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e g a a i n r d t s g o l o b

Comune di Terni
Assessorato alla cultura

Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980

Ricordo di unindagine
Strage di Bologna

bibliotecacomunaleterni

25 anni dalla strage di Bologna: unanalisi storica oramai consolidata


Luigi Persico Vito Zincani Leonardo Grassi Libero Mancuso Claudio Nunziata

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Luigi Persico
Procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Bologna

Il mio amico Claudio Nunziata, che ormai in troppo anticipata quiescenza pu dedicarsi a scrivere saggi e a elaborare chiss quali progetti per linformatica giudiziaria, mi ha invitato a tracciare qualche ricordo di quei giorni. Ho appena letto le nobili parole in occasione dellanniversario della morte del compianto magistrato Mario Amato, assassinato il 23 giugno 1980 a Roma che ha pronunciato il prof. Virginio Rognoni, attuale vicepresidente del Csm, che il 15 agosto 1980 volle chiamarmi per telefono era allora ministro dellInterno per dirmi: Tenete duro e si riferiva allimpegno di noi quattro sostituti (io, Claudio, Attilio e Riccardo) nelle indagini per la strage. Prendo dalla mia libreria il volume di Torquato Secci, intitolato Cento milioni per testa di morto (Targa Italiana Editore, Milano, 1989) e ritrovo le citazioni che quelluomo straordinario (divenuto simbolo della domanda di verit e di giustizia dei familiari delle vittime) volle dedicare ai vari magistrati. Le righe a me dedicate mi confortano poich danno atto dellimpegno che dovetti affrontare nellinsolita funzione di coordinatore (per ragioni di anzianit) di noi quattro sostituti che saremmo poi divenuti, nella valutazione dei nostri critici e oppositori, la banda dei quattro (come quelli famosi di Pechino) che bisognava fermare La vicenda indimenticabile inizi la mattina del 2 agosto 1980 nella mia stanza; Attilio stava per partire per le ferie, Riccardo era il sostituto montante di turno, Claudio era appena partito per le ferie, diretto a Napoli con roulotte e famiglia.

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Luigi Persico

Il compianto mio collaboratore, maresciallo R.A., mi chiam per telefono, allora non esistevano i cellulari: Scenda dottore, scenda, dobbiamo correre, saltata la stazione. Presi lautista della volante che stazionava davanti a Palazzo Bacciocchi, feci scendere gli altri due agenti (era il servizio di vigilanza istituito dopo lattentato dellItalicus), e gli ordinai di portarmi alla stazione. Quel tremendo spettacolo fissato nelle riprese televisive: nel polverone sospeso nellaria, arrivavano gli autobus dellAtc, caricavano i morti e partivano, mentre la folla dei soccorritori si prodigava in quella gara di generosit che, pur nel lutto, segna una delle pagine pi belle della storia della civile Bologna. Qualcuno prospett che forse era saltata una caldaia; mandai un sottufficiale alla centrale dellAzienda gas (Amga di allora) a prendere la strisciata del manometro principale della erogazione del gas metano. Se si fosse rotto un tubo avrebbe registrato il picco di erogazione prima della chiusura automatica delle valvole. Nessun picco. Era un attentato, come raccont poi con grande esattezza, il giorno dopo, sulle pagine de lUnit, il giornalista Angelo Scagliarini, autore di una delle pi forti cronache di quella giornata. In uno sforzo organizzativo di concretezza, chiamai un vice questore anziano di esperienza, affidandogli la direzione delle operazioni sul piazzale, ma pochi minuti dopo fu colpito da un attacco circolatorio poich la responsabilit e la tragicit del momento erano enormi. Saltando di momento in momento, ricordo larrivo di Sandro Pertini, nel pomeriggio, da Santa Cristina di Val Gardena; volle recarsi tra le macerie e poi ci riunimmo in prefettura. Alle sue energiche domande di notizie, tocc a me rispondere: Voglio sapere se stata una bomba. Subito gli esclusi lipotesi delle caldaie, in base al tracciato manometrico, e gli dissi: Signor presidente, soltanto intorno alle ore 23 potr dirle con sicurezza se stato un attentato. Pretese un chiarimento, gli risposi: Forse a quellora i vigili del fuoco, scavando secondo le mie istruzioni, arriveranno a livello del suolo e troveranno il cratere. Rispose: Allora non parto, resto a Bologna. Dorm in citt, convocando per le cinque del mattino seguente il prefetto e il questore. Mi chiam Claudio da Napoli: Gigi, posso essere utile a Bologna?. Poich avevamo compiuto insieme nel 1974 molti degli atti iniziali della inchiesta sullItalicus, per delega dellallora procuratore,

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dott. Lo Cigno, gli risposi: Senza dubbio, vorrei averti qui. Riattacc la roulotte, rinunci alle ferie e ripart per Bologna, e cos si form la nostra banda dei quattro. Quella sera ci recammo allobitorio di via Irnerio, ove le salme erano allineate nei corridoi. Vedemmo il bimbo con la borraccia di plastica a tracolla che stava per prendere il treno per andare al mare e lo scegliemmo come simbolo di tutte le vittime innocenti Lincancellabile onda della memoria e della commozione mi porterebbe a superare i limiti di spazio assegnatimi e lo specifico tema dei nostri rapporti con la stampa: mi affretto verso la conclusione. Data lenormit del fatto (a quellepoca ritenemmo di indagare sulla strage pi grave di tutta la storia europea, per numero di vittime) erano accorsi giornalisti da tutto il mondo. Le conferenze stampa si tenevano in questura, occorreva controllare che non circolassero le pi infondate illazioni e occorreva anche fornire una seria comunicazione dei dati ostensibili e assicurare lopinione pubblica sullazione degli organi investigativi. Fui chiamato a Roma, a giustificarmi, poich qualcuno ritenne che si trattasse di una mia iniziativa personale e non di una funzione delegatami. Risposi: Indico a testimone il ministro dellInterno prof. Rognoni che mi ha rappresentato lesigenza istituzionale che io comunichi quanto necessario tenendo al mio fianco, da una parte, il questore e, dallaltra, un ufficiale dei carabinieri in divisa, perch lintero Paese constati il comune impegno delle forze di polizia. Mi offrirono un caff e tornai a Bologna a lavorare. Anche tale incarico non fu facile, le domande dei giornalisti erano insistenti e spesso dure. La graziosa corrispondente di uno dei pi importanti giornali degli Stati Uniti mi chiese: Quanti anni pensa che occorreranno per chiarire definitivamente chi ha organizzato e compiuto la strage? Le risposi, di fronte alle decine e decine di suoi colleghi: Sempre meno tempo di quanto occorrer a voi Americani per accertare chi vi ha ucciso il presidente Kennedy. Non sappiamo ancora se la mia risposta di allora fu esatta. Confido nel fatto che Paolo Bolognesi continuer con determinazione la sua battaglia, iniziata da Torquato Secci e non ancora conclusa.

