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Sistema tributario - Evoluzione storica

Appunto di economia che tratta brevemente i punti salienti


che hanno portato al sistema tributario italiano attuale.
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Evoluzione storica del sistema tributario italiano

In ogni periodo storico sono collegati determinati tributi che sono il risultato di processi politici,
economici e sociali.
Prima della formazione del Regno d’Italia (1861) il nostro territorio era diviso in un gran numero di
stati (es. Regno delle due Sicilie, il Lombardo-Veneto, Stato Pontificio, etc.) ed ognuno di questi
aveva una propria politica fiscale e un proprio bilancio. Successivamente all’unificazione il Regno
d’Italia si trovò a dover affrontare molte spese straordinarie. Per il primo quindicennio (1861-76)
l’Italia era governata dalla Destra storica.
Nel primo periodo, il Regno non alterò la pressione fiscale ma ricorse a prestiti e il disavanzo era
cresciuto fino a 468 mln di lire. Le spese maggiori erano le pensioni, gli interessi sul debito
pubblico e le spese per mantenere l’esercito. L’allora ministro delle Finanze, Bastoni, fece un primo
riordino del sistema tributario soprattutto sulle imposte indirette: furono aboliti i dazi doganali e
furono estese le varie tasse del Regno di Sardegna al resto del territorio, il sistema si fondò su tasse
di registro, di bollo e ipotecarie.

