno annualmente il rendiconto (che
racchiude sia in termini assoluti, sia in termini percentuali i costi che sono stati applicati).

Imprese d’investimento
Come funziona la disciplina degli intermediari e in cosa consiste la riserva di
attività?
Ad oggi abbiamo una vigilanza informativa (sottolinea l’importanza della trasparenza
nel miglioramento dell’attività degli intermediari sui mercati). Il TUB definisce le
banche come l’impresa autorizzata allo svolgimento dell’attività bancaria.
art.10 TUB: Stabilisce che le banche svolgono attività bancaria che consiste nella
raccolta fra il pubblico del risparmio e dell’esercizio del credito - questo articolo
stabilisce che l’attività bancaria ha carattere d’impresa e che è riservata alle banche
e le banche possono svolgere qualsiasi attività finanziaria secondo la disciplina
propria di ognuna di esse. È stato il legislatore, all’indomani della seconda direttiva
CEE in materia bancaria (646/1989 – recepita nel 1992), a fare chiarezza con questo
articolo sul ruolo della “banca vista come impresa”.
Le banche:
- L’attività bancaria ha, dunque, forma d’impresa. Nel momento in cui ha
carattere d’impresa viene applicata la regolazione tipica nel rapporto che
intercorre tra legge speciale e legge generale (laddove non c’è la legge
speciale si ricorre alla legge generale – ovvero il codice civile).
- L’attività è riservata (vale per le banche, per le SIM, le imprese di
investimento, le assicurazioni private ecc.), cioè tutte le volte che un soggetto
svolge l’attività d’impresa sul mercato finanziario deve essere autorizzato da
un’autorità tecnica; vuol dire che questo soggetto svolge un’attività riservata
(è riservata soltanto agli operatori che hanno ottenuto l’autorizzazione a
svolgere l’attività – questa autorizzazione è un vaglio dove l’autorità di
vigilanza ha la competenza di giudicare sulla base di requisiti predeterminati
la serietà dell’organizzazione e dell’iniziativa e soltanto in quel momento
avviene l’autorizzazione, a cui poi segue l’iscrizione nell’albo – che ha
sostanzialmente funzione di trasparenza)
A tal proposito: la questione dell’abusivismo era una questione abbastanza
importante; le banche raccoglievano abusivamente (quindi senza autorizzazione)
risparmio e non avevano ripercussioni dal punto di vista penale. La mancanza di una
norma fino al 1993 ha fatto sì che la violazione della riserva di attività non venisse
riconosciuta come reato – al massimo era prevista una sanzione pecuniaria. Col
riconoscimento dell’abusivismo dell’attività bancaria si è aggiunta anche la
reclusione alla sanzione pecuniaria. Nonostante l’art.1 del Testo Unico Bancario
preveda che l’applicazione sia finalizzata alle banche, la giurisprudenza ha da
sempre voluto allargare l’applicazione del caso di abusivismo anche alla legge
fallimentare (problema ancora aperto).
- Possono svolgere, oltre all’attività bancaria, ogni tipo di attività finanziaria
secondo la disciplina propria di ognuna di esse: Con la previsione dell’art.10
si introduce il modello della Banca Universale (ovvero il modello di banca che
può svolgere qualsiasi attività finanziaria – può essere un’impresa di
investimento, può svolgere attività di consulenza o gestione di portafogli e
qualsiasi attività prevista dal TUF). Quando una banca svolge attività bancaria
si applicherà il TUB, per qualsiasi altra attività finanziaria si applicherà il TUF.
La riserva di attività si caratterizza perché la banca ottiene appieno l’autorizzazione
della Banca d’Italia. I requisiti che sono in esso previsti, ai fini dell’ottenimento
dell’autorizzazione al rilascio dello svolgimento dell’attività bancaria, riguardano:
- La forma giuridica: Banche in forma giuridica di S.P.A e banche in forma di
cooperativa di credito (cominciano ad avere un carattere residuale – fra il
2014/2015 viene introdotto un disegno riformatore di queste cooperative
prevedendo una concentrazione, nel caso delle banche popolari la
trasformazione in S.p.a ad un certo livello di patrimonio e creazione di gruppi
cooperativi per le BCC)

La disciplina della vigilanza sugli intermediari:


La vigilanza è articolata su tre forme:
- Regolamentare
- Informativa
- Ispettiva
La vigilanza è pubblica, esercitata per il perseguimento di finalità di interesse
pubblico (articolata nel nostro paese fra Banca d’Italia e CONSOB secondo un
modello di vigilanza per finalità – la Banca d'Italia è competente per quanto
riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente
gestione degli intermediari; la CONSOB ha la finalità di perseguire la trasparenza e
la correttezza comportamentale). La Banca d'Italia e la Consob esercitano i poteri di
vigilanza nei confronti dei soggetti abilitati.
Art.5 TUF: Individua gli obiettivi della vigilanza – fra questi è stato inserita
(all’indomani delle cause del “risparmio tradito”) anche la tutela degli investitori.
Prevede una ripartizione delle competenze tra Banca d’Italia e Consob per funzioni.
La scelta della ripartizione per funzioni dell’attività di vigilanza valorizza al meglio le
specifiche competenze e le conoscenze tecniche di ciascuna Autorità. Tale criterio
consiste nell’affidamento a ciascuna Autorità di poteri e funzioni specifici da
esercitarsi nei confronti di tutte le categorie di soggetti sottoposte all’attività di
vigilanza.
La vigilanza sulle attività disciplinate dalla presente parte ha per obiettivi:
• a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario;
• b) la tutela degli investitori;
• c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario;
• d) la competitività del sistema finanziario;
• e) l’osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.

Il criterio della sana e prudente gestione:


Tale criterio – sebbene consenta alle Autorità di vigilanza ampi margini di manovra –
deve intendersi riferito a valutazioni di natura squisitamente tecnica. Gestione sana
deve intendersi una gestione “condotta secondo criteri di redditività”, ossia ad una
“gestione potenzialmente profittevole”; Gestione prudente: una gestione
tendenzialmente avversa al rischio, o comunque volta al controllo e al monitoraggio
dei rischi nello svolgimento delle diverse attività e servizi.
Da qui, l’importanza della normativa secondaria (quella tecnica); poiché la
normativa primaria dà il principio (la gestione deve essere sana e prudente) ma è la
normativa secondaria (quella di dettaglio – delle nostre autorità tecniche) che poi va
a declinare/attualizzare velocemente le norme a seconda dell’esigenza del mercato
di riferimento.
L’attività essenzialmente svolta, ad oggi, dalle autorità è quella di essere prudenti
(facendo particolare riferimento all’avversione al rischio). Come si mitiga il rischio?
Con un comportamento preventivo – mediante l’emanazione di regole da parte di
autorità tecniche. Queste regole di carattere preventivo vanno ad agire anche in
contesti diversi. La gestione prudente è l’elemento che viene considerato al di sopra
di tutto. L’avversione al rischio riesce ad essere efficace nel momento in cui riesce a
prevenire il problema (poiché risolverlo poi risulta complicato). L’efficacia preventiva
fa sì che le procedure interne siano, ormai, altamente sofisticate dal punto di vista
informatico.
I poteri regolamentari:
I poteri regolamentari vengono esercitati attraverso l’emanazione di norme
secondarie, nelle materie di competenza delle Autorità di vigilanza, come di volta in
volta individuate dal legislatore. Rilievo fino ad epoca recente risultato AMPLISSIMO.
Oggi, questo rilievo deve essere in parte ridimensionato. Il crescente spazio, e peso
specifico, della disciplina comunitaria riduce significativamente gli spazi
effettivamente rimessi al potere regolamentare delle Autorità di vigilanza. A ciò
concorrono, poi, anche i compiti affidati all’ESMA, che ha, tra le proprie finalità,
quella di assicurare il coordinamento e l’omogeneizzazione della disciplina in ambito
europeo. I limiti che derivano nell’esercizio del potere regolamentare dalla disciplina
europea operano in due sensi: da un lato, essi restringono la discrezionalità delle
Autorità nazionali, e gli stessi ambiti nei quali si può esercitare il potere
regolamentare; dall’altro, essi condizionano anche il potere delle Autorità di
introdurre regole aggiuntive o più gravose rispetto agli standard previsti dalla
disciplina UE.
- Sotto il primo profilo, appare evidente che, là dove le discipline di rango
europeo sono affidate a disposizioni direttamente applicabili (tipicamente,
Regolamenti UE), il potere regolamentare dell’Autorità nazionale in quella
specifica materia viene, semplicemente, meno.
- Sotto il secondo profilo, la preoccupazione per il cosiddetto fenomeno del
gold plating è giustificata, a livello europeo, dall’evidenza che tale fenomeno
finisce per disallineare gli ordinamenti degli Stati membri, compromettendo
gli obiettivi fondamentali dell’armonizzazione del diritto europeo.
Servizi e attività di investimento (Art.1 comma 5 TUF):
- Negoziazione per conto proprio
- Esecuzione di ordini per conto dei clienti
- Assunzione a fermo e collocamento alla base di un impegno irrevocabile nei
confronti dell’emittente (o senza impegno irrevocabile)
- Gestione di portafogli
- Ricezione e trasmissione di ordini
- Consulenza in materia di investimenti
- Gestione di sistemi multilaterale di negoziazione
- Gestione di sistemi organizzati di negoziazione
- Negoziazione in conto proprio (negoziazione in contropartita diretta – IS)

Attività svolte dalle SIM italiane e dalle imprese di investimento:


- Negoziazione per conto proprio
- Ricezione e trasmissione di ordini
- Consulenza in materia d’investimenti
- Sottoscrizione, collocamento e gestione di portafoglio
Per attività come consulenza e gestione del portafoglio le imprese di investimento e
le SIM hanno un ruolo fiduciario col cliente, infatti la giurisprudenza riconosce a
questi intermediari una maggiore responsabilizzazione (la gestione di portafoglio e
la consulenza comportano che l’intermediario che va a profilare il cliente sia
responsabile, nel caso in cui l’investimento vada male, di non aver fatto tutto il
possibile per garantire al cliente il trattamento migliore).
Art.18 TUF: L’attività di investimento è riservata a SIM, imprese di investimento
europeo e banche. Ma stabilisce, inoltre, che ci sono altri soggetti che possono
svolgere alcune attività d’investimento (SGR – possono svolgere sia attività di
consulenza, sia di gestione di portafoglio; FIA – fondi alternativi che possono
svolgere trasmissione e ricezione di ordini; Società di Gestione UE che possono
svolgere, come le SGR, negoziazioni per conto proprio (derivati) ed esecuzioni di
ordini per conto dei clienti).
La riserva di attività si estende soltanto per alcune attività.

