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Maurizio Blondet

Conformismo invincibile, nuova superstizione


05 Ottobre 2009

Diversi lettori scoprono con sgomento che quando comunicano in pubblico informazioni
«fuori delle righe» (come quelle che pubblichiamo in questo sito; esempio tipico, chi ha fatto
l’11 settembre) amici, conoscenti, colleghi, non solo si mostrano increduli, ma si rivoltano
contro il portatore delle notizie, con rabbia e con furore, con la volontà di mettere a tacere e di
discriminare il disturbatore.

Questo chiusura ermetica e rabbiosa, lascia interdetti i lettori e li scoraggia. Si trovano davanti
ad un conformismo ferreo e massiccio che si  auto-difende in modo imprevedibile. E’ un
fenomeno in qualche modo nuovo, almeno in qualche misura; tipico dei nostri giorni. 

Non è solo conformismo (che dovrebbe essere ritenuto vergognoso in una società che si dice
«libera» e «critica»), nè si spiega solo con l’impero di un pensiero unico nei media; è qualcosa
di più totalitario e insidioso. Che fenomeno è?

Gli autori del sito Dedefensa, lo chiamano «virtualismo», e lo dicono il processo


fondamentale della post-modernità occidentale (1).

«Il processo - scrive Dedefensa - si effettua in un quadro generale definito da parole d’ordine,
che fanno appello a un’attitudine dello spirito caratterizzata da un conformismo di ferro».

Non lo constatiamo forse ogni giorno? In questo nostro mondo occidentale, dove ciascuno si
vanta «libero» di pensare e fare ciò che vuole, vige in realtà un conformismo di ferro: tutti
siamo liberi, ma tutti liberamente pensiamo le stesse cose, accettiamo le stesse interpretazioni
degli eventi, vediamo le stesse cose in TV, condividiamo le stesse  frasi fatte e idee
preconcette.

Il quadro della nostra presunta libertà è definito da «parole d’ordine», come quelle che
vigevano nel mondo sovietico. Ma con una differenza  sottile, però essenziale: quelle parole
d’ordine erano ideologiche, rinviavano ad un’ideologia militante che si dichiarava
esplicitamente come tale, «filosofica» o anche «scientifica». Le nostre parole d’ordine, a cui
obbediamo, invece, «rinviano a narrative saldamente stabilite attraverso concezioni
umanitariste e moraliste estremamente vaghe, e confortevolmente ben pensanti».

Per esempio: non è per un imperialismo ideologico che stiamo occupando militarmente l’Iraq
o l’Afghanistan, ma «per portare la democrazia», «liberare le donne del chador», o
«combattere il terrorismo globale».

Ciò che rende plausibili queste affermazioni del tutto implausibili, sono delle «narrative».
Ogni giorno, ogni ora, ci narrano dei «nostri ragazzi», e dei «terroristi» che li minacciano o
fanno a pezzi. Ai più, è addirittura impossibile pensare il contrario, che i cosiddetti terroristi
possano essere partigiani in lotta contro l’occupazione, e che siamo stati noi a portare il
terrore in zone del mondo che non lo conosceva, dove prima non c’erano attentati stragisti, nè
kamikaze islamici.
Conosciamo la potenza delle «narrative»: basta pensare alla «narrativa» sulla shoah - la
narrativa fondatrice, mescolamento continuo di «memorie» private continuamente raccolte e
rielaborate, filmate (Schindler’s List, Il Pianista...), ingigantite, insegnate a scuola, mescolate
di falsi («memorie» di vecchi che si ricordano perfettamente di quando furono internati ad
Auschwitz all’età di 4 anni...).

La potenza di questa narrativa è invincibile: fra l’altro, stabilisce una volta per tutte che non
occorre studiare il nazismo, perchè il nazismo non ha giustificazioni, nemmeno storiche; è un
mostro irrazionale, nato inspiegabilmente, e che per fortuna le «democrazie» hanno estirpato.
Chi prova a indagare il nazismo come un qualunque fatto storico rischia ogni momento
l’accusa di «revisionismo», e peggio di negazionismo: le parole d’ordine del nostro
conformismo di ferro, che sono sorvegliate da leggi penali.

