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Maurizio Blondet

Idea per la Gelmini: corsi di vergogna


07 Settembre 2008

Gli insegnanti sono in subbuglio. Su tutte le radio li sento difendere, a centinaia, la «conquista
pedagogica» degli insegnanti plurimi contro il maestro unico alle elementari voluto dalla
Gelmini. 

La faccenda ha più di un lato patetico. E’ troppo evidente che i maestri in protesta difendono
soprattutto i loro posti di lavoro, ridondanti e superflui (dato il calo demografico, la tendenza
auspicata sarebbe: un insegnante per ogni alunno).

La Gelmini «ha tagliato con disinvoltura 25 mila posti di lavoro», protesta una insegnante
«precaria dal ‘96» su La Stampa: «E’ così che il governo intende stare accanto alle
famiglie?».  

L’idea sottesa è che la scuola deve servire ai dipendenti e ai loro cari, non agli scolari. Come
tutto il servizio pubblico, che serve prima di tutto i pubblici dipendenti e poi, se resta
qualcosa, di malavoglia, il pubblico.

Patetici gli stipendi che difendono, un terzo inferiori a quelli dei maestri elementari europei,
25 mila euro lordi l’anno contro 33 mila.

La precaria di cui sopra si domanda perchè si fa tanto rumore per i dipendenti di Alitalia, e
silenzio sui maestri: il motivo è ovvio, gli stipendi là sono da 7-10 mila euro mensili, dunque
da Casta.

Patetico che, per difendere i tre insegnanti per classe, si evochino inesistenti specializzazioni e
«competenze diversificate»di diplomati delle magistrali.

Manca il cuore di ricordare che il sistema scolastico è stato usato da decenni per fornire semi-
stipendi per un semi-lavoro (part-time) a semi-istruiti, di cui il valore legale dei titoli di studio
ha riempito l’Italia.

La mia maestra di prima elementare aveva fama terribile anche per il nome vagamente
tedesco («Sei nella classe della terribile Poidebar?»): non solo era un’insegnante unica, ma
disponeva di un unico abito che aveva superato malconcio gli eventi bellici, domatrice
disciplinare di 53 bambini ma attenta alle eccellenze nascenti, da selezionare per la nazione:
reduce di un’Italia che non esiste più, dove quello del maestro elementare non era un mestiere
ma una missione socialmente onorata, come quella del medico condotto.

Cara Poidebar. Ha fatto di noi 53 quel che ciascuno era già, in base a fortune, casi e caratteri
sociali che già ci avevano determinato, e in cui la scuola non poteva niente.
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Il figlio della lavandaia non avrebbe studiato, il figlio dell’ignorante coi soldi sarebbe stato un
ignorante coi soldi, il bambino che aveva imparato a leggere prima per conoscere le antiche
favole, sarebbe diventato quel che già era, uno che avrebbe trovato la sua strada faticosa fuori
dalle strade pubbliche.

Perciò sono a favore dell’insegnante unico. Si risparmierà, forse, un po’ di denaro pubblico
(ne resterà di più per Alitalia e gli aerei di Stato VIP). Bene anche il ritorno al voto, se poi si
farà.

L’aspetto che veramente mi disturba nella «riforma» Gelmini è un’altro: lo studio della
Costituzione alle elementari, la reintroduzione dell’educazione civica.

Ciò dimostra ad abundantiam come il governo «di destra» sia imbevuto di vecchie idee
giacobine,  di rigurgiti oscurantisti di illuminismo dépassé.

C’è qui la convinzione miracolistica che, applicando il sacro testo costituzionale sulla testa
dei bulletti, li si guarirà dalla loro mascalzonaggine, come il re di Francia guariva gli
scrofolosi. Colpiti dalla sacralità della Dea Ragione, i mascalzoncini che picchiano il
compagno debole e povero, che scrivono sui muri, fotografano le compagne nude coi
telefonini e spaccano i banchi, si suppone saranno convertiti al «civismo».

Ciò mette tra parentesi il fatto ben noto: che non solo l’intera vita politica, ma l’intera civiltà
giuridica italiota consiste esclusivamente nell’aggirare la costituzione, nel forzarne il senso,
nell’allargarne le maglie, nell’escogitare trucchi «legali» per violarne la lettera e lo spirito.
Una lezione quotidiana per i bambini, lestissimi a capire il peggio.

