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DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE

di Adelaide Aglietta

Prefazione di Leonardo Sciascia

Prefazione di Leonardo Sciascia "Nelle prime pagine di questo diario, Adelaide Aglietta ricorda quel mio breve articolo, "per cui tanto reo tempo si volse", in cui esprimevo un'opinione relativamente all'essere giurato in un processo come quello che all'Assise di Torino stava per cominciare contro Curcio e altri delle Brigate Rosse. Opinione che continuo a sostenere come abbastanza sensata e per nulla eversiva, se affermavo che per rispetto e dovere verso me stesso avrei accettato di fare il giurato in un processo di quel tipo: e anzi forzando la mia innata e assoluta ripugnanza a giudicare i miei simili (e mai la parola "simili" ha senso cos totale come quando si parla di peccati e di colpe). E ancora non riesco a capire perch tanto scandalo, perch tanta polemica, se di un dovere verso una astrazione ed astratto io facevo un dovere concreto e inamovibile; e con gli stessi effetti. Ad una opinione uguale - o quasi - erano arrivati i radicali dopo il dibattito interno lungo ed intenso: ma era una opinione non vincolante per ciascuno di loro. Ed ecco che, nel sorteggio per i giurati al processo di Torino, appunto vien fuori il nome di Adelaide Aglietta. E non so come il sorteggio dei giurati avvenga: se si imbussolano dei nomi; se si estraggono, come alla tombola, numeri che corrispondono ai nomi dei probi cittadini che hanno i requisiti per giudicare i loro simili (requisiti che non riguardano, si capisce, la vera e profonda vita morale di ognuno); fatto sta che era proprio un bel caso di venir fuori del nome di Adelaide Aglietta. Ancora pi bello sarebbe stato il caso se avesse rifiutato. Ma ha accettato: e certo non senza esitazione, non senza disagio, non senza pena. Per un dovere verso se stessa, per il dovere di non aver paura proprio quando la si ha: alla paura del giudicare aggiungendosi, nella circostanza, quella della propria vita minacciata, in pericolo (e minacciata concretamente, come da esempi che quasi quotidianamente se ne avevano). Dalla sua esperienza venuto questo diario: discreto, senza declamazioni, per quel che riguarda i suoi stati d'animo, le sue apprensioni: che diventano quasi marginali rispetto al resoconto del processo - un resoconto tra i pi oggettivi, forse il pi oggettivo, che se ne abbia. Perch, bisogna dirlo, non molto oggettivi sono stati i resoconti che ogni giorno ne davano i giornali: approssimativi, anzi, e divaganti. E si consideri, per esempio, l'episodio misteriosissimo della lettera di cui parla al processo nell'udienza del 18 aprile: quale groviglio da affrontare e da sciogliere sarebbe stato per un giornalismo avvertito, vigile e per come richiesto dalla situazione italiana - preoccupato; e come invece stato sorvolato senza alcuna attenzione e senza nemmeno riuscire a dare un netto ragguaglio dei dati di fatto. Ve aggiunto che al di l del momento, al di l della particolarit del processo, al di l della singolarit in cui Adelaide Aglietta si trova ad affrontare il suo ruolo di giudice - come divisa tra la" disobbedienza civile "professata in quanto radicale e l'obbedienza alla dignit personale - questo diario una delle poche, delle pochissime testimonianze dirette, nate da una diretta esperienza, che siano state pubblicate in Italia sull'amministrazione della giustizia. Ne ricordo soltanto un altro, anzi:" Il diario di un giudice "di Dante Troisi. Dopo essere stato giurato in Corte d'assise, Andr Gide scrisse un libro di ricordi e prese a dirigere una collana che s'intitolava" Non giudicate. "Purtroppo, nella situazione italiana, non ci permesso di non giudicare: come questo caso dimostra. Non permesso, cio, nemmeno a coloro che per principio non vorrebbero. Solo che, giudicando, bisogna anche giudicare i giudici e se stessi giudici: come mi pare Adelaide Aglietta abbia fatto".

1. IL CORAGGIO DELLA PAURA Dalla dichiarazione di Adelaide Aglietta, allora segretaria nazionale del Partito radicale, resa in data 4 marzo 1978 "...Sono stata sorteggiata - almeno cos pare - come giurata al processo di Torino. Penso che sia la prima volta che il massimo esponente di un partito si trovi di fronte a questa evenienza, non solamente nella nostra storia nazionale. [...] Non ho quindi avuto esitazioni nel comprendere quel che dovevo fare. Come tutti, come donna, come madre, ho avuto e potr avere momenti di dubbio e di paura per me, per le mie figlie, per i miei compagni, per gli altri. Penso che il coraggio consista nel superare la paura, non nel non provarla. Penso che il coraggio della paura sia meritevole e doveroso dinanzi alla morte che una societ sempre pi basata sull'equilibrio instabile del terrore militare e nucleare prepara e impone: come dinanzi ad ogni morte. Anche per questo per noi e per me la vita sacra, a cominciare da quella degli altri, cos come la libert e la giustizia. [...] Intendo dunque, da questo momento, comportarmi come possibile giurata del processo di Torino. Non intendo quindi esprimere opinioni in merito; anzi, per l'esattezza, se non ho avute, non ne ho pi. Ho radicato in me il dovere costituzionale e morale di presumere le non colpevolezza degli imputati, di contribuire ad assicurare loro la pi piena possibilit di difesa, di ricercare processualmente la verit e, in coscienza, di giudicare. Mi sia consentito di rivolgere a tutti un appello contro la paura, contro la violenza, contro la rassegnazione a vivere la violenza assassina sia essa quella del potere o di chiunque altro. Rifiuto di ritenere in pericolo la mia vita e quella di chiunque altro per il solo fatto che si compia un dovere di coscienza.

2. UNA CITT ASSEDIATA Gioved 19 gennaio, di prima mattina, arrivo alla stazione di Torino. Ero partita da Roma alle undici di sera, ma le nove ore di viaggio non sono riuscite a farmi dormire, a distogliermi dallo stato di rabbia, a tratti di disperazione nel quale mi aveva gettata la frase, secca e imperturbabile, pronunciata al telegiornale della sera: "La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili quattro degli otto referendum richiesti dai radicali e sottoscritti da settecentomila cittadini. Si tratta dei referendum sul concordato fra Stato e Chiesa, sui reati di opinione e sindacali del codice Rocco, su codici e tribunali militari". Dunque, era stato tutto inutile? In viaggio non facevo altro che pensare e ripensare a questo. Mi si paravano davanti i ricordi dell'ultimo anno, uno dietro l'altro: i comizi per il lancio della raccolta delle firme, le decine di tavoli per le strade, le notti passate con tantissimi compagni a verificare e riverificare che tutto fosse in ordine, corretto, a posto. E poi, ancora, le donne e i vecchi. Erano quelli che pi mi avevano colpito: si avvicinavano, nelle manifestazioni e ai tavoli, e ti davano le cinquemila o le diecimila lire. Sapevano gi tutto, pronti a discutere, ad aderire. Dovunque l'entusiasmo era stato grande. Finalmente, dopo trent'anni, le leggi di Mussolini, di Rocco, le leggi clericali, militariste, venivano messe in discussione. La speranza era pi grande dell'entusiasmo: si poteva prospettare una primavera di lotta, un grande movimento della sinistra, unita nel comune intento di abbattere i pilastri legislativi fascisti dello Stato, imporre alla DC una vittoria laica sull'aborto, spazzare leggi borboniche, sconfiggere una logica di governo corrotta e corruttrice. Poteva essere un 12 maggio 1974 moltiplicato per otto, con la candidatura della sinistra a forza di governo alternativa; una sinistra unita nel rispetto delle diversit delle sue componenti e nel riconoscimento della Costituzione repubblicana come punto di riferimento obbligato. Ma gi dopo poche settimane il clima era cambiato: comunisti e socialisti avevano mostrato ben altre intenzioni, avallando il tentativo del governo di massacrare quanto meno i principali referendum (per gli altri avrebbe poi provveduto il Parlamento) attraverso pressioni sulla Corte di cassazione prima e su quella costituzionale poi. Nel mio non-sonno gravavano soprattutto gli ultimi quaranta giorni, l'annuncio del telegiornale. Avevamo fatto di tutto. Decine di giuristi, non di parte, si erano pronunciati contro le tesi governative; in almeno cento avevamo intrapreso un ennesimo sciopero della fame per chiedere alla RAI informazione sull'iter dei referendum, sapendo bene che solo nella censura e nella disinformazione si possono realizzare operazioni come quella della Corte costituzionale; centinaia di telegrammi si erano accumulati sui tavoli della presidenza del Consiglio dei ministri, n si potevano contare i sit-in e le dimostrazioni di piazza contro gli interventi di Andreotti. Il tutto era stato ignorato da un'informazione sempre pi ammaestrata e obbediente: l'"arco costituzionale" rispondeva alle nostre iniziative con il controllo ferreo dei mass-media, un muro di gomma terribile, non perforabile. Non avendo la vocazione di Jan Palach o dei bonzi buddisti, pronti a bruciarsi in piazza e candidati al martirologio, avevamo deciso, il 17 gennaio, di cessare le attivit politiche nazionali del partito. Un comunicato stampa chiariva le motivazioni di tale decisione: "Per una forza politica di opposizione che intenda essere nonviolenta, costituzionale, in queste condizioni non esistono pi i margini per esercitare la propria funzione; l'unica via praticabile ormai diffondere le lotte radicali e libertarie nelle citt e nelle regioni, non pi da Roma, dal centro". Il giorno seguente, veniva diffusa la sentenza della Corte. La Costituzione era stata stracciata, il patto di ferro DC-PCI, la logi4

ca soffocante delle "larghe intese" aveva vinto. Probabilmente grazie all'operato, in seno alla Corte, del democristiano Elia e del comunista Malagugini. Anche i socialisti per avevano avallato il "colpo" con il silenzio o la latitanza. Mi ritrovo cos nella mia citt, con tutto da rifare. Nel giro di pochi giorni la situazione si ribaltata: il partito "chiuso", il progetto politico dei referendum decapitato, la necessit del mio impegno a Torino e dunque non nuovo trasferimento. Non appena scesa dal treno, acquisto i giornali, forse qualche quotidiano avr pubblicato sdegnati commenti contro la sentenza. Per vecchio istinto apro "La Stampa": "Pannella ha affermato che questa la pagina pi nera degli ultimi trent'anni, il comitato per i referendum ha detto che la sentenza rappresenta un colpo di Stato legale... Con i loro commenti esagitati Pannella e il comitato assumono una posizione di violenti e dimostrano di non saper accettare le norme e le istituzioni di un paese democratico". L'articolo, firmato da Giovani Trovati, vicedirettore, tutto un elogio alla sentenza della Corte, che causa "minor tensione" fra i partiti. Mi sento impotente. Marted 28 febbraio, al termine di una riunione di partito, il discorso cade - quasi casualmente - sul prossimo processo alle Brigate Rosse. Spesso i radicali sono stimolati all'iniziativa politica da esperienze personali, e prestano comunque alla sfera del "personale" proprio e altrui - un'attenzione particolare. Piovono le lamentele: Torino una citt occupata militarmente, non se ne pu pi. La retorica dilaga, opprimente: partiti "costituzionali", giunta regionale, PCI, giornali cittadini battono la grancassa della raccolta delle firme "contro il terrorismo". Qualcuno ridicolizza: "L'appello della giunta regionale inizia sostenendo che il processo del 9 marzo sicuramente si far, ma pi raccolgono firme e meno la gente accetta di fare il giudice popolare". Altri scherzano sul fatto che persino l'arcivescovo Ballestrero ha assicurato l'impegno della diocesi sulla raccolta delle firme. Osservo che questo un "processo monstrum", voluto dal regime come prova di forza fra terrorismo e Stato; ricordo poi l'articolo della "Stampa" del 13 gennaio, col quale si rimproveravano i torinesi che non accettavano l'incarico di giudice popolare: "Nessuno costretto ad essere un eroe, ma nessuno pu sottrarsi a un dovere. La violenza vincer sono a quando i cittadini non passeranno dalle deprecazioni verbali (magari a bassa voce) alle reazioni di fatto". Tutti insieme osserviamo che in pratica l'"arco costituzionale" propone al cittadino di incarnare il ruolo del "vendicatore della violenza", anzich quello del giudice popolare che, come la legge vuole, si impegna a ricercare processualmente la verit: "Alla gente si chiede, insomma, di essere giustiziere". Qualcuno - ricordando che noi siamo sempre stati favorevoli al fatto che tutti i processi, senza alcuna eccezione, si facciano avverte che questo il modo pi assurdo e controproducente per convincere i cittadini ad assumersi l'incarico. Poi la discussione si allarga: cosa pu spingere un uomo a diventare un terrorista? Che tipo di vita conducono? Come si pu credere nella "scorciatoia" della lotta armata, fin troppo comoda per il potere? Le ipotesi e le curiosit si accavallano. La sera seguente - per una strana coincidenza - ci troviamo a discutere con Elena Negri, Paolo Chicco e Giovanni Negri, tre compagni di Torino che conosco da anni, e nasce la domanda: "Cosa fareste se vi sorteggiassero per fare il giudice popolare?". Le risposte sono diverse. C chi pensa che "questo regime ha assassinato la Costituzione e non mi pu venire a chiedere nulla"; gli si ricorda che la nostra concezione del diritto diversa, e sta al centro del nostro modo di fare politica: la legge una occasione di confronto in ogni caso. Siamo imputati in centinaia di processi e chiediamo che essi si celebrino, cos come ci battiamo perch si facciano quelli contro gli uomini di regime coinvolti nelle truffe, nei peculati di
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Stato, nella strategia della tensione. "Altrimenti muore anche la speranza dello Stato di diritto". Certo, siamo tutti d'accordo sul fatto che la borghesia faccia un "uso di classe" del diritto. Sono le sue storiche contraddizioni; il problema nostro quello di fare esplodere queste contraddizioni, di farle entrare in crisi, di farne apparire in piena luce, con la disobbedienza civile e la nonviolenza, tutta la carica di reale violenza. Alla fine tutti concordiamo con l'appello, civile e coerente, lanciato da Leonardo Sciascia sulle colonne del "Corriere della Sera": "Per questo Stato non farei il giudice popolare. Se fossi estratto a sorte accetterei per coerenza nei confronti di me stesso e dei valori nei quali credo". Il giorno dopo, sulla "Stampa", compare un articolo di Claudio Cerasulo: "La funzione svolta dalla stampa in un caso come questo del processo alle BR essenziale. Da una corretta informazione dipende l'atteggiamento della gente e quindi anche di chi pu essere sorteggiato fra i giudici popolari. Non a caso tutti i giornali si astengono dal pubblicare i nomi di chi accetta l'incarico". Gioved 2 marzo. Alle otto del mattino parto per Roma, con un compagno. Per la mattina successiva, dopo pi di un mese di cessazione delle attivit nazionali del partito, convocata una riunione, per valutare e approfondire l'ipotesi di riconversione regionale delle lotte radicali. Ho un senso di sollievo nell'allontanarmi da Torino, dove il clima sempre pi pesante: la citt ormai una palestra di esercitazioni di militari, di carabinieri, di poliziotti in borghese. Non si contano pi le macchine civili con targa di fuori Torino, evidentemente in dotazione alle forze dell'ordine: facce dure, che mi ricordano i volti delle squadre speciali inviate il 13 maggio del 1977 a piazza Navona da Cossiga per cercare la strage e criminalizzare l'intero movimento di opposizione; quel giorno fu assassinata Giorgiana Masi. Pesa enormemente l'atmosfera, ambigua e sinistra, del cosiddetto "bunker", la caserma Lamarmora, dove si terr il processo. In treno, leggendo i giornali, rivedo le foto delle vittime di Torino, uccise barbaramente da ignoti assassini. L'ormai anziano avvocato Croce, reo di essere presidente dell'ordine degli avvocati; l'avversario politico Carlo Casalegno. Mi soffermo su una frase pubblicata dal quotidiano "la Repubblica". Pare che sia stato estratto un grosso nome di Torino, forse un esponente del PCI, come giurato al processo delle BR: ho una punta di curiosit, faccio qualche battuta. Mi addormento.

3. L'APPUNTAMENTO CON I VIOLENTI Gioved 2 marzo. Arrivo a Roma alle quattro del pomeriggio, annoiata per il viaggio. Vado a casa per lasciare il bagaglio, telefono a Gianfranco Spadaccia e poi al gruppo parlamentare, con la gioia di risentire e rivedere i compagni coi quali ho lavorato quotidianamente per un anno e che da un mese non vedo. Al telefono risponde Marisa Galli, con il solito modo brusco e affettuoso, e mi dice che c un certo capitano dei carabinieri che ma ha cercato telefonicamente da Torino almeno quattro o cinque volte e vuole essere immediatamente richiamato. Mi stupisco per tanta urgenza, penso a una delle incriminazioni per vilipendio o per le iniziative dei centri CISA sull'aborto ("Strano che tirino fuori proprio adesso quest'argomento!"), ma in ogni caso telefono a Torino. "Lei proprio Adelaide Aglietta?", mi chiede il capitano; replico che non saprei proprio come dimostrarglielo, per telefono. Il capitano mi comunica allora che il giorno precedente il mio nominativo stato estratto per la formazione della giuria popolare. Resto interdetta, non so rispondere altro che sino a domenica sono improrogabilmente impegnata a Roma; mi suggerisce di mandare un telegramma al presidente della Corte d'assise per comunicargli la mia impossibilit ad essere presente. Mi annuncia contemporaneamente, per il giorno successivo, l'arrivo della notificazione scritta ufficiale. Una ridda di pensieri mi passa per la testa: perch stato estratto il mio nome? E' possibile che il caso abbia scelto me su almeno un milione di altre possibilit? La mia posizione compatibile con quella di giurato? Devo andare a rappresentare istituzioni contro le quali lotto ogni giorno? A quali rischi vado incontro? Mi prende la paura, parecchia paura. Penso alle bambine e mi metto persino a piangere. Di nuovo la dinamica del sospetto mi assale: cosa c sotto? perch un radicale? cosa vogliono? In fin dei conti il nostro paese da anni oggetto di torbide operazioni. Questo processo io non lo condivido, ma mi viene in mente la frase di alcune sere prima: "I processi debbono essere fatti, tutti". Faranno il tiro al piccione contro di me? Far da bersaglio? Cerco di razionalizzare tutto con Giovanni, il quale chiamato subito Torino e parla con Paolo. Paolo sa gi tutto: in mattinata ha telefonato a Radio Radicale un giornalista di "Repubblica" e gli ha chiesto un appuntamento, non specificando la ragione. Cos Paolo venuto a sapere molte cose, e con parecchie ore di anticipo: la sera precedente era circolata la voce che fosse estratto un "grosso nome" del PCI torinese. Dalla segreteria della federazione comunista si confermava solo che "era stato sorteggiato un operaio del PCI, e che invece era stata estratta la Aglietta", la quale "pare abbia gi rifiutato". Ora, sapendo tutto questo Paolo, mi rammento che Marisa Galli mi aveva avvertito che nel pomeriggio due giornalisti mi avevano affannosamente cercato al gruppo parlamentare, e con amara ironia ripenso all'articolo di Cerasuolo sulla "Stampa". Gi, la funzione della stampa molto importante... Piglio un taxi e vado a al gruppo parlamentare. Non entriamo nel merito della questione, ma stiliamo un comunicato che annuncia il telegramma della Corte d'assise sulla mia impossibilit ad essere a Torino il giorno dopo. Aggiungiamo una domanda: "Quale sarebbe, in questo caso, il comportamento degli altri segretari di partito?". La sera tento di parlare con mio marito e le bambine, che sono in vacanza in montagna, ma impossibile: pare che gli ospiti del Club Mditerrane non abbiano il diritto di ricevere telefonate. Furibonda desisto, e chiamo mio padre: so come sia apprensiva mia madre, come sempre teme per me, per la mia salute; conosco le angosce che ha vissuto durante gli scioperi della fame, preferisco che sia mio padre a parlargliene, debbo assolutamente evitare che apprenda la notizia
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dai giornali. Mio padre, dopo avermi ascoltata, resta un po' silenzioso, poi mi chiede cosa far. Gli dico che non so, che tendenzialmente sono per accettare e che comunque ne discuter con i compagni il giorno dopo, perch anche da valutare la sottrazione del mio tempo e del mio impegno rispetto ai programmo del partito. Lui mi dice che, nella mia posizione, farei meglio a rifiutare; gli chiedo a bruciapelo cosa farebbe lui: mi risponde categorico che accetterebbe. La sera, a letto, mi riprende l'angoscia, ho la sensazione di avere di fronte un tunnel buio che non so dove conduca. Nuovamente penso a Francesca a ad Alberta; come reagiranno le bambine? Saranno coinvolte? Ritelefono in montagna, litigo dieci minuti con la telefonista, ma non c niente da fare. Venerd 3 marzo, nelle primissime ore, mi sveglia lo squillo del telefono. E' Marco, mio marito, gi al corrente di tutto. In verit non abbiamo da scambiarci molte idee, anche con lui - giorni prima - ci eravamo detti le nostre impressioni sul processo. Gli raccomando di parlare con Francesca e Alberta, per le quali mi sembra molto preoccupato. Accenna anche a un loro possibile trasferimento da Torino. Io non condivido l'idea, o quanto meno mi appare prematura e in ogni caso intendo parlarne direttamente con le bambine, domenica, quando conto di tornare a Torino. Sono convinta, come al solito, che mascherare o minimizzare la realt ai bambini sia una scelta stupida e controproducente. Vado alla riunione del partito, nella saletta di un albergo di Roma. Ad un tratto, nel breve tragitto, mi ricordo dei giornali. La notizia sar riportata? E in che modo, in quali proporzioni? Compro tutti i giornali, mi casca l'occhio sulla "Repubblica". In prima pagina campeggia un titolo: "Scoppia il caso Aglietta". Scalfari ha decisamente mutato atteggiamento nei nostri confronti, dopo le continue censure o mistificazioni. Aggiungiamo all'ordine del giorno della riunione la mia estrazione a giudice popolare al processo di Torino. Marco Pannella mi sussurra una prima considerazione: "Era scontato... prima o poi dovevamo giungere all'appuntamento con i ``violenti''. Quando tu non scegli i fatti, i fatti scelgono per te". Io mi riguardo le cifre che alcuni quotidiani riportano, piuttosto impressionanti: pi di un centinaio di estratti, ma i "s" si possono contare sulle dita di una sola mano; bel risultato hanno ottenuto il PCI, l'arcivescovo, "La Stampa", con i loro strilli "contro il terrorismo"... Guardo tutti i compagni seduti attorno al tavolo: con ognuno ho un vissuto, un rapporto personale e politico. Sono presenti i compagni del gruppo e della segreteria: i quattro deputati (Marco, Emma, Adele, Mauro), due dei deputati supplenti (Marisa Galli e Roberto Cicciomessere), Paolo Vigevano, Sergio Stanzani, Gianfranco Spadaccia, i compagni della segreteria (Geppi Rippa, Peppino Calderisi, Giovanni Negri, Loredana Lipperini, Mario Signorino). Da Torino venuto Paolo Chicco. Dopo altri argomenti, si apre il dibattito sul mio eventuale impegno. Tutto si impernia su un'unica questione: legittimo il rifiuto, data la funzione "costituzionalmente rilevante" che svolgo in qualit di segretario di un partito? E' il succo della domanda gi rivolta ai segretari degli altri partiti, su ci che loro farebbero trovandosi nella mia situazione. Concludiamo che, pur avendo validi motivi per rifiutare, questi cadono dal momento che segreteria e tesoreria, sono cessate, ed io sono dunque libera da vincoli ed impegni. Alcuni sono per pregiudizialmente contrari alla mia accettazione, avvolti e vinti dalla "dinamica del sospetto" nei confronti di una "operazione di regime" esplicitamente ipotizzata. Mentre discutiamo, il portiere dell'albergo, ogni dieci minuti, ci comunica che c al telefono una giornalista "che vuole sapere...". Mi prende un attimo d'ira, ripenso ai settanta giorni di sciopero della fame dello scorso anno per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli agenti di custodia e per l'amnistia, tra8

scorsi nel silenzio totale; ripenso alle invocazioni ai giornalisti perch pubblicassero qualcosa, un minimo di spazio, affinch si sbloccasse la situazione... I compagni ed io siamo comunque unanimi su una considerazione: il nonviolento si difende solo con le linearit delle proprie scelte di coscienza, in una dimensione di divulgazione il pi pubblica possibile del proprio operato. Dunque Francesco Cossiga tenga alla larga da me qualsiasi suo uomo, qualsiasi scorta. La "protezione" di colui che, secondo noi, scientificamente, a tavolino, ho progettato, cercato, costruito e trovato l'evento criminale del 12 maggio, pu solo costituire un grave pericolo, mai una sicurezza. Fissiamo una conferenza stampa per il giorno successivo: ritorniamo a discutere dell'importanza - a maggior ragione questa volta - dell'informazione corretta e della conoscenza come unica garanzia di sicurezza fisica per me. Mi si deve conoscere non come simbolo, bens come persona: con le mie emozioni, i miei ideali e valori, le mie motivazioni di radicale. La riunione termina e vado a casa, ho un po' meno paura. E' invece molto preoccupato mio padre, soprattutto per Francesca e Alberta. Ho riflettuto sul problema delle bambine, e gli rispondo che bisogna smetterla di essere vittime della logica che costruisce "mostri": nella strategia delle Brigate Rosse mai vi sono stati bersagli che non fossero obbiettivi politici diretti, non vi debbono dunque essere preoccupazioni eccessive per i familiari. Comunico anche a mio padre che ho deciso di rifiutare preventivamente qualsiasi scorta armata. Lui non dice nulla. Sabato 4 marzo. I giornali giocano ad una sorta di "toto-radicale": accetter, non accetter? Ancora una volta non riesco a non pensare al disprezzo mostrato dalla maggior parte degli organi di informazione in occasione di battaglie di liberazione condotte in anni e anni. Mi soffermo sulle dichiarazioni de miei "colleghi", segretari di partiti: tutte molto "pure", molto "dure", categoriche, sicure. Sento una stonatura pesante, forse perch sono abituata anch'io a diffidare delle "purezze", degli integrismi. Penso anche alla scelta esistenziale del terrorista: non anch'essa la scelta totalizzante e clericale della "purificazione" di se stessi e degli altri dal "nemico", e dunque una scelta che racchiude valori di espiazione e di mondamento dei peccati in un lavacro di sangue? Da bambina temevo l'arcangelo Gabriele, "giustiziere e vendicatore" dalla lunga spada e dalla dorata aureola (ben diverso dal laico e simpatico Robin Hood). Ritorno comunque a leggere le dichiarazioni: Berlinguer, Zaccagnini, Romita: nessuno avrebbe esitazioni. L'unico contributo serio e problematico viene dal segretario liberale Valerio Zanone, che rileva le difficolt oggettive - per un segretario di partito - ad assumere un incarico cos impegnativo. Il segretario del PRI, Oddo Biasini, mi rimprovera: non solo egli accatterebbe subito, ma ritiene assurda qualsiasi esitazione e ogni forma di consultazione con i compagni di partito. Vado al gruppo parlamentare piuttosto presto, poich bisogna terminare di scrivere gli interventi per la conferenza stampa. Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia, che mi attendono, hanno tentato invano di ottenere un'intervista per me dai telegiornali: la risposta stata secca, neanche in questo caso si pu avere diritto di parola, alla vicenda verranno dedicati due minuti nel corso dei quali i redattori della RAI "riferiranno correttamente". Accusano sovente noi radicali di essere dei vittimisti: ma se qualsiasi altro segretario di partito si fosse trovato nelle mie condizioni non sarebbe stato intervistato dalla televisione? Perch intere colonne di piombo e centinaia di veline televisive vengono ogni giorno dedicate alle dichiarazioni, anche le pi insignificanti, dei "politici" dei partiti "costituzionali"? Perch ogni comunicato delle BR viene pubblicato fino all'ultima riga? Perch fra regime e terrorismo a tutti i costi ci deve essere terra bruciata, non deve essere esistere - in termini di informazione - nulla, e se
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qualcosa c, questo immediatamente manipolato e minimizzato? Affronto la saletta della conferenza stampa, che affollatissima, piuttosto tesa. Discuto con il redattore del TG1 e con un altro Giornale Radio: non colpa loro ma oggi pi che mai li vedo come avvoltoi pronti ad usarmi come volto, come persona, come simbolo, senza preoccuparsi di ci che ho realmente da esprimere, di ci che mi preme far conoscere. Mi rallegrano invece le decine di compagne e compagni che sono venuti, tutti molto affettuosi. Inizia la conferenza stampa: ADELAIDE AGLIETTA: "Il coraggio di avere paura" Sono stata sorteggiata almeno cos pare - come giurata al processo di Torino. Penso che sia la prima volta che il massimo esponente di un partito si trovi di fronte a questa evenienza, non solamente nella nostra storia nazionale. Non so cosa avrei fatto, se mi fossi trovata nella pienezza delle mie responsabilit di segretaria nazionale del Partito radicale. Non sono affatto sicura, come si sono proclamati ieri, a quanto pare, i miei illustri colleghi Zaccagnini, Romita, Biasini, Zanone e Berlinguer, che avrei ritenuto di poter e dover anteporre ragioni e incombenze di giurata a quelle, di rilevanza anche costituzionale, del mio ufficio. Vi sono contraddizioni evidenti, non ultime ma non soltanto, quelle di natura pratica. Comunque facile parlare per assurdo. Ma, per quello che mi riguarda, fin quando non si saranno creati fatti nuovi, auspicabili e che siamo tesi a conquistare perch il Partito radicale possa riprendere la sua attivit nazionale nell'esercizio dei diritti e doveri costituzionali, non mi attribuisco altri compiti che quelli di una qualsiasi militante, nonviolenta, libertaria, radicale. Consentitemi per un istante di fare una considerazione forse non oziosa, forse necessaria. Meno di due mesi fa sono tornata a Torino, ho deciso di far cessare l'attivit nazionale del partito, dopo 22 anni di lotte d'insuperato valore civile e politico, di fronte all'evidenza che da tempo celavamo a noi stessi. Nell'Italia degli anni '70 anche il solo chiedere l'attuazione della Costituzione, l'abrogazione dei fondamenti fascisti dello Stato, il rispetto della sua propria legge da parte del potere, la conquista di diritti civili e costituzionali fondamentali a tutti e per ciascuno esige processi, condanne, discriminazioni, ostracismi; ma esige - anche ormai - di mettere in causa la propria vita, se si nonviolenti; la vita altrui oltre che la propria se si violenti e si crede che i fini giustificano i mezzi e non che i mezzi prefigurano i fini. Nel 1977 abbiamo dovuto condurre decine di digiuni per quasi cento giorni ognuno, per ottenere che alcune distorte e avare notizie raggiungessero l'opinione pubblica. Contemporaneamente, nel 1977 stato sufficiente sparare alle gambe o al cuore di qualcuno, perch messaggi politici venissero trasmessi a cinquanta milioni di italiani, per essere sempre pi eletti a protagonisti della cronaca politica e antagonisti ufficiali di un potere che sembra volere la terra bruciata tra il suo 90 per cento di consensi parlamentari e la "opposizione" violenta dei gruppi terroristici. In questa escalation della violenza delle istituzioni, dal peggioramento delle leggi fasciste a - soprattutto - l'uso fascista, letteralmente fascista, della informazione della RAI-TV e della stampa sovvenzionata contro le grandi, poderose lotte politiche referendarie, civili, del "partito nonviolento", eravamo e siamo giunti al punto in cui m'era parso evidentemente che, d'ora in poi, un esito tragico dei nostri digiuni della sete, non evitabili dinanzi alla gravit delle violenze anche costituzionali, degli arbitrii cui dobbiamo disobbedire, sarebbe divenuto obbligato. L'informazione di regime, per sua propria ideologia, omogenea agli assassinii dei cosiddetti partiti armati. Ho assunto dunque la responsabilit di far cessare questa nostra attivit politica nazionale, contro il prezzo della vita che stava ineluttabilmente divenendo necessario pagare o rischiare per lotte civili doverose ma vietate. E' dunque per questo che ero tornata a Torino e ho avviato una conversione delle lotte radicali. "E' qui che di nuovo vengo ora a trovarmi personalmente in
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collusione con la spirale di violenza e di paura nella quale trenta anni di potere "costituzionale" hanno precipitato e sempre pi precipitano il paese". E' qui che altri sembrerebbero aver scelto di divenire in tutto e per tutto simili a coloro che combattono, nel peggio che li caratterizza. Non ho quindi avuto esitazioni nel comprendere quel che dovevo fare. Come tutti, come donna, come madre, ho avuto e potr avere momenti di dubbio e di paura per me, per le mie figlie, per i miei compagni, per gli altri. Penso che il coraggio consista nel superare la paura, non nel non provarla. Penso che il coraggio della paura meritevole e doveroso dinanzi alla morte che una societ sempre pi basata sull'equilibrio instabile del terrore militare e nucleare prepara e impone: come dinanzi ad ogni morte. Anche per questo per noi e per me la vita sacra, a cominciare da quella degli altri, cos come la libert e la giustizia. Ho consultato i compagni del partito e del gruppo parlamentare per meglio valutare con loro le possibili scadenze della vita politica, in particolare quelle riguardanti i referendum di cui siamo stati promotori e le lotte di difesa della Costituzione. Per il resto abbiamo valutato insieme le conseguenze politiche della mia decisione che, se appartiene interamente e integralmente alla mia coscienza, anche e proprio per questo non pu non costituire anche una manifestazione concreta dei nostri comuni ideali e obiettivi. Ho trovato, in tutti, l'uguale consapevolezza che improbabile, in questa evenienza, non opporre alla spirale della paura che ha dilagato e sta dilagando ovunque, specie a Torino, ora attorno a questo processo, una comune, rigorosa, attiva azione nonviolenta. Intendo dunque, da questo momento, comportarmi come possibile giurata del processo di Torino. Non intendo quindi esprimere opinioni in merito; anzi, per l'esattezza, se ne ho avute, non ne ho pi. Ho radicato in me il dovere costituzionale e morale di presumere la non colpevolezza degli imputati, di contribuire ad assicurare loro la pi piena possibilit di difesa, di ricercare processualmente la verit e, in coscienza, di giudicare. Mi sia consentito di rivolgere a tutti un appello contro la paura, contro la violenza, contro la rassegnazione a vivere la violenza assassina sia essa quella del potere o di chiunque altro. Rifiuto di ritenere in pericolo la mia vita e quella di chiunque altro per il solo fatto che compie un dovere di coscienza. Non so se la violenza per la quale tanti cittadini, cui va in questo momento tutta la mia comprensione, la mia solidariet e la mia stima, hanno avuto il coraggio della paura, sia reale o supposta. Fino a prova del contrario, rifiuto di presupporla. Ma questa spirale va spezzata. Chiedo alle donne come me, alle donne di Torino, alle compagne di manifestare con la loro sola presenza, silenziosamente e in massa, luned pomeriggio alle ore 15, in via Garibaldi 13, la volont di una vita diversa, di una societ nonviolenta, contro ogni assassinio e assassino. Lo chiedo alle donne, come io sono, alle compagne, ai compagni. Muoviamoci come altre donne, in condizioni pi tragiche, hanno fatto, in Irlanda. Portiamo i nostri figli e genitori. Chiedo che unanimi e solidali i giurati designati si uniscano con serenit per affrontare il loro compito vincendo la paura con cui ci si vuole degradare, a sudditi o a donne e uomini vili, in nome della nonviolenza, di una giustizia vera, almeno da tentare. MARCO PANNELLA: "Chi vuole s'accomodi" Chi pensa che i nonviolenti siano degli inerti e dei disarmati, sbaglia. C una cosa, almeno, che unisce profondamente nonviolenti e violenti politici: gli uni e gli altri giudicano che la situazione storica e sociale nella quale vivono esige da loro di dare letteralmente corpo alle loro speranze ed ai loro ideali, di ritenere comunque in causa la loro esistenza e di trarne le conseguenze. C una sorta di integrit che li unisce. Ma gli uni ritengono che i mezzi prefigurano e determinano i fini; ed essendo dei libertari e dei socialisti la vita per loro sacra, innanzitutto quella dei loro ne11

mici; gli altri credono che i fini giustificano i mezzi, e scendono sullo stesso campo dell'avversario, alzano anch'essi il vessillo dell'assassinio e della guerra, giusti e sacri. L'ideologia stessa che presiede alla vita del nostro Stato, retto con leggi fasciste e incostituzionali per volont degli antifascisti al potere da trent'anni, fa scegliere "il partito armato", il terrorismo come interlocutore privilegiato. La stampa e la RAI-TV fanno di costoro gli antagonisti politici e i protagonisti della cronaca politica. Censurano, soffocano, deturpano ferocemente i nonviolenti, referendari, costituzionali, che si muovono fra la gente e ne rappresentano aggregazioni maggioritarie. Come nonviolenti denunciamo ogni giorno la violenza assassina di un potere che ha al suo attivo la strategia delle stragi e la strage di legalit. Siamo processati, condannati. Ma come nonviolenti sappiamo che la scelta del cosiddetto "partito armato" non solamente assassina sul piano della proclamazione teorica e della prassi, ma suicida se e quando davvero partecipa alle speranze della sinistra e non sia anche soggettivamente espressione di servizi paralleli nazionali e internazionali. In queste condizioni, per noi il processo di Torino ha da farsi. La spirale della paura deve essere spezzata, una volta per tutte. Certo, esistono dei pericoli nuovi. In realt non sono che il nuovo volto di vecchie realt che hanno sempre accompagnato le nostre lotte radicali. Cogliamo l'occasione per dire al ministro di polizia Cossiga, al responsabile della strage di piazza Navona e dell'assassinio di Giorgiana Masi che non tollereremo di essere "protetti" dai suoi servizi. Siamo armati di nonviolenza e non d'altro. Chi vuole s'accomodi. Non rischia nulla se non d'essere un indiretto "boia di Stato". GIANFRANCO SPADACCIA: "La coerenza del nonviolento" Ringraziamo i segretari degli altri partiti per il contributo che, con grande sicurezza e senza esitazioni, hanno voluto dare al segretario del nostro partito in questa circostanza. Forse avremmo apprezzato maggiormente dichiarazioni pi problematiche, soprattutto tenendo conto del fatto che i loro autori, tutti parlamentari eletti, non avrebbero potuto trovarsi nella situazione in cui si trovato il segretario del Partito radicale. Non intendo mettere in dubbio la sincerit di quelle dichiarazioni n liquidare con facilit l'esistenza di questa incompatibilit che, nelle intenzioni del legislatore, aveva un valore garantista. Ma proprio l'esistenza di questa norma, se non viene intesa come un'altra forma di immunit e come un privilegio di casta, dimostra che, nella sostanza se non nella forma, i problemi posti al segretario del Partito radicale non erano e non sono soltanto problemi di carattere pratico. Le stesse considerazioni dell'onorevole Biasini ne sono del resto un'ulteriore conferma, anche se le dichiarazioni di Adelaide Aglietta hanno fugato ogni possibile dubbio sul carattere che hanno avuto le sue consultazioni con noi. Ma per un radicale, per un nonviolento esiste un altro elemento di contraddizione che sarebbe ingiusto sottacere in un momento in cui siamo costretti a denunciare le persistenti e le nuove violazioni della legalit repubblicana da parte delle istituzioni. In oltre quindici anni di lotta politica, i radicali di questa generazione hanno conosciuto la giustizia del regime in altra veste che non quella di giurati: nella veste di imputati, e spesso di detenuti, per reati d'opinione, per obiezione di coscienza, per la nostra disubbidienza civile a leggi fasciste e incostituzionali; come difensori, quelli di noi che sono avvocati, di radicali o altri; meno spesso come parti civili, ma sempre per difenderci contro la prevaricazione e la violenza degli avversari e del potere. Oggi una di noi quelle stesse leggi, contro molte delle quali abbiamo lottato con tutte le armi della nonviolenza, invece chiamata ad applicarle in qualit di giudice popolare. E' una contraddizione, ma una contraddizione cui un nonviolento non si pu sottrarre. Siamo sicuri che Adelaide sapr affrontarla con la forza e la coerenza di chi ha sempre lottato per chiedere non l'affermazione della propria legalit alternativa ma il ri12

spetto della legalit da cui il potere e le istituzioni traggono la loro legittimit, la piena attuazione della Costituzione, l'integrale applicazione delle norme interne e internazionali che garantiscono gli insopprimibili diritti dei cittadini. GRUPPO PARLAMENTARE RADICALE: "Va finalmente assicurato il diritto degli imputati all'autodifesa" Il gruppo parlamentare radicale ringrazia la compagna Adelaide Aglietta, segretaria nazionale del Partito radicale, per la sua esemplare decisione. Il suo gesto va confrontato al suo indubbio diritto di essere - ove lo avesse ritenuto opportuno - esonerata dalle funzioni di giurata al processo di Torino per la indubbia rilevanza costituzionale del suo incarico, e per i conseguenti normali doveri del suo ufficio. Il gruppo radicale non pu in questa occasione non ribadire fermamente e solennemente che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, legge dello Stato italiano, garantisce a ogni imputato il diritto di difendersi, a sua scelta, direttamente o con l'assistenza di legali difensori. Questo diritto deve essere finalmente rispettato. Il gruppo radicale ha deciso inoltre di proporre nella prossima seduta della Camera un emendamento al decreto di legge governativo sulle Corti d'assise, con cui viene abrogata la norma che vieta ai parlamentari della Repubblica di essere designati come giurati nei processi di Corte d'assise. PARTITO RADICALE DEL PIEMONTE: "Appello agli uomini e alle donne di Torino" La nostra citt, Torino, in questo giorni e lo sar ancor pi nei prossimi, avvolta da una drammatica spirale di paura, di terrore, di angoscia. E' nei momenti di maggior pericolo, quando si teme per se stessi e per gli altri, quando si ha evidentemente paura di assistere ad una impressionante escalation di degradazione della vita civile, che si ha il diritto e il dovere, e si deve trovare la forza, di fronteggiare individualmente e collettivamente la situazione, assumendo le responsabilit che tutto ci comporta. Nella nostra citt oggi l'unico lucido e responsabile comportamento possibile quello di spezzare al pi presto, subito, la spirale della paura. Una spirale che funzionale al regime e la cui logica deve essere rovesciata con la nonviolenza, con la forza dei valori della Costituzione, dello Stato di diritto, del rispetto e della tolleranza reciproca, della aspirazione alla pace, dell'ordine democratico e repubblicano. Dissennato colui che pensa che tutto ci sia utopia. Ancor pi dissennati coloro che credono che la paura scompaia occupando militarmente la nostra citt o imponendo al paese la trentennale vergogna delle leggi fasciste e l'aberrazione di altre ancora peggiori. Ancora una volta la possibilit di superare un frangente drammatico risiede nella maturit e nella civilt degli uomini e delle donne semplici, la cui semplicit di gran lunga pi efficace di tutte le misure, gli appelli, le parole ipocrite e inutili, di una classe politica dirigente che creatrice di questa situazione di caos e di disordine pubblico. Adelaide Aglietta non ha dato oggi che la prova del proprio senso di responsabilit. Lo ha fatto confidando in voi e riponendo in voi tutta quella fiducia che le stata necessaria per compiere tale gesto. In voi cittadini di Torino, non certo nelle poco autorevoli autorit. Spezziamo e rovesciamo la spirale della paura: accettiamo di fare i giudici popolari, scendiamo nelle nostre strade e nelle nostre piazze, occupiamo la citt noi cittadini con la calma e la nonviolenza, contro la paura, il caos, il terrore. Il primo appuntamento, con Adelaide Aglietta, fissato per luned 6 prossimo, alle ore 15, di fronte alla sede del Partito radicale, in via Garibaldi 13. Che sia il primo appuntamento di massa, silenzioso, sereno, nonviolento, quindi realmente forte, contro la paura. ADELAIDE AGLIETTA A COSSIGA: "Rifiuto la scorta" Signor ministro, le chiedo formalmente di dare disposizioni perch venga evitata assolutamente ogni e qualsiasi forma di tutela o vigilanza armata che le autorit locali o d'altra natura dovessero ritenere in do13

vere si assicurare Stop Non conosco altra garanzia possibile di serenit e di sicurezza che quella derivante dall'assenza di armi e armati di qualsiasi tipo - Adelaide Aglietta, segretaria nazionale del Partito radicale. 4 MARZO: "dall'Ansa" Onorevole Zaccagnini, segretario della Democrazia cristiana: "Accetterei perch si tratta di adempiere a un fondamentale dovere civico e morale". Onorevole Romita, segretario del PSDI: "Non ho alcun dubbio, andrei certamente. I doveri dei cittadini vanno rispettati dai segretari dei partiti con impegno ancora maggiore". Onorevole Biasini, segretario del PRI: "Accetterei senza esitazione l'incarico nella consapevolezza che esso comporta l'assolvimento di un preciso dovere civico, il cui adempimento riguarda la coscienza dell'individuo. Mi parrebbe assurdo, sotto questo profilo, subordinare la mia decisione a una valutazione del mio partito". Onorevole Zanone, segretario del PLI: "L'ufficio di giurato soprattutto nelle drammatiche condizioni in cui versa la giustizia nel nostro paese un dovere pubblico che vale per tutti i cittadini, non esclusi quindi i segretari dei partiti. Qualora fossi sorteggiato mi troverei nella difficolt di conciliare i compiti, anch'essi pubblici, di deputato e segretario del PLI con quelli di giudice popolare. Di fronte alle troppe rinunce di cui si avuta in questi giorni la penosa sequenza, darei la prevalenza al dovere di rendermi disponibile, perch la giustizia possa vere corso". Onorevole Pecchioli, per il PCI: "Accetterei senza alcuna esitazione. Si tratta di un dovere verso lo Stato democratico che deve scrupolosamente essere osservato. Credo fermamente nella partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia, cos come afferma la Costituzione della Repubblica". Onorevole Berlinguer, segretario del PCI: "Accetterei senza alcuna esitazione". Senatore Cipellini, per il PSI: "E' dovere di tutti i cittadini difendere la legalit dello Stato democratico e quindi in questa prospettiva amministrare la giustizia. E se questo un dovere per tutti i cittadini, figuriamoci per un dirigente di partito. Alle forze politiche spettano infatti il diritto e il dovere di difendere la legalit dello Stato democratico, salvaguardare quei valori che vengono da lontano, dalle lotte di popolo della Resistenza. Per questo io come giurato nel processo alle BR avrei svolto questo impegno civile e politico con serenit, ma anche con la fermezza che viene dal ricordo di tanti compagni e amici che, durante la Resistenza, hanno sacrificato la vita per quei valori di democrazia contro i quali anche le BR hanno sferrato il loro attacco. Noi socialisti, che svolgeremo il nostro Congresso a Torino, riaffermeremo ancora una volta il no dei democratici alla violenza, alla criminalit, che non hanno niente a che fare con la lotta politica".