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Vito Zincani
Sostituto procuratore generale di Bologna

Ricordo i primi giorni dellautunno 1980 con sensazione di orrore e, al tempo stesso, di quellinsopprimibile euforia che sovente accompagna la rappresentazione della tragedia. Il 2 agosto del 1980 un ordigno ad alto potenziale aveva cancellato lintera ala sinistra della stazione centrale di Bologna provocando la morte di 85 persone e centinaia di feriti; lo shock fu enorme. Sul fronte delle indagini la situazione, per dirla con Flaiano, era grave, ma non seria. Lo stesso giorno dellattentato furono diffuse le prime notizie infondate destinate a depistare gli inquirenti, peraltro a loro volta disorientati. Trasmesso il processo al giudice istruttore per la prosecuzione dellistruttoria con rito formale, dovetti registrare altre stravaganze. Il consigliere istruttore era assente per ferie (molti di noi le avevano immediatamente sospese, mettendosi a disposizione). Il consigliere aggiunto, Aldo Gentile, magistrato esperto e di non comune arguzia, aveva assegnato a s il procedimento, designando me e Giorgio Floridia a trattare il caso con delega al compimento degli atti istruttori. Nelle spoglie stanze dellultimo piano del Palazzo di Giustizia, con lunica dotazione di alcune macchine da scrivere, e senza alcun dispositivo di sicurezza, fui, tuttavia, costretto ad assistere e, per qualche mese, a partecipare alla conduzione di unistruttoria priva di adeguato supporto organizzativo, i cui effetti si sarebbero rivelati devastanti per gli stessi magistrati. Il fatto che la personale capacit dei giudici, la loro indiscussa integrit e lo straordinario impegno

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personale portato fino agli estremi dellesaurimento fisico e intellettuale (di cui occorre dare atto) in inchieste di questo tipo non bastano, anzi, in molti casi finiscono col nuocere togliendo lucidit. Listruttoria formale sulla strage alla stazione di Bologna, era nata male. In primo luogo, Aldo Gentile aveva deciso di dividere in diversi tronconi lindagine, affidando a me la parte relativa alle formazioni eversive di estrema destra; decisione doppiamente incongrua poich impediva una visione unitaria delle informazioni escludendo nei fatti il lavoro di gruppo, contribuendo alla dispersione delle scarse energie investigative, e realizzava una abnorme ipotesi di separazione dellistruttoria non corrispondente ad alcuna ipotesi legalmente disciplinata. Cosa ancora pi grave, la scelta organizzativa, solo apparentemente di stretta natura tecnica, introduceva nei fatti una precisa indicazione di ricerca della prova: lindagine sulle formazioni di estrema destra, segnatamente di quelle formazioni in passato non lontane da logiche stragiste, veniva separata dallindagine sullattentato, i cui autori venivano cercati nei meandri di fantomatiche piste internazionali e in moventi ricostruiti non gi sulla base di prove, ma di improbabili congetture. Per effetto di tale indicazione organizzativa venni, in pratica, tagliato fuori dallindagine sulla strage, contraddicendo la scelta fatta quando ero stato chiamato a far parte del pool per aver maturato una specifica esperienza in materia di attentati dinamitardi nellistruttoria sugli attentati del 19731974 (Ordine nero e treno Italicus). Nel frattempo, il corridoio dellufficio Istruzione si popol di una folla incontrollabile di giornalisti, investigatori, semplici curiosi, persone convocate per essere interrogate e altri sconosciuti personaggi tra i quali, inopinatamente, vidi un giorno, in abiti borghesi, il colonnello Musumeci, da me conosciuto come comandante dei carabinieri a Parma. Seppi poi che lufficiale, nel frattempo divenuto generale, era stato destinato al Sismi (il Servizio segreto militare). Alla mia richiesta di chiarimenti, Gentile rispose in termini vaghi affermando che soltanto il contributo dei Servizi, avrebbe potuto risolvere il caso. Decisi che era venuto il momento di interrompere la mia collaborazione e inoltrai al consigliere istruttore una lettera riservata con la quale chiedevo di essere destinato ad altro incarico. Quello che avvenne in seguito fa ormai parte della storia del nostro Paese: il micidiale intruglio di depistaggi, fughe di notizie, incertezze investigative, unito alloggettiva difficolt di scoprire gli autori del-

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lo spaventoso massacro e alle inadeguatezze organizzative, produsse linevitabile collasso dellinchiesta che fin per travolgere gli stessi giudici, costretti ad abbandonare il loro incarico. A distanza di oltre due anni fui chiamato a riprendere in mano il caso. Questa volta avevo le idee ben chiare: soltanto una svolta organizzativa e un deciso cambiamento di metodo avrebbero potuto conseguire dei risultati. Escluso ogni preconcetto e, stabilito che spetta al giudice il compito di prosciogliere tutti coloro nei cui confronti non siano state raccolte prove certe di responsabilit, rinviando a giudizio solo persone la cui colpevolezza fosse stata dimostrata, furono impostate le nuove linee guida dellindagine: creazione di una struttura ad hoc in luogo protetto e riservato ove operare con tranquillit e sicurezza. A tal fine fu richiesto lintervento del Comune di Bologna, che mise a disposizione un appartamento in via della Zecca (subito sarcasticamente definito il bunker), e del ministero della Giustizia, che forn la dotazione indispensabile di attrezzature (oggi sembrano mezzi perfino patetici, ma negli anni Ottanta anche la dotazione di macchine da scrivere elettroniche con memoria e un personal computer di prima generazione, era una novit per gli Uffici giudiziari); ricostituzione di uno speciale nucleo investigativo, impegnato a seguire a tempo pieno le indagini, del quale vennero chiamati a far parte persone di elevate qualit professionali e di sicura lealt, affidati al coordinamento del col. Mori dei carabinieri e del dott. Murgolo della Digos di Bologna; avvio dellindispensabile lavoro di gruppo; chiesi e ottenni di essere affiancato da un collega di eccezionale livello: Sergio Castaldo. Furono designati a rappresentare lUfficio del pubblico ministero, per seguire a tempo pieno le indagini, magistrati di grandi capacit, Libero Mancuso e Attilio Dardani; gestione centralizzata di tutte le informazioni. In assenza di una apposita struttura nazionale a ci dedicata, attraverso la regolamentazione di costante scambio di informazioni con tutti gli uffici giudiziari incaricati di seguire procedimenti in materia eversiva, venne realizzato un archivio generale delle notizie, classificate in base alla loro rilevanza sul piano degli sviluppi investigativi. Lapporto di tutti i magistrati impegnati nelle indagini sulle attivit delle formazioni eversive in Veneto e a Roma si rivel determinante; rigorosa disciplina di valutazione delle informazioni e dei conseguenti provvedimenti giurisdizionali, con riunioni di gruppo volte a definire le metodologie e i protocolli da seguire;

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Vito Zincani

disciplina rigorosa del segreto delle indagini e dei rapporti con la stampa; lavoro a tempo pieno. Bench sia un luogo comune difficile da sfatare quello secondo cui i responsabili delle stragi sarebbero rimasti avvolti nel mistero, listruttoria port allindividuazione dei responsabili, alcuni dei quali sono stati condannati con sentenza passata in giudicato. Non ho mai pensato di possedere la verit e so bene che Valerio Fioravanti e Francesca Mambro ancora oggi protestano la loro innocenza e il peso del magistrato quello di convivere col dubbio senza mai approdare ad alcuna certezza. Potrei eludere il problema di un possibile errore giudiziario affermando che il mio compito non fu quello di giudicare se gli imputati fossero colpevoli, bens quello di istruire il procedimento verificando se vi fossero elementi sufficienti al giudizio. E tuttavia si tratterebbe di una risposta inadeguata e parziale. Non si pu, infatti, dimenticare che al termine dellistruttoria furono da me prosciolti tutti coloro nei cui confronti non era stata raggiunta alcuna evidenza di colpevolezza e che, per conseguenza, le prove raccolte nei confronti degli imputati poi condannati per strage hanno retto al vaglio di numerosi giudizi dibattimentali dinnanzi a giudici popolari e in sede di legittimit. Il che non dona alla sentenza carattere di giudizio divino infallibile, ma legittima la certezza relativa che accompagna la realt processuale. Non pu tacersi che non sono mai stati offerti (sarei pronto a esaminarli con serenit) elementi per una revisione del processo. Soprattutto non possono passare in secondo piano circostanze e fatti di cui, col tempo, si tende a perdere memoria, riducendo il tutto al semplice dilemma di ordine logico (che pure deve legittimare il dubbio e che fu da me, a suo tempo, sofferto) delle ragioni per cui persone raggiunte da numerose sentenze di condanna allergastolo per reati gravissimi da loro confessati dovrebbero ancora oggi vigorosamente respingere laccusa di strage. Si potrebbe osservare che un conto ammettere omicidi politici, sia pure efferati e insensati, rispetto ai quali una presa di distanza successiva sempre possibile, altro confessare una strage mostruosa di cittadini inermi, partorita da logiche occulte mai definitivamente chiarite. Ma proprio questo il punto. Si tende a dimenticare il ruolo centrale che ebbero i Servizi segreti che immediatamente si attiva-

