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Maurizio Blondet

Tutti i motivi per essere grati a Grillo


20 Giugno 2013

«Demenziale, roba da Romania di Ceausescu»: con queste parole persino Marco


Travaglio, dal suo «il Fatto», ha ritirato il suo appoggio a Beppe Grillo. Povero
Grillo, tutti a trattarlo da dittatore.

Invece, dobbiamo esser grati a Beppe Grillo proprio per questo. Mi spiego: i
dittatori «prima» prendono il potere, portati dai plebisciti delle masse, e solo
«poi» (col potere dello stato in mano) si rivelano dittatori folli, patologici e
sospettosi paranoici, lanciano il culto della personalità (la propria),
imbavagliano la stampa , cacciano i giornalisti che non vogliono prendere la
tessera del Partito, e avviano le inevitabili epurazioni interne: che cominciano
con processi-farsa, in cui giudici del Partito condannano degli imputati, essi
stessi membri del Partito, che «spontaneamente» si dichiarano colpevoli ed
invocano la propria esecuzione per espiare; e che finiscono con i critici del
dittatore al Gulag, o eliminati col classico colpo alla nuca nei sotterranei della
Lubianka.

Grillo si comporta da dittatore folle «prima» di avere in mano tutto il potere,


dunque senza ancora avere a sua disposizione gli organi repressivi e giudiziari
dello Stato. Anche se non è il suo primo (né l’ultimo) errore politico, questo è
veramente il più grosso: da vero dilettante della politica. Ovviamente non ha mai
letto Lenin, che insegnava appunto questo: «per prima cosa» arraffare tutto il
potere, e «poi» si applica l’utopia ideologica, gettando la maschera «popolare» e
cordiale per rivelarsi un fanatico capace di tutto.

Grillo ha fatto il contrario, da vero Utopirla (neologismo: significa «pirla


posseduto da una sua utopia»), e gli dobbiamo gratitudine. Specie la sua
senatrice Gambaro gliene deve: niente Lubianka per lei. È ancora parlamentare,
ancorché espulsa; sì, ha avuto il suo processo-farsa, ma nel caso significa, per
lei, di godersi l’emolumento parlamentare pieno anziché tagliato come
l’Utopirla ha imposto ai fedelissimi. Almeno fino alla fine della legislatura.
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Pensiamo solo se Grillo avesse dato la fiducia a Bersani, facendo con i Pd un


governo di coalizione. Era quel che voleva l’elettorato comunista, ed anche tanti
dei suoi lo invocavano: dà a Bersani i voti che gli mancano al Senato, lo terrai
per le palle, farà tutto quello che vuoi tu, ti obbedirà come un cagnolino. Lenin
non ci avrebbe pensato due volte: si va’ al governo con chiunque, scrisse, anche
con «il pope del villaggio», anche coi preti, pur di andare al potere. Perché la
dote primaria dell’uomo politico è la flessibile audacia; il politico sa che le
occasioni vanno acciuffate, perché non si ripresentano.

Per fortuna Grillo non lo sa, non è un politico ma un dottrinario Utopirla. Ha


detto no, con Bersani no, aspettiamo che l’elettorato ci dia il 75% e poi
attueremo integralmente il nostro programma da soli: decrescita felice, riciclo
delle acque, motori a flatulenze....

Pensate un po’ che rischi abbiamo corso, ed evitato di un pelo. Perché davvero i
comunisti erano pronti a dargli tutto, si mettevano al servizio delle sue paturnie
più momentanee, dei suoi odii, dei suoi deliri, dei suoi cambiamenti d’idea.
Pensate solo questo, e sudate freddo: oggi avremmo come presidente della
Repubblica un «venerato maestro» (alias Solito Stronzo) come Stefano Rodotà;
votato in massa da grillini, comunisti, e finocchietti SEL; uno che lo stesso
Utopirla, pochi giorni dopo averlo esaltato come unico e innovatore in linea con
la sua linea, ed avercelo imposto come degno del massimo Colle, ha liquidato
come «ottuagenario miracolato dalla Rete», «uomo di apparato» (non se n’era
accorto prima di essere criticato da Rodotà), che deve tornare «nel freezer»
perché ha eccepito qualcosa su di Lui, il Capo. 