Le autorizzazioni alle banche e agli intermediari finanziari vengono rilasciate dalla


Banca d’Italia, mentre quelle delle SIM vengono rilasciate dalla CONSOB (sentita la
Banca d’Italia) e per le SGR vengono rilasciate dalla Banca d’Italia (sentita la
CONSOB). Il fatto che vi sia questo tipo di procedimento per il rilascio delle
autorizzazioni indica la “rivoluzione” degli anni 2000 (periodo in cui vi è stato un
affinamento del modello di vigilanza per funzione conosciuto fino ad a quel
periodo).

Requisiti delle SIM:


Questi tipi di requisiti valgono, più o meno, per tutti gli intermediari finanziari
(vengono declinati a seconda della normativa da adottare).
- Denominazione Sociale: Nel caso delle SIM nella denominazione sociale deve
essere inserito “Intermediazione Mobiliare”
- Forma di Società per Azioni
- Sede Legale e Direzione Generale nella Repubblica: Non basta più la sede
legale, è necessaria anche la direzione generale perché così è possibile evitare
arbitraggi regolamentari
- Capitale Sociale non inferiore a quello determinato da Banca d’Italia
- Presentazione di un programma di attività: il tipo di programma che si ha
intenzione di svolgere e come lo si vuole svolgere – elemento che subisce un
vaglio particolarmente attento con conseguente valutazione dell’idoneità del
programma presentato
- Possesso di requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza
- Struttura idonea al corretto esercizio della vigilanza
Tutto questo deve essere in grado di far ritenere all’autorità di vigilanza che
l’azienda sia in grado di garantire la sana e prudente gestione (al fine
dell’autorizzazione).
Le SIM, oltre alle attività di investimento e altre attività accessorie, possono svolgere
anche tutte le attività connesse e strumentali.
Definizione di SIM:
Impresa d’investimento avente forma di persona giuridica con sede legale e
direzione generale in Italia, diversa dalle banche e dagli intermediari finanziari
previsti dal TUB, autorizzata a svolgere servizi e attività di investimento.

I pilastri dell’Unione Bancaria


Negli ultimi anni, a partire dal 2012, è iniziato un complesso lavoro di creazione di
un’Unione Bancaria nell’Unione Europea che si compone di 3 pilastri:
1) Meccanismo unico di vigilanza
2) Risoluzione – regole per gestire crisi bancarie
3) Garanzia dei depositi
Fino al 2012, per tutti questi pilastri, le regole erano nazionali. Dal 2012 abbiamo un
regolamento (Single Resolution Mechanism Regulation) che introduce un set di
regole/procedure uniche e un’autorità unica (il Single Resolution Board).
Per quanto riguarda il terzo pilastro, la situazione attuale è ancora quella di
partenza: Vi sono delle architetture nazionali di protezione dei depositi (diverse da
Paese a Paese) – abbiamo Paesi in cui vi è uno schema di garanzia dei depositi, Paesi
in cui ve ne sono due o Paesi in cui ve ne sono più di due.
Avere un sistema di vigilanza e risoluzione unico ma allo stesso tempo avere un
sistema di garanzia dei depositi nazionale crea asimmetrie poiché si hanno banche
vigilate con un sistema omogeneo e unico, banche messe in risoluzione con un
sistema unico, ma nel momento in cui si va a vedere la protezione dei depositi si
percepisce che è diversa e questo potrebbe andare a minare il buon funzionamento
del sistema e la parità di trattamento.
L’Unione Bancaria interessa i Paesi aderenti alla moneta unica e si basa, dunque, su
tre pilastri: il meccanismo unico di supervisione (SSM), il meccanismo unico di
risoluzione delle crisi (SRM) e l’European Deposit Insurance Scheme (EDIS).
Il SSM ha attribuito, a partire da novembre 2014, alla BCE la supervisione delle
istituzioni finanziarie dell'Area euro (tra cui vi sono circa 6000 banche) e di quei
Paesi che decidono di aderire al SSM. Dato l’elevato numero di soggetti da vigilare,
la BCE supervisiona direttamente le grandi banche (circa 120), mentre le autorità di
vigilanza nazionali continuano a monitorare le banche rimanenti, ma con un
approccio di vigilanza uniforme.
Il secondo pilastro, il SRM, è operativo per le sole banche che rientrano nel SSM. Nei
casi in cui le banche arrivino al fallimento, il meccanismo unico di risoluzione
consente di accompagnare la banca verso un ordinato processo di risoluzione che
eviti effetti sistemici e assicuri costi minimi per i contribuenti e per l'economia reale.

Il meccanismo unico di vigilanza:


Nel 2011 furono istituite le autorità di livello europeo (EBA, ESMA ed EIOPA) al fine
di coordinare le autorità di vigilanza nazionali e avviare un processo di maggiore
armonizzazione tra le diverse legislazioni in materia di vigilanza bancaria,
assicurativa e dei mercati. A partire dal 2014 si è così costituito il Meccanismo di
vigilanza unico-MVU, che comprende la BCE, al vertice, e le autorità nazionali
competenti nei Paesi che partecipano al nuovo sistema. La BCE, inoltre, ha assunto
la vigilanza diretta delle banche di maggior dimensione, circa 120 enti in tutto.

Le sue principali finalità sono:

• salvaguardare la sicurezza e la solidità del sistema bancario europeo


• accrescere l’integrazione e la stabilità finanziaria
• assicurare una vigilanza coerente

Che cosa comporta la vigilanza bancaria?


La BCE ha il potere di:

• condurre valutazioni prudenziali, ispezioni in loco e indagini


• concedere o revocare licenze bancarie
• valutare l’acquisto e la cessione di partecipazioni qualificate in enti creditizi
• assicurare la conformità alla normativa prudenziale dell’UE
• fissare requisiti patrimoniali più elevati (“riserve”) per scongiurare ogni
rischio finanziario
Alla BCE è affidata la vigilanza diretta, su base giornaliera, delle maggiori
banche; mentre le autorità di vigilanza nazionali si occupano dei rimanenti
istituti.
Concretamente, il MVU ha il compito principale di verificare che le banche
rispettino la normativa bancaria europea e affrontino i problemi
tempestivamente; verifica, dunque, come le banche assumono e concedono i
prestiti e come effettuano gli investimenti (valuta se sono idonee ad operare).
Ha, inoltre, il potere di chiedere alle banche di detenere più moneta come
riserva, rilascia e ritira le licenze bancarie e sanziona le banche se violano le
regole.

Il meccanismo di risoluzione unico:


Lo scopo del meccanismo di risoluzione unico (SRM) è garantire una risoluzione
ordinata delle banche in dissesto, con costi minimi per i contribuenti e per
l'economia reale.
Si compone di:

1. un'autorità di risoluzione a livello dell'UE - il Comitato di risoluzione unico


2. un fondo di risoluzione comune, finanziato dal settore bancario

Obiettivi principali:

• rafforzare la fiducia nel settore bancario


• impedire la corsa agli sportelli e il contagio
• ridurre al minimo la relazione negativa tra banche ed emittenti sovrani
• eliminare la frammentazione del mercato interno dei servizi finanziari

Perché il meccanismo di risoluzione unico (SRM)?

Il codice unico europeo ha armonizzato, in certa misura, la normativa nazionale degli


Stati membri ed offre alle autorità nazionali strumenti e poteri comuni di
risoluzione. Tuttavia lascia alle autorità nazionali un margine di discrezionalità su
come applicare questi strumenti e su come i meccanismi di finanziamento nazionali
debbano essere utilizzati per le procedure di risoluzione.

L'SRM è stato quindi concepito per garantire un approccio comune al problema delle
banche in dissesto ed accrescere in tal modo la stabilità del settore finanziario negli
Stati membri partecipanti.

L'SRM è inoltre concepito in modo da impedire la propagazione delle crisi negli


Stati membri non partecipanti, facilitando così il funzionamento del mercato
interno.

Disporre di un meccanismo di risoluzione unico si è reso necessario anche


per scongiurare il rischio che gli Stati membri prendano decisioni distinte e
potenzialmente incongruenti in merito alla risoluzione di gruppi bancari
transfrontalieri che possono incidere sui costi complessivi della risoluzione.

MREL - Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities:

E’ un requisito introdotto dalla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione


delle banche (Bank Recovery and Resolution Directive; BRRD, art. 45), il cui scopo è
assicurare il buon funzionamento del meccanismo del bail-in (sistema di risoluzione
di un'eventuale crisi bancaria che prevede l'esclusivo e diretto coinvolgimento di
azionisti, obbligazionisti, correntisti della banca stessa), aumentando la capacità di
assorbimento delle perdite della banca (in modo da consentire la liquidazione degli
istituti di credito senza pregiudicare la stabilità finanziaria e senza necessità di
ricorrere a fondi pubblici).

Alle banche verrà comunicato dalle autorità di vigilanza su base annua il requisito
minimo del MREL che dovrà essere raggiunto a livello individuale e consolidato.
Nella definizione della soglia ogni autorità di risoluzione competente dovrà tener
conto delle dimensioni, del modello di business, del modello di finanziamento e del
profilo di rischio degli istituti di credito.

TLAC:

E’ una norma stabilita dal Financial Stability Board (FSB) nel 2015 che riguarda
esclusivamente le G-SIB (banche a rilevanza sistemica globale). Lo scopo di questa
regolamentazione è assicurare un’adeguata capacità di assorbimento delle perdite
nella fase di risoluzione di una G-SIB, minimizzando così i rischi sulla stabilità
finanziaria internazionale. Inoltre, la TLAC ha la funzione di assicurare la continuità
delle funzioni essenziali di un istituto di credito, evitando che siano i contribuenti a
sostenere le perdite.

