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SCIENZA DELLE FINANZE

CAPITOLO 1 ‘’L’intervento dello stato nell’economia moderna’’


Dopo la crisi economico-finanziaria del 2009 i governi nazionali hanno avuto il compito di fare
riforme necessarie per la stabilizzazione dell’economia, dando un nuovo e positivo impulso allo
sviluppo economico, definendo nuove regole per i mercati nazionali e internazionali, conseguire il
pareggio di bilancio (vedi cap. 4 per regole europee ed omt), innalzando il grado di operatività ed
efficienza della PA.
SCENARIO ECONOMICO NAZIONALE
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) in Italia è aumentato dal 2000 al 2017 in media dell’0,25% all’anno,
quando ogni anno si dovrebbe auspicare una crescita dell’2% (zona euro). Si nota che il PIL italiano
è cresciuto molto più lentamente rispetto a quello della zona Euro ma anche rispetto alla crescita
del PIL mondiale. L’aumento del PIL dal 2000 al 2017 è dovuto da un aumento considerevole dei
consumi, generato e supportato da un aumento del tasso di occupazione. Il tasso di occupazione,
in questo periodo, è diminuito per merito di sgravi contributivi (riduzione del cuneo fiscale è uno
dei temi più discussi), incentivi alle assunzioni. Ciò portò ovviamente ad una diminuzione del tasso
di disoccupazione dall’13% all’11% nel 2017 e all’10,8% nel 2018; ciononostante la produttività del
lavoro è ampiamente insufficiente, soprattutto se comparata con quella della zona Euro. Infatti,
prendendo in considerazione il 2020 e quindi gli effetti anche del Covid sulle economie europee, il
tasso di disoccupazione della zona euro ad Aprile 2020 è dell’7,7%, si stima un aumento fino
all’8,2%. In Italia tale dato è nel primo trimestre del 2020 all’9,4% (dati ISTAT). Dati molto più
preoccupanti se prendiamo solo in considerazione la fascia d’età tra i 15 e i 24 anni. Il tasso di
disoccupazione giovanili in Italia si attesta all’31,4%, nella zona euro dell’15,2% (più del doppio).
L’aumento del PIL tra il 2000 e il 2017 fu dovuto anche all’aumento degli investimenti, grazie a
delle agevolazioni fiscali, incentivi per l’innovazione tecnologica. Altro fattore importante fu le
esportazioni, le quali nel 2017 aumentarono dell’5,7%, in misura superiore rispetto agli altri paesi
europei determinando un ampio avanzo delle partite correnti.
Il PIL italiano nel secondo semestre del 2020 ha perso il 14,3% (dati istat), ci è stato un balzo nel
terzo trimestre del 2020 con un +16,1% rispetto al secondo trimestre del 2020, ma comunque una
diminuzione del 4,7% rispetto al terzo semestre del 2019. La commissione europea ha fatto delle
stime del PIL del 2020, 2021 e 2022 per tutti i paesi zona euro (stima fatta il 4 nov.). Peggiorano le
stime di crescita per l’Italia: quest’anno il crollo del Pil sarà del 9,9% e nel 2021 la ripresa si limiterà
al 4,1% mentre nel 2022 sarà del 2,8%. Il deficit sul PIL sarà del -10,8% per il 2020, del -7,8% per il
2021 e del -6.0% per il 2022 (sempre stime commissione europea).
L’indebitamento delle PA salirà al 5,0% nel 2020 per poi scendere al 3,2% nel 2021. Il rapporto
debito pubblico/pil salirà al 159% nel 2020 per poi scendere di 3/4% nel 2021 (stime).
Quali azioni l’Italia dovrebbe intraprendere per crescere di più?
La risposta risiede nel ruolo dello Stato e nel suo intervento nell’economia. Lo Stato interagisce
quotidianamente con cittadini, imprese ed enti attraverso molteplici modalità. Lo Stato interviene
per stabilire le ‘’regole del gioco ’’ in tutti i contesti sociali ed economici, attraverso la previsione
della legge. Lo Stato manifesta la sua presenza in molteplici campi (fra cui, sicurezza, giustizia,
welfare, amministrazione…) e a molti livelli (regolamentazione, incentivazione, prelevamento delle
risorse). Le funzioni dello Stato possono essere espletate sia a livello centrale (es. ministeri) che a
livello locale (es. regioni, comuni) a seconda delle competenze e dell’utilità per i destinatari dei
beni o dei servizi in questione. L’elemento chiave è che tutte le attività svolte dallo Stato hanno un
costo e affinché siano garantite è necessario reperire le adeguate risorse finanziarie, ovvero
richiedere a tutti gli attori di contribuire in forma diretta (es. IRPEF) o indiretta (es. IVA) al
finanziamento di tali attività. Tali costi rientrano nel concetto di spesa pubblica o uscite pubbliche
mentre le entrate pubbliche sono principalmente costituite dai tributi. Lo Stato può finanziare la
spesa pubblica attraverso l’emissione dei titoli di stato tipo BOT o BTP.
I bisogni pubblici vengono soddisfatti attraverso lo svolgimento delle funzioni statali e il loro livello
qualitativo dipende dalla capacità dello Stato o di uno specifico ente di erogarlo.
La scienza delle finanze ha come oggetto il finanziamento delle attività dello Stato nell’economia di
mercato. Ha affinità con altre aree disciplinari quali:
- l’economia politica, che studia il comportamento dei soggetti economici;
-Politica economica e finanziaria, che studia gli interventi dello Stato relativi alle entrate e alle
uscite dello Stato stesso e analizza gli effetti sul sistema economico di eventuali variazioni;
- Contabilità pubblica, che tratta gli aspetti riguardanti la contabilità delle entrate e delle uscite che
lo Stato deve tenere secondo le leggi che costituiscono il diritto finanziario;
- Diritto tributario, che studia il sistema di leggi con il quale lo Stato richiede la contribuzione alle
spese alla collettività in applicazione del principio ‘’No taxation without representation’’;
-Diritto finanziario, che studia le norme che disciplinano sia le entrate, sia le uscite dello Stato e
degli enti pubblici. Oggetto di tale disciplina e lo studio delle leggi che disciplinano le imposte e le
spese pubbliche in un determinato momento storico.
Esempi di intervento pubblico - Sanità
L’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della colle6vità, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”
L’intervento pubblico nella sanità avviene a due livelli:
1. Livello centrale, dove lo Stato fissa i livelli essenziali di assistenza
2. Livello regionale, dove le Regioni forniscono i servizi sanitari e stabiliscono i finanziamenti alle
strutture preposte (es. ASL)
Come viene finanziato il Servizio Sanitario Nazionale?
• Ticket sanitari (proporzionali al reddito);
• Imposte regionali (IRAP e addizionale regionale all’IRPEF)
• Fondo Nazionale Sanitario e una quota di IVA provenienti dal Bilancio dello Stato.
Stesso esempio pensioni articolo 33 cost. vedi slide
Risposta Governo italiano all’emergenza Covid-19
Il Governo italiano, per il tramite della decretazione d’urgenza, successivamente convertita in
legge ha previsto :
• Decreto Legge «Cura Italia» n.18/2020: per la prima fase dell’emergenza. Stanzia 25 miliardi di
euro a sostegno di famiglie ed imprese
• Decreto Legge «Liquidità» n. 23/2020: che contiene numerose misure di accesso al credito per le
imprese e le agevolazioni atte a garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza covid-
19 (con le tante sospensioni fiscali, le revisioni temporanee di norme come ad esempio quelle
sulla verifica del bilancio, l’estensione delle coperture fornite dagli ammortizzatori sociali, il rinvio
della riforma del codice della crisi d’impresa)
• Decreto Legge «Rilancio» per sostenere imprese, famiglie e lavoratori. Stanzia 54,9 miliardi di
euro, che si aggiungono ai 25 miliardi del Cura Italia.
Risposta europea all’emergenza Covid-19
Per limitare l’impatto negativo sul sistema economico e sostenere la ripresa i leader dell'UE hanno
concordato un pacchetto articolato di 1824,3 miliardi di EUR che combina il quadro finanziario
pluriennale (QFP) con lo strumento Next Generation EU comunemente detto Recovery Fund con
capienza 750 miliardi di euro così suddivisi:
• 390 miliardi in sovvenzioni (GRANTS) a fondo perduto distribuire in base ad indicatori quali il
reddito pro capite e livelli di disoccupazione
• 360 miliardi in prestito (LOANS) che possono essere richiesti da ciascun paese nella misura
massima del 4,7%.
• Quota Italia 208,8 mld di cui 81,4 di sussidi a fondo perduto e 127,4 di prestiti.
CAPITOLO 6 ‘’Ciclo e strumenti della programmazione economica’’
La legge n. 196 conferma il metodo della programmazione nelle scelte di bilancio.
• Programmare significa individuare le azioni e linee di intervento da attuarsi in maniera
coordinata lungo un arco temporale definito, al fine di garantire il conseguimento degli obie2vi
strategici che lo Stato si prefigge.
• Alla fase della programmazione seguono logicamente le fasi della implementazione ed
esecuzione delle misure, l’analisi degli eventuali scostamenti tra risultati e obiettivi per
l’impostazione di un nuovo ciclo di programmazione.
• La programmazione si identifica in un nucleo di attività costituenti un sistema finalizzato alla
individuazione dei bisogni e delle preferenze della collettività , alla definizione degli scopi e delle
mete in grado di dare in maniera duratura soddisfazione ai predetti bisogni, e alla traduzione e
formalizzazione delle priorità che si intendono assegnare agli obiettivi individuati.
Tre approcci diversi:
1) Metodo incrementale, secondo cui le previsioni di bilancio sono ottenute come incremento
dello stanziamento del precedente anno opportunamente adeguato all’evoluzione dei
fabbisogni. Vantaggio legato alla sua semplicità di applicazione, limiti concernenti le
valutazioni sui programmi di intervento e sulla congruità delle risorse agli obiettivi
assegnati. È una prassi costante nel sistema di programmazione di bilancio nel sistema
italiano;
2) Zero base budgeting (ZBB)che è un processo di formulazione del budget basato sull’analisi
costi-benefici di ogni singola operazione nelle aree aziendali, di servizio e di supporto al
sistema produttivo. L’elemento distintivo è quello di chiedere ogni anno a ciascun centro di
costo di rivalutare la proponibilità e la convenienza dei gruppi di spese;

3) Planning programming and budgeting system (PPBS) che è un sistema di pianificazione che
sortisce dall’integrazione di una serie di tecniche di pianificazione e budgeting. Costituisce
un sistema di allocazione del budget ‘’nuovo’’ che copre l’intero programma di lavoro.

Il ciclo di bilancio:
L’esercizio finanziario parte il 1 gennaio, infatti a partire da gennaio è prevista la presentazione da
parte del MEF di una relazione mensile sul conto consolidato di cassa riferito alla amministrazione
centrale. È altresì prevista una relazione mensile da parte del MEF di un rapporto sull’andamento
delle entrate tributarie e contributive.
Il ciclo di programmazione nazionale vera e propria ha inizio con il DEF. Il DEF è stato definito dalla
legge n. 39 del 7 aprile del 2011 che ha modificato la legge di contabilità e finanza pubblica n.
196/2009. Il DEF dev’essere presentato dal Governo alle Camere entro il 10 Aprile di ogni anno su
proposta del MEF. Il DEF contiene gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni
economiche e di finanza pubblica riferiti almeno al triennio successivo. Il DEF è inviato per il
relativo parere alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, la quale si
esprime in tempo utile per le deliberazioni parlamentare. Il DEF è composto da tre (3) sezioni:
1) La prima sezione contiene lo schema del Programma di stabilità dell’Italia (PS), il
programma si pone l’obiettivo essenziale dell’attuazione interna del Patto di stabilità e
crescita (PSC) concordato in sede europea. Tale programma deve evidenziare l’obiettivo a
medio termine di un saldo di bilancio prossimo al pareggio o in attivo, le modalità per
conseguire quest’obiettivo e l’andamento previsto del rapporto tra debito pubblico e
prodotto interno lordo. Enuclea informazioni concernenti l’obiettivo di medio e lungo
termine (OMT); le principali ipotesi economiche come crescita, occupazione, inflazione ed
altre variabili; la descrizione e la valutazione delle misure di politica economica da adottare
per il conseguimento degli obiettivi del programma; l’analisi delle ripercussioni di eventuali
cambiamenti delle principali ipotesi economiche sulla posizione di bilancio e sul debito; Il
Governo poi provvede ad inviare il Programma di Stabilità (PS) e il Programma Nazionale di
Riforma (PNR) entro il 30 Aprile alle istituzioni comunitarie. Sulla base di tali documenti, il
Consiglio Europeo e il Consiglio dei Ministri finanziari valutano gli obiettivi programmatici e
nel caso in cui il Consiglio Europeo ritenga di dover correggere gli obiettivi, invitato lo Stato
membro una revisione del programma presentato.
2) La seconda sezione contiene le Analisi e le tendenze della finanza pubblica e riporta dati di
consuntivo dei principali aggregati di finanza pubblica, con analisi degli scostamenti, e d
previsione per il triennio seguente; tra i vari elementi di rilievo in essa contenuti
ricordiamo:
- L’analisi del conto economico e del conto di cassa delle PA e gli eventuali scostamenti
dagli obiettivi programmatici;
- Le previsioni triennali del saldo di cassa del settore statale con l’indicazione delle
modalità di copertura;
- Le informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti dei principali settori
di spesa, nonché sul debito delle PA e sul relativo costo medio.
3) La terza sezione contiene il Programma Nazionale di Riforma (PNR), ovvero le azioni di
riforma che il Governo sta portando avanti e la stima del loro impatto economico. Tra i
contenuti fondamentali, ritroviamo:
- Le priorità del Paese e le principali riforme strutturali da realizzare di concerto con gli
obiettivi di bilancio;
- L’analisi degli eventuali squilibri macroeconomici;
- L’indicazione degli effetti di queste sulla crescita, sull’occupazione e sul rafforzamento
della competitività.
A integrazione delle informazioni contenute nel DEF, la disciplina prevede alcuni allegati, tra i quali
l’indicazione degli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica (art. 10 c. 6,
legge n. 196/2009). Un esempio di allegati è il BES- Benessere Equo e Sostenibile- che offre un a
quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali ed ambientali del nostro Paese alla
luce dell’analisi di un ampio set di indicatori. Entro il 31 maggio, il Ministro dell’Economia presenta
alle Camere la Relazione sul conto consolidato di cassa riferito alle PA (art. 14 c. 4 legge n.
196/2009). Entro il 31 maggio con D.P.C.M. su proposta del Ministero dell’Economia sono definiti
gli obiettivi di spesa per ciascun Ministero, riferiti al triennio successivo.

La trama del processo di bilancio: DEF e NADEF


Il processo che porta alla formazione del bilancio di previsione dello Stato si ispira al modello di
programmazione. I cui elementi essenziali sono:
1) Dato il bilancio a legislazione vigente (ovvero il DLB- Disegno di Legge di Bilancio), che
esprime l’andamento tendenziale delle entrate e delle spese sulla base delle scelte
effettuate nel passato e delle previsioni;
2) E dati gli obiettivi programmati della politica di bilancio, la cui formulazione inizia ad aprile
con il DEF e si conclude con l’approvazione della Nota di Aggiornamento al DEF (NADEF) di
settembre;
3) Si mette in atto una manovra di correzione del bilancio a legislazione vigente, di cui la
Legge di Bilancio è lo strumento principale, anche se non esclusivo. La manovra dunque
funge da cerniera tra il bilancio a legislazione vigente e gli obiettivi; ha la funzione di
modificare gli andamente ‘’tendenziali’’ delle spese e delle entrate per renderli conformi
agli obiettivi programmati;
4) Il risultato della manovra di bilancio a legislazione vigente porta alla definizione delle
previsioni iniziali del Bilancio Dello Stato, ovvero all’approvazione della legge di bilancio.
La
definizione degli obiettivi: Il DEF e la NADEF
Il processo di definizione degli obiettivi (punto 2 foto) che devono essere perseguiti con la
manovra annuale ha subito una radicale modificazione con la legge n. 39/2011. Tale norma è
intervenuta per integrare il ciclo di programmazione nazionale con il semestre europeo (ne
parliamo meglio nel prossimo cap.), procedura volta a garantire la coerenza delle politiche
economiche e di bilancio degli Stati Membri. L’obiettivo è quello di sottoporre alla valutazione
delle Istituzioni Comunitarie, in primis della Commissione Europea, i documenti programmatici di
finanza pubblica prima che siano definitivi a livello nazionale. Rispetto all’assetto precedente
risulta pertanto rafforzato il modello top-down di definizione degli obiettivi di finanza pubblica,
che ora hanno origine da un’intesa attività di concentrazione e monitoraggio a livello comunitario.
Altra innovazione, prevista dalle normative europee, è l’istituzione di organismi indipendenti a
livello nazionale che si debbono esprimere sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica.
In Italia questo organismo è stato insediato nel 2014 e ha assunto la denominazione di Ufficio
parlamentare di bilancio (UPB). L’UPB ha il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni
macroeconomiche su cui si basano i programmi di bilancio nazionale di medio termine e i progetti
di bilancio; ha altresì il compito di valutare il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee.
Di particolare rilievo è l’attività di validazione delle previsioni macroeconomiche che accompagna
tutte le fasi in cui è articolata la programmazione finanziaria del governo (DEF, NADEF e DPB). Il
ciclo di programmazione finanziaria prevede diversi momenti di verifica sia a livello europeo sia a
livello nazionale (upb) i passaggi sono schematizzati nella figura seguente:
Nota di Aggiornamento al DEF (NADEF):
La presentazione del DEF in aprile, in largo anticipo rispetto al momento in cui verrà delineata la
manovra di bilancio, con la presentazione a metà ottobre del DLB, comporta la necessità di
aggiornare gli obiettivi della politica di bilancio, a causa di possibili mutamenti del quadro
macroeconomico sia di eventuali osservazioni avanzate dalla Commissione Europea sul contenuto
del DEF. Per questa ragione una più puntale definizione degli obiettivi slitta al secondo semestre e
viene rinviata alla Nota di Aggiornamento del DEF (NADEF)., che rientra tra gli strumenti del ciclo
di bilancio ed è obbligatoria. L’art. 10-bis della legge di contabilità pubblica n.196/2009, modificata
dalla legge n.163/2016, prevede che la NADEF contenga:
- Eventuale aggiornamento delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica;
- Eventuale aggiornamento degli obiettivi programmatici individuati dal DEF;
- Eventuali modifiche e integrazioni al DEF conseguenti alle Raccomandazioni del
Consiglio Europeo relativo al Programma di Stabilità (PS) e al PNR;
- L’obiettivo di saldo netto da finanziare (SNF) del bilancio dello Stato (BDS) e di saldo di
cassa del settore statale, quindi la NADEF fissa il limite che non può essere superato
durante la fase parlamentare;
- L’indicazione dei principali ambiti di intervento alla manovra di finanza pubblica per il
triennio successivo, illustrando gli effetti finanziari attesi dalla manovra stessa in termini
di entrate e di spesa;
- L’indicazione di eventuali disegni di legge collegati;
La NADEF viene presentata il 27 settembre dal Governo alle Camere su proposta del Ministro
dell’Economia e delle finanze. Il 30 settembre l’ISTAT aggiorna le stime del PIL e
dell’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche dell’anno precedente.
IL DPB:
Entro il 15 ottobre il Governo presenta alla Commissione europea e all’Eurogruppo, e
contestualmente alle Camere (art. 9 legge n. 196/2009) il progetto di Documento Programmatico
di Bilancio (DPB), riassuntivo dei contenuti della manovra predisposta con il disegno di legge di
bilancio. Il progetto reca l’obiettivo di saldo di bilancio per le amministrazioni pubbliche e le
proiezioni delle entrate e della spesa a politiche invariate delle amministrazioni stesse, unitamente
agli obiettivi di entrata e di spesa tenendo conto delle condizioni e dei criteri per definire il
percorso di aumento della spesa pubblica.
Il DDL di bilancio:
Entro il 20 ottobre il Governo presenta alla Camere il disegno di legge di bilancio (ddl) (dlb), che è
riferito ad un periodo triennale e articolato su due sezioni. La prima sezione (cd normativa),
dedicata alle misure volte a realizzare gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, svolge le
funzioni dell’ex disegno di legge di stabilità. Essa contiene per ciascun anno del triennio le misure
quantitative necessarie alla realizzazione degli obiettivi programmatici indicati dal DEF e dalla
NADEF. La prima sezione della nuova legge di bilancio è riservata esclusivamente alle innovazioni
legislative, la Manovra di finanza pubblica non si esaurisce in essa ma include anche le modifiche
della legislazione vigente di cui all’art. 23 c. 3 effettuate direttamente con la sezione II. La seconda
sezione (cd contabile), dedicata alle previsioni di entrata e di spesa formate sulla base della
legislazione vigente, assolve la funzione dell’ex disegno di legge di bilancio. La seconda sezione
evidenzia gli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni contenute nella prima sezione. Riprende i
contenuti del precedente bilancio di previsione e contiene previsioni di entrata e di spesa,
espresse in termini di competenza e cassa formate sulla base dei parametri indica@ nel DEF. Viene
mantenuta, ma arricchita di contenuti, la Nota tecnico-illustrativa da allegare al disegno di legge di
bilancio, con funzione di raccordo, a fini conoscitivi, tra il provvedimento di bilancio e il conto
economico delle pubbliche amministrazioni Entro il 30 novembre la Commissione europea adotta
un parere sul documento programmatico di bilancio. Il 31 dicembre termina l’esercizio finanziario
(art. 20 legge n. 196/2009). Entro il mese di gennaio dell’anno successivo il Governo presenta alle
Camere gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica approvata.
Calendario:

DEF alla luce dell’emergenza sanitaria vedi slide


Legge di bilancio 2021 vedi slide ‘’legge di bilancio’’. Pacchetti vedi slide ‘’legge di bilancio’’.
CAPITOLO 4 ‘’ REGOLE EUROPEE DI FINANZA PUBBLICA’’
La ‘’governance europea’’ fa riferimento al sistema di istituzioni e procedure posto in essere al fine
di conseguire gli obiettivi dell’Unione europea in ambito economico, ossia il coordinamento delle
politiche economiche per promuovere il progresso economico e sociale dell’UE a vantaggio dei
suoi cittadini. Il quadro della governance economica dell’Unione europea punta a rilevare,
prevenire e correggere le tendenze economiche problematiche quali i disavanzi pubblici o i livelli
di debito pubblico eccessivi, che possono frenare la crescita e creare rischi per le economie’’.
La governance europea poggia su tre pilastri:
1) Il monitoraggio della situazione economica dell’UE e dell’area euro e delle economie degli
stati che ne fanno parte. Il monitoraggio è condotto dagli uffici della Commissione UE che
analizza dati economici , formula previsioni economiche e predispone l’analisi annuale
della crescita e la relazione sul meccanismo di allerta;
2) Il ‘’braccio preventivo’’ (preventive arm) che analizza e formula Raccomandazioni sulle
politiche economiche e di bilancio degli Stati, verificando anche il raggiungimento degli
obiettivi di medio termine dei paesi. Mira ad assicurare che gli stati membri seguano
politiche di bilancio sostenibili nel medio termine. A tal fine esso definisce procedure di
sorveglianza che si configurano come una peer review (o revisione tra pari) ed è imperniata
sul conseguimento dell’Obiettivo di medio termine (OMT, vedi dopo);
3) Il ‘’braccio correttivo’’ (corrective arm) che si sostanzia nella procedura per disavanzi
eccessivi (pde) e nella procedura per gli squilibri eccessivi. Il braccio correttivo del Patto di
Stabilità e Crescita prevede una procedura d’intervento diretta a correggere l’eventuale
mancato rispetto dei limiti numerici indicati nei Trattati. A tal fine, è stata definita la cd.
Procedura dei disavanzi eccessivi (Excessive Deficit Procedure, EDP). La procedura si applica
anche all’ipotesi di inosservanza del criterio del debito.
Il primo passo del processo d’integrazione finanziaria e monetaria fu costituito dal Trattato di
Maastricht del ’92 che costituisce l’atto fondativo dell’Unione Europea e che diede vita all’Unione
economica e monetaria (UEM). IL Trattato di Maastricht impose anche i cd ‘’parametri di
Maastricht’’ quali:
- Rapporto indebitamento netto / PIL <= al 3%, eccezion fatta per un rapporto diminuito
in maniera sostanziale e continua e prossima al valore di riferimento o un superamento
della soglia solo eccezionale e temporaneo (italia 2020 curca l’’11,1%);
- Rapporto debito/PIL <= 60% (basta essere tendente a questo risultato) (italia 2020 al
158% circa).
- Tasso di inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre paesi più virtuosi;
- Tasso di interesse non superiore all’2% del tasso medio degli stessi tre paesi;
- Permanenza negli ultimi due anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.
Di fatto i parametri del Trattato di Maastricht non sono stati rispettate più volte e non sono state
mai applicate sanzioni neppure per la violazione del limite del 3% del rapporto tra indebitamento
netto e PIL. Il saldo di riferimento delle regole europee è l’indebitamento netto, cioè la differenza
tra le entrate e le uscite del conto economico delle PA calcolato con criteri della contabilità
nazionale. Altro parametro rilevante è il rapporto debito/PIL, vincolato ad essere non superiore al
60 per cento o in diminuzione ad un ritmo soddisfacente. Inizialmente tale vincolo non era tenuto
in adeguata considerazione ritenendo che potesse essere tollerato un suo valore superiore alla
soglia purché mostrasse un'adeguata riduzione nel tempo; in seguito alle emergenze poste dalla
crisi finanziaria ed economica e dei debiti sovrani tale vincolo è stato reso più stringente
(attraverso l’introduzione della regola sul debito contenuta nel ‘’six pack’’). Ai fini del calcolo del
rapporto, si fa riferimento al debito lordo, quindi senza tenere conto del valore delle attività che
compongono il patrimonio delle Amministrazioni pubbliche. Ciò è dovuto al fatto che molto spesso
le attività patrimoniali sono difficilmente liquidabili. Con la riforma del 2005 entra il saldo
strutturale, cioè il saldo di bilancio pubblico depurato degli effetti del ciclo economico (o
componente ciclica) e delle misure una tantum (per la definizione di saldo strutturale). Il Patto di
Stabilità e Crescita (PSC) si concentra sul miglioramento delle finanze pubbliche in termini
strutturali, cioè escludendo gli effetti di un eventuale rallentamento o espansione e delle misure
una tantum. La PSC è stata introdotta nel ’96 per introdurre sanzioni per i paesi non in linea con i
parametri riguardanti il bilancio pubblico. Con la riforma del 2005 viene introdotto un ulteriore
parametro, l’Obiettivo di Medio Termine (OMT) valore che varia da paese a paese e che
corrisponde ad un risultato di bilancio tale da garantire un margine di sicurezza rispetto alla soglia
del 3% del PIL stabilito dal Trattato di Maastricht e assicurare la sostenibilità delle finanze
pubbliche. L’OMT è calcolato in termini strutturali e non nominali. Si calcola come il saldo del
conto economico delle PA corretto per l’impatto previsto del ciclo economico e al netto delle
misure una tantum. Ciò ci permette di definire l’output gap che è la differenza tra PIL effettivo e
PIL potenziale ed è utilizzato per calcolare lo scostamento dal potenziale di crescita di
un’economia. Gli Stati membri dovrebbero registrare un saldo di bilancio strutturale
corrispondente all'OMT o in rapida convergenza ad esso (con una correzione annuale del saldo
strutturale pari almeno a 0,5 punti percentuali di PIL). Gli Stati membri con un livello di debito che
ecceda il 60 % del PIL dovrebbero osservare una velocità di convergenza all'OMT maggiore. Per
tutti i paesi, è richiesto un più elevato aggiustamento nelle fasi positive del ciclo economico così da
avere maggiore flessibilità in quelle negative. Per l’Italia, l’OMT è il pareggio di bilancio. L’art. 5
par.1 del reg. (CE) n. 1466/97 dispone che in caso di evento eccezionale: ‘’… gli Stati membri
possono essere autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento
all'obiettivo di bilancio a medio termine [...], a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio
termine non ne risulti compromessa.” Dal DEF del 2020 risulta che l’Italia ha già avviato i protocolli
per applicare tale clausola.
‘’SIX PACK’’ e ‘’TWO PACK’’:
La crisi del debito sovrano (2010/2011), che minaccia la stabilità dell’Unione Economica e
monetaria, ha messo in luce l’urgente necessità di migliorare in modo sostanziale il quadro per le
politiche di bilancio. Le tre principali problematiche erano: - Le regole europee non hanno
garantito che i paesi seguissero politiche di bilancio prudenti; -l’accumulo di significativi squilibri
macroeconomici non è stato affrontato tempestivamente; -assenza di un meccanismo di gestione
delle crisi finanziarie ha accresciuto l’incertezza nella reazione.
A seguito della crisi finanziaria del 2008, nel 2011 il PSC (patto di stabilità e crescita) è stato
oggetto di un’ampia riforma. Il PSC venne ampliato e reso più prevedibile migliorando in tal modo
le norme sulla Governance economica dell’UE grazie ad un insieme di nuove disposizioni definite
‘’six pack’’. Nell’ambito del semestre europeo viene organizzato il monitoraggio delle politiche
economiche e di bilancio, ulteriori dettagli sul PSC vengono riportati in un ‘’codice di condotta’’.
Il ‘’six pack’’ viene denominato così proprio perché è composto da 6 atti legislativi che ne
costituiscono il corpo normativo, atti entrati in vigore nel 2011: -il regolamento (UE) n. 1173/2011
relativo all’affettiva esecuzione della sorveglianza di bilancio nella zona euro; - il regolamento (UE)
n. 1174/2011 sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi
nella zona euro; - il regolamento (UE) n. 1175/2011 che modifica le procedure di sorveglianza delle
posizioni di bilancio; - il regolamento (UE) n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli
squilibri macroeconomici; - il regolamento (UE) n. 1177/2011 che modifica la procedura per i
disavanzi eccessivi; - la direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati
membri.
Il ‘’six pack’’ pose rimedio alla lacuna del rapporto debito/Pil introdotta nel Trattato di Maastricht
che aveva avuto un ruolo marginale nella sorveglianza europea, principalmente per l’ambiguità
della nozione di ‘’ritmo adeguato di riduzione’’ richiesta per valutare lo sforzo di un paese per
riportare al livello soglia il rapporto stesso. Tale rimedio fu l’introduzione della ‘’regola sul debito’’
che stabiliva che, per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60%, il tasso
di riduzione debba essere pari ad 1/20 all’anno nella media dei tre (3) esercizi precedenti (versione
backward-looking). La regola sul debito è altresì soddisfatta se, in base alle previsioni della
Commissione europea, la riduzione del differenziale di debito rispetto al 60% si verificherà nel
periodo di tre (3) anni successivi all’ultimo anno per il quale si hanno dati disponibili (versione
forward-looking). Infine, viene specificato che, nella valutazione del rispetto della regola, la
Commissione europea tiene conto dell’influenza del ciclo economico. Di fatto solamente se
nessuna delle tre (3) condizioni viene rispettata, si determina il mancato rispetto della regola,
eventualità che obbliga la Commissione a redigere un rapporto ai sensi dell’articolo 127, c.3 del
TFUE. Il mancato rispetto del criterio del debito, però, non implica automaticamente l'apertura di
una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti di un paese, poiché la valutazione finale
dovrebbe tener conto di alcuni fattori di rischio, quali la struttura del debito, il livello di
indebitamento del settore privato, le passività implicite connesse all’invecchiamento (ovvero, la
sostenibilità a lungo termine dei sistemi previdenziali). Le modifiche introdotte nel 2011 con il ‘’six
pack’’ mirano a fondare il controllo delle finanze pubbliche sul nuovo concetto di politica di
bilancio prudente, la cui funzione essenziale è quella di agevolare il percorso di convergenza verso
l’OMT. A tal fine è stato introdotta la ‘’Regola della spesa’’ che rafforzava e agevolava il rispetto
dell’OMT fissando un limite massimo per l’evoluzione temporale della spesa pubblica.
L’introduzione della regola della spesa implica che le entrate temporanee siano destinate alla
riduzione del disavanzo e quindi del debito.
-Per i paesi che hanno già raggiunto l’OMT, la crescita annuale della spesa non dovrebbe essere
superiore ad un tasso di crescita del PIL a medio termine definito come ‘’prudente’’;
-Per i paesi che non hanno raggiunto l’OMT, il tasso di crescita della spesa dovrebbe essere
inferiore al tasso prudente di crescita del PIL a medio termine e coerente con un miglioramento
del saldo strutturale di almeno 0,5 punti percentuali di PIL. Secondo il regolamento comunitario, il
tasso prudente di crescita a medio termine viene valutato sulla base delle proiezioni del PIL
potenziale su un orizzonte temporale di 10 anni aggiornato a intervalli regolari.
Per quanto riguarda i paesi dell’area euro, nel maggio del 2013 è stato approvato il cd ‘’two pack’’,
costituito da due regolamenti: 1) reg. 472/2013 e 2) reg. 473/2013 che integrano il quadro della
governance economica con particolare riferimento al coordinamento e sulla sorveglianza
rinforzata. Il primo regolamento (UE) n. 472/2013 ha introdotto una sorveglianza rafforzata sugli
Stati della zona euro minacciati o colpiti da crisi e difficoltà finanziarie e disposizioni comuni per la
correzione dei disavanzi eccessivi. Per i paesi che ricevano aiuti dai fondi cd ‘’salvastati’’ (EFSF e
ESM confluiti poi nel MES- Meccanismo di Stabilirà Europeo), viene stabilita una sorveglianza
automatica che impone agli stessi l’adozione di misure sufficienti per fronteggiare le fonti
dell’instabilità (di solito si tratta di fare riforme). A riguardo, il singolo paese interessato può
richiedere l’assistenza tecnica della Commissione la quale può prevedere specifiche task force. Il
MES fu usato nel 2009 per la crisi della Grecia e tutt’ora se ne sta discutendo per l’adozione di
fondi per finanziare la sanità. Il secondo regolamento (UE) n. 473/2013 introduce una tempistica
comune per la presentazione dei documenti di bilancio da parte degli Stati membri della zona
euro, in particolare la presentazione del Documento Programmatico di Bilancio (DPB) entro il 15
ottobre dell’esercizio precedente a quello di riferimento e approvazione del progetto di bilancio
entro il 31/12. Principale innovazione consiste nella previsione che la Commissione esprima un
parere sul DPB entro il 30 novembre. La valutazione della Commissione - inserendosi nel mezzo
della sessione di bilancio e attestando se il progetto di bilancio nazionale è in linea con le regole
del PSC e, per i paesi sotto il "braccio preventivo" del Patto, con le "raccomandazioni specifiche per
paese" - costituisce un parametro importante nel calibrare le scelte di bilancio di ciascun paese. Se
il documento è in violazione delle norme citate, la Commissione può chiedere, in maniera pubblica
e motivata, l'invio di un progetto riveduto di documento programmatico di bilancio entro 3
settimane dalla data del suo parere.
IL SEMESTRE EUROPEO:
Il Semestre europeo è stato introdotto nel gennaio 2011 per favorire un coordinamento ex ante
delle politiche economiche dei paesi membri dell’Unione Europea. Il Semestre consiste in una
serie di documenti e procedure finalizzate ad assicurare il coordinamento e la sorveglianza delle
politiche economiche e di bilancio dei paesi membri della zona euro. Tali attività sono poste in
essere dal Consiglio dell’Unione Europea su impulso della Commissione Europea. Il Semestre si
sviluppa nella prima metà di ciascun anno di riferimento, quando è possibile indirizzare i contenuti
e gli strumenti al fine di garantire coerenza delle decisioni assunte a livello nazionale con gli
obiettivi fissati dall’Unione. Il Semestre europeo si contrappone al Semestre nazionale, che
completa il ciclo di programmazione economica annuale di ciascun Stato in cui ciascun paese attua
le politiche programmate all’esito del dialogo con le istituzioni europee. Negli ultimi anni il
Semestre europeo è stato ampliato per tenere maggiormente conto della dimensione della zona
euro e degli aspetti sociali ed occupazionali. È stato intensificato il dialogo con il Parlamento
Europeo. Il Green Deal europeo costituirà la base per la valutazione e il coordinamento delle
politiche economiche necessarie a conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile, rimanendo al
contempo concentrati sulle sfide a cui devono far fronte le politiche economiche ed istituzionali.
Le tappe fondamentali del Semestre europeo:
1) NOVEMBRE dell’anno precedente di quello di riferimento la Commissione europea
pubblica il ‘’pacchetto d’autunno’’ che contiene l’analisi annuale della crescita (AAC)(che
definisce le priorità economiche generali dell’UE per l’anno successivo), la relazione sul
meccanismo di allerta(che analizza la situazione egli Stati membri per individuare eventuali
squilibri macroeconomici), il progetto di Raccomandazione del Consiglio sulla politica
economica della zona euro;
2) DICEMEBRE, gli Stati membri della zona euro adottano i bilanci annuali definitivi, tenendo
conto della consulenza della Commissione e dei pareri dei ministri delle finanze;
3) TRA GENNAIO E FEBBRAIO, il Consiglio dell’UE discute l’analisi annuale della crescita, il
Parlamento europeo può invitare il presidente del Consiglio, la Commissione, il presidente
del Parlamento europeo o il presidente dell’Eurogruppo a discutere di questioni relative al
Semestre. Può altresì promuovere uno scambio di opinioni con gli Stati membri (c.d.
dialogo economico);
4) FEBBREAIO/MARZO: il Parlamento europeo e i ministri dell'UE competenti in materia di
occupazione, economia, finanze e competitività, riuniti in sede di Consiglio, discutono
dell'analisi annuale della crescita. La Commissione pubblica le sue previsioni economiche
invernali. Il Consiglio europeo adotta le priorità economiche dell'UE sulla base dell'analisi
annuale della crescita. Nello stesso periodo vengono pubblicati gli esami approfonditi della
Commissione relativi agli Stati membri con potenziali squilibri (individuati nella relazione
sul meccanismo di allerta).
5) APRILE, gli Stati membri presentano i propri programmi nazionali di riforma (piani
economici, mettono l’accento su promozione di crescita e occupazione) (PNR) e i
programmi di stabilità o di convergenza (piani di bilancio di medio termine, OMT) (PS), che
devo essere in linea con tutte le precedenti Raccomandazioni dell’UE. I programmi vanno
presentati preferibilmente entro il 15 aprile e comunque non oltre il 30 aprile di ogni anno.
Eurostat pubblica i dati verificati relativi al debito e al disavanzo dell'anno precedente,
indispensabili per appurare se gli Stati membri stiano raggiungendo i loro obiettivi di
bilancio;
6) MAGGIO, con il ‘’pacchetto di primavera’’ la Commissione europea valuta i programmi
nazionali e presenta dei progetti di Raccomandazioni specifiche per Paese;
7) GIUGNIO/LUGLIO, il Consiglio europeo approva le raccomandazioni specifiche per paese e i
ministri dell’UE ne discutono in sede di Consiglio. I ministri delle finanze adottano le
raccomandazioni a luglio.
8) TRA SETTEMBRE E NOVEMBRE, la Presidenza di turno del Consiglio dell’UE organizza la
Conferenza interparlamentare sulla stabilità, il coordinamento economico e la governance
nell’Unione europea;
9) ENTRO 15 OTTOBRE, gli Stati membri della zona euro presentano alla commissione i
documenti programmatici di bilancio DPB. Se il documento non è in linea con gli obiettivi a
medio termine (OMT) dello Stato membro la Commissione può chiedere che venga
riformulato;
10) DICEMBRE, gli Stati membri della zona euro adottano i bilanci annuali definitivi, tenendo
conto della consulenza della Commissione e dei pareri dei Ministri delle Finanze.
Nella seconda metà dell’anno, quindi, (cd Semestre nazionale), gli Stati approvano le rispettive
leggi di bilancio, tenendo conto delle Raccomandazioni ricevute. Semestre nazionale parte a
Luglio, ed entro il 27 settembre il Governo presenta alle Camere la nota di aggiornamento al
DEF (NADEF), che tiene conto anche delle osservazioni formulate dalle istituzioni UE, entro il
15 ottobre l’Italia presenta alla Commissione europea i progetti di documenti programmatici di
bilancio (DPB) per l’anno successivo ed entro il 20 ottobre il Governo presenta alla Camere il
disegno di legge (ddl) del bilancio dello Stato. Entro il 31 dicembre vengono completate le
procedure per l’adozione della legge di bilancio.

