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Maurizio Blondet

Università: formazione o necessità?


19 Settembre 2010

«Salve Direttore,

è col solito interesse che ho concluso la lettura del suo articolo ‘Alunni di sostegno agli
insegnanti (di sostegno)’, e ho trovato dei riscontri che in questo momento particolare e
delicato della mia vita mi hanno colpito non poco. Posto che le allusioni approntate nel Suo
intervento si riferissero più che altro all’istruzione (con annessi studenti ed
insegnanti) impartita nei primi otto anni di scuola, ossia elementari e medie,ritengo di poter
ampliare il discorso al sistema tutto, fino alla non meno colpevole istituzione universitaria.
C’è chi in uno dei Suoi ultimi articoli l’ha, esplicitamente o meno, tacciato di un certo
classismo sui generis, sostenendo la tesi secondo cui Lei fomenterebbe un certo aprioristico
snobismo verso coloro che ‘mancano d’istruzione’ - le cosiddette ‘scuole alte’.

Ebbene, posto che l’occupazione di difensore d’ufficio non mi compete, i lettori in questione


avrebbero dovuto informarsi prima. Sì perché, qualora L’avessero seguita
assiduamente, saprebbero di certo che nemmeno Lei, caro Maurizio, è laureato. Ricordo
quando, in merito alla questione, se ne uscì scrivendo candidamente che la sua ‘istruzione’ si
era fermata ad un ottimo Liceo Classico nel milanese, osservando come oggigiorno quel tipo
di preparazione sia pressoché inarrivabile per una miriade di motivi.

Ma il motivo di questa lettera è un altro. In primis, mi piacerebbe sapere da costoro, che


tanto deplorano il nostro sistema universitario, cosa ne pensano realmente a riguardo. Data
la mia giovane età, nonché la fortuna di conoscere tanta gente sparsa per tutta la
penisola, mi sono sforzato di maturare una mia idea. Ecco perché, tanto per cominciare,
reputo certe prese di posizione errate o quantomeno fuorvianti. Cercherò di essere più chiaro.

Riportare casi innumerevoli di persone dalle indiscusse capacità, a dispetto dei loro titoli di
studi, comporta l’implicita asserzione secondo cui ‘si possa’ disporre di certe
facoltà ‘malgrado’ il mancato riconoscimento da parte di un qualsiasi organo preposto. In
altre parole, la tesi apparente è questa: se studi sei capace, se non studi non è detto. Sembra
quasi infantile un ragionamento del genere, e sono convinto che
i ‘detrattori’ dell’Università (per lo stato in cui versa) non intendano affatto metterla in
questo termini. Tuttavia certe uscite legittimano un sistema che vive di questi luoghi comuni,
oramai divenuti pure nocivi. Porto brevemente la mia di esperienza.

Esco da un Liceo Classico portato a termine in maniera come minimo superficiale,durante il


quale ho potuto appena sperimentare (questo sì, grazie al cielo!) la potenza dello studio di
lingue ‘morte’ come il Latino e il Greco. Dopo un primo anno ad ottimi livelli, però, qualcosa
cambiò. Vuoi una latente ma manifesta spacconeria del sottoscritto - mi sentivo troppo
bravo, figurarsi - vuoi un mancato coinvolgimento a 360 gradi, ho campato di rendita fino al
triste epilogo della Maturità. Cos’ha comportato tutto ciò? Un ruolo di sicuro rilievo ai fini
del mio totale smarrimento post-liceo. Sia chiaro, per mia abitudine, per quanto possa essere
amaro, difficilmente affibbio ad altri responsabilità mie e mie soltanto. Ma se alle superiori
da me frequentate fosse stata promossa la Cultura ed incoraggiato lo studio vivace, serio e
attento (tutto il contrario di quello accademico) probabilmente avrei potuto contare su degli
strumenti ampiamente più solidi.

Adesso, a distanza di cinque anni da quando misi piede nel mondo universitario,mi ritrovo a
non avere in mano nulla, a dovermi anzi reinventare per amore di seguire le mie aspirazioni -
uno dei principali carburanti che mi permette di‘rimanere in vita’. Per dovere di
cronaca: diffidate da chi vi dice di aver perso tempo all’università a causa di un ateneo
disorganizzato, dei professori inetti, delle scadenze assurde, degli appelli improponibili, della
mole di materie stupidamente composte e via dicendo. Non perché quanto appena rilevato
non sia vero - anzi! - ma è proprio questo il motivo per cui è divenuto più facile ‘farla
franca’ e trovarsi con un pezzo di carta in mano senza nemmeno sapere perché. Come mai
non ce l’ho fatta io, visto che è così semplice?