Gli strumenti ammissibili ai fini del calcolo del TLAC devono essere titoli stabili, a
lungo termine, non pagabili a vista o con breve preavviso. Nello specifico, possono
quindi rientrarvi solo il capitale, i titoli subordinati e una parte delle obbligazioni
senior.

Come ha chiarito la Commissione Europea, comunque, la normativa sul TLAC non è


di diretta applicazione per le banche europee essendo una cosiddetta soft law.

Il terzo pilastro, l’EDIS, è invece fermo alla proposta del novembre 2015 avanzata
dalla Commissione Europea. La proposta prevedeva una introduzione graduale di
EDIS ma con un punto di arrivo che prevedesse un sistema di copertura di tutti i
costi (in caso di esigenza) per la protezione depositanti. Questo obiettivo, nella
proposta iniziale, veniva raggiunto, dunque, in modo graduale:
1. Si partiva con un meccanismo di ri-assicurazione (In cui il meccanismo
europeo interveniva soltanto in seconda battuta – prima paga il DGS
nazionale e poi interviene lo schema europeo)
2. Il secondo passaggio era un meccanismo di co-assicurazione (Entrambi
pagano simultaneamente)
3. Terzo passaggio con copertura totale da parte del meccanismo europeo
Perché nasce la garanzia dei depositi?
- Mediante la scelta del policy-maker di dare una protezione ai depositanti
retail. La garanzia depositi permette di assicurare il depositante fino ad una
soglia di 100.000 euro per depositante per banca.
La maggior parte dei Paesi ha introdotto un sistema di garanzia dei depositi dopo gli
anni ’70 e ad oggi abbiamo 143 Paesi con uno schema di garanzia dei depositi (alcuni
dei quali hanno rafforzato il proprio sistema mentre altri lo hanno completamente
rinnovato – negli USA, dopo la crisi, la copertura è stata aumentata fino a 250.000
$).
L’assicurazione depositi ha molti benefici ma allo stesso tempo può produrre dei
rischi perché l’introduzione di meccanismi di garanzia dei depositi potrebbe spingere
la banca a fare leva su questa “garanzia pubblica” e, conseguentemente, ad
assumere rischio eccessivo.
Preoccupazioni legate ad EDIS:
- La metodologia per calcolare i contributi al fondo (risk based contribution)
I fondi sono tendenzialmente finanziati attraverso contributi dell’industria (la
banca beneficia di una protezione per i propri depositi e quindi deve
contribuire al fondo per tutelare la stabilità del sistema) e la metodologia risk
based segue il cosiddetto “polluter pays approach” (meccanismo secondo cui
chi è più rischioso paga di più di chi, in termini relativi, è più solido)

- Un sistema del genere potrebbe far pagare troppo alle banche più piccole o
alle banche più grandi (metodologia di distribuzione dei contributi)
Riuscire ad identificare il target size di EDIS e stabilire se questo è sufficiente (I DGS
nazionali devono raggiungere un fondo che sia grande tanto quanto lo 0,8% dei
depositi garantiti)
Cartolarizzazione:
Per quanto riguarda il framework europeo abbiamo due regolamenti:
2401/2017 -> Riguarda i requisiti prudenziali (quanto pagano le banche che si
comprano una tranche di una cartolarizzazione- in termini di capitale)
2402/2017 -> Individua le caratteristiche di strutturazione dell’operazione di
cartolarizzazione (come l’operazione di cartolarizzazione deve essere strutturata)
Per quanto riguarda la disciplina italiana abbiamo:
legge 130 del ’99 (legge di cartolarizzazione dei crediti)
Le due discipline danno una definizione diversa di cartolarizzazione.
Come viene definita la cartolarizzazione in Europa?
È l’operazione in cui il rischio di credito associato ad un’esposizione è diviso in
segmenti e ha tali caratteristiche:
- I pagamenti effettuati nell’ambito dell’operazione dello schema dipendono
dalla performance dell’esposizione o dal portafoglio di esposizioni
- La subordinazione dei segmenti determina la distribuzione delle perdite nel
corso della durata dell’operazione dello schema
In sintesi:
Per il legislatore europeo la cartolarizzazione è la cessione di crediti ad un veicolo
(SVP) che emette “notes” (titoli). Ciò che conta per il legislatore europeo è che le
“notes” siano “tranchate”; cioè che l’SPV emetta categorie di titoli che prevedono
una diversa partecipazione del rischio (emette almeno due, o tre, classi di note:
senior, mezzanine e junior – per diversa partecipazione al rischio si intende che se
la cartolarizzazione inizia ad andare male, le note che non vengono ripagate sono
le più basse, cioè le “junior”). Le junior di norma nelle operazioni di
cartolarizzazione vengono “regalate” perché tendenzialmente, nelle operazioni di
NPL, hanno poche possibilità di recupero – chi compra junior solitamente compra
anche mezzanine. Altro elemento importante, ai sensi del framework europeo, è
l’ottenimento dell’SRT (Significant Risk Transfer) – cioè è necessario, ai sensi del
2401/2017, che la banca abbia fatto la recognition contabile e prudenziale dei
crediti (la cessione dei crediti non è sufficiente, la banca deve fare in modo che
questo rischio trascritto a terzi non possa rientrare).
Il 2401/2017 è un regolamento che modifica il CRR (Capital Requirements
Regulation) – ai sensi del framework europeo, per il CRR, è cartolarizzazione quella
composta dai seguenti elementi:
- Tranchamento delle “notes” (3 o 2 categorie obbligatorie)
- Ottenimento dell’SRT
Come viene definita la cartolarizzazione in Italia?
È la cessione, a titolo oneroso, di titoli pecuniari ad un SPV (Special Purpose
Vehicle) a fronte dei quali vengono emessi titoli, i cui interessi capitali sono
ripagati dalle somme corrisposte dai debitori ceduti.
La differenza, rispetto a quella europea, è che in questo caso non vengono nominati
i segmenti e non è necessario il trasferimento del rischio!
• Se cedo un credito ad un SPV e si emettono titoli “tranchati” in che framework
sono?
- Italiano ed Europeo sono i framework di riferimento.
• L’ambito di disciplina della legge 130 è più o meno ampio del framework
europeo?
- Più ampio.
Ogni qualvolta che faccio una cessione di crediti a una SPV sono sicuramente nella
disciplina della legge 130; se faccio anche la tranche di titoli e ottengo la SRT sono
anche in quella comunitaria.
• Perché è necessario che vi sia una disciplina in merito al fatto che vengono
ceduti crediti all’SPV (dunque, un soggetto non vigilato)?
- Perché l’acquisto di crediti è riserva di attività. La cessione avviene a un
soggetto non vigilato, si ha, dunque, una deroga all’art.106 del TUB
La ragione per cui la legge 130 c’è dal ’99 è che si voleva consentire alle banche di
monetizzare i crediti rapidamente (cedere e trasferire il rischio); ma affinché un
intermediario vigilato possa vendere a un soggetto che non è vigilato serve una
norma di rango primario analoga a quella del TUB – non viene infranta la riserva di
attività.

Come può essere la cartolarizzazione?


- TRADIZIONALE (c’è una cessione del credito – prendo i crediti e li cedo
all’SPV)
- SINTETICA (non c’è una cessione fisica dei crediti, rimangono in bilancio ma
viene utilizzata la garanzia come tecnica di copertura del rischio – non viene
trasferito fisicamente il credito, ma, ad esempio, viene data una
garanzia/fideiussione e, dunque, viene trasferito il rischio)
Questo è lo schema della cartolarizzazione tradizionale.
L’Originator (la banca) cede il credito all’SPV che a sua volta emette le “notes”
(tranchate e non tranchate). Le “notes” vengono vendute agli investitori. Ruolo
particolare è quello del Servicer → si occupa della cessione dei crediti ( è il soggetto,
incaricato ad incassare ed amministrare i crediti ceduti, nonché a recuperare i crediti
nel caso di inadempimento del debitore – la particolarità è che il servicer, in base
alle disposizioni italiane, deve essere un soggetto vigilato e, quindi, il soggetto che fa
il servicer in Italia è necessariamente una banca o un intermediario 106 – diverso il
discorso nel resto di Europa dove ancora non c’è un’armonizzazione del Servicer).
• Perché il Servicer in Italia deve essere necessariamente un soggetto vigilato?
- Il Servicer non acquista crediti ma c’entra con i crediti e, quindi, c’entra con la
riserva di attività (cioè attività rilevante dal punto di vista sistemico). Altro
elemento da non sottovalutare è che il Servicer (per la legge 130) è garante
della legalità dell’operazione: ha un ruolo di correttezza legale e di verifica
delle modalità dell’intera operazione; ecco il perché della vigilanza su questo
soggetto.
Soggetti coinvolti nell’operazione di cartolarizzazione:
- Arranger: Coloro che strutturano l’operazione di cartolarizzazione per la
banca; organizzano la fase di impostazione e realizzazione e individuano
l’Originator
- Originator: Soggetto che cede il portafoglio di crediti da cartolarizzare
- SSPE – o SPV (Securitisation Special Purpose Entity): Soggetto che acquista
dall’Originator il portafoglio crediti e provvede all’emissione di titoli (ABS,
Asset Backed Securities) per finanziare l’acquisto dei crediti dal cedente e al
rimborso dei titoli emessi
- Servicer
- Banca Agente: Soggetto presso il quale vengono aperti i conti correnti sui
quali transitano i flussi di cassa che verranno impiegati per pagare interesse e
capitali sui titoli emessi
- Agenzie di rating: Assegna il rating alle tranche, influenzando la struttura del
tranching

• Quali sono le tipologie di asset che possono essere cartolarizzati?


- Crediti della stessa tipologia (es. mutuo ipotecario) – omogenei

Limiti evidenziati dalla crisi:


- Originate to distribute model: Assenza di incentivi per gli Originator ad usare
adeguate politiche di controllo nell’erogazione dei finanziamenti sapendo di
poter trasferire i relativi rischi creditizi al mercato tramite la cartolarizzazione
- Valutazioni esterne: Affidamento eccessivo ad agenzie di rating da parte degli
investitori – ad oggi il rating ha un valore inferiore rispetto al passato
- Obblighi di disclosure: Aumentati nei confronti degli investitori
- Mancanza di adeguata analisi di credito e “due diligence”: Gli investitori
istituzionali acquistavano senza curarsi della bontà dei titoli oggetto di
cartolarizzazione – necessaria il maggiore approfondimento dei dati e di
informazioni da parte degli investitori

Cosa ha fatto il legislatore EU in risposta a tali limiti?