CAPITOLO 2 ‘’LE PRINCIPALI TEORIE ECONOMICHE’’


Le prime teorie economiche sul ruolo dello Stato risalgono al XVI secolo, in particolare risalenti
alle teorie mercantilistiche, fisiocratiche e dai sostenitori della teoria ‘’laissez-faire, laisez-
passer’’. Seguirono le teorie di Smith, Riccardo, Pareto, Mill, Musgrave, Pigou, Rawls, Bergson,
Samuelson e Keynes.
IL MERCANTILISMO:
Il mercantilismo si riferisce alle correnti di pensiero e alle politiche economiche de periodo
successivo al Medioevo, messe in atto dalle nazioni commerciali e dalle grandi monarchie
dell’Europa occidentale, come Francia, Germania, Inghilterra e Olanda. Queste teorie
rappresentano il passaggio dalle teorie del feudalesimo medievale a quelle del capitalismo
moderno. Secondo i mercantilisti lo sviluppo del commercio prevedeva il ruolo attivo del
Governo che si manifestava con azioni di politica estera quali restrizioni all’importazione e
incoraggiamenti alle esportazioni. Gli strumenti impiegati dai governi erano la concessione di
monopoli a imprese locali, la regolamentazione dei prezzi e il divieto d dazi e barriere
all’esportazione. L’intervento dello Stato doveva essere circoscritto e limitato a proteggere ed
incentivare i produttori domestici e a scoraggiare i produttori esteri, per avere un saldo
positivo della bilancia dei pagamenti. La ricchezza di uno Stato si misurava con la crescita
dell’espansione coloniale e dal suo quantitativo di riserve di metalli preziosi (generalmente
misurato in oro). Queste teorie sono state fortemente criticate da Adam Smith perché si
basavano solo sul massimizzare il benessere per i produttori escludendo quello dei
consumatori.
LA FISIOCRAZIA:
La fisiocrazia è una corrente di pensiero sviluppatasi in Francia dalla metà del XVIII secolo.
L’espressione ‘’fisiocrazia’’ deriva da Francois Quesnay (dal greco: physis, natura e kratos,
potere). Secondo i fisiocrati, in particolare secondo Quesnay, l’agricoltura rappresentava il
settore più importante nell’economia di un paese, misurandone la ricchezza nazionale.
Quesnay identificò l’intero prodotto nazionale con la produzione annua dell’agricoltura, e
sostenne che né l’industria né il commercio potevano accrescere la ricchezza di un Paese in
uguale misura. I fisiocratici consideravano il sistema fiscale francese inadeguato e inefficiente,
per le accise e le imposte a cui erano assoggettati i contadini francesi ed auspicavano una
riforma fiscale. Secondo la visione fisiocratica lo Stato doveva favorire lo sviluppo del settore
agricolo in modo da permettere la libera circolazione di merci e prodotti che avrebbe portato
ad un aumento della ricchezza generale e al benessere pubblico. Questa dottrina è
prettamente di stampo liberale, relegando lo Stato al compito di assolvenza delle funzioni
pubbliche e l’adozione di un sistema fiscale equo ed efficiente per i cittadini e soprattutto dei
contadini.
LA TEORIA DEL LAISSEZ-FAIRE, LAISSEZ-PASSER:
La teoria del laissez-faire, laissez-passer rappresenta, insieme alla fisiocrazia, l’inizio della
corrente di pensiero liberale, orientata al consumo e favorevole al non intervento dello Stato
nell’economia. Questa teoria fu sviluppata da Vincent de Gournay il quale ha favorito le idee
di libero scambio come la deregolamentazione coloniale, l’abolizione delle corporazioni e del
sistema di controllo governativo dei prodotti. La visione liberale ha portato a credere che i
consumatori dovessero avere completa libertà di scelta e che la libertà per i produttori fosse il
mezzo più efficace per soddisfare i desideri dei consumatori. Lo Stato era concepito in maniera
simile alla teoria fisiocratica, ovverosia il Governo aveva il solo compito di mantenere lo Stato
di diritto, di assolvere alle sue funzioni pubbliche e quindi di pubblica utilità. Questa teoria fu
ripresa anche da Adam Smith, che fu un grande amico e collega di Vincent de Gournay.
ADAM SMITH (1723-1790):
è considerato il pioniere dell’economia politica e rappresenta il pensiero libero del ‘700. Fu
influenzato dalla teoria del laissez-faire, laissez-passer, tali influenze lo portarono ad affermare
che l’abolizione delle restrizioni commerciali avrebbe contribuito a risolvere i problemi di
inefficienza di mercato, eliminando le posizioni monopolistiche e consentendo una libera
concorrenza tra i produttori, più funzionale al perseguimento dell’interesse collettivo. Smith
criticò a più riprese le teorie mercantilistiche, in quanto non avevano portato ai risultati
auspicati e teorizzati. Questo perché, secondo Smith, l’intervento attivo dello Stato non era
volto al perseguimento del benessere collettivo ma bensì a dei interessi privati (e non pubblici).
Inoltre, i decisori pubblici non erano stati in grado di adottare le giuste politiche interne ed
esterne. La preoccupazione maggiore per Smith era proprio che lo Stato facesse interventi
nell’economia non per massimizzare il benessere della collettività, e quindi dei cittadini, ma
solo per interessi privati degli stessi decisori pubblici. Questa critica alle teorie mercantilistiche
conduce Smith a considerare la libertà individuale come unica strada per perseguire l’interesse
pubblico. Smith afferma che non c’è bisogno di una regolamentazione esterna, e quindi di un
intervento attivo dello Stato nell’economia, ma il perseguimento degli interessi individuali
porterà al conseguimento dell’interesse collettivo, sostenuto in maniera involontaria dalla
‘’mano invisibile’’, una sorta di autoregolazione dei mercati (onore del vero Smith usa il
termine ‘’mano invisibile’’ solo tre volte all’interno del suo trattato, ‘’la ricchezza delle
nazioni’’). Perciò l’intervento dello Stato dev’essere circoscritto e deve assolvere alle funzioni
di natura politica di uno Stato di diritto (come fu introdotto dai fisiocratici e da Vincent de
Gournay successivamente). L’intervento dello Stato è possibile ma solo in casi eccezionali e rari
attraverso regolamentazioni e monopoli ma solo se c’è l’esigenza di tutelare un diritto
dell’individuo. Riassumendo, per raggiungere il benessere collettivo, lo Stato non deve
intervenire nell’economia (eccezion fatta per tutelare i diritti dei suoi cittadini) e deve favorire
il libero scambio. Smith nella ‘’ricchezza delle nazioni’’ sostenne che ‘’il consumo è il solo scopo
ed obiettivo della produzione’’, facendo un’aspra critica nei confronti dei mercantilisti che
invece avevano considerato al centro di un’economia la produzione come fine ultimo di ogni
industria e commercio. Smith criticò i mercantilisti anche per gli strumenti di politica
economica che volevano adottare, come dazi e barriere all’importazione e gli incentivi
all’esportazione dall’altro. Smith considerava inefficiente produrre un bene che poteva essere
acquista all’estero ad un prezzo più basso così come produrre un bene solo perché c’è un
incentivo statale e non un vero bisogno di mercato da soddisfare. Per quanto concerne dzi e
barriere all’importazione si è più volte dimostrato che questi strumenti di politica economica
non portano reali benefici nella bilancia commerciale (eccezion fatta se la monete segue un
regime di cambio fisso) ma porta ad un livello minore di mole di beni/servizi importati ed
esportati.
DAVID RICCARDO (1772-1823):
David Ricardo fu uno degli economisti politici più importanti del XIX secolo e uno dei più
influenti di tutti i tempi. La base delle sue teorie è da ricercare nelle tesi di Adam Smith, con il
quale condivideva l’opposizione alle politiche protezionistiche, reputate inefficienti. Il loro
limite era che consideravano il valore dei beni in base al solo costo di produzione, influenzabile
da politiche governative. Secondo Riccardo, il valore di un prodotto dipendeva dalla quantità di
lavoro relativo necessario per produrlo. Inoltre, la libera concorrenza permetteva una
produzione efficiente ma non poteva condurre a una giusta distribuzione dei redditi tra le
classi di individui. Riccardo, vedeva il ruolo del Governo come imprescindibile per la regolare i
salari, i profitti e le rendite in maniera equa. Aveva un ruolo fondamentale anche la finanza
pubblica soprattutto sul tasso di crescita di una nazione, facendo leva sul sistema fiscale per
incrementare gli investimenti o redistribuire il reddito tra le classi di individui. Secondo
Riccardo, lo Stato doveva tassare i redditi garantendo dei salari minimi di sussistenza ai
lavoratori e individuando la base imponibile principale del prelievo fiscale nel reddito che fosse
scaturito dalla proprietà terriera, dai profitti e dall’acquisto di prodotti di lusso. (una
concezione di sistema fiscale innovativo che vede molti spunti in chiave moderna come il
dibattito sull’introduzione del salario minimo in Italia e il dibattito sulla ‘’luxury tax’’).
JOHN STUART MILL (1806-1873)
Mill teorizzò un’evoluzione del modello di politica fiscale ricardiana. Si interessò ai problemi
della corretta imposizione fiscale, della redistribuzione dei redditi tra gli individui e della
giustizia distributiva, che non erano stati considerati nella teoria paretiana. Se da un lato,
abbracciava le teorie liberali, dall’altro sosteneva che solo l’intervento del Governo con
politiche mirate avrebbe potuto garantire una giustizia distributiva, mentre il libero mercato
non sarebbe stato in grado di raggiungere un risultato accettabile. Secondo Mill, lo Stato
doveva intervenire per garantire a tutti i cittadini le pari opportunità, azzerando le differenze
sociali e incentivando la meritocrazia. Lo Stato doveva risolvere il problema di distribuire
equamente l’imposizione fiscale tra gli individui assicurando la distribuzione del carico
tributario all’interno della collettività. Un giusto criterio di equità avrebbe richiesto che
persone in condizioni simili fossero tassate nella stessa maniera (principio di equità
pienamente rispettato in Italia dall’IRPEF). Mill fu uno dei primi economisti a focalizzarsi sul
meccanismo di progressività dell’imposta. Egli considerò negativamente un’imposizione fiscale
progressiva sul reddito perché avrebbe frenato gli individui a incrementare i loro profitti (se
l’imposizione fiscale e a classi, perché se fosse a scaglioni la tassazione riguarderebbe
l’eccedenza e quindi non si avrebbe quest’effetto teorizzato da Mill), mentre giudicò
positivamente un’imposizione progressiva delle imposte di successione, con il fine di ridurre le
diseguaglianze sociali e prevedere un’uguaglianza delle opportunità.
VILFREDO PARETO (1848-1923):
Parte ha studiato il grado e le possibilità di intervento di uno Stato nell’economia,
ricollegandosi al concetto di efficienza di Smith, il quale aveva teorizzato il fatto che il libero
mercato e la libera concorrenza, senza l’intervento dello Stato nell’economia, avrebbe
permesso di raggiungere la migliore allocazione di risorse. Questa nozione fu superata dal
contributo di Pareto con il concetto di ‘’efficienza paretiana’’, uno dei concetti più utilizzati in
ambito economico. Pareto non critica il ruolo attivo dello Stato ma indaga sui motivi e sulle
cause alla base delle azioni politiche / economiche dello Stato. L’intervento dello Stato per
Pareto risulta ottimale quando l’azione di politica economica aumenta il benessere collettivo o
almeno accresce il benessere di uno o più individui senza danneggiare il benessere di altri. Da
questa nozione deriva il concetto di ‘’ottimo paretiano’’, ovverosia una situazione in cui non
esiste un’altra allocazione delle risorse produttivamente fattibile che renda tutti gli individui
almeno altrettanto benestanti e almeno un individuo in una posizione migliore di quanto non
fosse inizialmente. A differenza di Adam Smith che criticava il ruolo attivo dello Stato
nell’economia, Pareto riteneva che il ruolo dello Stato all’interno dell’economia è auspicabile
quando modifichi l’allocazione delle risorse in un’allocazione efficiente in senso paretiano
(Smith inoltre criticava il fatto che i decisori pubblici non avevano le giuste competenze per
poter fare ciò, oltre alla critica concernente gli interessi privati). Non bisogna analizzare le
singole azioni del Governo in un contesto di modifiche di allocazioni di risorse, ma bisogna
vedere il quadro generale dell’azione del Governo formata da più decreti attuativi. Il limite del
principio paretiano è che considera solamente il benessere individuale, non esaminando né il
benessere relativa ad una classe di individui né le diseguaglianze tra le classi, per questo
motivo la teoria paretiana viene considerata alla base del pensiero individualistico. Il criterio
paretiano non prende in considerazione altresì la distribuzione dei redditi, esaminati invece da
Riccardo e da Mill.
ECONOMIA DEL BENESSERE:
Prima di parlare della teoria economica del benessere è indispensabile fare una distinzione tra
teoria economica positiva e teoria economica normativa. La teoria economica positiva è
quando gli economisti indagano e descrivono un fenomeno studiandone le cause e
prevedendo i possibili effetti delle diverse azioni politiche sul sistema economico. (es. incentiva
uso autobus). Quando invece gli economisti entrano nel merito delle diverse politiche, ne
studiano le condizioni e gli effetti, essi hanno a che fare con la teoria economica normativa (es.
desiderabilità di adozione dell’incentivo sull’uso degli autobus). Quindi la principale differenza
tra queste due teorie è il fine, ovvero la ricerca di una situazione di desiderabilità rispetto alla
situazione attuale, ricerca che permea la teoria normativa rispetto alla teoria positiva il cui fine
è quello conoscitivo. La principale teoria normativa è la teoria del benessere che rappresenta
l’evoluzione del pensiero liberale ed ha l’obiettivo di analizzare gli effetti degli interventi
pubblici nell’economia. L’economista Arthur Pigou è riconosciuto come il padre fondatore
dell’economia del benessere e fu il primo a sostenere che l’obiettivo della politica economica
fosse quello di massimizzare il benessere sociale, ovvero arrivare ad una situazione di ottimo
paretiano garantendo i principi di equità ed efficienza. Pigou partì dalle teorie utilitaristiche
che avevano il limite di prendere in considerazione solo il benessere misurabile
economicamente, che è una sola porzione del benessere sociale. Secondo la teoria del
benessere di Pigou, l’intervento attivo dello Stato nell’economia era fondamentale ed
imprescindibile per evitare fenomeni distorsivi e di errate redistribuzione dei redditi tra la
collettività. La teoria del benessere formulata da Pigou porta a due teoremi fondamentali: 1) il
primo teorema afferma come in una situazione di concorrenza perfetta, l’equilibrio
concorrenziale è un’allocazione di risorse pareto efficiente; 2) Il secondo teorema afferma che
ogni allocazione pareto efficiente può essere ottenuta in un mercato perfettamente
concorrenziale attraverso delle modifiche all’allocazione iniziale delle risorse con strumenti di
redistribuzione del reddito (redistribuzione che spetta allo Stato). Quindi, il ruolo dello Stato
dovrebbe essere quello ricercare una situazione di equilibrio ed efficienza paretiana ed
effettuare una redistribuzione di risorse, lasciando libero il mercato di agire da solo per
raggiungere tale posizione. John Rawls ha revisionato la teoria dell’economia del benessere,
sostenendo l’esistenza di un nesso di corrispondenza tra benessere sociale e benessere degli
individui in condizioni più svantaggiose. Infatti per l’economista, le diseguaglianze di ricchezza
possono essere tollerate solo se vengono privilegiate le classi più povere. Il benessere della
collettività aumenta solo se il benessere di uno o più individui aumenta. Un’ulteriore
evoluzione della teoria del benessere è stata effettuata grazie al lavoro di Bergson e
Samuelson, i quali hanno sancito che il benessere sociale è funzione delle preferenze
individuali, calcolate attraverso le utilità dei singoli individui.
JOHN MAYNARD KEYNES (1883-1946):
Con la grande depressione del ’29 e i già noti problemi di disoccupazione portarono a far
emergere tutte le problematiche delle teorie del libero mercato, facendo riflettere
l’economista inglese John Keynes sul ruolo dello Stato nell’economia. Le tesi di Keynes lo
portarono a teorizzare un’economia mista, ovverosia un sistema economico al cui interno
coesistevano sia elementi dello stato sociale sia elementi del capitalismo e del libero mercato, i
quali avevano la funzione di bilanciare e ottimizzare il livello di spesa pubblica e il livello di
imposizione fiscale in modo da utilizzare i vari saldi di bilancio per contrastare gli eventuali
shock che altrimenti avrebbero causato elevati tassi di disoccupazione. (Grazie al contributo di
Keynes si è fondata tutta la branca della macroeconomia che assurge un ruolo essenziale nelle
attuali economie moderne, basti pensare che tutt’ora si utilizzano le teorie di Keynes in
situazioni di crisi come quelle che stiamo vivendo, facendo ricorso ad un corposo deficit per
sostenere la domanda aggregata). I successori di Keynes, svilupparono la teoria della finanza
funzionale ovverosia la corrente di pensiero secondo la quale lo Stato per sostenere la
domanda aggregata poteva fare ricorso ad un deficit di bilancio. (politiche fiscali e monetarie
molto espansive).
RICHARD MUSGRAVE (1910-2007):
Richard Musgrave è considerato uno die più grandi economisti del XX secolo e trattò tutti i
concetti di finanza pubblica di portata estremamente attuale. Un esempio, sono i contributi di
Musgrave sullo studio delle imposte sui redditi da capitale, in cui sostenne che l’assunzione di
tali imposte non generano l’effetto di ridurre gli investimenti nelle imprese rischiose ma al
contrario l’assunzione di rischi sarà addirittura incoraggiata. Nel saggio ‘’The theory of public
finance’’ Musgrave prevedere le funzioni che lo Stato deve assolvere, tali funzioni sono:
funzioni allocative; funzioni di redistribuzione; funzione di stabilizzazione. Nella funzione di
allocazione lo Stato deve intervenire in maniera diretta e deve offrire ai cittadini alcune
tipologie di beni/servizi che altrimenti non potrebbero essere prodotti sul mercato, tali beni
prendono il nome di beni pubblici e possono causare fallimenti di mercato (es. difesa)
(l’intervento dello Stato potrebbe essere anche indiretto attraverso incentivi). Nella funzione di
redistribuzione, lo Stato deve intervenire perseguendo lo scopo dell’equità e il trade-off tra
equità ed efficienza nella distribuzione de redditi. Musgrave sostenne che in questi casi il
mercato non può impedire il verificare di distorsioni di mercato e lo Stato dovrebbe intervenire
con alcuni strumenti. Un primo strumento per la redistribuzione dei redditi può essere quello
del trasferimento di risorse a categorie particolari di individui. Un secondo strumento può
essere l’imposizione diretta progressiva, che colpisce i redditi o i patrimoni più alti. Un altro
strumento potrebbe essere l’erogazione gratuita o prezzi calmierati dei servizi pubblici. La
terza funzione di stabilizzazione, la quale prevede il compito dello Stato di garantire la piena
occupazione, azzerando la disoccupazione, per Musgrave è totalmente inapplicabile ed
inattuabile.
CAPITOLO 3 ‘’I FALLIMENTI DI MERCATO’’
La teoria del libero mercato, teorizzata dai fautori del ‘’laissez-faire, laissez-passer’’ e ripresa
da Smith, si è spesso scontrata con la realtà, che ha messo in luce le inefficienze del mercato in
alcuni contesti. Per questo motivo gli economisti hanno tentato di individuare le cause di tali
inefficienze e le condizioni che si dovrebbero verificare affinché il modello di concorrenza
perfetta possa essere definito una forma di mercato pareto efficiente. Quando questo non
accade si verificano i cd fallimenti di mercato, che dimostrano la necessità di un intervento
esterno, di norma rappresentato dallo Stato. Generalmente, ci sono tre cause di fallimenti di
mercato:
1) La prima causa è la difficolta di trovare un accordo vantaggioso tra produttori e
consumatori per raggiungere uno scambio. Questo si verifica da un lato perché la
mancanza di un adeguato profitto comporta la mancata produzione di alcuni beni/servizi,
detti beni pubblici (es. giustizia), dall’altro perché esistono posizioni di monopolio, che per
loro natura sono pareto inefficienti;
2) La seconda causa di fallimento del mercato è legata alla mancanza di controllo su alcune
beni o sulle risorse e sui modi di utilizzarle, che genera fenomeni di esternalità, che
determinano una divergenza tra aspetti privati e aspetti sociali dei costi e dei benefici legati
alla produzione dei beni;
3) L’ultima causa di fallimento del mercato è la mancanza o incompletezza delle informazioni
necessarie allo scambio, o a presenza di costi per ottenere tali informazioni, ciò si traduce
in asimmetrie informative;
BENI PUBBLICI
Secondo Musgrave, lo Stato deve fornire alcune tipologie di beni/servizi che altrimenti non
verrebbero prodotti in una situazione di libero mercato. Il contributo di Musgrave fu ripreso da
Samuelson che definì un bene pubblico come ‘’un bene di consumo collettivo’’. Nella realtà
esistono diverse tipologie di beni, tra cui: -Beni pubblici puri (es. azienda autovetture); -Beni
pubblici puri (es. difesa, giustizia); -Beni pubblici impuri (o misti) (es. strade, illuminazione). Per
comprendere al meglio il concetto di bene pubblico basti pensare che alcune tipologie di
beni/servizi non verrebbero offerti dal produttore perché la loro produzione non
permetterebbe la rendita di un adeguato profitto. Questo perché un eventuale mercato di beni
pubblici fallisce a causa della mancanza o sottoproduzione di tali beni. È auspicabile una
soluzione pubblica e, infatti, nella realtà i beni pubblici sono prodotti o erogati dallo Stato,
come la difesa, la giustizia, l’istruzione, la qualità dell’aria…
Le caratteristiche di un bene pubblico sono:
- I benefici prodotti dai beni pubblici sono indivisibili (benefici indivisibili), ovvero non è
possibile individuare in quale misura il beneficiario del bene o servizio concorre al
singolo individuo (quanto giustizia usufruisce un singolo individuo?);
- Non rivalità, cioè che il consumo di un bene può essere condiviso anche da altri
individui e quindi il costo marginale del consumo da parte di un ulteriore individuo sia
pari a zero (Costo marginale, CMG=0), si parla anche di offerta congiunta;
- Non escludibilità, quando il consumo del bene non può essere regolamentato, quindi
una volta prodotto ne beneficiano tutti.
La presenza di un bene pubblico in un mercato di concorrenza perfetta comporta un fallimento di
mercato, questa situazione è verificata a meno che non sussistano due ipotesi:
1) Alcuni produttori siano disposti a offrire beni pubblici;
2) Gli individui rilevano le loro preferenze, ovvero le loro domande individuali.
In un’economia di libero mercato queste due ipotesi non sussistono pressoché mai. Infatti, la
prima ipotesi non è realizzabile a meno di incentivi statali perché altrimenti i produttori non
avrebbero benefici a produrre un bene pubblico. La seconda ipotesi non è realizzabile perché gli
individui non avrebbero nessuna intenzione a rilevare le proprie preferenze. Quest’ultimo
concetto è definito free riding ed è strettamente collegato alla proprietà della non escludibilità. In
particolare ogni individuo si comporterebbe in maniera egoistica, stimando la propria preferenza
in misura inferiore a quella reale, portando ad una valutazione del prezzo di vendita del bene a no
essere conveniente per nessun produttore. Questo comportamento individuale può essere
configurato come un gioco non cooperativo simile al dilemma del prigioniero, un problema di
teoria dei giochi di Albert Tucker. Questa teoria ha risvolti molto interessanti, in quanto porta alla
conclusione che il meccanismo di voto individuale, attraverso il quale gli individui decidono i
governati che devono stabilire quanti e quali beni pubblici offrire, diventa un meccanismo
allocativo sostitutivo del mercato.
L’intervento dello Stato può essere diretto, attraverso l’erogazione del bene/servizio, oppure
indiretto, attraverso incentivi statali che permettono ai produttori privati di rendere redditizia la
produzione di tali beni.
MONOPOLIO
Il monopolio è una forma di mercato in cui una sola impresa è in grado di offrire un determinato
bene. Questo permette al monopolista di porre il prezzo del prodotto in modo da massimizzare il
proprio profitto in un’ottica price maker, producendo una quantità (Qm.) per la quale il ricavo
marginale (Rmg) sia uguale al costo marginale (Cmg). Rispetto alla concorrenza perfetta, nel
monopolio la quantità prodotta sarà inferiore e il prezzo di mercato superiore, ciò genera una
minore soddisfazione dei consumatori (pari all’area ABC) e una maggiore soddisfazione del
produttore.
Una situazione del genere è senza dubbio pareto inefficiente, poiché esiste un’allocazione delle
risorse preferibile a quella del monopolista. L’intervento dello Stato dovrebbe regolre il mercato,
ristabilendo la concorrenza tra le imprese.
Esistono dei casi in cui le politiche volte a favorire la concorrenza perfetta sarebbero corrette,
come nel caso del monopolio naturale, che è una particolare forma di monopolio che si manifesta
in cui settori in cui i rendimenti crescenti fanno aumentare la redditività e che si caratterizza per
essere espressione del principio di subadditività dei costi. Tale principio indica che il costo di
fornire una quantità da parte di una sola impresa è inferiore alla somma dei costi che potrebbero
sopportare imprese di dimensioni inferiori. L’esistenza del monopolio naturale si caratterizza per
la presenza di diversi fattori tra cui: -fattori tecnologici; -economie di scala e di scopo; -livello di
domanda del mercato. Nel caso di monopolio naturale, l’intervento pubblico non deve perseguire
politiche per ripristinare la concorrenza (come nel caso di monopoli), ma deve impedire l’entrata
inefficiente di nuove imprese e promuovere un’offerta adeguata. Questi obiettivi possono essere
raggiunti attraverso l’introduzione di ‘’lump sum taxes’’, ovvero delle imposte in somma fissa alle
imprese che effettuano extraprofitti ma queste imposte sono di difficile applicazione nella realtà.
ESTERNALITà
Le esternalità rappresentano un’ulteriore causa di fallimento del libero mercato e sono legate alla
mancanza di controllo pieno su beni o sulle risorse e sui modi di utilizzarle. Un’esternalità è
definita come l’effetto dell’azione di un soggetto economico sul benessere di altri soggetti non
direttamente coinvolti. In altre parole, l’effetto della produzione o del consumo di un bene può
influenzare il benessere di uno o più individui o incidere sui costi di altri produttori. Una fabbrica di
prodotti industriali, che con i suoi residui inquina l’aria e le acque di un fiume, non considera tra i
suoi costi i danni sociali, nonostante questi siano costi che incidono sull’economia della collettività.
In questo caso: Costi sociali > Costi privati Esternalità negativa. Parallelamente, quando i vantaggi
sociali eccedono i vantaggi dei singoli individui, siamo in presenza di un’esternalità positiva. (es.
costruzione ferrovia in una zona abbandonata). Le Esternalità possono essere di 2 tipi: ▪ Esternalità
nel consumo, quando influenzano la funzione di utilità degli individui ▪ Esternalità nella
produzione, quando influenzano la funzione di produzione delle imprese. Di conseguenza, ci sono
8 configurazioni possibili: • Consumatore – consumatore positiva (es. giardino che allieta la vista
del vicino di casa) • Consumatore – consumatore negativa (es. vicino di casa che disturba la
quiete) • Produttore – consumatore positiva (es. vivaio su strada che allieta i passanti) •
Produttore – consumatore negativa (es. disboscamento foresta amazzonica) • Produttore –
produttore positiva (es. software che viene utilizzato anche da altre imprese) • Produttore –
produttore negativa (es. industria inquina l’acqua utilizzata da agricoltori) • Consumatore –
produttore positiva (es. giardino con fiori favorisce l’attività di apicoltore) • Consumatore –
produttore negativa (es. traffico auto provoca traffico merci imprese).
Tutte queste situazioni comportano l’esistenza di un’allocazione inefficiente delle risorse e
suggeriscono l’intervento dello Stato che può realizzarsi attraverso varie politiche: -produzione
pubblica dei beni e servizi che producono le esternalità; -fusione delle imprese che producono i
beni che sono interessati dalle esternalità; -regolamentazione; -applicazione delle imposte alle
imprese che provocano esternalità, di importo pari ai costi marginali esterni (cd imposte
pigouviane); -definire i diritti di tutti i soggetti e lasciare contrattare le parti (teorema di Coase);
-prevedere diritti trasferibili. Alcun di queste situazioni come le imposte pigouviane e lo scambio di
diritti trasferibili sono state criticate dagli economisti in quanto molto difficili da attuare.
ASIMMETRIE INFORMATIVE
Le asimmetrie informative sono l’ultima causa di fallimenti del mercato e si verificano di norma
nella definizione di contratti tra venditori e acquirente. Le asimmetrie informative sono dovute a: •
carenza di informazione • incompletezza dei mercati. Queste fattispecie sono conseguenze
dell’incapacità del consumatore di essere in condizione di conoscere e confrontare le
caratteristiche dell’offerta di beni e servizi.
Occorrerebbe un codice di etica professionale da parte dei produttori e dei venditori.
