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INTRODUZIONE
1
3.2 Le donne mafiose e il fenomeno del pentitismo
Bibliografia
2
INTRODUZIONE
3
Cosa Nostra. Se è in gioco l’interesse della famiglia, tutti questi
sentimenti scompaiono, passano in secondo piano»1.
1
Arlacchi P., Gli uomini del disonore. La mafia nella vita del grande pentito Antonio Calderone,
Mondadori, Milano 1992, p.157
4
ovvero quelle che si godono il lusso e la brutalità, quelle che lottano
contro la mafia e quelle che però ne sono vittima per tutta la vita.
5
vendicarlo. Subito dopo viene ucciso anche il fratello e lei decide di
collaborare con la giustizia, trasgredendo così la legge dell'omertà,
tipica dell'associazione mafiosa.
Tuttavia dopo la sua deposizione, che permette l'arresto di molti
mafiosi di Partanna, viene lasciata sola dalle istituzioni e piomba in
uno stato depressivo (nel suo diario annota infatti di sentirsi e di essere
molto sola) che la condurrà al suicidio, esattamente una settimana
dopo la strage in cui perse l vita il giudice Borsellino.
La tesi intende dimostrare come il processo sociale che investe
le donne nel contesto analizzato, le renda più forti e consapevoli della
realtà e della violenza che le circonda e di come, invece, si possa
vivere in modo legale e soprattutto legittimo. La vicenda di Giusy
Vitale, anch'essa boss mafioso, ben evidenzia questo processo
soprattutto quando lei stessa si pente perchè consapevole della
violenza che la circonda. È forte il desiderio in lei di non far crescere i
suoi figli in questo contesto che decide di pentirsi, nonostante il
pericolo che una tale decisione comporta soprattutto per la sua
famiglia.
Ciò che colpisce è il coraggio che queste donne hanno avuto
nello svincolarsi da una situazione di aperta violenza non hanno
esitato ad abbandonare ruoli di comando e di potere ed un'agiatezza
economica rilevante.
6
CAPITOLO PRIMO
2
Blok A., La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960, Einaudi, Torino 1986
3
Catanzaro R., Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana Editrice, Padova 1988
7
diritti di proprietà individuale, causando l’inizio di – inevitabili –
conflitti e di lotte a livello sociale che si protrarranno per parecchio
tempo, fino al secondo dopoguerra. Le trasformazioni sociali sono
inevitabili; si delinea un nuovo quadro sociale caratterizzato
dall’indebolimento dei proprietari terrieri, dal forte impoverimento dei
contadini e dei pastori, i quali, per sopravvivere si organizzano in
movimenti collettivi di rivendicazione o si danno il banditismo, e dalla
crescita dei ceti medi che si uniscono tra loro per le acquisizioni
terrieri e tra i quali vi sono i primi mafiosi4.
4
Petrusewicz M., Latifondo. Economia morale e vita materiale in una periferia dell’Ottocento,
Venezia 1989
5
Cfr. Sereni E., Il capitalismo nelle campagne, Torino 1968
6
Lupo S., Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma 1993
7
Cfr. Brancato F., La mafia nell’opinione pubblica e nelle inchieste dall’Unità al fascismo, in Atti
della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione
storica, Camera dei Deputati, V legislatura, Roma 1972
8
La mafia si organizza nei comuni siciliani subito dopo l’Unità,
in una vasta rete di “organizzazioni per delinquere” dislocate
nell’isola e dotate di strutture verticali, che sono talvolta in rapporti
d’affari ma anche in conflitto e che sono strutturate secondo uno
schema ben definito in più livelli. L’organizzazione punta ad
accumulare patrimoni illeciti esercitando il controllo direttamente
sulle comunità locali, sulle amministrazioni pubbliche e sui collegi
elettorali nazionali. Essa intende assumere un ruolo di mediazione tra
il centro e la periferia del sistema politico, colludendo con i
componenti dello Stato8.
8
Chiara L., Sulle origini storiche del fenomeno mafioso: amministrazioni e bande armate nel
circondario di Cefalù (1870-1885), in Incontri Meridionali, n.2, 1990, p.143
9
L’organizzazione mafiosa intesse delle relazioni molto forti con
il banditismo e con le bande armate al punto che dopo l’Unità questi
legami si ridefiniscono ancora più nettamente9. In questo contesto la
mafia anche se aveva «il suo punto di partenza nella collusione di
pubbliche autorità con la criminalità comune»10, si inserisce nei
processi di ascesa del nuovo ceto emergente passando da una fase
iniziale in cui usa essenzialmente la violenza in modo difensivo contro
tutti coloro che ne contrastano il controllo del territorio, ad una fase in
cui l’azione corruttiva con le istituzioni dipende da queste ultime,
creando così la possibilità di utilizzare e di servirsi dei poteri illegali.
Nella seconda metà del XIX secolo la mafia si delinea già come
un’associazione che ha tra i suoi componenti varie categorie sociali,
dal ceto medio, alla grande e piccola borghesia ai ceti popolari. Fin dal
primo momento essa si diffonde nella parte occidentale dell’isola,
escludendo la parte orientale perché in questo territorio la classe
dirigente è più unita e non ha problemi nel controllare il territorio a
differenza di altri luoghi dove – come abbiamo già sottolineato -
uomini violenti prendono il sopravvento11.
9
Ibidem, p.145
10
. Recupero A, La Sicilia all’opposizione 81848-1874), in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità a
oggi, La Sicilia, a cura di M. Aymard – G. Giarrizzo, Einaudi, Torino 1987, p.76
11
Gambetta D., La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1993
10
In questo momento la mafia, forte di un monopolio effettivo
della violenza, condiziona i rapporti tra le istituzioni e i cittadini e nel
contempo anche la competizione amministrativa e talvolta, sebbene
sporadicamente, estende le sue aderenze anche alle deputazioni
nazionali. I funzionari di pubblica sicurezza, i questori e i prefetti sono
comunque a conoscenza dell’azione esercitata dalle bande armate12 e
del complesso intreccio di interessi che alimenta lo scontro fra le
fazioni e i partiti amministrativi sorretti dai mafiosi, i quali con
l’azione violenta della bande armate si contendono il controllo del
potere pubblico.
11
sviluppo di una vivace rete di commerci nella zona costiera
palermitana della Conca d’Oro, in seguito alla quale molti protettori
estendono il loro potere su nuove zone, ampliando la loro rete di
contatti16. In quest’area i traffici illeciti tra Palermo e l’interno,
rappresentano un punto di incontro tra l’area dei latifondi e questa
zona, con un forte incremento del numero dei clienti che vanno a
distribuirsi in vari settori.
12
nella gestione delle amministrazioni locali, e per tale motivo la mafia
riesce a rinforzare il proprio potere. La maggiore apertura dello Stato e
delle istituzioni verso delle forme di legittimazione dei ceti dirigenti
con una maggiore partecipazione al voto, finisce paradossalmente per
consolidare i legami tra le cosche e una parte della rappresentanza
politica che necessita dei mafiosi per il controllo della società locale.
13
L’azione del regime fascista deve inquadrarsi nell’esigenza
politica di recuperare in Sicilia il consenso delle masse ma nonostante
l’azione ferrea del prefetto non riesce ad incidere i rapporti tra la
mafia e le clientele politiche. Rimane pressoché intatta la continuità
dei gruppi mafiosi in alcune zone della Sicilia in quanto essa salva
gran parte della grande proprietà terriera a discapito di professionisti,
sindaci, grossi gabellotti mafiosi21. Ciò nonostante la sua azione
inferte un duro colpo all’incidenza della mafia nella mediazione tre le
classi sociali, tra lo Stato e le società locali soprattutto a seguito dei
molti arresti effettuati dal Mori, il quale intende sviluppare l’azione
repressiva di polizia (voluta dal fascismo) contro le organizzazioni per
delinquere e combattereo le aggregazioni di potere nelle periferie non
più funzionali alle pretese del fascismo sulla società locale22.
21
Lupo S., L’utopia totalitaria del fascismo (1918-1942), in Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità
a oggi, La Sicilia,op. cit., pp.402-410
22
Ibidem
23
Il Movimento indipendentista siciliano
14
incontro fra le diverse parti in causa, quali gli agrari, lo Stato, le
società locali.