Allo stesso modo, oggi, la narrativa assoluta dice che «L’Iran minaccia Israele»; l’Iran che
come potenza militare è alquanto inferiore alla Grecia, vuol «cancellare Israele dalla carta
geografica ed è un pericolo per tutti noi».

Perchè poi? Perchè là domina un regime del tutto irrazionale, sulle cui ragioni dunque è
inutile indagare: disposto al suicidio, a tirarsi addosso l’annichilimento nucleare dei suoi
avversari, pur di nuocere. Perchè?

Non dovete domandarlo. Domandarselo, è già cercare di capire «le ragioni» del regime
iraniano, che è totalmente privo di ragionevolezza. Ovviamente, la «narrativa» dominante tace
il fatto che è Israele - che e ha tutti i mezzi - a minacciare l’Iran di attacco bellico, sicchè
l’Iran ha qualche motivo comprensibile per dotarsi, magari, di una testata atomica deterrente.

Provate ad obiettare questo, e vedrete i vostri più cari amici mordervi come cani idrofobi. La
non c’è «libertà»! Là «sparano ai dimostranti moderati!». «Ma Israele ha incenerito i
palestinesi a Gaza... ma là c’è Hamas, il terrorismo, il fondamentalismo!».

Insomma, se non accettate integralmente la narrativa, state già dalla parte dei terroristi.

Il tutto si regge, come nota bene Dedefensa, su concezioni umanitariste e moraliste


vaghissime e benpensanti, che ci giustificano e ci scaricano la coscienza: «noi» non siamo
terroristi, perchè «noi» siamo umanitari e facciamo interventi umanitari in tutto il mondo
sottosviluppato (chiedete al Fondo Monetario, alla Banca Mondiale...); i nostri governi (che
magari malediciamo ogni giorno per la corruzione, lo spreco pubblico, la collusione con gli
interessi finanziari) sono senza confronto «più morali» rispetto ai regimi dei Paesi che siamo
andati ad occupare, pardon a «soccorrere», a liberare. Sono loro che ci minacciano.

«Ci odiano per la nostra libertà», come disse Bush jr. nel varare i decreti «Patriot Act», che
riducono permanentemente (Obama non li ha aboliti) la libertà individuale.

Infatti, continua Dedefensa, queste vaghissime concenzioni umanitariste e moralistiche


dipendono «da un’ideologia primaria»: l’ideologia «americanista o occidentalista».

Questa ideologia è di un tipo del tutto diverso da quelle totalitarie, dal comunismo sovietico
che infornava i nemici di classe nel gulag a milioni, e perseguitava i «diversamenti pensanti»,
dichiarando così che all’interno del suo mondo non vigeva la libertà. Al contrario, l’ideologia
americanista è «principalmente caratterizzata dall’idea che è fondata su una pratica generale
della libertà» (libertà di pensiero, d’opinione, di parola; e noi possiamo aggiungere: libertà
d’impresa, di movimento, di perseguire i propri privati scopi e piaceri).

Ovviamente, i più non si fanno domande sullo stranissimo esito di tanta «libertà», che li
induce a volere liberamente le stesse cose, ad aspirare agli stessi oggetti forniti dal mercato, a
vedere gli stessi spettacoli in TV; a ridurre spontaneamente la nostra libertà d’opinione nei
limiti del conformismo di ferro; a condividere le medesime paure (riscaldameno globale), gli
stessi  fini dettati fra quelli ammessi, e non altri.