Il perseguimento dell’utile individuale da parte di ciascun soggetto non porta, infatti, alla
condizione di ottimo paretiano che la scuola classica presuppone esistere. Ciò presuppone
l’intervento dello Stato anche in questo caso e ne discende che la concezione pura del
funzionamento del mercato viene di fatto vulnerata.
Le Asimmetrie Informative danno origine ai costi di transazione, vale a dire costi di negoziazione,
monitoraggio e operatività del contratto. L’esistenza o meno di costi di transazione si traduce nella
possibilità o meno di siglare contratti completi. I contratti sono completi quando è possibile
prevedere e disciplinare tutte le contingenze che possono verificarsi nei diversi stati del mondo. Il
contratto è cioè in grado di precisare gli impegni reciproci dei contraenti in relazione ad ogni
possibile situazione che si venga a creare nel periodo post contrattuale di vigenza del contratto.
Quando ciò non avviene i contratti si dicono incompleti.
Le situazioni di asimmetria informativa possono generare due comportamenti particolari negli
agenti coinvolti nella contrattazione:
1) Selezione avversa: si riferisce ad una situazione di asimmetria informativa in cui il soggetto
principale non è in grado di conoscere alcune caratteristiche o informazioni in possesso
dell’agente, rilevanti ai fini della stipulazione del contratto di agenzia.
2) Moral hazard o comportamento sleale: può verificarsi in una situazione di asimmetria
informativa in cui il soggetto principale non ha il controllo completo di un’azione
dell’agente connessa alla prestazione contrattuale.
‘’IL BILANCIO DELLO STATO’’ (CAP.5-7):
Il bilancio dello Stato si configura come un documento amministrativo-contabile, redatto da organi
espressione del potere esecutivo, al quale è attribuita forza di legge e valore di legge. Il
Parlamento assume attraverso il bilancio le principali decisioni di finanza pubblica, mentre il
Governo è autorizzato alla successiva riscossione delle entrate e dell’esecuzione delle spese. Il
Bilancio dello Stato può definirsi come un documento contabile che rappresenta, nella forma di
previsione, le operazioni finanziarie che saranno effettuate in un determinato periodo di tempo. Il
Bilancio dello Stato in primis ha un contenuto giuridico atteso che con la legge di bilancio il
Parlamento autorizza il Governo ad accertare e riscuotere le entrate e ad impegnare e pagare le
spese. Quindi, la legge di bilancio è in primo luogo una legge di autorizzazione. Il Bilancio una volta
approvato diviene intangibile da parte del potere esecutivo, fatte salve le previsioni normative in
tema di flessibilità del bilancio. In secondo luogo, il Bilancio assolve anche ad una funzione politica
concernente il rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo. Il Bilancio dello Stato assolve anche
ad una funzione economica poiché, all’interno di esso, vengono espresse le priorità politiche con
cui reperire ed utilizzare le risorse collettive e i settori dell’economia in cui si vuole esplicare
l’intervento dello Stato. Al Governo è attribuito il potere di iniziative legislativa in materia di
approvazione della legge di bilancio e al Parlamento spetta, in via esclusiva, l’approvazione dello
stesso.
Definizione di “Pubblica Amministrazione” (diverse definizioni, fra cui): La PA intesa come sistema
di organismi, istituzioni ed aziende che fanno riferimento allo Stato ed alle sue articolazioni
territoriali, può essere vista sotto due dimensioni, una politica, l’altra amministrativa, le quali,
benché nettamente distinte in quanto a ruolo e funzioni, si integrano perché sono coinvolte in un
unico e collegato processo di scelte ed azioni destinato a consentire il raggiungimento di prefissati
obiettivi (e risultati).
Dimensione Politica: obiettivi economici, sociali, istituzionali.
Dimensione Amministrativa: implementazione delle scelte, predisposizione programmi,
realizzazione delle azioni necessarie per conseguire le scelte politiche.
Quello che noi definiamo ‘’settore pubblico ’’ è un complesso di enti, ciascuna dei quali ha
dimensione, funzioni, modalità operative differenti. Definizione settore pubblico: “raggruppa tutte
le unità istituzionali le cui funzioni principali consistono nel produrre servizi non destinabili alla
vendita”, ed è suddiviso in tre sottosettori: 1) Amministrazioni Centrali; 2) Amministrazioni locali;
3) Entri di Previdenza.
Le amministrazioni centrali (AC) hanno competenza sul tutto il territorio nazionale (es. Stato,
organi costituzionali, Istat), le amministrazioni locali (AL) hanno competenza limitata ad un
territorio (es. Regioni, Aziende sanitarie locali o ASL) e gli enti di previdenza (EP) sono unità
istituzionali centrali o locali che forniscono prestazioni sociali a fronte di prelievi obbligatori (ES.
INPS, INAIL, INPDAP).
Il settore pubblico (SP) è invece l’aggregato ottenuto dal consolidamento dei conti del settore
statale con le risultanze di cassa degli altri enti amministrativi centrali (AC), locali (AL) e
previdenziali (EP).
Il Bilancio dello Stato è un documento contabile avente forma di legge mediante il quale il
Parlamento assume le principali decisioni di finanza pubblica autorizzando il Governo ad effettuare
spese ed acquisire entrate. Si prende come riferimento l’“Esercizio Finanziario”. Mediante la
redazione del Bilancio dello Stato si concretizza l’intervento dello Stato nell’economia.
PREVISIONALE: - di cassa: in base all’ effettivo verificarsi di una manifestazione. - di competenza: a
prescindere dal momento in cui si verificheranno. CONSUNTIVO (Rendiconto): Relativo all’
esercizio concluso, riepilogativo delle effettive E/U. Il saldo netto da finanziare o impiegare, detto
anche fabbisogno è uguale alla differenza tra entrate finali e spese finali. Il fabbisogno è la
differenza fra entrate ordinarie e spese finali (ad esclusione dei prestiti) e quindi rappresenta
l’avanzo o il disavanzo del bilancio di esercizio dell’anno preso a riferimento.
Nell’ambito dell’adeguamento dell’ordinamento nazionale alla normativa europea, un passaggio
fondamentale è stato fatto con l’approvazione della legge di revisione costituzionale n. 1/2012,
che ha introdotto il principio dell’equilibrio di bilancio in Costituzione. In particolare, sono stati
novellati gli articoli 81,97, 117 e 199 Cost. con l’introduzione del cd ‘’pareggio di bilancio, ossia
l’equilibrio tra entrate e spese del bilancio corredato ad un vincolo di sostenibilità del debito di
tutte le PA. Il novellato articolo 81 della Costituzione recita: (di seguito i commi)
1. Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle
fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico;
Questo è il principio di pareggio del bilancio, in particolare il pareggio del bilancio si intende
conseguito quando il saldo strutturale evidenzia uno scostamento dall’obiettivo di medio termine
(OMT) inferiore rispetto a quello considerato significativamente rilevante ai sensi
dell’ordinamento dell’Unione europea. Questo principio è stato esteso anche agli enti locali dagli
artt. 91, 117 e 119 Costituzione. È stato adottato questo principio in virtù della crisi dei debiti
sovrani e per rendere maggiormente sostenibili tali debiti (soprattutto per i paesi dell’europa del
sud).
2. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo
economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi
componenti, al verificarsi di eventi eccezionali;
La deroga alla regola generale enucleata dall’articolo 81 c. 1 è possibile solo considerando il ciclo
economico e al verificarsi di ‘’eventi eccezionali’’ quali (art. 5 n. 243 legge 2012) gravi recessioni
economiche, crisi finanziarie, gravi calamità naturali.
3. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte;
Il terzo comma, quindi, affronta il tema della copertura finanziaria delle leggi approvate in corso
d’anno, stabilendo l’obbligo, a carico del legislatore, di coprire gli oneri derivanti dalle stesse leggi.
Ovviamente ciò riguarda sia nuove spese che le minori entrate. Quindi, il Parlamento non può
introdurre nuovi tributi e nuovi oneri. Tale comma va a responsabilizzare il Parlamento e il
Governo, soprattutto in fase di redazione e approvazione della legge di bilancio sapendo che in
futuro non potranno essere concesse variazioni economiche. Ai fini della verifica di tale comma
assume rilevanza la corretta identificazione delle maggiori spese e minori entrate derivanti dalle
leggi e norme proposte e dai mezzi di copertura apprestati. Tale verifica dev’essere fatta sia dal
punto di vista meramente aritmetica ma anche dal punto di vista temporale. Dunque con la legge
di Bilancio il Parlamento autorizza il Governo a esigere i tributi e a erogare le spese, elencate nel
Bilancio secondo i criteri stabiliti nelle leggi, nell’ammontare preventivato per l’anno finanziario
successivo all’approvazione, ma senza che con la stessa legge il Parlamento possa modificare la
normativa esistente. (accavallarsi delle fasi del bilancio!) ->Il problema è stato affrontato prima
dalla legge 5 agosto 1978, n. 468 che ha introdotto la legge finanziaria, nel decennio successivo è
stata impropriamente utilizzata per far approvare dal Parlamento una serie di provvedimenti
eterogenei (“legge omnibus”). ; quindi, dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196 che ha disegnato un
meccanismo che suddivide i documenti contabili statali nella legge di bilancio ed in quella di
stabilità (con la quale si possono introdurre nuovi tributi e spese).
4. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal
Governo;
Quindi, se ci sono nuove spese il Parlamento deve indicare con quali mezzi intende finanziarle. La
ratio della norma è che il Governo e il Parlamento non possono apportare squilibri finanziari al
Bilancio di previsione nell’anno in corso aumentando spese o facendo diminuire le entrate. Se il
Governo ritiene essenziale l’aumento della spesa, deve assumersi una responsabilità politica
nell’indicare i mezzi con cui finanziarle (per es. aumento tributi, riduzione spese già previste o
indebitamento). Il 4° comma stabilisce che i documenti contabili relativi alle entrate e alle spese
dello Stato sono formati dal Governo e presentati al Parlamento per la discussione e
l’approvazione. In questa procedura si concretizza un principio fondamentale del moderno Stato di
diritto a democrazia rappresentativa, nel quale il potere dell’Esecutivo di riscuotere le imposte e
spendere il denaro pubblico per soddisfare i bisogni collettivi è fondato sulla legge, ovvero sul
consenso dei rappresentanti che siedono nell’organo Legislativo. Inoltre dallo stesso comma
risulta che il Bilancio è annuale, ovvero si riferisce a un anno finanziario, cioè all’arco di tempo
compreso tra il 1 gennaio e il 31 dicembre di ogni anno
5. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non
superiori complessivamente a quattro mesi;
6. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare
l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle
pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei
componenti di ciascuna Camera (cd ‘’legge rinforzata’’), nel rispetto dei principi definiti con
legge costituzionale.
In definitiva la legge di Bilancio non può intervenire su svariati aspetti della politica fiscale e della
spesa pubblica, per correggere gli andamenti che le entrate e le spese avrebbero
“spontaneamente” sulla base delle leggi esistenti. Si tratta quindi di uno strumento rigido che non
consente al Governo di realizzare il suo indirizzo di politica economica. Per questi motivi la legge n.
468/1978, ha introdotto la legge Finanziaria (poi legge di Stabilità, dal 2016 incorporata nella legge
di Bilancio), il cui iter legislativo è parallelo a quello della legge di Bilancio e che consente al
Governo e al Parlamento di modificare le leggi tributarie e di spesa vigenti allo scopo di realizzare
la manovra finanziaria funzionale agli obiettivi programmatici del Governo. (cd accavallarsi del
bilancio).
Il periodo di tempo considerato per la redazione e l’approvazione del bilancio dello Stato decorre
dal primo gennaio al 31 dicembre. A seconda del momento in cui sono riferite le previsioni, si
possono avere due tipi di bilanci: di cassa o di competenza. Per comprendere la differenza
dobbiamo avere presente le fasi delle entrate e le fasi delle uscite. Nella contabilità pubblica si
distinguono le seguenti fasi di esecuzione della spesa:
1) Previsione, che è la determinazione del probabile ammontare delle uscite nell’anno di
riferimento;
2) Impegno, che è il momento in cui matura l’obbligo giuridico ad effettuare il pagamento. Il
totale degli impegni a fine anno può generare ‘’economie’’ o ‘’diseconomie’’;
3) Liquidazione, che è l’atto giuridico che comprova il diritto del creditore a ricevere una
somma determinata;
4) Ordinazione, che è la fase in cui si ordine al tesoriere di pagare la quota di liquidazione al
creditore;
5) Pagamento, che è l’erogazione delle somme al creditore, che avviene attraverso la
tesoreria o dal cassiere.
Un’uscita non impegnata determina un’economia (meno spese), un’uscita non pagata (cioè
somme impegnate che, nel corso d’esercizio, non sono state pagate) determinano dei residui
passivi, ossia dei debiti
Le principali fasi delle entrate:
1) Previsione, che la determinazione del probabile ammontare (sia totale che delle singole
voci) delle risorse finanziarie che verranno acquisite nell’esercizio di riferimento;
2) Accertamento, corrisponde al momento in cui l'amministrazione determina sia la ragione
del credito dello Stato che la persona del debitore (è la fase giuridica della nascita del
credito). Il totale degli accertamenti può generare ‘’economie’’ o ‘’diseconomie’’;
3) Ordinazione, è la fase in cui si riscuote il debito che avviene attraverso la tesoreria;
4) Riscossione, è il momento in cui il debitore effettivamente paga la somma dovuta;
5) Versamento, è la fase in cui le somme, pagate dal debitore agli agenti di riscossione,
vengono versate in Tesoreria.
Un’entrata non accertata determina una minore entrata, mentre un’entrata non versata (che
cono somme accertate, nel corso d’esercizio, che non sono state versate) determina un
residuo attivo, ossia un credito in bilancio.
Questa differenziazione è fondamentale per capire la differenza fra bilancio di cassa e bilancio di
competenza.
Il bilancio di cassa si riferisce alle entrate versate e alle spese pagate nel corso dell’esercizio, a
prescindere dal momento del loro accertamento e impegno. Quindi alla fase 5 di entrambe le fasi
(pagamento e versamento). Il bilancio di cassa è stato introdotto con la legge n. 468/1978 con gli
artt. 1 e 10. Lo stanziamento di risorse per le spese indica il limite massimo dei pagamenti. Per le
entrate le somme iscritte in bilancio non hanno carattere vincolante.
Il bilancio di competenza si riferisce alle entrate accertate e alle spese impegnate nel corso
dell’esercizio, a prescindere dal momento del loro versamento e pagamento (nello stesso esercizio
o in esercizi successivi). Quindi fanno riferimento alla fase 2 di entrambe le fasi (impegno e
accertamento), indipendentemente dalla riscossione delle entrate e dall’erogazione delle spese. Il
bilancio di competenza rappresenta un unicum a livello internazionale, infatti la maggior parte dei
paesi utilizza solo il bilancio di cassa. Il bilancio di competenza è rimasto vigente all’interno della
nostra legislazione con la motivazione principale che altrimenti si sarebbe perso il controllo dei
pagamenti arretrati (arreas). La competenza giuridica tende a sopravvalutare gli impegni di
accantonamento e quindi a generare dei residui passivi superiori alle reali obbligazioni delle
amministrazioni. Lo stanziamento di risorse per le spese indica il limite massimo degli impegni.
Per le entrate le somme iscritte in bilancio non hanno carattere vincolante.
Con la riforma della legge n.196 de 2009 è stata introdotta la classificazione del bilancio per
missioni e programmi. Lo schema deve essere raccordabile con la classificazione delle funzioni
delle amministrazioni pubbliche (COFOG). Tale articolazione tenere a garantire una migliore
informazione sull’insieme complessivo delle risorse disponibili per il perseguimento di specifiche
finalità pubbliche. Le missioni sono 34, mentre i programmi di spesa sono 175 dal 2019. La COFOG
rappresenta una delle nomenclature usate dalla contabilità nazionale per classificare la spesa delle
amministrazioni pubbliche e quindi permette di controllare più facilmente l’attività dell’operatore
pubblico. Si presenta come una categorizzazione delle voci di spesa dell’operatore pubblico,
articolata in tre livelli:
1) Divisioni o funzioni di primo livello, ossia i fini primari perseguiti dalle amministrazioni
(Difesa, Ordine pubblico…);
2) Gruppi o funzioni di secondo livello, riguardano specifiche aree di intervento delle politiche
pubbliche;
3) Classi o funzioni di terzo livello, individuano i singoli obiettivi in cui si articolano le aree di
intervento.
La Classificazione Funzionale, a differenza di quella relativa alla natura economica della spesa, non
ha ripercussioni dirette sulla gestione, ha scontato un trattamento disomogeneo tra le
amministrazioni nel corso del tempo, soprattutto riguardo capitoli di bilancio comprensivi di varie
finalità in cui si tende a privilegiare l’unitarietà gestionale delle spese. La ratio di tale impianto di
classificazione funzionale parte dalla constatazione che la struttura del Bilancio dello Stato
impostata solo per centri di responsabilità e capitoli di spesa non consente una chiara
identificazione delle azioni svolte con impiego di risorse pubbliche. Per cui, la classificazione per
missioni e programmi ha dato la possibilità di individuare le scelte pubbliche effettuate sia dal
punto di vista della loro quantificazione che della rispondenza al programma di Governo. Questa
rappresentazione vuole rispondere ad esigenze di chiarezza, trasparenza e leggibilità del
documento di bilancio. Dal 2008, anno di avvio della riclassificazione del documento di bilancio, ci
sono state delle riduzioni nella classificazione delle spese e aumenti nel numero dei programmi
gestiti, arrivando a 175 nel 2017.
LE ENTRATE
Ai sensi del comma 1 articolo 25, la classificazione delle entrate si articola su quattro livelli di
aggregazione:
Al primo livello, le entrate sono suddivise in titoli, a secondo della loro natura:
1) Titolo I: Entrate tributarie (es. imposte e tasse);
2) Titolo II: entrate extra-tributarie (es. attività economiche gestite da Stato);
3) Titolo III: Entrate derivante da alienazione e ammortamento di beni patrimoniali e
riscossione dei crediti;
Queste prime tre entrate costituiscono le cd ‘’entrate finali’’, per differenziarle dalla quarta
entrata che invece origina da operazioni di indebitamento.
4) Titolo IV: Entrata derivante da accensione di prestiti. Corrisponde all’entità del ricorso al
mercato.
Al secondo livello, le entrate sono ulteriormente suddivise in: entrate ricorrenti ed entrate non
ricorrenti. A seconda che si riferiscano a proventi la cui acquisizione sia prevista a regime oppure
limitata solo ad alcuni esercizi.
Nel terzo livello, è evidenziata la tipologia di entrata, ai fini dell’approvazione parlamentare e
dell’accertamento dei cespiti.
Al quarto livello, si trovano le unità elementari di bilancio (prima si chiamavano capitoli), le quali
rappresentano una ripartizione delle unità di voto ai fini della gestione e della rendicontazione.
Possono essere suddivise in articoli.
LE SPESE:
La classificazione delle spesesi articola su tre livelli:
Al primo livello, si trovano le missioni che rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi
strategici della spesa.
Al secondo livello vi sono i programmi, ossia le unità di voto parlamentare (art. 21 c.2) quali
aggregati finalizzati al perseguimento degli obiettivi definiti nell’ambito delle missioni. I programmi
sono suddivisi in macroaggregati per tipologie di spesa. In questo ambito sono esposti anche i
centri di responsabilità amministrativa cui compete la gestione delle risorse, l’assunzione degli
impegni di spesa e l’emissione dei titoli di pagamento.
Al terzo livello vi sono delle unità elementari di bilancio, suddivise secondo l’oggetto della spesa e
rappresentano delle unità di voto ai fini della gestione e della rendicontazione. Possono essere
suddivise in articoli.
Con la legge n.196/2009 vi è stata l’introduzione delle “azioni” come poste di classificazione del
Bilancio dello Stato. Queste consento di disporre di un ulteriore livello di dettaglio dei programmi
stessi e consentono individuazione delle finalità della spesa raggruppando le risorse sulla base di
attività omogenee. Le azioni sono state individuate tramite il DPCM 14 ottobre 2016, che presenta
l’elenco delle azioni per ciascun programma e fornisce istruzioni sul trattamento di spese
trasversali ai Ministeri e sugli strumenti per effettuare revisioni all’elenco delle azioni.
Le dotazioni di competenza quantificano l’ammontare previsto di entrate che le amministrazioni
statali acquisiranno il diritto di percepire e l’entità prevista di spese che le amministrazioni statali
assumeranno l’obbligo di effettuare, nel periodo considerato, indipendentemente dalla
circostanza che le entrate siano effettivamente riscosse e le spese erogate.
Le dotazioni di cassa quantificano l’entità di entrate che si prevede di incassare e delle spese che si
prevede di pagare nel periodo di riferimento.
Per ogni unità di voto sono indicati:
a. Ammontare presunto dei residui attivi e passivi alla chiusura dell’esercizio precedente a quello
cui si riferisce il bilancio;
b. Ammontare delle entrate che si prevede si accertare e delle spese che si prevede di impegnare
nell’anno cui il bilancio si riferisce;
c. Previsioni delle entrate e delle spese relative al secondo e terzo anno del bilancio triennale;
d. Ammontare delle entrate che si prevede si incartare e delle spese che si prevede di pagare
nell’anno cui il bilancio si riferisce.
Le somme comprese in ciascun programma sono suddivise in:
a. Spese correnti;
b. Spese di investimento.
Le spese si distinguono tra:
a) Oneri inderogabili: sono spese non controllabili in via amministrativa dalle amministrazioni
perché vincolate a particolari meccanismi o parametri che regolano la loro evoluzione, determinati
da leggi ed atti normativi (spese obbligatorie).
b) Fattori Legislativi: sono spese autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina
l’importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio.
c) Spese di adeguamento al fabbisogno: sono spese non predeterminate legislativamente che
sono quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.
La Seconda Sezione del Bilancio annuale di previsione si compone (art. 21 c.10):
1. Di uno stato di previsione dell’entrata;
2. Di stati di previsione della spesa corrispondenti ai diversi Ministeri, con allegate appendici dei
bilanci delle amministrazioni autonome;
3. Di un quadro generale riassuntivo riferito al triennio
Ciascuno stato riporta degli elementi informativi da aggiornare al momento dell’approvazione
della legge di bilancio:
a. La nota integrativa del bilancio di previsione: Per le entrate illustra i criteri per la
previsione relativa alle principali imposte e tasse, e specifica per ciascun titolo, la quota di
risorse avente carattere ricorrente e non ricorrenti. Per la spesa, descrive il quadro di
riferimento in cui l’amministrazione opera, la priorità politiche, espone le attività e indica
gli obiettivi che le amministrazioni intendono conseguire in termini di livello dei servizi e di
interventi, riguardo il programma generale dell’azione di Governo.
La nota integrativa deve contenere:
1. informazioni relative al quadro di riferimento in cui l’amministrazione opera e le priorità
politiche (come indicato nel DEF e nel DPCM sulla definizione degli obiettivi di spesa di ogni
Ministero);
2. Il contenuto di ciascun programma di spesa con rifermento alle unità elementari di bilancio
sottostanti;
3. Il piano degli obiettivi.
Il quadro generale riassuntivo reca le risultanze complessive del bilancio formulato con
riferimento alle dotazioni di competenza e di cassa. E deve indicare questi risultati differenziali
(saldi):
a. Risparmio pubblico (differenza tra il totale delle entrate tributarie ed extra-tributarie e il totale
delle spese correnti); questo risultato se positivo misura la quota di risorse correnti destinabili al
finanziamento delle spese in conto capitale. Se negativo esso esprime la quota delle spese correnti
d soddisfare ricorrendo all’indebitamento.
b. Indebitamento o accrescimento netto (differenza tra il totale di tutte le entrate e il totale di
tutte le spese, escluse le operazioni che riguardano partecipazioni azionarie, conferimento,
concessione e riscossione di crediti e accensione e rimborso di prestiti);
c. Saldo netto da finanziare o da impiegare (differenza tra tutte le entrate finali e tutte le spese
escluse quelle si accensione e rimborso di prestiti);
d. Il ricorso al mercato (differenza tra il totale delle entrate finali e il totale delle spese).
Entrate- classificazione economica previgente: - Titoli (I, II, III, IV); - Categoria (a seconda della
natura dell’entrata, es. imposte sul patrimonio, sul reddito); - Rubriche (a seconda dell’organo, es.
ministero); -Capitoli (a seconda dell’oggetto dell’entrata, es. irpef, iva…).
Spese- classificazione economica previgente: - Titoli (I, II, III); - Sezioni (in base alle funzioni, es.
difesa, giustizia…); -Rubriche (a seconda dell’organo, es. ministero); -Categorie (a seconda della
natura economica es. per servizi degli organi costituzionali); -Capitoli (a seconda dell’oggetto
specifico dell’entrata es. eventi).
Gli stati di previsione della spesa sono organizzati per missioni e programmi. Le missioni
descrivono le finalità generali perseguite attraverso la spesa dello Stato, mentre i programmi –
unità di voto parlamentare per quanto attiene alle spese – rappresentano le ripartizioni delle
missioni in aree di attività omogenee per il raggiungimento delle finalità di ciascuna missione. A
partire dal disegno di legge di bilancio per il triennio 2017-2019, in attuazione della delega di cui
all’art. 40 lett. e), i programmi sono a loro volta articolati in azioni, le quali descrivono nel dettaglio
l’assegnazione delle risorse destinate al programma tra le diverse attività che lo compongono.
Principalmente per ragioni gestionali, le azioni sono ulteriormente suddivise in capitoli e questi
ultimi in piani gestionali.
MISSIONI > PROGRAMMI > AZIONI > CAPITOLI > PIANI GESTIONALI
Dal punto di vista economico e funzionale i capitoli di spesa vengono qualificati sulla base di
classificazioni che si conformano ai criteri adottati in contabilità nazionale.
• Ogni stato di previsione si apre con una Nota Integrativa. Essa indica i contenuti e gli obiettivi
delle diverse voci di bilancio e fornisce i criteri con cui sono state formulate le previsioni.
• Per ciò che riguarda le Entrate viene specificata la quota ricorrente e quella non ricorrente di
ciascun titolo.
• Per gli Stati di Previsione della Spesa le Amministrazioni individuano gli obiettivi perseguiti con i
programmi di spesa e i relativi indicatori che quantificano i risultati attesi in coerenza con le risorse
a disposizione dei programmi stessi.
• Per ogni stato di previsione delle uscite segue una Scheda Illustrativa per ciascun programma, in
cui, oltre agli stanziamenti ad esso destinati nei tre anni, si indicano le norme autorizzatorie che lo
finanziano.
Oltre al bilancio finanziario, ogni stato di previsione della spesa reca, infine, il Budget dei Costi
della relativa Amministrazione. Il budget è redatto in base al principio della competenza
economica e misura i costi sostenuti dalle amministrazioni, intesi come valore monetario delle
risorse umane e strumentali (beni e servizi) effettivamente utilizzate in un certo periodo,
indipendentemente dai flussi monetari in entrata o in uscita da esse generati (criterio della cassa).
Le previsioni del budget sono esposte per programma e centro di costo.
Di solito il bilancio cattura l’attenzione dell’opinione pubblica solamente in quella parte dell’anno
in cui il progetto di bilancio e il disegno di Legge di Stabilità vengono presentati e discussi alle
Camere. In realtà il ciclo di bilancio è un processo che investe un arco temporale assai più ampio:
La preparazione del bilancio riferito ad un determinato anno (2020) inizia a maggio dell’anno
precedente (2019) e si chiude a luglio dell’anno seguente (2021) con l’approvazione, per legge, del
Rendiconto consuntivo da parte del Parlamento. Il processo di bilancio può essere dunque
scandito in 3 fasi:
1) Preparazione, formulazione dei progetti di bilancio e di LB da parte del Governo e la loro
discussione e approvazione da parte delle Camere.
2) Gestione, oltre alla realizzazione delle entrate e uscite, scandite nelle diverse fasi, essa
comporta anche la possibilità di modificare in corso d’anno gli stanziamenti previsti nel bilancio di
previsione
3) Rendicontazione, solo con la terza fase, con la messa a punto del Rendiconto consuntivo, che
deve essere prima parificato dalla Corte dei conti e poi presentato dal Ministro dell’Economia e
delle Finanze al Parlamento per la sua approvazione, i risultati dell’esercizio finanziario vengono
effettivamente fissati e divengono intangibili; ed è questo il momento in cui è possibile conoscere
la dinamica effettiva delle poste di bilancio.

