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di Redazione | 03/10/2023
L’allora procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco era entrato nel mirino del giudice Paolo
Borsellino che lo voleva arrestare. Le rivelazioni shock arrivano da Fabio Trizzino, l’avvocato della
famiglia del magistrato assassinato da Cosa nostra 31 anni fa. Le ha fatte, come trapela da
informazioni giornalistiche, in audizione alla commissione parlamentare antimafia. “Borsellino –
riporta il quotidiano ‘La Sicilia’ rispetto alla deposizione del legale – voleva arrestare o far arrestare
Giammanco”. Sarebbe stato convocato nel 1992, poco prima dell’attentato, in gran segreto un
incontro dallo stesso Borsellino con i vertici dell’Arma dei carabinieri, il colonnello del Ros Mario
Mori e il capitano De Donno.
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Il “nido di vipere”
Sta di fatto che il “nido di vipere” potrebbe aver favorito la morte di Paolo Borsellino e avrebbe
agito dall’interno degli uffici. Fabio Trizzino ha puntato il dito contro gli ambienti della Procura di
Palermo dell’epoca. Il legale pone sullo sfondo le vicende collegate all’ormai noto dossier “mafia
appalti” che sarebbe il movente della strage di via D’Amelio. Borsellino avrebbe definito il suo
ufficio un nido di vipere: “Allora – ha continuato l’avvocato di famiglia – dobbiamo andare a
cercare dentro l’ufficio della Procura di Palermo. Per vedere se allora si posero in atto condotte che
in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione. Indicazione come target
e obiettivo di Paolo Borsellino, che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto
gli omicidi eccellenti a Palermo”.
» Palermo » Cronaca
di Redazione | 27/09/2023
Il “nido di vipere” potrebbe aver favorito la morte di Paolo Borsellino e avrebbe agito dall’interno
degli uffici. Punta il dito contro gli ambienti della Procura di Palermo dell’epoca (1992) Fabio
Trizzino, l’avvocato della famiglia del magistrato assassinato dalla cosa nostra trentuno anni fa, in
audizione alla commissione parlamentare antimafia.
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Il legale pone sullo sfondo le vicende collegate all’ormai noto dossier “mafia appalti” che sarebbe il
movente della strage di via D’Amelio.
“In tutti questi anni nella testimonianza resa dalla vedova Agnese Piraino (moglie di Borsellino,
ndr), in cui il marito dice: ‘mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si
vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno
voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri’, è stato costantemente espunto il riferimento ai
‘miei colleghi’. Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in
cui si dice che Borsellino definisce il suo ufficio un nido di vipere allora dobbiamo andare a cercare
dentro l’ufficio della procura di Palermo, per vedere se allora si posero in atto condotte che in
qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e
obiettivo di Paolo Borsellino, che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli
omicidi eccellenti a Palermo”.
Per Trizzino “è quindi gioco forza andare a vedere se già nel 1992 vi erano elementi sulla cui base
ricostruire le dinamiche comportamentali che avevano potuto giustificare quella affermazione
incredibile. È un dolore incommensurabile avere scoperto che già dal luglio del 1992 esistevano dei
verbali e delle audizioni dei magistrati della procura di Palermo in cui vuoi per la vicinanza rispetto
alla strage o vuoi perché in quella procura vi era un malessere che covava da tempo, i magistrati di
allora furono sinceri e privi di qualunque freno inibitorio nel racconto delle dinamiche che, messe in
atto dal procuratore Giammanco, resero di fatto impossibile la vita di un magistrato valoroso come
Borsellino. La cosa gravissima è che il dottor Pietro Giammanco (all’epoca procuratore di Palermo,
ndr) non è mai stato sentito nell’ambito dei procedimenti per strage”.
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