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rono per depistare le indagini. Fu il col. Giovannone, allepoca capo area a Beirut, che, attraverso la falsa intervista rilasciata da un noto terrorista palestinese alla giornalista del Corriere del Ticino, Rita Porreca legata allo stesso Giovannone tent di accreditare la pista del terrorismo internazionale che, ripresa in piena buona fede dal giudice Gentile, si rivel del tutto inconsistente. Si tende a dimenticare che sul luogo dellesplosione si trovava, rimanendo in parte coinvolto, il misterioso Picciafuoco, a sua volta rinviato a giudizio, condannato ripetutamente e infine assolto, con decisione ancora oggi controversa, per il reato di strage ma che, prescindendo dal ruolo svolto la mattina del 2 agosto 1980, fu sospettato di essere legato ai Servizi e, a sua volta, collegato al gruppo di Fioravanti sulla base di elementi di prova che hanno resistito al vaglio della Corte suprema anche se ritenuti insufficienti per dimostrare la responsabilit per il fatto di strage. il caso di ricordare che Picciafuoco, latitante da anni, si nascondeva con un documento riconducibile al gruppo di Fioravanti che, con lo stesso documento, venne fermato alla guida di unauto di provenienza furtiva e tuttavia rilasciato dopo brevi accertamenti, e che, incredibilmente, continu a servirsi della medesima identit, ormai bruciata, per registrarsi in albergo? Soprattutto passato in secondo piano il delicato profilo dindagine volto ad accertare lesistenza di legami dello stesso Fioravanti con i Servizi segreti. Legami sempre negati, ma suggeriti da indicazioni indiziarie che hanno fatto parte del materiale probatorio sottoposto allesame della Corte dassise. il caso di ricordare, in proposito, che Fioravanti fu reclutato come ufficiale dellesercito bench raggiunto da gravissimi precedenti penali, e che, incredibilmente, individuato dal Servizio segreto militare come autore del furto di unintera cassa di bombe a mano Srcm insieme al suo sodale Alibrandi, fu lasciato libero di agire e non venne mai denunciato allautorit giudiziaria? Soprattutto non si pu dimenticare che il processo ha portato alla condanna di ufficiali di altissimo rango dei Servizi segreti (Musumeci era a capo del pi delicato ufficio del Sismi e quindi tuttaltro che una figura di secondo piano) dimostrando il coinvolgimento degli stessi in attivit di depistaggio il cui significato non mai stato chiarito dai responsabili dei Servizi, malgrado listituzione di una Commissione parlamentare dinchiesta sulle stragi. Si tratta di interrogativi ai quali ancora oggi attendiamo risposta. Quel che certo invece il risultato di chiarimento che quel metodo di indagini ha apportato non solo nel processo per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna, ma anche

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per altri attentati a lungo rimasti avvolti nel mistero (la strage di Peteano, il cui autore confess il fatto fornendo definitivo chiarimento sui retroscena politico-organizzativi) e per gran parte delle azioni illegali e delle attivit dei gruppi eversivi di destra. Ma qui termina lopera dei magistrati e inizia quella degli storici.

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Leonardo Grassi
Sostituto procuratore generale della Corte di appello di Bologna

Dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi sono trascorsi sessantanni. Dalla strage di Bologna ne sono trascorsi venticinque. La strage di Bologna si colloca dunque quasi a met del tempo trascorso fra la fine della guerra e il tempo presente. Come ricordarla allora? Come cronaca? Come storia? facile appiattire la memoria, soprattutto per i pi giovani, e collocare gli eventi in un tempo remoto e indistinto nel quale convive, senza senso, senza nessi col presente, tutto ci che sfugge allesperienza diretta. Come se si trattasse di studiare una fra le tante lezioni di storia. La strage e il risorgimento, le guerre coloniali e la prima guerra mondiale, i moti del Quarantotto e la scoperta dellAmerica. Occorre invece restituire valore alla memoria e ripercorrere i nessi che legano il presente al passato. A ci pu in qualche modo servire il ricordo diretto di chi ha vissuto determinati eventi. Chi ha vissuto il tempo della strage, come ricorda? Forse come ricordano i reduci. Come ricordavano quei vecchi che a volte si incontravano in qualche bar o in qualche osteria e che, se avevano la ventura di poterti parlare, non la finivano pi di raccontare della loro guerra, delle loro battaglie e delle loro ferite. S, ferite. Forse, ora che la strage non pi cronaca e non ancora storia, non si pu parlare che delle ferite, non solo e non tanto di quelle delle vittime dellattentato che hanno segnato i loro corpi, ma delle molte altre ferite che lattentato ha prodotto: ferite alle istituzioni, alla democrazia, alle co-

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scienze, alla consapevolezza, rivelatasi in qualche modo illusoria, di vivere in una societ pacifica e civile. Per non parlare poi delle molte ferite arrecate alla giustizia e alla verit. Verit e giustizia, ecco cosa reclamavano, da subito, i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, come prima e dopo di loro hanno reclamato verit e giustizia le vittime delle molte stragi rimaste impunite. Pretesa questa, di verit e giustizia, soddisfatta solo parzialmente, rivelatasi troppo grande, anche se ovvia, e nello stesso tempo troppo debole rispetto ai poteri, oscuri e smisurati, cui era rivolta. Lapparato giudiziario italiano, del quale facevo parte al tempo della strage e del quale ancora faccio parte, ha risposto complessivamente in modo insufficiente a questa giusta pretesa. Ha risposto inadeguatamente perch quella pretesa, in realt, nella realt dura, concreta, dei rapporti di forza fra i diversi poteri, ufficiali e occulti, che agivano nellItalia del tempo, non era poi cos giusta, anzi era in un certo senso inaudita, come inaudita la pretesa del suddito di mettere in discussione il potere di vita e di morte del sovrano. Era il tempo, quello, del doppio stato: uno Stato, quello democratico, con le elezioni, le grandi riforme sociali, le battaglie politiche e civili, le istituzioni e lapparato giudiziario. Cera poi un altro stato, questo occulto, che in sinergia con i Servizi segreti statunitensi cercava di contenere la crescita del comunismo in Italia con ogni mezzo, anche con gli attentati e con le stragi. Uno stato parallelo che era sia fuori che dentro le istituzioni. Sono stato trasferito a Bologna nel 1982, come giudice istruttore e, praticamente da subito, da buon ultimo arrivato, sono stato investito dei processi collaterali a quello della strage. Pi avanti mi sono occupato dei processi cosiddetti bis per la strage dellItalicus del 1974 e per la strage di Bologna del 1980. Dal 1982 al 1994 mi sono occupato di stragi. Avevo la forza di chi vuole conoscere e capire, credo nientaltro. Mi muovevo fra capi degli uffici indifferenti o, addirittura, ostili e collaboratori a volte preziosi, a volte infidi. In uno di questi processi era stata sequestrata della corrispondenza intercorsa fra detenuti dellarea della destra eversiva e una pubblicazione clandestina, denominata Quex, nonch una serie di documenti di carattere eversivo. Si trattava di leggere quei carteggi e di ricavarne indicazioni utili, se non altro per avere conferme sullarea di provenienza degli autori della strage.