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4. FIORI IN TRIBUNALE Sabato 4 marzo. Passo il pomeriggio con i compagni, poi parto da Fiumicino con l'aereo delle ventitr: voglio trascorrere la domenica con Francesca e Alberta, mi preoccupano i loro possibili pensieri, reazioni, paure. Attero a mezzanotte, ad aspettarmi ci sono Paolo, Elena e Giovanni. Saliamo sulla cinquecento di Paolo, l'atmosfera non affatto piacevole, le battute mascherano una pura che collettiva. Qualcuno ha la sensazione che siamo seguiti e lo dice, gli occhi di tutti si concentrano sullo specchietto retrovisore e sui finestrini. Ma sono le allucinazioni di uno stato psicologico folle e controproducente, dei cui rischi incomincio a rendermi conto solo ora. Domenica 5 marzo i giornali riportano, tutti in prima pagina, la notizia della mia accettazione. Parrebbe un'informazione corretta, in realt le motivazioni che ne ho dato non emergono. Le frasi riportate, isolate dal contesto generale, forniscono una visione parziale del mio discorso, a seconda del "taglio" che i vari quotidiani hanno scelto. Alcuni speculano sul brivido di un possibile fatto di sangue individuando nel giudice popolare non il cittadino che ritiene che la giustizia debba aver corso e che in sede processuale si impegna a ricercare la verit, bens colui che pregiudizialmente "contro" l'imputato. Il "Roma", giornale minore di Napoli, titola: "La segretaria del PR giurata a discarico". L'articolista riporta la frase, che ho pronunciato nel corso della conferenza stampa: "Ho radicato in me il dovere di presumere l'innocenza degli imputati", insinuando insomma la mia connivenza con le Brigate Rosse. L'articolo si chiude cos: "Si comprende bene come mai l'Aglietta abbia rifiutato la scorta". Altri quotidiani mettono solo in evidenza un fantomatico "coraggio", nella logica della contrapposizione di violenza a violenza: la violenza dello Stato alla violenza delle Brigate Rosse. Lo spirito costituzionale della mia accettazione, la nonviolenza come necessit esistenziale e politica tutt'altro che passiva o disarmata, l'appello a spezzare la spirale della pura e della violenza a Torino riappropriandosi serenamente delle strade della citt, il rifiuto della scorta come garanzia e il pacifico rigetto di qualsiasi ipotesi di coartazione - dettato dalla paura - della propria coscienza, sono tutti messaggi che non a caso i mass-media non diffondono, perch totalmente estranei alle loro logiche. Per questo, non appena mi telefona un giornalista di "Stampa Sera" chiedendomi un'intervista, pongo delle condizioni: domande scritte, risposte scritte, pubblicazione integrale. Il giornale accetta e nel primo pomeriggio mi trovo con il giornalista, gli consegno le risposte e lui gentilmente mi offre un passaggio sino a casa. Sorpresa: il giornalista mi offre un alloggio nel caso abbia bisogno di trasferirmi. E' il primo di una lunga serie di persone amiche e generose. Lo ringrazio, penso di non essere disponibile a vivere nella clandestinit e nel sospetto. Per la prima volta, da quando sono immersa in questa vicenda, vedo Francesca e Alberta. Mi sembra stiano bene, mio marito ha parlato con loro, ma appaiono reticenti. Cerco di capire cosa pensino, se si siano fatte qualche idea leggendo i giornali. Francesca mi spiega che sperava che io accettassi e quando le chiedo se conosce i motivi per cui molti cittadini non hanno accattato mi sento rispondere che "sa" che una "cosa pericolosa". Ci troviamo a parlare delle Brigate Rosse. Le parlo come sempre. La violenza genera terrore e morte, bisogna mutare la societ con la parola, con la convinzione e il dialogo. Le lotte popolari di liberazione sono altra cosa dalla violenza. Nessuno pu erigersi a giustiziere e assassino di altri. Capisco che sono parole schematiche, con le quali tento di prevenire reazioni irrazionali, che potrebbero derivare dalla non comprensione dei fatti, nel caso
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che mi si scatenasse addosso una qualche forma di violenza. Alberta, la pi piccola, ascolta, silenziosissima, tutto il discorso. Francesca mi chiede se ho paura. Le rispondo che ogni tanto, s, ce l'ho; ma non sempre, mi prende a tratti, paura e angoscia. Vado oltre, sento che serve anche a me stessa. No, non penso che qualcuno si possa divertire a giocare con me al tiro al bersaglio. In ogni caso, quello che importa sono le proprie convinzioni, la coerenza: mi capitato altre volte, ricordo, almeno tre, di rimettere in discussione la mia esistenza, inseguendo obiettivi che mi ero prefissati, di crescita collettiva e democratica. Mentre la bambina pi piccola mi abbraccia in modo protettivo, Francesca scherzosamente mi raccomanda di stare attenta. Mi trattengo ancora un attimo a discutere con mio marito sulle bambine. Secondo me non corrono alcun rischio, sarebbe maggiore il danno che potrebbe venir loro dal cambiare vita o dall'essere scortate. Marco d'accordo: una sorveglianza particolare aggraverebbe solo l'ansia, creerebbe un dato stridente di diversit nei confronti degli altri bambini, incrementando traumi negativi. Con la mia macchina vado a casa di un avvocato, dove ci sono altri legali. Li conosco ormai da anni, sono da sempre vicini al partito, ho chiesto loro di informarmi, di spiegarmi, di chiarirmi, questioni che non conosco se non superficialmente. Mi sono infatti resa conto, in vista di ci che dovr fare, che ho bisogno di imparare molte cose; le voglio sapere anche perch la sera ho un "filo diretto" con gli ascoltatori di Radio Radicale, e mi par giusto che il maggior numero di persone possibile debba conoscere, essere coinvolto. Gli avvocati mi spiegano tutto: le funzioni del giudice popolare, i meccanismi "istituzionali" nei quali egli si trova a dover operare, i limiti della sua possibile incisivit. Intanto arrivato da Roma Marco Pannella, anche lui venuto per la trasmissione alla radio, ma si sofferma a lungo - sia con me che con gli avvocati - sul problema dell'autodifesa, del diritto cio di ogni imputato a difendersi da solo, se rifiuta di essere assistito da un avvocato o di fiducia o d'ufficio, cos come il diritto italiano e la Convenzione di Ginevra sanciscono. Alle nove si sera sono alla radio, con Marco. L'interesse altissimo, le telefonate giungono senza sosta sino alle due di notte. E' uno "spaccato" interessantissimo. C chi curioso rispetto alla mia persona, c la "spinta d'ordine" che invoca la pena di morte. Io non entro nel merito di valutazioni politiche sulle BR, n tanto meno sugli imputatati. Marco parla a lungo, attacca a fondo la scelta violenta ("suicida e omicida"), mi colpisce quando parla di Renato Curcio: "Conosco la sua storia politica: lineare". Io di Curcio so molto poco, ma mi interessano particolarmente coloro che chiedono perch vado "a giudicare compagni che sbagliano". Rifaccio tutto il discorso della accettazione, mi soffermo sulla concezione che i radicali hanno del diritto. L'alternativa non sta fra il fare o il non fare i processi, il problema come li si fa; aggiungo che non so quanto potr incidere sul "processo monstrum". Un ascoltatore osserva acutamente che se questo processo, dopo due tentativi, non si riesce a portare a termine, lentamente si scivoler verso la logica della Germania occidentale, verso la barbarie di Stammheim, verso una disperata e assassina guerra fra bande. Pi dialogo e pi acquisto serenit e speranza: comprendo che senza dialogo sono un pesce fuor dell'acqua. Alla fine della trasmissione mi ritrovo ad esprimere una considerazione che mi ripeter decine di volte nel corso delle lunghe mattinate del processo. La differenza fra noi e le Brigate Rosse, il muro altissimo che ci separa, ci che ci oppone, che loro agiscono secondo la filosofia del "tanto peggio, tanto meglio", del "pi il regime criminale pi sono possibili i passi verso una societ diversa". Ma cos non si concorre a mutare lo Stato e a far deperire la violenza dello Stato, ci si pone come Antistato, ancora pi dogmaticamente dello Stato, perch si ipotizza di poterlo costruire solo attraverso la lotta dell'avanguardia armata, senza crescita collettiva del16

la societ civile, delle masse. Penso anche che oggi il nonviolento paga prezzi - politici se non personali - ben pi alti dell'oppositore violento. Ogni giorno, in termini di possibilit di comunicare le proprie opinioni, il nonviolento massacrato, al violento si regala invece - non a caso - un ruolo privilegiato. A notte fonda chiudiamo la trasmissione ricordando l'appuntamento per l'indomani, di fronte alla sede del partito, per andare in tribunale. Uscendo dal portone scorgo due individui a bordo di una macchina ferma. Nei giorni seguenti spesso vedr agenti in borghese nei pressi di casa mia o del partito. Il fatto mi colpisce, mentre mi metto a letto mi attanaglia l'angoscia: non sono le Brigate Rosse a suscitarmi apprensione, ma il gesto spontaneo e isolato del "solista del mitra" o del gruppetto fanatico. Poi comprendo che il rischio non nemmeno questo. La realt ben altra: se a servizi segreti o a "corpi separati" di regime servisse politicamente far ricadere sui "terroristi" un assassinio a sinistra, non esiterebbero. Ripercorro i pi torbidi episodi della strategia della tensione: piazza Fontana, l'Italicus, la strage di Peteano, l'ambiguissima vicenda di Lo Muscio e Zicchitella. Tutte riflessioni inutili. Sono stanca e mi addormento subito. Luned 6 marzo. Alle tre di pomeriggio dopo aver dormito a lungo mi avvio verso il partito. Sono un po' tesa. E' la prima occasione nella quale sono conosciuti i miei spostamenti. E se qualcuno avesse intenzione di bloccare il processo, non sarebbe questo il momento buono? Mi irrito con me stessa, come ogni volta che mi rendo conto di non usare il raziocinio. Scatta una molla psicologica che sar determinante d'ora in avanti: se qualcuno ha intenzione di colpirmi non ha alcun problema. Continuare a sospettare, a scrutare di tanto in tanto i volti della gente che per strada mi incrocia, stupido e senza senso. Non sono io che mi ritrovo isolata e lontana dalla gente. Di fronte al partito ci sono gi un centinaio di persone, nonostante si tratti di un giorno lavorativo. Non conosco molti, ma mi si stringono attorno affettuosamente, mi abbracciano, mi hanno portato i fiori. C un grande mazzo di rose mandatomi da Roma da Enzo Zeno. Alle tre e mezzo ci avviamo tutti verso il tribunale: saremo circa in trecento. Quando saluto Marco Pannella, che riparte per Roma, mi sento un po' pi sola; poi invadiamo l'ampio cortile del tribunale, nessun agente (ce ne sono moltissimi, in divisa e in borghese) si oppone. Resto colpita: la citt in stato d'assedio, dell'ordine la mobilitazione e lo schieramento di forze dell'ordine e dell'esercito sono impressionanti, ma trecento persone armate di nonviolenza, di fiori, di serenit riescono indisturbate a occupare il "cuore giudiziario" della citt. Quando i compagni entrano nell'aula il contrasto fra loro e il grigiore, il conformismo del posto, le toghe dei magistrati, i carabinieri con il mitra al collo ancor pi stridente. Mentre attendo, il capitano dei carabinieri che addetto alle scorte mi avvicina: "Lei rinuncia veramente alla scorta?". Confermo, mi fa firmare un foglio col quale dichiaro che rinuncio sotto la mia responsabilit (responsabilit di cosa? della mia vita, delle mie scelte?). Quando tocca a me antro nell'aula, i compagni mi salutano, mi accorgo di avere ancora due fiori in mano. Per la prima volta mi trovo di fronte Guido Barbaro, presidente della Corte di assise. Mi chiede se non ho impedimenti, rispondo negativamente e confermo di essere tuttora residente a Torino. Scattano i flash dei fotografi, il cancelliere ha un sussulto e suda; Barbaro si irrita e ironicamente osserva: "Oggi sono persino presenti degli avvocati". Ci deve essere una polemica in corso. Fissandolo mi rammento di averlo gi visto: era presidente in un processo tenutosi due anni prima contro alcuni antimilitaristi, per i quali avevamo organizzato una manifestazione di solidariet. Voci di tribunale lo dipingono come un molto duro e reazionario, ma le voci sono voci. Vedremo. Insieme a me hanno accettato altri quattro: ho la sensazione che dopo la mia estrazione le accettazioni siano aumentate. Sciolta la "marcia", mio padre mi chiama
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le accettazioni da Sanremo: mi annuncia il suo arrivo a Torino per il giorno dopo. Non riesco a dissuaderlo. Mi reco all'appuntamento che ho, per cena, con alcuni compagni e Gustavo Zagrebelsky, giovane quando valido e simpatico docente di diritto costituzionale. Ad un tratto scruta fuori dalla finestra e abbassa la persiana: mi scappa da ridere, anzi ridiamo tutti a lungo, non siamo proprio fatti per l'atmosfera dei film gialli. Resta la sensazione che tutti si preoccupino per me pi di quanto non faccia io stessa, e mi domando se faccio male. Parecchi amici mi telefonano offrendomi ospitalit, alloggi, macchine.

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5. NEL BUNKER Marted 7 marzo. Fra due giorni inizia il processo. Pranzo al ristorante con due amici. Sono anche loro preoccupati per me, ma fioccano battute su battute e mi accorgo - tutto sommato - di sorridere spesso. Mi prende la rabbia leggendo la cronaca della mia accettazione, come riportata dalla "Gazzetta del Popolo": "La partecipazione di Adelaide Aglietta al processo delle BR si risolve per i radicali in una buona manovra pubblicitaria". Ritengo che anche questa volta siano stati superati i limiti della civilt. Nel pomeriggio scrivo al giornale. Infatti questa storia della pubblicit uno di quegli argomenti che riescono a farmi indignare. E' lecito l'uso che i giornali fanno della mia immagine e della mia accettazione per la loro propaganda di regime? E' lecita l'amplificazione che essi assicurano al partito armato, ad ogni suo gesto di violenza come ad ogni sua dichiarazione o comunicato? Non appena, in queste opposte e convergenti propagande, tentiamo di far passare il nostro messaggio nonviolento (in questo caso le ragioni per cui ho accettato, che non sono quelle della "Stampa" e della "Gazzetta del Popolo"), il nostro tentativo viene immediatamente stroncato con l'accusa di "manovre pubblicitarie" o di folklorismo radicale. E quale altro mezzo ha il nonviolento per affermare le sue idee se non la propria parola, il proprio corpo, i propri gesti nel tentativo, attraverso di essi, di ricercare e imporre il dialogo? Ma appunto il dialogo che si tenta di impedire nello scontro delle opposte violenze. E' come se il giornalista dicesse, senza rendersene conto, che non solo io ma tutti coloro che sono disarmati e privi di potere possiamo essere soltanto oggetti e non anche soggetti di messaggi. Sono queste considerazioni che, qualche mese pi tardi, mi spingeranno a portare fino infondo provocatoriamente la logica dei miei avversari, e ad accettare di posare per una pubblicit commerciale. Verso sera incontro mio padre, che arrivato da Sanremo. Mi sembra un po' commosso anche se, come sempre, si nasconde dietro i suoi silenzi. Mi chiede dove sto. Pu sembrare una domanda strana, ma da quando ho deciso di vivere per conto mio e ho accettato la segreteria del partito non ho praticamente pi avuto "fissa dimora", n a Roma n a Torino. Anzi, per l'esattezza, finalmente avevo trovato casa a Roma, ma solo giorni prima di decidere la sospensione delle attivit della segreteria nazionale e di ritornare a Torino. Cos, dopo aver vissuto a rotazione da alcuni compagni per un anno e mezzo, mi ritrovo nella mia citt, senza casa, di nuovo ospite di compagni. Per l'esattezza in questo periodo e per tutti i mesi successivi sar ospite di Angelo Pezzana, al quale mi lega una amicizia di molti anni. Mio padre mi chiede ancora cosa intendo fare, se e quali minime precauzioni ho preso, se in questo periodo ho bisogno di una maggiore disponibilit di denaro (sa che sono spesso in difficolt). No, lo ringrazio, non ho bisogno di nulla, per vivere sufficiente quel minimo di cui finora dispongo. Non credo che avr spese straordinarie, in quel caso glielo dir. Per il resto, gli rispondo che se qualcuno volesse fare qualsiasi azione nei miei confronti non ci sarebbero precauzioni che potrebbero evitarlo; compagni ed amici stanno per insistentemente cercando di farmi accettare l'idea di cambiare frequentemente alloggio. Mi raccomanda ancora di stare attenta, mi d dei soldi e ripete di farmi sentire e vedere spesso. I dialoghi con mio padre sono sempre stati fatti di sfumature e in essi hanno sovente avuto pi significato i silenzi che le parole, ma per me sempre stato semplice capirlo. Mercoled 8 marzo vado a trovare le bambine e passo con loro alcune ore molto serene: anche loro mi sembrano tranquille. Alberta mi chiede all'improvviso quand' "quella cosa
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l". Intende dire il processo, le rispondo che inizia domani: con un certo sollievo afferma "allora domani sera finito". Nel pomeriggio vedo i compagni di Lotta Continua che dovrebbero seguire, per il giornale, il processo. Mi chiedono di collaborare, rispondo loro che non possibile se non relativamente a episodi particolari e per ora imprevedibili. Discutiamo un po' sulla mia accettazione, non la condivido anche se la capiscono, sono d'accordo che la mia presenza nella giuria sia comunque una garanzia per la regolarit dello svolgimento del processo. Sostengono per che strane fuori sarebbe stato meglio: faccio notare che le loro osservazioni sono molto contraddittorie e che sarebbe importante ci riflettessero almeno sopra. Le mie contraddizioni le ho gi sviscerate. Ci abbracciamo. La sera, uscendo di casa, una macchina posteggiata di traverso sul marciapiede accende di colpo i fari: ho un soprassalto e mi infilo in un ristorante; evidentemente anche se sono tranquilla e scherzo sempre sugli eventuali rischi (ma questa sera, quella che precede l'inizio del processo, certamente molto meno), in realt sono molto tesa. Dopo cena, con Giovanni, Paolo ed Elena, dopo molte insistenze accetto di andare a dormire in una casa in collina: mi sembra una cosa strana, ho la certezza che sia inutile, mentre invece sono contenta di essere con loro tre. E' un puro sfogo psicologico, ma non me la sento di stare sola. Gioved 9 marzo. Mi alzo prestissimo, molto prima che suoni la sveglia, come mi succede ogni volta che ho un impegno. Appena usciti da casa telefono a mio padre, compro i giornali e ci avviamo con un taxi alla caserma Lamarmora. "La Stampa" descrive minuziosamente le misure di sicurezza in atto nella citt: quattromila uomini in assetto di guerra, le teste di cuoio, i tiratori scelti sui tetti intorno alla caserma Lamarmora, novecento uomini addetti alle scorte. Avvicinandoci alla caserma cominciamo a vedere tutto intorno uomini con giubbotti antiproiettile, appoggiati dietro ogni albero del viale: per riuscire ad entrare devo passare da uno sbarramento ad una altro, in mezzo ai mitra spianati ad altezza d'uomo fra le braccia di ragazzini giovanissimi, con i volti un po' smarriti. Vivere tutto questo ben altro dal leggerlo sui giornali: queste scene continueranno ad impressionarmi per tutto il processo, arrivando a causarmi momenti di vero e proprio rigetto fisico. Nella strada d'accesso alla caserma, nel giardino di fronte, c uno schieramento incredibile di carabinieri, polizia, agenti in borghese. Questa strada riservata all'arrivo e al posteggio delle macchine degli avvocati, dei giurati e delle loro scorte: continuo a pensare che la scorta pu servire al massimo ad aumentare il numero di persone che corrono eventuali rischi, senza garantire ulteriormente la persona scortata. Per tutto il periodo del processo arriver sulla mia macchina da sola, e continuer a posteggiarla nel corso fuori del recinto, evitando cos, almeno in parte, mitra e sbarramenti. All'ingresso riservato al pubblico e ai giornalisti, due persone su tre sono agenti in borghese, camuffate per mimare la rappresentazione di tutta la scala sociale: c l'imbianchino, l'operaio, il borghese, con il loden e "la Repubblica" sotto il braccio, c il falso estremista. Dopo i controlli e controcontrolli, ordini e contrordini, riesco ad arrivare all'ingresso, saluto i compagni che tenteranno di entrare come giornalisti di Radio Radicale, peraltro senza riuscirvi. Nel cortile, passo in mezzo ad una fila di carabinieri e ad una decina di cani lupo. Arrivo all'ingresso dell'edificio dove devo sottostare ad un accurato controllo della persona e dei miei oggetti personali: ho un attimo di perplessit, poi lascio perdere. Dopo di me controllano un tale (che scoprir poi essere un altro giurato) il quale con mio enorme stupore depone una rivoltella: accerter nei mesi seguenti che anche altri girano costantemente armati e cercher di capire, chiedendolo direttamente a loro, quale grado di sicurezza possa venire da una rivoltella. Le risposte, vaghe, mi convincono che soltanto un fatto psicologico, quindi ancor pi perico20

loso. Salgo al primo piano dove ubicata l'aula: c un salone dove trascorreremo i tempi morti delle udienze (intervalli, attese, ecc...) e tre stanze, di cui una destinata al presidente, una alla giuria, una alla cancelleria e agli avvocati. E' tutto ridipinto e pulito, ma la struttura rivela inequivocabilmente la sua origine di caserma. C un'altra saletta, antistante l'aula, dove sosto con gli altri giurati convocati, una trentina di persona; a parte noi, in giro ci sono carabinieri e agenti in borghese. Incomincia una lunga attesa, durante la quale cerco di parlare con le persone che sono con me. Una donna, molto angosciata, mi spiega che non pu accettare perch ha due bambini e nessuno a cui lasciarli; un'altra, sempre per motivi familiari, non accetta, molto preoccupata della possibilit che il rifiuto venga segnalato sulla fedina penale; un tale ha una bancarella ai mercati, che non gli permette di assentarsi oltre l'una, pena la perdita del "posto" vendita. Gli altri sono per lo pi silenziosi. Ad un certo punto cerco una macchinetta del caff, un telefono e informazioni su quel che succede: i carabinieri non sanno nulla, telefono e caff non sono previsti. Mi sento segregata. Due donne (che non faranno parte della giuria) cominciano a chiedermi notizie del partito (scopro che sono simpatizzanti) e della mia attivit; in effetti, soprattutto le donne dimostrano sempre una grande curiosit nei confronti miei, della mia vita, della militanza politica, delle mie figlie. Finalmente arriva Barbaro che con un sorriso accattivante e tono deciso ci spiega che stiamo per iniziare, che gli imputati sono in aula e certamente (almeno stando alla sua esperienza) leggeranno un comunicato. Il primo atto processuale - prosegue Barbaro - sar la nomina della giuria e il giuramento secondo l'ordine di estrazione, subito dopo dovremo risolvere il problema degli avvocati d'ufficio, perch evidente che gli imputati revocheranno l'incarico agli avvocati di fiducia. Ha un'aria sorniona ma decisa, molto educato, formale, sorridente e un po' paternalista. Indossa un abito grigio che mi fa venire in mente gli amici di mio padre. Certo, un abisso ci divide nella mentalit, nei modi, nelle scelte. Un punto a mio favore per che, per nascita, per educazione, per l'ambiente nel quale sono cresciuta ho conoscenza e familiarit con il mondo che lui rappresenta. Da parte mia chiarisco che ritengo sia auspicabile - presentandosi questo processo difficile e complicato non solo giuridicamente ma per il clima creatogli attorno dalle campagne politiche e di stampa e da sicure pressioni di altra natura - che vi sia sempre un confronto fra presidente e giuria sulla conduzione del dibattimento, anche sulle decisioni di sua stretta competenza, che tali ovviamente restano. Manifesto la preoccupazione che, rifiutando gli imputati la difesa, sia loro garantita la possibilit di esprimere il pi compiutamente possibile le loro tesi. Il presidente mi pare d'accordo, dice che ne riparleremo a giuria formata. Suona il campanello e si apre l'udienza. Entrano il presidente ed il giudice a latere, noi aspettiamo fuori. Dall'aula si sente parlare, entro e capisco che in imputato sta leggendo un comunicato: non riesco a vedere chi sia. Ascoltando il comunicato resto un attimo esterrefatta: la prima volta che assisto a questo rituale. Giornalisti, avvocati, carabinieri, tutti sono attenti e tesi al discorso degli imputati. Attraverso i microfoni, che permettono a tutti di sentire i "comunicati" dei brigatisti, riesco a cogliere le principali affermazioni: ...Come comunisti abbiamo sostenuto e sosteniamo che la giustizia borghese solo un'arma con cui da sempre opprimete il popolo; e questa caserma, che con particolare buon gusto avete scelto per celebrare i fasti della "democrazia armata", lo dimostra anche nella forma. Questo NON E' UN PROCESSO ma, pi esattamente, E' UN MOMENTO DELLA GUERRA DI CLASSE; un episodio dello scontro pi generale che oppone in una lotta irreversibile le forze della rivoluzione alla controrivoluzione imperialistica. Ed quindi su questo terreno generale che affronteremo la battaglia. Che le cose stiano cos dimostrato ampia21

mente dalla mobilitazione generale che ha coinvolto tutte le forze politiche del vostro fronte (dalla DC ai revisionisti, ai radicali) in una iniziativa unitaria a sostegno delle decisioni dell'esecutivo... ...I REVISIONISTI vogliono che il "processo" si celebri ad ogni costo e a Torino, per dimostrare a cani e porci l'efficacia del loro modello controrivoluzionario e la loro capacit di mobilitare la classe operaia e le classi intermedie a sostegno dello Stato imperialista. Cos abbiamo assistito, in questi ultimi giorni, alla campagna isterica e forcaiola che essi hanno scatenato ricorrendo alla squallida attivazione di tutti gli organismi da loro controllati (dalla Regione alla FGCI) per mobilitare la nuova MAGGIORANZA SILENZIOSA. Di questa operazione, in cui la burocrazia revisionista si fatta Stato imperialistico, a tutti apparsa chiara la sostanza: dividere il proletariato e attaccare con tutti i mezzi le sue avanguardie. Ma la mobilitazione che doveva essere di massa, nonostante i suoi contenuti terroristici-ricattatori-polizieschi, non riuscita a coinvolgere che una minima parte della classe operaia, della piccola borghesia e dei cosiddetti "ceti medi". Le migliaia di firme in tutta la regione sono un trucchetto da prestigiatori... ...I RADICALI. Se il "caso" ha voluto che una militante radicale fosse sorteggiata per far parte della giuria speciale, la scelta politica cosciente di farne parte stata del tutto razionale. L'infortunio dei radicali , a suo modo, emblematico e patetico: dopo aver abbaiato contro il regime e le "leggi speciali", al momento del bisogno sono corsi a puntellare il pi speciale dei tribunali! In questo affanno generale, anche loro non hanno perso l'occasione di "farsi Stato imperialista". L'ideologia radical-pacifista svela qui fino in fondo il suo carattere borghese e reazionario: chi disarma le masse non pu che finire per armare la controrivoluzione. Le mimose non ingannano pi nessuno!... ...GLI AVVOCATI. Non siamo qui per difenderci e non abbiamo bisogno di difensori. REVOCHIAMO PERTANTO IL MANDATO AI NOSTRI AVVOCATI DI FIDUCIA E RIFIUTIAMO QUALSIASI IMPOSIZIONE DI AVVOCATI DI REGIME. Nessuno pu ragionevolmente pensare di ostinarsi a proseguire per questo vicolo cieco senza incontrare la pi dura risposta del movimento rivoluzionario... Sul momento - naturalmente - rifletto solo sul pezzo concernete i radicali, anche perch istintivamente ho la tentazione di replicare. Il loro linguaggio mi pare rozzo quanto lo l'analisi. Dei radicali hanno capito poco o nulla: poco della concezione del diritto, nulla della nonviolenza ("disarmo delle masse"). Quando mi sento dire di aver abbaiato contro le leggi speciali e di essermi adesso "fatta Stato imperialista" mi vien voglia di rispondere che noi le leggi speciali tentiamo di abrogarle, mentre le loro azioni costituiscono per il regime il miglior spunto per vararne altre. Dal linguaggio ho la conferma di opinioni gi formate: il loro modo di porsi una sintesi di stalinismo e di cattolicesimo, con una visione dei rapporti umani e sociali basata sull'intolleranza e sull'indisponibilit al dialogo, al centro una forte e retorica mistica della morte e del sacrificio. I valori che - direttamente o indirettamente - ascolto propagandare non mi trasmettono nulla di nuovo; l'unica parte interessante del comunicato pu essere quella relativa alla "raccolta delle firme", alla quale non a caso essi si appigliano. Le accuse e le minacce alla giuria e agli avvocati sono pesanti: un messaggio da passare all'esterno, attraverso i mass-media? Perch questi "militanti rivoluzionari", cos "rigorosi e attenti", non si chiedono come mai i mass-media del regime riservano loro spazi di informazione enormi? Il presidente incomincia a chiamare i giurati: mentre attendo il mio turno sento che accanto a me qualcuno dice che "s, accetter perch bisogna condannarli. Anzi bisognerebbe condannarli a morte": decido subito di chiederne l'allontanamento dalla giuria, ma non sar comunque chiamato a farne parte. La giuria popolare deve essere una garanzia in pi di equit e di controllo nel processo, non pu essere
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formata da persone di parte e che hanno opinioni preconcette: il giudizio dovrebbe maturare fondandosi sulla conoscenza dei fatti che si acquisisce durante il dibattimento. La base di partenza la presunzione della innocenza, fino a prova del contrario: su questo indispensabile essere rigorosi, da subito. Accetto per nona, ripetendo la formula del giuramento. Ma sono fra i giurati supplenti: non so ancora se ho la possibilit di partecipare alle camere di consiglio e alle discussioni, la cosa controversa, non c una disposizione precisa. Il presidente chiarir subito che lui intende far partecipare tutti i giurati alle discussioni e alle decisioni - fatto salvo il diritto di voto - fino alla sentenza. La responsabilit minore, per la possibilit di controllo e di intervento durante il processo garantita: era quanto pi mi preoccupava, dover dare nei fatti una copertura alla giuria senza poter incidere e intervenire. Mi seggo dietro il presidente, da dove pi facile parlargli anche durante le udienze, e mi guardo intorno. Gli imputati sono nella gabbia, anzi nelle due gabbie ed quasi impossibile vederli, perch sono circondati da un cordone di carabinieri. Sono molto impressionata, e non potrebbe essere diversamente. Ho la percezione soffocante della privazione della libert, anche minima, anche dei movimenti pi inoffensivi o innocenti. Tutto appare assurdo, a cominciare dallo schieramento di forze dell'ordine all'interno di un'aula nella quale a stento riescono ad accedere persino i parenti: una manifestazione di impotenza e di paura, una esibizione plateale di inutile forza, un modo subdolo di vendere all'opinione pubblica un'immagine di "mostri", "criminali" che mai debbono apparire normali, esseri umani. Altrimenti la gente potrebbe porsi interrogativi, magari scomodi. Questi imputati non sono processati per assassinio o per strage, e non a caso l'opinione pubblica lo ignora e lo continuer ad ignorare per tutto il processo. Gli imputati appaiono tranquilli, ridono molto, cercano volti familiari in mezzo al pubblico, si esibiscono alla stampa e ai fotografi, consapevoli che da oggi si apre per loro la possibilit di rompere l'isolamento in cui vivono da mesi, usando i mezzi di informazione come canale di trasmissione, sia pur stravolto, del loro messaggio politico. E' ovvio che si prestino al gioco, cercando di usufruire della ribalta del processo. Il comportamento dei giornalisti si adegua perfettamente a questa necessit: non si perder occasione, durante il processo, per calcare la mano, spesso mistificando, sui comportamenti degli imputati. I fotografi sono scatenati: arrampicati gli uni sopra gli altri, sembra veramente che abbiamo l'occasione storica di fotografie il ciclope o l'ultimo esemplare di Neanderthal. Intravedo in mezzo ai carabinieri il volto di Curcio, quello che mi pi noto: gli latri imparer a conoscerli nel corso del precesso: per ora sono volti senza nome. Sono uomini: ma chi sono? Qual stata la loro vita, al di l delle biografie ufficiali che la stampa ci propina con un taglio tutto particolare? Cosa significa vivere per anni nella clandestinit, limitando la propria individualit, la propria esistenza, i propri rapporti ad un cerchio ristretto di persone? Cosa significa non vivere in mezzo alla gente? E da quali esperienze politiche provengono? Come si passa da una militanza politica aperta alla scelta dei mitra? Alla fine la giuria formata, la corte si ritira in camera di consiglio: il presidente chiarisce le funzioni di ognuno, in particolare dei giurati supplenti. Dice che ci sono ancora dieci avvocati d'ufficio da nominare, che non sar facile, lui ne ha preventivamente consultati molti, ha gi ricevuto cinquanta rifiuti (adesso capisco la sua battuta il giorno della mia accettazione), molto polemico e d la sensazione di sentirsi solo, lasciato solo a portare il carico e le responsabilit di questo processo. Cerchiamo dieci avvocati, vengono nominati in aula e si rinvia l'udienza alla mattina successiva. Ho la sensazione che Barbaro tiri un sospiro di sollievo. Esco con gli altri giurati, ripercorrendo all'inverso tutto lo schieramento dei mitra: nel cortile ad ogni
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giurato si affianca - con mio stupore - un carabiniere con il mitra spianato, le macchine degli avvocati e dei giurati partono seguite a ruota da un'altra macchina con una media di tre mitra ognuna. Mi fermo a guardare la scena, chiedendomi che razza di vita possa essere quella degli "scortati"; sempre, a piedi o in macchina, seguiti da gente armata: addio all'allegria di camminare fra la gente, uno tra i tanti. Mi sembra folle. Mi avvio da sola fuori dal recinto che blocca la strada-posteggio riservata a questa nuova specie di vigilati speciali: al di l delle transenne mi aspettano i compagni. Mi abbracciano. Con loro mi avvio alla ricerca di un taxi, ma sono letteralmente aggredita dai fotografi, che quasi impediscono di camminare; contemporaneamente mi scattano intorno agenti in borghese e carabinieri: mi innervosisco, accelero il passo cercando di farmi largo. Da un gruppo di tre o quattro donne, parenti o compagne degli imputati, partono insulti: mi fermo interdetta, la tentazione quella di avvicinarmi e parlare, ma so che inutile. E' un episodio che mi fa male. I compagni mi raccontano che entrare in aula era quasi impossibile, il pubblico al 90 per cento era composto di agenti in borghese; i parenti hanno avuto grosse difficolt e cos pure l'afflusso dei giornalisti stato molto rallentato dai controlli. Finalmente trovo un taxi: vado a casa, dove rester tutto il giorno. Mi cerca un giornalista della "Stampa" ma non ho voglia di rilasciare interviste. Forse ho bisogno di stare un po' tranquilla, per prender fiato, dopo tutte queste ore. A pranzo vengo a sapere che un "commando" delle cosiddette "formazioni comuniste combattenti" ha occupato nella mattinata la sede di Radio Radicale di Roma, trasmettendo un delirante comunicato contro il processo. Chiedo subito notizie di Carlo Couvert, il compagno che stato imbavagliato e legato sotto la minaccia di una pistola. Mi dicono che sta bene, che ha superato lo choc, che gli autori dell'azione erano molto giovani e piuttosto insicuri. Mi chiedo a cosa possa preludere questa azione diretta, ma sono ancora troppo psicologicamente occupata dall'atmosfera del processo per avere paura. E' strano (e me ne rendo conto) come la paura sia alienata in un unico, grigio, surreale mondo che del tutto staccato e lontano dalla vita di tutti i giorni. La sera, dormiamo ancora nell'alloggio in collina, la mattina uscendo notiamo una macchina della polizia nelle vicinanze.

