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Mauro Rostagno, processo sotto silenzio

di Valeria Gandus | 1 marzo 2012


Udienza importante, ieri, al processo per lomicidio di Mauro Rostagno, il
giornalista-sociologo dalle molte vite che, dagli schermi di un tv privata
trapanese, spiegava la mafia a chi ne era governato, cio i cittadini di Trapani e
dintorni.
da un anno che il processo va avanti, imputati Vincenzo Virga e Vito
Mazara, nel disinteresse della grande stampa. Eppure ogni udienza riserva
qualche sorpresa. Ieri la sorpresa si chiamava Angelo Siino, il cosiddetto
ministro dei lavori pubblici di Tot Riina, pentito di mafia. Quattro ore di
deposizione, un viaggio a ritroso nel tempo, alla Trapani degli anni Ottanta,
completamente in mano alla mafia, agli appalti truccati, ai politici in ginocchio.
E al delitto Rostagno, del quale Siino aveva gi parlato 17 anni fa, nei primissimi
tempi del suo pentimento: Collaboravo da un mese precisa oggi Siino. E da
quel verbale di tanti anni fa (ma solo cinque dopo la morte di Rostagno) si
dipana il racconto che il pentito fa in aula.
Un racconto che conferma quanto gi detto da un altro pentito, Vincenzo
Sinacori, e cio che dietro lomicidio di Rostagno cera Francesco
CiccioMessina Denaro, sottocapo della famiglia di Mazara del Vallo.
Siino rievoca i suoi incontri con don Ciccio, delle sue minacce contro il
giornalista, della netta sensazione che Rostagno da un giorno allaltro avrebbe
fatto una brutta fine. E poi degli avvertimenti che aveva dato a Puccio
Bulgarella, editore di Rtc, la televisione che mandava in onda i servizi e gli
editoriali di Rostagno, ma che, essendo anche e soprattutto un imprenditore
edile, era inevitabilmente in rapporti di affari con emissari della mafia. Gli dissi
che la minaccia era seria, che veniva da una persona importante. Minacce che
arrivarono a Rostagno, ma che non lo misero a tacere, non frenarono la sua sete
di verit e giustizia. Perch Rostagno era un cane sciolto come diceva
Bulgarella, la cui tv grazie a lui ebbe unimpennata negli ascolti. Ma
soprattutto un incubo per i mafiosi: Si tu lo senti parlare tarrizzano li
carni un cornuto diceva di lui Messina Denaro.
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I depistaggi sul suo assassinio partirono da subito, addirittura dallambiente


mafioso: Battista Agate mi fece notare che (per ucciderlo, ndr) era stata usata
una scupittazza vecchia, un vecchio fucile, che era esploso racconta Siino. Me
lo disse per calmarmi, per farmi convinto che non era stata la mafiatentavano
tutti di calmarmi perch ero agitato per quel delitto, non perch Rostagno mi
faceva simpatia A me sembrava strano che per un delitto di tale rilevanza
veniva usato un fucile vecchio E per in quella occasione, mentre Agate
tendeva ad escludere colpe della mafia, Ciccio Messina fece un segno quasi a
smentire Agate.
Una questione di corna, cos venne liquidato il delitto dai carabinieri che
sostituirono quasi subito la polizia nelle indagini e abbandonarono
contestualmente la pista mafiosa. Un delitto fra amici fu lipotesi portata avanti
anni dopo, con tanto di arresto della compagna di Rostagno, Chicca
Roveri, liberata poi con tante scuse. Non manc nemmeno la pista politica: un
delitto ordito per far tacere Mauro, che sarebbe stato ascoltato dai giudici sul
delitto Calabresi. Questultima tesi era stata caldeggiata subito dopo la morte di
Rostagno da Aldo Ricci, nuovo direttore di Rtc (e sostenuta ancora oggi). A un
incontro in un ristorante di Palermo quel giornalista fece cenno che il delitto
Rostagno poteva essere maturato dentro Saman, Bulgarella si infastid racconta
Siino. Una tesi smentita dallo stesso Rostagno con i suoi interventi televisivi a
favore di Sofri e compagni. E inverosimile per Siino: Avevo sentito parlare
Francesco Messina Denaro in modo violento contro Rostagno. E tanto bastava a
lui, che il linguaggio mafioso ben conosceva, per capire da dove fosse venuto
lordine di ucciderlo.
Nella deposizione del pentito c anche un riferimento alla massoneria e a Lucio
Gelli: A Trapani qualche volta ho avuto frequentazioni con ambienti della
massoneria, io stesso ero massone. Ma a Trapani, precisa, non cerano mafiosi
e massoni assieme, altrove si. a Roma, Milano, Palermo. E Licio Gelli, ha avuto
rapporti con mafiosi trapanesi? Nel finto sequestro Sindone, Gelli venne a
Palermo e per un giorno spar, e il prof. Barresi (Michele Barresi, ginecologo
palermitano, piduista) mi disse che erano andato a Trapani per cercare appoggi
tra i fratelli di Trapani.