Pensate un po’: col governo Pd tenuto per le palle da Grillo, Rodotà sarebbe al
Quirinale, Berlusconi sarebbe immediatamente stato dichiarato ineleggibile e
arrestato, i partiti sarebbero stati costretti a perdere il finanziamento pubblico,
votando da sé il proprio suicidio. E i giornali sussidiati dal denaro pubblico?
Spariti ad un cenno dell’Utopirla: basta denaro pubblico. Bersani, pur di restare
al potere, avrebbe concesso la loro eliminazione. E i giornalisti di regime? Li
aveva minacciati: «Io non dimentico niente: faremo i conti con Floris e i
Ballarò». Se comandava lui, Floris sarebbe passato dai 500 milioni che gli dà la
Rai coi soldi nostri, al campo di concentramento. E anche la Gabanelli: quella
stessa che aveva appena proposto per la presidenza della Repubblica, poi subito
buttata nel cesso insieme a Rodotà perché – parole sue – «ci si sono rivoltati
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contro». Avremmo come unica fonte d’informazione il blog di Casaleggio. E un


parlamento pronto a votare per quel che Grillo comanda e dis-comanda il giorno
dopo, chissà come saremmo finiti. 

Grazie, Grillo, per lo scampato pericolo. 

Ma ancor di più dobbiamo essere grati all’Utopirla per averci dimostrato in


tempo – prima che diventasse una istituzione irreversibile – a cosa si riduce la
«democrazia online, l’esercizio della volontà popolare continuo e diretto», la
«gente» che «in rete» sceglie i suoi rappresentanti, li guida, e in pratica governa
direttamente e in tempo reale. 

Altro che governo della «gente». I selezionati in rete, appena insediati nelle
Camere, anziché governare si sono chiusi in assemblea permanente dove sola
cosa che sanno fare è: controllarsi l’un l’altro, accusarsi a vicenda, votare
continuamente la condanna di uno e dell’altro, inviare a Grillo delazioni con gli
SMS, invocare l’intervento repressivo del Capo contro l’uno o l’altro collega.
Insomma, si odiano e si dilaniano. 

Ciò non deve essere una sorpresa. È tipico di gente «selezionata» da «gente» che
è, in realtà una minoranza estrema di fanatici ideologici. È successo esattamente
lo stesso nel culmine della Rivoluzione Francese nel 1792: quando i giacobini
presero il potere e instaurarono la Dittatura della Virtù, subito cominciarono a
sospettarsi l’un l’altro, a dilaniarsi e a denunciarsi l’un l’altro davanti a
Robespierre e Saint-Just. E facevano questo mentre erano terrorizzati dal
Terrore istituzionale; e l’assemblea, ossia i rappresentanti votati a suffragio
universale erano ridotti a tremare, e ad obbedire, a un centinaio di sanculotti che
il Comune di Parigi, casa occupata da estremisti rossi (La Commune, famosa, da
cui il nome «comunardi», poi «comunisti»), mandava a fare da pubblico al
Parlamento, pagandoli per questo: e quelli sedevano nelle tribune col berretto
frigio, sciabola e la picca, schernendo intimidendo, e minacciando di
ghigliottina, deputati colpevoli di fare discorsi «moderati»: che per lo più, il
giorno dopo, erano già effettivamente raccorciati dal boia Samson su mandato
scritto di Saint Just. 

La «Rete» che ha espulso la senatrice Gambaro mica è un popolo; è composta in


realtà da 20-30 mila che possono votare perché «iscritti al portale (di
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Casaleggio) al 31 dicembre 2012 con documento digitalizzato», come recita il


blog grillesco: sono esattamente i sanculotti del regime Grillo. Svolgono la
stessa funzione. Anche i sanculotti parigini pretendevano di essere la
«democrazia diretta», non una minoranza estrema ma il «popolo» ; e
decretavano la decadenza di deputati che, per quanto mascalzoni e vigliacchi,
erano stati legittimati dal voto della popolazione reale. Se Grillo avesse un
minimo di cultura politica, non sarebbe caduto nell’equivoco di credere
«democrazia diretta» quello che è sempre stato (anche prima della Rete) un
sopruso di una minoranza militante sulle maggioranze. 

Né i deputati grillini tremerebbero e si inchinerebbero – loro, votati bene o male


da suffragio popolare – alle pretese della Rete, ossia di pochi fanatici peggiori di
loro (che è tutto dire). Ma loro lo fanno spontaneamente, da vili – esattamente
come l’assemblea francese durante il Terrore – perché approfittano della Rete
per sfogare invidia ed odio reciproco: difatti è tipico che proprio loro insorgano
contro la Gambaro, la deputata Pinna, come contro Favia: cioè appunto, guarda
caso, personalità che hanno dimostrato un certo carattere, che significa una certa
qualità, una «stoffa» politica. È ovvio che la marea di leccapiedi senza alcun
carattere né coraggio, facciano a gara per denunciare le persone migliori di loro,
che dovrebbero invece (a rigore) scegliere come propri capi, e se ne facciano
delatori presso l’Utopirla. 