CAPITOLO 8: ‘’ Debito pubblico italiano ’’


Il debito pubblico è la grandezza di stock rappresentata dal valore nominale di tutte le passività
lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche ed è di norma rapportato al PIL. Nel 2018,
l’ammontare di titoli di Stato rappresentavano circa l’84% del debito pubblico, mentre la restante
parte era da ricondurre a passività emesse dalle altre PA. Un ruolo cruciale è svolto dal c.d.
sistema di ‘’Tesoreria Unica’’ gestito insieme alla Banca d’Italia, attraverso cui tutte le
amministrazioni sono vincolate a gestire i flussi di liquidità in entrata e in uscita. Tale modalità
organizzativa consente la gestione efficiente della liquidità del settore pubblico, consentendo la
programmazione del fabbisogno di cassa del settore statale. Bisogna fare una distinzione tra
emissione del debito ‘’flottante’’ (cioè a scadenza entro l’anno) e il debito ‘’patrimoniale’’ che
rappresenta la partita contabilizzata delle emissioni in relazione all’acquisizione delle entrate del
Titolo IV del bilancio (accensione prestiti). La prima componente si riflette nella gestione del
bilancio per la sola componente d’oneri (c.d. scarto d’emissione) mentre la seconda componente
del debito pubblico si riflette direttamente alla gestione finanziaria del Bilancio dello Stato (titolo
III spesa, ‘’rimborso prestiti’’). Il consolidamento delle due gestioni fornisce l’evidenza della
situazione del tesoro al 31 dicembre di ogni anno. Il debito pubblico viene definito ‘’consolidato’’
perché nel suo computo vengono annullati i rapporti di debito e credito che intercorrono tra le PA.
La sua valutazione è rapportata ‘’al valore facciale di emissione’’ e coincide con il valore di
rimborso delle passività. La misura di variazione del debito pubblico in un anno corrisponde
approssimativamente al fabbisogno di cassa registrato dal settore pubblico. L’unica differenza sta
nel trattamento riservato alle attività del Tesoro presso la Banca d’Italia nel calcolo del fabbisogno.
Il fabbisogno non misura immediatamente il flusso lordo delle passività ma lo misura al netto della
variazione delle attività del Tesoro presso la Banca d’Italia. L’indebitamento netto si riferisce al
criterio contabile della competenza economica (accrual) propria del SEC, mentre il fabbisogno
finanziaria è il differenziale tra incassi e pagamenti effettivi registrati dal complesso delle PA in un
dato anno.
Nel fabbisogno le emissioni di titoli sono valutate al ‘’netto ricavo’’, mentre nel debito esse sono
incluse al loro valore nominale; nel fabbisogno le passività in valuta estera sono convertite al tasso
di cambio vigente al momento dell’operazione, mentre nel debito con il tasso di cambio di fine
periodo.
Il debito delle PA consiste nell’insieme delle passività finanziarie del settore valutate al valore
facciale.
CAPITOLO 9 ‘’Sistema tributario italiano ’’
Le ‘’entrate dello Stato’’ sono il complesso di risorse economiche e finanziarie incamerate a vario
titolo dallo Stato e dagli enti pubblici per sostenere il relativo funzionamento. Le entrate dello
Stato sono classificate in entrate: -di diritto privato, che sono le entrate derivanti da attività svolte
dallo Stato (iuri privatorum) alla stregua di qualsiasi operatore privato; - di diritto pubblico (iuri
imperii) cioè quelle derivanti da prestazioni coattivamente imposte ai privati, mediante l’esercizio
di potere autoritavivo (es. tributi). Tra i prelievi coattivi di natura non tributaria rientrano: 1) le
prestazioni patrimoniali a carattere sanzionatorio (es. multe); 2) prestiti forzosi; 3) espropriazioni
per pubblica utilità.
TRIBUTI
Il nostro ordinamento non reca alcuna nozione di tributo. L’individuazione della nozione presenta
rilevanti risvolti pratici sul piano tecnico giuridico, poiché numerose norme rinviano al concetto di
tributo. ES. art. 2 d.lgs. ’92 n. 546 in cui spettano alla commissione tributaria ‘’le controversie
aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati’’, rimanendo così escluse
altre forme di prelievo coattivo a carattere non tributario; art. 2752 c. 3 c.c. che riconosce
privilegio ai crediti di natura tributaria; art. 75 c. 2 cost. il quale esclude espressamente che possa
indirsi referendum ‘’per leggi tributarie e di bilancio’’. Il concetto di tributato va ritrovato
all’interno delle caratteristiche enucleate dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che
possono così sintetizzarsi:
1) Contenuto economico della prestazione imposta al consociato;
2) Coattività della prestazione patrimoniale richiesta al consociato;
3) Destinazione del gettito a enti pubblici (es. Stao, regioni…);
4) Funzione pubblica della prestazione patrimoniale imposta, da ricollegarsi al
soddisfacimento di interessi generali della collettività.
Nozione tributo data da Fantozzi è: ‘’ il tributo consiste in una prestazione patrimoniale imposta al
consociato in base a una fonte autoritativa, il cui gettito è destinato ad enti pubblici ed è
funzionale a favorire in via solidaristica le finalità collettive’’.
Sulla base di tali caratteristiche i tributi vengono classificati in:
1) Imposte;
2) Tasse;
3) Contributi;
4) Monopoli.
Le imposte vengono definite come prestazioni patrimoniali coattive dovute dal soggetto passivo in
base ad un presupposto di fatto che escluda ogni relazione specifica con le attività di un ente
pubblico realizzate in favore del soggetto medesimo. L’assenza di nesso tra soggetto passivo ed
attività dell’ente pubblico è l’elemento caratterizzante e distintivo delle imposte rispetto alle altre
tipologie di tributi e in particolare rispetto alle tasse.
I tributi sono catalogati in macrocategorie:
- Imposte dirette o indirette, a seconda che il tributo colpisca manifestazioni immediate
e dirette della capacità contributiva (es. imposte sil patrimonio) oppure indirette (IVA);
- Imposte reali e personali, a seconda che l’imposta colpisca singoli fatti o indici di
ricchezza riferibili ad un soggetto passivo;
- Imposte fisse, proporzionali o progressive. A seconda che le stesse siano dovute
secondo un ammontare predeterminato o in relazione a parametri fissi prestabiliti
oppure siano determinate mediante la previsione dell’applicazione di un tasso o
aliquota alla base imponibile, il quale a sua volta può essere costante, crescente in
misura più che proporzionale (quindi progressiva) rispetto alle variazioni in aumento
della base imponibile;
- Imposte instantanee o periodiche, a seconda che colpiscano un indice di ricchezza ina
via istantanea (‘’imposta del registro’’) o in un arco temporale (‘’periodo d’imposta’’)
La tassa viene definita come tributo avente come presupposto un atto o un’attività o lo
svolgimento di un servizio pubblico, specificatamente riguardanti un determinato soggetto. Sono
riconducibili le prestazioni di imposte che si trovano in un rapporto di correlatività con prestazioni
rese dallo Stato, ancorchè da questi ancora non concretamente utilizzate. L’elemento
contraddistintivo delle tasse è il nesso tra soggetto passivo e prestazione resa dallo Stato.
Con il termine contributi vengono indicati una serie di prelievi sia a carattere tributario che non
tributario o ‘’parafiscale’’. Fanno parte anche i cd ‘’contributi di miglioria’’ o le prestazioni dovute a
determinati enti per il loro funzionamento (e. ordine degli avvocati).
Si ha monopolio nelle ipotesi in cui una norma di legge riserva allo Stato l’importazione,
produzione o vendita di determinati beni e servizi, inibendoli ai privati.
Gli elementi qualificanti dell’obbligazione tributaria sono:
- Il presupposto che è il fatto generatore dell’obbligazione tributaria che, come stabilito
dall’art. 53 cost. deve consistere in un indice di ricchezza espressivo di capacità
contributiva. Il presupposto quindi è l’atto, il fatto o l’evento che genera effetti giuridici
sia sul piano sostanziale che formale;
- La base imponibile che è il valore in relazione al quale è liquidato il tributo mediante
applicazione dell’aliquota;
- Il soggetto passivo che è colui che è tenuto al pagamento del tributo e/o
all’adempimento dei relativi obblighi formali e strumentali stabiliti dalla norma
tributaria. Ci può essere il caso del sostituto d’imposta;
- L’aliquota, o misura dell’imposta, che è il parametro utilizzato dal legislatore in
riferimento alla base imponibile, per stabilire e calibrare una quantum del prelievo
fiscale.
Riserva di legge articolo 23 cost.:
L’art. 23 della Costituzione stabilisce che ‘’nessuna prestazione personale o patrimoniale può
essere imposta se non in base alla legge’’. Tale norma trova il suo antecedente storico nel c.d.
‘’diritto all’autoimposizione’’ o nella necessità del consenso dei consociati all’introduzione e
riscossione delle imposte del Sovrano. Tale consenso oggi è espresso dai rappresentanti eletti in
Parlamento. La norma assolve la funzione di tutelare la libertà e la proprietà del cittadino a fronte
di forme d’imposizione arbitrarie sotto un triplice profilo: -poiché attribuisce la funzione impositiva
al Parlamento; -poiché al procedimento di formazione delle leggi concorrono anche li minoranze
parlamentari; -poiché la legge è soggetta al controllo della Corte Costituzionale la quale può
dichiarare illegittime le disposizioni non compatibili con i principi e le norme costituzionali (in
particolare con l’art.53).
La riserva di legge, prevista dall’art.23, è una riserva di tipo ‘’relativo’’ in quanto è sufficiente ed
indispensabile che la legge individui gli elementi costitutivi fondamentali della prestazione imposta
che sono il presupposto, il soggetto passivo, modalità di determinazione della base imponibile e il
limite massimo e minimo all’aliquota (come dice Corte Costituzionale). Deve essere altresì dettata
con legge l’introduzione di nuove esenzioni e agevolazioni. Per ‘’legge’’ si intende anche i decreti
legge e i decreti legislativi.
ARTICOLO 53:
l’articolo 53 c.1 stabilisce che ‘’tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
propria capacità contributiva’’. La norma percepisce il principio del concorso di ciascuno ai bisogni
della collettività in ragione delle sue forze economiche risalenti agli ideali di giustizia distributiva.
Fu la Suprema Corte di Cassazione a suggerire l’introduzione di un limite sostanziale alla potestà
d’imposizione (individuato nella capacità contributiva), da affiancarsi a quello formale della riserva
di legge, e volto ad escludere correlazioni di carattere commutativo tra il prelievo tributario e la
fruizione dei servizi pubblici indivisibili e garantire il singolo dall’essere gravato oltre i limiti del c.d.
minimo vitale. Il principio della capacità contributiva è il principio cardine del sistema tributario.
Nella norma costituzionale si rinviene la causa giustificatrice, il presupposto del dovere di
concorrere alle spese pubbliche, nonché il parametro e la sua misura massima. La locuzione ‘’tutti
sono tenuti’’ esprime i concetti di generalità e doverosità del concorso alle spese pubbliche. La
locuzione ‘’in ragione della loro capacità contributiva’’ precisa il criterio di riparto dei carichi fiscali,
evidenziandone la funzione garantista del precetto costituzionale, volta a determinare i limiti entro
i quali la potestà di imposizione del prelievo fiscale può legittimamente esplicarsi. Il principio della
capacità contributiva è espressione, in materia fiscale, del principio di eguaglianza espresso
dall’articolo 3 della Costituzione, ciò nella sua duplice accezione di eguaglianza formale, la quale
impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse, nonché di
eguaglianza sostanziale, cioè la ‘giustificazione’’ del potere dello Stato di utilizzare la leva fiscale
per correggere squilibri sociali. Quanto al significato di ‘’capacità contributiva’’ la Corte
Costituzionale ha chiarito che il principio della capacità contributiva dev’essere inteso come
espressione dell’esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in ‘’indici
concretamente rilevatori di ricchezza’’; che la capacità contributiva non deve riferirsi al fatto
economico in sé ma al soggetto passivo del tributo e alla disponibilità economica complessiva del
soggetto idonea a rivelarne l’attitudine al concorso alle spese pubbliche; che l’indice di capacità
contributiva deve esprimere un’idoneità effettiva e reale alla contribuzione, escludendo
l’imponibilità del cd ‘’minimo vitale’’. In questi termini la capacità contributiva non coincide con la
capacità economica, essendovi soggezione all’imposizione ‘’solo quando sussista una disponibilità
di mezzi economici che consenta di farvi fronte’’ (la differenza risiede nel minimo vitale); l’indice di
ricchezza dev’essere attuale.
L’articolo 53 comma 2 della Costituzione dispone che ‘’il sistema tributario è informata a criteri di
progressività’’. Tale articolo esprime un mero criterio direttivo e non è vincolante per il legislatore.
Atteso che la norma si riferisce al sistema tributario nel suo complesso, nel quale possono
convivere imposte progressive, fisse, proporzionali e regressive. Viene enunciato il principio della
progressività, valido per tutti i contribuenti persone fisiche. Secondo questo principio un’imposta
si definisce progressiva quando il suo ammontare aumenta in modo più che proporzionale al
crescere dell’imponibile. Nello specifico, l’imposta sul reddito delle persone fisiche si determina in
base ad una progressività «a scaglioni»: il reddito complessivo viene frazionato ed assoggettato
alle aliquote corrispondenti agli scaglioni in cui il reddito stesso rientra.
Si considerino tre tipi di progressività di un’imposta: • Progressività Continua: l’imposta è un
funzione matematica f ( . ) continua della base imponibile. L’aliquota marginale tm cresce in modo
continuo • Progressività per Classi: quando il reddito salta di classe, l’aliquota marginale si applica
su tutto il reddito (non solo sulla classe o differenza)(elasticità= tm/tM=1) . • Progressività per
Scaglioni: quando il reddito salta di classe, l’aliquota marginale si applica solo sull’incremento
marginale rispetto all’ultima classe (solo sullo scaglione relativo).