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6. LA PROSSIMA SAR ADELAIDE AGLIETTA Venerd 10 marzo alle 9 sono alla caserma Lamarmora. Quando arriva un capitano mi informa dell'assassinio del maresciallo Berardi. Il luogo mi sembra ancor pi tetro. I carabinieri sono tesi e sconvolti. Chiedo chi fosse questo maresciallo, perch proprio lui. Apprendo che aveva fatto parte per alcuni anni del nucleo antiterrorismo, quello che ha arrestato Ferrari. Da due anni aveva un incarico tranquillo nella zona di Porta Palazzo. Aveva cinquantatr anni. Sono sommersa dall'angoscia e dall'impotenza, travolta dal clima, dall'atmosfera di morte che fatti come questi riescono a creare: mi ribello a questa delirante, pazzesca logica. Quante volte lo abbiamo detto: cos si fa il gioco del potere, si asseconda il regime, col suo bisogno di un antagonista violento per continuare a legittimare la propria violenza. Sono invasa da una grande tristezza di fronte a tutto ci, che altro non che la negazione della speranza, dell'ottimismo, del dialogo, della serenit, e quindi anche del diritto fisico alla vita. Il tutto certamente si ripercuoter sul processo, aumenter la tensione, si rifletter sugli e contro questi imputati. Mi avvicino agli altri membri della giuria, con la curiosit di capire chi sono, cosa fanno, cosa pensano. Non il giorno migliore, sono tutti sconvolti dall'assassinio di Berardi e non appaiono loquaci: apprendo che due di loro sono operai, le tre donne sono impiegate, uno pensionato, due lavorano nel settore assicurativo, uno ferroviere, uno antiquario ed uno procuratore legale. Dai discorsi che fanno sull'estrazione, sulle reazioni dei familiari e dei conoscenti, sulla scorta, sui giornalisti mi sembrano, almeno alcuni, molto preoccupati dei riflessi di tutto questo sulla propria vita, vista e vissuta per soprattutto attraverso i giudizi della gente. Uno dei due operai e il ferroviere parlano della loro speranza di capire, attraverso questo processo, le ragioni sociali e politiche che hanno provocato le scelte degli imputati. Mi chiedono che cosa ne penso, se sar possibile almeno che questo processo sia un momento anche di dibattito sul fenomeno del terrorismo e sulle ragioni che l'hanno fatto nascere: rispondo che, conoscendo i mezzi di informazione, credo che tutto ci sar molto difficile. Siamo interrotti da Barbaro (scuro in volto, penso per l'accaduto): appena saputo dell'assassinio ha telefonato alla moglie. Nel corso del processo scoprir che perennemente in contatto telefonico con la moglie. Sei avvocati hanno accettato, fra cui alcuni miei amici di vecchia data: ne dobbiamo ancora trovare quattro. Segnalo a Barbaro le difficolt di accesso all'aula verificatesi il giorno prima e gli chiedo intervento. Ripropongo poi il problema del superfluo schieramento di carabinieri in aula, che oltretutto impedisce la vista degli imputati: credo che pi che mai la pubblicit del processo vada garantita. Si apre l'udienza, i sei avvocati accettano: accettano anche gli avvocati Bianca Guidetti-Serra e Zancan che erano incerti fino all'ultimo, essendo gi impegnati per la difesa di fiducia di altri imputati. L'assassinio di Berardi ha vinto ogni resistenza. Barbaro ne nomina altri quattro. Protesto con Barbaro perch sono civilisti, e come tali non danno buone garanzie di difesa. Glielo faccio nuovamente notare all'uscita, dopo che l'udienza rinviata. Uscendo, mi fermo a salutare alcuni degli avvocati nominati il giorno prima. Sono tutti molto sconvolti dagli ultimi avvenimenti. Uscire dall'aula, dall'edificio e da quell'atmosfera d un senso di liberazione. In strada sono nuovamente inseguita dai fotografi fin dentro il bar, dal quale chiamo un taxi: alcuni giornalisti mi aggrediscono, li mando a quel paese dopo che uno mi chiede se ora, dopo l'assassinio di Berardi, ho pi paura. Sono talmente legati al loro mestiere, da non capire che la portata, la riflessione, e le reazioni a fatti come questi vanno molto al di l
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della dimensione individuale. Il bar si riempito di facce strane: tutti agenti in borghese. Me lo confermano Giovanni e Paolo che stando nell'aula li hanno ormai individuati. Vado a pranzo con mio padre che, dietro a una apparente calma, mi pare preoccupato e teso: per tutto il primo periodo del processo mi sembrer provare sollievo solo quando mi ha fisicamente davanti. Il non vivere insieme nei vari momenti della giornata penso che gli crei ansia. Poi vado a casa, dalle bambine che non vedo da due giorni. Arrivando incontro un inquilino che mi fa le sue "congratulazioni": gli rispondo ironicamente, non mi sembra l'espressione pi felice. Trovo mio marito con una faccia strana; le bambine mi travolgono in un abbraccio. Francesca mi pare irrequieta, va e viene ininterrottamente, scorbutica, risponde a monosillabi e sgarbatamente. Resto sola con mio marito che mi chiede "cosa ne penso". Dell'assassinio di Berardi? "Non solo - replica - della minaccia nei tuoi confronti". In mattinata una telefonata all'Ansa, che rivendicava l'assassinio di Berardi, aveva aggiunto: "State attenti a Maria Adelaide Aglietta, la prossima sar lei. Colonna Walter Alasia". Resto muta: mi si chiusa la gola. Suona il telefono: Giovanni che ha saputo il tutto da una telefonata ricevuta a mezzogiorno da mia madre, mi dice di chiamarla perch sconvolta. Anche lui non mi pare da meno: gli dico di sentire i compagni di Roma, cosa che ha gi fatto, e che ci vediamo pi tardi a casa di Elena. Mia madre abbastanza agitata, vuole ritornare a Torino: le dico che non serve a niente e che comunque di telefonate di questo tipo, fasulle, che rivendicano o minacciano, le agenzie ne ricevono in questi casi decine e decine. Cerco insomma di tranquillizzarla, assicurandola che le telefoner pi spesso. Mi raccomanda di stare attenta. A che cosa? Chiedo a mio marito se le bambine hanno sentito la televisione: dice di no. Mentre Alberta se ne andata a giocare in giardino, Francesca stranamente rimasta in camera sua. La raggiungo per vedere che cosa le stia capitando. Scoppia a piangere: ha sentito la televisione, senza che mio marito se ne potesse accorgere ( sempre attentissima a cogliere il mio nome), ed sconvolta. Me la prendo in braccio, nonostante sia quasi alta come me, e parliamo a lungo. Le spiego che una telefonata non vuole dire nulla, che probabilmente la bravata di un esibizionista: comunque non bisogna lasciarsi prendere dal panico. Capisco che il discorsetto si fa un po' pedante, ma insisto a spigarle che non si pu scappare via, e che se si crede nella nonviolenza non ci si pu far complice di chi violento, soprattutto quando questo ti spingerebbe a sottrarti alla tua coscienza. Poich sono sicura che siamo noi ad avere ragione, non alcun problema ad andare avanti. La lascio che in po' pi tranquilla. L'angoscia sta invece invadendo me: mi fermo mentre scendo in citt (da dove abitano le bambine la si vede tutta) e penso che l in mezzo c qualcuno che ha deciso di ammazzarmi. Ci che pi mi angoscia non la cosa in s, ma il fatto di non poter parlare con questo o con questi, il fatto che lo abbiano deciso senza conoscermi, senza saper nulla della mia storia, delle mie motivazioni; la negazione del dialogo, del confronto. E' questa la vera violenza, peggiore di quella fisica. Troppo spesso, senza rendercene conto, nei nostri rapporti di tutti i giorni siamo colpevoli di questa violenza, quella che deriva dall'omettere - per vigliaccheria, per presunzione, per timidezza, per pigrizia - di parlarsi, di dirsi le cose, di ascoltare quello che ci viene detto. Questo sentirmi muta e mutilata dei miei pensieri e di quelli altrui mi far star male. Rester cos, sotto choc, tutto il giorno e in quelli successivi. Ogni tanto mi assalir, ma molto raramente, la paura fisica, il tentativo immaginare come si svolger la cosa: me ne render conto, riconoscer chi mi sparer? Ma la mia angoscia pi per chi resta che per me: come reagiranno le bambine? Sar un odio irrazionale o riusciranno a liberarsene, per riconfermare i valori che ho cercato di trasmettere loro? Ed il partito della nonviolenza, i compagni con cui
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ho condiviso speranze di cambiamento, scelte di vita, lotta politica, scioperi della fame, con cui ho condiviso spesso il tetto, i pasti, a cui sono legata da un sentimento di solidariet basato sui fatti e non sulle parole, come reagiranno? Non entreranno individualmente, se non politicamente, in crisi? Questi interrogativi angosciosi mi perseguiteranno per alcuni giorni e mi lasceranno un segno anche nei mesi successivi: la realt che sono entrata direttamente e personalmente in collusione con la strategia della violenza. Ci devo passare attraverso, e non facile. Ogni giorno tutti ci scontriamo con la violenza, quella di regime, dell'informazione, del potere, quella del silenzio, e siamo troppo spesso a nostra volta, anche senza rendercene conto, o conniventi o violenti. Mi ritorna alla mente il 12 maggio in piazza Navona, i volti e le armi degli agenti in borghese, la sentenza della Corte costituzionale, la RAI-TV, gli incontri con uomini come il direttore del TG2, Barbato. Sono state esperienze non meno cariche di violenza di quella odierna: ma questa scoperta, non mascherata, si rivolge a me, direttamente. Un'altra esperienza terribile mi dominer in questi giorni: la dimensione del sospetto. Per giorni vivr (proprio io che caratterialmente mi sono sempre distinta per l'incapacit di diffidare, fino a prova contraria, di chicchessia) guardando con sospetto le persone che incrocio per strada, diffidando di ogni scampanellata alla porta, di qualsiasi rumore. Sono dimensioni in cui non riesco proprio a vivere: infatti questo non vivere ma sopravvivere; anche per le persone che mi sono intorno, che mi amano, che amo. Quando i sindacati, dopo il rapimento di Moro, inviteranno i lavoratori ad esercitare sui posti di lavoro una sorveglianza (naturalmente "democratica") rispetto ai loro stessi compagni, avr una reazione molto dura, proprio di chi ha appena superato un atteggiamento di quel genere. Anche loro, dunque, partecipi di una follia che investe quasi tutte le forze politiche e istituzionali, auspicheranno una societ fatta di spie e di spioni, fondata sul sospetto e sulla delazione, valori "chiave" sui quali uniformare rapporti sociali e interpersonali. Questa perdita collettiva dei dati di ragione, espressa sia dalle dichiarazioni di alcuni grossi leaders politici sia dai provvedimenti anticostituzionali imposti al paese, non sar - di fatto - la prima vera vittoria delle Brigate Rosse? Mi muovo e raggiungo i compagni; mi metto in contatto con Roma: su iniziativa di Emma Bonino viene lanciato e reso pubblico un appello di donne democratiche contro il terrorismo. Dobbiamo dire chiaro e forte che il terrore come arma politica, l'uccisione del maresciallo Rosario Berardi, le precise minacce di morte ad Adelaide Aglietta e quelle generiche a tutti i giudici della Corte d'assise di Torino, da chiunque siano state fatte, Brigate Rosse o altri, non ci appartengono come donne e femministe, non appartengono alle tradizioni del movimento di liberazione di tutti gli oppressi, non appartengono alle speranze delle masse femminili e maschili in lotta per una societ a misura di persona. La violenza indiscriminata, il terrorismo, il farsi giudice e boia della vita altrui, sono sempre stati metodi adottati dagli Stati autoritari, dai potenti, dai fascismi e nazismi per imporre la propria autorit contro il popolo. Per queste ragioni esprimiamo tutto il nostro orrore, sdegno e condanna per la minaccia ad Adelaide Aglietta che in questo momento, al di l delle nostre differenze, ci rappresenta tutte, come donne, come democratiche: colpire Adelaide Aglietta o le altre donne che come giudici o come difensori affrontano questo processo, significa colpire oggi le lotte che ognuna di noi, nelle case, nelle strade, nelle piazze, nelle carceri, nei tribunali, nelle istituzioni ha portato avanti in prima persona; significa divenire oggettivamente boia e mandante proprio di coloro che si vorrebbe colpire. Non diversa condanna esprimiamo per minacce rivolte agli altri giudici, avvocati, testi del processo di Torino. Per queste ragioni, denunciamo con la massima forza e convinzione il comportamento delle Brigate Rosse e del27

le altre simili sospette organizzazioni che ancora una volta vorrebbero espropriarci delle lotte che ognuna di noi conduce, costringendoci a difenderci non solo da una societ e da un regime maschiliste e autoritari, ma proprio da coloro che si dicono rivoluzionari e che invece perpetrano nei confronti della gente tutta la peggiore delle violenze. Per queste ragioni rivolgiamo un appello a tutte le donne perch si stringano attorno alla compagna Adelaide Aglietta e alle altre donne che come giudici o come difensori affrontano questo processo, nella difesa della loro autonomia, della loro vita, delle comuni speranze di liberazione oggi messe in discussione non solo dallo Stato ma da uomini che si fanno Stato, giudici, vendicatori e giustizieri. Petra Krause, Franca Rame, Giancarla Giacomini, Camilla Cederna, Carla Rodot, Bianca Toccafondi, Paola Pitagora, Dacia Maraini, Annamaria Mammoliti, Lisa Foa, Natalia Aspesi, Tina Lagostena Bassi, Elisabetta Rasi, Emma Bonino, Adele Faccio, Fiamma Mirestein, Lea Cicogna, Anna Proclemer, Edith Bruck, Anna Maria Mori, Ada Viani, Pia Levi, Fernanda Pivano, Lara Foletti, Bimba De Maria, Chiara Beria, Silvana Bevione, Gigliola Iannini, Serena Zoli, Anna Bartolini, Adriana Mulassano, Liliana Cavani, Livia Pomodoro, Rossana Rossanda, Paola Fallaci, Elvira Badaracco, Gabriella Luccioli D'Amore, Movimento di Liberazione della Donna (M.L.D.) Nessun giornale, "Lotta Continua" a parte, ne d notizia. Mi arrivano parecchie telefonate di compagni: Paolo, Giovanni ed Elena non mi lasceranno per tutto il giorno. Mi sembrano tutti, al di l delle apparenze, assai allarmati. Parlo a lungo con Gianfranco Spadaccia, cerchiamo di capire che cosa si potrebbe fare: si parla di una mobilitazione e quindi anche di una esposizione "fisica" di tutti i radicali con il loro messaggio di nonviolenza e di civilt. Anche lui, nonostante l'apparente calma, mi pare preoccupato ad ancora di pi lo sar dopo il comunicato n. 9 degli imputati. Mi conferma che arriver a Torino la sera seguente, raccomanda di telefonargli subito le reazioni degli imputati in aula, il giorno dopo. Nel frattempo abbiamo parlato con l'Ansa, l'agenzia alla quale arrivata la telefonata: pare che non sia una cosa da prendere sul serio. Verso sera mi riferiscono, al partito, che mi hanno cercato dalla questura. Non richiamo. Cerco di capire un po' le cose: ci che mi preoccupa e mi impaurisce di pi sono le azioni improvvisate di qualche gruppo, come quello che il giorno precedente ha fatto irruzione a Radio Radicale. In questo momento, per chiunque creda nella lotta armata e nella strategia violenta con pi o meno convinzione, con pi o meno infantilismo, io e con me qualsiasi altro radicale possiamo essere un bersaglio facilissimo, alla portata del gruppo meno organizzato. E al di l di tutto c comunque il discorso di quanto questi gruppi siano indirettamente guidati e pilotati, dell'intreccio, in tutti gli ultimi anni, di terrorismo e infiltrati della polizia, dei carabinieri, dei servizi segreti. E' un humus oramai talmente consolidato che delle sue possibilit, indirizzi, finalit di azione non si vedono i confini. La sera i compagni insistono perch si cambi di nuovo casa.

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GIUSTIZIA PER GIORGIANA MASI, GIUSTIZIA PER IL MARESCIALLO BERARDI

Sabato 11 marzo. Mentre mi reco al processo chiacchiero con il tassista, che mi ha riconosciuto e che oltre ad esprimermi affettuosamente la sua solidariet si lascia andare ad uno sfogo: contesta la militarizzazione assurda della citt, ha parole di esecrazione e di distacco rispetto ai terroristi non riconoscendo loro alcun ruolo politico, giudica criticamente la pagliacciata della crisi di governo e l'azione dei partiti, individua nella gestione corrotta e chiusa del paese da parte della DC, ma anche degli altri partiti, la causa di tutti i mali. Quanto al processo, come del resto mi confermeranno i discorsi di tutti coloro che in questo periodo si fermeranno a parlarne con me, c abbastanza disinteresse. Scorre via come un qualcosa che nessuno sente: in realt i tentativi (soprattutto del PCI a Torino) di imporre la necessit di fare questo processo, in quanto momento di scontro con il terrorismo e di affermazione dello "Stato", hanno avuto come conseguenza l'accentuazione del distacco fra societ civile e istituzioni, per cui questo processo non sentito come un'occasione nella quale importante riconfermare la forza dello Stato di diritto, ma come un momento dello scontro fra due realt ambedue estranee. Alla caserma Lamarmora il capitano addetto alle scorte insiste per affibbiarmene una, lo ringrazio ma non la voglio. Alcuni dei giurati tentano di dimostrare che sarebbe meglio che mi adattassi alla scorta, altri (insieme ad alcuni avvocati) si lamentano di averla e dichiarano di invidiarmi: non riesco a farmi spiegare e a capire perch per loro sia impossibile liberarsene, mentre per me sia stato cos semplice. Mentre aspettiamo l'inizio dell'udienza, chiacchierando ci si conosce fra giurati e si cerca di stabilire un rapporto. Quello che si instaurer nei primi giorni del processo un clima di falsa familiarit, che nasce solo dal rischio comune. Si trasformer poi in un rapporto forzato, innaturale, che sfocer a volte in comportamenti goliardici e di dubbio gusto, come ad esempio l'abitudine di festeggiare con una torta il trascorrere di ogni mese del processo. A questi momenti mi sono sempre sottratta, facilitando forse il crearsi di un lieve disagio fra me ed alcuni giurati. Quello che inizialmente salta gli occhi una prevalenza di luoghi comuni, sia nei comportamenti che nei valori apparentemente scelti come punto di riferimento, con la difficolt quindi di arrivare ad una conoscenza reale delle persone. Per, quel giorno, si avvia anche un buon rapporto con un giurato con il quale, nel corso del processo, riuscir a colloquiare in termini seri: di rispetto delle regole del gioco, della Costituzione, dei diritti civili; e con cui mi ritrover, quasi isolata, a difendere alcuni princpi che ci sembrano fondamentali. Umanamente, molto diverso da me. Appare chiuso in una fatalistica sfiducia negli altri e nella societ, senza margini di speranza nelle possibilit di dialogo, di crescita attraverso il confronto. Questo stato d'animo alla fine del processo avr raggiunto in lui il livello di guardia dell'indifferenza e dell'assenza. Col passare dei giorni capir meglio che una persona chiusa in un suo mondo di imperativi legati a un concetto di Stato di diritto, che lo sorregge quasi in ogni sua azione: crede talmente in questi suoi valori, che alla fine li trasforma in una barriera di incomunicabilit nei confronti di opportunisti e ignoranti. La prima reazione mi sembra giusta, la seconda mi appare invece come un suo limite. In apertura d'udienza, gli imputati chiedono di leggere un comunicato. Mi appunto i passi pi significativi per poi poterli telefonare a Gianfranco, cos come mi ha chiesto. Il "PROCESSO" SI DEVE FARE: questo quello che noi vogliamo! E lo vogliamo per dimostrare che il "processo" alla rivoluzione proletaria NON SI
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PUO' FARE. Infatti, lo scontro che si svolge in quest'aula solo un momento della guerra tra borghesia imperialistica e proletariato metropolitano che polarizza l'insieme degli interessi, delle aspirazioni e dei comportamenti di classe... Ci che sta succedendo a Torino, la citt che avevate scelto per sancire la sconfitta storica della lotta armata, ne una prova: qui, dove la costruzione dello Stato Imperialista delle Multinazionali ha percorso le sue tappe pi significative (da un lato, spingendo la militarizzazione a livelli pi alti e, dall'altro, affidando ai revisionisti il compito del controllo ideologico del proletariato tanto nelle fabbriche quanto nei quartieri) il processo alla lotta armata vi esploso tra le mani. Il mastodontico apparato di uomini e mezzi, questa mostra-spettacolo di "terrorismo di Stato" in cui la funzione militare non riesce a dissimulare quella di guerra psicologica, non ha potuto impedire che un nucleo armato giustiziasse un alto dirigente dei Corpi Antiguerriglia locali. Ci interessa mettere in chiaro che quest'azione non va interpretata come rappresaglia legata direttamente alle vicende processuali. Essa, infatti, piuttosto una vittoria che si inscrive nella linea dell'attacco ai centri nevralgici dello Stato Imperialista, e cio un episodio della guerra di classe rivoluzionaria che travalica le mura di questa caserma, ed i cui effetti si ripercuotono, naturalmente, anche sulle vicende processuali. E del resto, lo stesso scontro politico che qui si realizza proietta i suoi echi su tutto il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo: l'attacco a Radio Radicale di Roma, in seguito al quale un nucleo delle Formazioni Comuniste Combattenti ha mandato in onda un comunicato di lotta, di solidariet e di unit, ne una prova! In questo quadro, emerge con assoluta chiarezza la ragione per cui NON ACCETTIAMO NE' ACCETTEREMO MAI qualsiasi tipo di avvocato di regime... Con l'azione Croce, il discorso non si chiuso, n questa linea di combattimento potr esaurirsi prima della soluzione definitiva della contraddizione antagonistica che ci oppone agli avvocati di regime come pure all'altra componente militarizzata del processo, e cio alla giuria speciale. La risposta del partito immediata: da Roma, appena conosce il testo del comunicato, Gianfranco risponde con una dichiarazione, naturalmente non ripresa da nessun giornale n dalla RAI-TV. L'uccisione del maresciallo Berardi, i comunicati telefonici che ne rivendicano ieri la paternit, il comunicato odierno n. 9, scritto dagli imputati del processo di Torino, esigono una risposta immediata da parte dei nonviolenti del Partito radicale. E la risposta immediata : basta con gli assassinii politici. Giustizia per Giorgiana Masi, uccisa dagli assassini di Stato, ma giustizia anche per il maresciallo Berardi, ucciso dagli assassini cosiddetti rivoluzionari. Gli imputati hanno affermato oggi nel proclama di guerra n. 9 che vogliono che questo processo si faccia. I radicali hanno lottato in Parlamento contro molte delle norme che lo hanno reso possibile. Eravamo contrari a questo tipo di processo perch esso stato concepito come una prova di forza tra coloro che assumono di rappresentare lo Stato democratico mentre rappresentano soltanto lo Stato dei codici Rocco e delle leggi fasciste vecchie e nuove e coloro che assumono di rappresentare la classe e la rivoluzione mentre rappresentano soltanto una folle politica omicida e suicida: gli uni e gli altri impegnati a creare terra bruciata di ogni speranza di democrazia, di dialogo, di nonviolenza. Ma anche noi, ora che stato convocato, volgiamo che questo processo si faccia. Perch solo nella sede processuale possono rivelarsi e discutersi le eventuali irregolarit e illegittimit. E perch riteniamo che ogni assassinio debba essere giudicato. Respingiamo pertanto la minaccia che stata ripetuta oggi nei confronti degli avvocati difensori e dei giurati. Non solo Adelaide Aglietta, ma tutti i giudici e tutti gli avvocati rappresentano non il regime ma la volont popolare di ripristinare la convivenza civile e il diritto contro la logica del terrorismo. La loro prova, in questo,
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anche la nostra. Come nonviolenti che hanno saputo affrontare con la loro disubbidienza civile la violenza dello Stato e delle istituzioni non rimarremo inerti di fronte a queste minacce. Invitiamo pertanto sia gli imputati di Torino sia coloro che operano all'esterno del carcere e del tribunale a ritornare sui loro propositi. E' un invito che rivolgiamo con l'umilt di chi non crede che esistano mostri ma soltanto diversi e crede nel dialogo e nella ragione. Ma nel momento stesso in cui chiediamo il dialogo, dobbiamo con fermezza avvertirli che se le loro minacce dovessero giungere a compimento contro qualsiasi giudice o giurato o contro qualsiasi difensore, ci riterremmo impegnati personalmente, quelli di noi che sono avvocati, e gli altri come cittadini ad assicurare lo svolgimento del processo. Si nominano ora i quattro avvocati mancanti, questa volta scegliendoli fra penalisti: fra questi c Maria Magnani-Noya, deputata del PSI. Rinviata l'udienza, riaffronto i fotografi e i giornalisti. Mentre nel bar aspetto un taxi, da sotto il loden di un agente in borghese (travestito da giornalista, e che sta prendendo il caff accanto a me, facendo finta di nulla) si mette in funzione una radio trasmittente: lo guardo ridendo e lui si allontana velocemente. Nel pomeriggio vado al Congresso straordinario del Partito radicale del Piemonte, che si svolge alla Galleria d'arte moderna di Torino. I compagni sono con me molto affettuosi e mi offrono ogni forma di collaborazione, dalla casa ad una specie di scorta nonviolenta, ad ogni altro aiuto possa essere utile. Quando sono in mezzo alla gente mi rendo conto di come la mia sicurezza risieda proprio in questo: riesco finalmente a liberarmi di ogni forma di angoscia e di sospetto. Nel tardo pomeriggio arriva Gianfranco: sono contenta di vederlo, come lui lo di stare con me. Il dibattito si svolge soprattutto su temi interni: il ruolo del partito regionale, delle associazioni, del partito autofinanziato. La discussione ad un buon livello, c consapevolezza della necessit di radicare le lotte nella regione e dell'importanza della nascita delle autonomie regionali. Mi accorgo per di essere abbastanza staccata dal tutto. E' forse la prima volta che mi si manifesta questa difficolt (che aumenter col passare del tempo, fino a mettermi seriamente in crisi) per cui da una parte mi sento emarginata dall'attivit e dalla vita del partito, dall'altra impegnata in una dimensione che non mi abituale e in una esperienza che non condivido con nessuno. Mi sembra quasi di essere spaccata in due, con tempi di recupero di entrambe le dimensioni sempre pi lenti e difficili. Domenica 12 marzo. Le bambine sono andate in montagna per due giorni. Passo la giornata al Congresso e poi, il pomeriggio, con Gianfranco. Cerchiamo di chiarirci le idee, di capire la situazione. Sembra dunque che siamo arrivati ad un confronto diretto con la strategia violenta, alla quale dobbiamo dare una risposta. Ci appare necessario chiarire la nostra posizione con un documento. Purtroppo, nulla che sia radicale ha diritto, ormai, alla cronaca: mai come in questi giorni le nostre dichiarazioni e prese di posizione vengono censurate. Perch qualcosa passi, o si deve far parte della maggioranza, o le si d in qualche modo una copertura come opposizione di comodo, o, infine, si deve sparare, insanguinare il paese. Parleremo alla gente, decidiamo, con i soliti tavolini, con i volantini, i cartelli. Non sar un rischio per i compagni? Per Gianfranco, proprio questo il valore della mobilitazione. Convochiamo una riunione a Roma entro breve per parlarne con loro. Sar presente, perch il processo si avvia ad una pausa di una settimana, per permettere agli avvocati appena nominati di studiarsi gli atti. Luned 13 marzo. Il collegio di difesa formato. Per ultimo viene nominato il presidente dell'ordine degli avvocati, Gabri. In precedenza, aveva accettato, tra gli ultimi, l'onorevole Magnani-Noya. Negli intervalli, parlo con qualcuno degli avvocati che conosco. Scherzano, ma mi sembrano anche preoccupati per
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la loro integrit fisica. Nei discorsi di tutti, rispetto al "bene" della vita, le razioni sono molto diverse, legate alle scelte "esistenziali" di ciascuno. I pi individualisti, i pi attenti ad accumulare "certezze" per il futuro in cambio dei propri "sacrifici", i pi attenti a carriera e famiglia sono quelli, ovviamente, che mostrano maggiore paura. I pi disponibili a vivere senza particolari aspettative o rinvii, quelli che tendono a considerare la propria vita come possibile patrimonio di altri, mi pare ne abbiano meno, di paura. L'udienza riprende, Ferrari chiede di leggere il comunicato n. 10. E' un comunicato stranamente breve: il primo sul problema (che emerger pi volte nel corso del processo) dei colloqui con i vetri divisori. 1. Abbiamo rifiutato questa farsa che voi avevate definito colloquio; chiaro per che noi i colloqui li vogliamo e pertanto la battaglia per ottenerli continua. 2. Abbiamo osservato in quale modo avete infine messo insieme la banda degli avvocati di regime; come gi per la giuria speciale anche gli avvocati speciali sono un'infima minoranza: voi stessi avete dovuto riconoscerlo. 3. La linea politica dell'Organizzazione Comunista Combattente B. R. non lascia alcun dubbio a questo proposito, ed definita in modo inequivocabile dai comunicati 1, 2 fino al n. 9 e dall'iniziativa del Movimento Rivoluzionario. 4. Ora lasciamo questa caserma; restano esclusivamente come osservatori delle vostre attivit contro-rivoluzionarie tre compagni della nostra Organizzazione. Come tutti gli imputati, Ferrari accusato di costituzione di banda armata, e dei sequestri di Amerio e Labate, un dirigente Fiat e un sindacalista Cisnal, oltrech di reati minori. E' rosso di capelli e di barba, impulsivo, direi il pi scomposto del gruppo, pronto ad accettare e creare la polemica, anche pretestuosa. Il PM Moschella gliene offre spunti in continuazione. Durante tutto il processo, Moschella si opporr alla lettura dei comunicati, anche in modo impetuoso. A volte, perde il controllo di s con reazioni quasi isteriche. Conclude spesso chiedendo, talora senza fondamento, l'espulsione dall'aula degli imputati. Non capisco ancor oggi se questo comportamento gli stato imposto dal ruolo, o se gli stato dettato dal carattere. Forse per un processo come questo sarebbe stata necessaria una persona pi equilibrata. Molte volte protester apertamente contro il suo atteggiamento. Spesso, anche le argomentazioni giuridiche che il PM porta sono di difficile comprensione: le espone in forma aulica, contorta, persino nella forma. Gi in questa occasione esplode la polemica. Barbaro cerca di mediare tra le diverse posizioni, di sdrammatizzare. Moschella reagisce di fronte agli imputati che accusano, che definiscono "una farsa" i colloqui con i familiari perch si svolgono ancora attraverso i vetri divisori. E' la denuncia di un arbitrio (che ritorner puntuale durante tutto il processo) condivisa dalla giuria e dal presidente. Questi cercher, con le sue ordinanze, di sbloccare la situazione, concedendo agli imputati di parlare con i parenti negli intervalli del processo. Ferrari definisce i difensori d'ufficio "banda degli avvocati di regime", e la giuria una "giuria speciale": Moschella salta su per chiedere il suo allontanamento dall'aula. Ferrari annuncia che gli imputati abbandonano l'aula, lasciando tre "osservatori". Non riesco a capire perch per certe frasi, che ormai suonano come puramente rituali, si ostacoli la lettura dei comunicati. Tra le righe, anche da questi si possono ricavare spunti difensivi ad atti giuridicamente rilevanti, utili per la giuria. Mi pare discutibile anche la trovata di non far parlare gli imputati, ma di allegare poi agli atti i comunicati; in tal modo si crea solamente tensione in aula. Il presidente d lettura della relazione riassuntiva dei fatti, delle imputazioni, dei reati contestati, dello svolgimento delle indagini. Per quanto riesco a capire (e la sensazione mi sar confermata dalla lettura delle ordinanze di Caselli e del tribunale di Milano) la situazione resa complessa dall'unificazione
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di tre processi legati tra loro unicamente dal richiamo all'articolo 306 del codice penale (costituzione e partecipazione a banda armata). Un fatto che Barbaro sottolineer spesso, nel corso del dibattito, con toni anche pi che polemici. L'istruttoria tutta indiziaria, si fonda sulle "prove" trovate nei covi, che dimostrerebbero l'apparenza delle singole persone alle BR, e molto raramente su dati concreti, di partecipazione ai fatti contestati. Ancora pi imprecise alcune imputazioni rivolte a protagonisti minori: ad esempio, una delle prove ricorrenti, contro l'uno o l'altro, quella di aver avuto documenti o volantini delle BR. Ma, a parte qualche caso, tale materiale reperibile nelle case di centinaia di persone. Abnorme anche l'imputazione di appartenenza a banda armata per chi ha scritto sul muro (ma neppure la testimonianza attendibile) "W le Brigate Rosse", con la vernice spray. Un tale coinvolto nel processo perch, durante la perquisizione di un ristorante, frequentato da militanti delle BR, stato trovato in possesso di un coltello: assurdo. Dopo la relazione di Barbaro, l'udienza rinviata. Passo da casa, a salutare le bambine. Le trovo di buon umore, con una bella faccia abbronzata. Mi domandano del processo, anche se, ovviamente, la cosa le interessa poco. Credo che, attraverso queste domande, cerchino di conoscere il mio stato d'animo. Mi trattengo con mia madre ( arrivata a Torino), che appare commossa e soprattutto pi tranquilla proprio perch ha occasione di vedermi. Cerca di insinuare qualche dubbio sulla mia partecipazione al processo e di capire se c una qualche eventualit che me ne tiri fuori. La sera parto per Roma, con un senso di sollievo. Andar via da Torino significa allontanarmi da un'atmosfera pesante, dalla "fisicit" del processo, dal sospetto e dalla pura; e quindi avere pi possibilit di ragionare in modo staccato e disteso. Marted 14 marzo. Arrivo a Roma di primo mattino. Mi pare di tornare a vivere, di uscire da un incubo. Corro a casa in via Giulia. L'avevo presa insieme ad Emma, all'inizio dell'anno, prima di decidere la sospensione delle attivit nazionali del partito. Praticamente non ci ho mai vissuto, se non in queste rapide corse a Roma. Trovo Emma che sta uscendo per portare Rugiada all'asilo prima di andare in Parlamento. La raggiungo pi tardi nella sede del gruppo, in via Degli Uffici del Vicariato. Abbraccio Marisa e Mauro, parlo con Roberto. Sto a Lungo con Peppino Calderisi, che si assunto pressoch da solo il compito di coordinare le iniziative per la difesa dei referendum: da ingegnere idraulico si trasformato in una specie di ingegnere costituzionale, come ironicamente dice (ma con molto affetto e stima) Mauro. Sono felice di stare di nuovo con questi compagni, che a largo provano le stesse emozioni nei miei confronti. Marco Pannella ha scritto un articolo per "Panorama", chiaro e significativo: Gi lo dicemmo subito, all'inizio di questa vicenda. Se hanno deciso di sparare, di ammazzarci, s'accomodino. Non rischieranno nulla, o quasi nulla, i boia che si credono giustizieri e rivoluzionari. Le vittime saranno inermi. Non acquisteremo armi o armati per difenderci. Non tollereremo che l'assassino impunito di Giorgiana Masi faccia rischiare vite di agenti di PS o di CC o dei servizi speciali per proteggerci. Non muteranno il corso delle nostre vite o delle nostre lotte, nemmeno in questi giorni. La semplice minaccia della morta avrebbe gi altrimenti colpito la nostra vita, spegnerebbe di gi quello per cui l'assassinio stato decretato. Non accetteremo, insomma, l'alternativa di essere assassinati o assassini: poich non pu che generare e legare altro che morte, una vita simile gi persa, per rivoluzionari autentici, libertari, socialisti, umanisti quali sono i nonviolenti del Partito radicale. E noi siamo tutt'altro che vinti. La nostra forza non cessa di crescere. Siamo sempre una componente essenziale e vincente dell'alternativa socialista. Se le Brigate Rosse hanno deciso di assassinare Adelaide Aglietta, o chiunque
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di noi radicali, nei prossimi giorni, lo faranno. Ne siamo pienamente consapevoli cos come ne sono pienamente consapevoli e responsabili i giornalisti, i politici e gli amministratori della RAI-TV, che concordano con questa eventuale scelta delle Brigate Rosse, e hanno per questo rifiutano di rimuovere le cause della scelta di Adelaide Aglietta come vittima di turno e di prestigio. Se accadr qualcosa dimostreremo a qual punto questi rapinatori di verit, questi teppisti e brigatisti del video non si imitino ad ammazzare moralmente e quotidianamente democrazia e legalit repubblicana ma concorrano attivamente a liquidare anche fisicamente ogni opposizione nonviolenta e civile. A qual punto abbiamo, loro, gi sparato contro Adelaide. La RAI-TV, come il potere, ha bisogno di "brigatisti rossi" e di radicali nei giornali radio e nei notiziari televisivi: ma i primi li vuole assassini, i secondi assassinati. Vivi siamo pericolosi e ci si deve abrogare un po' ogni giorno con la censura, con la denigrazione: come i referendum. Il governo e la maggioranza hanno bisogno di "rappresentare" anche noi, vogliono davvero l'unanimit. Cossiga che - sostenuto dal PCI commemora in aula Giorgiana Masi, accusando noi della responsabilit morale della sua morte e gli "autonomi" (che aveva mandato lui) della responsabilit pratica, costituisce un momento perfettamente emblematico della vicenda politica italiana. DC, PCI e Brigate Rosse temono insieme in "partito armato" della nonviolenza. E' l'unico, da quasi vent'anni, che ha vinto battaglie democratiche e civili e che ha scosso alle fondamento il regime. Non sono ancora affatto sicuro che anche questa volta gli "autonomi" delle Brigate Rosse siano davvero autonomi da servizi segreti nazionali e internazionali. Se invece lo sono, non sono certo che abbiano voglia e che ritengano giusto di dedicarsi al tiro al piccione contro di noi; vedremo ben presto, comunque... Non la prima volta che Adelaide rischia letteralmente la vita contro la morte della giustizia, di altri, di noi e di se stessa. Viviamo da sempre insidiati e colpiti dalla violenza delle istituzioni e da quella che ne consegue nella societ. Abbiamo sempre sostenuto che chi assassina legalit prepara stragi e massacri, chi sequestra e rapina verit, democrazia, onest, diritto e diritti, che lo faccia in nome della Chiesa, dello Stato, del partito, che sia clericale, fascista o stalinista, alla radice del disordine e della catastrofe. Contro costoro abbiamo sempre lottato. La gente sappia che nei nostri corpi e nelle nostre esistenze, a cominciare da quella di Adelaide poich di lei oggi si parla, digiuni di mesi o digiuni della sete, si sono conficcati lasciando segni e conseguenze certamente maggiori che se fossimo stati feriti alle gambe o in organi non vitali da pallottole. Ogni mese di digiuno sono comunque anni di vita che si bruciano; forse compensati, questo vero, da altri che se ne conquistano o riconquistano con l'amore e la speranza praticati. Scienza, medici, documenti di cliniche non solamente italiane lo dimostrano. Ma la canea ignobile e volgare per cui la denigrazione dei nonviolenti e dei loro mezzi di lotta divenuta una sorta di sport nazionale, per screditare presso la gente, che la destinataria prima di questi civili messaggi, il "partito armato" della nonviolenza. Poich noi non abbiamo al nostro attivi decine di assassinati, ma il divorzio, i referendum, l'obiezione di coscienza, brecce di libert e di liberazione, vittorie in lotte ritenute impossibili; lo stesso odio cieco dei vertici dei partiti responsabili del caos, e tutti sanno che pi ci si isola al vertice pi siamo popolari fra la gente. Decideranno i radicali, nei prossimi giorni. Ma non resteremo inerti, non subiremo alcun ricatto, non lasceremo affatto via libera alla minaccia, alla paura, all'assassinio come metodo di lotta politica e sociale. Non l'abbiamo mai fatto. Se il processo di Torino ha accumulato vizi di nullit o d'altro, evidente che non pu e non deve giungere ad altra conclusione che alla sua fine. Ma se cos non , se si continuasse a minacciare e si colpissero giudici, giurati, avvocati nelle loro esistenze e nei loro dirit34

ti, non v' dubbio che sapremo organizzare a migliaia e migliaia altri giurati, altri giudici, altri avvocati. Faremmo appello alla solidariet militante internazionalista, democratica di classe; passeremmo a organizzare le famiglie delle vittime. Vogliono di nuovo ammazzare Gobetti? Stiano attenti, non pi solo. Nel pomeriggio, fino a sera tarda, partecipo a una riunione: vi sono i compagni della segreteria, compagni di Roma, ma anche compagni venuti da altre citt. Per la prima volta dopo il Congresso di Bologna, che ci aveva diviso avevo avuto l'impressione che volesse evitarmi e addirittura non mi salutasse - interviene a una riunione di partito Massimo Teodori: anche lui mi sembra preoccupato, emozionato e a suo modo affettuoso. Il dibattito, introdotto da Gianfranco, assorbito dalle iniziative pubbliche che il partito deve prendere. L'atmosfera carica di tensione. I compagni sono emotivamente coinvolti nei rischi che posso correre a Torino. Uno di essi, in un intervento in cui esprime molte apprensioni, a un certo punto esclama: "Forse stiamo inconsciamente preparando il sacrificio di un'altra Giorgiana Masi!". Gianfranco non nasconde il proprio fastidio, io faccio gli scongiuri. Nel mio intervento racconto ai compagni la mia vita, le mie emozioni, in questo periodo. Passo poi alle mie impressioni sugli avvenimenti politici, sul nuovo accordo di governo appena raggiunto dai partiti della maggioranza. Ed evoco un interrogativo che mi sono posta spesso in questo giorni: di fronte al comportamento della sinistra, al tentativo di annullare ogni opposizione nonviolenta, alla cancellazione dei referendum, all'eliminazione delle garanzie costituzionali, non esiste il rischio che altre migliaia di persone siano spinte a scegliere la strada dell'opposizione violenta? Quante volte in questi mesi mi sono sentita chiedere: "Avete visto? A che servono le vostre firme?". Il dibattito faticosamente supera le angosce e le emozioni per affrontare il problema di cosa possiamo fare, con i nostri mezzi limitati, in questo periodo per noi difficile. Emma interviene. Ci riferisce del dibattito e dei programmi del gruppo. Fra due giorni il governo si presenta alle Camere. Da quel che si sa, il conclamato programma di Andreotti conosce una sola "emergenza": un serrato impegno parlamentare dei partiti della maggioranza per "far fuori" quattro dei cinque referendum salvati dalla Corte costituzionale. Il gruppo deciso a contrastare con tutti i mezzi, anche con l'ostruzionismo, il disegno della maggioranza. Alla fine decidiamo di convocare per sabato a Torino una riunione del consiglio federativo sul tema "violenza e nonviolenza", e di indire per il luned e il marted successivi due giornate di mobilitazione radicale in questa citt. Strumento di mobilitazione: i tavoli nelle strade e nelle piazze, con manifesti e volantini da distribuire alla gente, appelli e dichiarazioni da far firmare ai cittadini. Perch a Torino? Perch questa la citt dove l'attivit omicida delle Brigate Rosse stata pi virulenta e perch qui si svolge il processo con il clima da "giustizia sommaria" che la maggioranza, intorno ad esso, tenta di suscitare. Alla fine della riunione incontro Mimmo Pinto e Gad Lerner della redazione di "Lotta Continua". Sono venuti per parlare con Gianfranco. Io vado a cena con Giovanni, Giorgio, Mario, Rosa e altri compagni. Questo stato il mio impatto con il processo. Non c dubbio: i primissimi giorni sono stati i pi difficili, ma anche i pi vivi. Ho affrontato con enorme rapidit esperienze, reazioni emotive, riflessioni diverse, contrastanti: un vivere intensamente la realt circostante. In certi momenti mi parso di invecchiare velocemente, di accumulare una stanchezza dalla quale ho pensato di non riuscire pi a riprendermi. I fatti mi sono cascati addosso con tutto il loro peso: inchiodata al processo, impotente, esposta anche fisicamente, ho avuto la sensazione che lo scontro regime-terrorismo avrebbe finito per distruggere quanto il paese racchiudeva di positivo. Per alcuni giorni ho avuto la sensazione di aver perso fiducia e speranza, di dover rimettere tutto in discussione. Il tentativo
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di passare, sempre e comunque, attraverso i fatti, senza tenermene almeno in parte staccata e lontana, mi ha logorata. Poi ho cominciato lentamente e riemergere: come sempre ho confidato nella capacit della gente di valutare, capire e decidere. E cos ho riacquistato, forse senza accorgermene, una forma (magari un po' strana) di serenit.

