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APPUNTI DI ECONOMIA INDUSTRIALE


Tratti dalle lezioni del Prof. Roberto Roson – Università “Ca’ Foscari” (VE)

INTRODUZIONE
L’economia industriale studia le strutture di mercato: quante imprese ci sono in un
mercato, le loro dimensioni, ecc.; e ha sempre corso in parallelo con l’attività Antitrust, che
è svolta dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), che verifica che il
comportamento strategico delle imprese sia un comportamento corretto, con lo scopo di
evitare due grandi problematiche:
 le intese restrittive della concorrenza: le imprese si mettono d’accordo per non
farsi concorrenza
 l’abuso di posizione dominante: avviene quando c’è un’impresa più grande che
vuole mantenere questa posizione di supremazia, o vuole estenderla ad altri tipi di
mercati vicini o affini.
In questo ultimo caso non rientra il fatto che inizialmente un’impresa detenga una quota di
mercato molto più grande delle altre, perché è più efficiente o produce dei prodotti che per
i consumatori sono qualitativamente superiori  questo va bene ed è anche socialmente
desiderabile!
Ciò che non va bene è che alcune imprese (Microsoft, Google), in vari modi, cerchino di
mettere delle barriere all’entrata di nuovi potenziali concorrenti; in questo contesto
interviene l’autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).
Nella formulazione più semplice l’azienda viene vista come una scatola nera dove entrano
dei fattori produttivi, e misteriosamente viene fuori un prodotto attraverso una fantomatica
funzione di produzione; questa descrizione semplificata dell’impresa va contro un altro tipo
di descrizione data dalle materie aziendalistiche, dove l’azienda viene invece descritta
come un’organizzazione complessa, con vari livelli decisionali, e con vari obiettivi
intermedi  avvicinare i due mondi è possibile con dei modelli via via più complessi.
Le decisioni delle imprese non sono solo a che prezzo vendere o quanto vendere, ma
riguardano tutta una serie di altre dimensioni, per esempio quanta pubblicità fare, come
disegnare un prodotto, quale gamma di prodotti fornire, in quali mercati geografici entrare,
ecc.  tutte queste decisioni vengono prese in un contesto strategico: parliamo di
strategia quando bisogna prendere delle decisioni, che però dipendono da quello che
fanno gli altri (es. teoria dei giochi)  ho un obiettivo, e coerentemente con questo
obiettivo ci sono una serie di cose che posso fare: devo scegliere se fare l’azione A o
l’azione B, ma nel farlo devo fare i conti con il resto del mondo.
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Applicando questo ragionamento alle imprese, avremo l’obiettivo di massimizzazione del


profitto, e nel fare questa scelta dovremo tener conto di cosa potrebbero fare i concorrenti,
per esempio quanto investire in pubblicità, che tipo di pubblicità fare, che tipo di prodotto
lanciare, dove lanciarlo, quando e come: devo sempre pormi il problema “ma gli altri che
sono nel mercato cosa faranno?”.
“Gli altri” sono i concorrenti: sono altre imprese che sono già dentro al mercato; ma
potrebbero essere anche i concorrenti potenziali, che in questo momento non operano nel
mercato ma che potrebbero entrare, perché:
 sono attratti da un forte potenziale del mercato
 stanno già producendo qualcosa di simile, per cui non è troppo difficile applicare la
loro tecnologia per produrre quello che vorrei produrre io.
In ogni caso si tratta di un contesto strategico, e in economia industriale vedremo sotto
varie angolazioni una serie di modelli oligopolistici  (oligo = pochi) essere in pochi
significa che l’impresa sa chi sono i suoi concorrenti, e ne conosce tutta una serie di
caratteristiche.
Questi modelli si pongono a metà strada tra due modelli base: il modello di monopolio, e
il modello della concorrenza perfetta:
 nel modello di concorrenza perfetta le imprese sono delle price takers, cioè
prendono i prezzi come dati = i prezzi sono già fatti. Quali prezzi? Prima di tutto il
prezzo di quello che producono: possono solo decidere quanto produrre, ma non
fissano il prezzo, perché esiste un mercato molto ampio, e qualunque azione loro
facciano ha una conseguenza marginale del tutto trascurabile sull’equilibrio del
mercato complessivo  quello che producono è molto sostituibile con quello che
produce qualcun altro, e se si azzardano ad applicare un prezzo superiore a quello
che fanno gli altri, nessuno andrà a comprare da loro, perché quello che
producono loro è identico a quello che producono gli altri.
I prezzi che vengono presi come dati non sono solo quelli degli output, ma anche quelli dei
vari fattori produttivi  per gli input e gli output i prezzi sono già dati: il costo del lavoro e il
costo del capitale generalmente non li determina la singola impresa, ma fa parte di un
mercato molto più ampio dove possiamo trascurare l’impatto che l’impresa ha.
Il monopolio è comunque un price taker dal punto di vista del prezzo dei fattori, perché
altrimenti parleremo di monopsonio;
 nel monopolio il prezzo dei fattori è dato, ma non è dato il prezzo del proprio
prodotto: il monopolista sa di aver di fronte una curva di domanda, sa di aver di
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fronte un bacino di potenziali clienti, ma questo bacino non è prefissato, a seconda


del prezzo può vendere di più o di meno.
Né la concorrenza, né il monopolio sono situazioni di interazione strategica, perché nella
concorrenza perfetta sono talmente piccolo che il mio impatto sugli altri è trascurabile, e
anche l’impatto di una specifica azione di un altro per me è trascurabile  si parla anche
di “velo del mercato”: in concorrenza perfetta vendo al mercato ma non so a chi vendo, è
come se ci fosse una barriera tra il compratore e il venditore.
Il monopolio non ha interazione strategica per costruzione, perché c’è solo un’impresa
che interagisce con la domanda, e ne tiene conto per capire come cambierebbe la
quantità rispetto ad una sua variazione di prezzo.

NON c’è interazione strategica in monopolio


NON c’è interazione strategica in concorrenza perfetta.

Il mercato è il luogo dove si scambiano beni e servizi; il concetto di appartenenza ad un


mercato è un concetto relativo, se agli occhi del consumatore esistono varie alternative
 la sostituibilità non è un concetto discreto, le cose sono più o meno sostituibili.
Nel modello base del consumatore massimizzo l’utilità con il vincolo di bilancio: quando
alloco il mio denaro devo tener conto di tutte le alternative possibili, quindi se una cosa
costa di più la vado a sostituire con un’altra, modificando così le mie scelte di consumo
nella misura in cui devo allocare il mio reddito, tra tutte le possibili alternative  la
sostituibilità non è un concetto che c’è o non c’è: è qualche cosa che c’è di più o c’è di
meno: la Coca Cola ha un forte sostituto nella Pepsi Cola; possiamo dire che la Coca Cola
è un monopolista? Si! È price taker? No!
Price taker vuol dire che si forma nel mercato un prezzo per le bottiglie di cola, quindi sul
prezzo che si forma nel supermercato per le bottiglie di cola, la Coca Cola non può farci
niente  la Coca Cola sa che lei ha un certo prezzo, e la Pepsi Cola ha un altro prezzo, e
che questi prezzi sono diversi.
Non è vero che i clienti comprano quello che costa meno!, perché si tratta di prodotti
differenziati agli occhi del consumatore; se la bottiglia di Coca Cola costa 1€ e la bottiglia
di Pepsi Cola costa 0,80 centesimi:
 compro quella che costa meno se per me un prodotto vale l’altro
 compro la Coca Cola perché sono convinto che sia migliore
 preferisco la Coca Cola, ma non voglio pagare 0,20 centesimi in più.
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C’è una sostituibilità tra i prodotti: c’è un mercato delle cole, ma non sei né un
monopolista, né un price taker; decidi tu il prezzo!, e nel decidere il prezzo devi capire
come potrebbero reagire i tuoi clienti a fronte di variazioni del prezzo.
C’è una differenziazione del prodotto: è necessario che i prodotti vengano percepiti come
differenti, ma bisogna che la gente sia diversa, perché se tutti ragionassimo nello stesso
modo (per tutti un prodotto vale l’altro), non sarebbe possibile per la Coca Cola applicare
anche un solo centesimo in più della Pepsi Cola.
So che se vario il prezzo perdo clienti o ne acquisto, ma quanti?  qui c’è una
fondamentale differenza rispetto al monopolio classico, dove se alzo il prezzo ho
comunque i miei clienti, che saranno meno contenti di pagare un prezzo più alto, ma che
comunque rimangono, perché sono l’unico in grado di soddisfare la loro domanda: in un
monopolio sono l’unico per costruzione in un determinato mercato, e il problema di come
reagiscono i consumatori è un problema oggettivo.
Quanti clienti in più o in meno dipende da cosa fanno i miei concorrenti: se mi pongo il
problema di come reagiscono i miei clienti, non è solo un problema di quali caratteristiche
hanno i miei clienti, ma anche di quali ipotesi implicite io sto facendo relativamente al
comportamento dei miei concorrenti  non ho una curva di domanda mia personale, ma
ne ho tante in relazione alle congetture, alle ipotesi, che io faccio riguardo al
comportamento dei concorrenti, e che nessuna agenzia di indagini di mercato mi potrà
verificare, perché l’agenzia cerca di descrivere che tipo di cliente ho di fronte, non può dire
in anticipo cosa farà il concorrente, perché questo è soggettivo.
Abbiamo un modello di monopolio, e un modello di concorrenza perfetta, ma ci sono tanti
modelli di oligopolio: a parità di mercato, a parità di tecnologia, e a parità di consumatori,
se le imprese costruiscono diverse ipotesi comportamentali, allora si hanno diversi modelli
di oligopolio.
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MODELLO BASE DEL MONOPOLIO


Ogni impresa è un monopolista nel suo piccolo: se vendo qualcosa di diverso rispetto agli
altri, non sono un price taker  so che ho di fronte una curva di domanda, faccio le mie
decisioni come se fossi un piccolo monopolista, ma la curva di domanda di cui stiamo
parlando è la mia curva di domanda.
Nel modello di monopolio si decidono i volumi di produzione, o il prezzo nell’ipotesi di
massimizzazione del profitto
PROFITTO = RICAVI – COSTI  sono costi economici
RICAVI = p * q  immaginiamo un’impresa che produce una sola cosa
COSTI = c
 l’impresa massimizza i profitti rispetto alla quantità, perché la curva di domanda è
invertibile: dal prezzo ricavo la quantità; dalla quantità ricavo il prezzo

p
Q = 80 - p
P = 80 - Q
Q

Nella realtà il monopolista massimizza i profitti rispetto al prezzo, ma dato che la curva è
matematicamente invertibile (ad un prezzo corrisponde una sola quantità) noi
massimizziamo per la quantità, perché è più comodo per noi:

π(P) = P * Q(P)  π(Q) = P(q) * Q – c(q)


ricavi funzione di costo

Esprimiamo tutto in funzione della quantità perché i costi sono in funzione della quantità:
in monopolio e in concorrenza perfetta utilizziamo il concetto di funzione di costo, che
dice qual è il costo minimo per produrre una quantità arbitraria dati i costi dei fattori
produttivi (lavoro, energia, semilavorati,…)  per trovare la funzione di costo occorre
risolvere un problema di minimizzazione del costo data la funzione di produzione:
basta fare la derivata rispetto a q, e porla uguale a zero:
π(q) = P(q)q – c(q)
La derivata di c rispetto a q è il
P’(q) q + P (q) – c’ (q) = 0 costo marginale.
 P’q + P – c’ = 0 Ogni volta che parliamo di
P’(q) q + P (q) = c’ (q) “marginale” parliamo di derivata.
Ricavo marginale = costo marginale
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Questo è il comportamento logico di chi sta cercando di massimizzare il profitto, ed è vero


per il monopolista, ma è vero anche per la Coca Cola; una volta che mi sono fatto una mia
personale idea della mia curva di domanda, mi comporto come se fossi un monopolista e
agisco in questo modo.
Questa condizione del primo ordine può essere scritta in tanti modi tra cui:

∂P
∂P P−c′ − ∙q P−c′ ∂P q 1 𝟏
∂q
∙ q + P = c′ = =− ∙ = − 𝜕q⁄P =
∂q P P P ∂q P ℇ
∂P⁄q

% di π sull’ultima unità venduta è figlia della curva


di domanda
𝐏−𝐜′
è il margine di guadagno percentuale che ottengo sull’ultima unità venduta: π%.
𝐏
Se il costo marginale fosse costante, il costo marginale sarebbe uguale al costo
medio; il margine di guadagno mi dice, dato il prezzo di vendita, quanta frazione del
𝟏
prezzo di vendita sono soldi che mi vanno in tasca; l’elasticità della domanda mi dice

quanto è reattiva la domanda: se aumentando un po’ il prezzo perdo tutti i clienti  la
domanda è molto reattiva: se sono l’unico a produrre una cosa che ho solo io, e magari è
un farmaco salva vita, se alzo il prezzo quasi nessuno non compra più.
 È fondamentale capire quanto reagisce la mia domanda, e da cosa dipenderà questa
reazione
 dipende da quanto sostituibili sono le alternative! Più alta è la sostituibilità, più alta è
l’elasticità!: essendo il prezzo al denominatore, significa che se il prezzo è molto vicino al
costo marginale, il margine di guadagno è molto ristretto; questo tipo di impostazione ci fa
capire come monopolio e concorrenza perfetta siano ai due estremi.
L’elasticità massima ce l’ho in concorrenza perfetta; l’elasticità più bassa ce l’ho quando
sono in monopolio:
𝐏−𝐜′ 𝟏
= MAX elasticità = concorrenza perfetta MIN elasticità = monopolio
𝐏 ℇ
Tra questi due casi ho l’elasticità che potrebbe essere quella dell’oligopolio, un’elasticità
non altissima ma nemmeno tanto bassa, perché il consumatore ha delle alternative;
quante sono le alternative dipende dai diversi contesti, e da quanto sono differenziati.
Siccome l’elasticità è figlia della curva di domanda, è anche figlia delle congetture che sto
facendo relativamente al comportamento dei miei concorrenti  l’elasticità dipende anche
dalle mie ipotesi.
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Tutti i beni e i servizi, nel momento in cui un consumatore deve decidere come allocare il
proprio potere di consumo, sono in qualche misura più o meno sostituibili: la sostituibilità
è qualcosa di graduale e di continuo; il concetto più vicino a misurare la sostituibilità è
l’elasticità incrociata di prezzo, cioè come varia la domanda di qualcosa quando varia il
prezzo di qualcos’altro. Se due beni sono distanti tra di loro agli occhi dei consumatori, la
variazione del prezzo di uno ha poca influenza sulla domanda dell’altro; viceversa, se
sono molto sostituibili, la variazione del prezzo di uno ha un’immediata ripercussione
sulla domanda del bene che viene visto come sostituto.
Se siamo in un contesto spaziale, le persone fanno le proprie scelte valutando le
alternative a disposizione su tutto il mondo, o nel luogo dove vivono:
𝐏−𝐜′ 𝟏
=  l’elasticità può essere alta o bassa:
𝐏 𝐈𝛆𝐈
 bassa ε = se alzo il prezzo perdo pochi clienti
 alta ε = se alzo il prezzo perdo molti clienti, perché nel mercato si trova qualcosa
di facilmente sostituibile.

Il potere di mercato è la capacità dell’impresa di imporre un prezzo superiore al


costo marginale: l’impresa, vorrebbe applicare un prezzo molto superiore al costo
marginale, ma è limitata dalla risposta della domanda  se alzo il prezzo perdo molti
clienti, perché questi trovano molto facilmente nel mercato qualcosa di facilmente
sostituibile.
Se è così, non sono in concorrenza perfetta, perché non perdo tutti i clienti, e posso
alzare il prezzo rispetto al costo marginale, ma non di tanto.
Se invece non ci sono sostituti e la domanda è rigida, è difficile trovare qualcosa che
possa sostituire il mio prodotto, allora al contrario posso applicare un prezzo superiore al
costo marginale: ho potere di mercato!, cioè ho la capacità di tirar fuori profitti, e di
prezzare sopra il costo marginale, ma questo dipende dalla curva di domanda.
La curva di domanda è figlia del mercato, e non dipende solo dalle caratteristiche dei
consumatori, ma anche dal comportamento dei concorrenti:
 se la domanda è rigida, all’aumentare del mio prezzo anche gli altri aumentano
 se la domanda è elastica, all’aumentare del mio prezzo gli altri non aumentano
più di tanto, o non aumentano.
Contesto strategico significa che devo prendere delle decisioni, ma le mie decisioni
dipendono dalle decisioni degli altri, e le decisioni degli altri dipendono dalle mie: c’è
interazione!  la stessa razionalità che pongo nel fare le mie scelte, la applico nel
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tentativo di prevedere quelle che dovrebbero essere le scelte degli altri: questo è un
problema che ha trovato una sua definizione attraverso l’equilibrio di Nash.
L’economia industriale moderna (industrial organization) studia l’organizzazione del
mercato, cioè come il mercato si auto-organizza in relazione alle strategie delle imprese:
l’economia industriale moderna può essere vista come una sistematica applicazione della
teoria dei giochi nelle sue varie forme.
In monopolio la variabile che utilizziamo per massimizzare il profitto è la quantità:
massimizziamo rispetto a q solo perché la funzione di costo è espressa in funzione di q;
ma un’operazione che nel monopolio è innocua, nell’oligopolio porta ad ottenere un
risultato molto diverso, perché un classico risultato dell’oligopolio è che se le imprese
massimizzano scegliendo i prezzi, ottengono un equilibrio che non è lo stesso che
otterrebbero scegliendo le quantità.

TEORIA DEI GIOCHI


La teoria dei giochi dà una chiave di lettura per capire come fare ad individuare quella
combinazione di scelte che è più probabile o più coerente: a seconda del contesto
dovremo utilizzare degli approcci differenti.
Esistono dei contesti in cui il gioco ha una sua naturale sequenzialità, dove cioè c’è una
sequenza ben definita: per esempio negli scacchi non si può muovere insieme  questi
si chiamano giochi sequenziali: quando devo fare la mia mossa, vedo qual è la mossa
precedente fatta dall’altro, e devo immaginare quali saranno le sue mosse successive.
Esistono poi i giochi simultanei, in cui le scelte vengono fatte contemporaneamente,
ma non lo stesso istante! Un esempio di gioco simultaneo è la morra: se uno non bara
dovremmo mostrare la mano insieme, il gioco si basa sull’imprevedibilità.
Ci concentreremo principalmente sui giochi simultanei, perché quando le imprese
devono operare non ci sono delle regole di gioco  quando parliamo di giochi
simultanei non vuol dire che letteralmente abbiamo fatto le scelte nello stesso istante di
tempo. Ci concentriamo sui giochi simultanei perché bisogna fare delle scelte, e non è
detto che queste scelte debbano avvenire nello stesso momento, anche se ho visto quello
che è stato fatto in passato, questo non è vincolante, perché gli altri potrebbero comunque
rivedere le proprie scelte, così come posso rivederle io.
Ci sono poi dei giochi che per semplicità immaginiamo avvengano una volta sola (statici)
oppure ci sono dei giochi che si ripetono nel tempo (dinamici); il fatto che i giochi si
possano ripetere nel tempo aggiunge un altro ingrediente, perché mi ricordo cos’è
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successo in passato, quindi potrei far basare le mie scelte anche su un comportamento
condizionato a quello che è successo in passato.
Quando non conosco tutte le caratteristiche ho il caso dell’imperfetta informazione: per
esempio, la Coca Cola non sa quali sono tutti i costi di produzione della Pepsi Cola.
 Ogni gioco simultaneo può essere trasformato in un gioco sequenziale nel
momento in cui si introduce una sequenza (chi muove per primo, chi muove per
secondo).

Caso 1
Ci sono due compagnie aeree che offrono un servizio di trasporto tra due località; per
qualche motivo, i prezzi dei voli sono prefissati ed uguali.
Supponiamo che il problema di fondo sia quello di decidere in quale fascia oraria collocare
il volo che collega le due località, e che ci siano sono due alternative: o partire al mattino o
partire alla sera; sappiamo che il 70% dei consumatori potenziali preferiscono partire alla
sera, e il 30% preferisce partire al mattino; se le compagnie partono nella stessa fascia
oraria, avendo le stesse caratteristiche, si dividono equamente il mercato, che equivale a
dire che ogni consumatore sceglie a caso.
I guadagni delle imprese sono proporzionali alle quote di mercato: più passeggeri portano,
più soldi fanno.
Un gioco è descritto completamente quando:
 identifichiamo gli agenti (giocatori)
 sappiamo per ogni giocatore quali sono le alternative a disposizione
 per qualunque combinazione di mossa devo dire quanto è il pay-off di uno, e
quanto è il pay-off dell’altro.
Il pay-off è la vincita nei giochi d’azzardo, e per noi è il profitto; in questo momento
consideriamo alternative discrete, o faccio una cosa o faccio l’altra.
 Nei modelli di oligopolio che ci interessano, le alternative sono continue, quindi
potenzialmente infinite.
Il numero di giocatori può essere arbitrario, però per fissare le idee ci limitiamo a due; il
numero di alternative può essere arbitrario, anche infinite, ma per fissare le idee ci
limitiamo a due. Se i giocatori sono due, e se le alternative sono due per ciascun
giocatore, le combinazioni possibili sono 2x2=4, allora possiamo rappresentare il gioco
con una tabella, che è la matrice dei pay-off: ogni riga e ogni colonna corrispondono ad
una strategia, quindi un giocatore sceglie la riga, e l’altro giocatore sceglie la colonna.
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 ATTENZIONE: i giocatori non scelgono la casella! Scelgono o la riga o la colonna! non


si può scegliere la casella!

American
mattina sera
mattina 15, 15 30, 70
Delta sera 70, 30 35, 35

In ogni cella troviamo una coppia di numeri che ci dà il pay-off, cioè i profitti; le alternative
sono o partire al mattino o partire alla sera sia per Delta che per American  il primo
numero è il pay-off di Delta, e il secondo è il pay-off di American:
 se entrambi partono la mattina, troviamo scritto 15,15 perché il 30% delle persone
vuole partire alla mattina, e quelli che partono si ripartiscono equamente, metà da
una parte e metà dall’altra
 se uno parte la sera e uno parte alla mattina, 30 vanno con quello che parte alla
mattina, e 30 vanno con quello che parte alla sera.
 se entrambi partono alla sera, i 70 si dividono in 35 e 35.
Questo è un gioco simmetrico, perché potrei anche scambiare i nomi delle due
compagnie e avremmo lo stesso tipo di problema, perché ognuno dei due deve decidere
cosa fare.
Immaginiamo di essere un manager di Delta: siamo in una situazione di ignoranza rispetto
a quello che farà American. Cosa conviene fare?
Se American partisse la mattina, mi converrebbe partire la sera: devo vedere qual è il
maggiore tra il primo numero della casella mattina/mattina, e il primo numero della casella
sera/mattina  la scelta migliore è sera, perché 70 > 15; però non sono sicuro che l’altro
parta di mattina, potrebbe partire la sera  se partisse di sera mi converrebbe partire di
sera, perché 35 > 30.
Sebbene io faccia la stessa scelta del concorrente, è tale la concentrazione di persone
che preferisce partire la sera, che è meglio spartirsi un mercato grasso, che usare un
mercato marginale, ma facendo così 30 persone non partono (partono in 70: 35 + 35)
 c’è una perdita dal punto di vista sociale.
Ci conviene partire alla sera comunque! Non ce ne frega niente di quello che fa
American.
Questa è un situazione fortunata, perché, anche se in astratto le mie scelte dipendono da
un altro, alla fine esiste sempre una strategia dominante.
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Strategia dominante: strategia che si dimostra superiore alle altre in ogni circostanza
 per strategia dominante intendiamo qualcosa che è sempre meglio fare, qualunque sia
la scelta degli altri.
ATTENZIONE: A me interessa quello che fa l’altro!  le mie scelte non dipendono dalle
scelte dell’altro, ma i miei pay-off sì!
Se a Delta conviene sempre partire alla sera, anche ad American conviene sempre partire
alla sera  è facile capire cosa succede: tutti e due partiranno alla sera.
Le due strategie di partire alla sera sono strategie dominanti, quindi entrambe hanno una
strategia dominante, e l’equilibrio che nasce è un equilibrio in strategie dominanti.
Ma non sempre c’è qualcosa che mi conviene sempre fare.

Caso 2
Supponiamo che Delta abbia un programma per frequent flyer; per qualche motivo quando
le due compagnie aeree offrono la stessa fascia oraria, i consumatori non si ripartono più
equamente, ma una leggera maggioranza preferisce Delta:
American
mattina sera
mattina 18, 12 30, 70
Delta sera 70, 30 42, 28

Siamo sempre un manager di Delta, dobbiamo decidere se far partire i nostri voli alla
mattina o alla sera:
 se American parte alla mattina, a me conviene partire alla sera perché 70 > 18
 se American parte alla sera, a me conviene partire alla sera perché 42 > 30,
quindi dal punto di vista di Delta non sembra essere cambiato niente.
Ora assumiamo di essere un manager di American:
 se Delta parte alla mattina, a me conviene partire alla sera perché 70 > 12.
 se Delta parte alla sera, a me conviene partire alla mattina perché 30 > 28.
Alla fine, Delta parte alla sera e American parte alla mattina.
Prima avevamo due strategie dominanti, perché entrambi i giocatori avevano una via
maestra che dovevano seguire comunque; adesso abbiamo che solo uno dei due giocatori
ha una strategia dominante, Delta  Delta parte alla sera comunque.
Questo è un gioco a perfetta informazione, quelli che sono all’American conoscono tutta la
matrice: siamo in un contesto di perfetta informazione! Tutti sanno tutto di tutti: Delta
partirà sicuramente alla sera e American ne prende atto, pertanto sceglierà la mattina.
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È bastato un leggero cambiamento, e la condizione di scelta è cambiata completamente:


adesso partono tutti 100 i passeggeri! In questo caso c’è comunque un equilibrio di
strategie dominanti.
Dal momento che c’è perfetta informazione American è in grado di prevedere
perfettamente quello che fa quell’altro.
Se quello che faccio dipende da quello che fa l’altro, e questo vale per entrambi, dobbiamo
usare un altro concetto, l’equilibrio di Nash  parliamo di equilibrio di Nash quando
abbiamo una combinazione di strategie.
Parlare di equilibrio significa stabilire cosa fa ciascun agente; una combinazione è un
equilibrio di Nash se è internamente coerente: per risolvere questo apparente ciclo infinito
bisogna che le mie scelte siano ottime date le tue, ma le tue scelte sono ottime date le mie
 se sono reciprocamente ottime, sono coerente non solo nelle mie scelte, ma nel
formulare la razionalità alle tue scelte.
 Se nessuno dei due vuole cambiare o la colonna o la riga, se nessuno dei due trova
vantaggioso cambiare unilateralmente l’equilibrio, allora quello è un equilibrio di
Nash.

Caso 3
Prima il gioco strategico si basava esclusivamente su quando partire; ora mettiamo in
discussione il prezzo.
Per rendere semplice l’esempio ci concentreremo solo su due possibili prezzi.
Abbiamo un potenziale di clienti particolare:
Prezzo di riserva
 60 potenziali passeggeri con un prezzo di riserva di € 500 è il prezzo
 120 potenziali passeggeri con un prezzo di riserva di € massimo che
ciascuno è
220.
disposto a pagare
La decisione del giocatore è di tipo discreto, o 0 o 1; la mia curva per prendere quel
di domanda è una curva di domanda a gradini: sopra a 500 non volo.

vola nessuno, tra 220 e 500 volano in 60, sotto 220 volano in 180.
Dobbiamo applicare lo stesso prezzo a tutti, perché non sappiamo a quale categoria
appartiene l’uno o l’altro; ipotizziamo che i costi per passeggero ammontino a € 200.
Quali prezzi possono applicare le compagnie?
In linea teorica potrebbero applicare qualsiasi prezzo, però un minimo di ragionamento ci
conduce alla conclusione semplice che gli unici due prezzi che hanno senso sono 500 e
220: non consideriamo altri prezzi, perché se applichiamo 500 abbassarlo ci farebbe
trasportare gli stessi passeggeri ad un prezzo minore, e non ci conviene; allo stesso
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modo, se applichiamo 220 ne trasportiamo 180, ma non abbassiamo il prezzo perché


avremmo solo da perdere  i prezzi candidati sono solamente 500 e 220.
Assumiamo ancora che qualora i prezzi dovessero essere uguali, i passeggeri si
distribuiscano in parti uguali, metà da una parte e metà dall’altra.
Se una offre il prezzo più basso, tutti i passeggeri scelgono la compagnia che costa meno.
American
PH = 500 PL = 220
PH = 500 9.000, 9.000 0, 3.600
Delta PL = 220 3.600, 0 1.800, 1.800

PH = high price (prezzo alto); PL = low price (prezzo basso)


La matrice è sempre 2x2, perché le compagnie sono 2, e sono 2 anche le alternative a
disposizione  prima le alternative riguardavano la fascia oraria, ora riguardano i prezzi.
Se entrambe applicano un prezzo elevato, i profitti sono 9.000 per entrambi, perché
entrambe applicano il prezzo 500, partono 60 passeggeri, ma applicando lo stesso prezzo
significa che 30 vanno da una parte e 30 vanno dall’altra.
Da ogni passeggero ricaviamo € 500 e trasportarlo ci costa € 200. Il guadagno per
passeggero è € 300; ne trasportiamo 30, quindi 300x30=9.000.
Se una applica il prezzo alto e l’altra quello basso, tutti i passeggeri vanno dalla
compagnia che costa meno, quindi 20x180=3.600.
Se tutti applicano un prezzo di 220, 20 è il guadagno per ogni passeggero, volano tutti i
180 passeggeri, però 90 vanno da una parte e 90 vanno dall’altra, quindi 90x20=1.800.
Il nostro gioco è pienamente descritto, perché abbiamo detto chi gioca, abbiamo detto
che alternative hanno a disposizione i giocatori, e per ogni combinazione abbiamo detto
quanto guadagna uno e quanto guadagna l’altro:
 se American applica un prezzo alto, a Delta conviene applicare un prezzo alto,
perché 9.000 > 3.600
 se American applica un prezzo basso, a Delta conviene applicare un prezzo basso,
perché 1.800 > 0.
Questo è un classico gioco di coordinamento: o ci coordiniamo da una parte o ci
coordiniamo dall’altra; è anche una situazione dove ci sono due equilibri, uno è alto/alto, e
l’altro è basso/basso  ci sono due equilibri di Nash.

C’è un Equilibrio di Nash quando a partire da una combinazione, nessuno dei due
ha vantaggio a cambiare unilateralmente la propria strategia.
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Io posso cambiare solo le mie scelte, non quelle degli altri!


ATTENZIONE: si potrebbe dire che i giocatori sono stupidi perché non scelgono
l’equilibrio 9.000, 9.000  non si sceglie l’equilibrio! Si può scegliere una strategia,
non un equilibrio!
Se l’equilibrio è più di uno, è lecito in alcuni casi pensare che se proprio devono
coordinarsi, è più facile che si coordino per l’equilibrio che è pareto superiore
(evidentemente migliore per tutti).
 un equilibrio di strategie dominanti è anche un equilibrio di Nash? Si!
Il test che devo fare è: a me conviene cambiare? Se esiste una cosa che mi conviene fare
comunque, è ovvio che non la cambio neanche a posteriori  l’equilibrio di strategie
dominanti è sempre un equilibrio di Nash.
 Non è vero il contrario! se (nel nostro esempio) il prezzo che applico non è sempre
meglio alto, o sempre meglio basso, è ovvio che non è una strategia dominante.
Gli equilibri di strategia dominanti, se esistono, sono un sottoinsieme dell’equilibrio di
Nash: se è dominante è anche Nash, ma non è vero il contrario  gli equilibri di Nash
raramente sono equilibri di strategia dominanti.

Riassumendo:
 abbiamo un equilibrio di Nash quando siamo in grado di decidere delle strategie che
siano reciprocamente razionali
 Nash quando c’è reciprocamente razionalità nelle scelte

 combinazione di strategie che sono reciprocamente razionali


 gli equilibri di Nash possono essere più di uno
 l’equilibrio di Nash può anche non esserci!

Nelle matrici 2x2 l’equilibrio di Nash è identificato dalla casella, o dalle caselle, con le
freccette entranti (vedi terza matrice dell’esempio, frecce rosse).
 Strategia vuol dire poter scegliere delle variabili, dove le variabili cambiano significato
a seconda dell’obiettivo da raggiungere
 le strategie dominanti sono un sottoinsieme dell’equilibrio di Nash.

In duopolio non si può ignorare il resto del mondo: nel prendere le mie decisioni ho
bisogno di intuire, capire, prevedere, conoscere cosa hanno fatto, o si apprestano a fare,
gli altri giocatori (concorrenti), i quali hanno obiettivi che sono diversi dai miei; e anche
15

loro, nel fare le loro scelte, devono tener conto di quello che dovrei fare io  questo crea
un problema di reciproca interdipendenza.
L’equilibrio di Nash è una combinazione di strategie tra le tanti possibili
combinazioni; per capire se una combinazione di strategie è o non è un equilibrio di Nash
dobbiamo sottoporla ad un test: se gli agenti sono due, uno sceglie la riga che preferisce,
e l’altro sceglie la colonna che preferisce  non si può in nessun caso condizionare quello
che fanno gli altri: l’equilibrio di Nash è una situazione in cui nessuno vuole cambiare
la propria strategia.
Se partiamo da una situazione in cui Delta ha scelto una certa riga, e American ha scelto
una certa colonna, se Delta fa quello che ha scelto si è pentita? Avrebbe preferito giocare
qualcos’altro?  se la risposta è no, andiamo a vedere l’altro giocatore: American si è
pentito della sua scelta? Se la risposta è no anche in questo caso, allora questo è un
equilibrio di Nash, perché la scelta di American è ottima data la scelta di Delta, e la
scelta di Delta è ottima data la scelta di American  se devo indovinare quello che fa
l’altro, devo farlo con il grado di coerenza che è la stessa che applico a me stesso.
In un gioco simultaneo le strategie vengono scelte simultaneamente  FALSO! Non è
strettamente necessario che gli agenti scelgano nello stesso momento, l’importante
è che la scelta, che può anche essere avvenuta nel passato, sia reversibile = si
possa cambiare!  questo è quello che differenzia i giochi simultanei dai giochi
sequenziali: posso tornare indietro.
 in un gioco simultaneo posso tornare indietro
 in un gioco sequenziale non posso rivedere la scelta = non posso cambiare = non
posso tornare indietro.
L’equilibrio di Nash include, come una specie di sottoinsieme, gli equilibri di strategia
dominante: l’equilibrio di Nash è un equilibrio in cui nessuno cambia idea, ma se siamo in
una situazione in cui a tutti conviene fare una cosa fin dall’inizio e la fanno, non
cambieranno idea! Quindi, se un equilibrio è in strategia dominante è anche un
equilibrio di Nash. Ma non è vero il contrario!

Con due equilibri non sappiamo se il mercato va a finire da una parte o dall’altra: siamo
abituati che la domanda e l’offerta si incontrino una volta sola  ogni giocatore sceglie la
sua strategia, non sceglie l’equilibrio.
Questa è una situazione particolare perché c’è un equilibrio “buono” e un equilibrio
“cattivo” (buono e cattivo fanno riferimento ai pay-off): c’è un equilibrio in cui, scegliendo i
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prezzi alti, tutti fanno più profitti; però ci si può anche coordinare in un equilibrio inferiore
dove tutti fanno profitti più bassi  tutti e due sono equilibri.
Il fatto che ci siano due equilibri dove uno è nettamente migliore dell’altro è un caso
particolare, perché ci possono essere situazioni dove o un equilibrio non è a priori migliore
dell’altro; oppure può succedere che un giocatore preferisca un certo tipo di equilibrio, e
l’altro un altro tipo di equilibrio  entrambi sono equilibri di Nash, entrambi danno lo
stesso risultato, non ce n’è uno che è migliore dell’altro.
Esempio: c’è una coppia di fidanzati, lui e lei, che devono decidere cosa fare domenica
pomeriggio; le alternative sono limitate: andare allo stadio o andare al cinema
lei
cinema stadio
cinema 10, 20 0, 0
lui stadio 0, 0 10, 5

Equilibrio pareto superiore

Se tutte e due scelgono cinema, si va al cinema; se tutti e due scelgono stadio, si va allo
stadio; se uno dice una cosa e l’altra ne dice un’altra non si va da nessuna parte. Ma c’è
un equilibrio che è pareto superiore: lui è indifferente tra cinema e stadio; lei preferisce
di lungo il cinema allo stadio  non è ovvio quale dei due sia migliore.
C’è equilibrio di Nash? L’equilibrio di Nash si trova con il test: partiamo da una delle
quattro combinazioni, e vediamo se a qualcuno conviene cambiare  in questo caso gli
equilibri di Nash sono due (caselle gialle): conviene a qualcuno cambiare? Se la risposta è
no, allora è un equilibrio di Nash  sono le caselle con le frecce entranti!
Esempio: ci sono due giocatori, alfa e beta; il giocatore alfa ha due strategie che sono alto
e basso; beta ha due strategie che sono sinistra e destra:
beta
sinistra destra
alto 100, 10 7, 9
alfa basso 99, 0 18,15

Dobbiamo trovare due valori per la casella gialla alto/sinistra, affinché questo sia un
equilibrio di Nash  i due valori sono 100 e 10; partiamo da “alto” e ci chiediamo se beta
preferirebbe invece di “sinistra” giocare “destra”: no, perché 10 > 9; alfa vorrebbe cambiare
e invece di giocare “alto”, giocare “basso”? No, perché 100 > 99.
17

Se la risposta è no in entrambi i casi, allora questo è un equilibrio di Nash; ma non è un


equilibrio in strategie dominanti, perché alfa ha scelto “alto”: lo avrebbe scelto in ogni
caso? Sì; beta ha scelto “sinistra”: lo avrebbe scelto in ogni caso? No
 se beta avesse scelto “destra”, alfa avrebbe scelto “basso”, perché 18 > 7
 se alfa avesse scelto “basso”, beta avrebbe scelto “destra”, perché 15 > 0
 abbiamo due equilibri: quello alto/sinistra è di gran lunga preferito da alfa (100), mentre
l’equilibrio basso/destra è di gran lunga preferito da beta (15).

Esempio: trovare l’equilibrio di Nash nella seguente tabella:


beta
sinistra destra
alto 6, 0 8, 7
alfa basso 5, 12 9, 11

Se partiamo da Basso Sinistra, alfa cambierebbe? Sì, non è Equilibrio di Nash.


Se partiamo da Alto Sinistra, beta cambierebbe? Sì, non è Equilibrio di Nash.
Se partiamo da Alto Destra, alfa cambierebbe? Sì, non è Equilibrio di Nash.
Se partiamo da Basso Destra, beta cambierebbe? Sì, non è Equilibrio di Nash.
Non c’è nessuna casella con le frecce entranti!  Non c’è l’Equilibrio di Nash: l’equilibrio
di Nash può essere multiplo, ma può anche non esserci.
Un altro esempio dove non c’è equilibrio di Nash:
dispari
pari dispari
pari 1, -1 -1, 1
pari dispari -1, 1 1, -1

Ma qualunque gioco simultaneo può essere trasformato in un gioco sequenziale


nella misura in cui stabilisco un ordine delle mosse: prendiamo l’esempio precedente
beta
sinistra destra
alto 6, 0 8, 7
alfa basso 5,12 9,11

Nel gioco simultaneo non c’era equilibrio, mentre nel gioco sequenziale c’è sempre un
equilibrio, indipendentemente da chi parte: si va avanti con sequenza fino a che non si
arriva ad un certo punto, che può condurre ad una situazione che valutiamo in qualche
18

modo  il mio criterio di scelta è di dire alla fine cosa succede, però devo anticipare
quello che deve fare l’altro, non basta ragionare su quello che faccio io.
In una situazione di questo tipo, bisogna partire dalla fine, che significa anticipare cosa
dovrebbe fare l’altro: si usa una strategia di backward induction (induzione all’indietro), o
strategia del gambero  si parte dalla fine, e si risale (2° numero, poi il 1°); la
rappresentazione del gioco è ad albero:
per primo gioca Alfa, e deve scegliere
S 6, 0 in modo visibile, e
A in modo irreversibile
8, 7
alfa D
S 5, 12 scrivo per primo il pay-off di chi muove
B (gioca) per primo
D 9, 11

senso di marcia del tempo; senso di marcia del ragionamento


si parte sempre dalla fine
Alfa ha scelto A e non può tornare indietro; beta sceglie D perché 7 > 0  poto il ramo
S, perché questa strada non la sceglierò mai; posto che alfa sceglie A, beta sceglie
sicuramente D? Sì se è razionale; questo fatto è noto ad alfa? Sì, abbiamo un gioco ad
informazione completa: tutti sanno tutto di tutti  alfa sa quali sono le alternative a
disposizione di beta, sa che beta è interessato al suo profitto, sa mettersi perfettamente
nei panni di beta, e sa anticipare con certezza cosa farà beta.
Andiamo sotto: alfa ha scelto B; beta cosa sceglie? beta sceglie S (12 > 11): questo albero
che inizialmente aveva 4 rami, dopo la potatura ne ha 2; abbiamo risolto l’ultimo stadio,
ma dobbiamo tornare al primo stadio quando si tratta di scegliere da parte di alfa.
Alfa cosa sceglie? Sa con certezza che se sceglie A, sicuramente beta sceglierà D, e sa
che se sceglie B, beta sicuramente sceglierà S  sa già come va a finire! Alfa, visto che
riesce ad anticipare perfettamente, sceglierà A, perché 8 > 5: abbiamo che 8, 7 è
l’equilibrio del gioco sequenziale.
Questo fa notare già una differenza rispetto al gioco simultaneo: nel gioco simultaneo non
avevamo un equilibrio di Nash! Non riuscivamo a capire dove saremmo finiti; qui invece,
cambiando solo l’ipotesi di sequenza del gioco, siamo arrivati ad un equilibrio
 è necessario che la scelta di alfa sia visibile e non reversibile!
Con un gioco sequenziale, rappresentato con una struttura ad albero, ci deve essere per
forza un equilibrio, perché qualcuno la scelta la deve fare!
19

Immaginiamo ora che a scegliere per primo sia beta (2° numero, poi il 1°):

A 0, 6 ATTENZIONE!
S B 12, 5 se è beta a scegliere per primo, occorre
beta invertire l’ordine di scrittura dei numeri!
D A 7, 8
B 11, 9 è pareto superiore, rispetto a prima

Cambiando la sequenza di scelta otteniamo comunque un equilibrio, che non è lo stesso


di prima: nel gioco sequenziale trovo sempre un equilibrio! Il fatto che muova per primo
l’uno o l’altro influisce sul risultato  sono scelte reciprocamente ottimali; per beta la
scelta è ora anche pareto superiore.
Il gioco sequenziale ci fa sempre arrivare da qualche parte, ma questo gioco non lo
possiamo rappresentare come una matrice, perché altrimenti sarebbe una matrice con
infinite righe e infinite colonne  dobbiamo usare uno stratagemma che ci permetta di
lavorare nel continuo: per fare questo definiremo delle funzioni di reazione, che sono
delle funzioni continue.

L’Equilibrio di Nash è una situazione dove, dovendo prendere delle decisioni, la bontà
delle mie decisioni dipende da quello che fanno gli altri soggetti, quindi mi trovo nella
situazione di dover prevedere quello che faranno gli altri soggetti; questo non significa che
tutti fanno la scelta giusta, ma nel momento stesso in cui devo prevedere cosa faranno gli
altri, non posso pensare che gli altri siano più stupidi di me  questa reciproca coerenza è
alla base del concetto di Equilibrio di Nash: è per questo che lo utilizziamo per identificare
quale situazione dovrebbe emergere in un mercato caratterizzato da interazione
strategica.
Tutte le decisioni aziendali rispondono ad una logica di questo tipo, per cui avrò un
obiettivo che intendo massimizzare (nel nostro caso è il profitto), ho a disposizione degli
strumenti (quantità, ecc.), e il risultato finale dipende da alcune variabili che controllo io,
però dipende anche da altre variabili che controllano gli altri  io posso solo prendere le
variabili che non controllo come qualcosa di dato, e vedere cosa posso fare a fronte di
ipotetiche scelte che qualcun altro potrebbe aver fatto.
Cominciamo dai modelli base dell’oligopolio, che interpretiamo come dei giochi, quindi
applichiamo concetti come l’equilibrio di Nash; i primi modelli di oligopolio compaiono nella
prima metà dell’’800, e oggi sappiamo che:
20

 l’equilibrio oligopolistico di Cournot (quantità) è un equilibrio di Nash,


 l’equilibrio oligopolistico di Bertrand ( prezzi) è un equilibrio di Nash.
I giochi simultanei sono quelli in cui virtualmente le mosse vengono fatte nello stesso
istante: virtualmente, perché non è tanto importante il tempo preciso, l’importante è che
quando faccio le mie scelte, non è predeterminata la scelta dell’altro.
Mentre nel gioco sequenziale esiste prefissata una qualche sequenza  in un
contesto economico chi ha mosso per primo non può rivedere le proprie scelte per un
certo periodo di tempo: non è impossibile farlo, ma potrebbe volerci molto tempo.
Per esempio un’impresa ha investito in capacità, ha ampliato lo stabilimento e ha
acquistato nuovi macchinari; può cambiare il proprio livello di produzione, ma questo
vorrebbe dire investire in nuovi stabilimenti, assumere nuova gente e disinvestire, e questo
non può essere fatto dall’oggi al domani  per un certo periodo di tempo si è vincolati.
Un ipotetico concorrente sfrutta questo fatto prendendo atto che quell’impresa ha fatto
quella scelta, e quella scelta rimane sul tavolo.
Esistono diverse variabili strategiche a disposizione per l’impresa: volume di produzione
(quantità da produrre (Q)), prezzo:
 in monopolio, se massimizzo rispetto a P o a Q non cambia nulla
 in oligopolio, se la competizione avviene sulla quantità o se avviene sui prezzi, a
parità di tutto il resto i risultati sono diversi.
Possiamo avere tanti modelli di oligopolio perché:
 possono essere diverse le variabili strategiche che prendiamo in considerazione
 perché i giochi stessi possono essere di natura diversa: un conto è se lo
impostiamo come gioco simultaneo, un conto è se lo impostiamo come gioco
sequenziale.
Esistono 3 modelli principali di oligopolio:
 Cournot: è un gioco simultaneo, dove le imprese scelgono la quantità da produrre
 Bertrand: è un gioco simultaneo, dove le imprese scelgono il prezzo del prodotto
 Stackelberg: è la traduzione sequenziale di Cournot  è la traduzione sequenziale
dei modelli precedenti (Cournot e Bertrand).

Qualunque gioco simultaneo può essere trasformato in un gioco sequenziale, nel


momento stesso in cui decidiamo chi muove per primo.
Se decidiamo che muove per primo, qualsiasi gioco simultaneo può essere trasformato
in un gioco sequenziale.
21

MODELLO DI COURNOT - CON BENI OMOGENEI


Le imprese, quando scelgono di giocare alla Cournot, scelgono la quantità da produrre;
trattandosi, per comodità, di due imprese parliamo di duopolio.
Ipotizziamo che le imprese producano un bene che agli occhi dei consumatori è
considerato identico: è un bene omogeneo
 per costruzione, in questo modello i beni non sono differenziati
 è una relazione che costruisce un collegamento tra il prezzo che si forma nel mercato e
quanto viene venduto.
La curva di domanda esprime la disponibilità all’acquisto da parte di una certa platea di
potenziali consumatori  dietro alla curva di domanda esiste una massimizzazione
dell’utilità.
Ci aspettiamo che la curva di domanda sia inclinata negativamente, cioè che
all’aumentare del prezzo i consumatori richiedano meno del bene; per semplificare le idee,
possiamo assumere che questa curva di domanda prenda una specifica forma funzionale,
cioè che sia una curva di domanda lineare, che posso scrivere in questa forma:

P = A - BQ P = A - B(q1 + q2)

Q: quantità complessivamente immessa sul mercato  le imprese che lavorano in questo


mercato sono due, e quello che conta non è quanto ha prodotto una o quanto ha prodotto
l’altra, perché producono la stessa cosa  la quantità è la somma delle quantità q1 e q2.
A e B: A e B sono rispettivamente l’intersezione con l’asse verticale e il coefficiente
angolare della retta; A e B sono dei numeri, e sono noti (le altre sono variabili che
devono essere prese come predeterminate)  scritto in questo modo, è il prezzo che è
funzione della quantità: questa funzione di domanda è una funzione di domanda
inversa.
Nel massimizzare i propri profitti, le imprese devono tener conto della tecnologia, e dei vari
costi a cui dovranno far fronte: tutte queste informazioni le condensiamo nella funzione di
costo, che ci dà qualche minimo costo di produzione per un qualche livello prefissato di
produzione  facciamo l’ipotesi che i costi marginali siano costanti: se i costi marginali
sono uguali e costanti per entrambe le imprese, e sono uguali a c, allora i costi medi
sono uguali a c: CM = c.
Per ottenere la curva di domanda di una delle due imprese, tratto l’output dell’altra impresa
come una costante; e lo stesso faccio poi con l’altra  non possiamo impostare il
22

problema attraverso una matrice come abbiamo fatto in passato, ma dobbiamo trovare
qualche cosa che la sostituisce, e questo concetto si chiama funzione di reazione.
Scriviamo il profitto dell’impresa 2:

π2 (q1, q2) = (P – c) q2 = ( A – B q1 – B q2 – c) q2
= Aq2 – Bq1q2 – Bq22 – cq2
(𝛑𝐪𝟐)
= A – Bq1 – 2Bq2 – c
𝐪𝟐

Il profitto dell’impresa 2 dipende da due variabili, q1 e q2; di queste variabili, l’impresa 2


controlla solo la seconda, la prima non la controlla!
I costi sono costanti, quindi la differenza tra il prezzo di mercato e quanto mi è costato
produrre costituisce il profitto per unità venduta, che moltiplicato per la quantità venduta, è
il profitto totale.
Partiamo da una curva di domanda, e su questa andiamo a costruire una curva di
domanda derivata, cioè la curva di domanda che si applica non all’intero mercato, ma
solo all’impresa 2:
P - la scelta ottima per l’output dell’impresa 2
A – Bq1 dipende dall’output dell’impresa 1
A – Bq1’ - la curva di domanda dell’impresa 2 si
domanda sposta a sinistra in modo parallelo
Q

La domanda si sposta a sinistra in modo parallelo  su questa curva di domanda mi


comporto come un monopolista!
L’impresa 2 deve prendere come dato di fatto quanto lei pensa che l’impresa 1 stia
producendo: nella mente dei managers dell’impresa 2 si è formata la convinzione che
nell’impresa 1 verrà prodotto q1  posso prendere la curva di domanda che riguarda
l’intero mercato, togliere la quantità che sono convinto che l’altro produrrà, e quello che
rimane dopo che ho tolto la quantità prodotta dall’altro, è la domanda che resta disponibile
per me (domanda residua).
 Togliere la quantità prodotta dall’altro significa considerare una nuova curva di
domanda; se la curva iniziale era lineare, la nuova curva di domanda avrà lo stesso
coefficiente angolare, ma l’intercetta sull’asse verticale non sarà più A, ma sarà A – Bq1:
questa è chiamata anche domanda residuale, nel senso che è la domanda che mi resta
una volta che ho scremato la quantità prodotta dall’altro dalla quantità aggregata  è la
23

curva di domanda rispetto alla quale è come se fossi un monopolista, perché ho tolto
quello che ha prodotto l’altro, e quello che mi resta è tutto mio, e se è tutto mio allora su
questa curva di domanda mi comporterò come se fossi un monopolista.
Se sono convinto che il mio concorrente invece di q1 produrrà una quantità più grande,
allora la mia curva di domanda sarà una curva di domanda più piccola, ma sempre
traslata in modo parallelo rispetto a quella precedente, e più in basso  più produce
l’altro, meno spazio rimane a me e più piccola sarà la curva di domanda residuale.
Una volta che ho deciso quale dovrebbe essere la quantità prodotta, sulla curva di
domanda residuale, io sono un monopolista, e nel massimizzare i miei profitti mi comporto
come un monopolista: massimizzo la funzione rispetto a q2, e la condizione del primo
ordine indica che i profitti marginali (derivata dei profitti, che devo porre = 0) sono uguali a
zero  dire che i profitti marginali sono uguali a zero, equivale a dire che i ricavi marginali
sono uguali ai costi marginali
A – Bq1 = domanda residuale  mi comporto come un monopolista: R’ = c’

P A – Bq1 – 2Bq2 = c
A−c
A – Bq1 q*2 = q1 R2’ = (A – Bq1) – 2Bq2 R’ = c’
2B−
2

c c’ al posto di q2 non trovo un numero, ma trovo


domanda una funzione di reazione, che è:
R2’ Q - una regola di comportamento
- una condizione di massimo profitto
 C’è una funzione di reazione anche per l’impresa 1.
Esiste un punto in cui il ricavo marginale incontra il costo marginale: in corrispondenza di
quel punto massimizzo i miei profitti scegliendo la quantità, e questa quantità è indicata
𝐀−𝐜
con: q*2 = 𝐪𝟏  questo vale solo se la curva di domanda è lineare, e i costi marginali
𝟐𝐁−
𝟐

sono costanti; A, B e c sono dei numeri.


Più immagino che l’altro produca, meno conviene a me produrre;
meno ipotizzo che l’altro produca, più conviene a me produrre
ogni funzione di reazione stabilisce una regola di ottimalità: se non specifico q1, non trovo
un numero al posto di q2, ma trovo una funzione che è la mia funzione di reazione  la
funzione di reazione mi dice, a fronte di un arbitrario q1 che non vado a specificare, qual è
il miglior q2.
24

ATTENZIONE: diciamo funzione di reazione, ma è una reazione non a quello che sta
facendo l’altro, bensì una reazione alle mie stesse supposizioni  suppongo che l’altro
faccia q1, per coerenza dovrò reagire non a quello che fa, ma a quello che io sto
pensando che faccia, producendo q*2.
La regola di comportamento (la funzione di reazione) è puramente e semplicemente la
condizione di massimo profitto.
L’impresa 1, nel massimizzare i suoi profitti dovrà affrontare lo stesso problema, per cui, a
fronte di una funzione di reazione dell’impresa 2, ci sarà una funzione di reazione
𝐀−𝐜
dell’impresa 1: q*1 = 𝐪𝟐 . Ogni funzione di reazione stabilisce una regola di ottimalità:
𝟐𝐁−
𝟐

 la funzione di reazione dell’impresa 2 stabilisce una regola di ottimalità per


l’impresa 2
 la funzione di reazione dell’impresa 1 stabilisce una regola di ottimalità per
l’impresa 1
 le strategie sono entrambe ottimali (reciprocamente ottimali): perché si possa
parlare di un equilibrio di Nash bisogna che tutti stiano facendo la scelta giusta, date le
scelte degli altri  nessuno vuole rivedere la scelta fatta!
La via maestra per trovare un equilibrio di Nash nel continuo è la risoluzione di un
sistema di funzioni di reazione che noi utilizziamo al posto della matrice, ma in alcuni
casi, oltre alla via maestra che funziona sempre, si può prendere una scorciatoia, che ci
evita alcuni calcoli, e ci permetterà di generalizzare il problema quando non è noto a
priori il numero di imprese che ci sono nel mercato.
ATTENZIONE: questa scorciatoia si può prendere solo se valgono determinate condizioni,
in particolare, in questo caso possiamo sfruttare una proprietà di perfetta simmetria:
vediamo che le due funzioni di reazione sono due funzioni speculari  se cambiamo q1
con q2 sono identiche, perché le due imprese stanno affrontando lo stesso tipo di
problema, stanno producendo la stessa identica cosa, si confrontano con la stessa curva
di domanda, hanno gli stessi costi di produzione: non può succedere che a posteriori
scelgano delle quantità differenti  sfrutto la simmetria: q1 = q2
Questo vuol dire che possiamo prendere una qualsiasi delle due funzioni di reazione, e
siccome sappiamo che alla fine q1 e q2 saranno uguali, invece che chiamarli q1 e q2 li
chiamiamo q  troviamo un’equazione dove l’unica incognita è q:
A−c A−c q1 3 A−c A−c 2 𝐀−𝐜
q2 = q1  q2 = - =q  q* =  q= *  q=
2B− 2B 2 2 2B 2B 3 𝟑𝐁
2
1 3
+ 1=
2 2
25

𝐀−𝐜
q=  q1 = q2  q è sia q1 che q2
𝟑𝐁

posso prendere questa scorciatoia solo se sono sicuro che q1 e q2 saranno per forza
uguali e ne sarò sicuro solo se vedo che il problema è un problema speculare, totalmente
simmetrico  se non lo fosse, dovrei mettere a sistema le due equazioni (le funzioni di
reazione): risolvere il sistema significa trovare il punto di intersezione  il punto C
corrisponde alle due quantità prodotte:
q2 concorrenza perfetta
A−c
funzione di reazione
B
impresa 1
A−c
2B

q2c C
funzione di reazione
impresa 2

A−c
0 q1c q1
2B
𝐀−𝐜 𝐀−𝐜
q*2 = 𝐪𝟏 monopolio q*1 = 𝐪𝟐
𝟐𝐁− 𝟐𝐁−
𝟐 𝟐

A−c
Quando nella funzione di reazione dell’impresa 1 metto q2 = 0, risulta : questa è la
2B

quantità di monopolio, perché sono in duopolio e ipotizzo che l’altro non produca niente
 ipotizzo di essere il padrone assoluto del mercato, e allora sarei un monopolista: se
A−c
l’altro non produce niente, allora a me conviene produrre che è la quantità di
2B

monopolio.
A−c
corrisponde alla quantità che verrebbe prodotta in concorrenza perfetta; se l’impresa
B
A−c
2 producesse , che è la quantità di concorrenza perfetta quando il prezzo è uguale al
B

costo marginale, a me conviene produrre zero


q2
A concorrenza perfetta:
A-Bq2 la quantità che ho sottratto è la
q2 quantità di concorrenza
C

0 q1
26

q2
A differenza
A – Bq2 quantità aggregata
q2
c
(𝐀−𝐂)𝟐
q2 Profitto =
𝟗

0 RM B q1

la mia domanda residuale è quella segnata in rosso, perché la quantità che ho sottratto
dalla domanda aggregata è la quantità di concorrenza: la mia curva di domanda è
talmente slittata all’indietro che si trova in quel punto, al di sotto del costo marginale.
Posso disegnare il ricavo marginale, ma il punto in cui il ricavo marginale incontra il costo
marginale è zero: se l’altro produce la quantità di concorrenza, ha saturato il mercato e io
non ho più spazio, questo perché se anche producessi poco, il prezzo scenderebbe sotto
c e io andrei in perdita  se l’altro produce la quantità di concorrenza perfetta, a me non
conviene produrre.