Una pedagogia di destra consiglia altri metodi: l’educazione dei sentimenti, l’accensione delle
fantasie infantili verso ciò che è bello, nobile, ed antico. Non c’è niente da inventare; per
secoli la pedagogia s’è ridotta alla lettura - con tanto di apprendimento a memoria - dei poemi
epici nazionali.

Ciò insegnava contemporaneamente la lingua - e le sue altezze esigenti, Omero, Virgilio - e


l’esempio incitante, contagioso, degli eroi, modelli caldi di lealtà e di coraggio e dedizione.
L’estetica prima dell’etica.

In questo senso, persino lo studio dell’araldica sarebbe più educativo dello studio della
costituzione (documento di compromesso «storico» fra demo-comunisti): la sua fauna
fantastica, leoni d’azzurro, unicorni rampanti e grifoni d’oro su campi rossi e stellati, sarebbe
una non-moralistica  introduzione alle orgogliose virtù di cui sono simbolo; i motti nobiliari
(quello del principe di Galles è «Ich Dien», io servo; quello di un capo-mercenario fu
«Temere mi adopri»; un altro guerriero, «A’ bon droit»; Massimiliano Sforza ebbe «Merito et
tempore») sono, almeno nelle intenzioni, programmi di vita duri ed esigenti.
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Ma non si può pretendere tanta «destra» dalla Gelmini, laureata a Reggio Calabria.

Forse, però, potrebbe essere accolto un altro suggerimento: contro bulli e vili, piccoli
masturbatori, tossicomani in erba, teppisti e tifosi, introdurre corsi d’insegnamento alla
vergogna.

E’ errato credere che questi siano «senza vergogna». Anzi; tutta la loro vita miserabile è
basata sulla vergogna, ma si vergognano di cose sbagliate. Si vergognano di non avere lo
zainetto firmato; di astenersi dal vandalismo e dalla sensualità precoce; di non spaccare i treni,
perchè il loro gruppo di pari li giudica e li esclude se non si mostrano sfrontati e arroganti, se
non si «fanno», se non emulano il più mascalzone e il più firmato, tatuato e palestrato del
branco.
Sono insomma dei conformisti, al livello più basso e più facile.

Una pedagogia cosciente dovrebbe utilizzare questo conformismo per rovesciarlo, tutto lo
sforzo educativo dovrebbe essere inteso - anche con punizioni disonoranti o ridicolizzanti - ad
indurre un senso retto di vergogna per le bassezze e porcheriole e slealtà; quelle precisamente
di cui adesso si vantano.

Capisco che è tempo perso e fiato sprecato. Ma mi si consenta di sognare: un corso di 
vergogna è quel che serve agli statali fannulloni, ai politici come classe, al nostro amato
custode della costituzione che, non dimentichiamolo, fu beccato a rubacchiare sulle note-
spese europee.

Fra gli esempi ultimi: un corso di vergogna serve ad Arturo Parisi, che ha lodato Berlusconi
«grande leader e grande politico» dopo anni di odio manifesto, per meglio tirare il calcio
dell’asino a Veltroni, uomo politicamente morto. Chiaramente, in questo prodiano è lo spirito
di bassa vendetta che ha appreso da Prodi, «cattolico adulto» che non dimentica nè perdona
mai niente.

Quanto alle sfortune di Veltroni, saranno anche meritate. Ma in un dibattito alla Festa
Democratica, ho sentito quanto segue: i due partiti che si sono fusi e confluiti nel PD (Partito
Democratico) accettando Veltroni come guida, ossia post-comunisti e Margherita, non hanno
trasferito nemmeno una lira al nuovo Il PD è senza mezzi.

DS e Margherita non esistono più, ma si sono tenuti i soldi del finanziamento pubblico, e
continueranno a percepirli per le prossime ere geologiche; sicchè i loro caporioni si danno il
gusto di criticare Veltroni, addossargli i suoi fallimenti, e pugnalarlo alla schiena.

Ho visto recentemente D’Alema, spocchioso e derisorio verso il povero compagno di ex-


partito mandato allo sbaraglio: bastava vedere il taglio del suo abito con fini bordature per
capire com’è ormai sistemato nella felice condizione di miliardario da regata.

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