24
Barone G., Stato e Mezzogiorno (1943-1960), in Storia dell’Italia Repubblicana, Vol. I, La
costruzione della democrazia, Milano 1999, pp.293-409
15
sposta, quindi, dal piano della conquista dell’onore individuale e
familiare al piano del possesso e dell’ostentazione dei nuovi simboli
del consumo.
25
Arlacchi P., La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino,
Bologna 1983
16
da istituti di credito. La mafia detiene il controllo e la gestione delle
attività imprenditoriali soprattutto nel settore edilizio, nei mercati
alimentari, nelle assunzioni negli enti locali e nel credito.
26
Si tratta della legge n.1423 del 1956, modificata con la n.327 del 1988, che rivede la disciplina
delle misure preventive e della legge n.575 del 1965 che estende le misure di prevenzione anche ai
sospettati di appartenenza alla mafia.
17
Il fenomeno mafioso diviene parte integrante delle strutture
portanti dell’universo socioeconomico di aree sempre più vaste del
Mezzogiorno e favorisce la nascita di una forte compagine di
imprenditori mafiosi, i quali dispongono di molta liquidità e della
possibilità di usare la violenza e che permettono, nel frattempo, il
costituirsi di un mercato della droga che a partire dagli anni Settanta
produce una forte esplosione di accumulazione illegale di denaro che
permette ai mafiosi una propria autonomia di azione, al punto di non
avere più bisogno del denaro pubblico27.
27
Arlacchi, op. cit., p.151
18
comportamenti e le sue attività28. In questa prospettiva la famiglia
risolve le deficienze delle istituzioni e: «Nel pensare mafioso il ‘dato’
istituzionale è saturato dall’istituzione famiglia, nelle sue estreme
espressioni coincide totalmente con essa. […] La famiglia, nelle sue
vaste ramificazioni ha la funzione di proteggere, di privilegiare i suoi
membri rispetto ai doveri che lo stato impone a tutti. È la prima radice
della mafia»29.
28
Armao F., Il sistema mafia. Dall’economia-mondo al dominio locale, Bollati Boringhieri,
Torino 2000, p.37
29
Fiore, La famiglia nel ‘pensare mafioso’, in G. Lo Verso (a cura di), La mafia dentro,
psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 1998, pp.51-52
30
Chinnici G.-Santino U., La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli
anni ’60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1991, pp.291-292
31
Arlacchi, op. cit., p.157
19
contraddizioni in quanto la parentela viene considerata, a seconda
delle circostanze, fattore di mobilità interna o di stabilizzazione. Nel
primo caso, quando si ritiene che le capacità di comando, non possono
essere riprodotte per via biologica, il capo viene scelto sulla base delle
reali capacità, mentre nel secondo caso quando si adotta la strategia
della massimizzazione della discendenza, si tenta di produrre dei figli
maschi per occupare con mogli e discendenza, il maggior numero di
posizioni di potere dentro la cosca32.
20
esclusivamente il fattore parentale ma la credenza nella validità dei
principi e delle regole della mafia e la compartecipazione ai suoi
affari.
34
Cfr. Gribaudi G., Mafia, culture e gruppi sociali, in Meridiana, 7-8, 1990, pp.347-348
21
dall’aggressione di altre culture antagoniste perché innovative o
straniere35.
35
Armao, op. cit., p.43
36
Arlacchi, op. cit., p.24
22
omologandosi e conformandosi con questo per evitare rischi. In questo
contesto, il matrimonio non è un’unione fondata sulla scelta personale
ma è un modo per legare due gruppi per ottenere vantaggi economici
ed assicurarsi alleanze politiche.
23
Tuttavia sebbene la funzione delle donne può apparire
insignificante in alcuni casi in altri diventa indispensabile, in
considerazione del fatto che la funzione di procreare la rende, spesso,
il trait d’union tra le famiglie in lotta e viene utilizzata come merce di
scambio per mettere fine ad antiche guerre ed inutili spargimenti di
sangue. La donna serve anche – e soprattutto- per tenere alta la
reputazione della famiglia: un protettore ha il compito di proteggere,
in primo luogo, la moralità della propria moglie. Le donne sono le
detentrici della memoria familiare: esortano la vendetta, ricordando
sempre i loro cari e trasmettono ai propri figli l’educazione mafiosa39.
Per un discorso più ampio sul ruolo della donna nel sistema mafioso si
rimanda però al capitolo seguente.
39
Di Maria F. –Lavanco G., e il dogma. Percorsi per capire la comunità mafiosa, Franco Angeli,
Milano 1998
40
Goode W.J., Worl Revolution and Family Patterns, The Free Press, New York 1963, trad. It.
Famiglia e trasformazioni sociali. Un’analisi comparata, Zanichelli, Bologna 1982, p.319
24
Le prime forme visibili che si formano per contrastare la mafia
risalgono ai primi movimenti contadino che sfociano nei Fasci
siciliani che si connotano per la fronte impronta politica. Le prime
inchieste in tal senso risalgono al 1875, anno in cui viene svolta in
merito all’ordine pubblico dalla Commissione Parlamentare, che
evidenziano delle rare e deboli manifestazioni di resistenza
antimafiosa. Tali sporadici episodi dimostrano l’incapacità dei diversi
governi di interpretare il fenomeno mafioso come distinto dalla
criminalità comune ed anche l’operazione antimafia del 1877 non ha
effetti sulla mafia ma solamente sul banditismo.
25
fascismo si attua una forte e sommaria repressione poliziesca, affidata
al prefetto Mori, caratterizzata da un enorme numero di denunce,
arresti, processi e condanne. Ed anche se in questo periodo la mafia è
collocata ai margini della società, la coscienza antimafiosa non sembra
progredire. Nonostante l’azione repressiva di Mori e le modifiche al
sistema delle misure di prevenzione, con l’introduzione del confino di
polizia per le persone designate pericolose alla sicurezza pubblica, la
mafia riprende gradualmente la sua espansione.
26
si protrae fino al 1976 e si conclude con la pubblicazione di numerose
relazioni e di documenti anche se non consegue alcun risultato
concreto sul piano legislativo, politico e sociale. Tuttavia, si delinea,
per la prima volta, una mappa del fenomeno mafioso, nella quale
viene affermata con certezza la sua esistenza come fenomeno
criminale e ne viene data la seguente definizione “fenomeno
delinquenziale e organizzato, capace di coinvolgere individui e gruppi
della classe dirigente, sempre alla ricerca di un legame influente con la
politica e di un rapporto inquinante con le pubbliche istituzioni locali,
regionali e nazionali”.
43
Renda, 1994
44
Dalla Chiesa N., Delitto imperfetto, Milano 1984
27
autorizzando il sequestro e la confisca dei beni riconducibili agli
indiziati della nuova fattispecie penale.
45
Caponnetto A., I miei giorni a Palermo, Milano 1992
28
l’incriminazione di settecentosette presunti affiliati a Cosa Nostra che
vengono inclusi nelle liste del maxiprocesso del 1986 che vede la
presenza di 456 imputati, tra cui boss del calibro di Luciano Leggio e
Michele Greco46.. Saranno condannate 344 persone e si emetteranno
19 sentenze di ergastolo.
Cosa Nostra reagisce con stragi sempre più frequenti: nel 1985
a seguito dello scoppio di un’ autobomba destinata al giudice Carlo
Palermo, che rimane illeso, rimangono uccisi una donna e i suoi due
figli, nello stesso anno vengono giustiziati il commissario di pubblica
sicurezza Giuseppe Montana, il vicecapo della Squadra mobile
Antonino Cassarà e l’agente Roberto Antiochia. Nel 1992 vengono
uccisi il deputato democristiano Salvo Lima, il giudice Giovanni
Falcone, la moglie e gli agenti della scorta, il giudice Paolo Borsellino
e cinque agenti della scorta. L’anno seguente, il 14 maggio
un’autobomba esplode a Roma, il 27 dello stesso mese un’altra
autobomba esplode a Firenze, il 27 luglio ne esplode un’altra a Milano
e, tre quarti d’ora dopo, due ordigni esplodono a Roma. Gli attentati
causano numerosi morti e feriti.