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Meno male che erano due paginette di verbale commenter alla fine
delludienza Siino a voce abbastanza alta da farsi udire in tutta laula, riferendosi
al suo verbale di 17 anni fa. Di cose da dire, evidentemente, ce nerano ancora
tante, e tante altre probabilmente ci sarebbero.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/01/mauro-rostagno-processonessuno-parla/194872/

Archivio
GLI UOMINI DELLA LOGGIA
PALERMO - "La pietra entra grezza ed esce levigata". La scritta in vernice
bianca risalta sulla parete nero pece di un ripostiglio di un metro per due. E' la
camera di iniziazione dove magistrati e mafiosi, avvocati e giornalisti, ufficiali
dell' esercito e ricchi professionisti sono diventati "fratelli". Siam al secondo
piano di un malandato palazzo liberty di via Roma, numero civico 391, quasi di
fronte alla scalinata delle Poste centrali. Una portineria deserta, sei rampe di
scale buie, una pensione, uno studio dentistico, due vecchi appartamenti
disabitati, una porta di legno marrone. Sulla porta, una targhetta bianca:
"Centro sociologico italiano". E' la sede di una mezza dozzina di logge
palermitane che fanno capo alla "Massoneria universale di rito scozzese antico
e accettato. Supremo Consiglio d' Italia. Sezione Sicilia". E' qui che sono stati
"iniziati", nello stesso stanzino nero, sei magistrati e i terribili Greco di
Croceverde Giardini, famosi avvocati, il commercialista Nino Buttafuoco, il
presidente del consiglio di amministrazione del Giornale di Sicilia, Federico
Ardizzone, la "mente" di tutti i grandi affari siciliani Vito Guarrasi, assicuratori
appartenenti ad altre logge segrete, l' esattore Nino Salvo, suo fratello Alberto,
qualche generale e molti colonnelli. "Quelli l vengono solitamente di
pomeriggio o di sera", racconta il portiere del palazzo, "qualche volta ho visto
anche entrare un magistrato conosciuto... come si chiama? Non me lo
ricordo... proprio non me lo ricordo". Il portiere non ricorda nulla. Dice di avere
visto sfilare nell' androne famosi professionisti palermitani, che poi sparivano
dietro la porticina di legno marrone. Chi sono? Che cos' il Centro sociologico
italiano? Perch grandi boss come Salvatore Greco o suo cugino Toto Greco
detto "l' ingegnere" sono nella stessa loggia con giudici e avvocati? I nomi dei
magistrati iscritti ad una delle sei logge sono ancora top-secret. Il solo elenco
completo dei quasi duemila "fratelli" custodito in una cassaforte di Palazzo di
Giustizia. Un elenco su cui indaga, dopo averlo ricevuto dai magistrati della
Procura della Repubblica, il giudice istruttore Giovanni Falcone. L' inchiesta
accerter perch giudici e boss convivevano tranquillamente tra il "pensatoio"
e la camera di iniziazione del vecchio palazzo? Dall' Ufficio istruzione non
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arrivano notizie sugli sviluppi dell' indagine. Non parla il consigliere istruttore
Antonino Caponetto, non parla il giudice Falcone. Dagli ambienti giudiziari filtra
per il nome di qualche iscritto. Come ad esempio quelli dell' esattore
recentemente scomparso Nino Salvo e di suo fratello Alberto, l' "agricoltore",
arrestato un anno fa per una maxi-sofisticazione vinicola e poi rimesso in