Il punto in cui le due funzioni di reazione si incontrano, che altro non è se non
l’equivalente grafico della risoluzione del sistema, è a tutti gli effetti un equilibrio di Nash,
perché, appartenendo ad entrambe le funzioni di reazione, mi assicura che q1 è ottimo
dato q2, e q2 è ottimo dato q1:

Notiamo che abbiamo ottenuto lo stesso risultato sia risolvendo il sistema, che seguendo
la scorciatoia.
27

Riassumendo:
(𝐀 − 𝐜)
In equilibrio ogni impresa produce = qc =
𝟑𝐁
𝟐(𝐀 − 𝐜)
L’output totale è dunque Q* = q1+q2 = 2qc =
𝟑𝐁
Ricordiamoci che la domanda è P = A – BQ*
A−2B(A−c) (𝐀 + 𝟐𝐜)
Il prezzo di equilibrio è perciò P* = =
3B 𝟑
(𝐀 − 𝐜)𝟐
Il profitto dell’impresa 1 è (P* - c)qc1 = ; e, data la simmetria, il profitto dell’impresa
𝟗
2 è lo stesso.
Possiamo confrontare il profitto con il risultato del monopolio, e dire che la competizione
tra le due imprese fa sì che ci sia una certa sovrapproduzione, nel senso che si produce
complessivamente più del monopolio; e il prezzo è un prezzo minore del prezzo del
monopolio, ma comunque inferiore al prezzo concorrenziale:
Q M < QD < Qc πC < π D < πM
(M = monopolio; D = domanda aggregata; C = concorrenza)
𝐀−𝐜 𝐀−𝐜
Il monopolista produce: QM = ; e il suo output è minore dell’output di concorrenza ,
𝟐𝐁 𝐁
dove P = c’ (il prezzo è uguale al costo marginale – in concorrenza).

MODELLO DI COURNOT CON COSTI MARGINALI DIVERSI – c1 < c2


c1 < c2: in una situazione come questa non possiamo prendere la scorciatoia, perché se i
costi sono diversi è molto probabile che le scelte finali siano diverse; ma alla fine, si tratta
sempre di massimizzare il profitto.
In questo caso abbiamo una funzione di reazione che è esattamente uguale a prima;
l’unica differenza è che in ogni equazione abbiamo un costo specifico:
A−c2 q1
q ∗2 = − q1 A−c2 A− c2
{ 2B
A−c1
2
q2 = − q2 (*2) q1 = – 2*q2
q ∗1 = − 2 2B B
2B 2

A− c1 q2 A−c2 1 A−c2 A−c1


− = – 2*q2  q2(2 − 2) = –
2B 2 B B 2B
3 2A−2c2 −A+c1 3 A− 2c2 +c1
q2 * = q2 * =
2 2B 2 2B

𝐀− 𝟐𝐜𝟐 +𝐜𝟏 𝐀− 𝟐𝐜𝟏 +𝐜𝟐


q2 = q1 = equilibrio di Nash
𝟑𝐁 𝟑𝐁
questa è la combinazione di q1 e q2 che equivale all’equilibrio di Nash!
28

Se c2 aumenta vuol dire che l’impresa 2 diventa più inefficiente, e questa minore efficienza
dell’impresa 2 si traduce in una minore competitività, e questa minore competitività riduce
la quantità prodotta dall’impresa 2 e la sua quota di mercato  la quantità q2 aumenta se
aumentano i costi non suoi (impresa 2), ma del concorrente: in questo caso significa che
non è cambiato niente per l’impresa 2, ma il suo concorrente (l’impresa 1) è meno bravo.
Se il mio concorrente è meno bravo, è più inefficiente (meno competitivo sul mercato),
allora io sfrutto la sua debolezza producendo di più, e acquisendo una maggiore quota di
mercato.
Il modello di Cournot è un caso particolare di gioco simultaneo, tant’è che parliamo di
equilibrio di Cournot-Nash, nel senso che è un tipo particolare di equilibrio di Nash;
l’equilibrio di Nash richiede la reciproca coerenza delle strategie di tutti i giocatori
coinvolti, quindi è necessario che una strategia sia ottima data quella dell’altro, e
viceversa.
La funzione di reazione ha valenza in qualunque altro tipo di modello dove ci sono delle
altre scelte, per esempio i prezzi: se si tratta di scegliere i prezzi, disegneremo un
grafico nello spazio p1, p2  individuo le variabili che di volta in volta devono essere
scelte.
In generale, le funzioni di reazione sono tante quante sono le imprese presenti, e qualora
ogni impresa potesse effettuare più scelte, allora il numero di imprese dovrebbe essere
moltiplicato per il numero di variabili decisionali a disposizione di ogni scelta; le ipotesi
sottostanti sono (= a condizione che):
 che il bene sia completamente omogeneo è indistinguibile (= no differenze) agli
occhi del consumatore
 che siamo sicuri che il problema sia un problema simmetrico: le scelte delle
imprese devono essere coincidenti, perché affrontano lo stesso tipo di problema
logico.
Abbiamo ignorato il fatto che ci fossero q1 e q2 e li abbiamo chiamati entrambi q: questa
operazione si può fare solo dopo che ho fatto la derivata, non prima, perché se la
facessi prima è come se ogni impresa sapesse già che l’altro dovrà per forza seguirla nelle
sue scelte  alla fine le imprese faranno le stesse scelte, ma loro non lo sanno!
Questo equilibrio duopolistico è un equilibrio che si trova a metà strada, nel senso che il
prezzo che si viene a formare è un prezzo intermedio, più alto della concorrenza perfetta,
e più basso del monopolio: ogni impresa produce meno del monopolio, ma messe insieme
29

producono più del monopolio. Anche i profitti sono intermedi tra i livelli della
concorrenza, che sarebbero zero; e il livello di monopolio.
Con costi marginali diversi ci saranno due condizioni di massimo profitto: si tratta di
scrivere il profitto della prima impresa π1, e della seconda impresa π2, ricordandoci di
usare c1 quando parliamo della prima impresa, e c2 quando parliamo della seconda
impresa; le condizioni sono le equazioni del sistema che devo risolvere  quello che
A− 2ci + cj
abbiamo ottenuto è un risultato di questo tipo: qi = , dove qi indica q1 e q2, i è
3B
l’impresa 1, e j è l’impresa 2 (o viceversa)  è evidente che più alti sono i costi, minore è
la produzione: abbiamo 2 tipi di costi, quindi abbiamo una reazione della produzione ad
un aumento dei propri costi, ma anche una variazione della produzione quando
variano i costi dell’altro.
Rispetto alla domanda residuale, se ho dei costi più elevati e sono monopolista, riduco
la mia quantità: vuol dire che produco di meno; se all’impresa 2 aumentassero i costi di
produzione, la sua funzione di reazione slitterebbe verso il basso, mentre non
cambierebbe la funzione di reazione dell’impresa 1:
q2
A−c1
B

R1
A−c2
c
2B

R2
c’
q1
𝐀−𝐜𝟏 𝐀−𝐜𝟐
𝟐𝐁 𝐁

 si riduce la quantità q2, ma significa anche che aumenta la quantità q1: se il mio
concorrente diventa più debole, io approfitto della sua debolezza aumentando la
produzione, non perché mi si siano abbassati i costi, ma perché lui mi lascia più spazio
nel mercato  è meno competitivo, quindi trovo profittevole produrre di più.
Visto che il prodotto è identico, sarebbe ideale che lo producesse tutto chi è più bravo a
produrre, ma in questo tipo di modello, se il differenziale di prezzo non è troppo alto,
sopravvive anche chi è meno efficiente: il meno efficiente ha una minor quota di
mercato, ma non sparisce del tutto, non sparendo del tutto produce comunque,
produce in modo inefficiente, fa profitti, che sono minori di quello più bravo, ma sono
comunque profitti.
30

È possibile che la quantità da produrre vada a zero? Sì, è possibile:


A+ c1
A – 2c2 + c1  0 si verifica quando c2  2
 se lo slittamento della funzione di reazione dell’impresa 2 è molto pronunciato,
𝐀−𝐜
raggiunge il punto di intersezione , che è la produzione di monopolio; teoricamente
𝟐𝐁
potrebbe scendere ancora, e per avere una quantità positiva occorre che il numeratore sia
positivo, quindi:
A−2Ci +Cj 𝐀−𝐜
qi = 3B 𝟐𝐁
monopolio
𝐀−𝐜
A − 2ci + cj > 0 concorrenza
𝐁

Cj +A
𝐜𝐢 <
2

I costi possono esser più alti di cj, ma non troppo più alti di cj, altrimenti finisco fuori
mercato; se l’impresa va fuori mercato, e quindi non produce più niente, all’altra impresa
conviene produrre la quantità di monopolio.

MODELLO DI COURNOT CON PIU’ IMPRESE


Un’altra variante del modello di Cournot riguarda la possibilità che nel mercato siano
presenti più di due imprese; per analizzare questo caso riportiamo i livelli di costo uguali
per tutti = un solo c  se le imprese fossero 3, dovremmo dire che Q = q1 + q2 + q3:
avremmo 3 equazioni da mettere a sistema, ma siccome abbiamo simmetria (un costo
uguale per tutti, bene omogeneo), sfruttiamo la simmetria e diciamo che q1 = q2 = q3,
risolvendo un’unica equazione. Se non sappiamo quante imprese ci sono dovremmo
risolvere un sistema con N equazioni, ma sfruttando la simmetria possiamo risolvere il
problema prendendo la “scorciatoia”.
Immaginiamo ci siano N imprese identiche; continuiamo a lavorare con soli tre parametri
A, B, c: A e B sono i parametri che identificano la funzione di domanda, perché abbiamo
assunto per semplicità che questa domanda sia lineare; il parametro c è il costo marginale
costante (uguale al costo medio) che si applica a tutti indifferentemente.
Se le imprese sono N, la quantità complessiva è semplicemente la somma delle N
quantità prodotte da ciascuna delle imprese: 𝐐 = 𝐪𝟏 + 𝐪𝟐 + 𝐪𝟑 + … + 𝐪𝐍 .
Nel momento in cui andiamo a sostituire Q e i vari componenti, otteniamo questa
espressione:
𝐏 = 𝐀 − 𝐁𝐐 = 𝐀 − 𝐁(𝐪𝟏 + 𝐪𝟐 + 𝐪𝟑 + … + 𝐪𝐍 )
31

Se consideriamo la domanda che si applica alla prima impresa, possiamo scrivere la


funzione di domanda inversa come la somma di due diversi componenti:
P = A − B(q 2 + q 3 + … + q N ) − Bq1
intercetta della domanda
residuale dell’impresa 1

adesso non ho più 1 concorrente, ma ne ho N – 1, cioè N meno me stesso; quindi non mi


basterà più ipotizzare quanto dovrebbe essere q2: ora devo ipotizzare quanto dovrà
essere q2, q3, …, qN.
Possiamo anche scrivere questa funzione di domanda indicando con Q-1 la quantità che
ipotizzo possano produrre i miei concorrenti meno la mia, in modo da poter scrivere la
funzione di domanda in questo modo:
Q-1 = q2 + q3 + … + qN P = (A – BQ-1) – Bq1
P
R1’ = (A – BQ-1) – Bq1
R1’ = c’
domanda A – BQ-1 – 2Bq1 = c
c c’ massimo π per l’impresa 1
R1’
q1 quantità

sulla domanda residuale mi comporto come se fossi un monopolista, quindi vado ad


uguagliare i ricavi marginali, calcolati su questa funzione di domanda, con i costi marginali:
R1’ = c’; la condizione di massimo profitto per l’impresa 1 è : A – BQ-1 – 2Bq1 = c.
La quantità prodotta complessivamente dai miei concorrenti è:
A−c BQ−1 𝐀−𝐜 𝐐−𝟏
q1* = − = −
2B 2B 𝟐𝐁 𝟐
si potrebbero ricavare tante funzioni di reazione quante sono le imprese presenti, ed
eventualmente risolvere il sistema, ma non so quante imprese sono presenti sul mercato,
quindi prendo la scorciatoia!:
𝐀−𝐜 𝐐−𝟏 A−c (N−1)q∗1 N+1 A−c
q1* = − Q*-1 = (N – 1)q1  q1* = –  (1 + ( ) q∗1 =
𝟐𝐁 𝟐 2B 2 2 2B
𝐀−𝐜 𝐍(𝐀−𝐜) 𝐀+𝐍𝐜
q1* = Q* = P* = A – BQ* =
(𝐍−𝟏)𝐁 (𝐍+𝟏)𝐁 𝐍+𝟏

(𝐀−𝐜)𝟐
i profitti dell’impresa 1 sono: (P* - c)q1* = = π1
(𝐍+𝟏)𝟐 𝐁
32

Q-1 indica quanto producono tutti gli altri concorrenti (N – 1); se immagino che le quantità
siano uguali, Q-1 non è q, ma è (N-1)q.
𝐀−𝐜
Ora posso risolvere rispetto a q1*, e trovo questa espressione: q1* =  i risultati
(𝐍−𝟏)𝐁

saranno funzione di A, B, c e N, perché N non l’ho definito.


Influenza dei vari parametri:
 c: se aumentano i costi, le quantità prodotte sono minori, perché diventa meno
conveniente produrre quando si hanno costi più elevati; questo è vero anche in
monopolio  c  q
 A: è l’intercetta della curva di domanda; se aumento A vuol dire che si espande la
domanda per tutti, e tutti producono di più  A q
 B: un discorso simile ad A si può fare per B
 N: all’aumentare del numero di imprese presenti, la quantità prodotta da ogni
impresa diminuisce  N q  più imprese ci sono, meno spazio c’è per
ciascuna di esse, tutti producono meno.
ATTENZIONE: la quantità aggregata Q, che è la somma di tutte le quantità prodotte
dalle singole imprese, si ottiene moltiplicando q1* per N  Q = N * q1*
N(A−c) N A−c 𝐐∗
Q∗ = (N+1)B  (N+1 ∗ )  Q* = N * q1*  N=
B 𝐪∗𝟏

Controllo:
A−c
Se N = 1 torno alla quantità di monopolio  2B
A− c
Se N = 2 torno alla quantità aggregata che avevamo trovata in precedenza  3B

Che effetto può avere N sulla quantità aggregata? Siccome la quantità di concorrenza
A−C N
perfetta è , il rapporto dà la quantità aggregata come frazione di quello che si
B N+1
produrrebbe in concorrenza perfetta; andando per tentativi riusciamo a capire che
N 𝐍
all’aumentare di N, si avvicina sempre di più a 1  𝐥𝐢𝐦 𝐍+𝟏 = 𝟏, cioè più aumentano
N+1 𝐧→∞

le imprese presenti nel mercato, più ci si avvicina alla quantità di concorrenza perfetta; il
A+Nc A N
prezzo è dato da P ∗ = A − BQ∗ = = ∙c  𝐥𝐢𝐦 𝐏 ∗ = 𝐜, cioè se faccio il
N+1 N+1 N+1 𝐧→∞

limite di P che tende ad infinito ottengo il prezzo di concorrenza perfetta, che è il costo
marginale c.
33

I profitti sono la differenza tra il prezzo e il costo marginale uguale al costo medio,
(𝐀−𝐜)𝟐
moltiplicato per la quantità prodotta da ciascuna impresa: 𝛑 = (𝐏 ∗ − 𝐜)𝐪∗𝟏 = e
(𝐍+𝟏)𝟐 𝐁

q*1 è la quantità che ciascuna impresa produce  al crescere del numero di imprese, i
profitti di ogni impresa diminuiscono; se siamo più vicini al monopolio o alla concorrenza
perfetta lo stabilisce il numero di imprese: - più imprese = più concorrenza
- meno imprese = meno concorrenza
 associamo il concetto di concorrenza e di efficienza complessiva del mercato al numero
di imprese presenti: come implicazioni di politica economica, questo vorrebbe dire favorire
sempre e comunque l’entrata di nuove imprese nei mercati, evitare che si creino delle
situazioni di monopolio o di quasi monopolio, perché questo crea una distorsione.

Un mercato concentrato è la combinazione di due fattori:


 quante imprese ci sono in assoluto
 il livello di asimmetria.
Se le imprese fossero tutte uguali tra di loro ognuna avrebbe un n-esimo di quota di
mercato: se sono 10 e sono uguali, ognuna ha 1/10 di quota di mercato; se invece
sappiamo che non tutte le imprese sono uguali, potremmo avere un’impresa dominante,
cioè che è nettamente più efficiente della altre, e che copre, per esempio, l’80% del
mercato  mi aspetto che un mercato dove ci sono 5 imprese e ognuna ha il 20% di
quota di mercato, sia più concorrenziale di un mercato dove ci sono 5 imprese, e una ha
l’80%, e ognuna delle rimanenti quattro ha il 5%.
Sapere quanto il mercato è concentrato è qualcosa che nasce sia dal numero di imprese
presenti, sia dal livello di asimmetria, che posso leggere nelle quote di mercato.
Il livello di concorrenza presente in un determinato mercato è direttamente legato al
livello di concentrazione:
 se il mercato è molto concentrato = poche imprese, vuol dire che il livello di
concorrenza è basso  monopolio
 se il mercato è poco concentrato = molte imprese, il livello di concorrenza è alto
 concorrenza
 un mercato è concentrato se ci sono poche imprese, o se è in mano a pochi soggetti.
Livello di concorrenza alto vuol dire che i prezzi sono relativamente bassi, le quantità
aggregate sono sufficientemente grandi, e siamo relativamente vicini alla concorrenza
perfetta  un mercato si dirà concentrato quando ci sono poche imprese e/o c’è una forte
asimmetria, cioè ce ne sono poche di forti, e tante di deboli.
34

È per questo motivo che le autorità antitrust dei diversi Paesi hanno sviluppato degli indici
di concentrazione: un semplice indice di concentrazione è dato dalla somma delle prime
imprese in termini di quota di mercato, per esempio uno molto utilizzato negli Stati Uniti è il
CR4, che è la somma delle quote delle 4 più grandi imprese presenti nel mercato.
Per esempio un CR4 = 90% = 0.9 vuol dire che le 4 più grandi imprese ricoprono il 90%
del mercato; ma questo indice di concentrazione è un indice di concentrazione imperfetto
(vedi integrazione pag. 36).
L’indice che viene utilizzato maggiormente, perché più preciso = più affidabile, è l’indice di
Herfindahl-Hirschmann (HHI):

𝐇𝐇𝐈 = ∑ 𝐬𝐢𝟐
𝐧

L’indice HHI è la sommatoria per tutte le imprese presenti in un determinato mercato, del
quadrato della loro quota di mercato; se sommiamo le quote di mercato il risultato è 1
(quindi non è molto intelligente!); posso vedere le quote di mercato come percentuale, o
come frazione: se sono un monopolista, la mia quota di mercato è 1 o 100, il quadrato è 1
nel primo caso, e 10.000 nel secondo  se uso una numerazione che va da 1 a 100,
trovare un indice di 10.000 è il massimo di un monopolio.
Se siamo in una situazione come quella del modello base, in cui ci sono due imprese
completamente simmetriche, alla fine producono la stessa quantità q. Questo significa che
ciascuna di esse avrà una quota di mercato del 50%:
502 = 2.500 2.500 + 2.500 = 5.000  un indice di 5.000, o di 0,5 se rimanessimo tra 0 e
1, significa un duopolio simmetrico.
Se aumento il numero di imprese, per esempio 5, e supponiamo siano simmetriche,
queste avrebbero una quota di mercato ciascuna del 20%:
202 = 400 400 x 5 = 2.000  5 imprese simmetriche danno un indice di 2.000.
 aumentando il numero di imprese l’indice scende.
Più alto è l’indice, più il mercato è concentrato, e più posso ritenere, sulla base del modello
di Cournot, che quel mercato sia poco concorrenziale.
Posso anche verificare cosa succede se le imprese sono asimmetriche, per esempio
un’impresa detiene l’80%, e l’altra detiene il 20%:
802 = 6.400 202 = 400 6.400 + 400 = 6.800
avendo un’asimmetria tra le due, passiamo da 5.000 (esempio di prima) a 6.800.
35

Più un mercato è concentrato più sarà vicino al monopolio; abbiamo detto che c’è un
legame tra concentrazione e livello di concorrenza (redditività): la redditività delle imprese
è bassa se siamo vicini alla concorrenza perfetta; è alta se siamo vicini al monopolio.
Se introduciamo la possibilità che ognuno abbia costi diversi, concentriamo la nostra
attenzione solo su questa condizione del primo ordine:
A - B(Q-i* + qi*) – Bqi* - ci = 0 dove: Q-i* + qi* = Q* e A - BQ* = P*
Non siamo preoccupati di risolvere il sistema, siamo preoccupati di riscrivere la condizione
del primo ordine in una forma particolare, che metta in maggiore evidenza certe proprietà
che posso sfuggire in un primo momento; questa espressione può anche essere riscritta in
questo modo: P* - Bqi* - ci = 0  P* - ci = Bqi*
Dividiamo ambo i membri per P* e moltiplichiamo solo il termine di destra per Q*/Q*:
facendo queste due operazioni, e raggruppando i termini, giungo a questo tipo di
P∗ −ci BQ∗ q∗i
espressione: = ,
P∗ P∗ Q ∗

=  = markup = margine di profitto unitario = indice di Lerner: misura di capacità di un’impresa


P−c′ 1
che ci ricorda la condizione di massimo profitto del monopolista ( = ), dove ε era
P ε′

l’elasticità di prezzo alla domanda  più D è elastica = meno profitto


meno D è elastica = più profitto
𝐁𝐐∗ 𝟏 q∗i
qui abbiamo qualcosa di simile, infatti: = , dove ε = η, ed è moltiplicato per = si
𝐏∗ 𝛈 Q∗
𝐏 ∗ −𝐜𝐢 𝐬𝐢
che è la quota di mercato; quindi possiamo riscrivere l’espressione in questo modo: =
𝐏∗ 𝜼

q∗i
= quota fisica di mercato, calcolata come % della quantità fisica prodotta nel mercato
Q∗
𝐏 ∗ −𝐜𝐢 𝐬𝐢
= = costi più alti = quota più bassa; costi più bassi = quota più alta
𝐏∗ 𝜼

Quello che leggiamo a sinistra è in percentuale quanta frazione del prezzo sono guadagni
che ottengo per ogni unità che vendo; questo però è moltiplicato per la quota di mercato,
quindi a parità di elasticità, più è bassa la mia quota di mercato, più è bassa la mia
profittabilità a livello di impresa
 in monopolio, se ho una domanda rigida ho dei consumatori che sono costretti a
comprare da me, non riescono a scappare altrove; se la domanda è molto elastica, invece,
ho dei consumatori “ballerini”, a cui non riesco ad imporre un prezzo troppo alto, altrimenti
rischio di perderli tutti. Queste condizioni valgono per ciascuna impresa!
36

𝐬𝐢
è una condizione di profittabilità a livello di singola impresa, che crea un legame tra
𝛈

quanti soldi fa l’impresa e il suo livello di efficienza; se prendo tutte le condizioni fra di loro,
con alcuni passaggi matematici ottengo:
𝐏 ∗ −𝐜̅ 𝐇 𝐏 ∗ −𝐜̅ 𝐇
= 𝐜̅ è una forma di costo medio, è il guadagno medio che dipende da
𝐏∗ 𝛈 𝐏∗ 𝛈
P∗ −c̅
è il guadagno medio che nel mercato si viene a realizzare, cioè quanto mediamente
P∗
𝐇
si guadagna in quel mercato; questo dipende da  più alta è l’elasticità, meno redditività
𝛈

c’è nel mercato e più concorrenza c’è nel mercato.


Al numeratore però abbiamo H, che è l’indice di Herfindahl espresso come numero tra 0 e
1: se l’indice vale 1, vuol dire che siamo in monopolio, quindi il costo medio è c, perché c’è
un’unica impresa, e allora torniamo all’indice di Lerner e alla condizione di massimo
profitto del monopolista.
Il fatto che ci sia H significa che a livello complessivo di mercato (non di singola impresa),
la redditività è proporzionale alla concentrazione, che è misurata dall’indice di Herfindahl
 la redditività intesa come frazione del valore del prezzo che va a costituire i profitti è
direttamente proporzionale ad H (indice di Herfindahl).
Nel modello di Cournot esiste un legame diretto tra concentrazione del mercato e
redditività (o concorrenza): se sono interessato come autorità pubblica, a promuovere un
livello di concorrenza che abbassi la redditività e migliori l’efficienza dei mercati, il mio
obiettivo sarà fare di tutto perché si abbassi la concentrazione.
Abbassare la concentrazione vuol dire favorire l’entrata di nuove imprese nel
mercato o favorire un migliore bilanciamento tra le imprese che già sono presenti.
Questo è il significato economico che viene fuori distillando il modello di Cournot.

INTEGRAZIONE:
Ci sono almeno due ragioni per cui l’indice HHI è preferibile all’indice CR4:
 la prima è che HHI considera i quadrati delle quote di mercato invece delle sole
quote di mercato: in questo modo le imprese con quote di mercato elevate sono
“pesate” di più, mentre le imprese con piccole quote di mercato contano meno; di
conseguenza si tiene conto del fatto che le imprese più grandi hanno una maggiore
influenza sul settore
 la seconda ragione è che HHI considera tutte le imprese, e non solo le quattro
con le quote di mercato più grandi come avviene invece per l’indice CR4, e quindi
37

fornisce un quadro più completo del settore.


Tuttavia, l’indice HHI è più difficoltoso da calcolare in quanto occorre essere a conoscenza
delle quote di mercato di tutte le imprese che operano nel settore, e tale disponibilità di
dati è spesso carente.
Questo problema non si pone invece per l’indice CR4, perché si considerano solo le quote
di mercato delle 4 maggiori imprese.

Esercizio: Cournot base


Abbiamo 2 imprese, e una curva di domanda che è Q = 60 – P; i costi marginali e costanti
sono pari a 2 (c = 2) per entrambe le imprese.
Calcolare le quantità e i profitti rispettivi per ogni impresa.
Scriviamo il profitto dell’impresa 1; ma la curva di domanda è espressa in funzione della
quantità: siccome in Cournot considero le quantità, mi farebbe comodo avere la stessa
curva di domanda espressa in funzione del prezzo, quindi la inverto:
Q = 60 – P  P = 60 – Q  dove Q = q1 + q2
 ricavi – costi = p(q) q – c(q) = p in funzione di q, per q, meno c in funzione di q
in generale, quando il costo marginale non è necessariamente indicato
π1 = (60 – q1 – q2 – 2)q1
π1 = 60q1 – q12 – q2q1 – 2q1  devo fare la derivata rispetto a q1 per massimizzare i
profitti dell’impresa 1, e porla = 0
π1
= 60 – 2q1 – q2 – 2 = 0 [R’ = 60 – 2q1 – q2 = c]
q1
60−q2−c 𝟔𝟎−𝟐 𝐪𝟐
q1 = = − quello che ho ottenuto è la funzione di reazione
2 𝟐 𝟐
quantità dell’impresa 1
di monopolio = (60-2)/2 = 58/2 = 29 = qM
𝐪𝟐
 identifico la relazione negativa tra q2 e q1; il fatto che ci sia scritto lo interpreto in
𝟐
questo modo: se per caso il mio concorrente aumentasse la sua produzione di 1 unità,
allora a me conviene diminuire la mia di 0,5 unità (questa è l’interpretazione economica =
il senso di quello che abbiamo trovato)  cosa mi conviene fare se l’altro produce più di
quello che esce fuori dalla funzione di reazione.
Per risolvere il problema posso fare due cose: metto a sistema due equazioni, di cui la
prima l’abbiamo trovata; l’altra potremmo trovarla rifacendo gli stessi passaggi, scrivendo
60−q1−c 𝟔𝟎−𝟐 𝐪𝟏
π2, e otterremmo l’espressione q2 = = − . Oppure, posso sfruttare la
2 𝟐 𝟐
38

condizione di simmetria, perché le imprese hanno costi marginali costanti e uguali, e


producono un bene omogeneo  prendo la scorciatoia: q1 = q2 = q
60 – 2q – q – 2 = 0 - 3q = - 58 q = 58/3 = 19,3
Una volta che ho trovato q posso trovare tutte le altre variabili:
Q = (58/3)*2 = 38,6  quantità di concorrenza
P = 60 – 38,6 = 21,4  prezzo di concorrenza
π = (60 – 38,6 – 2)*19,3 = 19,4 * 19,3 = 374,42  profitti di concorrenza

Esercizio: Cournot con costi marginali diversi - c1 diverso da c2


Rifacciamo lo stesso esempio, ma con l’impresa 2 che invece di avere un costo marginale
costante e uguale all’impresa 1, ha un generico costo marginale c.
È evidente che non siamo più in simmetria, quindi non possiamo considerare l’ipotesi
della scorciatoia; il risultato non sarà un numero, ma sarà un’espressione che dipende da
c. Che cosa rappresenta c?
c è il costo della seconda impresa: se è uguale a 2 ritorniamo al caso appena trattato; se
però c è un po’ più grande di 2, vuol dire che la seconda impresa è meno efficiente;
mentre se c è minore di 2, vuol dire che è l’impresa 1 a essere meno efficiente  allora c
lo possiamo interpretare come il livello di efficienza dell’impresa 2.
Troveremo che sia q1 che q2 sono funzione di c: potremmo sorprenderci del fatto che,
essendo c il costo dell’impresa 2, influisca sulla quantità dell’impresa 1, ma questo è
esattamente quello che avviene in un contesto strategico  i costi di produzione del
concorrente influiscono su quello che il concorrente vuol produrre, e a seconda di quello
che il concorrente vuol produrre o produrrà, anche l’altra impresa prenderà le sue
decisioni; quindi tutto quello che decide il concorrente influisce anche su quello che decide
l’altra impresa.
60−2 q2 q2
q1 = 2 − 2
q1 = 29 -
2
𝐜 29
60−𝐜 q1 𝐜 q1 30 − −
q2 = − q2 = 30 - – q1 = 29 - ( 2 2
)
2 2 2 2 2

60−𝐜−29 31−𝐜
2 2 𝐜
q1 = 29 – ( ) = 29 – ( ) = 29 – [(15,5 − 2) 2] q1* = 29 – (31 – c)
2 2

60−𝐜 29−(31−𝑐) 𝐜 𝐜 𝐜 𝐜
q2 = – = 30 – –(14,5–15,5 + )= 30 - -14,5 + 15,5 - q2* = 31 - c
2 2 2 2 2 2
39

Esempio: Cournot con imprese N


Utilizziamo gli stessi dati dell’esercizio base: Q = 60 – P; costi marginali costanti = 2.
P = 60 – Q dove Q = q1 + q2 + q3 + … + qN
π1 = (P – 2)q1  π1 = [60 – (q1 + q2 + q3 + … + qN) - 2]q1
π1 = 58q1 – q12 – q1q2 - … - q1qN π1’ = 58 – 2q1 – q2 - … - qN = 0
sfrutto la condizione di simmetria  c = 2 per tutte le imprese
 tutte le imprese meno la mia = N - 1
𝟓𝟖
π1’ = 58 – 2q – (N – 1)q = 0 raccolgo q  q(2 + N – 1) = 58 q=
𝐍+𝟏
58
q=  da questo risultato ricaviamo tutti quelli delle altre variabili
N+1
58
Q=N( ) = 58  quantità di concorrenza perfetta (N e N+1 si semplificano)
N+1
58
P = 60 – Q = 60 - N ( ) = 2  il prezzo è uguale al costo marginale: c’ = P
N+1

58 58 58 58 2
π = (P – 2)q = (60 - N( ) – 2) * = 58 * - N( )
N+1 N+1 N+1 N+1
1 N N+1−N 𝟓𝟖𝟐
= 582 ( − ) = 582 ( (N+1)2 ) = = profitto di ogni impresa
N+1 (N+1)2 (𝐍+𝟏)𝟐

𝟓𝟖𝟐
Se fosse un monopolista il profitto sarebbe , perché a N = 1 (monopolista), sommo 1
𝟒
𝟓𝟖𝟐
della formula, ed elevo al quadrato  (1 + 1)2 = 22 = 4  = πM.
(𝟏+𝟏)𝟐

Se N è un numero molto elevato, comparendo solo a denominatore, il profitto tende a


𝟓𝟖𝟐
zero  è come se fosse  0.
∞𝟐
Quante imprese ci devono essere nel mercato affinché il profitto di ciascuna di esse sia
non più grande di 1/10 del profitto di monopolio?  disequazione!
𝟏 𝟓𝟖𝟐 582 1 1
* >  >  (N + 1)2 > 40  N > √40 - 1
𝟏𝟎 (𝟏+𝟏)𝟐 (N+1)2 40 (N+1)2

=4
N > 6,32 – 1  N=6 (si arrotonda per eccesso!)

Esercizio: Cournot con indice di concentrazione


Considerate un mercato oligopolistico in qui operano un numero imprecisato di imprese
del tutto uguali, con costi marginali costanti pari a c, che massimizzano i propri profitti
scegliendo i volumi di produzione. La domanda complessiva del mercato è esprimibile
40

attraverso la relazione P = 60 – Q. Quale è il numero minimo di imprese, e quale è l'indice


HHI associato, in corrispondenza del quale i profitti di ogni impresa sono al massimo
uguali ad un quarto di quelli di monopolio? E' vero che la somma dei profitti di tutte le
imprese è inferiore al profitto di monopolio?  πM > πC1 + πC2 SEMPRE!

P = 60 – Q π = (P – c)q π = (60 – 2q – (N – 1)q – c) q (2 + N – 1) = 60 - c


60−c 60−c 60−c
q= Q = N( ) = 60 - c P = 60 – Q = 60 - N( )=c
N+1 N+1 N+1

60−c 60−c 60−c 60−c 2 (60−c)2 (60−c)2


π = (60 − N ( ) − c) N+1 = (60 – c) * - N( ) = - N( )
N+1 N+1 N+1 N+1 N+12

(60−c)2 60−c 2
π= - ( ) = 0  la concorrenza erode i profitti!
N+1 N+1
(60−c)2 1 (60−c)2 (60−c)2 (60−c)2 (60−c)2
produzione di monopolio =  * > >
4 4 4 N+1 16 N+1
1 1
> N + 1 = 16 N = 15 = numero di imprese presenti nel mercato
16 N+1

1 2 1 2
𝐇𝐇𝐈 = ∑𝐧 𝐬𝐢𝟐 , ma in questo caso lo calcolo così: HHI = N( ) = 15*( ) = 0,067
N 15

Temi di discussione:
La funzione di reazione non indica una reazione ottimale ad un comportamento
osservato dal concorrente.
La funzione di reazione è una regola di comportamento, una condizione di massimo
profitto, quindi ogni funzione di reazione stabilisce una regola di ottimalità; la chiamiamo
funzione di reazione, però è una reazione non a quello che sta facendo l’altro, ma una
reazione alle mie stesse supposizioni: se suppongo che l’altro faccia q1, per coerenza
dovrò reagire non a quello che fa, ma a quello che io sto pensando che faccia,
producendo q2*; se nessuno poi vuole rivedere le proprie scelte, allora è Nash!
In un gioco simultaneo non è strettamente necessario scegliere nello stesso momento,
l’importante è che la scelta, che può anche essere avvenuta nel passato, sia
reversibile = posso cambiare!  non sono vincolato da quello che ho fatto ieri, allora
posso cambiare scelta; se posso cambiarla, conta quello che ho fatto oggi, non quello che
ho fatto ieri.
Non sempre, in un duopolio alla Cournot, si fanno profitti.
Ogni impresa valuta la sua domanda residua in base al comportamento delle altre,
considerato come dato, e si comporta di conseguenza come un monopolista; se sono in
41

duopolio, ipotizzo che l’altro non produca niente, e di essere il padrone assoluto del
mercato: se l’altro non produce niente, a me conviene produrre la quantità di monopolio;
se l’altro produce la quantità di concorrenza, a me conviene non produrre, perché l’altro
producendo la quantità di concorrenza ha già saturato il mercato e io non ho più spazio
 anche se producessi poco, il prezzo scenderebbe sotto il costo marginale, e io andrei in
perdita.
Una modifica dei costi di produzione sposta la curva di reazione delle imprese
corrispondenti.
Più alti sono i costi e minore è la produzione; c’è una reazione della produzione ad un
aumento dei propri costi, e una variazione della produzione quando variano i costi
dell’altro:

q2 R1

c R2
c’ q1

se all’impresa 2 aumentassero i costi di produzione, la sua funzione di reazione slitterebbe


verso il basso, mentre non cambierebbe la funzione di reazione dell’impresa 1: si riduce la
quantità q2, ma significa anche che aumenta la quantità q1  se il mio concorrente
diventa più debole, io approfitto della sua debolezza aumentando la produzione, non
perché mi si sono abbassati i costi, ma perché lui mi lascia più spazio nel mercato: è meno
competitivo, quindi io trovo profittevole produrre di più.
La produzione di ogni impresa dipende dai costi dei concorrenti.
Per massimizzare i profitti, ciascuna impresa uguaglia i ricavi marginali ai costi marginali;
più sono alti i costi dell’impresa, e più la sua funzione di reazione sarà spostata verso
sinistra. In questo caso la quantità prodotta da ciascuna impresa dipende direttamente dai
costi sostenuti dall’impresa rivale, oltre che dai propri costi: se i costi dell’impresa rivale
aumentano, allora la produzione dell’impresa i cui costi non sono variati aumenterà
anch’essa, mentre diminuisce la produzione del rivale. Quindi il caso di un duopolio
asimmetrico mostra che esiste un vantaggio per l’impresa più efficiente (quella con i costi
marginali più bassi), che produrrà una quantità maggiore della rivale, realizzando così una
quota di mercato maggiore. La rivale, avendo costi più alti, dovrà diminuire la produzione.
Le quantità costituiscono sostituti strategici.
42

Se aumentiamo c2, il costo unitario dell’impresa 2, l’effetto sarebbe quello di uno


spostamento verso l’interno della curva di risposta ottimale per l’impresa 2; il nuovo
equilibrio di Nash viene raggiunto in un punto in cui l’impresa 2 produce di meno e
l’impresa 1 di più rispetto a prima, quindi l’impresa 1 risponde aggressivamente
all’aumento di c 2 per l’impresa 2, aumentando la propria quota di mercato a spese della
sua rivale. Quando un consumatore reagisce ad un aumento (diminuzione) del prezzo del
prodotto acquistando una quantità minore (maggiore) di esso, e una quantità minore
(maggiore) di un altro, si dice che i 2 beni sono sostituti. Quando le funzioni di risposta
ottimale hanno pendenza negativa, si dice che le strategie (le quantità nel caso di
Cournot) sono sostituti strategici.
La concentrazione considera sia la numerosità che la differenza dimensionale tra imprese.
All’aumentare del numero di imprese presenti in un mercato, la quantità prodotta da
ciascuna di esse diminuisce: più imprese ci sono, meno spazio c’è per ciascuna di esse, e
tutti producono meno  più aumentano le imprese presenti in un mercato, più ci si
avvicina alla quantità di concorrenza perfetta; se faccio il limite di P che tende ad infinito,
ottengo il prezzo di concorrenza perfetta, che è il costo marginale.
Un mercato concentrato è la combinazione di due fattori: quante imprese ci sono in
assoluto, e il livello di asimmetria: se le imprese fossero tutte uguali tra loro, ognuna
avrebbe un n-esimo della quota di mercato; se invece non tutte sono uguali, potremmo
avere un’impresa dominante, cioè che è nettamente più efficace delle altre, e che copre la
maggior fetta di mercato  sapere quanto il mercato è concentrato è qualcosa che nasce
sia dal numero di imprese presenti, sia dal livello di asimmetria che posso leggere nelle
quote di mercato. Se il mercato è molto concentrato, vuol dire che il livello di concorrenza
è basso (poche imprese  monopolio); se il mercato è poco concentrato, il livello di
concorrenza è alto (tante imprese  concorrenza).
Un livello di concorrenza alto vuol dire che i prezzi sono relativamente bassi, le quantità
aggregate sono sufficientemente grandi, e siamo vicini alla concorrenza perfetta; un
mercato è concentrato quando ci sono poche imprese e/o c’è una forte asimmetria, cioè
ce ne sono poche e forti, e tante e deboli.
I profitti aggregati calano rapidamente al crescere delle imprese presenti nel mercato.
I profitti sono la differenza tra il prezzo ed il costo marginale (uguale al costo medio),
moltiplicato per la quantità prodotta da ciascuna impresa: più imprese ci sono in un
mercato, e più la quantità prodotta da ognuna diminuisce; di conseguenza, al crescere del
numero di imprese, i profitti di ciascuna diminuiscono  la concorrenza erode i profitti.
43

Per calcolare l’equilibrio di mercato in funzione del numero di imprese presenti bisogna
che le stesse siano perfettamente simmetriche.
Si potrebbero ricavare tante funzioni di reazione quante sono le imprese presenti, ed
eventualmente risolvere un sistema, ma se le imprese sono simmetriche posso prendere
la “scorciatoia”: indico con Q-1 la quantità prodotta da tutti gli altri concorrenti (meno
l’impresa che considero); se immagino che le quantità prodotte siano uguali, Q -1 è (N-1)q;
𝐀−𝐂
posso continuare e risolvere rispetto a q1*: q1* =
(𝐍−𝟏)𝐁
.

MODELLO DI BERTRAND
In Cournot le imprese scelgono le quantità: le imprese considerano la quantità da produrre
come variabile strategica, cioè basano le loro strategie su quanto produrre.
Bertrand dice che in realtà le imprese stabiliscono il prezzo, e questa è una critica
all’approccio di Cournot: Bertrand dichiara che scegliere le quantità non è una strategia
dettata dalla concorrenza, perché per avere concorrenza basta che ci siano solo 2
imprese sul mercato, e quindi si sceglie il prezzo  la versione estrema delle differenze è
un po’ eccessiva!
Il modello di Bertrand chiarisce che la competizione sui prezzi è molto diversa da quella
sulle quantità: Bertrand dimostrò che lasciando tutto inalterato (curva di domanda, costi,
tecnologie) le decisioni si basano solo sulla scelta dei prezzi invece che della quantità, e
che l’equilibrio che troviamo è comunque un equilibrio di Nash  io simultaneamente
scelgo il prezzo dovendo indovinare quale potrebbe essere il prezzo dell’altro.
 l’equilibrio di Cournot-Nash e l’equilibrio di Bertrand-Nash sono equilibri di gioco
simultaneo che usano come variabili strategiche due cose diverse: prendere p2 come dato
non è la stessa cosa che prendere q2 come dato, perché prendere q2 come dato vuol dire
che quello che l’impresa 2 riesce a vendere non cambierà; se invece l’impresa 2 tiene il
prezzo fisso, e l’impresa 1 lo cambia, l’impresa 2 ha una variazione di quantità venduta.
È per questo che otteniamo dei risultati drasticamente diversi!
 Bertrand parte da delle ipotesi di partenza più realistiche, e arriva a dei risultati più
irrealistici; mentre Cournot parte da delle ipotesi meno realistiche, ma giunge a dei risultati
più realistici.
Possiamo immaginare per semplicità una curva di domanda lineare, indicando con A e B i
parametri della curva di domanda inversa: P = A – BQ (è tutto uguale a prima!, tranne per
il fatto che le imprese, in questo modello, scelgono i prezzi)
44

A−P
P=A–B BQ = A – P Q=
B
Dobbiamo però chiederci come viene fuori la domanda residuale: nel modello di Cournot
trovare la curva residuale voleva dire far slittare la curva di domanda aggregata verso il
basso, e quella diventava la domanda personale, sulla quale massimizzare il profitto.
Con il modello di Bertrand, invece, la curva di domanda è discontinua, perché con
qualunque prezzo maggiore di p2 si vende zero!

Con questo modello il punto di partenza è che l’altro (impresa 1) sta fissando un certo
prezzo: l’impresa 2 offre un prezzo p2  ci sono 3 possibilità:
1) il prezzo p1 è sopra: se il prezzo p1 è sopra al prezzo p2, l’impresa 1 non vende
niente, perché il bene, essendo omogeneo, è indistinguibile agli occhi del
consumatore, e nessuno comprerebbe un bene identico ad un prezzo maggiore
2) il prezzo p1 è sotto: se il prezzo p1 è sotto al prezzo p2, vende tutto l’impresa 1, e
l’impresa 2 non vende niente
3) il prezzo p1 è uguale al prezzo p2: se le imprese applicano lo stesso prezzo, i
consumatori sono indifferenti tra le due imprese  il mercato si divide in due quote
uguali!
La curva di domanda residuale che trovo non è una funzione continua, ma è una funzione
fatta di spezzoni diversi, e in ogni spezzone ci sarà un’equazione diversa:

- prezzo > di p2  q = 0 = non vendo!


- se p1 < p2, l’impresa 1 vende la
quantità aggregata (= tutto!)
45

All’aumentare del prezzo diminuisce la quantità: siccome c’è un salto nella curva di
domanda, c’è un salto anche nei profitti, e c’è un salto anche nella funzione di reazione:

Se il prezzo è troppo alto i profitti sono zero, perché vendo zero


se il prezzo è inferiore i profitti sono i profitti che si realizzano vendendo tutto ciò che il
mercato assorbe in corrispondenza di quel prezzo
se il prezzo è uguale a quello del mio concorrente, la domanda, e quindi anche i profitti,
vengono divisi per due.

Caso 1: prezzo dell’altro > del prezzo di monopolio  p > pM


Supponiamo che l’impresa 1 applichi un prezzo molto alto, superiore al prezzo di
monopolio; l’impresa 1 vende acqua minerale, così come l’impresa 2, ma per qualche
misterioso motivo l’impresa 1 vende la sua bottiglia di acqua minerale a 100 euro  ha un
prezzo talmente alto che nessuno andrà mai a comperare la sua acqua, e quindi non farà
mai concorrenza all’impresa 2: l’impresa 2 è la padrona assoluta del mercato, perché la
concorrenza è solo teorica, e non avrà mai luogo.
In una situazione come questa l’impresa 2 fa un ragionamento da monopolista, e fisserà
un prezzo da monopolista  il monopolista non è quello che spara il prezzo più alto
𝐚+𝐜
possibile, ma il prezzo che massimizza i suoi profitti, e questo è dato da: pM = ( )
𝟐𝐛
 ATTENZIONE: a e b minuscolo sono i due coefficienti della retta della funzione che
esprime la quantità in funzione del prezzo (non il prezzo in funzione della quantità).
Se l’impresa 1 pratica un prezzo molto alto, l’impresa 2 può tranquillamente applicare un
prezzo che è quello di monopolio, perché di fatto la concorrenza non avrà mai luogo:
𝛑 = (p − c)(a − bp) = ap − bp2 − ac + cbp = (𝐚 + 𝐜𝐛)𝐩 − 𝐛𝐩𝟐 − 𝐚𝐜
questa è una parabola!
π

c p
46

se il prezzo risultasse inferiore a c, i profitti dell’impresa 2 sarebbero negativi, per cui può
sempre dire che, se qualora il prezzo fosse troppo basso, preferisce non produrre niente:
comunque ha una funzione che raggiunge il massimo.
π

p2 = p1
p2 > p1
(𝐚+𝐜)
c p1 prezzo impresa 2
𝟐𝐛
prezzo di
monopolio

questa è la funzione di profitto dell’impresa che prende atto che il concorrente ha fissato
un prezzo a livello p1: si interrompe bruscamente in corrispondenza di p1 perché è una
funzione che mette in relazione il prezzo dell’impresa 2 con i profitti dell’impresa 2
 finché il prezzo dell’impresa 2 rimane inferiore a quello dell’impresa 1, lei è il
monopolista; se invece l’impresa 2 applicasse un prezzo anche di poco superiore a p1,
non venderebbe più niente, quindi, contrariamente al monopolista classico, vedrebbe
sparire sia tutti i clienti, sia tutti i profitti: ecco perché si interrompe bruscamente. Il
(𝐚+𝐜)
massimo è in corrispondenza del punto  se l’altro fissa un prezzo superiore al
𝟐𝐛
prezzo di monopolio, io rispondo con il prezzo di monopolio (e quindi vendo io).

Caso 2: prezzo dell’altro minore del prezzo di monopolio  p < pM


π2 p1
p2 < p1

p2 = p1

p2 > p1

c p1 prezzo impresa 2
(𝐚+𝐜)
𝟐𝐛

Under cutting: applico un prezzo leggermente inferiore  posso abbassare il prezzo fino
ad arrivare a c, altrimenti lavoro in perdita.
(𝐚+𝐜)
Se il prezzo del concorrente è inferiore al prezzo di monopolio , la funzione di profitto
𝟐𝐛
assume l’andamento del grafico sopra: il massimo si trova prima di p1
47

 se l’altro fissa un prezzo superiore al prezzo di monopolio, io rispondo con il prezzo di


monopolio
 se l’altro fissa un prezzo inferiore al prezzo di monopolio, io rispondo con un
prezzo lievemente inferiore rispetto a quello che ha fissato lui.

Caso 3: prezzo dell’altro < c  p < c


L’impresa 2 deve anche considerare la possibilità che l’altro fissi un prezzo p1 minore di c:
se l’altro mi fissasse un prezzo minore di quello di produzione, io lo lascerei fare
 nessuno verrebbe da me! E io non sono mai disposto ad andare sotto ai miei costi di
produzione: se l’altro va sotto i costi di produzione, io gli rispondo con un c (costo
marginale).

Quindi:
 se l’altro applica un prezzo superiore al prezzo di monopolio, io rispondo con il
prezzo di monopolio
 se l’altro sceglie un prezzo tra c e il prezzo di monopolio, cerco di andare un po’
sotto a quello che lui applica (undercutting, tagliare sotto)
 se l’altro mette un prezzo inferiore a c lo lascio andare, e metto il prezzo di
produzione (il costo marginale).
Questa è la mia funzione di reazione!

P2 P1

P1 P2
Se siamo in una situazione di perfetta simmetria, le due imprese stanno affrontando lo
stesso tipo di problema, hanno gli stessi obiettivi, hanno gli stessi vincoli, faranno le stesse
scelte.
Quella che andremo a disegnare è la funzione di reazione dell’impresa 1, e mi dice
cosa conviene fare all’impresa 1, dato un qualche prezzo p2 che è stato fissato:
48

p2 - ε
p1 = p2

p2 < c

La linea marrone in diagonale si appoggia leggermente al di sopra della linea tratteggiata,


e corre parallela alla linea tratteggiata, perché dato un p2 arbitrario, compreso tra c e il
prezzo di monopolio, la miglior risposta a p2 è p2 – ε = un po’ più sotto.
Se la risposta a p2 fosse p2, sarei sulla bisettrice, perché p2 = p1.
(𝐚+𝐜)
Qualunque sia il p2 < c, e qualunque sia p2 > io rispondo con il prezzo di monopolio
𝟐𝐛
(𝐚+𝐜)
, e siccome rispondo sempre in modo uguale, la linea è una linea verticale.
𝟐𝐛
Il concetto di equilibrio di Nash rimane sempre lo stesso: si avrà un equilibrio di Nash
dove le strategie sono reciprocamente ottimali  questo equivale a trovare il punto
dove le due funzioni di reazione si incrociano.
Il punto in cui le funzioni di reazione si incrociano è (c, c): si tratta semplicemente di una
guerra dei prezzi!  io vendo la stessa cosa del mio concorrente, quindi qualunque sia il
prezzo che fissa lui, io ho l’incentivo a sparare un prezzo leggermente più basso, ma lo
stesso incentivo lo ha lui: c’è una guerra dei prezzi al ribasso!
Questa guerra prima o poi si fermerà ad un livello che è c: sotto di c non andiamo perché
ci siamo mangiati tutti i profitti; questo è un equilibrio di Nash, non è un gioco
sequenziale, scegliamo una volta sola! So che l’unica strategia che ha senso è quella in
cui nessuno si azzarda ad applicare un prezzo superiore a c.
Quanti profitti fanno? Non fanno profitti! Dal punto di vista dei consumatori, non c’è
differenza tra un mercato di concorrenza perfetta e un duopolio che funziona in questo
modo, perché il prezzo che si forma è sempre c.
Con Bertrand, le imprese scelgono i prezzi, però attenzione perché il risultato finale è un
risultato paradossale: se ci sono due sole imprese, la concorrenza diventa da subito così
49

estrema da essere un mercato indistinguibile rispetto ad un mercato di concorrenza


perfetta: se in questo mercato al posto di esserci 2 imprese simmetriche, ce ne fossero 3,
tutti metterebbero lo stesso prezzo!
Bertrand smentisce clamorosamente il risultato che avevamo trovato con Cournot: è come
se Bertrand dicesse che per fare la concorrenza basta essere in due, non c’entra la
concentrazione, non c’entra quante imprese ci sono dentro, non è vero che più imprese ci
sono, più concorrenza c’è. Con due imprese siamo già in concorrenza perfetta.
Un modello non va bene quando, o parte da delle ipotesi di partenza che sono
inaccettabili, o arriva a dei risultati che sono in contrasto con quello che vedo nella realtà;
questo risultato così estremo è direttamente figlio della perfetta omogeneità del prodotto.
C’è anche un’altra ipotesi: se applico un prezzo lievemente inferiore al concorrente mi
prendo tutto il mercato, ma sono in grado di produrre per l’intero mercato?
Se ho dei vincoli di capacità, o più in generale i miei costi, invece di essere costanti, ad un
certo momento crescono, allora potrei avere dei vincoli  queste due ipotesi, l’esistenza
di vincoli di capacità e l’esistenza di una differenziazione del prodotto, cambiano le
carte in tavola, e sono due estensioni del modello di Bertrand.

Caso di asimmetria dei costi


Ipotizziamo che le imprese non abbiano lo stesso c, ma ci sia un c1 e c2; per semplicità
immaginiamo che c1<c2: volendo disegnare le due funzioni di reazione, avremo che
avranno la stessa forma di prima, ma al posto dei due c avremo un c1 che si applica alla
funzione di reazione dell’impresa 2  se c1 e c2 non sono uguali il punto di intersezione
cambia:

c = 0,7

c = 0,5
50

Esempio: 1,50 è il prezzo di monopolio; supponiamo che 0,5 sia il costo di produzione
dell’impresa 1 e che 0,7 sia il costo di produzione dell’impresa 2. Qual è l’equilibrio di
Nash? Graficamente teniamo fisso c2, e facciamo slittare leggermente a sinistra c1.
Prima avevamo il prezzo uguale al costo e ci fermavamo lì; adesso abbiamo due costi: un
c1 più basso (0,5) e un c2 più alto (0,7)  la risposta è: io impresa 1 scelgo il prezzo 0,7-ε
e l’impresa 2 sceglie 0,7 perché non andrà mai sotto i suoi costi di produzione.
Prima abbiamo parlato della guerra dei prezzi; se ragioniamo in quei termini possiamo
immaginare che questa discesa negli inferi ad un certo momento si fermi: prima si fermava
a c, adesso si ferma al c più alto.
Questo è comunque un equilibrio di Nash, ma per dimostrarlo devo dimostrare che
nessuno dei due vorrebbe cambiare strategia:
 l’impresa 2 sta vendendo a 0,7 che sono i suoi costi di produzione, anzi in realtà
non sta vendendo niente, perché l’impresa 1 sta applicando 0,69. Conviene alzare il
prezzo? No, perché non succede niente. Conviene abbassare il prezzo? No, perché
andrebbe sotto i suoi costi di produzione  quindi l’impresa 2 fissa un prezzo
uguale al suo costo di produzione e non lo cambia perché non ha incentivo a
cambiare.
 L’impresa 1 applica 0,69 (= 0,7 – ε), ma il suoi costi di produzione sono 0,5, quindi
fa profitti: l’impresa 1 è l’unica a produrre, è l’unica a vendere, perché è l’unica che
applica un prezzo basso.
Dato che l’impresa 2 sta prezzando a 0,7, a me (impresa 1) conviene alzare o abbassare il
prezzo?  Se alzo il prezzo da 0,69 passo a 0,7 e in questo caso dovrei dividere il
mercato con l’altro, quindi farei metà profitti rispetto a quelli che sto facendo adesso.
Se abbasso il prezzo da 0,69 a 0,65 guadagno meno per unità venduta, però applicando
un prezzo un po’ più basso forse venderei di più  non basta dire che per ogni unità
venduta guadagnerei di meno, abbassando il prezzo potrei vendere di più.
Qual è l’impatto finale sui miei profitti? diminuiscono sicuramente, perché 0,7 è minore del
prezzo di monopolio!
Io sono nel tratto crescente dei profitti di monopolio, quindi l’eventuale aumento delle
quantità vendute non compensa il margine di profitto per unità venduta: questo è dovuto al
fatto che sono sotto il prezzo di monopolio  la mia tendenza è quella di fissare prezzi più
alti, non più bassi.
Abbiamo dimostrato che all’impresa 2 non conviene né alzare né abbassare il prezzo,
perché per lei i profitti non ci sono; anche all’impresa 1 non conviene né alzare né
51

abbassare il prezzo  siccome siamo in una condizione in cui nessuno vuole rivedere le
proprie scelte, siamo in equilibrio di Nash.
Non è vero che non si fanno profitti, qualcuno i profitti li fa: i profitti nascono perché
qualcuno è più efficiente  i profitti sono direttamente legati alla differenza di
efficienza: se io produco a 0,5 e l’altro produce a 0,9 faccio ancora più profitti.
Io sono monopolista? Ni! Sono monopolista nel senso che sono l’unica impresa che
rimane in piedi sul mercato, ma non sono monopolista perché pur essendo l’unico che
sopravvive, non sono completamente libero di fare quello che voglio: se fossi un
monopolista senza pensieri, fisserei il prezzo a 1,50; invece è vero che sono l’unico a
produrre, però non sono libero di fare quello che voglio, perché sono vincolato ai costi di
produzione dell’altro.
Se astrattamente l’altro è talmente sfortunato da avere i costi più alti del costo di
monopolio, allora sarei monopolista a tutti gli effetti; ma se l’altro ha costi di produzione più
alti dei miei, ma inferiori a quelli di monopolio, questo rappresenta un limite superiore
sopra il quale io non posso andare.
Quando ci siamo occupati del livello di concorrenza di Cournot, abbiamo concentrato la
nostra attenzione sul numero di concorrenti presenti nel mercato; il risultato dell’analisi che
abbiamo appena fatto ci suggerisce che non dobbiamo occuparci solo di quelli che nel
mercato ci sono, ma anche di quelli che sono fuori dalla porta, e che sono pronti ad
entrare, perché in una situazione di questo tipo sono l’unica impresa che produce, però
l’impresa 2 pur essendo efficiente è lì che aspetta. Appena applico un prezzo più elevato
per lei è profittevole entrare, e vengo preso in contropiede da questa azione del
concorrente.
 Il livello di concorrenzialità del mercato non dipende solo dal numero e dal tipo di
imprese che sono attive nel mercato, ma anche da una concorrenza latente (potenziale)
che comunque potrebbe finire per condizionare l’operato delle imprese che sono presenti.

