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CAPITOLO 1 - 1. Il quadro di riferimento

L’attività imprenditoriale ha subito una grande evoluzione nel tempo, considerando i mutamenti dalle
prime forme artigianali del passato, sino alle modalità produttive e distributive attuali. Gli ultimi decenni
sono stati caratterizzati da un crescente ottimismo negli anni ‘80, dovuto dalla caduta dei regimi europei
collettivistici, mentre da un clima di pessimismo negli anni ‘90 dovuto ad un quadro politico-istituzionale
incerto (comprese le crisi delle “tigri” dell’estremo oriente, Giappone incluso che era all’epoca la seconda
potenza economica mondiale). Pessimismo continuato anche negli anni 2000 a seguito di:

• Lo scoppio della bolla speculativa (c.d. New Economy) e l'attacco alle torri gemelle del 2001 che hanno
generato ulteriore instabilità e incertezza.

• L'avvento della moneta unica ha fatto lievitare i prezzi con relative conseguenze sui consumi. • Infine
la crisi bancaria iniziata nel 2007, dovuta alla concessione di mutui a soggetti che si sono verificati non

affidabili (crisi dei mutui sub-prime). Nel contempo le banche avevano ceduto tramite il processo della
cartolarizzazione i crediti ad altre società.

In risposta a tale situazioni le imprese hanno risposto ristrutturandosi, snellendosi e investendo in nuove
tecnologie e facendo ricorso a nuove personalità. Le nuove tecnologie hanno garantito una visione chiara
degli obiettivi strategici mentre il ricorso al manager ha migliorato il ruolo strategico della produzione:
questo non è più limitato ad azioni di supporto, ma è considerato come propulsore di nuove strategie.
Appare allora evidente come le innovazioni tecnologiche, in collegamento con nuove soluzioni
organizzative, in prevalenza di origine giapponese, hanno arrecato negli scorsi decenni nuova linfa e nuovo
interesse al tema della gestione della produzione , intorno al quale era un po’ scerna l’attenzione di esperti
e studiosi aziendali, attratti evidentemente da altri campi di indagine, ritenuti più fecondi e attuali (come il
marketing, la strategia, l’organizzazione e la finanza).

2. Attività economica e impresa come sistema L'attività economica consiste nella produzione e scambio di
beni per il soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi. Il termine azienda identifica tutte le
organizzazioni di beni e di persone che svolgono un'attività economica (le imprese). L'impresa rappresenta
quell'azienda la cui produzione è destinata al mercato, quindi ad essere ceduta a terzi e avente finalità
economica, cioè produrre profitto. L'impresa costituisce un sistema complesso all’interno del quale si
intrecciano elementi tangibili ed intangibili, immobilizzazioni materiali e immateriali, risorse finanziarie ed
umane, destinate tutte alla produzione di profitto. L’impresa costituisce un sistema complesso all’interno
del quale si intrecciano elementi tangibili ed intangibili, immobilizzazioni materiali e materiali, mezzi tecnici
ed intelligenze, risorse finanziarie ed umane, secondo un disegno finalizzato alla produzione e diffusione di
valore. Gli approcci sistemici identificano quindi l’impresa come un sistema (cioè un insieme di elementi
diversi) che è:

• Economico: finalizzato a soddisfare bisogni attraverso l’impiego di risorse limitate; • Aperto:  perché in
costante rapporto di scambio con l’ambiente esterno; • Dinamico: perché il proprio equilibrio è in
evoluzione con i mutamenti del contesto competitivo; • Vitale: cioè capace di reagire per sopravvivere.

3. Il Corporate Governance Per corporate governance si intende fare riferimento a tutte le norme che,
condizionando la struttura e la dinamica di un’impresa e ponendola in grado o meno di conseguire le
condizioni di equilibrio, caratterizzano un particolare assetto istituzionale aziendale, ovvero uno specifico
modello di impresa. Proprio l’instabilità e la turbolenza del contesto ambientale, oltre al crescente sviluppo
dimensionale delle imprese (big is better), hanno contribuito a sviluppare sistemi produttivi con strutture
decisionali pluralistiche. Nella corporate governance vi è una separazione tra chi apporta i mezzi
finanziari (azionisti o soci) e coloro che conducono l'impresa (amministratori, management). Rispetto alla
conduzione di un'impresa individuale, questo modello societario comporta la separazione dei ruoli e dei
poteri. Rispetto alla conduzione di un’impresa in forma individuale, in tale situazione ci saranno obiettivi
divergenti tra manager e azionisti, asimmetrie informative e possibili conflitti di interesse e un monitoraggio
sull'operato dei manager da parte degli azionisti . Quindi rispetto alla conduzione di un’impresa individuale,
l’adozione del modello societario comporta la separazione di ruoli e poteri e la loro assegnazione a soggetti
distinti. Il potenziale conflitto che ne deriva trova spontanea composizione quando essi si trovano riuniti in
capo ad un medesimo individuo . Si possono distinguere tre modelli di impresa:

• Modello a struttura proprietaria chiusa (padronale o familiare): tale forma proprietaria da origine ad


imprese di piccole-medie dimensioni caratterizzate dalla concentrazione del potere e del controllo in poche
mani (modello più diffuso in Italia).

• Modello a struttura proprietaria ristretta: tale forma proprietaria da origine ad imprese di medio-grandi
dimensioni caratterizzate da capitale detenuto da un gruppo ristretto di azionisti, tra cui spesso i
proprietari, ed in parte diffuso sul mercato. È caratterizzata da una certa stabilità nel tempo (modello
diffuso in Germania, Francia, Giappone).

• Modello a struttura proprietaria diffusa: tale forma proprietari da origine ad imprese di grandi
dimensioni, quotate in borsa, caratterizzate dalla divisione della proprietà tra una pluralità di azionisti,
nessuno dei quali detiene il controllo (modello tipico dei paesi anglosassoni, Usa e Gran Bretagna).

Quando si parla del governo di impresa ci si riferisce fondamentalmente a un’evoluzione del capitalismo e


della relazione tra i diversi soggetti che intervengono nella sua conduzione: gli azionisti, i membri del CdA
ed il management.

Il Modello Anglossassone (market oriented) fondato sul liberismo e sulla grande dimensione è il


c.d. modello delle “corporation” (grandi società statunitensi e britanniche). Definito di stampo monistico
poiché la governance è conferita a soggetti eletti dall'assemblea dei soci che compongono il CDA. Il CDA è
l'organo fondamentale per il funzionamento dell'azienda e comprende membri esecutivi (membri con
funzioni manageriali, inside directors, il CEO Chief Executive Officer cioè AD) e membri non
esecutivi (membri con poteri di controllo sull' amministrazione negli interessi degli stakeholders
esterni, outsider directors). Questo modello basato sulle “public companies” ad azionarato diffuso è
soggetto a scalate ostili, attuate spesso negli anni ’80: questo fenomeno fa distogliere ingenti capitali
investibili nello sviluppo delle tecnologie produttive sia per preparare questi assalti organizzati
dai raiders(assalitori) in borsa, sia per liquidare attività aziendali al termine dell’assalto . Queste scalate
sono spesso accompagnate dal ricorso a forte indebitamento tramite gli LBO (leveraged buy out) che
implicano la dismissione di rami aziendali a scalata ultimata per ripagare i debiti contratti (esempio: la
scalata di Olivetti alla Telecom negli anni ’90). La diversificazione si era diffusa anche a causa della severa
politica antitrust statunitense che ha introdotto i managers a investire i cash flows in nuove attività anche
non correlate, perché non corrispondenti in misura eccessiva sotto forma di dividendi agli azionisti dove
non destinati al servizio dei debiti contratti. Il management rappresenta quindi la figura primaria, tale che
negli USA è sempre più invalso l’uso di corrispondere una quota consistente dell’emolumento al top
manager con azioni della società, per cointeressarlo maggiormente alle sorti della stessa. Comunque gli
interessi concreti e la visuale degli azionisti e dei manager portano ad una concreta divergenza di
comportamento: essendo il potere di controllo degli azionisti non molto elevato, nella public company i
dirigenti non sempre gestiscono l’impresa come agenti dei soci; la proprietà è diffusa nella maggioranza dei
casi tra un azionariato ampio, ed il controllo è invece nelle mani di chi possiede una quota modesta di
capitale. Il singolo azionista quindi non potendo esercitare il controllo, cerca di ottenere un capital gain
attraverso la vendita ai raiders (scalatori ostili), dove per cattiva gestione degli amministratori o per
asimmetria informativa, non sia ritenuta adeguata la politica dei dividendi, quindi l’esposizione a tale
rischio induce gli amministratori a privilegiare la distribuzione dei dividendi con un’ottica di breve periodo
(nell’ultimo periodo per arginare il fenomeno sono nate le cd. Pillole ostili, ovvero l’emissione di azioni
privilegiate, ecc.) . Le public company sono aziende che consentono la vendita al pubblico dei loro titoli
mobiliari: nonostante l’aggettivo pubblico, sono società di diritto privato. Sono società di grandi dimensioni,
struttura polverizzata in tanti proprietari, separazione tra proprietà e governo; è caratterizzata da una bassa
stabilità in quanto i proprietari cambiano spesso.  Nel modello anglosassone quindi gli azionisti vogliono
guadagnare sul proprio investimento, ma se ciò non avviene vendono le proprie azioni; i manager vogliono
conservare il proprio potere e mantengono alto il numero di azionisti, remunerandoli anno per anno,
altrimenti l’impresa rischia di essere scalata da altri e i manager rischiano il licenziamento. Le Public
Companies hanno due tipologie di clienti: uno a cui vendere i prodotti, l’altro è quello a cui vendere le
azioni. I vantaggi sono l'enorme capitalizzazione, suddivisone dei rischi oltre che la maggiore libertà e
indipendenza per il managment, non soffre di vincoli finanziari, ha la possibilità di frazionare il rischio tra gli
investitori ed il governo dell’impresa è in mano a professionisti; tra gli svantaggi abbiamo l'elevata
attenzione al risultato di breve periodo, obiettivi divergenti tra managment e proprietà, dove il primo mira
alla crescita delle dimensioni d'impresa (maggior prestigio, retribuzione e potere), gli azionisti che invece
puntano al reddito, rischi di take over ostili, pessimi rapporti tra manager e azionisti, necessita controllo e
remunerazione affinchè il management agisce negli interessi dell’impresa. Negli USA, per unire azionisti e
managers, viene corrisposto parte della retribuzione del manager con azioni della stessa società in maniera
tale da cointeressarlo alle sorti della stessa. Il controllo viene detenuto da chi ha una quota
esigua (7%). Il singolo azionista non potendo esercitare il controllo, cerca di ottenere un capital gain
attraverso la vendita al raider (scalatore ostile) qualora non sia ritenuta adeguata la politica dei dividendi.

Il Modello Renano (bank oriented) Fondato sull’economia sociale di mercato, di origine giapponese, con
qualche affinità con quello tedesco (nel quale attraverso la mitbestimmung i sindacati partecipano
all’organo di governo aziendale), è caratterizzato da una comunità di intenti, da una continuità di rapporti
azienda-dipendenti, azienda- fornitori, da forti strutture di controllo e dall'intervento della banca nel
capitale, per ovviare al divieto, imposto dagli USA al termine della seconda guerra mondiale, di creare
holding (società che detengono azioni di altre società). È bene citare i tratti peculiari di tale modello di
governo, distinguendo quindi l’impostazione tedesca da quella nipponica. L’impostazione tedesca è
caratterizzata da: forte potere (sia in termini economici che decisori) detenuto dal sistema bancario;
marcato orientamento dell’economia alla questione sociale. Banche e lavoratori (sotto la protezione dei
sindacati) costituiscono il fulcro di un sistema di corporate governance che è tipico del modello renano.
L’altro pilastro del modello tedesco è costituito dai lavoratori: esistono dei sindacati a livello nazionale che
si caratterizzano dalla competitività sulle scelte di politica economica. A livello aziendale esistono dei
consigli dei lavoratori, i cui membri sono eletti dalla forza lavoro in essere. L’assetto di corporate
governance di tale modello può essere sintetizzato dalla seguente figura. L’impostazione nipponica invece
ci permette di scoprire attraverso un rapido excursus storico, come prima della Seconda Guerra mondiale la
tipica impresa giapponese (Zaibatsu) assumeva le sembianze di una grande conglomerata, facente capo ad
una famiglia. Fu proibito alle banche di acquisire soglie partecipative nelle imprese, superiori al 5%. Questo
spirito aggregativo ha prevalso nel tempo dando inizio a quel processo di formazione dei grandi Keiretsu
che oggi costituiscono un fenomeno unico al mondo. I Keiretsu sono dei network di imprese legate tra loro
da vincoli di partecipazione reciproci: all’interno del gruppo resta la presenza di una banca di riferimento
(anche se è comunque rimasto il vincolo della quota massima di partecipazione del 5%). Le imprese che
compongono i Keiretsu possono essere legate da un rapporto di integrazione verticale (come nel caso
della Toyota), occupando posizioni consecutive all’interno della medesima filiera produttiva (fornitori-
produttori-distributori), oppure possono avere una

configurazione conglomerale. A differenza del modello tedesco, il ruolo delle banche non assume la
medesima connotazione propositiva: esse sono state sempre inclini a fondare i propri rapporti di
finanziamento sulla concessione di garanzie accessorie, piuttosto che su di una reale comprensione delle
potenzialità di un progetto imprenditoriale e del suo monitoraggio. I tratti salienti sono visibili dalla
seguente figura. I vantaggi sono la stabilità delle relazioni sociali e del capitale di rischio, forte influenza dei
dipendenti e approfondita conoscenza dei finanziatori; tra gli svantaggi abbiamo possibili collusioni tra
manager e rappresentanti delle banche e una scarsa dinamicità nella gestione d'impresa. La proprietà
risulta quindi concentrata in un nocciolo duro, che detiene almeno il 50,01%, con un capitale azionario
“paziente” (remunerazione nel lungo periodo). Possiamo ora analizzare il ruolo della banca, sia in Germania
che in Giappone. In Germania la banca non assume solo un ruolo di finanziatore, ma anche quello di
imprenditore, cioè le banche acquistano delle azioni divenendo comproprietarie dell’impresa, ottenendo
quindi un posto nel CdA. In Giappone invece c’è una forte partecipazione dei dipendenti alla gestione
dell’impresa che è quasi considerata un’unità sociale oltre che produttiva, tant’è vero che se un dipendente
dovesse essere licenziato, è come se fosse espulso da una seconda famiglia (i Keiretsu).

Il Modello Italiano . L’Italia è considerata all’interno del gruppo dei paesi che compone il cosiddetto
sistema latino. Questo modello è caratterizzato dalla forte presenza di un'azionista di controllo, forti legami
tra le imprese e uno scarso ruolo del mercato dei capitali. In Italia si ha la compresenza di tre tipologie di
impresa:

• PMI (piccole e medie imprese): imprese soggette a controllo familiare. Se qualche decennio fa, le piccole
dimensioni permettevano di rispondere più prontamente ai cambiamenti del mercato oggi emerge
l'esigenza di una concertazione tra le stesse, per crescere nella misura richiesta dal mercato. É possibile
ricorrere a strumenti quali: i consorzi  che consentono di mantenere la propria identità e nel contempo di
unire le forze per ridurre i costi di approvvigionamento, di essere concorrenziali nei confronti delle GDO
(grande distribuzione organizzata); di essere uniti nella ricerca e nella formazione del personale.

• Cooperativo: gruppo di soggetti che costituiscono e gestiscono in comune un'impresa che ha come scopo
quello di fornire, prevalentemente, ai soci quei beni e sevizi. Il sistema cooperativo si fonda sul principio
mutualistico, cioè fornire ai soci beni, servizi o occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto a
quelle di mercato. Esempi sono le banche popolari, le BCC, le cooperative di consumo, le cantine sociali etc
etc.

• Società a controllo pubblico: sviluppatosi nel dopoguerra (IRI), ha avuto un'importante funzione nello
sviluppo del sistema economico italiano, successo dovuto al infondere nell'impresa pubblica i caratteri
propri dell'azienda privata. A partire dagli anni 80', l'inevitabile politicizzazione, l'assenza di stimoli esterni
dovuta al regime di monopolio, hanno portato il governo a vendere a privati società pubbliche. Il processo
di privatizzazione può essere formale se si ha solo la semplice trasformazione degli enti pubblici in soggetti
giuridici ma sempre sotto il controllo pubblico; sostanziale nel caso cambi la natura proprietaria della
società da pubblica a privata; funzionale se i compiti di gestione vengono affidati a privati ma la titolarità
dei poteri di controllo e di indirizzo rimangono in mano pubblica; indirettase si ha l'introduzione di logiche e
di principi di gestione tipici della nozione di azienda.

Il codice civile prevede tre principali opzioni: • il sistema ordinario: si basa sulla distinzione tra un organo
di gestione (CDA) e un organo di controllo

(consiglio sindacale) • il sistema dualistico: in questo caso il controllo è affidato ad un revisore e non è
previsto il consiglio sindacale • il sistema monistico: caratterizzato dalla concentrazione all'interno di un
unico organo (CDA) sia

dell'amministrazione sia del controllo.