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Venivo da Trieste, dove avevo iniziato la mia carriera di giudice, e non mi ero mai occupato di terrorismo. a questo punto che ha iniziato ad aprirsi una prima ferita nella mia buona coscienza di cittadino e di giudice. Le carte che leggevo erano terribili. Ricordo una lettera, scritta da un detenuto poco prima della strage di Bologna, in cui si parlava con compiacimento di un imminente attentato dal quale non sarebbero usciti che fantasmi. In molti di quei testi si esaltava il terrorismo indiscriminato, cio quella forma di terrorismo che non colpisce un obiettivo preciso, bens, appunto indiscriminatamente, cittadini qualsiasi, colpevoli solo del fatto di trovarsi, in un certo momento, in un posto qualsiasi, per esempio su un treno o in una stazione. difficile comprendere le motivazioni del terrorismo indiscriminato. Perch la vita di tanti sconosciuti deve essere sacrificata? Quali forze, quali calcoli spingono a un gesto simile? Quale posta in gioco? Nelle carte che leggevo, trovavo di tutto. Dallesaltazione del gesto fine a se stesso, prova in s di supremazia e di potenza, alle nostalgie di epoche e regimi autoritari. Sudditanze a ideologie e gerarchie semplicemente assurde per un tranquillo giudice di provincia della Repubblica italiana. Gli autori di questi scritti erano persone che esaltavano lucidamente lodio e ispiravano la loro ideologia a varie letture, apparentemente le pi improbabili, dal Signore degli anelli allHermann Hesse del Giuoco delle perle di vetro, del quale mi parl con grande sussiego uno dei pi noti eversori di quel tempo allorquando lo interrogai per avere risposte sulle stragi e ricevetti, invece, una modesta lezione di letteratura. Povero Hermann Hesse, prima mito di una generazione che cercava larmonia nel viaggio in India e poi esempio per un gruppo di fanatici stragisti! In quelle carte cera di tutto, dicevo, ma non cera lessenziale. Cera la strategia stragista cos come veniva percepita dai fascisti extraparlamentari autori di attentati o dai loro simpatizzanti, cera unesaltazione quasi romantica del gesto estremo e della morte, ma non si parlava del senso politico delle stragi, della loro ragione concreta, del loro senso di atto di guerra: guerra psicologica, la chiamavano negli scritti della Cia, oppure not ortodox war oppure, ancora, guerra a bassa intensit. Da ingenuo qual ero, non sapevo neppure che ci fosse una guerra in Italia, una guerra a una sola direzione, combattuta dai Servizi statunitensi e dai loro complici italiani per contrastare non solo il

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comunismo ma anche le regole pi elementari della democrazia, come quella che il popolo sovrano e che non si pu uccidere, a caso, una parte del popolo, per esempio in una stazione ferroviaria, in nome di cervellotiche trame. Follia? No, assumere la strategia stragista sotto la definizione di follia significa semplicemente eludere gli interrogativi che quella strategia ha proposto. Gli eversori che interrogavo a quel tempo erano abituati allimpunit. Avevano commesso rapine, omicidi, stupri nella convinzione di essere intoccabili. I loro scritti e le dichiarazioni di alcuni collaboratori avevano aperto uno squarcio sul loro stile di vita e sulla loro mentalit; avevano rivelato la loro percezione di un senso di onnipotenza confermato dalla debolezza con cui le istituzioni avevano risposto ai loro crimini. Quei detenuti rappresentavano una sorta di feroce jeunesse dore, nella quale si agitava una cultura della morte divenuta ideologia, in alcuni casi spontanea (si parlava allora di spontaneismo armato), in altri casi indotta dalle sollecitazioni che i pi lucidi di loro riconoscevano, dagli oscuri teorizzatori della strategia della tensione. Si contrapponevano due linee e una, la pi improbabile, la pi fragile, consisteva nel fare attentati e seminare il panico fra la popolazione per arrivare infine a quello che allora veniva definito il golpe nero, cio un golpe che portasse al potere un regime di tipo dichiaratamente nazifascista; la seconda, sicuramente pi realistica, tendeva, con i medesimi mezzi, a indurre nella popolazione uno stato di paura tale da consentire lavvento al potere di un governo dordine che, in nome di unistanza di sicurezza, cancellasse le garanzie democratiche e perseguisse con il massimo vigore gli odiati comunisti, in particolare le frange pi radicali della sinistra. Limpunit della quale lambiente di cui mi occupavo aveva sino a poco prima goduto, tuttavia, per una complessa serie di ragioni, era in qualche misura venuta meno e quegli uomini, ora, si trovavano in carcere grazie alle indagini di alcuni giudici, due dei quali, il giudice Occorsio e il giudice Amato, per vendetta, erano stati uccisi a pochi anni di distanza luno dallaltro. Il giudice Amato, in particolare, aveva indagato sui Nar (Nuclei armati rivoluzionari), organizzazione che prima delle sue indagini risultava del tutto misteriosa, della quale facevano parte alcuni di quelli che poi sarebbero stati gli autori della strage di Bologna. Il giudice Amato, guardato con diffidenza dai propri capi, non compreso nellimportante lavoro che stava svolgendo, era stato ucciso poco tempo prima della strage di Bologna, nel contesto di un progetto di terrore e destabilizzazio-

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ne che, come effettivamente avvenne, doveva culminare, dopo una serie di altri attentati, nellattentato della stazione. Di fronte alle cose difficili da capire occorre essere umili e io cercai di esserlo. Cercai di evitare facili demonizzazioni, inutili enfasi, facili retoriche. Leggevo i loro scritti, cercavo di assimilare la loro cultura e poco alla volta compresi qualcosa forse secondario ai fini delle indagini ma importante per la mia crescita personale. Compresi cio una cosa ovvia, cui prima non avevo mai pensato e che, in genere, non oggetto delle nostre riflessioni, cio che la violenza non si trova soltanto altrove, nel passato, nella storia o in territori lontani come lAfrica, per esempio, dove popoli che alcuni suppongono incivili si massacrano e si combattono. La violenza, in realt, dentro la nostra civilt progredita e tecnologica. Il piacere del sangue dentro di noi. La guerra bella anche se fa male canta De Gregori e Hillman intitola il suo ultimo libro Un terribile amore per la guerra. La storia delle stragi italiane ha a che fare con i torturatori di ogni tempo, sino a oggi, sino a quelli di Guantanamo o delle carceri irachene, legittimati, da poteri espliciti o oscuri, a usare violenza in nome di unistituzione. Il piacere di uccidere, di umiliare, dentro di noi e, se lasciato incontrollato o magari coltivato, incoraggiato, produce i suoi frutti corrotti. Ci che avevo cos faticosamente compreso, in realt era una banalit. Ne avevano gi parlato per esempio Freud in Eros e Thanatos e Norman Mailer in un suo splendido libro sulla Cia, Il fantasma di Harlot. Fate lamore, non la guerra. Questa era stata la risposta, fragile e ingenua, che parte della mia generazione ha dato alla scoperta del male. Compresi anche che non si devono dare per scontati i valori su cui riteniamo fondata la nostra civilt, la democrazia, la pace. Compresi che questi sono valori instabili, messi costantemente in discussione. Compresi che i diritti possono essere cancellati molto pi facilmente di come sono stati costruiti. La seconda ferita, forse ancora pi dolorosa, si apr con un altro processo, il processo bis sulla strage di Bologna. Qui i miei imputati erano valenti funzionari dei Servizi, gente rispettabile, con cravatta e famiglia, con i problemi di molti, di carriera, di soldi, di prestigio. Laccusa contro queste persone era di aver protetto gli stragisti, di aver deviato le indagini contro di loro in nome delle ragioni di quello stato occulto che aveva incoraggiato o, se non altro, tollerato la strategia della tensione. La banalit del male il titolo di un libro in cui Hanna Arendt de-