- Framework più conservativo (anche le senior non sono completamente prive
di rischio)
- Principio di non neutralità (Il legislatore ha deciso che chi compra una
tranche di cartolarizzazione – comprendente ad esempio a, b e c - deve
pagare in termini di requisito più di quanto pagherebbe se detenesse
direttamente gli asset – ovvero un titolo che detiene a, b e c – e ciò ha reso le
cartolarizzazioni meno convenienti per le banche.
- Minore dipendenza da rating esterni
- Divieto di ricartolarizzazione
Principali novità del regolamento 2402/2017:
A chi si applica il regolamento STS (Standardizzate, Trasparenti e Semplici in
riferimento alle cartolarizzazioni)?
A tutti i soggetti, vigilati (imprese di assicurazione – fondi pensione – FIA – OICVM –
banche – SIM) e non vigilati (quando effettuano operazioni di cartolarizzazione)
Le STS hanno un sottostante omogeneo (non possono essere Non-performing) –
proprio perché dovrebbero essere meno rischiose perché hanno degli asset
sottostanti di un certo tipo, consentono il pagamento di requisiti più bassi rispetto
alle cartolarizzazioni tradizionali.
Quali sono gli obblighi che si applicano a tutte le operazioni di cartolarizzazione?
- Obblighi di “due diligence” (art.5): Obbligo che hanno esclusivamente i
soggetti vigilati che acquistano tranche di cartolarizzazione. Gli investitori
istituzionali verificano criteri di concessione del credito, il rispetto del
requisito di risk retention. In sostanza serve a responsabilizzare l’investitore
istituzionale.
- Obbligo di retention (art.6): La banca che fa l’operazione di cartolarizzazione
deve tenere il 5% dei titoli cartolarizzati – viene ridotto il moral hazard. Come
si fa la retention? Compro il 5% di tutte le tranche e posso fare la retention a
monte (frizzo un portafoglio di 100 – cartolarizzo 95 e trattengo il 5%).
Nell’art.6 troviamo anche il “divieto di Cherry Picking” – divieto di selezione
avversa – non posso cartolarizzare alcune cose e non altre (divieto di
selezione intenzionale di attivi con profili di rischio elevati rispetto ad altri
mantenuti in bilancio).
- Obbligo di disclosure (art.7): Devo mettere a disposizione dell’investitore
(anche se istituzionale) tutta una serie di documenti che indicano il grado di
rischio del titolo che si sta acquistando.
- Criteri di concessione del credito (art.9): Durante l’acquisizione di una
cartolarizzazione bisogna verificare che i criteri per la valutazione del merito
di credito che sono stati utilizzati durante l’attività di concessione del
finanziamento siano uguali nel momento in cui si cartolarizza – Originator
Lender applicano alle esposizioni da cartolarizzare criteri di concessione
analoghi ai criteri applicati per le esposizioni non cartolarizzate. Procedure di
verifica in place. La verifica di tale questione, secondo l’EBA, va fatta on best
effort basis (come si è capaci).
Le cartolarizzazioni STS hanno oltre 75 requisiti:
E deve averli tutti, nel momento in cui ne perde uno non si parla più di STS. Avere
una STS consente di pagare decisamente meno in termini di capitale rispetto a
quello che si pagherebbe se la cartolarizzazione non fosse STS.
Chi decide che la cartolarizzazione deve essere STS?
La banca stessa. Ma essendo un’attività particolare lo si può far fare anche a un
soggetto terzo (tipo società di rating – non è un soggetto vigilato comunque)
autorizzato dalla Autorità di vigilanza competente (nel caso in cui il soggetto terzo
dovesse sbagliarsi la responsabilità ricade sulla banca).

Le sanzioni:
GACS (Garanzia cartolarizzazione statale delle sofferenze):
E’ una garanzia statale sulle tranche senior di operazione di cartolarizzazione. Ciò
significa che se la senior va in default il rischio (e il conseguente pagamento) è dello
stato.
Per la banca che vuole fare l’operazione di cartolarizzazione è sufficiente trovare
un’acquirente della mezzanine e della junior a cui vendere tranche a basso prezzo e
si ricompra le senior perché tanto se l’operazione va male paga lo Stato (le banche
non pagano requisito – rischio zero per le stesse).
Ci sono dei limiti/condizioni:
1) Tale operazione non può essere fatta per tutte le cartolarizzazioni, soltanto
sulle cartolarizzazioni di NPL.
2) La banca che ha originato i crediti deve essere Italiana (ça va sans dire)
3) Perché si possa avere la GACS la senior deve retata e il rating deve essere
almeno pari a BBB (prima era BBB-)

• Come ci si preserva dal rischio di valutazione superficiale (fatta a cazzo)?


- C’è bisogno di 3 rating da 3 agenzie diverse
La cascata dei pagamenti:
Come funziona?
Quando la cartolarizzazione incassa, i fondi andranno distribuiti e come vengono
distribuiti?
Prima vengono dati alla commissione per pagare la GACS (pagamento allo Stato), poi
vengono pagati i titolari degli interessi della senior, dopo vengono pagati gli interessi
della mezzanine e poi viene il rimborso del capitale della senior, infine il rimborso
integrale del capitale dei titoli mezzanine e pagamento delle somme dovute per
capitale e interessi sui titoli junior.
Se la cartolarizzazione inizia ad andare male, quello che conta è che lo Stato sia
messo al sicuro e, quindi, i titolari della senior vengono pagati prima di tutti.
E’ il legislatore a decidere. L’obiettivo massimo è evitare che lo Stato paghi (novità
della nuova GACS).

Tra le altre novità per avere la GACS troviamo:


- Rating BBB alla senior
Modifica della struttura da cascata a sequenziale quando la cartolarizzazione va
meno bene di quanto si pensava
OPA (Offerta Pubblica di Acquisto)
È una tecnica per l’acquisizione di prodotti finanziari in corrispettivo di denaro, rivolta ai titolari della
categoria di prodotti interessata, di prodotti finanziari e denaro (c.d. offerta pubblica di scambio) oppure di
altri prodotti finanziari (c.d. offerta “miste”, di acquisto e scambio). Questa disciplina persegue due finalità:

1. Assicurare la trasparenza delle condizioni contrattuali ai destinatari dell’offerta (soggetti “passivi” di


un’operazione standardizzata di massa). Per evitare quell’asimmetria informativa dovuta alla
mancanza di una trattativa diretta tra offerente (che ha unilateralmente predisposto l’operazione)
ed obbligati.
2. Quando ha per oggetto l’acquisto di azioni quotate che attribuiscono il diritto di voto, in aggiunta alla
finalità precedente, si cercano di tutelare particolari categorie di investitori e più in generale gli organi
di controllo societario.

Disposizioni Generali

Circa lo svolgimento dell’offerta il TUF si limita a stabilire alcuni principi fondamentali quali: l’irrevocabilità
dell’offerta, l’obbligo di assicurare parità di condizioni a tutti i soggetti detentori di strumenti finanziari,
l’inammissibilità di limiti al numero di rilanci che possono essere effettuati fino alla scadenza del termine. Per
quanto concerne, invece, la normativa di dettaglio, sono disciplinate dal Regolamento di attuazione emanato
dalla Consob.

Il Procedimento

La prima fase è incentrata sulla trasmissione alla Consob di due documenti:

• La Comunicazione di voler promuovere un’offerta pubblica di acquisto e scambio, che deve essere
comunicata alla Consob e contestualmente resa pubblica.
• Il Documento di Offerta deve essere presentato alla Consob (destinato alla pubblicazione) entro
venti giorni dalla comunicazione per promuovere l’offerta. La stessa Consob nei quindici giorni
successivi approva il documento, che viene poi diffuso sul mercato.

Il periodo di adesione dell’offerta ha inizio decorsi cinque giorni dalla diffusione del documento di offerta. La
pubblicazione del documento di offerta ha l’effetto (come la proposta contrattuale) di attribuire agli “oblati”1
il potere di accettare la proposta determinando la proposta del contratto. Il procedimento si conclude poi
con la pubblicazione dei risultati dell’offerta.

Modifiche all’offerta

Durante il periodo d’offerta è possibile una modifica della stessa, che dovrà essere comunicata al mercato
con le stesse modalità previste per la comunicazione dell’offerta originaria. Qualora poi ci siano delle offerte
concorrenti sui medesimi strumenti finanziari, le adesioni all’offerta originaria diventano revocabili per dare
la possibilità agli oblati di beneficiare dell’opportunità di scelta tra le offerte concorrenti.

Le società italiane quotate i cui titoli costituiscono oggetto di offerta devono astenersi dal compiere “atti od
operazioni che possono ostacolare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta” (c.d. “passivity rule”)

Nella disciplina comunitaria la regola generale impone l’autorizzazione assembleare per l’adozione di misure
“difensive”, inoltre la c.d. “break-through rule” rende le misure difensive di carattere preventivo (limiti,
statuari o parasociali, al trasferimento dei titoli o all’esercizio del voto) inefficaci ni confronti dell’offerente.

1
Destinatari dell’offerta
Le offerte obbligatorie

L’offerta pubblica di acquisto è obbligatoria quando c’è la concentrazione di una partecipazione significativa
in capo ad un unico soggetto (o a una coalizione). È sostanzialmente uno strumento offerto dal legislatore
per consentire agli azionisti di minoranza di vendere le proprie azioni (concedendo un’opportunità di
ripensamento) in ragione dell’alterazione rilevante della situazione iniziale. La partecipazione è considerata
significativa qualora, tramite l’acquisto o a seguito di maggiorazione del diritto di voto, questa sia superiore
al 30% del totale. Tale soglia è abbassata al 25% per le società diverse dalle PMI2. Le PMI possono inoltre
prevedere diverse soglie nel loro statuto, purché non inferiore al 25% e non superiore al 40%. Per ciascuna
categoria di titoli, l’offerta è promossa a un prezzo “non inferiore a quello più elevato” pagato dall’offerente
nei dodici mesi anteriori alla comunicazione di offerta per acquisti di titoli della medesima categoria.