libert provvisoria. E ancora: gli avvocati Salvatore Cosma Acampora,
Alessandro Bonsignore, Girolamo Bellavista. Ma i poliziotti e i magistrati che
hanno sequestrato la lista degli iscritti alla Loggia sono interessati ad altri
personaggi: il commercialista Antonino Buttafuoco e l' influentissimo Vito
Guarrasi, l' assicuratore Giuseppe Attinelli e il ginecologo Michele Barresi.
Perch? I primi due sono dei professionisti coinvolti in qualche modo nel caso
De Mauro, il giornalista del quotidiano del pomeriggio "l' Ora". Gli altri due
sono stati invece "registrati" negli archivi di polizia durante le indagini sul falso
sequestro di Michele Sindona. Il bancarottiere, scomparso da New York il 2
agosto del 1979, era nascosto in Sicilia, aiutato dai boss dei clan Spatola,
Inzerillo e Gambino, ma anche dai componenti di una loggia segreta
palermitana: la Camea. Fra i responsabili della loggia, oltre al medico Josef
Miceli Crimi, c' era anche il ginecologo Michele Barresi (che fu arrestato per
favoreggiamento nel falso sequestro) e l' assicuratore Giuseppe Attinelli. Gli
esperti della Criminalpol indagano comunque anche sulla composizione della
mezza dozzina di logge riunite nel vecchio palazzo di via Roma. Tra le carte
sequestrate c' anche un calendario con tutti i turni di riunione delle diverse
strutture. "Ogni tanto", racconta il portiere dello stabile, l' unico disposto a
scambiare qualche battuta con il cronista, "veniva, da Roma, per organizzare
un incontro, un pezzo grosso della Massoneria...". I magistrati indagano pure
su un altro fronte: decine di "fratelli" presenti negli elenchi provengono dalla
provincia di Agrigento. E' il caso del trafficante di eroina Giovanni Lo Cascio,
ufficialmente commerciante di tessuti, arrestato per un business gestito con
alcuni componenti del clan dei marsigliesi. O di suo padre, Vito, indicato nei
rapporti di polizia come il capomafia di Lucca Sicula. Quale collegamento tra gli
iscritti della provincia di Agrigento e quelli di Palermo? "La verit che nelle
nostre indagini ci sono ancora tanti buchi neri", ammette un investigatore dell'
antimafia, "mancano delle vere e proprie prove, solo tanti indizi sui rapporti tra
i clan di Cosa nostra, i centri occulti, le logge massoniche semiclandestine". Un
"buco nero" che risale all' estate del 1979, quando Michele Sindona si rifugia in
Sicilia. Su di lui indagano infatti un questore e un capo della squadra mobile,
Giuseppe Nicolicchia e Giuseppe Impallomeni, iscritti rispettivamente alla
Ompam (una loggia segreta fondata da Licio Gelli a Rio de Janeiro) e alla P2.
Ma di logge e di boss, in Sicilia se ne continua a parlare ancora. Anche all'
inizio della sanguinosissima guerra di mafia. Il "gran sacerdote" di una
segretissima loggia di rito scozzese era, ad esempio, il "principe di Villagrazia",
il capomafia Stefano Bontade. Il "principe" era a capo di una struttura con sede
proprio nel cuore della sua borgata. Suo cognato, Giuseppe Vitale, coinvolto
nel falso sequestro di Michele Sindona, invece un affiliato alla Camea.
di ATTILIO BOLZONI

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08 marzo 1986
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/03/08/gli-uomini-della-loggia.html