Nessuno si allarma minimamente che il risultato di tanta libertà è una omogeneizzazione delle
società mai vista prima, al punto che viaggiare in tutto l’Occidente significa trovare le stesse
vetrine, le stesse cose dozzinali, gli stesse opinioni-standard, e persino le stesse identiche
trasgressioni; sicchè viaggiare ormai non significa scoprire alcunchè, ma solo passare da un
aeroporto all’altro, da un controllo «di sicurezza» all’altro. Un sistema di sicurezza sempre
più asfissiante (ispezioni corporali, valige aperte, via quella bottiglietta e quella forbicina da
unghie) che accettiamo lietamente perchè - dice la narrativa - garantisce il nostro sistema di
«libertà», minacciato dai «terroristi».

Per salvaguardare la nostra libertà, ne cediamo un po’ più ogni giorno.

L’Irlanda viene fatta votare e rivotare finchè, finalmente, dice l’obbligatorio «sì» alla
costituzione europea; il risultato è che ci daranno come presidente Tony Blair, che nessuno di
noi ha votato. Tony Blair: la UE sarà presieduta da un inglese, ossia da un Paese che non ha
accettato l’euro, e da un individuo che ha contribuito alla guerra in Iraq e in Afghanistan
voluta da Bush,o meglio dai suoi manovratori pro-Israele.

Tutto questo non ci sembra in contrasto con la nostra pratica così generalizzata di tutte le
libertà. Del resto, che cosa è oggi la «libertà»? Persino il significato del termine è cambiato:
qualche decennio fa, s’intendeva la libertà politica e individuale, l’habeas corpus, il voto,
l’indipendenza nazionale; oggi, essenzialmente, è la «libertà sessuale».

Ciò è molto più comodo per i poteri oligarchici: di libertà sessuali ce ne danno quante ne
vogliamo, purchè ci dimentichiamo di pretendere la libertà politica, di essere cittadini e non
consumatori e contribuenti. Del resto Tony Blair s’è da poco fatto cattolico, come Magdi
Allam: e da cattolico, ha subito cominciato a spezzare lance per i diritti dei gay e i matrimoni
dei preti (anche gay).

Non è questo che conta? Non si vede da questo che siamo liberi? Come dice la Carfagna, sono
i nostri «valori»; i musulmani non li hanno, per questo li liberiamo: dai loro oscurantismi. Li
asserviamo politicamente, ma gli regaliamo la libertà sessuale.

Non è coerente?

Infatti, nota Dedefensa, il virtualismo «da’ un’impressione di coerenza e di coesione»; da qui


trae il suo carattere «di sistema». Si basa sul fatto che ogni persona «non si percepisce
esplicitamente, come potrebbe essere nel gulag, come aguzzino o prigioniero» costretto nella
libertà.

«Il vestimento umanitarista e morale», per di più, dà al sistema (che non si dichiara come tale,
ma al contrario come «aperto») un senso e una giustificazione. Nel nuovo totalitarismo, non è
il Partito che ti manda al gulag: sono gli ospiti del gulag che ti si avventano contro e ti
mordono come cani idrofobi, se sgarri ideologicamente; perchè il sistema va incontro alle
«convinzioni degli attori», siano le vittime, siano i carnefici.

Obietti alla parate omosessuali? Sei contro la nostra «libertà» (sessuale), vuoi riportarci
all’oscurantismo ecclesiastico, alla costrizione, all’inquisizione... Sei contro le «conquiste»
della libertà occidentale.

Come mai reagiscono così?

Perchè il sistema, nonostante le sue evidenti incoerenze e falle morali, garantisce «il conforto
psicologico nella sua pienezza».

E’ questo forse il punto centrale, la novità assoluta rispetto ai sistemi totalitari. Le ideologie
del Novecento davano ai loro militanti solo un «conforto intellettuale», li fornivano di
presunti mezzi filosofici e «scientifici» per interpretare il mondo, e per cambiarlo col ferro e
col fuoco. La nuova ideologia non fa appello all’intelletto, nè a una qualsiasi visione della
realtà; mira a farti «sentire bene con te stesso».

E per questo è invincibile. Non c’è argomento che possa convincere uno che vuole «stare
bene con se stesso», e che si «sente bene con se stesso» nell’universo immaginario dove «noi»
siamo umanitari, morali e liberi, e «loro» no, e lo dimostra il fatto che «possiamo fare quel
che vogliamo», e «comprare quel che vogliamo», perchè ci sono in vetrina duecento tipi di
telefonini.

