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“Andreotti prescritto e santificato,

così hanno stravolto i fatti”: il libro


che racconta il processo del
secolo
di F. Q. | 18 Novembre 2022

Pubblichiamo la prefazione firmata da Gian Carlo Caselli al libro


L’imputato imperfetto di Paolo Intoccia, edito da Solferino
(collana Melampo). Dottorando in Studi sulla criminalità organizzata
presso la Statale di Milano, Intoccia è autore di un saggio che
racconta il processo a Giulio Andreotti. Caselli, come è noto, era
procuratore capo di Palermo quando venne celebrato il
procedimento al sette volte presidente del consiglio. Accusato di
associazione a delinquere di stampo mafioso, Andreotti venne
prescritto in Appello per aver commesso il reato fino alla primavera
del 1980, e assolto per il periodo successivo: sentenza poi
confermata dalla Cassazione. Il libro sarà presentato sabato 19
:
novembre alle ore 11 all’università degli Studi di Milano nella Sala
Napoleonica di Palazzo Greppi nell’ambito del Bookcity con Nando
Dalla Chiesa (che presenterà il suo volume Ostinati e contrari) e i
magistrati Alberto Nobili e Alessandra Cerreti.

***

Tutti gli imputati sono interessati – ovviamente – a vedere


riconosciute le proprie ragioni in sede processuale, ma ve ne sono
alcuni preoccupati allo stesso modo, se non più, di vedere soddisfatti
i propri interessi. Questi imputati richiedono ai loro difensori non
solo un impegno “tecnico” ma anche un aiuto per arginare ciò che
può colpire la loro immagine nell’opinione pubblica. Una
“committenza forte”, che contiene una richiesta di “aiuto” anche nei
rapporti con l’informazione; e nel contempo si accompagna
all’organizzazione di una agguerrita “strategia di appoggio” a opera
di quanti possano servire alla causa, soprattutto all’interno della
classe politica. In modo particolare se nelle aule di giustizia le cose
vanno storte.

Su tale versante, le vicende giudiziarie di Giulio Andreotti sono un


caso da manuale. Nel libro di Paolo Intoccia esse sono ricostruite con
scrupolo: chi vuol sapere la verità dispone ora di uno strumento agile
e prezioso, in quanto accessibile a tutti, anche ai non “addetti ai
lavori”. In questa introduzione voglio ricordare una cosa soltanto: c’è
una sentenza della Corte di Cassazione che conferma in via
definitiva quella della Corte d’Appello di Palermo, nella quale si
dichiara l’imputato, senatore Andreotti Giulio, responsabile del
delitto di associazione per delinquere con Cosa Nostra per averlo
commesso (commesso!) fino al 1980.

Ebbene, a dimostrazione della “committenza forte” di cui ho appena


detto si staglia innanzitutto l’incredibile show di Giulia Bongiorno,
:
difensore di Andreotti: in pubblica udienza il presidente della Corte
d’Appello di Palermo legge il verdetto (dieci righe di dispositivo);
l’avvocato Bongiorno lo ascolta insieme a tutti i presenti; perciò
ascolta anche le univoche parole, “reato commesso fino al 1980“,
che il verdetto contiene; e tuttavia, in mezzo a una folla di microfoni e
telecamere, raggiante di felicità, urla a piena gola in un telefonino
(collegato con il suo cliente) tre parole: “Assolto! Assolto!
Assolto!”; dimenticando, con spregiudicata disinvoltura, le parole
univoche – “reato commesso fino al 1980” – appena sentite
pronunciare.

Ecco che la verità del processo Andreotti comincia a essere


sapientemente esorcizzata, stravolta, cancellata; persino nelle
riviste giuridiche, dove si pubblica di tutto e di più: in esse, con
pochissime eccezioni (di quelle che si contano sulle dita di una
mano), non vi è traccia delle sentenze del “caso Andreotti”.

I fatti, meticolosamente elencati e provati per pagine e pagine di


motivazione nelle sentenze d’Appello e di Cassazione, sono
sconvolgenti perché riguardano, tra l’altro, il “contubernio” fra mafia
e politica. Sarebbe stato lecito – come minimo – attendersi
riflessioni, dibattiti, confronti, analisi. Sarebbe stato opportuno
chiedersi cosa mai sia successo davvero in quella stagione. Su che
cosa si sia basato – almeno in parte – il meccanismo del consenso
nel nostro Paese.