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8. LA STRAGE DI VIA FANI Gioved 16 marzo. Verso le nove e trenta mi sveglia una telefonata di Emma Bonino che, con voce agitata, mi comunica che stato rapito Moro. Le chiedo se sta scherzando, mi risponde di no e io resto l, con la cornetta del telefono in mano. E' la seconda volta, in poco pi di dieci giorni, che una telefonata mi d notizie gravi, che mi turbano. Accendo la radio e la cronaca dice che quattro uomini della scorta sono stati ammazzati, il quinto grave, all'ospedale. Rivedo davanti agli occhi le facce dei giovani carabinieri, smarriti, di sevizio al processo di Torino. Penso a Moro, al nostro avversario, a colui che destinato al Quirinale, a colui che permea con la sua logica tutta la politica italiana, al "grande logoratore". L per l penso che non possa essere sopravvissuto al massacro. Mi sforzo di analizzare gli avvenimenti: questa volta hanno proprio colpito il cuore dello Stato... la risposta del regime sar una chiusura spaventosa, l'opposizione sar ulteriormente spazzata, non ci ascolter nessuno... E poi: cosa comporter, per il processo, il rapimento di Moro? E se invece vivo, chiederanno lo scambio e dovremo affrontare il problema? Ma chi ha colpito l'uomo pi potente d'Italia? Sono proprio le Brigate Rosse? Come reagiranno gli imputati di Torino? Mi vesto, vado a Montecitorio. Roma tranquilla: all'ingresso della piazza dell'Obelisco mi sfreccia davanti una macchina blu (credo un'Alfetta): riconosco, nel sedile posteriore, Francesco Cossiga. E' stretto fra due agenti, davanti accanto al guidatore ce n' un altro. Mi scatta istintivamente un pensiero: "Anche tu hai assassinato". Al gruppo parlamentare si manifestano chiaramente i primi sintomi di ci che il caso Moro rappresenta: La Malfa chiede leggi marziali e pena di morte, neanche Almirante riesce ad eguagliarlo. Su "la Repubblica" del mattino c un titolo: "L'Antilope Aldo Moro?"; nell'edizione straordinaria la prima pagina, dove a caratteri cubitali si annuncia la strage e il rapimento, identica, solo scomparso il pezzo su Moro. Marco Pannella sbuca dall'ascensore, viene Dal Transatlantico; Antonello Trombadori gli ha urlato contro: "E voi che vorreste abolire il confino! A fil di spada! A fil di spada!". Ecco cosa significa il caso Moro. Richiedo un biglietto per la tribuna di Montecitorio, per assistere al discorso di presentazione del governo Andreotti. I banchi dei deputati sono affollati: molti scorrono i quotidiani, alcuni incredibilmente - sghignazzano. Mi torna in mente il vecchio motto "qualunquista": "Non fare politica, la politica una cosa sporca". Andreotti un po' meno curvo del solito; col rapimento Moro in ballo, oggi si pu permettere tutto: "Il governo intende varare una nuova legge, che possa scongiurare il referendum sulla legge Reale, che oggi sarebbe un referendum pro o contro la criminalit". Vedo Marco, all'estrema sinistra, scattare in piedi e protestare. Ingrao scampanella con veemenza, zittendo i deputati radicali, i quali abbandonano l'aula. Osservo con interesse Andreotti, che sta sornionamente sciorinando tutto ci che da trent'anni si sente dire ad ogni presentazione di un governo alle Camere. Poi fisso i banchi comunisti: Berlinguer impassibile, Pajetta ha il volto - tanto per cambiare - arrogante. Guardo Alessandro Natta, capogruppo del PCI a Montecitorio, e penso alla beffa di sei giorni prima: "l'Unita" del 12 marzo aveva pubblicato una sua intervista nella quale si affermava che avrebbe fatto parte del governo anche "personalit" ed "esperti" graditi alle sinistre. Il giorno stesso Andreotti rendeva noti i nomi dei ministri, tutti democristiani, da sempre intercambiabili alla guida dei vari dicasteri. Quando i comunisti l'hanno saputo migliaia di copie dell'"Unit" erano gi in edicola. Al gruppo parlamentare chiamo Torino: mi dicono che il servizio d'ordine del PCI chiude le saracinesche dei negozi, piaccia o non
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piaccia ai negozianti, e che c un grande concentramento indetto dai sindacati, come ovunque. Stiliamo alcune dichiarazioni. Sia io che Marco Pannella chiediamo che il ministro degli Interni si dimetta; come previsto, una certa gestione del potere e dell'ordine pubblico si rivelata disastrosa per lo stesso regime. Torna alla mente la lucidit di Pasolini: la sinistra ha rifiutato di fare il "processo al regime", e oggi l'intero paese deve assistere al processo farsa di un manipolo di assassini, che tengono in pungo il "potente fra i potenti". Gianfranco Spadaccia analizza le reazioni del "mondo politico" di fronte al crimine: Stato di guerra, pena di morte non sono soltanto le reazioni isteriche di esponenti della classe politica di fronte ad un avvenimento cos grave: sono anche la manifestazione di impotenza di una classe politica e di uno Stato debole e incapace, che non solo non riescono a garantire l'ordine pubblico ma non riescono a salvaguardare e difendere neppure la libert e l'incolumit dei suoi pi alti esponenti. Dopo anni di leggi Reale, di supercarceri, di procedure eccezionali, di leggi speciali, di annullamento delle garanzie costituzionali abbiamo avuto non uno Stato pi forte ma uno Stato pi debole. E' questa la politica che ha portato allo sfascio attuale, sempre pi grave e drammatico. In questo momento come non mai occorrerebbero invece nervi a posto e una classe politica consapevole che soltanto nella legalit e nella ricostruzione e nel ripristino del funzionamento degli organismi essenziali dello Stato possibile uscire dal caos e dalla tragedia in cui si sta precipitando. Le prossime ore, che saranno comunque drammatiche, saranno affrontate, temiamo, nelle peggiori condizioni: con le urla di chi crede di darsi con esse la forza e con nuove dimostrazioni di impotenza e di debolezza. Tornata a casa, accendo la televisione: il Ministero degli Interni diffonde le fotografie di presunti brigatisti: fra questi, il ben noto Pisetta, infiltrato della polizia nell'organizzazione! Mogli e madri dei caduti piangono disperate: come sempre sono quelle che pi di tutti pagano. Per una attimo penso che sia giusto che chiedano vendetta. A letto, un altro pensiero non mi lascia dormire, un pensiero che mi assale solo ora: ipotizzabile uno sviluppo "tedesco" della situazione? Se fra i rapitori e il governo si instaura il braccio di ferro, o se Moro viene ritrovato assassinato, l'ombra di Stammheim e dei falsi suicidi di Andreas Baader e dei suoi compagni non si allungher anche sull'Italia? Se si innescassero meccanismi perversi di questo tipo, la logica della morte e della violenza terroristica o di Stato trionferebbe, facendo terra bruciata di tutto ci o di tutti coloro che rigettano e rifiutano anche solo di avallare una logica fondata sulla forza. La giustizia deve almeno essere tentata, l'unica via attraverso la quale si possano impedire crimini di qualsiasi tipo, l'unico punto di riferimento al quale possano essere affidate le residue speranze di non precipitare nel disastro. Sono dunque molte, e fra loro anche diverse, le ragioni per le quali mi ribadisco che la mia presenza nel processo necessaria. Venerd 17 marzo. La Camera dei deputati discute la nuova normativa per la composizione delle giurie di Corte d'assise. Mauro Mellini presenta l'emendamento per l'abolizione della dispensa della funzione di giudice popolare, dispensa di cui godono i deputati e i segretari di partiti che sono tutti deputati. "Conversione il legge del D. L. sulle Corti d'assise 14-2-78 n.31" (Emendamento a firma Mellini e altri) E' aggiunto il seguente articolo: Sono abolite le lettere b, c, d, dell'art. 29 della L. 10 aprile 1951 n. 287 (1). E' abolito l'art. 12 lettera c della L. 10 aprile 1951 n. 287 (2) Alla lettera b di tala articolo aggiunto: per appartenenti alle Forze Armate (3) si intende, a tutti gli effetti, colui che abbia assunto e presti effettivamente servizio militare alle armi. (1) Sono dispensati dall'ufficio di giudice popolare per la durata della carica: a) i ministri etc... ; b) i membri del Parlamento; c) i com38

missari delle Regioni; d) i prefetti... (2) Non possono assumere l'ufficio di giudice popolare: a) i magistrati; b) gli appartenenti alle Forze Armate dello Stato ed alle forze di polizia; c) i ministri di qualsiasi culto. (3) Art. 8 C.P.M.P.: cessano di appartenere alle Forze Armate dello Stato: a) gli ufficiali, dal giorno successivo alla notificazione del provvedimento che stabilisce la cessazione definitiva degli obblighi del servizio militare; b) gli altri militari dal momento della consegna ad essi del foglio di congedo assoluto (45 anno di et). I gruppi della maggioranza respingono l'emendamento. Il giorno seguente scorro i quotidiani, convinta che quanto meno la notizia sia riferita: non un solo giornale la riporta; l'informazione italiana cos pronta ad offrire copertura, omissioni, silenzi, censure e qualsivoglia altro servizio al "Palazzo"! Sabato 18 e domenica 19 marzo si svolge, nella sede del Partito radicale di Torino, la riunione del consiglio federativo. Sono appena passati quattro giorni da quando l'abbiamo convocata ma il tempo trascorso sembra tanto di pi. Di mezzo c il rapimento di Moro e la strage della sua scorta. Questi fatti danno maggiore concretezza alle nostre angosce di allora e rafforzano le nostre analisi, rendono ancora pi drammatica la situazione. Il dibattito, a cui partecipano molti compagni, rivela anche un pi alto grado di consapevolezza. Ricordo in particolare un intervento di Rosa Filippini sulla politica dell'assassinio, dell'annientamento dell'avversario: non c nulla di pi radicalmente opposto alla nonviolenza, che presuppone sempre il dialogo, cio l'esistenza dell'altro. Erano gli stessi concetti che espressi quando appresi la notizia, che mi colp dolorosamente, dell'uccisione di Carlo Casalegno. Nell'intervallo per il pranzo mi fermo un quarto d'ora con Luca Boneschi: venuto con alcune compagne di Milano. Fra esse c Bea, una delle compagne del Movimento di liberazione della donna con cui ho avuto nei mesi precedenti motivo di polemica. Il fatto che sia venuta mi fa piacere. Luca mi ha portato un libro sull'autodifesa, un problema che si porr nel processo e sul quale sento il bisogno di documentarmi. Vado a mangiare con un gruppo di compagni di Roma, di Torino, di Milano e di Napoli: Marcello Crivellini, Giorgio Spadaccia, Rosa, Mario Signorino, Elena Negri, Paolo Chicco, Angiolo Bandinelli, Nicola Lucatelli, Laura Cherubini, Geppi Rippa, Loredana Lipperini. Nel pomeriggio arriva Sergio Stanzani. E' quasi incredibile come, nonostante i suoi gravosi impegni di dirigente industriale, riesca a non mancare mai a nessun appuntamento di partito. Sergio appartiene al gruppo "storico", come chiamiamo con rispetto ma anche con affettuosa irriverenza i compagni pi anziani. Negli anni '50 era con Marco Pannella e Franco Roccella uno dei leaders del movimento studentesco di allora (l'Unione goliardica italiana). Di lui mi meraviglia lo straordinario rapporto che riesce ad avere con i compagni pi giovani: penso che sia la naturale conseguenza di una attenzione costante, non superficiale o strumentale, ma reale. Il dibattito dalle questioni generali passa al "che fare", alle concrete difficolt che dobbiamo affrontare. Un intervento di Gianfranco, al di l degli avvenimenti di questi giorni, riporta il discorso sulle prospettive, sulle scadenze meno vicine, sul nostro itinerario collettivo: una forza politica tale se ha la capacit di non farsi travolgere dagli avvenimenti, per quanto drammatici essi siano. In questi momenti necessario ancorarsi alla propria storia, far fronte umilmente ai propri doveri (quello mio nel processo, quello dei deputati in Parlamento, quello degli altri compagni nella attivit quotidiane, saper attendere che nuove contraddizioni si presentino e resistere per saperle cogliere e fare esplodere. Penso ai lunghi periodi "sotterranei" della vita del partito che compagni come Marco, Gianfranco, Angiolo e pi recentemente noi abbiamo conosciuto: senza questa capacit di
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distacco e di resistenza il Partito radicale di oggi non sarebbe esistito. Gianfranco conclude dicendo che la scadenza che abbiamo davanti il referendum dell'11 giugno: quella l'occasione in cui la parola torner alla gente, in cui potremo tornare a far valere il funzionamento della democrazia contro l'opposta violenza del regime e delle Brigate Rosse. Domenica arrivano molti altri compagni delle associazioni. Luned ci saranno venti tavoli del partito, e intorno ad ogni tavolo gruppi di compagni e di compagne con volantini e con i testi di una dichiarazione. La gente si ferma, chiede informazioni, firma, prende il materiale, lascia soldi. Quando si avvicina la primavera i tavoli sono quasi uno strumento fisiologico per l'organizzazione radicale: un modo di stare insieme e di stare insieme alla gente. Ma ora i tavoli hanno anche un significato simbolico: combattere la paura, riportare la politica nelle strade e nelle piazze, confermare la nostra volont di esistere e di lottare in maniera nonviolenta, esporci collettivamente con le nostre idee per contrastare il terrore delle BR e l'autoritarismo del regime. Luned 20 marzo. Arrivo in ritardo alla caserma Lamarmora. Gli altri giurati, abituati a vedermi puntuale, si sono preoccupati. Ca n' uno in attesa, che appena mi vede tira un sospiro di sollievo e mi rimprovera, anche bruscamente, la poca puntualit: era serpeggiato infatti il timore che mi fosse successo qualcosa. Fuori dell'aula c una grande agitazione: tutti commentano il rapimento di Aldo Moro. Alcuni ipotizzano la richiesta - da parte delle BR - di uno scambio con gli imputati di questo processo. Gli avvocati con cui parlo sono categorici nel dire che, anche volendolo, non esisterebbero appigli giuridici. Barbaro meno loquace del solito e pensieroso. Gli imputati, non appena hanno saputo del rapimento di Aldo Moro, hanno esultato e gioito, o almeno cos affermano i giornali. Tento di verificare l'autenticit della notizia, ma non mi riesce. Non appena entro nell'aula mi rendo immediatamente conto che il clima tesissimo, e mi soffermo a guardare attentamente gli imputati. Renato Curcio siede in mezzo al gruppo, lo vedo improvvisamente invecchiato rispetto alle fotografie di soli due anni prima, il suo atteggiamento , come sempre, molto composto e spesso attento. Normalmente, nel corso delle lunghe udienza, Curcio pensieroso. Verso la fine del processo lo noter con sempre maggior frequenza con la testa appoggiata fra le mani, il che mi far pensare a una sorta di logoramento psicologico, di stanchezza. Ci che certo che la figura di Curcio mi apparsa quella pi determinata, sorretta da convinzione e intransigenza. I suoi interventi sono precisi e approfonditi, il comportamento lineare, calmo; lo sguardo di chi non nutre n dubbi n esitazioni, pur non essendo disumano. La curiosit di parlare con gli imputati, di conoscere le ragioni che li hanno indotti alla via della clandestinit e della lotta armata, mi rimarr per tutto il processo. L'udienza inizia con un incidente. I giornalisti parlano a voce alta, alcuni di loro sono furibondi e non lesinano improperi. Anche fra gli avvocati serpeggia l'inquietudine. Barbaro mi spiega immediatamente che per ordine della questura stato vietato l'accesso all'aula ai fotografi e ai giornalisti muniti di registratore. E' stato anche sequestrato un mangianastri all'avvocato Bianca Guidetti-Serra, che per abitudine registra tutto. Si vuole evitare la "pubblicit" di eventuali dichiarazioni dei brigatisti, inneggianti al rapimento Moro. Dopo alcuni minuti di consultazione ci troviamo tutti concordi nel considerare che non sono ammissibili interferenze: la garanzia della pubblicit, tanto pi e a maggior ragione in questo frangente, deve essere assicurata. Mi convinco che si tenta di scaricare sul processo la lunga sequela di carenze ed errori che il Ministero degli Interni ha commesso; visto che la "forza dello Stato" non ha possibilit di esplicarsi in altro modo, la si esaurisce nel tentati40

vo di chiudere la bocca agli imputati. Si arriver ben presto - da parte di alcuni quotidiani a calare costantemente la mano su di essi, deformando il loro comportamento, enfatizzando in senso negativo i loro discorsi. L'atteggiamento degli imputati, l'ho detto, drammaticamente composto. Al pubblico ministero Moschella saltano invece i nervi quando intervengono sul caso Moro (Ferrari: "... c ben altro processo... "; Franceschini: "il vero processo si sta svolgendo altrove... "; Curcio: "Moro nelle mani del proletariato e sar processato... "). Mentre avviene tutto ci, Barbaro indaga sulle ragioni che hanno indotto la questura a impedire l'accesso all'aula ai fotografi e ai giornalisti muniti di registratore. I carabinieri dichiarano di non avere alcuna responsabilit nella decisione, e ben presto si viene a sapere che Francesco Cossiga in persona ad aver diramato l'ordine. Barbaro tiene duro, e ordina innanzitutto la restituzione del registratore alla Guidetti-Serra. Poi inizia una lunga attesa. Non avendo nulla da fare, decido di andare a prendere un caff. E' in quest'occasione che, casualmente, mi trovo di fronte un funzionario dell'antiterrorismo che sta parlando al telefono, con Roma: "Certo, certo, non si preoccupi... Non appena leggeranno il comunicato le diremo tutto subito, vedremo se conterr elementi utili per l'indagine... ". Mi auguro che le speranze per la salvezza di Moro non siano affidate unicamente alle "rivelazioni" dei comunicati degli imputati di questo processo. Dopo un paio d'ore si viene a sapere che Cossiga ha ceduto, di fronte al netto rifiuto della corte di proseguire l'udienza. Il processo riprende con il tentativo di Ferrari (respinto da Barbaro) di dare lettura del comunicato n. 11, che col solito "escamotage" viene comunque allegato agli atti. Gli imputati abbandonano allora l'aula, o meglio l'abbandonano tutti meno tre (quelli che vengono definiti gli "osservatori che sorvegliano la vostra attivit contro-rivoluzionaria"). L'udienza si chiude con un ultimo battibecco fra il pubblico ministero Moschella e Ferrari. In cancelleria mi faccio dare una fotocopia del comunicato di cui si impedita la lettura e constato che, relativamente a Moro, non dice pi di quanto riportano tutti i quotidiani, rifendo del comunicato che ha rivendicato il rapimento: ... Aldo MORO, catturato e rinchiuso come PRIGIONIERO DI GUERRA in un CARCERE DEL POPOLO dall'Organizzazione comunista combattente BRIGATE ROSSE, verr processato. MORO non ha maggiori responsabilit politiche dei suoi "amici" democristiani, anche se venuto progressivamente configurandosi come baricentro politico, come "teorico" e "stratega" del regime democristiano e dello Stato imperialista. Questo Processo proletario riguarda tutta la DC, la sua trentennale "occupazione dello Stato" ed il corollario di crimini-nefandezze-stragiscandali, cui essa ha cercato di assuefarci; riguarda i progetti di controrivoluzione preventiva che le pi potenti centrali imperialistiche intendono imporre, per suo tramite, al nostro Paese. E' inutile che Zaccagnini si affanni a riproporre travestimenti populistici o interclassisti per il suo Partito: la DC non mai stata un partito POPOLARE... E inutile anche il "soccorso interessato" del PCI e dei sindacati. "L'azione psicologica di massa" a sostegno dell'Esecutivo, richiesta esplicitamente da Andreotti e costruita sul RICATTO, il TERRORE, l'INGANNO ed il QUALUNQUISMO, lo "sfruttamento crudele delle emozioni dell'opinione pubblica" ha la vita breve e si ritorcer contro i suoi incauti suscitatori... Inutile, infine, anche il soccorso politico e militare che le classi dominanti degli altri Stati imperialisti elargiscono a piene mani. Da Carter a Schmidt alla NATO, tutti hanno imposto il loro "aiuto"... L'unit di questo nuovo regime politico neo-corporativo, conformista, privo di identit positiva, rigido formalmente ma fragile ed inconsistente sul piano dei contenuti politici simile a quella dei naufraghi: un'unit per la sopravvivenza ad ogni costo! Instabile e transitorio, questo regime non rappresenta comunque una soluzione
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per "portare il paese fuori dalla crisi". Per questo esso deve essere, con ogni mezzo e con tutte le energie, combattuto e liquidato. A chi obietta che l'attacco rivoluzionario causa di controrivoluzione, di "involuzioni" e perfino di "colpi di Stato" diciamo che questa pura DEMAGOGIA LIQUIDAZIONISTA! Insomma, chi mai dovrebbe farlo, questo "colpo di Stato", visto che il potere, lo Stato, gestito "democraticamente" da tutto il fronte della borghesia imperialista, dalla "grande intesa" (DC, PCI e reggicoda vari)? Il vero pericolo, il vero "colpo di Stato" non di l da venire, ma il divenire stesso di questo regime e della ristrutturazione imperialistica dello Stato, che gi da alcuni anni sta marciando nel paese. Certo, noi accettiamo la guerra! Ma non siamo noi a "CREARE" la controrivoluzione. Essa la forma stessa che assume l'imperialismo nella crisi: non ne un "aspetto" ma la sua "sostanza". Far emergere, attraverso la pratica della LOTTA ARMATA PER IL COMUNISMO questa fondamentale verit, il presupposto necessario della guerra di classe nella metropoli... Questo il terreno strategico della ricostruzione di una effettiva opposizione di classe al regime della "grande intesa" ed allo Stato imperialista, della UNIFICAZIONE del Movimento Rivoluzionario, della costituzione del Partito Comunista Combattente. Ecco perch il processo a Moro non "chiude la partita"... Scappo velocemente al partito. Per strada mi fermo a due tavoli radicali con dei compagni di Napoli e Torino. Nel pomeriggio vado anch'io al tavolo di piazza Castello. Incontro l, intirizzita dal freddo, Camilla Cederna. La sua venuta a Torino era prevista per la sera, per una trasmissione a Radio Radicale di presentazione del suo libro: "Giovanni Leone. Carriera di un presidente". Avendo saputo della mobilitazione nonviolenta del partito, in segno di solidariet nei miei confronti ha anticipato il suo arrivo. Mi fa piacere la sua presenza e la abbraccio. Questa del "tavolo" in mezzo alla gente per lei una esperienza nuova, ma certamente ricca di spunti interessanti e divertenti, che la sua sensibilit ed il suo senso dell'umorismo sono pronti a cogliere. Mentre volantiniamo e conversiamo con i passanti, mi parla del suo libro. Nessuna delle due pu prevedere oggi le clamorose conseguenze di quello che lei definisce "il frutto della mia curiosit".

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9. LA QUESTIONE DELL'AUTODIFESA Marted 21 marzo. Entra in vigore il decreto antiterrorismo, la prima delle leggi speciali annunciate dal governo Andreotti. A Montecitorio Mauro Mellini commenta: "Oggi le Brigate Rosse hanno conseguito un grosso successo". Il provvedimento decreta la fine del segreto istruttorio, la possibilit di essere interrogati senza avvocato, l'estensione praticamente illimitata del fermo di polizia e del diritto di intercettazione telefonica. Con incredibile faccia tosta dirigenti della CGIL e della sinistra storica continuano a proclamarsi contrari a "qualsiasi norma di carattere eccezionale che contrasti con il dettato costituzionale". Alla caserma Lamarmora viene invece posta la questione giuridica pi interessante dell'intero processo: quella dell'autodifesa. Gi da alcuni giorni i quotidiani, innanzitutto quelli torinesi, dipingono a fosche tinte la possibilit che venga sancito il diritto degli imputati a difendersi da soli, nonch il dovere dei difensori d'ufficio a non violare l'etica professionale difendendo un imputato dal quale si ricusati. Gli avvocati che pongono la questione dell'autodifesa sono ormai classificati, direttamente o fra le righe, come il "partito del rinvio" del processo. La vicenda dell'autodifesa rasenta il ridicolo: innanzitutto gi stata sollevata due anni or sono, al primo tentativo di processo alle BR, e inoltre prevista dal nostro ordinamento da quando diventata legge dello Stato la Convenzione di Ginevra per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali. I nostri odici prima non prevedevano il diritto a difendersi da soli. Sono codici del 1930, dunque ispirati a una precisa ideologia e ad una conseguente visione dello Stato. Configurando solo la "difesa d'ufficio", vale a dire l'obbligo ad essere difesi da una avvocato scelto dai giudici. Quando, due anni prima, gli imputati del processo di Torino ricusarono i difensori, la Corte d'assise rifiut l'eccezione di incostituzionalit giudicandola inammissibile. Nel corso dei mesi successivi furono per elaborate varie tesi, si apr un ampio dibattito fra i tecnici del diritto, e alcuni di questi misero addirittura a punto ipotesi di soluzioni ispirate a modelli di altre nazioni dove l'istituto dell'autodifesa previsto e attuato. Non solo: il presidente della corte, Barbaro, prevedendo che presto o tardi il nodo sarebbe arrivato al pettine, aveva pi volte sollecitato al Ministero di Grazia e Giustizia e al Parlamento la regolamentazione dell'autodifesa. Alcuni giuristi torinesi avevano preparato un progetto di legge che per, dopo essere stato presentato da un deputato, ancor oggi giace nelle secche di Montecitorio. Ci che pi stupisce che nonostante le pressioni del Ministero di Grazia e Giustizia e di alcune forze politiche affinch il processo "fosse fatto e fatto subito", nessun partito di maggioranza si sia degnato di interessarsi del problema. E' pur vero che si tratta di una maggioranza di "non governo": la riforma del codice di procedura penale viene rinviata da pi di un decennio, anno dopo anno. Di fronte a tali fatti, e con un problema spinoso tra le mani, Barbaro non tenta neanche, giustamente, di nascondere il proprio malcontento e disappunto. Subito, all'inizio dell'udienza, dodici degli avvocati d'ufficio (Albanese, Avonto, Bonati, Chiusano, Del Fiume, Gianaria, Guidetti-Serra, Minni, Mittone, Papa, Speranza, Zancan) leggono una "memoria", in cui si ripropone l'eccezione di incostituzionalit delle norme sulla difesa d'ufficio e si sostiene il diritto all'autodifesa. I passi salienti della memoria chiariscono come si debba intendere il ruolo del difensore nel processo politico. Quando vi sia rifiuto globale del processo ed il giudicabile assuma d'essere lui il giudice, ne consegue che non ci si trova di fronte ad un momento meramente processualistico di rifiuto del difensore per una pi efficace tutela degli interessi dell'imputato ma ci si scontra con l'uso, di
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per s niente affatto infrequente nei processi politici - qual certo l'attuale - del dibattimento quale occasione di attacco allo Stato. Si tratterebbe, ad avviso di alcuni, di problematica insuscettibile di risposta diversa dal superamento autoritario in esenzione da confronto su piano strettamente giuridico. Ammonisce la difesa a disattendere tale ordine di pensiero che si risolve, oltre tutto, in una contraddittoria consacrazione di soccombenza dialettica dello Stato: Stato che pu e deve garantire invece celebrazione e regolarit del processo che non e non pu essere mai, per definizione, celebrazione di un rito vendicativo. Il taglio della tesi dei firmatari privilegia insomma pienamente il diritto di scelta dell'imputato rispetto ai cosiddetti superiori interessi dello Stato. I fautori dell'autodifesa partono dal presupposto ideologico che protagonista del processo l'imputato; suo, esclusivamente suo, il diritto di difesa che si iscrive tra i diritti personali, inviolabili, di cui all'articolo 2 della Costituzione, attenenti ai rapporti tra Stato e cittadino; inaccettabile la delega autoritativa ad un terzo, perch decida sui contenuti di causa. Per non cadere nel rischio di pervenire a pericolosi e fuorvianti risultati, si dovrebbe dire che funzione del difensore non quella di garantire i cosiddetti "superiori interessi della societ" quanto piuttosto quella, pi semplice ma non meno importante, di tutelare in via primaria ed esclusiva gli interessi del suo patrocinato per ottenere la sentenza a lui pi favorevole. Se di ci deve preoccuparsi, chiaro che tale finalit non potrebbe realizzarsi dove manchi almeno un minimo di collaborazione con il suo assistito: quale intervento potr fare, in tema di assunzione di prove, ad esempio, se nulla ha potuto apprendere dal suo patrocinato circa il "fatto"? Quali elementi sulla sua personalit, quale strategia processuale immaginabile, tanto pi dovendo poi egli obbligatoriamente assumere conclusioni? La conclusione ribadisce il diritto del cittadino a difendersi come vuole, cio anche a non difendersi. Siamo forse al cospetto di una grande mutazione che involge in ripensamento circa il ruolo che l'avvocatura destinata a svolgere nelle aule di giustizia. Ripensamento che non deve, peraltro, far pensare necessariamente a retrocessioni sul piano della civilt giudiziaria; riprendendo le parole contenute in una ammirevole sentenza di un giudice di una nazione che da tempo conosce e sperimenta l'istituto dell'autodifesa: "Altro sostenere che ogni imputato, ricco o povero, ha il diritto all'assistenza dell'avvocato e altro dire che lo Stato pu imporre all'imputato di accettare un avvocato che egli non vuole". Tale impostazione, alla quale non aderiscono sette difensori d'ufficio - tra i quali in primo luogo gli avvocati comunisti - richiama la corte ad un problema di grandissima portata. I difensori d'ufficio rifiutati non vogliono divenire una funzione, non vogliono essere difensori del processo anzich degli imputati. La reazione della "Stampa" all'eccezione sar dura e strumentale: "Il processo deve essere fatto a qualsiasi costo". N gli altri giornali si dimostreranno da meno; la "Gazzetta del Popolo": "Perch rischia di saltare il processo di Torino: dodici avvocati per l'autodifesa delle BR"; "la Repubblica": "L'autodifesa blocca il processo"; "l'Unit": "La questione dell'autodifesa appare un falso problema". Solo con il passare del tempo gli osservatori si renderanno conte che l'incidente divenuto questione di principio, di prima importanza. Gli avvocati proponenti (tra di loro vi sono socialisti, liberali, radicali, moderati, e di estrema sinistra) sceglieranno di restare al loro posto al solo scopo di controllare il rispetto delle norme fondamentali del processo; non assumeranno iniziative se non su indicazione dei loro assistiti; sostanzialmente sceglieranno di esercitare soltanto il ruolo di garanti. Per tutti e dodici, sembra essere un'esperienza nuovissima. Nasce un nuovo modello di difesa nel processo politico. Il documento letto in aula da Bianca Guidetti-Serra. Seguono gli interventi di altri avvocati. Maria Magnani-Noya candidamente dichiara che "per ragioni giuridiche, ma
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soprattutto per motivi di opportunit" non concorda con la tesi poco prima espressa, dimenticando che la garanzia dell'indipendenza della magistratura e dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge dovrebbe tener lontani gli opportunismi dalle aule di tribunale. Il PM Moschella si oppone alla "tesi dei dodici", argomentando tecnicamente, a dire il vero in modo poco comprensibile, che "la presenza di un difensore d'ufficio rappresenta una garanzia ulteriore, che non esclude l'autodifesa". La corte si ritira per la prima vera riunione di camera di consiglio. Il dibattito lungo e serrato, le posizioni diverse, esiste il precedente negativo di due anni prima e non facile mettere in discussione i sacri codici. Al termine, la giuria effettiva estende un'ordinanza con la quale si rileva "l'indubbia validit e importanza del quesito sottoposto". L'ordinanza non entra per nel merito della questione, che ritenuta non rilevante in questo processo, "non avendo gli imputati dichiarato di volersi difendere da soli". Si tratta probabilmente di un espediente. Nel comunicato n. 12, del 29 marzo, gli imputati cos commenteranno questa vicenda processuale: ... Voi stessi, basando l'ordinanza (con cui avete dichiarato irrilevante la questione della "autodifesa") sui nostri comunicati, avete dovuto riconoscerlo: "ora la rivoluzione proletaria che "fa la legge"!!! Questo preciso rapporto di forza ci permette inoltre di ribadire concretamente che noi, in quanto parte dell'Organizzazione Comunista Combattente che sta dirigendo questo processo, siamo qui non per difenderci ma per accusare. Gli imputati qui dentro non siamo noi, "egregi signori"!!! E' quindi ovvio che la questione dell'autodifesa non pu riguardarci, ma riguarda solamente voi e i vostri avvocati di regime. Infatti noi qui prendiamo e prenderemo la parola ogni volta che lo riterremo necessario, per esporre e sostenere le nostre accuse... Dopo le tre ore e mezzo di camera di consiglio e la lettura dell'ordinanza, Barbaro stabilisce di sospendere il processo: sono prossime le vacanze pasquali. Uscendo dalla caserma Lamarmora mi si avvicinano alcuni carabinieri per salutarmi: uno si essi mi sussurra che - soprattutto dopo la strage di via Fani - si parla molto, fra loro, delle scorte e del mio rifiuto di protezione armata. Sar per questo o per altre ragioni, ma sta di fatto che mi rendo conto di essere ben accetta a questi ragazzi, dei quali scopro tutta la drammaticit umana (i giornali li dipingono come "gli uomini di ferro"). Avviandomi verso la macchina capisco anche che psicologicamente ho "passato il guado": sar perch sono convinta di ci che faccio, sar perch ci si abitua anche al rischio, ma sta di fatto che non ho pi paura, anche se regolarmente mi arrabbio con i conoscenti che esclamano: "Bel coraggio!", poich di coraggio non si tratta. Gioved parto per Roma e dalla citt raggiungo, per riposarmi un po', un vicino paese di mare, dove vengo a sapere del ferimento dell'ex sindaco di Torino Picco e degli sviluppi del caso Moro. Il giorno di Pasqua mi raggiungono Rolando Parachini e Anna D'Amico. Dopo alcuni giorni torno a Roma, per ripartire subito per Torino. La capitale stretta da un'imponente cintura di sicurezza, sono fermata da decine di posti di blocco: si sospetta che il commando di via Fani approfitti dell'esodo o del rientro pasquale per spostarsi. Anch'io, nella macchina di un amico che mi riporta a Roma, vengo fermata all'ingresso della citt. I militari esaminano i documenti, mi scrutano a lungo in volto, esaminano Giovanni, che un po' malvestito, e la cinquecento in pessimo stato con la quale circoliamo. Alla fine si decidono: "Ma lei chi ?". Rispondo che sono Adelaide Aglietta, come il documento testimonia. Non convinti si fermano in due con il mitra spianato a sorvegliarci, mentre il terzo si mette a parlottare con l'autoradio. Nel bosco che sulla nostra destra vedo nel buio sagome di militari accovacciati fra i sacchi. Finalmente giunge la conferma che non sono una brigatista travestita da giudice popolare e possiamo ripartire.
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Mercoled 29 marzo si riapre il processo con lettura in aula di un documento degli avvocati che avevano proposto l'eccezione di incostituzionalit sull'autodifesa. Come ho accennato, d'ora in avanti, pur mantenendo l'incarico di legali d'ufficio, si limiteranno alla sola presenza per farsi garanti della corretta osservanza delle norme processuali. Si dibattono poi alcune eccezioni procedurali, che sono in gran parte respinte. Durante un intervallo dell'udienza tento di raggiungere il fondo dell'aula, dove come al solito sono assiepati avvocati e giornalisti. Mi viene incontro la Carletti e mi abbraccia. Mi prende da parte: "Sai, ti cercavo, ma ci vedo ormai molto male e non ti scorgevo proprio". Poi si sfoga, con tutta la sua carica umana: stanca, sono ormai quattro anni che questa storia delle Brigate Rosse le grava addosso e la obbliga ad una condizione di "libert vigilata", si sente oppressa, come "ai tempi del fascismo". Mentre parliamo getto un'occhiata alla gabbia degli imputati: alcuni paiono incuriositi dall'episodio, altri ridono. "Nonna Mao" si trattiene ancora un po' con me, con noncuranza: la sua istintivit la rende - simpaticamente - incapace di trattare con distacco tutti coloro che lei stima come "compagni", in qualsiasi frangente. E lei conosce bene i radicali, abituata a vederli con i tavoli a Porta Palazzo, il mercato pi popolare della citt dove tiene il suo banchetto. La saluto stringendole forte la mano. Gioved 30 marzo. Dall'avvocato di Levati (un imputato minore che avrebbe rappresentato il "tramite" del quale si serv il famoso "Frate Mitra", cio Silvano Girotto, per entrare a far parte delle BR) viene sollevato un interessante quesito giuridico: i carabinieri hanno fornito alla corte due nastri registrati di altrettanti colloqui intercorsi fra Silvano Girotto e il Levati; la registrazione di tali colloqui non fu mai autorizzata dal magistrato; i nastri debbono o no essere acquisiti come prova? L'avvocato del Levati sostiene di no, poich al momento in cui le registrazioni furono effettuate la legge obbligava le forze dell'ordine ad ottenere il placet della magistratura per poter effettuare operazioni di questo tipo (ora, con il decreto antiterrorismo, tale vincolo non esiste pi). L'eventuale accoglimento delle registrazioni come prove rappresenterebbe una violazione della certezza del diritto. Lunghissima riunione, due ore e mezzo, in camera di consiglio: ci che appare a me ovvio e costituzionalmente chiaro deve invece fare i conti con i commi e sottocommi di un codice antecedente alla Costituzione e il dibattito si fa impervio. Al termine, la giuria effettiva decide che le registrazioni non sono valide. Il giorno seguente capisco che per gli organi di informazione esistono non solo persone e forze politiche "scomode", ma c anche la categoria delle "ordinanze di Corte d'assise" scomode. L'ordinanza della corte, importante non tanto per il contenuto, quanto perch fissa una prassi e respinge logiche antilegalitarie, e anche perch riapre giuridicamente la discussione sulle normative varate pochi giorni prima, viene minimizzata e riportata non chiaramente all'opinione pubblica, nel timore che quest'ultima incominci a porsi pi di una domanda circa la correttezza costituzionale del decreto del 21 marzo. al termine dell'udienza Barbaro pronuncia una frase che da molti considerata "fatidica": "Il dibattimento aperto".

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10. IL DIBATTIMENTO APERTO Gioved 30 marzo. Il processo ora alla svolta cruciale, in attesa che finalmente si passi all'esame del contenuto dei capi d'imputazione, la fase con la quale si dovrebbe prendere conoscenza dei fatti e dunque formarsi una convinzione circa la colpevolezza o meno degli imputati. Nel pomeriggio di gioved e il giorno seguente seguo il Congresso socialista: mi hanno riferito che Craxi ha parlato di "evidente crisi, con conseguente processo di disfacimento, del Partito radicale". Mi piacerebbe riuscire a capire qualcosa di pi circa questa curiosa tesi. entrando al Palazzo dello sport di Torino molti socialisti mi abbracciano: non credo perch convinti di abbracciare il segretario di un partito in via di disfacimento. Alcuni mi fanno firmare le tessere socialiste esclamando che la mia, sommata alla loro, dovrebbe formare una tessera unica. Se i compagni mi sembrano eccezionali, l'atmosfera all'interno del Congresso ben diversa: la parata grandiosa, si palpa l'esistenza di un fortissimo apparato molto ben finanziato e impegnato nel tentativo di darsi una facciata rinnovata che lo differenzi dagli altri partiti della maggioranza. Mi accompagnano nello spazio riservato alle delegazioni dei partiti. E' uno spazio che appare angusto rispetto all'enorme tribuna riservata alle delegazioni straniere. Craxi, penso, ha fatto le cose in grande. Alla mia desta, nella fila davanti, sono Pajetta e Cervetti, per il PCI. Alle mie spalle Magri, con la delegazione del PDUP. Mi saluta, compitissimo, l'onorevole Sarti, democristiano, ex ministro, che non avevo mai n visto n conosciuto. Si siede vicino a me e mi rivolge alcune domande. Cerco di concentrarmi sugli interventi: sta parlando Manca, un terzo della platea applaude, molti fischiano. Passa Giolitti. Sarti commenta: "Sarebbe un presidente della Repubblica impeccabile". Penso che dica sul serio, ma mi accorgo che ha il gusto delle battute. Quando poco pi tardi scambia quattro parole con il responsabile culturale del PSI, tornando al suo posto mi dice: "L'ho fatto per dovere d'ufficio. Lei non lo sa, ma dirigo la politica culturale della DC: mi creda, non ho proprio nulla da fare". Magri, senza salutare, chiede a Giovanni Negri di accendergli una sigaretta. Pi tardi lo incrocio e mi domanda se interveniamo per il discorso di saluto: gli rispondo che abbiamo incaricato di questo Giovanni, ma che non abbiamo ancora avuto risposta dalla presidenza del Congresso. I compagni che rimangono al Palazzo dello sport attenderanno inutilmente che Giovanni sia chiamato per poter prendere la parola. Il saluto ai congressisti socialisti il PR l'ha dato attraverso un volantino distribuito all'ingresso. Venerd pomeriggio abbandono il Palazzo dello sport quando sento - dalla tribuna degli oratori - invitare il delegati "ad applaudire la compagna Magnani-Noya, che, a differenza di quei molluschi degli altri avvocati del processo delle BR, non ha aderito al documento sull'autodifesa". La notizia di questo intervento giunger alle orecchie degli avvocati che hanno sottoscritto l'eccezione di incostituzionalit. Alla ripresa del processo Fulvio Gianaria e Alberto Mittone, giovani avvocati del foro torinese, me ne chiederanno conferma, facendomi leggere una lettera inviata alla "Repubblica". In essa tutti i dodici firmatari, richiamandosi alle tesi di Leonardo Sciascia, riaffermano con fermezza le loro motivazioni, la dignit delle loro posizioni, la loro volont come avvocati di difendere e garantire di diritti degli imputati, cos come vuole la Costituzione: se questo significa "essere molluschi" non intendono fare nulla per non esserlo. Il giorno seguente parto per Roma, dove programmata una assemblea nazionale delle associazioni radicali. Ma lentamente, giorno dopo giorno, mi sento sempre un po' pi distante dal partito, delle sue battaglie: comprensibile, ormai un mese che vivo soltanto di riflesso le vicende radicali. La situazione politica ge47

nerale, invece, mi coinvolge pi che mai, con la sua carica oppressiva. In Parlamento i deputatati radicali tentano a ogni pi sospinto di ottenere la convocazione della Camera per dibattere il caso Moro: ma inutile, la maggioranza intende discutere qualsiasi argomento pur di non affrontare la questione. Luned 3 aprile. Inizia l'interrogatorio degli imputati, o meglio quello che dovrebbe essere l'interrogatorio degli imputati. I giornalisti si accalcano nella parte dell'aula loro riservata, pronti a registrare le dichiarazioni. I "capi storici" delle BR appaiono tranquilli. Ancora oggi, a distanza di mesi, non sono riuscita a formarmi un'opinione circa i loro caratteri individuali: restano al massimo alcune sensazioni superficiali. Sono convinta ad esempio che abbiano sempre attentamente seguito il processo, calcolando scientificamente gli interventi, e mai, tranne in due o tre occasioni, sono intervenuti spinti da emozioni derivanti da fatti non previsti. All'inizio discutevano, spesso scherzavano, ostentando disinteresse per tutto ci che li circondava, magari fingendosi immersi nella lettura dei giornali. Per due volte mi accaduto di incontrarli nei corridoi del "bunker". I volti erano impassibili, gli sguardi di alcuni, nei miei confronti, parevano impregnati di ironica curiosit. L'udienza si apre con il rituale tentativo di interrogatorio. Gli imputati si rifiutano di rispondere alle domande del presidente. A ruota libera invece intervengono Semeria, Franceschini, Ferrari, Curcio, Bertolazzi, Bassi, Ognibene. Denunciano le carceri speciali, il trattamento riservato ai prigionieri politici che vi sono rinchiusi, il trattamento riservato ai prigionieri politici che vi sono rinchiusi, le negazione del diritto del detenuto alla socialit, negazione che all'interno del carcere si realizza con l'isolamento e all'esterno con l'imposizione dei vetri divisori per i colloqui e il controllo della corrispondenza. I brigatisti annunciano l'avvio della lotta all'interno delle carceri e sostengono che "le BR trattano meglio i loro prigionieri politici". Franceschini esclama: "Noi a Sossi davamo i risotti". L'"arringa" continua: "Il reato che ci contestato politico, gli avvocati rappresentano i partiti, uno il PSI, altri due il PCI". Per quanto riguarda me, Franceschini sostiene che "i radicali sono i pedalini di Cossiga", Bassi invece "si riserva di interrogarmi". Secondo i brigatisti i veri imputati sono avvocati e giuria. Mai si allontaneranno dal loro ruolo di "Antistato". Altri imputati, prendendo la parola, affermano che i giudici non possono essere "sopra le parti" poich applicano una legge di classe (qualcuno urla anche: "Le vostre leggi sono il codice Rocco e la legge Reale"). La lunga "requisitoria" termina con le solite minacce: "Non ce l'abbiamo con i singoli individui, ma con la funzione che essi accettano di svolgere. Non si vengano poi a piangere i morti". Tutto questo mi fa molto effetto, mi scuote soltanto una frase ripetuta pi volte: "L'unico rapporto che ci pu essere tra noi di spararci in faccia". Al termine del lungo discorso gli imputati abbandonano l'aula lasciando come al solito tre "osservatori". Barbaro inizia allora la lunga lettura degli interrogatori resi in fase istruttoria: comincia la fase processuale della "grande noia". Da tutti questi atti si riesce a ricavare elementi sostanziali nuovi e capaci di incidere sul processo. Marted 4 aprile. C un nuovo comunicato degli imputati, il n. 13, che dimostrano di essere molto attenti non solo alla realt del processo, ma ai fatti che si susseguono nel paese, traendone spunto di commento e di intervento puntuale. A proposito del trattamento che Moro subirebbe nel cosiddetto "carcere del popolo", argomento in questi giorni al centro dei commenti dei quotidiani, affermano: ... Parlando del presunto trattamento del prigioniero Moro, la stampa, contrariamente a quanto voleva far apparire nei mesi scorsi, ha dimostrato di conoscere e capire molto bene quale sia l'essenza, la funzione fondamentale dei carceri
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speciali. Qui l'isolamento permanente: non ha pi l'alibi giuridico della "prova da non inquinare" ma quella militare della "sicurezza". E dietro quest'infame gioco di parole dei soliti "specialisti", i mesi d'isolamento diventano anni, condizione definitiva del prigioniero, nei cubicoli individuali e nei "piccoli gruppi". Nei fatti, l'attacco all'identit del proletario cosciente, la sua destabilizzazione psico-fisica, diventa pratica sistematica di annientamento. La detenzione punitiva diventa cos in realt una misura di guerra, il paravento che dovrebbe nascondere l'esistenza dei nuovi campi di concentramento. E in questi campi applicate con metodo ogni vostra tecnica psico-fisica di annientamento. Ora la controrivoluzione, invece di limitarsi ad estesi massacri "dopo", agisce in modo strisciante e sistematico gi da "prima", diviene controrivoluzione preventiva in ogni settore della societ. Ma per realizzare l'obiettivo dell'annientamento, non vi sufficiente eliminare la socialit all'interno del carcere, dovete spingervi oltre: eliminare anche la socialit verso l'esterno. Cos avete imposto i "colloqui" con vetro e citofono, il cui unico scopo di eliminare i colloqui. E' un passo ulteriore del vostro programma, la cui cinica ferocia va dalle parole degli utili idioti come Trombadori e Corvisieri ai fatti dei silenziosi sicari di un Videla italiano. In questi giorni noi stiamo rifiutando questi cosiddetti "colloqui"... Vi sono dei casi in cui la violenza psicologica, inevitabile e necessaria nella VOSTRA visione della carcerazione, non sufficiente a ottenere l'effetto voluto. Si tratta di quei casi in cui la dignit, la fierezza, il senso di responsabilit del prigioniero sono tali da non farlo cadere in una visione individualistica del mondo. Da un lato, egli non si piega, mantiene la sua identit politica, proprio perch dall'altro lato i compagni della sua classe non lo abbandonano come pescicani accecati dai loro gretti affari e giochi di potere. Allora, la "confessione" viene estorta mediante le cosiddette "pressioni fisiche"... Il fine della nostra guerra rivoluzionaria, il comunismo, profondamente diverso e si manifesta necessariamente con mezzi diversi. I processi, i carceri del popolo, sono per i comunisti espressioni improprie che vengono prese dal vostro vocabolario, solo per arrivare a dimostrare l'abisso che nei principi separa il proletariato dalla borghesia nella sua pratica di lotta. Il processo, per noi, non un "atto di giustizia", ma di lotta tra gli interessi antagonistici del proletariato e della borghesia, il momento in cui questa lotta assume la forma del confronto pi generale davanti al popolo. Per questo le "obiezioni" filistee che la borghesia porta in questi giorni al processo che nel paese si sta svolgendo contro la DC, non sono "attinenti", come usate dire, egregi signori. Non sono attinenti perch esse vorrebbero misurare la lotta fra le classi e le forme che essa assume, con il metro di una presunta legalit assoluta, "al di sopra delle parti". In realt, voi cercate disperatamente di nascondere il carattere politico dello scontro; e per questo ricorrete "a questi mezzi meschini". Oggi le forze rivoluzionarie fanno crollare con la loro iniziativa anche la miserabile ipocrisia che si cela dietro l'uso, tanto amato dalla borghesia, di valori astratti quali "Giustizia", "Libert", "Uguaglianza". La rivoluzione invece esprime sempre come valore concreto la lotta per la distruzione dell'apparato borghese, per la realizzazione degli interessi e dei bisogni del proletariato. Di conseguenza, anche la carcerazione e non solo il processo, dal punto di vista proletario e comunista, un esplicito atto di guerra contro una classe e non contro singoli individui; e viene inteso esclusivamente come momento di affermazione dell'interesse del proletariato. Poich in tal modo l'identit politica del nemico catturato dai proletari esplicitamente riconosciuta, non vi pertanto bisogno di reprimere l'individuo, n fisicamente n psicologicamente, calpestando la sua identit personale... Terminata l'udienza fuggo velocemente al partito: torniamo a discutere della faccenda dei colloqui con i vetri divisori. Da tempo a Torino, nell'ambito della lotta contro le carceri
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speciali, i compagni ne avevano denunciato la disumanit. 5-6-7 aprile. Si passa all'interrogatorio degli imputati a piede libero. Ascoltiamo Levati, Borgna, Caldi, Carletti, Sabatino. I primi tre, un medico, un avvocato e un sindacaliste, fanno parte del cosiddetto gruppo di Borgomanero, in quanto vivono e lavorano in quella zona. L'imputazione strettamente legata alla figura di Girotto, che continuer ad aleggiare sul processo fino alla sua improvvisa e ben orchestrata comparsa, quando gi lo si dava per disperso nonostante le "accurate ricerche" dei carabinieri di Dalla Chiesa. Hanno imputazioni piuttosto gravi: organizzazione di banda armata il Lavati ( quello che procur il colloquio di Girotto con Lazagna), partecipanti alla banda armata il Borgna e il Caldi. Oltre tutto sono incriminati per atti compiuti nei mesi di giugno-luglio '74: mi chiedo come si possa essere organizzatori e partecipanti a una banda armata clandestina, e quindi legata a regole e precauzioni ferree (almeno cos si presume), per un periodo di soli trenta giorni. Gli indizi, perch tali restano, a carico di Borgna e di Caldi sono rappresentati dall'aver avuto colloqui con Girotto e dall'averlo messo in contatto con Levati. Per Levati gli indizi sono i colloqui con Girotto e l'aver messo in contatto quest'ultimo con Lazagna. Leggendo gli atti e il contenuto dei colloqui mi riesce difficile capire come si siano potuti attribuire loro reati di tale gravit: ragionando con la mente sgombra dalle responsabilit di un'inchiesta e senza tener conto n di voci o articoli di settimanali come il "Candido", le cui fonti sono quanto meno sospette, n di necessit od opportunit "politiche", al massimo si pu pensare che vi siano labili indizi di eventuali "contatti". Levati mi ha dato l'impressione di essere un po' confuso, e direi anche timoroso: il racconto da lui fatto circa la sua passata conoscenza degli imputati, i rapporti avuti con loro, il suo rapporto con Girotto, mi parso assolutamente privo di reticenze e di opportunismo. A qualcuno rimasto il dubbio non tanto che facesse parte del gruppo, quanto che conoscesse i canali per arrivare alle BR. Ma tutto ci non costituisce necessariamente "partecipazione"; e poi, non forse vero che il dubbio giuoca a favore dell'imputato? Mi paiono completamente al di l di ogni sospetto il Borgna e il Caldi, che attraverso l'interrogatorio confermano una estrema ingenuit e leggerezza, ma nulla di pi. Quando apprender della condanna del Levati e del Borgna (rispettivamente a sei e tre anni, insieme con l'interdizione dai pubblici uffici) rester letteralmente sconvolta. E' evidente: la caccia alle streghe scatenata nel periodo del rapimento Sossi non era andata per il sottile, c'era stato un generale rastrellamento nell'area dell'estrema sinistra. In questo clima era stata architettata, impiantata - da quando? - e condotta a termine l'operazione Girotto, certamente influenzata da esigenze politiche ed indirizzata a priori verso il gruppo di Borgomanero, esponenti del quale avevano avuto rapporti con "sinistra proletaria" prima che Curcio ed altri se ne staccassero scegliendo la via della clandestinit: alcune voci - fra le quali non a caso quella del settimanale "Candido" - li indicavano come vicini alle BR. In questa operazione stato ancora una volta coinvolto Lazagna, combattente della Resistenza, vecchio militante del PCI anche se non pi iscritto dal '72. Come Levati, Lazagna gi stato arrestato nel '72 nell'abito dell'inchiesta Feltrinelli. Rimesso in libert, ma vincolato dall'obbligo di presentarsi alle autorit di Genova due volte alla settimana, con il telefono sotto controllo, nel '74 l'indice accusatore di Silvano Girotto lo riconduce in carcere con l'imputazione di capo ideologico delle BR. Viene nuovamente rimesse in libert dopo un anno di detenzione e una campagna di appelli, sottoscrizioni e petizioni in suo favore: da allora vive al confino a Rocchetta Ligure, dove per tirare avanti fa l'agricoltore. Le accuse di Girotto si basano su un colloquio di un'ora avuto con l'imputato, colloquio generico che non si addentrato nello specifico della realt politica e organizzativa delle BR, dallo stesso Lazagna criticate nel corso della conversa50