Corporate Governance e mercati finanziari La crescente interdipendenza dei sistemi finanziari di diversi
paesi ha generato miglioramenti della distribuzione del rischio ma ha anche generato maggiori difficoltà di
valutazione e squilibri di sistema. Si avverte sempre più forte l'esigenza di stabilire delle regole per rendere
più efficienti i processi gestionali e decisionali delle imprese . L'OCSE ha provveduto all'emanazione di
regole comuni, che renderà la corporate governance un fenomeno di interesse globale, oltre ad assumere il
incarichi di monitoraggio. Le regole e la supervisione non sono da sole in grado di evitare il crollo dei
mercati in quanto risultano inefficaci nel tenere sotto controllo la propensione al rischio di alcuni manager.
Il prevalere della libertà individuale nei confronti del sistema collettivo crea un bisogno di principi etici con il
riaffermarsi, attraverso la tecnologia, dei principi di correttezza, trasparenza e solidarietà.

• CAPITOLO 2 -

2.1 La strategia aziendale La complessità delle condizioni azienda-ambiente impone decisioni inerenti con
gli obiettivi di lungo periodo. La strategia consente di affrontare tale complessità inquadrandone e
interpretandone le problematiche, riducendone l’impatto sull’impresa. Nelle imprese maggiori si tratta di
distinguere la visione a livello di una singola area di affari (strategia di business) da quella a livello di
corporate (strategia corporate): una razionale formulazione della strategia aziendale deve partire da
un’accurata analisi delle risorse interne all’impresa.

I livelli della strategia 1) L’espressione strategia corporate (o complessiva o di gruppo) si usa per indicare la
strategia dell’impresa nel

suo complesso, tesa alla scelta del dove competere; definisce gli orientamenti da seguire nelle scelte, ne
guida la realizzazione, coordina e controlla le varie funzioni dell’impresa in modo che gli obiettivi di ciascuna
siano coerenti con gli obiettivi generali dell’impresa. Una strategia corporate affronta alcuni tipi principali di
scelte:

• Definizione della mission dell’impresa e modalità di gestione dei rapporti con i vari stakeholder; •
Definizione degli obiettivi che si intendono raggiungere; • Definizione dei settori nei quali operare; •
Coordinamento del portafoglio di attività dell’impresa e ricerca di sinergie.

2) L’espressione strategia di business (o competitive o d’area strategica di affari) intende le scelte che
l’impresa fa all’interno del proprio mercato nei confronti dei concorrenti, la definizione del come
competere in una specifica ASA (area strategica d’affari) e le modalità di conquista del proprio vantaggio
competitivo durevole.

3) La strategia funzionale (o di gestione operativa) rappresenta l’elaborazione e l’implementazione a livello


funzionale delle strategie di business. Anche per le singole funzioni si possono formulare obiettivi da
raggiungere a strategie adeguate o strategie finanziarie, di marketing, di produzione, ecc. La differenza tra
le strategie funzionali e di business è evidente, in quanto il raggio d’azione e l’orizzonte temporale delle
prime sono più limitati.

Lo stile, i valori, le tradizioni e la leadership sono fattori critici per ottimizzare la gestione dei sistemi
aziendali. Un’azienda molto legata alla routine può essere molto efficiente ma poco flessibile, quindi
vulnerabile di fronte a situazioni nuove; soprattutto nei settori soggetti a un rapido cambiamento
tecnologico, l’effetto della curva di esperienza può attenuarsi a vantaggio delle imprese appena nate che
colgono le nuove opportunità. Nei mercati semplici, più trasparenti, più efficienti (borse, beni di largo
consumo) il vantaggio competitivo è scarso o assente in quanto i concorrenti possono acquisire facilmente
le risorse necessarie riducendo il vantaggio dell'impresa innovatrice. D'altronde il detentore di una risorsa
decisiva richiederà compensi adeguati (caso dei manager superpagati), pagamenti che nelle imprese medio-
grandi avvengo anche attraverso l'utilizzo delle stock-options (emissione riservata a dipendenti di titoli
azionari della società a condizione di favore). La strategia deve essere frutto di elaborazioni che mirano ad
introdurre innovazioni sia organizzative che informatiche. Il successo giapponese, ad esempio, è frutto di
una rapida assimilazione delle nuove tecnologie in un contesto organizzativo fortemente motivato al
miglioramento e con una strategia di marketing molto elastica. La novità introdotta recentemente è
l’ingresso della tecnologia anche nel fissare le strategie aziendali. In un contesto di crescente
globalizzazione, con una presenza sempre più ampia di industrie (nazionali e multinazionali), l’azienda
dotata di una formula imprenditoriale più aggressiva, percepisce tali segnali e individua le alternative
praticabili dalla stessa e dai concorrenti, per anticipare le innovazioni tecnologiche ed adattarsi ad esse. In
un ambiente perturbato, instabile è preferibile un comportamento flessibile ed elastico del management,
aperto all’apprendimento strategico che consente un adattamento degli schemi deliberati alla realtà
emergente. In una visione strategica questo non vuol dire adottare via via decisioni congruenti: nell’area
produttiva esse riguardano la dimensione degli impianti, la scelta ed il lay-out dei macchinari e delle
attrezzature, la struttura organizzativa, la gestione ed il miglioramento professionale del personale addetto.
In tale ottica vanno stabiliti con chiarezza gli obiettivi: se la strategia aziendale è focalizzata sulla leadership
di costo , il sistema produttivo dovrà essere tendenzialmente rigido con alti volumi di pochi articoli
standardizzati in modo da conseguire economie di scala e curve d’esperienza; se invece punta sulla
differenziazione cioè alla leadership di differenziazione occorre un sistema flessibile in grado di fornire beni
e servizi di medio/alta qualità a costi accettabili, privilegiando rapidità, affidabilità e puntualità di consegna;
infine se si mira alla leadership di focalizzazione , l'impresa punterà su un unico settore cercando di
eliminare la concorrenza, in questo caso il sistema di fornitura deve essere diverso da quello degli altri o
deve rivolgersi a clienti con necessità insolite (alimenti biologici). Per le aziende leader di produzione
finale si pongono anche problemi di decentramento produttivo all'interno e all'esterno del gruppo che
assicuri una rete logistico/ organizzativa e tecnologico/informativa adeguata e sufficientemente omogenea.
Per le aziende minori la scelta deve fondarsi sulla ricerca di sempre nuovi spazi per affermare le proprie
capacità creative. La tendenza è quella di una crescente globalizzazione di rapporti tra imprese che
consente di ottimizzare interi cicli produttivi al di fuori della logica d'integrazione verticale, attraverso il
frazionamento degli investimenti tra più imprese e la trasformazione di più costi fissi in costi variabili. Nasce
così una strategia di specializzazione flessibile, fondata su impianti flessibili e manodopera specializzata,
che incentivi la competizione e favorisca l'innovazione, con una o più imprese-guida al centro. L'incalzare
dei cambiamenti spinge anche le imprese minori a ricercare nuovi modelli di comportamento, vanno infatti
verso maggiore flessibilità con nuove soluzioni organizzative e di delocalizzazione dei cicli produttivi per
poter sopravvivere. Appare quindi la possibilità per le aziende di fronte ad un mutamento tecnologico ed
organizzativo, di attuare strategie di rilancio (turnaround), laddove fossero state interessate dalla crisi, sia
di assumere comportamenti strategici e di collocarsi sul mercato in modi diversificati.

2.2 La soluzione strategica alle crisi aziendali: ristrutturazione e riconversione. Il processo di


turnaround. A livello macro economico l'introduzione dell'euro e la sua rivalutazione rispetto al dollaro
hanno penalizzato la competitività delle imprese italiane, messe già a dura prova dalla concorrenza dei
paesi emergenti (si pensi al settore TAC Tessile-Abbigliamento-Calzature esposto alla pressione del made in
Cina). A ciò si unisce il tendenziale “nanismo” (piccole imprese autonome) con conseguente scarsità di
risorse finanziarie, manageriali e tecnologiche. Per tali imprese appaiono sempre più indispensabili le
aggregazioni che possono avere un accesso più facilitato alle concessioni di credito da parte delle banche.
Anche la ricerca, lo sviluppo e il marketing richiedono il ricorso a strumenti consortili e partnership per
reperire risorse e competenze necessarie. Tutto ciò implica una profonda

ristrutturazione da accompagnarsi, quasi sempre, ad una riconversione, cioè ad un cambiamento


dell'offerta di prodotti e servizi per poter meglio assecondare le mutevoli esigenze del mondo del consumo.
Occorre quindi dare vita ad un processo di turnaround, cioè un cambiamento forte, in un’ottica di medio e
lungo termine per risanare e rilanciare le imprese in declino o crisi. Per il successo di tali interventi occorre
superare le resistenze anche emotive al cambiamento da parte dell’organo di governo, dei sindacati, ecc,
che costituiscono una forte barriera psicologica, mentre è fondamentale diagnosticare tempestivamente le
ragioni della crisi, curare anche i sintomi con un ampio coinvolgimento dei vari soggetti interessati al fine di
evitare l’innescarsi di un meccanismo perverso che amplifica le criticità e può sfociare nel dissesto
irreversibile. In mancanza di interventi tempestivi possono degenerare in crisi patologiche che richiedono
l'intervento dei poteri pubblici, sia per le cause di tipo macroeconomico sia per le ripercussioni sociali che
dalla chiusura di tali aziende possono derivare, attraverso strumenti come la Cassa Integrazione, la Mobilità
e i prepensionamenti. Interventi che nel caso italiani devono essere autorizzati dalla Commissione
Economica dell'UE. L'aumento del costo del lavoro ha spinto alcune imprese italiane verso impianti con
elevato grado di meccanizzazione/automazione. Mentre per ringiovanire imprese impegnate in business
maturi è necessario creare un clima di fiducia attraverso 1) la creazione di un team fidato per rimuovere
frustrazioni e demoralizzazioni 2) l'eliminazione di attività e controlli superflui 3) l'acquisizione di nuove
tecnologie, conoscenze e capacità 4) facendo leva sui vantaggi acquisiti. Occorre dar vita ad un vero e
proprio “turn-around”, cioè un processo di forte cambiamento in un'ottica di medio-lungo termine.

2.3 Dal decentramento produttivo alle reti di impresa Gli inconvenienti che sono emersi dalle grandi o
grandissime dimensioni delle fabbriche hanno ridotto, annullato o superato i benefici di efficienza
produttiva e hanno condotto ad una più articolata considerazione delle economie di scala in funzione delle
varie gasi di lavorazione di un prodotto o di una produzione congiunta. Si è andata diffondendo la tendenza
a un diverso dimensionamento degli impianti e dei processi produttivi che ha portato a decentrare
particolari fasi di produzioni in più stabilimenti (multi-plant) o ad affidare tali fasi ad aziende esterne
(fenomeno del decentramento produttivo). Il decentramento tende a configurarsi in un quadro
organizzativo volto a sviluppare e razionalizzare le sinergie esterne non solo nel settore produttivo ma
anche nella ricerca e nel marketing che trasformi il rapporto con il fornitore e con il cliente in una vera e
propria partnership che configura la rete di imprese basata su una condivisione di informazioni, risorse e
tecnologie. La rete impresa può essere classificata in:

• impresa a rete naturale: caratterizzata dall'assenza di identità giuridica e di struttura gerarchica ma


fornita di una flessibilità strutturale che le permette di assumere condotte operative efficienti per il sistema.

• impresa a rete governata: imprese selezionate in riferimento sia alle risorse che agli obiettivi. • reti
proprietarie: in cui il collegamento tra imprese è garantito dal possesso di azioni (holding, joint venture)
• reti non proprietarie: in cui il collegamento con altre imprese avviene tramite accordi di natura
contrattuale

(franchising) • reti divergenti: in cui le imprese perseguono vantaggi legati all'efficacia ed efficienza nel
breve • reti a condizionamento reciproco: in cui le imprese sono reciprocamente determinanti per le
strategie di

ognuna di esse • reti convergenti: in cui le imprese considerano la rete come la soluzione organizzativa più
idonea • reti complementari: in cui tra le imprese ci sono vincoli produttivi molto forti • reti indipendenti:
in cui le imprese sono legate da interessi comuni

Le reti permettono di raggiungere un accresciuto potere negoziale sul mercato, accorciare le catene di
subfornitura, rendere flessibili i tempi di risposta al cliente, accrescere il know-how aziendale e di
condividere investimenti che altrimenti non sarebbero possibili. Si parla di spin off  quando le aziende
incentivano alcuni dipendenti a creare una propria attività allo scopo di alleggerire la struttura aziendale di
costi fissi e di non privarsi della collaborazione di personale valido al quale viene offerto un sostegno nella
fase d'avvio. (non va confusa con MBO Managment buy-out dove i dirigenti rilevano capitale azionario
dell'azienda allo scopo di ristrutturarla e rilanciarla sul mercato).

2.4 Innovazioni tecnologiche e strategie di marketing Il marketing può essere definito come una disciplina
che studia la pianificazione, realizzazione e il controllo di attività riguardanti lo scambio di beni e servizi
avvalendosi di strumenti informativi e telematici come internet e i social network, con una pronta e attenta
lettura ed interpretazione dei dati, delle informazioni provenienti da indagini di mercato e dagli ordini
trasmessi dalla rete di vendita e dai clienti. L’impiego delle nuove tecnologie consente di progettare cosi,
realizzare e vendere prodotti più personalizzati (mass customization). Il concetto di Customer Relationship
Managment (CRM) è legato al concetto di fidelizzazione dei clienti, pone il cliente al centro del business e
nasce dalla dalla considerazione che mantenere relazioni commerciali con i clienti costa meno che
acquisirne dei nuovi. E’ il cliente il driver: è lui che determina il successo del prodotto ed è attraverso il CRM
che l’impresa studia le esigenze, prevede le necessità ed in definitiva mantiene viva nel cliente l’attenzione
per l’azienda. Il CRM si articola in 3 tipologie:

• CRM operativo: comprende soluzioni per automatizzare i processi che prevedono il contatto diretto con il
cliente (FAQ, chat line, forum)

• CRM analitico: comprende procedure e strumenti per migliorare la conoscenza del cliente • CRM
collaborativo: comprende metodologie per gestire il contatto con il cliente (e-mail, tel)

L'impresa orientata al CRM attua un processo che si articola attraverso le tre fasi di creazione, sviluppo e
mantenimento della relazione.

1) Nella fase di creazione della relazione si cerca di ridurre i costi di acquisizione del cliente mediante

l’ottimizzazione della propria offerta, inducendo alla percezione di una qualità superiore da parte dei
potenziali cliente, favorendo la transazione verso il ruolo di cliente effettivo.

2) Nella fase di sviluppo della relazione l’azienda individua ed elimina le aree di insoddisfazione dei clienti e
aumenta il cross-selling cioè la comunicazione di vantaggi sui beni e la vendita dei prodotti ai clienti
aumentando la spesa del consumatore.

3) Nell’ultima fase, quella del mantenimento della relazione, l’azienda si sforza di mantenere la clientela
acquisita attraverso lo studio delle analisi sui dati, comprendendo le esigenze, identificando i segmenti di
clientela più propensi alla defezione, intervenendo in anticipo riducendo il rischio di abbandono.

Non è possibile delineare un unico modello generalizzato, tuttavia essendo il know how aziendale un
patrimonio dinamico deteriorabile col tempo, è possibile intuire che in futuro si avrà la tendenza a
decentrare e coordinare nel modo più opportuno le attività di Ricerca e Sviluppo, di Produzione e di
Marketinig in modo da ampliare le opportunità offerte in aree geografiche disperse, ma coordinate creando
un flusso di informazioni tali da generare un vantaggio competitivo. Un ruolo importante lo gioca anche
l’abilità nei coinvolgere le risorse umane nella necessità di cambiamento per rispondere alle pressioni della
concorrenza attuale, con prodotti o servizi sostitutivi. La disponibilità del potenziale umano in continuo
miglioramento consente di perseguire valide sinergie. Per le aziende minori o comunque più fragili, non
dotate di adeguati strumenti o strutture, le possibilità di sopravvivenza si legano alla capacità di
risposta/adattamento nel valutare le minacce/opportunità ambientali ed i punti di forza/debolezza interni
(SWOT ANALYSIS). Figura 4 pagina 54

2.5 Le risorse umane e la learning organization Il progresso tecnologico sta rendendo obsolete alcune
capacità delle forze di lavoro difficilmente convertibili in nuove attività: nascono di qui le resistenze al
cambiamento all’ingresso nelle fabbriche delle nuove tecnologie, che implicano crescente disoccupazione
nei settori più colpiti e domanda di lavoro in altri. Un'altra barriera è rappresentata dalla dinamica salariale
che ha portato i valori retributivi italiani ed europei ad un livello elevato. Tutto ciò ha evidenziato la
necessità di una nuova e più elastica organizzazione del lavoro che sia volta ad un maggiore coinvolgimento
del lavoratore del modello di fabbrica. Sono state eliminate le mansioni gravose, ripetitive e pericolose
grazie alla computerizzandone della produzione e all'inserimento di robot industriali, la natura dei compiti
richiesti è più di controllo e di intervento solo a titolo correttivo. Nell’area dell’office automation emerge la
figura del knowledge worker dotato di intelligenza creativa e competenza professionale, frutto di
esperienze e aggiornamento continuo. E’ evidente come l’organizzazione e la divisione del lavoro, i requisiti
professionali, le mansioni mutino nel passaggio verso sistemi più automatizzati con l’intervento
dell’informatica: si riduce il dominio dei macchiari specializzati sugli operai poco qualificati e si amplia il
controllo umano sul processo produttivo mediante una modifica del programma computerizzato.
Tendenzialmente si assiste a una minore gerarchizzazione dei compiti e una riduzione delle qualifiche
specie nelle lavorazioni in gruppo che coinvolge la responsabilità dell'intero gruppo. L'obiettivo è di
garantire flessibilità anche nel fattore lavoro attraverso una maggiore multifunzionalità degli addetti che
devono essere in grado di saper compiere più mansioni. La riqualificazione o la rotazione delle
mansioni può essere considerata come una garanzia di permanenza per il lavoratore che difficilmente sarà
allontanato dopo aver sostenuto costi di formazione e di addestramento. Un ritardo nell'attuare la
riorganizzazione può portare a perdite di quote di mercato e alla perdita di capacità tecnico-manageriali
dovuto all'esodo do personale qualificato. Si delinea un modello innovativo che concepisce la fabbrica
come “learning organization” (organizzazione di apprendimento). Elementi di tale concezione sono la
delega nel processo decisionale, l'appiattimento delle gerarchie, la formazione sul lavoro e la collaborazione
interfunzionale. Si richiede al lavoratore capacità di apprendimento, capacità decisionale e di lavoro in
gruppo.Elementi di tale concezione sono la delega nel processo decisionale, l’appiattimento delle gerarchie,
il simultaneous/concurrent engineering, la collaborazione interfunzionale, la formazione sul lavoro. Si
richiede quindi al lavoratore una capacità di apprendimento, senso di responsabilità, capacità decisionale e
lavoro di gruppo. Le esperienze di tele lavoro, cioè lavoro a distanza, con collegamento via computer con la
propria azienda procedono nello stesso soldo in cui viene lasciata al lavoratore ampia libertà di organizzarsi,
essendo rilevante soprattutto il risultati della sua opera e non la sua disponibilità, con un approccio simile al
lavoro da professionista. La politica retributiva dovrebbe essere volta a premiare tali capacità, un
meccanismo che leghi i conferenti di capitale di rischio e d'opera in una condivisione di risultati, in cui la
creazione e l'accrescimento di valore vengano equamente distribuiti tra le parti.