Riassumendo:
di fronte allo stesso mercato, allo stesso numero di imprese e alle stesse condizioni
esterne, impostare una concorrenza basata sulla quantità o basata sui prezzi conduce a
risultati molto diversi: nel caso della quantità si viene a determinare un legame causale tra
la concentrazione presente nel mercato e concorrenza; mentre il modello base di Bertrand
arriva ad una conclusione che potremmo sintetizzare con lo slogan: “Bastano due imprese
per fare concorrenza”  è una concorrenza estrema, che ci fa giungere cioè ad un tipo di
equilibrio che è indistinguibile da quello della concorrenza perfetta.
52

Nel modello di Cournot abbiamo fatto due varianti: una dove il numero di imprese era
variabile, e una dove i costi marginali erano diversi.
Quando i costi marginali erano diversi, purché il differenziale non fosse molto alto, chi era
più bravo faceva più soldi, e aveva una quota di mercato maggiore; ma l’altro non
scompariva del tutto, sempre che il differenziale di costo non fosse troppo alto.
Per quanto riguarda il modello di Bertrand, il numero di imprese non è interessante,
perché se da due passo a tre, da tre passo a cinque, non cambia niente; abbiamo
considerato che ci possono essere due livelli differenti di costo marginale, e abbiamo
dimostrato che se, per esempio, ci sono due imprese che hanno una il costo marginale più
alto, e l’altra il costo marginale più basso, solo una sopravvive (quella con il costo
marginale più basso, la più efficiente)  non è vero, come in Cournot, che comunque
sopravvivono tutte e due: in Bertrand sopravvive solo quella più forte, e questa impresa fa
profitti, perché il prezzo che fissa lei è sostanzialmente uguale al costo marginale del
concorrente; se fossero più di due, il prezzo sarebbe quello del più bravo concorrente, a
meno che l’altro non abbia costi talmente elevati da arrivare addirittura sopra al prezzo di
monopolio: in questo caso lo ignoriamo semplicemente.
Cosa succede con costi diversi? Con Cournot tutte e due producevano, quella che aveva
costi più bassi faceva più profitti (più efficiente), e quella con costi più alti ne faceva di
meno, ma comunque operava e non spariva del tutto dal mercato. Invece con Bertrand
sopravvive solo una, quella che ha costi marginali minori  la guerra dei prezzi
schiaccia sui costi di produzione. L’impresa che sopravvive è monopolista?  non è
detto che riesca a fissare il prezzo di monopolio! Se alza il prezzo, le imprese che sono
fuori potrebbero essere invogliate ad entrare, visti i profitti che farebbe l’impresa
sopravvissuta: sopravvive solo uno  se dovessimo vedere il mercato da fuori, diremmo
che quello è un monopolista; però quello non è un monopolista nel senso che siamo
abituati, perché pur essendo da solo, non è libero di fissare il prezzo che vuole: ha un
limite superiore, lui sa che se si azzardasse ad applicare un prezzo superiore a quel limite
genererebbe l’entrata nel mercato di altre imprese.
Questo tipo di risultato è interessante perché ci suggerisce un altro tipo di insegnamento di
base: per valutare il grado di concorrenza presente nel mercato, per valutare quanto
potere di mercato hanno effettivamente le imprese presenti, non basta come sembra
suggerire il modello di Cournot, guardare solamente a quante imprese ci sono nel
mercato, e quali caratteristiche hanno; ma bisognerebbe anche guardare quella che
53

potremmo chiamare la concorrenza potenziale, cioè imprese che in questo momento


non sono attive, ma che potrebbero diventarlo in un secondo momento.

Esercizio: Si consideri un mercato duopolistico dove la funzione di domanda è Q = 18 –


p. Entrambe le imprese hanno costi marginali costanti, pari a 6 per la prima e 8 per la
seconda. La prima impresa fa più profitti se vengono scelte simultaneamente le quantità
da produrre, oppure i prezzi?
Nel testo dell’esercizio non viene detto che il bene è un bene omogeneo, però nella curva
di domanda compare un solo prezzo, e la quantità è Q, quindi conta solo la quantità
complessiva  se conta solo la quantità complessiva, e c’è un solo prezzo, per forza i due
beni sono omogenei. Stiamo parlando del modello base di Cournot e Bertrand: dobbiamo
semplicemente trovare i due equilibri.

Q = 18 – P P = 18 – Q  P = 18 – q1 – q2 c1 = 6 c2 = 8

Cournot:
π1 = (18 – q1 – q2 – 6)q1 = 18q1 – q1q2 – q12 – 6q1
π2 = (18 – q1 – q2 – 8)q2 = 18q2 – q2q1 – q22 – 8q2

faccio le derivate, e le pongo uguali a zero:

18 – 2q1 – q2 – 6 = 0 q2 = 12 – 2q1 q2 = 12 – 2(10 – 2q2)


18 – 2q2 – q1 – 8 = 0 q1 = 10 – 2q2 *

q2 = 12 – 20 + 4q2 3q2 = 8 q2 = 8/3


q1 = 10 – 2 * 8/3 q1 = 10 – 16/3 q1 = 14/3 q1 > q2

P = 18 – 8/3 – 14/3 = 32/3 = 10,67 (prezzo in Cournot)


π1 = (10,67 – 6)* 14/3 = 21,79 (profitto in Cournot)

Bertrand:
P=8–ε Q = 18 – 8 = 10 (quantità in Bertrand)
π1 = (c1 – c2)*Q = (8 – 6)*10 = 20 (profitto in Bertrand)

 l’impresa 1 fa più profitti in Cournot, quindi guadagna di più se vengono scelte le


quantità.
54

Temi di discussione:
Il modello di Bertrand nega ogni collegamento tra livello di concentrazione e grado di
concorrenza nel mercato.
Bertrand contestò l’ipotesi di Cournot secondo cui le imprese scelgono le quantità; di
conseguenza negò anche il legame tra livello di concentrazione e grado di concorrenza
del mercato: sapere quanto il mercato è concentrato è qualcosa che nasce sia dal numero
delle imprese presenti, sia dal grado di asimmetria che si può leggere nelle quote di
mercato. All’aumentare del numero di imprese presenti, la quantità prodotta da ciascuna di
esse diminuisce: se le imprese sono tutte uguali tra loro, ognuna avrebbe un n-esimo di
quota di mercato; se invece non sono tutte uguali, ci potrebbe essere un’impresa
dominante, nettamente più efficiente delle altre, che copre una buona fetta di mercato.
Bertrand dice che in realtà le imprese stabiliscono il prezzo.
Vi possono essere profitti anche nel modello base di Bertrand.
Nel modello di Bertrand il punto di partenza è che l’impresa 2 sta fissando un prezzo p2:
 se il prezzo p1 è sopra al prezzo p2, l’impresa 1 non vende niente, perché il bene,
essendo omogeneo (Bertrand base) è indistinguibile agli occhi del consumatore, e
nessuno comprerebbe un bene identico ad un prezzo più alto
 se il prezzo p1 è sotto al prezzo p2, l’impresa 1 vende tutto e l’impresa 2 non vende
niente
 se p1 = p2, i consumatori sono indifferenti tra le due imprese, e il mercato si divide
in due quote uguali.
Se il prezzo è troppo alto, i profitti sono zero perché non vendo niente; se il prezzo è
inferiore, i profitti sono i profitti che si realizzano vendendo tutto ciò che il mercato assorbe
in corrispondenza di quel prezzo; se il prezzo è uguale a quello del mio concorrente, la
domanda, e quindi anche i profitti, vengono divisi per due.
Il modello di Bertrand implica che bisogna fare attenzione anche alla possibile entrata di
concorrenti.
Se l’impresa entrante decide di applicare un prezzo p1 – ε, è logico che guadagnerà tutto
il mercato, l’impresa 1 non venderà più niente, e quindi non avrà profitti.
E’ possibile ottenere i profitti di monopolio nel modello di Bertrand.
Se l’impresa 1 applica un prezzo molto alto, l’impresa 2 può tranquillamente applicare un
prezzo che è quello di monopolio, perché di fatto la concorrenza non avrà mai luogo;
costruirà la sua funzione di reazione stabilendo il prezzo che massimizza i suoi profitti,
dato un qualunque livello di prezzo stabilito arbitrariamente dall’impresa 1. Finché il prezzo
55

dell’impresa 2 rimane inferiore a quello dell’altra, lei è un monopolista; se invece l’impresa


2 applicasse un prezzo anche di poco superiore a p1, non venderebbe più niente, e
contrariamente al monopolista classico, vedrebbe sparire sia tutti i clienti, che i profitti.
La funzione di domanda residuale, la funzione di profitto, la funzione di reazione sono tutte
funzioni discontinue nel modello base di Bertrand.
La curva di domanda residuale che trovo in Bertrand non è una funzione continua, ma è
una funzione fatta di spezzoni diversi, e in ogni spezzone ci sarà un’equazione diversa:
all’aumentare del prezzo diminuisce la quantità; siccome c’è un salto nella curva di
domanda, c’è un salto anche nei profitti; e c’è un salto anche nella funzione di reazione:

L’equilibrio nel modello di Bertrand è un equilibrio di Nash.


L’equilibrio di Cournot-Nash e l’equilibrio di Bertrand-Nash sono equilibri di gioco
simultaneo che usano come variabile strategica due cose diverse.

Vero/falso dall’esame del 25 gennaio 2016


Un equilibrio in strategie dominanti è anche un equilibrio di Nash.
VERO: l’equilibrio di Nash è caratterizzato da un insieme di strategie rispetto alle quali
nessuno desidera cambiare la propria scelta; se la strategia è dominante, implica che
c’è sempre una scelta migliore in tutte le circostanze, a maggior ragione non la vorrei
cambiare  gli equilibri di strategie dominanti, se esistono, sono un sottoinsieme
dell’equilibrio di Nash.
In un gioco simultaneo le strategie vengono scelte simultaneamente.
FALSO: quello che conta è la possibilità o meno di rivedere le scelte, cioè se le scelte fatte
in passato sono vincolanti o meno.
In un gioco sequenziale un giocatore può effettuare più di una scelta.
VERO: ad ogni stadio il giocatore deve effettuare una scelta: se gioco a 10 stadi allora ci
sono 10 scelte in sequenza  è VERO perché di fronte ad un bivio ho più scelte, però ne
scelgo solo una alla volta.
56

VINCOLI DI CAPACITA’
Il modello di Bertrand è un modello dove c’è una guerra al ribasso dei prezzi che termina a
livello del costo marginale; con Bertrand ci troviamo con un dilemma di fondo, perché pur
partendo con le migliori intenzioni, finisce con il darci una rappresentazione della realtà
che è in chiaro contrasto con i fatti, e i potenziali colpevoli di questo risultato sono due:
1) l’ipotesi di perfetta omogeneità (beni tutti uguali)
2) l’ipotesi di costi marginali costanti.
Nella realtà potremmo avere che, partendo da una certa soglia, i costi cominciano a salire
perché ci sono difficoltà a reperire materie prime, oppure c’è il bisogno di espandere gli
impianti produttivi e non si trova da acquistare immediatamente: più in generale,
potrebbero esserci dei vincoli di capacità, cioè potremmo essere in una situazione in cui
possiamo produrre anche a costi marginali costanti, finché rimaniamo al di sotto di una
certa soglia.
Finora abbiamo immaginato dei costi marginali piatti: c
q
se invece ho dei vincoli di capacità, significa che ci
sarà un limite massimo K arrivati al quale i costi marginali
vanno in verticale  significa che in nessun caso dovrò c
superare quella linea: ho un impianto, e questo impianto
può realizzare un certo numero di pezzi; eventualmente c
potrò investire per fabbricare un nuovo impianto, ma
questo richiederà tempo: in questo caso parliamo q
semplicemente di minore capacità. k

Ci sono due casi dove i costi marginali sono crescenti: la differenziazione di prodotto e i
vincoli di capacità  sono due modifiche che possiamo fare nel modello di Bertrand, che
non sono alternative, cioè le posso avere tutte e due, per cui le affronteremo una alla
volta: prima continueremo ad assumere che i beni siano perfettamente omogenei, ma che
ci siano dei vincoli di capacità; poi assumeremo che non ci siano vincoli di capacità, ma
che i beni siano differenziati  vedremo che arriveremo a dei risultati molto diversi in
entrambi i casi.
57

VINCOLI DI CAPACITÀ CON BENE OMOGENEO


Esempio: esiste una località sciistica, Monte Norda, con due stazioni: Punta Resia, con
capacità giornaliera 1000; e Sport Resort, con capacità giornaliera 1400 (le capacità sono
fisse); i consumatori considerano identici i servizi offerti; la domanda giornaliera di servizi
sciistici su monte Norda: Q = 6000 – 60P  Q è il numero di sciatori/die, e P il prezzo
dello skipass giornaliero; le stazioni competono sui prezzi, e il costo marginale dei servizi
sciistici è €10 in entrambe le stazioni: Q = 6000 – 60P = 6000 – 60*10 P = 6000/600 = 10
Quello che interessa ai consumatori è andare in cima alla montagna e poi sciare giù, che li
porti la funivia A o la funivia B non è importante, in questo caso l’ipotesi di omogeneità del
prodotto è realistica.
Le capacità delle due stazioni è fissa (le funivie non si costruiscono in 10 secondi!), e il
costo è uguale per le due stazioni; se non avessimo problemi di capacità, e se le imprese
fossero libere di fissare il prezzo dello skipass, il modello di Bertrand ci direbbe che il
prezzo dello skipass dovrebbe essere 10, perché nessuno si azzarda ad alzarlo, altrimenti
nessuno comprerebbe; e nessuno si azzarda ad abbassarlo, perché andrebbe in perdita.
Ma se ci sono dei vincoli di capacità questo non può essere un equilibrio di Nash!
Se per assurdo il prezzo fosse veramente 10, quante persone verrebbero a sciare? Ce lo
dice la funzione di domanda, quindi: 6000 – 60 * 10 = 5400.
 Ci sarebbero 5400 sciatori che vanno a sciare: questo non è un problema se le
capacità sono aggiustabili (le funivie si possono ampliare), ma una volta iniziata la
stagione è difficile che questo possa essere fatto. Questo 5400 eccede la capacità totale
degli impianti, che ne possono raccogliere solo 2400 in tutti e due (1000+1400)  se
anche il prezzo fosse 10, 3000 persone vanno lì per sciare ma non riescono a salire.
 Non è equilibrio di Nash, perché? Devo fare il test per verificare che nessuno cambi
idea!: prima non volevo abbassare il prezzo, e questo continua ad essere vero, perché
altrimenti vado sottocosto. Mi conviene alzarlo? Prima no, perché nessuno veniva da me.
Adesso ce ne sono 3000 fuori che dovrebbero tornare a casa; se aumento il prezzo da 10
a 11, un discreto numero di sciatori è ben contento di pagare un euro in più, pur di non
tornare a casa, e io guadagno un euro, e non è più vero che faccio profitti pari a zero.
Questo è vero per entrambi! Entrambi cominciano ad alzare il prezzo!
 se al posto di P mettiamo 11, vediamo che ancora non riusciamo a soddisfare la
domanda: ci conviene alzare ancora il prezzo!  non rimane nessuno fuori quando si
determina un prezzo che va a saturare esattamente la capacità di cui dispongo, in
58

modo tale che non ci sarà più nessun sciatore costretto a tornare a casa senza aver
sciato.
Come faccio a capire qual è questo prezzo?
 Se la quantità complessiva che io vendo deve corrispondere alla mia capacità totale,
vuol dire che al posto di Q devo mettere 2400. Se metto 2400, è come se chiedessi qual
è quel prezzo a fronte del quale si viene a generare una domanda compatibile con la
capacità di cui dispongo: questo prezzo è 60
Q = 6000 – 60 P 2400 = 6000 – 60P 60P = 3600 P = 60
La domanda che ci dobbiamo porre a questo punto è: Punta Resia e Sport Resort hanno
incentivo ad alzare il prezzo?
60 è il prezzo che satura la capacità  se uno mette 60 e l’altro mette 60, questa
combinazione è un equilibrio di Nash?
Ricapitolando:
Punta Resia (1000) ha messo 60, e anche Sport Resort (io, 1400) ha messo 60: mi
conviene mettere 59? NO! Perché se applicassi un prezzo inferiore a quello del
concorrente ci sarebbe più gente che viene da me, ma sto già lavorando al massimo
della capacità.
Se passo da 60 a 59 trasporto sempre 1400; se produco la stessa quantità ad un prezzo
più basso faccio meno profitti, quindi non mi conviene.
Mi conviene andare da 60 a 61? Se i profitti aumentano mi conviene, se non aumentano
non mi conviene: se passo da 60 a 61 vuol dire che sono un po’ più costoso dell’altro, e in
corrispondenza di 61 meno di 1400 vengono da me.
Per quantificare quanti continuano a venire da me con un prezzo 61, prendo la quantità
totale, tolgo 1000 che sono quelli che vanno dall’altra parte, e quello che resta è la mia
domanda residuale; quindi avrei che la mia domanda residuale è:
5000−Q
Q = (6000 – 1000) – 60P Q = 5000 – 60P 60P = 5000 – Q P=( )
60
𝐐
P = 83,33 -
𝟔𝟎
Se faccio 5000-(60*61) viene fuori un po’ meno di 1400:
ce la posso fare perché il vincolo di capacità mi dice che
non devo superare 1400, ma posso stare sotto.
Quando abbiamo parlato del modello di Bertrand
abbiamo disegnato la funzione di profitto fatta come
riportato nel riquadro, e nel caso del monopolista
59

asimmetrico avevamo detto che fissavamo il prezzo a 8 anche quando potevamo fissarlo a
7: con il prezzo più basso venderei di più, ma non lo voglio fare perché la funzione di
profitto è crescente  in generale, quando sono in monopolio guardo se mi conviene
mettere il prezzo alto e vendere poco, o mettere un prezzo basso e vendere a tanti.
In questo caso non conviene tenere un prezzo alto e vendere a pochi, perché con queste
caratteristiche, se il ricavo marginale è maggiore del costo marginale, allora effettivamente
è un equilibrio di Nash!
Il ricavo marginale è la curva di domanda inversa con l’inclinazione doppia rispetto alla
quantità  per non fare la derivata, metto l’inclinazione doppia direttamente:
2Q Q Q
2Q  = , quindi avremo che MR = 83,33 - ; se Q = 1400, allora:
60 30 30
1400
MR = 83,33 - = 46,67 > 10
30
Essendo il ricavo marginale maggiore di 10, potrei aumentare il prezzo da 60 a 61, ma
siccome il ricavo marginale è maggiore del costo marginale (10), se provo a farlo i profitti
5000−Q 𝐐
sono più bassi: Q = 5000 – 61P P=( ) P = 81,97 -
61 𝟑𝟎,𝟓
1400
MR = 81,97 - = 45,90 < 46,67
30,5

Siamo convinti che Sport Resort non cambierà idea, e lo stesso ragionamento lo posso
fare per l’altro  è confermato che quello che ho trovato è un equilibrio di Nash.
Tutto dipende dal vincolo di capacità!  per avere questa condizione bisogna che le
capacità siano vincolabili, cioè se uno avesse un vincolo di capacità, ma può trasportare
due milioni di sciatori al giorno, è come se questo vincolo non ci fosse
 solo se le capacità sono sufficientemente strette avremo questa condizione.
Osservazioni:
L’equilibrio che si è venuto a configurare è un equilibrio dove le imprese fanno profitti? Sì,
abbiamo la stessa efficienza, perché portare uno sciatore cosa mediamente 10 euro per
entrambi.
Chi fa più profitti? Chi ha più capacità, nel nostro caso Sport Resort, perché entrambi
guadagnano sempre 60 – 10 = 50, solo che uno porta 1000, e l’altro 1400  tutto dipende
dalla capacità installata.
Come ha fatto Sport Resort a fare più soldi? È stato più bravo a scegliere la capacità
installata!  la capacità l’ha scelta l’impresa stessa nel momento in cui ha fatto
l’impianto.
60

Possiamo immaginare un modello in due stagioni: una stagione estiva dove si progettano
e si costruiscono gli impianti, scegliendo opportunamente le capacità; poi una volta che le
capacità sono state scelte, esiste una stagione invernale, dove si andrà a produrre.
Nella stagione invernale scegliamo i prezzi, ma le nostre scelte sono condizionate dai
vincoli di capacità che noi stessi abbiamo stabilito durante l’estate.
Qui si viene a configurare una situazione interessante di un gioco che è a metà strada tra
il gioco simultaneo e il gioco sequenziale: durante l’estate si gioca simultaneamente sulle
capacità, perché ognuno da solo sceglie la sua, ma scelgono contemporaneamente;
nella stagione invernale quella capacità produttiva installata, non può più essere messa
in discussione. Si gioca un secondo gioco simultaneo dove, in modo indipendente e
simultaneo si scelgono i prezzi  sono due giochi simultanei che avvengono in sequenza.

Un gioco di questo tipo lo si risolve seguendo la strategia del gambero: partiamo


dall’inverno per capire cosa si fa in estate  so che l’equilibrio che si verrà a verificare
durante l’inverno è figlio delle scelte che ho fatto durante l’estate.
In inverno non sappiamo la capacità produttiva esatta k1 e k2, quindi tutti i risultati che
ottengo sono in funzione di k1 e k2, e durante l’estate scelgo k1 e k2.
È razionale scegliere un livello di capacità tale per cui alla fine ho installato più capacità
del necessario? No!  Se costruire un impianto più grande è costoso, costruisco un
impianto delle dimensioni che effettivamente utilizzerò.
Quando scelgo k, è come se scegliessi q, perché la capacità che scelgo verrà
totalmente utilizzata, e l’equilibrio che ottengo in inverno è un equilibrio di Cournot in cui
scelgo q.
Formalmente scelgo la capacità in estate, e in inverno scelgo i prezzi; ma siccome anticipo
l’effetto che avrà la capacità sulla scelta del prezzo invernale, scelgo la capacità di cui ho
bisogno, che equivale a quanto produrrò  ho un risultato equivalente a Cournot.
 Scelgo i prezzi, però in un periodo precedente ho scelto le capacità, quindi siamo
d’accordo con Bertrand, e non è vero che scegliendo i prezzi ci mangiamo tutti i profitti!
Abbiamo due variabili strategiche:
 una variabile lenta, che è la capacità, e
 una variabile veloce, che è il prezzo.
Quando c’è una variabile lenta da scegliere che condiziona una variabile veloce,
l’equilibrio che nasce è alla Cournot; potremmo avere delle eccezioni dove ci vuole più
tempo per modificare i prezzi, e invece modificare la produzione è veloce, come la
produzione di materiale multimediale su internet: in questo caso la variabile lenta è il
61

prezzo, e la variabile veloce è il livello di produzione  in questo caso, è il modello di


Bertrand quello più significativo, perché se ci sono i due produttori che fanno un software
che fa la stessa cosa, è facile immaginare che la guerra dei prezzi in un mercato globale
come quello di internet, dove anche i confronti sono facili da fare, porterà al dissipamento
dei profitti.
Bertrand o Cournot? Per decidere devo guardare quando le imprese fanno le proprie
scelte, cosa modificano velocemente, e cosa modificano lentamente, e se le quantità
possono essere pagate meno velocemente dei prezzi: allora, nonostante l’apparenza,
è il modello di Cournot, ed è quello che meglio interpreta un mercato di questo tipo.

Riassumendo:
non posso produrre più di una determinata capacità che nel periodo in cui scelgo i prezzi è
data; tutto il resto lo abbiamo mantenuto uguale, per cui manteniamo i costi marginali
costanti, continuiamo ad assumere che il prodotto sia omogeneo  abbiamo visto che
con questo tipo di ipotesi abbiamo una situazione nella quale le imprese fanno profitti, e
viene a limitarsi quella guerra dei prezzi che si verificava nella prima formulazione.
Il risultato dipende dalle capacità: sono le capacità a condizionare cosa si riesce a fare
nel momento in cui scegliamo i prezzi; inoltre, con l’esempio numerico abbiamo riscontrato
che il prezzo è comunque uguale per entrambi, ma se anche i costi marginali sono uguali,
per quanto riguarda i profitti, tutto dipende dalla capacità: chi ha più capacità fa più profitti.
Come mai uno ha più capacità dell’altro? Le capacità sono le stesse imprese a
sceglierle!
Questo tipo di gioco a due stadi dà lo stesso tipo di risultato dell’equilibrio di Cournot,
nonostante il fatto che scegliamo i prezzi; questo perché nel momento in cui scelgo la
capacità, in un contesto di perfetta informazione dove tutti sanno tutto di tutti, non
andrei mai a scegliere una capacità eccedente quella che andrei effettivamente ad
utilizzare, quindi scegliere la capacità o scegliere la quantità è la stessa cosa.
È un risultato che riabilita il modello di Cournot, e lo interpreta in modo un po’ diverso: il
mio concorrente ha messo 60 e io ho messo 60, voglio cambiare il prezzo? Le possibilità
sono due, o lo alzo o lo abbasso.
 Se lo abbasso, teoricamente avrei più clienti, ma siccome sono già al limite della
capacità, alla fine venderei tanto quanto vendevo prima, ma ad un prezzo più basso,
quindi farei meno profitti.
 Se lo alzo avrei il classico problema che c’è anche in monopolio: alzare il prezzo
significa che guadagno di più per ogni unità che vendo, ma vendo meno.
62

Prevale la seconda ipotesi se in quel punto il ricavo marginale è maggiore del costo
marginale, perché significa che il profitto marginale è maggiore di zero.
Ma il profitto marginale è la derivata della funzione del profitto, e se è la derivata della
funzione del profitto vuol dire che io in quel punto vorrei aumentare la quantità: aumentare
la quantità equivale a voler abbassare il prezzo.
Perché non lo faccio? Perché sto già utilizzando tutta la capacità produttiva.
Vorrei produrre di più? Non ce la faccio e non lo faccio, ma di sicuro non voglio produrre di
meno; dunque, dimostrando questo, sgombero il campo dalla possibilità che sia
conveniente aumentare il prezzo.
Combinando queste due cose dimostro che non conviene abbassarlo (e non conviene
abbassarlo!).

Esercizio: Considerate un duopolio simmetrico che opera in un mercato con una


domanda Q = 100 – p. Si sa che entrambe le imprese sono dotate della stessa capacità
produttiva e che, nonostante scelgano simultaneamente i prezzi, realizzano dei profitti. Se
il prezzo sul mercato è 60, a quanto ammonta la capacità installata? Alla luce delle ipotesi,
siamo in grado di stabilirlo con precisione, oppure è sufficiente che venga rispettata una
disuguaglianza? E' possibile che le imprese abbiano costi marginali costanti e pari a 50?
Si tratta di un duopolio simmetrico: stessa capacità = stessa quantità
Q = 100 – P se P = 60  Q = 100 – 60 = 40 40 : 2 = 20 k1 = k2 = 20
k = 20 per ciascuna impresa con precisione, altrimenti non sarebbe un equilibrio!
q < k è un vincolo di capacità: quello che produco non può superare la capacità, quindi
avrò che k = 20 con precisione, perché se ci fosse capacità inutilizzata non sarebbe più un
equilibrio!
c1 = c2 = 50 q2

q1 + q2 = 100 – P q1 + 20 = 100 – P q1 = 80 – P domanda residuale


P = 80 – q R’ = 80 – 2q (per non fare la derivata metto direttamente
l’inclinazione doppia)
80 – 2q = MR (ricavi marginali) 80 – 2*20 = 40 MR = 40 (= c’)
MR = 40  50 non va bene!
40 è il livello massimo di c’  sono costi!, quindi va bene una cifra minore di 50.
I calcoli che abbiamo fatto per l’impresa 1 li possiamo fare anche per l’impresa 2,
ottenendo gli stessi risultati; questo ci suggerisce che se le capacità produttive fossero
uguali, ma i costi marginali fossero diversi, questo sarebbe comunque un equilibrio,
63

purché entrambi i costi marginali venissero meno di 40: uno potrebbe avere costi
marginali 10 e l’altro 30. Produrrebbero la stessa quantità perché le capacità sono 20 e 20,
ma chi ha costi marginali più bassi guadagnerà di più, perché ha un maggior margine di
profitto per ogni unità venduta.
Solo se si verifica la condizione del grafico (relativo all’esempio Punta Resia/Sport Resort)
vuol dire che non mi conviene alzare il prezzo o ridurre la quantità, quindi siamo in
equilibrio:

36,66  83,33 – 46, 67 = 36,66

36,66 = RM (ricavo marginale)

Occorre che nel punto dove stiamo producendo (1400), il ricavo marginale sia superiore al
costo marginale; il ricavo marginale lo ottengo dalla curva di domanda residuale, quando
ho tolto la quantità prodotta dall’altro, perché sto considerando livelli di prezzo
potenzialmente superiori a 60.
Se alzo il prezzo potrei fare più profitti, ma porto meno gente; se abbasso il prezzo, porto
più gente, ma non posso, perché ho dei vincoli di capacità  quindi non mi conviene
aumentare il prezzo se il ricavo marginale è maggiore del costo marginale (R’ > c’) nel
punto k.

Vincoli di capacità con costi diversi


Perché in equilibrio si abbia P = c’, entrambe le imprese devono avere capacità sufficiente
da coprire l’intera domanda P = c’; ma quando P = c’ ottengo solo la metà del mercato,
quindi in P = c’ c’è un enorme eccesso di capacità  i vincoli di capacità possono
dunque influenzare l’equilibrio.
Se ci sono dei vincoli di capacità, e ho R’ (ricavi marginali = prezzi) uguali, ma c’ (costi
marginali) diversi, allora per avere profitti positivi occorre che R1’ > c1’ e R2’ > c2’ nel
punto k (punto del vincolo di capacità):
P1(k1, k2) il prezzo sarà funzione di k1 e k2
π1(P1, P2, k1, k2) il profitto sarà funzione dei prezzi e delle capacità.
64

La capacità è costosa: più è grande l’impianto e più aumentano i costi; scegliere la


capacità vuol dire scegliere le quantità, quindi si ritorna a Cournot!
Esempio: abbiamo 2 imprese con costi marginali diversi, dove l’equilibrio è in funzione
della capacità = k1 e k2 sono le quantità; la curva di domanda inversa è P = 1000 – Q; i
costi marginali sono c1 = 10 e c2 = 20; quant’è la capacità produttiva per ogni impresa?
Cioè: k1 = ? e k2 = ?
equilibrio potenziale  P = 1000 – Q = 1000 – k1 – k2
π1 = (1000 – q1 – k2 – 10)q1 (perché q1  k1)
= 1000 – 2q1 – k2 – 10  0 questa è la condizione necessaria affinché io non
voglia alzare il prezzo oltre quello che proferisce il mio potenziale equilibrio di Nash;
questo viene valutato in corrispondenza di q1 = k1
q1 = k1  1000 – 2k1 – k2 – 10  0 se è verificata, è conveniente anche per me
lavorare al massimo della capacità produttiva, ed è conveniente anche per me applicare il
prezzo scelto. La stessa condizione deve verificarsi anche per l’altra impresa:
q2 = k2  1000 – 2k2 – k1 – 20  0
allora avrò che: 1000 – 2k1 – k2 – 10  0
1000 – 2k2 – k1 – 20  0 se entrambe sono verificate, entrambi
scelgono lo stesso prezzo, ed entrambi lavorano alla massima capacità.
Se invece k1 e k2 dovessero essere scelte dalle stesse imprese, è come se dovessimo
risolvere un problema di Cournot, dove il profitto della prima impresa diventa:
π1 = (1000 – q1 – q2 – 10)q1  vado a scegliere direttamente la quantità, perché in un
contesto di perfetta informazione non andrò mai a comprare più capacità di quella che
effettivamente utilizzerò, perché la capacità è costosa, e non andrò a produrre più di
quello che posso produrre. Otterrò le due funzioni di reazione:
1000 – 2q1 – q2 – 10 = 0
1000 – 2q2 – q1 – 20 = 0 confrontando questo sistema con quello ottenuto sopra
vediamo che sono praticamente uguali; se queste ultime due condizioni sono soddisfatte
(= se scegliamo le quantità in questo modo), automaticamente sono soddisfatte anche le
condizioni del sistema precedente.
Quindi, o i vincoli di capacità sono noti, oppure si procede con il loro calcolo attraverso la
quantità che esce dal sistema classico che utilizza le funzioni di reazione.
Un altro caso potrebbe essere quello che le capacità sono note, ma non conosciamo i
costi marginali: allora in questo caso sappiamo che i costi marginali devono stare in un
certo range  non possono superare il ricavo marginale R’.
65

Temi di discussione:
Il modello con limiti di capacità produttiva può considerare tre o più imprese.
Il modello con limiti di capacità produttiva è un modello che è inserito in un mercato di
libera concorrenza, quindi ci possono essere più di due imprese che operano nello stesso
mercato. Non può essere un monopolio, perché avere una capacità produttiva limitata
implica che non posso servire completamente la domanda del bene che produco.
Affinché si realizzino profitti bisogna che la somma di tutte le capacità produttive non sia
troppo elevata.
Se la mia capacità è troppo elevata, per sfilare clienti al concorrente devo abbassare il
prezzo: avrei più clienti, ma siccome sono già al limite della mia capacità, alla fine
venderei quello che vendevo prima, ma ad un prezzo più basso, quindi farei meno profitti;
se entrambi abbiamo una capacità più contenuta, ci possiamo mettere d’accordo sul
prezzo, e fare profitti entrambi.
Non è vero che a più alta capacità corrispondono più profitti.
Avere una capacità maggiore non implica guadagnare di più: per organizzare la sua
capacità un’impresa può avere costi maggiori di un’altra.
Non è vero che i limiti di capacità impongono l’omogeneità del prodotto.
Le decisioni relative alla capacità produttiva si riflettono sulla qualità e quantità delle
risorse sulle quali l’impresa deve fare affidamento: posso produrre un bene differenziato e
avere comunque dei limiti di capacità, che possono riguardare per esempio il reperimento
delle materie prime che utilizzo per produrre il mio bene; se ho una capacità produttiva di
100, ma riesco a reperire materia prima per produrre solo 60, allora ho 40 unità di capacità
produttiva che rimangono inutilizzate  progetterò un impianto con una capacità di 60,
che utilizzerò appieno, e produrrò il mio bene differenziato per la quantità di 60.
Il modello con limiti di capacità esemplifica un caso più generale, in cui i costi marginali
sono crescenti, da un certo punto in avanti.
Se ho dei vincoli di capacità, significa che ci sarà un limite massimo k arrivati al quale i
costi marginali vanno in verticale: in nessun caso devo superare quella linea! Ho un
impianto, e questo impianto può realizzare un certo numero di pezzi; eventualmente potrò
investire per costruire un nuovo impianto, ma questo richiederà tempo, e in questo caso
parliamo di minore capacità
c c

k q
66

Le capacità produttive sono scelte dalle stesse imprese, ma non possono essere
modificate quando vengono stabiliti i prezzi.
“Scelgo in estate quello che farò d’inverno”: siamo in una situazione in cui si configura un
gioco che è a metà strada tra il gioco simultaneo e il gioco sequenziale  durante l’estate
si gioca simultaneamente sulle capacità, e ognuno da solo sceglie la sua, ma si sceglie
contemporaneamente; arriva l’inverno, e quella capacità produttiva installata non potrà più
essere messa in discussione: si gioca allora un secondo gioco simultaneo dove, in modo
indipendente e simultaneo, si scelgono i prezzi  sono due giochi simultanei che
avvengono in sequenza.
Il modello con vincoli di capacità consente di definire un equilibrio virtualmente identico a
quello di Cournot, a dispetto della scelta dei prezzi.
Non è razionale scegliere un livello di capacità tale per cui alla fine avrò installato più
capacità del necessario: quando scelgo k è come se scegliessi q, perché la capacità che
scelgo verrà totalmente utilizzata, e l’equilibrio che ottengo è un equilibrio di Cournot in cui
scelgo q  scelgo la capacità di cui ho effettivamente bisogno, che equivale a quanto
produrrò  Cournot.
In questo modello, anche l’impresa che ha costi più elevati potrebbe fare profitti.
L’impresa che ha costi più alti fa comunque profitti, ne fa meno, ma li fa, perché con la sua
capacità installata “compensa” la parte di mercato che la sua concorrente lascia scoperta
 anche la concorrente produce limitatamente alla capacità che ha installato.
67

DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO


Se i prodotti sono differenziati vuol dire che esiste una domanda che è specifica per
un prodotto (Coca-Cola) ed esiste una domanda che è specifica per un altro prodotto
(Pepsi): ci sono due curve di domanda diverse, non si può più parlare di curva di
domanda, e ci possono essere due prezzi diversi  per avere il prodotto differenziato
devo avere anche i clienti differenziati, non tutti ragionano allo stesso modo.
Ogni impresa nella misura in cui vende qualcosa di più o meno diverso da quello che
fanno gli altri ha dei margini di manovra, ha un potere di mercato, non subisce il prezzo
dell’altro, e può permettersi di applicare anche un prezzo superiore.
Anche se per motivi diversi, quando ho dei vincoli di capacità e aumento il prezzo non è
vero che perdo tutti i clienti; e quando vendo qualcosa di non identico a quello degli altri
non è vero che prendo tutti i clienti  Coca-Cola e Pepsi sono simili, ma non uguali,
quindi con un prezzo più basso dell’una o dell’altra non si ottiene l’intero mercato!
Pur avendo beni differenziati, è possibile che la scelta venga fatta sulla quantità invece
che sui prezzi: il metodo attraverso cui si arriva a identificare l’equilibrio è sempre quello
che seguiamo per trovare l’equilibrio di Nash: si parla ancora una volta di funzioni di
reazione, perché anche se è più facile analizzare la competizione di prezzo quando i
beni sono differenziati, contrariamente a prima le curve di domanda e le funzioni di
reazione sono continue. Non abbiamo più salti!
È solo in Bertrand che posso avere beni differenziati? No! I beni differenziati sono una
caratteristica tecnologica.
Le imprese ad un certo stadio decidono cosa produrre e quanto differenziare il proprio
prodotto da quello che viene proposto dai concorrenti; una volta che hanno deciso il
proprio prodotto, almeno per un po’ di tempo lo mantengono e non lo cambiano; una volta
che le caratteristiche del prodotto sono state definite, possono scegliere il prezzo e le
quantità.
Avremo una versione differenziata di Bertrand e una versione differenziata di Cournot.
Le imprese tipicamente differenziano i prodotti e li differenziano per non essere ostaggi del
mercato e della guerra dei prezzi: mi differenzio per andare a catturare dei clienti e
fidelizzarli, e soprattutto per mantenere i clienti anche quando si possono fare delle scelte
diverse da quelle dei concorrenti.
 All’aumentare del prezzo del proprio prodotto, l’impresa vende di meno.
 All’aumentare del prezzo del prodotto dell’altro, l’impresa vende di più.
68

Ci aspettiamo due segni opposti quando i beni sono degli imperfetti sostituti, cioè sono
sostituti ma non completamente  il valore assoluto del coefficiente che moltiplica i prezzi
è maggiore per il prezzo proprio, piuttosto che per il prezzo del concorrente.

Dobbiamo trovare i prezzi: un buon punto di partenza è sempre quello di scrivere i profitti
in funzione delle variabili strategiche che mi interessano  se sto studiando una
situazione dove le imprese scelgono i prezzi, sarò interessato a scrivere i profitti in
funzione dei prezzi, e ad evidenziare cosa posso controllare io (il mio prezzo), e cosa
invece non posso controllare (il prezzo del concorrente).
La funzione di reazione, in generale, dice quando devo scegliere una cosa, e cosa devo
scegliere, dato quello che sceglie l’altro; il grafico si riferisce alle curve di domanda della
Coca-Cola e della Pepsi, che, secondo stime econometriche, sono:

QC = 63,42 – 3,98PC + 2,25PP


c’C = €4,96

QP = 49,52 – 5,48PP + 1,40PC

c’P = €3,96

Le funzioni di reazione sono inclinate positivamente, e questo fa già una differenza


rispetto alle funzioni di reazione che avevamo visto con Cournot, che sono inclinate
negativamente  i due beni sono complementi strategici: all’aumentare del prezzo di
uno, tende a seguire l’aumento del prezzo dell’altro = tendono ad andare nella
stessa direzione  il prezzo di uno potrebbe aumentare perché è aumentato il costo di
produzione: l’aumento del costo di produzione fa lievitare non solo il prezzo del bene
dell’impresa corrispondente, ma anche il prezzo del bene dell’altra impresa, perché l’altra
impresa si trova improvvisamente con una più grande domanda, senza aver fatto niente!
Dalla curva di domanda della Coca-Cola notiamo che c’è un coefficiente negativo
associato a PC, che vuol dire che se aumenta il prezzo della Coca-Cola ci saranno meno
consumatori che la comprano; invece il coefficiente associato al prezzo della Pepsi PP è
positivo, e questo significa che se aumentasse il prezzo della Pepsi, anche se la Coca-
69

Cola non variasse il proprio prezzo, ci sarebbero più consumatori che comprerebbero la
Coca-Cola, perché la Coca-Cola è considerata un sostituto imperfetto della Pepsi
 all’aumentare del prezzo della Pepsi, abbiamo 3 categorie di consumatori della Pepsi:
 quelli che consumavano Pepsi e continuano a consumarla nonostante costi di più
 qualcuno che tutto sommato non è più disposto a pagare un prezzo più elevato, e
preferisce pagare di meno per qualche cosa che ai suoi occhi è equivalente, e
 c’è la possibilità che qualche consumatore della Pepsi non compri più né la Pepsi,
né la Coca-Cola.
Una cosa che si nota anche nella domanda della Pepsi è che il coefficiente del prezzo
proprio è maggiore, in valore assoluto, del coefficiente del prezzo del concorrente:
|-3,98| > 2,25 ; |-5,48| > 1,40
Questa non è una coincidenza, ma è una cosa che ci si aspetta che avvenga, perché, se
dovessero aumentare tutte e due i prezzi, ci aspettiamo che il consumo sia di Coca-Cola
che di Pepsi diminuisca  se aumenta il prezzo di tutte e due contemporaneamente,
abbiamo l’effetto diretto, che è quello del prezzo proprio; e l’effetto indiretto che è
quello del concorrente: ci aspettiamo che l’effetto diretto sia più forte dell’effetto indiretto
 questo è necessario per avere una curva di domanda aggregata che è negativa
rispetto all’indice dei prezzi del bene considerato, in questo caso delle Cole.
Abbiamo anche l’informazione relativa al costo marginale (c’) della Coca-Cola e della
Pepsi: proprio perché non è lo stesso prodotto, non ci dobbiamo aspettare che i costi
marginali siano uguali; in generale, non sarebbe neanche da aspettarsi che i costi
marginali siano costanti, assumiamo che siano costanti per semplicità.
È a partire da queste informazioni che possiamo costruire un equilibrio dove i prezzi sono
le variabili strategiche: come vedremo, è molto più semplice trovare un equilibrio quando i
beni sono differenziati, rispetto a quando sono invece omogenei.
È molto più semplice se partiamo con la definizione del profitto: se consideriamo le
quantità, avremo l’accortezza di scrivere il profitto come funzione delle quantità: π(q1, q2);
se le variabili da scegliere sono i prezzi, avremo l’accortezza di definire il profitto come
funzione dei due prezzi: π(p1, p2).
Nel caso della Coca-Cola e della Pepsi, se i profitti sono in funzione del prezzo avremo
che: πC = (PC – 4,96)*(63,42 – 3,98PC + 2,25PP)
πP = (PP – 3,96)*(49,52 – 5,48PP + 1,40PC).
70

Si trovano i prezzi di equilibrio, che sono ovviamente superiori ai costi marginali, e quindi
non si arriva al dissipamento dei profitti; una volta conosciute le variabili prezzo, possiamo
ricavare tutto il resto.
In generale nella teoria dei giochi si dice che: due variabili sono complementi
strategici se tendono ad andare nella stessa direzione; sono invece sostituti
strategici (caso delle quantità) se aumenta la quantità di uno e quella dell’altro
diminuisce, cioè se abbiamo una relazione opposta.
L’intersezione delle due funzioni di reazione continua ad esser l’equilibrio di Nash, perché
l’equilibrio di Nash è una combinazione di strategie che sono reciprocamente ottimali;
mentre lungo la funzione stessa abbiamo l’ottimalità solo dal punto di vista di una delle
due imprese.
Se la funzione di reazione si alza, equivale a dire che ruota verso sinistra, quindi dato un
qualunque prezzo, voglio applicare un prezzo più alto  se prendo la curva di domanda
della Pepsi e metto dentro un certo prezzo della Coca-Cola, quello che rimane è come se
forse la curva di domanda di un monopolista.
Se aumento i costi la curva di domanda resta la stessa, ma aumentano i costi
marginali: un qualunque monopolista a fronte di un aumento dei costi marginali, produce
un po’ di meno, ed applica un prezzo più alto, ed è ciò che farebbe la Pepsi.
Ci sarebbe uno spostamento verso l’alto della funzione di reazione della Pepsi, e il nuovo
punto di equilibrio sarebbe un punto dove la Pepsi applica un prezzo più alto, e così la
Coca-Cola, anche perché ci siamo spostati lungo la sua funzione di reazione che è
rimasta bloccata.
La Pepsi, diventando meno efficiente diventa più debole, è costretta ad alzare il prezzo, e
la Coca Cola approfitta della debolezza del concorrente, vendendo di più da un lato, ma
anche applicando un prezzo un po’ più alto essa stessa.
Questa differenziazione funziona solo con Bertrand? No, posso impostare il problema in
un modo o impostare il problema in un altro.
Il fatto che i prodotti siano differenziati non implica necessariamente che la competizione
debba avvenire sui prezzi (Bertrand): il ragionamento fatto finora diceva che se i beni sono
differenziati, allora una eventuale competizione sui prezzi non brucia i profitti; ma è anche
vero che, pur con beni differenziati, la competizione può avvenire sulle quantità (Cournot),
ed è interessante vedere cosa questo implichi.
Esempio 1: immaginiamo una curva di domanda Q = 60 – P (P = 60 – Q), e costi
marginali costanti pari a c.
71

Se come monopolista mi pongo il problema di massimizzazione del profitto, posso scrivere


il profitto in funzione della quantità:
𝟔𝟎−𝐜
*) π(q) = (60 – Q – c)Q 60 – 2Q – c = 0 Q=
𝟐
oppure posso definire lo stesso profitto in funzione del prezzo:
𝟔𝟎−𝐜
**) π(p) = (P – c)*(60 – P) = 60P – P2 – 60c +cp 60 – 2P + c = 0 P=
𝟐
𝟔𝟎−𝐜 120−60+c 𝟔𝟎+𝐜
il prezzo è: P = 60 - = =
𝟐 2 𝟐
 In monopolio, scegliere la strada del prezzo o scegliere quella della quantità dà lo
stesso risultato; normalmente si sceglie la strada della quantità, perché se i costi marginali
non sono costanti, l’espressione *) si può scrivere: π(q) = (60 – Q – c)Q = P(Q)Q – c(Q).

Esempio 2: immaginiamo che ci siano due imprese simmetriche, la quantità venuta dalla
prima impresa è q1 = 60 – 2p1 + p2; supponiamo che i costi marginali siano costanti e
uguali a 20  c1 = c2 = 20.
π1 = (60 – 2p1 + p2)(p1 – 20) = 60p1 – 1200 – 2p12 + 40p1 + p1p2 – 20p2
= 100p1 + 1200 – 2p12 + p1p2 – 20p2
π1 1 1 4−1
= 100 – 4p1 + p2 = 0 p1 = 25 + p2 p- p2 = 25 p = 25
p1 4 4 4
3 25 4
p = 25 p= 3 p = 25 * p = 33,3
4 3
4

q1 = q2 = 60 – 33,3 = 26,67
Le imprese sono simmetriche, quindi p1 = p2 = p = 33,3
 abbiamo ottenuto l’equilibrio in Bertrand con prodotti differenziati.
Le imprese sono identiche e hanno lo stesso costo marginale: posso anticipare che alla
fine faranno le stesse scelte, se fanno le stesse scelte indico con p sia p1 che p2; con
questi dati posso trovare un equilibrio dove vengono scelti, non i due prezzi ma le
quantità? Sì: se scelgo le quantità non posso più scrivere π1 in funzione di p1 e p2, ma
dobbiamo scrivere π1 in funzione di q1 e q2: per poter scrivere le due funzioni di profitto
facendo comparire tra le variabili solo le quantità q1 e q2 devo risolvere il sistema
trattando p1 e p2 come se fossero le incognite, in modo da girare questo sistema ed avere
p1(q1, q2) =… e p2(q2, q1) =… :

q2 = 60 – 2p2 + p1 p1 = q2 – 60 + 2p2
q1 = 60 – 2p1 + p2 p2 = q1 – 60 + 2p1
= q1 – 60 + 2(q2 – 60 + 2p2)
72

* *
p2 = q1 – 60 + 2q2 – 120 + 4p2 3p2 = 180 – 2q2 – q1
2 1 2 1
p2 = 60 - q2 - q1 p1 = 60 - q1 - q2
3 3 3 3
i profitti saranno in funzione delle quantità:
2 1 π1 4 1
π1(q1, q2) = (60 - q1 - q2 – 20)q1 = 60 - q1 - q2 – 20 = 0
3 3 p1 3 3
5 3
sfrutto la simmetria: q = 40 q = 40* = 24 q1 = q2 = 24 P = 60 – 24 = 36
3 5
π = (36 – 20)*24 = 384 (profitto di ogni impresa)
 abbiamo ottenuto l’equilibrio in Cournot con prodotti differenziati.

È sempre il profitto della prima impresa, solo che nel primo esempio è scritto come
funzione dei due prezzi (Bertrand), e nel secondo viene scritto come funzione delle due
quantità (Cournot).
Nel primo esempio mi interessava capire come venivano scelti i prezzi, nel secondo mi
interessa capire come scegliere le quantità (non devo scegliere il prezzo): tutti i
ragionamenti possiamo farli in un senso o nell’altro, ma i due equilibri che ho ottenuto non
sono uguali!  l’equilibrio è più concorrenziale quando si scelgono i prezzi!
La competizione sui prezzi è sempre più forte rispetto alla competizione sulla quantità:
quanto più aggressiva, dipende dal grado di differenziazione del prodotto; come
caso estremo, se i due fossero due monopolisti completi, quantità e prezzo sarebbero la
stessa cosa (vedi esempio 1).
Se i beni sono molto simili, allora i due modelli ci danno dei risultati drasticamente diversi,
perché con Bertrand c’è una competizione feroce; se invece i due beni sono sostituti, ma
non sono proprio la stessa cosa, sono più differenziati, allora i due modelli danno risultati
diversi, ma non così drammaticamente diversi come in precedenza, si avvicinano
 siamo differenziati, ma non siamo estremamente differenziati, e non siamo neanche
completamente omogenei, e quindi si riesce in ogni caso a fare dei profitti, ma Bertrand
rimane sempre più concorrenziale di Cournot. Di quanto? Dipende dal livello di
differenziazione del prodotto.
Ci sono 2 tipi di differenziazione:
 la differenziazione orizzontale: ci sono beni con caratteristiche diverse, che non
sono a priori migliori o peggiori delle altre: le caratteristiche di questi prodotti non li
rendono in assoluto migliori di altri, per esempio il colore  ci sono due auto, una
rossa e una blu; sono diverse, sono differenziate, ma il blu non è migliore del rosso
73

a priori. Altro esempio Coca Cola e Pepsi: sono diverse come gusto, ma non si può
dire nettamente a priori che una sia nettamente migliore dell’altra
 la differenziazione verticale: le caratteristiche sono oggettivamente (secondo
l’opinione di tutti) superiori ad altre; esempio: ultimo modello di cellulare e cellulare
di 10 anni fa; altro esempio: Business Class ed Economy Class.
Il modello che utilizziamo è un modello spaziale, cioè si sviluppa nello spazio, ed è il
modello di Hotelling.

Esercizio: In un mercato in cui le imprese competono scegliendo i prezzi, opera


un'impresa la cui funzione di domanda per il proprio prodotto è q1 = 80 – 2p1 + p2 ed i cui
costi marginali sono costanti e pari a 12. Un'impresa concorrente fa riferimento ad una
domanda del tipo q2 = 60 – 2p2 + p1, e possiede costi marginali costanti e pari a c.
Ricavare tutte le variabili identificative dell'equilibrio e discutere la relazione tra queste e c.
q1 = 80 – 2p1 + p2 c1 = 12
q2 = 60 – 2p2 + p1 c2 = c
punto di partenza è sempre la definizione del profitto:
π1 = (P – 12)*(80 – 2p1 + p2) π2 = (P – c)*(60 – 2p2 + p1)
π1’ = 80 – 4p1 + p2 + 24 = 0 p2 = 4p1 – 104 (ho ricavato p2 da p1)
π2’ = 60 + 4p2 + p1 + 2c = 0 60 – 4(4p1 – 104) + p1 + 2c = 0

𝟒𝟕𝟔 + 𝟐𝐜
60 – 16p1 + 416 + p1 + 2c = 0 15p1 = 476 + 2c p1 =
𝟏𝟓
476 + 2c 1904 + 8c 4 ∗ 476 + 8c – 104 ∗15 𝟑𝟒𝟒 + 𝟖𝐜
p2 = 4* - 104 = – 104 = =
15 15 15 𝟏𝟓

c è il costo di produzione della seconda impresa: il prezzo del bene della seconda impresa
aumenta all’aumentare dei suoi costi  l’aumento di 1 euro fa salire di 8/15 di euro il
prezzo p2.
Ma anche il prezzo p1 aumenta se aumentano i costi del concorrente! L’effetto
indiretto è più piccolo dell’effetto diretto, però vanno nella stessa direzione perché sono
complementi strategici  l’impresa 1 trova ottimale aumentare il proprio prezzo, perché
per lei, sulla sua curva di domanda, il prezzo del concorrente è come se fosse un
elemento che fa spostare la domanda senza che lei faccia niente: è come se il suo
mercato si fosse allargato senza che lei faccia niente; quindi approfitta di questa
espansione della domanda, chiedendo un prezzo più alto.
Se i costi fossero uguali (se c fosse = 12) che cosa accadrebbe?
74

p1 = 476 + 2*12 = 500/15 = 33,33 p2 = 344 + 8*12 = 440/15 = 29,33


P1 è più alto perché le domande sono diverse, ma le domande sono tutte uguali, ad
eccezione della costante, che è 80 per p1, e 60 per p2  a parità di prezzi, in ogni caso la
quantità richiesta per il bene 1 è maggiore della quantità richiesta per il bene 2: q1 > q2.