29
aumenta il numero dei soggetti che chiedono di collaborare con la
giustizia.
30
CAPITOLO SECONDO
LE DONNE E LA MAFIA
Renate Siebert
31
2.4 Le donne del Sud
32
materna che ci descrive come costruzione sociale del genere
femminile50.
33
formato storicamente un’etica e una cultura ed anche l’accesso di
massa al lavoro salariato femminile, è sostituita dalla rete delle
clientele.
52
Ginatempo, op. cit., p. 183
34
Per le donne meridionali, il modello di identità è molto legato
alla tradizione, che le vuole mogli e madri, ma da qualche tempo si
assiste al tentativo di aderire a nuovi processi di mutamento per
evadere dal mondo famigliare e dai ruoli prescritti alla ricerca di
cammino fondato su più autonomia e più socialità. Le donne non
vogliono più essere solamente delle madri53 ed è per questo che
affrontano anche dei nuovi percorsi di istruzione.
35
la crescente tendenza femminile a restarvi dopo il matrimonio e la
nascita dei figli. Bisogna però evidenziare che in Italia l’occupazione
femminile è segregata da una cultura clientelare che l’ha indirizzata
essenzialmente in ambiti poco innovativi, come ad esempio
l’insegnamento e l’impiego pubblico57. Per quanto riguarda
l’insegnamento è opinione diffusa che sia il lavoro più consono ad una
donna in quanto le permette di conciliare i due ruoli che occupa nella
famiglia e nel mondo del lavoro58.
57
Piselli F., Donne e mercato del lavoro: il caso della Calabria e del Portogallo, in Ginatempo N.
(a cura di), Donne del Sud, op. cit., p.59
58
Cfr. Gugino C. - Lo Cascio G., La famiglia, in AA. VV. Essere donna in Sicilia, Editori Riuniti,
Roma 1986
59
Leccardi C., Giovani donne, immagini del lavoro e mutamento sociale in Calabria, in
Ginatempo N. (a cura di), Donne del Sud, op. cit., p.72
36
A differenza di altre aree d’Italia, in Sicilia, il lavoro
extradomestico delle donne è subordinato alle priorità familiari ma si
stanno verificando dei cambiamenti nelle giovani donne che sentono il
desiderio di realizzarsi e di lavorare per guadagnare60.
60
Ivi
61
Oppo A., Ruoli femminili in Sardegna: rotture e continuità, in Ginatempo N. (a cura di), Donne
del Sud, op. cit., p.65
37
quando dei nuovi studi sul fenomeno mafioso hanno scoperto l’attività
e l’importanza dei ruoli femminili rispetto agli stereotipi dominanti62.
62
Una rassegna di questi nuovi studi si ritrova in Santino U., Dalla mafia alle mafie. Scienze
sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp.209-229
63
Nella Camorra napoletana lo hanno sempre fatto
64
Di Maria F. – Lo Verso G., La donna nelle organizzazioni mafiose, in AA.VV., Donne e mafie.
Il ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali, Dipartimento di Scienze penalistiche,
Università degli studi di Palermo, Palermo 2003, p.91
38
modello criminale direttamente nella propria casa e ciò è accaduto a
Rosa N. che afferma infatti di essere:
65
Ingrascì O., La mafia e le donne: nuove ipotesi di ricerca, tesi di laurea, Università degli studi di
Milano, Milano 1998-1999, p.334
66
Ivi. Una giovane diciassettenne affermò , durante una seduta di psicoterapia, che se fosse andata
in giro nuda, nessuno avrebbe osato sfiorarla.
67
Cfr. Scarpinato R., Il dio dei mafiosi, in Micromega, n.19, 2000 e Principato T.-Dino A., Mafia
donna. Le vestali del sacro e dell’onore, Flaccovio, Palermo 1997
39
In apparenza la figura della donna è messa nelle retrovie
dell’organizzazione di Cosa Nostra anche se è sempre stata nei miti e
nella vita quotidiana dei mafiosi; si potrebbe affermare che questa
emarginazione è l’elemento fondamentale per la coesione di gruppi.
68
Intervista al pentito Antonio N., Modena, 5 maggio 2004 in Ingrascì O., Donne d’onore. Storie
di mafia al femminile, Mondadori, Milano 2007, p. XVII
40
«La famiglia era costituita dai nipoti maschi; i nipoti
provenienti dai figli maschi erano sempre seduti in
prima fila, mentre i miei fratelli, figli di una figlia,
erano dall’altra parte […] una volta mio nonno ci ha
cacciati dal tavolo dicendoci che non eravamo dello
stesso cognome suo»69.
41
raccontavano spesso di padri sempre assenti ma sempre presenti nei
racconti mitizzanti della madre: donna-madre che si costruisce un
uomo-eroe che in realtà non esiste»71.
42
Nonostante la donna è da sempre destinata ad essere
sottomessa, conquista pian piano un ruolo di centralità, che possiamo
definire sommersa in quanto le conferisce un ruolo attivo nelle
strategie organizzative della mafia. Tali cambiamenti hanno permesso
di indagare sui meccanismi e sulla dinamica femminile
dell’organizzazione; da ciò è emersa la figura di una donna che è
fedele al proprio uomo e custodisce e trasmette dei valori contrastanti
in quanto da un lato ci sono quelli pseudo-religiosi relativi al
rafforzamento della sacralità e dell’unione della famiglia e dall’altro
quelli inerenti alla trasmissione dei codici mafiosi.
43
quanto il potere è nelle mani del padre che controlla e infligge
punizioni75.
75
Cfr. Lo Verso G.-Lo Coco G., La psiche mafiosa: storie di casi clinici e collaboratori di
giustizia, Franco Angeli Milano 2003
76
Di Maria – Lo Verso G., La donna nelle organizzazioni mafiose, op. cit, p.97
77
Cfr. Arlacchi P., Gli uomini del disonore. La mafia nella vita del grande pentito Antonio
Calderone, Mondadori, Milano 1992
78
Cfr. Fiore I., le radici inconsce dello psichismo mafioso, Franco Angeli, Milano 1997
44
nella cultura siciliana (ma anche da altre), hanno assegnato, al primo,
il potere e il dominio mentre alla donna il ruolo di “grande madre”.
79
La prospettiva analitica è volta ad analizzare le ripercussioni che il pensare mafioso ha dal punto
di vista psichico, mentale, emozionale; l’enfasi è posta sui meccanismi che spingono tale
organizzazione a reagire o rimanere vittime del sistema. A tal proposito di veda: Lo Verso G. (a
cura di), La mafia dentro: psicologia e psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli,
Milano 1998
80
Principato - Dino, op. cit.
45
un potere di morte che le assicura un posizione di rispetto e di
riguardo, al punto da rifiutare il suo uomo quando si pente.
81
Siebert, Le donne e la mafia, op. cit., p.29
46
sentire mafioso potrebbe risultare più pregnante rispetto a quello
offerto dall’uomo»82.
82
Ingrascì O., in AA.VV., Donne e mafie, op. cit., p.100
83
Malafarina L., La ’ndrangheta. Il codice segreto, la storia, i miti, i riti ed i personaggi,Gangemi,
Roma, 1989, p. 60
47
La ‘Ndragheta si struttura sulle relazioni parentali: famiglia di
sangue e famiglia criminale tendono a coincidere in quanto la
famiglia, intesa appunto come cellula primaria dell’organizzazione
mafiosa, è una realtà in grado di rigenerarsi e consolidarsi, in modo
omogeneo e costante, che si espande mediante unioni matrimoniali e
comparati con esponenti di altre famiglie onorate. Tuttavia a
differenza della mafia «la ‘Ndrangheta continua a essere divise in
‘ndrine autonome senza una struttura unica di comando; le ‘ndrine, a
loro volta, sono sempre più costituite su basi familiari e parentali
molto ampie. Queste continuano a rappresentare la spina dorsale della
struttura ‘ndranghetista»84.
48
una parentela spirituale, molto sentita in Calabria. Queste relazioni si
sovrappongono nella vita quotidiana, formando quella rete di
conoscenze sociali senza la quale non ci sarebbe socialità tra gli
uomini.