2.6 Le nuove funzioni del management Anche le funzioni del management stanno cambiando in base alle
nuove tecnologie. Ai dirigenti si richiede una maggiore capacità di integrazione con gli altri responsabili
aziendali delle aree connesse in maniera tale da creare una rete di comunicazioni, è l'ottica della leadership
condivisa di difficile attuazione potendo cadere nella dispersione delle decisioni. Anche per i dirigenti si sta
assistendo ad una diminuzione del numero dovuto all'utilizzo dei computer. Per quanto riguarda le imprese
minori, si pone il problema di salvaguardare le doti di creatività acquisendo maggiori informazioni.

2.7 Il Business Process Reengineering La ristrutturazione ha un impatto sul numero degli addetti, che
possono generare riflessi negativi nel rapporto con la clientela (mancanza di personale). Per evitare tali
inconvenienti si è sviluppata la teoria del BPR (business process reegineering) che si focalizza sui singoli
processi e avvalendosi dell'informazione tecnologica, riduce le barriere tra le funzioni aziendali collegate.
Tuttavia non ha ottenuto sempre il successo auspicato per la difficoltà di considerare l'azienda come
somma di processi e non solo di funzioni. I vantaggi relativi al ricordo all'outsourcing

(esternalizzazione) sono legati alla maggiore flessibilità di fronte ai cambiamenti del mercato. Tuttavia
rilasciare attività a terzi comporta una dipendenza che in assenza di forme di controllo e coordinamento
può diventare insuperabile.

• CAPITOLO3 - L'impresa risulta composta da un organo di governo e da una struttura operativa. La


distinzione di queste due aree è agevolmente intuibile quando si osserva come qualsiasi tipologia
organizzativa umana necessiti di una guida che consenta di operare, perseguendo stabilite finalità e non in
maniera casuale. il management assume il ruolo di guida grazie alla capacità di interpretare i messaggi
provenienti dall'esterno e dall'interno dell'impresa. Il governo presuppone la conoscenza di tali
informazione, mentre la gestione riguarda il complesso delle decisioni inerenti i processi facendo ricorso a
precedenti esperienze, le routines riducono l'incertezza ed il potenziale conflitto tra gli organi decisionali.
Risulta fondamentale un'attività di controllo che miri a verificare il comportamento della struttura
operativa, attraverso il monitoraggio costante di tutte le fasi e fornisca feedback informativi utili per il
processo decisionale. Il controllo di gestione si divide in fasi distinte. Muovendosi dalla fase della rivelazione
si potrà procedere all'analisi dei risultati con riferimento agli aspetti economico finanziari e patrimoniali.
Queste informazioni costituiranno la base per la definizione del budget. Il controllo si esplica in un'attività di
confronto tra i dati previsti e quelli effettivamente raggiunti, consentendo la ricerca e il mantenimento di
condizioni di equilibrio.

3.2 Il successo dell’impresa e la creazione di valore L'impresa deve raggiungere diversi obiettivi, tra essi il
conseguimento del profitto rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire la
sopravvivenza e il successo dell'impresa, poiché va considerato il successo sociale. L’impresa va governata
coinvolgendo gli stakeholders attraverso un’impostazione relazionale fondata sulla trasparenza e
disponibilità di dialogo. Si ha l'equilibrio economico quando i ricavi oltre a garantire la copertura dei costi
consentono nel lungo periodo la remunerazione degli investimenti e quindi del capitale di rischio. Un
indicatore è rappresentato dal ROE, dato dal rapporto tra il risultato economico netto e capitale proprio
(calcola le capacità reddituali dell'impresa); un altro indicatore è il ROI dato dal rapporto tra il reddito
operativo e il totale del capitale investito (calcola la capacità di generare ritorni individuali). Si definisce
effetto leva il confronto tra i due indicatori.

3.3 L’impresa e la ricerca dell’equilibrio L’equilibrio nel sistema impresa è un concetto composito perché
riflette le sue diverse situazioni. Può riconoscersi inizialmente un equilibrio economico che deriva
dall’efficacia dell’operatività della gestione da cui promanano dapprima i costi, quindi poi i ricavi. Quello
economico non è meramente un equilibrio (nel senso letterale del termine) perché esso si ha quando i
ricavi, oltre che coprire i costi, permettono nel medio e lungo periodo la remunerazione degli investimenti,
quindi del capitale di rischio. Un indicatore che può fornire preziose informazioni per le decisioni di
investimento è il ROE che è il rapporto tra risultato economico netto e capitale proprio. Ulteriore indicatore
è il ROI dato dal rapporto tra reddito operativo ed il totale del capitale investito: questo permette di
sintetizzare le capacità dell’impresa di generare ritorni individuali. L'equilibrio finanziario consiste nella
capacità di adeguare sotto il profilo temporale le uscite finanziarie con la disponibilità di risorse in moneta,
si tratta di garantire una sufficiente liquidità d'impresa. In sede di stesura del budget sarà necessario
prevedere dove fabbisogno finanziario totale è uguale alla somma tra la parte fissa ed una variabile che
sarà impiegata per l'approvvigionamento delle risorse. Al fine di valutare la situazione finanziaria
dell'impresa può essere utile analizzare la composizione delle fonti e degli impieghi nel breve periodo
applicando il quick test (indice di liquidità) ovvero il rapporto tra disponibilità finanziarie e debiti correnti
che esprime la capacità dell'azienda di onorare le esposizioni con le risorse disponibili (risultato accettabile
è uguale a 1). L'equilibrio patrimoniale attiene alla composizione delle fonti di finanziamento (rapporto tra
capitale di rischio e capitale di credito) e al loro impiego in immobilizzazioni aziendali. L'assetto
patrimoniale è connesso con il problema del dimensionamento. La dimensione ottima è quella che
garantisce la minimizzazione dei costi ed il perfezionamento delle performance organizzative e gestionali. In
condizioni di normale funzionamento aziendale, si avrà che l'attivo sarà uguale alla somma del passivo e del
patrimonio netto. A=P+V (Attivo aziendale). Tale valore sarà continuamente variabile per via degli effetti
della gestione e delle operazioni. Un altro approfondimento può essere rappresentato dal rapporto tra il PN
+ le passività consolidate e l'attivo immobilizzato. Quando il risultato è maggiore delle unità indica
un'anomalia e può vuol dire che le passività consolidate vengono impiegate anche per le immobilizzazioni a
breve.

3.4 Il Break Even Point Il concetto d'equilibrio aziendale sottointende il rispetto di tutte e tre le condizioni
di equilibrio. La natura dei costi (fissi o variabili) in azienda dipende dal tempo di permanenza dei fattori
produttivi i quali generano costi fissi quando il loro prezzo di vendita/acquisto non muta al variare delle
condizioni contrattuali.

• Costi fissi: oneri che non mutano al variare delle quantità prodotte (quote di ammortamento, canoni di
locazione); retta parallela all'asse delle ascisse y=k

• Costi variabili: oneri che mutano al variare delle quantità prodotte (energia, manodopera); retta bisettrice
y=ax
La realtà dimostra come i costi variabili siano sensibili al mutare dei volumi di acquisto. Tali costi si
distinguono in progressivi che aumentano in maniera proporzionale all'incremento dei volumi, e in
regressivi che decrescono all'aumentare delle quantità. Il perseguimento dell'efficienza può essere
preventivato attraverso il Break Even Point(B.E.P.) che permette di verificare la quantità minima di
produzione e vendita necessaria per il pareggio tra costi e ricavi considerando un certo livello di costi totali
(costi fissi + costi variabili) . Il modello in esame consente di fissare un livello di sicurezza che sarà dato dalla
differenza tra le vendite previste e le vendite del punto di pareggio. Affinché

l'impresa realizzi un utile sarà necessario che M risulti maggiore dei costi fissi (M = margine di contribuzione
dell'impresa). Tra due differenti investimenti e conoscendo la quantità vendibile, l'organo di governo
sceglierà quello con margine di contribuzione più elevato. Tale modello tuttavia si basa sulla stabilità delle
funzioni di prezzo di vendita e costi variabili unitari che nell'attuale contesto si manifestano con elevata
variabilità rendendo il modello stesso non esaustivo.

3.5 L’ambiente di riferimento dell’impresa L'organo di governo deve conoscere lo spazio all'interno del
quale si muovono l'impresa e le altre entità. Lo spazio si identifica nelle tre dimensioni seguenti: - ambiente
– contesto – settore. L'ampiezza dell’ambiente non consente una completa analisi dei fenomeni che si
manifestano al suo interno, la scelta dei fenomeni da indagare definiscono il contesto, mentre
il settore può essere considerato qualora si accettino determinate assunzioni di base. Riguardo all’ambiente
è utile riportare come si possa riconoscere la parte generale con ui l’impresa deve interloquire per
soddisfare le proprie esigenze. La coesistenza del sistema impresa con le altre entità dell'ambiente
comporta un interscambio di flussi (informazioni, denaro, beni) che possono determinare vincolo o
opportunità. Cambiamenti del mercato possono dipendere da forze esterne come lo Stato che interviene
quando debbano perseguirsi obiettivi di pubblica utilità. Il concetto di rilevanza deriva dalla criticità della
risorsa e dal grado di influenza. Esiste un rapporto biunivoco tra impresa e ambiente, la prima, venendo in
continuo contatto con la seconda, ne recepisce le tendenze facendosi o condizionare da queste oppure
determinarle. Per Schumpeter esistono tre momenti del processo innovativo: l'idea, l'innovazione, la
diffusione dell'innovazione. Quando un'idea ha utilità economica diviene innovazione imponendo ai
competitors la sua adozione determinando la diffusione dell'innovazione. Il cambiamento diviene una
costante del mercato e deve generare nel managment la capacità di anticipare, promuovendo e creando
nuove tendenze.

3.6 La “conoscenza” ed i suoi effetti sul governo L'organo di governo ha il compito di “conoscere”,


conoscenza che riduce la numerosità degli elementi ignoti, cioè eventi che esso non è in grado di percepire
e prevedere. Un'altra categoria è rappresentata dagli elementi noti che possono distinguersi
in comprensibili e non comprensibili. La previsione di eventi dannosi consente all'organo di governo di
predisporre azioni preventive. Maggiore conoscenza significherà minori rischi e di conseguenza la
sopravvivenza del sistema. I rischi possono distinguersi in aleatori,  i quali possono essere previsti
dall'organo di governo che conoscendo il fenomeno che li genera è in grado di intervenire con un'adeguata
copertura e, in rischi di non conoscenza, i quali derivano da fenomeni assolutamente ignorati. Le imprese
hanno analogo grado di conoscenza rispetto al verificarsi di un fenomeno nuovo. È possibile classificare le
imprese rispetto al loro atteggiamento in tre categorie:

• Imprese chiuse: il cui organo di governo non si attiva per comprendere il fenomeno; • Imprese imitatrici:
le quali assumono un comportamento di attesa, sfruttando l'intervento di altre imprese; • Imprese
innovatrici: le quali si impegnano nella comprensione del fenomeno, ricercando nell'innovazione il

proprio percorso strategico.

3.7 L’analisi settoriale - Generalità La dottrina economico manageriale definisce l'analisi settoriale l'esame


di un insieme omogeneo di unità produttive, finalizzato al raggiungimento di una visione scientifica e
realistica delle condizioni di vita delle imprese e dei rapporti fra le varie unità. L'originalità sta nel
considerare l'impresa non come un soggetto autonomo ma come un soggetto inserito in un ambiente di
riferimento in cui vi sono elementi di comunanza. L'analisi di settore diviene cosi uno strumento per ridurre
la complessità dell'ambiente. Nell'impostazione dei modelli di analisi di settore risulta indispensabile
definire un denominatore comune che consenta di classificare un'intera area competitiva. Il “metodo
misto”, prevede la scelta di più fattori da osservare contemporaneamente. Nell'attuale contesto, la
variabilità della domanda e la frequente innovazione del prodotto rendono instabili i confini settoriali, la
complessità del problema non consente di individuare tra i modelli quello assolutamente valido. Uno tra i
modelli più diffusi è il paradigma “struttura- condotta-performance”, alla base vi è lo studio della struttura
del settore analizzata in base alle barriere d'ingresso, concentrazione e differenziazione dei prodotti. Tali
variabili condizionano le condotte delle imprese e quindi i loro risultati, anche se oggi si assiste sempre più
spesso al contrario. Un approccio strategico proposto dal Porter, mette in risalto la capacità dell'impresa di
modificare il proprio ambiente competitivo. La strategia competitiva dell'impresa può essere sintetizzata in
cinque elementi:

• L'intensità della competizione tra i concorrenti: la tensione competitiva di un settore può essere data
dalla politica di riduzione dei prezzi (guerra dei prezzi), oppure da errate operazioni di investimento in
innovazioni o in campagne promozionali.

• La minaccia di nuove entrate: i nuovi competitori dovranno considerare il livello di difficoltà e di costi
richiesti per entrare, tali difficoltà (barriere all'entrata) costituiscono il vantaggio competitivo delle imprese
esistenti. La sola minaccia di nuovi concorrenti può determinare effetti sulla competizione esistente.

• La concorrenza dei prodotti sostitutivi: tali prodotti incidono sulle decisioni del consumatore soprattutto
se risultano particolarmente efficaci nel rapporto prezzo/qualità.

• Il potere contrattuale dei fornitori : può essere determinato dalla dimensione, dalla criticità della risorsa,
dai costi che l'impresa deve sostenere per individuare ed intrattenere nuovi rapporti di fornitura.

• Il potere contrattuale dei clienti: rappresenta un'ulteriore forza che determina la redditività e l'attrattività
di un settore. I fattori che influenzano tale potere sono l'esistenza di prodotti sostitutivi, nella dimensione e
nella

concentrazione degli acquirenti che consentono l'ottenimento di prezzi favorevoli. L'analisi di tali variabili,
consente all'impresa di valutare la propria posizione rispetto al proprio ambiente in modo da poter stabilire
quale strategia adottare per migliorare la capacità competitiva. Un parametro utile ad esaminare il settore è
quello volto ad individuare il livello di concentrazione dato dal rapporto tra fatturato delle imprese più
rappresentative e le vendite complessive del settore. Il livello concorrenziale è inversamente collegato alla
concentrazione del settore, concentrazione che aumenta al crescere della quota di mercato di poche
imprese. Una misurazione del livello di concentrazione può effettuarsi per mezzo della “Curva di Lorenz”,
che utilizza l'indice di concentrazione basato sul numero totale delle imprese del settore focalizzato, il
massimo grado si verifica in situazione di Monopolio dove un'unica impresa controlla l'intera domanda ed
offerta, una situazione più attenuata è l'Oligopolio che esprime il caso di poche imprese che controllano
tutto il mercato. L'indice di concentrazione complessiva, o coefficiente di Gini , è dato dal rapporto tra
l'area di concentrazione e l'area sottostante la retta di equi-distribuzione, esso varia da 0(concorrenza) a 1
(Monopolio). L'alta concentrazione di un settore, evidenzia il potere di mercato di poche imprese e segnala
una barriera all'ingresso del mercato.