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Leonardo Grassi

scrive la rete di connivenze di gente qualunque, di gente apparentemente per bene, che ha consentito la consumazione dellolocausto. Ecco, avevo a che fare con la banalit del male. Ricordo strani personaggi che si atteggiavano a collaboratori e che, in un gioco intellettuale in un certo senso raffinato ma in realt allucinante, nel senso letterale del termine, offrivano allindagine complesse ricostruzioni dei fatti del 2 agosto con lunico scopo di scagionare quelli che nel primo processo per lattentato di Bologna erano gi stati riconosciuti colpevoli. Ancor pi doloroso fu comprendere che anche alcuni miei collaboratori avevano perso di vista lorrore della strage e lovvia istanza di verit e giustizia che ne seguiva e, in qualche modo, avevamo assecondato questo gioco. Insomma, annidata in qualche piega limacciosa del potere, anche del potere apparentemente bonario dellItalia democratica di quegli anni, sembra che debba comunque permanere la pretesa di assurgere a potere di vita e di morte sui sudditi, come sempre era stato prima che lumanit conquistasse i diritti civili e la democrazia, prima cio che i sudditi divenissero cittadini. E sembra che questa pretesa, in contesti storici dati, venga considerata da molti come un dato di fatto che non d scandalo, da accettare o, addirittura, da assecondare. Vorrei per concludere con una nota positiva. Lessere cittadini e non sudditi dipende in misura non secondaria da noi, dalla nostra capacit di leggere criticamente gli eventi e di far valere il diritto. Non scontato che noi, noi che viviamo nel cuore dal ritmo spesso alterato di un decrepito capitalismo, come scriveva negli anni Settanta Ronald Laing, dobbiamo necessariamente limitarci a cantare le nostre canzoni di sconfitta. La democrazia e il diritto sono ormai parte di noi, della nostra storia. Alla forte radicazione dei valori democratici nella maggior parte degli Italiani si deve, almeno in parte, il fatto che negli anni Settanta e Ottanta, nonostante le stragi, nonostante la strategia della tensione, non sia scorso altro sangue, come in Cile, come in Argentina, come nel Portogallo di Salazar, come nella Grecia dei colonnelli, luoghi tutti, questi, dove quelle stesse centrali che hanno ispirato la stagione delle stragi hanno consumato altri delitti, se possibile ancor pi gravi, contro la vita di innumerevoli persone e contro lumanit.

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Libero Mancuso
Presidente della Corte di assise di Bologna

Scelsi di trasferirmi a Bologna, dopo che uninchiesta sulle Brigate rosse di Senzani aveva esposto a rischi personali non soltanto la mia persona, ma anche quella dei miei familiari. Era accaduto che, subito dopo il rapimento del presidente della regione Campania, allindomani del terremoto che aveva portato morte e distruzione in Irpinia e nel Napoletano, un coacervo dinteressi irriferibili aveva convinto la Dc a scendere a trattative con lergastolano Raffaele Cutolo e a servirsi di uomini di camorra inviati nel carcere di Ascoli Piceno unitamente a vertici del Sisde prima e del Sismi poi, per portare avanti quelle trattative, fino a finanziare Cutolo e le Brigate rosse con somme miliardarie. Danaro e affari per la ricostruzione del dopo-terremoto, furono le offerte miserabili che convinsero quelle bande di assassini, a trattare con lo Stato. Noi, che indagavamo su quei crimini, venimmo tenuti alloscuro e i Servizi, che avevano la possibilit a portata di mano di catturare Senzani, lo protessero, consentendogli di perpetrare altri crimini e di prolungare linutile scia di sangue di cui quel bandito si era gi reso protagonista. Volli, a conclusione dellindagine, cambiare aria, la citt di Napoli era invivibile. Decidemmo con mia moglie di assicurare ai nostri figli un contesto pi civile, e scegliemmo di trasferirci a Bologna. Avevamo amici cari, e la citt era un simbolo di partecipazione democratica. Io avrei dovuto occuparmi in Procura di affari correnti e cos riconquistare una condizione di serenit che mi consentisse di riprendere i rapporti con i miei familiari. Ma dur poco. Venni coinvolto in un processo marginale di eversione istruito da Leonardo Grassi e da qui, improvvisamente, si acquisirono indizi che ci portarono a immergerci nelle indagini sulla strage del 2 agosto 1980.

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Nel frattempo Claudio Nunziata aveva voluto presentarmi Torquato Secci. Cos una sera conobbi Torquato, accompagnato dallinseparabile Paolo Bolognesi. Fu unesperienza indimenticabile. Attraverso lui, i suoi occhi vivacissimi, che tradivano una sofferenza inestinguibile, il suo esile corpo di uomo ferito nel profondo dei suoi affetti, il suo dolore portato con una dignit senza pari, la sua fermezza nel pretendere che lo Stato garantisse giustizia e verit e identificasse i responsabili della morte del suo giovane figlio e delleccidio alla stazione, ricevetti unemozione fortissima che mi fece ritrovare fiducia in me stesso e nel lavoro di magistrato, una fiducia che quelle precedenti esperienze traumatizzanti avevano offuscato. Ripresi a lavorare con questa rinnovata forza, senza che mai quellimmagine di Torquato mi abbandonasse. E ancora oggi ricevo quelle stesse emozioni abbracciando sua moglie. E adesso sono qui per rivederla e per ricordare Torquato. Potetti contare sullintero ufficio della Digos di Bologna che profuse ogni risorsa, anche personale, nelle indagini. Attraversammo il Paese con un pugno di poliziotti disposti a sacrificare tutto per acquisire notizie, arricchire indagini, superare difficolt della cui gravit ancora non ci rendevamo conto. Visitavamo caserme, carceri qualunque luogo, in Italia e allestero, che ci consentisse di avvicinarci alla verit. Nessuno di noi era alla prima esperienza, ma quelle indagini ci fecero perdere ogni residua ingenuit, ci fecero sacrificare ogni innocenza. Ci trovammo di fronte a un inarrestabile rosario dinganni, una strategia di intossicazioni delle indagini che avrebbe dovuto consentire, nella mente di chi la predisponeva, il naufragio definitivo delle ricerche dei responsabili della strage pi sanguinosa che abbia conosciuto il nostro Paese, che pur aveva subto stragi sin dalla fondazione della Repubblica. Non solo, ma per una sorta di inafferrabile destino giudiziario, mi trovai a indagare sugli stessi uomini dei nostri apparati di sicurezza che avevano consentito quelle ignobili trattative, al centro delle quali vi era stata persino lofferta, da parte della camorra, di eliminare uno sbirro inviso alle Brigate rosse, che avrebbero rivendicato quella uccisione. Capimmo cos, addentrandoci nella radiografia delle stragi succedutesi in Italia tra il 1947 e il 1980, che la strage unanomalia tutta italiana, scelta da gruppi politici per ragioni di consolidamento di poteri tanto autoritari quanto clandestini; un atto di terrorismo indiscriminato volto a creare tensioni