zione. "E' incaricato del reclutamento" dir Girotto. Lazagna si presenta all'interrogatorio calmo e sereno. E' abbronzati, bianco di capelli, lo sguardo intenso e fermo. contesta tranquillamente le accuse di Girotto, ricorda che le sue attivit sono sempre state pubbliche e negli anni dal '72 e '74 controllate dalla polizia. Ricorda poi le sue posizioni critiche nei confronti dell'attivit politica e strategica delle BR, gi note all'epoca del suo arresto. Difense nell'interrogatorio il diritto alle proprie idee e posizioni politiche, che sono quelle di un comunista che crede nella rivoluzione, afferma il diritto di denuncia e di opposizione rispetto alle ombre che offuscano la storia del nostro paese e della sua classe politica e dirigente. Non fa alcun tentativo di minimizzare la propria ideologia o di recedere dai propri princpi per opportunismo processuale. Il dubbio sul tentativo di "incastrare" attraverso l'operazione Girotto una vasta area della sinistra, montando il pericolo eversivo rappresentato dalle BR e tentando di collegarlo a varie personalit e aree del mondo della sinistra, si fa strada in alcuni componenti della giuria. Nel corso dell'interrogatorio della Carletti ("nonna Mao", come affettuosamente conosciuta a Torino) viene in evidenza l'assurdit delle accuse nei suoi confronti alla luce di quelli che sono la sua personalit e il suo passato. Piccolo, minuta e con enormi occhialoni, vive da anni dietro il suo banco a Porta Palazzo, attenta a tutto ci che si muove a sinistra, vivendolo per, ancora oggi, con lo spirito, la psicologia e le reazioni con le quali ha vissuto la Resistenza, le persecuzione e le torture in un campo di concentramento: solo a partire da questa sua esperienza, che non pu non averla segnata indelebilmente per tutta la vita, si pu arrivare a comprendere i suoi comportamenti. La sua presenza nel processo, la spontaneit e franchezza, emerse non solo nell'interrogatorio ma durante tutto il dibattimento, sono state spesso un elemento di distensione utile a tutti. Dopo l'interrogatorio della Carletti due o tre giuranti mi si avvicina pere scambiare alcuni giudizi di simpatia e di comprensione verso l'imputata. In particolare mi si avvicina uno dei due operai: tenta ancora di recuperarmi ad una dimensione di dialogo con il resto della giuria. I miei rapporti con alcuni giurati sono infatti tesi, spesso non ci scambiamo alcuna parola. Questa situazione si gi determinata la prima volta che siamo entrati in camera di consiglio per decidere su un argomento importante. In quell'occasione, oltre a difendere con decisione il mio punto di vista, polemizzai con una parte della giuria per l'assenteismo nella discussione e l'atteggiamento di delega nei confronti dei due magistrati togati. Il giorno dopo tre giurato inviarono una lettera a Barbaro per chiedere che nelle riunioni in camera di consiglio non fosse consentito diritto di parola ai giudici popolari supplenti. Di fronte a questo tentativo di escludermi non solo dalle decisioni, ma anche dal dibattito, Barbaro ha invece auspicato, in modo tanto corretto quanto diplomatico, la moltiplicazione e la differenziazione delle posizioni in seno alla giuria. In quella stessa occasione ho avuto accenni fortemente polemici nei confronti di una giurata, una donna che si assunta sin dall'inizio del processo il ruolo di "mamma", sempre interessata ai malanni e alle beghe di ognuno, attenta a raddrizzare il fiocco della toga del presidente o la fascia tricolore degli altri giurati, preoccupata che "non si faccia brutta figura". Recuperer con lei, dopo giorni e giorni di silenzio e man mano che in lei crescer tutta la drammaticit di chi si rende conto di dover giudicare degli altri uomini, un rapporto reale e una dimensione di solidariet. Non sono riuscita, invece, a "legare" con le altre due donne, a parte qualche generico e reciproco approccio a discussioni sulle condizioni di vita, sulle difficolt, sui momenti di emarginazione che ognuno di noi - in quanto donna - vive. Mi impressioner, in seguito, il notare che quella delle due apparentemente pi sensibile a questi temi si dimostrer nei fatti molto influenzabile dai dati di "sapere" e quindi di "potere" maschili. L'altra mi pare viva molto lontano
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da tutto. Cerco comunque di spiegare al mio interlocutore (iscritto comunista) che, ad esempio, non mi facile discorrere con uno dei giurati che perde occasione per manifestare e tentare di contrabbandare una concezione assolutamente autoritaria, antigarantista e violenta dello Stato: quando proprio inevitabile, la discussione non pu che trasformarsi in scontro. Non mi riesce poi di giustificare il comportamento, fortemente passivo, di alcuni membri della giuria; e la loro eccessiva familiarit con un avvocato comunista che, al momento della discussione, ha fatto circolare voci calunniose nei confronti degli avvocati fautori dell'autodifesa. I suoi rapporti con alcuni giurati travalicano i limiti della correttezza: si adopera per organizzare alcune cene o serate comuni al Teatro Regio (il primo teatro di Torino). Per concludere, rassicuro questo compagno, col quale nonostante le divergenze politiche ho avuto per tre mesi un ottimo rapporto, che la mia volont e disponibilit al dialogo non venuta meno, n mai lo verr; ma ribadisco anche che il rigore e l'intransigente difesa di alcuni princpi e norme di comportamento non possono essere messi da parte in nome di presunte e fittizie "solidariet". Mentre in aula si svolge l'interrogatorio della Carletti ("mi pare di essere ritornata ai tempi fascisti"), in Parlamento si svolge il dibattito sull'ordine pubblico: lo ascolto in diretta a Radio Radicale nel pomeriggio, e ne traggo conferma di una classe politica preoccupata di dare ancora una volta una risposta illusoria alle richieste e allo sgomento del paese senza affrontare i problemi e senza impostare il discorso ormai urgente di una diversa gestione dell'ordine pubblico. Il problema, per la maggioranza, non l'inefficienza della polizia (magari la riforma della polizia, oramai scomparsa dagli appuntamenti parlamentari), la disorganizzazione e le ambiguit dei servizi segreti, la necessit di chiarire i dubbi sempre pi consistenti di coperture dirette o indirette al rapimento Moro, l'apertura di un dibattito su questo caso in Parlamento. No, per bocca di Preti (e non solo sua) si chiede che i giudici di Torino affrettino i tempi del dibattimento e pronuncino una condanna "esemplare". Le parole suonano come esplicita, insofferente critica verso i magistrati. Ma come si permette - mi chiede - di venire ad anticipare ad una giuria un verdetto, come se non fossimo l per giudicare in base a ci che emerge, ma per recitare un copione gi predisposto? Scrivo subito un comunicato: Il presidente del Consiglio, l'onorevole Andreotti, che si appellato ai giudici italiani affinch tutti processi si facciano e si facciano rapidamente (appello sul cui contenuto sono perfettamente d'accordo in linea di principio) non pu che stupire. Per decine d'anni governi democristiani e ministri come Bonifacio si sono adoperati per l'insabbiamento di centinaia di processi nei quali erano coinvolti, per latrocinii o per stragi, gli uomini del regime. La responsabilit della situazione di sfascio in cui versa la Repubblica di questo regime, che per trent'anni non ha attuato la Costituzione e ora si presto al di fuori e contro di essa, e si prepara in Parlamento a rapinare nel giro di poche settimane i referendum dell'opposizione. L'appello rivolto ai giudici di Torino dall'onorevole Preti ("Fate in fretta e condannate") suona invece come vergognosa interferenza nei lavori della Corte d'assise. Questa classe politica la cui gestione dell'ordine pubblico ha sfruttato i risultati che abbiamo sotto gli occhi, non si pu permettere alcuna lezione ai cittadini di una Repubblica che essa sta portando allo sfacelo. Arrivando al tribunale passo da Barbaro, che come sempre sta parlando al telefono con la moglie, e gli faccio leggere il comunicato. Quasi tutte le mattine ho uno scambio di opinioni con il presidente, sia sull'andamento del dibattito sia sul comportamento del "potere" nei confronti di questo processo. Spesso manifesta con me (ma non solo con me) intolleranza verso qualsiasi tentativo di ingerenza: rifiuta di rispondere alle telefonate provenienti dalla procura o dai ministeri o da Roma, non parla con i giornalisti. Sa che la responsabilit dell'andamento del processo grava su di lui ed
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deciso a portarla fino in fondo in prima persona. Con quel modo paternalisticamente e ironicamente affettuoso, con il quale ogni tanto mi rivolge delle battute spesso provocatorie, Barbaro mi assicura che condivide il contenuto del comunicato e mi chiede: "Lei crede che passer?". In effetti non passa.

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11.

TRAGEDIA NEL TRIBUNALE

PAESE,

ILLEGALIT

IN

PARLAMENTO,

NOIA

IN

Luned 10 aprile. Siamo arrivati all'audizione delle parti lese. Ho da tempo riacquistato calma e serenit rispetto alle paure e ai sospetti dei primi tempi. Sempre pi frequenti sono invece i momenti di rifiuto della fisicit dell'aula e della sua atmosfera. Fuori di essa, crescono le difficolt di rapporto con i compagni di partito, che sento lontani dalla realt del processo. Vivo come un oltraggio all'intelligenza, e ne sono mortificata, l'interminabile farsa degli interrogatori. Sfilano di fronte a noi decine di persone che vengono a confermarci di aver subito per davvero il furto della carta d'identit, o della patente, o del passaporto, o dell'automobile; fatti gi tutti accertati e ovviamente superflui per fare luce sugli autori dei reati. Unico modo per occupare questo interminabile tempo cercare di avvicinare sempre meglio, sul piano della consapevolezza, gli imputati, di capirne le scelte alla luce delle loro storie, di approfondirne le personalit. Cerco di trovare, in sguardi quasi immobili, la spia di una dimensione pi vera, interiore, loro. Mi interessa in particolare Nadia Mantovani, che con il suo comportamento ha messo in risalto diversit e alterit tutte femminili. Appare pi aperta, disponibile, anche quando, con l'avvicinarsi della fine del processo, gli altri imputati appariranno pi logorati. Palesa una serenit e, forse, un ottimismo profondo, sul volto spesso sorridente, che suggerisce una impressione di solidit. In un intervallo dell'udienza entrando casualmente nella stanza dei giurati li trovo intenti a tagliare una torta con una candelina. "E' passato un mese di processo!", esclama qualcuno notando il mio volto stupito e interrogativo, invitandomi a restare. Forse sar poco socievole, ma non riesco proprio ad essere partecipe dell'entusiasmo generale e mi allontano. Marted 11 aprile. Arrivando alla caserma Lamarmora ho la sensazione che ci sia qualcosa nell'aria. I carabinieri all'ingresso infatti non mi salutano con la solita cordialit, ma hanno volti tirati e seri. Apprendo che hanno ucciso Lorenzo Cotugno, un agente di custodia delle Nuove (il carcere di Torino) mentre usciva di casa. Uno dei feritori Cristoforo Piancone stato a sua volta ferito dall'agente stesso, che ha cos firmato la sua condanna a morte: l'intenzione degli assassini era quella di colpirlo alle gambe - come apprenderemo da un comunicato diffuso dalle BR contemporaneamente all'attentato - ma alla sua risposta hanno di nuovo sparato, ammazzandolo. Sposato con figli. Non usciremo pi da tutto questo. Da due mesi la vita italiana coperta da questa coltre di morte. In una atmosfera pi cupa del solito si apre l'udienza. Depone Labate, il sindacalista della Cisnal rapito dalla BR, sottoposto a interrogatorio e rilasciato la stessa mattina, rapato a zero, legato ad un pilastro di corso Tazzoli. Racconta sottovoce, non ha nulla di nuovo da aggiungere alle deposizioni gi rese in istruttoria. Mi viene da chiedermi se dopo quell'episodio abbia continuato a lavorare nel sindacato, se sia ancora fascista, se e in quale misura sia cambiato qualcosa nella sua vita. I tre imputati presenti sembrano assolutamente estranei. Solo quando l'avvocato Guidetti-Serra chiede che venga posta agli imputati la domanda se abbiano qualche domanda o contestazione da fare, Bonavita interviene dicendo che loro sono solo osservatori. Nel retro dell'aula mi fermo per sentire se ci sono novit: no, c unicamente senso di sconforto e di rassegnazione. Mi avvio lentamente verso casa. Telefono a Roma, al gruppo parlamentare: in questa settimana iniziato in Parlamento lo scontro sull'aborto. I nostri deputati sono impegnati nell'ostruzionismo e trascorreranno tre giorni senza dormire n mangiare. La lontananza, il mio essere bloccata dal processo, il leggere
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sui giornali il linciaggio dei quattro parlamentari, il non vedere riportata - mai - nessuna delle nostre dichiarazioni, mi d un grande ovvio senso di impotenza. L, in Parlamento, ci sono Adele ed Emma; dopo le lotte, dopo la galera, dopo le centinaia di interventi, di discorsi fatti con le donne, assistono ora alla svendita delle speranze di liberazione, della dignit della donna, e vedono riconfermare con una nuova legge la violenza dell'aborto clandestino. Con le compagne vado a protestare sotto le sedi del PCI e del PSI. Ancora una volta mi trovo in polemica con la Magnani-Noya, la quale si giustifica di fronte alle donne sostenendo che "la legge non buona, poich con violenza i deputati radicali hanno impedito qualsiasi forma di serio dibattito parlamentare che la potesse migliorare". Questa volta sono stupita dalla malafede della deputata socialista, poich lei sa benissimo che la legge frutto di un baratto fra DC, PCI e PSI, siglato al di fuori di un Parlamento oramai completamente esautorato delle sue funzioni e dei suoi poteri: e chi le vietava di dissociarsi dalla linea del proprio partito, intervenendo in sede di dibattito alla Camera? Attraverso Radio Radicale ascolto gli interventi di Adele, Emma, Marco e Mauro. Quello che mi stupisce, sia nella discussione, sia nella illustrazione delle centinaia di emendamenti presentati, la puntualit dei loro interventi, tutti pieni di considerazioni e di riferimenti precisi e pertinenti all'argomento di volta in volta affrontato. Questo ostruzionismo radicale non ha nulla a che fare con l'immagine che di esso viene trasmessa attraverso la stampa, e neppure con la fama del "filibustering" che veniva praticato in passato alla Camera dei Comuni inglese, dove stato inventato questo strumento di lotta parlamentare (con i deputati intenti a leggere, per ore e ore, imperturbabili, l'Enciclopedia Britannica, o a trattare argomenti che non avevano alcun legame diretto con la questione discussa). Ascoltando i deputati radicali si ha invece la sensazione netta che, dietro la loro stanchezza, ci sia l'estremo sforzo, l'estremo tentativo di imporre il dialogo ad una maggioranza sorda a qualsiasi argomento, a qualsiasi proposta, anche la pi ragionevole. E contemporaneamente chiaro che in questo sforzo essi versano il patrimonio di una competenza legislativa e di una conoscenza che nascono da sette anni di lotte, combattute da loro e dall'intero partito nel paese. Sempre da Radio Radicale mi arriva la voce di Adele, rotta dal pianto, che motiva il voto contrario alla legge: esprime tutta l'angoscia e la tristezza delle minorenni condannate alle mammane ed ai cucchiai d'oro, delle donne condannate alla violenza fisica e psichica della clandestinit: un nuovo massacro di classe, in nome dell'emergenza e del "socialismo". Il tema dell'aborto mi distrae dal processo, forse perch stato quello che in tutta la mia esperienza politica pi mi ha coinvolta: la raccolta delle firme sull'aborto ha sancito la mia entrata definitiva nel partito. Per alcuni giorni sento di nuovo vicino il partito e il mio mondo. Poi, dopo la "sconfitta" dei deputati radicali - che ha avuto comunque un grande significato di denuncia, costringendo tutti a buttare le carte in tavola - i fatti mi impongono di rientrare nell'atmosfera processuale. Gioved 13 aprile. "Oggi viene a deporre Amerio", mi annuncia il presidente al mio arrivo in tribunale, mentre si appresta a scorrere come sempre i miei giornali; sfoglia in particolare il "Corriere della Sera", lascia da parte come sempre "Lotta Continua". Mentre sono iniziati i capricci e le bizze di Sossi, positivo che le altre parti, vittime dei reati pi gravi e cio dei sequestri, vengono a testimoniare senza tirarsi indietro. Anche in questo caso, come in occasione della testimonianza di Labate, non apprendiamo nulla di pi di quanto gi sapessimo dagli interrogatori resi in istruttoria, subito dopo la fine del sequestro. Sequestrando e interrogando Amerio le BR hanno tentato di far luce sui criteri con i quali venivano attuati il licenziamenti e le assunzioni, e di sapere quali erano le persone nei vari set55

tori della Fiat che fungevano da raccordo e da informatori fra gli operai. Le risposte che Amerio d in sede di dibattimento denotano ancora la paura e lo choc subiti, e la volont di lasciarsi alle spalle tutta la vicenda. La testimonianza sulla settimana trascorsa sotto sequestro asciutta: no, non ha subito violenze fisiche, stato sottoposto a interrogatori, non mai stato minacciato, stato nutrito regolarmente. Si direbbe quasi che non abbia un ricordo angoscioso di quei giorni, se non fosse per l'ansia sulla propria sorte. Durante una ricognizione di voce fatta successivamente Amerio ha riconosciuto fra quattro, e lo conferma in aula, la voce di Curcio come "la pi rassomigliante" a quella del suo interlocutore. Senza che gli imputati intervengano, la deposizione di Amerio comunque termina. Vado a prendere Alberta e Francesca a scuola e resto con loro a pranzo. I giorni brutti, per le bambine, sono superati e tutto rientrato, almeno apparentemente, nella normalit, anche se sono sempre molto attente a tutti i miei spostamenti, ai miei orari, alla mia presenza o alle mie telefonate, pronte a farmi rimarcare eventuali distrazioni o assenza. Luned 17 aprile. Mentre in tutto il paese diffusa l'angoscia per il comunicato delle BR del giorno precedente, che annuncia la condanna a morte di Moro, il processo prosegue con la sua routine quotidiana. Alla caserma Lamarmora trovo una atmosfera tesa, come sempre quando vi sono fatti esterni che possono riflettersi sul processo. L'udienza si apre con la richiesta del PM di fissare una audizione a domicilio di Sossi, che continua a comunicare di essere impossibilitato a presenziare al processo. Semeria dichiara a nome degli imputati che in tal caso vogliono venire anche loro a Genova per essere presenti all'interrogatorio: hanno delle domande da porre. Non posso fare a meno di sorridere: sono d'accordo, cos come lo sono alcuni avvocati della difesa. Sul banco dei testimoni compare Sogno, con il suo profilo aquilino ed il suo fare arrogante. Durante la sua deposizione penso che vorrei invece sentirlo parlare del "golpe bianco", del disegno di instaurare in Italia una repubblica presidenziale, dei legami e delle coperture che ha avuto: ricordo lo scalpore che aveva fatto a Torino la sua incriminazione e come anche quel processo sia stato annacquato negli anni. Sogno fa una brevissima deposizione. Il presidente sta per congedarlo quando si alza Franceschini chiedendo quali rapporti vi erano fra il Centro di Resistenza Democratica e Beria d'Argentine, del quale hanno ritrovato una lettera durante la loro "perquisizione". In quella lettera il magistrato si diceva d'accordo con gli scopi di un convegno indetto per il marzo '74, anche se per la sua posizione riteneva di non poter intervenire. Barbaro frettolosamente dice che la domanda non pertinente. Il suo comportamento mi sembra un po' affrettato e ingiustificato. C una richiesta del PM e di alcuni avvocati che il documento cui ha accennato Franceschini venga letto; la corte si ritira. Il presidente, senza accettare discussione, fa un'ordinanza e licenzia il teste. Mi sembra incredibile e protesto: alcuni giurati sono seccati. Si alza Curcio e riassume il contenuto del documento: parla del progetto di Sogno, della scadenza del referendum sul divorzio, fa i nomi di Leone, Fanfani e Taviani. Il presidente lo interrompe, Curcio continua. Barbaro licenzia definitivamente Sogno ed espelle Curcio. Curcio protesta, afferma che questo tribunale fascista e che la sentenza su Moro valida anche per il presidente. Interviene Moschella, sollecitando l'espulsione dell'imputato per le minacce da lui proferite. L'avvocato Guiso chiede l'acquisizione agli atti dei documenti citati da Curcio, Franceschini interviene sollevando un nuovo problema: dopo essere arrivata nelle mani del giudice Violante per il processo a Sogno la famosa lettera sparita. Altri avvocati ed il PM si associano alla richiesta di Guiso e chiedono l'audizione di Violante. Questa volta la richiesta si pu discutere. Curcio
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riammesso in aula, il carteggio Sogno deve essere acquisito, la corte cita Violante e si riserva di riascoltare il teste Sogno. Ma il giorno dopo, sulla "Stampa", appare il seguente articolo: "Con arroganza, i brigatisti vorrebbero essere loro ad interrogare i testimoni". Zelo e servilismo fanno dimenticare che nei nostri codici, sia pur del 1930, previsto il diritto degli imputati a porre domande ai testi e che i motivi per cui stata fatta l'irruzione al CRD sono elementi indispensabili per il giudizio della giuria. Nonostante venga successivamente ascoltato Violante, le lettere scomparse dalla cartella sequestrata a Curcio e a Franceschini al momento dell'arresto non saranno pi ritrovate. La seconda deposizione di Sogno non servir naturalmente a chiarire nulla, perch si trover la scorciatoia giuridica della legittimazione a non rispondere in quanto imputato in altro processo e non tenuto a fare dichiarazioni che possano nuocere alla sua posizione. Ma se Sogno ha diritto di non parlare, non ha per certamente il diritto di insultare la corte per una sua presunta debolezza nei confronti dell'arroganza degli imputati e di esprimere pesanti apprezzamenti sugli stessi. Sollecito il presidente a farlo stare zitto. Siccome continua, cerco con gli occhi fra gli avvocati per vedere se qualcuno reagisce. Mi alzo e mi avvio verso l'uscita: si alza contemporaneamente l'avvocato Guidetti-Serra che chiede al presidente di far tacere il teste, in quanto esprime solo valutazioni personali, e che le frasi vengano tolte dal verbale. Il presidente si dichiara d'accordo. Per forza! Torno al mio posto. Mai come in quel momento ho sentito il disagio di non poter intervenire se non in modo indiretto. Marted 18 aprile. Depone l'onorevole Costamagna, come parte lesa per l'irruzione avvenuta al Centro Don Sturzo. Con questa deposizione si apre un altro tema che non sar mai chiarito nel corso del processo: il mistero di una lettera inviata al Centro dal professor Calderon, segretario di Don Sturzo, lettera sottratta durante l'invasione dei brigatisti ma che non mai stata ritrovata insieme al resto dei materiali rinvenuti nei covi. E' invece riapparsa in fotocopia tra le mani del pretore Guariniello, quando un mese dopo ha convocato l'onorevole Costamagna. Questi afferma che il pretore non chiar i motivi della convocazione e rifiut di dare spiegazioni circa la provenienza della fotocopia in suo possesso. Sapremo poi dal pretore Guariniello che la famosa lettera fu trovata durante una perquisizione in casa di Cavallo, il quale afferm che egli era stata affidata, perch fosse tradotta in inglese, da una persona di cui per non fece il nome. A questo punto le cose sono completamente oscure: abbiamo capito solo che questa lettera ha fatto dei giri strani, dal Centro Sturzo alle BR, poi, fotocopia, a Cavallo. L'originale non si mai pi ritrovato. Ha ragione l'onorevole Costamagna quando definisce assurda e incredibile la vicenda. Gioved 20 aprile. E' iniziato da due giorni il giallo del Lago della Duchessa ed stato scoperto il "covo" di via Gradoli. Si sapr poi che in via Gradoli sarebbe stato possibile arrivarci molto prima. Mentre la polizia si perde letteralmente nelle ricerche in Abruzzo ed il paese quasi no reagisce pi all'alternarsi di notizie drammatiche, nell'aula di Torino continuano a sfilare decine di testimoni che non sanno nulla, non hanno visto nulla e, se hanno visto, non ricordano o non hanno riconosciuto nessuno. Protesto a pi riprese con Barbaro, chiedendo che i testimoni inutili vengano stralciati. Mi viene risposto che la lista presentata dal PM deve essere rispettata per intero. So che i rapporti con Moschella non sono dei pi affabili, per cui si aspetta. La noia ed il nervosismo crescono: ognuno pensa a ci che sacrifica per essere presente alle udienze e si sente preso in giro o comunque spinto a protestare perch si accelerino i tempi. L'unico che appare sempre calmo, imperturbabile, il
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giudice a latere, Mitola. Non vi stato momento, nel corso del processo, in cui abbia perso il suo distacco, sia nei rapporti personali con noi che di fronte agli avvenimenti processuali e a quelli esterni. Questo non vuol dire che in alcuni momenti non sia venuta alla luce una sua nascosta dimensione umana, ricca di ironia. Mitola rigorosamente legato alla "sua" etica professionale, che gli fa respingere (ma in modo diverso da Barbaro) qualsiasi tentativo di interferenza nel processo. E' estremamente rigido nell'interpretazione, quasi letterale, degli articoli del codice, pur essendo sempre interessato a qualsiasi altro punto di vista e disponibile alla discussione: di tutta la giuria stato l'ascoltatore pi attento e minuzioso delle arringhe conclusive. Di fronte al rischio personale ha un atteggiamento quasi fatalistico: per lui il rischio c, ma una realt gi implicita nella scelta della sua professione. Negli ultimi giorni, prima della fine del dibattimento, lo sento dire sarcasticamente: "Caro presidente, se vogliono bloccare il processo a questo punto, o tocca a te o tocca a me... ". Scorrendo i giornali noto alcuni articoli che annunciano che stata ritirata a Barbaro la scorta. Resto a bocca aperta: mi pare un fatto inaudito, del quale non riesco a dare un'interpretazione logica, a mano che si tratti di una sorta di ritorsione. Nei corridoi della caserma Lamarmora tutti commentano - indignati - l'accaduto. Incrocio Barbaro e tento un approccio, per cercare di saperne di pi: "Lei deve proprio aver pestato i piedi a qualcuno!". Barbaro ride amaro, e non risponde. Oggi viene a deporre Marco Boato, un dirigente di Lotta Continua che si formato, come gli imputati, alla facolt di sociologia di Trento. La sua deposizione lunga e particolareggiata e d un contributo di chiarezza sul ruolo di Pisetta nell'mabito delle BR. Pisetta, che imputato in questo processo in base all'art. 306, stato uno dei primi infiltrati del SID nei gruppi della sinistra ed in particolare nelle BR. Dopo essere stato alcuni mesi in prigione, quando ne uscito, approfittando della fiducia acquisita riprende il suo "lavoro" fra i compagni. Nell'estate '74 esce come una bomba il suo oramai famoso memoriale sulle BR: il primo documento storico sulla vita dell'organizzazione. Pisetta affermer pi tardi di non essere l'autore materiale, ma di aver solo prestato la firma a questa operazione del SID, che serv ad incastrare un centinaio di persone della sinistra italiana. Afferma di aver tradito una prima volta per uscire di galera e poi per paura. Mi viene in mente la deposizione di Allegra, responsabile dell'ufficio politico di Milano, che ha dichiarato di non aver mai conosciuto Pisetta, se non nel momento in cui lo ha arrestato la seconda volta a Milano, e che non era stato messo a conoscenza, a suo tempo, dell'esistenza del memoriale (che fu diffuso in tutte le questure italiane). Ancora una volta ritorna l'ombra dei servizi segreti sulla vita della sinistra in quegli anni: le zone oscure sulle quali non si riesce a far luce, le responsabilit che non si riescono a individuare, i processi diluiti e rimandati (quelli s, speciali) al terrorismo di Stato. Al termine della testimonianza Marco Boato resta in aula fra gli avvocati, per consegnare in un intervallo dell'udienza, avutone il permesso dal presidente, un appello a Curcio per la liberazione di Moro, in nome delle comuni esperienze del '68, prima che le diverse scelte li dividessero. Il paese sta precipitando in una situazione drammatica, apparentemente senza ritorno: gli azzoppamenti, le uccisioni, il tragico evolversi della vicenda Moro, con la richiesta di scambio non ancora precisata, i messaggi del presidente della DC, l'irrigidimento di una classe politica tanto intransigente sui princpi quanto duttile nel giustificare il suo porsi fuori della Costituzione, il messaggio del Papa, la cronica inerzia delle indagini che continuano ad approdare ad un nulla di fatto calano su un paese che all'apparenza pare rassegnato, indifferente, senza capacit di reazione: forse questa volta sono riusciti davvero a soffocare completamente le speranze e la volont di partecipazione che in questi anni si
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erano manifestate nella societ civile. Il decreto antiterrorismo passa al Senato senza provocare alcuna reazione: oltre ai provvedimenti di cui ho gi parlato viene aggiunto un comma, che prevede la non riammissione in aula degli imputati dopo due espulsioni. E' la terza legge speciale emanata ad hoc per questo processo, a procedimento gi iniziato. Non solo si lede il diritto alla difesa dell'imputato sancito dalla Costituzione, prevedendo processi fatti in assenza non volontaria degli imputati e quindi negando loro il diritto al contraddittorio, ma si approvano disposizioni di legge che sono nei fatti retroattive. Alla Camera annunciamo l'ostruzionismo. Per timore che, per decorrenza dei termini, salti la conversione in legge del decreto il governo sar costretto poi a porre la fiducia. Il giurato col quale ho stretto una sorta di amicizia si chiede e mi chiede: "Che cosa ci stiamo ancora a fare qui dentro? Quali speranze puoi ancora avere?". Sta lentamente precipitando in una situazione di assenza e di abulia. Medita di dimettersi dalla giuria. Alla Camera si deve avviare la discussione sulla Reale-bis che dovrebbe modificare la legge Reale sulla quale pende uno dei referendum. Con un colpo di mano la maggioranza, in previsione di un nuovo ostruzionismo dei radicali, stabilisce che la nuova legge venga discussa e approvata direttamente in commissione giustizia in sede legislativa. Ci comporta innanzitutto la non pubblicit dei lavori (i giornalisti infatti non possono assistere ai lavori di commissione) e il non passaggio della legge in aula. La legge, insomma, deve essere approvata nel buio del "Palazzo", lontano dall'opinione pubblica. La reazione di Emma dura: "E' una proposta inaudita e inaccettabile. Non trovo altre parole che fare mia l'opposizione gi sostenuta da Spagnoli il 23 aprile 1975 quando fu proposto di votare la prima legge Reale in legislativa: ``Chi cerca di evitare il dibattito in assemblea teme che si parli pubblicamente delle responsabilit delle forze che per trent'anni hanno diretto il Ministero degli Interni e i servizi segreti''". Il PCI ha imparato velocemente i metodi del potere! Pannella si fa espellere di notte dall'aula della commissione: viene riportato il fatto, non le tesi e le motivazioni del deputato. I deputati radicali attuano l'ostruzionismo: non se ne riferiscono le ragioni. Si sa solo che insieme ai radicali fano ostruzionismo anche i missini, le cui motivazioni ottengono ampio spazio e rilievo. I referendum si avvicinano: il linciaggio cominciato. La maggioranza, per, ha sbagliato i suoi calcoli: l'ostruzionismo in commissione si rivela pi efficace di quello in aula. Le discussioni con gli altri giurati sui referendum, sulla Realebis, sui radical-fascisti, sono all'ordine del giorno, e molto accese. Da alcuni avvocati che conosco da anni, tra i quali molti si che sono d'accordo sul referendum sulla Reale, mi viene posto il quesito: "In questa situazione l'ostruzionismo sulla Reale non pu essere controproducente? Se per caso si arrivasse al referendum sarebbe una sconfitta schiacciante, e quindi un ritorno indietro". Sono segnali che mi riempiono di sconforto. Mi chiedo per l'ennesima volta chi manovra le BR. Ma se persino le persone pi razionali abdicano e si lasciano schiacciare dalla sfiducia, non vorr dire che siamo gi ad una situazione di non ritorno, di annullamento di qualsiasi speranza, di grigiore e conformismo totalmente dominanti? Continua la sfilata opprimente e tediosa dei testi: a volte mi ciondola il capo sulla spalla ed il sonno rischia di avere il sopravvento. La sera vado a letto sempre tardi, perch con i compagni di partito passo le notti ad organizzare la campagna politica che dovrebbe iniziare il 12 di maggio. Mentre aumenta la sonnolenza in aula, cresce la socialit fuori dell'aula: si riempiono gli intervalli discutendo un po' di tutto. In questi giorni, soprattutto, ci poniamo l'interrogativo sullo "scambio": c il dubbio che possa essere scaricato su questa giuria. Nessuno esprime certezze, la confusione direi generalizzata, la strada da percorrere appare ai pi ancora irrimediabilmente lunga e buia. Anche qui sfiducia e rasse59

gnazione sono protagonisti. In mezzo a tutto questo guizza la figurina indaffarata di Guiso, con quel suo fare sempre un po' misterioso, fra il dire e il non dire, l'apparire e lo scomparire, l'atteggiamento dal presuntuoso al dimesso, speso appartato in lunghi colloqui con il presidente; certamente una figura anomala in mezzo alla compostezza e alla quasi staticit del foro torinese. Verso la fine del processo mi confider il suo sconforto ed anche i suoi timori per le critiche, le insinuazioni e le velate accuse si cui stato fatto oggetto dalla stampa, e non solo da essa.