• CAPITOLO 6 - Come già detto nel primo capitolo, a partire dalla rivoluzione industriale si iniziarono ad
impiegare le prime macchine che furono affiancate al lavoro umano. Questo determinò la necessità di
avere uno schema organizzativo in grado di far funzionare armonicamente le diverse entità al fine di
raggiungere univoci obiettivi. Questa nascita coincise quindi con il passaggio dalla produzione artigianale
alla produzione in serie, caratterizzata dalla divisione del processo di lavorazione in sequenze realizzate in
modo stabile. Si sviluppò cosi il fenomeno della specializzazione delle mansioni, che aveva come obiettivi la
riduzione degli errori o l’incremento della produttività. Successivamente si affinarono le capacità tecniche
ed organizzative e si avviò la cosiddetta produzione di massa, la quale mirava ad una costante riduzione dei
costi attraverso l'aumento dei volumi prodotti nel rispetto dei principi professati da Taylor ed applicati
da Ford . Tale impostazione richiedeva un utilizzo pieno degli impianti e un’organizzazione di tipo
gerarchico. I bassi costi unitari erano conseguibili attraverso la standardizzazione (impiego ottimale di
macchine e uomini), la quale diventava l'unica strategia valida. Il problema principale dell’impresa fu quindi
quello di cercare di soddisfare quella domanda che in quanto elementare non aveva connotati particolari
ma si caratterizzava per una marcata assenza di omogeneità che richiedeva alle imprese una
differenziazione da ricercare sulla leva dei prezzi. La produzione di massa trova quindi nella
standardizzazione la sua massima espressione. L’impresa tende infatti a realizzare un prodotto omogeneo
che l’impresa stessa ritiene avere esigenze tecnico-produttive idonee ed utili per il raggiungimento
della leadership di costo, strategia che appariva l’unica per la creazione di nuovo valore: l’innovazione
avveniva in maniera lenta e programmata in modo da ottenere il massimo risultato economico e
competitivo. Il perseguimento di tale modello richiedeva all’impresa di dimensioni elevate di ricercarsi
anche attraverso forme di totale integrazione della filiera produttiva. Alla fine degli anni 20' si avvertì
l'esigenza di rivedere l'assetto organizzativo, in quanto la leadership di prezzo e la il know how
tecnologico non erano più in grado di garantire la sopravvivenza (maggior competitività). Si avvertì
l’esigenza di rivedere l’assetto organizzativo e tecnico produttivo, al dine di rinnovare la capacità di offerta,
avvicinandola ai mutevoli andamenti della domanda. Le teorie di Schumpeter e la sua visione
dell’innovazione come processo di distruzione creatrice, furono confermate dalla realtà economica a
partire dalla metà del secolo scorso: egli riconobbe nell'innovazione la condizione che consentiva di
differenziare gli imprenditori, quindi ottenimento del profitto. Teorizzò l'esistenza di tre concetti collegati
quali: l'invenzione, considerata come una manifestazione della coscienza, l'innovazione, intesa come
capacità di realizzare nuove tecniche produttive,la diffusione dell'innovazione, generata dalla capacità di
imitazione dei concorrenti che riduce il vantaggio competitivo. Congiuntamente alla tecnologia, vengono
riconosciuta la conoscenza e, quindi, il capitale umano, come elementi di vantaggio competitivo rilevanti. La
competitività si ha quando è in grado di produrre più idee che beni.

6.2 Tecnologie informatiche e processi produttivi Le tecnologie informatiche hanno reso compatibili


obiettivi da sempre considerati contrastanti, quali flessibilità ed economie di scala, qualità e bassi costi.
Questo fattore si caratterizza per i costi di acquisizione relativamente bassi ed in continua diminuzione, per
l’ampia offerta per periodi lunghi e per le possibilità d’uso con incorporazione in prodotti e processi. A ciò si
è aggiunto lo sviluppo delle telecomunicazioni che hanno consentito di scambiare in tempo reale
informazioni non solo con i fornitori ma anche con i clienti favorendo l'esternalizzazione di interi cicli
produttivi (outsourcing). I sistemi produttivi possono essere ricondotti a quattro tipologie (produzioni di
processo, produzioni in linea, produzioni a lotti e produzioni job-shop):

• Produzione di processo o processi continui: processi produttivi tipici delle industrie di base (chimica,
siderurgica), hanno come obiettivo la realizzazione di una determinata quantità di unità. La tecnologia ha
mirato a controllare e semplificare il processo consentendo un miglior dosaggio di materie ed energie, una
migliore tutela dell'ambiente e una migliore informatizzazione del processo. Tale produzione è
caratterizzato dalla standardizzazione, tuttavia si avverte la tendenza di passare alla produzione di prodotti
speciali riducendo così la rigidità. La caratteristica di essere produzioni di base ha configurato tali processi
come produzioni per il magazzino (make to stock) per la difficoltà di effettuare lavorazioni in base agli ordini
dei clienti.

• Produzioni in linea a cadenza fissa o a cadenza non fissa: in tali processi vi è discontinuità o intermittenza
nella produzione, con macchine e gli impianti sono universali. La produzione si divide in:
- produzione in serie (ripetitiva), caratterizzate da ridotta variabilità ed elevati volumi (famiglie di prodotto)
con macchine organizzate in linea e stazioni di lavoro fisse (automobili ed elettrodomestici).

- produzione a flusso lineare su linee spezzate, con reparti di lavoro in sequenza e accumulo di scorte tra le
varie fasi (macchinari); - produzione a lotti, con impianti uniciclici difficilmente automatizzabili
(abbigliamento) - impianti misti, caratterizzate da lavorazioni in parte di un tipo e in parte di un altro. Con
le nuove tecnologie, anche impianti discontinui possono ottenere produzioni a costi e tempi non
eccessivamente elevati. In base alla strategia di risposta alla domanda, l'impresa può decidere se attuare
una produzione Engineer to order  , se produce dietro specifico ordine; Make to order, se produce prodotti
a catalogo su ordine, in cui progettazione e acquisti sono effettuati su previsione mentre fabbricazione e
montaggio su ordinazione; Purchase to order se si approviggionano una volta ottenuto l’ordine; Assemble
to Order, se produce prodotti a catalogo assemblati su ordine, in cui acquisti, progettazione e fabbricazione
sono eseguiti su previsione e montaggio su ordine: Make to Stock, se produce prodotti a catalogo su
previsione in cui tutte le fasi vengono eseguite su previsione delle vendite. In relazione alla strategia di
realizzazione del volume produttivo si possono identificare tre modalità di realizzazione, ossia a prodotto
singolo, caratterizzato da scarsa ripetitività di operazioni, a lotti, caratterizzato da una produzione di
quantità predeterminate di prodotti (lotti), a flusso, con assoluta ripetitività delle operazioni. Nei primi due
casi si sono verificati i più evidenti effetti della tecnologia in termini di flessibilità (adattarsi ai cambiamenti
di produzione) che di versatilità (adattarsi ai cambiamenti dei processi). Cresce la tendenza a produrre in
base agli ordini del cliente e a modulare (assemblare) il bene in combinazioni diverse in maniera tale da
differenziare la produzione. L'approccio modulare consente non solo di raggiungere maggiore flessibilità ma
anche di affidare in outsourcing la progettazioni di alcune componenti del prodotto riducendo il time to
market del prodotto (tempo di risposta al mercato). La flessibilità che prima era assicurata dalla produzione
artigianale, viene ora ottenuta grazie a strumenti tecnologicamente sofisticati, si parla quindi di produzione
snella. Per flessibilità intendiamo la capacità di adattarsi ed espandersi a cambiamenti di produzione in
tempi rapidi, con bassi costi. Si può rilevare che via via che la produzione tende a diventare più complessa,
cresce la tendenza a rendere modulare il bene, incorporando componenti comuni a più prodotti con una
partecipazione più rilevante della tecnologia elettronica; basti pensare alle automobili, agli
elettrodomestici: questo non si verifica per i beni ottenuti nei processi continui (benzina, acciaio, cemento o
carta), in cui l’innovazione è principalmente di processo, mentre negli altri esempi è anche di prodotto.

• Produzione job-shop: sono produzioni che operano in genere su commessa, realizzando prodotti unici o
un numero limitato di unità, conformi a specifiche concordate con il cliente L’elevato grado di
personalizzazione del prodotto secondo le richieste del cliente ed i volumi produttivi contenuti, fanno si che
la gamma realizzata sia caratterizzata da gradi di varietà e variabilità molto marcati. L'acquisizione
dell'ordine è generalmente preceduta da un preventivo in base a stime di costo, a partire dagli standard
produttivi. La realizzazione avviene dopo l'acquisizione dell'ordine, ciò spinge le imprese a dotarsi di
macchinari con capacità generiche. Il flusso informativo costituisce un elemento fondamentale del sistema
produttivo per coordinare i flussi produttivi e per il controllo dello stato di avanzamento. La produzione job-
shop è caratterizzata da elevata flessibilità ed elasticità produttiva, i maggiori tempi di consegna sono
concordati.

• Produzione a celle: tale sistema trova origine a Goteborg (anni 70), perdendo colpi il fordismo, presso la
casa automobilistica svedese della Volvo, in cui si sperimento il sistema di produzione delle isole. Tuttavia
questo sistema produttivo venne messo in ombra dalla rivoluzionaria scoperta e messa in pratica del just in
time. Ad ogni singolo operaio viene consegnato un kit di montaggio contenente i componenti per
assemblare un determinato articolo. Il vantaggio si traduce in un controllo della qualità in tempo reale,
specie per i prodotti di piccola e media dimensione, perché ogni kit contiene solamente i pezzi necessari
alla realizzazione dell’articolo specifico a cui è destinato. La flessibilità inoltre è frutto della presenza
indispensabile di operatori in grado di assemblare i vari modelli. A differenza della catena di montaggio, qui
non è necessario armonizzare i tempi delle diverse operazioni, in quanto in termini organizzativi, ogni
addetto ha una saturazione completa dei temi di lavoro ed inoltre si registra una maggiore soddisfazione
degli addetti che svolgono l’intero processo, lavorando con il proprio ritmo e non con quello “battuto” dallo
scorrimento della catena: ogni gruppo opera in un’isola in cui viene sviluppata una parte considerevole del
prodotto garantendo varietà di attività e maggiore percezione del prodotto che si sta costruendo. La
produzione può avvenire su ordine o su previsione. Nel primo caso si configura la fattispecie delle aziende
che operano per commesse ripetitive a catalogo, realizzando di volta in volta i volumi produttivi
corrispondenti alle quantità richieste da singoli ordini di prodotti e cataloghi; Nel secondo caso si ha una
produzione superiore rispetto al fabbisogno immediato.

6.3 La produzione snella e informazione Mentre il filone sviluppatosi agli inizi del secolo si focalizzava
sull’aspetto della standardizzazione delle lavorazioni e della specializzazione delle mansioni, l’attuale fase si
caratterizza per la tendenza a coniugare questo problema con quello di servire la domanda nei tempi
richiesti. Le nuove tecnologie consentono allora all’impresa di ricercare la più felice combinazione delle
attività di produzione automatizzata e di marketing, in modo da garantire la continuità della vita economica
dell’impresa sul mercato. Si tratta di obiettivi ben diversi da quelli che hanno caratterizzato la
meccanizzazione, ovvero la sostituzione del lavoro fisico dell’uomo con macchine rigide, isolate in una
prima fase, evolutesi in sistema soccessivamente, proprio per accrescere la velocità di produzione, ma
appesantendo la gestione con un maggior carico di costi fissi. Si è allora posto il problema di ottenere la
flessibilità, tipicamente assicurata in passato dalla forza lavoro,: si è determinato quello che può definirsi un
mutamento del paradigma tecnologico. Il flusso produttivo può essere continuo o intermittente. La
produzione a lotti è una tipologia intermedia e rappresenta il modello che meglio si presta all'adattamento
della domanda, in quanto consente di adeguarsi al cambiamento. La

prima fase si caratterizza per la tendenza di ricercare efficienza e produttività interna rispondendo alla
domanda nei tempi e modi richiesti dal mercato; qui, fase della meccanizzazione basata su macchine che
sfruttano una nuova fonte di energia (vapore), con stazioni di lavoro isolate, prevale lo studio dei prezzi. La
standardizzazione prende piede nell'organizzazione di fabbrica e d'ufficio (Capitalismo
Concorrenziale). Nella seconda fase, favorita da scoperte scientifiche (energia elettrica), la meccanizzazione
si evolve in un sistema di macchine interconnesse, si sviluppa la produzione di massa che implica rigidità e
dimensioni più ampie (Capitalismo manageriale). Nella fase attuale si sviluppano le reti tra imprese per
recuperare la perduta flessibilità inerente sia alla produzione che l'organizzazione per fronteggiare la scarsa
prevedibilità del futuro (Capitalismo evolutivo).

6.4 JUST IN TIME e Produzione snella Specie nelle produzioni in serie ripetitive, questa tendenza verso
un’organizzazione in linea, è ben associata al sempre più diffuso sistema giapponese del Just in
Time, adottato inizialmente nell’industria navale, tipicamente orientata su commessa. Tale concezione che
si fonda molto sul fattore tempo, perfezionata e ampliata dalla fabbrica automobilistica giapponese Toyota,
si basa sulla produzione e consegna beni nel momento opportuno, quando servono, secondo le esigenze di
una domanda tendenzialmente stabile, in modo da semplificare la gestione riducendo le scorte nelle varie
fasi di lavorazione. Questo si realizza anche configurando gli impianti con macchine multifunzione disposte
in linea, in modo da considerare come un flusso la produzione e da bilanciare le linee stesse, ottenendo
quindi lotti diversificati più piccoli. Questo abbrevia i tempi di consegna, non crea stocks, sia pure
temporanei o di prodotti finiti e non fa sostenere oneri significativi aggiuntivi nella fase di lavorazione. Si
realizza il modello della “lean production”, della produzione snella, così definita per differenziarla da quella
standardizzata di massa. In tale modello viene richiesto un maggior coinvolgimento dei fornitori e dei
dipendenti che devono assicurare la qualità delle materie, dei semilavorati e componenti tali da non dover
interrompere il flusso produttivo. Un eventuale fermo della linea provocherebbe l'immediato esame del
componente difettoso, in maniera tale da risolvere il problema e proseguire. Per tali ragioni, si abbina il
concetto del JIT con quello dello “zero difetti” o “total quality control”, obiettivo che impone un continuo
miglioramento. La formazione delle scorte è attribuibile a guasti o a difetti del prodotto o a
malfunzionamenti del processo. Skinner spezza l'attività produttiva in più stabilimenti di minori dimensioni
in modo da semplificare e rendere fluido il processo. Si delineano le unità modulari di fabbricazione
sottoposte al controllo del direttore di stabilimento, con l’eliminazione dei dirigenti intermedi. Le
competenze degli addetti vengono arricchite dall'attività in gruppo, con una disposizione ad U che appare la
più favorevole in un processo automatizzato, in quanto rende più visibile la sequenza delle operazioni. Su
tale principio, sono ispirate le UTE (unità tecnologiche elementari) introdotte dalla Fiat per individuare
quelle fasi con elevata omogeneità. Le dimensioni dell' UTE variano dai 20 ai 30 addetti nella produzione di
motori e dai 40 ai 70 nella fase di assemblaggio, con l'obbiettivo di risolvere eventuali problemi nel
momento in cui si presentano. Viene imposta la predisposizione di corsi di formazione e addestramento,
nonché di standard e di procedure di valutazione. Nella filosofia del JIT assumono un ruolo importante i
circoli di qualità e altri modelli simili che incentivino il formularsi di idee. Tale approccio si accompagna con
una politica retributiva incentivante a livello di gruppi attraverso il cottimo (retribuzione in base al risultato)
oppure attraverso premi di produzione. Il TPM (totale productive maintence) ha l'obbiettivo di migliorare
l'affidabilità degli impianti e di prevenire gli errori. Esso si basa sul rapporto tra il tempo operativo utile e il
tempo di carico macchina (tempo necessario per produrre) su base percentuale. Si evidenziano cosi le
perdite di produzione per disfunzioni.

6.5 Il World Class Manufactoring (WCM) Il WCM (Word Class Manufacturig) comprende l'aggregazione di


imprese appartenenti a diversi settori, coinvolgimento che avviene attraverso l'uso di metodi e standard. Ai
lavoratori si richiede di essere polifunzionali e polivalenti. Il WCM i cui obiettivi possono essere riassunti nei
“quattro zeri”, (cioè zero difetti, zero guasti, zero giacenze, zero rimanenze), deve essere lanciato
attraverso un meticoloso lavoro di formazione del personale. Il principale svantaggio è l'elevato grado di
saturazione degli impianti.

6.6 La valutazione degli investimenti nelle nuove tecnologie L'adozione delle nuove tecnologie può
portare vantaggi, ma essere costoso in termini di ricerca. Spetta alla direzione stimare i presumibili benefici
tenendo conto del personale e dell'integrazione con le macchine. Una soluzione è rappresentata dal ricorso
al leasing, nell'acquisizione di tali tecnologie. L'innovazione tecnologica genere un lento progresso iniziale,
forte esplosione successiva e scarsi risultati nella fase di maturità. Sul piano dei costi, l'investimento può
essere misurato attraverso: - minori scarti – razionalizzazione dei consumi di energia – minori scorte di
semilavorati – minori costi di manodopera. Rimangono elevati i costi fissi. Per i beni di largo consumo sono
più convenienti gli impianti specializzati sui quali possono inserire elementi di flessibilità.