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e paure nella popolazione al fine di paralizzare dinamiche progressiste e di bloccare o far regredire la situazione politica data. La strage, connotata da elementi elitari e gerarchici, a differenza degli atti di terrorismo selettivo, non deve essere rivendicata poich il suo scopo politico tutto nel significato di quella determinata condotta: panico, insicurezza, tensione, che determinano le condizioni per arretramenti dellassetto istituzionale in senso autoritario. Se ci vero, e quanto si verificato in occasione di tutti gli episodi di stragi o di eversione sta a testimoniarlo, occorre trarre unaltra conseguenza logica: chi depista le indagini dallinterno di apparati dello Stato, non solo non vuole laccertamento della verit, in quanto dentro il progetto politico dei protagonisti del terrore, ma manovra linvestigazione al fine di impedire qualsiasi alternanza politica, perseguendo, al pari dei terroristi, un disegno politico di stampo autoritario. Ecco allora le complicit, le collusioni, i reciproci ricatti, che rappresentano una costante nella storia dei nostri apparati di sicurezza, i cui esponenti di maggior rilievo sono stati condannati nei processi di strage, anche quelli che, come piazza Fontana, si sono conclusi con assoluzioni. Sappiamo come tutto ci fu dovuto a una continuit tra Stato fascista e Stato repubblicano, alla volont di impedire la frattura tra due assetti istituzionali antitetici, nati luno sulle ceneri dellaltro. Un terribile conflitto tra avanzata democratica e interessi consolidati, tra affermazione della Costituzione e subalternit atlantica, che ha determinato difficolt, mai superate, per laffermazione dei valori costituzionali nel nostro Paese, fino a rendere malato il nostro sistema democratico. Per far questo, si arrivati a utilizzare strategie golpiste e terrorismo stragista come metodi di intervento politico. Si arrivati a consolidare alleanze tra ambienti neofascisti e delicati apparati di sicurezza, come dimostra, tra laltro, il costante ricorso alla copertura delle responsabilit da parte dei Servizi segreti in occasione di tutte le stragi portate a segno in Italia da esponenti del neo-fascismo golpista. A fornire legittimazione a tutto ci, sono gruppi di potere italiani e stranieri, i cui vertici hanno lucidamente programmato di paralizzare il cammino della nostra democrazia, di renderla incompiuta, mettendo in campo tutte le risorse a loro disposizione, anche criminali. Ecco il dilagare della disinformazione, il gran numero di segreti di Stato, le notizie manipolate, il depistaggio delle indagini in tutti i processi di criminalit terroristica ed eversiva. La linea di continuit che lega i vertici di tutti i nostri Servizi segreti, si siano chiamati Gladio, Sid, Sifar, Sisde, Sismi, Affari riservati, e quantaltro,

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almeno fino al 1981, la loro appartenenza alla P2 ovvero alla massoneria di piazza del Ges e di palazzo Giustiniani, la loro totale subalternit ai circoli atlantici americani, la loro infiltrazione con ambienti neo-fascisti e mafiosi. Tutto ci senza che mai nessuno dei vertici politici che ne determinavano le scelte e avevano il controllo e la responsabilit di tali organismi per legge, siano mai stati chiamati a rispondere, quantomeno politicamente, di quelle scelte e di quelle illegalit. Al punto che la presenza degli apparati di sicurezza italiani e americani con le organizzazioni del terrorismo neo-fascista e mafioso nelle vicende eversive degli anni tra il 1964 e il 1980, talmente assidua, come pure lintersecarsi delle loro condotte, da non potersi definire quellintreccio criminale una semplice devianza operata da settori inquinati dei nostri Servizi segreti, ma lesercizio di una funzione istituzionale che legittimava nequizie e illegalit di ogni genere, nel nome della stabilit politica interna e internazionale. Queste e non altre le ragioni per le quali, per anni, vertici militari, Servizi segreti, apparati di prevenzione del nostro Stato, hanno collaborato, fornito protezioni, consentito a bande neo-fasciste di restare impunite nonostante si fossero abbandonate ad atti criminali di inusitata gravit. La strage di Bologna rappresenta il massimo paradigma di quanto si detto. Non vi stato un momento, nelle indagini sugli autori di quel misfatto, che non abbia visto la presenza dei nostri Servizi segreti e di strutture militari, che non abbia visto allopera uomini dei nostri apparati di sicurezza nel tentativo, per anni riuscito, di deviare le indagini proteggendo i responsabili di quel terribile eccidio. La condanna a pene severe dei massimi responsabili, palesi e occulti, del nostro Servizio segreto militare, tutti partecipi e contemporaneamente ostaggi della Loggia di Licio Gelli, conferma un quadro tanto allarmante: si arriv, tra mille altri tentativi dintossicazione, alla collocazione, a cinque mesi dalla strage alla stazione, da parte di personale del Sismi, di una valigia sul treno Taranto-Milano, contenente esplosivo della medesima composizione di quello utilizzato a Bologna e di due documenti di viaggio intestati a cittadini stranieri, al fine di allontanare le indagini dagli ambienti del neo-fascismo nostrano. Si impose, ai vertici del nostro Servizio militare, la presenza di un avventuriero come Francesco Pazienza, solo perch suggerito da una centrale dintelligence americana; si consent a costui di intervenire negli affari pi loschi, di stabilire contatti affaristici con la criminalit mafiosa, di deviare le indagini portate avanti dai giudici di Bologna. Ma quelle intossicazioni non sono terminate. Ancora oggi un coro di sedicenti storici, utilizzando la grande stampa nazionale, leditoria e la televisione di Stato, impegnata in questo inverecondo

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compito: gli autori della strage sono stranieri, i ragazzini dei Nar, oramai maturi assassini, sono innocenti. Per far questo ingannano gli Italiani ricorrendo allarma della disinformazione o della malafede, un compito che vede s alternarsi uomini di ogni schieramento! Abbiamo letto le interviste fuorvianti che il senatore Pellegrino rilascia a mani basse, o il direttore del pi prestigioso giornale italiano diffonde via Rai. E tanti altri, dei pi vari schieramenti, uniti nel tentativo di impedire la lettura delle pagine pi torbide del nostro passato: pagine che non dobbiamo girare se non dopo averle lette e capite. Pretendiamo chiarezza in nome della democrazia, in nome delle tante vittime innocenti di un potere oscuro che, per essere sconfitto, deve essere conosciuto. E che deve essere conosciuto per impedire che continui a intralciare la realizzazione di uno Stato di diritto e a rendere la nostra, una democrazia profondamente malata.