CAPITOLO 10 ‘’LE PRINCIPALI IMPOSTE DIRETTE’’


L’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF):
l’IRPEF è attualmente disciplinata dal D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, recante approvazione del
Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). L’attuale disciplina dell’imposta è frutto di una
riforma del sistema tributario, secondo i principi fissati nella Legge Delega 9 ottobre 1971, n. 825.
La riforma prevedeva, da un lato, l’introduzione di un’imposta sul reddito delle persone fisiche
(IRPEF) a ‘’carattere personale e progressivo’’, da applicarsi al ‘reddito complessivo netto delle
persone fisiche comunque conseguito ’’ (art. 2, n. 1 e 2 legge n. 825/1971), dall’altro, la
contemporanea abolizione delle singole fattispecie di imposizione all’epoca in vigore.
L’IRPEF può essere definita come imposta sul reddito a carattere generale, personale, progressiva
e periodica. Generale perché riferibile a tutte le persone. Personale perché il presupposto
dell’imposta è individuato nel complesso dei redditi posseduti dal soggetto passivo e perché ai fini
della determinazione della base imponibile si tiene conto della relativa situazione personale,
familiare e sociale. Progressiva perché l’imposta aumenta più che proporzionalmente
all’aumentare del reddito. Periodica perché l’imposta è dovuta per anno solare, a ciascuno dei
quali corrisponde un’obbligazione tributaria (art. 7 TUIR).
Sebbene l’IRPEF miri a tassare in modo progressivo il reddito globale delle persone fisiche, all’atto
pratico tale concezione è contraddetta da una serie di regimi di esenzioni o di agevolazioni, dai
regimi sostitutivi, dalle norme che permettono di erodere la base imponibile, che declinano il
nostro sistema fiscale verso un modello duale, in cui non tutti i redditi sono tassati in modo
effettivo e progressivo.

Il rapporta A/B rappresenta la pendenza della retta. Se l’imposta cresce più che
proporzionalmente rispetto alla base imponibile, allora l’imposta è progressiva, ovvero t(M)
(aliquota media) < t(m) (aliquota marginale). L’elasticità è data dal rapporto tra aliquota marginale
e aliquota media, se l’elasticità è maggiore di 1, l’imposta è progressiva. La figura sotto mostra
l’andamento dell’aliquota media (tM) rispetto a quello dell’aliquota marginale (tm).
L’articolo 1 del TUIR stabilisce che ‘’ il presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è
il possesso di redditi in denaro o in natura’’. Quanto al significato di possesso esso non coincide
con la definizione data dall’articolo 1140 c.c., non essendo il reddito una cosa (res). Il termine
possesso dev’essere inteso in senso lato (es. reddito da lavoro dipendente-> stipendio). Quanto
alla nozione di reddito si rimanda alle elaborazioni delle scienze economiche. L’articolo 6 del TUIR
stabilisce che ‘’ i singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie’’:
1) Redditi fondiari;
2) Redditi di capitale;
3) Redditi di lavoro dipendente;
4) Redditi di lavoro autonomo;
5) Redditi d’impresa;
6) Redditi diversi.
Le imposte dirette si dividono in due macrocategorie: 1) imposte sul patrimonio; 2) imposte sul
reddito. Il patrimonio è un concetto statico (o di stock) da intendersi come l’insieme delle
situazioni giuridiche soggettive a contenuto economico di cui è titolare un soggetto in un
determinato momento storico. Il reddito a differenza del patrimonio viene definito in chiave
dinamica come il complesso delle variazioni incrementative del patrimonio in un determinato arco
temporale, e dunque quale ricchezza novella. Tre categorie di reddito tassabile: - reddito-
prodotto; - reddito-entrata; -reddito come consumo.
Secondo la nozione reddito prodotto, un’entrata può considerarsi reddito solo se deriva da una
fonte produttiva (lavoro, terra, capitale..). La base imponibile coincide con il valore dei beni e
servizi prodotti mediante l’impego di lavoro dipendente o autonomo, capitale e altri fattori non
riproducibili.
La nozione di reddito-entrata considera reddito qualsiasi entrata indipendentemente dalla fonte e
anche le entrate che non derivano da una fonte produttiva. Il reddito entrata è quanto un soggetto
può consumare lasciando immutata l’entità del proprio patrimonio netto ed è pari alla somma del
consumo effettuato in un dato intervallo di tempo e la variazione del valore del patrimonio netto
tra l’inizio e la fine del periodo. Rispetto al reddito prodotto vengono considerate: 1. Plusvalenze e
minusvalenze; 2. Trasferimenti di ricchezza a titolo gratuito (successioni, donazioni); 3.
Trasferimenti di reddito da parte di amministrazioni pubbliche o istituzioni sociali private; 4. Ogni
altro guadagno o perdita di natura occasionale o casuale.
La nozione di reddito come consumo teorizza un sistema di imposizione nell’ambito del quale, al
posto del reddito, dovrebbe essere tassata solo la ricchezza consumata.
Il sistema fiscale italiano è improntato sulla nozione di reddito-prodotto (il reddito viene definito
anche come incremento di patrimonio derivante da una fonte produttiva). Di recente è stata
introdotta una fattispecie impositiva ispirata alla teoria del reddito-entrata (es. articolo 67, lett. D
TUIR che assoggetta ad imposizione le vincite alla lotteria).
Ai fini dell’imposta sul reddito, il collegamento tra soggetto passivo, reddito e Stato è individuato
nella residenza del soggetto passivo oppure nel luogo di produzione del reddito (artt. 2 e 3 TUIR)
(territorialità ). L’articolo 2 c. 3 del TUIR prevede che ‘’soggetti passivi dell’imposta sono le persone
fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato’’. L’articolo 3 c. 1 prevede che per le
persone fisiche residenti nel territorio dello Stato l’imposta si applica su tutti i redditi posseduti
dalla persona fisica, mentre per i non residenti l’imposta si applica solo sui redditi prodotti nello
Stato. La cittadinanza ha valore solo quando si prende residenza in uno dei cosiddetti ‘’paradisi
fiscali’’.
Altra tematica per la determinazione della base imponibile è quella del collegamento tra soggetto
passivo e reddito, e dunque, l’imputabilità del reddito al soggetto passivo. Di norma, al soggetto
passivo sono imputati redditi da lui direttamente percepiti o di cui possieda la fonte. Tuttavia
sussistono regimi speciali, collegati allo statu familiare e/o alla produzione del reddito in forma
associata, in virtù dei quali al soggetto passivo sono imputati redditi di pertinenza di altri soggetti.
Quanto ai regimi speciali collegati allo status familiare del contribuente è il caso: -dei redditi dei
beni oggetto di comunione legale, che sono imputati a ciascun coniuge nella misura del 50% o in
proporzione alla diversa quota di titolarità dei beni; - dei redditi dei beni oggetto di fondo
patrimoniale (50% ciascun coniuge); -redditi dei beni dei figli minori soggetti all’usufrutto legale
dei genitori (50%). Quanto ai redditi prodotti in forma associata (società di persone e organismi
equiparati) sono tassati secondo il cd ‘’principio di trasparenza’’ (art. 5 TUIR). I redditi prodotti
dalle società di persone non sono tassati in capo alla società ma sono imputati direttamente ai soci
proporzionalmente alla loro quota di partecipazione agli utili.
L’articolo 3 del TUIR stabilisce che l’imposta si applica al reddito complessivo netto. Il reddito è
complessivo poiché occorre far riferimento alla somma di tutti i redditi posseduti dal soggetto
passivo ovunque prodotti., rientranti in una delle categorie reddituali indicate dal successivo
articolo 6 del TUIR (es. redditi fondiari…). In ogni caso, non concorrono alla formazione del reddito
complessivo i redditi esenti, i redditi già tassati alla fonte secondo il regime della ritenuta a titolo
d’imposta, i redditi soggetti a imposta sostitutiva e una serie di emolumenti, indicati dall’articolo 3
del TUIR, esclusi per esigenze di tutela di valori costituzionalmente riconosciuti (quali famiglia e
preservazione del cd minimo vitale). Il reddito è netto, poiché per la determinazione della base
imponibile, al reddito complessivo si sottraggono i cd ‘’oneri deducibili’’ definiti dall’articolo 10 del
TUIR (cioè spese personali o costi sostenuti dal contribuente per produrre il reddito, es. spese
medicine). Reddito complessivo – oneri deducibili = reddito imponibile (o base imponibile).
Reddito imponibile (o base imponibile) * aliquota d’imposta = imposta lorda. Imposta lorda – oneri
detraibili = imposta netta.
Le aliquote d’imposta sono:
a) NO TAX AREA fino a 8174 euro;
b) Fino a 15000, aliquota 23% (da 0 a 15, non si prende in considerazione la no tax area che
costituisce così una classe e non uno scaglione);
c) Oltre 15000 fino a 28000, aliquota al 27%;
d) Oltre 28000 fino a 55000, aliquota al 38%;
e) Oltre 55000 fino a 75000, aliquota al 41%;
f) Oltre 75000, aliquota al 43%.
Es. se reddito è 80000, tasso il primo scaglione al 23% sui 15000, poi il secondo scaglione e cosi via
(15000*0,23=3450, 13000*0,27=3510….. 5000 (80000-75000)*0,43=2150 fai la somma e viene
27570).
Gli ‘’oneri detraibili’’ differiscono dagli ‘’oneri deducibili’’ poiché, mentre i primi incidono
sull’imposta, i secondi incidono sulla base imponibile, risultando potenzialmente più vantaggiosi ai
contribuenti con redditi più elevati, sui quali scontano un’aliquota marginale più alta. La differenza
risiede anche nella scelta politica di che cosa può essere ‘’deducibile’’ e che cosa invece può essere
‘’detraibile’’. Un’ulteriore differenziazione può risiedere nel criterio della strumentalità per
incentivare settori lavorativi, e conseguentemente il mercato del lavoro (es. ecobonus al 110% per
i palazzi o condomini; es. bonus acquisto auto elettriche). Un’ulteriore differenza è in sede di
dichiarazione dei redditi.
Il cd ‘’minimo vitale’’ (art. 11 c. 2 TUIR) ha la stessa finalità degli oneri deducibili. Menziona a parte
invece hanno i cd redditi a tassazione separata elencati dall’art. 17 del TUIR (es. TFR).
Oneri deducibili: Sono spese sostenute dal contribuente, tra le quali: • contributi previdenziali ed
assistenziali obbligatori (versati da lavoratori autonomi); • i contributi versati alle forme
pensionistiche complementari (fondi pensione negoziali, aperti, individuali), per un importo
massimo di 5.165 €; • rendita catastale dell'immobile adibito ad abitazione principale; • contributi
e donazioni alle ONG per PVS, per un importo non superiore al 2% del reddito complessivo; •
erogazioni liberali ad istituzioni religiose, non-profit, università, enti di ricerca; • i contributi a fondi
integrativi del SSN.
Oneri detraibili: Sono spese sostenute dal contribuente per se o per i suoi familiari a carico, tra le
quali: 1. detrazioni per carichi familiari; 2. detrazioni per oneri al 19% o 26% (es. spese sanitarie);
3. detrazioni per canoni di locazione; 4. detrazioni per interventi di recupero del patrimonio
edilizio. Le finalità delle detrazioni dall’imposta lorda sono quelle di: 1. personalizzare il tributo in
relazione a circostanze che modificano la capacità contributiva; 2. introdurre agevolazioni e
incentivi in seguito a determinati impieghi del reddito ritenuti meritevoli di tutela e incentivo.
Il Principio dell’Autoliquidazione
Il Sistema tributario italiano si basa sulla partecipazione del contribuente alla: 1. Definizione del
presupposto impositivo; 2. Determinazione della base imponibile; 3. Calcolo del tributo; 4.
Versamento dell’imposta tramite il principio dell’autoliquidazione dell’imposta, introdotta dalla
Legge 576/1975. Attraverso la compilazione delle dichiarazioni tributarie, che sono gli atti con i
quali il contribuente porta a conoscenza dell’Amministrazione Finanziaria la realizzazione del
presupposto impositivo. Invero, nel nostro ordinamento esistono : • tributi che non prevedono
una dichiarazione (es. imposta di registro per atto da registrare); • tributi che prevedono una
specifica dichiarazione, che deve essere presentata dal soggetto passivo o “una tantum” (es.
variazione catastale di un immobile) o periodicamente (es. Imposte sui redditi o Iva).
La finalità delle dichiarazioni tributarie
Le dichiarazioni tributarie, che rappresentano un obbligo per i contribuenti, hanno diverse finalità:
• Rappresentare le vicende economiche rilevanti che si sono verificate durante l’esercizio di
competenza; • Permettere all’Amministrazione Finanziaria di operare un «monitoraggio fiscale»; •
Rendere note all’A.F. tutte le opzioni esercitate dai contribuenti (es. i criteri di tassazione di alcuni
proventi, il regime di tassazione, ordinario o separato, di alcune fattispecie imponibili). Alcune
dichiarazioni, tra cui quelle ai fini Iva e quelle presentate dai sostituti d’imposta, hanno un
contenuto riepilogativo di tutte le operazioni effettuate durante l’anno d’imposta. N.B. :La
dichiarazione tributaria è una «dichiarazione di scienza», ossia un atto con il quale il contribuente
dichiara ciò che egli conosce rispetto ad una determinata situazione fiscalmente rilevante. Ha
perciò natura volontaria e non negoziale, e permette all’Amministrazione Finanziaria di effettuare
un controllo.
Il controllo dell’Amministrazione Finanziaria sul comportamento del contribuente è quindi
successivo ed eventuale, e si sviluppa con uno specifico processo amministrativo: l’accertamento
tributario (D.P.R. 600/73). Gli organi dell’A.F. legittimati all’attività di controllo differiscono a
seconda della fase del controllo stesso: • Nella fase istruttoria, gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate e
la Guardia di Finanza hanno il potere di raccogliere elementi, dati e notizie per l’eventuale
accertamento. Questa fase può essere svolta sia internamente attraverso questionari o inviti a
comparire, che presso il luogo dove il contribuente svolge la propria attività, attraverso accessi,
ispezioni e verifiche; • Nella fase di accertamento, solo gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate hanno il
potere di emanare un atto impositivo, qualora dal controllo risulti un esito irregolare.
REDDITI FONDIARI (artt. 25-43 TUIR):
i redditi fondiari sono i redditi inerenti ai terreni e ai fabbricati, i quali sono ubicati nel territorio
dello Stato e sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel
catasto edilizio urbano (art. 25 TUIR). Caratteristica comune dei redditi fondiari è il sistema di
determinazione dell’imposta, in cui riveste un ruolo essenziale il catasto. Terreni e fabbricati sono
beni suscettibili di produrre nuova ricchezza e sono tassati indipendentemente dalla produzione o
percezione di un’entrata in termini monetari o in natura. La base imponibile dei redditi fondiari è
determinata sulla base di indici di ricchezza figurativi i quali rappresentano ‘’il reddito medio
ordinario ritraibile’’ dal terreno o dal fabbricato. I redditi fondiari possono essere di tre tipi : a)
redditi domenicali dei terreni; b) redditi agrari dei terreni; c) redditi dei fabbricati. Gli immobili
censiti nel catasto fabbricati sono classificati in categorie, assegnate in base alla normale
destinazione d’uso di ciascun immobile e in classi. Fanno eccezione a tale modello impositivo, i
canoni di locazione, la cui base imponibile è costituita dall’ammontare dei canoni di locazione
maturati nel periodo d’imposta, indipendentemente dalla loro percezione. Su opzione del
contribuente, i redditi derivanti dalla locazione degli immobili a uso abitativo e relative pertinenze
possono essere tassati mediante applicazione di un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi, la
cd ‘’cedolare secca’’ con aliquota al 21% (anche se negli ultimi anni ci è stato un dibattito
sull’aumento di tale aliquota). In tal caso è esclusa la deduzione degli oneri. Per quanto concerne
l’IMU va pagata solo dalla seconda casa in poi e non sulla prima. Sulla prima casa c’è una
deducibilità integrale della rendita catastale in quanto la casa costituisce un bene di prima
necessità. I redditi fondiari vengono tassati ex post.
REDDITI DI CAPITALE (artt. 44-48 TUIR):
‘’I redditi di capitale sono redditi derivanti dall’impiego di capitale finanziario non nell’esercizio
d’impresa’’ (es. utili su azione o rendite perpetue). I redditi di capitale sono essenzialmente di due
tipi: a) proventi derivanti dalla partecipazione in società ed enti (es. dividendi); b) interessi
remunerativi e altri proventi che derivano da mutui ed altre forme di impiego di capitale. Oggetto
di tassazione è l’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti senza alcuna deduzione.
L’attuazione del prelievo avviene in genere mediante meccanismi di ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta (cioè sono tassati ex ante). La maggior parte dei redditi di capitale sono soggetti a regimi
sostitutivi rispetto l’IRPEF: tassazione separata. Se questi redditi non sono già tassati dalla banca
(che fa da sostituto d’imposta), tali redditi seguono un percorso diverso rispetto agli scaglioni
dell’IRPEF.
REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE (artt. 49-52 TUIR):
ai sensi dell’articolo 42 del TUIR ‘’ sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti
aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la
direzione di altri’’. I redditi di lavoro dipendente sono qualificati in funzione: a) della tipologia del
rapporto da cui origina il reddito; b) del nesso di derivazione tra reddito e rapporto di lavoro
dipendente. Quindi il tratto essenziale e distintivo del reddito di lavoro dipendente è il vincolo di
subordinazione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Nei redditi di
lavoro dipendente troviamo ‘’tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel
periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro ’’
(art. 51 TUIR). Vengono così considerati non solo il salario o lo stipendio ma anche indennità o i cd
fringe benefits. Costituiscono altresì redditi di lavoro dipendente: a) le somme erogate in
sostituzione del reddito di lavoro dipendente (es. cassa integrazione, indennità di
disoccupazione...); b) risarcimenti per il cd ‘’lucro cessante’’ o ‘’danno emergente’’; c)le pensioni e
assegni equiparati; d) i rimborsi spese.
L’articolo 50 TUIR inquadra i ‘’redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente’’ come i redditi di
lavoro dipendente a fini fiscali.
I redditi di lavoro dipendente sono tassati ex ante (quindi il datore di lavoro, stato o soggetto
privato, svolge la funzione di sostituti d’imposta)
REDDITI DI LAVORO AUTONOMO (artt. 53-53 TUIR):
Ai sensi dell’articolo 54 del TUIR ‘’sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano
dall’esercizio di arti e professioni’’. La norma precisa che ‘’per esercizio di arti e professioni si
intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo
diverse da quelle considerate nel capo IV’’ e cioè quelli di reddito d’impresa (capo IV è redditi
d’impresa). Non c’è un vincolo di subordinazione tra lavoratore e datore di lavoro e rientrano tra
tali redditi anche i redditi dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno e di brevetti
industriali, se non conseguiti nell’esercizio d’impresa. Concorrono alla formazione del reddito i
compensi percepiti nel periodo d’imposta. In queto caso, il reddito imponibile è un reddito netto:
in quanto bisogna fare la differenza tra compensi percepiti nel periodo d’imposta e le spese
sostenute per la produzione di tale reddito (oneri deducibili come es. auto) e sono al netto dei
contributi assistenziali e previdenziali versati nell’anno. Tale categoria di redditi sono tassati ex
post. Le modalità di determinazione dei redditi di lavoro autonomo che concorrono alla
formazione del reddito complessivo sono ampiamente derogate, qualora il soggetto passivo opti
per l’applicazione del c.d. ‘’regime forfettario’’ introdotto dalla legge 23 dicembre 2014 n. 190.