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12. CURCIO: UN ATTO DI GIUSTIZIA RIVOLUZIONARIA Gioved 27 aprile. L'udienza si apre con un intervento di Curcio: il Ministero gli ha inviato una persona in carcere con il permesso di colloquio senza vetri, mentre questo continua ad essere negato ai familiari. Apprendo da Barbaro che si tratta di Franca Rame. E' quantomeno una mossa sintomatica dello stadio al quale sono ferme le indagini sul caso Moro. Quando escono dell'aula vengo avvicinata da un giovane carabiniere, che molto timidamente mi chiede informazioni su come e dove pu abortire la sua ragazza. Gli abbasso la canna del mitra inavvertitamente rivolta verso il mio stomaco e gli do le informazioni che mi ha chiesto. Il processo stato rinviato al 3 maggio. In questi giorni mi dedico pi al partito e passo molto tempo con le bambine, la cui compagnia rappresenta un momento di tregua nelle mie giornate. Venerd 28, dopo cena, abbiamo una fiaccolata in difesa dei referendum, a Torino: le persone intervenute sono pi di un migliaio ed in un clima come quello di Torino, con un partito che continua a vivere col telefono tagliato e carico di debiti, legato unicamente all'informazione data dai miseri impianti di Radio Radicale indubbiamente un successo. In questi giorni i quotidiani continuano a dedicare le prime pagine all'evolversi del caso Moro: il PCI, la DC e il governo sono arroccati sul no al ricatto. Craxi ventila una proposta umanitaria che non si concretizza mai, Moro scrive dal buio della sua prigione lettere e lettere, per tentare di sbloccare la situazione. Il paese appare inerte e impotente. Io cerco a volte di immaginare quale sia il rapporto che Moro ha instaurato con i suoi rapitori, o ho la certezza che, comunque, ha mantenuto intatta la sua lucidit e le sue capacit mediatorie. Gli saranno sufficienti questa volta? Mi difficile immaginarlo in una posizione non di forza e di potere. Difficile penetrare nelle sue reazioni psicologiche, anche se le lettere che ha scritto alla moglie, almeno quelle pubbliche, rivelano la drammatica angoscia di un uomo cui si negano il dialogo, la fiducia, la vita. Arriva l'ultimatum per lo scambio con i tredici detenuti, ma una proposta universalmente interpretata come strumentale. I nostri deputati chiedono ancora il dibattito parlamentare, ma una volta di pi i rappresentanti del popolo vengono espropriati dei loro diritti. Durante tutto il periodo del rapimento di Moro, e sino al suo assassinio, i miei pensieri non sono diversi da quelli di moltissimi altri cittadini. Le ripercussioni sul processo sono state infatti soltanto indirete, se si esclude la tensione dei primi giorni dovuta alle dichiarazioni e ai commenti degli imputati. Spesso ho la netta sensazione (l'impressione sar poi confermata dalla lettura del "memoriale" e dei cosiddetti "verbali d'interrogatorio") che Moro non abbia mai perso la sua lucidit, n rinnegato in alcun modo il suo passato. Man mano che i giorni scorreranno mi indigner sempre pi il tentativo di negargli il diritto alla paternit delle lettere, e in generale il comportamento dei suoi amici di partito, che sin dall'inizio della vicenda hanno accettato, come unica realt possibile, quella del tragico epilogo del 9 maggio. Marcoled 3 maggio. Ognibene si alza in piedi all'inizio dell'udienza e, attraverso la lettura del comunicato n. 14, rilancia in modo pi organico il programma di lotta nelle carceri gi annunciato da Curcio in una precedente udienza. C un appello a tutti i detenuti, perch si uniscano alla lotta contro le carceri speciali. Il programma strategico della Organizzazione Comunista Combattente Brigate Rosse nelle carceri preciso: liberazione di tutti i proletari e distruzione delle galere. Ci non significa l'assenza di iniziativa sui problemi immediati. L'abolizione del trattamento differenziato per tutti i prigionieri dei campi il compito pi urgente. Esso comprende: L'eliminazione dell'isolamento individuale e di gruppo, che
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significa: conquista di spazi di socialit all'interno; lotta contro ogni tentativo di distruzione dell'identit politica e personale dei prigionieri; autodeterminazione della composizione delle celle; ora d'aria e di vita collettiva, ecc... L'abolizione dell'isolamento verso l'esterni, vale a dire l'eliminazione dei vetri divisori al colloquio, del blocco dell'informazione e della corrispondenza... Ci che proponiamo "non " il terreno della trattativa, della rivendicazione sindacale, ma la concretizzazione, attraverso la lotta, dei rapporti di forza che gi sono maturati a livello generale. Lottando per questi obiettivi noi intendiamo costruire potere proletario armato anche nelle "carceri speciali" e saldare nel programma strategico dell'"attacco allo Stato" la lotta di vati strati proletari... Ancora una volta la borghesia ha fatto male i suoi conti, se ha creduto, con l'istituzione delle "carceri speciali", di risolvere definitivamente il problema, perch coloro che nei suoi desideri dovrebbero essere annientati diventeranno gli affossatori di questo criminale regime carcerario. Chi ha paura delle "carceri speciali"? Non certo noi che vi siamo rinchiusi... Barbaro annuncia che il teste Girotto irreperibile. Per capire meglio la sua posizione si chiede di riascoltare il colonnello Franciosa ed il capitano Pignero, alle cui dipendenze ha operato, ovviamente pagato, "Frate Mitra". I testi stanno lentamente andando ad esaurimento, ma le testimonianze continuano ad essere praticamente vuote di contenuti e di prove. Viene fissata, dopo la perizia piuttosto movimentata fatta sul giudice Sossi (la scorta del giudice, mitra alla mano, ha tentato di impedire la presenza dell'avvocato rappresentante la difesa, nominato da Barbaro), la data dell'audizione di quest'ultimo al 22 maggio. Continua la divaricazione, sempre pi sofferta, fra il compito di giurata e l'impegno di militante. Terminata l'udienza corro al partito. Telefono al gruppo, mi risponde Emma, sbrigativa e quasi sgarbata. Con Marco da tempo non riesco a parlare. Gianfranco preso dalle cose del partito. Mi sembra di esser tagliata fuori da tutto. Ho una crisi di depressione che volgo in rabbia. A che serve ormai che rimanga a fare questo processo? Sono soltanto giudice supplente, la mia presenza pressoch superflua dal momento che il processo ormai solidamente incardinato e le udienze si susseguono, noiose ma con regolarit. Avr pure il diritto di far valere le mie funzioni di segretario del partito e di tornare ad esercitarle, libera da altri impegni pubblici, almeno durante la campagna referendaria! E' uno stato d'animo che durer alcuni giorni. So benissimo che i compagni in Parlamento hanno affrontato, anch'essi, un periodo massacrante. So altrettanto bene che la responsabilit che mi sono assunta quando ho accettato l'incarico di giudice popolare devo portarla fino in fondo. E' una responsabilit davanti all'opinione pubblica: non si comprenderebbe, giustamente, un abbandono. Abbiamo detto tante volte che siamo gente fra la gente. Non sono il "deus ex machina", evocato dalla sorte per far uscire il processo dalle secche della paura in cui rischiava di arenarsi. Sono, devo essere un giurata fra i giurati e condividere le loro rinunce e i sacrifici che la sorte ci ha imposto. Dalle prime avvisaglie della campagna elettorale, posso infine immaginare benissimo l'uso che il PCI farebbe di questo abbandono. Mi farebbero a pezzi e farebbero a pezzi il Partito radicale, se gi cos e nonostante la mia esperienza al tavolo della giuria ci indicano ( avvenuto in Parlamento) come sostenitori delle Brigate Rosse. Le considerazioni non migliorano il mio stato d'animo. Mi sento come tradita dagli avvenimenti e dai doveri che mi impongono. Tutta la fatica fatta, prima per arrivare a raccogliere le firme dei referendum e poi per difenderli, e trovarmi ora drasticamente allontanata da ogni impegno, proprio nel momento conclusivo... Gianfranco deve averlo intuito nelle rare e rapide telefonate che ci siamo scambiati. Ricevo una sua lunga lettera, molto affettuosa ma senza

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l'ombra del paternalismo cui impronta talvolta, nei momenti difficili, i rapporti con me e gli altri compagni. Gioved 4 maggio. Sono libera dal processo e vado con Elena e Giovanni dal sindaco di Torino Novelli per ricordargli le scadenze della campagna elettorale e gli adempimenti che gli spettano per legge, oramai slittati come in molte altre amministrazioni comunali. La reazione sconcertante. Il sindaco pare quasi cadere dalle nuvole e non ricordare che esistono dei referendum. Subito dopo per convoca il segretario comunale e, appurato il ritardo, d disposizioni perch la macchina si metta in moto. Ho la nausea dei treni e delle notti trascorse in cuccetta. Il sabato e la domenica corro quasi sempre a Roma per seguire alcuni appuntamenti importanti del partito, i Consigli federativi e il Convegno teorico. E' proprio durante quest'ultimo, il pomeriggio del 5 maggio, che ci raggiunge la notizia della condanna a morte di Moro. I tre successivi, con le ultime lettere drammatiche alla famiglia ed il silenzio dei brigatisti, sono giorni cupi e immobili: ancora una volta il paese attonito, paralizzato (o indifferente?) di fronte alla violenza di una banda di assassini. L'idea di quest'assassinio, a freddo, che forse sta per essere eseguito o appena stato eseguito mi ributta nel clima ossessivo e oppressivo di questi mesi cancellando in me quel poco di speranza e ottimismo che lentamente andavo riacquistando. Le considerazioni che faccio sul mio intervento al Convegno teorico del partito, forse risentono di questo stato d'animo. ... Ho letto su "Lotta Continua", prima di venire al convegno, la tragica lettera del compagni Valitutti, che ha deciso di lasciarsi morire in carcere. Mi sono chiesta se ce la faremo a strapparlo alla morte o se siamo gi nella condizione di assistere impotenti al compiersi di questi crimini, all'annientamento scientifico e legale di una persona. E mi sono chiesta cosa non avremmo fatto noi, quanti cortei non avrebbero organizzato gli extraparlamentari, cosa non avrebbe fatto la stessa "Lotta Continua" se avessimo ricevuto e letto questa lettera un anno fa o anche solo alcuni mesi fa. Poi sono venuta al convegno e vi ho ritrovato le facce conosciute e care di tante persone di Roma e di altre citt, con le quali percorriamo ormai da anni, giorno dietro giorno, lo stesso itinerario. Anche se per intenderci fra noi lo abbiamo chiamato ampollosamente "convegno teorico", siamo riusciti a non farne una riunione da addetti ai lavori, ma qualcosa che assomiglia, pur nel dibattito impegnativo, fatto di riflessioni e di approfondimenti per noi ormai importanti ed essenziali, ai nostri tradizionali appuntamenti. Eppure avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che mancava, che lo rendeva differente dalle nostre altre riunioni. Poi ho capito che cosa rendeva cos facili, cos ordinati i nostri lavori: non era il contenuto del convegno, non era il carattere del dibattito, ma era l'assenza di un certo tipo di personaggi che hanno sempre contrassegnato i nostri congressi, i nostri convegni, le nostre iniziative pubbliche, rendendole spesso difficili e creandoci dei problemi. Voi li ricordate. Erano e sono forse i pi esibizionisti di una schiera di umili e di emarginati che fra noi pretendevano di trovare il loro posto o la loro tribuna e che rappresentavano il nostro problema non risolto, a volte una nostra sconfitta, e comunque sempre un momento di verit. La loro presenza fra noi non era certo la soluzione e il superamento del problema dell'emarginazione, ma costituiva almeno un segno di speranza. E la loro assenza oggi, lungi dal produrmi un sollievo liberatorio, mi ha suscitato una preoccupazione, mi ha indotto a pormi un interrogativo: se non sia una conseguenza del fatto che i recenti episodi di violenza, il crescere della spirale di violenza, non abbia ormai messo in crisi il modello della disubbidienza civile e nonviolenta, e se ad esso non si sono gi sostituiti altri modelli. Ma se cos questi assenti non troveranno posto negli
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altri modelli, quelli proposti dai nuovi chierici, dai depositari esclusivi, freddi e spietati, della rivoluzione violenta e del partito armato: per essi sar solo il massacro di classe, quel massacro che ci annunciato dalla lettera di Valitutti e che riguarda i mille Valitutti dal volto e dal nome sconosciuti che gi oggi sono vittime della illegalit e della violenza. Marted 9 maggio. L'udienza si apre con un comunicato letto da Ferrari, nel quale gli imputati si associano alla protesta dei detenuti in corso alla Nuove di Torino dal pomeriggio precedente. viene smentita la notizia, data da alcuni organi di informazione, di contestazioni da parte dei detenuti comuni nei confronti degli imputati, data invece notizia del comunicato dei detenuti e ne viene richiesta la pubblicazione. Ascolto il comunicato e non posso che essere d'accordo sui contenuti. Alcuni sono obiettivi sui quali da tempo ci stiamo muovendo in Parlamento e fuori. Le carceri si rivelano oggettivamente, per le condizioni di vita cui sono costretti i detenuti, un momento di contestazione molto dura, della quale non si pu disconoscere e l'importanza. Gli obiettivi che tutti i detenuti italiani vogliono raggiungere sono i seguenti: immediata approvazione della legge sull'amnistia e su di un ampio condono generalizzato; immediata discussione ed approvazione del provvedimento della "libert provvisoria" a tutti i detenuti e le detenute in cattive condizioni di salute; libert provvisoria a tutte le detenute che hanno figli in tenera et e specialmente per quelle che hanno bambini in carcere o che debbano partorire; applicazione alla lettera della riforma approvata ma in effetti mai realizzata in nessun carcere. In merito alle condizioni del carcere di Torino facciamo presente il sovraffollamento e le disumane "sistemazioni" nel reparto "celle" nel quale sono costretti a dormire nel corridoio decine di detenuti in mezzo alla sporcizia, senza servizi igienici (i cui pochi funzionano male e sono rotti). Facciamo presente l'insorgere di malattie tipo scabbia, diarrea ecc... ... In questo momento tutta la popolazione detenuta si rifiutata di rientrare nelle celle invadendo pacificamente i passeggi e le sezioni in attesa di una positiva risposta che ci riserviamo di valutare. Mentre la nostra manifestazione si svolgeva pacificamente in attesa delle persone richieste, le guardie del muro di cinta hanno esploso senza alcun motivo raffiche di mitra ad altezza d'uomo verso il secondo e quinto braccio... Sono venuti a testimoniare intanto il colonnello Franciosa ed il capitano Pignero. L'interrogatorio, condotto dagli avvocati della difesa Zancan e Arnaldi, molto lungo e particolareggiato, ma non riesce a far chiarezza sul periodo nel quale iniziata la collaborazione con Girotto (anzi le dichiarazioni appaiono in parziale contraddizione) n sui motivi per cui stata scelta Borgomanero come sede privilegiata delle indagini. Si alza Franceschini e fornisce l'interpretazione degli imputati sulla operazione Girotto, che verr poi messa per iscritto nel comunicato n. 16, consegnato alla corte il 19 maggio. Guardo Franceschini, che le biografie ufficiali indicano come uno dei teorici del gruppo, e che come sempre mi d una sensazione di grande freddezza e distacco. Nei suoi interventi molto aggressivo e duro anche se molto attento ai termini usati, per non farsi togliere la parola: ha spesso delle sfumature ironiche che rimbalzano, dallo sguardo attraverso le lenti, anche se i suoi discorsi sono infarciti di dogmatismo. Mi sembrano istintivamente pi interessanti, perch pi immediati e pi semplici, altri imputati. L'operazione Girotto, ci spiega Franceschini, stata messa in atto come supporto al compromesso storico, per distruggere i primi nuclei operai combattenti. Per capire la funzione della spia Girotto bisogna inserire la sua azione all'interno del quadro politico pi generale in cui andata sviluppandosi. Nell'autunno '73, dopo il colpo di Stato militare in Cile, esce chiaramente allo scoperto all'interno del PCI quel processo di revisione politica che si so64

stanzier nella formula berlingueriana del "compromesso politico". Sono di quel periodo i due famosi articoli di Berlinguer comparsi su Rinascita... E' in questo quadro che matura l'"operazione Girotto". Essa viene preparata insieme dal PCI e dalla DC, attraverso la collaborazione del sindacato (CGIL) con i carabinieri (nucleo speciale) e la magistratura. Difatti ai primi di maggio '74 Levati, che a quel tempo era funzionario sindacale, viene convocato alla Camera del lavoro e gli viene ritirata la tessera con la motivazione che "essendo in preparazione da parte dei BR una grossa operazione di provocazione in cui avrebbero potuto essere coinvolti anche membri del sindacato, era opportuno togliergli la tessera perch lui poteva essere coinvolto". E' dopo questo incontro che il Girotto inizia la sua manovra di aggancio col Levati. Questa collaborazione DC-PCI la ritroviamo in tutti i corpi che partecipano all'operazione. Nella magistratura si tratta della coppia CacciaCaselli. Caccia, sostituto procuratore generale, quindi espressione diretta dell'esecutivo (quindi della DC), svolge in tutta l'inchiesta funzioni di controllo. Deve, cio, assicurare che tutto si svolga entro i confini preventivamente stabiliti dal governo. Caselli, membro del direttivo di Magistratura Democratica, uomo del PCI. La sua funzione in tutta l'istruttoria essenzialmente politica. Suo compito non tanto quello di ricercare prove, ma di "capire politicamente chi gli sta di fronte" e quindi in base a queste valutazioni politiche, stabilire chi membro delle BR, quale ruolo svolge nell'organizzazione, eccetera. Nel piano direttamente militare troviamo la coppia Dalla Chiesa-Girotto. Dalla Chiesa un uomo di fiducia della DC ed ha svolto per questo partito una gran quantit di incarichi speciali. Inoltre non appare totalmente sgradito al PCI, stando almeno alle ripetute dichiarazioni di approvazione e di esaltazione delle "qualit di efficienza e di seriet dell'uomo" rilasciate da vari esponenti del PCI (on. Trombadori, il giornalista dell'"Unit" Settimelli... ) per la sua opera di "Riforma carceraria" (cio di costruzione dei Lager!). Girotto, uomo del PCI, con funzione di consulente politico dei nuclei specialisti. Del resto solo un uomo di "sinistra" poteva sperare di riuscire ad infiltrarsi con qualche successo all'interno delle BR. L'operazione Girotto rappresenta quindi uno dei primi momenti in cui la politica del "compromesso storico" mostra chiaramente il suo fine: collaborazione con il nemico di classe per distruggere ogni forma di opposizione rivoluzionaria di classe... Nel pomeriggio, a casa, dove mi sono rifugiata per cercare di riposare, mi arriva la notizia del ritrovamento del cadavere d Moro. Resto per un po' con la mente vuota, senza pensieri. La citt immediatamente cosparsa di manifesti listati a lutto. Si organizza una concentrazione verso piazza S. Carlo, ma non mi pare molto affollata. Mi ritrovo ad ascoltare questo commento: "Chiss quante persone hanno tirato il fiato fra Piazza del Ges e le Botteghe Oscure". Mercoled 10 maggio. I partiti costituzionali, i giornali, le radio commemorano la figura di Aldo Moro. Alla caserma Lamarmora si apre l'udienza, in un clima ancor pi funebre. Curcio si alza e incomincia a leggere un comunicato, il n. 15, che fa una analisi di cosa ha significato l'operazione Moro in termini di "lotta di classe" e rivendica la portata "rivoluzionaria" del rapimento e dell'assassinio del presidente democristiano, Pi precisamente nel comunicato gli imputati affermano: ... Con il 16 marzo non si affermato un nuovo regime capace di stabilizzare la situazione economica-politica-sociale nel breve periodo come era nelle intenzioni, ma si invece manifestata l'esistenza di due poteri contrapposti, espressioni di classi antagoniste, di interessi, bisogni e aspirazioni inconciliabili: lo Stato imperialista ed il potere proletario armato. Il potere proletario armato, di cui le BRIGATE ROSSE costituiscono il nucleo strategico, affonda le sue radici nella classe operaia, nei lavoratori produttivi, nel proletariato metropolitano; ed il suo "interesse generale", vale a dire il suo sco65

po, la trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici, la creazione di una societ comunista. Il potere proletario armato sa di essere forza organizzata e concentrata, aspira apertamente a diventare DITTATURA! Il suo esercizio da parte delle ORGANIZZAZIONI COMUNISTE COMBATTENTI, del movimento di Resistenza Proletario Offensivo e delle lotte di massa non si riferisce ad una astratta "giustizia", ma il prodotto di un reale rapporto di forze nel processo di liberazione. E come non esiste un'astratta giustizia, cos non esiste, per noi, un'astratta "moralit". Per noi - ha detto Lenin - la moralit dipende dagli interessi della lotta di classe del proletariato. La morale ci che serve a distruggere la vecchia societ sfruttatrice. Ecco perch noi sosteniamo che il 9 maggio, anniversario dell'assassinio "a freddo", nel carcere speciale di Stammhein, della compagna Ulrike Meinhof conclude giustamente la battaglia iniziata il 16 marzo ed inaugura una nuova fase della guerra di classe rivoluzionaria. Ecco perch noi sosteniamo che l'atto di giustizia rivoluzionaria esercitato dalle BRIGATE ROSSE nei confronti del criminale politico Aldo MORO, responsabile insieme ai suoi complici della DC di un regime trentennale antiproletario e sanguinario, oltre che eminenza grigia dei nuovi progetti di stabilizzazione imperialista affidati al regime dell'intesa, varato il 16 marzo, il pi alto atto di umanit possibile per i proletari comunisti e rivoluzionari in questa societ divisa in classi. Curcio viene espulso e cos pure Franceschini. L'indignazione sulla "Stampa" e su tutti gli altri giornali sar enorme. Nonostante la gravit delle affermazioni, a me sembra che ci sia una logica molto stretta nell'identificarsi degli imputati con l'organizzazione Brigate Rosse che opera all'esterno, anche nel caso non siano d'accordo con alcune azioni. Sono convinta che gli imputati non condividano la soluzione dell'assassinio a freddo adottata dai rapitori, ma comprensibile che la avallino. Il PM chiede il processo per direttissima per apologia di reato. La corte, riunitasi, respinge la richiesta, contraddittoria con i comportamenti precedenti, e la rinvia a chi ne ha competenza. Venerd 12 maggio. E' ormai un fatto quotidiano il ferimento di qualcuno, tale da non destare pi impressione nella gente. Nella caserma Lamarmora, negli intervalli delle udienze, si fanno ormai sempre pi spesso i conti con i tempi del processo e le previsioni sulla sua conclusione. Un anno fa, nel pieno della raccolta delle firme, sono accaduti i fatti di piazza Navona e ancora oggi ripenso ai compagni inermi, ai volti terrorizzati della gente, all'accerchiamento della forze di polizia, alle pistole degli agenti in borghese che sparavano ad altezza d'uomo, al fumo dei lacrimogeni che invadeva tutto il centro di Roma, ai tentativi drammatici dei nostri parlamentari di intervenire per sbloccare la situazione, all'assenza plateale di Cossiga e alla certezza acquisita che l'operazione era stata premeditata ed organizzata freddamente a tavolino, per tentare di criminalizzare l'opposizione nonviolenta. Arriv alle ventuno, nella piazza quasi deserta, la notizia dell'assassinio di Giorgiana Masi. Troppe volte in quest'anno mi sono tornati alla mente quei fatti. Oggi stiamo facendo un processo difficile: altri devono essere fatti. Preparo un comunicato, chiedendo questi processi: quello dell'associazione a delinquere della quale, secondo Cossiga, faccio parte, come promotrice della manifestazione del 12 maggio, e quello a Cossiga, per strage. E' un anno esatto a oggi che secondo la denuncia dell'ex ministro Cossiga, io sono la rappresentante di una associazione a delinquere, rea di aver istigato a delinquere migliaia di cittadini. Protesto fermamente contro questa dimostrazione di cronica inefficienza fornita dalla magistratura. In Italia, oggi pi che mai, tutti i processi debbono essere fatti; soprattutto se si tratta poi di presunti gravi reati quali appunto "associazione a delinquere". Non mi riesce
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di comprendere come mai questo non avvenga n per me n per i deputati radicali, che in svariate occasioni hanno sollecitato l'autorizzazione a procedere in Parlamento. Esigiamo giustizia per tutti coloro che sono stati uccisi. Esigere giustizia l'unica possibilit per assicurare al paese momenti migliori. Se associazione a delinquere noi siamo, chiediamo di essere immediatamente condannati; se associazione a delinquere quella di chi il 12 maggio scorso invi squadre speciali travestite da "autonomi" a seminare il terrore tra la folla inerme, a cercare e trovare la strage, a tentare di criminalizzare chi si oppone con la nonviolenza e non con le pistole, ebbene chiediamo che paghi e paghi subito poich gi per troppo tempo questa associazione stata latitante. Cossiga esporr le sue prove, noi le nostre fotografie e i nostri filmati, e la magistratura decider. Ma la magistratura faccia il suo dovere: questo processo deve essere fatto. Parlandone con gli altri giurati e con Barbaro mi rendo conto che queste cose sono poco conosciute, o gi dimenticate. L'impegno di una anno fa, di esigere e fare chiarezza, tanto pi importante quanto pi evidente il tentativo di insabbiare.

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13. FRATE MITRA Sabato 13 maggio. Vengono lette le testimonianze di Silvano Girotto oramai dato per disperso. C un drammatico confronto in aula fra la Carletti ed un ragazzo per anni legatissimo alla donna, poi diventato informatore della polizia: lui che carpendone la buona fede nel modo pi subdolo ha puntato l'indice contro di lei. "Nonna Mao" gli urla in faccia tutto il suo disprezzo. L'udienza viene sospesa e il teste licenziato. Alcuni avvocati paiono voler protestare perch stato intimidito in teste, ma la cosa platealmente ridicola e la polemica si spegne subito. Dopo questo episodio la Carletti scomparir dalla caserma Lamarmora. Domenica 14 maggio si svolgono le elezioni amministrative in molti comuni italiani: la DC cresce sensibilmente, e si registra anche una consistente avanzata del PSI. Il PCI accusa invece una pesante flessione: presto chiaro che larga parte di quell'elettorato che nel '76 aveva votato il PCI, consentendogli il "grande balzo", non ha rinnovato la sua fiducia. Le elezioni del 14 maggio rappresentano, in un ceto senso, il primo sintomo di una situazione che va configurandosi e che esploder con i referendum dell'11 giugno e nelle successive tornate elettorali. Marted 16 maggio. Al tribunale, appena mi vede, Barbaro mi Sussurra che arrivato Silvano Girotto. Stupita gli domando come mai, che cosa ha spinto Dalla Chiesa a tirarlo fuori dal cappello. Non lo sa neppure lui, appare molto seccato da quest'ennesimo episodio di gestione esterna del processo. La notizia serpeggia fra gli avvocati e fra i giurati. C da una parte indignazione e dall'latra curiosit e attesa. Mancano alcuni degli avvocati difensori interessati a questa deposizione e si decide di avvertirli, spostando la testimonianza al pomeriggio. In aula Ognibene ha appena fatto un commento ironico sulla irreperibilit del teste. Alle due del pomeriggio, l'aula zeppa di avvocati, rappresentanti della stampa, curiosi. Barbaro, infastidito, rileva la presenza di alcuni avvocati che hanno rifiutato la difesa d'ufficio e non risparmia loro commenti polemici. Magro, coprendosi il volto con una mano, Girotto entra per iniziare il suo show. Dalle quattordici alle diciotto far il racconto delle sue vicissitudini e risponder alle domande poste dai difensori, con precisione ed esattezza rispetto alle sue passate testimonianze, usando le stesse identiche espressioni, incisi, parole della famosa testimonianza a futura memoria, quasi l'avesse ripassata il giorno prima. Ci sono discordanze con le testimonianze del capitano Pignero. Non aggiunge nulla a quanto gi si sapeva, non porta elementi di maggiore utilit per capire e provare i capi d'accusa contro il gruppo di Borgomanero. Mentre parla a getto continuo, salvo rifugiarsi, su alcune contestazioni della difesa, nel "non ricordo, passato troppo tempo", lo osservo attentamente cercando di metterlo a fuoco, sento crescere in me un profondo disagio. Non solo conseguenza di una avversione conformista e scontata per chi fa il suo mestiere. Il suo modo di fare gesuitico, come le cose dette sottovoce, lo sguardo sfuggente in mille direzioni, il concentrato di ambiguit e ipocrisia della sua esposizione, il tentativo superfluo di giustificare ideologicamente il suo operato mi rendono ostico l'approccio al personaggio. Una maggior chiarezza di se stesso, delle sue azioni, delle sue motivazioni, anche se difficilmente stimabili o vendibili al perbenismo comune, avrebbe certamente reso la figura pi credibile. Alla fine dell'udienza - molto lunga e stancante - trascorsa nel silenzio as68

soluto e impassibile degli imputati, me ne torno a casa pensierosa, dopo aver verificato che non sono la sola ad avere questo disagio e a rimuginare la domanda: "cui prodest?". Si aperto e subito rinviato intanto il processo a Camilla Cederna, intentatogli dai figli del presidente Leone, naturalmente non sulle accuse pi gravi contenute nel libro, ma su fatti marginali. Attraverso il libro della Cederna e la campagna dell'"Espresso" sono venuti alla luce fatti sui quali i deputati radicali pi di un anno fa avevano chiesto, formulando una precisa denuncia, un supplemento di indagine alla Commissione inquirente. Eravamo stati accusati di volere una campagna "destabilizzante" e si era archiviata la denuncia. Oggi, grazie al libro della Cederna, si riapre questo caso che si concluder nel momento in cui "politicamente" sar utile: Leone sar il capro espiatorio da offrire al 43 per cento di SI' sul finanziamento pubblico. In mezzo alle polemiche su Leone, alle analisi postelettorali, al processo di Torino, quella che per, non a caso, viene letteralmente soffocata la campagna per i referendum: c stato un tacito accordo fra i partiti della maggioranza per comprimere e dilazionare l'apertura del dibattito. I giornali tacciono, la televisione pure, le trasmissioni di Tribuna politica sono ridotte all'osso dalla Commissione di vigilanza e non sono ancora iniziate, manifesti non se ne vedono (i nostri per mancanza di fondi, quelli degli altri per ritardare il pi possibile il momento dello scontro e quindi della conoscenza, con la speranza di trasformare i referendum in un plebiscito).

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14. LA CAMPAGNA DEI REFERENDUM: SCHIZOFRENIA DI UNA GIURATA Gioved 18 maggio. L'udienza sospesa, per permettere che si faccia il processo a Curcio e Franceschini per apologia di reato. Leggo la pena assurda che viene comminata: penso con amarezza che questo era uno degli articoli del codice Rocco che prevedono i reati d'opinione dei quali chiedevamo l'abrogazione. Non impedendo a chicchessia di esprimere le proprie opinioni, sia pure apologetiche di reato, che si argina la criminalit, ma arrestando i criminali; e non impedendo che si vilipendio i capi di Stato o le istituzioni che si rid a queste credibilit. Mi viene in mente il caso del ragazzino sospeso qualche settimana fa dalla scuola perch aveva dichiarato di essere brigatista rosso: sono le conseguenze ridicole di uno Stato nel quale i reati d'opinione continuano ad essere il baluardo di una giustizia borbonica. La sera, mentre sono a Milano per la campagna elettorale referendaria, c' la prima trasmissione televisiva dei comitati dei referendum e del Partito radicale. La trasmissione, ventiquattro minuti complessivi, si svolge nel silenzio assoluto: Emma, Marco, Gianfranco, Mauro si presentano sullo schermo imbavagliati, e tali rimangono per venti minuti, limitando agli ultimi quattro la spiegazione del messaggio che si voluto, in questo modo cos insolito, trasmettere. I tempi televisivi sono una truffa: scarsi, lottizzati e senza confronto diretto fra le forze politiche; da mesi non abbiamo diritto di parola e di opinione; i cittadini non devono poter "conoscere per giudicare", un cinico modo per sperare di raggirarli. Se, in queste condizioni, avessimo accettato di svolgere il nostro ruolo normalmente e nei modi previsti, saremmo stati a nostra volta conniventi e responsabili del sopruso e dell'illegalit imposti al paese. Le immagini dei quattro radicali denunciano platealmente e grottescamente la situazione dell'informazione di regime; i cittadini che hanno visto recapitare a casa i certificati elettorali senza saperne nulla si pongono ora qualche domanda, i partiti della maggioranza sono costretti a venire allo scoperto: dal giorno seguente ha infatti inizio la vera campagna elettorale, tutti i giornali sono costretti a parlare dei referendum. Per inciso, la trasmissione quella che ha avuto il pi alto indice d'ascolto tra le trasmissioni politiche. Venerd 19 maggio. Il referendum sulla legge Reale ormai certo: l'ostruzionismo dei deputati radicali (quattro su seicento, anzi su pi di mille contando i senatori) ha avuto successo, i tempi per cambiare la legge sono slittati irreparabilmente. La mia vita per un mese non avr pi sosta. Non riuscir quasi pi a ritagliarmi gli spazi di tempo da trascorrere con le bambine, che sono stati in questo periodo quelli pi rilassanti, sereni e allegri. Finite le udienze, passer da un comizio all'altro, da una radio ad una televisione privata. Nonostante cerchi di limitare le richieste, passer molte delle mie notti in autostrada, mezzo addormentata, per riuscire ad arrivare in orario alle udienze della mattina. Ma anche questo periodo, che in minima parte mi fa rinascere la volont di lottare insieme a un po' di entusiasmo, lo vivr in modo paranoico, non in sintonia con i compagni di partito: anzi spesso con angosciose contrapposizioni. Non partecipando al lavoro collettivo di impostazione della campagna politica avr spesso la sensazione di essere un robot o, ancora peggio, un pacco postale, costretta a passare attraverso due realt diversissime, senza i tempi sufficienti per adattarmi alle due diverse dimensioni: esco dalla caserma Lamarmora e passo in via Garibaldi, la sede del partito, dove mi viene dato il mio "ruolino di marcia", e subito riparto. Una o due colte sar costretta a chiedere a Barbaro di adattare parzialmente i tempi del processo alle mie esigenze: lo trover sempre comprensivo.
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Luned 22 maggio. Con grande soddisfazione di Barbaro, della giuria e di molti avvocati, oggi viene a deporre il giudice Sossi. Non che nessuno si attenda grosse novit o dichiarazioni esplosive, evidentemente, ma la prepotenza e l'arroganza con le quali costui ha tentato si sottrarsi a questa incombenza hanno influenzato tutti negativamente, anche chi non ha nessuna conoscenza della persona e del suo operato. Prima di aprire l'udienza, ci sono le solite perplessit su come andr a finire, sulle eventuali reazioni degli imputati e, conoscendolo, anche del giudice. In effetti, oltre a fornire la ricostruzione dei fatti relativi al suo rapimento ed alla sua detenzione, il giudice Sossi se ne esce - dopo quattro anni - con un nuovo ricordo: Lazagna fu esplicitamente menzionato come rappresentante dell'organizzazione dai suoi carcerieri, che fecero pure richiami ad altri avvocati come persone con cui avevano rapporti, in particolare la Guidetti-Serra, Arnaldi e Guiso. La Guidetti-Serra reagisce indignata e detta a verbale una dichiarazione, menzionando fatti che smentiscono Sossi. L'avvocato Zancan chiede come mai le accuse su Lazagna vengano fuori proprio oggi, e mai negli interrogatori dopo la sua liberazione: appare sorprendente e poco credibile che particolari di questa portata affiorino solo ora dalla memoria del giudice o, come sostiene Sossi, che siano sfuggiti a Caselli nel corso di una istruttoria gi non abbondante di fatti e testimonianze precisi. Nella confusione generale, Ognibene e Franceschini interrompono la testimonianza per rievocare il passato del giudice, smentire di aver mai avuto loro infiltrati al Viminale, porre domande a Sossi. L'avvocato di Sossi sbotta che ora di finirla di condurre cos il dibattimento, ma Barbaro lascia la parola all'imputato che contesta le affermazioni del giudice. Gli imputati puntualizzeranno la loro posizione nei confronti di Sossi in un comunicato, il n. 17, che consegneranno alla corte il 29 maggio. 1) Sossi ha collaborato con le forze rivoluzionarie a smascherare la macchinazione costruita intorno al processo dei G. A. P. Interrogandolo abbiamo potuto individuare e ricostruire le forze e le tecniche che la controrivoluzione ha messo in campo per annientare i compagni dei G.A.P. di Genova... Sossi ha parlato chiaro, gli uomini che hanno istituito il processo speciale e che lo hanno diretto secondo gli interessi e le direttive del potere politico, sono i suoi colleghi e superiori: CASTELLANO, GRISOLIA, COCO!... Il processo di Ge stato PRECOSTITUITO, l'unico obiettivo era di arrivare ad una condanna esemplare, non solo degli uomini, ma prima di tutto delle loro tesi politiche... Con l'interrogatorio ed il processo di Sossi, abbiamo potuto verificare concretamente il ruolo di subordinazione della magistratura alle direttive dell'esecutivo. Non a caso ci si concretizzato in modo evidente proprio nel primo tentativo di processare un'organizzazione comunista combattente... Dallaglio e Saracino sono i nomi dei funzionari del SID che, al momento giusto passavano a Sossi le veline da utilizzare contro i compagni. Lui, da bravo PM non si mai chiesto la ragione di questa intromissione; ma forse questa un'abitudine comune tra i PM ... ! Il traffico di armi tra la questura di Ge e due armerie. Il poliziotto Catalano, che uno degli artefici del processo ai G. A. P. , si fatto i soldi con questo traffico losco... ... Catalano per ha le spalle coperte: al Ministero degli Interni c' Taviani, al vertice della magistratura genovese Coco; cos l'istruttoria sul traffico illecito, viene prima assegnata al fido Castellano, e poi sparisce. La paura di Sossi. Dopo averci parlato di questi fatti e averci indicato i nomi (e gli INDIRIZZI) dei potenti personaggi che ne sono i responsabili, Sossi ha pi paura dei poliziotti e dello Stato che non delle BR... Sossi aveva gi collaborato attivamente (anche suo malgrado) con le forze rivoluzionarie e questo uno fra i diversi motivi per cui abbiamo deciso di "sospendere" la condanna contro di lui e di rimetterlo in "li71

bert provvisoria". 2) Una precisazione a proposito della insinuazione velenosa di rapporti tra le BR e l'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno. Ribadiamo che l'unico rapporto esistente e possibile tra i combattenti comunisti e il Ministero degli Interno gi stato definito con una serie di operazioni che vanno da Tuzzolino, a Berardi, a Demartini... A proposito del massacro nel carcere di Alessandria, al di l delle fantasie ben retribuite del "frate spia", non c'era certo bisogno di veline per formulare un tipo di analisi che tutto il movimento faceva. Nell'operazione di Alessandria c'era un significato simbolico pi generale e un riferimento preciso all'operazione Sossi. La violenza messa in campo contro tre detenuti non era riferibile alla pericolosit del fatto. In realt TAVIANI, REVIGLIO, DALLA CHIESA parlavano a noi; si voleva evitare un precedente e dimostrare che lo Stato aveva scelto la strada della forza... 3) L'azione di Genova ha una sua storia. Non nata dalla testa di qualcuno, ma ha la sua origine nelle lotte operaie di quegli anni, in particolare nelle lotte della FIAT che hanno sempre rappresentato la punta pi avanzata dell'offensiva operaia in Italia. Per capire il significato politico del sequestro di Sossi, occorre dunque partire da quel punto di svolta che sono state le lotte operaie che hanno portato Torino alla "settimana rossa" con l'occupazione di Mirafiori e ai fenomeni di organizzazione spontanea degli operai sul terreno del potere proletario armato come i "fazzoletti rossi"... Di fronte all'incalzare delle lotte operaie, da una parte cresce l'interesse della FIAT per le forze che all'interno del PCI spingono per una svolta di tipo socialdemocratico... Dall'altra si inserisce in modo organico all'interno della DC e della Confindustria che sono i centri politico-economici fondamentali per il progetto di ristrutturazione imperialista dello Stato (Gianni Agnelli assume la presidenza della Confindustria e Umberto Agnelli prepara la sua ascesa politica dentro la DC). All'interno del movimento operaio si definiscono due linee di "uscita dalla fabbrica", cio il superamento della parzialit dell'iniziativa di fabbrica... Come dicevamo allora in un nostro documento: "Compromesso storico o potere proletario armato, questa la scelta che i compagni devono oggi fare. Una divisione s'impone in seno al movimento operaio, ma da questa divisione che nasce l'unit del fronte rivoluzionario che noi ricerchiamo". La sola prospettiva valida per le avanguardie comuniste quella di uscire con le armi dalle fabbriche per estendere l'offensiva rivoluzionaria ai centri vitali dell'imperialismo. Ed questo ci che accade nel '74... A proposito del CRD e di Beria d'Argentine. La strategia che ha portato alla riunione di Biumo e alla nascita del CRD la stessa delle bombe di Piazza Fontana e della mobilitazione dei ceti reazionari della "Maggioranza silenziosa"... Fino al '74 i progetti di Sogno coincidono con gli obbiettivi strategici della politica imperialista in Italia... Il fallimento dei piano dei "golpisti bianchi" non significa la fine del progetto imperialista. Dopo la sconfitta di Fanfani al referendum del '74, si sviluppa nella DC la linea Moro di "attenzione" e di "apertura" al PCI. A questo punto la DC ad assumersi come partito dell'imperialismo il compito della RIFONDAZIONE dello STATO, mentre il PCI, da parte sua, garantisce quella resa sociale indispensabile alla "cogestione della crisi"... Ci pare emblematica la figura di Beria d'ARGENTINE. Intanto ribadiamo l'esistenza di una lettera a Sogno in occasione del Convegno sulla "rifondazione dello stato" a cui Beria rinuncia a partecipare per motivi di "convenienza politica", ma al quale invia una propria relazione pregando Sogno di leggerla senza citare il suo nome... La posizione politica assunta da Argentine rappresentativa della continuit dell'iniziativa imperialista in Italia in questi anni al di l delle vicissitudini del quadro politico. Ed indicativa del ruolo ricoperto da questi "tecnici della controrivoluzione" che costituiscono il personale politico imperialista. Argentine infatti sar proprio uno degli
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ispiratori del programma sull'ordine pubblico proposto dal governo Andreotti e approvato col favore del PCI. A partire da questa data si attua una svolta nella RISTRUTTURAZIONE dello STATO che porta fino alla realizzazione delle CARCERI SPECIALI, dei TRIBUNALI SPECIALI e delle TRUPPE SPECIALI ANTIGUERRIGLIA. L'udienza finisce con uno strascico di polemiche nel corridoio. Non posso non amministrare l'indifferenza di Barbaro di fronte ad avvenimenti di questo tipo. Barbaro rimase completamente imperturbabile anche quando gli sospesero la scorta, e sar superiore anche di fronte al comunicato della magistratura torinese, a sostegno indiretto della posizione di Moschella, e polemico nei suoi confronti. Questa linearit di comportamento, a parte pochissime eccezioni, ci che di Barbaro mi ha colpito ed impressionato pi favorevolmente, facilitando i momenti molto frequenti di dialogo che nel corso del processo abbiamo avuto. Scappo via dall'udienza perch devo prendere un aereo per Roma. Gianfranco Spadaccia mi ha ventilato l'ipotesi di un suo nuovo sciopero della fame, ed eventualmente anche della sete, contro le decisioni della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI-TV. Ogni volta che qualcuno di noi inizia un digiuno entro in agitazione. La gente, per una sorta di assuefazione determinata soprattutto dall'irrisione e dalla denigrazione dei nostri avversari, non prende in considerazione i rischi di queste azioni nonviolente o perch indotta a considerarci dei fachiri per i quali normale digiunare come per gli altri normale magiare, o perch semplicemente non crede alla nostra onest nel portarli avanti. Io so bene quanto siano invece costosi per la salute, anche se gli effetti non sono immediatamente avvertibili. So anche che esistono rischi pi gravi per la stessa vita di chi li intraprende, e che sono tanto maggiori quanto meno si pu contare sull'informazione, cio sulla onest e sulla correttezza della stampa e della televisione. Sulla nonviolenza non c' mai stato dibattito. O viene considerata una sorta di generico rifiuto della violenza, oppure hanno credito e vengono diffuse (quando diventa obiezione di coscienza e disubbidienza civile) le peggiori mistificazioni: la pi insidiosa quella secondo la quale la richiesta del nonviolento ricattatoria quanto quella del violento (per esempio il sequestratore di persona). Secondo questa tesi, l'unica differenza riconosciuta o almeno non contestata che l'oggetto della "minaccia" del nonviolento la propria vita e non quella di altri. Non una differenza da poco, ma non la sola. In realt con il digiuno, con lo sciopero della fame, o con quello della sete, il nonviolento non pretende di imporre la propria volont contro la legalit vigente; al contrario chiede il rispetto delle regole del gioco fissate dai propri avversari e dalle quali il potere trae la fonte della propria legittimit. Questa volta sono in gioco i principi e la correttezza della campagna elettorale dei referendum. La commissione parlamentare di vigilanza l'ha regolamentata come se fosse una normale elezione politica. Poich i partiti del NO sono in netta maggioranza, anche calcolando i tempi dei comitati promotori dei referendum, i sostenitori del SI' sono fortemente svantaggiati in una campagna che dovrebbe essere paritaria. Non stata regolamentate l'informazione dei normali giornali radio e telegiornali, non sono previsti dibattiti e contraddittori, sono state abolite le conferenze stampa, due referendum (formalmente ancora indetti) sono stati arbitrariamente depennati a campagna elettorale gi iniziata. Parto dunque molto preoccupata: voglio conoscere gli obiettivi che Gianfranco vuol dare all'iniziativa e sapere se sono in qualche modo raggiungibili. Si tratta infatti di far correggere dalla Commissione di vigilanza una decisione che gi stata formalmente presa. Marted 23 maggio. Mentre sono a Roma con Emma e Gianfranco abbiamo un incontro con il presidente Leone. Arriviamo al Quirinale cinque minuti prima dell'udienza. L'unico
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di noi tre presentabile Gianfranco, in giacca e cravatta. Io sono in pantaloni e maglione, Emma in gomma e zoccoli. Ma non fanno obiezioni al nostro abbigliamento. Ci riceve il segretario generale Bezzi, cortesissimo, che ci introduce subito nello studio del presidente. Giovanni Leone mi appare ancora pi piccolo di come lo immaginavo, ma soprattutto molto invecchiato e stanco. Non ha nulla dell'arguzia napoletana, non scevra di qualche volgarit, che l'aveva reso noto in passato. Mi appare come un vecchi signore un po' ridicolo e molto impacciato. Saluta Gianfranco ed Emma, e poi subito si rivolge a me con fare quasi affettuoso per dirmi che " stato molto apprezzato [proprio cos, non di aver molto apprezzato] il mio gesto di accettare l'incarico di giudice popolare al processo di Torino". Cerco di interrompere questa conversazione sul processo. Rispondo seccamente che "ho solo ubbidito alla mia coscienza di cittadina". Spero che comprenda che non mi sono sentita costretta da altro e che capisca che non intendo parlare del processo. Ma m'accorgo subito di aver di fronte un interlocutore che riesce ad avere poca attenzione per chi gli parla. Continua a chiedermi quanto si prevede che durer il processo, mi chiede, ancora, del presidente Barbaro; aggiunge di averlo conosciuto quando era ancora giudice di Napoli e di considerarlo un valente magistrato. Ci accompagna quindi dall'altro lato, prospicente alla sua scrivania, dove si trovano un divano e alcune poltrone. Accende nervosamente una sigaretta, infilata in un lungo bocchino, e comincia il colloquio. L'impressione di prima si rafforza. E' come se tutti i nostri argomenti costituzionali fossero esposti al vuoto. A tutti Leone risponde dicendo che il presidente della Repubblica non ha poteri e competenze diretti, in materia, ma solo un potere di influenza e persuasione sugli organi costituzionalmente competenti. Ma non questa volta l'arroganza del potere che si nasconde dietro questo atteggiamento: come se non riuscisse proprio a concentrarsi, a prestare attenzione, a comprendere il contenuto dei nostri argomenti. Penso che sia impossibile che un professore universitario, un avvocato, un uomo dalla lunga esperienza politica e parlamentare, sia privo della pi elementare capacit di attenzione e di dialogo. Evidentemente mi trovo di fronte ad un uomo estremamente provato. Non mi suscita irritazione, ma soltanto pena. Penso quanto sia ingiusto averlo a tutti i costi voluto mantenere in quel posto, nonostante la gravit delle accuse e dei sospetti: ingiusto e pericoloso per la Repubblica, ma anche per lui. Ho come la sensazione che invece di concentrarsi sui nostri discorsi, sia condizionato dal filo di questi pensieri non espressi. Alla fine Gianfranco, dopo un quarto d'ora, riesce a fargli intendere questo concetto: che la costituzione riconosce a lui, e solo a lui, come presidente della Repubblica, il potere di indire i referendum, e che quindi la Commissione di vigilanza sulla RAI-TV, cancellando due dei quattro referendum ancora formalmente indetti, ha invaso le sue competenze. Il nostro parere che non solo il presidente della Repubblica ha il potere, ma "anche il dovere" di intervenire nei confronti di uno "sconfinamento" di questa natura. Anche Bezzi interviene per spiegare il concetto e alla fine l'argomento sembra colpirlo: la constatazione che una sua attribuzione costituzionale non stata tenuta in nessun conto sembra farlo in qualche modo reagire. In conclusione ci assicura che eserciter il suo potere di persuasione presso i presidenti delle Camere per gli altri problemi da noi sollevati, mentre per quanto riguarda questo "sconfinamento" della Commissione di vigilanza sulla RAI-TV interverr direttamente presso il presidente della commissione con un documento. Viene anche concordato con Bezzi un comunicato in questo senso. Non c' da aspettarsi, a questo punto, che la cosa possa avere alcun seguito pratico. Ma per noi quest'intervento ha comunque un valore di principio: l'ulteriore testimonianza delle illegalit commesse dalla maggioranza, della disinvoltura con cui il po74