Temi di discussione:
In questo tipo di variante del modello di Bertrand, si richiede che l’effetto diretto dei propri
prezzi sia maggiore dell’effetto indiretto dei prezzi dei concorrenti.
Se aumenta il prezzo di tutte e due i beni contemporaneamente, abbiamo l’effetto diretto,
che è quello del prezzo proprio; e l’effetto indiretto che è quello del concorrente: ci
aspettiamo che l’effetto diretto sia più forte dell’effetto indiretto
 questo è necessario per avere una curva di domanda aggregata che è negativa
rispetto all’indice dei prezzi del bene considerato.
Nella differenziazione orizzontale non esiste un criterio univoco per ordinare i prodotti dal
migliore al peggiore: l'ordine dei prodotti è stabilito dalle preferenze soggettive dei singoli
consumatori che, costruiscono la propria scala di valori soggettiva sulla base delle proprie
preferenze. Ad esempio, l'aranciata può essere dolce, normale o amara a seconda della
percentuale di zucchero e dolcificanti disciolti nella bevanda; alcuni consumatori
apprezzano di più l'aranciata dolce (A) mentre altri consumatori preferiscono quella amara
(F)  i consumatori possiedono scale di valori differenti nei confronti della stessa varietà
del prodotto:

Lo spazio delle caratteristiche rappresenta sulla retta la situazione dell'intero mercato: i


prodotti più vicini tra loro sono in diretta concorrenza, poiché occupano un posizionamento
di mercato simile; viceversa, le aziende produttrici dei prodotti più distanti dagli altri hanno
maggiore potere di mercato, in quanto non subiscono la concorrenza di altre imprese nello
stesso posizionamento. Ad esempio, l'azienda produttrice dell'aranciata più amara (F) è
molto lontana dalle altre, e può applicare un prezzo di vendita più alto, senza dover temere
la concorrenza delle altre imprese. Lo stesso può dirsi per l'azienda produttrice del
75

prodotto D (prodotto intermedio). Le aziende produttrici dei prodotti più dolci (A, B e C)
invece non possono aumentare il prezzo del prodotto, perché se lo facessero
perderebbero quasi del tutto la propria quota di mercato  ad esempio, se l'azienda del
prodotto B decidesse di aumentare il prezzo di vendita sul mercato, molti consumatori
smetterebbero di acquistare il prodotto B, sostituendolo con il prodotto A, e con il prodotto
C (beni sostituti).
L’asimmetria tra imprese non è più determinata solo da differenze nei costi.
L’asimmetria tra imprese può dipendere dalla differenza dei costi, dalla capacità
produttiva, dalla produzione di un bene che agli occhi dei consumatori viene percepito
diverso dal prodotto di un’altra impresa che produce lo stesso bene.
Le curve di domanda individuali dipendono dalla definizione del mercato rilevante.
Il mercato rilevante può essere definito come il più piccolo contesto – insieme di prodotti,
area geografica – dove è possibile, tenendo conto delle possibilità di avere beni sostituti,
creare un certo grado di potere di mercato; un’impresa ha un potere rilevante se può
alzare i propri prezzi ad un livello profittevole rispetto ai prezzi di concorrenza. L'esigenza
di individuare un mercato rilevante è quella di individuare la capacità di un'impresa di
alterare in maniera consistente il gioco della concorrenza.
Nulla impedisce che, con prodotti differenziati orizzontalmente, le imprese competano
scegliendo la quantità.
Nel momento in cui scelgo la mia capacità produttiva, in un contesto di perfetta
informazione dove tutti sanno tutto di tutti, non andrei mai a scegliere una capacità
eccedente rispetto a quanto non andrei effettivamente a utilizzare; quindi scegliere la
capacità o scegliere la quantità è la stessa cosa, e una volta stabilito quanto produrre
posso pensare ai prezzi.
Il caso precedente potrebbe essere interpretato come gioco a due stadi, con scelta della
capacità.
Vedi risposta precedente.
A parità di curva di domanda, la competizione sui prezzi conduce a minori profitti in
equilibrio, rispetto ad una competizione basata sulla quantità.
Secondo il pensiero di Bertrand “bastano due imprese per fare concorrenza”: è una
concorrenza estrema, perché porta ad una guerra dei prezzi al ribasso; se c’è già un
prezzo p1, l’impresa 2 applicherà un prezzo p1 – ε. Se ci sono due imprese, e una ha
costi marginali più alti, questa è destinata ad uscire dal mercato, a favore di quella che ha
76

costi marginali inferiori. Inoltre, il prezzo che si forma in Bertrand è il costo marginale
dell’altro, quindi produce e fa profitti solo l’impresa più forte.
I profitti totali diminuiscono comunque all’aumentare del numero di imprese presenti.
Il prezzo di concorrenza perfetta è il costo marginale; i profitti sono la differenza tra il
prezzo ed il costo marginale (uguale al costo medio), moltiplicato per la quantità prodotta
da ogni impresa: al crescere del numero di imprese i profitti di ogni impresa diminuiscono
 la concorrenza erode i profitti.
Il grado di differenziazione è scelto dalle stesse imprese, similmente alla capacità
produttiva.
Installare una capacità produttiva che per un certo ammontare rimane inutilizzata non è
razionale: installo una certa capacità in base a quello che so che posso produrre; le
imprese scelgono il grado di differenziazione sulla base della disponibilità a pagare dei
clienti: considero positivamente determinate caratteristiche, e le “peso” in base ai miei
gusti, esigenze, disponibilità a pagare. Il grado di differenziazione del prodotto dipende
dalla tecnologia dell’impresa, dai suoi costi di produzione, dalle scelte aziendali.
Non basta produrre un bene differenziato per fare profitti.
Se le imprese producono beni differenziati, ognuno va per la sua strada e si convive in
pace; se i prodotti sono differenziati vuol dire che esiste una domanda specifica per un
prodotto, e che anche i clienti sono differenziati, cioè non ragionano tutti allo stesso modo.
I beni differenziati sono una caratteristica tecnologica: le imprese ad un certo punto
decidono cosa produrre e quanto differenziare il proprio prodotto; una volta deciso,
mantengono quanto deciso e non lo cambiano, almeno per un certo periodo; dopo questo
possono scegliere il prezzo e le quantità.
Le imprese differenziano i prodotti per non essere ostaggi del mercato e della guerra dei
prezzi  differenziano per andare a catturare i clienti e fidelizzarli, e soprattutto per
mantenere dei clienti anche quando si possono fare delle scelte diverse da quelle dei
concorrenti.
77

MODELLO DI HOTELLING
Il modello di Hotelling non è un altro modello in aggiunta a quelli di Cournot e Bertrand,
ma è un modello che cerca di spiegare da dove saltano fuori le due curve di domanda
differenziata che abbiamo usato prima, e dà conto del fatto che quando cambiano i
prezzi abbiamo dei consumatori che reagiscono in modo diverso: qualcuno continua
a comprare, qualcuno non compra più, qualcuno compra da un’altra parte, in modo tale
che alla fine le quantità dipendono dai prezzi relativi  quanto è alto il mio prezzo
rispetto a quello del concorrente, non rispetto al prezzo assoluto.
A questo ci si arriva facendo una specie di analogia con un modello visivo e ultra
semplificato, dove le caratteristiche che differenziano il prodotto sono riportate ad una sola
dimensione, e questa dimensione dal punto di vista geometrico equivale ad un segmento;
quindi essere idealmente posizionati su un segmento significa andare a considerare cose
che possono variare rispetto ad una dimensione sola, come per esempio chiaro/scuro,
blu/rosso, dolce/salato, dove possiamo identificare sia i colori, sia i gusti dei consumatori
come un punto che si posa su una scala ideale.
Perché i consumatori possono comprare un bene anche se questo costa di più?
Perché quel bene ha delle caratteristiche peculiari che si avvicinano di più al loro ideale;
quindi noi associamo ad ogni punto di quel segmento:
 sia la collocazione del prodotto: in particolare, se siamo in duopolio, è come se
immaginassimo due produttori localizzati alle estremità del segmento
 sia ogni consumatore, associato ad una sua combinazione ideale: per esempio,
se il segmento viene visto come una misurazione di quanto dolce o salato può
essere un biscotto, ci sono solo due biscotti sul mercato, uno completamente dolce,
e uno completamente salato, e il consumatore è collocato in un punto in qualche
modo intermedio. Se il consumatore è posizionato a metà strada, vuol dire che il
consumo, cioè il biscotto ideale, deve essere né dolce, né salato: più sei vicino ad
una estremità e più vuoi il salato; più sei vicino all’altra estremità e più vuoi il dolce.
Su una situazione di questo tipo si può avere che consumatori molto vicini al loro ideale di
prodotto sono anche disposti a pagare di più per averlo; e questo ha un equivalente fisico
che corrisponde ad una città lineare: c’è un paese che è localizzato lungo una via
centrale lungo la quale si distribuiscono i consumatori; ogni consumatore è localizzato in
un certo punto di questo segmento; immaginiamo che alle due estremità di questa via
centrale siano localizzati due negozi concorrenti, che vendono la stessa cosa; ogni
consumatore ha una domanda di tipo discreto, cioè compra o non compra, purché il
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prezzo da pagare sia sotto una certa soglia, per cui il problema che ha il consumatore non
è se comprare, ma da chi comprare  il paese è il segmento; il segmento è una
dimensione (a volte si usa l’esempio della spiaggia, alle cui estremità sono localizzati due
negozi di gelati).
Il modello di Hotelling, come detto prima, non è un ulteriore modello, ma è un
generatore di domanda: le due funzioni di domanda utilizzate prima le possiamo
immaginare come qualcosa che è stato generato da un qualche tipo di modello di Hotelling
 quindi il modello di Hotelling serve solo per generare le funzioni di domanda; dal
momento in cui abbiamo ricavato le funzioni di domanda, si procede come abbiamo
sempre fatto: calcoliamo i profitti in funzione dei prezzi, …
In questo modello, per ricavare la funzione di domanda, è fondamentale capire dove corre
il confine tra un’area di mercato e l’altra; il confine corre in corrispondenza di uno specifico
consumatore, che è il consumatore marginale indifferente, cioè è quel consumatore che
va individuato dove si colloca, e che non sa se andare a destra o se andare a sinistra,
perché quella è la linea di confine: tutti quelli che stanno alla sua destra vanno a destra, e
tutti quelli che sono alla sua sinistra vanno a sinistra, quindi riusciamo a capire come si
divide il mercato.
Un ruolo particolarmente importante in questo modello viene giocato da un parametro, che
nella versione spaziale-geografica del modello viene chiamato costo del trasporto, e che
ha l’equivalente, dal punto di vista di modello virtuale legato alle caratteristiche dei
prodotti, del significato di fatica di adattarsi a comprare qualche cosa che è distante dal
punto in cui siamo posizionati  nel modello spaziale può chiamarsi costo del trasporto;
nel modello più generale può essere visto come quanto rigidi, o quanto instabili, possiamo
essere nelle nostre scelte.
Possiamo ipotizzare che i costi di trasporto siano proporzionati alla distanza: vuol dire che
c’è un costo di trasporto t, e se raddoppia la distanza, raddoppia il costo del trasporto
 t moltiplicato per la distanza da dove abito e il negozio che sto considerando di volta in
volta è il costo del trasporto totale
 t è costante! Cambia solo la distanza.
Per visualizzare graficamente questo modello è utile costruire un grafico doppio, dove
invece di avere un solo asse verticale ne abbiamo due, perché andiamo a considerare due
funzioni: una è la funzione del prezzo lordo che comprende il costo del trasporto che si
riferisce al negozio 1; l’altra funzione è la funzione di prezzo lordo che comprende il costo
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del trasposto che si riferisce al negozio 2, e ogni negozio ha il suo asse in cui viene
misurato il prezzo:

I punti che stanno nel segmento orizzontale sono punti che hanno una certa distanza
verso destra e una certa distanza verso sinistra; se mettiamo un punto qualsiasi lungo il
segmento orizzontale e tiriamo una linea in verticale, andiamo ad incrociare le due funzioni
 le due funzioni mi dicono quanto mi costerebbe (tenendo conto anche del costo del
trasporto) se andassi a comprare al negozio 1 o al negozio 2: il mio problema diventa
trovare qual è il prezzo più piccolo tra i due, cioè il più basso in verticale; e sto assumendo
che questo prezzo minimo sia a sua volta inferiore alla disponibilità a pagare
 non sono funzioni di reazione!: non c’è equilibrio di Nash questa volta!
 Xm è il punto di incrocio tra le due funzioni che abbiamo costruito: in questo punto
sono indifferente, nel senso che comprare a destra o comprare a sinistra comporta
lo stesso costo
 il punto Xm non è a metà!!! È spostato verso destra, perché il negozio 2 applica un
prezzo lievemente superiore, e per far sì che nel punto Xm io sia indifferente bisogna che
il maggior costo all’origine di andare al negozio 2 sia compensato da un risparmio sul
costo di trasporto; ma un risparmio sul costo del trasporto si può avere solo se sono vicino
al negozio 2 rispetto al negozio 1, perché i costi di trasporto sono gli stessi per unità, e
l’unico modo per avere i costi più bassi e avere una distanza minore.
Il punto Xm è un punto importante perché è una specie di confine, è come uno
spartiacque, perché tutti quelli che si trovano a sinistra di Xm vanno nel negozio 1, e quelli
che sono a destra vanno nel negozio 2: siamo interessati a capire quanti vanno da una
parte e quanti vanno dall’altra, e questo dipende da come le persone sono distribuite
all’interno del segmento, cioè qual è la densità di popolazione di una parte rispetto all’altra.
80

L’ipotesi più semplice che possiamo fare è che le persone siano omogeneamente
spalmate e distribuite lungo il segmento  questo non è realistico, lo assumiamo per
semplicità.
Se sono spalmati in maniera uniforme, è importante sapere dove si trova questo
“confine”, perché divide il segmento in due parti: a occhio, circa il 70% del segmento si
trova a sinistra, il 30% del segmento si trova a destra. potremmo dire che se N è il numero
di persone presenti, N(0,7) va al negozio 1, mente N(0,3) va al negozio 2; dati dei prezzi
iniziali, dov’è questo misterioso Xm che fa da spartiacque tra quelli che vanno da una
parte e quelli che vanno dall’altra?
Il risultato dipende dai prezzi all’origine e dal costo del trasporto, ma il costo del
trasporto è un dato oggettivo che le imprese non possono influenzare; se cambia
questo dato di partenza potrebbe anche cambiare l’equilibrio
 le imprese decidono solo p1 e p2.
Stiamo ipotizzando che le imprese vendano la stessa cosa (stesso gelato, stesso
frigorifero): ma anche se vendono la stessa cosa, applicando prezzi diversi, non è vero
che chi applica il prezzo più alto non vende niente.
Chi continua a comprare al negozio 2? Chi abita vicino! Questi clienti non li perdiamo!
Se per qualche motivo le imprese cambiassero i prezzi, per esempio una delle due lo
alzasse, si modificherebbero le aree di mercato, si modificherebbero le quantità vendute,
ma in generale non perdiamo tutti i clienti.

In questo grafico è stato ipotizzato un aumento del prezzo p1: se aumenta il prezzo p1,
cambia l’intercetta sull’asse del prezzo del negozio 1, non cambia l’inclinazione perché
l’inclinazione è il parametro t (costo del trasporto) che non è cambiato  in parallelo ci si
sposta verso l’alto, e troviamo la nuova intersezione X’m
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 il negozio 1 ha alzato il prezzo e c’è una differente ripartizione dei consumatori:


 tra il negozio 1 e X’m troviamo quei consumatori che prima andavano al negozio
1, e continuano ad andare al negozio 1, nonostante abbia aumentato i prezzi
 tra X’m e Xm troviamo quelli che hanno cambiato idea: prima andavano al negozio
1, adesso il negozio 1 è diventato più caro e non ci vanno più, vanno al negozio 2
 tra Xm e il negozio 2 troviamo quelli che andavano al negozio 2 prima, e
continuano ad andarci perché è più conveniente rispetto all’alternativa
 dal punto di vista della domanda, l’area di mercato del negozio 1 si è ristretta: è
diminuita la quantità venduta, ma non è andata a zero
 il negozio 2 non ha cambiato il proprio prezzo, ma beneficia del fatto che l’altro ha
aumentato il suo prezzo (p1), quindi il negozio 2 vede aumentare la propria area di
mercato, e di conseguenza vede aumentare la quantità venduta e i clienti serviti.
Come è determinato analiticamente Xm?
Premessa: dobbiamo stabilire quanto è lungo il segmento; supponiamo per semplicità che
la lunghezza complessiva sia 1; Xm è un numero  il punto X è la distanza rispetto
all’origine, ma in questo grafico abbiamo 2 origini:
 quando misuriamo la distanza D intendiamo la distanza di X dal negozio 1
 automaticamente determiniamo la distanza 1 – Xm, che è la distanza di X dal
negozio 2.
Possiamo calcolare Xm sfruttando l’uguaglianza tra i due costi:
p1 + tXm = p2 + t (1 – Xm)
p1 + tXm = p2 + t – tXm
(p2 – p1 +t) 𝟏 (𝐩𝟐 –𝐩𝟏)
2tXm = p2 + p1 +t  Xm(p1, p2) = Xm = +
2t 𝟐 𝟐𝐭

In generale, ogni consumatore valuta se è più grande p1 + tXm oppure p2 + t(1-Xm), e


sceglie quello più basso tra i due; c’è solo uno che è indifferente, ed è Xm: per lui vale
l’uguaglianza; in un’espressione come quella sopra, se p2 = p1, Xm diventa uguale a 0,5,
che vuol dire che siamo perfettamente a metà  cioè, se i prezzi fossero uguali, l’unico
criterio per la scelta del negozio è la localizzazione, cioè si sceglie quello più vicino.
Solo se i prezzi fossero diversi lo spartiacque non sarebbe a metà, e dipenderebbe da:
 numeratore: differenziale di prezzo  se p2 > p1, Xm risulterebbe più grande di
½ (0,5), e lo spartiacque si avvicinerebbe al negozio 2: vuol dire che tanti vanno al
negozio 1  Xm si sposta a destra, e aumenta l’area di mercato del negozio 1
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 se p2 < p1, Xm risulterebbe più piccolo di ½, lo spartiacque si avvicinerebbe al


negozio 1: vuol dire che tanti vanno al negozio 2  Xm si sposta a sinistra, e
aumenta l’area di mercato del negozio 2
 denominatore: costo del trasporto t  se t è alto lo spostamento è piccolo; se t
è basso lo spostamento è grande
Se i due negozi vendono frigoriferi, spostare un frigorifero costa sicuramente di più che
spostare un oggetto più piccolo, e quindi t sarebbe alto; in questo caso potremmo dire che
il differenziale di prezzo conta, ma siccome il frigorifero è pesante, la distanza è allo stesso
modo importante: ci vuole un forte differenziale di prezzo per convincermi a portare il
frigorifero ad una distanza significativamente maggiore.
Se mi fa piacere trasportare il frigorifero e fare un po’ più di strada, t sarebbe basso, quindi
basta pochissimo per spostare un sacco di gente da una parte o dall’altra; con t molto
basso potremmo avere una situazione quasi come in Bertrand, perché tutti vanno dove
costa meno, e la distanza è irrilevante.
 Quanto incide la distanza è mediato dal costo del trasporto.
Se abbiamo fissato la lunghezza totale del segmento a 1, Xm è un numero compreso tra 0
e 1; se t=1 bisogna che tra p2 e p1 non ci sia troppa differenza, perché se c’è tanta
differenza otteniamo un numero minore di 0 o maggiore di 1  si tratta di casi limite dove
tutto il mercato lo prende uno dei due (vedi esempio compito 5 maggio 2015 – vero/falso).
Se i consumatori sono equamente distribuiti e ce n’è un totale N, possiamo dire che
p2 −p1 +t
moltiplicando per N l’espressione X m (p1 , p2 ) = , troviamo la funzione di
2t
p2 −p1 +t
domanda del negozio 1: D1 = N ( ).
2t
Xm dice la percentuale di quelli che vanno nel negozio 1, mentre la percentuale di coloro
p2 −p1 +t
che vanno al negozio 2 è 1 – Xm: D2 = N (1 − ).
2t

Esempio: supponiamo che ci siano 100 consumatori, e Xm=0,7; sapendo che ogni
consumatore compra un’unità del bene, posso dire che 70 consumatori vanno nel negozio
1, e il negozio 1 vende 70 unità. L’altro negozio venderà quindi 30 unità; t è come se fosse
il costo marginale, è un dato; N, numero di consumatori totali, è dato.
Le uniche incognite sono p1 e p2, ed è una funzione di domanda che dice, di fronte a due
generici prezzi p1 e p2, quanto si vende.
Introduciamo un generico costo c, che si intende uguale per tutti e due  c’è
simmetria!
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Equilibrio di Bertrand-Nash con prodotti differenziati:


(p2 – p1 + t)
profitti dell’impresa 1: π1 = (p1 – c)D1 = N(p1 – c) 2t
p2p1 – p12 + tp1 + cp1 – cp2 – ct
π1 = N ( )
2t
π1 N
derivate rispetto a p1: = (p2 − 2p1 + t + c) = 0
p1 2

(𝐩𝟐+ 𝐭 + 𝐜)
 p1* =
𝟐
(𝐩𝟏+ 𝐭 + 𝐜)
L’impresa 2, per simmetria, ha una funzione di reazione simile: p2* =
𝟐
(𝐩+ 𝐭 + 𝐜) 1 t+c
quindi: p1 = p2 = 𝟐
p=
2 2
t+c
p= ∗2 p=t+c
2
𝐍𝐭
Il profitto unitario di ogni impresa è t; i profitti aggregati per ogni impresa sono
𝟐

Una volta calcolati i due prezzi possiamo calcolare tutto il resto, per esempio le quantità
vendute, anche se qui è banale perché se i prezzi sono uguali, metà consumatori vanno
da una parte, e l’altra metà vanno dall’altra; e posso calcolare i profitti.
Osservazioni: le imprese di cui stiamo parlando fanno profitti, perché produrre una unità
costa c, ma ogni unità viene venduta al prezzo c + t, quindi il guadagno è t.
Se questo t (profitto unitario) lo moltiplico per le unità vendute (N/2), trovo che i profitti
aggregati sono Nt/2  più è alto N, più consumatori ci sono, e siccome il mercato è diviso
in due parti uguali, più consumatori ci sono, più ciascuna impresa ne riceve.
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Ogni unità venduta frutta t  t non è qualcosa che sceglie l’impresa, ma è il costo del
trasporto; t è sopportato dai consumatori, non dalle imprese; il costo del trasporto è quello
che governa la sensibilità dei consumatori ai differenziali di prezzo:
 se t è alto, i consumatori sono abbastanza insensibili a differenze di prezzo; se t
è alto e alzo il prezzo perdo pochi consumatori: questo significa che la curva di
domanda della mia impresa è rigida  se l’altro cambia il prezzo e t è alto, la mia
domanda non cambia tanto
 se t è basso i consumatori sono molto sensibili al differenziale di prezzo; se t è
quasi zero siamo quasi in Bertrand: basta un centesimo in meno, e tutti vanno dalla
parte dove il bene costa meno  la differenza di prezzo incide molto! Se t è basso
vuol dire che la funzione di domanda di ogni singola impresa è molto elastica: se
mi azzardo ad alzare il prezzo rischio di perdere quasi tutti i miei clienti, e ci
avviciniamo al caso di Bertrand con beni omogenei
t  = domanda rigida
t  = domanda elastica
 più è alto il costo del trasporto, più potere di mercato hanno le imprese, e meno
sono reciprocamente influenzabili
 più è basso il costo del trasporto, più ci avviciniamo a Bertrand, e tutti vanno da una
parte o dall’altra, basta che ci sia anche un solo centesimo di differenza.
Avere dei costi di trasporto significa che tutti abbiamo in mente un prodotto con una
combinazione ideale di caratteristiche che corrisponde al punto dove siamo collocati
nel segmento; dovendo comprare un prodotto che abbia le mie caratteristiche ideali, mi
adatto!
 t è il livello di rigidità psicologica del consumatore, cioè quanto riesco ad adattare le
caratteristiche del prodotto che trovo rispetto alle mie caratteristiche ideali; t è la misura
monetaria del fatto che mi debba adattare a quello che il mercato mi offre, che non è
necessariamente la mia combinazione ideale di prodotto
 quello che è disponibile sul mercato ha determinate caratteristiche; io cerco certe
caratteristiche e valuto quanto distante sono dal mio ideale; non è solo sulla base dei miei
desideri che scelgo: da una parte ci sono i miei desideri, e dall’altra c’è il costo
 sono disposto ad adattarmi un po’ di più se risparmio in modo significativo? Dipende
dalla mia rigidità psicologica.
Che cosa accadrebbe, in un mercato come questo, se ci fosse un limite superiore, cioè se
ci fosse un limite di prezzo oltre il quale non si può andare?
85

V = limite superiore
V
indifferente
tra comprare
e non
comprare

Negozio 1 X’’m Negozio 2


consumatori consumatori consumatori
che vanno al che non che vanno al
negozio 1 comprano negozio 2

 dobbiamo inserire una terza funzione, e, immaginando che questo limite V sia uguale
per tutti, dobbiamo disegnarlo come una linea orizzontale; questa volta abbiamo 3
alternative che sono: - comprare dal negozio 1
- comprare dal negozio 2 il mercato si divide in 3 spezzoni!
- non comprare
Per valutare quello che mi conviene fare, potrei andare a vedere quanto valgono le 3
funzioni, e la mia scelta sarà guidata da quale tra questi 3 valori è più basso  se è più
basso V, non compro!
Nel punto X’’m il minimo è sia V che il prezzo p1 + tp, quindi in questo punto il
consumatore è indifferente tra andare al negozio 1 e non andare (mentre prima Xm
era indifferente tra andare a destra o a sinistra!!!).
Il mercato adesso è diviso in 3 parti:
 nel primo spezzone troviamo quelli che vanno a comprare al negozio 1
 nel secondo spezzone troviamo quelli che non comprano niente, perché sono
abbastanza lontani dai due negozi, e siccome il costo del trasporto è rilevante, se lo
si considera, non vale la pena comprare
 nel terzo spezzone troviamo quelli che vanno a comprare al negozio 2.
Per calcolare X’’m dobbiamo trovare un’equazione come quella di prima:
(𝐕 – 𝐩𝟏) (𝐕 – 𝐩𝟐)
p1 + tX’’m = V  X’’m = (X’’m = 1 – )
𝐭 𝐭
Se il segmento è lungo 1, e se il numero totale dei consumatori è N, la domanda del primo
negozio è:
𝐕 – 𝐩𝟏 𝐕 – 𝐩𝟐
D1 = N( ) (D2 = N(𝟏 – ))
𝐭 𝐭
86

C’è però una fondamentale differenza tra la curva di domanda di prima (con Xm) e
quest’ultima (con X’’m): c’è un solo prezzo!
 questo è un monopolista, perché c’è una domanda che dipende da un unico prezzo: se
cambia il prezzo, cambia l’area di mercato, ma non tocca l’area di mercato del
concorrente.
In economia questo si chiama monopolista spaziale, ed è come dire che ci sono 2 città,
però l’unico a vendere frigoriferi sono io, e quelli che abitano qui non trovano conveniente
andare a comprare il frigorifero da un’altra parte  qui comando io!
Io non sono soggetto alla concorrenza  se V è basso sono un monopolista spaziale;
se V aumenta o p1 diminuisce, prima o poi potrei incrociare l’altro negozio.

Il modello di Hotelling è un modello che interpreta la competizione in un contesto spaziale;


le imprese che vendono prodotti differenziati, hanno una modalità di competizione e una
curva di domanda che non dipende solo dall’unico prezzo che si forma, ma bisogna
distinguere tra il prezzo del proprio prodotto, e il prezzo del/i concorrente/i.
L’elemento fondamentale è che uno non perde tutti i clienti qualora abbia il prezzo
leggermente più alto del concorrente, e questo è quello che crea un legame tra la
versione con vincoli di capacità e questa.
Nel modello di Bertrand con vincoli di capacità ci eravamo chiesti chi determina la
capacità; in realtà sono le stesse imprese che la scelgono in un momento
precedente, poi nel momento in cui fanno concorrenza nei prezzi, questa decisione presa
in un periodo precedente non può più essere messa in discussione.
Nel modello di Hotelling, tra i punti di partenza, c’era la localizzazione delle imprese.
I prodotti sono diversi per tanti elementi: ogni bene e ogni consumatore è caratterizzato
da un insieme di caratteristiche  doversi adattare a qualcosa più o meno lontano dalle
caratteristiche ideali lo reinterpretiamo come uno sforzo (costo del trasporto) per muoversi
dalle caratteristiche ideali a quelle che il mercato effettivamente offre; la scelta finale non
sarà quello che è più vicino a me in termini di caratteristiche, ma bisognerà valutare la
vicinanza e il prezzo: farò uno sforzo di adattamento maggiore andando a prendere
qualcosa che è più lontano rispetto alla mia combinazione ideale, se questo è a fronte di
una significativa riduzione di prezzo.
In equilibrio, i negozi non si fanno una concorrenza estrema, e mantengono un po’ di
profitti; l’ammontare dei profitti dipende da quanto differenti sono i prodotti.
87

Nel caso del costo di trasporto: o il costo del trasporto è alto (= il prezzo incide poco), per
cui le persone si adattano con difficoltà a qualcosa di diverso dal loro ideale; oppure il
segmento è più lungo, e i beni sono più distanti.
Ma chi sceglie le localizzazioni?
Immaginiamo di spostare le imprese (i due negozi) dagli estremi (del segmento) verso
l’interno:

pA pB

dA dB

0 A X B 1

 in corrispondenza dell’impresa A, ci sarà una certa distanza dA (da 0 ad A)


 in corrispondenza dell’impresa B, ci sarà una certa distanza dB (da B a 1)
supponiamo che le due imprese abbiano fissato un determinato prezzo p A, e un
determinato prezzo pB:
 fissato un prezzo pA, allontanandoci da A aumenta il prezzo, comprensivo dei costi
di trasporto
 fissato un prezzo pB, allontanandoci da B aumenta il prezzo, comprensivo dei costi
di trasporto.
Sappiamo che il consumatore indifferente si trova nel punto X: dobbiamo tenere presente
che A non si trova in 0, e B non si trova in 1!; quelli che si trovano a sinistra di A sono
sicuramente consumatori che vanno da A  se non c’è troppa differenza tra i prezzi, i
consumatori che si trovano a sinistra di A vanno da A.
Per individuare X dobbiamo scrivere le condizioni di indifferenza:
pA + t(X – dA) = pB + t(dB – X)
2tX = pB – pA + t(dA + dB)
X = (pB – pA)/2t + (dA + dB)/2

punto che è a metà strada tra dA e dB


dA +dB
se pA = pB  X =  se i prezzi sono uguali: è il punto che sta a metà strada
2
tra dA e dB, che non è necessariamente a metà!
88

dA +dB dA +dB
Rispetto a prima ho ; adesso, se i prezzi sono uguali avrò X = .
2 2
dA +dB
è il punto che sta a metà strada tra dA e dB che non è necessariamente in mezzo al
2
segmento; all’interno di questo sotto segmento è come se fossimo nel vecchio modello di
Hotelling  X=1/2 se dA = dB.
A partire da questo mi ricavo la funzione di domanda, che mi permette di definire i profitti:
adesso i profitti dipendono dal mio prezzo e dal prezzo del concorrente; occorre poi
considerare i parametri t, c, dA e dB.
Differenze tra t e c, e dA e dB:
 t e c sono dei parametri che l’impresa non controlla; c è il costo di produzione; t è
il costo del trasporto che possiamo interpretare come la fatica che fanno i
consumatori a muoversi, o in senso geografico-spaziale o in senso virtuale (sforzo
di adattamento tra le loro preferenze e quello che trovano disponibile nel mercato)
 le imprese non possono controllarli!
 dA e dB possono essere controllati dalle imprese: date le due distanze, trovo il mio
equilibrio, quindi il profitto di A dipende dal prezzo di A, che dipende dalle distanze
A e B; e dipende dal prezzo di B, che è funzione delle distanze A e B; poi dipende
direttamente sia dalla distanza A che dalla distanza B
 il profitto dipende solo dalla distanza A e dalla distanza B, direttamente o
indirettamente, attraverso il ruolo che queste distanze hanno nel determinare i
prezzi di equilibrio.
Cosa succede se l’impresa A decide di spostarsi verso l’impresa B?
Se i prezzi rimanessero gli stessi, quando l’impresa A si sposta a destra, vedremmo che il
punto di intersezione si sposterebbe verso destra (punto rosso): l’effetto diretto di un
avvicinamento dell’impresa A all’impresa B è quello di un allargamento dell’area di
mercato per l’impresa A, e contemporaneamente una contrazione dell’area di mercato
per l’impresa B

pA pB

dA dB

0 A X B 1
89

 Vado a conquistare il consumatore indifferente che non è più indifferente e altri li


convinco a passare da me; il problema è che i prezzi non rimangono costanti!: se le due
imprese si avvicinano, i prezzi di equilibrio tendono a scendere  vuol dire che le due
imprese tendono a proporre dei beni più simili: il motivo per cui acquisto aree di mercato è
perché propongo qualcosa di simile al concorrente, quindi quelli che compravano di là
trovano più conveniente venire da me, perché non devono sforzarsi più di tanto per
adattarsi  i prezzi tenderanno a scendere perché la competizione diventa più
intensa: è come se rendessi meno differenziato il mio prodotto, che è lo stesso effetto di
una riduzione del costo del trasporto.
Se aumenta la mia area di mercato, i miei profitti tendono a salire; ma se, come
conseguenza indiretta, i prezzi scendono e la competizione si fa più intensa, i miei profitti
tendono a ridursi  ci sono due effetti che si sovrappongono:
 un effetto della localizzazione sui profitti
 un effetto indiretto che la localizzazione ha sui prezzi che si vengono a
determinare.
Con i vincoli di capacità dicevamo che quello che succederà in inverno dipende da quello
che succederà in estate; qui è lo stesso discorso, sono io che decido dove mettermi. Una
volta che abbiamo deciso insieme dove metterci, si sviluppa la competizione e si vengono
a determinare i prezzi, che sono figli della localizzazione iniziale scelta  esiste una
competizione a due stadi: prima scegliamo contemporaneamente dove metterci; poi,
una volta che ci siamo messi, non ci spostiamo più, e scegliamo i prezzi.
Nel momento in cui scegliamo i prezzi, la localizzazione è data, e quando ho scelto la
localizzazione lo sapevo  ho anticipato cosa sarebbe successo dopo; in questo modo
trovo i prezzi di equilibrio e le localizzazioni di equilibrio: è equilibrio di Nash!
Se sviluppiamo matematicamente, e teniamo conto dei due effetti, otteniamo che per
l’impresa A la scelta migliore possibile è localizzarsi nel punto 0, e la scelta migliore per B
è localizzarsi nel punto 1: ci sarebbero due equilibrio di Nash:
 A va in 0, e B va in 1
 B va in 0, e A va in 1
 prevale l’effetto strategico, quindi l’obiettivo finale è quello della massima
differenziazione. Ci possono anche essere situazioni in cui il segmento non ha un termine.
Ci sono molteplici equilibri, ma in tutti un negozio si mette all’opposto dell’altro.
90

Esercizio: Si consideri un mercato che opera sulla base delle ipotesi standard del modello
di Hotelling, con un segmento ipotetico di lunghezza unitaria (=1), sul quale si trovano
collocati 100 consumatori. Le due imprese, che si trovano idealmente alle due estremità,
hanno costi di produzione unitari (costanti) differenti: 6 e 3. Individuare le variabili
rappresentative dell'equilibrio di mercato in funzione del parametro di costo del trasporto t.
Esiste un valore minimo di t, al di sotto del quale una delle due imprese non opererà più.
Qual è questo valore? Assegnando a t questo valore, si ottiene un equilibrio identico a
quello di un modello di Bertrand asimmetrico con beni omogenei? Perché?

p1 p2
1-x
0 xm 1
Negozio 1 Negozio 2

Attenzione: di solito, quando di parla del modello di Hotelling, si immagina che la


lunghezza del segmento sia 1 = lunghezza unitaria, ma questo non vuol dire che il
segmento non possa essere anche di dimensioni più grandi; se per esempio il segmento
misura 3, allora 3/xm rappresenta la frazione di segmento a sinistra del consumatore
marginale indifferente; e 3 – xm rappresenta la parte di segmento a destra del
consumatore indifferente.
I consumatori sono collocati in modo uniforme lungo il segmento: il punto xm rappresenta il
consumatore marginale indifferente, quindi i 100 consumatori, se sono distribuiti in modo
uniforme, saranno 50 alla sua sinistra e 50 alla sua destra. I costi marginali sono costanti e
diversi; se fossimo in un contesto di beni non differenziati, automaticamente ci sarebbe
una guerra di prezzi che schiaccerebbe il prezzo al livello dei costi marginali più alti (6).
Il costo di trasporto è il costo per unità di distanza percorsa: vuol dire che se siamo
collocati nel punto 1, e volessimo comprare nel punto 0 rispetto al bene che viene fornito, il
prezzo pieno che paghiamo non è solo p1, ma è p1 + d; più in generale, se la distanza
da 0 è uguale a x, il prezzo che si paga è p1 + d*x.
Il primo passaggio che dobbiamo fare è individuare le due aree di mercato, cioè dove si
trova xm; per individuarlo riportiamo la condizione di indifferenza, cioè: dove di trova x m?
 xm si trova laddove i prezzi comprensivi del costo di trasporto risultano uguali:
91

imponendo che i due prezzi siano uguali, posso risolvere (esplicitare) l’equazione rispetto
a xm  bisogna vedere dove sono uguali, quindi scrivo l’equazione che identifica xm, cioè
che impone l’uguaglianza tra i due prezzi totali:
P1 + t(x) = p2 + t(1-x)  p1 + tx = p2 + t – tx
Osservazione: con x stiamo considerando la distanza dal punto 0, e siccome p1 è il prezzo
del bene prodotto nel punto 0, più ci si allontana dal punto 0, e più si paga un prezzo di
trasporto proporzionato alla distanza. L’altra distanza è scritta come 1 – x, che è la
distanza rispetto al punto 1, questo nel caso in cui il segmento è uguale a 1  se il
segmento fosse uguale a 2, scriveremo 2 – x; se fosse uguale a l (elle), scriveremo l – x.
Vogliamo risolvere questa equazione rispetto ad x; risolvendo rispetto a x troviamo una
funzione che ci dice dove si trova x, dati due generici prezzi:

p1 + t(x) = p2 + t (1 – x) p1 + tx = p2 + t – tx
p2−p1+t t 1
2tx = p2 – p1 + t 𝐗= (2t = 2)
2t
È preferibile riscrivere l’equazione nel modo seguente, perché in questo modo appare più
chiaro qual è il meccanismo che fa spostare x  x è la linea di confine tra chi va a destra
e chi va a sinistra
𝟏 𝐩𝟐 − 𝐩𝟏
𝐗= +
𝟐 𝟐𝐭

Se p2 fosse uguale a p1, a fronte di prezzi uguali ognuno va dal produttore più vicino, che
in senso geografico è abbastanza ovvio; in senso virtuale, invece, se si preferisce il
biscotto dolce si va da una parte, se si preferisce il biscotto salato si va dall’altra parte.
Anche se c’è una leggera preferenza per il salato, si va dalla parte del biscotto salato,
perché i prezzi sono uguali (stessa cosa se si ha una leggera preferenza per il dolce).
 Se i prezzi sono uguali il problema è dove andare, e non se andare: vado da quello
più vicino
 se i prezzi sono diversi, invece, la linea di confine non corre più su ½: se p2 risultasse
un po’ più grande di p1, la linea di confine si sposta a destra, e più del 50% dei
consumatori va al negozio 1, dove il prodotto costa meno; tuttavia, non tutti i
consumatori vanno dove costa meno: qualche consumatore molto vicino al punto 1 va al
punto 1 e paga un prezzo più alto, perché ha la distanza minore.
Viceversa se fosse p1 maggiore di p2.
Nel nostro caso abbiamo al numeratore p2 – p1, e al denominatore abbiamo 2t  vuol
dire che, a parità di differenziale di prezzo, lo spostamento del confine sarà tanto più
92

ampio quanto più piccolo sarà t  t è il costo del trasporto, e lo possiamo interpretare
come lo sforzo di adattamento per comprare il biscotto che non è del gusto ideale, oppure
la strada che si deve percorrere; allora la questione fondamentale è quanto pesa fare un
po’ più di strada, quanto pesa comprare un biscotto che non corrisponde al gusto ideale:
 se pesa poco, allora basta anche una minima differenza di prezzo per andare
dove costa meno  si è molto sensibili ad una variazione di prezzo
 se pesa molto, il denominatore è alto, e i prezzi non sono così importanti; si crea
sempre uno spostamento, ma è uno spostamento più ridotto, perché in questo
caso la distanza è molto importante, e c’è minore capacità di adattamento.
Quando abbiamo trovato x, cosa abbiamo effettivamente trovato? La curva di domanda?
No!, perché x misura la distanza (metri, km.), e la domanda misura le unità di prodotto.
Ma x, siccome l’intero segmento è lungo 1, oltre a misurare la distanza, misura anche
la percentuale del segmento, o di domanda complessiva, che è coperto dal
consumatore localizzato in un punto di questo segmento; per esempio, se i prezzi
fossero uguali, e il segmento fosse lungo 1 km., 0,5 vorrebbe dire che a 500 metri di
distanza troviamo il consumatore indifferente; però si può anche interpretare come 50%
dei consumatori va a destra, e l’altro 50% va a sinistra.
Quindi x non è la domanda, ma è la frazione di consumatore relativa al consumatore
con il prezzo p1, quello localizzato sullo 0; per avere la domanda (D1 = q1) dobbiamo
moltiplicare x per 100 (100 = numero di consumatori)
𝟏𝟎𝟎 p2 − p1
𝐃𝟏 = 𝐱 = 50 + 50
𝐥 t
Che si può scrivere anche:
50 50
q1 = 50 − p1 + p2
t t

 abbiamo trovato la quantità della domanda p1.


Tutto questo va bene se il segmento è lungo 1
 se il segmento è lungo 2, la frazione è x/2
 se il segmento è lungo l (elle), la frazione è x/l
 voglio sapere quanta parte del totale va a destra e quanta va a sinistra, e per averlo in
percentuale devo fare x/la lunghezza totale.
Con semplici passaggi abbiamo trovato la curva di domanda relativa al prezzo p1, e
adesso continuiamo come abbiamo sempre fatto; chiaramente ci sarà una curva di
domanda anche per il prezzo p2, che sarà:
93

50 50
q2 = 50 − p2 + p1
t t

Abbiamo scritto la funzione di domanda in questo modo perché così risulta più evidente la
similitudine con le due funzioni di domanda trovate prima; si può notare che i prodotti sono
differenziati, e hanno la caratteristica che la quantità che si vende dipende negativamente
dal proprio prezzo, ma positivamente dal prezzo dell’altro (il concorrente).
C’è una differenza rispetto alle curve di domanda trovate prima: il coefficiente che
moltiplica il proprio prezzo (= l’effetto su ogni bene) è diverso dall’altro, è più alto
(dovrebbe essere più alto); infatti, se si alzano tutti e due i prezzi insieme, le curve di
domanda non cambiano, perché le due quantità vendute q1 e q2 sono esattamente quelle
di prima.
Questo è dovuto un po’ alla particolarità del nostro problema: se aumentano i prezzi, la
gente comunque compra, e se i prezzi sono aumentati proporzionalmente un po’ di
consumatori andranno fuori a destra e un po’ a sinistra, ma alla fine non è successo
niente. Questa è la differenza rispetto al modello più realistico che avevamo visto prima.
Sulla base di quello che abbiamo ottenuto si può procedere come sempre fatto in
precedenza, ed è in questo stadio che entrano in gioco i costi differenti, cioè 6 e 3.
Come detto prima, il modello di Hotelling è un generatore di domanda: prima le curve di
domanda ci venivano date, ora le abbiamo ricavate; una volta ricavate, per capire dov’è
l’equilibrio, procediamo come prima, cioè scriviamo i profitti e poi, come abbiamo sempre
fatto, troviamo p1 e p2:

50 50 50 50
𝛑𝟏 = (p1 − 6) (50 − p1 + p2) 𝛑𝟐 = (p2 − 3) (50 − p2 + p1)
t t t t
π1 100 50 300 π2 100 50 150
= 50 − p1 + p2 − =𝟎 = 50 − p2 + p1 − =𝟎
p1 t t t p2 t t t
100 50t + 50p2 + 300 100 50t + 50p1 + 150
p1 = p2 =
t t t t
50t + 50p2 + 300 50t + 50p1 + 150
𝐩𝟏 = 𝐩𝟐 =
100 100

funzioni di reazione

Quelle ottenute sono le due funzioni di reazione che dobbiamo mettere a sistema per
trovare p1 e p2: sono speculari tranne una costante che è 300 nella prima, e 150 nella
94

seconda, che significa che, a parità di tutto il resto, il prezzo p1 tende ad essere più alto
del prezzo p2  tende ad essere più alto perché ci sono costi pari a 6

50t + 50p2 + 300


p1 =
100
50t + 50p1 + 150
p2 =
100
(50t + 50p1 − 150)
50t + 50 + 300
p1 = 100
100
50t + 50p1 + 150 50t + 50(5 + t) + 150
100p1 = 50t + + 300 p2 =
2 100
200p1 = 100t + 50t + 50p1 + 150 + 600 50t + 250 + 50t + 150
p2 =
100
150𝑝1 = 150𝑡 + 750
100𝑡 + 400
150t + 750 𝑝2 =
p1 = 100
150
𝐩𝟐 = 𝐭 + 𝟒
𝐩𝟏 = 𝐭 + 𝟓

Ricordiamoci che i costi di produzione sono 6 per p1, e 3 per p2; quindi il profitto unitario
per unità venduta è la differenza tra i due prezzi; osserviamo che i prezzi sono entrambi
funzioni crescenti di t: questo è il tipico risultato che abbiamo nei modelli come questo,
perché t rappresenta il costo del trasporto; se prendiamo un grafico come quello illustrato
a pagina seguente e aumentiamo t, le due funzioni si alzano come dei ponti levatoi e
trovano l’intersezione in un punto più elevato: se i costi marginali fossero uguali il
problema sarebbe simmetrico, e i prezzi a posteriori devono essere uguali.
Siccome sappiamo che finiranno per essere uguali, sappiamo anche che comunque 50%
dei consumatori vanno da una parte e l’altro 50% va dall’altra; il problema è che se t è
alto, i prezzi tendono a salire, e quindi le imprese fanno molti più profitti; qual è il senso di
questa cosa?  t misura dal punto di vista geografico il costo del trasporto; dal punto di
vista logico misura quanto è difficile adattarsi: più alto è il costo del trasporto, più è difficile
adattarsi, più è importante che un bene sia differenziato rispetto ad un altro e più
importante è essere vicini o lontani rispetto alla possibile varietà; quindi ognuno (ogni
bene) è più differenziato agli occhi del consumatore.
Otterremmo esattamente lo stesso risultato se il costo del trasporto lo prendiamo come
dato, ma la distanza del segmento invece di essere 1 è l (elle); se rifacciamo tutti i
passaggi e lasciamo l non specificato, otteniamo un risultato molto simile: più alto è l, più
si allunga il segmento, più si alzano i prezzi, perché più si allunga il segmento e più i beni
95

sono differenziati, più sono distanti. Allora ci sono due modi equivalenti di aumentare la
distanza: uno è aumentare la distanza; l’altro è aumentare il costo del trasporto: la
distanza è sempre quella, ma economicamente è più costoso  quello che conta è il
trasporto, quindi: costo + t * distanza.
Più sei differenziato e più la competizione viene ammorbidita.
Esiste un valore minimo di t al di sotto del quale una delle due imprese non opererà
più: se alzo t è come se il ponte levatoio andasse su (i prezzi salgono); se abbasso t il
ponte levatoio scende (i prezzi scendono), ma un prezzo parte da 5, e l’altro parte da 4:
quello che parte da 5 ha costi di produzione più elevati, quindi deve coprire i costi.
Se t fosse zero, è come se avessimo un prodotto omogeneo: tutti e 100 i consumatori
vanno dove costa meno, e basterebbe anche una piccola differenza; e allora se t fosse
zero accadrebbe che tutti i consumatori andrebbero dove costa di meno, e chi ha il
costo più basso applica il costo marginale del concorrente meno ε
 p2 sarebbe uguale a 6, e p1 non opererebbe più!
Naturalmente questo poi in ogni caso dovrebbe coprire i costi, per cui non serve arrivare a
zero:

p1 p2
1-x
0 xm 1
Negozio 1 Negozio 2

Abbiamo queste due linee diagonali (i prezzi): una parte più bassa e una parte più alta; se
queste si abbassano si sposta il confine, e si sposta verso quello che applica il prezzo più
basso; ad un certo momento però si arriverà ad una situazione come questa:

p1 p2

Questo avviene quando il prezzo che paga chi è localizzato a sinistra, quando si rivolge
dall’altra parte, è uguale al prezzo p2; il prezzo che paga uno che si trova a destra è p1 +
t, che deve essere uguale a p2
96

 4 + t + t deve essere uguale a 5 + t  4 + t + t = 5 + t  t = 1


Il produttore più efficiente è il produttore 2 perché ha i costi più bassi, e che conquista
l’intero mercato quando riesce ad essere ugualmente competitivo, anche rispetto al
consumatore che sta più distante rispetto a lui; questo si verifica quando vale la relazione
descritta sopra. Quindi non è necessario che t vada a zero per avere tutto il mercato nelle
mani di quello più efficiente: con t = 1 basta che uno dei due, quello più inefficiente, venga
buttato fuori dal mercato.
C’è un po’ di analogia con il modello di Cournot con costi diversi, perché in quel caso noi
avevamo che se in un duopolio ci sono due produttori con costi diversi, questi possono
convivere, solo che quello cha ha costi più bassi fa più profitti ed ha una quota più alta;
tutto questo funziona purché il differenziale di costi (il differenziale di efficienza) non sia
troppo ampio, perché in quel caso ci si sposta lungo le curve di reazione, e in un certo
momento uno conquista l’intero mercato e diventa monopolista.
Nel nostro caso il problema è simile: se ci sono costi diversi, purché il grado di
differenziazione sia sufficientemente ampio, c’è spazio per tutti e due; chiaro: quello che
ha costi più alti copre il mercato e ha profitti più bassi. Però se il grado di differenziazione
non è sufficientemente ampio, allora quello più bravo butta fuori mercato quello che è
meno efficiente.
Modello asimmetrico con beni omogenei vuol dire che 6 e 3 sono i costi, il prezzo che si
forma è 6, e uno copre l’intero mercato; in questo caso il risultato non è uguale perché con
t = 1 bisogna considerare l’effetto di competizione potenziale, dunque il prezzo p2 non è
uguale a 6, o 6 – ε; ma è uguale a 4 + 1 = 5  quindi non abbiamo un risultato identico a
quello con asimmetria di costi ma beni omogenei.

Temi di discussione:
Il modello di Hotelling potrebbe essere formulato anche in uno spazio bidimensionale, o di
dimensione superiore.
Per quanto riguarda lo spazio geografico vuol dire che invece di abitare in una città lineare
siamo in uno spazio in bidimensione; per quanto riguarda l’equivalente virtuale, vorrebbe
dire che, invece di considerare una sola caratteristica, ne consideriamo due. Per esempio,
nel caso di un’auto, una caratteristica è il colore chiaro o scuro, e una sono gli interni:
questo vuol dire essere bidimensionali; essere posizionati in un punto per un consumatore
è volere una determinata combinazione di dolce o salato; nell’esempio è voler cercare una
macchina di un certo colore con certi interni, cioè due caratteristiche; si cerca sul mercato
delle auto, che avranno un proprio colore, un proprio tipo di interni, e allora la distanza
97

misura quanta fatica fai ad adattarti, ma è una distanza che dipende da due cose, e quindi
invece di stare su una linea stiamo su un piano (bidimensionale). Le aree di mercato,
invece di essere tendenzialmente dei segmenti, sarebbero dei cerchi intorno ad un punto.
Nel modello di Hotelling si potrebbero considerare tre imprese.
Per esempio potremmo averne una posizionata in mezzo alle altre due, e allora il mercato
si ripartirebbe in questo modo:

Xm1 Xm2

Il mercato si ripartirebbe in 3 parti: quelli a sinistra vanno a sinistra, quelli a destra vanno a
destra, e quelli al centro vanno dal produttore centrale. Sarebbe un po’ più complicato
perché dovrei trovare 2 consumatori marginali indifferenti (xm1 e xm2): uno indifferente a
destra, e uno indifferente a sinistra.
Nel modello di Hotelling si potrebbe considerare che i consumatori hanno un prezzo di
riserva massimo.
Il prezzo di riserva massimo è un prezzo sopra il quale non compra nessuno; il prezzo
rilevante è il prezzo totale comprensivo del costo di trasporto, quindi ci potrebbe essere
un limite superiore (p ) e quando il consumatore fa una scelta ha anche qui due
alternative: adesso il problema è costa meno a destra o costa meno a sinistra? Se c’è un
prezzo di riserva massimo, costa di meno a destra, a sinistra, o non comprare niente? Non
comprare niente è come pagare il prezzo massimo di riserva; e graficamente
succederebbe una cosa di questo tipo: ci sarebbero tre segmenti, i blu vanno a sinistra e i
viola vanno a destra; e quelli in mezzo sono troppo distanti e non sono disposti a pagare il
prezzo relativo alla distanza per raggiungere uno dei due  avremo ancora una volta un
mercato diviso in tre spezzoni:
98

I due produttori in questo caso sono in competizione? No!, essere in competizione vuol
dire che tu percepisci l’impatto delle scelte dell’altro, che la qualità che tu vendi dipende
dal prezzo dell’altro: questo non si verifica in questo caso, perché le due aree di mercato
sono disgiunte  se uno abbassa il suo prezzo, la linea diagonale scende e il mercato si
espande, quindi succede quello che normalmente accade anche in monopolio.
Prima uno poteva espandersi nella zona dell’altro; adesso sono staccati, e sono
monopolisti locali (monopolisti spaziali).
Nel caso di cui sopra, le imprese potrebbero avere mercati disgiunti e non essere in
concorrenza.
Sono monopolisti locali (monopolisti spaziali): se uno dei due cambia il prezzo, cambia la
sua area di vendita, ma non va ad intaccare l’area di mercato del concorrente.
Il modello di Hotelling potrebbe essere esteso, mettendo in discussione le scelte di
localizzazione delle imprese.
Siamo partiti dal modello che un’impresa è localizzata sullo zero e l’altra sull’1; se noi
pensiamo all’equivalente spaziale, possiamo dire di aprire un negozio, ma decidiamo noi
se all’inizio o alla fine del paese, o a metà. Quindi è abbastanza evidente che la
localizzazione la decidono le imprese, e allora torniamo al solito discorso: la localizzazione
viene scelta inizialmente, e dopo che è stata scelta richiede del tempo prima di essere
rivista; oppure le caratteristiche del prodotto: c’è il lancio del prodotto, che poi viene
codificato, e molto lentamente può poi essere modificato.
È un caso che le due imprese siano localizzate alle due estremità? O una delle due
preferirebbe muoversi verso il centro? La risposta non è così ovvia, perché ci sono due
forze in contrapposizione: se tengo i prezzi fissi e mi sposto verso il centro, spostandomi
verso il centro da solo allargo la mia area di mercato  se i prezzi restano fissi,
muovendomi verso il centro sposto il punto dove si incontrano le due funzioni (lo sposto
più lontano da me), quindi la mia area di mercato aumenta; quelli che sono alle mie spalle
comunque vengono da me, perché resto sempre il più vicino dei due per loro, quindi vado
a conquistare un mercato senza perdere quello alle mie spalle.
Questo tipo di modello è stato utilizzato per spiegare perché nei modelli politici bipolari,
dove abbiamo democratici con repubblicani, laburisti con conservatori, le piattaforme
politiche tendono a convergere verso l’elettore mediano, verso l’elettore centrista, verso
l’elettore moderato, rendendo sempre più distinguibili i programmi elettorali dei partiti.
Questo funziona bene, però, solo se ci sono due compagini, perché se sei all’estrema
sinistra e vuoi conquistare l’elettore di centro, e ti sposti verso il centro, presto o tardi sei
99

scavalcato da sinistra o da destra da qualche nuovo partito che si inserisce  quindi in


questo caso i governi possono darci una chiave di lettura.
Tutto questo se i prezzi rimangono costanti; nella realtà i prezzi non rimangono costanti,
perché se tutti e due si avvicinano al centro succede che non c’è differenziazione: se si
riduce la differenziazione si intensifica la competizione, si abbassano i prezzi e si erodono
i profitti. Se tutti e due fossero localizzati nel punto ½, non ci sarebbe differenziazione, e ci
sarebbe il risultato di Bertrand classico.
Il modello di Hotelling non è un modello di oligopolio aggiuntivo, rispetto ai modelli di
Cournot e Bertrand.
Il modello di Hotelling è un generatore di curve di domanda.
Nell'interpretazione del modello in termini di caratteristiche dei prodotti, i consumatori
valutano i diversi prodotti in quanto insiemi di attributi.
Quando si valutano le caratteristiche di un acquisto, quello che si compra non è per
esempio una macchina, ma è il colore, la cilindrata, i colori degli interni  quello che si
valuta è l’insieme delle caratteristiche, non l’oggetto singolarmente.
Nell'interpretazione del modello in termini di caratteristiche dei prodotti, ogni consumatore
dispone di una sua “varietà ideale” che generalmente non è disponibile nel mercato.
Il parametro t è lo sforzo di adattamento che il consumatore fa per trovare la sua varietà
ideale, o quantomeno la varietà che più si avvicina al suo ideale di prodotto.
I consumatori potrebbero non essere distribuiti uniformemente. In questo caso, se i prezzi
proposti dalle imprese sono uguali, non è detto che il mercato si ripartisca al 50%.
Distribuiti uniformemente vuol dire che a metà strada ce ne sono 50% da una parte, e 50%
dall’altra: c’è una spiaggia; alle estremità della spiaggia ci sono due negozi che vendono
gelati dello stesso tipo, ma c’è anche tanta gente che sta prendendo il sole, e questa
gente è piazzata a un metro l’uno dall’altro. Ma nella realtà possiamo immaginare che i
gusti delle persone non siamo spalmati così uniformemente: ci può essere una
maggioranza che tende ad avere gusti di un tipo, e allora dovremo utilizzare una
distribuzione statistica, per esempio una distribuzione normale, per identificare la densità
del consumatore sulle varie zone. Quindi intuitivamente, se molti si addensano al centro, ci
saranno altri produttori che tenderanno ad avvicinarsi al centro; ecco perché, alla fine,
quando vediamo i prodotti nei mercati reali sono differenziati, ma non sono troppo
differenziati  le auto sono differenziate, ma un po’ tutte si assomigliano.
Risolvendo l'equazione che identifica il consumatore indifferente, il risultato è esprimibile in
unità di misura della distanza (metri, chilometri, miglia, ecc.).
100

L’incognita x, essendo distanza, rappresenta metri, km, miglia, ecc.; che poi il segmento
sia lungo 1, e quindi interpretiamo x come percentuale, è un altro discorso  x non è la
domanda; dobbiamo moltiplicarlo per la quantità complessiva quantomeno se i
consumatori sono spalmati uniformemente, perché se non lo sono dovremo calcolare un
integrale: occorre fare l’integrale della distribuzione da zero a x, per capire quanti ce ne
sono.
Per ricavare la domanda di ciascuna impresa bisogna considerare sia la densità dei
consumatori sia la lunghezza del segmento.
(L’abbiamo appena detto) se abbiamo x che rappresenta la distanza, bisogna vedere se le
imprese sono uniformemente distribuite, perché se sono più addensate nella parte destra,
anche se x fosse ½ non è detto che sia 50%, potrebbe essere di più del 50%, se la
distribuzione è asimmetrica.

Vero/falso esame del 5 maggio 2015:


Nel modello di Hotelling esiste sempre un consumatore indifferente riguardo alla scelta tra
le due imprese.
FALSO

A B

Questa è una situazione in cui uno dei due prezzi è inferiore all’altro: in una situazione di
questo tipo, tutti vanno al negozio B, perché anche se il costo di trasporto di B incide di
più rispetto al negozio A, comunque il prezzo che applica B è sempre minore rispetto al
prezzo applicato da A.
È falso, perché a fronte di differenze significative di prezzo è possibile che tutti i
consumatori si rivolgano ad un solo negozio  i consumatori preferiscono una certa
impresa piuttosto che un’altra.

Nel modello di Hotelling un allungamento del segmento, alle cui estremità si trovano le
due imprese, equivale ad un aumento del parametro di costo del trasporto t.
 “equivale” vuol dire che le conseguenze nell’equilibrio sono le stesse se aumento t o
allungo il segmento
101

VERO: t è la quantificazione dello sforzo di adattamento; quello che conta dal punto di
vista del consumatore è p + td: il prezzo del trasporto è determinato da due componenti,
che sono il costo per unità coperta e la distanza; se allungo il segmento, aumenta la
distanza media percorsa.