E’ infatti il carattere definitorio dell’uomo massa: colui per il quale «vivere è essere quello
che già è». E che cosa conforta la psicologia di massa più del conformismo di ferro vestito di
buone intenzioni, di politicamente corretto, confermato dalla TV e dalle burocrazie?

Ora si capisce meglio perchè la gente che frequentiamo, familiari, amici e colleghi che
riteniamo persone normali, appena metti un dubbio sull’11 settembre, su bin Laden, o sul
«riscaldamento globale», non solo non ti credono, ma ti si avventano contro. Una qualunque
irruzione della realtà nella narrativa dominante li fa «sentire male con se stessi»; e ciò, perchè
non può essere integrata nel sistema della «libertà» in cui si è rinchiuso così piacevolmente.

Galileo evoca per deriderlo la figura dell’aristotelico che si rifiuta di guardare nel telescopio,
per paura di dover negare il sistema tolemaico ed accettare il copernicano: la figura-tipo
dell’Oscurantista. Col senno di poi, possiamo giudicarlo meno severamente: il telescopio non
distruggeva solo la credenza che il Sole girasse attorno alla Terra; distruggeva un intero
sistema di significati, un mondo «in cui tutto parlava di fini ultimi, di armonia e di ideale
creativo», un mondo in cui l’uomo si sapeva amato da Dio e da Lui chiamato ai «cieli». Ora,
col cannocchiale di Galileo, si scopriva che la realtà che contava era «un mondo freddo, duro,
incolore; un mondo che non parlava; un mondo morto. Un mondo della quantità, della
meccanica regolarità».

Non possiamo negare la nostra simpatia al tolemaico aristotelico: vedeva crollare non la teoria
di Tolomeo sugli astri, ma il senso stesso del suo mondo di quà.

Dovremo dunque estendere la nostra simpatia anche ai conoscenti che ci mordono la mano
quando gli progiamo l’ultima notizia «alternativa» che mette in dubbio la bontà morale dei
suoi governi, che gli notifica la perdita progressiva della libertà politica in cambio della libertà
sessuale? Dovremmo comprenderlo, se crede davvero che 17 arabi scalzacani abbiano guidato
quattro Boeing senza controllo dal suolo fino all’obbiettivo? E se crede all’esistenza di bin
Laden, questa figura mediatica così platealmente copiata dall’Emmanuel Goldstein
orwelliano, il nemico da odiare a comando, di cui non si sapeva se era vivo, morto, o se fosse
mai esistito?

Direi di no. Perchè quel che difendono i nostri conoscenti che rendiamo idrofobi con le
conoscenze proibite, è il contrario del mondo pieno di senso che difendeva l’aristotelico. E’
un mondo che difende senza ragione, perchè è irragionevole. A tal punto totalitario, che
persino quelli che lo creano - dalle centrali oligarchiche fino ai giornalisti - credono alle loro
stesse narrative, si «sentono bene» nella sua falsa coerenza e coesione, e persino nei delitti che
compiono in nome della «pratica generale della libertà» e dell’umanitarismo. Il che mette
l’uomo occidentale all’interno di un nuovo oscurantismo, di intensità mai vista, e lo rende
incapace di affrontare le sfide della realtà e della storia, come mai è stato nei tre millenni
passati. E’ quest’uomo «liberato» che bisogna liberare e svegliare, prima che la realtà bussi
alla porta.