• CAPITOLO 9 - Si può considerare che l’approviggionamento, il dislocamento operativo dei beni e dei mezzi
e della distribuzione fisica rientrano nello studio della logistica. La Logistica ha avuto un tardivo
riconoscimento della sua importanza nella gestione aziendale. La razionalizzazione delle attività produttive,
richiede un’organizzazione dei rapporti a monte e a valle oltre che un supporto informativo. Nell'attuale
contesto, la logistica consente l'equilibrio tra la produzione in serie (che consente di ottenere beni ad un
costo accettabile) e il bisogno crescente di scelte individuali di consumo di una domanda sempre più
esigente e instabile. Per Porter le attività logistiche assumono un ruolo determinante nella catena del
valore. La figura evidenzia come il valore del prodotto sia determinato dalla somma delle attività logistiche,
operative, di produzione vera e propria, che identificano il flusso materiale della trasformazione, con quelle
di

marketing e dei servizi di assistenza necessari. Il margine, costituito dalla differenza tra il valore di vendita
ed il costo sostenuto per effettuare sia le dette attività primarie, cioè generatrici di valore, sia quelle di
supporto che hammo il compito di sviluppare o acquisire le risorse di base: esso dà la misura nella sua
ampiezza, della competitività dell’azienda. Tale competitività dipende dalla capacità del management di
integrare e coordinare non solo le attività interne ma anche quelle con i fornitori e i distributori.Se si
considera l’intero ciclo produttivo si genera quello che Porter definisce il sistema del valore, la cui entità è
in funzione dell’efficienza ed efficacia di ciascun partner. Esso costituisce uno strumento di controllo e di
valutazione efficace, da utilizzare in modo non statico ma dinamico, ai fini di confronto nel tempo e nello
spazio per misurare i differenziali competitivi. FIGG 1 e 2 pagg. 192 e 193

9.3 La logistica: distinzioni e aree applicative La funzione della Logistica consiste nel convogliare e
coordinare il flusso fisico in ingresso delle risorse e quello in uscita dei beni e servizi. Tali flussi non sono
continui, ma scomposti in lotti (approvvigionamento, produzione, stoccaggio, trasporto) che vanno
dimensionati e organizzati in relazione alle capacità esistenti con l'obiettivo del minimo costo globale. La
Logistica è dunque la funzione aziendale che si pone lo scopo di programmare, organizzare e controllare
tutte le attività di movimentazione e di immagazzinamento, che facilitano il flusso della produzione dal
punto di acquisto delle materie a quello del consumo finale. La logistica internasi occupa delle materie,
componenti provenienti dalle fonti di approvvigionamento sino alla loro trasformazione in beni finiti.
La logistica in uscita o di marketing si assume il carico dei prodotti finiti e ha la responsabilità della loro
movimentazione e stoccaggio al fine di un soddisfacente collocamento nel mercato. Il responsabile della
logistica di marketing prende decisioni anche su quali sbocchi al dettaglio conviene scegliere, quali vantaggi
possono esserci nella scelta di un grossista oppure con la distribuzione diretta. Si è sviluppata
contemporaneamente alla logistica di marketing, “la direzione dei materiali” che implica il flusso
programmato e controllato di tutte le scorte (materie prime, semilavorati, prodotti finiti). Il “Materials
Managment” richiede una conoscenza della domanda globale per ciascun prodotto limitatamente al
periodo di tempo necessario per consentire l’allocazione delle scorte richieste dalla produzione agli
stabilimenti. Il Materials Management inoltre non si occupa dei costi di sistemi distributivi alternativi,
tranne che tali alternative non comportino maggiori o minori scorte di prodotti finiti per sostenere un
qualunque livello stabilito di volume di vendite. L’esperienza porta a concludere che il Materials
Management è più diffuso nelle aziende che svolgono prevalentemente attività di assemblaggio e/o che
hanno impianti con problemi complessi di manutenzione mentre i problemi di logistica di marketing sono
più avvertiti nelle industrie chimiche, alimentari e farmaceutiche. La figura delina le prinvipali aree di
sistema e di una rete logistica. Pagina 196

9.4 La struttura organizzativa della logistica Delineamo ora alcuni aspetti di strutturazione della logistica.
Nel disegnare l’organizzazione di tale settore aziendale va tenuta in conto la diversità dei compiti che
attendono coloro i quali vi siano coinvolti. L’addetto al settore traffico non può occuparsi della gestione
delle scorte o viceversa. Esiste perciò una tendenza alla specializzazione che inevitabilmente aumenta con il
crescere delle dimensioni aziendali. Ciò non toglie che specie nelle aziende di maggiori dimensioni si ponga
il problema di una definizione verticale dei compiti logistici che può vedere alla testa un dirigente. A questa
organizzazione on line, si possono validamente affiancare delle funzioni di staff che possono riguardare arre
quali la programmazione della dislocazione interna di un deposito, lo sviluppo di metodi di controllo delle
scorte, ecc. Una scelta che è imposta con maggiore frequenza nel tempo è quella nell’ottica
dell’outsourcing, di affidare a terzi la gestione non solo dei servizi informatici ma anche quella integrata dei
trasporti e di magazzinaggio, vista la crescente complessità e le collegate capacità e professionalità
richieste: tuttavia le competenze di queste imprese non devono essere solo di tipo operativo. Il
responsabile della logistica deve essere collocato nell’ambito dell’organigramma aziendale, ad un livello
elevato, possibilmente alla pari dei dirigenti di marketing, della produzione finanziaria. La motivazione va
ricercata nella conflittualità che si genera tra queste funzioni. Emerge cosi la necessità di raggiungere un
equilibrio tra le varie attività e funzioni coinvolte in quest’area al fine di mantenere un buon grado di
coesione ed esercitare il necessario controllo sui costi che promanano. Le difficoltà sono ingigantite anche
dai problemi di comunicazione che si pongono. Laddove i compiti logistici non assumono rilevante
complessità può essere limitato l’intervento alla creazione di uno staff con a capo un responsabile. Un’altra
soluzione diffusa è quella che prevede la costituzione di un comitato composto dai responsabili delle varie
aree interessate, i quali si riuniscono periodicamente per gestire problemi di scarsa prevedibilità in aree di
incerta determinazione. In via generale si può affermare che è bene che la logistica conservi una struttura
accentrata, al fine di assicurare una migliore realizzazione della pianificazione globale di tale attività, basata
sul flusso fisico di prodotti dell’inter azienda. Tuttavia la tendenza attuale è di concentrare sempre maggiore
attenzione e di esercitare il massimo controllo sul miglior uso delle risorse e sulla riduzione dei costi
nell’area che ordinariamente si fa rientrare nell’ambito della logistica, allo scopo di dar vita a un efficace
differenziale competitivo.

• CAPITOLO 10 - La gestione dei materiali e la programmazione della produzione

Gli approvvigionamenti rappresentano l'anello iniziale del processo logistico e coprono l'area dei costi
normalmente più ampia. Si definisce funzione acquisti (approvvigionamenti), quell'area che ha la
responsabilità di gestire il processo d'acquisto, che solitamente comprende le seguenti fasi:

• determinazione dei beni e servizi da acquistare (in termini di qualità e quantità richieste); define
specification; • identificazione e selezione dei fornitori; select supplier; • preparazione e conduzione di
trattative con il fornitore al fine di stabilire un accordo; negotiation and

contract agreement; • emissione dell'ordine al fornitore selezionato; ordering; • monitoraggio e controllo


del fornitore affinché garantisca quanto previsto dalla conferma d'ordine; expediting; • follow- up e
valutazione; evalutation.

Si tratta di un insieme di attività necessarie a garantire un regolare flusso di materiali e servizi secondo le
esigenze di produzione. Gli obiettivi principali sono ottenere risparmi, evitare ritardi nelle consegne,
resistere ad aumenti di prezzi. Negli ultimi anni c'è stato il passaggio dalla logistica al supply chain
managment (SCM). Tale passaggio è avvenuto nel momento in cui la logistica ha scoperto che è utile uscire
dai confini aziendali. Ci si riferisce alla gestione di una serie di funzioni quali la gestione dei fornitori, degli
approvvigionamenti, delle operazioni di magazzinaggio, del trasporto e della domanda. Tutto ciò è facilitato
dalle tecnologie di comunicazione, dai sistemi informatici e da internet. La supply-chain supera così i confini
aziendali, ampliandosi lungo la catena del valore esterna. Si parla di lean supply chain per indicare la
migliore ed efficiente gestione dei rapporti con gli attori della catena, uno snellimento che fa comprendere
che il valore del prodotto si realizza lungo tutta la catena nella fornitura. Vi sono temi tipici in tale area,
come la scelta dell'ambiente ”make or buy”, la dimensione degli ordini, la costituzione di adeguate scorte e
il loro controllo. La politica del prodotto comprende tutte le decisioni relative ai materiali approvvigionati,
gli strumenti utilizzati sono le ricerche di mercato, l'analisi del portafoglio materiali e l'analisi del valore.
Secondo Kraljic la supply managment (funzione approvvigionamenti) dipende da due fattori: 1) la rilevanza
degli acquisti, in termini di valore aggiunto per linea di prodotto; 2) la complessità del mercato di
approvvigionamento, evidenziata dalla scarsità dei rifornimenti e dal grado di concorrenza del mercato; La
matrice di Kraljic distingue con quattro riquadri quattro tipologie di materiali d'acquisto:

• materiali non critici: componenti che hanno un basso impatto sull'azienda e che si trovano in
abbondanza. Per questa tipologia di componenti si punta ad una semplificazione del processo d'acquisto o
alla delega della gestione ad un partner esterno

• materiali “colli di bottiglia”: con un impatto aziendale basso in termini economici ma per i quali la
continuità di fornitura comporta un rischio elevato. Si punta a creare rapporti di collaborazione nel medio-
lungo termine per garantire la fornitura, con minor enfasi sul costo

• materiali strategici: componenti importanti per l'azienda sia in termini di impatto economico che per le
condizioni di fornitura. Si punta ad un monitoraggio continuo della situazione

• materiali con effetto leva: importanti per l'azienda ma collocati in mercati poco rischiosi e con offerta
abbondante. Si tende a sfruttare al massimo il proprio potere contrattuale e l'abbondanza dell'offerta con
frequenti negoziazioni.
Figura pagina 205 Si va perciò consolidando una razionalizzazione delle scorte, un'attenta selezione ed un
continuo controllo dei fornitori. Il livello di servizio dei fornitori viene misurato da variabili sia di tipi
economico-quantitativo sia di natura qualitativa. Nella prima tipologia di variabili rientrano il prezzo della
materia prima e la sua qualità. Altri aspetti sono le variabili temporali legate alla consegna, le variabili
tecnico-operative, la flessibilità. Fanno parte del primo ambito la rapidità, la quale dipende dalla vicinanza
geografica tra i fornitori e l'impresa industriale, e la puntualità che viene misurata attraverso lo
scostamento medio tra la data di consegna pattuita e quella effettiva. Le variabili tecnico-
operative riguardano sia le operazioni di handling (pre-imballaggio) sia le operazioni di imballaggio stesso.
La flessibilità, intesa come capacità del fornitore di concludere contratti aperti e di adattare le modalità di
consegna alle esigenze strutturali dell'impresa. Un altro fattore che guida le imprese verso la scelta del
fornitore è la criticità della risorsa.

10.2 Analisi di alcuni modelli di mercato organizzato nell’approviggionamento Tra i modelli di mercato


organizzato nell'approvvigionamento abbiamo:

• Il sistema di “subcontracting” dell'industria automobilistica giapponese ha caratteri originali di gerarchia


ne di mercato. La casa automobilistica assume partecipazioni di minoranza nel capitale dei principali
fornitori (1° fascia) che a loro volta organizzano un gruppo di fornitori di 2° livello al di sotto dei quali
operano numerose imprese minori. Sebbene i subfornitori siano anche in diretta concorrenza fra loro,
l'appartenere a questo club li porta ad un rapporto collaborativo. Si crea un gruppo contrattuale con
continuo scambio di informazioni e aggiornamento delle conoscenze tecnologiche. Il sistema funziona
anche per il forte potere detenuto dalle case e dalla reputazione che ne discende nell'essere annoverato tra
i fornitori delle stesse. In tale modello si parte dal prezzo di vendita previsto dell'auto per determinare
quello dei componenti, facendo diventare il prezzo un fattore di selezione cruciale. Il fornitore per essere
concorrenziale deve sempre migliorarsi (kaizen) investendo in nuovi processi e modifiche di prezzo.

• Il modello esaminato parte da una posizione di monopsonio (forma di mercato caratterizzata dalla
presenza di un solo acquirente), in altre circostanze il potere contrattuale è maggiormente detenuto dai
fornitori e ciò accade se – le imprese fornitrici sono in numero limitato e risultano più concentrate delle
imprese acquirenti; – non esistono prodotti sostitutivi – il bene venduto è un fattore della produzione
importante per l'acquirente – il settore non è importante per il fornitore;

• Un altro modello distingue tre livelli: gerarchico, multipolare, macro impresa. Il livello gerarchico deve


precostituire un ordine operativo frutto di decisioni strategiche dell'impresa-guida, attraverso le quali
vengono

svolte le azioni di coordinamento sul secondo livello. Il livello multipolare è costituito da imprese con
autonomia decisionale limitata che stabiliscono delle interdipendenze (poli) per realizzare prodotti o servizi
da scambiare all'interno o da offrire all'esterno. Il 3° livello è costituito da imprese esterne (indotto) che
negoziano con i poli per consentire all'impresa principale di realizzare gli obiettivi.

• Un altro modello, diffuso nel settore tessile abbigliamento, specie italiano, prevede un'impresa di
abbigliamento al centro che acquista la licenza d'uso di una griffe (nome di uno stilista) per
contraddistinguere i propri prodotti che vengono disegnati da designer e imprese esterne, affidando a uno
o più imprese di commercializzazione le vendite. Elementi di affinità con il modello giapponese del JIT sono
la vicinanza geografica, l'introduzione delle tecnologie microelettroniche e l'impiego di manodopera
flessibile.

• Un ulteriore modello riguarda la Comakership specie per le operazioni di tipo innovativo, con imprese
specialistiche. Il coinvolgimento all'interno dell'azienda è alto, ed emerge la figura del poject manager, cioè
un soggetto che coordina le operazioni con i fornitori strategicamente più importanti, al fine di ridurre il
time to market.
10.3 Il marketing d’acquisto L'elevata complessità del mercato di fornitura e l'importanza dei materiali,
impone una politica di lungo termine. Il marketing d'acquisto, può essere definito come un processo
decisionale attraverso il quale l'azienda sceglie fra i diversi fornitori esistenti sul mercato. Esso si estrinseca
in un insieme di politiche e di azioni orientate ad assumere un ruolo attivo nei confronti del mercato della
fornitura per realizzare vantaggi competitivi. Consiste in una filosofia, un atteggiamento, un nuovo modo di
affrontare tutta la tematica dell’approviggionamento, un insieme di attività strutturate, non occasionali. Il
marketing d’acquisto opera utilizzando un insieme di leve, dette di procurement mix:

• Leva Prodotto: tende ad individuare le fonti di criticità al fine di poterle gestire in anticipo, nella fase di
definizione dei target e delle strategie del rapporto di fornitura.

• Leva Prezzo: tende alla negoziazione delle condizioni economiche che regolano il rapporto con il fornitore
• Leva Fonti d'acquisto: si basa sul monitoraggio dei mercati di approvvigionamento per l'individuazione di

fornitori potenziali. • Relazione da instaurare con il fornitore : si distinguono tre classi di rapporto; -
tradizionale, basato sul

rapporto opportunistico competitivo; - integrato, basato su un accordo per sincronizzare i flussi di fornitura;
- evoluto, basato su una vera e propria partnership.

Si può affermare, che vi è una tendenza a rapporti più stabili e duraturi, basati su logiche di cooperazione,
con scambi informativi più intensi. Per e-procurment, si intende l'approvvigionamento elettronico
attraverso internet.

10.4 La movimentazione interna Una volta effettuato l'approvvigionamento, le materie, le parti e le


attrezzature vanno trasportate, ritirate e conservate secondo la soluzione più conveniente da ricercare in
vari elementi. Ci si pone il problema della dimensione dei depositi. La tendenza è di ridurne le dimensioni e
a creare singole aree di ricevimento e stoccaggio in prossimità dei centri di lavorazione, per favorire
l'afflusso più agevole di materiali agli impianti di lavorazione. Un requisito fondamentale è che il lay-out,
cioè la disposizione di impianti e macchinari, consenta di tenere sotto controllo la situazione. Un problema
importante che si pone è quello del numero delle linee di montaggio da installare, se si ottengono due o più
prodotti o famiglie di prodotti: se i materiali, componenti e attrezzi sono numerosi conviene unificare le
linee per ragioni di spazio e di movimentazione materiali. L’obiettivo è quello di ridurre i tempi di
attraversamento e di produzione con una collocazione il più possibile contigua delle aree con quelle a
monte o a valle del ciclo di produzione. Le disposizioni ritenute preferibili sono quelle a serpentina, in
quanto riduce le distanze da far percorrere dai mezzi di movimentazione e tra gli addetti, con l'obiettivo di
ridurre i tempi. Una volta effettuati i controlli quantitativi e qualitativi, la merce può essere movimentata
nei depositi o, in caso di JIT, direttamente in prossimità delle linee di produzione. La merce viene
immagazzinata secondo una logica di immagazzinamento,  in particolare si può avere un magazzino
manuale, semiautomatico o automatico. Dal punto di vista fisico il magazzino è diviso in 3 zone: - la zona di
ricezione, deve tener conto che gli arrivi delle merci non sono sempre programmabili e possono
accavallarsi; - la zona di imballo e spedizione, ha di solito minori esigenze di spazio in quanto la spedizione
può essere più facilmente programmata; - la zona di stoccaggio, costituisce quella parte in cui le merci
rimangono in giacenza, un eccesso di dimensioni comporta costi di ammortamento, mentre un difetto di
dimensioni può dar luogo a inconvenienti tra le partite di merci.