Nel modello di Hotelling un allungamento del segmento può essere interpretato come un
aumento del grado di differenziazione del prodotto.
VERO: se i negozi fossero localizzati tutti e due al centro, vorrebbe dire che entrambi
producono la stessa cosa; più si allontanano, più la competizione diventa meno estrema,
perché quello che produce l’uno è molto diverso da quello che produce l’altro; quindi l’uno
ha più potere di mercato e discrezionalità quando sceglie il prezzo
 quando allungo il segmento aumento la distanza nelle caratteristiche.

Se esiste un prezzo di riserva massimo (disponibilità ad acquistare), un allungamento del


segmento potrebbe non modificare i profitti.
VERO: perché esiste un territorio centrale dove i consumatori non comprano niente;
i due negozi in questo modello sono dei monopolisti locali, perché se il negozio A varia il
prezzo, il negozio B non percepisce nulla  se allungo il segmento la domanda resta
sempre la stessa, se non cambio il prezzo; l’unica cosa che cambia è che ci sono più
consumatori che non comprano niente.

consumatori consumatori
che non che non
comprano comprano

A B A B
102

DIFFERENZIAZIONE VERTICALE
La differenziazione ha a che fare con caratteristiche tipiche del prodotto, ma che a
priori possono dirsi migliori o peggiori di altre; o meglio, ciascun individuo può valutare una
certa caratteristica come più o meno positiva  differenziazione orizzontale, sullo
stesso piano; la differenziazione verticale invece valuta le caratteristiche del prodotto
“più in alto o più in basso”, rispetto ad altre caratteristiche che hanno la proprietà di
essere universalmente valutate come desiderabili, e che possono essere etichettate
globalmente come qualità  qualità vuol dire tantissime cose, ma tutti desideriamo avere
più qualità! Questa è la differenza fondamentale: mentre ad alcuni può piacere un colore
piuttosto che un altro, o un gusto piuttosto che un altro, sulla qualità siamo tutti
d’accordo.
Poi, di volta in volta, qualità può voler dire, per esempio nel campo dei trasporti, la
puntualità media, il confort, la velocità, il tipo di materiale con cui il mezzo è costruito; o nel
campo dei computer, potrebbe essere la velocità del processore, la densità degli pixer
dello schermo, ecc. Siamo tutti d’accordo che tutti vogliamo più qualità, così come siamo
d’accordo che se tutti possiamo farne a meno, tutti possiamo farne a meno.
La differenziazione è per noi economicamente rilevante solo nella misura in cui questa
differenziazione si associa alla differenziazione dei gusti delle persone: nel modello di
Hotelling, se tutti vogliono il biscotto dolce, o la penna di uno stesso colore, la
caratteristica della qualità è irrilevante  la caratteristica è rilevante solo se alla
caratteristica si contrappone una differenza di “gusti” delle persone.
La differenziazione allora non è dire quanta qualità o quanta non qualità c’è in un prodotto,
ma quanta importanza si associa alla qualità, cioè quanto peso si dà alla qualità:
questo è fondamentalmente la chiave di volta, cioè il parametro, che fotografa le
caratteristiche giudicate rilevanti dal consumatore  mentre nella differenziazione
orizzontale era una combinazione ideale di caratteristiche, nella differenziazione verticale
è il peso, l’importanza, che si dà alla qualità.
Nel sviluppare il modello di differenziazione verticale si segue una strategia molto simile a
quella di Hotelling: per esempio, tutti i consumatori sono associati a un goal del parametro;
nel vecchio modello di Hotelling questo parametro era la localizzazione, che dal punto
di vista geografico era il luogo dove il consumatore si trovava, mentre dal punto di vista di
generalizzazione del concetto è quell’insieme di caratteristiche che l’individuo considera
ideali. Lo sforzo per adattarsi ad un qualcosa che non corrisponde al proprio ideale, lo
103

interpretiamo come una specie di costo di trasporto per la distanza che si deve
percorrere, che non è una distanza fisica, ma virtuale.
Nella differenziazione verticale, invece, ogni individuo è associato ad un peso, quindi noi
immaginiamo di avere a che fare con un parametro, che chiamiamo “v” (ma potrebbe
essere chiamato z, Pippo, Pluto o Paperino), che è soggettivo per ogni individuo (è diverso
a seconda del soggetto a cui è associato)  ognuno di noi, a livello inconscio, attribuisce
un valore relativo alla qualità, e questo valore occorre in qualche modo quantificarlo, così
come immaginiamo che la dimensione qualità possa essere anch’essa quantificabile; per
esempio, il numero di pixel per pollice dello schermo del pc: più alto è il numero di pixel,
più alta è la qualità; percentuale di treni arrivati in orario  possiamo misurare la
qualità! Abbiamo una qualità, che una volta definita siamo in grado di misurare: l’individuo
si trova di fronte ad un certo numero di alternative.
Come nel modello di Hotelling andavamo a selezionare quello che costava meno, perché
l’ipotesi in origine era che il bene fosse uguale, adesso scegliamo l’alternativa che ci
garantisce un maggior grado di soddisfazione  la soddisfazione che otteniamo
dall’acquisto (o potenziale acquisto) di un bene nasce dalla combinazione tra qualità e
prezzo:
 se mi danno più qualità sono più contento
 se mi danno un prezzo più basso sono più contento.
Ma di fronte a due alternative, è meglio prendere quella che costa tanto ed è buona; o
quella più scarsa che costa meno? La risposta dipende di volta in volta dal parametro v
(z): v è la misura di quanto incide la qualità rispetto al prezzo  è un peso!:
 se v è basso, preferisco risparmiare: la qualità per me è importante, ma non è tutto
 se v è alto, tengo molto alla qualità, e spendo di più per averla.
Nel modello di Hotelling le alternative erano due: o si andava a destra, o si andava a
sinistra; qui invece consideriamo tre alternative, perché inseriamo una possibilità che
nel modello di Hotelling avevamo escluso in un primo momento, e cioè la possibilità che
non si compri niente.
Nel modello di Hotelling ci siamo chiesti che cosa succede se, per esempio, ci fosse un
prezzo massimo, oltre il quale gli individui rinunciano a comprare, e nel grafico abbiamo
visto che risultava una specie di tetto; il nostro problema graficamente era di trovare, dato
un punto qualsiasi del segmento, quali delle tre funzioni era la più bassa, perché il nostro
problema era un problema di minimizzazione del costo  soprattutto se non c’è un prezzo
104

massimo, il problema non è se comprare o non comprare, ma se comprare a destra o a


sinistra.
Invece, nella differenziazione verticale, il problema viene impostato non come
minimizzazione dei costi, ma come massimizzazione di utilità; è chiaro che non si può
massimizzare l’utilità se non si minimizzano i costi, quindi concettualmente il problema è
sempre lo stesso che avevamo in Hotelling; lo impostiamo come un problema di
massimizzazione di utilità perché vogliamo confrontare le caratteristiche negative con le
caratteristiche positive del prodotto, e il peso che diamo alla qualità è quello che fa
spostare l’ago della bilancia più a destra o più a sinistra: da una parte c’è una cosa
negativa, che è il prezzo; dall’altra parte c’è una cosa positiva che è la qualità  la qualità
la misuriamo, il prezzo lo vediamo nel mercato, e allora vogliamo sapere se per noi premia
di più la qualità o il prezzo. Per far questo introduciamo una funzione di utilità
estremamente semplificata dove compare solo il nostro bene, e che è positiva in “v” che
rappresenta il grado di qualità associato a questo bene:

U (q, p) = vq – p

questa funzione è positiva in q (da adesso in poi q è la qualità! Si può chiamare anche s),
cioè il grado di qualità associato ad uno specifico bene; è negativa in p, cioè il prezzo
 l’utilità dipende positivamente dalla qualità e negativamente dal prezzo
 la derivata di U rispetto a q (utilità marginale della qualità) è v.
Naturalmente l’utilità dipende dal tipo di bene che stiamo considerando, perché ogni bene
ha un suo grado di qualità e un suo prezzo; se abbiamo un certo numero di beni,
possiamo considerare i vari beni, valutare questa utilità alla luce di un certo parametro v
che è nostro soggettivo, e andremo a scegliere tra tutte le alternative quella che ci dà
l’utilità più alta  questa volta il problema non è quello di trovare la funzione più bassa,
ma sarà quello di trovare la funzione più alta, cioè quella che ci dà maggiore utilità,
tenendo presente che in questo caso dobbiamo anche considerare un’opzione in più che è
quella di non comprare niente; allora, per convenzione, mettiamo che l’utilità minima è
uguale a zero, che significa che c’è una specie di utilità minima per cui per un q e un p
scelti a caso questa espressione potrebbe benissimo risultare negativa  U = 0.
Invece v pretendiamo che sia positivo: deve essere positivo!, perché altrimenti veniamo
meno al principio che valutiamo la qualità perché positiva; se fosse negativa vuol dire che
più ho qualità e meno mi interessa, e questo non è possibile. V è quindi un parametro
positivo, e noi immaginiamo di avere davanti a noi una popolazione di individui, ognuno
105

dei quali con il suo v, per cui possiamo dire che la popolazione è distribuita all’interno
di un intervallo da un v minimo ad un v massimo, esattamente come facevamo con
Hotelling.
Qui però dobbiamo stare un po’ più attenti: in Hotelling avevamo una scala lineare, e
quindi potevamo “normalizzare” la distanza complessiva con il numero 1; qui in generale
non c’è nessun motivo per cui v debba distribuirsi tra 0 e 1, anzi!: il fatto che ci siano degli
individui che hanno un v = 0, o un v vicino a zero vorrebbe dire che siamo di fronte a
delle persone a cui della qualità non frega niente! Quindi è preferibile vedere un parametro
v che va da un minimo che non è zero, per esempio 1; e un massimo che può essere 3, 4,
ecc.  è molto più logico pensare che v sia diverso da zero.
Come abbiamo fatto con Hotelling, immaginiamo che gli individui siano uniformemente
distribuiti: se ci sono 100 individui distribuiti in un segmento lungo 3, significa che ci sono
50 individui distribuiti tra 1 e 2, e 50 distribuiti tra 2 e 3 (= uniformemente distribuiti); ovvio
che non è necessario avere gli individui distribuiti in modo uniforme, e probabilmente non
lo saranno: ci potrebbe essere una distribuzione di tipo normale (tipo normale perché la
distribuzione normale va da – infinito a + infinito), valutata da 1 a 3. Dobbiamo capire
quanta gente c’è all’interno dell’intervallo e calcolare un integrale: se so come sono
distribuiti gli individui all’interno del segmento, una volta che ho diviso il segmento in aree
di mercato, come abbiamo fatto per Hotelling, e ho quindi definito gli intervalli, per capire
quanta gente c’è in ogni intervallo dovrei fare un integrale indefinito dal v piccolo al v
grande (ma questo non lo facciamo perché non è la nostra preoccupazione!).
Come per Hotelling, anche per la differenziazione verticale c’è una traduzione grafica del
problema:

Utilità più alta per

v min v max
non comprano comprano
comprano bassa alta
niente qualità qualità
v* v**
106

le rette tracciate nel grafico indicano l’utilità che un individuo trae in corrispondenza di uno
dei due beni, o in corrispondenza dell’opzione zero.
L’individuo è associato ad un punto; graficamente, se vogliamo capire che cosa deve fare
l’individuo è come se tracciassimo una linea in verticale (a dove è posizionato l’individuo),
e andassimo a vedere dove questa linea verticale incrocia le tre funzioni: la prima funzione
è l’incrocio della linea con la retta verde; la seconda è l’incrocio della linea con la retta
viola; e la terza è l’incrocio della linea con l’asse orizzontale (ascissa)  la funzione più
alta è quella che passa per l’incrocio della linea tracciata con la retta viola, per questo
individuo.
La linea orizzontale corrisponde all’opzione zero (ascissa), e questo significa che gli
individui che stanno (= gli individui che possiedono un loro parametro soggettivo) nel
segmento delineato dalla parentesi graffa verde (da vmin a v*), hanno un parametro
soggettivo sufficientemente basso: sono gli individui che non comprano niente, perché
il loro parametro di valutazione della qualità è molto basso  non sono persone disposte
a pagare per la qualità, e quindi a quei prezzi preferiscono non comprare niente piuttosto
che comprare uno dei due beni.
Il pezzo di segmento delineato dalla parentesi graffa fucsia (da v* a v**), rappresenta
coloro che preferiscono comprare in beni di bassa qualità; e invece gli individui che
hanno il loro parametro compreso nel segmento delineato dalla parentesi graffa bluette
(da v** a vmax) sono quelli che sono disposti a pagare di più, perché a fronte di un prezzo
più alto riconoscono una qualità maggiore del prodotto (comprano alta qualità).
Possiamo anche immaginare che lo stesso individuo, a seconda delle circostanze, possa
trovarsi in una situazione piuttosto che in un’altra: mentre ad uno piace di più il blu anziché
il rosso, possiamo avere un parametro v che dipende dal contesto, invece che dalle
caratteristiche fisiche del prodotto: se viaggio per turismo preferisco risparmiare
viaggiando in classe turistica, mentre se viaggio per affari preferisco la comodità della
business class; quindi, anche uno stesso individuo potrebbe avere un v che cambia a
seconda del momento o del contesto della scelta.
Una volta che abbiamo verificato questa funzione, e abbiamo trovato questi bordi delle
aree di mercato, qualunque modifica del prezzo sposta la funzione corrispondente;
per esempio, un eventuale abbassamento del prezzo del bene di alta qualità farebbe
spostare verso l’alto la corrispondente funzione (retta viola), e chiaramente si
sposterebbero le aree di mercato, esattamente come eravamo abituati con Hotelling; e, in
particolare, l’intersezione che prima si trovava tra la linea verticale e la retta verde, ora si
107

trova tra la linea verticale e la retta viola. Questo significa che il fatto che il bene di alta
qualità venga proposto ad un prezzo più basso permette di conquistare dei nuovi equilibri,
guadagnando individui che prima compravano bassa qualità, ma per i quali la qualità è
comunque abbastanza importante, e che sono invogliati a comprare beni di alta qualità ad
un prezzo scontato.
Si creano delle dinamiche simili a quelle di Hotelling, nel senso che ci sarà una domanda
di bene di alta qualità che sarà sensibile al suo prezzo, per cui se si aumenta il prezzo si
perdono clienti, ma non li si perde tutti; se si abbassa il prezzo si acquisiscono clienti, ma
non li si acquisisce tutti  di fronte alla variazione del prezzo ci sono degli individui
che cambiano la propria decisione; ma ci sono anche degli individui che
confermano la propria decisione.
 Se alzo il prezzo del bene di alta qualità non perdo tutti i miei clienti, perché ci saranno
tra i vari clienti quelli che valutano così tanto la qualità che non saranno sicuramente
contenti di vedere che il prezzo è salito, ma questo comunque rappresenta sempre la
migliore alternativa possibile per l’acquisto del bene di alta qualità.
Se tutto questo lo vediamo a livello di equilibrio, possiamo fare dei ragionamenti molto
simili a quelli che abbiamo fatto con Hotelling, e prima ancora con il caso della capacità,
cioè prima le imprese determinano la caratteristica del prodotto come prima si
determinavano le capacità; in questo caso le caratteristiche del prodotto sono quanta
qualità deve avere il prodotto (non se è rosso o se è blu, ma l’idea è sempre la stessa), e
una volta che le caratteristiche sono state decise, in un momento successivo, quando
queste caratteristiche non potranno più essere modificate, si innesca una competizione.
La competizione è sempre una competizione che noi interpretiamo come gioco
simultaneo, dove vengono scelti i prezzi, quindi è sempre un modello di Bertrand con
beni differenziati.
La logica è sempre la stessa: io scelgo il mio prezzo massimizzando i miei profitti, tenendo
conto della curva di domanda che è implicita; non posso influire sul prezzo dell’altro, quindi
ho una mia funzione di reazione che mi dice quale è il mio miglior prezzo rispetto al prezzo
dell’altro; l’altro fa il mio stesso identico ragionamento, e l’equilibrio è quella
combinazione di prezzi che si giustifica reciprocamente  il mio prezzo si giustifica
dato il tuo, e il tuo prezzo di giustifica dato il mio.
Volendo risalire alle caratteristiche bisognerebbe fare un ragionamento come quello fatto
per la capacità: risolvere il gioco per delle caratteristiche qualitative che non definiamo,
108

sapere dove si andrà a parare una volta che ci sarà la competizione, e infine scegliere
simultaneamente le caratteristiche.

Esempio: supponiamo che ci siano 2 produttori che offrono un solo tipo di prodotto;
un’impresa produce un bene di alta qualità, e l’altra produce un bene di bassa qualità
 le imprese scelgono le caratteristiche fisiche, ma anche il livello di qualità; una volta che
il livello di qualità è scelto, sono fissate le specifiche di prodotto, e non vengono messe in
discussione (= non vengono cambiate). Indichiamo la qualità con s (invece che con q); e il
parametro soggettivo, che indica il peso dato alla qualità con z (invece che con v)
Immaginiamo che la qualità del bene offerto dall’impresa 2 sia superiore alla qualità del
bene offerto dall’impresa 1: s2 > s1  la qualità è misurabile!
Abbiamo 3 alternative:
 acquisto un bene di alta qualità: qualità s2 pagando p2;  U = z*s2 – p2
 acquisto un bene di bassa qualità: qualità s1 pagando p1  U = z*s1 – p1
 non acquisto niente: per semplicità assumiamo che, se non compro niente, l’utilità
che ottengo è zero  U = 0.
L’utilità è del tipo U (s,p) = zs – p; s1 = 1 s2 = 3 p1 = 1 p2 = 5
Dobbiamo determinare z, e per farlo dobbiamo confrontare (=) le due utilità: l’utilità
dell’impresa 1 e l’utilità dell’impresa 2
z3 – 5 = z1 – 1 z*(3 – 1) = 5 – 1 2z* = 4 z* = 2
U1 = 1*1 – 1 = 0 U2 = 1*3 – 5 = -2  posso avere utilità negative!
Se ho un prezzo elevato e uno z basso basta poco per ottenere un’utilità negativa!
Scelgo l’alternativa corrispondente al bene di bassa qualità, perché è quella che mi dà
maggiore utilità (0 > -2).
Ogni consumatore farà determinate scelte, e intuitivamente se z è molto basso non
compra; se z è molto alto compra il bene di alta qualità; a metà strada potrebbe esserci
una situazione intermedia in cui prende il bene di bassa qualità.
Lo z è l’equivalente nel modello di Hotelling della localizzazione del consumatore: in
Hotelling ogni consumatore si trovava in un certo punto, e quel punto lo caratterizzava; ora
abbiamo un parametro soggettivo che dice quanto peso dà ogni consumatore alla qualità.

Supponiamo che z vada da un minimo di 0 ad un massimo di 1: dobbiamo individuare i


due consumatori indifferenti  c’è un consumatore che è indifferente tra alta e bassa
qualità, e c’è un consumatore che è indifferente tra bassa qualità e niente.
Per il consumatore che è indifferente tra alta e bassa qualità vale l’uguaglianza:
109

z ∙ s2 − p2 = z ∙ s1 − p1 chi ha lo z più alto sceglie la qualità


p2 −p1
 z= chi ha lo z più basso sceglie il prezzo
s2 −s1

Dati s1 e s2, se aumento p2 faccio pagare di più il bene di qualità: p2 è al numeratore,


quindi l’effetto è quello di aumentare z, che diventa più vicino a 1  l’area di mercato
dell’impresa 2, che produce alta qualità, si restringe; l’impresa 1 che vende bassa qualità,
se z aumenta, vede aumentare la quantità venduta.
Se teniamo fissi i prezzi, ma aumentiamo s2, vorrebbe dire che abbiamo modificato le
caratteristiche del bene 2, e lo abbiamo reso migliore di tutti  il prodotto 2 è
decisamente meglio di prima; se aumento (s2 – s1), z si riduce: l’area di mercato di chi
vende alta qualità si espande, e si contrae l’area di mercato di chi vende beni di bassa
qualità, perché i consumatori che cambiano idea sono alcuni di quelli che prima
compravano il bene economico, e poi, visto che il bene è migliorato tenendo il prezzo
uguale, decidono di acquistare il bene di alta qualità (a parità di prezzo scelgo l’alta
qualità)

(z = v)

Vmin Vmax
0 1
consumatori consumatori consumatori
che non che comprano che comprano
comprano bassa qualità alta qualità
niente

Per capire cosa fare mi colloco ad un certo z, tiro una linea verticale (linea rossa), e
guardo quale delle 3 funzioni è maggiore: se la funzione più alta è associata al bene di alta
qualità, mi conviene acquistare il bene di alta qualità.
La domanda dell’impresa 2, in funzione delle due qualità e dei due prezzi, è:
p2 −p1 (p2 −p1 )
D2 (p1,p2) = N (1 – z)  z=  D2 (p1 , p2 ) = N (1 − (s2 −s1 )
)
s2 −s1

1 – z è anche la frazione di consumatori totali che scelgono il bene di alta qualità.


Trovare il punto tra bassa qualità e niente è semplice, perché l’alternativa di bassa qualità
è U = z*s1 – p1  devo confrontare questa utilità con zero:
110

z*s1 – p1 = 0  z* = p1/s1
p1
 lo z* di cui ho bisogno è :
s1

 più alto è p1, meno gente compra bassa qualità, e più gente compra niente
 più alto è s1, meno gente compra niente, e più gente compra bassa qualità.
La domanda dell’impresa 1 è:
(p2 −p1 ) p1
D1 (p1,p2) = N (1 – z – z*)  D1 (p1 , p2 ) = N ( − )
(s2 −s1) s1

La differenza tra i due z mi dà la curva di domanda di chi vende beni di bassa qualità, e
anche in questo caso è funzione dei due prezzi:
 se aumento il prezzo perdo cliente, ma non tutti
 se abbasso il prezzo guadagno clienti: alcuni di questi strappandoli al mio
concorrente; e nel caso del bene di bassa qualità, ne strappo anche qualcuno di
quelli che prima non compravano niente.
Le funzioni di profitto sono:
(p2 −p1 ) p1 (p2 −p1 )
π1 (p1 , p2 ; s1 , s2 ) = N ( − ) p1 π2 (p1 , p2 ; s1 , s2 ) = N (1 − ) p2
(s2 −s1) s1 (s2 −s1)
z - z*

In questo esempio, i costi marginali sono uguali a zero per entrambi i beni (per semplicità
di calcolo), quindi produrre il bene di alta qualità non costa di più che produrre quello di
bassa qualità: questo significa che i profitti coincidono con i ricavi, ma la logica è
sempre la stessa  si prende il profitto, si deriva rispetto al prezzo che controlla l’impresa
corrispondente, e si ottiene la funzione di reazione:
1 s 1
p1 = ( 1) p2 p2 = (p1 + s2 − s1 )
2 s 2 2

le funzioni di reazione sono inclinate positivamente!


Le due imprese non sono simmetriche, perché la qualità di una è maggiore della qualità
dell’altra, quindi i due prezzi sono diversi; risolvendo il sistema tra le due funzioni di
reazione otteniamo i prezzi di equilibrio:
s2 − s1 s2 − s1
p∗2 (s1 , s2 ) = 2s > p1∗ (s1 , s2 ) = s1
4s2 − s1 4s2 − s1
Otteniamo che il bene di alta qualità viene fatto pagare di più!  se i beni costassero
uguale, tutti comprerebbero quello di qualità superiore.
Il prezzo p2 è più alto perché, essendo di alta qualità, costa di più produrlo?
111

No!, perché i costi di produzione sono zero per entrambi: è una scelta strategica che fa
l’impresa  deve associare un prezzo più alto quando la qualità è più alta
 osserviamo anche che il prezzo p2 è crescente in s2, e il prezzo p1 è crescente in s1;
quindi all’aumentare della qualità, aumenta il prezzo.

Esercizio: Considerate un mercato, nel quale viene venduto un bene differenziato


verticalmente, ovvero di diversa qualità. La qualità è misurata da un indice q, che nel
nostro caso assume – in corrispondenza delle due imprese presenti – valori 1 e 4.
L'impresa che produce il bene a bassa qualità (q=1) applica un prezzo pari a 2, mentre
l'altra (q=4) applica un prezzo pari a 16. I costi marginali sono trascurabili. Esiste una
platea di 10.000 potenziali consumatori, caratterizzati da una funzione di utilità del tipo:
U = v q – p, dove v è un parametro soggettivo che “pesa” l'importanza della qualità per il
singolo consumatore. Noi sappiamo che questo parametro è distribuito uniformemente
nella popolazione tra 0 e 10. Ad esempio, il 30% dei 10.000 consumatori avrà un
parametro v maggiore di 7. Ogni consumatore può comprare il bene che preferisce, o non
comprare affatto (se l'utilità fosse negativa).
 Quanti consumatori preferiscono il bene di bassa qualità? Quanti quello di alta
qualità?
 Dimostrate che i due prezzi (2, 16) sono ottimali in queste circostanze, ovvero
identificano un equilibrio di Nash nella selezione dei prezzi.
Con q intendiamo la qualità misurabile, e quindi mi si dice dall’inizio che la qualità è già
stata scelta dalle stesse imprese (esattamente come quando parlavamo di capacità), una
con grado di qualità 1, e l’altra con grado di qualità 4. Volendo, si potrebbero anche
immaginare dei costi, però se li introducessimo non cambierebbe assolutamente nulla,
quindi per semplificare ulteriormente immaginiamo paradossalmente che non costi niente
produrre, e non costa niente sia che il bene sia di bassa qualità, sia che sia di alta qualità.
Il parametro che pesa la qualità è distribuito uniformemente tra un minimo di 0 e un
massimo di 10. Le imprese hanno deciso anche i prezzi: il bene di bassa qualità viene
venduto a 2, e il bene di alta qualità viene venduto a 16.
Il problema è quello di capire dove si collocano v* e v** impostando una condizione di
indifferenza, così come facevamo con Hotelling, dove andavamo alla ricerca dell’individuo
x, che era l’individuo per cui era completamente indifferente se andare a destra o andare a
sinistra.
112

Qui abbiamo 2 individui: il primo individuo si trova indifferente tra comprare beni di bassa
qualità e non comprare niente; il secondo individuo è indifferente tra comprare beni di
bassa qualità e comprare beni di alta qualità  voglio trovare quel valore di v che rende
indifferenti tra un’alternativa e l’altra alternativa; nel modello di Hotelling le alternative
erano 2, qui le alternative sono 3; quindi abbiamo 2 confronti su 3 alternative possibili.
Quello che va a demarcare la seconda linea di confine è un individuo che si trova
indifferente tra comprare beni di bassa qualità e beni di alta qualità.
Se un individuo non compra niente, per le ipotesi che abbiamo fatto ottiene un’utilità pari
a zero  U = 0
Se un individuo compra un bene di bassa qualità, allora a avrà un suo v, che in questo
caso è v*:
0 = v*1 – 2 v* = 2  i consumatori non comprano niente, perché l’utilità è 0

Il parametro v è distribuito tra 0 e 10  abbiamo ottenuto 2, e 2 è compreso tra 0 e 10;


però, con altri livelli di qualità e altri livelli di prezzo, potrebbe anche accadere che
l’equazione si risolve matematicamente, ma il v che salta fuori va fuori dai bordi, cioè nel
nostro caso può succedere che sia minore di 0 o maggiore di 10. L’altra condizione è
quella che se l’individuo compra il bene di bassa qualità posso calcolare l’utilità come
appena fatto, però devo ricordarmi che stiamo parlando di un v diverso, quindi v**1 – 2;
ma l’alternativa questa volta non è più zero, ma è l’utilità che otterrei se comprassi beni di
alta qualità. Quindi:
v**4 – 16 = v*1 – 2 3v** = 14 v**= 14/3 v**= 4,66

Una volta individuati questi due valori critici ho segmentato il mio mercato perché posso
dire: tutti quelli che hanno il parametro inferiore a 2 non comprano niente; tutti quelli che
hanno il parametro compreso tra 2 e 4,66 comprano un bene di bassa qualità; tutti quelli
che hanno un parametro compreso tra 4,66 e 10 comprano un bene di alta qualità. Ma
quanti sono?: il primo segmento è lungo 2 su un totale di 10, quindi:
2
10.000 * 10 = 𝟐. 𝟎𝟎𝟎 non comprano niente
4,66−2
10.000 ∗ = 𝟐. 𝟔𝟔𝟔 comprano bassa qualità
10

10.000 − (2.000 + 2.666) = 𝟓. 𝟑𝟑𝟒 comprano alta qualità

V** è uguale a 4,66; supponiamo che v** risulti essere uguale a 12: l’intersezione
sarebbe stata fuori dal grafico, e quindi economicamente sta ad indicare una situazione
113

in cui nessuno compra alta qualità, perché l’alta qualità è fuori mercato  il prezzo
proposto è fuori mercato. Non sempre si è dentro l’intervallo!
Siamo sicuri che v** è sempre maggiore di v*? no! Matematicamente, se p e v sono
arbitrari, potrebbe capitare che v* risulti maggiore di v**; supponiamo per esempio che
v*=5  se v* = 5 quelli che comprano, comprano alta qualità  potrebbero esserci delle
situazioni anomale: quando questo accade dobbiamo semplicemente ricordarci che il
problema, dal punto di vista dell’individuo, è semplice: ho 3 alternative, devo scegliere la
migliore tra queste 3 alternative. Questo continua ad essere vero anche se trovo i v
“sballati”.
In questo esercizio, la qualità dovevano sceglierla le imprese ma ce l’hanno già data; i
prezzi dovevano sceglierli le imprese ma ce li hanno già dati … La forma base
dell’esercizio dovrebbe essere: io ti do la qualità, trovami il prezzo di equilibrio
 dovremmo fare più o meno come abbiamo fatto qui, con la differenza che la qualità la
conosciamo ma i prezzi no; quindi, se non ho i prezzi, chiamiamo pb il prezzo di bassa
qualità, e pa il prezzo di alta qualità:
𝐩𝐚−𝐩𝐛
v*1 – pb v**4 – pa = v**1 - pb 3v**= pa – pb v** =
𝟑
V** è il confine tra la bassa e l’alta qualità, e vediamo che dipende dai prezzi che hanno
tutti; v* vediamo che è semplicemente il prezzo più piccolo.
Se volevo ricavare la curva di domanda dell’alta qualità, prima facevo:
pa−pb
𝐕𝐦𝐚𝐱−𝐯∗∗ 10−v∗∗ 10−
3
10.000 * = 10.000 * = 10.000* =
𝟏𝟎 10 10
= 10.000 – 333,3pa + 333,3pb  domanda del bene di alta qualità

[calcoli: ((10.000*10)/10) ; (((10.000*pa)/3)/10) ; (((10.000*pb)/3)/10)]

Scritto così appare più chiaro la natura di curva di domanda di bene differenziato, dove la
tua domanda e la domanda di beni di alta qualità dipendono negativamente dal tuo
prezzo, ma positivamente dal prezzo del concorrente.

Se invece voglio trovare la domanda del bene di bassa qualità, devo fare:
10000 * l’intervallo tra v** e v*, fratto 10:
𝐩𝐚−𝐩𝐛
− 𝐩𝐛
𝟑
10.000 *  domanda del bene di bassa qualità
𝟏𝟎
pa pb pb
= 10.000 * ( − − ) [pb = - 1/30 -1/10 = (-1 -3)/30 = -4/30 = - 0.13333]
30 30 10
114

= 333,3pa – 1.333,3pb  domanda del bene di bassa qualità

((10.000*pa)/30) (10.000*0.13333pb)
Trovo una curva di domanda simile alla precedente, ma che dipende negativamente da pb
e positivamente da pa (curva di domanda dei differenziati).
 ho trovato i prezzi perché la seconda domanda mi chiede di dimostrare che i prezzi non
sono buttati lì a caso, ma fanno parte di un equilibrio di Nash, e lo devo dimostrare; posso
fare in 2 modi:
1) posso dire: io non so niente, le curve di domanda sono queste, mi calcolo le due
funzioni di reazione  i costi sono zero, quindi i profitti sono semplicemente i ricavi

(10.000 – 333,3pa + 333,3pb)*pa = profitti dell’impresa che produce alta qualità


(333,3pa – 1.333,3pb)*pb = profitti dell’impresa che produce bassa qualità

2) potrei seguire una strada un po’ più intelligente che permette di fare un po’ meno
calcoli, ricordandoci cosa significa equilibrio di Nash: dato il prezzo del concorrente,
la miglior scelta è il prezzo che viene suggerito. Consideriamo il problema dal punto
di vista dell’impresa di bassa qualità:
πb = (333,3*16 – 1.333,3*pb)*pb  massimizzo come se fossi un monopolista
(= 4*333,3 = 4/30)

facendo la derivata ottengo: 333,3*16 – 8*333,3pb


 non c’è nessuna ragione perché debba trattare pa come un’incognita, perché pa mi è
stato dato, quindi devo prendere 333,16*16 – 333,3*8 pb, e massimizzare come se fossi
un monopolista:
333,3*16 – 8*333,3pb = 0 pb = 16/8
pb = 2  prezzo del bene di bassa qualità

Uso lo stesso procedimento anche per l’impresa di alta qualità:


πa = (10.000 – 333,3pa + 333,3*2)*pa
facendo la derivata ottengo: 10.000 – 666,6pa + 333,3*2 = 0
-666,6pa = -666,6 – 10.000
666,6pa = 10.666,6  pa = 10.666,6/666,6
pa = 16  prezzo del bene di alta qualità

I prezzi corrispondono a quelli dati nel testo dell’esercizio: sì, è equilibrio di Nash!
115

Temi di discussione:
In un mercato ci potrebbe essere sia differenziazione orizzontale che verticale.
Senza fare ragionamenti troppo complicati, basta guardarsi intorno: abbiamo pc o
smartphone esteticamente perfetti, e contemporaneamente diversi per prestazioni  le
due cose sono completamente staccate l’una dall’altra, e ovviamente quando le imprese si
fanno concorrenza, quando cambiano le caratteristiche del prodotto o cambiano i prezzi,
vanno a catturare altri clienti sia in senso orizzontale che in senso verticale  tutti e due i
meccanismi si sovrappongono nella realtà.
La distribuzione del parametro che misura l'importanza relativa della qualità potrebbe non
essere uniforme.
Potrebbe essere qualunque tipo di distribuzione (uso dell’integrale).
Una condizione necessaria ma non sufficiente affinché qualcuno compri un prodotto
proposto ad un prezzo superiore è che la qualità sia anch'essa superiore.
Affinché qualcuno compri, è necessario che ci sia questa condizione: a prezzo più
elevato corrisponde qualità più elevata; se questa relazione è verificata, significa che la
funzione disegnata prima (retta verde) diventa più inclinata. Questa è una condizione
necessaria affinché la funzione dell’alta qualità sbuchi sopra quella di bassa qualità prima
o poi; è una condizione necessaria ma non sufficiente perché
v max
v min

il grafico viene disegnato da un v minimo a un v massimo: il fatto che la funzione sia più
inclinata indica che a fronte di un prezzo maggiore c’è la qualità maggiore.
Se il vmax fosse piazzato come nel grafico sopra, nessuno comprerebbe alta qualità,
perché nella popolazione non ci sono individui con una valutazione della qualità
sufficientemente elevata  se a fronte della qualità maggiore c’è il prezzo maggiore,
occorre che la retta sia più inclinata affinché emerga sopra la bassa qualità, prima o poi;
l’importante che emerga, ma è importante che emerga prima del massimo v.
Attenzione: non c’è scritto da nessuna parte che ci debba essere qualcuno che non
compra niente!
116

Con questo minimo e questo massimo (grafico) abbiamo sulla carta 3 alternative, ma di
fatto tutti comprano bassa qualità, e se avessimo provato a fare le equazioni che abbiamo
visto, avremo trovato che v** supera il limite, e v* è minore di v minimo.
A seconda dei valori dei parametri, dei livelli dei prezzi è della qualità, non è detto che tutte
le varietà vengano acquistate e non è detto che qualcuno non compri nulla.
Vedi risposta precedente.
Quando vengono scelti i prezzi le qualità non possono più essere cambiate.
Stesso discorso fatto per la capacità.
Quando vengono scelte le qualità si sa già che prezzi verranno selezionati da tutte le
imprese in seguito.
È lo stesso discorso dell’estate e dell’inverno: d’estate si fabbricano gli impianti; dopo gli
impianti esistono e non si possono più cambiare  le qualità vengono scelte, e una volta
scelte i prezzi sono la conseguenza logica delle qualità che erano state scelte allora.
Quando abbiamo scelto la nostra qualità sapevamo già i prezzi che si sarebbero formati,
perché riuscivamo a fare un passo avanti e a capire cosa sarebbe successo dopo  è
come se avessimo risolto l’equilibrio di Nash.
A questo punto tutti i profitti dipendono dalle qualità che vengono scelte, e ovviamente
vengono scelte simultaneamente dalle due imprese con la logica della complicità.
Sia la scelta della qualità che del prezzo costituiscono giochi simultanei, che avvengono in
sequenza.
Vedi risposta precedente.
Per risolvere il gioco complessivo occorre procedere all'indietro, come nei giochi
sequenziali.
Date qualità arbitrarie conosco i prezzi, i prezzi diventano soluzioni delle qualità, possono
esprimere i profitti delle imprese solo in funzione delle qualità, e quindi scelgo le qualità, e
procedo all’indietro esattamente come abbiamo detto con il discorso della complicità.
Questo ragionamento si applica sia per la differenziazione orizzontale che per la
differenziazione verticale: prima si scelgono certi parametri, poi non si cambiano più e si
scelgono le quantità.

Riepilogo:
nel caso di differenziazione verticale e orizzontale seguiamo un percorso molto simile; i
beni sono differenziati sia in senso orizzontale che verticale, perché i consumatori sono
diversi  se i consumatori fossero uguali, anche i beni lo sarebbero.
117

Nello spazio dobbiamo spostarci per andare da un negozio o dall’altro, e questo implica un
costo del trasporto: l’equivalente dello spostamento è l’adattamento che ciascuno di noi fa
quando, non trovando nel mercato il prodotto con le caratteristiche perfette, trova
qualcos’altro che ci assomiglia  a seconda di quanto ci assomiglia c’è uno sforzo di
adattamento che possiamo leggere come equivalente del costo di trasporto.
La domanda dipende dai prezzi e dalle localizzazioni: una volta scelta la localizzazione, si
innesca la scelta simultanea dei prezzi; quando parliamo di beni differenziati
verticalmente, “localizzazione del consumatore” si riferisce a quanta importanza (peso) do
ad un certo fattore qualitativo (q oppure z): è come se la persona fosse localizzata in un
intervallo di valori possibili per il parametro q (oppure z).
Per semplificare abbiamo imposto che il valore minimo sia 0, e il valore massimo sia 1: il
vantaggio di avere un intervallo tra 0 e 1 è che la frazione del segmento è
contemporaneamente anche la sua percentuale:
 se i consumatori che prendono il bene di bassa qualità vanno da 0,2 a 0,6 allora
40% è la percentuale di quanti prendono il bene di bassa qualità; se lo moltiplico
per il numero totale N dei consumatori, so quanti comprano, e quante unità vendo
(unità per persona).
Prendiamo due localizzazioni delle imprese, che corrispondono alle qualità scelte dalle
imprese stesse, e scegliamo due prezzi che vengono fissati per il bene 1 e per il bene 2: il
problema è quello di valutare tra le 3 opzioni disponibili (niente, bassa qualità, alta qualità),
quale è quella che assicura il grado di soddisfazione maggiore.
Abbiamo immaginato che l’utilità possa essere quantificata attraverso una funzione
U (s,p) = zs – p (oppure: U (q,p) = vq – p)
è come se ci fosse un secondo bene implicito:

0 z* z* * 1
Prendendo qualsiasi punto tra 0 e 1 dobbiamo vedere in corrispondenza di quel punto
quale è la più alta delle 3 funzioni: questo ci permette di segmentare l’intervallo [0,1] in 3
spezzoni:
 da 0 a z* ho quelli che non comprano niente
118

 da z* a z** ho quelli che comprano beni di bassa qualità


 da z** a 1 ho quelli che comprano beni di alta qualità.
Il prezzo dell’alta qualità è superiore al prezzo della bassa qualità; perché ci sia qualcuno
che compri l’uno e l’altro occorre che il prezzo dell’alta qualità sia più alto; se fosse uguale,
tutti comprerebbero alta qualità.
Avremmo potuto inserire anche i parametri c1 e c2 (costi), e la funzione di profitto andava
così moltiplicata per p1 – c1; per semplificare abbiamo messo costi uguali a zero: significa
che produrre un bene di alta qualità e un bene di bassa qualità costa uguale.
La qualità non può essere infinita, ha un livello minimo e un livello massimo: poniamo la
derivata uguale a zero perché siamo alla ricerca di un massimo interno al dominio, e se
scopro che la derivata è sempre positiva vuol dire che la funzione è sempre crescente,
cioè vuol dire che l’impresa deve produrre la più alta qualità possibile (nel nostro caso è
l’impresa 2)  l’impresa che produce alta qualità ha incentivo ad aumentare quanto più
possibile la qualità, fino ad un certo livello massimo (q’, oppure s’); per ottenere la qualità
inferiore facciamo la derivata rispetto al profitto dell’impresa 1, e al posto di s2 mettiamo s’.
119

MODELLI SEQUENZIALI (STACKELBERG)


Un gioco simultaneo può sempre trasformarsi in un gioco sequenziale se si decide
chi muove per primo e chi muove per secondo.
Quando abbiamo parlato di Cournot e Bertrand non abbiamo più potuto utilizzare la
matrice dei pay-off; quando parleremo di Stackelberg non potremo più utilizzare la
struttura ad albero, perché l’albero prevede che ad ogni istanza di scelta ci siano una serie
di opzioni discrete numerabili.
Se dobbiamo scegliere un prezzo o una quantità, le quantità e i prezzi sono infiniti;
anche in questo caso è la funzione di reazione che mi dice cosa viene selezionato.
Chi muove per primo viene chiamato leader, e quello che segue (= chi muove per
secondo) viene chiamato follower.
Come nell’esempio con Cournot, la domanda è: P = A – BQ = A – B(q1 + q2), dove A e B
sono rispettivamente l’intersezione con l’asse verticale (A), e il coefficiente angolare della
retta (B)  sono dei numeri, e sono noti.
Ogni impresa stabilisce la sua funzione di reazione, cioè le sue migliori risposte: la prima
impresa sceglie per prima, ma sa che al q1 che sceglie seguirà il q2 che risulta dalla
funzione di reazione dell’impresa 2  l’impresa 2 indirettamente sceglie q2, perché sa già
quali sono le conseguenze delle sue scelte: non siamo più in nella situazione base in cui
non so cosa farà l’altro e devo indovinarlo: io che muovo per primo so già quello che farà
l’altro; e quanto toccherà all’altro muovere, non dovrà indovinare cos’ho fatto io, perché
vede quello che ho fatto e, soprattutto, quello che vede non può essere messo in
discussione  se ho scelto quel q1, ho scelto quel q1, non posso cambiare idea,
altrimenti non sarebbe un gioco sequenziale: se so già che q2 verrà scelto, e so che il q1
che sceglierò io determinerà il q2 successivo, posso inglobare questa informazione
(funzione di reazione) nella mia funzione di profitto.
Astrattamente il profitto dell’impresa 1 dipende sia da q1 che da q2, ma se q2 è figlio di q1
allora dipende solo da q1; siamo in un contesto di perfetta informazione:
(A−c)
q2* = q1
2B−
2

la funzione di domanda della prima impresa dipende sia da q1 che da q2; ma se vado a
sostituire q2* dipende solo da q1; a questo punto massimizzo e ottengo:
(A – c) (A – c)
q1* = q2* =
2B 4B
120

 i costi sono uguali e la domanda è la stessa, però le quantità scelte non sono uguali,
perché c’è un’asimmetria che nasce dal fatto che uno sceglie per primo e uno sceglie per
secondo  non conta il fatto che c’è la stessa tecnologia di produzione o la stessa
domanda: solo per il fatto che le scelte vengono fatte in momenti diversi, si introduce
un elemento di diversità tra le due imprese, che si riflette nei risultati finali.
Una volta trovate le quantità troviamo tutto il resto, prezzo e profitti.

Sia nel caso della differenziazione orizzontale che nel caso della differenziazione verticale,
noi costruiamo uno schema che ci serve per definire la domanda; una volta definita la
domanda, quello è il punto di partenza della nostra analisi.
Il gioco sequenziale è un gioco dove uno sceglie una cosa, si vede cosa ha scelto, e
dopo l’altro sceglie; quando il gioco dipende da dei parametri, e questi parametri sono
scelti dalle stesse imprese, per esempio la capacità produttiva, le caratteristiche del
prodotto sia in senso orizzontale che verticale, possiamo immaginare che ci sia una
sequenza di 2 giochi simultanei a distanza.
Quando abbiamo parlato delle scelte di capacità fatte in estate per l’inverno non si trattava
di un gioco sequenziale, ma di un gioco che avviene in 2 periodi, però sono 2 giochi
simultanei dove uno dipende dall’altro, anche se per analizzarli (per trovare l’equilibrio)
seguiamo una strategia abbastanza simile  siamo in un contesto di perfetta
informazione, nel momento in cui uno per l’estate sceglie la capacità, sa già cosa
succederà d’inverno; ma se sa già cosa succederà d’inverno, vuol dire che tutti e due
sanno già cosa succederà d’inverno; mentre nel gioco sequenziale, io scelgo l’estate e tu
scegli l’inverno: è vero, io anticipo quello che tu farai d’inverno, ma lo farai solo tu.
Mentre nella sequenza dei giochi simultanei tutti e due scegliamo, e tutti e due d’estate
sappiamo già cosa faremo tutti e due d’inverno; per capire dove si va a parare si segue
una strategia simile ai giochi sequenziali: d’inverno si stabilisce un equilibrio che dipende o
da capacità arbitrarie, o da qualità arbitrarie, o da organizzazioni arbitrarie, e dopo si
sceglie  è un percorso simile, ma concettualmente sono due cose diverse, perché è una
sequenza di mosse simultanee; mentre la sequenza è formata da mosse una di seguito
all’altra, non simultanee.
Un gioco simultaneo si può sempre trasformare in un gioco sequenziale, nel momento in
cui so chi muove per primo e che muove per secondo; questo è un concetto generale che
vale per tutti i giochi simultanei, e vale anche per giochi dove le variabili strategiche sono
continue.
121

Quando le variabili strategiche sono continue, utilizziamo le funzioni di reazione, non


potendo lavorare con le matrici; il modello di Cournot lo interpretiamo come un modello
di gioco simultaneo dove tutti e due scelgono contemporaneamente la quantità.
L’equivalente del gioco sequenziale sarebbe che uno sceglie la quantità per primo
(incumbent), e dopo che questa quantità è stata scelta, e questa scelta non può più
essere cambiata, e questa scelta è stata osservata dall’altro, l’altro (follower) sceglie
quanto produrre.
C’è una fondamentale differenza rispetto ai giochi simultanei, perché gioco simultaneo
vuol dire che devo ipotizzare cosa può fare l’altro senza vedere cosa fa in realtà, e allora
abbiamo il problema di coerenza reciproca, cioè devo immaginare che l’altro scelga con la
stessa coerenza, con la stessa razionalità che sto utilizzando io.
Nei giochi sequenziali invece vedo subito cosa è stato fatto, e reagisco di conseguenza,
perché faccio quello che mi dice la mia funzione di reazione, perché la mia funzione di
reazione mi dice esattamente cosa massimizza i miei profitti, data una quantità, che nei
giochi simultanei è una congettura, mentre nei giochi sequenziali è quello che vedo
davvero.
Nei giochi sequenziali utilizzavamo un diagramma ad albero, e trovavamo la soluzione
eliminando tutte le alternative che non erano logicamente selezionabili; il risultato finale
era quello di trovare un percorso unico dove accadeva che chi sceglieva per primo
anticipava correttamente cosa sceglieva l’altro; per cui scegliendo per primo,
indirettamente manovrava anche la scelta dell’altro che sceglieva per secondo.
Nei giochi sequenziali è la stessa cosa, ma siccome le scelte sono scelte continue non
abbiamo più il grafico ad albero a nostra disposizione, ma abbiamo un concetto analogo,
cioè possiamo dire, per esempio: io sono il leader, scelgo la quantità q1, e so che quella
quantità q2 che verrà scelta dal follower è diretta conseguenza (= è una funzione) del q1
che scelgo io  la sua funzione di reazione.
A questo punto, nello scegliere il mio q1 devo massimizzare i miei profitti, che in
generale dipendono da q1 e da q2; ma q2 sono in grado di anticiparlo, perché q2 è esso
stesso funzione di q1; quindi se io prendo la mia funzione di profitto, e al posto di q2 ci
metto la funzione di reazione del follower, la mia funzione di profitto diventa una funzione
che dipende solo da q1. A quel punto scelgo il q1, e l’equilibrio è determinato perché io ho
il mio q1, e il follower risponderà in base alla funzione di reazione in modo assolutamente
credibile.
122

Questo è il modo di procedere: quando si dice Stackelberg si intende la versione


sequenziale di Cournot, ma in realtà qualunque gioco simultaneo può essere
trasformato in un gioco sequenziale. Ci sono delle cose da stabilire: chi sceglie per primo
e chi sceglie per secondo, ma nella realtà non sta scritto da nessuna parte che un’impresa
debba determinare o la quantità o il prezzo del prodotto prima dell’altra; se questo
avviene, allora abbiamo il problema che, qualora volessimo utilizzare questo tipo di
impostazione, dobbiamo specificare perché, e questo diventa ancora più importante
quanto l’essere primo o l’essere secondo = essere leader o essere follower fa la
differenza, perché ci permette di ottenere più profitti.
Se applichiamo la logica sequenziale a Cournot, e se le imprese inizialmente erano
simmetriche, quindi producevano gli stessi prodotti, è facile dimostrare che c’è un
vantaggio di prima mossa  il leader fa più profitti del follower: il puro e semplice fatto
che c’è uno che sceglie per primo e un altro che sceglie per secondo rompe la simmetria
(perché le imprese sono identiche) e chi sceglie per primo ha un vantaggio; ma allora
tutte e due le imprese vorrebbero scegliere per prime, e quindi si deve spiegare perché
una ha la fortuna di scegliere per prima.
Vedremo dei modelli dove per esempio c’è un’entrata: in questo caso una delle possibili
spiegazioni è che c’è già un’impresa, e il fatto di essere già nel mercato permette di
scegliere per primi; ricordiamoci però che quando parliamo di giochi simultanei non è
così importante scegliere per primi: è importante scegliere, e che la scelta rimanga
ferma; quindi il fatto di essere già nel mercato, e c’è un l’altro che deve entrare non ci
qualifica automaticamente come leader: anche se temporalmente scegliamo per primi, il
problema diventa quello di tenere ferma la decisione presa, e allora dobbiamo pensare a
possibili meccanismi. Vedremo poi che uno dei meccanismi potrebbe essere quello di
preacquistare un certo numero di fattori produttivi, il che potrebbe essere equivalente a
preinstallare capacità produttiva  siccome costa installare capacità produttiva, in un
contesto di perfetta informazione, uno non va ad installare capacità che poi non usa!
C’è un’impresa già nel mercato, acquista dei macchinari o degli impianti in modo tale che
questo diventa un segnale credibile che effettivamente produrrà quel q1 che corrisponde
al k1 che ha installato; altri meccanismi potrebbero essere che è già stata fisicamente
realizzata la produzione: per esempio d’inverno sono già stati prodotti i gelati industriali
che verranno venduti d’estate; se abbiamo già prodotto e immagazzinato, diventa credibile
che quella produzione la andremo a vendere  in ogni caso occorre spiegare perché uno
sceglie per primo, e quindi ha un certo vantaggio.
123

Tuttavia, se scegliamo questa struttura scegliendo i prezzi, viene fuori che il vantaggio è di
seconda mossa, cioè è quello che sceglie per secondo che ha i profitti più elevati
 abbiamo visto in precedenza come, in presenza di differenziazione orizzontale e con la
stessa curva di domanda, si poteva cercare un equilibrio dove si potevano scegliere
simultaneamente le quantità, oppure si potevano scegliere simultaneamente i prezzi
 vedi esempio dove la curva di domanda è: q1 = 60 + p1 + p2, dove venivano scelti i
prezzi; con la stessa curva di domanda si possono scegliere le quantità: questo significa
fare in modo che non le due quantità dipendano dai due prezzi, ma che i due prezzi
dipendano dalle quantità  bisogna risolvere un sistema trattando i prezzi come se
fossero delle incognite, e il risultato era un risultato del tipo: p1 = 60 – 2/3 q1 - 1/3 q2,
invertendo il sistema.
Possiamo scegliere simultaneamente i prezzi, scegliere simultaneamente le quantità;
oppure scegliere sequenzialmente le quantità, scegliere sequenzialmente i prezzi  già i
risultati erano diversi tra lo scegliere le quantità o lo scegliere i prezzi, continuano ad
essere diversi, ma se calcoliamo i profitti vediamo che il profitto del leader è più grande di
quello del follower quando si scelgono le quantità; mentre se si scelgono i prezzi è il
profitto del follower ad essere maggiore di quello del leader (perché p2 = p1 – ε).
Il fatto che scegliendo i prezzi si ha un vantaggio di seconda mossa è banale se si pensa
al modello di Bertrand base (beni simmetrici): io scelgo un p1; tu che vieni dopo scegli un
p2 che è p1 – ε; centra anche il fatto che le quantità sono quantità strategiche, e i prezzi
sono prezzi strategici.
Prendiamo il modello di Stackelberg come variante del modello di Cournot; abbiamo
appena detto che il leader è quello che fa più profitti, quindi gli conviene scegliere per
primo, che vuol dire che sceglie la combinazione di q1 e q2 che gli conviene lungo la
funzione di reazione del concorrente:

C  Equilibrio di Nash

S  Equilibrio di Stackelberg:
l’impresa 1 sceglie lungo la funzione di
reazione dell’impresa 2; il leader non sta
massimizzando i profitti!, perché non è
sulla sua funzione di reazione.
(A –c)/2B = quantità di monopolio (= q1)
= quantità del leader di Stackelberg
124

Quando siamo leader, la combinazione che viene scelta è qualche altra combinazione che
non è l’equilibrio di Cournot, ma è per esempio una combinazione come quella del grafico
visto: perché sono sulla funzione di reazione del follower (R2)? Perché il follower
sceglie per secondo, io ho scelto q1, e q2 è la giusta conseguenza data la funzione di
reazione: è un punto dove il leader produce un po’ di più e il follower produce un po’ di
meno; il leader incrementa i propri profitti, e il follower diminuisce i propri profitti. Ma la
cosa interessante è che nel punto rosso (equilibrio di Stackelberg), il leader non sta
massimizzando i suoi profitti!  sono diventato leader e non sto massimizzando i
profitti! Perché?: per il puro e semplice fatto che io non sono sulla mia funzione di
reazione, e quindi se il follower produce una certa quantità, la quantità che
massimizzerebbe i miei profitti non è quella che ho scelto nel primo periodo, ma è una
quantità leggermente più bassa.
Cosa vuol dire?: il leader ha scelto una certa quantità, sulla base della quantità che il
leader ha scelto il follower ha scelto la sua quantità, però se il leader potesse tornare
indietro sulla sua decisione, e modificare a sorpresa la quantità che aveva stabilito nel
primo periodo, lo farebbe! Potrebbe andare ancora meglio rispetto a quello che ha
ottenuto: perché non lo fa? Non lo fa perché il follower per fare le sue scelte deve credere
che quella quantità che è stata stabilita sia effettivamente quella: se capisce che il leader
annuncia la quantità q1, ma poi a posteriori non la fa perché gli conviene farne un’altra,
allora questa quantità non è credibile, e se non è credibile alla fine l’unico equilibrio che si
raggiunge è l’equilibrio di Nash, perché se tu dici di fare una cosa e puoi modificarla,
per me il fatto di vedere cosa hai fatto non è vincolante  torniamo in quella
situazione in cui sembra ci sia un gioco sequenziale, che invece è un gioco simultaneo
perché la scelta può essere rivista  perché il gioco sia simultaneo non è obbligatoria la
scelta che abbiamo fatto in un dato momento.
Quindi qui è obbligatorio che uno faccia una scelta e la segua, anche se a posteriori si
mangia le mani perché si rende conto che avrebbe potuto fare ancora meglio: la
quantità q1, cioè (A – c)/2B, è la quantità di monopolio, perché corrisponde
all’intersezione della funzione di reazione R1 con l’asse orizzontale; quindi sarebbe la
quantità che massimizza i profitti dell’impresa 1 se l’altro non producesse niente, cioè se
l’impresa 1 fosse la padrona assoluta del mercato  possiamo dedurre che la quantità
scelta dal leader di Stackelberg è la stessa che avrebbe scelto il monopolista!
125

Il concetto di impegno credibile (credible commitment) è fondamentale affinché si


possa mettere in piedi un gioco sequenziale, ed è un concetto molto importante nella
teoria dei giochi.
Siamo al periodo dei Conquistadores, e una spedizione spagnola sbarca in un’isola
popolata da indigeni americani, più o meno bellicosi; dalla collina che domina l’isola gli
indigeni vedono arrivare gli spagnoli, vedono queste grandi imbarcazioni, vedono che
sono dotati di strani animali (il cavallo è di origine araba, ed è stato importato in America
con le colonizzazioni, e gli indigeni credevano che l’uomo e il cavallo fossero un tutt’uno),
vedono che hanno la pelle molto chiara, hanno strane armi (da fuoco), e il capo degli
indigeni deve decidere cosa fare. Ha due possibilità: quella di lottare contro gli invasori,
rischiando di arrivare allo sterminio del suo popolo; oppure fare buon viso a cattivo gioco,
andando incontro al capo degli spagnoli, adorandoli come degli dei che provengono dal
mare, come nelle antiche profezie.
Gli spagnoli d’altro canto hanno anche loro due fondamentali scelte da fare: o tentare di
conquistare l’isola, sapendo che hanno la supremazia militare dalla loro parte, ma anche
che davanti a loro hanno una popolazione di guerrieri orgogliosi che avrebbe lottato fino
alla fine; oppure considerare il fatto che ci sono tantissime altre isole, e forse c’è un’altra
isola con una popolazione un po’ meno bellicosa.
Queste sono le scelte che possono essere fatte, ma ad un certo punto il capitano degli
spagnoli dà ordine che siano bruciate le navi, e gli spagnoli si trovano nella situazione,
almeno nell’immediato, di non poter più tornare indietro  perché l’ha fatto? Perché aveva
studiato la teoria dei giochi! (dovevano ancora inventarla, ma lui l’aveva già studiata!)
Anche il capo degli indigeni aveva studiato la teoria dei giochi!, perché dall’alto della
collina vede le navi che bruciano, e allora dà ordine al suo popolo di andare incontro
amichevolmente agli invasori. Perché? perché il fatto di aver bruciato le navi è un credible
commitment, è un impegno credibile al fatto che non potevano andare su un’altra isola;
quindi l’unica alternativa possibile per gli spagnoli a quel punto era conquistare l’isola.
Visto che gli spagnoli non potevano fare che quello, il male minore per gli indigeni diventa
sottomettersi agli spagnoli senza spargimento di sangue.
Credible commitment in questo contesto significa “legarsi le mani da soli”, evitare di
essere troppo furbi, dimostrare in modo credibile che farò veramente quello che dico di
fare, e questo è un concetto di economia che è un concetto più ampio, è un concetto di
segnale: in economia c’è un segnale quando fai qualcosa che non avresti fatto se non
fosse vero quello che dici; questo ha a che fare soprattutto con tutti i contesti di
126

informazione asimmetrica: noi abbiamo sempre considerato situazioni dove tutti sanno
tutto, ma spesso e volentieri il concetto è che qualcuno sa più degli altri; e allora il
problema è come trasmettere l’informazione.
Per esempio, se uno vuole vendere un bene, proclamerà le qualità di quel bene; per
essere credibile, dovrà fare qualcosa che, se non fosse vero, sarebbe irrazionale, per
esempio offrire una costosissima garanzia (soddisfatti o rimborsati); in questo modo si dà
un segnale che rende credibile quello che si conferma.
Nel nostro contesto il problema diventa quello di trovare dei meccanismi per cui tu produci
qualcosa, o affermi di produrre qualcosa, o scegli il prezzo e non solo lo scegli, ma
dimostri che non lo cambierai a posteriori; se si installa una capacità produttiva, è già
installata, e non si può più tornare indietro; se si sono prodotti i gelati da vendere d’estate,
durante l’inverno sono già prodotti  questo diventa credibile; questo concetto di
credibilità è quello che giustifica il fatto che impostiamo il problema come un problema
sequenziale, e deve essere in qualche modo risolto a monte perché si possa giustificare
l’uso di un approccio sequenziale come quello di Stackelberg.