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Claudio Nunziata
Consigliere della Corte di appello di Bologna

Le tante stragi politiche, da quella di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947 in poi (con maggiore intensit dal 1969 al 1984) e tutti gli altri attentati terroristici e assassinii che le hanno accompagnate non sono stati solo episodi di cronaca ed eventi giudiziari, ma manifestazioni dei rischi che ha corso la democrazia. Sono pezzi di storia che devono essere analizzati anche sotto il profilo storico, e non solo sotto quello giudiziario, per avere consapevolezza dei rischi di involuzione autoritaria cui il Paese ancora esposto. La nostra una democrazia giovane che sin dal suo nascere ha trovato una sorda opposizione allaffermarsi dei princpi del patto costituzionale che dal 1 gennaio 1948 ne regola il funzionamento. Interessi di varia natura, da quelli della finanza parassitaria a quelli mafiosi, con tutta la zona grigia che fa da tessuto connettivo, si sono coagulati intorno a una comune ideologia autoritaria. E quando i portatori di questi interessi si sono resi conto che al progressivo affermarsi dei princpi costituzionali faceva riscontro la perdita delle posizioni di privilegio di cui avevano goduto durante il fascismo, hanno reagito cercando occasioni per riassumere quel ruolo politico che via via nel corso degli anni, con la progressiva maturazione dello stato di diritto, andava sempre pi sfumando. Allemarginazione di questi interessi ha molto influito il ricambio della classe dirigente e il rinnovamento in senso democratico delle istituzioni. Ma con laccentuarsi della tendenza alla loro emarginazione aumentata la spinta a reagire in modo sempre pi aggressivo, con azioni prevalentemente dirette a lanciare alle forze politiche moderate avvertimenti e messaggi tendenti a condizionarne in senso reazionario le scelte politiche. Poich questa strategia rispondeva anche alla esi-

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genza di mantenere inalterati equilibri internazionali, si sono realizzate condizioni favorevoli a una sua sopravvivenza protratta per un lungo arco di tempo. Vi sono sempre stati su questa materia tentativi di rimozione e deficit di analisi che hanno spinto, e spingono ancora, molti commentatori a esprimere giudizi approssimativi, spesso sulla base di informazioni imprecise, smentite da fatti accertati. Si tratta di valutazioni o dettate esclusivamente da opportunismo politico o suggerite dallesigenza di perpetuare quella cortina di protezione che ha consentito al fenomeno stragista di sopravvivere per un lustro e alle forze politiche che ne hanno subto linfluenza, di mascherare la propria mancanza di legittimazione democratica. La ricerca della verit stata lossigeno entro il quale si mossa linchiesta sulla strage del 2 agosto 1980 che, ovviamente, era rivolta prevalentemente ai suoi obiettivi naturali della ricerca delle responsabilit penali personali. Ma, per delineare le finalit perseguite dagli autori della strage, la ricerca si necessariamente estesa oltre le persone, ai movimenti, ai gruppi, alle complicit, alle protezioni, agli obiettivi, agli scritti nei quali era impressa la strategia eversiva. La Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause e le origini dello stragismo, con la partecipazione di rappresentanti di tutte le forze politiche, ha formulato un giudizio storico-politico che individua le radici del terrorismo stragista nel fatto che lItalia stata per lungo tempo un Paese a sovranit limitata i cui accordi internazionali non ratificati dal Parlamento hanno favorito la formazione di organizzazioni segrete in funzione anticomunista; nellambito di queste ultime sono poi maturate le associazioni eversive cui stata ricondotta la responsabilit materiale delle stragi. scritto nella relazione del presidente Pellegrino: A far data dalla met degli anni 50 [] diviene chiaramente percepibile un ritrarsi dei vertici politici dallassunzione di specifiche responsabilit e il correlativo innescarsi di una delega sempre pi ampia da parte del vertice politico in favore di apparati amministrativi e burocratici. [] Un comportamento sostanzialmente abdicativo dellautorit di governo verso lintero sistema dei servizi di sicurezza [.]. La divisione del mondo in due sfere di influenza contrapposte fece s che ai Servizi segreti di molti Paesi venissero affidati o che dagli stessi venissero in via di fatto assunti compiti che non competevano loro, a difesa con ogni mezzo dello status quo internazionale. nota quindi questa generale utilizzazione dei Servizi segreti in chiave marcatamente politica, in un periodo storico nel quale la situazione internazionale autorizzava la massima spregiudicatezza [] una situazione certamente non coerente con le regole di una effettiva democrazia e tuttavia coerente con il carattere incompiuto che la nostra democrazia ha co-

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nosciuto in conseguenza diretta della sovrastante situazione internazionale, in un contesto reso particolarmente nevralgico da ragioni geografiche e politiche, queste ultime connesse da un lato alla presenza vaticana, dallaltro dal rapporto saldo che almeno sino alla met degli anni 70 legava il maggiore partito di opposizione presente in Parlamento allo impero nemico. Alla specificit di tale situazione si lega anche un ulteriore dato innegabile nel primo quarantennio della storia repubblicana: e cio la costante presenza di una destra radicale in forme assai pi intense di quelle conosciute dalle altre democrazie occidentali; e insieme la continuit dei suoi legami con apparati istituzionali sia pure con caratteri di progressivo allentamento. [] Doveroso peraltro riconoscere che le forze politiche di governo, in ragione di una sempre crescente interiorizzazione dei valori democratici, abbiano agito in modo tale da frenare, neutralizzare e infine sconfiggere le spinte verso una involuzione autoritaria dellordinamento repubblicano. Le ragioni della tenuta delle istituzioni democratiche, pur sottoposte a cos difficili prove, risiedono anche in questo. Tuttavia non negabile da un lato che in alcuni casi lesistenza delle trame e delle tensioni sociali siano state utilizzate anche da esponenti politici democratici in funzione moderata, dallaltro che i vertici politici abbiano contribuito a impedire che tali trame venissero sino in fondo disvelate e che si pervenisse a una tempestiva punizione dei responsabili. Probabilmente si ritenne che una piena conoscenza dei pericoli che la democrazia correva avrebbe potuto avere un impatto destabilizzante e risultare alla fine controproducente. [] Pi arduo poi esprimere un giudizio in ordine alla zona grigia che, soprattutto in ambito romano, ha segnato la vita del Paese nella seconda met degli anni Settanta. Trattasi di un intreccio non ancora pienamente disvelato tra mondo politico, mondo degli affari, massoneria deviata, apparati istituzionali, criminalit organizzata []. Il termine democrazia compiuta svela il suo carattere intimamente contraddittorio, rivelandosi quasi un ossimoro, se vero che la democrazia non pu mai compiersi, costituendo, pi che una meta, un cammino che va costantemente percorso, un valore che non pu mai ritenersi definitivamente acquisito. in tale direzione che la Commissione ritiene di evidenziare come la fenomenologia del doppio Stato (sostanzialmente patologica rispetto allideale democratico di visibilit e trasparenza) pu essere se non eliminata, almeno limitata nei suoi effetti distorsivi, mediante un complesso di misure atte a limitare lampiezza da un lato dellarea di invisibilit, dallaltro dellambito temporale di indicibilit. Negli anni 79/80 fu posta in atto una sequenza impressionante di attentati terroristici che insanguinarono il Paese nel corso di tutto il periodo del governo di solidariet nazionale che vedeva per