86
Banfield C. E., Una comunità del Mezzogiorno, ed. orig. The moral basis of a backward society,
New York, Il Mulino, Bologna, 1961,p. 73
87
Siebert R., Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, p. 65
49
marcire ai piedi dell’albero»88. Il rispetto si fa maggiore dalla base
verso il vertice ed è proporzionale al tempo trascorso in seno alla
famiglia. La norma che regola i rapporti intra-familiari non è qui la
solidarietà o l’appartenenza, ma è la subordinazione, cioè l’insieme di
obblighi e di valori che mettono in risalto le posizioni di potere
vigente sia nella gerarchia domestica di stampo patriarcale, che in
quella ndranghetista.
50
assurgono mai a ruoli di primaria importanza mentre in alcune
organizzazioni mafiose imprenditoriali la donna è molto più attenta.
Vi sono, infatti, “mogli di soggetti che sono detenuti per fatti
gravissimi, fatti di sangue, fatti di mafia e le mogli sono impiegate
statali, hanno anche compiti di un certo rilievo all’interno di alcune
amministrazioni pubbliche”90.
90
Ivi, Intervista con Eugenio Facciolla, Catanzaro 19 novembre 2001
91
Zagari A., Ammazzare stanca. Autobiografia di uno ‘ndranghetista pentito, Edizioni Periferia,
Cosenza 1992, p.12
51
Giovine92 ben chiarisce la situazione. Lei assiste alla guerra di mafia
da lontano in quanto vive a Milano ma quando rientra in Calabria per
trascorrere le vacanze viene coinvolta. Racconta infatti che:
92
L’intervista viene realizzata da Ombretta Ingrascì per la sua tesi di laurea, op. cit., si veda nota
65
93
Ivi
52
Le donne sono molto attive e soprattutto consce del ruolo che
ricoprono anche se rimangono sempre un mero strumento nelle mani
del maschio quando vengono utilizzate per le strategie famigliari
tramite i matrimoni di comodo. Nel caso in cui non concordano,
possono anche essere uccise ed hanno il medesimo trattamento se si
innamorano dell’uomo sbagliato.
53
casalinghe che le aiuta a nascondere messaggi, armi, droga ed altro e
che le rende pertanto meno controllabili degli uomini
54
strategiche per l’attività del clan. Un esempio lo si riscontra nel paese
di Lauro, in provincia di Avellino, dove le donne del clan Graziano
nel maggio del 2002 si sono scontrate in una sparatoria con quelle del
clan Cava, durante il quale tre di loro sono morte e sei gravemente
ferite97.
97
Donne Killer, in Ultimissime, 29 maggio 2002, p.1
98
Cfr. Allum F., op. cit., p.15
55
ciò è, però, in parte anche dovuto all’emancipazione delle donne nella
società napoletana che le avvicina sempre più al mondo del lavoro e
che le spinge a non concentrarsi più totalmente verso la famiglia
facendola diventare il centro della loro vita. Le donne napoletane
giocano un ruolo pieno e attivo nella società, “ forse più di qualunque
altra donna di qualunque regione d’Italia, e la malavita criminale non
fa eccezione”99.
99
Longrigg C., L’altra metà della mafia: l’anima femminile di cosa nostra, ndrangheta e
Camorra, ed. orig. Mafia Women, Ponte delle grazie, Milano 1997, p.35
56
Nuova Famiglia (NF) che rilancia quello siciliano più tradizionali.
Questa situazione porta ad un reale coinvolgimento delle donne nelle
attività della Camorra.
100
Gribaudi G., Donne. Uomini e Famiglie. Napoli nel Novecento, Ancora, Napoli 1999, p.19
57
Camorra nella comunità locale101. Possedevano armi rubate, merce
illegale e ospitavano i boss latitanti mentre a livello formale
diventavano presidenti di compagnie fantasma e ricevevano dei
contratti pubblici come nel caso di Maria Orlando, madre di Lorenzo
Nuvoletta del clan dei Nuvoletta102. Esse diventarono anche dei leali
difensori dei loro uomini, seguendone i processi e parlando con i loro
avvocati ed intervenendo anche a livello pubblico per sostenerli.
Nei clan che non sono influenzati dai siciliani, tre donne
riescono ad arrivare ai vertici e sono: Rosetta Cutolo, sorella del capo
della NCO, Raffaele, Anna Mazza, moglie del capo Gennaro Moccia e
madre dei fratelli Moccia e Pupetta Maresca, partner del barone della
droga Umberto Ammaturo e sorella di Ciro Maresca.
Negli ultimi anni le donne dei clan cittadini sono divenute più
attive e sono coinvolte totalmente nella vita del clan, basti pensare a
Teresa De Luca Bossi che è stata condannata o Carmela, Marianna ed
Erminia Giuliano, rispettivamente moglie, figlia e sorella di Luigi
101
Degli esempi significativi sono “Donna Germana”, moglie del contrabbandiere di Forcella, Pio
Vittorio e madre del futuro boss Luigi Giuliano e Fortuna, moglie di Vincenzo l’Americano
102
De Gregorio S., I Nemici di Cutolo, Tullio Pironti, Napoli 1989, p.89
58
Giuliano103. Con l’arresto di molti boss, si crea un vuoto che viene
colmato dalle donne più intelligenti che non si limitano più, quindi,a
difendere solamente i propri uomini.
59
autoritariamente le relazioni parentali appare come prerequisito per
essere riconosciuto e apprezzato come “uomo d’onore”.
104
Presso le culture mediterranee, la conservazione dell’onore corrispondeva principalmente alla
conservazione della verginità delle donne, ovvero il mantenimento di una monogamia esclusiva.
Quando l’onore viene “macchiato”, è in primis la reputazione del nome di un uomo che viene
guastata.
105
Longrigg, op. cit., p.17
106
Pezzino P., Per una critica dell’onore mafioso, in Fiume G., Onore e storia nelle società
mediterranee, La Luna, Palermo 1989
60
forse anche per tutta la vita, inconsapevoli di essere state private della
possibilità di scegliere, di conoscere una vita diversa, libera, fatta di
opinioni e volontà personali. Se accade che se ne rendano conto,
probabilmente è sempre tardi.
Nella maggior parte dei casi, succede però, che queste donne
diventano una specie di angeli custodi, “muti e sordi” al servizio di
diavoli che sanno cosa succede quando l’onore viene per qualsiasi
motivo compromesso. Sanno intimamente qual’è il sentimento che
assale la psiche di quell’uomo, che non è un uomo comune che si
affida al diritto, ma è un mafioso, con delle proprie leggi che lo
indirizzano verso la giustizia privata, la vendetta appunto.
61
creano di noi107. È una logica irrazionale, che estremizza un comune
sentimento, dandole un ruolo che va al di la di ogni ragionevolezza: è
una potente forma di controllo morale che l’individuo esercita su se
stesso, fa parte di quei processi di socializzazione che ha interiorizzato
sin dall’infanzia e si concretizza nella consapevolezza di un
mutamento dell’immagine sociale conosciuta fino a quel momento,
caratterizzato da un’involuzione dovuta al venir meno della pregnanza
di quelle regole morali e comportamentali ritenute componenti
essenziali nella vita privata di un mafioso.
107
Aristotele, Retorica, in
108
Siebert, Le donne, la mafia, op. cit.
62
Quello che viene meno nella relazione di coppia è la
soggettività della donna, annullata dal marito che diventa l’unico, che
si arroga il “diritto” di rappresentarla: il risultato è che diventano
soltanto ombre, disposte all’abnegazione.
109
Ciconte, op. cit., p.57
63
numero di assoluzioni e di conseguenza di impunità al quanto
discutibili”110.
110
Longricc, op. cit., p. 13
64
I principi traviati e riformulati, di aspetti comportamentali
naturali della famiglia come istituzione domestica, negli uomini di
mafia, prendono il sopravvento e vengono riprodotti nel proprio
nucleo familiare in maniera imperativa e coercitiva.
65
diventa motivo di vanto, nonché di soddisfazione, derivata dalla
certezza che la sua donna abbia conosciuto sessualmente solo lui.