Le offerte preventive

L’offerta preventiva totalitaria e l’offerta preventiva parziale hanno l’effetto di esimere il soggetto che
abbia superato la soglia rilevante dall’obbligo di procedere a offerta successivamente totalitaria.

L’istituto dell’acquisto di concerto previene la possibilità di “aggirare” l’obbligo di offerta totalitaria


attraverso il frazionamento dell’acquisto tra una pluralità di soggetti, formalmente distinti, ma in realtà
appartenenti ad una coalizione. Infatti sono solidalmente tenuti agli obblighi previsti precedentemente (art.
106 e 108 TUF) le persone che agiscono di concerto quando vengano a detenere, a seguito di acquisti (o
maggiorazione del voto) effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva superiore alle
percentuali indicate nei predetti articoli. Per "persone che agiscono di concerto" si intendono i soggetti che
cooperano tra di loro sulla base di un accordo, espresso o tacito, verbale o scritto, ancorché invalido o
inefficace, volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il
conseguimento degli obiettivi di un'offerta pubblica di acquisto o di scambio.

Tipologie di OPA
L’offerta pubblica di acquisto può essere volontaria o obbligatoria. Nel secondo caso la legge prevede le
fattispecie in cui scatta l'obbligatorietà. Fino al 2014 l'obbligo sorgeva qualora un soggetto (anche in
concerto con altri) venisse a detenere, a seguito di acquisti a titolo oneroso, una partecipazione nel capitale
ordinario della società superiore al trenta per cento. Successivamente la legge n. 116 del 11 agosto 2014 (il
"Decreto Competitività") ha apportato importanti modifiche alla disciplina delle società quotate contenuta
nel Testo Unico della Finanza (TUF), modifiche che si riverberano anche sulle offerte pubbliche e che
verranno esposte più avanti.

• OPA obbligatoria totalitaria


E' l'OPA obbligatoria “classica” ovvero quella che scatta qualora un soggetto, a seguito di acquisti
ovvero di maggiorazione dei diritti di voto, venga a detenere una partecipazione superiore alla
soglia del trenta per cento ovvero a disporre di diritti di voto in misura superiore al trenta per
cento. Il soggetto in questione ha l'obbligo promuove un'offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i
possessori di titoli sulla totalità dei titoli (art. 106 del TUF, comma 1).

• OPA obbligatoria di consolidamento


In questo caso l'obbligo di OPA scatta a seguito di acquisti superiori al 5% o alla maggiorazione dei
diritti di voto in misura superiore al cinque per cento dei medesimi, da parte di coloro che già
detengono la partecipazione relativa al caso di OPA obbligatoria totalitaria ma senza detenere la

2
Piccole e Medie Imprese
maggioranza dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria (art. 106 del TUF, comma 3, punto b).

• OPA obbligatoria residuale


Qualora, a seguito di un'OPA totalitaria, l'offerente giunga a detenere una partecipazione almeno
pari al 95 per cento, ha l'obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta, pagando un
corrispettivo è pari a quello dell'OPA precedente (art. 108 del TUF, commi 1 e 3). Questo obbligo
garantisce agli azionisti di minoranza una possibilità d uscita.
Inoltre, chiunque venga a detenere una partecipazione superiore al 90% (anche non a seguito di
OPA), ha l'obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta se non ripristina entro
novanta giorni un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni (art.
108 del TUF, comma 2).

• OPA volontaria preventiva


E' un'offerta pubblica di acquisto o di scambio volontaria avente per oggetto almeno il 60% delle
azioni ordinarie di una società. Qualora concorrano le due condizioni che seguono, l'OPA volontaria
preventiva determina il non insorgere dell'obbligo di OPA obbligatoria totalitaria: 1. l'offerente non
abbia acquistato, anche indirettamente, una partecipazione nel capitale superiore all’1% nella
società le cui azioni sono oggetto dell’OPA, durante l’anno precedente la comunicazione
dell’offerta alla Consob; 2. l’efficacia dell’offerta sia approvata da tanti soci che detengono la
maggioranza delle azioni ordinarie della società bersaglio (esclusi i voti dell’offerente, del socio di
maggioranza e di quanti agiscono in concerto con loro) (art. 107 del TUF).

• Squeeze out
Chi, a seguito di un'offerta totalitaria, arriva a detenere almeno il 95% del capitale di una società
italiana quotata, ha il diritto di acquistare i titoli residui entro tre mesi dal termine dell'offerta: per
avvalersi di questo diritto l'offerente deve però averlo dichiarato nel documento di offerta (art. 111
del TUF). Nella pratica internazionale questo istituto viene comunemente definito “squeeze out”.

SERVIZI DI PAGAMENTO (PSD – PSD2)


Nel mercato interno dei capitali, la prestazione dei servizi di pagamento è riservata
alle banche, agli istituti di moneta elettronica ed agli istituti di pagamento.
Col tempo si è avuto un graduale passaggio da servizi di pagamento basati
principalmente su strumenti cartacei a metodologie di trasferimento di capitali
basate sull’elettronica.
Negli anni il progresso tecnologico dell’era digitale e il continuo sviluppo delle
telecomunicazioni hanno portato alla nascita di servizi e prodotti ancora più
innovativi e sofisticati come: la moneta elettronica, metodi di pagamento
utilizzabili per l’acquisto di beni e servizi online, l’utilizzo di carte di credito in
modalità contactless, la possibilità di effettuare pagamenti tramite cellulare e altri
dispositivi mobili.

DIRETTIVA PSD:
L’obbiettivo di tale direttiva è quello di armonizzare le regole in materia di servizi di
pagamento elettronici al fine di agevolare il buon funzionamento del mercato unico
dei servizi di pagamento al dettaglio. La PSD costituisce infatti le fondamenta
giuridiche della SEPA (Single Euro Payment Area), ossia un’area perfettamente
integrata e concorrenziale in cui non vi siano differenze di trattamento tra
pagamenti nazionali e transfrontalieri in euro. Il fine della SEPA è infatti quello di
creare un mercato dei pagamenti armonizzato, che offra ai consumatori strumenti di
pagamento comuni basati su standard operativi uniformi, utilizzabili con la stessa
sicurezza e alle stesse condizioni in tutto il territorio dell’UE. In quest’ottica, la PSD
ha permesso di definire, all’interno di una cornice giuridica unitaria, gli aspetti
fondamentali dei servizi di pagamento come: i requisiti di accesso al mercato per i
fornitori; la trasparenza delle condizioni relative all’erogazione dei servizi stessi; i
diritti, gli obblighi e le responsabilità di prestatori e utenti.

DIRETTIVA PSD2:
L’obbiettivo di tale nuova direttiva è quello di garantire un mercato dei pagamenti
maggiormente integrato, basato su regole chiare, moderne e uniformi che possa
stimolare la crescita economica in tutta l’UE. Più nello specifico la nuova normativa
dovrebbe costituire il presupposto per rafforzare la fiducia nel mercato dei
pagamenti.
la PSD2 si applica a tutti i servizi di pagamento elettronici.

Tra le principali novità apportate dalla PSD2, si annovera l’apertura del mercato dei
servizi di pagamento a due nuove categorie di operatori cosiddetti third party
providers (TPPs): i prestatori di servizi di disposizione di ordini di pagamento
(Payment Initiation Service Providers, PISPs) e i prestatori di servizi di
informazione sui conti (Account Information Service Providers, AISPs). I PISP
consentono di effettuare pagamenti online. Gli AISPs offrono invece, tramite una
piattaforma online, un servizio di consolidamento delle informazioni riguardanti i
diversi conti intestati al cliente, consentendo al cliente stesso di avere una visione
chiara e complessiva della propria situazione finanziaria.

