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Maurizio Blondet
Invece, dobbiamo esser grati a Beppe Grillo proprio per questo. Mi spiego: i
dittatori «prima» prendono il potere, portati dai plebisciti delle masse, e solo
«poi» (col potere dello stato in mano) si rivelano dittatori folli, patologici e
sospettosi paranoici, lanciano il culto della personalità (la propria),
imbavagliano la stampa , cacciano i giornalisti che non vogliono prendere la
tessera del Partito, e avviano le inevitabili epurazioni interne: che cominciano
con processi-farsa, in cui giudici del Partito condannano degli imputati, essi
stessi membri del Partito, che «spontaneamente» si dichiarano colpevoli ed
invocano la propria esecuzione per espiare; e che finiscono con i critici del
dittatore al Gulag, o eliminati col classico colpo alla nuca nei sotterranei della
Lubianka.
Pensate un po’ che rischi abbiamo corso, ed evitato di un pelo. Perché davvero i
comunisti erano pronti a dargli tutto, si mettevano al servizio delle sue paturnie
più momentanee, dei suoi odii, dei suoi deliri, dei suoi cambiamenti d’idea.
Pensate solo questo, e sudate freddo: oggi avremmo come presidente della
Repubblica un «venerato maestro» (alias Solito Stronzo) come Stefano Rodotà;
votato in massa da grillini, comunisti, e finocchietti SEL; uno che lo stesso
Utopirla, pochi giorni dopo averlo esaltato come unico e innovatore in linea con
la sua linea, ed avercelo imposto come degno del massimo Colle, ha liquidato
come «ottuagenario miracolato dalla Rete», «uomo di apparato» (non se n’era
accorto prima di essere criticato da Rodotà), che deve tornare «nel freezer»
perché ha eccepito qualcosa su di Lui, il Capo.
Pensate un po’: col governo Pd tenuto per le palle da Grillo, Rodotà sarebbe al
Quirinale, Berlusconi sarebbe immediatamente stato dichiarato ineleggibile e
arrestato, i partiti sarebbero stati costretti a perdere il finanziamento pubblico,
votando da sé il proprio suicidio. E i giornali sussidiati dal denaro pubblico?
Spariti ad un cenno dell’Utopirla: basta denaro pubblico. Bersani, pur di restare
al potere, avrebbe concesso la loro eliminazione. E i giornalisti di regime? Li
aveva minacciati: «Io non dimentico niente: faremo i conti con Floris e i
Ballarò». Se comandava lui, Floris sarebbe passato dai 500 milioni che gli dà la
Rai coi soldi nostri, al campo di concentramento. E anche la Gabanelli: quella
stessa che aveva appena proposto per la presidenza della Repubblica, poi subito
buttata nel cesso insieme a Rodotà perché – parole sue – «ci si sono rivoltati
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Altro che governo della «gente». I selezionati in rete, appena insediati nelle
Camere, anziché governare si sono chiusi in assemblea permanente dove sola
cosa che sanno fare è: controllarsi l’un l’altro, accusarsi a vicenda, votare
continuamente la condanna di uno e dell’altro, inviare a Grillo delazioni con gli
SMS, invocare l’intervento repressivo del Capo contro l’uno o l’altro collega.
Insomma, si odiano e si dilaniano.
Ciò non deve essere una sorpresa. È tipico di gente «selezionata» da «gente» che
è, in realtà una minoranza estrema di fanatici ideologici. È successo esattamente
lo stesso nel culmine della Rivoluzione Francese nel 1792: quando i giacobini
presero il potere e instaurarono la Dittatura della Virtù, subito cominciarono a
sospettarsi l’un l’altro, a dilaniarsi e a denunciarsi l’un l’altro davanti a
Robespierre e Saint-Just. E facevano questo mentre erano terrorizzati dal
Terrore istituzionale; e l’assemblea, ossia i rappresentanti votati a suffragio
universale erano ridotti a tremare, e ad obbedire, a un centinaio di sanculotti che
il Comune di Parigi, casa occupata da estremisti rossi (La Commune, famosa, da
cui il nome «comunardi», poi «comunisti»), mandava a fare da pubblico al
Parlamento, pagandoli per questo: e quelli sedevano nelle tribune col berretto
frigio, sciabola e la picca, schernendo intimidendo, e minacciando di
ghigliottina, deputati colpevoli di fare discorsi «moderati»: che per lo più, il
giorno dopo, erano già effettivamente raccorciati dal boia Samson su mandato
scritto di Saint Just.