REDDITI D’IMPRESA (artt. 55-66 TUIR):


la categoria dei redditi d’impresa ricomprende sia redditi che sono considerati d’impresa sulla
base di elementi di tipo oggettivo, cioè relativi a caratteristiche proprie dell’attività produttiva, sia
redditi che sono considerati d’impresa in base a criteri di tipo soggettivo, cioè sulla base della
natura giuridica del soggetto passivo.
L’articolo 55 del TUIR stabilisce che sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di
imprese commerciali. Per ‘’esercizio’’ si intende ‘’l’esercizio per professione abituale, ancorchè
non esclusiva’’, delle seguenti attività, ‘’anche se non organizzate in forma d’impresa’’:
- Attività indicate dall’art. 2195 c.c.:
a) Attività industriale dirette alla produzione di beni o servizi;
b) Attività intermediaria nella circolazione di beni;
c) Attività di trasporto;
d) Attività bancarie;
e) Attività ausiliarie alle precedenti.
Questo è anche l’articolo del c.c. che definisce l’imprenditore commerciale, i punti c,d,e
possono essere ricompresi nei primi due punti perché sono il carattere di
‘’industrialità’’ e di ‘’intermediazione’’ che qualificano l’imprenditore commerciale.
- Attività agricole indicate dall’articolo 32, c. 2 lettere b e c del TUIR (categorie simili a
quelle dell’art. 2135 c.c. che qualifica l’imprenditore agricolo).
Le imprese commerciali generano redditi d’impresa in presenza di determinati requisiti oggettivi
che sono: -‘’esercizio per professione abituale’’, cioè attività svolte in modo continuato nel tempo
e non meramente occasionale; - irrilevanza dell’esclusività dell’attività commerciale; - irrilevanza
del requisito dell’’’organizzazione in forma d’impresa’’ (ai fini fiscale non vale la nozione di
imprenditore data dall’art. 2082 ma un’attività commerciale è suscettibile di produrre redditi
d’impresa anche in assenza di un’organizzazione in forma d’impresa).
L’art. 55 c.2 del TUIR individua altre tre tipologie di attività produttive di redditi d’impresa: a)
prestazioni di servizi non rientranti nell’articolo 2195 c.c. purchè organizzate in forma d’impresa;
b) attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, e altre acque interne; c) attività
agricole, anche al di sotto dei requisiti dimensionali individuati dall’art. 32 del TUIR.
I redditi d’impresa individuati sulla base di requisiti soggettivi sono: - redditi delle s.n.c. e s.a.s. (art.
6 c.3 TUIR) (pagano l’IRPEF); - il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui
alle lettere a) e b) c.1 art. 73 TUIR (s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., società cooperative, di mutua
assicurazione, società europee) (soggetti all’IRES).
Le regole di determinazione del reddito d’impresa sono contenute nel titolo II del TUIR (artt. 81 e
ss). Il criterio principale nella determinazione del reddito d’impresa è contenuto nell’art. 83 del
TUIR, recante la disciplina del cd principio di derivazione dal risultato economico civilistico. L’art.
83 afferma che: ‘’ il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita
risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in
aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive
disposizioni della presente sezione’’. In particolare: - le variazioni in aumento incrementano il
risultato del conto economico civilistico per effetto di norme tributarie che escludono, in tutto o in
parte, la deducibilità di costi imputati a conto economico oppure includono proventi non imputati
nel conto economico secondo le regole civilistiche; - le variazioni in diminuzione, diminuiscono il
risultato del conto economico civilistico, per effetto dell’applicazione di norme tributarie che
consentono di escludere proventi imputati a conto economico oppure includere costi non imputati
al conto economico secondo le regole civilistiche.
Il TUIR individua una serie di principi che regolano la determinazione del reddito d’impresa, in
particolare:
- Principio di competenza (art. 109 c.1 TUIR), in virtù del quale le componenti positive e
negative concorrono a formare il reddito del periodo d’imposta in cui è maturato il
relativo diritto di credito e debito indipendentemente dal momento d’incasso, purchè
ne sia certa l’esistenza e determinabile in modo obiettivo l’ammontare (tale principio
viene derogato alcune volte prendendo in considerazione l’incasso o l’esborso, cassa
quindi e non competenza);
- Principio della previa imputazione a conto economico (art. 109 c. 4 TUIR), in virtù del
quale le componenti negative del reddito non sono ammesse in deduzione se e nella
misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di
competenza;
- Principio di inerenza (art. 109 c.5 TUIR), secondo cui i componenti negativi di reddito
eccezion fatta per gli interessi passivi sono deducibili se e nella misura in cui si
riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a
formare il reddito.
Tali principi non trovano applicazione o sono ampiamente derogati con riferimento ai regimi
forfettari di determinazione forfettaria del reddito d’impresa. È il caso: - del regime forfettario
previsto dall’art. 56-bis del TUIR per determinate attività agricole individuate dalla norma,
esercitate da imprenditori individuali, s.s. , o società di fatto esercenti attività non commerciali, le
quali sono ammesse a determinare il reddito mediante coefficienti di redditività che sono il 15% o
il 25% a seconda delle attività; -cd ‘’imprese minori’’ con ricavi < 400000 $ se esercitano attività di
servizi o < 700000 $ se non esercitano attività di servizi, sono ammesse al regime di contabilità
semplificata; - regime fiscale agevolato invece per i contribuenti persone fisiche esercenti attività
d’impresa, arti e professioni individuate dalle categorie ATECO.
Che succede se il reddito di impresa è negativo? L’art. 56 del T.U.I.R. regola il trattamento delle
perdite fiscali realizzate dai soggetti IRPEF. La norma fornisce i criteri di utilizzo delle perdite fiscali
in ambito IRPEF. In particolare, si prevede che: • Per le imprese in regime ordinario, le perdite
possono essere utilizzate solo per compensare redditi della stessa categoria e l’eccedenza può
essere riportata agli esercizi successivi (ma, comunque, non oltre il quinto per le perdite diverse da
quelle realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione articoli 8 e 84 del
T.U.I.R.) • Per le imprese minori ex art. 66 del T.U.I.R., le perdite possono essere utilizzate per
compensare il reddito complessivo (dunque, non necessariamente redditi appartenenti alla stessa
categoria di redditi) sino a concorrenza dello stesso; tuttavia, l’eccedenza non può essere riportata
ai periodi d’imposta successivi (art.8 del T.U.I.R.).
I redditi d’impresa vengono tassati ex post.
REDDITI DIVERSI (artt.67-71 TUIR):
è una categoria residuale, es. redditi fondiari degli immobili ubicati all’estero o non iscrivibili al
catasto, i redditi derivanti da attività d’impresa o di lavoro autonomo esercitate in modo
occasionale, plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili acquistati o costruiti da meno di 5
anni, le plusvalenze da cessione di partecipazioni sociali (capital gain), di titoli obbligazionari,
redditi conseguiti mediante contratti a termine e prodotti derivati (swap, option, future, ecc..),
premi, vincite ed indennità. Per la determinazione di tali redditi sono dettate regole specifiche
riferite a ciascuna tipologia reddituale inquadrata nella categoria (artt. 68-71 TUIR). Vengono
tassati ex ante. Come per I redditi di capitale, i redditi diversi sono spesso assoggettati regimi
sostitutivi dell’IRPEF.
IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETà (IRES):
l’imposta su reddito delle società, denominata IRES, è stata introdotta nell’ordinamento tributario
nel 2004 a sostituzione dell’IRPEG.
I principali elementi e le caratteristiche dell’Imposta sul Reddito delle Società (IRES):
• Presupposto: possesso del reddito d’impresa (art.72 T.U.I.R, D.P.R. 917/1986);
• Base Imponibile: (art. 74 T.U.I.R) L’imposta si applica sul reddito complessivo netto, ovunque
prodotto, secondo le disposizioni relative al reddito d’impresa;
• Aliquota: dal 2017 è al 24%, essa è un’imposta diretta, personale, proporzionale con aliquota
fissa.
• Periodo d’imposta: esercizio determinato dalla legge o dall’atto costitutivo.
IRPEF imposta progressiva per scaglioni (personalizzazione del tributo in base alla capacità
produttiva); IRES imposta proporzionale (tutti i soggetti passivi scontano l’imposta del 24%) (quindi
tm=tM, elasticità = 1).
I soggetti passivi sono definiti dall’art. 73 del TUIR e sono: - società di capitali (s.p.a., s.r.l., s.a.p.a.);
- società commerciali e società di mutua assicurazione; - enti pubblici e enti privati diversi dalle
società, residenti in Italia, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività
commerciali; - enti non commerciali pubblici e privati; - società ed enti di ogni tipo, con o senza
personalità giuridica, non residenti; OICR istituiti in Italia. Si evince che la residenza e la natura
commerciale dell’ente giocano un ruolo fondamentale per l’identificazione dei soggetti passivi
sottoposto al regime dell’IRES. I soggetti passivi esclusi, invece, sono gli organi e le amministrazioni
dello Stato, i Comuni e i consorzi tra gli enti locali.
Le società di capitali sono assoggettate a un tributo distinto rispetto a quello che colpisce il reddito
delle persone fisiche (eccezione: S.r.l. con un numero di soci < 10, che può richiedere la tassazione
per trasparenza). Questo deriva da una capacità contributiva autonoma rispetto a quella dei soci
che ne detengono il capitale sancendo così il principio di distinzione tra proprietà e controllo. Il
reddito imponibile ai fini IRES è il risultato del conto economico nel bilancio dell’impresa (utile o
perdita) determinato con il principio della competenza economica (e non secondo il principio di
cassa!). Per quanto riguarda le componenti negative di reddito, esse sono deducibili, ai sensi
dell’art. 109, co.5 del T.U.I.R., solo se si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri
proventi imponibili (principio di inerenza).
Gli utili delle società di capitali saranno quindi tassati ai fini IRES in capo alla società e, se
distribuiti, formeranno, in regime di tassazione separata (capital gain). A questo punto si aprono
due scenari (1 IRPEF su IRES e 2 IRES su IRES). 1) Se i beneficiari sono persone fisiche (IRPEF su
IRES), i redditi a oggetto subiscono un trattamento differente a seconda che il soggetto percipiente
sia o meno un imprenditore (art 47 TUIR): nel caso di dividendi percepiti da persone fisiche non
imprenditori, essi rappresentano redditi di capitale; mentre nel caso di dividendi percepiti da
persone fisiche imprenditori essi rappresentano redditi d’impresa. In questi casi si applica una
ritenuta a titolo d’imposta IRPEF nella misura del 26% sull’intero dividendo. 2) se invece i
beneficiari sono persone giuridiche (IRES su IRES), i redditi ad oggetto saranno imponibili per il 5%
(art. 89 TUIR, che esclude il 95% dell’ammontare dei redditi, quindi si paga il 5%). Tali meccanismi
mirano ad evitare forme di doppia imposizione fiscale sugli stessi redditi. La tassazione sui
dividendi avviene seguendo il principio di cassa e quindi un’importante deroga al principio di
competenza che permea l’intero meccanismo di imposizione fiscale dell’IRES. (principio di cassa
avviene quando c’è l’effettiva percezione di quel determinato reddito, mentre il principio di
competenza si ha quando sorge l’obbligazione e il momento dell’iscrizione a bilancio d’esercizio).
Un dividendo viene tassato in Italia ogniqualvolta un soggetto che li eroga è un soggetto residente
in Italia, indipendentemente dal fatto che il soggetto che li percepisce sia residente o meno in
Italia, e quando sono percepiti da un soggetto residente, se il soggetto che li eroga non è residente
in Italia. (attualità, importante nel discorso dei dividendi è il fenomeno del cambio di residenza
fiscale e legale che sta avvenendo in Italia con le grandi imprese, soprattutto holding, che
cambiano residenza nei cd ‘’paradisi fiscali’’ come Lussemburgo e Olanda per pagare meno
imposte sui dividendi, anche se pagano un’exit tax pari a 170 milioni).
Un’altra categoria di soggetti passivi IRES sono gli Enti non Commerciali. N.B. Distinzione tra Ente
Non Profit ed Ente non commerciale. Ente non Profit: Ente che non distribuisce utili o avanzi di
gestione pur realizzandoli Ente non commerciale: Ente la cui attività prevalente non è di natura
commerciale. L’Ente non commerciale può, ad esempio, avere come attività prevalente un’attività
istituzionale o perseguire fini di pubblica utilità. Concetto Chiave: Individuare se gli Enti svolgano in
via esclusiva o prevalente attività commerciale. Ad esempio, consideriamo un’Associazione che
persegue fini istituzionali. Per distinguere un ente commerciale da un ente non commerciale
dobbiamo considerare che: •L’oggetto esclusivo o principale dell’ente va determinato in base alla
legge, all’atto costitutivo o allo statuto se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata
autenticata; •Se dall’atto costitutivo o dallo statuto non si evince l’attività principale, l’oggetto
principale va determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato
italiano; •Per gli Enti non residenti l’attività principale va valutata in base all’attività effettivamente
esercitata nel territorio dello Stato italiano.
Le differenze riguardanti il periodo d’imposta tra IRPEF e IRES possono essere così sintetizzate:
IRPEF l’anno solare costituisce il periodo d’imposta naturale, mentre per l’IRES il periodo
d’imposta è costituito dall’esercizio o periodo di gestione previsto dalla legge o dall’atto costitutivo
(possono avere lo stesso periodo d’imposta, però una differenza per esempio riguarda il periodo
d’imposta per le società di calcio).
Abbiamo visto come i titolari di reddito d’impresa possono chiudere il periodo d’imposta con una
perdita fiscale. Concetto chiave: I soggetti passivi IRES hanno regole differenti rispetto ai soggetti
IRPEF. L’art.84 del T.U.I.R. stabilisce che i soggetti IRES possono: - Compensare le perdite fiscali
realizzate nei primi tre periodi d’imposta in misura piena (100%). - Compensare le perdite fiscali
realizzate nei successivi periodi d’imposta non più in maniera integrale, ma sino alla concorrenza
dell’80% del reddito imponibile. Le perdite fiscali possono essere riportate a nuovo senza
limitazioni temporali e non esiste un ordine di priorità nell’utilizzo delle stesse. Tali disposizioni
consentono alle imprese di abbattere i redditi imponibili dei futuri esercizi e di conseguenza di
abbattere il relativo carico fiscale che queste sono tenute a pagare. (per questo ci dev’essere un
costante controllo da parte dello Stato). Esempio di trattamento delle perdite:
Si riporta di seguito un esempio di compensazione di perdite relative a periodi d’imposta successivi
al terzo (compensazione sino all’80% del reddito imponibile):
Reddito di periodo: 1.000€
Perdite Riportabili da esercizio precedente: 1.200€
Perdita utilizzabile in compensazione: 800€ (80% di 1.000€)
Reddito assoggettato ad Imposizione: 200€ (reddito di periodo- perdita utilizzabile in
compensazione).
Aliquota d’imposta per l’anno 2017: 24%
IRES dovuta: 48€ (200€ x24%)
La perdita residua, pari a 400€ (1.200€ - 800€), è riportabile negli esercizi successivi.