Esercizio: Un mercato duopolistico opera alla Stackelberg con scelta della quantità. La
curva di domanda è Q = 30 – p/3. I costi marginali sono costanti e pari a 30 per il leader,
pari a c per il follower. Determinare il valore di c sapendo che in equilibrio le quantità
prodotte sono uguali. Chi fa più profitti? Perché?
Ci viene data la curva di domanda diretta, ma noi sappiamo che quando dobbiamo
scegliere le quantità, ci piace scriverla come prezzo che dipende dalle quantità e non
come quantità che dipende dal prezzo, perché dobbiamo scrivere i profitti in funzione delle
quantità per andare avanti con il nostro problema; non c’è simmetria, perché sappiamo
che i costi sono costanti, e sono 30 per il leader, e un generico c per il follower; ci viene
detto che in equilibrio le quantità prodotte sono uguali
 nell’equilibrio di Stackelberg il leader produce di più del follower, partendo da una
situazione di simmetria; in questo caso invece le produzioni sono uguali, quindi dobbiamo
trovare un modo per cui, partendo dall’inizio, il leader produrrebbe di più se i costi, per
esempio, fossero uguali. Ma i costi devono essere diversi in modo tale che producano la
stessa quantità
 in questo tipo di gioco ci sono due effetti asimmetrici che si devono compensare: uno è
l’effetto che uno sceglie per primo e l’altro sceglie per secondo, e questo fa produrre di più
al leader e di meno al follower; l’altra asimmetria possibile è che ci siano dei costi diversi.
127

Quando abbiamo visto Cournot con i costi diversi, produceva di più quello che aveva i
costi più bassi, per cui, prima ancora di fare i calcoli, mi devo immaginare una situazione
di questo tipo: bisogna che c sia minore di 30, per arrivare a produrre uguale, perché
se i costi fossero uguali il follower produrrebbe di meno, quindi per riportarlo al livello del
leader bisogna che questo effetto di asimmetria sia compensato da un effetto asimmetrico
di segno opposto; vediamo come ci si può arrivare:
Q = 30 – p/3 3q1 + 3q2 = 90 – p p = 90 – 3q1 – 3q2
π1 = (90 – 3q1 – 3q2 – 30)q1
π2 = (90 – 3q2 – 3q1 – c)q2

Devo trovare la funzione di reazione del follower, quindi derivo π2 rispetto a q2:
derivata  90 – 3q1 – 6q2 – c = 0
90−3q1−c
q2 = q2 = 15 – q1/2 – c/6  funzione di reazione impresa 2
6
Abbiamo trovato la funzione di reazione dell’impresa 2 (follower), che è nota anche
all’impresa 1 (leader), visto che siamo in perfetta informazione; quindi l’impresa 1 sa che
ogni volta che sceglie q1, applicando questa regola (derivazione) q2 salta fuori in
automatico. Allora possiamo inserire direttamente q2, così come l’abbiamo calcolato,
all’interno del profitto dell’impresa 1:
π1 = (90 – 3q1 – 3*15 + 3/2q1 + c/6 – 30)q1 (= q2)
= (60 – 3q1 – 45 + 3/2q1 + c/6)q1 = (15 – 3/2q1 + c/6)q1
 = 15 – 3q1 + c/6 = 0 q1 = 15/3 + c/18 q1 = 5 + c/18  1/2q1 = 5/2 + c/36

Possiamo notare un’altra cosa: la quantità dell’impresa 1 è crescente nei costi dell’impresa
concorrente (impresa 2): a parità di tutto, se i costi del concorrente aumentano, lui
diminuisce la produzione; nel momento stesso che lui diminuisce la produzione l’impresa 1
produce di più. Sostituisco q1 nella funzione di reazione del follower:
15 – 5/2 – c/36 – c/6 = 25/2 – c/4 = q2
[calcoli: (30-5)/2 – ((-3c -6c)/36) = 25/2 – (-9c/36) = 25/2 – 1/4c = 25/2 – c/4]
Abbiamo trovato q1 e q2, che diventano funzione di c, il parametro che non conosciamo;
conoscendo q1 e q2 possiamo calcolare il prezzo, i profitti, ecc.; notiamo che q2 dipende
negativamente da c, e q1 dipende positivamente da c, ma l’effetto diretto è maggiore in
valore assoluto dell’effetto indiretto; e questo vorrebbe dire che se c lo inseriamo nella
funzione di domanda inversa, il prezzo aumenterebbe all’aumentare di c
128

 all’aumentare di c, diminuisce q2 più di quanto aumenti q1, e quindi l’effetto sarebbe


quello di un aumento di prezzo (vedi esempio con c = 24)
Il testo chiede quanto deve valere c perché la quantità sia uguale: basterà semplicemente
risolvere l’equazione che eguaglia q1 e q2:
25/2 – c/4 = 5 + c/6 25/2 – 5 = c/4 + c/6 (25 - 10)/2 = (3c + 2c)/12
15/2 = 5c/12 c = (15*6)/5 c = 18

Calcolo le quantità, anche se so che sono uguali (me lo dice il testo, ma mi servono poi
per l’esempio con c = 24), e calcolo il prezzo per poter ricavare poi i profitti:
q1 = 5 + c/6 q1 = 5 + 18/6 q1 = 5 + 3 q1 = 8
q2 = 15 – q1/2 – c/6 q2 = 15 – 8/2 – 18/6 q2 = 15 – 4 – 3 q2 = 8
p = 90 – 3q1 – 3q2 p = 90 – 3*8 – 3*8 p = 90 – 48 p = 42

Chi fa più profitti? Qui non è ovvio, proprio perché ci sono due meccanismi che lavorano in
direzione opposta: il fatto di essere leader favorisce l’impresa 1; il fatto di avere i costi più
bassi, e quindi essere più efficiente favorisce l’impresa 2. Per quanto riguarda la quantità
questi due effetti si compensano perfettamente, ma non è detto che si compensino anche
per quanto riguarda il profitto:
π1 = (42 – 30)*8 = 64 π2 = (42 – 18)*8 = 192

Fa più profitti l’impresa 2, ma era proprio necessario fare tutti i calcoli? No! Il prezzo è
uguale per il puro e semplice fatto che il bene è omogeneo; la quantità è uguale perché è
una condizione imposta dal testo; l’unica cosa diversa sono i costi, ed è l’unica cosa che
può incidere nei profitti  è ovvio che chi ha i costi più bassi fa più profitti!
Dimostrazione che se c aumenta, π2 diminuisce più di quanto aumenta π1, e avrò quindi
un aumento di prezzo: se, per esempio, c = 24, avremo:
q1 = 5 + c/6 q1 = 5 + 24/6 q1 = 5 + 4 q1 = 9
q2 = 15 – q1/2 – c/6 q2 = 15 – 8/2 – 24/6 q2 = 15 – 4 – 4 q2 = 7
p = 90 – 3q1 – 3q2 p = 90 – 3*9 – 3*7 p = 90 – 48 p = 42

π1 = (42 – 30)*9 = 72 (+8) π2 = (42 – 24)*7 = 126 (-66)


129

Temi di discussione:
In un gioco di tipo Stackelberg è fondamentale che la prima mossa non possa essere
cambiata per un certo periodo di tempo, ma non è essenziale che non debba essere
cambiata mai.
La mossa del leader non deve essere cambiata fino a che il follower non abbia fatto la
propria mossa: è un discorso simile a quello della capacità: ci sono delle variabili
strategiche lente, e delle variabili strategiche veloci; alcune si possono cambiare
rapidamente e altre richiedono più tempo, ma il fatto che richiedano più tempo non
significa che non si possa cambiare nulla.
Per esempio: scegliamo la capacità d’estate, poi d’inverno si sviluppa un certo tipo di
gioco, ma finito l’inverno arriva un’altra estate; in un momento successivo, cioè nel
momento in cui il follower deve prendere le decisioni, in quel dato momento la decisione
del leader non è in discussione; questo però non significa che non ci sia un ulteriore round
dove il leader decide di modificare la sua scelta.
Qualunque modello oligopolistico che possa essere interpretato come gioco simultaneo si
presta ad essere trasformato in un gioco sequenziale alla Stackelberg.
Posso dare la priorità a uno dei due giocatori, e posso interpretare qualsiasi gioco
simultaneo come sequenziale, però sapendo che cambierò l’equilibrio; basta che riesca a
giustificare il fatto che una scelta viene fatta prima di un’altra e che rimane ferma, almeno
fino a quando l’altro non ha deciso.
Non è possibile affermare in generale che un modello di tipo Stackelberg (= qualunque
versione sequenziale dei giochi che abbiamo preso in considerazione) preveda un
vantaggio di prima mossa, né che il risultato conduca ad un equilibrio più concorrenziale,
con profitti contenuti e prezzi ridotti.
Nell’esercizio precedente abbiamo trovato un certo prezzo (42), che avremmo potuto
confrontare con il prezzo che verrebbe fuori confrontando l’equilibrio classico di Cournot, e
vedere se è più alto o più basso; quindi, non solo l’equilibrio è diverso, ma potrebbe
essere più o meno concorrenziale: più concorrenziale se il prezzo è più basso e c’è più
quantità aggregata; meno concorrenziale viceversa. Perché avviene questo?
Finora tutti i ragionamenti li abbiamo fatti concentrandoci sul prezzo e sulla quantità, ma in
realtà in qualunque tipo di operazione adottata dalle imprese possiamo adottare questo
tipo di schema. Per esempio, quanto un’impresa investe in pubblicità?
Quando parliamo di giochi simultanei non vuol dire necessariamente che uno sceglie il
prezzo e un altro la quantità! Dobbiamo scegliere qualcosa che abbia a che fare con la
130

strategia della nostra azienda (qualunque cosa!): nella misura in cui le scelte dipendono
dai concorrenti, e non c’è necessariamente qualcuno che sceglie per primo o per secondo,
il nostro schema logico concettuale è il gioco simultaneo, e anche in questi casi possiamo
sempre immaginare di poter trasformare un gioco simultaneo in sequenziale: uno sceglie il
budget pubblicitario per primo, e l’altro sceglie per secondo; uno sceglie le caratteristiche
del prodotto per primo, e l’altro sceglie per secondo; quindi andiamo oltre Stackelberg e
Cournot  è un concetto molto più generale!
E anche in questi casi non c’è scritto da nessuna parte che chi muove per primo o per
secondo possa avere un vantaggio  molto ha a che fare con la posizione delle curve
delle funzioni di reazione, perché se sono sostituti strategici tipicamente c’è un tipo di
risultato, se sono complementi c’è un altro tipo di risultato.
E' fondamentale il concetto di credibilità. Per ottenere la credibilità occorre inviare un
“segnale”, ovvero qualcosa che non si avrebbe fatto se non fosse vero quello che si
afferma o quello che si vuol far credere.
Per avere un gioco simultaneo non è importante scegliere contemporaneamente: le
aziende non prendono le decisioni tutte insieme lo stesso giorno alla stessa ora! Quello
che conta è se quelle decisioni possono essere riviste nel tempo, o se per un periodo di
tempo più o meno lungo non possono essere riviste; ma in più non solo non possono
essere riviste, ma non possono essere riviste alla luce del fatto che resti leader: come
leader potresti fare ancora più profitti, ma non puoi perché ti devi legare le mani per non
essere troppo goloso, e se questo viene capito dall’altro allora non sei più credibile.
Per ottenere la credibilità, l'impresa leader può mettere in atto delle azioni che potrebbero
sembrare autolesioniste, dato che comunque restringono il raggio di azione di chi le pone
in essere.
Bruciamo le navi! Per essere credibile dobbiamo restringere quello che possiamo fare a
posteriori: brucio le navi perché così non posso più andare su un’altra isola  restringo le
possibilità effettive, e questo può essere visto come autolesionismo, perché vado contro i
miei stessi interessi.
Se potesse cambiare la propria mossa, il leader lo farebbe.
Ci può essere una situazione in cui il follower crede davvero che il leader non cambierà
direzione; ma il leader può essere talmente astuto da trovare un meccanismo per
cambiare mossa; per esempio potrebbe produrre un po’ meno: nell’esempio l’impresa 1
produce 8, e allora l’impresa 2 produce 8 anche lei; però se il primo trovasse il modo per
non produrre più 8, e massimizzasse i profitti, q1 sarà meno di 8  se il leader trovasse il
131

modo di produrre di meno lo farebbe sicuramente, perché nell’equilibrio di Stackelberg,


per costruzione, il leader è sulla curva di reazione del follower: il puro e semplice fatto
che il leader non è sulla sua curva di reazione implica che non sta massimizzando i
profitti (perché se stesse massimizzando i profitti sarebbe sulla sua curva di reazione).
Il leader sceglie lungo la funzione di reazione del follower la combinazione di quantità (o
prezzi, ecc.) che massimizza i propri profitti.
Il leader massimizza i suoi profitti scegliendo lungo la funzione di reazione del follower: la
funzione di reazione rappresenta la migliore risposta ad una eventuale q2.
Muovendosi lungo la funzione di reazione R2, all’interno di quel dominio il leader sceglie il
q1 che massimizza i suoi profitti; condizionatamente al fatto che il follower sceglierà lungo
la sua funzione di reazione, il leader lungo la sua funzione di reazione del follower
massimizza i suoi profitti  il leader massimizza i suoi profitti lungo il dominio ristretto
dalla funzione di reazione del follower, perché è condizionato dal fatto che q2 dipende da
q1, e il punto in cui il leader massimizza in quel dominio è il massimo in quel dominio!
Se il leader potesse scegliere q1 e q2, metterebbe q2 = 0, e q1 = produzione di
monopolio; ma siccome è condizionato da q2, però lo controlla indirettamente, è come se
massimizzasse quei profitti in un sottoinsieme del dominio, che è ristretto dalle scelte
razionali del follower.
132

PREZZI LIMITE
Il limit pricing è un tema in qualche modo collegato all’aspetto della credibilità, cioè
quando una qualche strategia, o una qualche azione intrapresa da un agente viene
considerata poi come stabile, come una promessa mantenuta in una fase successiva.
Stackelberg e limit pricing in qualche modo convergono in un modello complessivo, che è
il modello di Dixit (che vedremo in seguito).
Nell’analizzare i vari modelli di oligopolio, e i vari contesti e vincoli presenti,
fondamentalmente abbiamo raccolto la nostra attenzione sul grado di concorrenzialità, sul
grado di intensità del gioco competitivo dei vari mercati, dove l’intensità della concorrenza
è facilmente riconducibile ad un prezzo più basso, ad una quantità complessiva maggiore
e a profitti mediamente più bassi. Quando questo si verifica abbiamo dei mercati con
concorrenza intensa, e questo per molti aspetti può essere considerato un qualcosa di
socialmente desiderabile, tant’è che le leggi antitrust si occupano proprio di rimuovere
eventuali ostacoli frapposti al pieno sviluppo del gioco della concorrenza.
Abbiamo concentrato la nostra attenzione su quello che si vedeva nel mercato: per
esempio, nel modello di Cournot abbiamo tracciato un legame causale tra il livello della
concentrazione e l’intensità della concorrenza  tra la numerosità e
l’uguaglianza/diversità delle imprese presenti, e quanta concorrenza effettivamente poteva
svilupparsi intorno a questo mercato; quindi abbiamo sempre considerato chi c’era, e che
caratteristiche aveva tale mercato.
Però in realtà quando abbiamo considerato il modello base di Bertrand, in particolare
quando abbiamo cominciato a chiederci cosa succedeva se i costi marginali non sono
uguali, abbiamo visto che, in presenza di livelli differenti di efficienza, succedeva per
esempio che con due imprese solo una rimaneva nel mercato (quella più efficiente =
costi minori), il prezzo che si veniva a formare era legato al costo marginale del
concorrente, il che significava che si poteva fare un minimo di profitti, e questi profitti erano
legati al differenziale di efficienza (costi minori), e si potevano perfino ottenere dei profitti di
monopolio.
Abbiamo anche detto che, in una situazione come questa, se uno osserva il mercato si
chiede quante imprese ci sono in questo mercato; siccome una impresa solo sopravvive,
allora la risposta è che nel mercato c’è una sola impresa. Ma allora è un monopolista?
È un monopolista perché è la sola nel mercato; ma allo stesso tempo non è monopolista
in senso economico, perché non è completamente libera di fissare il prezzo che ci sarebbe
se potesse sfruttare a pieno il fatto che è l’unica nel mercato  è da sola, ma il suo
133

comportamento non può superare la soglia di prezzo corrispondente al costo marginale


utilizzato dal concorrente.
Questo risultato ottenuto a suo tempo, è un risultato importante che ha una valenza più
generale: se dovessimo analizzare quel mercato, dovremo dire che c’è una sola impresa,
ma questa applica un prezzo soltanto un po’ inferiore a quelli che sono i suoi costi di
produzione; quindi se noi desideriamo che i mercati siano il più possibile vicini alla
concorrenza perfetta, questo è un mercato abbastanza efficiente, e non c’è nessuna
necessità di un intervento pubblico che rimuova le barriere al gioco concorrenziale.
Il messaggio di fondo è che il tipo di equilibrio che si può realizzare in questo tipo di
mercato non dipende solo dal numero e dalle caratteristiche delle imprese presenti, ma
anche da una serie di altre imprese che non vediamo, ma che stanno virtualmente alla
finestra, e che potrebbero intervenire nel mercato qualora si intravedessero dei margini di
profitto sufficienti. Quindi è importante considerare che la potenziale entrata dei
concorrenti vincola, condiziona, le imprese che sono presenti nel mercato; ma nella misura
in cui questo è riconosciuto dalle stesse imprese, si può capovolgere il ragionamento, e
cioè: le imprese minacciate da una potenziale entrata potrebbero mettere in atto dei
comportamenti strategici atti a limitare l’entrata, a rendere l’entrata impossibile, più difficile,
non conveniente.
Questo è quello che vedremo adesso: comportamenti che non sono comportamenti
strategici rivolti agli altri concorrenti del mercato, ma a dei concorrenti “invisibili” che però,
attraverso la minaccia di entrata, finiscono per condizionare il comportamento delle
imprese presenti. Utilizzeremo il più semplice degli schemi, dove assumiamo che ci sia
inizialmente una sola impresa presente, detta incumbent; e un potenziale entrante che
valuta la convenienza all’entrata. Se l’entrata avviene, si può immaginare che poi, una
volta dentro, si realizzi un qualche tipo di concorrenza che potrebbe essere Cournot,
Bertrand con prodotti differenziati o meno, a seconda.
Siamo quindi ad un passo preliminare dalla concorrenza, e cerchiamo di vedere come
questo condiziona il comportamento di chi sta già dentro al mercato, che per semplicità
ipotizziamo essere un monopolista

πM = profitto di monopolio
πD1 + πD2 < πM  la somma dei profitti di duopolio è minore del profitto di monopolio

I due profitti potrebbero essere pari a zero nel caso di Bertrand con beni omogenei e costi
uguali!  qualunque sia il modello di duopolio, la somma dei profitti quando le
134

imprese si fanno concorrenza è sempre minore dei profitti di monopolio: questo è


l’effetto della concorrenza!
La concorrenza alla fine ha l’effetto di erodere i profitti aggregati; se ci si fa
concorrenza, i profitti unitari non sono più massimizzati:

πM – πD1 > πD2  la differenza tra il profitto di monopolio e il profitto dell’incumbent è


maggiore del profitto dell’entrante.

πM – πD1 è il calo dei profitti  danno subito dall’impresa incumbent a causa dell’entrata
di un’altra impresa
πD2 è il vantaggio che ha l’altra impresa ad entrare  più alti sono i profitti che l’impresa
entrante si attende nell’equilibrio duopolistico, più sarà spinta ad entrare.

Se l’impresa entrante vede che l’incumbent non fa profitti, non entra; per evitare l’entrata,
l’incumbent potrebbe corrompere qualcuno per l’ammontare del danno che viene causato,
cioè πM – πD1 = incentivo ad evitare l’entrata  qualunque sia il tipo di concorrenza, c’è
sempre un incentivo ad evitare l’entrata, e potremmo anche arrivare ad un paradosso: la
prima impresa (incumbent) convince la seconda (entrante) a non entrare, dandole i soldi
che avrebbe guadagnato entrando!
Dal punto di vista dell’antitrust, queste sono barriere endogene all’entrata, perché sono
barriere create dalle stesse imprese che sono nel mercato; ci sono altri tipi di barriere,
come la necessità di acquisire delle autorizzazioni, o altri tipi di costi fissi, che sono
oggettivamente delle barriere, ma sono delle barriere “naturali” del mercato, non sono
barriere costruite ad arte da chi sta già dentro il mercato, per rendere più difficoltosa
l’entrata.
Consideriamo il caso di un entrante che, per poter profittevolmente entrare nel mercato, ha
bisogno che in quel mercato ci sia spazio sufficiente, cioè occorre che il mercato sia
sufficientemente grande per poter permettere la coesistenza di due o più imprese.
“Spazio” vuol dire fondamentalmente che, per poter essere efficienti, occorre
raggiungere certi volumi di produzione, e questi volumi di produzione devono essere
assorbiti dalla domanda del mercato.
In Cournot ci possono essere costi marginali diversi, però se questa differenza è molto
ampia, l’impresa che ha i costi marginali più alti non regge la concorrenza: se partiamo da
un equilibrio simmetrico, e alziamo i costi di uno dei due, ci si sposta lungo la curva di
135

reazione di quello che ha i costi costanti, però fino ad un certo limite, perché poi significa
che il differenziale è troppo alto per poter essere recuperato.
Finora abbiamo mantenuto l’ipotesi di costi marginali costanti; per creare un legame tra
l’efficienza e quanto si vende bisogna introdurre delle economie di scala, che sono
semplicemente costi medi decrescenti: più si produce, più il costo per unità prodotta
tende a scendere, quindi invece di avere costi marginali costanti e uguali ai costi medi,
abbiamo dei costi medi decrescenti
 si parla di economie di scala quanto il costo medio è decrescente, cioè quando
aumentando la quantità si diventa più efficienti = meno costi; per essere
sufficientemente competitivo devo raggiungere certi volumi di produzione, perché, se i
costi unitari sono elevati, rischio di non fare profitti; la più semplice tra le tante spiegazioni
delle economie di scala è la presenza di costi fissi: se ci sono costi fissi, più produco, più
questi costi fissi vengono ripartiti (spalmati) su un numero maggiore di unità, e i costi medi
tendono a diminuire.
In generale, la proprietà di economie di scala, o di diseconomie di scala (= costi medi
crescenti), è una proprietà locale, cioè spesso si va a studiare una curva dei costi medi
fatta ad U, dove c’è il primo tratto dove i costi medi scendono, raggiungono un minimo
(scala minima efficiente), dopo di ché se si continua a produrre i costi medi tendono a
risalire; per avere un fenomeno come quello descritto, cioè che per essere efficiente
bisogna raggiungere un certo volume di produzione, è sufficiente che ci siano economie
di scala in qualche tratto della curva dei costi medi, quindi è sufficiente che la curva dei
costi medi abbia un certo tratto decrescente.

Dove il costo medio raggiunge il minimo


c’è l’intersezione con il costo marginale.

Se il costo marginale è sotto al costo


medio vuol dire che il costo medio sta
calando.

Se il costo marginale è sopra al costo


medio vuol dire che il costo medio sta
crescendo.

Il modo più semplice di introdurre nei livelli di produzione dei costi medi decrescenti, senza
complicare troppo i calcoli, è quello di immaginare che i costi marginali siano costanti
136

(come abbiamo sempre fatto), ma in aggiunta ai costi marginali ci siano anche dei
costi fissi: se ci sono dei costi fissi, costi medi e costi marginali non coincidono più,
perché nel costo medio c’è il costo marginale (cioè il costo di produrre quella unità in più),
però si devono anche spalmare dei costi fissi iniziali sul numero complessivo di unità che
si sono prodotte; quindi, dovendoli disegnare graficamente, i costi marginali sono una linea
orizzontale; e i costi medi sono invece una funzione decrescente, e che asintoticamente si
avvicina ai costi marginali, perché, producendo quantità enormi, si spalmano i costi fissi su
un numero molto grande di unità prodotte.
Con Cournot asimmetrico, se due imprese che hanno costi differenti convivono,
quella che ha i costi più alti fa meno profitti, e ha anche una quota di mercato più
piccola; se i costi dell’impresa meno efficiente fossero molto alti, ad un certo punto questa
verrebbe spazzata fuori dal mercato  non reggerebbe la concorrenza!: l’impresa meno
efficiente può sopravvivere solo se i suoi costi non sono molto più alti dell’altro perché in
quel caso non starebbe più in piedi.
Applichiamo questa logica in un contesto in cui i costi medi non sono costanti, ma
decrescenti; in questo caso non sono efficiente o inefficiente, perché tutto dipende da
quanto produco:
 se produco abbastanza sono abbastanza efficiente, perché sono riuscito a
distribuire i costi fissi
 se produco poco sono inefficiente, ma se sono troppo inefficiente non sto sul
mercato  per stare sul mercato devo produrre a sufficienza!
L’impresa incumbent per evitare l’entrata potrebbe produrre più di quanto produrrebbe
in assenza di pericolo di entrata: in questo modo abbassa il prezzo di mercato, e va a
saturare il mercato in maniera tale che, se un’impresa da fuori prova a produrre, non c’è
più domanda nel mercato sufficiente ad assorbire un livello di produzione che le consenta
di essere efficiente quanto basta per reggere la concorrenza.
Dobbiamo focalizzarci sui costi dell’entrante perché è l’entrante che deve recuperare i
costi fissi; ipotizziamo che le imprese scelgano le quantità e che, analogamente al
modello di Stackelberg, l’impresa incumbent sia leader, dunque sceglie la quantità per
prima: se l’incumbent sceglie la quantità per prima, l’entrante sceglierebbe la sua quantità
sulla base della sua funzione di reazione, ma la sua funzione di reazione è stata calcolata
sulla base della domanda residuale.
Allora prendiamo la domanda totale, e togliamo quello che l’incumbent ha annunciato
credibilmente di produrre, per trovare la domanda residuale: su questa domanda,
137

l’impresa entrante è come se fosse un piccolo monopolista, quindi uguaglia i suoi ricavi
marginali ai costi marginali; esiste un punto in cui la curva dei ricavi marginali incontra la
curva dei costi marginali (punto rosso), e il prezzo che si viene a determinare risulta
minore del costo medio:

Se il prezzo è minore del costo medio vuol dire che per ogni unità che vendo io non ci
guadagno o addirittura ci perdo; il punto qe è un punto dove il ricavo marginale è uguale al
costo marginale, dove i profitti marginali sono a zero e i profitti vengono massimizzati, ma
non so se in qe i profitti sono positivi: potremmo dire che, più che un punto che
massimizza i profitti, è un punto che minimizza le perdite.
In questo caso la cosa migliore da fare non è produrre qe, cioè minimizzare le perdite, ma
non avere perdite, quindi non produrre.
Se questo fosse un modello di Cournot, la prima impresa avrebbe prodotto q1, invece
adesso la prima impresa, potendo scegliere per prima, può produrre più di quanto avrebbe
prodotto, e va a saturare il mercato, cioè lascia poco spazio ad un eventuale entrante.
Se l’entrante entra può produrre solo qe, ma qe è poco, e i costi medi sono elevati
 qe non è sufficiente per poter assorbire i costi fissi.
I costi fissi li possiamo immaginare o come costi fissi tout court (redazione bilancio, costi
amministrativi generali), o come costi di entrata nel mercato (pubblicità); questi costi vanno
assorbiti, ma per essere assorbiti devo fare sufficienti profitti, e per fare sufficienti profitti
devo essere sufficientemente efficiente; ma per essere sufficientemente efficiente devo
produrre quanto basta: quello che sta già dentro (incumbent) lo sa, e va a sovraprodurre
 sovraprodurre significa che tiene il prezzo basso, e tiene il prezzo che si forma al
livello pe: l’entrata non è profittevole!
Questo modello è quasi lo stesso del modello di Stackelberg: nel modello di Stackelberg
abbiamo che un’impresa sceglie per prima, e si impegna credibilmente a scegliere per
138

prima quella quantità, e a non modificarla più; poi c’è un’altra impresa che entra e fa
comunque dei profitti.
Adesso c’è una differenza, la quantità che determina l’impresa entrante è tale per cui i suoi
profitti vanno a zero: questo vuol dire che per impedire l’entrata, l’incumbent deve pensare
ai profitti dell’entrante, non ai suoi!

π2 (p1, p2)  se l’impresa 1 sceglie per prima, la cosa migliore che può fare l’impresa 2 è
scegliere il proprio q2 sulla base della propria funzione di reazione.
π2 (q2*, (q1), q1)  π2 (q1) = 0

Ponendo π2 uguale a zero è come se mi chiedessi qual è quel q1 che pone a zero i
profitti del potenziale entrante; risolvendo un’equazione di questo tipo, trovo la quantità
che spiazza l’entrante  se vale questa condizione l’entrante non entra: l’incumbent
non ha determinato q1 massimizzando i suoi profitti, ma con l’obiettivo di tenere fuori
l’altro.
In Stackelberg facevamo qualcosa di simile, ma non uguale, perché ci concentravamo nei
profitti della prima impresa:
𝚷𝟏
π1 (q1, q*2)  π1 (q1) =𝟎
𝐪𝟏

 in Stackelberg massimizzo il profitto della prima impresa, e vedo quale è la quantità che
massimizza; una volta scelta la quantità, non è detto che q2 vada a zero, q2 può essere
positiva.
Analizzeremo questo tipo di ambiente: c’è un’impresa che è già dentro al mercato, e c’è
un’impresa che potrebbe entrare; l’impresa che potrebbe entrare (potenziale entrante) ha
dei costi fissi in aggiunta a dei costi marginali che possiamo mantenere costanti; il fatto
che abbia dei costi fissi, e quindi dei costi medi che sono strettamente decrescenti,
significa che più produce e più diventa efficiente. Ma siccome per poter competere con chi
sta già dentro bisogna che i costi medi non siano troppo alti, o troppo diversi da chi sta già
dentro, bisogna che venga raggiunto un minimo di volume di produzione; e allora bisogna
vedere se, dopo l’entrata, immaginando di entrare e immaginando ovviamente di cercare
di massimizzare i propri profitti, quindi cercando di scegliere le strategie migliori possibili,
l’equilibrio che si verrebbe a determinare è un equilibrio che permette oppure no di avere
dei profitti; e permette oppure no di superare questa soglia di efficienza.
Se questo è il contesto, questa problematica è nota non solo all’impresa entrante, ma
anche all’incumbent che, nel tentativo di ostacolare l’entrata, potrebbe attuare una
139

strategia di questo tipo: sovraproduce, producendo più di quello che avrebbe prodotto
senza la minaccia di entrata. Ricordiamoci che l’incumbent è da solo nel mercato, e se
non ci fossero minacce di entrata produrrebbe la quantità di monopolio; invece,
sottoposta alla minaccia di una potenziale entrata, potrebbe produrre di più di
quanto produrrebbe in monopolio, e facendo così toglierebbe spazio all’impresa
entrante (spazio sufficiente).
In Cournot, abbiamo detto che ogni impresa decide quanto produrre sulla base della sua
domanda residuale, ottenuta prendendo la domanda aggregata, togliendo la quantità che
presumibilmente producono gli altri; quello che rimane è la domanda residuale, che
trattavamo come la domanda di monopolista; ora, se l’incumbent produce molto, la
domanda residuale a disposizione dell’entrante diventa molto piccola, e pur
massimizzando i profitti, verrebbe fuori che potrebbe produrre talmente poco da avere dei
costi medi elevati al punto tale da non coprire il prezzo che si forma nel mercato, quindi
creando dei profitti negativi, e quindi a quel punto non sarebbe più conveniente entrare.
Questo è il meccanismo che tenteremo di analizzare: come fa l’impresa che sta dentro a
saturare il mercato in modo tale che non ci sia spazio per permettere l’entrata di qualcuno.
Si chiama limit pricing (prezzo limite, anche se è più facile concepirlo come quantità)
perché l’impresa incumbent è pur sempre un monopolista, quindi dire che produce più di
quanto produrrebbe in monopolio equivale a dire che fissa un prezzo più basso di
quello che avrebbe fissato in monopolio; quindi prezzo limite, o quantità limite, è
questo tipo di strategia che ha la possibilità di saturare ex ante il mercato prima che si
possa realizzare una potenziale entrata.
Dal punto di vista dell’antitrust, questo si chiama abuso di posizione dominante, e viene
sanzionato, perché l’incumbent ha il dominio del mercato, essendo monopolista, e abusa
di questo per impedire l’entrata, cercando di far persistere nel tempo questa posizione nel
mercato  la posizione dominante viene mantenuta nel mercato non perché l’incumbent è
più bravo degli altri, ma perché produce in modo da impedire l’entrata.
Ma è anche vero che l’abuso di posizione dominante viene realizzato espandendo la
quantità, o abbassando il prezzo; cioè, paradossalmente la strategia di impedire l’entrata
viene battuta a vantaggio dei consumatori, e comunque (come il produttore di Bertrand
asimmetrico) per non far entrare l’altro, l’incumbent è costretto a tenere basso, o più
basso, il proprio prezzo.
Ricordiamo sempre che la stella polare che guida l’impresa è la massimizzazione dei
profitti, e l’impedire l’entrata non è l’obiettivo dell’impresa, di per sé: l’entrata certamente
140

trasforma un settore monopolistico in un altro dove almeno c’è un oligopolio, e ovviamente


i profitti si riducono; però è anche vero che per impedire l’entrata l’incumbent produce di
più, o applica il prezzo più basso, e quindi automaticamente fa meno profitti di quanto
avrebbe fatto in monopolio: nel modello di Dixit, ad un certo punto, si tratterà di scegliere
il male minore  posto che l’incumbent vuole fare più profitti, non è che ha come obiettivo
quello di rimanere il padrone del mercato: cos’è meno costoso? Produrre la quantità di
monopolio, oppure accettare l’entrata, e la conseguente riduzione dei profitti? Quale dei
due costerebbe meno? A seconda dei parametri si potrà seguire una strada piuttosto che
un’altra. Per il momento vediamo cosa si deve fare per impedire l’entrata del concorrente.

Esercizio: In un mercato caratterizzato dalla funzione di domanda Q = 60 – p, opera


un'impresa incumbent, minacciata da un potenziale entrante, avente costi di produzione
C(q) = F + 20q. Stabilire la quantità che deve (credibilmente) produrre l'impresa già
presente per scoraggiare l'entrata, come funzione del parametro F. Discutere questa
relazione.
Ci viene data una curva di domanda; il semplice fatto che ci sia un solo prezzo significa
che siamo in presenza di un bene omogeneo; curiosamente non ci viene data nessuna
informazione sui costi e le caratteristiche dell’impresa entrante. Ci vengono date solo le
caratteristiche e i costi di produzione dell’entrante, ed esiste una funzione di costo
complessivo dove c’è un costo fisso F; e un costo variabile pari a 20q, quindi il costo
marginale (derivata) è 20, mentre il costo medio sarà F/q + 20.
Se la funzione di domanda è Q = 60 – P, dovendo ragionare sulle quantità conviene
(come abbiamo sempre fatto) scrivere il prezzo in funzione della quantità; e, almeno
ipoteticamente, la quantità aggregata è la somma delle quantità prodotte dalle due
imprese: P = 60 – Q = 60 - q1 - q2.
Per risolvere questo problema devo concentrarmi sui profitti potenziali dell’entrante,
perché l’entrata non avrà luogo quando i profitti teorici potenziali risultano essere
non positivi (negativi) o nulli (= 0)  solo in presenza di un’aspettativa di profitti
l’entrante entrerà.
Ecco perché sono indicati solo i dati dell’entrante.
Spesso in passato abbiamo scritto i profitti come: π = (P-C)*Q  questo tipo di
formulazione si può utilizzare tranquillamente solo se ci sono dei costi marginali (costi
medi costanti), perché (P-C) sarebbero (P – il costo medio), cioè il profitto unitario; qui è
meglio scriverlo come ricavi – costi:
141

p = 60 – Q  p = 60 – q1 – q2
π2 = R – C = (60 – q1 – q2)q2 – F – 20q2

F - 20q = costi totali. Derivo rispetto a q2, e pongo tutto = 0, con l’obiettivo di individuare
la funzione di reazione, per calcolare i potenziali profitti, dando per scontato che, se
l’entrante entra, cercherà di fare meglio che può; quindi nel valutare i profitti bisogna dare
per scontato che, se c’è l’entrata, una volta entrato l’entrante massimizzerà i profitti.
Notiamo che facendo la derivata F sparisce, quindi la presenza di costi fissi non incide
minimamente sulla funzione di reazione:

π2 𝟒𝟎−𝐪𝟏
= 60 – q1 – 2q2 – 20 = 0 2q2 = 40 – q1 𝐪𝟐∗ = = risposta dell’entrante
q2 𝟐

Quello ottenuto è q2*, il miglior q2 possibile, ed essendo la funzione di reazione, è la


risposta migliore che l’entrante realizzerebbe; per esempio, se fosse in Stackelberg, q1
avrebbe scelto prima, e seguirebbe questo q2 come conseguenza.
A questo punto prendiamo il q2* e lo sostituiamo nella funzione di profitto, al posto di tutti
i q2 che ci sono:
(40−q1) (40−q1) (40−q1)
(60 – q1 – 2
)( 2 ) - F – 20 ( )
2
120−2q1−40+q1 (40−q1) (40−q1)
( 2
)( 2
) - F – 20 ( 2
)
80−q1 40−q1 40−q1
𝛑𝟐 = - F – 20 *
2 2 2
Questo è il profitto dell’impresa 2 (entrante) dove però compare solo q1: c’è l’effetto diretto
di q1 sui profitti dell’impresa 2; e c’è l’effetto diretto perché una volta che l’impresa 2
conosce q1, sceglie il suo q2; il risultato è quello di trovare un’espressione che dipenda
solo da q1.
Ora, se il nostro problema è stabilire la quantità che l’impresa 1 (incumbent) deve produrre
per scoraggiare l’entrata, scoraggiare l’entrata si ottiene facendo in modo che i profitti
dell’impresa entrante diventino nulli o negativi (vadano a zero): quindi l’obiettivo è quello di
rendere l’espressione sopra minore o uguale a zero; minore o uguale a zero? In realtà a
noi basta che sia uguale a zero: non cercheremo di rendere i profitti dell’entrante negativi
perché per renderli negativi dobbiamo produrre di più = ci costa di più! Siccome produrre
di più vuol dire allontanarsi di più dalla posizione di monopolio, chiaramente
l’incumbent farà lo sforzo necessario e sufficiente di impedire l’entrata, ma non farà niente
di più! Quindi, per stabilire qual è il livello minimo che impedisce l’entrata, basta risolvere
142

la seguente equazione; questo è il livello minimo, ma l’incumbent non produrrà mai di più,
perché altrimenti abbasserebbe i suoi profitti oltre il necessario:
80−q1 40−q1 40−q1
𝛑𝟐 = - F – 20 * 0
2 2 2
80−q1 40−q1 40−q1
ma ci basta che sia 𝛑𝟐 = 2
- F – 20 * =0
2 2
Portiamo F a destra, e raccogliamo (40-q1)/2 a sinistra:
80−q1 40−q1 40−q1
– 20 * =F
2 2 2
40−q1 80−q1 40−q1 80−q1−40 40−q1 40−q1
2
( 2 − 20) = F
2
( 2
)=F 2
*
2
=F

40−q1 2 40−q1
F=( ) √F = q1 = 40 – 2√𝐅
2 2
Questa è la quantità che deve produrre l’incumbent per poter impedire l’entrata
all’entrante.
Discutere questa relazione: ci interessa il legame che intercorre tra q1 (la quantità che
deve produrre l’incumbent) e F (l’ammontare dei costi fissi)  questo legame è negativo,
vuol dire che più alti sono i costi fissi dell’entrante, e più bassa è la produzione che
deve produrre l’incumbent per impedire l’entrata, e questa è una buona notizia per
l’incumbent: meno produce, meno si allontana dalla produzione di monopolio, e meno
costoso è impedire l’entrata in termini di profitti ai quali rinunciare.
I costi fissi potrebbero essere dei costi per l’acquisizione di un lancio pubblicitario su larga
scala; potrebbero essere dei costi amministrativi generali; potrebbero dipendere dal
prodotto: un conto è lanciare un prodotto relativamente semplice, un conto è lanciare sul
mercato un nuovo tipo di aereo con caratteristiche ricercate.
I costi fissi sono un fatto tecnico, non sono qualcosa che le imprese decidono
 le imprese vorrebbero pagare meno costi possibili: è la tecnologia, il tipo di prodotto
considerato, quindi un fatto puramente tecnico-ingegneristico che ci dice quanto sono quei
costi fissi.
Perché c’è un legame negativo per cui, a fronte di costi fissi alti, è facile saturare il
mercato, nel senso che non dobbiamo produrre così tanto per impedire l’entrata? Perché
più alti sono i costi, più diventa difficile spalmare questi stessi costi, e più dobbiamo
produrre tanto per raggiungere l’efficienza sufficiente a reggere la concorrenza.
Quindi, siccome l’incumbent deve lasciare poco spazio all’entrante, e l’entrante ha bisogno
di tanto spazio, basta che l’incumbent si allarghi un pochino e l’entrante non entra;
143

vedremo poi che potrebbero anche esserci delle situazioni per cui, date le caratteristiche
della domanda, anche non facendo niente non c’è spazio per l’entrata (modello di Dixit).
Un altro modo di esprimere lo stesso concetto è dire che più alti sono i costi fissi, e più
forti sono le economie di scala.
Se F fosse zero, avremo come risultato 40: che cos’è 40?
Non sappiamo niente dell’incumbent: non sappiamo né se ha costi marginali, né se abbia
o non abbia costi fissi; potrebbe avere dei costi fissi che ha sostenuto nel lancio del
prodotto, sostenuti nel passato e non più recuperabili, e quindi non entrano più in gioco nel
calcolo che abbiamo fatto.
F per l’incumbent è come se fosse l’indice delle sue economie di scala: tanto è più alto F e
tanto sono più forti le economie di scala; tanto più è la distanza tra il costo medio e il costo
marginale  più velocemente scendono i costi medi e più forti sono le economie di scala.
Se F = 0 vuol dire che non ci sono economie di scala, i rendimenti sono costanti e i costi
marginali sono uguali ai costi medi.
La formula trovata sopra può essere utilizzata anche in caso di F = 0? Radice di zero
esiste ed è zero, e quindi il risultato è 40.
40 è q, quindi non ha la natura di costo; sappiamo quali sono i costi dell’impresa 2, per cui
se F è zero significa che siamo nel caso in cui i costi marginali sono 20 (20q2) e siamo in
concorrenza perfetta  40 è il prezzo di concorrenza perfetta!
Quanto devo produrre perché l’altro non entri? L’altro non ha costi fissi (F=0), quindi è uno
che potrebbe entrare anche producendo una sua quantità, purché il prezzo copra il costo
di produzione; il costo di produzione è 20, e se produco 40 sto producendo la quantità di
concorrenza perfetta, e in questo caso il prezzo che si deve formare è 20, ed è appena
sufficiente a coprire i costi di produzione, e i profitti sarebbero nulli.
Se l’incumbent avesse avuto costi di produzione marginali pari, per esempio, a 15,
potrebbe avere senso anche una strategia di questo tipo, che corrisponde a Bertrand
asimmetrico, dove si fissa il prezzo uguale al costo marginale del concorrente, che però
non entra; quindi concorrenza perfetta sì, ma relativamente al costo marginale uguale a
20.
Poi c’è il problema della credibilità: ci sono dei costi fissi, e supponiamo che siano 25;
radice di 25 è 5  40 – 2*5 = 30  30 = q1 = quantità incumbent.
Allora l’incumbent si mette a produrre 30, e il prezzo sarà:
P = 60 – 30 (quantità incumbent) = 30 (prezzo);
144

30 (prezzo) * 30 (quantità incumbent) = 900 = profitti dell’incumbent, che sono minori dei
profitti di monopolio.
Ma non basta questo ad impedire l’entrata, perché l’entrante vede che in questo mercato
si sta producendo 30  il problema non è se nel mercato si produce 30, ma il problema è,
qualora l’entrante entrasse, la produzione rimarrebbe 30?
C’è analogia con Stackelberg: con Stackelberg prima veniva scelto q1 e poi q2, ma
quando veniva scelto q2, q1 non poteva essere messo in discussione.
Quindi non basta fare 30, ma potrebbe anche essere irrilevante quello che l’incumbent sta
facendo adesso; quello che conta davvero è quello che farà l’incumbent qualora entrasse
l’altro; bisogna far credere all’entrante che q per forza di cose pareggia = i profitti sono
zero; se invece l’altro entrasse lo stesso, a quel punto non potendo più impedire l’entrata,
l’incumbent ragionerebbe sulla sua funzione di reazione.
Come facciamo ad essere credibili? Dobbiamo costruirci una reputazione, dobbiamo
avere una capacità preinstallata, dobbiamo produrre in anticipo per poi commercializzare
in un secondo momento (gelati); oppure (Dixit) potrebbe essere sufficiente comprare in
anticipo un certo numero di fattori produttivi, e a volte prenotare senza neppure pagare
un certo numero di fattori produttivi  nel modello di Dixit questa cosa è da sola
sufficiente a costruire un meccanismo di credibilità: questo da solo è sufficiente ad
impedire l’entrata qualora la si voglia impedire; e se invece l’incumbent scopre che è
troppo costoso impedire l’entrata, allora accetta l’entrata, ma approfitta di questo stesso
meccanismo per diventare almeno leader di Stackelberg: conviene lasciare entrare l’altro,
però se entra almeno non fanno gli stessi profitti, perché il leader/incumbent approfitta del
fatto che è già nel mercato, non impedisce l’entrata, ma almeno ottiene il vantaggio di
prima mossa del leader di Stackelberg.
Punto fondamentale è che c’è questo meccanismo di credibilità che funziona sia con
Stackelberg che con l’entrata, e se si riesce a metterlo in piedi, si riesce a sfruttarlo sia per
impedire l’entrata, sia per avere una leadership nel mercato.

Prezzo predatorio è una definizione presente nell’antitrust: è un po’ ambiguo, ed è quello


cui si fa riferimento quando si dice che c’è dumping nei prodotti cinesi  uno applica un
prezzo talmente basso (sottocosto) con l’obiettivo di buttare fuori mercato i concorrenti; è
ambiguo perché non è chiaro come questo sia sufficiente a impedire l’entrata: se un
prezzo è sotto a certe quote, si sopportano delle perdite con l’obiettivo di buttare fuori gli
altri dal mercato, ma questo ha senso solo se dopo si applicano altri prezzi.
145

Prezzo predatorio è un prezzo che, come i predoni, spinge fuori il concorrente dal
mercato: se esista nella realtà, o sia una specie di mito come l’uomo delle nevi è una
questione molto aperta! Comunque è una definizione molto presente nell’economia
internazionale, dove si è inondati da merci cinesi sottocosto (dumping), e quindi sottocosto
diventa sinonimo di prezzo predatorio; sta di fatto che i consumatori sono sempre molto
contenti di questo!

Temi di discussione:
Nel caso di competizione sui prezzi, sia omogenei che differenziati, esiste un vantaggio di
seconda mossa.
Sicuramente: se i beni sono omogenei è banale (p2 = p1 – ε); se i beni sono differenziati è
meno banale, bisogna fare alcuni calcoli e si scopre che il profitto più alto è quello
dell’impresa 2.
La credibilità non implica necessariamente un investimento in capacità produttiva.
Pensiamo ad esempi nei quali il leader non può fare diversamente da quanto stabilito.
L’investimento in capacità produttiva è una delle possibilità: quando si investe in capacità
lo si fa con l’obiettivo di usarla, perché lasciare capacità inutilizzata in un contesto di
perfetta informazione non è razionale; e quindi il puro e semplice fatto di avere investito è
un’azione cedibile. Ma non è sempre necessario, basti pensare ai casi in cui il leader non
può fare diversamente da quanto stabilito; quando parliamo di limit pricing sappiamo che
dobbiamo produrre tanto, ma siccome siamo i soli nel mercato produrre tanto equivale a
vendere ad un prezzo basso. Siccome lo devo fare in anticipo, potrei fare una campagna
promozionale: vendo un computer oggi, ma pretendo il pagamento il mese prossimo, ed il
prezzo è il prezzo del mese prossimo  è un meccanismo di promessa, di vendita
differita; in generale, essere credibile è qualunque cosa che non posso fare diversa da
quella che ho detto di fare (e che è l’equivalente di bruciare le navi).
Nel definire la quantità da produrre per mettere fuori mercato il concorrente, l'incumbent
non massimizza alcun profitto.
L’incumbent massimizza i profitti quando deve calcolare la funzione di reazione
dell’entrante, però mette i profitti dell’entrante uguali a zero, quindi non sta massimizzando
niente! Casomai dopo si porrà il problema di vedere se gli conviene lasciare l’entrante
fuori, o se gli conviene lasciarlo entrare; ma il fatto che stia valutando se lasciarlo fuori o
lasciarlo entrare non implica nessuna massimizzazione dei profitti. Anzi, si allontana da
quella che potrebbe essere una massimizzazione.
146

Per ottenere il risultato di limit pricing, non è essenziale che l'entrante abbia costi fissi. E'
però necessario che si trovi ad operare in una regione con economie di scala.
Vedi risposta seguente, con relativo grafico.
Non è necessario che l'entrante abbia sempre economie di scala.
Occhio quando ci sono nelle frasi le espressioni: sempre, mai …
Non c’è scritto che “non è necessario che l’entrante abbia economie di scala”: c’è scritto
che “non è necessario che l’entrante abbia sempre economie di scala”; nell’esempio
considerato, con costi marginali costanti e F, le economie di scala ci sono sempre, perché
i costi medi sono decrescenti  economie di scala è un altro modo per dire che i costi
medi calano; se sono decrescenti, non sono fatti ad U; se avessimo avuto una funzione
fatta ad U, andava bene! E, per essere più precisi, quando abbiamo una funzione di costi
medi fatta ad U, perché sia impedita l’entrata bisogna che la domanda residuale di questa
impresa (entrante) sia tangente ai costi medi lungo il tratto decrescente:

* * = economie di scala
* * = diseconomie di scala

In questo modo, qualunque prezzo si formi non supera mai i costi medi, perché c’è
tangenza; perché ci sia tangenza bisogna che la curva della domanda residuale venga
spostata verso il basso, e chi la sposta verso il basso è l’incumbent: più l’incumbent
produce, più la curva residuale si abbassa; se si abbassa a un punto tale da stare sempre
sotto la curva dei costi medi, allora basta che sia così per impedire l’entrata (*)
 l’incumbent ha solo bisogno del tratto dove i costi stanno calando: questa è la zona
delle economie di scala; qualora l’entrante entrasse, dovrebbe operare in una regione di
economie di scala. Questo non significa che le economie di scala ci debbano essere
sempre, ma basta che siano là dove ci interessa che siano.
Indipendentemente dall'entità dei costi dell'entrante, l'incumbent potrebbe impedirne
l'entrata, per esempio producendo la quantità di concorrenza perfetta.
 dove però (attenzione) per concorrenza perfetta si intenda la quantità di concorrenza
perfetta, più i costi marginali dell’entrante.
La strategia di limit pricing, pur riducendo il numero di imprese presenti, comporta alcuni
vantaggi per i consumatori.
Se noi andassimo a guardare solo il numero delle imprese presenti, meglio essere in due
a farci concorrenza che essere uno solo (dalla parte dei consumatori): però quella sola è
147

la concorrenza potenziale, ma è pur sempre concorrenza, e per far fronte a questa


concorrenza potenziale si mette in essere una strategia che comporta la sola produzione,
o una pressione sul prezzo. Quindi tutto sommato questa concorrenza ha degli effetti che
portano all’aumento del surplus del consumatore, quindi alla fine il mercato è comunque
più concorrenziale.
Le strategie delle imprese sono condizionate non solo da quelle dei concorrenti presenti
nel mercato, ma anche dall'esistenza di concorrenti potenziali.
Questo è un principio più generale, che dice che è importante vedere quanto i mercati
sono contenuti insieme, ed è un tema che è stato molto importante quando ci fu la crisi
dell’’80, con l’ondata di liberalizzazione.
Per esempio, nel trasporto aereo c’erano le compagnie di bandiera, e ognuna per poter
operare nel territorio nazionale aveva bisogno di specifiche autorizzazioni; poi c’è stata la
liberalizzazione in questo e in altri settori, e allora alcune altre imprese sono entrate, altre
sono cessate, e si è creata una dinamica nel mercato di nuove imprese  si è creato un
turnover di imprese.
Quando un mercato è dinamico nascono e muoiono varie imprese; quando il mercato è
statico vediamo che ci sono sempre le stesse imprese presenti: quando sono sempre le
stesse imprese ad essere presenti, uno si domanda se quel mercato è un mercato
contendibile; se è molto difficile entrare in questo mercato, anche se è un mercato
stagnate, è comunque un mercato dinamico, dove l’entrata non è così difficile, e il fatto
che l’entrata non sia difficile e non comporti una tecnologia impossibile o conoscenze
particolari, automaticamente ne fa un mercato contendibile, cioè un mercato aperto alla
potenziale concorrente.
Contendibilità delle aziende: si ha quando ci sono, nelle s.p.a., i patti di sindacato
perché non ci siano scalate ostili; se un’impresa è mal gestita, allora esiste la possibilità
che qualcuno faccia una scalata con un cumulo di azioni, e acquisisca il controllo
dell’impresa, perché sa di poterla gestire meglio, e di fare più profitti di quelli che sta
facendo.
Questo è un concetto un po’ più generale: non solo nel mercato, ma anche all’interno delle
imprese, se siamo aperti alle possibili conquiste da fuori, allora siamo contendibili; allora
nelle imprese non possiamo gestire molto male l’impresa, perché ci apriamo al pericolo
che l’impresa ci possa essere portata via da chi ritiene, a torto o a ragione, di essere in
grado di gestirla meglio.
148

MODELLO DI SPENCE-DIXIT
Le imprese possono comportarsi in maniera strategica non solo nei confronti dei
concorrenti, ma anche dei concorrenti potenziali; rispetto ai modelli che già conoscevamo
abbiamo introdotto la presenza di economie di scala  economie di scala significa che il
costo medio è decrescente (almeno in un tratto).
Un modo molto semplice di introdurre le economie di scala è quello di aggiungere un
costo fisso a dei costi marginali costanti: se c’è un costo fisso, non c’è più coincidenza
tra costi marginali e costi medi, perché al costo marginale devo aggiungere una quota del
costo fisso, che sarà tanto più piccola quanto più la spalmiamo sul numero maggiore di
unità prodotte  più produciamo, più il costo medio si abbassa, quindi diventiamo più
efficienti e competitivi.
Sotto un certo livello di produzione abbiamo dei costi medi talmente elevati da non essere
più competitivi; questo implica che un’eventuale impresa, che si trovasse già nel mercato,
può produrre più di quanto produrrebbe se non fosse minacciata da un’entrata, andando a
saturare il mercato lasciando così poco spazio per un’eventuale entrata  “poco spazio”
significa che qualora l’impresa che vuole entrare lo faccia effettivamente, si troverebbe a
produrre ad una scala tale per cui i costi sarebbero troppo alti.
Il trucco è quello di produrre il maniera tale che la curva di domanda residuale si trovi sotto
al costo medio: in questo modo non c’è possibilità, per l’impresa entrante, di avere profitti
positivi  se non c’è possibilità di avere profitti positivi, questo viene anticipato
(capito) anche dall’impresa entrante che quindi non entra  c’è perfetta informazione!