In fondo, ce la siamo cavata con la Boldrini presidente della Camera (Grillo non
è riuscito a metterci nemmeno una grillina, ma una talebana del politicamente
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corretto, che è stata eletta con SEL ossia da un altro partito). Sì, lo so, è un
guaio. Ma poteva andar peggio.
Grazie Grillo!
Dovevano leggere le sue sparate sul blog, come i caporioni del Pcus laPravda,
per indovinare se quelli erano ordini da eseguire, oppure erano sfoghi di bile.
Nessuno, nemmeno un deficiente, purché mosso da qualche istinto politico,
avrebbe commesso errori così plateali. Qualunque politico che riesce a creare un
movimento in tumultuosa ascesa si sarebbe fatto votare personalmente, e a furor
di popolo Grillo sarebbe oggi alla Camera. A guidare i suoi da dentro. Non ha
voluto lui. E perché? Per coerenza all’utopia: siccome aveva detto che non deve
entrare in parlamento se non chi ha la fedina penale immacolata, e lui l’ha
sporcata per un antico incidente d’auto colposo, si è astenuto.
di sinistra che lui non riconosce, con cui è a disagio. Si è vista così, prima
assoluta, la figura di un leader con pulsioni fascistoidi (lui) che ha candidato
e fatto eleggere dei sinistroidi. Se ne anche lamentato, il poveretto: «Io non ce
l’ho con Rodotà», ma è lui che «vuole fare una sinistra con i rossi, gli
arancioni... Noi abbiamo la nostra natura siamo sopra». E cos’altro pensava
fossero, i suoi eletti del M5S? Rossi, arancioni, sinistra-ecologia-in libertà e
libera uscita. Pieni di zelo giustizialista, di velleità autoritarie livellatrici, di
volontà di persecuzione moralista, convinti della propria superiorità etica perché
fanno la raccolta differenziata.... Che cosa vuoi fare, con questa gente?
Ora, tanto gli spiace quella gente che non li vuole più. A Grillo si attribuisce
persino il progetto di ridurre il proprio partito, dal 25%, e che lui l’altro ieri si
aspettava di portare al 75, al 10%: perché così li controlla meglio, quei
disturbatori (che lui ha raccomandato all’elettorato).
L’idea del partito piccolo ma compatto, lui, crede che sia una novità. Invece
ne ha tanti esempi, anche recenti: la Lega di Bossi, «Scelta Civica» di Monti...
vedi come sono finiti. L’idea di rimpicciolire il partito, a sua insaputa, equivale
da parte sua ad una confessione d’incapacità: non so come gestire il successo
politico, non ce la faccio, chiudiamoci nella ridotta coi nostri fedelissimi fanatici
e da lì... da lì cosa, di grazia? La volontà di abbassare il partito in modo che
ottenga solo il 10% dei voti, rivela anche un’altra cosa: che in realtà, non si
vuole fare nulla. Solo vivacchiare, durare in qualche modo. Sopravvivere.
E poi, lo sgonfiamento e la crisi senza fine del 5 Stelle, nasce da cosa? Dall’aver
presentato il partito alle elezioni locali, subendo una sconfitta anzi un vero
schiaffo. Chiunque poteva dirgli di non farlo, poteva spiegargli che un
movimento d’opinione, nuovo e senza radicamento «sul territorio», deve
presentarsi solo sul piano nazionale, e lì vincere e stravincere. Ma Grillo non ha
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Eri quello del «referendum per uscire dall’euro», quello dei «niente più soldi ai
partiti», quello di «privatizziamo la Rai». Sei riuscito a non ottenere niente, con
un mare di voti. E ti prepari a vivacchiare come un Bossi, a sopravvivere a te
stesso. Lo dimostra il fatto che l’unico uomo tuo (ma poi lo è?) che sei riuscito a
piazzare in una commissione, il grillino Roberto Fico, appena arrivato alla
Vigilanza Rai, s’è messo a dire: «La Rai non si svende, si difende». Come si
cambia parere, appena si tocca col sedere una poltrona! Fico aveva un parere
diametralmente opposto; oggi, parla come un qualunque Rutelli, un qualunque
Veltroni o Rodotà, sfegatatamente a favore del «servizio pubblico».