Niente di tutto questo. Si è cercato soltanto di stravolgere i fatti; e a


farlo è stata una folla di personalità diverse (sia pure con lodevoli
eccezioni): leader politici, illustri opinion makers, finanche vertici
istituzionali. E’ stata una corsa – divulgata a ogni passaggio – alle
pubbliche e stucchevoli congratulazioni o attestazioni di stima. La
macchina della “strategia di appoggio” ha funzionato alla grande.
:
Tra i politici, il massimo dell’impudenza lo ha raggiunto il presidente
della Commissione parlamentare Antimafia Roberto Centaro che,
all’indomani della sentenza della Corte d’Appello, ha dichiarato
pubblicamente che il “tentativo di condanna, o di attribuzione di
mafiosità” ad Andreotti è stato “malamente sbugiardato [corsivo
mio] dalle pronunce giurisdizionali”. La verità fatta a brandelli, come
se Centaro vivesse in un altro mondo e avesse visto un altro
processo.

Ma in dissidio coi fatti sono intervenuti altri importanti protagonisti


della politica italiana: da Francesco Cossiga, presidente emerito
della Repubblica, al presidente del Senato Marcello Pera, al
presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, fino a Clemente
Mastella, ministro delle Giustizia, secondo cui “invece di parlare del
processo, ad Andreotti bisognerebbe fare un monumento”. E la
sinistra non è stata da meno. Una forza politica che ha sempre fatto
della “questione morale” un punto (apparentemente) fondante, non
dico che della vicenda dovesse farne una bandiera, ma quanto meno
discuterne. Invece l’ha a dir poco rimossa.

In ogni caso Mastella è stato ampiamente soddisfatto. Alla vicenda


processuale è seguito un incontrastato processo di santificazione
mediatica di un senatore a vita (sette volte presidente del
Consiglio!) colluso con la mafia fino al 1980 ma fatto allegramente
passare per un perseguitato, vittima di un complotto, di una
montatura politica, di una persecuzione decennale, di un doloroso
calvario che ha dovuto faticosamente percorrere. Il tutto sotto la
sapiente e sottile tessitura dello stesso Andreotti. Esaminare al
rallentatore la sua regia processuale ed extraprocessuale è persino
suggestivo.

Ha cercato ed è riuscito – certamente grazie alla connivenza di


molta politica e di molta informazione – a far passare in secondo
:
piano i gravi fatti evidenziati dal processo, fino a cancellarli. Ha
esibito sè stesso in mille circostanze, su un’infinità di media,
cerimonie e manifestazioni, così rivitalizzando il profilo di un grande
statista di prestigio internazionale, apprezzato da molti (Vaticano in
primis). Fino a sfiorare la nomina alla presidenza del Senato
(2006), per poi essere designato a rappresentare l’Italia ai funerali di
Boris Eltsin (2007). Senza disdegnare, nel contempo, incursioni da
star nel dorato mondo della pubblicità, non solo facendo il
testimonial della famiglia per la Chiesa cattolica, ma addirittura
prestandosi, al fianco di una procace attrice, a promuovere una
marca di cellulari.

Il risultato è stato una sorta di dilagante giudizio parallelo, nel quale


il senatore ha cercato – riuscendoci – di offrire di sé un’immagine di
alto profilo incompatibile con le bassezze processuali rimestate da
piccoli giudici. Anzi – verrebbe da dire – dentro le quali grufolavano
piccoli giudici. Una strategia che ha pagato perché ha trovato una
miriade di sponde che hanno stravolto la verità, massacrando la
logica e il buon senso.

Con una conseguenza e una constatazione. La prima è che parlare di


assoluzione, anche a fronte delle gravissime responsabilità provate
fino al 1980, non è solo uno strafalcione tecnico. Significa in realtà
legittimare (per il passato, ma pure per il presente e per il futuro) una
politica che contempla anche rapporti organici col malaffare, persino
mafioso. Per poi stracciarsi le vesti se non si riesce – oibò! – a
sconfiggere la mafia. La constatazione è che la “falsificazione”
dell’esito del processo è funzionale alla delegittimazione non solo
della Procura di Palermo, che il sottoscritto ha chiesto di dirigere
dopo le stragi del 1992, ma anche di coloro che ancora continuano
a considerare doverose le indagini nei confronti di tutti, anche se
potenti e protetti.
:
Sta di fatto, comunque, che la maggioranza dei cittadini italiani, in
nome dei quali le sentenze vengono pronunziate, crede ancora oggi
che Andreotti sia stato “assolto“. Il popolo in sostanza è stato
truffato: benvenuto dunque il libro di Paolo Intoccia, perché fornisce
– a chi lo voglia – ampio materiale di riflessione, al di là delle
interessate fake news. Merita davvero di essere letto.
:

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