Archivio
LE LOGGE DELLA PIOVRA
PALERMO - Di misterioso c' era innanzitutto il nome, Camea, una parola che
allora non diceva nulla al giudice Falcone. Poi si scopr che era una loggia
segreta. Tra i "fratelli" c' erano uomini importanti di Palermo e tante facce
anonime. Il ginecologo Michele Barresi, il medico della polizia Joseph Miceli
Crimi, la maestra elementare Francesca Paola Longo, l' impiegato dell' Ente
minerario Giacomo Vitale. Le investigazioni un anno dopo portarono in una
palazzina liberty al civico numero 4 di piazza Diodoro Siculo, neanche mezzo
chilometro dal centro della citt. L dentro, l' estate prima, per almeno due
mesi aveva mangiato e dormito mister Joseph Bonamico, il nome di battaglia
di Michele Sindona. In Sicilia Sindona si nascose dal 10 maggio al 10 ottobre
del 1979: mafiosi e massoni lo trasportarono come un pacco da Palermo a
Caltanissetta, dalle campagne di Torretta fino al mare di Taormina. Tommaso
Buscetta non aveva ancora raccontato i retroscena siciliani del tentato golpe
del principe Borghese; la Camea era la prima traccia, il primo filo che univa gli
uomini d' onore di Cosa Nostra con la massoneria segreta. Nei dieci anni
successivi poliziotti e magistrati incontrarono nelle loro inchieste tante altre
logge e tanti altri misteri, scoprendo comunque che la Camea, l' Iside 2, la
Ciullo d' Alcamo, l' Armando Diaz erano diventate un punto di incontro per
uomini politici, magistrati, trafficanti di stupefacenti, imprenditori, capimafia,
banchieri e molti professionisti, soprattutto notai, avvocati e ingegneri. Solo
nel 1992, dopo le stragi di Capaci e di via D' Amelio, i pentiti confermeranno
"che alla massoneria erano affiliati Tot Riina, Michele Greco, Francesco
Madonia, Stefano Bontade, Mariano Agate...". I vecchi e nuovi capi di Cosa
nostra nelle logge cercavano amici per fare affari e "aggiustare" i processi. Ma
torniamo all' estate del 1979, al falso sequestro Sindona, alla Camea, centro di
attivit massoniche esoteriche associate e a Michele Sindona "gestito" durante
il suo soggiorno siciliano dalla mafia e da un gruppo di "fratelli" (alcuni dei
quali uomini d' onore o parenti di boss come il cognato di Bontade, l' impiegato
regionale Giacomo Vitale). Il banchiere era stato ferito e poi curato dal dottore
Miceli Crimi, assistito dalla maestra Longo, protetto dagli Inzerillo e dai Di
Maggio che lo trasferirono a fine estate anche in una villa in campagna, alle
porte di Torretta, in localit Piano dell' Occhio. Quando sbarc in Sicilia Michele
Sindona si era fermato qualche giorno anche a Caltanissetta, nella casa di un
insospettabile avvocato, Gaetano Piazza. L' alloggio glielo aveva trovato il
capomafia di San Cataldo Lillo Rinaldi. Le prime indagini sul falso sequestro di
Michele Sindona si concentrarono a Palermo, il questore Giuseppe Nicolicchia
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era iscritto alla P2 come pure il capo della squadra mobile Giuseppe
Impallomeni. Naturalmente non scoprirono nulla. Quando il capo della polizia
Coronas promosse e trasfer Nicolicchia a Roma, il questore se ne and
ringhiando e ricordando soprattutto "che le massime autorit della Regione l'
avevano difeso". Era vero, il presidente della Regione Mario D' Acquisto si era
schierato al suo fianco. Con un documento lo fecero pure alcuni funzionari di
polizia di Palermo. Ma allora nessuno poteva mai immaginare cosa fosse la
polizia a Palermo. E nemmeno chi fossero certi funzionari della Regione
siciliana. Uno si chiamava Salvatore Bellassai, la sua stanza era proprio di
fronte a quella del presidente Piersanti Mattarella, l' incarico del funzionario in
Regione era quello "di coordinare i rapporti con il Mediterraneo". Bellassai era il
capo della P2 di Gelli per la Sicilia e la Calabria. Ma in quegli anni ancora ben
poco si conosceva di quel pianeta popolato da boss e "fratelli", anche se due