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la prima volta il Pci nella maggioranza. Gli attentati si intensificarono dopo il sequestro Moro con la tentata strage attuata mediante unautovettura imbottita di esplosivo, in pieno giorno, dinanzi al Csm, sventata solo per caso, sino alluccisione, appena quaranta giorni prima del 2 agosto, del giudice Mario Amato che proprio al Csm, pochi giorni prima, aveva denunziato la sottovalutazione della destra eversiva da parte della Procura della Repubblica di Roma, retta da Giovanni De Matteo, che lo aveva lasciato solo e senza scorta a fronteggiarlo. Il carattere indiscriminato dellattentato del 2 agosto 1980, cio il fatto che fosse stato rivolto contro degli inermi cittadini, vittime casuali che si apprestavano a partire per le vacanze, nellora e nel giorno di massima affluenza, evidenziava un profondo disprezzo verso il genere umano, verso i suoi sentimenti di solidariet, verso la sua disponibilit a confrontarsi con qualsiasi libera manifestazione del pensiero. Ne rendeva evidente la matrice riferibile a una strategia politico-eversiva che perseguiva lobiettivo di umiliare e creare un clima di intimidazione nei confronti delle masse popolari, in particolare di quelle bolognesi cui veniva attribuito il torto di sostenere con determinazione scelte politiche nettamente antifasciste e rivolte alla espansione dei diritti democratici. Sono documentate notizie preventive della strage provenienti da quellarea che, per quanto tempestivamente veicolate verso le forze dellordine, non dettero luogo a una adeguata risposta da parte delle istituzioni. Loccasione fu data dal rinvio a giudizio di Mario Tuti, alcuni giorni prima, a conclusione dellinchiesta sulla strage dellItalicus, peraltro con un esplicito riferimento alle protezioni massoniche di cui questi aveva goduto. Gi lattentato al treno Italicus del 4 agosto1974 solo per un ritardo verificatosi a San Benedetto Val di Sambro aveva avuto come obiettivo la citt di Bologna. Un terzo attentato a un treno fu portato a esecuzione il 23 dicembre 1984. Inquietante reiterazione di tre stragi sulla medesima tratta ferroviaria in poco pi di 10 anni: una quantit di morti incredibile in tempo di pace e il persistente coinvolgimento esclusivamente di persone che frequentavano la seconda classe. I gruppi eversivi di destra erano stati gi individuati come gli autori di una serie di attentati compiuti sin dal 1969 ai danni di convogli ferroviari. LEmilia rossa era stata gi indicata come territorio da umiliare nel corso del convegno organizzato dallIstituto Pollio, tenutosi nel 1965 allhotel Parco dei Principi di Roma. La destra eversiva aveva manifestato con chiarezza la volont di colpire i tempi e i luoghi simbolici delle masse popolari per punirle della determinazione con cui perseguivano lobiettivo di ridimensionare le presenze reazionarie ne-

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gli apparati dello Stato, a quel tempo ancora presenti in misura consistente nonostante i trentasei anni trascorsi dalla liberazione del Paese dal fascismo. Il leader di Ordine nuovo, Franco Freda, aveva teorizzato in un suo libello pubblicato nel 1969 La disintegrazione del sistema una strategia che avrebbe dovuto affiancare quella del terrorismo rosso: entrambi vogliamo compiere ci che deve essere fatto: arrivare sino alla foce. Se per noi giungere alla foce significa aver compiuto solo una parte del viaggio mentre per costoro il viaggio terminato (o segue direzioni diverse), ci non toglie che il viaggio lungo il fiume debba essere per entrambi compiuto e che le correnti debbano essere per entrambi superate. Poi ciascuno riprender la sua strada. Dopo il sequestro e luccisione di Aldo Moro e della sua scorta, la destra eversiva avvert la necessit di manifestare un pari livello di incisivit, di lanciare un messaggio di intimazione alle forze reazionarie che lavevano sino ad allora allevata e protetta per spingerle a recuperare quella capacit di condizionamento politico che, giorno per giorno, andava sempre pi perdendo. Il Paese reag con determinazione. La dimensione dellattentato apr gli occhi alle forze politiche moderate e quando nel 1981, con linchiesta sulla P2, fu scoperto che un soggetto politico occulto condizionava, attraverso quella loggia massonica riservata, levoluzione politica del Paese, ne segu, con il governo Spadolini, una stagione politica tra le pi feconde di leggi approvate tra il 1981 e 1982 rivolte a contenere i contropoteri che insidiavano la democrazia: la legge per la sindacalizzazione della polizia, la legge contro le associazioni segrete, la legge sulla confisca dei capitali mafiosi, la legge sulle manette agli evasori fiscali. La magistratura di Bologna ha lavorato con impegno incessante per ricostruire questo pezzo di storia e identificare le radici del pericolo che correvano le istituzioni. Anche se i risultati giudiziari hanno consentito di individuare solo alcune responsabilit esecutive, essi hanno contribuito a creare un patrimonio incredibile di informazioni per lapprofondimento di un periodo difficile della democrazia e delle dinamiche che erano rivolte a scardinarla. E latteggiamento di assoluta laicit con cui i giudici bolognesi hanno condotto il loro lavoro, spogliandosi di qualsiasi possibile pregiudizio culturale e ideologico, il frutto di un imperativo categorico. Da allora ho visto tanti magistrati investiti a vario titolo in questa e in altre indagini per strage politica e terrorismo, dedicarvi tutte le proprie energie e appassionarsi in questo impegno, consapevo-

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li di dovere rendere al Paese anche una risposta di rilievo storico e di dover dimostrare con i fatti che la magistratura un potere autonomo e indipendente, refrattario a ogni tentativo di condizionamento, in grado di rispondere al ruolo che le assegna la Costituzione. Ed stato certamente un contributo importante per mantenere elevato e rafforzare il senso di legalit nelle istituzioni e nel Paese. La difesa di questa frontiera, a dispetto dei pesanti attacchi di cui ora oggetto la magistratura, uno dei modi per difendere anche la democrazia. Resta lamarezza di non avere potuto individuare livelli di responsabilit diversi da quelli esecutivi. I centri di potere che hanno utilizzato il terrorismo sono rimasti pressoch impuniti. Per preservare la democrazia da ulteriori possibili rischi allora necessario che si crei una memoria storica sulle logiche e gli opportunismi politici che hanno consentito lalterazione del processo democratico nel Paese e che si solleciti una capacit critica in ordine alla possibile operativit di centri di potere invisibile in grado di replicare, anche se con metodi e forme aggiornate, queste alterazioni. Un punto di partenza in questa direzione capovolgere il luogo comune secondo il quale le stragi sono avvolte dal mistero. Restano irrisolte solo le molte responsabilit penali, ma non altrettanto le cause, le logiche e le responsabilit degli ambienti allinterno delle quali esse sono maturate che sono tutte leggibili e tali sono state ritenute dallapposita Commissione parlamentare. Un altro quello di mutare radicalmente la convinzione secondo la quale una strage un gesto da folli. Non lo perch le stragi sono chiaramente inserite in un lucido disegno politico che ha consentito laggregazione e la convergenza di forze diverse, i depistaggi, le coperture, le protezioni e la sintonia degli attentati con particolari momenti di difficolt della democrazia. Ulteriore luogo comune da capovolgere la convinzione secondo la quale non sarebbero chiare e identificabili le finalit di questi attentati. E anche questo non vero perch una strage indiscriminata come ha scritto il saggista Gianni Flamini ha lo scopo di propagare insicurezza e tensione, di piegare le istituzioni verso un possibile sbocco autoritario, lo scopo di ricattare gruppi di potere avversi e infine quello, favorito da connivenze e da omert istituzionali, di consolidare nellopinione pubblica limmagine di uno Stato incapace di reagire e fare giustizia. Obiettivo, questultimo, destinato a premiare due volte i terroristi e i loro ispiratori, dandogli impunit e credibilit politica.

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