q  la quantità aumenta
π  i profitti diminuiscono

qM qD q

Se voglio impedire l’entrata vado a produrre la quantità qD che è maggiore della quantità
di monopolio: in corrispondenza della quantità qD non siamo più nel massimo, perché
producendo di più abbiamo dovuto bruciare una certa quantità di profitti.
Questo modello lascia aperte due questioni:
 credibilità: non è sufficiente produrre o annunciare di produrre una quantità qD,
bisogna che a posteriori uno non possa fare altro che produrre veramente la
quantità qD > qM. Se l’entrante non dovesse credere a questo impegno, entrerebbe
149

lo stesso, e se l’entrata avesse luogo comunque, a posteriori l’incumbent non


troverebbe più conveniente produrre qD, e si ritornerebbe alla situazione di duopolio
(non si sarebbe riusciti a impedire l’entrata)  bisogna che la quantità qD sia
obbligatoria!  prima mossa (incumbent).
La seconda mossa (entrante) non è produrre, ma se entrare o non entrare: non
entro nella misura in cui l’altro effettivamente è impegnato a produrre qD, e non può
più tornare sui suoi passi.
 all’incumbent conviene far entrare l’altro? il suo obiettivo non è rimanere il
padrone assoluto del mercato in quanto tale, il suo obiettivo reale è la
massimizzazione dei profitti  in una situazione di questo tipo ha almeno un’altra
alternativa: accomodare, cioè accettare che ci sia l’altra impresa che entra.
Perché dovrei accettare che l’altra impresa entri nel mercato, visto che, se ci trasformiamo
in un mercato duopolistico, ci rimetto? Perché anche se impedisco l’entrata ci rimetto
comunque!: c’è un costo nell’impedire l’entrata, e c’è un costo se perdo la mia supremazia
di monopolista e condivido il mercato con un’altra impresa.
Le due alternative che ha a disposizione l’incumbent sono:
 impedire l’entrata, ma questo significa che produce più del necessario, dunque i
suoi profitti caleranno
 fare buon viso a cattivo gioco = accomodamento: i suoi profitti si ridurranno,
perché il mercato diventa un duopolio, però almeno sfrutta il fatto di essere già
dentro al mercato per impegnarsi credibilmente a produrre la quantità di leader di
Stackelberg (quantità del leader Stackelberg = quantità di monopolio)
I profitti dell’incumbent calano ma, a posteriori, comunque farà più profitti dell’entrante: si
tratta di capire quale, tra le due alternative, è la migliore
 è costoso impedire l’entrata, ed è costoso dover dividere il mercato, quale delle due
alternative risulterà la meno dolorosa per l’impresa?:
 (entrante) se ho dei costi fissi molto elevati vuol dire che per essere competitivo
devo produrre tanto, allora ho bisogno di tanto spazio per entrare; l’altro, per
impedirmi di entrare, basterà che vada a produrre un po’ di più di quanto avrebbe
prodotto in monopolio  basta poco per saturare il mercato, perché c’è bisogno di
tanto spazio
 (incumbent) viceversa, se ho davanti a me un potenziale entrante che non ha costi
fissi enormi, può entrare in modo facile nel mercato, ed è poi difficile da spiazzare:
posso saturare il mercato, ma devo produrre molto, e se produco molto mi allontano
150

molto dalla mia produzione di massimo profitto in monopolio; a questo punto


perderei meno soldi accontentandomi di fare il leader di Stackelberg.
Il modello di Dixit non è un ulteriore modello di oligopolio: è il tentativo di esemplificare,
spiegare, vedere come può in pratica funzionare un limit pricing  il modello di Dixit
è uno dei possibili modi in cui possiamo vedere se si può realizzare un discorso di limit
pricing.
Il concetto di limit pricing è quello di ostacolare una potenziale entrata andando a
saturare il mercato, in modo che non ci sia spazio per un eventuale entrante; “non ci sia
spazio” richiede necessariamente che in qualche modo si introducano delle economie di
scala, perché solo con le economie di scala si ha un legame tra l’efficienza e quanto si
produce. Quindi, “non avere spazio” significa che l’entrante non riesce a realizzare quel
volume di produzione che gli permette di avere un’efficienza dei costi medi di produzione
che permette di reggere la concorrenza  abbiamo bisogno di togliere una delle
assunzioni semplificatrici, che era quella di rapportare i costi marginali, per introdurre
almeno dei costi fissi. Non è obbligatorio avere dei costi fissi, quello che ci interessa
sono le economie di scala; il modo più semplice di farlo è di aggiungere un parametro F,
che rappresenta dei costi che non dipendono dal volume della produzione, e quindi
dovendo spalmare questi costi su un numero di unità prodotte, più si produce e più si
risparmia e più i costi medi si abbassano.
Non è l’unico modo per introdurre le economie di scala, ma probabilmente è il modo più
semplice che abbiamo a disposizione, e quindi lo utilizziamo.
Quando abbiamo affrontato il problema di limit pricing rimanevano aperte due questioni: la
prima era la questione della credibilità, che avevamo già incontrato in Stackelberg: tu
minacci di non lasciar spazio all’entrante, e questa minaccia deve essere credibile, perché
se non è creduta può essere che l’entrante entra lo stesso; e posto che è entrato, a
posteriori potrebbe non essere più conveniente per l’incumbent mettere in atto la minaccia.
In Stackelberg uno muoveva per primo e muoveva in un certo modo, però doveva
convincere indirettamente il secondo che non avrebbe rivisto la sua mossa, perché il
leader, a posteriori, vorrebbe rivedere la sua scelta iniziale, nonostante che questa gli
abbia guadagnato i confini. Il problema è sempre quello di produrre un certo volume di
output, e poi far sì che questo volume di output venga effettivamente realizzato, e che non
sia una promessa che poi, a posteriori, non viene mantenuta. Poi c’è il problema di come
bisogna fare: l’incumbent, per “legarsi le mani da solo”, potrebbe installare capacità,
produrre in anticipo, ecc.
151

L’altra questione, dopo essersi posti il problema di come essere credibili, è dire: ma
l’incumbent vuole davvero legarsi le mani da solo?  evidentemente impedire l’entrata è
costoso: costoso significa che in qualche modo i profitti scendono rispetto alla soluzione
alternativa che è quella dove non si è minacciati  per impedire l’entrata l’incumbent deve
pagare un prezzo in termini di riduzione dei profitti, ma se da un lato potrebbe essere
fortunato e non dover fare niente per impedire l’entrata; dall’altro potrebbe lasciare che
l’entrante entri, e in quel caso, dovendo sostenere una concorrenza che prima non c’era, è
ovvio che i suoi profitti diminuiscono. Quindi i profitti sono destinati a diminuire in entrambi
i casi; non è ovvio che per impedire l’entrata i profitti calino meno di quanto calerebbero
se si lasciasse entrare il concorrente  bisogna capire quali sono le condizioni in cui
conviene fare un certo tipo di strategia, di deterrenza all’entrata; e quali sono le
condizioni dell’altra possibilità che è quella dell’accomodamento all’entrata.
Il modello di Dixit sviluppa alcune ipotesi di partenza, e con un modello molto semplificato
di potenziale duopolio possiamo vedere, a seconda dei valori dei parametri, quando
emergono nel mercato 3 possibili configurazioni:
1) l’entrata bloccata, dove l’incumbent non deve fare niente, perché comunque
l’entrante non riesce ad entrare
2) la deterrenza all’entrata, dove l’incumbent ostacola l’entrata
3) l’accomodamento all’entrata, dove l’incumbent preferisce far entrare l’entrante.
Nel modello di Dixit, il parametro che permette di creare una tassonomia, cioè una
classificazione tra i 3 casi possibili è il parametro F, che è il costo fisso dell’entrante
 l’entrante è caratterizzato da un costo fisso: se il costo fisso dell’entrante è molto
elevato, lui ha bisogno di produrre molto per essere efficiente, e questo molto potrebbe
essere talmente tanto, che già in condizioni normali lui non riuscirebbe ad entrare =
entrata bloccata.
A un livello più basso di F, abbiamo visto che si crea un legame inverso tra q (produzione
dell’incumbent) e F, cioè più è alto F, più è difficile entrare; e più è difficile entrare, e meno
ha bisogno l’incumbent di sovraprodurre per impedire l’entrata = deterrenza all’entrata.
Se F è basso, le economie di scala non sono molto forti, e si riesce ad entrare e a reggere
la concorrenza anche producendo relativamente poco; a quel punto, l’incumbent per
impedire l’entrata deve produrre molto, ma producendo molto si allontana molto anche
dalla produzione ottimale di monopolio, e vede i suoi profitti calare di molto =
accomodamento all’entrata.
152

Allora, intuitivamente, se F è sopra una certa soglia, conviene fare deterrenza; se F è


sotto una certa soglia, si deve produrre così tanto, e i profitti di monopolio si eroderanno
così tanto, che allora a quel punto forse è meglio lasciare entrare. In più, nel modello di
Dixit viene introdotto un meccanismo apparentemente semplice, e che apparentemente
non dà tutto questo gran vantaggio ad entrare, ma che è sufficiente a risolvere il problema
della credibilità; risolvere il problema della credibilità vuol dire che l’incumbent riesce ad
impegnarsi credibilmente a produrre una certa quantità, il che può avere due significati
diversi:
 se deve impedire l’entrata, riesce a convincere l’entrante che non riuscirà ad
entrare perché produrrà la quantità che lo estromette;
 anche qualora l’incumbent lasciasse entrare, il puro e semplice fatto che riesca ad
impegnarsi credibilmente per una certa quantità di produzione, lo qualifica come
leader di Stackelberg.
Quindi se l’incumbent fa entrare l’entrante, non lo fa entrare come duopolio simmetrico
 con Stackelberg, cioè la versione sequenziale di Cournot, il leader ci guadagna più
dell’entrante, perché fa più profitti, e rende così meno gravoso il fatto di dover permettere
l’entrata  perde i profitti di monopolio, però quantomeno ha i profitti del leader di
Stackelberg (se verifica che ha più profitti con Stackelberg che non quelli che gli
resterebbero con la deterrenza).
Il meccanismo che permette all’incumbent di impegnarsi credibilmente a produrre un
determinato livello di produzione è una cosa apparentemente molto semplice: l’incumbent
può acquistare in anticipo una parte dei suoi fattori produttivi.
Esempio: l’incumbent produce dei servizi di call-center, e il numero di servizi di call-center
è misurabile come numero di operatori che sono a disposizione per rispondere alle
chiamate, o chiamare i potenziali clienti (contro la loro volontà, spesso); ogni postazione di
lavoro potrebbe aver bisogno di una persona e di un computer; i costi di questi addetti ai
computer è uguale e costante per le due imprese, e immaginiamo che sia anche costante
il costo dei computer. L’idea è che i computer li puoi comprare in anticipo, ma li puoi anche
prenotare in anticipo, quindi il gioco si presenta come un gioco in due fasi: una prima fase,
dove c’è l’incumbent che può limitarsi a comprare o prenotare un certo numero di
computer al periodo 1, ad un costo per computer pari a r; in una seconda fase, l’incumbent
produce questa serie di servizi di call-center al periodo 2, e per ogni unità prodotta ha
bisogno di una persona per ogni computer  ricordiamoci che ha già comprato/prenotato i
computer!
153

Cosa succede se scopre che vuole produrre più di quanto inizialmente previsto, e quindi
ha bisogno di più computer e più personale?
Non succede assolutamente nulla: li compra! Quindi, nella seconda fase l’incumbent può
assumere più personale, e comprare più computer se ne ha bisogno.
Li paga più del prezzo che ha pagato gli altri computer?
No!, li paga esattamente quanto li ha pagati nella fase numero uno.
Ma allora che bisogno c’è di pagare i computer in anticipo, o prenotarli prima, se poi li
paga lo stesso prezzo?
È proprio la possibilità di pagare in anticipo, o al limite prenotare in anticipo, che crea il
discorso di credibilità di cui abbiamo bisogno!
C’è un potenziale entrante che svolge lo stesso tipo di servizi, quindi il prodotto è
omogeneo; anche l’impresa entrante può assumere persone o comprare computer, e gli
costa lo stesso importo dell’incumbent, quindi non c’è differenziazione  quindi non c’è un
vantaggio di costo per l’incumbent.
I computer e il personale acquistati e assunto dall’incumbent possono essere considerati
un tipo di capacità, quindi lui preacquista una certa capacità produttiva; però c’è una
differenza rispetto al vecchio modello di capacità, perché prima c’era un tipo di capacità
che non permetteva di andare oltre; ora, invece, c’è una capacità prevista, ma se ci si
accorge che si può produrre di più, si può acquistarne di più  il limite della capacità
predisposta si può superare.
A questo punto diventa obbligatorio, perché tutto funzioni, per l’entrante avere un costo
fisso F2, e allora il problema diventa come può fare ad entrare; l’incumbent deve capire
quanto deve produrre per: a) diventare leader di Stackelberg, oppure b) impedire l’entrata
 deve capire se è meglio fare una cosa, o se è meglio fare l’altra, o se addirittura non
serva far niente, quindi occorre capire in quale dei tre regimi si sta muovendo.
Dovendo fare una competizione con la scelta della quantità, è possibile utilizzare le
vecchie funzioni di reazione, perché erano basate sull’ipotesi dei costi marginali costanti
che chiamavamo c. Adesso non si chiamano più c ma w, oppure w + r, se acquisto un
computer in più (r = costo di un computer). Ci sono i costi fissi (F1), però quando
massimizziamo il profitto, facciamo la derivata e i costi fissi spariscono  i costi fissi
incidono sui profitti, ma non incidono sulle funzioni di reazione, perché se prendo il profitto
e tolgo una costante, il punto di massimo è sempre sullo stesso punto di prima. Le
funzioni di reazione non cambiano!
ATTENZIONE! Per quanto riguarda l’entrante abbiamo una sola funzione di reazione:
154

(A – w – r) q1
q*2 = − purché q*2 > 0 (cioè purché l’entrante produca)
2B 2

Come le altre funzioni di reazione


solo che al posto di c scrivo w+r.

Invece, per l’incumbent dobbiamo introdurre una distinzione, a seconda che si operi
sopra o sotto il livello previsto di capacità:
 se sta sotto i suoi costi marginali utilizziamo w (al posto di scrivere c scrivo w).
 se sta sopra i suoi costi marginali utilizziamo w + r (come nel discorso
dell’entrante).
Devo trovare un equilibrio di Nash, ma devo tenere conto di due cose:
1) la funzione di reazione dell’incumbent è una funzione di reazione discontinua,
con due spezzoni distinti, a seconda che stia operando sopra o sotto la sua
capacità
2) l’entrante massimizza i suoi profitti rispondendo in base alla sua funzione di
reazione, ma non sappiamo se i profitti che realizza in questo modo sono positivi o
negativi; se sono negativi, quello che troviamo è sempre un massimo, ma di una
funzione negativa: più che massimizzando i profitti sta minimizzando le perdite,
quindi la cosa migliore non è produrre q2*, ma è produrre 0 = non produrre!
 q2* è la quantità che produco se i miei profitti sono positivi perché se non lo
fossero la cosa migliore da fare è mettere q2=0.
Mettendo assieme questi elementi arriviamo ad un diagramma di questo tipo:

questa è la versione grafica dell’equilibrio di Nash.


Cerchiamo di capire come sono fatte le due funzioni di reazione, posto che le due funzioni
di reazione, nel punto dove vanno ad intersecarsi, identificano l’equilibrio di Nash.
155

I costi di produzione dell’incumbent sono diversi a seconda che produca meno o più di
quanto aveva previsto quando, nel periodo 1, aveva ordinato un certo numero di
computer.
Supponiamo di aver comprato 7 computer (K1=7):

C1 = F1 + wq1 + rK1 per q1  K1


C1 = F1 + (w + r)q1 per q1 > K1

Se produco meno di 7 o 7, i miei costi includono:


 F1  elemento di costo fisso che può esserci anche per l’incumbent, ma non
influenzerà più di tanto le sue scelte (sparisce con la derivata)
 w  ogni programmatore assunto costa w.
Se ho comprato in anticipo 7 computer, e ho assunto 5 programmatori, con 5
programmatori e 7 computer posso realizzare 5 postazioni di lavoro, e allora la mia
produzione è 5  devo pagare w * 5
 r è il prezzo dei computer
 K1 sono il numero dei computer ordinati nel periodo 1 (la capacità).
Questo vale solo se non sfrutto tutti i computer che avevo acquistato in anticipo.
Se, avendo ordinato 7 computer in anticipo, poi produco 10, significa che ho assunto 10
programmatori e i 7 computer che avevo ordinato in precedenza non mi bastano più, ne
devo comprare altri 3 (che costano sempre r).
Nel secondo periodo, nel caso dovessi andare oltre quanto avevo previsto, pago per intero
sia i programmatori che i computer che utilizzo; qui q1 rappresenta 3 cose:
 quanto produco
 quanti programmatori ho assunto
 quanti computer ho comprato.
Se rimango sotto il livello iniziale K1, cioè 7, il mio costo marginale è w.
Se ho 5 programmatori e 7 computer e volessi produrre un’unità in più, mi basta assumere
un programmatore in più perché il computer ce l’ho già.
Il costo marginale (derivata di c rispetto a q = quanto aumenta il mio costo se produco di
più) nel primo caso è w, nel secondo caso è w + r, perché se sto già producendo 10 e
voglio passare a 11, devo assumere un programmatore in più, e acquistare anche un
computer in più.
Il costo marginale è w se sto sotto alla mia capacità (quello che avevo preacquistato).
156

Il costo marginale è w + r se voglio andare oltre la mia capacità.


Questa è una funzione di costo discontinua!  il costo mi dice quali sono le condizioni
materiali per produrre qualcosa.
Queste condizioni materiali per produrre qualcosa sono in parte frutto delle scelte passate,
perché avendo preacquistato un certo numero di computer, o avendo installato una
capacità K1, è in corrispondenza di questa capacità che ho il salto della funzione, quindi
questo salto della funzione è figlio delle mie scelte che ho fatto nel periodo precedente.

Impresa Incumbent: l’impresa incumbent ha una funzione di reazione che è una specie di
assemblaggio di due funzioni di reazione.
Quando abbiamo lavorato con
Il primo tratto rosso scuro è la funzione di reazione Cournot con costi marginali diversi,
quando uno aveva costi marginali più
dell'impresa 1 quando i suoi costi marginali sono
bassi la sua funzione di reazione si
bassi  bassi vuol dire che i costi marginali spostava verso l’esterno.
includono solo w, e questo accade quando q1 è
minore di un certo livello K1 (= il numero di computer comprati nel primo periodo).
Se produco meno di 7 (K1) devo pagare solo i programmatori che assumo, ma se devo
pagare solo i programmatori che assumo, solo questi entrano nel costo marginale: il costo
marginale è basso, e la mia funzione di reazione è il primo spezzone rosso scuro.
Se produco più di K1, i costi marginali non sono più w, ma sono w + r; in questo caso la
funzione di reazione è il tratto rosso scuro più in basso.
Mettendo assieme queste due informazioni, la funzione di reazione dell’impresa incumbent
è quella rosso scuro.
Impresa Entrante: l’entrante non ha problemi di discontinuità, quindi la sua funzione di
reazione corrisponde a quella disegnata in blu.
Questa linea viene bruscamente interrotta perché al di sotto di un certo livello q2, per
effetto delle economie di scala, scopro che i profitti dell’entrante sono negativi.
157

L’entrante deve stare attento: quando l’incumbent produce una certa quantità, non è vero
che all’entrante conviene produrre poco, perché se produce poco, sta massimizzando i
suoi profitti, ma questi sono negativi  producendo così poco non riesce a recuperare i
costi fissi!
Se l’incumbent fa un certo q1, la miglior cosa che può fare l’entrante non è q2*, ma è 0!
Entrambe le funzioni di reazione hanno una discontinuità, ma per motivi diversi: la
funzione dell’incumbent ha una discontinuità, perché a seconda di quanto produce può
avere costi marginali bassi o alti.
La funzione dell’entrante ha una discontinuità, perché al dì sotto di una certa quantità q2 i
profitti diventerebbero negativi, e allora la cosa migliore che può fare è non produrre.
 L’intersezione tra le due funzioni di reazione (indicata dalla freccia rossa) è un
equilibrio di Nash, perché nessuno dei due cambia strategia, dunque le strategie sono
mutuamente coerenti.

Esercizio: In un mercato caratterizzato dalla funzione di domanda Q = 60 – p opera


un'impresa incumbent, che può installare capacità k1, al costo 20 per unità. I suoi costi di
produzione sono C1=20q1 se q1≤k1, C1=40q1 se q1<k1.
L'impresa è minacciata da un potenziale entrante, avente costi di produzione C2=F+40q2.
Stabilire in quali intervalli di valori per il parametro F si ottiene un equilibrio di tipo:
(a) bloccato, (b) deterrenza, (c) accomodamento.
Il punto di partenza è la definizione di una curva domanda, che riscriviamo come funzione
di domanda inversa, perché ragioniamo sulle quantità  P = 60 – (q1+q2)
la funzione di costo (= costo totale) per l’incumbent è:
20q1 se q1  k1 = discontinuità
40q1 se q1 > k1  come interpretiamo queste disuguaglianze?
K1 è il numero di computer acquistati o prenotati; ognuno di questi computer costa 20 (r),
e ci siamo già impegnati a pagarli per un costo che è 20*k1  ci siamo impegnati nel
periodo 1, quindi questo diventa qualcosa di acquisito nel periodo 2, e non incide sulle
scelte che faremo nel periodo 2.
Poi però se voglio produrre devo anche assumere personale: assumere una persona
costa come un computer, quindi assumo q1  q1 ha il duplice significato di quantità di
output, e quantità di personale impiegato  assumere una persona costa 20, quindi il
costo diventa (20 + 20)q1 = 40q1.
158

Con la derivata, 20 q1 diventa 20, e 40 q1 diventa 40  se non si sono attivati tutti i


computer, per produrre di più basta assumere una persona (20q1); se invece si sono
attivati tutti i computer, e si decide di produrre di più di quanto inizialmente deciso, cioè se
si volessero attivare più postazioni di lavoro rispetto ai computer acquistati, allora non solo
si devono assumere le persone, ma si devono anche acquistare nuovi computer (40q1); ci
potrebbero essere anche costi fissi (F1), ma questi non incidono nella funzione di
reazione.
L’unica informazione rilevante è quella relativa ai costi marginali, che sono diversi a
seconda se siamo sopra o sotto al livello di capacità preinstallata nel periodo 1, e che
saranno w se siamo sotto al livello di capacità del periodo 1; e saranno w + r se siamo
sopra al livello di capacità del periodo 1 = abbiamo bisogno di acquistare ancora
capacità.
L’entrante dovrà comprare sia computer, sia assumere personale per poter produrre;
quindi avrà dei costi fissi che sono F, e dei costi marginali che sono costanti; la sua
funzione di costo è  c2 = F + 40q2.

Entrata bloccata:
Calcoliamo quanto dovrebbe produrre l’incumbent per impedire l’entrata; il primo
passaggio è quello di ricavare la funzione di reazione dell’entrante (vedi lezione
precedente), perché l’idea è: se dovesse mai entrare l’entrante, posto che entra, cercherà
di fare meglio che può  “meglio che può” significa rispondere nel modo più opportuno
alla produzione q1 realizzata dall’incumbent: quindi scrivo π2, massimizzo rispetto a q2,
trovo q2 e lo inserisco nella funzione di reazione dell’incumbent:

π2 = (60 – q1 – q2)q2 – F – 40q2


𝜋2 20−q1 𝐪𝟏
= 60 – q1 – 2q2 – 40 2q2 = 60 + q1 – 40 q2 = q2 = 10 –
𝑞2 2 𝟐

Per stabilire la quantità q1 che occorre produrre per impedire l’entrata, si prendono i profitti
dell’entrante, e al posto di q2 mettiamo la funzione di reazione ottenuta: a questo punto i
profitti dell’entrante diventano solo funzione di q1, e troviamo il q1 che rende il profitto
dell’entrante uguale a zero; siccome il profitto il più delle volte è una forma quadratica,
tecnicamente è un’equazione di secondo grado che avrebbe quindi 2 soluzioni: di queste 2
soluzioni, una ha senso economico; l’altra no, o perché il valore è negativo, o perché
ricordiamoci che l’incumbent vuole produrre meno possibile, e andrà quindi a scegliere il
valore più basso
159

q1 q1 q1
(60 – q1 – 10 + 2 ) (10 + 2 ) - F - 40(10 + 2 ) = 0

q1 2 q1
 (10 + 2 ) = F √F = 10 – 2
q1 = 20 – 2 √𝐅

Abbiamo ottenuto la relazione inversa tra F e q1, che dice che più è alto F e meno
l’incumbent deve produrre per allontanarsi dalla produzione di monopolio; il q1 che
abbiamo trovato è la quantità minima da produrre perché l’entrante non faccia
profitti, e quindi non entri; se l’incumbent produce di più di questa quantità, a maggior
ragione l’entrante non entrerà, ma l’incumbent non produrrà di più del q1 trovato, perché
gli costerebbe di più in termini di profitto. Il dato ottenuto lo dobbiamo confrontare con la
quantità che l’incumbent produrrebbe se non fosse minacciato dall’entrante.
Ipotizziamo che l’incumbent non sia minacciato dall’entrata  quanto produrrebbe?
Per lui la domanda diventa 60 – q1, i ricavi marginali sarebbero 60 – 2q1; e i suoi costi
marginali sarebbero 40 perché, non essendo minacciato dall’entrata, deve dotarsi di
computer e deve assumere personale, per cui a questo punto diventa del tutto irrilevante
se comprare i computer prima o comprarli dopo  deve pagare 20 ogni computer e 20
ogni persona, quindi i suoi costi marginali sono 40.
In corrispondenza di questa condizione la quantità di monopolio è 10, e i profitti di
monopolio sono 100 (per trovare q1, pongo i ricavi marginali = ai costi marginali:)

R’ = c’  60 – 2q1 = 40 20 = 2q1 q1 = 10
π1 = (60 – q1)q1 – 40q1 = (60 – 10)10 – 40*10 = 50*10 – 40*10 = 500 – 400 = 100

Quando si ha a che fare con curve di domanda lineari e costi di questo tipo, una proprietà
particolare è che la quantità che si decide di produrre come leader di Stackelberg
coincide con la quantità di monopolio  quindi 10 oltre che essere la quantità di
monopolio, è anche la quantità del leader di Stackelberg.
C’è una possibilità fortunata che è quella in cui, non facendo niente, l’incumbent è sicuro
che l’entrante non entrerà: l’incumbent sa che per tenere fuori l’entrante deve produrre la
quantità q1 = 20 - 2√𝐅; se producesse la quantità che massimizza i suoi profitti in assenza
di una minaccia di entrata (10), questo potrebbe essere sufficiente? Deve verificarlo! =
deve mettere a confronto q1 con q2:
10
10  20 - 2√F 2√F = 10 √F = √F = 5 F = 25 F  25
2
Se l’incumbent produce come un tranquillo monopolista, che dorme sonni sereni e non ha
bisogno di far niente, può essere che quello che produce è già più che sufficiente per
160

tenere l’entrante fuori dalla porta? Occorre che 10 sia maggiore/uguale alla quantità q1
minima da produrre per tenere fuori l’entrante: 10  20 - 2√F; questo implica F  25, che
significa che se i costi fissi dell’entrante sono tanto alti (più alti di 25), tranquillamente, con
questa funzione di domanda, non c’è spazio per entrare.
E se il mercato fosse più ampio? Se nella funzione di domanda ci fosse 80 al posto di 60,
probabilmente con 25 di costi fissi si riuscirebbe ancora ad entrare, perché i costi fissi alti
o bassi, sono alti o bassi in relazione all’ampiezza del mercato; quindi se il mercato è già
grande “c’è spazio”.
Viceversa, se F è minore di 25 a quel punto non basta più produrre 10, occorre fare
qualcosa  se F  25 l’entrata non è esclusa: se F = 20, non è per niente ovvio che
l’entrante non entri, e l’incumbent deve inventarsi qualcosa; ha 2 possibilità:
 o l’incumbent decide di produrre quella quantità che è stabilita come minimo
necessario per impedire l’entrata
 oppure l’incumbent lascia entrare l’entrante, però diventando il leader di
Stackelberg.
Come facciamo a stabilire quando conviene fare una cosa invece dell’altra?
L’incumbent, per lasciare fuori l’entrante, deve produrre 20 - 2√𝐅; se produce questa
quantità, quanti profitti fa?
 q1 = 20 - 2√𝐅, q2 = 0 (perché l’entrante non entra), quindi ho la possibilità di calcolare i
profitti corrispondenti a q1; ricordiamoci che q1 non massimizza i profitti, altrimenti
sarebbe un monopolio (il problema dell’incumbent non è massimizzare, ma lasciare fuori
l’altro).
Siccome q1 dipende da F, verrà fuori che i profitti dell’incumbent dipenderanno da F:
 più è alto F, più è difficile entrare, e meno l’incumbent si deve allontanare dalla
produzione di monopolio  i profitti aumentano, quindi si crea un legame positivo
tra i costi d’entrata e profitti dell’incumbent, ammesso e non concesso che si voglia
lasciare fuori l’entrante.
 Se invece si permette l’entrata, proprio per il discorso di discontinuità (vedi
parentesi graffa rossa all’inizio dell’esercizio), l’incumbent può diventare leader di
Stackelberg, e può dire in anticipo quanto produrrà nella fase 2; quindi, a quel
punto calcolerà i suoi profitti (se si realizzasse un duopolio alla Stackelberg).
A questo punto i profitti dell’incumbent dipendono o no da F?
 prendo il profitto π1 (del leader), al posto di q2 metto la funzione di reazione, e
massimizzo; trovo q1, che poi reinserito in π1 mi dà i profitti.
161

π1 calcolato in questo modo sarà un’espressione che contiene F oppure no?


 F non è nei costi dell’incumbent; l’unico modo perché compaia nella funzione di
reazione dell’incumbent potrebbe essere quello che F incida nella funzione di reazione
dell’entrante, ma la funzione di reazione dell’entrante non dipende da F, perché nel
momento stesso in cui facciamo la derivata F scompare  quindi il profitto dell’incumbent
calcolato nell’ipotesi di Stackelberg non dipende da F.
Ricapitolando: l’incumbent può trovare i suoi profitti di deterrenza (πD) in funzione di q1, e
quindi i profitti di deterrenza dipenderanno da F; e poi può trovare i profitti di
accomodamento (πA), che non di pendono da F; allora come farà l’incumbent a decidere
se gli conviene l’entrata, o se gli conviene far buon viso a cattivo gioco?  farà un

confronto tra questi due valori: πD(F) πA(F)


 se πA > πD conviene farlo entrare
 se πD > πA conviene non farlo entrare.
Andiamo quindi a dare un’espressione a questi due valori; e poi a trovare quell’F, cioè il
livello di soglia sotto il quale o sopra il quale scatta uno dei due casi.

Accomodamento  Stackelberg
Occorre inserire la funzione di reazione dell’entrante dentro la funzione di profitto
dell’incumbent; alternativamente, posso anticipare un po’ di passaggi, perché so che la
quantità prodotta in Stackelberg leader è uguale alla quantità prodotta in
monopolio, quindi (nel nostro caso) è 10; i profitti però non sono uguali a quelli del
monopolio, perché in Stackelberg c’è anche il follower (l’entrante) che produce, e la sua
funzione di reazione gli dirà quale è il miglior q2 che potrà scegliere, dato che il leader ha
scelto di produrre 10:
q1 10
q1 = qS1 = qM1 = 10 q2 = 10 – = 10 – = 5 = qS2
2 2
da questo si possono ricavare tutte le altre variabili, e cioè il prezzo e il profitto di entrambi:

p = 60 – q1 – q2 = 60 – 10 – 5 = 45 (prezzo)
π1 = (45 – 40)10 = 50 (profitti leader/incumbent)
π2 = (45 – 40)5 – F = 0 (profitti follower/entrante)

Al profitto dell’entrante occorre togliere F, ma quello che ci interessa sono i profitti del
leader/incumbent in Stackelberg che sono pari a 50  ricordiamoci che se l’incumbent era
162

un monopolista felice faceva 100 di profitti!, quindi il fatto di permettere l’entrata, anche
rimanendo leader di Stackelberg, significa un dimezzamento dei profitti.
Se l’incumbent vuole impedire l’entrata deve produrre di più di quanto produceva in
monopolio, quindi bisogna che k1 = q1 > 10, perché scegliendo la capacità l’incumbent
deve dimostrare credibilmente che a posteriori produrrà quella quantità  per comprimere
lo spazio a disposizione, il leader deve produrre più di 10, e la quantità dovrà essere

uguale a 20 - 2F: k1 = q1 > 10  = 20 - 2F


Devo verificare che:
(60 – qD1)qD1 – 40qD1 > 50

questa espressione rappresenta i profitti dell’incumbent, qualora l’incumbent rimanga da


solo nel mercato; sono gli stessi profitti che poi massimizzati gli darebbero il risultato di
monopolio. Ma lui non deve massimizzare, deve solo verificare se il q1 scelto può
impedire l’entrata all’altro, e se il profitto è maggiore o minore di 50, che è il profitto che
avrebbe lasciando entrare; quindi sa già che, aumentando la produzione oltre 10, i profitti
non saranno più 100, ma caleranno, e il punto è sapere fino a quanto caleranno: se calano
sotto 50, a quel punto il gioco non vale più la candela (gli conviene far entrare!)

(60 - q1)q1 – 40q1 – 50 > 0 q1(20 – q1) – 50 > 0 - q12 + 20q1 – 50 > 0
−b±√b2 −4ac +20±√202 −4(1∗50)
q12 – 20q1 + 50 < 0  2,93 < q1 < 17,07
2a 2∗1

q1 deve essere compreso tra 2,93 e 17,07; ma ricordiamoci che l’incumbent va a produrre
la quantità maggiore di 10, quindi il risultato che ci interessa è un q1 che deve essere
compreso tra 10 e 17,07:  10 < q1 < 17,07
17,07 è quella quantità che se prodotta rende indifferenti tra fare deterrenza o
lasciare entrare, cioè:
17,07 deve essere maggiore di 20 - 2√𝐅 se conviene la deterrenza: 17,07 > 20 - 2√𝐅
il risultato di questa diseguaglianza è F = 2,14
2,93
17,07 > 20 - 2√F 2√F > 20 – 17,07 2√F > 2,93 √F = 2

√F = 1,465 F = 1,4652 F = 2,14

A seconda del valore di F abbiamo 3 casi possibili:


163

F2 q1 q2
ENTRATA BLOCCATA ≥ 25 10 0
DETERRENZA 2,14 ≤ 𝐹2 < 25 20 − 2√𝐹2 0
ACCOMODAMENTO < 2,14 10 5

Se i costi fissi (F) dell’entrante sono molto alti, relativamente alle dimensioni del mercato,
l’entrata bloccata significa che si viene a creare naturalmente una situazione di
monopolio che si va a perpetrare nel tempo, senza la necessità di fare nessuna cosa da
parte dell’impresa che è già presente (incumbent)  quindi l’impresa già presente
produrrà la quantità di monopolio, cioè 10; e l’entrante non entra, e quindi produrrà 0.
Se F è minore di 25, ma è maggiore/uguale a 2,14 siamo in una situazione di deterrenza,
cioè c’è una politica attiva dell’incumbent atta ad impedire l’entrata  quindi, siccome
l’entrata è impedita, q2 = 0; e q1 = 20 - 2√𝐅: se F fosse 25, allora l’incumbent dovrebbe
produrre 10; se F fosse 16, dovrebbe produrre 12; se F fosse 9, dovrebbe produrre 14
 come abbiamo già visto, più si abbassa F e più l’incumbent deve produrre per tenere
fuori l’entrante; i profitti caleranno in proporzione, ma saranno sempre maggiori di 50
 se F fosse 1, q1 sarebbe 18, e i profitti sarebbero: (60 – 18)*18 – 40*18 = 36 = profitti
che l’incumbent ottiene facendo deterrenza; se invece facesse il leader di Stackelberg
otterrebbe 50, quindi questa volta conviene far entrare = accomodamento; quindi, se F è
 di 2,14 l’incumbent permette l’entrata, e produce 10, che è la produzione del leader di
Stackelberg, che corrisponde anche alla produzione di monopolio; e l’entrante produce 5.
Il modello di Dixit è un modello che, se svolto per intero, permette di costruire una tabella
come quella sopra: a seconda dell’entità di F abbiamo tutti i casi possibili.

Riassumendo: l’entrata è bloccata quando esiste una sola impresa che fa il bello e il
cattivo tempo, e questa impresa non deve preoccuparsi di niente, perché l’entrata è
impossibile; l’impresa che è già dentro si comporta da monopolista, e l’impresa che sta per
entrare, anche scegliendo in modo ottimale la sua quantità, non ce la fa a recuperare i
costi fissi, e questo avviene quando i costi fissi sono troppo alti: nel nostro caso questo
avviene quando i costi fissi sono superiori a 25.
Se voglio impedire l’entrata devo allargarmi in modo da non lasciare spazio per entrare;
per allargarmi devo produrre di più, ma nel momento in cui inizio a produrre di più i miei
profitti cominciano a calare.
164

Se l’altro può entrare, io devo per forza di cose subire una perdita, non posso più fare
100 di profitti; di fronte ho due alternative:
 lo lascio entrare e mi accontento di 50
 faccio in modo che l’altro non entri, ma per far sì che l’altro non entri devo produrre
più di 10; nel momento stesso in cui produco più di 10 i miei profitti si riducono.
Se F è molto alto, l’incumbent non deve fare niente perché l’entrante non entri; se F  25
l’entrante potrebbe entrare, ma allora l’incumbent basta che produca un po’ di più di quello
che produrrebbe in monopolio per non lasciargli più spazio.
Se F è molto basso, l’incumbent dovrebbe allargarsi molto per evitare l’entrata; se F = 0
non ci sono economie di scala, ma l’incumbent per impedire l’entrata potrebbe produrre
20 (pongo i costi fissi = 0)  20 è la produzione di concorrenza perfetta in
corrispondenza del prezzo uguale al costo marginale, che è 40: se l’incumbent
produce la quantità di concorrenza perfetta, l’entrante non entra perché non riuscirebbe a
recuperare né i costi fissi, né i costi marginali, in quanto il prezzo sarebbe uguale a 40:
P = 60 – Q  P = 60 – 20 = 40.
Il grafico che rappresenta la produzione che l’incumbent deve fare per mettere i profitti
dell’entrante = 0 è il seguente:
π2 se F fosse uguale a zero, non ci sono
economie di scala  q1 = 20
perché 20?  20 = produzione di
concorrenza perfetta
q* q2 solo nel caso della deterrenza, se i profitti
sono minori dell’accomodamento: πD < πA,
π1 allora: π = (60 - q1)*q1 – 40*q1 = 50
100 q1 = 17,07 (Stackelberg)
50

10 17,07 q1

Temi di discussione:
Nel modello di Dixit entrambe le imprese sono caratterizzate da funzioni di reazione
discontinue, ma per motivi diversi.
Le funzioni di reazione sono discontinue:
165

 per l’incumbent, perché ci sono 2 diversi livelli di costi marginali, a seconda se sta
sopra o sotto la capacità preinstallata
 per l’entrante, perché sotto di una certa quantità preferisce non produrre affatto,
perché i profitti diventano negativi.
Nel modello anche l'impresa incumbent potrebbe avere costi fissi ed economie di scala.
I costi fissi dell’incumbent non ci interessano, perché non incidono sulle sue decisioni: in
monopolio potremmo avere dei costi fissi, ma quando facciamo la derivata e
massimizziamo i profitti, i costi fissi spariscono; i profitti saranno π – F1, ma quanto
produce l’incumbent non dipende da questo.
Se l’incumbent vuole lasciare fuori l’entrante, tiene conto dei costi fissi dell’entrante; e se
l’incumbent fa il confronto tra Stackelberg e la deterrenza, confronta i suoi profitti in
entrambi i casi: se ci sono dei costi fissi compaiono sia a destra che a sinistra
dell’equazione, quindi i costi fissi si escludono e non incidono nel confronto.
L'impresa incumbent non possiede alcun vantaggio di costo rispetto all'entrante.
Significa che i suoi costi marginali, a priori, sono uguali  l’incumbent non è incumbent
perché è più bravo, ma solo perché riesce a comprare prima dell’altro, perché è già dentro
al mercato.
L'impresa incumbent non è vincolata a produrre la quantità corrispondente alla capacità
installata nel primo periodo.
Anche se noi possiamo interpretare k1 come capacità preinstallata, a differenza del
modello che avevamo visto con gli impianti di risalita (impianti sciistici), si può
tranquillamente andare oltre: alla fine k1 diventa uguale a q1 come nel vecchio modello,
ma a priori potremmo avere anche un q1 che supera il k1.
L'entrante potrebbe avere costi fissi ridotti al punto tale da ottenere profitti netti anche
come follower.
Abbiamo visto che il follower produce 5, e abbiamo visto che in quel caso conviene farlo
entrare; i profitti del follower dipendono da F: se F è molto basso ci saranno profitti
maggiori  se F è zero è come se fosse un normale follower.
L' incumbent si trova a dover scegliere, in un certo senso, il male minore.
Se l’incumbent vuole impedire l’entrata, e quindi produce di più della quantità di
monopolio, i suoi profitti iniziano a calare; se permette l’entrata, si deve accontentare dei
profitti del leader di Stackelberg; quindi sceglie la quantità che gli permette di non
scendere sotto la soglia del profitto che farebbe da leader di Stackelberg, che è il male
minore.
166

Non è ovvio stabilire se i consumatori preferiscano una strategia di accomodamento o


deterrenza.
Sono un consumatore: dal punto di vista del consumatore è meglio una situazione di
deterrenza, o una situazione di accomodamento?
Quando abbiamo ragionato come l’incumbent, il termine di paragone era il profitto; ora,
come consumatore, dobbiamo considerare il surplus del consumatore, che è direttamente
legato ai prezzi: più abbasso il prezzo, più contento è il consumatore  si tratta solo di
fare un confronto e vedere dove il prezzo è più basso:
 vado a vedere nell’accomodamento, prendo le due produzioni, e le sostituisco nella
funzione di domanda per ottenere il prezzo: P = 60 – (q1 + q2) = 60 – 10 – 5 = 45
(prezzo)
 per la deterrenza, invece, devo fare: 60 – 20 + 2√F  40 + 2√F: la deterrenza è
preferibile se il risultato è minore di 45:
40 + 2√F < 45  40 + 2√2,14 < 45  40 + 2,93 < 45  42,93 < 45
 Conviene la deterrenza!, con il nostro esempio: il prezzo è 42,93 invece di 45! (ma non
si sa se sia anche una regola generale, e quindi valida per tutti!).

Ma quale è la soglia di F sopra la quale il consumatore pensa che è meglio la deterrenza;


e sotto la quale, invece, il consumatore preferisce l’accomodamento?
Il benessere del consumatore è legato al prezzo: più basso è il prezzo, più alto è il surplus
del consumatore; quindi ci basta stabilire quale delle due ipotesi ha il prezzo più basso:
l’accomodamento è meglio della deterrenza quando 45 < 40 + 2√F (ma abbiamo già visto
che, nel nostro esempio, non lo è: 45 > 42,93)
5
45 – 40 < 2√F 5 < 2√F √F < F > (5/2)2 F = 2,252 F = 6,25
2
F = 6,25 è la soglia che definisce la desiderabilità di un tipo di regime invece dell’altro:
 sopra F = 6,25 i consumatori preferiscono la deterrenza
 sotto F = 6,25 i consumatori preferiscono l’accomodamento.
Ricordiamo che avevamo identificato altre 2 ulteriori soglie:
 al di sotto di F = 2,14 l’impresa 1 riteneva conveniente l’accomodamento
 sopra F = 25 l’incumbent non deve fare niente, perché l’entrante non riesce a
recuperare i costi fissi, e quindi non entra.
Se F è abbastanza alto, vicino a 25, significa che quello che è rimasto “monopolista” deve
produrre un po’ di più, ma non tanto di più, di quello che produrrebbe in monopolio: quindi
167

il prezzo scende, ma non tanto; mentre, se ci fosse concorrenza, il prezzo scenderebbe


sicuramente a 45.
Ricordiamo che il monopolista come tale produrrebbe 10; mentre l’accomodamento
assicura una produzione di 15 (10 del leader + 5 del follower).
Il problema si può impostare anche in modo diverso:
 o diciamo che il consumatore preferisce il prezzo più basso
 o equivalentemente diciamo che il consumatore preferisce la quantità aggregata più
alta.
Se c’è accomodamento, e quindi entrata, la produzione aggregata è 15; se siamo in
monopolio la produzione aggregata è 10; se dobbiamo impedire l’entrata, occorre che la
produzione sia più di 10, ma finché la produzione dell’incumbent rimane sotto a 15, dal
punto di vista del consumatore sarebbe meglio che venisse effettuata l’entrata.
Quando invece F è molto basso, anche se si preferisce impedire l’entrata (= deterrenza),
si deve produrre più di 15; allora i consumatori trovano che, anche se rimane una sola
impresa nel mercato, questa impresa, per poter rimanere nel mercato, deve produrre più
delle due imprese messe insieme: a questo punto è desiderabile la deterrenza.
Ed è interessante vedere come questo confronto tra gli intervalli crei dei sottointervalli
dove alcune volte gli obiettivi dell’impresa e i desideri del consumatore sono in conflitto; e
altri momenti in cui vanno nella stessa direzione. Abbiamo un altro tipo di classificazione, e
allora vediamo che:
 se F < 2,14 c’è l’accomodamento, dove invece i consumatori preferirebbero una
strategia di deterrenza
 se F è compreso tra 2,14 e 25 (F = 6,25), l’impresa sceglie la deterrenza, e questo
regime è preferito anche dai consumatori.
Sopra 6,25 abbiamo un conflitto di obiettivi: i consumatori preferirebbero l’entrata, mentre
l’incumbent o fa il minimo indispensabile per impedire l’entrata; oppure non deve far niente
perché comunque l’entrata non avviene.
168

MONOPOLIO, COOPERAZIONE, CARTELLI


La logica dei cartelli nasce da una considerazione di fondo: qualunque sia il modello di
oligopolio che utilizzo, è sempre vero che se prendo i profitti di tutte le imprese e li sommo,
ottengo un ammontare minore dei profitti di monopolio  la concorrenza danneggia le
imprese: noi consumatori ne traiamo beneficio, perché è la concorrenza che tiene i prezzi
più bassi, ma le imprese hanno incentivo ad evitare che ci sia “troppa concorrenza”.
Ogni gioco simultaneo può essere trasformato in sequenziale; ad ogni gioco simultaneo, di
concorrenza o competizione, fa da contrappeso una situazione di potenziale accordo: un
cartello è un tentativo di imporre una disciplina al mercato, in base al quale i membri
del cartello si accordano per coordinare le proprie azioni.
Questo accordo tra le imprese può essere esplicito ma il più delle volte è implicito,
senza che si siano esplicitamente parlate  può esserci un accordo tacito!
Le imprese si possono coordinare per stabilire i prezzi, le quote di mercato, i territori di
competenza, ecc.; ma se è vero che i cartelli esistono, è anche vero che i cartelli sono
intrinsecamente fragili e non dovrebbero stare in piedi.
Per cartello si intendono degli accordi tra imprese per limitare la concorrenza, tant’è
che nel linguaggio antitrust non si parla di “cartello”, ma si dice intese restrittive della
concorrenza.
Uno dei giochi simultanei più importanti per gli economisti è il “dilemma del prigioniero”,
dove c’è tutta la convenienza da parte di due soggetti a cooperare, ma l’egoismo di
ognuno di essi spinge verso un certo tipo di equilibrio che è pareto-inferiore, cioè porta ad
un risultato peggiore: sarebbe meglio che nessuno dei due prigionieri confessasse, ma la
prospettiva di avere un piccolo vantaggio personale attraverso la confessione, spinge
entrambi a confessare.
I profitti di monopolio sono sempre  della somma dei profitti realizzati da due o più
imprese in concorrenza fra di loro: questo vale sempre! Che il bene sia differenziato,
omogeneo, che stiamo facendo concorrenza sulla quantità, o concorrenza sui prezzi, non
solo la concorrenza riduce i prezzi per ciascuna impresa, ma anche i profitti aggregati
sono comunque minori del profitto di monopolio
πM > π 1 + π2 sempre!
perché dal punto di vista delle imprese si produce troppo: nel momento in cui decido q
sulla base della mia funzione di reazione, valuto solamente quanto si modificano i miei
profitti variando q; oppure, modificando il prezzo, considero solo il fatto che quella modifica
ha sui miei profitti.
169

Indipendentemente dal modello che abbiamo, ci troviamo in una situazione che è di


esternalità di mercato = faccio qualche cosa, e questo qualche cosa si ripercuote su
profitti o, al limite, utilità di altri; però, nel decidere quel qualche cosa, non tengo conto dei
profitti o utilità altrui  il nostro mondo è permeato di esternalità da tutte le parti: classico
esempio è l’inquinamento, o le emissioni di carbonio che provocano il cambiamento
climatico  tu inquini, non paghi completamente i costi del tuo inquinamento, scarichi
sulla collettività le conseguenze negative del tuo inquinamento: in questo caso si parla di
esternalità negative, perché si scaricano gli effetti negativi dell’inquinamento sugli altri.
Ci sono anche delle esternalità positive, quando facendo un qualche cosa riesco a dare
del benessere agli altri indirettamente: per esempio l’attività di ricerca, in senso lato, è
un’attività che va a vantaggio di chi intraprende la ricerca; però, soprattutto se la ricerca
non viene protetta da brevetti, licenze, ecc., una nuova idea, un nuovo prodotto, un nuovo
modello di business può essere imitato, e quindi anche chi non ha investito in quella
ricerca può diventare free riding, e ottenere dei vantaggi indiretti.
La regola generale dell’economia è questa: ogni volta che ci sono delle esternalità:
 se sono esternalità negative, si fa troppo di quella cosa, perché nel decidere
quanto farne non si tiene conto degli effetti negativi che si scaricano sugli altri,
quindi si fa troppo rispetto a quello che è socialmente desiderabile
 quando l’esternalità è positiva, si generano dei benefici per altri soggetti, di cui
però non si tiene conto, e quindi si fa troppo poco: se la ricerca non viene protetta
adeguatamente da un sistema di tutela della proprietà intellettuale, si fa troppo poca
ricerca, troppo poca innovazione, ecc..
Dal punto di vista delle imprese, ci troviamo davanti al meccanismo di esternalità:
quando un’impresa deve decidere quanto produrre, o che prezzo applicare, lo fa sulla
base del proprio profitto; però ogni volta che cambia il prezzo, o cambia la quantità da
produrre, in realtà crea degli impatti sui profitti altrui.
Per esempio: la quantità di Coca-Cola prodotta dipende dal prezzo della Pepsi, e ogni
volta che la Pepsi cambia il prezzo, scarica degli effetti sulla Coca-Cola, e viceversa  di
questo, la Pepsi non tiene conto, e allora, dal punto di vista delle imprese, nel tentativo di
massimizzare il proprio profitto, ignorando il profitto altrui, si crea un eccesso di
produzione, che è un problema per le imprese, ma è proprio su questo che i consumatori
fanno affidamento, affinché i prezzi siano contenuti
 il consumatore cavalca questo problema delle imprese per ottenere un vantaggio,
rappresentato da un prezzo più basso, o un mercato più efficiente.
170

Ci si può chiedere se le imprese possano adottare un meccanismo per ovviare a questo


problema di esternalità: per esempio, in caso di inquinamento, si possono applicare delle
sanzioni sulle emissioni inquinanti, in modo da “internalizzare le esternalità”, cioè riuscire
a far sì che i soggetti considerino gli effetti negativi o positivi che hanno sugli altri.
In un duopolio simmetrico, le due imprese potrebbero produrre troppo: potrebbero
accordarsi e dire: invece di produrre la quantità che ci viene naturale produrre in duopolio,
perché non produciamo ciascuno la metà della quantità di monopolio?!  è facile vedere
che ognuno incrementerebbe i propri profitti; ma il problema di base è che, come nel
dilemma del prigioniero, ognuno non riuscirebbe ad impegnarsi credibilmente a produrre
così poco, perché una volta che uno ha prodotto poco, l’altro ha un forte incentivo a
produrre quello che gli direbbe la sua funzione di reazione.
E allora, quale che sia il modello di oligopolio che utilizziamo, abbiamo che i profitti di
monopolio (chiamiamoli così, ma sono in realtà i profitti assegnati a ciascuna impresa dal
cartello) sono sicuramente maggiori dei profitti in competizione (sempre per le stesse
imprese), ma ancora più elevati sono i profitti che un’impresa potrebbe realizzare con una
strategia di deviazione:
πD > πM > π C
La strategia di deviazione è una strategia dove, assumendo che l’altra impresa, in
questo caso l’impresa 2, si comporti sulla base di quello che ha stabilito il cartello,
l’impresa 1 fa i suoi interessi e decide quanto produrre.
Stabilire cosa ha deciso il cartello dipende dal contesto: se si fa la competizione sui prezzi,
si stabilisce quale prezzo mettere; quindi un’impresa pensa che l’altra aderisca
onestamente a quello che il cartello ha stabilito, mentre lei sceglie il prezzo che le fa più
comodo; oppure il cartello decide quanto le imprese devono produrre, e un’impresa
pensando che l’altra produca effettivamente quella quantità, sceglie la quantità che le
interessa  scegliere la quantità che le interessa vuol dire massimizzare i propri profitti,
che significa scegliere la propria quantità, mettendo la quantità di cartello (dell’altra
impresa) dentro alla funzione di reazione.
In ogni caso si ottiene sempre un ordinamento dove i profitti più alti sono quelli di “chi fa il
furbo” πD; i profitti intermedi sono quelli del “vogliamoci bene e cooperiamo” πM; e i profitti
più bassi sono quelli di “ognuno va per i fatti suoi” πC  abbiamo sempre questo tipo di
ordinamento, a seconda del modello che utilizziamo.
171

Ragionare sulla possibile esistenza di un accordo collusivo (cartello) significa andare a


riempire le caselline di una matrice 2x2, dove ognuna delle due imprese ha due
alternative: cooperare o non cooperare
 se non coopero vuol dire che penso solo ai miei profitti
 se entrambe non cooperano, abbiamo l’equilibrio di duopolio (in questo caso Cournot)
 se cooperano entrambe significa che decidono assieme quanto deve produrre una,
e quanto deve produrre l’altra.
Nelle altre caselle c’è una situazione dove una collabora e una no: significa che una si
impegna a fare quello che ha detto di fare nel cartello; mentre quella che non coopera
dice di fare una cosa, e poi in realtà ne fa un’altra, mirando solo ai suoi profitti.
Quindi, prima di fare qualunque altra considerazione sui cartelli, se i cartelli possono
esistere, se viceversa sono destinati a crollare, o eventualmente quali condizioni devono
generarsi perché possano continuare, il primo passo è sempre quello di riempire di valori
una matrice, per esempio 2x2, dove, di volta in volta, andiamo a mettere per ogni casella
due numeri  il significato dei numeri che inseriamo dipende dal modello che stiamo
considerando, dal tipo di variabile strategica, ecc; però in linea di massima tutti i modelli
considerati (prezzi vs quantità, omogeneo vs differenziato) possono essere usati per
generare valori di un’ipotetica matrice come quella che segue; le strategie sono sempre:
coopera/non coopera:
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera
non coopera

Non coopera/non coopera (giallo) è quello che abbiamo considerato fino adesso:
ognuno massimizza i suoi profitti, si interessa solo a se stesso; in un duopolio simmetrico
di Cournot: risolviamo il modello simmetrico di Cournot, e dentro ci mettiamo i profitti così
come li abbiamo trovati, come equilibrio di gioco simultaneo alla Cournot. Con il modello di
Bertrand, con prodotti omogenei e costi marginali uguali, non serve fare calcoli: basta
mettere zero e zero (0, 0)  se ognuno va per i fatti suoi, c’è una guerra dei prezzi e i
profitti vengono completamente erosi! Se i costi marginali sono diversi, uno sarà un
numero positivo (quella con costi minori), l’altro sarà zero.
Coopera/coopera: (verde) vuol dire che le imprese decidono quanto produrre come
un’unica entità: creano una specie di cooperativa tra imprese (cartello), dove le decisioni
vengono prese congiuntamente  questo è solo un esempio tra i tanti possibili di
172

cooperazione, o di intesa restrittiva della concorrenza, perché, soprattutto alla luce del
fatto che le intese restrittive della concorrenza sono illegali nella stragrande maggioranza
dei Paesi, si può arrivare allo scopo per vie traverse: potrebbe essere “ci dividiamo
implicitamente il territorio” = divisione geografica; ci può essere una spartizione per
tipologia di bene: uno produce una cosa e l’altro ne produce un’altra = divisione per
tipologia merceologica; ci si può scambiare anche informazioni! (è accaduto per le
compagnie assicurative)  noi la facciamo un po’ più semplice: decidiamo o le quantità da
produrre (Cournot), o i prezzi da applicare (Bertrand), dipende dal modello scelto. Quindi
nella casella verde inseriamo i profitti che vengono assegnati alle due imprese quando si
muovono sotto la stessa “regia”, che è quella del cartello.
Attenzione!
Cournot, duopolio simmetrico: quando siamo in un duopolio simmetrico alla Cournot e
debbiamo decidere come massimizzare i profitti congiunti, la cosa più ovvia è che insieme,
io e te, produciamo la quantità di monopolio; se siamo simmetrici, la cosa più ovvia da dire
è che metà la fai tu e metà la faccio io, ma quello che conta è che si produca
complessivamente la quantità di monopolio!  potrebbe anche essere che un’impresa
produce tutto lei e l’altra non fa niente!, perché quello che conta è la quantità complessiva
 è la quantità complessiva che massimizza i profitti complessivi!
Un altro paio di maniche è come i profitti complessivi vengono poi divisi tra chi ha
partecipato al cartello  non è detto che i profitti vadano metà a una e metà all’altra:
questo succede solo se le imprese sono simmetriche; se ci sono costi marginali
diversi, e si vogliono massimizzare i profitti totali, la massimizzazione del profitto
implica la minimizzazione dei costi, e se abbiamo due imprese, una con costi più alti e
una con costi più bassi, la massimizzazione dei profitti totali implica che si produce
tutto dove costa meno!  il cartello ha 3 problemi:
 quanto produrre nell’aggregato
 chi produce; e una volta deciso questi due punti
 come ripartire la torta dei profitti.
Se siamo in perfetta simmetria, la produzione di monopolio viene divisa a metà, e i profitti
spettano metà a ciascuno; se i costi marginali sono diversi, si produce la quantità di
monopolio corrispondente ai costi più bassi, produce solo il più efficiente (chi ha i costi più
bassi), ma quello che non ha prodotto niente, non ha prodotto niente perché gliel’ha detto
il cartello di non produrre niente!  se avesse ragionato in modo non cooperativo avrebbe
fatto dei profitti, anche se più bassi dell’impresa più efficiente.
173