Aborigeni australiani; i Masai dell’Africa equatoriale; i Sakai della Malanesia; i Batta di Sumatra
66
sangue provato da questi popoli, che lo consideravano come la sede
della vita, nonché collegato al divieto di uccidere, di contenere quella
primitiva sete di sangue presente nell’uomo.
67
d’onore, e poi l’onorabilità delle sue donne? Quali sono le “soluzioni
riparatorie” a cui ricorrono questi uomini d’onore? Come accennato
anticipatamente, non è possibile diventare uomini d’onore se non si
rispettano certi principi o si trasgrediscono le regole ed insidiare le
mogli degli affiliati, specie se detenuti, è considerato un errore
imperdonabile e comportava una pena esemplare. Nel caso in cui
l’uomo d’onore può farsi giustizia da solo, non chiederà aiuto a
nessuno, tanto meno agli affiliati, che si aspetteranno un
comportamento “consono”, da uomo d’onore in cui l’ideale virile
dell’autogiustizia viene fuori come unica soluzione atta a riparare al
disonorevole stato di “cornuto” sopraggiunto.
68
La moglie di un mafioso gode del prestigio di essere la moglie;
in privato spesso è costretta a subire in silenzio l’umiliazione dei suoi
tradimenti. L’amante è senz’altro simbolo di virilità e potere per il
mafioso, ma comportando un’inquietudine sentimentale, non idonea
all’uomo d’onore, tutto d’un pezzo, viene variamente giudicata dagli
affiliati. Tommaso Buscetta, ad esempio, nonostante la grande
importanza all’interno di Cosa Nostra, “è stato “posato”(sospeso
dall’organizzazione) perché aveva una vita sentimentale agitata”113.
CAPITOLO TERZO
113
Falcone G. – Padovani M., Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991
69
Questa terra è come una delle
tante sue bambine bellissime
nei vicoli dei suoi paesi,
bellissime spesso sotto le
croste, i capelli scarmigliati,
nei cenci sbrindellati: e già si
intravede come, crescendo lei
bene, tra anni quel volto
potrebbe essere intelligente,
nobilmente vivo; ma pure si
intravede come in altre
condizioni potrebbe
rinchiudersi patito e quasi
incattivito.
Danilo Dolci114
114
Dolci D., Spreco
70
Le donne sono escluse dalla “onorata società” anche se
assumono sempre più di frequente il ruolo criminale accanto a quello
tradizionale, che le ha coinvolge maggiormente nell’organizzazione
criminale. Tale coinvolgimento avviene in seguito a due processi di
mutamenti, uno esterno che riguarda i profondi cambiamenti che
hanno investito la condizione delle donne negli ultimi trent’anni ed un
altro interno riguardante i cambiamenti della struttura organizzativa
dei consorzi mafiosi che a partire dagli anni Settanta, con
l’allargamento delle attività criminali in termini qualitativi,
quantitativi e geografici, li ha costretti a ricercare più personale per
gestire i propri traffici. È stata soprattutto la crescita del narcotraffico
e la necessità di riciclarne i profitti che ha richiesto l’impiego di
individui che non possedevano i requisiti anche se erano inseriti nel
contesto dell’organizzazioni, come ad esempio le donne. A tal
proposito lo storico Salvatore Lupo, riprendendo la distinzione tra
power syndicate ed enterprise syndicate del criminologo Alan
Block115 ritiene che:
71
che ora gestisce il commercio dei tabacchi e degli
stupefacenti »116.
72
anche, il ruolo subalterno di corriere e nell’intervista a Marina Pino
dice:
119
Ibidem, p.79
73
cresciuta dal padre come un uomo e che le caratteristiche maschili che
aveva assunto, suscitavano stupore120.
74
altro e non era giusto, la mafia si metteva in mezzo e
sistemava la questione con buona pace di tutti.
122
Ivi, p. 80
123
In realtà si chiama Antonietta ed era una maestra a Corleone
124
Bolzoni A.-D’Avanzo G., Il capo dei capi. Vita e carriera criminale di Totò Riina, Mondadori,
Milano 1993, pp.30-31
75
«Io mafiosa? Sono una donna innamorata. “L’amore
non guarda a certe cose… Io ho scelto di amare Totò
Riina” […[ Mi sposerò in chiesa: non voglio fare come
la Lucia di Alessandro Manzoni»125.
76
consentendo le comunicazioni e lo scambio di notizie afferenti la
gestione di attività illecite da parte del sodalizi mafioso”127.
127
Procura della Repubblica di Palermo, D.D.A., Richiesta di misure di custodia cautelare in
carcere a carico di Lipari Cinzia + 29, Procedimento penale n.3157/98, 24 gennaio 2002
128
Ivi
77
attività forense, nonché del suo ruolo di difensore del
genitore detenuto, ha finito per offrire un contributo
impareggiabile all’attività illecita del padre»129.
129
In Ingrascì, Donne d’onore, op. cit., p.77
130
Ivi, pp.79-80
78
armi. Cintorino viene arrestato nel 1993 insieme a molti suoi affiliati e
la moglie entra subito in gioco, fungendo dapprima da messaggera tra
il carcere e il mondo esterno e poi sostituendosi al marito nelle
funzioni dirigenziali della cosca.
131
Corte di Assise di Catania, sentenza nei confronti di Cintorino + altri, 13 luglio 1997
79
Maria:« Ma neanche lo sanno dove lo devono trovare
[…], perciò tu lo sai cosa dovresti fare, ci dici si
mettono in contatto con Saro… Tu dici perché tua
commare vuole la carta così, perché tu sai che a fine
mese ci sono un sacco di soldi da raccogliere e così li
raccogli, perché Nino [il marito], come già tu
sicuramente saprai, ci è arrivato un altro mandato di
cattura, perciò deve andare a prendere altri due
avvocati e tutte cose e i soldi ci servono, questo e uno,
e ci domandi a lui che intenzione ha di fare e in più
voglio mandate le pistole se ce li ha. Poi ci dici per il
fatto della carta, ci dici ha detto Maria Pina, tua
commare, la carta se la prende e ce la mandi a le, così
recuperiamo i soldi a fine mese, perché i sodi ci
servono».
80
riconoscimento alla Messina in luogo del marito
detenuto, del ruolo di capo (“siamo alle dirette
dipendenze di lei, perciò dobbiamo fare quello che dice
lei» e con investitura di Intelisano Gaetano del ruolo di
responsabile in luogo di Lizzio Rosario, tratto in
arresto (“il responsabile lo fa Gaetano, giustamente
quello che mi manda a dire mio marito si fa … mi ha
detto non voglio che succedano discussioni, come lo so
che succedono discussioni sono cazzi vostri»134.
134
Corte di Assise di Catania, sentenza nei confronti di Cintorino + altri, 13 luglio 1997
81
da una iniziale attività costituita dall’invio e scambio
di importanti messaggi (in relazione ai quali la donna
appare comunque ben consapevole sia del ruolo
rivestito dai suoi famigliari all’interno del contesto
mafioso, ma anche del significato che tali messaggi
avevano per la detta organizzazione), a un momento
successivo in cui, anche per l’arresto del fratello Vito
[…] [la donna prevedeva] anche iniziative personali
nella decisione e organizzazione di gravi fatti di
sangue, non andati in porto solo per eventi esterni alla
volontà degli imputati»135.
82
le prime donne manager nascondono i propri tratti femminili ed
imitano il comportamento maschile138. Ciò accade anche nella realtà
mafiosa, basti pensare a Giusy Vitale che nel momento in cui si
sostituisce ai fratelli, tende a negare la propria femminilità assumendo
dei tratti tipicamente maschili, che invece recupererà quando sarà
arrestata. Da questo momento si interessa al proprio aspetto estetico, si
prende cura di se stessa per riappropriarsi del carattere femminile che
aveva dovuto precludere per appropriarsi del comando139. In questo
senso, si colloca anche la sua decisione di collaborare, oltre che per
motivi sentimentali, nel suo percorso verso la ricostruzione della sua
identità femminile.
138
Schein V.E., The relationship between sex role stereotypes and requisite management
characteristics, in Applied Psychology, 57, 1973
139
Intervista alla dottoressa Annamaria Picozzi della Procura della Repubblica di Palermo, 5 luglio
2001
83
ad una sola chiave di lettura in quanto vi sono molte diversità di
comportamento delle donne nei confronti del pentitismo140.