CAPITOLO 11 ‘’LE PRINCIPALI IMPOSTE INDIRETTE’’


Le prime imposte sui consumi furono introdotte per finanziare gli oneri della prima guerra
mondiale. Le ragioni che hanno portato l’Italia a introdurre l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA)
risalgono agli impegni presi con la firma del Trattato istitutivo della CEE del ’57. Con riferimento
all’IVA tale norma ha imposto la sostituzione delle previgenti imposte cumulative plurifase (o a
cascata) con l’imposta plurifase sul valore aggiunto. Il legislatore italiano ha recepito la norma
europea con il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 istituendo l’IVA (a seguire Decreto IVA). Sotto il
profilo economico, Imposta sugli scambi (che è un’imposta indiretta e generale, dove all’interno
troviamo l’IVA) può colpire: - l’intero valore di un bene (imposta sul valore pieno); -l’incremento di
valore (l’imposta sul valore aggiunto, IVA). Dal punto di vista applicativo, nel corso di un ciclo
produttivo e distributivo di un bene, l’imposta può essere applicata: - una sola volta (imposta
monofase); - più volte (imposta plurifase). L’imposta plurifase a sua volta può essere: -imposta
plurifase sul valore pieno, cioè colpisce tutti gli stadi su l’intera imposta riscossa alla vendita;
-imposta plurifase sul valore aggiunto (IVA), intende tassare il valore globale dio tutti i beni e
servizi, senza salti d’imposta e doppie o plurime imposizioni.
L’imposta monofase viene commisurata al prodotto o al servizio, in una singola fase del processo
produttivo. Presenta delle problematiche come che il gettito fiscale dipende dalla fase di
applicazione dell’imposta, per ottenere un elevato livello di gettito bisogna applicare un’aliquota
elevata ed ha un’elevata vulnerabilità all’evasione.
L’imposta plurifase sul valore pieno colpisce, con un’aliquota generalmente moderata, il
corrispettivo di tutte le vendite e, in certi casi, anche tutti i servizi prestati dalle imprese. Il carico
fiscale per l’impresa è limitato se l’impresa è integrata verticalmente.
L’imposta plurifase sul valore aggiunto (IVA), si calcola come la somma delle differenze tra le
imposte nelle varie fasi del ciclo produttivo. Anche questa imposta (come quella sopra), grava
complessivamente sul bene e dipende dal numero degli scambi che caratterizzano il processo
produttivo. Il carico fiscale è limitato se l’impresa è integrata verticalmente. Tale imposta, insieme
a quella sul valore pieno e a differenza di quella monofase, riescono a raggiungere un adeguato
livello di gettito applicando aliquote contenute ed è esposta meno a fenomeni di evasione. Tale
imposta può essere calcolata con il metodo: - base da base, in cui l’imposta è applicata in ogni fase
sulla differenza tra il livello di vendite e quello degli acquisti in ogni stadio della produzione;
-imposta da imposta, in cui l’imposta è applicata in ogni fase sull’intero valore del bene venduto e
il venditore può detrarre l’imposta pagata a monte.
La base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) può essere riferita a tre tipologie di
trattamento dell’imposta pagata sui beni d’investimento: - Reddito Lordo, se l’imposta corrisposta
sui beni d’investimento non è ammessa in detrazione; - Reddito Netto, se l’imposta corrisposta sui
beni d’investimento è ammessa in detrazione in proporzione alla quota di ammortamento dei beni
utilizzati nel periodo preso in considerazione; -Consumo, se l’IVA pagata sui beni di investimento è
ammessa in detrazione in misura integrale.
Le operazioni imponibili: comprendono tutte le cessioni di beni, prestazioni di servizi, acquisti
intracomunitari di beni e importazioni per cui ricorrono tutti i presupposti dell’art. 1 del Decreto
IVA.
Le operazioni non imponibili: sono costituite da quelle operazioni che, pur essendo
oggettivamente qualificabili come cessioni di beni o prestazione di servizi ed effettuate da soggetti
passivi dell’imposta, sono qualificate per legge come non imponibili e non implicano l’obbligo di
pagamento dell’IVA.
Le operazioni esenti: sono quelle operazioni che, sebbene rispettino tutti i requisiti per
l’applicazione dell’imposta, sono esentate dal pagamento dell’imposta per ragioni sociali,
economiche nonché di tecnica fiscale. Sono comunque assoggettate agli obblighi formali di
fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione e comportano l’impossibilità di detrarre
l’IVA.
Le operazioni escluse: sono escluse dall’applicazione della disciplina dell’IVA, le operazioni che
non sono considerate cessioni dei beni oppure prestazione dei servizi.
La base imponibile dell’IVA vigente in Italia è commisurata al consumo. L’aliquota ordinaria è del
22%, sono previste aliquote ridotte come quella del 10% (operazioni elencate nella Tab. A), 5% per
le operazioni socio-sanitarie rese dalle cooperative (TAB. A, parte secondaBis), e 4% per la
cessione di beni di prima necessità.
I presupposti impositivi dell’IVA:
Il presupposto oggettivo: ai fini della realizzazione del presupposto impositivo oggettivo, l’art. 2
del decreto IVA prescrive l’esistenza di un atto oneroso con effetto giuridico traslativo o
costitutivo.
Il presupposto soggettivo: gli artt. 4 e 5 del decreto IVA prescrivono che i beni e i servizi vengano
ceduti e forniti nell’esercizio in forma abituale ancorchè non esclusiva, dell’attività d’impresa o di
quella artistica e professionale. Viene estesa una nozione estesa di imprenditore commerciale. A
norma dei nn. 1 e 2 del c.2 dell’art. 4 del decreto IVA, le operazioni poste in essere da attività
commerciali di ogni tipo oppure da enti pubblici o privati nonché le società semplici, si
considerano in ogni caso esercitate nell’esercizio d’impresa. Anche le importazioni realizzano il
presupposto dell’IVA, sono qualificate come importazioni le introduzioni di merci provenienti da
paesi non UE. Il presupposto soggettivo trova applicazione sulle operazioni da chiunque effettuate.
Il presupposto territoriale: la definizione di presupposto territoriale la ritroviamo nell’art. 7 lett. a)
del decreto IVA. In particolare, per la cessione di beni è prescritto che il bene sia ubicato nel
territorio dello Stato al momento della cessione, senza che rilevi il luogo di conclusione del
contratto (art. 7 bis, c. 1). Le prestazioni di servizi se rese nei confronti dei soggetti passivi (cd. b2b)
si considerano effettuate nel territorio italiano quando il committente è un soggetto passivo ivi
stabilito, mentre quelle nei confronti di committenti diversi dai soggetti passivi (cd. B2c) si
considerano effettuate nel territorio dello Stato quando il prestatore è stabilito nel territorio dello
Stato medesimo (art. 7 ter, c.1 lett. a) e b)).
I soggetti passivi: i soggetti passivi dell’IVA sono coloro che effettuano cessioni di beni e
prestazione di servizi nell’esercizio d’impresa, di arti e professioni e chiunque effettui importazioni
extra UE. I contribuenti di fatto sono i consumatori finali i quali versano l’IVA ma non hanno diritto
di recuperarla.
Il momento impositivo dell’IVA viene rappresentato dal momento in cui vengono effettuate le
operazioni rilevanti ai fini dell’IVA. In particolare, per la cessione dei beni immobili si considerano
effettuate al momento della stipula dell’atto traslativo, mentre per i beni mobili assume rilevanza
la consegna o la spedizione del bene (art. 6 decreto IVA). Per le prestazioni di servizi il momento
impositivo corrisponde con il pagamento del corrispettivo (art, 6 decreto IVA).
Il regime impositivo fruibile per le imprese e professionisti piò assumere tre forme:
1) Regime forfettario (agevolato): consente di applicare sul reddito un’unica imposta
sostituiva in sostituzione di quelle ordinariamente previste (es. imposte sui redditi, irap…)
con aliquota del 15%;
2) Regime semplificato per cassa (o ‘’imprese minori’’): il reddito viene determinato facendo
riferimento ai ricavi effettivamente incassati, a prescindere dalla competenza economica;
3) Regime ordinario: è obbligatorio per le S.p.a., S.r.l., S.a.p.a., e dipende dall’ammontare dei
ricavi per s.n.c., s.a.s. e persone fisiche.
La liquidazione dell’IVA consente di far emergere un debito o un credito d’imposta in relazione
alle operazioni imponibili effettuate in un determinato arco temporale infrannuale (di solito
mensile, anche se per le cd imprese minori è trimestrale). Il versamento del tributo ha luogo
cumulativamente in esito alla liquidazione periodica dell’imposta avente ad oggetto tutte le
operazioni effettuate nel periodo di riferimento. La compensazione tra debito e credito si renderà
definitiva solo in sede di presentazione della dichiarazione annuale.
L’Iva viene incassata molto più velocemente rispetto alle imposte sui redditi (es IRPEF), infatti le
imposte sui consumi vengono incassate entro l’anno (ogni mese o ogni 3 mesi) mentre le imposte
sui redditi possono essere incassate anche entro due anni essendoci quindi una grande differenza
temporale fra le due imposte. L’IVA se aumenta del 1% non ha grandi effetti per i singoli soggetti
passivi mentre crea un grande incremento di gettito fiscale per lo Stato.
IRAP E DECENTRAMENTO FISCALE
Il federalismo fiscale è il meccanismo per cui un territorio sia investito di risorse dello Stato. Il
federalismo fiscale ci dice quali competenze deve avere lo Stato e quali competenze deve avere la
Regione. Il decentramento fiscale è l’applicazione pratica delle teorie federaliste. Il decentramento
fiscale è il processo delle capacità per gestire le risorse a disposizione, oltre al livello di
competenze dei servizi.
Con il decentramento fiscale abbiamo una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni
pubbliche, una diversità delle preferenze dei governi locali e una maggiore efficienza nella
gestione degli aspetti locali. Con l’accentramento fiscale abbiamo, invece, un’uguaglianza
nell’offerta di servizi pubblici e il perseguimento di politiche di redistribuzione e di stabilizzazione.
Sono possibili tre modelli: 1) Modello Centralista, in cui le funzione sono svolte solo dall’organo
legislativo centrale, c’è una stretta sorveglianza nell’erogazione dei servizi e c’è controllo centrale
delle forme di finanziamento agli enti locali; 2) Modello Regionale, in cui alcune funzioni sono
trasferite a livello regionale, c’è una parziale autonomia fiscale e le regioni non possono istituire
nuovi tributi; 3) Modello Federale, in cui è assente il carattere unitario dello Stato, gli Stati
autonomi che si uniscono per realizzare obiettivi comuni e c’è una piena potestà tributaria degli
Stati autonomi.
Le spinte autonomistiche possono dare una maggiore spinta alla responsabilizzazione delle
amministrazioni pubbliche.
I tre modelli definiscono l’articolazione delle funzioni del settore pubblico in base a due criteri
alternativi: • Criterio geografico – territoriale Alcuni Enti hanno competenza su un territorio
limitato • Criterio funzionale Enti svolgono una sola funzione – es. sanità – a livello nazionale.
Le tre funzioni principali dello Stato (vedi teoria Musgrave) possono essere svolte anche a livello
decentrato? - Funzione di allocazione (servizi offerti ai cittadini) a livello locale verrebbero forniti
servizi pubblici specifici per ogni comunità; - Funzione di redistribuzione (assistenza, previdenza,
sanità) più equo a livello centrale; - Funzione di stabilizzazione (pieno impiego) più efficiente a
livello centrale.
Le forme di finanziamento agli enti decentrati possono essere di 3 tipi: 1. Tariffe e/o tasse (es.
tassa sui rifiuti) 2. Imposte (es. IRAP, IMU, addizionali IRPEF) 3. Trasferimenti dallo Stato o da altri
enti locali (es. contributi).
IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive)
L’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) è un’imposta reale (cioè colpisce la ricchezza
senza tenere conto degli aspetti personali del contribuente) che assoggetta a tassazione il valore
aggiunto netto realizzato da attività dotate di autonoma organizzazione. È stata introdotta con il D.
Lgs. Del 97 n. 446. Quindi, l’IRAP è un’imposta reale, regionale, rivolta a chi esercita abitualmente
attività produttive organizzate, sostitutiva (poiché sostituisce una serie di precedenti imposte tipo
ILOR, ICIAP). L’IRAP è stata introdotta per ridurre il costo del lavoro, semplificare il sistema
tributario (es. eliminazione ICIAP), diminuzione del vantaggio fiscale dell’indebitamento con il
conseguente neutralità del sistema tributario, compensare le Regioni per i servizi resi (cd principio
del beneficio), prevedere un decentramento del prelievo dello Stato, fornire un grado di
autonomia maggiore alle Regioni.
Presupposto IRAP:
L’IRAP assoggetta a tassazione il valore aggiunto netto, ovvero: «Il valore dei beni e servizi
prodotti, in un dato intervallo di tempo, da un’impresa con l’applicazione dei fattori produttivi
(terra, lavoro, capitale finanziario, imprenditorialità), al netto dei costi sostenuti per l’acquisto di
materie prime e prodotti intermedi». Il presupposto è l’esercizio abituale di un’attività
autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni o alla produzione di
servizi. L’IRAP è dovuta esclusivamente sulle attività produttive svolte nel territorio dello Stato e in
particolare spetta alla Regione nel cui territorio l’attività è stata esercitata (cd principio di
territorialità). Se l’attività è svolta in più regioni, si considera prodotto nel territorio di ogni Regione
il valore della produzione netta. I soggetti passivi dell’IRAP sono: Società di Capitali, Società di
Persone, imprese individuali, lavoratori autonomi, prodotti agricoli, enti non commerciali e
amministrazioni pubbliche (es. gruppi parlamentari). I presupposti oggettivi dell’IRAP sono:
esercizio di un’attività abituale, attività autonomamente organizzata, attività di produzione di beni
o prestazione di servizi (aliquote differenziali per Regioni e deduzioni per le PMI).
Base imponibile
La base imponibile IRAP è determinata come differenza tra: + Valore della Produzione (voce A del
conto economico) - Costi della Produzione (voce B del conto economico), con esclusione dei: Costi
del personale, Svalutazione delle immobilizzazioni, Svalutazioni dei crediti, Accantonamenti per
rischi, Altri accantonamenti.
Aliquota IRAP
L’aliquota base dell’IRAP, da applicare alla base imponibile, è 3,90%. Ogni Regione può prevedere
autonomamente di: Introdurre deduzioni/detrazioni specifiche; Introdurre speciali agevolazioni;
Applicare una maggiorazione o una diminuzione entro certi limiti (massimo 0,92%).
Esempio vedi slide IRAP.
Imposta di registro:
è un tributo indiretto di natura cartolare, il cui presupposto impositivo è collegato alla produzione
e/o alla sottoscrizione di atti e documenti giuridicamente rilevanti. A seconda del tipo di atto,
l’imposta si rende dovuta in termine fisso oppure in caso d’uso. Sono soggetti a termine fisso: gli
atti indicati nella tariffa allegata al TUR, i contratti di locazione, operazioni societarie, atti formatasi
all’estero. Sono soggetti a registrazione d’uso: gli atti individuati mediante rinvio ad altre
disposizioni, scritture private non autenticate. L’imposta può essere fissa, minima, predeterminata
o proporzionale.
Imposta di bollo:
anche questa imposta è un tributo indiretto di natura cartolare, il cui presupposto impositivo è
collegato alla produzione e/o alla sottoscrizione di atti e documenti giuridicamente rilevanti,
indipendentemente dal contenuto sottostante. A seconda del tipo di atto, l’imposta si rende
dovuta in misura fissa o proporzionale, sin dall’origine oppure solo in caso di uso. L’imposta di
bollo può essere corrisposta mediante contrassegno o in modo virtuale.
Elusione ed evasione fiscale:
L’evasione fiscale è un comportamento (o un insieme di comportamenti) con il quale un
contribuente, benché soggetto passivo di un tributo, occulta o altera la sua materia imponibile al
fine di sottrarsi, in tutto o in parte, agli obblighi previsti dalla legge. L’elusione fiscale è un
comportamento che consiste nel ricorso ad atti e negozi giuridici artificiosi per ridurre l’imposta od
ottenere agevolazioni non dovute. Nel nostro ordinamento sia l’evasione che l’elusione sono
illegali. Es. evasione sono occultamento di patrimoni, dichiarazione di costi inesistenti,
dichiarazione parziale dei ricavi. L’evasione si distingue in: - Evasione domestica; - Evasione
internazionale (paradisi fiscali); - Elusione finanziaria (trasfer pricing, es. Holding olanda). Esistono
diverse tipologie di paradisi: - Paradisi societari cioè paesi che consentono l’apertura di società
senza un capitale minimo e che non devono depositare il bilancio; - Paradisi bancari cioè Stati che
hanno stipulato accordi con le banche locali per assicurare il segreto bancario; - Paradisi penali
cioè Paesi dove il falso in bilancio, l’evasione o la corruzione non sono considerati dei reati;
-Paradisi fiscali cioè Paesi con un imposizione fiscale con aliquote molto ridotte o pressoché nulle.
L’Italia è prima in Europa per evasione fiscale con ben 190,9 miliardi di euro. 190 miliardi sono di
fatto una cifra che rappresenta 4 volte, se non 5, l'ultima manovra finanziaria. Oppure si può dire
che sia il doppio di quanto lo Stato spende ogni anno per la spesa sanitaria nazionale. Una cifra in
crescita rispetto allo stesso studio di un anno prima e che segna come ogni manovra messa in
campo dai governi che si sono succeduti in questi anni non hanno alcun peso e non riescono a
porre un freno a quella che è una vera e propria piaga per il nostro paese. La prima posizione per
evasione fiscale pro capite in Europa spetta di nuovo all’Italia, con una media di 3.156 euro l’anno
a persona. Il «Tax Gap» è un indicatore che riflette il peso dell'evasione fiscale per le casse dello
Stato. Si misura come il rapporto tra tasse evase e gettito fiscale oppure come differenza tra
gettito teorico e gettito effettivo. In Italia il tax gap vale il 23,29% delle entrate fiscali dello Stato, il
quarto valore più alto in Europa. Per quanto riguarda il contrasto all’evasione, nel 2019 il risultato
annuale relativo all’obiettivo di riscossione complessiva è pari a 19,86 miliardi di euro (+3,4%
rispetto ai 19,2 miliardi nel 2018) di cui 5,1 miliardi derivano dalla riscossione coattiva; 12,6
miliardi dai versamenti diretti e 2,13 miliardi dalle iniziative relative all’attività di promozione della
Compliance. Nell’ambito dei tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, il recupero ordinario
da attività di controllo supera i 16 miliardi di euro con un incremento del 4,1% rispetto all’anno
precedente. Di questi 11,7 miliardi derivano dai versamenti diretti, 2,13 mld da attività di
compilance e 3 mld dall’Agenzia delle entrate. Nel 2020 sarà di 6,8 mld in meno.
DEBITO PUBBLICO:
Il patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo, stipulato e sottoscritto nel 1997 dai paesi membri
dell'Unione europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di
mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione economica e monetaria dell'Unione europea
(Eurozona) ovvero rafforzare il percorso d'integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la
sottoscrizione del trattato di Maastricht. Rapporto deficit/PIL < 3%; rapporto debito/PIL < 60%. Il
debito pubblico, in economia, è il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti economici
nazionali o esteri - quali individui, imprese, banche o Stati esteri - che hanno sottoscritto un credito
allo Stato nell'acquisizione di obbligazioni o 3toli di stato (in Italia BOT, BTP, CCT, CTZ e altri)
destinati a coprire il fabbisogno monetario di cassa statale, ovvero l'eventuale deficit pubblico
cumulato nel bilancio dello Stato, e la copertura degli interessi. Il deficit pubblico è quando le
uscite superano le entrate. La differenza tra entrate (gettito fiscale) e uscite (spesa pubblica) è
detta saldo pubblico: se tale saldo è negativo, si parla di deficit (o disavanzo); se è positivo, si parla
di surplus (o avanzo); se, infine, è pari a zero, si parla di pareggio del bilancio. Il debito pubblico (al
3 dicembre) è 2.598 mld e il PIL è di 1.787,7 mld. Con l'aumentare del debito pubblico rispetto al
Pil, aumenta il rischio di una crisi sul mercato dei titoli di stato con conseguenze negative
sull'intera economia. L'evidenza empirica suggerisce che un elevato livello di debito pubblico non
sia una causa sufficiente per una crisi sul mercato dei titoli di stato. Altri fattori: • la dinamica del
debito pubblico (e quindi variabili di flusso come il deficit e il surplus primario); • il fabbisogno
lordo di finanziamento; • gli andamenti macroeconomici, soprattutto il tasso di crescita
dell'economia, e finanziari; • accresce i costi di finanziamento degli investimenti produttivi del
settore privato; • induce un più ampio ricorso a forme di tassazione distorsiva, con effetti negativi
sulla capacità di produrre reddito, risparmiare e investire; • alimenta l’incertezza e anche per
questa via scoraggia gli investimenti; • riduce i margini disponibili per politiche di stabilizzazione
macroeconomica; • espone alla volatilità dei mercati finanziari.
Il rapporto debito/PIL mette a confronto due grandezze diverse. • Il debito misura uno “stock”,
una quantità calcolata in un preciso momento e che può, accumularsi nel tempo. • Il Pil, invece,
misura una grandezza flusso, e misura la produttività di un Paese. Perché si sceglie allora di
rapportare il debito pubblico al PIL? Per poter misurare la possibilità che ha uno Stato di ripagare il
proprio debito. Rapporto debito pubblico/PIL al 158,7% nel 2020 e del 156,5% nel 2021 (NADEF).
70% detenuto da italiani e 30% esteri di cui il 78% è Europa. Il governo prevede che nel 2020 il
rapporto deficit/Pil salga al 10,4%. il nuovo livello di indebitamento netto delle amministrazioni
pubbliche è stato da ultimo fissato all’11,9 % del PIL. Vedi articoli per riduzione del debito
pubblico, vedi articoli per Patrimoniale e curiosità sui tassi d’interesse dei titoli di Stato Italia vs
Grecia nonostante debito e la sua composizione.

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