commissioni parlamentari di inchiesta - quella sul caso Sindona e quella sulla
P2 - avevano gi scoperto alcuni fili. Proprio in quegli anni si erano affiliati alla
massoneria personaggi diventati "famosi" in seguito. Come Angelo Siino, l'
"ambasciatore" di Tot Riina nel mondo degli appalti pubblici. Come Vito
Cascioferro, colonello medico e erede di una "famiglia" importante dell'
agrigentino. Come Salvatore Greco di Ciaculli, detto "il "senatore" per l' abilit
nel contattare e poi convincere gli uomini politici. La svolta nelle inchieste su
"mafia e massoneria" avvenne comunque nel 1986, nel mese di gennaio. I
poliziotti della "mobile" stavano seguendo un traffico di stupefacenti, c' era di
mezzo tale Giovanni Lo Cascio, un mafioso di Lucca Sicula. Questo Lo Cascio
viveva fra Marsiglia e Palermo, nella citt siciliana frequentava
quotidianamente un appartamento di via Roma 391. La perquisizione che
ordinarono i magistrati port alla scoperta di una loggia segreta e di un elenco
inquietante. All' Armando Diaz erano iscritti boss di Ciaculli e magistrati,
avvocati, professionisti, editori. C' erano anche i cugini Salvo, Nino e Alberto. Il
Gran Maestro era Pietro Calacione, impiegato dell' ospedale civico che aveva
buoni contatti pure alla Casa Bianca. Tutti insieme, tutti pericolosamente vicini.
L' anno 1986 riserv un' altra sorpresa, solo tre mesi dopo, a fine aprile. Il
capo della squadra mobile di Trapani Saverio Montalbano era stato
improvvisamente trasferito con una scusa, il suo questore diceva che aveva
usato l' auto di servizio per "motivi personali". La cosa era abbastanza strana,
anche perch due anni prima pure il commissario Ninni Cassar era stato
allontanato da Trapani dallo stesso questore. I due poliziotti avevano messo il
naso nella sede di un centro studi, il presidente si chiamava Giovanni
Grimaudo. Il centro studi era anche la copertura di sei logge, Iside, Iside 2,
Osiride, Ciullo d' Alcamo, Cafiero e Hiram. La lista dei "fratelli" comprendeva
funzionari di polizia e di prefettura, burocrati di Comune e Provincia, ufficiali
dell' esercito, tutti i potenti di Trapani compreso il deputato della Dc Canino. E
insieme c' era una dozzina di mafiosi, fra i quali Natale Rimi, Natale L' Ala,
Mariano Asaro, quest' ultimo imputato nel processo per l' attentato al giudice
Palermo. Ma dalle carte del circolo emersero anche i nomi di altri capimafia
come Mariano Agate. Risult che il presidente Grimaudo aveva contatti con
Pino Mandalari, il commercialista vicino a Tot Riina. Poi la moglie di un boss
disse che Giovanni Grimaudo aveva favorito l' elezione di Nicol Nicolosi e di
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Aristide Gunnella. Ultimamente l' onorevole Canino ha fatto il nome anche del
ministro Mannino: "Si attivato per far avere un finanziamento al circolo...".
Dieci anni di indagini su "mafia e massoneria" arricchite intanto dalle rivelazioni
di Buscetta e di Calderone sul tentato golpe Borghese. I pentiti parlarono dei
contatti, dell' aiuto che doveva offrire Cosa Nostra per un colpo di stato e della
contropartita: la revisione dei processi, l' "aggiustata" in Appello. L' intreccio
divent sempre meno misterioso, anno dopo anno, inchiesta dopo inchiesta,
fino alle 1687 pagine della requisitoria sui delitti politici di Palermo. Fra quei
fogli c' il verbale di un interrogatorio, la testimonianza resa da Nara
Lazzerini, una donna che frequentava Licio Gelli. Ha raccontato che fra gli amici
del Venerabile c' erano anche due siciliani, l' europarlamentare Salvo Lima e l'
onorevole Luigi Gioia.
dal nostro corrispondente ATTILIO BOLZONI
15 aprile 1993

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/15/le-logge-della-piovra.html

A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA

http://isolapulita.blogspot.it/2012/03/blog-post.html

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