Vi sono infatti dei casi in cui le donne hanno spinto i loro congiunti
a collaborare con la giustizia come la moglie di Antonio Calderone o
hanno accettato tranquillamente la loro decisione di collaborare non
allontanandosi come le mogli di Gaspare Mutolo e Leonardo Messina.
Vi sono state però anche delle donne che hanno tentato con tutti i
mezzi di dissuadere i loro famigliari, altre che sono state uccise perché
parenti di un pentito e donne che hanno preso platealmente le distanze
dai pentiti ed hanno accusato i magistrati e le forze dell’ordine di
averli indotti “al tradimento” e li hanno rinnegati. Esse fanno sempre
parte di famiglie mafiose, come ad esempio Ninetta Bagarella.
Non si deve però dimenticare che ci sono state delle donne che
sono state testimoni o vittime di attività mafiose delle loro famiglie,
che hanno collaborato con la giustizia come ad esempio Serafina
Battaglia, Giacoma Filippello e Patrizia Beltrame141.
140
Puglisi A. – Santino U., Donne e pentitismo, in Puglisi A., Donne, Mafia e Antimafia, editore
DG, Trapani 2005, p.49
141
Ivi, pp.40-50
84
«Scrivo affinchè possa cancellate qualsiasi ombra di colpa
dalla memoria del mio povero marito e inoltre possa
definitivamente rendere nota l’estraneità, in tutti i sensi,
della mia famiglia da colui che tutti i giornali hanno definito
“il boss dei due mondi”. Intendo dire per quanto mi
riguarda, così come era stato annullato da moltissimo tempo
ogni rapporto di qualsiasi natura, consono che “l’olocausto
di mio marito”, così come lui stesso lo ha definito, è stata
una vendetta che andava fatta esclusivamente contro di lui,
che si è mal comportato e continua forse a mal comportarsi
[…] Abbiamo cominciato a vivere nella paura già quando
questo signore si è messo a parlare. Da quando hanno
ammazzato mio marito nelle nostre case non si vive più […]
Io non mi voglio più chiamare Buscetta»142.
142
Da Giornale di Sicilia, 3 gennaio 1985 anche in Cascio A.-Puglisi A. (a cura di), Con e contro.
Le donne nell’organizzazione mafiosa e nella lotta contro la mafia, dossier del Centro Impastato,
Palermo 1986, p.57
85
«Noi non abbiamo mai avuto niente, mia figlia Liliana
e Giuseppina non hanno mai avuto niente. Hanno tutti
problemi di lavoro i miei figli. Alla televisione abbiamo
sentito che ai familiari delle vittime di mafia gli danno
lavoro e protezione ma a noi non hanno dato
niente»143.
143
Puglisi – Santino, op. cit., p.51
144
In Giornale di Sicilia, 9 luglio 1993
86
in seguito avrebbe dato segni di squilibrio. Mi ha
buttata in galera, pur essendo innocente»145.
145
In L’Ora, 14 novembre 1984 e in Cascio -Puglisi, Con e contro, op. cit., p.110
87
che solo questi giudici che non capiscono niente di
legge e di vita possono sostenere»146.
88
dire, esplodono le donne urlando che:«Non è un pentito. Riportatelo
nella sua cella all’Ucciardone. Nessuno lo ammazzerà, non gli
torceranno un capello». Le donne vengono allontanate dall’aula e
dichiarano ai giornalisti che «c’è un commercio degli innocenti» e la
moglie Caterina afferma che il marito le ha confidato « che gli hanno
fatto firmare certe carte senza sapere cosa stesse firmando. Mi
vogliono fare partire, ma io non voglio, mi ha confidato in un
orecchio».
147
In Giornale di Sicilia, 18 marzo 1987
148
Puglisi – Santino, op. cit., p.54
89
Buffa di essere rimesso in gabbia con gli altri imputati e di tornare
all’Ucciardone in quanto non intendeva più collaborare e la moglie
Caterina urla, rivolta la giudice:«Lei ce l’ha con me. Mio marito non è
un pentito, ma io non riesco ad ottenere un colloquio con lui». Viene
allontanata dall’aula ma i familiari continuano a tenere la scena in
quanto Giovanni Lombardo, cognato di Vincenzo Buffa (marito di
Carmela), si fa accompagnare in aula in barella a causa dello sciopero
della fame che ha iniziato da giorni e fa interrompere il dibattimento
perché afferma di sentirsi male. Ma un fonogramma dei medici del
carcere informa però delle sue buone condizioni fisiche e il
dibattimento riprende. Vincenzo Buffa sarà condannato a 15 anni di
reclusione, confermati poi in appello; il fratello Francesco a 6 anni che
saranno ridotti in appello a 2 anni e 8 mesi; Gaspare e Matteo La
Mantia e Giovanni Lombardo saranno assolti e Carmelo Zanca a 18
anni che saranno ridotti a 13 in appello.
149
In Giornale di Sicilia, 8 febbraio 1992
90
« Alcune donne, purtroppo non rare, non si sono
ancora schierate con la cultura della vita. Penso alla
moglie di Vincenzo Buffa, che aveva cominciato a
collaborare con me. Ho commesso l’errore di
permettergli di parlare con lei, come egli chiedeva
insistentemente. E lei l’ha convinto a ritrattare, a
rimangiarsi le sue dichiarazioni. Ha perfino
organizzato una specie di rivolta delle mogli nell’aula
bunker del maxiprocesso a Palermo: piangevano,
urlavano, protestavano a gran voce non contro quel
Buffa che voleva infrangere l’omertà, ma contro i
giudici che lo avevano “costretto” a comportarsi a
quel modo»150.
150
Falcone – Padovani, op. cit., p. 85
151
Gambetta D., in L’Unità, 9 luglio 1995
91
che si sono pentiti». Non bisogna dimenticare, infatti, che la mafia è
un’organizzazione militare ed è, pertanto, «una cultura con radici
profonde e con i suoi codici di comportamenti rispettati e
condivisi»152.
152
Dalla Chiesa S., Non è solo paura, in L’Unità, 30 giugno 1995
153
Fava C., Quegli insulti sono solo la recita di una sicilianità senza redenzione, in L’Unità, 28
giugno 1995
92
Tuttavia, non è chiaro se le donne recitino e siano manovrate,
come sempre, dai loro uomini, ma ciò che risulta lampante, secondo
altri, è che esse sono vittime di una cultura separata in cui non sono
libere. In realtà nessuna persona è libera all’interno della mafia e
parlare non è sicuro, può far correre dei grossi rischi a chi lo fa154.
154
Magli I., in Giornale di Sicilia, 30 giugno 1995
93
impensabile la possibilità di abbandonarla, di abbandonare tutto ciò
che la vita mafiosa garantisce loro”155.
94
giudiziario. questa impunità rimanda alla non punibilità del
favoreggiamento dei famigliari ai sensi dell’art.384 del Codice penale
che dispone nei casi di favoreggiamento “che non è punibile chi ha
commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare
sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile
nocumento nella libertà o nell’onore”.
CAPITOLO QUARTO
LE DONNE CONTRO LA MAFIA
95
Le donne che si schierano contro la mafia sono molto diverse
fra loro, hanno dei particolari vissuti personali che le rendono uniche
in quanto presentano delle diverse estrazioni ed istruzioni e non tutte
vengono da situazioni di particolare degrado e povertà.
Le origini della loro presenza nella lotta contro la mafia
risalgono al grande movimento antimafia con protagonista i Fasci
Siciliani del 1892 - 1894 fino alle lotte degli anni Quaranta e
Cinquanta dove le donne hanno assunto una posizione di rilievo.