10.5 Localizzazione degli stabilimenti e problemi di definizione della capacità produttiva Il problema
logistico assume crescente importanza man mano che si allarga la necessità di trasferire ingenti quantità di
risorse e di prodotti finiti. La localizzazione industriale , dovrebbe avvenire laddove sia minima la somma
dei costi di investimento, di approvvigionamento e di collegamento. Dal lato dell'approvvigionamento si ha
la tendenza ad un avvicinamento dell'attività di produzione in prossimità dello stabilimento di montaggio
finale, tendenza che si contrappone a quella, tipica del tessile-abbigliamento, con il decentramento di
alcune fasi di lavorazione in Paesi a basso costo di manodopera. La scelta progettuale è volta a dotare lo
stabilimento di una potenzialità tendenzialmente superiore alla domanda media o massima prevista a
medio-lungo termine. Assume rilievo la capacità di modificare la produzione nell'ambito di una più generica
flessibilità del sistema produttivo, da non confondere con l'elasticità, intesa come possibilità di modificare il
volume produttivo senza incidere sul costo unitario di produzione (maggiori costi fissi, minore è l'elasticità).

10.6 – 10.7 La formazione e La classificazione delle scorte Per quanto riguarda la formazione di scorte, vi
sono due tipi di approccio: Occidentale, Giapponese. Entrambi gli approcci sono volti a ridurre al minimo i
costi e implicano la sempre più stretta interazione fra la gestione dei materiali, programmazione e le altre
funzioni logistiche. Le scorte possono essere definite come un insieme di materiali, semilavorati e prodotti
che in un determinato momento sono in attesa di partecipare ad un processo di trasformazione o di
distribuzione. La funzione delle scorte è rendere indipendente l'impresa dagli andamenti del mercato e
dalle diverse fasi di produzione all'interno dell'impresa. Le scorte possono essere classificate in base alla
loro destinazione e in base alla funzione svolta.

• Le materie prime: sono costituite dai fattori produttivi in entrata e servono ad ovviare ai ritardi nelle
consegne degli approvvigionamenti.

• I semilavorati: sono materiali che hanno subito alcune trasformazioni ma che non sono ancora ultimati e
servono per ovviare ai ritardi di consegna dei sub-fornitori o di altri reparti produttivi, inoltre consente alle
singole stazioni di organizzarsi con un min di autonomia.

• I prodotti finiti: sono beni che sono pronti per la vendita e servono a far fronte agli andamenti ciclici della
domanda.

Una seconda distinzione viene fatta tra • Scorte funzionali: si intendono le giacenze accumulate per coprire
le esigenze sia di trasporto che di

produzione e per realizzare la funzione di disaccoppiamento di due o più fasi nel processo di acquisto-
produzione e vendita. A tal proposito si distingue tra: - scorte in transito, che devono essere proporzionali
al tempo impiegato nel trasferire un bene da un punto di stoccaggio di lavorazione ad un altro; - scorte
organizzative, che rendono indipendenti le diverse fasi del sistema produttivo-distributivo.

• Scorte di sicurezza: servono a coprire la variazione di natura casuale dell'andamento medio della
domanda e del lead-time medio. Per lead-time (tempo di riordino) si intende l'intervallo di tempo che
intercorre tra il momento in cui si avverte la necessità di ricostruire le scorte e il ricevimento delle stesse in
magazzino.

• Scorte speculative: sono rappresentate dalle giacenze costituite al fine di trarre vantaggio da una
variazione prevista dei prezzi(prezzi costo e ricavo) in un determinato periodo di tempo.

10.8 I costi di gestione delle scorte Nella scelta del modello di gestione è fondamentale la conoscenza dei
costi connessi alle diverse politiche gestionali. Le principali figure che compongono il costo totale di
gestione delle scorte sono: - costi di ordinazione:  includono i costi di emissione e di gestione degli ordini
sostenuti e le spese di trasporto dalla fabbrica; - costi di mantenimento:  includono i costi del potenziali
rendimento del capitale, costi costituiti dal personale addetto alla gestione fisica delle scorte, costi connessi
con lo spazio di magazzino usato (canoni di locazione, diritti d'uso), costi relativi alla gestione di un deposito
di proprietà aziendale; - costi di sotto-scorta: costi legati all'insufficienza delle scorte; - costi di eccedenza
delle scorte: costituiti dai maggiori costi di mantenimento generati da un'eccedenza non fisiologica di
scorte. La gestione dei flussi materiali mira a garantire la continua disponibilità dei materiali. Questi
possono essere discriminati secondo le loro caratteristiche principali quali: - la natura della domanda, che
può essere dipendente o indipendente; - il valore di impiego di un materiale; - frequenza di consumo.
10.9 Il coordinamento scorte-produzione ed i modelli di gestione dei materiali Secondo la combinazione
delle caratteristiche risulta conveniente adottare logiche di gestione di tipo  look back o look ahead,  ai quali
corrispondono criteri di lancio ordini di produzione di tipo stock control o flow control. Nella logica del look
back, un ordine di produzione viene lanciato quando la scorta del materiale risulta insufficiente a coprire i
fabbisogni pianificati, tale logica è orientata alla ricostruzione della scorta in via di esaurimento, ha il
vantaggio di essere una semplice applicazione ma comporta, in genere, un maggiore investimento medio.
Secondo la logica look ahead, un ordine viene lanciato sulla base del fabbisogno del materiale, calcolato in
funzione della programmazione della produzione, tale logica presenta lo svantaggio di richiedere
elaborazioni più complesse. Rientrano tra le tecniche look back o stock contol i modelli di gestione a scorta:
Metodo del lotto economico e Metodo a tempo fisso. Rientrano tra le tecniche look ahead e flow control i
modelli di gestione a fabbisogno: il Material Requirment Planning (MRP) e il Just in Time, con la tecnica
del kanban.

10.10 I modelli di gestione a scorta: il modello del lotto economico e del periodo di riordino fisso I modelli
di gestione a scorta, sono volti a calcolare la dimensione del magazzino quando il livello in giacenza scende
al di sotto di un certo livello predefinito, viene lanciato un ordine di acquisto o di produzione volto a
reintegrare il magazzino. Le ipotesi di questi modelli sono: l'esistenza di un magazzino caratterizzato da
prelievi continui, esistenza di una domanda prevedibile e un conusmo graduale di scorte. La tecnica più
nota è quella del lotto economico. Questo modello consente, determinando la quantità da ordinare, di
minimizzare la somma dei costi di mantenimento (costi di magazzino, assicurativi, etc) e i costi di
ordinazione (costi di trasporto, amministrativi, etc). L'unità di tempo da prendere a riferimento può essere
scelta liberamente (anno, mese, settimana) purchè tutti i parametri vi facciano riferimento. La funzione di
costo da minimizzare diviene: con Q = lotto d'acquisto; F= fabbisogno; Co= costo d'ordine; p=prezzo; si noti
come il lotto economico cresce al crescere dei costi di ordinazione e del fabbisogno di approvvigionamento,
mentre si riduce all'aumentare del costo del capitale. I costi di mantenimento sono crescenti al crescere
della giacenza

media, al contrario i costi di emissione dell'ordine sono indipendenti dalle dimensioni del lotto e
proporzionali al numero di ordini effettuati (tanto più grande è il lotto, minori saranno i costi da sostenere).
Tale modello consente di ottimizzare i costi di gestione delle scorte dati i parametri relativi al prezzo,
parametri che possono variare in funzione della quantità acquistata (+acquisti, +sconti) - (+trasporti,
+paghi). Il modello del punto di riordino implica un monitoraggio continuo del magazzino, con cadenze
temporali fisse, per verificare il livello delle scorte in giacenza. Ogni verifica comporterà il lancio di ordine
pari alla differenza fra la giacenza e il livello ottimale del magazzino (livello di reintegro). In sintesi nel
modello a quantità fissa il monitoraggio è continuo, l'ordine parte quando il magazzino scende sotto un
dato livello, il lotto ordinato è fisso (controllo= continuo, intervallo di riordino=variabile, quantità=fissa); nel
modello a periodo fisso, invece, il monitoraggio è discontinuo, l'ordine parte se al momento del controllo il
magazzino scende sotto un dato livello, il lotto ordinato è variabile (controllo= discontinuo, intervallo di
riordino=fisso, quantità=variabile).

10.11 La gestione delle scorte a fabbisogno Le tecniche di gestione a scorta presentano alcuni limiti che
nascono per la valutazione della domanda su cui dimensionare il magazzino. Tali tecniche risultano
efficienti per i prodotti finiti e in alcune condizioni della domanda, al contrario sono poco adatti alla
gestione di magazzini di prodotti intermedi o per un portafoglio clienti ridotto con ordini consistenti.

10.11.2 Il sistema MRP (Materials Requirements Planning) In tali casi, sono utilizzate le tecniche di
gestione a fabbisogno . L'MRP ricerca il materie prime e prodotti intermedi a partire dal fabbisogno di
prodotti finiti espresso nel piano principale di produzione. L'MRP è una tecnica molto complessa, in quanto
richiede una grande quantità di informazioni. Queste informazioni provengono da: - Piano principale di
Produzione (cosa e quanto produrre); -distinta di base (informazioni tecniche sui prodotti); - lead time
(informazioni sui tempi di produzione, approvvigionamento); - giacenze (informazioni sulle giacenze sono la
base per determinare il fabbisogno netto). Il fabbisogno netto sarà dato da quello lordo al netto della scorta
disponibile, quest'ultima sarà pari alla giacenza di magazzino meno le scorte prenotate e le scorte di
sicurezza a cui si sommano gli ordini aperti. I progressi del software di base, hanno migliorato il metodo che
oggi prende il nome di MRP II. Lo stato di avanzamento viene controllato allo scopo di verificarne la
rispondenza al piano e rilevarne scostamenti per difetti.

10.11.3 Il Kanban e il JUST IN TIME Il Just in time e il Total Quality Managment sono tecniche finalizzate a:
- produrre solo ciò che occorre al cliente; - produrre solo al ritmo richiesto dal cliente; - produrre con
qualità perfetta (zero difetti) – eliminare ogni scorta ingiustificata; - produrre con metodi che favoriscano lo
sviluppo dei dipendenti. Il JIT è un sistema produttivo di tipo pull, cioè la produzione viene tirata
direttamente dalla domanda. I due obiettivi principali, riduzione dei lotti di produzione ed eliminazione
delle scorte, implicano un controllo contemporaneo sulle quantità prodotte, che devono adattarsi alle
fluttuazioni della domanda, e sulle qualità dell'outputs, che devono essere sempre privi di difetti. Il sistema
di gestione dei materiali Kanban rientra tra gli strumenti di gestione sviluppati nell'ambito del più ampio
sistema di produzione JIT. Attraverso il kanban un centro a valle comunica a quello a monte l'esigenza di un
determinato componente. Il Kanban è utilizzato per la gestione del processo produttivo in quanto
meccanismo attraverso cui si attivano i diversi centri di produzione all’interno dello stabilimento . Il kanban
è letteralmente il cartellino attraverso cui si trasmettono le informazioni da una stazione di lavoro all’altra
per comunicare l’utilizzo di un determinato materiale e la necessità del suo reintegro. Attraverso un
kanban, cioè un centro a valle comunica a quello a monte l’esigenza di un determinato componente e
quindi l’esigenza di metterlo in produzione. Nel sistema kanban infatti solamente la richiesta a valle attiva il
centro produttivo a monte, che non produce in base a ipotetiche necessità di produzione o a piani
predefiniti, ma solo in base a manifeste esigenze espresse dal centro di lavoro a valle. I diversi centri di
lavoro a monte, rispetto al montaggio finale, non devono quindi conoscere i piani di produzione o la
sequenza dei prodotti da mandare in lavorazione poiché la loro attività dipende unicamente dalla domanda
espessa attraverso i kanban. Il sistema prevede innanzitutto la presenza di alcuni elementi:

1) Due centri di produzione (uno a monte e uno a valle); 2) Contenitori per il rifornimento di dimensioni
standard per controllare il numero di pezzi trasferiti e

permettere anche un controllo visivo ed immediato dei flussi; 3) Un kanban di produzione che autorizza il
centro a monte a produrre le parti dopo che queste sono state

inviate a valle; 4) Un kanban di trasferimento utilizzato nel centro a valle per autorizzare il trasferimento
dei componenti

prodotti a monte. Dal punto di vista operativo: • A valle, a seguito di un consumo, c’è un contenitore vuoto
con un kanban di trasferimento. Un incaricato lo

preleva e lo porta nella zona di stoccaggio del centro a monte; • Qui l’incaricato preleva un carrello pieno,
stacca in kanban di produzione e mette quello di trasferimento; • Il carrello pieno viene portato a valle e
quando i materiali vengono mandati in produzione, il kanban di

trasferimento viene staccato e posto su una rastrelliera: quando si è accumulato un ccerto numero di
cartellini, o a intervalli prefissati, l’incaricato provvede a fare lo scambio di carrelli vuoti con carrelli pieni
posti

nell’area di stoccaggio del centro a monte; • A monte, il kanban di produzione staccato dal carrello vuoto
viene posto su una rastrelliera per indicare la

quantità di materiali consumati a valle: a intervalli predefiniti e secondo l’ordine di urgenza, il reparto
produce i pezzi consumati e li mette in un carrello nel centro di stoccaggio, ponendovi sopra il relativo
kanban di produzione.
10.12 La programmazione della produzione Effettuate tutte le scelte relative alla progettazione e al
dimensionamento del sistema di produzione, prende avvio la vera e propria gestione della produzione, che
comprende sia la programmazione della produzione che il controllo della stessa. La programmazione della
produzione comprende, l'insieme delle procedure, delle informazioni e degli strumenti che vengono
utilizzate per determinare cosa, quanto, entro quando, e con quali modalità produrre, con l'obiettivo di
ottimizzare i flussi delle risorse in entrata, l'uso delle capacità disponibili e i flussi in uscita del sistema
produttivo. Tra i diversi momenti del processo decisionale, i principali sono:

• Previsione della domanda: si prevedono le disponibilità di tutte le risorse necessarie, cioè risorse umane,
materie prime, energia, etc. tutte queste previsioni dipendono dalla previsione della domanda di prodotti
finiti. Le previsioni a lungo termine (+ di 5 anni) e quelle a medio termine (da 1 a 3 anni) risultano critiche
per le politiche di investimento, mentre assumono rilevanza le previsioni a breve termine (1 anno) dalle
quali trae origine il processo di programmazione.

• Programmazione di lungo periodo: il cui obiettivo è quello di definire un budget di produzione per ogni
unità produttiva. Il budget viene definito in base3 ad un target di fatturato che l'impresa si impone di
raggiungere. Esso viene definito per famiglie di prodotti o addirittura per tipi.

• Programmazione aggregata della produzione e definizione del piano principale di produzione: vengono
definiti le quantità annuali o semestrali per l'intero stabilimento. L'output principale è il piano di
produzione sulla base del quale viene emesso un programma di utilizzo della manodopera.

• Programmazione operativa della produzione di breve periodo (scheduling): viene elaborata a partire dal
piano principale di produzione e viene preceduta nel caso di prodotti complessi da un'analisi dei fabbisogni
di produzione. Tale programmazione può essere settimanale o scendere a livelli di migliore dettaglio, fino
alla giornaliera o per turno.

• Controllo ed avanzamento di produzione: attività che si concentra sull'analisi dello stato degli impianti,
delle quantità prodotte e dei tempi programmati. Questo controllo ha l'obiettivo di segnalare al
responsabile della supply chain eventuali anticipi e ritardi di produzione.

Nel caso di produzione a stock essa è strettamente legata alla previsione della domanda, mentre nel caso
su commessa si basa sugli ordini ricevuti. Tra i costi di programmazione abbiamo i costi variabili di
produzione (materie prime, manodopera) , i costi fissi di produzione (ammortamento, manutenzione), costi
del lavoro straordinario, costi di subfornitura, costi di stockout, costi di mantenimento a scorta, costi di
setup (fermo macchina, personale).