tere piega le leggi ai suoi interessi. Dopo tre quarti d'ora di udienza, riattraversiamo a piedi il cortile che fiancheggia i giardini del Quirinale. Una macchina ministeriale lo attraversa in senso opposto. Dentro c' Piccoli che si reca dal capo dello Stato. Ci guarda con aria stupita, come se non si attendesse in incontrarci in quel posto. Prima di riprendere l'aereo per Torino Gianfranco mi prega di non unirmi alla sua iniziativa. Comprendo le ragioni senza bisogno che me le spieghi: a febbraio sono stata molto male fisicamente, e i medici hanno attribuito questo mio stato di profonda debolezza ai digiuni dell'anno precedente. Assicuro Gianfranco che far lo sciopero della fame e non quello della sete. Ennio Boglino, il compagno che come medico ci assiste sempre in queste circostanze, come al solito innervosito. Forse fra tutti noi quello che soffre di pi. Ricordo le sue telefonate angosciate da Madrid, nottetempo, quando Marco stava facendo lo sciopero della sete per i diritti degli obiettori di coscienza in carcere. Mercoled 24 maggio. Arrivo alla caserma Lamarmora e sono colta dall'atmosfera di suspense, di fronte alla notizia che in provincia di Cuneo stato rubato un camion di divise dei carabinieri: alcuni fanno l'ipotesi che il fatto possa preludere a una azione contro la caserma Lamarmora, per liberare i prigionieri. Scrollo le spalle, mi pare fantascienza. Ascoltiamo Beria d'Argentine che, chiamato in causa dalle dichiarazioni degli imputati sui suoi rapporti con Sogno e con il progetto del Centro di Resistenza Democratica, ha chiesto di venire a deporre. E' evidente che semai il suo posto sarebbe nel processo contro Sogno, non qui. Infatti le sue dichiarazioni non portano contributi aggiuntivi sui fatti dei quali dobbiamo giudicare. Ho iniziato lo sciopero della fame in appoggio a quello di Gianfranco e di altri compagni: per una settimana sar oggetto di curiosit di attenzioni. Il presidente Barbaro mi chiede subito preoccupatissimo che cosa si debba fare nel caso mi senta male e se necessario un medico. Un avocato che non conosco, dopo aver sentito un mio intervento sugli scopi del digiuno ad una televisione libera, mi avvicina e mi manifesta la sua solidariet ed il suo rispetto per questo tipo di iniziative. Persino il PM Moschella mi viene a stringere la mano dicendomi che, nonostante le frequenti divergenze, non pu che rispettare chi fonda la lotta politica su azioni nonviolente. L'atteggiamento degli imputati ironico: Semeria, durante l'arringa del PM, avendo notato una mia momentanea assenza dovuta all'arrivo di un compagno del partito che mi porta notizie urgenti, esclama rivolto a Moschella: "Ne ha gi fatta fuori una della giuria... A meno che non sia andata a mangiare un panino". L'udienza viene sospesa per rintracciarmi. Gli avvocati che io conosco si limitano a disapprovare recisamente la cosa, puntualizzandola con battute maschiliste, cui anche il presidente non si sottrae. forse la presenza mia e di altre donne avvocato e femministe invoglia a questo tipo di battute. Dopo una settimana, grazie al passaggio allo sciopero della sete da parte di Gianfranco, con un rischio non indifferente reso evidente dalle sempre pi preoccupanti analisi cliniche, riusciremo ad ottenere un supplemento di informazioni Tv in misura uguale per tutti. I dibattiti contrapporsi invece sono stati bloccati dai commissari comunisti: il confronto su questi referendum non accettato. La maggioranza che sulla carta ha il 94 per cento si impaurita. Torino e tutta Italia nel frattempo sono state invase dagli slogan farneticanti diffusi dell'"Unit" e dal PCI: i radicali sono a volta a volta non solo pi irresponsabili, o folcloristici, ma fascisti, qualunquisti, destabilizzanti e fiancheggiatori dei terroristi. Questa campagna all'insegna della diffamazione non ha bisogno di risposte, si commenta da sola: non c' nessuno disposto a credere a queste incredibili e oltre a tutto contraddittorie affermazioni. Il paese la respinger. Tutti gli avvocati di si75

nistra presenti al processo, a parte i tre comunisti, sono indignati e vengono a parlarmene, a volte chiedono che cosa facciamo per rispondere. Io ribadisco che tanto pi in questa occasione sono i fatti che parlano per noi: la nostra linearit di posizioni continua e chiara, altri devono spiegare perch dopo aver contestato il codice Rocco e la legge Reale sono quest'anno diventati i difensori dell'uno e dell'altra. Quelle che invece vanno smentite sono le affermazioni che hanno inizio con l'intervento in televisione di Ugo Spagnoli, e che continueranno con diverse sfumature e aggiustamenti di tiro durante tutta la campagna elettorale, diventando il cavallo di battaglia dell'"Unit", dei manifesti e dei comizi comunisti. Si afferma che se venisse abrogata la legge Reale sarebbero rimessi in libert Concutelli e Curcio, i "mostri" del Circeo, Ferrari e Vallanzasca. Illustri giuristi, non sospetti di simpatie radicali, smentiscono indignati queste affermazioni. Io lo far nell'intervento in televisione, l'unico durante la campagna elettorale, che mi costato una corsa affannosa a Roma e due notti insonni, per rispettare i tempi del processo di Torino. Gioved 25 maggio. Mentre discuto aspramente con un giurato che ha come sua unica fonte d'informazione "l'Unit", mi viene in mente una dichiarazione comunista sui referendum, riportata in gennaio sulla "Stampa": "I referendum sono tali da provocare uno scontro confuso e lacerante, che servirebbe a riunire un fronte assai vasto ed equivoco di difensori dell'ordine". Gliela ricordo senza commentarla. Anche attraverso le bambine, inevitabilmente, vengo a contatto con l'"esterno": pure nelle loro scuole si parla di referendum. Mentre pranzo con loro Francesca mi narra un episodio, mettendola un po' sul ridere, ma in realt ne rimasta turbata. Un suo compagno di scuola, figlio di un "ortodosso" del PCI, l'ha accusata di essere "fascista, come la tua mamma". Ci penso su un momento, per capire se il caso di parlarle e di chiarire. Poi mi accorgo, dal suo commento, che inutile. Francesca, nonostante i suoi dodici anni, una bambina matura e forte. Il fatto per mi preoccupa, una fedele "spia" del clima che ci stanno creando intorno. Oggi anche il PSI ha preso ufficialmente posizione per il NO, lasciando peraltro liberi i propri iscritti di votare come credono quasi ce ne fosse bisogno. Il processo intanto continua fra il disinteresse generale: anche nei corridoi fuori dell'aula il tempo passa in discussioni politiche, a volte molto accese. Invece l'udienza di oggi quasi storica: "Il dibattimento chiuso" annuncia Barbaro. Pare quasi di sentire, insieme a quello del presidente, un sospiro di sollievo collettivo.

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15. LA PAROLA ALLE PARTI Gioved 25 maggio. La parola ora alle parti civili, al PM, alle difese, infine agli imputati. Poi sar alla giuria. Seguo quest'ultima fase del processo in modo distaccato, con la mente alla campagna elettorale: la mattina, stanca e insonnolita, sono alla caserma Lamarmora, il pomeriggio, la sera e di notte sono sempre in viaggio. Mercoled 31 maggio. Mentre le arringhe delle parti civili sono scontate, c' una certa attesa per la requisitoria del PM Mi appresto a seguirla in un stato d'animo indecifrabile, ma non sereno. Le argomentazioni del PM, anche se non sono sempre facili da capire perch il modo di esporle come sempre assai tecnico, seguono sistematicamente le argomentazioni di Caselli: l'accusa affonda le radici nel ritrovamento dei covi, che distingue per ordine di importanza a seconda del materiale in essi ritrovato. I covi sono il punto di congiunzione tra i documenti che portano ai reati contestati e l'dentit degli imputati. Quelle che continuano a mancare sono per le prove precise delle singole responsabilit di coloro che hanno commesso i singoli fatti. Gioved-venerd 1-2 giugno. La requisitoria del PM continua serrata per tre giorni; cerca di ripercorrere la storia del nucleo storico delle BR e dei reati che stiamo giudicando, ma non riesce a superare questi limiti. C' intanto una conferenza stampa dei giurati per denunciare il fatto che, forse per la poca chiarezza della normativa in materia, a due giurate lo stipendio non viene pagato per intero, ma decurtato a causa della forzata assenza dal lavoro, nonostante lo Stato non abbia ancora provveduto al loro compenso per l'incombenza cui le ha chiamate. Stiamo infine arrivando al termine della requisitoria del PM; quando Moschella nomina la Carletti, Buonavita ha uno scatto da dentro la gabbia: "Non ti permettere di nominarla"; gli fa eco Franceschini: "Ti lasciamo in vita perch ci servi, sei troppo stupido". E' l'ultimo fiacco tentativo di aprire una schermaglia. Venerd mattina, in un silenzio di tomba, il PM chiede le pene. Mi sento chiudere lo stomaco: sono travolta da un senso di angoscia, come di fronte alle catene, alla gabbia, alle visite alle carceri. E provo indignazione quando sento che per le donne (in particolare per Nadia Mantovani), in quanto ritenute pedine minori coinvolte nella vicenda solo per il legame con i rispettivi compagni, sono chieste pene minori. Neppure la dignit delle "proprie" idee! Al termine dell'udienza mi guardo intorno: mi accorgo di non essere l'unica, della giuria, pallida e scossa. Nei giorni successivi ho appena tempo di scorrere i giornali, completamente sommersa dalla campagna politica. Con mio stupore, i giornalisti e i soliti esperti disquisiscono sulle richieste del PM Moschella che appaiono a tutti indulgenti. Forse, solo essendo direttamente coinvolti in un processo si riesce a valutare con lucidit che cosa significhi esattamente la perdita della libert e come anni di detenzione non siano un fatto astratto, ma una dura realt che dovr essere vissuta giorno dopo giorno; e come, questa volta, non sia stato detto che questi imputati non sono quelli che hanno insanguinato il paese in questi anni e che i reati dei quali sono accusati non prevedono pene superiori a quelle richieste. Ancora una volta proprio vero: la funzione della stampa stata fondamentale. . . Domenica faccio un giro di comizi in Piemonte, per un giorno ritrovo il contatto vitalizzante con i compagni e con la gente, e riesco a scrollarmi di dosso il carico di tristezza e di opacit che porto dietro. Stiamo per affrontare gli ultimi quindici giorni del processo: la mia insofferenza ormai all'esasperazione. In questi giorni
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riuscir per a tirare le fila dei rapporti stabiliti, magari anche con il silenzio, in questi due mesi all'interno della caserma Lamarmora. Luned-marted 5-6 giugno. Iniziano le arringhe dei difensori di Borgna, Levati, Carletti. Inizia anche l'applicazione della nuova legge sull'aborto e appaiono le prime denunce dell'inagibilit degli ospedali, delle obiezioni di coscienza dei medici, ben superiori a quelle previste, delle difficolt oggettive di poter applicare questa legge. Credo di dover ringraziare l'avvocato Bianca Guidetti-Serra della sua arringa in difesa della Carletti; riuscita con la sua lucidit, con la precisione delle argomentazioni giuridiche, con una seria valutazione della storia personale, morale, sociale della figura e delle motivazioni dell'imputata, a dare un esempio importante di come il diritto, al di l delle norme e dei codici, non possa mai essere sganciato dalla realt storica e sociale cui viene applicato: tutto questo senza ovviamente mai prescindere dal principio chiave della certezza del diritto, come fondamento della convivenza civile. La figura di Bianca, al di l della sua credibilit e della stima di cui gode non solo a Torino, ma in tutti i fori italiani, stata in questi lunghi mesi, con la sua presenza serena e riservata, con la sua decisione e correttezza, uno dei punti di riferimento, almeno per me, in questa vicenda processuale difficile, travagliata, spesso prevaricata dall'esterno. Mercoled 7 giugno. Si alza a parlare l'avvocato Zancan. Per sei ore terr inchiodata la giuria e l'aula alla sua arringa in difesa dell'avvocato Lazagna, portando sicuri e inoppugnabili elementi di dubbio anche grave rispetto alle tesi della pubblica accusa. Al termine della sua difesa, che ha avuto il pregio di distaccarsi dalla terminologia strettamente giuridica per riuscire comprensibile a tutti, nella giuria ci saranno grosse discussioni sul merito delle tesi svolte. In questa fase, ritrovo con alcuni componenti della giuria un dialogo reale. La consapevolezza dei limiti di un processo (non solo di questo), della difficolt di restare nei confini del diritto di una istruttoria cos lacunosa, della fragilit di alcune prove e quindi la consapevolezza della responsabilit angosciosa di giudicare, sono diventati finalmente patrimonio di altri giurati. Cade la barriera che in questi mesi ci ha a volte inevitabilmente separati. In particolare con una donna della giuria riapro un rapporto di solidariet: da una posizione direi superficiale approdata ad una comprensione della realt di classe e delle ingiustizie socilai che ha radicato in lei la volont di affermare una giustizia non discriminante, fondata su fatti e prove reali, non influenzata da preconcetti. La difficolt di rapporti iniziale, determinata anche da una vaga conflittualit rispetto al mio essere figura pubblica e quindi pubblicizzata, cade per lasciar posto a un confronto, a un rapporto serio e leale. Barbaro solitamente riservato si lascia andare oggi ad alcune confidenze. All'improvviso all'ora di pranzo aveva ordinato una lunga sospensione del processo. Non era mai accaduto e non ce ne spiegavamo la ragione. Quando lo incontro nel pomeriggio gliene chiedo il motivo: si scusa e mi dice di aver sentito il bisogno di andare a casa perch la moglie gli aveva detto che sua figlia era stata presa da una crisi di angoscia. "Le ho parlato, adesso tranquilla. L'ho lascata, come sempre, vicina alla radio". Apprendo cos che la figlia una ascoltatrice assidua di Radio Radicale. Rifletto sulla vita che quest'uomo e la sua famiglia sono costretti a vivere, ormai da anni, prigionieri quali sono delle scorte armate, sotto la minaccia costante delle BR. Terminata l'udienza esco frettolosamente dalla caserma: come ormai da vari giorni alcuni compagni mi attendono, con una macchina, e subito ricomincia il "tran-tran" della campagna elettorale: mancano pochissimi giorni al voto, l'impegno si intensifica. Alle
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sei del pomeriggio, fra una radio e una televisione privata, corro ad improvvisare uno degli ultimi comizi, in una sala del centro. Come al solito, dove annunciata la mia presenza salta agli occhi un insolito schieramento di polizia, e agenti in borghese si mescolano fra il pubblico. Li riconosco bene, alcuni di loro sono fra quelli che, imperterriti, continuano da mesi a recitare (male) la parte dei cittadini interessati al processo, nel settore dell'aula riservato al pubblico. Parlando sfogo le mie tensioni, le preoccupazioni: mi soffermo, a lungo, sul tema dell'ordine pubblico. Alla fine del comizio mi si avvicina un alto funzionario di polizia, che ho gi avuto occasione di conoscere: "Lo sappiamo noi quanto avete ragione. . . Le leggi Reale sono le leggi del disordine, altro che dell'ordine pubblico. Siamo in molti, sa, a votare SI', domenica. . . ". Lo dice a bassa voce, ma lo dice. E questo l'importante. Venerd 9 giugno. Continuano gli interventi degli avvocati della difesa. E' di scena Arnaldi, per alcuni imputati minori. Cerca di fare un esame dei motivi per cui nato il fenomeno del terrorismo, di far emergere le motivazioni degli imputati, di ricondurle al valore sociale e morale che intendono esprimere, al di l dei fatti e dei comportamenti che hanno determinato. Per questi motivi chiede in via subordinata le attenuanti previste e applicate normalmente nei "delitti d'onore" e in altre occasioni. La reazione della stampa sorprendente. Sabato, mentre sono alla radio impegnata dal giorno prima in un filo diretto in vista del voto di domenica, leggo sui quotidiani un linciaggio nei confronti dell'avvocato Arnaldi che mi lascia sgomenta e che d il segno di come questo processo all'esterno sia stato colto e vissuto come un processo "speciale", certamente cos stato imposto all'opinione pubblica dalla stampa. Insieme a quella di Guiso, che parla di uso spregiudicato della prova penale, che distingue fra rivoluzionari e terroristi e si richiama anche lui al particolare valore sociale delle motivazioni che hanno spinto gli imputati, sono le uniche due arringhe in cui si tenta un esame pi approfondito del fenomeno del terrorismo, del nascere e dello svilupparsi delle BR. Le tesi sono interessanti e avrebbero meritato maggior attenzione da una stampa che, anche in questa fase, si limita a dare una visione degli imputati e dei fenomeni che si sono presentati in questo processo o strumentale alla situazione politica o folcloristica. Arnaldi, che ha partecipato alla Resistenza e ha profuso il suo impegno di avvocato in processi a militanti della sinistra e sindacalisti, insultato su tutti i giornali. La stessa cosa capita a Guiso. Pare quasi che si pretenda di trasformare il ruolo della difesa in un ruolo concorrenziale a quello del PM Domenica-luned 11-12 giugno. Seguo le votazioni e gli scrutini dei referendum. Nel pomeriggio di luned, al comune, i volti dei funzionari e degli assessori comunisti sono sempre pi tirati, seri, pallidi. Verso la fine degli scrutini del primo referendum, quello sul finanziamento, viene sospesa la pubblicit dai dati. Sono i sintomi, divenuti poi certezza, che a Torino il finanziamento pubblico stato sconfitto. Il 53,8 per cento dei cittadini ha votato per la sua abrogazione. Anche il 27 per cento sulla Reale superiore a quello del resto d'Italia. La citt operaia per eccellenza ha dato una risposta seria a certe propagande faziose, prive di contenuti, fondate sulla disinformazione, la mistificazione, il linciaggio. La sera, in piazza Carlo Alberto, si radunano spontaneamente centinaia di persone, per festeggiare questa grande vittoria politica. Con un megafono improvvisato incomincio a parlare, ma non riesco a trattenere la commozione. Decine di compagni mi abbracciano: le lacrime che mi cadono sono forse l'inizio dello sciogliersi di un grosso nodo interno, l'inizio del rinascere e del riaffermarsi in me della fiducia nella gente, nella sua maturit e civilt. Mi sono ricon79

quistata la volont di continuare a lottare, ad affermare nei comportamenti personali e politici quelle speranze che vedo non pi patrimonio di pochi, ma sempre pi patrimonio di molti: ora necessario dare voce e rappresentanza a questa opposizione che con tanta chiarezza venuta alla luca, l'11 giugno. Dopo la manifestazione, in un clima di euforia, torno al partito. Mi telefonano da Roma: vogliono una dichiarazione per Radio Radicale. Gianfranco ed Emma - mi dicono - sono con Mimmo Pinto a Piazza Navona, a festeggiare anch'essi il risultato. Marco Pannella ha invece atteso i risultati in piazza, a Trieste, dove siamo gi in piena compagna elettorale e dove il partito radicale, il 24 giugno, prender oltre il 6 per cento dei voti. Nei giorni successivi, anche alla caserma Lamarmora i toni pessimistici di alcuni avvocati lasciano il posto all'euforia e ad atteggiamenti di entusiasmo.

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15. LA CORTE SI RITIRA, IL MIO COMPITO FINITO Venerd 16 giugno. Mentre si dimette il presidente Leone, grazie al 43,7 per cento di s sul finanziamento pubblico a non certamente al "tempestivo" intervento di Botteghe Oscure, a Torino siamo alle ultime battute processuali. Questa mattina viene data lettura del documento unitario degli avvocati d'ufficio: ai dodici che avevano presentato l'eccezione di incostituzionalit, con molta minor credibilit e forza si sono ora aggregati gli altri sette, fra cui i tre avvocati comunisti e l'onorevole Magnani-Noya, che tanto avevano attaccato gli avvocati del "rinvio". Il congedo dei difensori di ufficio presenta caratteri di assoluta novit: nessuna arringa, un lungo testo elaborato, a quanto si sa, in lunghe sedute notturne, una faticosa unanimit che sostanzialmente allinea le posizioni di tutti su quelle dei primi sostenitori dell'autodifesa. Ogni imputato ne ha ricevuto una copia. Le argomentazioni qualificanti non mancano: E' giunto il momento del congedo quando le parti, tirate le somme dell'esperienza dibattimentale, espongono le loro idee, tesi o argomenti. Poi taceranno le varie voci e sar la solitudine tremenda della Camera di consiglio dove i giudici, raccolti, decideranno del destino di uomini mentre, fuori nell'animo di ognuno si agiteranno ansie, timori e speranze. Ma, sin qui, la solennit e l'emozione del rituale ripetono, pur con diversi gradi di intensit, quelle di ogni altro processo. La divergenza, per la singolarit del processo che non conosce precedenti (per quanto ne sappiamo) nella storia giudiziaria e certamente - di ci non pu dubitarsi - di portata e significato storico, sta nelle modalit del congedo. Quale ha da essere, in un simile processo, il ruolo giusto, la funzione autentica di una difesa di ufficio rispettosa della legge, della propria coscienza professionale e civica, della sua indipendenza? E' ben conosciuta la posizione degli imputati detenuti: essi disconoscono la legittimit del vigente sistema statuale, intendono abbatterlo e pertanto si rifiutano a ogni contraddittorio e dialogo con i suoi organi rappresentativi. Di qui la contestazione del processo stesso visto come espressione di quello Stato che essi negano. Consegue che, contestato il processo, non possa che contestarsi anche una delle sue componenti e cio il difensore da quello stesso Stato imposto. Le conseguenze clamorose: I sottoscritti difensori (salvo le eccezioni di cui si dir) ritengono di non dover svolgere difese nel merito in favore dei singoli imputati per rispettare la identit politica di tutti e altres per non rischiare di pregiudicare la posizione processuale di alcuno. Noi, quali difensori, ci asteniamo, quindi, deliberatamente da qualunque tentativo metagiuridico; per noi deve valere solo il dato oggettivo di quella posizione, cos da ricavare da essa le corrette conseguenze sostanziali e processuali. Orbene, il primo rilievo che balza agli occhi l'intransigente coerenza con la quale gli imputati detenuti hanno portato innanzi il proprio discorso ideologico, mantenuto nonostante la lunga e rigorosa detenzione (che essi non hanno perso occasione per denunciare come "speciale") cosicch assolutamente fuori di dubbio la sicura autenticit di tale pensiero e di tale scelta difensiva. Perci, sorge l'ineludibile esigenza di noi difensori di rispettare questi pensieri e scelte. Ai giudici spetter la valutazione; a noi occorre invece l'obbligo di impedirne e altres di non favorirne (magari involontariamente) la manomissione e il travisamento. Non solo, ma la coerenza da essi manifestata racchiude una indubbia dignit nella misura in cui attesta che non si sono mai piegati a strumentali, sempre fattibili, operazioni processuali per guadagnare un esito piuttosto che un altro. Se tanto avessero fatto si sarebbero trasformati da detenuti politici - prigionieri di guerra, quali si definiscono - in imputati comuni, abbandonando appunto sul
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terreno del processo la loro personalit. Insomma, deve essere chiaramente compreso che per costoro l'accettazione del processo e quindi del difensore significherebbe necessariamente scendere a compromessi col sistema da essi contestato, ossia la negazione della loro identit. Un difensore, dunque, che non pu, per difetto di mandato fiduciario e correlativa adesione ideologica alla loro "causa", trasmettere in modo autentico ed efficace il loro pensiero e non essendo quindi (e volgiamo aggiungere coerentemente) accreditato ambasciatore deve solo preoccuparsi di evitare comportamenti che possano in qualche modo contraddire ci che l'imputato vuole apparire ed essere. Concludendo, gli avvocati ribadiscono il punto di principio essenziale: La verit che noi processi contro detenuti "politici" l'imputato teme mano la condanna che la possibile perdita della sua coerenza ideale, in una parola della sua personalit, o quanto meno non disposto, per guadagnare qualche anno di galera se non addirittura la liberazione, a pagare un simile prezzo. In breve: Il pi sicuro attestato di democrazia e libert di un ordinamento lo si trae proprio dalla misura in cui consente agli imputati "politici" la conservazione della loro personalit in ci differenziandosi dagli ordinamenti autoritari dove le posizioni ideologiche sgradite vengono svalutate con mezzi vari sono anche all'irrisione ( pazzo!, si dice). Credo che questo documento, che sintetizza la posizione processuale coerente tenuta dai difensori d'ufficio, rappresenti nel mondo giuridico un punto di arrivo e insieme di partenza in materia di regolamentazione dell'autodifesa: la prassi, in questo processo, ha anticipato il diritto. Bisogna dare atto che stata per gli avvocati una esperienza umanamente e professionalmente sofferta, attraverso la quale hanno dato una lezione di seriet a una classe politica inefficiente e come sempre in ritardo, aprendo una strada nuova nel campo del diritto processuale. Luned 19 giugno. In un silenzio assoluto e quasi commosso Lintrami, la Mantovani e Basone leggono il comunicato n. 19, sottoscritto da tutti gli imputati detenuti. Sono le uniche conclusioni e quindi anche l'unica difesa a chiusura del processo, tratte, come ovvio, dagli imputati stessi, per cui ritengo giusto affidarmi a questo documento. 1) Quando, nel maggio '76, questo processo ha iniziato la sua storia, voi avevate un progetto politico preciso ed ambizioso. Lo possiamo sintetizzare cos: annientare la nostra identit politica e, quindi, sancire la sconfitta si un pugno di "criminali", tanto ricchi di illusioni e di velleit rivoluzionarie, quanto poveri di motivazioni comprensibili e di intelligenza storica. Il "capolavoro" del rinvio a giudizio di Caselli tutto qui: cercare di dare corpo e sostanza a questo scheletro di ragionamento. Caselli affermava: "Il dispiegarsi di una nuova criminalit diffusa ed organizzata, che forma oggetto di analisi ormai tanto frequenti quanto ``ansiose'', trova nell'attivit delle B.R. esempi significativi e quasi emblematici. Si pu concedere che la violenza delle B.R. (come pure altre forme di ribellione alla legge) abbia radici inestricabilmente confuse con il nodo in cui venuta sviluppandosi la societ italiana. Troppo spesso per le ``radici'' della violenza vengono sublimate a ``cause'', quando non addirittura a ``scriminanti'' di esse: in realt esperienze anche recenti dimostrano che nelle distorsioni del ``sistema'' italiano possibile reagire efficacemente con mezzi legali. La violenza la risposta di chi (a dispetto delle sue illusioni) incapace di analisi veramente approfondite ed insofferente per una valutazione realistica dei dati di fatto, e quindi soggetto ai condizionamenti di un'impazienza avventuristica". E' fin troppo evidente che, secondo Caselli, l'opposizione allo Stato, per essere "politica", e con ci legittima e tollerata, non deve manifestarsi come antagonismo in atto. Cio deve accettare di svolgersi interamente dentro al cerchio magico tracciato dalle leggi, dalle convenzioni, e dai codici di
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comportamento sociale "normale" stabiliti dalla classe dominante. L'alternativa, ogni alternativa, CRIMINE! Data questa premessa, si capisce allora perch la vostra preoccupazione fondamentale sia sempre stata, sin dall'inizio del processo, quella di svolgere contro di noi un "processo normale". Solo cos, infatti, avreste potuto stravolgere la iniziativa rivoluzionaria in attivit criminale e, cos facendo, liquidare la nostra identit politica. Se il processo, infatti, avesse assunto, anche solo parzialmente, una forma speciale, sarebbe diventato inevitabilmente chiaro che, quantomeno, eravamo "criminali speciali". E ci avrebbe comportato di fatto un, sia pur modesto, riconoscimento politico. Ecco perch? Noi abbiamo sempre sostenuto che il processo "pi normale" di fatto anche il processo "pi rivoluzionario". 2) L'unica cosa alla quale un combattente comunista non pu rinunciare la sua identit politica. Identit politica, per il militante rivoluzionario, significa prima di tutto PARTITO. E' nei principi, nella strategia, nel programma, nella disciplina del Partito che egli autonomamente e liberamente si riconosce. Ed affermando nella pratica della guerra di classe questo patrimonio proletario, che egli viene riconosciuto dal popolo, perch il partito rivoluzionario l'espressione pi alta della maturit, della coscienza, della organizzazione della classe. Nell'azione collettiva di partito, il combattente comunista afferma la sua identit; nella negazione di questa dimensione, lo Stato Imperialista cerca di distruggerla. Per questo motivo non non potevamo accettare il "processo normale" che ci volevate imporre: non potevamo "suicidare" la nostra identit politica. La nostra risposta poteva essere, come di fatto stata, una sola: il processo guerriglia. Col comunicato n. 1 del 17 maggio '76, la nostra iniziativa prendeva forma. Dichiaravamo allora: "Questo tribunale ha un obiettivo ben pi ambizioso della semplice criminalizzazione di alcuni militanti e della loro organizzazione. Esso intende colpire una tendenza storica, un programma strategico: la lotta armata per il comunismo... "Ci proclamiamo pubblicamente militanti dell'Organizzazione Comunista BRIGATE ROSSE e come combattenti comunisti ci assumiamo collettivamente e per intero la responsabilit di ogni sua iniziativa passata, presente e futura. "Affermato questo, viene meno qualunque presupposto legale per questo processo: gli imputati non hanno niente da cui difendersi, mentre, al contrario, gli accusatori hanno da difendere la pratica criminale antiproletaria dell'infame regime che essi rappresentano. "Se difensori dunque devono esserci, questi servono a voi, egregie eccellenze. Per togliere ogni equivoco revochiamo perci ai nostri avvocati il mandato di fiducia per la difesa e li invitiamo, nel caso fossero nominati d'ufficio, a rifiutare ogni collaborazione col potere. Con questo atto intendiamo riportare lo scontro sul terreno reale e per questo lanciamo alle avanguardie rivoluzionarie la parola d'ordine: PORTATE L'ATTACCO AL CUORE DELLO STATO!". Il nostro rifiuto di assumere il ruolo di "imputati" e la conseguente ricusazione dei difensori, ha disarticolato profondamente il disegno che intendevate attuare. Avete reagito tentando di imporci avvocati di ufficio, che sono diventati cos veri e propri avvocati di regime, e cercando di stravolgere il significato politico della nostra azione, insinuando che fosse nostra intenzione paralizzare il processo. Nel "comunicato n. 4" del 24 maggio '76, affermavamo perci: "E' importante fare ulteriore chiarezza sulla nostra decisione di rifiutare di essere, in qualunque modo, difesi da qualunque specie di avvocati. Con questa scelta abbiamo voluto affermare un principio estremamente chiaro: in qualunque processo l'avvocato ha la funzione di mediatore tra l'imputato e il giudice, ``l'altra faccia'' del giudice. In un processo politico, questa funzione diventa ancora pi palese, perch in questo caso si tratta di stabilire un terreno di mediazione fra la rivoluzione e la contro-rivoluzione. Con la dichiarazione del 17 maggio abbiamo capovolto i termini:
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noi, gli imputati, siamo diventati gli accusatori; voi, i giudici, siete diventati gli imputati. Per cui, da questo momento, ogni avvocato diventato di fatto il vostro avvocato... "Per questo, d'ora in pi, chiunque accetta il ruolo di avvocato d'ufficio deva andare ben oltre la collaborazione e diventare, di fatto, parte organica ed attiva della contro-rivoluzione. Oltre il difensore di fiducia, oltre il difensore d'ufficio, c ora necessariamente il difensore di regime... "Chi ha creduto di vedere nella dichiarazione politica del 17 maggio un nostro avviso tattico per far saltare, o quantomeno rinviare, questo processo, non ha capito un questione fondamentale: non siamo noi ad aver paura della verit! Al contrario, siamo qui ben decisi a continuare, in quanto militanti comunisti combattenti, il processo proletario contro il regime che voi rappresentate, i suoi crimini ed i suoi criminali!". L'otto giugno '76, sviluppando la parola d'ordina PORTATE L'ATTACCO AL CUORE DELLO STATO, le BRIGATE ROSSE giustiziarono il procuratore generale di Genova, Francesco Coco, con ci procedendo nella "campagna" iniziata con la cattura ed il processo del giudice SOSSI, il cui scopo era quello di evidenziare, dietro la maschera democratica, il contenuto ferocemente controrivoluzionario dello Stato imperialista. Con questa azione anche i rapporti di forza in aula si spostano decisamente a nostro favore. Con essa, inoltre, si realizza la saldatura strategica tra un'avanguardia rivoluzionaria che, per quanto imprigionata, ha la forza politica di mettere sotto accusa il tribunale di regime, ed il movimento rivoluzionario nel suo complesso. In queste condizioni, il presidente della Corte ed i centri di potere di cui egli espressione, valutano tatticamente conveniente rinviare il processo di qualche mese, in attesa di tempi migliori. La sospensione del processo la prima sconfitta politica del disegno controrivoluzionario che intendevate perseguire. L'aspetto essenziale di questa sconfitta sta nel fatto che con il nostro rifiuto di assumere il ruolo di imputati, con la gestione dell'azione COCO in aula, il carattere "speciale" del processo comincia a manifestarsi. Tuttavia, da questa sconfitta, voi speravate ancora di poterne uscire mantenendo inalterata la forma del "processo normale". Nei mesi di sospensione, infatti, tutti i vostri sforzi sono tesi a precostituire un manipolo di avvocati, che sia disponibile ad accettare e sostenere fino in fondo il ruolo di "avvocati di regime". Ma l'attacco offensivo e preventivo portato dalle BRIGATE ROSSE contro il presidente dell'Ordine degli avvocati, Fulvio CROCE, intorno al quale si imperniava la vostra manovra, ha fatto fallire anche questo ulteriore tentativo. A questo punto, risalta nettamente che questo non certamente un "processo normale", ma che, a dispetto delle parole, un PROCESSO POLITICO. L'impossibilit di costituire la giuria popolare ne una prima clamorosa conferma. Anche l'Esecutivo costretto allora a scendere direttamente in campo, emanando, nel tempo record di una notte, il decreto legge sulla "carcerazione preventiva". E ancora una volta cercate di nascondere la verit insinuando che il nostro obiettivo sia quello di sabotare il processo, per consentire ad alcuni compagni di uscire in libert. Il "comunicato n. 7" fa chiarezza su tutti questi problemi. In esso si afferma che: "Il processo alla rivoluzione proletaria non possibile. Voi stessi in questi mesi vi siete incaricati di dimostrarlo, mettendovi tranquillamente sotto i piedi ogni parvenza di legalit: avete trasformato le vostre ``aule di giustizia'' in vere e proprie roccaforti militari; avete preteso di imporci avvocati di regime, squallidi burattini nelle vostre mani; avete emanato leggi speciali che in un batter d'occhio hanno vanificato ogni traccia del vostro tanto sbandierato ``stato di diritto''. "Cos facendo, avete dimostrato nei fatti ad ogni proletario ci che abbiamo sempre affermato: dietro le forme democratiche, lo Stato imperialista nasconde la sua vera natura di feroce dittatura controrivoluzionaria della borghesia. E questa una vittoria della rivoluzione comunista!
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(... ). "Con l'azione CROCE non si inteso, come tentate di far credere, raggiungere l'obiettivo di rinviare il processo. Non certamente da voi che ci aspettiamo la nostra libert (... ). Essa invece ha realizzato l'obiettivo strategico di disarticolare il vostro piano preventivo, di neutralizzazione della nostra iniziativa. E, nello stesso tempo, ci ha restituito l'offensiva". Alla ripresa, nel marzo '78, nessuna mistificazione pi possibile. Il carattere politico del processo ormai dominante. Tutto sta a dimostrarlo: la mobilitazione politica "contro il terrorismo" organizzata dal PCI; la militarizzazione spettacolare di Torino voluta dall'Esecutivo; il tribunale alloggiato in una ex-caserma; la seconda legge speciale sulla "giustizia popolare", alla quale se ne aggiunger presto una terza che, se per un verso avrebbe dovuto consentirci di tapparci la bocca a vostro piacimento, dall'altro costituisce un'ulteriore "interferenza" dell'Esecutivo, che annichilisce le ultime illusioni sulla autonomia della magistratura, tanto care a qualcuno in quest'aula; e, infine, gli avvocati di regime che, riconoscendo esplicitamente questo loro ruolo, si mettono da parte, riducendo la loro presenza in aula ad un puro dato coreografico. Alla ripresa, nel marzo '78, appare chiaro che questo non pi un processo ma un argomento politico della guerra di classe; un episodio dello scontro pi generale che oppone, in una lotta irreversibile, le forze della rivoluzione alla controrivoluzione imperialista. Ed proprio su questo terreno generale, infatti, che ora si articola la battaglia. In questi mesi il movimento rivoluzionario scatena la sua pi dura e pi ampia offensiva, che trova nel processo ad Aldo MORO la sua espressione pi alta. E' naturale, quindi, che anche lo svolgersi concerto delle udienze metta in luce, giorno dopo giorno, l'esistenza di un doppio potere, riflesso particolare nell'aula dello scontro di potere pi generale che percorre il Paese. Sono i nuovi rapporti di forza complessivi tra le classi, tra il campo della rivoluzione e quello della controrivoluzione, e non la presunta tolleranza del giudice, che ci consentono di conquistare quegli spazi, che ci permettono di sviluppare il nostro attacco politico contro tutti coloro che anche dal fatto che, nel maggio '76, quando i rapporti di forze erano ben diversi, non solo ci veniva impedito sistematicamente di parlare, ma si giunse perfino a denunciarci per oltraggio. Noi, qui dentro, mai abbiamo dovuto difenderci. Tutto ci che stato contestato all'Organizzazione Comunista BRIGATE ROSSE, di cui facciamo parte, per noi titolo di merito. Ed infatti, ne abbiamo assunto apertamente la responsabilit politica collettiva. Affermare pertanto, come fanno nel documento conclusivo gli avvocati che avete tentato di imporci, che da parte nostra ci sarebbe stato un ricorso all'autodifesa, costituisce soltanto una macroscopica e mistificante giustificazione della funzione puramente coreografica che hanno recitato in quest'aula, ma non corrisponde certamente alla realt dei fatti. Le "prove" che essi adducono, infatti, vale a dire le citazioni di brani o frasi tratte dai nostri interventi, sono cos clamorosamente manipolate da far vedere, anche ai ciechi, l'intento bassamente strumentale dell'operazione. L'attacco alle articolazioni del controllo e del dominio nelle grandi fabbriche (azioni contro i capi aguzzini, spie, fascisti,... ); le perquisizioni nei covi dove si tramavano soluzioni golpiste al problema rappresentati dalla forza operaia (CRD, Centri Sturzo, UCID,... ); la cattura di informazioni strategiche per l'ulteriore avanzamento della lotta di liberazione contro il lavoro salariato (Labate, Amerio,... ); i processi rivoluzionari ai funzionari della controrivoluzione imperialista (Sossi,... ); unitamente al lavoro politico quotidiano per ricostruire nel tessuto di classe la coscienza organizzata della necessit e della possibilit di dare una soluzione rivoluzionaria alla questione del potere, perch mai avrebbero dovuto costituire, di fronte a voi, che rappresentate, che siete i nostri nemici di sempre, motivo di difesa? Al contrario, toccato a voi, agli esponenti della vostra classe,
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da Labate ad Amerio, da Sogno a Sossi, da Girotto a Beria d'Argentine - tutti coinvolti in pi o meno losche vicende contro il proletariato - recitare la parte miserabile che la storia di questi anni gli ha assegnato e tentare un'impossibile difesa. Li abbiamo visti mentire, truccare le carte in tavola, trincerarsi dietro silenzi oscuri. Abbiamo osservato attentamente la rappresentazione della vostra disgregazione e non dimenticheremo. Certo quello che in origine doveva essere l "processo alla rivoluzione comunista" si stravolto, cammin facendo, nel suo esatto contrario; diventato cio un'articolazione del processo pi generale che le forze comuniste rivoluzionarie hanno condotto e continuano a condurre in tutto il Paese contro lo Stato imperialista ed il suo personale politico-militare. Il suo svolgimento, come pure la sentenza, non dimostrano dunque - come i pi stupidi cercano di far credere una "vittoria dello Stato ed una sconfitta delle BR". Questo processo, infatti, non dovete mai dimenticare, si svolto per una precisa scelta politica e militante delle forze rivoluzionarie. E questo non lo diciamo oggi, a cose fatte, tant' vero che, ancora il 19 marzo, nel "comunicato n. 1", le BRIGATE ROSSE precisavano: "Abbiamo gi detto che il processo attraverso il quale un tribunale speciale vorrebbero liquidare la rivoluzione comunista non pu essere una farsa. Ben altro processo in atto nel Paese, quello che vive nelle lotte del proletariato contro il nemico imperialista, che nello svilupparsi della guerra civile per la costruzione della societ comunista, mette sotto accusa la borghesia ed i suoi servizi. Quindi, che la farsa inscenata a Torino si svolga pure, noi riaffermiamo quanto gi i militanti della nostra organizzazione imprigionati hanno ampiamente ed efficacemente sostenuto: il rapporto che lega i comunisti combattenti ai tribunali speciali uno solo: GUERRA!". Ci detto, potrete forse anche capire il significato profondo di un'affermazione ricorrente nei nostri comunicati: "Il processo alla rivoluzione proletaria non possibile. L'unico processo possibile quello proletario contro lo Stato imperialista". Oggi esiste, nel nostro Paese, un doppio potere: allo Stato imperialista si contrappone la presenza offensiva ed antagonistica del movimento di resistenza proletario. Tra questi due poteri che si affrontano non c per alcuna simmetria; essi sono espressione di classi antagonistiche, di interessi, bisogni ed aspirazioni inconciliabili. E' falso quanto, in sostanza, afferma il diritto borghese, vale a dire la pretesa uguaglianza formale degli individui-cittadini. E' falso, perch sotto l'astrazione "i cittadini" agiscono ben precisi individui storici reali, per niente uguali, ma, invece, collocati in classi sociali tra loro antagonistiche. Il cittadino Agnelli ed il cittadino Basone, che faceva l'operaio nella sua fabbrica, ad esempio, che cosa hanno da spartire? La societ capitalistica non poggia, come voi sostenete, su individui-cittadini, fatti uguali tra loro nel diritto e ricomposti nei loro interessi dallo Stato. Questa semplice ideologia. Appunto, ideologia del dominio di una classe: la vostra! Alla base della societ capitalistica si affrontano precise classi sociali che stanno tra di loro in una relazione antagonistica di sfruttamento-espropiazione, dominio-subalternit, controrivoluzionerivoluzione. Lo Stato, la sua ideologia giuridica, il suo diritto, non sono altro che strumenti attraverso i quali la borghesia esercita la sua dittatura sul proletariato. Leggi e diritto non sono al di sopra del mondo degli uomini reali, non discendono dal cielo, ma molto pi terrenamente sono armi in mano ad una classe per affermare i suoi interessi materiali e per combattere chi questi interessi, con le sue lotte pregiudica. Voi dite: "la legge uguale per tutti". E falso. Di fronte ad essa proletari e borghesi non sono affatto uguali. E' vero invece che voi imponete con la forza, con la violenza, le vostre leggi a tutta la societ. Ma noi, che in questa caserma non riconosciamo le vostre leggi, i vostri codici, la vostra autorit, dimostriamo che ci che voi vorreste far apparire come ordine naturale delle cose piutto86