Le donne si mostrano al mondo esterno anche grazie al
fenomeno del pentitismo che ha permesso di loro di mostrare che la
mafia può essere combattuta; di fronte ai congiunti pentiti le donne si
sono divise in quelle che condividevano la vita blindata dei loro cari
ed in quelle che, come abbiamo già detto, ne hanno preso
dichiaratamente le distanze. Per quanto riguarda, invece, le donne
collaboratrici di giustizia, esse non sono state guidate sempre da un
vero e proprio pentimento ma sono state spinte in seguito ad
accadimenti drammatici come la morte violenta di un congiunto. Ci
sono, state però anche delle donne che con coraggio hanno deciso di
rompere con la famiglia mafiosa perchè non ne condividevano più (o
non avevano mai condivido) lo stile di vita156. A tal proposito Puglisi
afferma infatti che:
156
Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, Appunti sulla ricerca “Donne e
mafia”, Relazione di A. Puglisi e U. Santino, Palermo 1996
96
nel senso che la loro collaborazione riguarda anche le
loro attività illecite. La maggior parte delle donne
collaboratrici di giustizia sono vedove, orfane, madri a
cui hanno ucciso i figli, che solo dopo un avvenimento
traumatico con la morte violenta di un loro congiunto,
passano dal lutto privato alla testimonianza pubblica;
donne, quindi, per le quali il lutto è stato il passaggio
necessario che le ha portate a ribellarsi, almeno
parzialmente, alla mafia di cui prima avevano accettato
regole, potere e ricchezza.
Ma ce ne sono alcune che hanno trovato il coraggio di
rompere con i loro parenti mafiosi non necessariamente
in conseguenza di un lutto o di un provvedimento
giudiziario»157.
157
Puglisi A.-Santino U., relazione al seminario «Donne, cittadinanza e criminalità», Università
degli studi di Pisa, Dipartimento di Scienze sociali, 10 dicembre 1996
97
matriarcale dove la sposa, senza mai venire informata di
alcunché, sapeva tutto, ma stava zitta – le donne, dicevo,
hanno assunto un ruolo determinante: decise e sicure di
sé, sono diventate il simbolo di quanto c’è di vitale,
gioioso e piacevole nell’esistenza; sono entrate in rotta di
collisione con il mondo chiuso, oscuro, tragico, ripiegato
su se stesso e sempre sul chi vive di Cosa Nostra. Alcune
donne purtroppo non rare, non si sono ancora schierate
con la cultura della vita»158.
98
strumento molto forte per combattere il movimento mafioso e la sua
ideologia di morte che cerca di imporre e che pretende di controllare il
passato, il presente e la memoria.
La lotta comune di donne contro la mafia permesso la
trasformazione del lutto privato in testimonianza pubblica ed esse
hanno elaborato delle forme di resistenza civile e di denuncia,
contestualmente al desiderio di dare un diverso significato alle loro
vite159.
99
subito, le amicizie del marito non ha la forza di lasciarlo:”Avrei
dovuto lasciarlo, prendere i miei figli e andare via. Ma chi mi aiutava
a quei tempi. Ora, che la mentalità è cambiata, forse avrei avuto
coraggio di farlo”161.
A suo modo tenta di trovare un “compromesso domestico” tra
l'autorità del marito a cui non riesce a sottrarsi e che considera come
protezione per la vita del figlio, e l'amore proprio per il figlio. Ma
questo compromesso salta con la morte del figlio Peppino il 9 maggio
1978, giorno in cui decide di rompere con la famiglia mafiosa che la
invita a tacere ed aspettare la vendetta ed a schierarsi dalla parte del
figlio, denunciandone gli assassini.
Un altro esempio è la storia di Margerita Petralia, moglie di un
mafioso di Paceco, che si sposa molto giovane e che da subito detesta
il marito che si mostra violento. Si rende anche conto che lui è un
assassino e pur non avendo il coraggio di lasciarlo pe timore di essere
uccisa, scrive pagine di diario in cui denuncia tutti i suoi sospetti sul
marito e i suoi amici. Questo diario sarà utilizzato durante il processo,
quindici anni dopo, contro la mafia della zona e dove era imputato il
marito che nel frattempo aveva lasciato. Nel diario scrive:
161
Ibidem, p.36
100
capaci di ammazzarmi. Ma se mi dovesse succedere
qualcosa, o mi facessero scomparire, do il mio consenso a
leggere queste pagine perché vadano in mano ad un
giudice che non si faccia corrompere»162.
162
Da Giornale di Sicilia, 31 ottobre 1989
163
Arlacchi, Gli uomini del disonore, op. cit., pp.170-171
101
«Ed io aspettai che lo vendicassero. Ma non accadde
nulla. Anzi uno di loro osò fermarmi per la strada. Voleva
farmi le condoglianze, figurarsi... e nell'occasione mi
fa:”'Za Giacomina siete stata fortunata perché a voi vi
hanno lasciata in vita”. Io persi la testa. Gli urlai:”La
mia fortuna sarà la loro sfortuna. Diteglielo. Perchè
finchè avrò un filo di vita e coraggio, io farò di tutto per
spaccare il petto e per manigare il cuore degli assassini di
Natale. Volevo vendetta. Chiesi soddisfazione a chi
potevo»164.
164
Mazzocchi S., Quelle iene non mi fanno paura, in Il Venerd' di Repubblica, 23 aprile 1993
165
Rizza S., Una ragazza contro la mafia. Rita Atria, morte per solitudine, La Luna, Palermo
1993, p.76
102
Vi sono poi anche casi di donne che non si sono veramente
pentite ma che hanno deciso di collaborare per paura di perdere la
vita, come ad esempio Tiziana Augello, appartenente alla borghesia di
Caltanissetta che entrò nella cosca di Leonardo Messina166. Sostiene di
aver intrapreso l'attività criminosa perché orfana di madre e di avere
subito in famiglia incomprensione e solitudine ed afferma infatti
che:”Tutto questo poteva non succedere se avessi avuto una
madre...Una sola spiegazione ai miei fallimenti, una mamma”167.
Subito dopo la sua iscrizione all'Università di Messina contro il volere
del padre che non la finanzierà, inizia ad avere problemi con la
giustizia in quanto diventa dipendente dalla cocaina e viene coinvolta
in una rapina a mano armata. In carcere tenta il suicidio, atto che
ripeterà altre due volte, la terza da pentita a causa della solitudine e
della paura del futuro.
Ottenuta la libertà vigilata torva lavoro come intrattenitrice in
un giro di serate a Caltanissetta e solo dopo tre giorni di lavoro,
conosce Leonardo Messina, mafioso di San Cataldo, di cui diviene
l'amante. Entra nel giro della sua organizzazione e diventa anche una
corriera della droga ed è proprio il mondo dell’eroina che sta alla base
del suo pentimento in quanto lei vuol chiudere con questo mondo e
ritornare alla vita di prima. Alla base però vi è anche la paura di essere
uccisa ed in un'intervista afferma:
103
hanno cominciato a verbalizzare le mie confessioni […]
Ho svelato come si svolgeva il traffico di droga e go dato
ai carabinieri un numero di telefono segreto usato da
Leonardo Messina. Proprio grazie a questo numero di
telefono i carabinieri hanno potuto sventare un omicidio e
scoprire chi in realtà era Messina»168.
168
In Giornale di Sicilia, 8 gennaio 1993
169
Madeo, op. cit., p.218
104
Lei vive a Partanna, un centro collinare della valle del Belice, che in
seguito al terremoto del 1968 è teatro di una sfrenata speculazione
edilizia di cui beneficiano i clan mafiosi. Ne consegue una cruenta
guerra tra le famiglie rivali che causa decine di morti e quasi ogni
famiglia piange la perdita di un suo componente, ma non ci sono mai
testimoni.
La sua breve vita ruota attorno alle figure del padre e del
fratello maggiore che adora e con i quali, sia da vivi che da morti, ha
un forte legame, sostenuto dall’orgoglio di essere una Atria e dal
desiderio di vendicare la loro morte. La cognata Piera ricorda che nei
giorni successivi all’omicidio del suocero, Rita, che aveva solamente
undici anni, e il fratello si presero per mano e davanti alla tomba del
padre “silenziosamente giurarono vendetta”170. Sei anni dopo, in
seguito all’uccisione del fratello, per mantenere la promessa decise di
recarsi dai carabinieri per denunciarne i colpevoli.