• CAPITOLO 11 - La distribuzione commerciale rientra in ciò che definiamo settore terziario.
L'industrializzazione nel settore dei servizi ha mirato al controllo, alla standardizzazione della qualità e alla
riduzione dei costi. L'interesse allo studio del sistema distributivo consegue all'espansione continua delle
attività del settore terziario sia in termini di partecipazione al reddito nazionale sia in termini di occupanti,
assistendo ad un passaggio di lavoratori dal settore primario al secondario e successivamente al terziario.
Negli ultimi anni si sono verificati due fenomeni decisamente importanti che hanno scosso il comparto
distributivo. In primis l'andamento dei consumi, consumi che hanno conosciuto una fase di crescita negli
anni '50 e '60, in linea con la crescita demografica del paese, una flessione negli anni '70, in corrispondenza
del 1° e 2° shock petrolifero, cui ha seguito un periodo di crescita contenuta fino alla seconda metà
dell'attuale decennio, quando ha ripreso ritmi interessanti, infine dal 2008 in poi si registrano cali sui
consumi, dovuti alla crisi finanziaria del 2007. Il secondo fattore rilevante consiste nei sempre più frequenti
e repentini mutamenti nelle tendenze e abitudini di acquisto del consumatore, sempre più esigente sulla
qualità e sempre più attento nella scelta del punto vendita. Una delle cause di tali cambiamenti viene
individuata nell'introduzione dell'Euro che ha modificato la percezione del valore da parte del
consumatore; un altro componente è il cambiamento demografico, con la bassa natalità e l'allungamento
della vita media, si hanno più persone anziane che mostrano una scarsa mobilità e una minore propensione
al consumo. Infine, la mutata percezione dell'innovazione da parte del consumatore, ha spinto le imprese a
ridurre gli investimenti assumendo un atteggiamento prudenziale, con uno spostamento degli investimenti
dal consumer marketing al trade marketing, visto il peso crescente della grande distribuzione.

11.2 La struttura della distribuzione al dettaglio La rete distributiva al dettaglio si suddivide in: piccolo
dettaglio indipendente e in dettaglio organizzato. Quest'ultimo si suddivide a sua volta in quattro forme: 1)
grandi aziende a base capitalistica con catene di magazzini di vendita al pubblico (Grandi Magazzini,
Supermercati, Discount) 2) il commercio associato, nelle tipiche forme delle unioni volontarie e dei gruppi
di acquisto. 3) le cooperative di consumo (la Coop) 3) le forme speciali, come le Case di vendita e le aziende
affiliate con il Franchising. Altre forme sono rappresentate dal dettaglio non store, cioè che non proviene da
un luogo fisico (vendita a distanza., televendita, vendita porta a porta). Infine una distinzione basata solo
sulla dimensione (superficie di vendita), può essere effettuata tra piccolo dettaglio , suddiviso in
indipendente e associato, e grande dettaglio, distinto in grandi punti vendita e grandi imprese.

I sistemi computerizzati, il trasferimento elettronico dei fondi e dei dati, i sistemi elettrici di pagamento,
consentono di ottenere informazioni preziose alle aziende del grande dettaglio, relative al cliente (sesso,
lavoro, fedeltà alla marca), che costituiscono un datawarehouse e consentono di svolgere azioni di
marketing autonoma rispetto alle imprese produttrici. Al grande e piccolo dettaglio si è aggiunta la vendita
attraverso internet. Tali vendite comprendono promozioni e sconti volti ad incentivare gli acquisti ed a
consolidare la fedeltà al distributore. I vantaggi vanno dal risparmio di tempo alla riduzione di prezzo,
tuttavia è facile immaginare che un consumatore che acquista da casa sia soggetto a minori tentazioni
rispetto ad un cliente che si aggira in un punto vendita. Il settore alimentare sta subendo una tendenziale
contrazione dei punti vendita, fenomeno collegabile da un lato alla più massiccia concorrenza della grande
distribuzione nel settore food e, dall'altro, con la struttura produttiva cui prevale la medio-piccola
dimensione. Non è, tuttavia, sempre vero che a maggiori dimensioni corrispondono minori prezzi. Esistono,
infatti, forme di dettaglio che consentono, come le unioni volontarie e i gruppi d'acquisto, economie di costi
e competitività sui prezzi. Un modello noto come “Wheel of retailing” è basato sul concetto che forme
nuove di vendita entrano sul mercato con bassi prezzi, ed una volta conquistata una fetta del mercato, li
aumentano. L'evoluzione del commercio al dettaglio è stata favorita anche dalla politica dell'assortimento
per cui l'allargamento della gamma dei prodotti ha assicurato un flusso costante della clientela. In alcuni
Paesi si stanno promuovendo sistemi per frenare la loro diffusione, sono state definite illegali le vendite
sottocosto. In Italia è stata attuata la linea ministeriale che mira a sanzionare gli abusi sia sul piano
amministrativo comunale sia sul piano del risarcimento dei danni per concorrenza sleale, nonché con
provvedimenti dell'Antitrust per i casi di pubblicità ingannevole. In alternativa alle vendite sottocosto sono
state introdotte le carte fedeltà che offrono sconti legati al valore cumulato degli acquisti al fine di non
inasprire i rapporti con i fornitori che potrebbero considerare declassato il proprio prodotto. L'obiettivo è
quello di una convivenza tra il dettaglio tradizionale e GDO, una convivenza che sia sempre più competitiva
e sempre meno conflittuale. L'intervento pubblico è stato indirizzato a favorire la competitività del settore,
attraverso un processo di liberalizzazione, che ha rimosso una serie di depositi che costituivano altrettante
barriere d'entrata (ha eliminato il Registro degli Esercenti il Commercio REC). [114/1998] Una ulteriore
spinta all'associazionismo può ottenersi garantendo ai commercianti il perseguimento di economie con la
gestione accentrata degli acquisti e delle scorte; gruppi d'acquisto decisivi in fase di approvvigionamento,
per riuscire ad ottenere prezzi inferiori e/o dilazioni di pagamento, ottenendo maggiore competitività
rispetto alle GDO. Attraverso i gruppi d'acquisto le piccole imprese possono da un lato mantenere la loro
autonomia e dall'altro godere di un maggior peso sui fornitori. Le centrali d'acquisto hanno ridotto i centri
decisionali comportando un recupero di efficienza nelle relazioni con i grandi fornitori. Anche il ricorso al
Franchising può essere valido per legare operatori locali ad imprese in espansione. L'intervento pubblico
mira da un lato a mantenere sostanzialmente inalterata la rete commerciale nei centri storici, e dall'altro ad
incentivare l'istituzione, nelle zone urbane, delle forme distributive moderne. A tal proposito è stata
modificata la disciplina degli orari dei negozi adeguandola alla regolamentazione esistente nei principali
Paesi europei, rendendola più flessibile per far coincidere le esigenze dei commercianti con quelle dei
consumatori. L'ultimo intervento del Legislatore (248/2006) ha abolito l'iscrizione ai registri abilitanti o la
dimostrazione dei requisiti professionali, facendo salve quelle inerenti il settore alimentare e della
somministrazione di alimenti e bevande. In conclusione la riduzione di barriere, l'ingresso di grandi
organizzazioni estere e l'influsso di delle tecnologie elettroniche, stanno allargando la competizione nel
settore e costituiscono sfide fondamentali sia per i distributori ma anche per la produzione.

11.4 I canali di distribuzione Lo studio dei canali di distribuzione è basilare per la concezione di un
efficiente sistema integrato di distribuzione. Oltre ai condizionamenti che l'impresa subisce, sul piano
dell'orizzontale, dai concorrenti, esistono, sul piano verticale, situazioni di conflittualità che si possono
ricondurre alle seguenti:

• costituzione delle scorte e formazione degli assortimenti • concorrenza nell'ambito del canale distributivo
• concorrenza tra differenti canali distributivi

L'importanza della migliore gestione dei canali di distribuzione è tale che nelle aziende di medio-grandi
dimensioni si è diffusa la funzione del “responsabile dei canali” (trade o channels manager), che ha il
compito di pianificare, coordinare, valutare e controllare le relazioni in tale area. (controllo delle scorte,
gestione dell'ordine, magazzinaggio, etc). Nella fase distributiva implica l'instaurazione di relazioni di
medio-lungo termine con uno scambio di informazioni che valorizzi la specializzazione e la professionalità di
ciascun elemento del canale. Nella fase distributiva va coltivato un approccio fondato sulla consapevolezza
della comunanza dei problemi ed interessi, apparentemente contrastanti, specie in ordine alla detenzione
delle scorte e alla formazione degli assortimenti. Da una posizione conflittuale, i rapporti tendono ad
assumere un carattere collaborativo di tipo anche contrattuale (franchising). Questa evoluzione sta
producendo un bilanciamento dei poteri all'interno del canale distributivo a scapito dei produttori con
l'affermarsi della marca commerciale per i beni di largo consumo alla quale devono assoggettarsi i
produttori non di marca riconosciuta in grado di vendere a costi bassi. Le forme più comuni sono costituite
dalle marche di fantasia (prodotti a basso prezzo) e dalla marca insegna (prodotto con stesso nome
dell'impresa). I produttori di marca, specie se non leader, devono ricercare soluzioni, che favoriscano lo
smercio di prodotti a più lento rigiro, specie per i beni non di largo consumo. In tali casi si tratta di
combinare in modo ottimale le attività di marketing poste dal produttore e dal distributore, il quale punta
alla creazione di un ambiente coinvolgente e ad accrescere la fedeltà del cliente. Anche le marche leader
hanno dovuto affrontare problemi di costo, di comunicazione e di identificazione attraverso la creazione di
punti vendita allestiti in modo da rappresentare l'immagine della Casa produttrice (i concept store: Disney,
Swatch, Sony).

11.4.2 I principali intermediari della distribuzione Uno degli elementi chiave della distribuzione moderna è
che la performance aziendale è fortemente condizionata dall'efficacia delle politiche attuate dagli
intermediari della distribuzione.

• Il grossista: si tratta di un'impresa commerciale che si assume anche l'onere di gestire vari servizi tra cui la
gestione di scorte e magazzini. La figura tradizionale del grossista è stata messa in crisi dal fatto che molte
aziende di produzione di beni di consumo durevole è di istituire dei depositi per la consegna al dettagliante
o al consumatore finale. Con l'eliminazione di tale figura, può verificarsi un aumento del costo connesso se
le sue funzioni vengono eseguite da chi non è professionalmente e tecnicamente preparato. Nella realtà
odierna si può rilevare come l’ingrosso abbia perso una parte consistente della sua produzione nel sistema
distributivo, pur mantenendo un ruolo di rilievo in taluni settori più polverizzati;

• Il grande dettaglio: è rappresentato prevalentemente dai supermercati e dagli ipermercati (GDO).
L'aumento delle dimensioni dei punti vendita, oltre ad aver modificato il quadro del commercio nel Paese
del consumatore, ha inciso a svantaggio dell'impresa industriale. L'impresa industriale si trova a dover
contattare uno, duo o al massimo tre compratori che però rappresentano la quasi totalità delle imprese
commerciali, vedendosi quindi costretta a concedere sconti e ridurre il proprio margine di profitto.

• Il piccolo dettaglio: a causa della forte concorrenza della GDO, il numero di questa categoria è in calo. Tali
imprese detengono una minore varietà di prodotti al proprio interno a prezzi più elevati, inoltre possono
detenere, in genere una ridotta quantità di scorta, finendo spesso in stockout. Inoltre quanto più piccoli
sono i negozi, tanto minori sono le risorse possedute al fine di assicurare la fornitura dei servizi associati al
prodotto.

11.4.3 Tipologie di canali distributivi I canali si distinguono in funzione della lunghezza del percorso che il
prodotto compier per arrivare al cliente finale. Esistono tre tipi di canali:

• Canale lungo: prevede l'inserimento dell'ingrosso tra produzione e dettaglio, questo tipo di canale genera
vantaggi per l'impresa industriale legati ai minori costi di vendita e di trasporto e svantaggi relativi alla
scarsa possibilità di influire sulle modalità di collocamento del prodotto nel mercato e nell'impossibilità di
controllare il prezzo di vendita. Tipico dei settori della cancelleria, ottica, alimentare e tecnologia.

• Canale corto: prevede l'inserimento solo del dettaglio, questo tipo di canale genera vantaggi per l'impresa
industriale legati alle maggiori informazioni sul mercato e svantaggi relativi al doversi far carico delle spese
di gestione delle scorte e di tutte le incombenze derivanti dalle transazioni. Tipico dei settori dell'alta moda,
gioielleria e cosmesi.

• Canale diretto: prevede un contatto diretto tra produttore e consumatore, mediante una rete di
distribuzione propria. Si tratta della soluzione più costosa per l'impresa industriale e viene utilizzata
soprattutto per la distribuzione di beni strumentali e di prodotti che necessitano di assistenza post-vendita.
Tipico del porta a porta, telemarketing, televendite.

11.4.4 Il category management Negli ultimi anni si è imposta la figura “category managment”, cioè quel
processo distributore/fornitore volto alla gestione delle categorie come unità di business strategiche. Per
categorie si fa riferimento a un gruppo di prodotti/ servizi distinto e gestibile, che il consumatore percepisce
come un insieme unico. La gestione della singola categoria va vista in relazione con quella delle altre al fine
di ottimizzare la performance del punto di vendita. In particolare il category managment dovrà procedere
per fasi che comprendono alcuni processi chiavi quali la definizione e l'analisi delle categorie, la definizione
degli obiettivi, la definizione delle tattiche e il controllo dei risultati.

11.5 I rapporti industria-distribuzione e l’ECR (Efficent Consumer Response) L'autonomia delle imprese


della grande distribuzione nella formazione dell'assortimento e dei prezzi di vendita, incide sui rapporti con
i produttori. Se il meccanismo funziona, il distributore spunta condizioni più favorevoli che trasferiscono
riflessi positivi per il consumatore. Il ricorso al commercio elettronico e all'outlet, ossia a strutture in cui i
produttori vendono direttamente con forti sconti, prodotti con qualche anomalia o imperfezione,
costituiscono strumenti di presenza diretta dell'industria nel tentativo di ridurre i condizionamenti della
distribuzione. Anche in Italia, è stato lanciato il progetto ECR nel 1993 finalizzato ad una razionalizzazione
della supply chain, prevalentemente per i prodotti di consumo confezionati. La fase evolutiva più recente ha
accellerato i progressi in termini di uso della codifica del codice a barre in collaborazione con l'INDICOD
(Istituto centrale dei codici a barre).

11.5.1 I sistemi Rfid (Radio Frequency Identification) Al fine di prevenire le crisi legate all'emissione di
alimenti a rischio (es: mucca pazza e influenza aviaria) l' Unione Europea ha disposto alcune regole
(1/1/2005) per la gestione dei flussi di prodotti alimentari. Alle imprese viene imposto di applicare i criteri
di tracciabilità non solo ai lotti di produzione e ai pallet che servono per la movimentazione, ma anche ai
singoli prodotti. L'obiettivo è arrivare ad una gestione elettronica per ottenere il controllo in tempo reale sui
flussi di prodotti. Si stanno oggi sviluppando le etichette intelligenti a radio frequenza, le c.d. Rfid. Si tratta
di etichette in silicio, dotate di microchip, con una piccola memoria riutilizzabili e prive di alimentazione
elettrica. Tramite delle antenne emettono un segnale contenente i dati memorizzati nella memoria ad un
ricevitore che le visualizza, ogni etichetta è unica e permette la tracciabilità dei
prodotti/colli/pallet/contenitore. La Rfid è una

tecnologia utilizzata dall'aeronautica militare inglese durante la seconda guerra mondiale. Questa
tecnologia si differenzia rispetto a quelle tradizionali per quattro caratteristiche: 1) l'etichetta contiene un
chip di memoria 2) si possono leggere le etichette fino ad una distanza di due metri circa 3) possono essere
lette più etichette contemporaneamente 4) non è necessario disimballare le merci per leggere gli oggetti.
L'idea vincente è stata quella di utilizzare la tecnologia Rfid per la gestione efficiente dei prezzi di ricambio e
per garantire l'autenticità, attraverso la partnership tra Iveco e Kuehne+Nagel. Le applicazioni Rfid sono una
realtà in molti ambiti applicativi, basi pensare al sistema telepass o all'identificazione degli animali di
allevamento o di compagnia. I vantaggi sono relativi alla riduzione dei tempi di produzione
dell'informazione e l'aumento del livello di servizio, tuttavia la rfid rappresenta ancora un mercato di
nicchia, legato al settore della logistica, delle automobili e delle catene di montaggio. La sua estensione al
consumatore è frenata dalla riservatezza dei dati personali (privacy)

• CAPITOLO 12 - La Logistica in uscita ha il compito di provvedere alla movimentazione e allo stoccaggio dei
prodotti finiti, al fine di assicurare un tempestivo collocamento sul mercato sul mercato. Essa consente di
ottimizzare la relazione fra il livello di servizio da offrire alla clientela, l'entità delle scorte da mantenere e i
costi per il trasferimento dei prodotti dallo stabilimento al mercato. Per il Porter, l'azienda deve scegliere se
dare priorità al contenimento dei costi (leadership di costo), o alla differenziazione della gamma offerta con
miglior servizio, ma maggiori costi di consegna. Il perseguimento di una strategia di miglioramento continuo
tende a sfumare tale distinzione, unendo minori costi a una discreta gamma produttiva. In primo luogo va
definito per i vari segmenti di mercato, in base alla loro importanza, il livello di servizio. La situazione delle
scorte va esaminata alla luce delle fluttuazioni cicliche della domanda. Occorre porsi interrogativi del tipo:
quali vincoli crea il mantenere un livello costante di produzione o un livello elevato di servizio alla clientela?