CROWDFUNDING:
Particolare tecnica, che permette il finanziamento di iniziative di vario genere
attraverso la raccolta di capitali tra la folla, effettuata tramite l’utilizzo di una
piattaforma online.
Esistono diverse tipologie di crowdfunding che si differenziano per la modalità di
remunerazione prevista per il finanziatore.
- Donation based crowdfunding. Il finanziamento avviene tramite donazione di una
somma di denaro in favore di una specifica iniziativa, senza ricevere nessun tipo di
ricompensa
- Reward-based crowdfunding. A fronte dell’erogazione di una somma di denaro, i
finanziatori ricevono una remunerazione non finanziaria, ossia un riconoscimento
sociale o personale.
- Lending-based crowdfunding. Imprese o individui privati ottengono fondi dalla
gente sotto forma di contratti di prestito.
- Royalty based o profit-sharing crowdfunding. Il finanziamento di un’iniziativa
imprenditoriale viene ricompensata con le partecipazioni ai futuri profitti della
stessa.
- Investment based crowdfunding. Particolari tipi di imprese emettono azioni o
obbligazioni (in Italia Legge di Bilancio 2019 introduce prossibilità di emettere
obbligazioni a start-up e PMI) e li offrono al pubblico tramite una piattaforma online.
Rientra in questa categoria l’equity crowdfunding.
EQUITY CROWDFUNDING:
Rappresenta un’efficace fonte di finanziamento alternativa che assume particolare
rilevanza soprattutto per le imprese che tipicamente sono escluse dal mercato del
credito per l’assenza di asset tangibili da porre a garanzia oppure semplicemente
perché troppo piccole e rischiose.
Per quanto riguarda gli investitori, tra le opportunità principali che l’equity
crowdfunding offre loro, abbiamo sicuramente l’elevato potenziale di rendimento;
le persone fisiche possono godere di una detrazione fiscale pari al 30% di quanto
investito e le persone giuridiche di una deduzione dei ricavi pari al 30%
dell’investimento.
In generale i regimi adottati dagli Stati membri presentano il duplice obbiettivo di
promuovere il crowdfunding come nuova fonte di finanziamento per le piccole
imprese, garantendo al contempo la difesa degli investitori dai possibili rischi che
esso comporta. L’Italia è stata il primo paese europeo a dotarsi di una displina
specifica in materia di equity crowdfunding con Regolamento CONSOB.
Le principali novità riguardano:
- L’obbligo per i gestori dei portali online di aderire ad un sistema di indennizzo a
tutela degli investitori
- Il rafforzamento degli obblighi in tema di conflitto di interesse
- La possibilità di recesso e di co-vendita per tutte le tipologie societarie entro un
limite temporale di solito di tre anni
L’attività di gestione dei portali online per l’equity crowdfunding è riservata a due
tipologie di soggetti: le imprese di investimento e le banche autorizzate ai relativi
servizi di investimento (c.d. gestori di diritto) e i soggetti iscritti in un apposito
registro tenuto dalla CONSOB.
FINTECH:
Con il termine FinTech, abbreviazione di tecnologia finanziaria, si indentifica un
ecosistema, in continua evoluzione, di innovazioni tecnologiche applicate al settore
finanziario, che si concretizzano in nuovi modelli di business, processi e prodotti e i
cui effetti sono dirompenti e di carattere rivoluzionario sia per i mercati finanziari
che per le istituzioni. FinTech comprende alcune tra le principali innovazioni degli
ultimi anni che investono tutti i settori dell’intermediazione bancaria e finanziaria: il
crowdfunding, la robo advice, il P2P, le valute virtuali, lending platforms, la
blockchain ecc.
Le innovazioni FinTech in più consentono di semplificare il più possibile la fruizione
dei servizi finanziari, permettendo di compiere operazioni in qualunque momento e
ovunque ci sia connessione, tramite i propri dispositivi mobili.
Al fine di sostenere l’innovazione apportata dalle nuove frontiere del FinTech ma
nello stesso tempo proteggere i consumatori e la stabilità del sistema finanziario dai
rischi ad essa legati è indispensabile innovare il sistema normativo adeguandolo
all’evoluzione in atto.
La regolamentazione si basa sul principio di neutralità tecnologica (same services-
same riskssame rules) e sulla necessaria conformità alle regole di tutela del
consumatore. Inoltre, il regolatore deve fare in modo di individuare norme che
assicurino un level playing field e che non creino sovrapposizioni di regole e di
competenze ed incertezze che fomentino fenomeni opachi.
I rischi e le opportunità di Fintech sono legati a:
• Approcci regolatori e coordinati;
• Tutela europea del consumatore;
• Over-regulation; la paura della novità tecnologica può portare ad una
regolazione eccessiva che aumenta i costi e rende il sistema inefficace ed
eccessivamente burocratico.
• Non sottovalutare l’apporto umano; l’apporto umano resta rilevante.

Regole di condotta dell’intermediario nella prestazione dei servizi di investimento


Cos’è un servizio di investimento?
- Un’attività attraverso il quale possiamo impiegare, sotto varie forme, i nostri risparmi in
attività finanziarie.
I servizi e le attività d’investimento (previste dal TUF in conformità con la MIFID) sono:
- Esecuzione di ordini per conto dei clienti
- Negoziazione per conto proprio
- Gestione di sistemi multilaterale di negoziazione
- Ricezione e trasmissione di ordini
- Sottoscrizione e/o collocamento con o senza assunzione a fermo (assunzione di garanzia)
nei confronti dell’emittente
- Gestione di portafogli
- Consulenza in materia di investimenti
Ricordiamo che l’autorizzazione a prestare servizi d’investimento può essere rilasciata soltanto a:
- SIM italiane (autorizzate dalla CONSOB sentita Banca d’Italia)
- Banche italiane (autorizzate da Banca d’Italia)
- SGR (autorizzate da Banca d’Italia sentita la CONSOB all’esercizio di attività di gestione di
portafogli, consulenza e commercializzazione di fondi comuni o SICAV)
- Intermediari finanziari (autorizzati a negoziare per conto proprio e all’esecuzione di ordini
dei clienti – limitatamente a strumenti finanziari derivati)
- Banche UE (autorizzate dall’autorità di vigilanza del Paese d’origine)
- Imprese d’investimento UE (autorizzate dall’autorità di vigilanza del Paese d’origine)
- Imprese d’investimento extra-comunitarie (autorizzate dalla CONSOB)
- Banche extra-comunitarie (autorizzate da Banca d’Italia)
- Agenti di cambio
L’autorizzazione consente di verificare la sussistenza dei requisiti di professionalità, onorabilità e
solidità finanziaria e sottopone i soggetti ad una vigilanza continua.
Per comprendere bisogna partire dalla disciplina delle regole di condotta degli anni 90.
Negli anni 90 come regolazione si aveva:
- Legge 1 del 91
- Decreto 415 del 96 (EuroSIM)
Ricordiamo che le prime direttive europee sono quelle del 2003 (applicazione del principio
dell’home country control e del mutuo riconoscimento anche alla prestazione di servizi finanziari e
alla negoziazione di strumenti finanziari sulle “piazze”).
I conflitti che hanno determinato una evoluzione nella disciplina dei rapporti banca – cliente (in
tutta Europa) sono i casi di risparmio tradito (verificati in Italia), la grande crisi finanziaria e la
questione dei debiti sovrani.
Da lì abbiamo la prima direttiva -> MIFID I (2004/39 recepita nel 2007)
Con la MIFID tutta la regolazione precedente (TUF – Regolamento intermediari della CONSOB –
Regolamento mercati ecc.) viene modificata. Il recepimento della MIFID rivoluzione il sistema di
regolazione del rapporto banca – cliente.
La MIFID ha una peculiarità, nel nostro Paese ha rappresentato un cambiamento epocale poiché
con la sua entrata in vigore, l’Italia ha subito quasi un “danno” all’adeguamento a questa direttiva
perché è stato proprio l’approccio banca – cliente, risalente agli anni 30 del secolo precedente, ad
essere modificato (cambiamento dell’approccio culturale).
Ciò porta a un approccio del regolatore che mira al risultato, non tanto al rispetto formale della
norma (ormai non più sufficiente). Col tempo abbiamo avuto, dunque, una serie di passaggi che
hanno portato a un perfezionamento del rapporto tra intermediario e cliente al fine di proteggere
gli investitori.
Dopo la MIFID, il legislatore assume che l’intermediario abbia una maggiore responsabilità nel
fare in modo che asimmetrie informative tra intermediario e cliente vengano superate.
Agli inizi degli anni 90 (Prima della MIFID), dunque, vi è una trasformazione del mercato dei
capitali con conseguente globalizzazione dei mercati. In Italia vi è un incremento della quota di
risparmio delle famiglie investita nelle imprese e una diversificazione internazionale del
portafoglio (a tutto questo si aggiunge la figura dell’intermediario professionale). Non vi erano
limiti alla tipologia di investimenti da riservare ad operatori qualificati o da precludere a investitori
meno esperti. L’obiettivo era proprio quello di non limitare le possibilità di possibili investitori.
In questo contesto va ricordata la distinzione tra investitori non qualificati e investitori qualificati:
Investitori non qualificati -> Famiglie, clientela retail
Investitori qualificati -> Banche, imprese di assicurazione, SIM, SGR, SICAV

Il contenzioso sul risparmio tradito:


Si tratta del coinvolgimento nelle controversie (legate ai casi CIRIO e PARMALAT) di un gran
numero di piccoli e medi risparmiatori. È stato anche causato dal fatto che i risparmiatori erano
abituati ad assumere interessi rilevanti senza assumere rischi (in questo contesto si parlava di
risparmiatori inconsapevoli). Con l’ipotesi del risparmio tradito si è iniziato a parlare del cosiddetto
risparmiatore consapevole dell’investimento che sta facendo (il suo investimento non dipende
dalla responsabilità della banca, ma da come andrà l’impresa in cui ha investito).

Al fine di armonizzare le regole preesistenti in materia di tutela dell’investitore viene introdotta la


direttiva europea in tema di prestazione dei servizi finanziari e dei mercati:
- Direttiva di I livello (2004/39)
- Direttiva di II livello (2014/65)
Queste direttive si soffermano sul rapporto banca – cliente e sono delle direttive ad ampio raggio
poiché perseguono 3 obiettivi:
- L’efficienza dei mercati mobiliari
Abolizione obbligo di concentrazione scambi sui mercati regolamentati e creazione degli
MTF (altre piattaforme finanziarie che possono essere gestite sia da SGM sia da banche e
imprese di investimento in quanto considerati un servizio di investimento) e degli
internalizzatori sistematici (intermediari che in modo organizzato, frequente e sistematico
svolgono in conto proprio attività di compensazione degli ordini della clientela) – la legge 1
del 91 prevedeva l’obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati al fine
di garantire che chi scambiava strumenti finanziari sui mercati sapesse che tali strumenti
erano già adeguatamente protetti; nel TUF si parlava di mercati regolamentati e di scambi
organizzati di strumenti finanziari prevedendo una regolazione ampia dei mercati
regolamentati, la MIFID rivoluziona totalmente questo aspetto andando a creare una
maggiore concorrenza tra piazze finanziarie.
- La tutela degli investitori
Quindi la MIFID mira ad assicurare alle controparti negoziali una tutela in modalità diverse
rispetto al passato che tengono conto del ruolo degli investitori e ad assicurare un
approccio di “raggiungimento dell’obiettivo (approccio di common law)”. Dunque, la tutela
dell’investitore segue il principio dell’introduzione di regole di condotta e di classificazione
dei clienti (stabilendo chi sono i clienti professionali e le controparti qualificate attraverso
un allegato alla direttiva MIFID – Allegato 3 – considerando sempre che resta comunque
valido il principio per cui la clientela retail si ha per esclusione, tutti quelli che non sono
clienti professionali o parti qualificate).
- L’integrità degli operatori
Si fa riferimento al modo onesto, equo e professionale con cui gli intermediari devono
agire per servire al meglio i clienti. Principi cardine sono quelli dell’adeguatezza,
dell’appropriatezza e della mera esecuzione (execution only).

La MIFID II è andata ad interagire laddove la crisi finanziaria globale e la crisi dei debiti sovrani
hanno causato una conflittualità della realtà concreta, evidenziando una serie di limiti che la
direttiva ha dimostrato di avere e che il legislatore ha ritenuto di rimuovere. L’approccio del
regolatore europeo è quello preventivo sulla base di ciò che accade. Comunque sia si riparte dalla
MIFID I che continua a rappresentare una direttiva ad ampio raggio che si concentra su tutta la
prestazione dei servizi di investimento. Vi è, dunque, uno sviluppo ulteriore del concetto di best
execution.