Facevano lo stesso anche i Soviet sotto Stalin, e la cosa finiva malissimo. I


caporioni del Partito, se Stalin la notte prima non li aveva guardati, la mattina
aprivano la Pravda con mani tremebonde, temendo di trovarvi un articolo non
firmato dove – senza nominarli apertamente – qualcuno li accusava di
deviazionismo di destra (o di sinistra, non importa), di aver fallito gli obbiettivi
del Piano, di non aver realizzato abbastanza il Socialismo Reale, l’utopia
finalmente realizzata: sennò dovevano subito fare autocritica, a cui sarebbe
seguito l’arresto notturno, e la Siberia... Per fortuna, oggi, i Soviet del 5 Stelle
possono esercitare la loro «sorveglianza» interna, schizzare tutta la loro vile ed
invidia sui compari, senza serie conseguenze: era una tragedia, oggi è un gioco
da cretinetti, da Asilo Mariuccia. Come aveva ragione Marx: quando la storia si
ripete, è in forma di farsa.

In fondo, ce la siamo cavata con la Boldrini presidente della Camera (Grillo non
è riuscito a metterci nemmeno una grillina, ma una talebana del politicamente
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corretto, che è stata eletta con SEL ossia da un altro partito). Sì, lo so, è un
guaio. Ma poteva andar peggio. 

Grazie Grillo!

Certo, cominciare anzitempo le epurazioni del proprio partito, ha mostrato


che Grillo non sa chi ha fatto votare, non li conosce, ne diffida e li disprezza:
insomma che non sa comandare, non ne ha l’ABC. Appena in Parlamento, quelli
volevano fare qualcosa. «No!», ha intimato lui: «Fermi tutti! Gli ordini li dò
io!». E i deputati e senatori, sull’attenti: «Pronti Capo: cosa comandi?». A quel
punto, silenzio. Telefono occupato. Tut-Tut-tut. «Non parlate coi giornalisti!
Silenzio! Ci sono tra voi dei traditori». E quelli «Siamo qui per obbedirti, Capo:
vieni a Roma, dicci cosa dobbiamo fare, ti supplichiamo!». Tut-tut-tut.

Dovevano leggere le sue sparate sul blog, come i caporioni del Pcus laPravda,
per indovinare se quelli erano ordini da eseguire, oppure erano sfoghi di bile.
Nessuno, nemmeno un deficiente, purché mosso da qualche istinto politico,
avrebbe commesso errori così plateali. Qualunque politico che riesce a creare un
movimento in tumultuosa ascesa si sarebbe fatto votare personalmente, e a furor
di popolo Grillo sarebbe oggi alla Camera. A guidare i suoi da dentro. Non ha
voluto lui. E perché? Per coerenza all’utopia: siccome aveva detto che non deve
entrare in parlamento se non chi ha la fedina penale immacolata, e lui l’ha
sporcata per un antico incidente d’auto colposo, si è astenuto.

Ora, questo non è da politico è da «ideologo». Nell’URSS, era la funzione che


svolgeva Suslov: il controllore della purezza dogmatica, l’intransigente della
Fede marxista-leninista. Ebbene: Suslov fu sempre un subalterno. Un subalterno
di lusso, ma sempre in sottordine; mai i volponi politici del Politburo
subordinarono le loro decisioni politiche ai suoi responsi ed oracoli. Mica erano
scemi, sapevano che l’Utopia è propaganda per le masse, mica riguarda i capi
governanti. 

Grillo ha commesso questo errore elementare.

Ha creduto così tanto alla sua Utopia – o piuttosto all’Utopia elaborata da


Casaleggio – da castrarsi con le sue stesse mani. Ovviamente, senza accorgersi
che tipo di personaggi l’Utopia aveva mandato in Parlamento a suo nome: gente
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di sinistra che lui non riconosce, con cui è a disagio. Si è vista così, prima
assoluta, la figura di un leader con pulsioni fascistoidi (lui) che ha candidato
e fatto eleggere dei sinistroidi. Se ne anche lamentato, il poveretto: «Io non ce
l’ho con Rodotà», ma è lui che «vuole fare una sinistra con i rossi, gli
arancioni... Noi abbiamo la nostra natura siamo sopra». E cos’altro pensava
fossero, i suoi eletti del M5S? Rossi, arancioni, sinistra-ecologia-in libertà e
libera uscita. Pieni di zelo giustizialista, di velleità autoritarie livellatrici, di
volontà di persecuzione moralista, convinti della propria superiorità etica perché
fanno la raccolta differenziata.... Che cosa vuoi fare, con questa gente?