12.2 Il livello di servizio I servizi al cliente si distinguono in: - servizi alla distribuzione; - servizi al cliente
finale. Il servizio inizia prima della vendita in maniera tale da facilitare la scelta del compratore potenziale,
deve proseguire al momento della conclusione del contratto e deve facilitare l'uso del bene: è la ricerca
della massima customer satisfaction e dell’accrescimento del valore generato per il cliente. L'obiettivo
primario della funzione logistica è quello di assicurare l'equilibrio tra il conseguimento del massimo livello di
servizio e il contenimento dei costi relativi al fine di migliorare l'efficienza e la redditività dell'azienda. Il
rendimento del sistema logistico di un'impresa va valutato fondamentalmente in base al livello di servizio
offerto alla clientela, al livello di produttività delle operazioni svolte e al livello di redditività
dell'investimento in scorte e mezzi di trasporto. Il servizio ottimale è quello che assicura al cliente il
prodotto richiesto nella qualità, quantità, tempo, e luogo richiesto. Inoltre assicura servizi finanziari e di
assistenza, cercando di tenere i costi di distribuzione su livelli più bassi possibili. Si suole esprimere il livello
di servizio con un rapporto percentuale tra gli ordini evasi e quelli ricevuti, in un certo arco temporale. Esso
è preferibile intenderlo come affidabilità del prodotto in termini di:

• rapidità: intesa come tempo trascorso tra il ricevimento dell'ordine e la consegna • regolarità: dipende
dalla metodicità di trasmissione degli ordini e dall'esistenza di scorte • puntualità: va valutata sia in termini
di tempo medio di consegna sia per l'entità degli scostamenti dalla media • flessibilità: si riferisce
all'adattabilità del sistema distributivo aziendale alle diverse modalità di ricezione dei

clienti • accuratezza: rende minime le contestazioni per qualità, quantità e imballaggi difettosi.

Non vanno trascurate le informazioni sullo stato di avanzamento degli ordini, la tempestività di emissione,
l'assistenza pre e post vendita. L'equilibrio ottimale si raggiunge nel punto in cui il costo marginale uguaglia
il ricavo marginale. Come regola generale, stante un certo livello di servizio i costi logistici crescono in
maniera esponenziale rispetto al servizio offerto, cioè ogni miglioramento del servizio genera un
incremento più che proporzionale dei costi corrispondenti. L'andamento delle vendite in relazione al livello
di servizio può configurarsi come una curva di Gobertz a forma di esse, dove nei punti concavità e
convessità si assume che la domanda si rileva particolarmente sensibile al livello del servizio. Il problema
del livello di servizio ha interessato prevalentemente le aziende manifatturiere in quanto si pongono
problemi connessi alla distribuzione fisica, problemi relativi al rifornirsi tempestivamente e problemi legati
ad assicurare un'assistenza pos-vendita.

12.3 Costi logistici e scelta del canale distributivo Nelle imprese produttrici di servizi, invece, l'attività
logistica si preoccupa principalmente della fase di rifornimento. Nella scelta del canale distributivo, in
genere si rivolge l'analisi al canale “dominante”, cioè il canale attraverso il quale l'azienda realizza la
maggior parte del proprio fatturato . Per procedere a tale analisi, l'azienda considera alcuni fattori
vincolanti esterni, in tal caso valuta se il prodotto è un bene primario, deperibile, standardizzato, il grado di
concorrenza e la normativa vigente in materia commerciale e fiscale; e alcuni fattori vincolanti interni, quali
il tipo di produzione, la dimensione e la capacità finanziaria con la conseguente forza contrattuale. Si
perviene a definire il grado di copertura distributiva, ossia il numero di dettaglianti. Si porrà l'alternativa se
scegliere una distribuzione di tipo intensivo (prodotto disponibile in molti punti vendita), selettivo (prodotto
disponibile in limitati punti vendita), esclusivo (prodotto disponibile in uno o pochi punti vendita). Per
misurare i punti di forza e di debolezza di un canale, si devono

individuare: - le particolari funzioni di commercializzazione richieste dal prodotto; - i tipi di intermediari più
idonei a svolgere tali funzioni; - il numero di intermediari da usare; - le politiche di prezzo.

12.4 L’equazione dei costi nella logistica di marketing La contabilità classica non è in grado di individuare i
singoli componenti di costo implicati nel sistema logistico. I maggiori ostacoli sono: - disaggregare i costi
globali in specifici componenti; - allocare questi componenti in centri di costo; - misurare i costi associati ad
una specifica attività distributiva. Il costo totale della distribuzione fisica è CDf = T + CdF + CvD +V Cioè
il costo della distribuzione fisica = costo dei mezzi di trasporto + costo fisso dei depositi (ammortamento e
canoni di locazione) + costo variabile dei depositi (gestione delle scorte) + costo mancate vendite.

12.5 L’individuazione dei costi L'individuazione delle componenti di costo viene facilitata ricorrendo
all'individuazione dei centri di costo, il responsabile della pianificazione di settore userà i criteri del calcolo
economico e non di quello contabile. I maggiori centri di costo sono: 1) Trattamento degli ordini 2)
Movimentazione dei prodotti 3) Confezionamento e imballo 4) Magazzinaggio 5) Mantenimento delle
scorte 6) Trasporti 7) Altri costi amministrativi. Mentre i primi sei sono facilmente delineabili, l'ultimo si
riferisce a spese generali affrontate nel processo di distribuzione. I centri di costo sono molto ampi per cui
alcuni vanno inseriti in più punti del sistema logistico, ad esempio il mantenimento delle scorte è richiesto
sia nello stabilimento che nei depositi periferici.

12.6 Metodi di allocazione dei costi Per allocare i costi ai centri specifici è opportuno distinguere i costi
diretti da quelli indiretti, essendo i primi attribuiti ad una specifica attività assunta come centro di costo.
Nell'ambito del calcolo economico è necessario introdurre l'ulteriore distinzione tra costi fissi e costi
variabili. Questi ultimi sono connessi al volume di prodotto trattato e sono facilmente riferibili ai centri di
costo. Tutti i costi variabili sono diretti, ma non è necessariamente vero il contrario. I due metodi di
allocazione dei costi sono il direct costing e quello dei costi di copertura. Quest'ultimo addossa ai centri di
costo tutti i costi indiretti che sono stati sostenuti. Tale metodo ha ricevuto critiche basate sull'arbitrarietà
dell'assegnazione del costo: addossare un costo indiretto ad un centro di costo equivale a definirlo diretto
per convenzione. Se si fa ricorso al direct costing (calcolo dei costi marginali) si supera il problema dei costi
indiretti ignorandoli nella determinazione dei costi per i singoli centri. Tuttavia anche tale tecnica è stata
sottoposta a critiche perché i costi indiretti vanno trattati alla stregua di quelli diretti.
12.7 TRADE OFF e costo totale della logistica L'individuazione dei centri di costo va assunta in
collegamento con le altre attività aziendali, può essere conveniente per l'azienda, ad esempio, accrescere i
costi di trasporto si ciò riduce i costi globali mediante la riduzione del livello di scorte. Si può applicare il
concetto di trade off.  Pagina 289 da disegnare.  In un primo livello si pone un trade
off interfunzionale,  cioè un'interazione tra le principali funzioni aziendali per ottimizzare il sistema
aziendale. L'esempio mostra che il costo di distribuzione cresce se l'espansione del mercato si verifica verso
zone geograficamente più lontane, a tale andamento si contrappone una diminuzione del costo di
produzione per effetto delle economie di scala. Il grafico identifica il volume di produzione che minimizza il
costo totale di produzione e distribuzione. Un secondo livello di trade off riguarda le
connessioni interattività ed implica un equilibrio dei costi tra i maggiori centri di attività nel sistema
logistico. L'esempio è fondato sulla determinazione del numero ottimo di magazzini in una rete basata
unicamente sui costi. Si nota come all'aumentare del numero di magazzini cresca la richiesta di
movimentazione mentre diminuiscono i costi di consegna locali man mano che i depositi sono dislocati
vicino ai punti di consegna finale. Un terzo livello di trade off può essere definito intermodale  e trova la più
appropriata applicazione nell'area dei trasporti. L'esempio mostra l'alternativa tra trasporto ferroviario e
stradale, il primo cresce in misura meno che proporzionale rispetto al volume trasportato, mentre nel caso
di trasporti con un parco di mezzi propri la funzione riflette gli incrementi di costi fissi dovuti all'aggiunta di
nuovi veicoli. Il grafico identifica il punto di minimo costo in funzione del volume Il quarto livello è
quello intertipo che considera i costi impliciti in operazioni quali il ricorso al vettore o a un parco di mezzi
propri, uso di magazzini generali o di depositi propri. L'esistenza di uno spazio di magazzino inutilizzato è
frequente nei depositi aziendali, il che costituisce un costo, mentre nell'uso di strutture esterne ciò non si
verifica perché si paga solo lo spazio occupato. Nella figura si nota come la funzione costo aumenta in
misura tendenzialmente decrescente con il crescere del volume operativo. Analizzando l'esempio il sistema
1 (un deposito) risulta più economico del 2. La metodologia deve tener conto che; - i costi sono considerati
da un punto di vista statico e non dinamico; - bisogna introdurre la considerazione dei ricavi, introducendo
un ulteriore trade off tra l'andamento dei costi e dei ricavi di ciascun sistema; - si è tenuto conto solo dei
costi operativi trascurando la redditività degli investimenti; - un'ultima analisi riflette l'andamento dei costi
di distribuzione associati a canali alternativi, in quanto la mancanza di efficienza di un canale costituisce un
costo di distribuzione da tenere in conto.

12.8 Analisi dinamica dei costi L'analisi dinamica dei costi consente di scegliere il tipo di sistema logistico
in funzione del volume, in modo da

mantenere al livello minimo il costo totale. Si può affermare che un sistema logistico basato su bassi costi
fissi e elevati costi variabili sia più vantaggioso a bassi volumi, mentre il contrario diventa più competitivo
con grandi quantità trattate. È, inoltre, opportuno tenere presente che vi è un certo grado di incertezza e di
approssimazione nel calcolo dei costi sviluppati. Nel decidere un investimento nel sistema logistico va
considerato che un sistema impostato in modo rigido può offrire convenienza a breve termine mentre può
scontare nel medio-lungo. Poiché ogni sistema dà luogo a un diverso livello di servizio, è necessario inserire
il calcolo dei ricavi nella scelta del sistema più conveniente. Un aumento del reddito netto, può scaturire da
un risparmio nei costi di distribuzione oppure da un incremento delle vendite a seguito del miglioramento
del servizio. L'ultimo stadio dell'analisi consiste nel calcolo di un indice di redditività dato dal rapporto tra il
valore attuale dell'incremento dei fondi totali resi disponibili da ciascun sistema e l'investimento iniziale
richiesto. Nella gestione del sistema logistico in uscita, uno degli aspetti più critici da considerare nel
modificare un sistema è l'impatto del cambiamento sul sistema stesso. Un requisito deve essere la
flessibilità nel lungo termine. Ogni investimento effettuato va confrontato con quelli alternativi.

12.10.2 Progettazione e ristrutturazione del sistema di distribuzione fisica Lo stabilimento deve legarsi


con i propri mercati, per far questo bisogna risolvere il problema della progettazione del sistema
distributivo. L'introduzione nell'azienda del concetto di costo totale della distribuzione tende a
ridimensionare il numero di depositi. È inoltre evidente che tanto più ampia e varia è la gamma di
produzione tanto più complesso sarà il sistema logistico. Anche le caratteristiche del prodotto stesso
costituiscono fattori importanti nella decisione relativa all'istituzione di un deposito, la fragilità, il valore e il
peso del prodotto influiscono sulle decisioni di stoccaggio. Gli oneri finanziari prevalgono per i prodotti di
maggior valore, mentre i costi più significativi per prodotti pesanti e voluminosi sono il trasporto e il
maneggio.

12.10.3 La funzione dei depositi La funzione del costo considera i costi fissi collegati all'attuazione di un
sistema di magazzini, costi di trasferimento delle merci e i costi di mantenimento delle scorte. L'analisi del
costo fornisce una base per identificare quanti depositi dovrebbero essere istituiti in una particolare area di
mercato. In genere, per la localizzazione dei depositi si utilizzano spesso modelli di simulazione, di cui una
delle forme più semplici è l'algoritmo dei trasporti. L'istituzione dei depositi non solo deve permettere
l'accumulo delle scorte ma anche le manipolazioni di cui necessitano i prodotti. Si può individuare una
chiara relazione tra movimentazione e stoccaggio, visto che la maggiore efficienza della prima consente di
ridurre tempo e spazio da concedere al secondo. La costituzione di centri di distribuzione (CEDI), forniscono
un incentivo a concentrare in uno o pochi depositi le scorte, una struttura centralizzata che asseconda la
logica del flusso teso alla base della produzione snella. Si sono diffuse piattaforme, idonee al transito e alla
rispedizione più che allo stoccaggio. Nel caso di produzione a stock, si propende per una rete di depositi di
tipo ramificato a più livelli, con adeguate scorte di prodotto finito più vicine al cliente, una soluzione più
costosa ma consente un miglior livello di servizio. Nelle caso di produzione su commessa, si effettuano
tutte le spedizioni direttamente al cliente, con modalità diretta o groupage. Indipendentemente dalla
scelta, i magazzini e i trasporti possono essere gestiti dall'azienda stessa o da un operatore esterno.
Quest'ultima soluzione è vantaggiosa economicamente in quanto consente di trasformare i costi fissi in
variabili, inoltre è preferibile affidare tale attività ad esperti del settore. La realtà offre varie soluzioni
intermedie che contemplano la presenza di depositi al primo livello (regionale) e secondo livello
(provinciali), integrati con centri di distribuzione, magazzini generali, grossisti etc. Una volta valutata
l'opportunità di istituire una rete di depositi periferici, si pone il problema se lo stock di sicurezza deve
essere detenuto prevalentemente dal magazzino centrale o di decentrare. Anche la dislocazione interna di
un magazzino ha un impatto significativo in termini sia di capacità di movimentazione sia di utilizzazione
degli spazi. Il tipo di attrezzatura influenza i metodi di sistemazione delle scorte. Il miglior sistema dipende:
- dalle caratteristiche dei prodotti da movimentare; - dalla superficie del deposito; - le quantità per ogni
voce e la rotazione degli articoli. Il magazzino automatico comporta l'impiego di robot e software molto
sofisticato. I vantaggi, in questo caso, cominciano a concretizzarsi solo se si raggiunge un determinato
livello di operazioni, in maniera tale da bilanciare gli elevati investimenti con la riduzione dei costi del
lavoro, miglior sfruttamento dello spazio in termini sia di stoccaggio che di movimentazione.

12.11 L’imballaggio Il requisito fondamentale di un imballaggio, secondo l'ottica della logistica, è che esso
consenta la massima protezione del bene nella manipolazione e nello stoccaggio. Il marketing considera
l'imballaggio dal punto di vista del valore promozionale e di presentazione del prodotto. Mutamenti
significativi per quanto riguarda l'imballaggio, ha visto l'introduzione della pallettizzazione e
containerizzazione, oltre che l'impiego delle materie plastiche, che presentano il problema relativo
all'ambiente. Tale inconveniente ha fatto si che si sviluppasse la Logistica di ritorno, con l'obiettivo di
recuperare valore dallo smaltimento dei prodotti obsoleti. In tale settore è importante rispettare le norme
sull'etichettatura e sul relativo contenuto informativo. Un altro aspetto da esaminare, riguarda la scelta tra
il confezionamento in fabbrica o presso il deposito. Si propenderà per la seconda soluzione, quando la
spedizione senza imballo consenta un minor costo delle operazioni di carico e di scarico. I deterioramenti
del prodotto e le caratteristiche del processo produttivo potranno determinare l'opzione per la prima
soluzione. L'impiego degli aerei e dei container consente di utilizzare imballaggi meno costosi per la minor
incidenza dei rischi di danneggiamento, rispetto al trasporto marittimo.
12.12 La politica dei trasporti La funzione del trasporto nel processo distributivo costituisce indubbiamente
il nucleo centrale. La disponibilità di mezzi di trasporto adeguati, a costi sopportabili, influisce sulla
decisione di quali aree geografiche di mercato servire. La tendenza alla riduzione delle scorte assegna al
trasporto un ruolo di magazzino viaggiante che eviti la sosta nei depositi. I sistemi di trasporto si
completano, formando un sistema intermodale. Vi sono i c.d. Hub (di 1° e 2° livello) in cui si concentrano i
traffici delle merci e da cui partono le consegne periferiche. L'obiettivo è minimizzare il costo di
trasferimento dei beni, individuando la migliore combinazione dei mezzi di trasporto. I mezzi di trasporto
sono: - mezzi su gomma – treni – navi da container – sistemi intermodali (casse mobili) e la scelta viene
effettuata in funzione dei target di tempo, dell'affidabilità delle consegne e dei costi che si vogliono
sostenere. L'eliminazione dei controlli doganali hanno accentuato la concorrenza con significative riduzioni
di costi e tempi. Un'ulteriore scelta riguarda la predisposizione di un parco di mezzi propri o di terzi. Per
effettuare tale scelta bisogna valutare le caratteristiche del prodotto, ad esempio un produttore di beni a
ciclo di vita breve, per il quale gli investimenti durevoli possono rivelarsi antieconomici, si affiderà a depositi
in locazione e mezzi di trasporto di terzi. Inoltre deve essere preso in considerazione il livello di servizio
minimo richiesto, in tale ottica l'outsourcing verso grandi operatori specializzati, con cui si instaura una vera
e propria partnership, si è diffusa con risultati positivi, specie con riferimento ai MTO che dispongono di
risorse e competenze a livello internazionale.

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