Una delle novità dell’approccio MIFID è il principio (descritto dall’art.19 della direttiva) attraverso
il quale si fa riferimento al modo onesto, equo e professionale con il quale gli operatori devono
agire per assicurare il miglior interesse dei clienti (ciò ha portato ad una maggiore
responsabilizzazione degli intermediari).

Nel 2018 c’è stato un nuovo regolamento intermediari (Regolamento CONSOB) secondo cui:
- I clienti devono essere a conoscenza della loro classificazione in quanto clienti retail,
professionali o controparti qualificate.
- Gli intermediari devono garantire la migliore esecuzione possibile degli ordini dei clienti
(obbligo di best execution – non solo riguardante il prezzo ma riguardante la rapidità di
esecuzione dell’operazione).

Elemento essenziale della MIFID (dalla MIFID II)


Sta nella tripartizione della clientela e nella maggiore responsabilizzazione degli intermediari. La
classificazione della clientela assume un valore ben più preciso, si dà più spazio alla operatività
concreta e, quindi, alla flessibilità; si applica il principio di proporzionalità, cioè, a seconda del caso
il cliente può essere considerato in “need of protection”
C’è una tripartizione che si chiama profilatura dei clienti: in fase precedente alle trattative,
l’intermediario deve profilare il cliente e il grado di rischio a lui collegato al fine di poterlo
collocare in una determinata classe come:
- Cliente Retail -> E’ l’emblema del principio di “need of protection”. Ricoprono un ruolo
essenziale perché sono quelli che hanno bisogno di una attenzione particolare. È
considerato un cliente “debole” rispetto al cliente “forte” ch’è l’intermediario, poiché
quest’ultimo dispone di tutte le conoscenze del mercato.
Allegato 3 (Tripartizione della clientela):
Dopo aver definito il cliente professionale come colui che possiede esperienza, conoscenza e
competenze necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di
investimenti e per valutare i rischi da assumere, introduce una disciplina diversa a seconda che si
tratti di un cliente professionale di diritto (soggetti vigilati, imprese di grandi dimensioni e
investitori istituzionali) o su richiesta (persone che fanno espressa richiesta di essere trattati come
clienti professionali purché siano rispettati i criteri e le procedure previste dall’allegato 3). La
novità sta proprio in questa diversificazione che consente al cliente al dettaglio di essere collocato
nella categoria del cliente professionale. La modalità introdotta è quella
dell’upgrading/downgrading (il cliente professionale che vuole essere trattato come cliente al
dettaglio o viceversa).
MIFID II e classificazione della clientela:
La profilatura del cliente è il momento essenziale per poi attribuirgli e vendergli quel determinato
prodotto finanziario. Attraverso la profilatura viene effettuata la valutazione dell’adeguatezza.
1) Si classifica il cliente
2) Si propone al cliente il prodotto finanziario da acquistare
3) A seconda del tipo di servizio di investimento si procede con adeguatezza (caso di
consulenza o gestione di portafogli) o appropriatezza

Con la MIFID II si ha il definitivo superamento della disciplina precedente che consentiva il


riconoscimento della natura di operatore qualificato sulla base di una mera autocertificazione
(spesso non conforme al vero) priva di qualsiasi riscontro documentale.
L’approccio della MIFID II per quanto riguarda la tutela dei clienti sta nella product governance: Si
ha una procedura di ingegnerizzazione per cui il soggetto che emette lo strumento finanziario non
può farlo a caso, deve prima, attraverso una procedura interna, individuare il target market (target
di clientela al quale il prodotto finanziario deve essere venduto) e costruire il prodotto
(analizzando tutti i relativi rischi).

**Possibile domanda d’esame**


Product governance e product intervention:
Il rinforzo, mediante la MIFID II, sulla disciplina della product governance ha portato anche alla
previsione di una product intervention (attribuire alle autorità di settore il potere di intervenire
per evitare o sospendere la commercializzazione di un certo prodotto). La prima autorità di
riferimento nella product intervention è l’autorità nazionale.

La MIFID introduce negli articoli 21 e seguenti del TUF tutte le regole di condotta degli
intermediari, specificate nel regolamento CONSOB intermediari. L’articolo 21 è stato più volte
modificato attraverso le direttive per essere riadattato all’evoluzione delle architetture
istituzionali; mentre prima (fino al 2007) si faceva riferimento soltanto al TUF e al regolamento
intermediari, ora si fa riferimento anche alle guide lines dell’ESMA (come nuova autorità di
vigilanza del mercato finanziario). L’articolo 21 è la norma cardine che sancisce il rapporto
intermediario – cliente e stabilisce dei criteri generali a tutela degli investitori. Questo articolo
riguarda le conseguenze che la violazione delle regole di condotta determina sulle contrattazioni e
sui riflessi negativi che possono avere sulla fiducia dei meccanismi di mercato. Tale articolo,
inoltre, sancisce un altro aspetto che garantisce la tutela dell’investitore: il buon funzionamento
della società che si rispecchia mediante un’elevata regolazione dell’organizzazione interna.
**Possibile domanda d’esame**
Quali sono le finalità della vigilanza?
Facciamo riferimento all’art.5 del TUF secondo cui l’attività di vigilanza ha per obiettivi:
- Salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario
- Tutela degli investitori
- Stabilità e buon funzionamento del sistema finanziario
- Competitività del sistema finanziario
- Osservanza delle disposizioni
A tal proposito è utile ricordare che Banca d’Italia è competente per quanto riguarda il
contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari;
la CONSOB è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti.
Entrambi esercitano i propri poteri di vigilanza nei confronti di soggetti abilitati, operano in modo
coordinato al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati e si danno reciproca
comunicazione dei provvedimenti assunti.
Una nuova formulazione dell’art.5, con decreto 164 del 2007, ha inserito tra i compiti assegnati
all’organo di vigilanza la “salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario”

L’art.21 dice che:


- Gli intermediari devono comportarsi con correttezza, diligenza e trasparenza e devono
seguire espressamente l’interesse dei clienti e attraverso le garanzie dell’interesse dei
clienti perseguono poi il buon funzionamento dei mercati.
- Gli intermediari devono acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo
che essi siano adeguatamente informati
- Gli intermediari devono utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette,
chiare e non fuorvianti
- Gli intermediari devono disporre di risorse e procedure idonee ad assicurare l’efficiente
svolgimento dei servizi e delle attività
La trasparenza diventa un fattore essenziale nella tutela dei diritti dei risparmiatori, poiché ad essa
è affidato il compito di mettere il consumatore in condizione di evitare che venga fottuto.
L’intermediario, inoltre, non può verificare l’autenticità e la completezza delle informazioni; esso
può fare affidamento sulle informazioni fornite a meno che queste risultino palesemente inesatte,
incomplete o superate.
Per quanto riguarda l’adeguatezza (va distinta a seconda dei servizi d’investimento per il quale
deve essere eseguita), gli intermediari devono ottenere dal cliente tutte le informazioni
necessarie per acquisire informazioni in merito:
- All’esperienza e conoscenze del cliente
- Alla sua situazione finanziaria
- Ai suoi obiettivi di investimento
Diversamente dal passato, l’intermediario che non abbia ottenuto le informazioni di cui sopra
deve astenersi dal prestare il servizio. La valutazione dell’adeguatezza è soltanto nella prestazione
dei servizi di consulenza e gestione di portafoglio perché per altri tipi di prestazione c’è una
valutazione che l’intermediario deve fare secondo il principio dell’appropriatezza. Essa si misura
con riguardo al livello di conoscenza ed esperienza del cliente riguardo al tipo specifico di prodotto
o servizio proposto/richiesto, al fine di determinare se il servizio o il prodotto in questione è
“appropriato” al cliente e non, come l’adeguatezza, in base alla valutazione della sua capacità
finanziaria o sui suoi obiettivi di investimento. La valutazione dell’appropriatezza è più per servizi
di “negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti, ricezione e
trasmissione di ordini, assunzione a fermo di strumenti finanziari ecc).
Un altro tema trattato dalla MIFID è quello dei conflitti d’interesse:
Si prende atto che i conflitti d’interesse non possono non esistere nel mercato finanziario ma
vanno gestiti. È a carico dell’intermediario l’obbligo di adottare ogni misura per identificare
conflitti d’interesse che potrebbero insorgere con i clienti o fra clienti. Non vi è più la separazione
ma un upgrade della responsabilizzazione dell’intermediario affinché i conflitti d’interesse non
rechino danno al cliente. Il regolamento CONSOB dà un elenco di conflitti d’interesse che aiutano
l’intermediario, tale elenco non è esaustivo. Se nonostante la gestione il conflitto d’interesse si
verifica, serve la disclosure; essendo la disclosure non esaustiva, bisogna valutare innanzitutto se
la gestione è stata adeguata, in caso contrario l’intermediario deve attivarsi per risolvere in base
alle sue capacità (nuovo approccio). Infatti, ai sensi dell’art.21 del TUF, gli intermediari adottano
ogni misura idonea ad identificare e prevenire o gestire i conflitti d’interesse che potrebbero
insorgere tra tali soggetti, inclusi i dirigenti, i dipendenti, persone direttamente connesse e clienti
al momento della prestazione di qualsiasi servizio d’investimento.