sto un "ordine storico", transitorio, destinato a mutare ed a perire. Caratteristica essenziale dello Stato il suo essere "violenza concentrata ed organizzata". Ma tutto ci deve essere coperto, mascherato, da un'azione capillare continua di mistificazione ideologica e propagandistica. La simulazione opera a tutti i livelli dell'iniziativa contro-rivoluzionaria ed anche in questo processo, naturalmente, dove gli attori - giudici, PM, avvocati, giuria - si esibiscono in un gioco desolante: tentare di salvare le apparenze, a qualsiasi costo! Gioco desolante ma necessario, perch nel cosiddetto "Stato di diritto" solo la simulazione ideologica, che opera nel concetto basilare di "sovranit popolare", pu consentire alla borghesia imperialista di tener celata alle masse la nuda realt. Da dove viene il diritto? ci rispondete: dalla democrazia. E da dove viene la democrazia? ci rispondete: dal diritto. E allora noi vi chiediamo: da dove vengono entrambi? A questo interrogativo diamo noi la risposta: vengono dalla classe dominante. Democrazia e diritto sono la formalizzazione politico-giuridica degli interessi di questa classe. E dunque, quello che voi chiamate "Stato di diritto" soltanto una forma storica, specifica, della dittatura della borghesia. Il potere proletario, al contrario, non ha bisogno di mistificare, di simulare, i suoi fondamenti. Le sue basi sono nella classe operaia, nei lavoratori produttivi, nel proletariato metropolitano, ed il suo interesse generale, vale a dire il suo scopo, la trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici, la creazione di una societ comunista. Il potere proletario sa di essere una forza organizzata e concentrata, ed aspira apertamente a diventare dittatura. Il suo esercizio da parte delle avanguardie comuniste combattenti, del movimento di resistenza proletario offensivo e delle lotte di massa, non dunque riferito ad un'astratta giustizia, ma il prodotto di un reale rapporto di forze nel processo di liberazione. Se quindi ogni forma di diritto la codificazione di un rapporto di forza tra le classi, conseguente, anche, che in quest'aula non vi sono n colpevoli n innocenti, ma semplicemente chi ha ragione e chi ha torto. E qui siamo noi ad avere ragione! Abbiamo ragione, perch siamo espressione della classe emergente e rivoluzionaria che, unica, col suo movimento, pu portare a soluzione la contraddizione ormai esplosiva fra le forze produttive e rapporti di produzione. Voi, tuttavia, dovete emettere una sentenza di condanna. Dovete farlo perch, per la classe che rappresentate, necessario bloccare, annientare, il movimento storico reale che non ha rispetto per le vostre toghe, irride l'ipocrisia dei vostri rituali, non riconosce le vostre leggi e non teme le vostre armi. Dovete farlo, anche se in quest'epoca di rivoluzione sociale, a nulla serve condannare singoli militanti, per fermare un processo che il risultato di uno scontro profondo fra le classi. Per fare questo, siete costretti a fondare la vostra sentenza mancandovi perfino quelle che voi chiamate "prove certe" - sul concetto indeterminato di "nucleo storico". Sarebbe, come ci ha spiegato il PM, l'appartenenza a questo "nucleo storico" a "inchiodare" alcuni di noi; a dimostrare cio la partecipazione a tutte le azioni dell'organizzazione! perch, si sa, nelle BR "tutti fanno tutto". Il PM quello che , ed gi molto che sia riuscito a svolgere un ragionamento cos elementare. Ma, a parte il PM, anche gli allocchi capiscono, senza troppa fatica, che si tratta di un "ragionamento" senza fondamento, perch quello che stato indicato come "nucleo storico", semplicemente il primo nucleo di compagni che vi capitato di arrestare. Sono stati i carabinieri e Caselli (che poi la stessa cosa) a trasformare questi compagni arrestati prima in "colonnelli" e, successivamente, in "nucleo storico". Ma quanti e quali sono i compagni che sin dall'inizio hanno militato nelle BR? La verit questa: voi non siete mai riusciti a capire, e perci a ricostruire, la genesi, la storia delle BRIGATE ROSSE, n politicamente (come diremo in seguito) n tantomeno sul terreno dell'organizzazione. Anche in quest'aula avete fatto ogni
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sforzo per non capire, solo preoccupati di arrivare alla fine. E cos il fenomeno che vi travolger resta per voi un mistero, un fantasma al quale, tanto per liberarvi dall'incubo, avete cercato di dare una facciata di comodo. Troppe sono le banalit ed i luoghi comuni raccattati tra le veline dei carabinieri, che infrangono l'istruttoria del giudice istruttore e la requisitoria del PM per ricordarle tutte; e comunque troppo noiosa per tutti sarebbe un'escursione di tal genere in quei cimiteri dell'intelligenza. Perci, con maggior generosit di quanto non ne abbia avuta Moschella, ve ne facciamo grazia. Ma che sia cos non potete nasconderlo, perch la continuit e la forza in continuit crescita dell'organizzazione di cui facciamo parte, che ve lo impedisce. La verit che, fondando la vostra sentenza sulla nostra partecipazione a quello che chiamate "nucleo storico", siete costretti a condannarci "per ci che siamo politicamente", perch siamo comunisti rivoluzionari; e questa, egregie eccellenze, una nostra ulteriore vittoria, perch, cos facendo, siete infine costretti ad ammettere ci che pi di tutto avreste voluto nascondere: la nostra identit politica. 3) Da dove sono nate dunque le BR? E' una domanda ossessiva, alla quale la borghesia, le sue varie "teste d'uovo" e lo stesso GI, per non parlare del PM, non hanno saputo dare una risposta. E' per una risposta decisiva, e dunque dobbiamo fare chiarezza. Da dove vengono allora le BR? Sono un'emanazione dei servizi segreti ed internazionali, di destra o di sinistra? Sono il prodotto del volontarismo fanatico di alcuni intellettuali, e cio il prolungamento senile ed armato di un manipolo di irriducibili del '68? Sono gli ultimi orfanelli si Stalin, traditi dal compromesso storico e nostalgici di un'impossibile rivoluzione? Sono un'aggregazione di individui socialmente devianti, disadattati, con accentuate tendenze criminali? Sono il prodotto abnorme e mostruoso della crisi economica pi devastante che ha investito il sistema capitalistico in questi ultimi trent'anni? No! Le BRIGATE ROSSE non nascono n all'Ufficio Affari Riservati, n a Mosca, n a Washington, e neppure all'universit di Trento, o alla Federazione del PCI di Reggio Emilia. Le BRIGATE ROSSE nascono molto pi semplicemente, all'inizio degli ani '70, dai reparti avanzati dalla classe operaia, come embrionale soluzione del BISOGNO STRATEGICO di mantenere l'offensiva nelle nuove condizioni politiche, caratterizzate dal violento e sanguinoso contrattacco che la borghesia andava organizzando. In particolare, le BRIGATE ROSSE nascono alla fabbrica Pirelli di Milano. Questo non a caso, perch proprio la classe operaia della Pirelli rappresentava in quella fase i pi alti livelli di coscienza politica e di autonomia, maturati dalla lotta di massa del biennio '68-'69; e perch, proprio nel '70, questa classe operaia, decisa a mantenere l'offensiva, fu costretta ad elaborare nuove linee di combattimento e nuove forme organizzative. In un documento del marzo '71, in cui si tracciava un bilancio della lotta alla Pirelli, scrivevamo: "La fase che lo scontro tra le classi oggi attraversa, noi riteniamo sia quella della conquista degli strumenti di organizzazione e di accumulazione delle forze rivoluzionarie capaci di reggere lo scontro e di preparare l'offensiva di fronte al progredire di un movimento di reazione, articolato fino al limite della controrivoluzione armata; e cio dal passaggio necessario dalla risposta spontanea di massa, anche se violenta, all'attacco organizzato, che sceglie i suoi tempi, calcola la sua intensit, decide il terreno, impone il suo potere". L'offensiva operaia, culminata nel ciclo di lotte '68-'70, aveva modificato sostanzialmente i rapporti di forza tra le classi, mettendo conseguentemente in crisi le strutture politiche ed istituzionali che, nel dopoguerra, avevano caratterizzato la forma dello Stato. Tra gli effetti di questo ciclo di lotte, quello pi devastante stato la CRISI POLITICA ED ISTITUZIONALE che ha caratterizzato gli anni '70 e che tuttora irrisolta. La lotta operaia ha dovuto cos misurarsi con il progetto di ristrutturazione che la borghe88

sia andava elaborando, nel tentativo di risolvere questa crisi. Progetti che implicavano tanto l'organizzazione del lavoro in fabbrica con l'obiettivo di riconquistare, almeno in parte, il terreno perduto, quanto la forma dello Stato, messa in discussione dalla richiesta di potere delle masse. La crisi economica mondiale, che a partire dal '74 sconvolge l'area imperialista nel suo complesso, innestandosi sulle contraddizioni irrisolte del nostro Paese, funziona da moltiplicatore della crisi politica gi in atto. E gli effetti sociali della crisi economica, vale a dire riduzione della base produttiva, abbassamento dei salari reali, disoccupazione, emarginazione, non fanno che approfondire le condizioni oggettive e sviluppare le condizioni soggettive che favoriscono un ulteriore salto di qualit del processo rivoluzionario. Le BRIGATE ROSSE non sono quindi il prodotto della crisi economica. Non nascono cio su un'ipotesi tattica e difensiva, ma in quanto espressione politica e prolungamento dell'offensiva proletaria, rappresentano, all'interno della crisi, un elemento strategico di coagulo per tutte quelle forze e quei settori di classe, che possono risolvere la loro condizione solo dando uno sblocco rivoluzionario alla crisi. A questo punto importante fare una considerazione di ordine generale. Le teorie sociali rivoluzionarie, le organizzazioni rivoluzionarie nascono e si affermano solo quando esprimono un bisogno profondo delle classi sociali che le generano. Questa una legge scientifica dello sviluppo storico. Come afferma il compagno Stalin: "Le idee e le teorie sociali nuove sorgono solo quando lo sviluppo della vita materiale della societ pone di fronte alla societ compiti nuovi. Se delle teorie sociali nuove sorgono perch esse sono necessarie alla societ, perch senza la loro azione organizzatrice, trasformatrice, mobilizzatrice, impossibile la soluzione dei problemi urgenti posti dallo sviluppo della vita materiale della societ". Che le BRIGATE ROSSE siano l'espressione organizzata di questa necessit storica, lo dimostra chiaramente il fatto che, nonostante la debolezza iniziale delle forze, i limiti soggettivi, gli errori compiuti e l'attacco globale portatoci dallo Stato, dalle organizzazioni revisioniste e neorevisioniste e pi in generale dall'internazionale controrivoluzionaria, non solo sul piano militare, ma anche sul terreno ideologico e politico, noi ci siamo sviluppati, abbiamo esteso la nostra presenza nei maggiori poli proletari del Paese, abbiamo maturato la nostra capacit politica e militare. 4) Le BRIGATE ROSSE non sono una "banda armata". Fin dal loro sorgere esse di caratterizzano come organizzazione politico-militare, primo elemento di coagulo delle avanguardie proletarie per la costruzione del Partito Comunista Combattente. Tutta la loro pratica, negli otto anni della loro storia, lo dimostra ampiamente. E ci si riflette con estrema chiarezza anche nei documenti politici. Nell'intervista del marzo '71, si affermava: "Le BR non sono ``organismi militari'' ed completamente estraneo al nostro stile di lavoro dividere gli ``organismi politici'' dagli ``organismi militari''. Il principio da altri formulato che deve essere la politica a guidare il fucile da noi inteso e praticato in un senso preciso, e cio sollecitando in ogni compagno ed in ogni nucleo di compagni un approfondito chiarimento politico a guida, fondamento e scelta del proprio comportamento rivoluzionario, all'occorrenza anche militare". Nell'intervista del settembre '71, ribadivamo: "Le BR sono i primi punti di aggregazione per la formulazione del partito armato del proletariato. In questo sta il nostro collegamento profondo con la tradizione rivoluzionaria comunista del movimento operaio". Tradizione che, lo ricordiamo, ha sempre sostenuto la tesi scientifica secondo cui gli affari militari non sono che la politica in particolari circostanze. La guerra il prolungamento della politica. In questo senso, la guerra politica. La politica, in altri termini, una guerra senza spargimento di sangue. I due termini, guerra e politica, nel movimento reale della lotta di classe sono inestricabilmente connessi, e non
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possono, in nessun caso, essere separati. Nelle condizioni oggettive che definiscono l'imperialismo delle multinazionali, questa tesi assume un rilievo strategico e centrale, poich la lotta di classe tende progressivamente ad assumere il carattere della guerra di classe. Anche il processo di costruzione del Partito non pu sfuggire a queste precise determinazioni, per cui esso, sin dal suo sorgere, deve assumere la forza di un'organizzazione politico-militare. Nell'intervista del gennaio '73, sviluppando questa tesi, affermando che: "Noi crediamo che l'azione sia solo il momento culminante di un vasto lavoro politico, attraverso il quale si organizza l'avanguardia proletaria, il movimento di resistenza, in modo diretto rispetto ai suoi bisogni reali ed immediati. In altri termini, per le BR l'azione armata il punto pi alto di un profondo lavoro di classe: la sua prospettiva di potere". E pi avanti: "Il problema che dobbiamo risolvere quello di fare alle spinte rivoluzionarie che vengono dal movimento di resistenza una dimensione di potere. Si richiede per questo uno sviluppo organizzativo a livello di classe che sappia rispettare i livelli di coscienza che vi operano, ma sappia nello stesso tempo unificarli e farli evolvere nella prospettiva strategica della lotta armata per il comunismo. Le BRIGATE ROSSE sono i primi nuclei di guerriglia che operano in questa direzione. Per questo intorno ad esse vanno organizzandosi i militanti comunisti che pensano alla costruzione del Partito armato del proletariato". Gli stessi temi venivano ripresi ad approfonditi nella Risoluzione Strategica dell'aprile '75: "La guerriglia urbana organizzata il ``nucleo strategico'' del movimento di classe non il ``braccio armato''. Nella guerriglia urbana non ci sono contraddizioni tra pensare ed agire militarmente e dare il primo posto alla politica. Essa svolge le sue iniziative rivoluzionarie secondo una linea di massa politico-militare. "Nell'immediato l'aspetto fondamentale della questione rimane la costruzione del Partito Combattente, come reale interprete dei bisogni politici e militari dello strato di classe oggettivamente rivoluzionario e l'articolazione di organismi di combattimento a livello di classe sui vari fronti della guerra rivoluzionaria". Infine, nella Risoluzione Strategica del febbraio '78: "Per trasformare il processo di guerra civile strisciante, ancora disperso e disorganizzato, in un'offensiva generale diretta da un disegno unitario, necessario sviluppare ed unificare il movimento di resistenza proletario offensivo costruendo il Partito Comunista Combattente. Movimento e Partito non vanno per confusi: tra essi opera una relazione dialettica, ma non un rapporto di identit. Ci vuol dire che dalla classe che provengono le spinte, gli impulsi, le indicazioni, gli stimoli, i bisogni che l'avanguardia comunista deve raccogliere, centralizzare, sintetizzare, rendere teoria ed organizzazione stabile e, infine, riportare nella classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma, strutture di massa del potere proletario. "Vuol dire che il processo corretto che dobbiamo seguire parte dalla classe per arrivare al Partito e parte dal Partito per ritornare ancora, sotto forma pi matura, alla classe. Il Partito Comunista Combattente, prima che una struttura organizzativa, un'avanguardia politico-militare, che realmente davanti a tutti, che traccia la via da percorrere per tutto il movimento, che sa farsi riconoscere per mezzo della sua iniziativa rivoluzionaria dalla parte pi avanzata del proletariato. "Agire da Partito vuol dire collocare la propria iniziativa politico-militare all'interno ed al punto pi alto dell'offensiva proletaria, cio sulla contraddizione principale e sul suo aspetto dominante in ciascuna congiuntura ed essere cos di fatto il punto di unificazione del movimento di resistenza proletario offensivo, la sua prospettiva di potere. Per questo importante condurre nel movimento di resistenza proletario offensivo una lotta ideologica e politica contro le tendenze economiciste-spontaneiste, che sfociano nel minoritarismo armato e, paradossalmente, nel militarismo. E contemporaneamente, contro quelle tendenze
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burocratico-minoritarie, che concepiscono la costruzione del Partito Comunista Combattente come un processo di pura crescita organizzativa, che si svolge al di fuori del movimento della classe, separato da essa. "Agire da Partito vuol dire anche dare all'iniziativa armata un duplice carattere. Essa deve essere rivolta a disarticolare e a rendere disfunzionale la macchina dello Stato e, nello stesso tempo, deve anche proiettarsi nel movimento di massa. Essere indicazione politico-militare per orientare, mobilitare, dirigere ed organizzare il movimento proletario di resistenza offensivo verso la guerra civile antimperialista. "Strategicamente tanto importante distruggere gli organi centrali dello Stato, quanto distruggere le sue articolazioni particolari che percorrono tutto il corpo sociale. "Strategicamente tanto importante costruire una capacit organizzata e centralizzata di esercitare il potere proletario, quanto costruire le sue articolazioni all'interno della classe operaia e del proletariato nelle fabbriche, nei quartieri, dappertutto. "Per questo non c contraddizione tra linea di massa e ruolo di avanguardia, non c dicotomia tra una politica di movimento e l'azione armata. Le B. R. non sono il Partito Comunista Combattente ma un'avanguardia armata che lavora all'interno del proletario metropolitano per la sua costruzione. "Mente affermiamo che non c identificazione tra le B. R. ed il Partito Combattente, affermiamo con uguale chiarezza che l'avanguardia armata deve agire da Partito sin dal suo nascere. "Il processo di costruzione politica, programmatica, e di fabbricazione organizzativa del Partito Comunista Combattente un processo discontinuo, dialettico, prodotto cosciente di un'avanguardia politico-militare che, nel complesso fenomeno della guerra di classe, afferma la validit della prospettiva strategica e del programma comunista che sostiene, e l'adeguatezza dello strumento organizzativo necessario per realizzarlo. Si pone quindi come punto di riferimento essenziale, come ``nucleo strategico'' del Partito Comunista Combattente in costruzione, sin dal suo nascere". Fatte queste necessarie precisazioni, si capisce perch MAI le BRIGATE ROSSE sono state una "banda armata". Al contrario, esse hanno sempre condotto, all'interno del movimento proletario, una lotta politica ideologica contro tutte le tendenze militariste, inevitabilmente portate a degenerare nel "terrorismo". L'assenza del terrorismo, infatti, sta proprio nella separazione meccanica del politico dal militare; nel restringere all'azione militare, alla quale si attribuisce un potere taumaturgico e della quale si esalta l'esemplarit, l'intelligenza pratica dell'avanguardia. Di conseguenza, il gruppo terroristico, proprio perch volontariamente ignora i compiti fondamentali di direzione, mobilitazione ed organizzazione del proletariato, nella prospettiva della conquista del potere, si pome come "strumento", vale a dire si adatta a svolgere un ruolo necessariamente subalterno ad un qualche disegno politico. Ma che hanno allora in comune le BRIGATE ROSSE con un gruppo terroristico? Nulla, assolutamente nulla! Perch dunque la borghesia imperialista cerca di cucirci addosso quest'immagine; cerca cio, utilizzando ogni strumento - dai mass media alle vostre requisitorie - di mimetizzare la nostra effettiva identit politica? Con tutta evidenza l'obiettivo principale della sua campagna di guerra psicologica quello di dividere la guerriglia dalle masse, confezionandone e diffondendone un profilo di comodo, che le fa apparire come il prodotto dell'iniziativa privata, ed oscura nelle sue motivazioni e nei suoi fini, di un gruppo di "terroristi". La classe dominante sa bene, per, quando - riferendosi alle B. R. - parla di "terrorismo", di trovarsi invece di fronte ad un movimento rivoluzionario reale con profonde ed inestirpabili radici di classe. Anzi, lo sa cos bene, che alla sua propaganda, pur condotta secondo le tecniche della guerra psicologica, lega sempre indissolubilmente una ben pi consistente azione militare - questa s terroristica - nei confronti dei reparti avanzati del proletariato metropoli91

tano. Ed proprio questa strategia articolata della risposta controrivoluzionaria il pi esplicito riconoscimento nei fatti che le BRIGATE ROSSE non sono, come vuol far credere la propaganda di regime, un gruppo "terroristico", una "banda armata", ma un'avanguardia politico-militare del proletariato metropolitano, che si muove nella prospettiva della costruzione del Partito Comunista Combattente, della conquista del potere e dell'instaurazione della dittatura del proletariato. 1) Il vostro obbiettivo principale in questo processo, lo ricordiamo ancora una volta, era la distruzione della nostra identit politica. Non ci siete riusciti; l'obiettivo fallito, e tuttavia la partita ancora aperta. Perch la sentenza non l'ultimo atto, e la battaglia continua su un nuovo terreno: le carceri speciali. Quel risultato che non vi riuscito di ottenere in questa caserma, ora si incaricheranno di rincorrerlo le vostre controfigure all'Asinara, a Fossombrone, a Trani, a Cuneo, a Messina, e via dicendo. Voi passate la mano, e la catena di smontaggio della forza comunista prosegue il suo cammino in un altro reparto speciale, di questa gran fabbrica di controrivoluzione, che lo Stato imperialista. Ma su questo cammino, anche nel nuovo reparto, troverete ancora al fianco dei comunisti rivoluzionari, un intero strato di classe; troverete cio migliaia di proletari che hanno acquisito coscienza nelle galere e che con le loro lotte hanno contribuito a mettere in crisi il sistema carcerario. Anche la lotta rivoluzionaria segue il suo corso, egregie eccellenze, e pur affrontando il presente con decisione sempre maggiore, non dimentica il passato. Statene certi! 2) E' ormai un anno che esistono le "carceri speciali". Un anno in cui, dopo il primo disorientamento, i proletari prigionieri, insieme alle organizzazioni comuniste combattenti, hanno imparato a vivere, a muoversi, a lottare anche su questo terreno. Nel luglio '77, con il trasferimento di massa in questi lager di migliaia di avanguardie, si apre all'interno delle carceri un periodo di sbandamento politico. La ristrutturazione cancella gli spazi conquistati nelle lotte degli anni precedenti e la risposta dei proletari prigionieri resta imbrigliata nella ricerca generale, ma inizialmente confusa, di contenuti e di forme di lotta adeguate, che consentano la ripresa del movimento di resistenza. Nascono le prime manifestazioni spontanee di protesta, che si esprimono principalmente attraverso scioperi della fame collettivi. Questi scioperi, se da un lato testimoniano una generica volont di lotta, dall'altro denunciano i gravo limiti politici in cui si muovono i prigionieri e cio: mancanza di un'analisi approfondita delle "carceri speciali", della loro funzione nella nuova fase della guerra di classe; incapacit di definire un programma offensivo, una linea di combattimento adeguata, forme di lotta opportune. Sulla debolezza del movimento all'interno, si innesta il tentativo di alcune forze democratiche e neo-revisioniste di canalizzare la protesta su un terreno difensivo, pacifico e legalitario. Questi tentativi, tuttavia, hanno vita breve. I proletari prigionieri dei campi comprendono rapidamente l'inutilit e l'inadeguatezza delle forme di lotta adottate, le autocriticano, e cominciano a porre i problemi nella loro dimensione reale. L'analisi dei campi viene approfondita e porta a queste fondamentali conclusioni: - la lotta "interna" non pu essere disgiunta dall'azione "esterna" delle organizzazioni comuniste combattenti, poich il problema dei campi investe l'intero movimento rivoluzionario, e non un problema particolare, specifico, dei proletari che vi sono rinchiusi; - la resistenza all'annientamento deve avere un carattere offensivo, e cio tendere a costruire nuovi rapporti di forza, attraverso l'organizzazione e la mobilitazione del proletariato prigioniero, per disarticolare e sabotare, con sempre maggiore incisivit, queste strutture, muovendosi sulla linea strategica dell'attacco ai centri vitali dello Stato imperialista. Sono acquisizioni importanti che consentono un salto di qualit decisivo. Se ne ha una prova, con il tentativo di evasione da Favignana, che segna il punto di svolta da
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una linea difensiva ad una prospettiva offensiva. La beffa astuta, organizzata da un nucleo di compagni, con la collaborazione della massa dei detenuti, se indica e sottolinea l'importanza di attacchi che aprono e divarichino le contraddizioni politiche latenti nel campo nemico, ancor pi dimostra che il mastodontico apparato delle "carceri di massima sicurezza" si regge sul fragile presupposto che nessuno osi portare un attacco militare duro, di guerra! Altro episodio importante, in questa fede, la lotta dei prigionieri del campo di Nuoro, che si salda, per la prima volta, con iniziative politiche di massa all'esterno e trova il suo completamento pi maturo negli attacchi armati sistematici contro le strutture e il personale di sorveglianza. La maggior consapevolezza raggiunta dal proletariato prigioniero inoltre, si proietta anche all'esterno del movimento di resistenza proletario offensivo. La parola d'ordine "portare l'attacco al potere carcerario" in quanto articolazione di guerra dello Stato imperialista, diventa un punto qualificante del processo unitario in corso tra le avanguardie combattenti, e si traduce in obiettivi che gli attacchi armati e il movimento di massa cominciano a colpire. Anche questa seconda fase per attraversata da una contraddizione politica di fondo che frena lo sviluppo del movimento di lotta dei proletari prigionieri. Si tratta della mancanza di un "programma", di un vuoto di tattica, pur nella sempre pi nitida coscienza dei passaggi strategici essenziali. Questa mancanza di programma di manifesta, in primo luogo, nella episodicit e frammentariet dell'iniziativa interna, e si riflette nella genericit e dispersione degli obiettivi che il movimento attacca all'esterno. Il rischio pi grave che si corre in questa fase uno sviluppo puramente quantitativo, che non sa cogliere i passaggi tattici necessari a far compiere gli indispensabili salti qualitativi. L'azione Palma chiude questa fase e ne apre una nuova. L'aspetto positivo di questo attacco consiste, prima di tutto, nella assunzione da parte delle Brigate Rosse di questo terreno di scontro e nella sua unificazione dentro un disegno strategico. In secondo luogo, la qualit politica ed il livello militare cui viene portato l'attacco sono tali da consentire un effettivi, anche se iniziale, spostamento dei rapporti di forza, in modo che possibilit nuove si aprono per una crescita qualitativa del movimento di lotta dei proletari prigionieri. La lotta che abbiamo iniziato nel "braccio speciale" delle Nuove, qui a Torino a partire dal mese di marzo, a suo modo emblematica di questa nuova fase. Infatti, intorno ad essa, si ricostruisce l'unit del proletariato prigioniero e non, e si articola un programma di congiuntura, che nel "comunicato n. 14" viene cos esposto: "Il programma strategico dell'Organizzazione Comunista Combattente Brigate Rosse nelle carceri preciso: liberazione di tutti i proletari e distruzione di tutte le galere. Ci non significa per un'assenza di iniziativa sui problemi immediati. L'abolizione del trattamento differenziato per tutti i prigionieri dei campi il compito pi urgente. Esso comprende: "L'eliminazione dell'isolamento individuale e di gruppo, che significa: conquista di spazi di socialit all'interno; lotta contro ogni tentativo di distribuzione dell'identit politica e personale dei prigionieri; autodeterminazione della composizione delle celle; ore d'aria e di vita collettiva, ecc. "L'abolizione dell'isolamento verso l'esterno, vale a dire l'eliminazione dei vetri divisori a colloquio, del blocco dell'informazione e della corrispondenza, ecc. "Questo il programma immediato di lotta che le Brigate Rosse propongono per le ``carceri speciali'' a tutti i proletari. "L'intera Organizzazione lo porta avanti come articolazione, sul fronte delle carceri, della propria linea strategica di attacco allo Stato. E' necessaria su questo punto molta chiarezza; ci che proponiamo non il terreno della trattativa, della rivendicazione sindacale, ma la concretizzazione, attraverso la lotta, dei rapporti di forza che gi sono maturati a livello generale [... ]". Noi, comunisti rivoluzionari delle Brigate Rosse sapremo essere in prima linea nel
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nuovo ciclo di lotte contro l'organizzazione carceraria del potere dello Stato. Saremo in prima linea dentro e fuori le carceri "speciali" e "normali". Dentro: per la crescita politica del proletariato prigioniero attraverso la lotta; per organizzare e sviluppare l'iniziativa rivoluzionaria nelle infinite forme che la creativit proletaria sa disegnare; per la conquista del programma immediato; per porre le basi pi solide all'affermazione del programma strategico; per l'unit del proletariato metropolitano nel movimento di resistenza proletario offensivo e dei comunisti nel Partito Comunisti Combattente. Fuori: per attaccare, a partire dai loro gangli vitali, le articolazioni fondamentali del potere carcerario, al fine di creare disfunzioni in questo apparato di guerra controrivoluzionario, incepparlo; e contemporaneamente demoralizzare il nemico il nemico di classe ed infondere fiducia al movimento di lotta. Noi, comunisti rivoluzionari delle Brigate Rosse combatteremo fino alla vittoria per la distruzione di tutte le galere e la liberazione di tutti i proletari. La nuova situazione creatasi dopo il 16 marzo ha posto compiti nuovi alle organizzazioni comuniste combattenti nel processo di costruzione del Partito. Il 16 marzo, nelle intenzione della borghesia imperialista, era destinato a segnare l'inizio di un nuovo regime politico nel nostro Paese. In quel giorno, difatti, si usciva da una crisi politica senza precedenti con il progetto di "intesa di programma" fra i cinque maggiori partiti costituzionali, costruita intorno all'abbraccio interclassista della DC con il Partito revisionista. Il programma era quello di amministrare, nel quadro delle strategie imperialiste e per conto delle multinazionali, gli effetti sociali devastanti della pi tremenda crisi economica degli ultimi decenni, e di gestire - nel senso di rendere funzionali agli interessi del capitale monopolistico - i comportamenti della classe operaia nella crisi. In altri termini, la borghesia imperialista si proponeva di corresponsabilizzare direttamente il Partito revisionista in una vasta operazione tesa ad impedire la crescita delle lotte proletarie e, di conseguenza a bloccare lo sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro Paese. La consapevolezza della crisi e dei pericoli insiti nella presenza di una opposizione, conduce alla scelta politica di catturare, mantenendola, co-... delle lotte proletarie e, di conseguenza, a bloccare lo sviluppo del programma", dopo trent'anni di totale preclusione. Questo disegno, plausibile e realistico a tavolino data la disponibilit senza riserve del PCI a "farsi Stato", comunque destinato al fallimento, fondamentalmente per il motivo che non c identificazione reale tra PCI e classe, cosicch l'integrazione neo-corporativa dei revisionisti nel cielo della politica non significa, al tempo stesso, cattura dei comportamenti di classe operai, delle lotte, dell'iniziativa rivoluzionaria. La "campagna" sferrata il 16 marzo dalle BRIGATE ROSSE con la cattura di Aldo MORO, ha avuto il grande merito di chiarire agli occhi di tutti che per il nostro regime sarebbero iniziati giorni difficili. Con il 16 marzo non si affermato un nuovo regime capace di stabilizzare la situazione economica-politica-sociale nel breve periodo, come era nella intenzioni, ma si invece manifestata l'esistenza di quei poteri contrapposti, espressione di classi antagoniste, di interessi, bisogni ed aspirazioni inconciliabili tra lo Stato imperialista ed il potere proletario armato. Non solo, ma la contraddizione tra il "regime d'intesa" e l'opposizione di classe armata diventata la contraddizione politica principale. E questo avvenuto contro ogni previsione, tanto della DC che dei revisionisti, nel senso che, se da un lato veniva ammesso un margine di comportamenti antagonistici endemici, che si riteneva, tutto sommato, controllabile, dall'altro veniva esclusa la capacit di quest'aera di comportamenti di organizzarsi ad un livello tale di maturit politica ed organizzativa, da rappresentare una nuova contraddizione strategica dalle potenzialit incontrollabili. Con il 16 marzo, il movimento proletario di resistenza offensivo realizza un vero e proprio salto
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di qualit: per l'aumento quantitativo, l'estensione territoriale, la crescita qualitativa degli attacchi armati, e per l'omogeneit politica crescente tra le "campagne offensive" scatenate dalle organizzazioni comuniste combattenti e l'iniziativa particolare dei settori avanzati della classe, esso raggiunge la soglia, e matura la potenzialit, di un vero e proprio movimento di massa rivoluzionario. Questa la caratteristica nuova e principale che le organizzazioni comuniste combattenti devono comprendere in tutti i suoi molteplici aspetti, perch questa la base di un ulteriore salto di qualit nel processo di costruzione del Partito Combattente. Chi non coglie che in questa fase il movimento di massa rivoluzionario si presenta nella forma specifica di un'estrema frammentazione, di un'apparente disomogeneit nei comportamenti politico-militari antimperialisti ed antirevisionisti, non capisce che ogni movimento di massa rivoluzionario il punto di arrivo di un'iniziativa di Partito, e non il punto di partenza. Non a caso, dopo il 16 marzo, assistiamo ad una netta divaricazione tra l'iniziativa offensiva dei reparti avanzati del proletariato e la totale bancarotta dei gruppi dell'"Autonomia Organizzata". Mentre i primi hanno sviluppato ed articolato la loro presenza conquistandosi nuovi spazi nel pi generale tessuto di classe, i secondi sono stati del tutto incapaci di esprimere una qualsiasi prassi offensiva nella nuova situazione. Ci che entrato in crisi, dopo il 16 marzo, non , come qualcuno ha detto, l'iniziativa offensiva del movimento dell'"Autonomia Organizzata", che alcuni si ostinano a voler mantenere ad ogni costo e che si configurano come un freno oggettivo alla crescita del movimento rivoluzionario. La contraddizione non si data tra l'attacco portato dalle organizzazioni comuniste combattenti e l'arretratezza dell'iniziativa di massa, ma tra una linea rivoluzionaria portata avanti in forme diverse, ma sostanzialmente omogenee dalle organizzazioni comuniste combattenti e dal movimento, da un lato, e le organizzazioni dell'autonomia organizzata, dall'altro. In conclusione, se nella fase precedente il compito principale delle organizzazioni comuniste combattenti stato quello di radicare nel movimento di classe l'organizzazione della lotta armata e la coscienza politica della sua necessit storica, ora comincia a porsi concretamente il problema di organizzare il movimento di massa sul terreno della lotta armata per il comunismo. La congiuntura presente, che si caratterizza per il passaggio di fase dalla "propaganda armata" alla "guerra civile", richiede alle organizzazioni comuniste combattenti di ridefinire il loro ruolo in rapporto ai nuovi compiti, ai nuovi livelli di combattivit delle masse ed alle forme di organizzazione nuove generate, nel loro movimento, dai settori pi avanzati del proletariato. In particolare necessario evitare due errori. Il primo consiste nell'inventarsi "organismi di massa", entro cui tentare di imbottigliare il movimento reale, invece di prendere atto delle forme storiche che la dialettica tra rivoluzione e controrivoluzione produce. Il secondo consiste nel voler ricondurre tutte le forme di organizzazione delle masse ad organizzazioni di Partito, negando cos, ancora una volta, il movimento reale nella sua concretezza ed originalit. La crescita del potere proletario implica, di conseguenza, al tempo stesso, il rafforzarsi della capacit di direzione ed organizzazione del Partito sul movimento di resistenza proletario offensivo nel suo complesso, ed il consolidarsi della capacit di mobilitazione e di combattimento degli "organismi di massa", generati dai settori avanzati del proletariato metropolitano. Il compito principale delle organizzazioni comuniste combattenti nella nuova congiuntura, rispetto al movimento rivoluzionario nel suo complesso, dev'essere perci quello di esaltarne le potenzialit, aiutarlo ad organizzarsi in forme proprie ed originale di combattimento, dirigerlo strategicamente inserendone le tensioni dentro un disegno politico unitario, unificarne gli elementi comunisti nel Partito. BASONE Angelo, BASSI Pietro, BERTOLAZZI Pietro,
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BUONAVITA Alfredo, CURCIO Renato, FERRARI Maurizio, FRANCESCHINI Alberto, GUAGLIARDO Vincenzo, ISA Giuliano, LINTRAMI Arialdo, MANTOVANI Nadia, OGNIBENE Roberto, PARODI Tonino, PELLI Fabrizio, SEMERIA Giorgio. Torino, 19 giugno 1978 Alle 12,25 il presidente Barbaro licenzia i giurati supplenti e la corte si ritira. Recupero finalmente la mia libert, esco per la l'ultima volta dalla caserma Lamarmora. Sono pronta a riprendere la mia attivit politica, ma pi stanca. Rester nei giorni seguenti turbata e angosciata dal pensiero dei giurati caricati dell'onere di giudicare, soprattutto nei loro confronti di coloro fra essi che alla fine mi hanno trasmesso la loro consapevolezza di questa drammatica responsabilit. Alla lettura della sentenza i volti tirati e segnati da un pianto trattenuto di alcuni giurati denunceranno quanto faticosa e contraddittoria sia stata l'ultima fase di questa lunga e logorante esperienza.

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Conclusione - PERCH QUESTO LIBRO Quando per iniziativa di alcuni amici e dei responsabili della Milano Libri mi stata offerta la possibilit di questo libro, ho avuto pi di una esitazione. Probabilmente c'era in me la volont di voltare pagina il pi rapidamente possibile su un periodo che non stato certo felice. Ma c'erano anche perplessit di altra natura. Innanzitutto ci che mi interessava e mi pareva meritevole di riflessione era il nostro confronto, di radicali, di libertari e di nonviolenti, con i "violenti" delle BR, un confronto che per me stato drammatico nelle prime settimane del processo. Ma era possibile affrontarlo limitandolo a questa mia esperienza e alla vicenda processuale? O non c'era forse il rischio di scrivere un ennesimo libro nel quale i giudizi si sovrappongono ai fatti, n un diario n un saggio? Per lo stesso motivo ho escluso subito un libro di stretta documentazione della vicenda processuale. Paradossalmente questo processo non era tanto importante per il suo farsi, quanto per il pericolo che non si riuscisse a fare. Sicch nel momento stesso in cui aveva successo la nostra tesi - che si dovesse assicurare lo svolgimento di questo come di tutti i processi politici che attendono di essere celebrati - la sua importanza diminuiva, e tanto pi diminuiva quanto pi veniva ricondotto nella normalit, cio nell'alveo delle comuni garanzie procedurali e costituzionali. Fra mille difficolt questo indubbiamente avvenuto e sono stati momentaneamente sconfitti sia coloro che, all'interno del regime, intendevano farne un processo speciale, sia coloro che volevano trasformarlo (e ce n'erano da una parte e dall'altra) in una prova di forza fra il regime e le BR, puntando gli uni e gli altri sulle conseguenze negative di un suo fallimento. Ho risolto alla fine il problema adottando la formula del diario, cio di far parlare i fatti cos come li ho vissuti, del rileggere e riproporre al lettore i documenti non in appendice ma collocandoli nella narrazione, con una selezione anch'essa personale perch riflette l'importanza che hanno avuto per me in questa vicenda: non solo i fatti e i documenti processuali, ma anche quelli - personali e politici - che si svolgevano fuori del processo e che mi coinvolgevano come radicale e come segretario del partito. Ho cercato di censurare il meno possibile sia i sentimenti e le emozioni, sia i fatti del processo e della giuria, e spero di averlo fatto senza scadere nell'intimismo, e senza violare il riserbo che mi imposto dal diritto. I protagonisti di questa narrazione sono dunque gli imputati che contestavano il processo in nome della loro condizione di rivoluzionari, sono gli avvocati e i giudici che, attraverso difficolt e contraddizioni, ne hanno consentito lo svolgimento e la conclusione. Ma ci sono anche altri protagonisti: le mie compagne e i miei compagni radicali che hanno partecipato anche emotivamente alla mia scelta nelle prime settimane di questo processo, e dai quali mi sono sentita spesso separata e lontana nel lungo periodo successivo; le vittime della violenza rivoluzionaria del partito armato, come della violenza repressiva dello Stato; la stampa quotidiana, che in questa vicenda, in quella del rapimento Moro, e nella campagna dei referendum, si comportata, salvo rare eccezioni, come una stampa di regime; la maggioranza parlamentare e il governo di Roma, con le loro scelte politiche e legislative. Fra i tanti, due protagonisti assumono particolare rilievo: il PCI, a cui rimprovero di aver consentito e voluto che Torino fosse per mesi militarizzata, in preda alla spirale della paura, alla dinamica del sospetto e del terrore sui quali hanno speculato le forze del nuovo potere e i nuovi sostenitori dell'ordine, di un vecchio ordine che combattiamo da ben pi di trent'anni. Per settimane e mesi il sospetto e il terrore sono diventati strumenti di consenso in ogni momento della vita civile della nostra citt, nei quartieri, nelle scuole, nelle fabbriche. E' stata una operazione scientifica che in molti abbiamo tentato di contrastare e che in molti non dimentiche97

remo. L'altro protagonista l'elettorato dell'11 giugno, quello - in gran parte comunista, socialista, autenticamente cristiano - che ha votato SI' alla abrogazione della legge Reale e del finanziamento pubblico, ma anche a quello che ha votato NO. E' lo stesso elettorato cui in tutti i modi la maggioranza parlamentare voleva impedire di esprimersi. Il fatto che si sia potuto esprimere ha riaffermato e fatto prevalere, almeno per il momento, la logica della democrazia su quella della violenza. La caduta di Leone, l'elezione di Pertini sono stati alcuni primi, piccoli segni di cambiamento, i segni della speranza che le cose possano andare in modo diverso in questo paese. Non trarr un bilancio da questa vicenda. Il bilancio, se un bilancio possibile, spetta al lettore. Se fossi stata giudice effettivo invece che supplente, la sentenza sarebbe stata diversa? Forse no. Per quanto riguarda le posizioni processuali di Lazagna, Levati, Borgna e altri, certo in me il dubbio avrebbe prevalso sugli indizi istruttori e sulle testimonianze di Girotto. Per quanto riguarda la mia esperienza in una giuria (fermo restando che l'acquisizione da parte del diritto della formazione di giurie popolari e non solo togate un momento di avanzamento della civilt giuridica) ne ho tratto l'impressione che la sua composizione promiscua metta in difficolt, soprattutto nella interpretazione delle norme e nelle scelte procedurali, i giudici popolari facendo correre loro il rischio di essere alla merc dei giudici togati. Ma a tale argomento dovrebbe essere dedicato altro spazio e altra attenzione. Non so se ci sono riuscita, ma mi parso che l'unico motivo di interesse per scrivere questo libro consistesse proprio nel tentare di trasmettere ai lettori la singolare condizione nella quale mi sono trovata e le molte contraddizioni che ho dovuto affrontare: di segretario di partito, improvvisamente chiamato ad esercitare questa funzione di giudice; di giudice che deve applicare norme e procedure cui si oppone come cittadino e in nome delle quali sottoposto, in quanto militante radicale, a giudizio in altri procedimenti penali; di partecipe delle vicende processuali e, sia pure indirettamente, delle vicende politiche che si svolgevano fuori del processo. Ci sono stati momenti di schizofrenia che ho cercato di evitare e di superare, con costi personali non indifferenti. Nelle drammatiche vicende di questi mesi, il processo stato del resto - accanto ad altri drammatici e a volte tragici avvenimenti - una tessera di un mosaico pi vasto. Di questo intreccio di fatti e di avvenimenti ho cercato di essere testimone.

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