In Cournot asimmetrico, i costi marginali possono essere diversi; se non sono troppo
diversi, entrambe le imprese sopravvivono nel mercato, quella meno efficiente produce un
po’ di meno, ma fa comunque dei profitti!
 L’impresa meno efficiente deve portare a casa almeno i profitti che avrebbe fatto se
andava per i fatti suoi! Dobbiamo quindi distinguere due questioni:
 se i costi marginali sono costanti ma diversi, si produce dove costa meno
 se i costi marginali non sono costanti (per esempio sono crescenti), allora occorre
che ognuno produca un po’, e nel produrre quel po’ occorre che i costi marginali
siano uguali nel punto di produzione: questa è una conseguenza logica e
necessaria della diminuzione dei costi
 se i costi marginali sono crescenti, se produco poco un’unità in più non costa granché;
più aumenta la produzione, e più ogni unità che vado ad aggiungere diventa più costosa
da produrre; allora, se i costi marginali fossero diversi, si potrebbe a parità di produzione,
togliere una unità dove i costi sono alti, e metterla quella stessa unità dove costa di meno
 in questo modo si abbassano i costi; se i costi sono minimizzati, bisogna che i costi
marginali siano uguali: bisogna che si intersechino le due curve dei costi marginali.
È ovvio che se i costi marginali sono costanti, sono due rette parallele che non si
incrociano mai! Non potendoli coalizzare, si concentra la produzione dove costa meno; ma
se i costi marginali non sono costanti, si deve smistare la produzione da una parte all’altra,
in modo tale che il grosso della produzione venga diviso in un q1 e un q2, e il costo
marginale di q1 deve essere uguale al costo marginale di q2.
Quindi il cartello va visto come un monopolista multimpianto, e se del caso,
multiprodotto.
Immaginiamo due imprese, ognuna con il suo impianto di produzione; se si mettono
insieme e ragionano come un cartello devono ragionare come un’unica grande impresa;
però questa impresa ha due impianti di produzione, quindi, posto che deve produrre una
certa quantità, può decidere quanta di questa quantità produrre da una parte, e quanta
dall’altra, e cerca di farlo in modo da minimizzare i costi.
Se invece i due prodotti sono differenziati, il ragionamento è esattamente uguale, solo
che in questo caso il cartello decide quanto si produce di ciascuno dei due prodotti
differenziati.
Per esempio: un cartello tra Pepsi e Coca-Cola, vorrebbe dire che si produce sia Pepsi
che Coca-Cola, e che il cartello è un monopolista multiprodotto  già oggi la Coca-
Cola produce sia Coca-Cola che Fanta; l’impresa, quando deve stabilire il prezzo della
174

Fanta, sa che un eventuale aumento o diminuzione del prezzo della Fanta ha ripercussioni
sul prezzo della Coca-Cola, che produce lei stessa: abbassando il prezzo della Fanta,
verrà gente che prima beveva Pepsi, ma verrà anche gente che comunque beveva già la
Coca-Cola  questo concetto si chiama cannibalizzazione: un prodotto della tua linea va
in concorrenza con un altro prodotto della tua stessa linea.
Se Coca-Cola e Pepsi creano un cartello, come si deve stabilire il prezzo della Coca-Cola
o il prezzo della Pepsi?  siccome sono un’impresa multiprodotto, nel decidere i profitti
della Coca-Cola massimizzo la somma dei profitti ottenuti dalla linea di prodotto Coca-
Cola e dalla linea di prodotto Pepsi  esiste un profitto della Coca-Cola che dipende dal
prezzo della Pepsi; allo stesso modo per la Pepsi:
πC (pc, pp) πP (pp, pc)
quando siamo in una situazione di concorrenza (ognuno va per la sua strada), calcoliamo
le funzioni di reazione e troviamo le quantità e i prezzi; quando invece siamo un cartello,
dobbiamo massimizzare la somma dei profitti, se abbiamo due linee di prodotto che
ci danno profitti: πC (pc, pp) + πP (pp, pc).
Dovremo poi fare le derivate parziali relative ai due prodotti: si fa la derivata parziale, si
deriva per esempio rispetto a pc tenendo pp fisso, andando a considerare variando il
prezzo della Coca-Cola cosa succede ai profitti della Pepsi  ecco perché è come
un’esternalità: prima non mi interessava cosa faceva l’altro; ora che sono un cartello
considero tutti gli effetti, diretti e indiretti, delle mie scelte.
Alla fine è sempre un sistema di due equazioni a due incognite, perché diventa la derivata
parziale rispetto al prezzo della Coca-Cola = 0, e la derivata parziale rispetto al prezzo
della Pepsi = 0; in questo modo si decide insieme quale prezzo si fisserà per i due
prodotti.
Quando si fa concorrenza, si tengono i prezzi più bassi per strapparsi i concorrenti l’un
l’altro  rubarsi i concorrenti l’un l’altro è un gioco che tende a schiacciare i prezzi verso il
basso. Se sono in una situazione di cartello, ci si mette d’accordo, e alla fine il prezzo della
Coca-Cola sarà più alto di quello che sarebbe stato fissato, e anche il prezzo della Pepsi!
 quindi tutti e due i prezzi saranno più alti; ma qui non siamo in simmetria, perché le
domande sono diverse, e anche i prezzi.
Una volta stabilito cosa fare, abbiamo ottenuto dei profitti; i profitti possono essere visti
come una torta che nasce dai benefici della cooperazione  un conto è massimizzare la
torta, un altro conto è dividerla! Allora quanto va a uno e quanto va all’altro è un ulteriore
problema che teoricamente il cartello dovrebbe risolvere, e noi non abbiamo delle regole
175

che ci dicono esattamente come dovrebbe essere divisa la torta; esiste però una teoria
che stabilisce come dovrebbero essere ripartiti i benefici, o le eventuali riduzioni di costi,
derivanti dalla cooperazione, ed è la teoria dei giochi cooperativi, e non ha quasi nulla a
che vedere con tutti i concetti visti finora.
La teoria dei giochi cooperativi è una teoria che cerca di formalizzare il concetto di potere
contrattuale, ed è utile in varie circostanze, come per esempio la contrattazione salariale
(tra sindacati e datori di lavoro): stabilisce quanto del valore aggiunto va sotto forma di
profitto per i capitalisti, e quanto va sotto forma di salario per i lavoratori.
Ci sono delle regole, e queste regole hanno dei vincoli; uno di questi vincoli potrebbe
essere “non puoi darmi meno di quello che otterrei da solo”; ma se ci sono due imprese e
dobbiamo decidere quanto produrre, una ha costi pari a 5 e l’altra ha costi costanti pari a
7, abbiamo già detto che se dobbiamo metterci d’accordo conviene che produca solo
quella che ha costi pari a 5. L’impresa che ha costi parti a 7, per essere convinta a non
produrre deve essere risarcita; ma è giusto che i profitti vengano ripartiti in parti
uguali? Se è sbagliato dire che quello che non produce non prenderà niente, è altrettanto
sbagliato dire che quello che produce prenderà metà, perché se fossimo in un contesto
cooperativo il più efficiente avrebbe fatto più profitti.
Riassumendo: se si è in cooperazione occorre considerare che cosa sarebbe
desiderabile fare come se fossimo un’unica grande entità (un’unica impresa), che ha due
impianti; se ci sono beni differenziati, non solo ci sono due impianti, ma ci sono anche
due linee di prodotto; una volta ottenuto un ottimo risultato come gruppo, c’è il problema
di come suddividere i profitti: per esempio, i profitti possono essere suddivisi
proporzionalmente in base ai profitti che si sarebbero fatti in cooperazione.
Il cartello dice cosa fare: se è un modello di Bertrand con beni differenziati, il cartello
dice quale è il prezzo per ogni tipo di prodotto; con Cournot, il cartello dice quali sono le
quantità da produrre rispettivamente per ogni impresa (e può essere anche zero!).
Immaginiamo che una delle due imprese cooperi, e invece l’altra non cooperi: cooperare
significa obbedire al “signor” cartello = aderire a quello che il cartello ha detto di fare;
quell’altro che non coopera prende come dato il fatto di quello che il cartello ha detto di
fare all’altro, se ne frega dei profitti totali e guarda solo ai profitti suoi.
Guardando solo ai suoi profitti significa applicare la sua funzione di reazione o al
prezzo o alla quantità di cartello; nella casella verde ci sono i due numeri che sono i
profitti che il cartello ha assegnato; nella casella azzurra ci sono i due numeri che indicano
i profitti che rimangono una volta che si è stati ingannati da chi non coopera, e i profitti che
176

deriverebbero facendo il furbo adottando un comportamento opportunistico, considerando


il fatto che l’altro aderisce onestamente al cartello; viceversa nella casella rosa
 otteniamo un ordinamento di questo tipo: i profitti di non cooperazione sono sempre
maggiori dei profitti di cooperazione, e sono sempre maggiori dei profitti di monopolio (in
collaborazione), qualunque sia il modello di oligopolio:
πD > πM > π C
Tutta la logica del cartello è legata a questo ordinamento, perché se ci stiamo facendo
concorrenza sarebbe meglio se tutti e due facessimo un po’ più soldi; se invece non
cooperiamo, ci piacerebbe farne ancora di più, ed è lì che si crea il problema.
I nostri risultati sono basati solo su una logica, che deve essere quella di coerenza delle
nostre scelte: abbiamo degli obiettivi, e l’obiettivo si chiama profitto  non siamo altruisti,
e non ci vogliamo bene: dobbiamo essere coerenti con l’obiettivo!, e l’obiettivo è il profitto!

Esercizio: In un mercato oligopolistico due imprese scelgono le quantità da produrre di un


bene identico. La domanda di mercato è Q = 80 – P. I costi marginali sono costanti e pari
a 16 per la prima impresa, 12 per la seconda. Identificate l'equilibrio di Cournot-Nash
(prezzi, quantità, profitti). Considerate ora la possibile realizzazione di un cartello. Siccome
le due imprese hanno gradi differenti di efficienza, viene stabilito che i profitti di cartello
vengano ripartiti proporzionalmente ai profitti realizzati in competizione. Ad esempio, la
prima impresa ottiene la quota π1c/(π1c + π2c) dei profitti totali.
Stabilire profitti e quantità prodotte dalle due imprese. Considerate la convenienza della
impresa 1 a deviare unilateralmente dal cartello. Se una delle due imprese devia, il cartello
non sussiste più e ciascuna impresa ottiene i profitti corrispondenti ai suoi livelli di
produzione (come in competizione). Alla prima impresa conviene deviare? Perché?
 c’è un solo prezzo (nella curva di domanda) = il bene è omogeneo
 scelgono le quantità = Cournot
Equilibrio di Cournot-Nash:
Q = 80 – P P = 80 – (q1 + q2)
π1 = (80 – q1 – q2 – 16)q1 la prima impresa ha costi medi = 16; questo mi permette
π1 = (64 – q1 – q2)q1 ← di riscrivere π1 in questo modo
π2 = (80 – q1 – q2 – 12)q2 faccio lo stesso anche per la seconda impresa
π2 = (68 – q1 – q2)q2 ←

 non posso prendere la scorciatoia, perché i costi marginali sono diversi, quindi faccio le
derivate per mettere poi a sistema, e trovare le quantità:
177

64 – 2q1 – q2 = 0 sfrutto una delle due (per esempio la seconda) per esplicitare
68 – q1 – 2q2 = 0 q1, e vado avanti per sostituzione:
64 – 2(68 – 2q2) – q2 = 0
3q2 = 2*68 – 64 3q2 = 72 q2 = 24 q1 = 68 – 2*24 = 20

L’impresa 1 produce meno perché è meno efficiente (ha costi più alti)
P = 80 – 24 – 20 = 36 (prezzo di vendita)
π1 = (36 – 16)20 = 400
π2 = (36 – 12)24 = 576 equilibrio di Cournot-Nash
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera
non coopera 576, 400

Cartello:
le due imprese hanno gradi diversi di efficienza: il cartello stabilisce che i profitti (di
cartello) vengano ripartiti proporzionalmente ai profitti realizzati in competizione, in
particolare per l’impresa 2 (che è la più efficiente) il profitto è π2 = c/(π1c + π2c) dei
profitti totali; stabilire profitti e quantità prodotte dalle due imprese

576
= 0,59 = 59% quota di profitti che spettano all’impresa 2, la più efficiente
400+576
100 – 59 = 41% quota di profitti che spettano all’impresa 1, che ha costi maggiori

nel cartello le due imprese sono come una grande entità  si decide come se fossero 2
impianti: si produce dove costa meno, quindi devo considerare l’impianto che produce a
costi più bassi (12); il problema è quello di massimizzare:
(80 – Q – 12)Q 68 – 2Q = 0 Q = q2 = 34 q1 = 0 !!!
π = (68 – 34)34 = 1.156 profitti del cartello
1.156 * 0,59 = 682 profitti dell’impresa 2
1.156 * 0,41 = 474 profitti dell’impresa 1
P = 80 – 34 = 46 prezzo di collaborazione (34 = q2  produce solo l’impresa 2)
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera 682, 474
non coopera 576, 400
178

Dal punto di vista delle imprese la collaborazione è proficua:


 la collaborazione per le imprese è un investimento sui profitti futuri!
 l’impresa 1, operando in modo indipendente, guadagnava 400, mentre ora, se coopera,
guadagna 474  + 74: prende 474 per starsene buona e non fare niente!
 l’impresa 2 guadagna 682 invece di 576
 la collaborazione è vantaggiosa per entrambe, ed infatti le imprese, se possono,
devono evitare di pestarsi i piedi, e di farsi concorrenza.

Deviazione:
consideriamo la convenienza per l’impresa 1 a deviare  se è conveniente cooperare, è
ancora più conveniente, in linea di massima, fregare l’altro: l’impresa 1 deve convincere
l’altro (impresa 2) a cooperare, mentre lei ha già scelto la deviazione.
Le regole di ripartizione dei profitti (59% e 41%) sono delle regole che hanno senso solo
se il cartello si realizza: se l’impresa 1 decide di deviare, ma le cose le vanno male e non
riesce a fare profitti soddisfacenti, non può poi reclamare al cartello la sua quota del 41%!
Quindi l’impresa 1 decide di deviare, e massimizza i suoi profitti, perché dal momento che
non coopera, le interessa solo dei suoi profitti: π1 = 400.
Ma l’impresa 2 produce, e il cartello le ha detto di produrre 34:

π1 = (64 – q1 – 34) 30 – 2q1 = 0 qD1 = 15


(quantità di deviazione)

P = 80 – 34 – 15 = 31 prezzo in deviazione
π1 = (64 – 15 – 34)15 = 225 profitti per l’impresa 1 se devia  non le conviene!!!
π2 = (68 – 15 – 34)34 = 646 profitti per l’impresa 2 (che collabora)

Quello ottenuto è un risultato molto interessante, perché diverso da quello che ci


potremmo aspettare: normalmente conviene deviare dal cartello, ma in questo caso non
per l’impresa 1!
Invece, se fosse l’impresa 2 a deviare, le converrebbe, perché allora i suoi profitti
sarebbero: π2 = (68 – q1 – 34)34 = (68 – 0 – 34)34 = 1.156, e la matrice dei pay-off
risulterebbe così compilata:
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera 682, 474 1156, 0
non coopera 646, 225 576, 400
179

Come mai l’impresa 1, ingannando l’impresa 2 e perseguendo i suoi propri interessi


unilateralmente, ottiene meno di quanto otterrebbe continuando ad aderire alla
cooperazione?
Se l’impresa meno efficiente partecipa al cartello è come se l’impresa meno efficiente si
avvantaggiasse della maggior efficienza altrui, come se indirettamente ottenesse un
vantaggio dal fatto che l’altro è più efficiente  non produco io, produce quell’altro: è
come se io indirettamente producessi attraverso quell’altro, che però è più efficiente di me!
Se io devio dal cartello ho due freni: da un lato cerco di massimizzare i miei profitti, ma
dall’altro, nel momento stesso in cui massimizzo i miei profitti, non posso più
avvantaggiarmi indirettamente della maggiore efficienza altrui.
Ora, con i numeri dell’esercizio, risulta che la perdita di efficienza che si ha andando per la
propria strada non giustifica un comportamento puramente egoistico: ti conviene fare il
bravo, perché facendo il bravo tu indirettamente benefici della maggiore efficienza altrui.

Temi di discussione:
Se l'impresa incumbent potesse acquistare una impresa che sta per entrare nel mercato,
sarebbe possibile stabilire un prezzo di vendita conveniente per entrambi.
La cooperazione è un investimento sui profitti futuri!; se il gioco fosse alla Bertrand = se ci
fosse una competizione sui prezzi, e se ognuno andasse per la propria strada, i profitti
sarebbero zero per entrambe le imprese, perché si innescherebbe una guerra dei prezzi
 c’è un vantaggio di seconda mossa: il primo stabilisce un prezzo p1, e il secondo
sceglie un prezzo p1 – ε; se le due imprese si mettessero d’accordo, invece,
sceglierebbero il prezzo di monopolio.
C’è una convenienza a mettersi d’accordo sia in Bertrand che in Cournot, ma la
convenienza è doppia in Bertrand, perché: se non ci mettiamo d’accordo diventa una
guerra spietata, se ci mettiamo d’accordo ci dividiamo i profitti di monopolio.
In Cournot la concorrenza riduce i profitti ma non li brucia come in Bertrand, il principio
però è lo stesso, la concorrenza fa male! Se possiamo metterci d’accordo ci muoviamo
come un’unica grande entità, che stabilisce o quanto produrre, o a che prezzo vendere il
bene.
Il concetto di “saturazione in anticipo” può essere esteso anche nel senso di occupazione
geografica degli spazi, oppure di nicchie merceologiche.
Se l’incumbent vuole impedire l’entrata, si deve “allargare” in modo da non lasciare spazio
per entrare, e deve farlo in modo credibile, deve cioè realizzare quella sovrapproduzione
180

che fa capire all’entrante che per lui non c’è spazio, anche conquistando nuove aree
geografiche, o aumentando la produzione anche per prodotti di nicchia. Deve però stare
attento, perché produrre più del necessario significa allontanarsi dalla produzione di
monopolio che garantisce profitti maggiori: quindi l’incumbent produrrà più della
produzione di monopolio, ma solo la quantità strettamente necessaria per tenere fuori
dalla porta l’entrante  l’entrante non entrerà fino a quando vede che l’incumbent è
impegnato a produrre la quantità di deterrenza, e non può più tornare sui suoi passi.
Soprattutto alla luce del fatto che le intese restrittive della concorrenza sono illegali nella
stragrande maggioranza dei Paesi, si può arrivare allo scopo per vie traverse: potrebbe
essere “ci dividiamo implicitamente il territorio” = divisione geografica; ci può essere una
spartizione per tipologia di bene: uno produce una cosa e l’altro ne produce un’altra =
divisione per tipologia merceologica; ci si può scambiare anche informazioni! (è accaduto
per le compagnie assicurative!).
Una impresa può espandere la propria capacità produttiva prima che questo sia
giustificato da una dimensione del mercato sufficiente.
Il fatto di poter preacquistare una parte dei fattori produttivi dà all’incumbent un vantaggio
di leader di Stackelberg: se l’entrante entra, l’incremento della capacità produttiva del
leader lo relega al ruolo di follower  entrambi produrranno quanto richiesto dalla
domanda aggregata, ma con quantità diverse, a seconda della loro posizione nel mercato.
Il problema del cartello non è solo quanto produrre ma come e dove.
Se siamo in perfetta simmetria, la produzione di monopolio viene divisa a metà, e i profitti
spettano metà a ciascuno; se i costi marginali sono diversi, si produce la quantità di
monopolio corrispondente ai costi più bassi, produce solo il più efficiente (chi ha i costi più
bassi), ma quello che non ha prodotto niente, non ha prodotto niente perché gliel’ha detto
il cartello di non produrre niente!  se avesse ragionato in modo non cooperativo avrebbe
fatto dei profitti, anche se più bassi dell’impresa più efficiente.
In Cournot asimmetrico, i costi marginali possono essere diversi; se non sono troppo
diversi, entrambe le imprese sopravvivono nel mercato, quella meno efficiente produce un
po’ di meno, ma fa comunque dei profitti!
Quando due imprese decidono di aderire ad un cartello, diventano un’unica entità, e quindi
devono ragionare come se si trattasse di un’unica impresa: produrrà chi ha costi minori,
cioè la più efficiente. L’impresa che ha costi maggiori non produce! In questo caso, il
cartello deciderà la quota di profitti che spettano all’impresa che produce; e la quota di
profitti che spetta all’impresa che non fa niente, ma che comunque ha diritto ad una parte
181

dei profitti solo per il fatto di non produrre niente  non abbiamo delle regole che ci dicono
esattamente come dovrebbe essere divisa la torta; esiste però una teoria che stabilisce
come dovrebbero essere ripartiti i benefici, o le eventuali riduzioni di costi, derivanti dalla
cooperazione, ed è la teoria dei giochi cooperativi
 in un cartello non si è altruisti, e non ci si vuole bene: si deve essere coerenti con
l’obiettivo, e i nostri risultati sono basati solo su una logica, che deve essere quella di
coerenza delle nostre scelte  abbiamo degli obiettivi, e l’obiettivo primario è il
profitto!
In un cartello la produzione è concentrata laddove il costo marginale è minore, oppure i
costi marginali sono equalizzati.
La produzione è concentrata dove produrre costa meno, o comunque dove c’è più
efficienza. Vedi risposta precedente.
Un cartello è funzionalmente equivalente ad un monopolista multimpianto.
Immaginiamo due imprese, ognuna con il suo impianto di produzione; se si mettono
insieme e ragionano come un cartello devono ragionare come un’unica grande impresa;
però questa impresa ha due impianti di produzione, quindi, posto che deve produrre una
certa quantità, può decidere quanta di questa quantità produrre da una parte, e quanta
dall’altra, e cerca di farlo in modo da minimizzare i costi.
Se invece i due prodotti sono differenziati, il ragionamento è esattamente uguale, solo
che in questo caso il cartello decide quanto si produce di ciascuno dei due prodotti
differenziati.
La convenienza a partecipare ad un cartello può dipendere dalla possibilità che le imprese
possano trasferirsi parte dei profitti.
Come nell’esempio fatto prima, l’impresa 1 che non produce non ha convenienza a
deviare, perché farebbe molti meno profitti seguendo la sua strada; l’adesione al cartello le
permette di avere dei profitti “gratuitamente”, solo con l’impegno a non produrre.
Quando una impresa devia stabilisce le proprie azioni in base alla propria funzione di
reazione.
Quando un’impresa decide di deviare, massimizza i suoi profitti, perché dal momento che
non coopera, le interessa solo dei suoi profitti; di conseguenza, si comporta in base alla
sua funzione di reazione.
Esiste sempre un ordinamento dei profitti, indipendentemente dal modello di oligopolio
sottostante, in base al quale i profitti maggiori sono quello di deviazione unilaterale, poi di
cooperazione, poi di competizione.
182

Qualunque sia il modello di oligopolio che utilizziamo, abbiamo che i profitti di monopolio
(chiamiamoli così, ma sono in realtà i profitti assegnati a ciascuna impresa dal cartello)
sono sicuramente maggiori dei profitti in competizione (sempre per le stesse imprese), ma
ancora più elevati sono i profitti che un’impresa potrebbe realizzare con una strategia di
deviazione: πD > πM > πC  otteniamo un ordinamento di questo tipo: i profitti di non
cooperazione (deviazione) sono sempre maggiori dei profitti di cooperazione, e sono
sempre maggiori dei profitti di monopolio (in collaborazione), qualunque sia il modello di
oligopolio: tutta la logica del cartello è legata a questo ordinamento, perché se ci stiamo
facendo concorrenza sarebbe meglio se tutti e due facessimo un po’ più soldi; se invece
non cooperiamo, ci piacerebbe farne ancora di più, ed è qui che si crea il problema:
abbiamo degli obiettivi, e l’obiettivo si chiama profitto!
Si può avere un cartello anche se le imprese producono beni differenti. In questo caso,
generalmente, si continuerà a produrre i beni diversi anche nel cartello.
Se le imprese producono beni diversi, dovranno produrre in modo da minimizzare i
costi: aderendo al cartello diventano un’unica entità, quindi sono come un monopolista
multimpianto, e possono decidere cosa produrre da una parte e cosa produrre dall’altra; in
questo caso il cartello decide quanto si produce di ciascuno dei prodotti differenziati.
183

CARTELLI
“Cartello” riguarda tutte le varie forme che possono indurre ad una restrizione della
concorrenza, che significa tenere i prezzi più alti, in qualche modo; o tenere la quantità
più bassa, in qualche modo.
Ci siamo limitati a riempire di numeri una matrice 2x2, cercando di capire, nelle varie
configurazioni, quale era il profitto/pay-off dei due soggetti; non ci siamo posti il problema
se il cartello si realizza o meno, ma abbiamo semplicemente notato che il cartello ha la
forma del “dilemma del prigioniero”, nel senso che esiste una potenziale collaborazione
che sarebbe desiderabile da tutte le parti, ma c’è anche un incentivo a deviare, che rende
non realizzabile questa collaborazione, e che è un grosso problema per le imprese, ma
che è esattamente quello che noi consumatori sfruttiamo per evitare che le imprese
approfittino eccessivamente del loro potere di mercato.
Data l’attrattività di accordi più o meno espliciti (il cartello può nascere anche da un
accordo tacito!), ci chiediamo come sia possibile che le imprese non s’inventino qualcosa
per riuscire a portare a casa il risultato di una collaborazione che è vantaggiosa per tutti
 se gli accordi restrittivi della concorrenza fossero delle bolle di sapone che scoppiano
da sole, perché esiste un’Autorità Antitrust per cui una delle più grandi tipologie di reato
sono appunto questo tipo di accordi?
Nella realtà i cartelli esistono! E in alcuni paesi erano perfino legali, perché era un modo
per regolamentare il mercato, per evitare che il mercato diventasse una jungla, dove
sopravviveva il più forte; e anche adesso, di quando in quando, c’è ancora qualcuno che
cerca di inserire questi concetti, perché non si fida ancora completamente del meccanismo
che limita il potere delle imprese.
I cartelli esistono, ed esistono anche quando sono illegali: questo implica un grado di
coordinamento tra le imprese che permetta di non farsi scoprire; e, a fronte della
possibilità di essere scoperte, le imprese devono tener conto che esiste una probabilità
che invece di guadagnare il pay-off della collaborazione si guadagni una sanzione (per cui
guadagnerebbero i profitti meno la sanzione)! Malgrado questo le intese restrittive della
concorrenza esistono.
Quando abbiamo parlato di deviazione, l’abbiamo vista come qualcosa di moralmente
riprovevole, ma molta dell’efficacia di un atteggiamento di questo tipo è legata al fatto che
non ci sono iterazioni nel tempo (= succede una volta sola); se queste imprese
interagissero più volte nel tempo, forse una delle due ci penserebbe bene a fare la furba:
se introduciamo un elemento temporale si innesca un meccanismo di reputazione, che
184

si traduce automaticamente in una maggiore disponibilità a pagare di quelli che vengono


da me, perché si fidano  ognuno vuole fare il furbo perché il mondo finisce domani.
 Se faccio il furbo prendo più soldi subito; dopo però vengo scoperto, quindi in un
periodo futuro mi sono rovinato la reputazione
 invece, comportarsi in maniera virtuosa, vuol dire rinunciare a degli extra profitti
che posso fare subito, per guadagnare un po’ di più in futuro.
Vale la pena fare il furbo, o vale la pena non tirare la corda per assicurarci un flusso
di profitti maggiori e costanti nel tempo?
La risposta assoluta a questa domanda dipende da due elementi:
 quanti profitti in più riesco a fare facendo il furbo, e
 quanti profitti brucio una volta che vengo scoperto.
 questo dipende dal modello di oligopolio che abbiamo alle spalle.
È anche un discorso di come sconto il tempo, perché rinunciare ad un po’ di profitti oggi
per averne di più domani, per me ha senso solo se per me il domani è sufficientemente
importante.
Per tradurre questi concetti, la cosa più semplice è immaginare che il gioco si ripeta nel
tempo uguale a se stesso, un certo numero di volte: questo gioco ripetuto vuol dire che,
in ogni istante, tutte e due simultaneamente decidono cosa fare
 scegliere una strategia in un gioco di questo tipo vuol dire avere una regola di
comportamento: una regola di comportamento ti dice, periodo per periodo, cosa dovresti
fare, se la scegli  devo dire cosa gioco per ogni periodo.
C’è una differenza dal punto di vista concettuale rispetto ai giochi che conosciamo:
quando abbiamo dei giochi simultanei, per definizione non sappiamo cosa sta
giocando l’altro; quando abbiamo dei giochi ripetuti è la stessa cosa per quanto
riguarda il presente, però quello che è successo nei periodi precedenti l’ho visto: so
cosa gioco io, non so cosa gioca l’altro; ma so cosa ho giocato io e cos’ha giocato l’altro
nei periodi precedenti, perché è successo
 invece di scegliere sempre la stessa strategia, posso rendere la mia strategia
condizionale con quello che è successo in passato
 la regola di comportamento può essere resa contingente a quanto è successo in
passato, analogamente al gioco sequenziale, dove chi muove per secondo ha visto cosa è
successo, e ha visto cosa ha fatto l’altro nella prima mossa
Una possibilità è quella di cooperare mai (non cooperare per sempre); l’altra possibilità è
quella di assumere un atteggiamento di fiducia condizionata: mi fido dell’altro nella misura
185

in cui non mi ha fregato in passato  la mia strategia sarebbe cooperare se anche l’altro
in passato ha cooperato; ma se in un periodo l’altro non coopera, io non mi fido più, e non
coopero. Un modo semplice di tradurre il concetto di reputazione è di avere una trigger
strategy (strategia del grilletto)  strategia missili nucleari.
Trigger strategy significa: io collaboro nella misura in cui tu hai collaborato in passato; il
giorno che scopro che tu hai deviato, si rompe la fiducia, e dal quel punto in poi non
collaboro più.
Di volta in volta occorre tradurre il modello in base all’oligopolio sottostante; per esempio
in Bertrand può essere: io applico il prezzo di monopolio, nella misura in cui lo hai
applicato anche tu nel passato; se scopro che in un periodo io ho applicato il prezzo di
monopolio e tu hai applicato il prezzo di monopolio – ε, dal periodo successivo io applico
il prezzo uguale al costo marginale.
Se possiamo dimostrare che la trigger strategy è conveniente, - e deve essere
conveniente dal punto di vista di ogni singola impresa; ricordiamo che l’impresa ha
comunque come obiettivo i propri profitti, e non c’è nessuna considerazione di altruismo (ci
vogliamo bene) – è nell’interesse di ogni impresa collaborare, ed è una collaborazione
condizionata  non a caso si chiama strategia del grilletto: tutti e due sono pronti a
sparare, ma nessuno spara per primo.
Non si tratta di un accordo esplicito, ma è paragonabile per esempio alla minaccia
nucleare, in cui nessuno per primo spara il missile  è un accordo tacito!
 Nel caso di guerra dei prezzi nessuno fa scattare la guerra dei prezzi per primo, e
questo comunque deve avere le caratteristiche dell’equilibrio di Nash: se coopero
purché l’altro cooperi, tendenzialmente nessuno ha incentivo a deviare; in realtà il
problema della reputazione diventa un problema di investimento, perché io rinuncio a
fare il furbo nell’immediato, in cambio di un po’ meno profitti oggi, ma un po’ più profitti
domani.
Per valutare se mi conviene o non mi conviene, bisogna considerare quanto mi
costerebbe la perdita dei profitti di cooperazione, quanto mi attrae fare il furbo
nell’immediato, e anche quanto peso do al futuro.
Nel momento in cui cooperiamo, la cooperazione è nel nostro stesso interesse:
cooperiamo perché ci conviene! L’equilibrio è comunque un equilibrio di Nash, perché
se entrambi cooperiamo condizionatamente, a nessuno conviene deviare.
Anche se utilizziamo un gioco ripetuto, il concetto è sempre quello dell’equilibrio di Nash:
l’equilibrio di Nash è un equilibrio dove le strategie sono reciprocamente ottimali: se
186

realizziamo un equilibrio trigger strategy nel senso “io non scateno la guerra, e tu fai
altrettanto”, bisogna che dal punto di vista del primo sia ottimale non far scatenare la
guerra, dato che l’altro non la fa scatenare per primo, e viceversa  il concetto è sempre
l’equilibrio di Nash, però applicato a delle regole di comportamento che si applicano su
tutti e due: se io applico questa regola di comportamento, questa regola è ottima data la
tua regola di comportamento, e viceversa, quindi è equilibrio di Nash.
Allora questa semplice osservazione ci fa subito comprendere che, anche quando si
potrebbero realizzare le condizioni per un equilibrio di trigger strategy, c’è sempre
sicuramente almeno un altro equilibrio, anzi ce ne sono infiniti.

Ma c’è almeno un altro equilibrio di Nash, che è non coopero mai: non cooperare-non
cooperare è un equilibrio di Nash, se ci fermiamo ad un unico periodo.
Quello che è importante approfondire è che l’equilibrio che sostiene il possibile accordo di
cartello coopero/coopero non è mai l’unico, perché una semplice osservazione ci fa
comprendere come non cooperare mai è sempre un equilibrio di Nash  se uno non
coopera mai, l’altro non coopera mai: certamente questo è un equilibrio di Nash!
Quando verifichiamo le condizioni degli accordi di cartello, non stiamo dicendo che il
cartello si realizzerà; siamo in un contesto dove gli equilibri di Nash sono due, e certo, uno
potrà dire “ci sono due equilibri, di cui uno fa schifo, e l’altro è bello”  come abbiamo
visto all’inizio con le compagnie aeree, ci si può coordinare su una cosa che fa schifo, e ci
si può coordinare su una cosa che è bella per tutti: tra le due, è più probabile che si
cercherà di coordinarsi sulla soluzione pareto superiore, che è migliore per tutti; però, dal
punto di vista strettamente logico, questo è un altro equilibrio.
Quindi la condizione nostra è verificare se la trigger strategy è un equilibrio di Nash; il
risultato che si ottiene è che non potrà mai essere un equilibrio di Nash se il gioco
termina dopo un certo numero di volte  anche se il numero di volte è 100 o 1.000
(numero stabilito), non può essere un equilibrio di Nash.
Cooperare è un investimento, e l’investimento ha senso se c’è un futuro: se
sappiamo quando il mercato finisce, nell’ultimo periodo, se il futuro non c’è e il mondo
termina domani, allora cercherò di fregare l’altro  non mi interessa del futuro se domani
il mondo finisce.
Se i periodi sono tanti e uno non coopera mai, all’altro conviene non cooperare; se
entrambi non cooperano, a nessuno dei due conviene cooperare, quindi è un equilibrio di
Nash; anche se la cooperazione fosse possibile, resta il fatto che la non cooperazione
187

perpetua è sempre una possibilità  abbiamo due equilibri di Nash, ma uno è Pareto
inferiore, perché provoca profitti più bassi per entrambi.
Non basta aumentare il numero di periodi per rendere possibile la cooperazione nei
termini che abbiamo appena discusso; supponiamo che questo gioco venga clonato per
10 periodi: valuto se mi conviene cooperare, dal momento che l’altro ha cooperato in
passato. Abbiamo 10 periodi, supponiamo di trovarci nell’ultimo periodo: se siamo nel
decimo periodo, per ciascuna delle imprese è razionale non cooperare, perché non c’è
un domani  nell’ultimo periodo non si coopera!
Se siamo nel nono periodo, sapendo che nel decimo periodo non si coopererà, conviene
non cooperare perché cooperare vuol dire rinunciare ad un po’ di profitti extra oggi nella
prospettiva di farli domani, ma domani so già che non ci sarà cooperazione! Quindi anche
nel nono periodo non si coopera, e andando avanti con questo ragionamento scopriamo
che non si coopererà mai  non basta aumentare il numero di periodi!
Perché limitarci a 10 periodi? Se ci fosse un gioco infinito che non finisce mai?
Supponiamo che il mondo sia infinito, e che questo gioco venga ripetuto all’infinito: è
possibile che si sostenga la cooperazione? Sì, è possibile.
Se l’altro adotta la trigger strategy, cosa mi conviene fare?
Se lui collabora anche io collaboro, e seguendo questo ragionamento collaboriamo
sempre; se invece l’altro collabora e io devio, ottengo più profitti oggi, poi da domani in
avanti ottengo i profitti di non cooperazione, che posso valutare  se scopro che non mi
conviene deviare, allora quello che ho trovato è un equilibrio di Nash.
In realtà non abbiamo veramente bisogno che il gioco duri all’infinito; quello di cui
abbiamo realmente bisogno è di non sapere quando il gioco (mercato/mondo) finirà!
 Prima sapevamo che il gioco durava 10 periodi, eravamo sicuri che nel decimo periodo
il mondo finiva, quindi a quel punto non valeva la pena cooperare: se non siamo più sicuri
che il decimo periodo sia l’ultimo, dobbiamo valutare che forse domani potremmo ancora
ottenere dei vantaggi dalla cooperazione.
La cooperazione può essere razionalizzata se il gioco dura all’infinito, ma in realtà non ho
bisogno che duri veramente all’infinito, ma ho bisogno di non sapere quando il gioco
finirà.
Se non sappiamo quando il mercato finirà, casomai dovremo valutare quanto probabile o
improbabile possa essere il proseguimento di un gioco ripetuto: immaginiamo per
semplicità che la domanda sia sempre la stessa, le imprese sempre le stesse, i costi
marginali sempre gli stessi; perché, nella realtà, la domanda cambia nel tempo, i costi
188

marginali cambiano per progresso tecnologico o quant’altro, ma l’essenza resta la stessa:


dobbiamo capire come funziona il meccanismo quando c’è un futuro ipotetico, per cui il
mercato finirà, ma non si sa quando, e in ogni istante c’è la possibilità che l’investimento in
reputazione abbia senso perché potrebbe esserci un domani
 il futuro lo dobbiamo pesare in rapporto alla probabilità che questo futuro si
materializzi; l’altra spiegazione strettamente economica è quella che, a parità di tutto,
preferiamo guadagnare 100 euro oggi piuttosto che l’anno prossimo.
Quando valutiamo i profitti ipotetici in un periodo successivo, dobbiamo considerare che:
 quei profitti futuri non sono sicuri, e quindi dobbiamo moltiplicarli per la probabilità
che il mercato effettivamente ci sia  probabilità di sopravvivenza del mercato
ϱ (ro, lettera dell’alfabeto greco)
 anche se sono profitti sicuri, per il solo fatto di essere dilazionati nel tempo, oggi
valgono meno  fattore di sconto R (oppure r piccolo).
Moltiplicati fra di loro, queste due entità formano globalmente un certo fattore di sconto;
per dimostrare che la trigger strategy è un equilibrio di Nash, dobbiamo dimostrare che il
valore attuale del flusso dei profitti attesi che si otterrebbero nel corso del tempo, supera il
valore attuale del flusso di profitti che si otterrebbero deviando.
Supponiamo che l’altro stia collaborando, e condizionatamente al fatto che l’altro sta
collaborando (con la trigger strategy), se c’è questa collaborazione condizionata noi
otteniamo i nostri profitti di cartello periodo per periodo, quindi il valore attuale di questi
profitti attesi è il valore scontato (attuale) di un flusso costante di profitti di cartello  il
fattore di sconto che utilizziamo è il prodotto tra il fattore di sconto propriamente detto e la
probabilità di sopravvivenza del mercato: r*ϱ.
La probabilità di sopravvivenza del mercato rispetto al periodo successivo è 1 – la
probabilità che il mercato non ci sia più: 1 – ϱ.
Se scopriamo che il valore attuale della collaborazione supera il valore attuale della
deviazione, allora abbiamo un equilibrio di Nash, perché ognuno preferisce collaborare
condizionatamente rispetto ad una condizione di deviazione.
Il flusso di profitti è un flusso che è la somma teoricamente infinita di addendi, però per
nostra fortuna vengono moltiplicati per un fattore che è minore di 1, quindi man mano che
ci allontaniamo nel tempo, questi addendi diventano sempre più piccoli  possiamo
sfruttare una proprietà matematica, che dice che questa è una serie infinita di numeri che
converge ad un numero finito, che possiamo calcolare:
𝛑 𝟏
VC = π + πRϱ + πR2ϱ2 + … =  >𝟏
𝟏−𝐑𝛠 𝟏−𝐑𝛠
189

Confrontando il valore atteso della collaborazione con il valore atteso della deviazione
otteniamo una condizione molto importante, che deve verificarsi affinché il valore attuale
della collaborazione superi il valore attuale della deviazione: rϱ  r = fattore di sconto;
ϱ = probabilità di sopravvivenza = probabilità che il mercato sia ancora vivo nel periodo
successivo.
Osservazione: questi due fattori entrano in gioco perché abbiamo detto che la reputazione
è un investimento, e perché questo investimento abbia luogo occorre che ci sia un futuro,
e occorre che questo futuro sia importante e rilevante agli occhi di chi opera nel mercato.
Per esempio, se è impossibile che il mercato abbia un domani, ϱ sarebbe zero  ϱ = 0;
senza arrivare a questi estremi, potremmo dire che se la probabilità che il mercato ci sia
ancora domani è del 10% (0,1), il futuro c’è, ma è molto improbabile che il mercato ci sia
ancora  in una condizione come questa, intuitivamente, vale la pena investire?
 Il futuro deve non essere così improbabile, perché mi preoccupi del futuro = è
certo!  affinché mi preoccupi del futuro, il futuro deve essere poco improbabile
 “fattore di sconto” vuol dire che mi interessa il futuro: se per me è importante avere i
soldi tutti, maledetti e subito, e averli il prossimo anno non mi interessa, allora vuol
dire che non mi conviene investire, perché non mi interessa il domani  sono
molto impaziente, quindi R è la misura della nostra pazienza: più è alto R, più
noi siamo pazienti, e più consideriamo importante mantenere un flusso di profitti
sicuro, anche rinunciando a dei profitti immediati.
R e ϱ sono entrambi numeri minori di 1, che si moltiplicano tra di loro, quindi il risultato
sarà ancora un numero minore di 1; dall’altra parte della disuguaglianza che andremo a
scrivere, mettiamo un rapporto  qualunque sia il modello di oligopolio, esiste un
ordinamento che dice che i profitti di collaborazione sono minori dei profitti di monopolio,
che sono minori dei profitti di deviazione: πC < πM < πD
In questo rapporto mettiamo a denominatore la differenza più ampia: πD – πC; questa
differenza la possiamo interpretare come i profitti che perdiamo una volta che siamo stati
scoperti ad imbrogliare  imbrogli una volta sola e prendi πD; il periodo successivo sei
stato visto, e a quel punto non c’è più collaborazione; quindi questa differenza è il crollo
che i profitti hanno nel periodo dopo che si è stati scoperti.
A numeratore mettiamo πD – πM, che possiamo interpretare come l’attrattività di
imbrogliare: stai collaborando e fai dei profitti, ma sai che se fai il furbo fai ancora più
profitti; il problema diventa quanti di più? = quanto vale la pena imbrogliare?
190

𝛑𝐃 – 𝛑𝐌
Rϱ >
𝛑𝐃 – 𝛑𝐂

deve essere grande deve essere piccolo

Mettiamo a confronto il prodotto di quanto è importante è per noi il futuro: il futuro è


molto importante per noi quando è probabile che il mercato sia ancora in piedi, o quando
siamo molto pazienti.
La parte a destra rappresenta quanto è attraente deviare, in rapporto al costo della
punizione che prenderai una volta che sei stato scoperto.
Affinché non convenga deviare, occorre che il futuro sia importante, quindi occorre che
Rϱ sia maggiore dell’attrattiva a deviare.
I valori dei profitti vengono fuori prendendo un modello di oligopolio, ragionando su che
tipo di situazione si viene a creare rispetto alle 3 possibilità (collaborare, non collaborare,
collaborare/non collaborare), e attribuendo dei numeri ad ogni profitto; la probabilità di
sopravvivenza è un dato oggettivo, e il fattore di sconto è un parametro che caratterizza la
pazienza o l’impazienza dei soggetti  se si verifica questa condizione (>) abbiamo
dimostrato che il valore attualizzato dei flussi dei profitti in collaborazione è superiore al
valore attualizzato dei profitti della deviazione, che vuol dire più profitti subito, e tanti meno
profitti dal momento che si viene scoperti ad imbrogliare.
Quindi, se tu fai trigger strategy, anch’io trovo ottimale fare trigger strategy, e viceversa; e
le due trigger strategy diventano un equilibrio di Nash (salvo il discorso fatto prima, perché
comunque c’è l’altro equilibrio di Nash non coopera/non coopera)  abbiamo dimostrato
che esistono le condizioni aggiuntive di mercato affinché una collaborazione tacita sia
sostenibile nel tempo
 non che si realizzino!, ma che sia logicamente possibile arrivarci: non è scontato, non
basta avere il mercato che non finisce mai; occorre che i valori stiano in una certa
configurazione.

Esercizio: Considerate un duopolio in qui le imprese scelgono simultaneamente i prezzi


ed hanno entrambe lo stesso costo marginale costante. Sapendo che il mercato si ripeterà
nelle stesse condizioni in un periodo futuro con probabilità pari a r (ϱ), e che il fattore di
sconto applicato dalle imprese è 0.91 (r), stabilire quale valore minimo deve avere r (la
probabilità) affinché la collusione (tacita) possa essere sostenuta come equilibrio di Nash
nel gioco ripetuto.
191

Esercizio senza dati!!! Come faccio a inserire i dati in una matrice 2x2? Con Bertrand è
possibile risolverlo!
 le imprese non cooperano, ma siccome siamo in Bertrand, hanno lo stesso costo
marginale, i costi fissi sono zero (non ci sono), anche se non ci danno la curva di domanda
due numeri sulla casella non coopera/non coopera possiamo metterli: 0, 0
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera
non coopera 0, 0

Se cooperano, qui siamo in una situazione fortunata: se siamo in una situazione di cartello
dovremmo decidere quanto produrre, chi produce, e poi una volta raccolti i profitti quanto
spetta a ciascuna impresa; se invece siamo in una situazione di simmetria come in questo
caso (prodotto omogeneo, stessi costi marginali), allora dobbiamo stabilire quanto si
produce in aggregato, metà lo produce una e metà lo produce l’altra, e i profitti vanno
divisi a metà; non abbiamo dati da calcolare, quindi indichiamo i profitti con un generico π:
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera π/2, π/2
non coopera 0, 0

 anche se non possiamo calcolarli, sappiamo che i profitti andranno metà ad uno e metà
all’altro.
Cosa vuol dire in termini di Bertrand cooperare o non cooperare?
Cooperare significa che il Signor Cartello ha deciso che prezzo devono applicare le due
imprese, che sarà il prezzo di monopolio, cioè il prezzo che massimizza i profitti di
monopolio; non cooperare significa non considerare quello che stabilisce il cartello, e
applicare il prezzo – ε  chi coopera guadagna zero; e chi non coopera guadagna circa
π (- ε): i profitti che guadagna sono circa quelli di monopolio
Impresa 1
coopera non coopera
Impresa 2 coopera π/2, π/2 0, π
non coopera π, 0 0, 0

Vediamo come inserire questi dati nel rapporto che rappresenta quanto è attraente
deviare, in rapporto al costo della punizione che prenderai una volta che sei stato
scoperto: πD è π; πM è π/2; πC è 0; questo rapporto vale 0,5:
192

𝛑− 𝛑/𝟐 1 0,5
= = 0,5 ϱ= = 0,549 ≈ 0,55  probabilità di sopravvivenza del mercato
𝛑−𝟎 2 0,91

 0,55 è la probabilità di sopravvivenza del mercato: più è probabile che il mercato


sopravviva, e più attraente è l’opzione di collaborazione; questo è un valore minimo!:
 sotto 0,55 non conviene collaborare
 sopra 0,55 conviene collaborare.
Fine dell’esercizio!

Temi di discussione:
Gli incentivi a deviare o cooperare possono avere entità differente per le diverse imprese.
Quando parliamo di incentivi parliamo di qualcosa che ha che fare con la condizione:
𝛑𝐃 – 𝛑𝐌
Rϱ > ( questa condizione)
𝛑𝐃 – 𝛑𝐂

quindi dire che le imprese possono avere degli incentivi diversi è spiegare perché questa
condizione può essere diversa da impresa a impresa; chiaramente i tre valori π M, πC e πD
sono riferiti ai profitti che ha ogni impresa: abbiamo appena avuto l’esempio di una matrice
con due imprese simmetriche; ma quando abbiamo riempito una matrice 2x2 con imprese
asimmetriche abbiamo ottenuto numeri ben diversi, al punto tale che nell’esempio fatto π D
era più piccolo di πM! quindi non c’è scritto da nessuna parte che i π devono essere uguali!
 ognuno ha il suo π; ma c’è anche un altro motivo: la percezione del futuro, cioè la
probabilità che il mercato in futuro ci sia ancora; oppure il fattore di sconto, che a livello
soggettivo è una cosa che varia in relazione a fattori diversi, come se fosse una funzione
di produzione  ognuno può essere più o meno impaziente, e questo si riflette anche
nelle aziende.
Naturalmente, affinché il cartello si realizzi, bisogna che nessuno abbia incentivo a
deviare.
Se avessimo dei valori diversificati, avremmo tante condizioni come quella sopra, quante
sono le imprese presenti; e perché ci sia equilibrio di Nash occorre per forza che ogni
impresa consideri ottimale fare quello, dato quell’altro  bisogna che sia verificata la
disequazione scritta sopra per tutti!
Le strategia nei giochi ripetuti si differenziano da quelle dei giochi semplici simultanei per il
fatto che possono essere rese condizionate da quanto avvenuto (ed osservato) in passato.
Quando abbiamo dei giochi ripetuti non basta dire giochiamo così o giochiamo colà, ma
potrebbe essere “giochiamo se”, guardando a come si è comportato l’altro in passato.
193

Il concetto di fondo di equilibrio di Nash, tuttavia, rimane lo stesso: le strategie devono


essere mutuamente razionali.
È sempre equilibrio di Nash!
Per la sostenibilità del cartello non è necessario che il mercato duri all'infinito. E' sufficiente
che non si sappia quando finirà.
Possiamo anche essere certi che il mercato finirà, basta che non sappiamo quando finirà.
Non è indispensabile che i parametri del problema rimangano immutati nel tempo. La
domanda, ad esempio, può aumentare.
Anzi!: noi lo facciamo per semplicità, ma i gusti cambiano, i costi cambiano, la domanda
cambia. Se la domanda dovesse crescere nel tempo (= l’intercetta aumenta), sarebbe più
o meno probabile che si collabori?  più probabile! Perché i profitti futuri diventano più
grandi di quelli percepiti nel presente, quindi rovinarsi la reputazione oggi significa avere
più profitti oggi, rinunciando a profitti enormi in futuro  se la domanda cresce nel tempo,
anche π cresce, e allora ci si pensa due volte a mettere a zero i profitti che sono destinati
a crescere nel tempo; quindi aumenta la possibilità di collaborazione.
Se, con il passare del tempo, i parametri variano in maniera tale che la cooperazione non
diventa più conveniente da un certo punto in poi, e se questo è noto al tempo presente,
allora la cooperazione non è realizzabile mai.
Possiamo anche immaginare che i costi marginali siano costanti; dopo improvvisamente,
senza averlo previsto, scopriamo che la domanda è variata, o che i costi sono variati: noi
calcoliamo un valore attuale basato su quello che sappiamo oggi, e questo non esclude
che un domani ci possiamo anche sbagliare o avere delle sorprese  quando facciamo
un gioco ripetuto, valutiamo se oggi conviene cooperare: se il gioco rimane uguale dopo,
per esempio, 10 periodi, è come se non ci proponessimo il problema  siamo arrivati al
decimo periodo, ma se il gioco rimane sempre lo stesso analizzare il problema nel periodo
zero, o analizzarlo al periodo dieci, o al periodo 100, è concettualmente la stessa cosa:
infinito è infinito, infinito – 10 è sempre infinito!
Però, se scatta qualche cosa per cui improvvisamente la collaborazione non avviene più,
perché non è più conveniente, o perché è cambiato uno dei parametri, se questo è il no
del tempo presente, allora la collaborazione non è realizzabile mai neanche adesso  è lo
stesso discorso di sapere che da un certo momento in poi il mercato non ci sarà più.
L'equilibrio di cooperazione, quando è effettivamente un equilibrio di Nash, non è mai
l'unico.
Vedi ultima risposta.
194

L'equilibrio di non-cooperazione è sempre presente ed è esso stesso un equilibrio di Nash.


Vedi ultima risposta.
Se esiste un equilibrio di cooperazione, allora ne esistono infiniti (di cui solo uno ottimale –
Folk Theorem).
Supponiamo che per qualche motivo il Signor Cartello abbia sbagliato i calcoli! Invece di
indicare un prezzo 13, ha indicato 12; supponiamo che i costi marginali siano uguali a 5.
13 è il prezzo che massimizza i profitti di monopolio, ma se invece di 13 mettiamo 12 i
profitti si fanno lo stesso, se ne fanno di meno, ma comunque ci sono: π è meno, ma nella
casella verde della matrice metteremo comunque π/2 (con costi marginali costanti e uguali
e prodotto omogeneo); se tu mi vuoi fregare, al posto di 12 applichi 11,99: π diventa tutto
tuo, ma non è quello di monopolio, è un po’ meno  chi non coopera prenderebbe un π
più piccolo in tutte le circostanze; avendo un π più piccolo in tutte le circostanze, il
rapporto calcolato nell’esercizio di prima resterebbe sempre 0,5; quindi se le condizioni
per il cartello c’erano prima, ci sono anche adesso, solo che tu prendi un po’ meno di
profitto.
La strategia è la trigger strategy, che però nel contesto di Bertrand diventa una cosa del
tipo: se tu metti il prezzo 12, lo metto anch’io; continuerò a metterlo a 12 se tu nel passato
lo hai sempre messo a 12  questo equilibrio non è l’equilibrio “bello”, perché è riferito al
prezzo di 12 (minore di 13), ma è equilibrio di Nash! Perché se tu sbagli il prezzo e io
sbaglio il prezzo, condizionatamente al fatto che hai sbagliato il prezzo, io metto il prezzo
sbagliato, e questo è sostenibile.
Quindi non c’è solo l’equilibrio di non cooperazione, ma ci potrebbero essere anche degli
equilibri di collaborazione imperfetta, perché sono infiniti: tra 13 e 12 ci sono infiniti
numeri!, quindi c’è un continuo di piccoli errori che si possono fare, e dal punto di vista
strettamente logico sulla carta ci potrebbe essere una serie di equilibri molto simili tra di
loro, e numericamente infiniti.

Riepilogo:
qualunque sia il modello che utilizziamo, ci aspettiamo che: πD > πM > πC.
𝛑𝐃 – 𝛑𝐌
Deviare dal cartello non conviene finché : Rϱ > , che è il vantaggio di fare il furbo
𝛑𝐃 – 𝛑𝐂

fratto quanto vengo punito.


Sotto certe condizioni la cooperazione è sostenibile, ma occorre che la disequazione sia
soddisfatta, e che il gioco non sia in un solo periodo, ma potenzialmente infinito.
195

Quando stiamo collaborando si sono due problemi distinti:


 cosa dobbiamo fare come gruppo  quanto grande fare la torta
 come ripartire i vantaggi della collaborazione  come dividere la torta.
Se il gioco è simmetrico, dividiamo la torta in parti uguali; ma supponiamo che i costi
marginali siano costanti, ma diversi: quando collaboriamo siamo come un monopolista, ma
dobbiamo utilizzare il costo marginale più basso  questo significa che solo un’impresa
produce, e l’altra non fa niente: se ho un prodotto omogeneo, ma ho due costi marginali,
concentro tutta la produzione dove costa meno, il che implica che una delle due non deve
fare niente; ma a quella che non produce devo dare qualcosa, che sarà sicuramente
maggiore dei profitti che farebbe se si arrangiasse da sola  devo convincerla a non fare
niente, quindi devo darle almeno i soldi che avrebbe potuto guadagnare producendo da
sola.
Se i prodotti sono differenziati, se sono un cartello continuo a produrre le due cose, ma le
produco in modo coordinato: l’obiettivo è massimizzare i profitti totali, quindi deciderò
quanto produrre di un prodotto, e quanto produrre dell’altro prodotto.
Quando faccio collaborazione devo decidere quanto produrre, dove produrre, ed
eventualmente come ripartire i profitti.
 In collaborazione abbiamo come obiettivo la massimizzazione della somma dei
profitti; qualunque sia il modello avrò:
- profitti più alti se faccio il furbo
- profitti medi se collaboro
- profitti più bassi andando ognuno per la propria strada.
 Nel cartello dovrò decidere quanto produrre, chi produce, come ci dividiamo π.
 Se non si collabora, ci perde di più chi fa meno profitti da solo, e questo dà più
potere contrattuale a che era già bravo.
196

APPUNTI DI ECONOMIA INDUSTRIALE


INDICE PAG.
Introduzione 1
Modello base del monopolio 5
Teoria dei giochi 8
Modello di Cournot con beni omogenei 21
Modello di Cournot con più imprese 30
Esercizio Cournot base 37
Esercizio Cournot con costi marginali diversi 38
Esercizio Cournot con N imprese 39
Esercizio Cournot con indice di concentrazione 39
Temi di discussione 40
Modello di Bertrand 43
Prezzo dell’altro > del prezzo di monopolio 45
Prezzo dell’altro < del prezzo di monopolio 46
Prezzo dell’altro < di c 47
Caso di asimmetria dei costi 49
Riassumendo 51
Esercizio commentato 53
Temi di discussione 54
Vincoli di capacità 56
Vincoli di capacità con bene omogeneo 57
Esercizio commentato 62
Vincoli di capacità con costi diversi 63
Temi di discussione 65
Differenziazione del prodotto 67
Esercizio commentato 73
Temi di discussione 74
Modello di Hotelling 77
Esercizio commentato 90
Temi di discussione 96
Differenziazione verticale 102
Esercizio commentato 111
Temi di discussione 115
197

Riepilogo 116
Modelli sequenziali – Stackelberg 119
Esercizio commentato 126
Temi di discussione 129
Prezzi limite 132
Esercizio commentato 140
Temi di discussione 145
Modello di Spence-Dixit 148
Esercizio commentato 157
Ricapitolando 161
Riassumendo 163
Temi di discussione 164
Monopolio, cooperazione, cartelli 168
Esercizio commentato 176
Temi di discussione 179
Cartelli 183
Esercizio commentato 190
Temi di discussione 192

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