Art.23 del TUF:


Tratta la conclusione dei contratti in materia d’investimento.
- È previsto l’obbligo, per tutti i contratti, in forma scritta (in caso contrario si parla di nullità
da protezione del cliente – solo il cliente nel cui interesse viene stabilita la norma può far
valere la nullità)
- Comma 5 -> Nell’ambito della prestazione dei servizi e attività d’investimento, si stabilisce
che agli strumenti finanziari derivati non si applica l’art.1933 del codice civile (secondo il
quale al vincitore non compete azione verso il perdente per il pagamento di un debito di
gioco o di scommessa)
- Comma 6 -> Inversione dell’onere della prova; gli intermediari sono tenuti a dimostrare di
aver agito con diligenza. La reazione generale del nostro ordinamento nel caso di violazione
degli obblighi di informativa, correttezza e trasparenza è il risarcimento del danno (nella
fase pre-contrattuale) o risoluzione per inadempimento (durante il contratto)
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 2007, inoltre, ha chiarito gli effetti della
violazione, da parte degli intermediari, dei doveri di informazione nei confronti del cliente e di
corretta esecuzione delle operazioni in merito alla prestazione dei servizi d’investimento. Ha
stabilito che la violazione dei doveri di informazione del cliente e il divieto di effettuare operazioni
in conflitto d’interesse con il cliente o inadeguate al profilo dello stesso non danno luogo alla
nullità del contratto; queste violazioni se realizzate nella fase precedente al contratto danno luogo
a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo di risarcimento del danno, se
riguardano, invece, le operazioni di investimento compiute in esecuzione del contratto, danno
luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento, con la conseguente possibilità di
risoluzione del contratto stesso.
Art.25 bis TUF:
Disciplina la sottoscrizione e il collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e imprese di
assicurazione.
La crisi finanziaria ha dimostrato che sia intermediari che investitori sono incorsi in clamorosi
errori di valutazione delle informazioni su strumenti finanziari. Il problema è legato
particolarmente all’assenza di conoscenza del prodotto da parte del venditore e di mancata
comprensione da parte dell’acquirente, ciò ha favorito l’espandersi di comportamenti di “moral
hazard”. Un approccio risolutivo è stato quello legato alla tutela degli investitori, a tal fine si è
ipotizzato di rendere obbligatorio per le banche fornire le informazioni contenute negli scenari di
probabilità in sede di vendite di prodotti finanziari ai risparmiatori. Si tratta del cosiddetto risk
based approach (trasparenza sui rischi che si corrono quando si acquistano prodotti al fine di
garantire la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario).
Cosa sono gli scenari probabilistici?
- Tabella che rappresenta il rischio dell’investimento. Rappresenta le probabilità nel
produrre guadagni e perdite. Gli scenari informano sul profilo rischio/rendimento
(riskreward profile) di un investimento.
Sempre a tutela dell’investitore, la MIFID II ha revisionato gli obblighi di informativa ma la vera
novità è data dalla product governance la cui finalità è quella di aumentare la tutela del cliente. Gli
obiettivi principali sono proprio quelli ridurre i casi di investimenti inadeguati (perché non
conformi alla propensione al rischio del cliente o ai suoi obiettivi di investimento). La product
governance nasce come presidio in tema di organizzazione interna degli intermediari, ma studi
successivi hanno evidenziato come essa si traduca in effettiva regola di comportamento degli
intermediari. Il fine ultimo è proprio quello di migliorare in generale il sistema di protezione della
clientela. La disciplina della product governance prevede, infatti, una serie di regole volte a
presidiare non solo la fase di distribuzione degli strumenti finanziari, ma anche un processo di
creazione e strutturazione degli stessi, stabilendo che gli intermediari finanziari siano tenuti ad
individuare un mercato di riferimento, ossia la clientela finale compatibile con un determinato
strumento finanziario e alla quale lo strumento è indirizzato.
A cosa si riferisce? Solo a banche e imprese di investimento, poiché la MIFID non si applica alle
imprese di assicurazione.
La product governance realizza un ulteriore frazionamento della catena del valore in modo da
anticipare lo studio e l’analisi del prodotto al momento della sua creazione. I prodotti devono
essere compatibili a un determinato target di clientela.
Si distinguono una serie di soggetti che fanno parte di queste procedure:
- I produttori (manufacturers) -> Coloro che creano, sviluppano ed emettono il prodotto
finanziario. Possono coincidere con coloro che vanno a distribuire il prodotto. Devono
anche identificare il target market negativo (tutta la clientela alla quale quel determinato
prodotto non può essere venduto).
- I distributori -> Coloro che devono essere in grado di comprendere le caratteristiche degli
strumenti finanziari, i rischi connessi e la struttura dei relativi costi. Devono, inoltre,
individuare un target market di riferimento più concreto e attuale rispetto a quello
individuato dai produttori.
È l’ESMA che ha individuato delle linee guida aventi ad oggetto la definizione da parte dei
produttori e dei distributori del mercato di riferimento.
Importanza del Joint Position (Posizione comune delle 3 autorità di vigilanza):
Emanato nel novembre 2013 dalle autorità di vigilanza EBA – ESMA – EIOPA. Ha per oggetto i
processi di supervisione e di governance dei prodotti. Fatto in modo che le autorità di vigilanza
non agiscano differentemente l’una dall’altra. Il fine ultimo è quello di applicare una gestione
unitaria di prodotti con valore intersettoriale in modo da riuscire a dare soluzioni condivise. In
materia di product governance, il joint position rappresenta un po' l’evoluzione di studi effettuati
dalle tre autorità che hanno ritenuto di individuare nella product governance la soluzione a
problemi intersettoriali.
Inoltre, vi è stata un’azione della CONSOB (nel 2009) tramite la nota comunicazione sui prodotti
illiquidi. Ciò ha rappresentato agli intermediari l’esigenza di definire processi di “design” di
prodotti finanziari basati su un approccio di bottom-up, in grado di definire prodotti capaci di
anticipare i bisogni della clientela.
Sostanzialmente, si passa da un modello organizzato sul “non vendo un prodotto inadeguato”, a
quello del “non realizzo un prodotto che sarebbe inadeguato”.

**RICORDARE**
Le norme sui requisiti patrimoniali per il settore bancario sono:
- Regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR) -> Stabilisce requisiti patrimoniali in materia di
fondi propri, liquidità e rischio di credito per le imprese di investimento e gli enti creditizi
(banche)
- Direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD IV) -> Stabilisce norme su riserva di capitale,
remunerazione e bonus di banchieri, vigilanza prudenziale e governo societario. Essa aveva già
previsto una serie di oneri di governance.

NOTA SULLA GESTIONE ACCENTRATA:


La CONSOB e la Banca d’Italia sono le autorità nazionali competenti per l’autorizzazione e la vigilanza
sui depositari centrali stabiliti in Italia e la CONSOB, d’intesa con la Banca d’Italia, autorizza la
prestazione dei servizi in qualità di depositario centrale nonché l’estensione delle attività ai servizi
accessori o l’esternalizzazione a terzi dei servizi. Il concetto di gestione accentrata si riferisce, in
particolare, alla:
- Registrazione iniziale dei titoli in un sistema di scritture contabili
- Fornitura e mantenimento dei conti titoli al livello più elevato

La fase dell’adeguatezza viene estesa, non solo alla fase di proposta e vendita, ma anche alla fase
di concepimento del prodotto e relativo design.
Collegato alla product governance, abbiamo la product intervention:
È il potere dell’autorità di vigilanza sospendere la commercializzazione o la vendita di strumenti
finanziari quando l’impresa non ha sviluppato un processo di approvazione del prodotto efficace.
Nella fase di ingegnerizzazione del prodotto, la MIFID prevede espressamente la fase di
approvazione del prodotto. C’è un giudizio scritto in cui viene identificato che il prodotto presenta
certe caratteristiche che ne rappresentano l’effettiva adeguatezza.
La product intervention è l’extrema ratio, cioè può essere adottata soltanto laddove si accerti che
gli obiettivi di tutela che si vogliono perseguire non possono essere efficacemente realizzati
attraverso l’applicazione delle norme esistenti.
La MIFID II prevede anche la disciplina per l’INDUCEMENT:
Introduce una serie di limiti in tema di fornitura di informazioni in merito ai pagamenti a favore
dell’intermediario. I pagamenti che sono necessari alla prestazione di servizi d’investimento, come
ad esempio costi di custodia, competenze di regolamento e cambio, prelievi obbligatori non sono
soggetti a questi obblighi/limiti.
Vi sono poi degli obblighi aggiuntivi che possono includere il divieto o restrizione dell’offerta o
accettazione di commissioni o altri benefici pagati o forniti da terzi in relazione alla prestazione del
servizio ai clienti.

Nella MIFID II sono rafforzati i requisiti di best execution. Viene prevista un’esecuzione degli ordini
a condizioni più favorevoli al cliente. Vi è la necessità per le imprese di investimento di adottare
misure sufficienti per ottenere il miglior risultato possibile e di dimostrare di aver eseguito gli
ordini in conformità della propria strategia in materia di esecuzione non solo nei confronti dei loro
clienti, ma anche nei confronti dell’autorità competente.

• Vi è l’obbligo di fornire al cliente i dati relativi alla qualità dell’esecuzione delle operazioni
con frequenza almeno annuale
Sono precisate le tipologie di servizi e di strumenti finanziari (non complessi – azioni, obbligazioni,
fondi armonizzati) per le quali si opera in modalità di execution only (mera esecuzione dell’ordine
– viene eseguito l’ordine impartito dal cliente).
Il Whistleblowing:
Si intende la segnalazione da parte di un lavoratore, ovvero di un soggetto all’interno dell’azienda,
di un’irregolarità (reato) di cui egli venga a conoscenza.

Programma del libro:

- Differenza tra attività bancaria e attività di prestazione di servizi d’investimento (imparare


definizione art.10 TUB)
- Servizi e attività d’investimento
- Servizi di pagamento (ricordare direttiva psd e psd2 e cos’è un servizio di pagamento)
- Regole di condotta (ricordare sentenza cassazione a sezioni unite su moneta virtuale nel 2007 – è
stato dichiarato che in materia di prestazione dei servizi d’investimento, la violazione delle regole,
ovvero di obblighi informativi e trasparenza, non determina la nullità del contratto ma soltanto il
risarcimento del danno)
- - Differenza tra IS e MTF

Domanda da ricordare:

• COS’E’ LA SOCIETA’ DI GESTIONE DEL MERCATO? (PROCEDURA DI VIGILANZA SUL REGOLAMENTO


DEL MERCATO, CHI LO EMANA, CHI LO APPROVA ECC)
• QUAL E’ LA FUNZIONE DELL’ESMA? CREARE PROGETTI DI NORME TECNICHE IN MODO DA
REALIZZARE LA SUPERVISORY CONVERGENCE (CONVERGENZA DELLE CLASSI DI VIGILANZA)
• RICORDARE ART.21 E 23 DEL TUF

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