170
Amenta M., Diario di una ragazza ribelle, Eurofilm e Mediterranea Film, Italia 1997
171
Cfr. Ministero dell’Interno, Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata per l’anno
1995, Tipografia del senato, Roma 1996
105
«Non aveva le caratteristiche di una donna di mafia
tradizionale, nel senso che lei voleva sapere, voleva
capire. Ci fornì una quantità di informazioni dettagliate
sulla mafia di Partanna. Non parlò per vendetta, non è il
tipo […] Aveva voglia di uscire; concepiva questa
collaborazione come una rinascita »172.
172
Longrigg, op. cit., p.273
106
bensì gesti, comportamenti e progetti concreti ed è per questo che la
sete di vendetta iniziale si ridimensiona, ma l’incontro con se stessa è
ancora lontano.
Rita si trasferisce a Roma con la cognata Piera, i rapporti con la
madre non sembrano migliorare e lei soffre per l’isolamento e la
nostalgia di casa. Ciò che non sopporta è la solitudine e soprattutto la
lenta presa di coscienza del fatto che suo fratello era solo un vile
spacciatore di eroina e il padre un delinquente. Nelle pagine del suo
diario si denota chiaramente questo forte senso di frustrazione:
Roma, 12 gennaio 1992 – Sono quasi le nove di sera, sono triste e demoralizzata
forse perché non riesco più a sognare, nei mie occhi vedo tanto buio e tanta
oscurità. Non mi preoccupa il fatto che dovrò morire ma che non riuscirà mai a
essere amata da nessuno. Non riuscirò mai a essere felice e a realizzare i miei
sogni. Vorrei tanto poter avere Nicola vicino a me, poter avere le sue carezze, ne
ho tanto bisogno, ma l’unica cosa che riesco a fare è piangere. Nessuno potrà
mai capire il vuoto che c’è dentro di me, quel vuoto incolmabile che tutti a poco a
poco hanno aumentato. Non ho più niente, non possiedo altro che briciole. Non
riesco a distinguere il bene dal male, tanto orami tutto è così cupo e squallido.
Credevo che il tempo potesse guarire tutte le ferite, invece no, il tempo le apre
sempre di più, fino a ucciderti lentamente. Quando finirà quest’incubo?173.
107
Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia
vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa che ho paura è che lo Stato mafioso
vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno
uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi,
dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel
giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi.
Borsellino sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta175.
175
Rizza, op. cit., p.128
176
In Giornale di Sicilia, 23 novembre 1992. Si riferisce alla nuora Piera Aiello
108
apposta senza mia autorizzazione dai genitori di Piera
Aiello. Io volevo soltanto sostituire quella foto. Non
c’entra nulla il fatto che Rita abbia collaborato con la
giustizia»177.
109
momento, sembrava essere solamente di coloro che, da dentro la
mafia, trovano il coraggio di separarsi.
In seguito alla sua testimonianza deve abbandonare la Calabria
insieme alla sua famiglia per andare a vivere sotto protezione in un
posto segreto dell’Italia settentrionale, costringendo i genitori ad
abbandonare la loro attività e lei a perdere il suo lavoro. Il primo
processo, dopo mesi di dibattimento è stato annullato per vizio di
forma ma nella sessione di prima istanza, ha riconosciuto gli imputati
colpevoli anche se in seconda istanza vengono assolti.
Subito dopo la sentenza di primo grado, il Presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro le ha conferito una medaglia al valore civile per
il suo coraggio.
Già nel primo processo la difesa tenta di screditarla, insinuando
che la sua decisione di testimoniare è mossa dalla vendetta di un
amore tradito e viene così trasformata, purtroppo, da accusatrice in
accusata. Tale visione rientra nel fenomeno del disconoscimento della
dimensione civile della donna che, anche se ha visto uccidere due
persone, non appare credibile la sua testimonianza.
Non solo, anche la comunità reagisce ostinatamente verso di lei,
con silenzio e imbarazzo e ad un certo punto anche le istituzioni
sembrano abbandonarla ma col passare del tempo la situazione
migliora ed il silenzio iniziale si allenta e gli assassini sono
nuovamente condannati.
Rispetto a Rita, Rosetta resiste anche se vive isolata, blindata, lontana
dalla sua città, dalla famiglia, dagli amici e dal lavoro ma la sua è stata
110
una scelta consapevole e conosceva le regole del gioco quando decide
di testimoniare.
Tuttavia, la giustizia le riserva un nuovo e duro colpo in quanto
in coincidenza con il decimo anniversario dell'assassinio del
sovrintendente e della moglie, i presunti assassini sono assolti e lei
viene accusata di falsa testimonianza.
111
La sua attività criminosa la conduce in carcere la prima volta il
24 giugno del 1998 con l'accusa di associazione mafiosa e viene
scarcerata il 25 dicembre del 2002. Nel marzo successivo rientra
nuovamente in carcere con l’accusa di essere il mandante
dell’omicidio dell’imprenditori Salvatore Riina ucciso il 20 giugno
1998, perché sospettato di essere un informatore di Bernardo
Provenzano.
Giusi cresce in un ambiente mafioso e viene allevata secondo i
canoni degli affiliati a Cosa nostra; si dedica completamente alla
“famiglia”: copre la latitanza del fratello maggiore Vito, detto
«fardazza» e dei suoi picciotti, gira paesi e città per recapitare
«bigliettini» con i messaggi da affidare ai boss, e porta nei covi dove
si nascondeva il fratello l'amante per rendere più lieve la sua latitanza.
Le indagini degli investigatori hanno rivelato che aveva due
amanti, dei quali uno viene arrestato ma la sua storia giudiziaria inizia
quando dei pentiti ne svelano il ruolo, e tra i suoi accusatori vi è
proprio una donna: Maria Fedele, moglie di Antonino Guarino,
picciotto della cosca di Partinico.
In seguito a queste rivelazioni decide di collaborare anche
perché non vuole far crescere i suoi figli in un ambiente intriso di
violenza ed infatti in più di un’occasione afferma di aver preso questa
decisione proprio per loro due179.
Subito dopo il primo arresto e la detenzione per quattro anni e
mezzo decide di pentirsi e nel suo libro scrive appunto che:
179
Vitale G., Ero cosa loro. L’amore di una madre può sconfiggere la mafia, Mondadori, Milano
2009, p.18
112
«Mentre ero detenuta mi portarono mio figlio in carcere.
Aveva quasi sei anni; mi chiese perché ero finita lì dentro
e poi:”Mamma che cosa è l'associazione mafiosa?”. Non
seppi rispondere. Lo presi in braccio, lo misi a sedere e
cercai di dire qualcosa…..che la mafia è una cosa
brutta….. e che quando fosse diventato grande glielo
avrei spiegato. Ma quella domanda mi fece riflettere
davvero sulla mia vita, sulle mie scelte che scelte non
erano mai state, e su cosa volevo per i miei figli. Per loro,
Francesco e Rita, ho rotto ogni legame col passato»180.
Nel suo racconto Giusy ben evidenza quanto fosse succube dei
suoi fratelli e in particolare di Leonardo, che oggi l’ha rinnegata e la
definita un “insetto velenoso”- e come l’ambiente della sua famiglia
fosse molto restrittivo. Afferma infatti che:« Per me la vita era quella
con i miei fratelli, per me era impossibile persino fare un confronto
con le mie coetanee, non sapevo assolutamente come si potesse vivere
in un altro modo».
Tutto ciò la costringe a vivere una vita diversa anche perché i
fratelli le impediscono perfino di frequentare le scuole superiori in
quanto doveva fare da collegamento con i parenti in carcere e doveva
eseguire i loro ordini.
Non era libera di muoversi e di decidere per la sua vita, afferma
infatti di aver imparato a essere libera solamente durante il periodo
della detenzione perché «[…] i miei pensieri erano miei, il mio tempo
era mio, io ero mia. E volevo solo vivere per me, ma soprattutto per i
miei figli. Non sarebbe stato facile, ma ero ancora giovane, avevo
180
Ivi, pp.18-19
113
trentatré anni e potevo ricominciare da capo. Sapevo anche che gli
altri, tutti gli altri, non l’avrebbero presa bene, dai miei famigliari al
mio presunto amante. E infatti così è stato»181.
Il fratello Leonardo la rinnega platealmente al punto che come
scrivono i giornali:
181
Ivi, p.166
182
Ivi, p.167
183
Ibidem
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