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Evoluzione
evoluzione di Marino Furlan
L’unificazione dei sistemi tributari venne realizzata con l’estensione del sistema fiscale sabaudo,
non tenendo conto né dell’economia, né delle consuetudini delle varie Regioni che avevano dato
vita al nuovo Regno. Questa politica fiscale non ottenne i risultati sperati.
Nel 1864 ci furono delle novità tributarie, come l’introduzione dell’imposta sulla ricchezza mobile e
il riordino dell’imposta fondiaria. Due anni dopo, nel 1866, con lo scoppio della guerra con
l’Austria, il deficit raggiunse la somma di 721 mln di lire. In parte fu coperto dall’imposizione del
corso “forzoso” della moneta.
Nel 1868 si aggravò la situazione per le classi meno abbienti con l’introduzione dell’imposta sul
macinato e sempre in tale anno fu introdotta l’imposta sui redditi provenienti dai titoli del debito
pubblico. Nel 1871 il ministro delle finanze, Quintino Sella, presentò una serie di provvedimenti per
pareggiare il bilancio e, nel 1874 (per la prima volta), il bilancio segnò un attivo di 14 mln. Anche
se la destra raggiunse uno dei suoi obiettivi prioritari, il bilancio in pareggio, nel 1876 le elezioni
furono vinte dalla Sinistra che governò fino al 1890.
In questo periodo la Sinistra ridusse l’imposizione fiscale partendo dalla nuova tariffa doganale e
dalla riduzione dell’imposta sul macinato. Nel 1881 fu abolito il corso forzoso della moneta e
questo comporto un aumento dei capitali stranieri in Italia.
Dal 1888 si ripiombò in una nuova crisi economica e la mancanza di liquidità di alcune banche fu
sanata con un intervento governativo. Il motivo erano le gravi irregolarità dei vari istituti nelle
emissioni monetarie e nel 1893 una legge riordinava tale sistema dando la possibilità di emettere
moneta alla Banca d’Italia.
Nel 1893 il ministro Sonnino istituì l’imposta sul reddito globale consumato dal nucleo familiare.
Essa veniva calcolata in base a indici esteriori del tenore di vita del contribuente. Tale imposta si
trasformò nell’imposta di famiglia nel 1931 (rimase in vigore fino alla riforma del 1971).
Prima della prima guerra mondiale le imposte erano soprattutto indirette e avevano aliquote molto
alte che incidevano sulle popolazioni meridionali.
Dopo la prima guerra mondiale ci sono state quattro riforme: la prima, De’ Stefani (1919); la
seconda nota come la legge di “perequazione tributaria” Vanoni (1951); la terza (1973-74) Luigi
Preti e la quarta ed ultima legata a Vincenzo Visco (1997-98).
Il primo progetto fu presentato dal ministro delle finanze Medda nel 1919 basato su un riordino
generale delle imposte dirette ma non fu mai approvato. Nel 1923 fu attuata una vera e propria
riforma a cura del ministro Alberto De’ Stefani; si istituì l’imposta complementare progressiva sul
reddito che colpiva l’insieme dei rediti di cui ogni cittadino aveva la disponibilità e
l’amministrazione con aliquote variabili dal 1% al 105.
Lo stesso ministro creò l’imposta unica sugli scambi commerciali che colpiva la cessione di merci
tra imprenditori. Il successivo ministro, Mosconi (nel governo Mussolini), istituì l’imposta sui celibi
(1926) per incentivare matrimoni e nascite. Nel 1930 fu introdotta l’imposta sul reddito agrario che
aveva come oggetto il reddito agrario ottenuto dall’esercizio dell’impresa agricola sui fondi
posseduti sia a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale.
Nel 1940 il ministro Thaon di Revel introduce l’imposta generale sull’entrate (IGE) che sostituisce
l’imposta unica sugli scambi commerciali, l’imposta era “a cascata” con effetto cumulativo e
colpiva la globalità degli scambi di beni e servizi e rispondeva alle esigenze del fabbisogno
finanziario di quegli anni gravato dalla seconda guerra mondiale.
Nel 1948 entro in vigore l’attuale Costituzione, e nel 1951 il ministro Vanoni elaborò la legge di
perequazione tributaria che introduceva la dichiarazione unica, analitica, annuale e obbligatoria per
l’accertamento dell’imposta complementare; tale legge riduceva le aliquote di alcune imposte e
abrogava una serie di tributi in virtù del cambiamento politico e sociale.
Tale riforma introduceva anche il “patto di lealtà”, un nuovo rapporto tra contribuente che denuncia
volontariamente le proprie entrate compilando la dichiarazione dei redditi, e l’amministrazione che
si impegnava progressivamente a diminuire le aliquote applicate. I risultati non furono quelli sperati
ma la diffidenza permane ancora ai giorni nostri.
Nel 1954 fu introdotta l’imposta sulle società, i soggetti passivi erano le società dotate di personalità
giuridica (s.p.a., s.r.l, etc.) e enti collettivi con personalità giuridica (istituti bancari, consorzi etc).
Sempre nello stesso anno furono tassate anche le obbligazioni con un aliquota dello 0,50% sul
valore di quelle emesse dallo Stato, società ed enti; tutta la riforma fu raccolta in un testo unico nel
1958.
Dall’inizio degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, l’Italia visse un grandissimo boom
economico e occupazionale (c.d. miracolo economico). Nel 1963 la disoccupazione era scesa al
minimo storico del 2,5% ma dal 1969 iniziò un periodo di grave crisi: sul piano internazionale ci fu
il crollo del sistema monetario di Bretton Woods che pose fine al sistema dei cambi fissi. Vi furono
varie crisi petrolifere che fecero innalzare il prezzo del petrolio (l’inflazione nel 1973 era al 21,6%)
ed infine in Italia la lotta tra classe operaia e datori di lavoro assunse toni fortissimi, tanto che nel
1970 fu approvato lo Statuto dei diritti dei lavoratori.
In questo quadro nel 1971 fu emanata la Legge Preti. Tale legge conferiva la delega legislativa al
Governo per la riforma tributaria e stabiliva alcuni principi: sostituire i vari tributi esistenti con un
numero ristretto di imposte, istituire un’imposta unica personale e progressiva per attuare l’articolo
53 della Costituzione e perfezionare la disciplina dell’accertamento, riscossione, sanzioni e
contenzioso.
La legge delega fu attuata in due momenti successivi una parte entrò in vigore nel gennaio 1973, e
l’altra parte nel gennaio 1974; con la nuova riforma tributaria abbiamo solo cinque nuove imposte,
tre dirette e due indirette. Le imposte dirette erano:
1) l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) che ha carattere personale e progressivo (per
scaglioni) e si applica sul reddito netto complessivo in denaro e in natura, proveniente da qualsiasi
fonte posseduto da ogni persona fisica;
2) l’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) che ha carattere personale e proporzionale
colpisce il possesso da parte di una persona giuridica di redditi in denaro o in natura provenienti da
qualsiasi fonte:
3) l’imposta locale sui redditi (ILOR) ha carattere reale colpisce i redditi di capitale, d’impresa e
diversi in denaro o natura, prodotti nel territorio dello Stato, ha lo scopo di discriminare
qualitativamente i redditi, soggetti passivi : persone fisiche, società di persone e di capitali.
Le imposte indirette erano due :
1) l’imposta sul valore aggiunto (IVA) è un’imposta plurifase, neutra e trasparente che colpisce il
valore aggiunto. Si applica alla cessione di beni, alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio
dello Stato dagli imprenditori, dagli esercenti arti e professioni e dagli importatori;
2) l’imposta sull’incremento del valore degli immobili (INVIM) si applica sull’incremento di valore
degli immobili, comunque determinatosi e indipendentemente dalla volontà del soggetto passivo.
La riforma ridusse sensibilmente il numero delle imposte (erano circa una trentina) ed eliminò tutti i
tributi locali ed in pratica accentrò nelle mani dello Stato l’intero prelievo fiscale, ILOR e INVIM
erano solo “formalmente” locali perché venivano accertate e riscosse dallo Stato. Questo fenomeno
comportava che le entrate tributarie locali non erano sufficienti a coprire le spese e quindi venivano
reperite tramite trasferimenti statali.
Da questo problema di finanza “locale” è partita la riforma Visco. Già nel 1989 fu istituita l’ICIAP
(imposta comunale per l’esercizio di impresa, arte e professioni) che colpiva sia le persone fisiche
che le società che in un Comune esercitavano un'arte, una professione o un'impresa. Tale tributo
sarà poi soppresso con l’introduzione dell’IRAP.
La svolta si ha con la legge 8 giugno 1990 n° 142 che riforma le autonomie locali e che riconosce
anche per Province e Comuni l’autonomia finanziaria; nel 1992 fu introdotta l’ICI (imposta
comunale sugli immobili) che sopprime Invim e in parte l’Ilor. Tale imposta colpisce fabbricati,
aree fabbricabili, terreni agricoli, etc. proporzionatamente alla quota e ai mesi di possesso. Sempre
nello stesso anno vi è la riforma del contenzioso tributario.
Nel 1993 fu introdotta l’imposta sul patrimonio delle imprese che durò 4 anni, con un aliquota del
7,5 per mille colpiva il patrimonio netto delle imprese. Tale imposta fu molto contesta perché
poteva aggravare la situazione finanziaria delle imprese nei periodi di recessione.
Nel 1997 il ministro Visco con una serie di decreti cambiò il nostro sistema tributario introdusse
l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) che eliminò 6 tributi tra gli altri l’ilor e l’iciap;
revisionò l’irpef e introdusse il DIT (Dual income Tax). Era una tassazione con un’aliquota ridotta
(19%) da applicare agli utili d’impresa corrispondenti alla remunerazione ordinaria del capitale
investito.
Le dichiarazioni furono unificate e vi fu la compensazione dei pagamenti. Infine, ha inizio l’epoca
del c.d. fisco telematico con l’invio in rete delle dichiarazioni da parte di banche, posta e
intermediari.

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