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Verità che nessuno dice: Falcone indagava sul

terrorismo rosso e sui soldi al Pci


sabato 15 giugno 12:53 - di Francesca De Ambra

Visti i tempi, meglio chiarirlo sin dall’inizio: l’articolo che vi accingete a leggere riprende quello
pubblicato oggi da il Quotidiano del Sud a firma di Paolo Guzzanti. Parla di Giovanni Falcone
offrendo una pista investigativa sulla sua morte, in verità non nuova, ma certamente inesplorata: il
flusso miliardario di rubli provenienti dall’ormai agonizzante Unione Sovietica e dirottato
dall’emergente casta degli oligarchi russi verso l’Italia, dove la mafia è pronta a riciclarli per poi
rispedirli “ripuliti” a Mosca una volta trattenuta nelle proprie casse una tangente di proporzioni
oggi neppure immaginabili. La fonte di Guzzanti – padre di Sabina, autrice e regista del film La
Trattativa (Stato-mafia) trasmesso in questi giorni da RaiDue – è Valentin Stepankov, procuratore
generale dell’Urss a soli 40 anni. È lui l’uomo, si legge nell’articolo, «con cui Giovanni Falcone
lavorava sotto copertura per conto del presidente Cossiga e del presidente del Consiglio Giulio
Andreotti».

Un articolo di Paolo Guzzanti ripropone una pista mai


esplorata sulla morte di Falcone
Stepankov viene in Italia nel giugno del ’92, un mese dopo la morte di Falcone, chiamato dai
magistrati italiani per testimoniare sui finanziamenti sovietici al Pci e su possibili collegamenti tra il
Pcus e le Brigate Rosse. E il suo racconto non delude le attese. Scrive, infatti, Guzzanti:
«Stepankov disse che il gruppo del Pci, compreso Enrico Berlinguer, fossero stati consapevoli e
attivi nel chiedere l’addestramento speciale di alcuni militanti comunisti a Mosca». Altri dirigenti
citati sono Luigi Longo, Armando Cossutta e Ugo Pecchioli. Ma è nella conferenza stampa tenuta
subito dopo nell’ambasciata russa a Roma che il racconto di Stepankov si fa particolarmente
avvincente ed è quando informa i giornalisti di aver consegnato alla Procura capitolina «i
documenti relativi ai finanziamenti» così come «era stato richiesto dal giudice Falcone durante una
sua recente visita a Mosca». Una vera e propria “bomba”: nessuno sapeva, infatti, di questa trasferta
in terra russa del magistrato e, per di più, poco prima di morire.
Prima di morire il magistrato era andato a Mosca sotto
copertura diplomatica
Ma la “bomba” resta stranamente inesplosa. Eppure Falcone non era più un magistrato inquirente,
ma un dirigente ministeriale (l’allora guardasigilli Martelli lo aveva chiamato a dirigere gli Affari
Penali del ministero) che agiva sotto copertura diplomatica. «Andreotti mi confermò di aver fatto
provvedere lui stesso», scrive ancora Guzzanti. Che giustamente lamenta la cortina di silenzio stesa
intorno a questa inesplorata attività investigativa nella quale, per altro, Falcone applica lo stesso
metodo delle sue indagini sulla mafia: follow the money. Per capire le dinamiche imprenditoriali-
criminali di Cosa Nostra – era il suo ragionamento – occorre seguire il denaro. Esattamente quello
che stava facendo per svelare l’intreccio tra i nuovi oligarchi russi e le “lavanderie” mafiose che
avrebbero dovuto riciclare i fiumi di denaro sovietico che un tempo erano serviti a finanziare il Pci
e il terrorismo rosso. Il tritolo di Capaci non gli ha dato il tempo.

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