Come dice Dedefensa: «La differenza» rispetto all’aristotelico timoroso, è che «la potenza dei
dispositivi, dei mezzi di comunicazione, della pubblicità, eccetera, contribuisce a creare non
solo un muro attorno a sè, ma un mondo attorno a se». Il mondo virtuale dell’americanismo
globale, che, appunto, si sta sgretolando sotto i nostri occhi chiusi. Diamo per scontata la
libertà politica, e le buone intenzioni di governi che non abbiamo votato, e di cui conosciamo
la fallacia, perchè «stiamo bene con noi stessi»: ciò durerà finchè dura l’illusione collettiva
che ci sia abbondanza, ci sia previdenza sociale, che il sistema davvero stia provvedendo
perchè l’acqua scenda dal rubinetto ogni volta che lo apriamo, che l’elettricità continui a
illuminare le nostre case, che davvero il sistema si preoccupi del nostro bene, e sorvegli i
nostri diritti mentre ci concede tante «libertà». 

Questo mondo, non muro, che ci è stato creato attorno con mezzi virtuali, è il sogno degli
uomini nella caverna platonica. Presto scopriremo che nessuno provvede che l’acqua scorra
dal rubinetto, che le banche e la finanza ha divorato la nostra previdenza sociale, che il nosto
denaro non è più accettato dal supermarket, che i nostri governi sono pronti ad ucciderci, a
venderci come schiavi dei «mercati» e della pubblicità, anzi già lo fanno.

Svegliamoci, perchè siamo esseri dipendenti nelle nostre necessità vitali da un sistema di cui
non possiamo fidarci; quella che ci culla e ci conforta psicologicamente, è una superstizione
letale (2).

1) «Le virtualisme, éclatant de santé chancélante» (Il virtualismo che scoppia di salute
malferma), Dedefensa, 1 ottobre 2009.
2) Difatti, la potenza totalizzante del sistema si basa anche, fortemente, sulla perdita collettiva
del sapere come «cultura unitaria», come «universitas», che fu sempre la tensione
dell’Europa. I più possono credere che sia facile guidare un Boeing 707, perchè non hanno la
minima idea delle complessità e delle limitazioni di un simile apparato tecnologico.I più
credono che «sarebbe stato impossibile portare tonnellate di esplosivi nelle Twin Towers
senza farsi notare» perchè (come Pierluigi Battista del Corriere) non sanno che le Twin
Towers avevano 155 ascensori e montacarichi e che sgomberi e traslochi erano fatti quotidiani
in grattacieli da uffici a noleggio. I più non si domandano come mai, se le autorità sanitarie
dicono che il virus dell’influenza suina può mutare da un momento all’altro, che senso ha
fabbricare in anticipo i vaccini, in milioni di dosi, che possono risultare inefficaci? I più
credono all’evoluzionismo perchè ignorano tutto sui meccanismi reali del DNA: e persino
scienziati di altre specialità non ne sanno nulla, anche se (è tipico degli scienziati) un
matematico come Odifreddi crede di saperlo; il tema è sfuggente persino ai genetisti
molecolari d’avanguardia. Odifreddi poi, avendo un diploma di geometra, non sa nemmeno la
vastità di quello che non sa; e per questo, giudica tutto quello che non sa come «non
importante». In Italia, il liceo classico mirava a mantenere l’unità del sapere, anche scientifico
oltrechè storico e umanistico; ora questa tensione è abbandonata del tutto, e l’uomo colto è
rimpiazzato dal selvaggio specializzato.  Più in generale, l’uomo moderno vive in un mondo
altamente complesso, fra oggetti volanti, satellitari, chimici, elettronici e istituzioni giuridiche
e politiche straordinariamente complicate,  eventi mondiali indecifrabili, psico-
disinformazione sofisticata, di cui non ha nessuna conoscenza di prima mano: solo «sentito
dire», luoghi comuni, sommarie certezze apprese di terza mano dai TG.  Dovrebbe allarmarsi,
invece si sente bene con se stesso perchè è convinto che «qualcuno» sappia, «qualcuno»
sappia come manovrare quella complessità, anzi che lo stia facendo bene, e la cura di questo
qualcuno sia di non far mancare proprio a lui, l’uomo massa dipendente e non-pensante, il
confort psicologico che gliene deriva. Eppure, dal comportamento dell’alta finanza e dei
banchieri centrali in questa crisi, ciascuno dovrebbe trarre le conclusioni opposte.

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