Ora, tanto gli spiace quella gente che non li vuole più. A Grillo si attribuisce
persino il progetto di ridurre il proprio partito, dal 25%, e che lui l’altro ieri si
aspettava di portare al 75, al 10%: perché così li controlla meglio, quei
disturbatori (che lui ha raccomandato all’elettorato). 

L’idea del partito piccolo ma compatto, lui, crede che sia una novità. Invece
ne ha tanti esempi, anche recenti: la Lega di Bossi, «Scelta Civica» di Monti...
vedi come sono finiti. L’idea di rimpicciolire il partito, a sua insaputa, equivale
da parte sua ad una confessione d’incapacità: non so come gestire il successo
politico, non ce la faccio, chiudiamoci nella ridotta coi nostri fedelissimi fanatici
e da lì... da lì cosa, di grazia? La volontà di abbassare il partito in modo che
ottenga solo il 10% dei voti, rivela anche un’altra cosa: che in realtà, non si
vuole fare nulla. Solo vivacchiare, durare in qualche modo. Sopravvivere.

Come se la politica italiana non fosse già strapiena di partitelli-mozziconi, di


spezzoni del 10, o del 3%, fossili viventi di progetti tramontati, falliti e
dimenticati: Scelta Civica, Lega, Fratelli d’Italia... spazzatura che proprio il
M5S è nato per spazzar via, e che in parte ha spazzato via. Ora, avremo un altro
mozzicone, un altro rimasuglio in più. A meno che l’elettorato non lo riduca
come ha ridotto Scelta Civica di Monti, Casini, Fini e Rutelli, un mozzicone di
cera che si scioglie a vista d’occhio.

E poi, lo sgonfiamento e la crisi senza fine del 5 Stelle, nasce da cosa? Dall’aver
presentato il partito alle elezioni locali, subendo una sconfitta anzi un vero
schiaffo. Chiunque poteva dirgli di non farlo, poteva spiegargli che un
movimento d’opinione, nuovo e senza radicamento «sul territorio», deve
presentarsi solo sul piano nazionale, e lì vincere e stravincere. Ma Grillo non ha
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ascoltato chiunque: ha ascoltato Casaleggio, e le sue «voci di dentro». Grazie


Grillo, grazie Utopirla. Grazie per aver fatto fallire l’ennesima speranza di
cambiare le cose per davvero. 

Eri quello del «referendum per uscire dall’euro», quello dei «niente più soldi ai
partiti», quello di «privatizziamo la Rai». Sei riuscito a non ottenere niente, con
un mare di voti. E ti prepari a vivacchiare come un Bossi, a sopravvivere a te
stesso. Lo dimostra il fatto che l’unico uomo tuo (ma poi lo è?) che sei riuscito a
piazzare in una commissione, il grillino Roberto Fico, appena arrivato alla
Vigilanza Rai, s’è messo a dire: «La Rai non si svende, si difende». Come si
cambia parere, appena si tocca col sedere una poltrona! Fico aveva un parere
diametralmente opposto; oggi, parla come un qualunque Rutelli, un qualunque
Veltroni o Rodotà, sfegatatamente a favore del «servizio pubblico». 

Ma noi ti ringraziamo e ti siamo grati per questo. Abbiamo corso il rischio di


votarti, di darti il potere, e poi di finire per questo in una tua Lubianka. Ci hai
dato di accorgerci per tempo chi sei veramente. E ci tocca dar ragione a
Gasparri: «Beppe Grillo non è un cattivo politico, è una cattiva persona». E
questo, questo far apparire Gasparri, al tuo confronto, un Talleyrand, è in fondo
la sola cosa che non riusciamo a perdonarti.

Ma per tutto il resto, grazie. Ci hai scampato da un pericolo, mostrandoti


dittatore folle troppo precocemente. Ci fai tenerezza, e siamo preoccupati per te;
che cosa farai, dopo questo incredibile naufragio, questa bancarotta per mera e
confessata incapacità politica? Non ti vedo a rimetterti a girare l’Italia con i tuoi
spettacoli. Ormai, anche come comico, non fai più ridere. Berlusconi ti supera
anche in quello, ed è ormai insopportabile anche lui.

Dovrebbero darti un posticino alla Rai. Ti spetta, l’hai salvata.

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