Beh, chiamiamola viltà, agevolata da un mix di presunte vocazioni che non ho mai inteso


assecondare. Non sono giustificazioni, tutt’al più attenuanti. Chi Le scrive, caro Maurizio, ha
avuto il c… piuttosto pieno da potersi (ahimè)permettere di ‘perdere tempo’, salvo capire, in
un secondo momento, che il tempo perso nessuno me lo restituirà più. Anche in questo
caso, non si giunga a facili conclusioni: ho dei genitori stupendi, ed un padre per cui
ringrazio Dio ogni santo giorno. Solo che la mia leggerezza e la mia incertezza mi hanno
impedito di fare quella che forse era la cosa ‘giusta’. Ma non è stato tutto tempo
perso, nossignore. In questo periodo ho avuto modo di ritrovare Dio, di ritrovare me stesso e
di ritrovare la mia Fede. E’ una Grazia che non a tutti è concessa, quindi non ho proprio di
che lamentarmi. Qualunque sfida ci attenda nel domani, diventa meno pesante se si hanno i
mezzi per affrontarla.

In un percorso del genere non si è mai perfetti, ma sempre perfettibili. Ed in questo


processo, inutile negarlo, EFFEDIEFFE ha avuto un posto non da poco. Su
tutti, Maurizio, ma anche altri come Chiari, Savino e Copertino sono stati una bella scoperta.
Spero mi sia perdonata questa breve divagazione, ma forse nel contesto ha un suo senso.
Senza fare la parte di chi ‘se la suona e se la canta da solo’, spero che si faccia un po’ più
attenzione nello ‘scagliarsi’ contro certe affermazioni. Bisogna evitare di sentirsi punti alla
prima considerazione vagamente contraria a noi o tutto ciò che ci riguarda. Il livore lo si
lasci per altro. Qui si tenti umilmente di ricostruire una realtà che sta andando in frantumi e
di cui a stento si riescono ad intravedere alcuni frammenti. Sapete qual è uno di questi
frammenti - e qui ricorre l’altra ragione della mia lettera?

Uno di questi frammenti è un sistema, a livello globale, che mi impedisce di


istruirmi, prepararmi e migliorarmi in uno specifico ambito senza disporre di una Laurea.
Studiare all’estero, per un normodotato non ricco come me, è quasi improponibile. Troppi
requisiti per entrare nelle Università in cui avrebbe un senso entrare, e troppi soldi da
spendere - il che, inutile negarlo, è anche sinonimo di eccellenza nella stragrande
maggioranza dei casi. Potrei passare allo step successivo e più alla portata, cioè un
Master, ma… ehi, serve almeno una Laurea triennale (e quasi tutte lo sono oggigiorno)!

Cosa significa tutto ciò? Che nonostante tu dimostri un serio interesse per quella specifica
materia - dando prova di voler apprendere, di voler davvero imparare - la strada ti viene
preventivamente sbarrata perché non hai un pezzo di carta. Certo, ‘sto famoso pezzo di
carta, a sua volta, non è una garanzia. Ma se ce l’hai,dall’altra parte un interlocutore lo
trovi. Qualcuno mi dirà che i Master o un qualunque altro corso specifico post-laurea, in
quanto tali, non possono prescindere dalla laurea. Ok, ci siamo. Ma in quei tre anni o più
cosa ho appreso? Materie a pappagallo, sistemi più o meno consoni per portarsi avanti? Vita
artificialmente facile? Beh, ma l’Università non nacque per formare, anziché, al massimo,
‘informare’? Sta di fatto che combattere un sistema che funziona (per quanto ancora?) in
questo modo, è come sbattere la testa nel muro - è il nostro capo che ci rimette.

Mi devo allora adeguare al regolare iter, deciso e convinto nel voler seguire le mie
aspirazioni. Attenzione però: per una finta esigenza di facciata, le Università pubbliche
hanno indetto da quest’anno un test d’ammissione per tutte le facoltà - facendo pagare
un’esosa tassa per la partecipazione (i 40 euro dell’ateneo in cui mi trovo non sono pochi!).
Avendo mancato questo appuntamento, ed essendo già su con gli anni (sì perché, in questo
folle sistema, a 23 anni rischi seriamente di essere tagliato fuori, se non lo sei già) devo
necessariamente affidarmi ad un qualche ateneo privato. Non posso ciondolare per un altro
anno ancora. Ho già vagliato diverse ipotesi, cercando di reperire quante più informazioni
possibili.

Non è che per caso Lei, Direttore, saprebbe qualcosa riguardo l’Università Cattolica del
Sacro Cuore o la IULM, entrambe di Milano? Purtroppo la scadenza per l’immatricolazione
è oramai alle porte, e per me significa fare un passo importante, anzitutto per lo spostamento
che comporterebbe lasciare affetti come la famiglia e la mia ragazza. Lungi da me delegare
ad altri simili scelte; tuttavia sono del parere che si debba cercare di tenere in considerazione
più voci possibile. La Sua, presso di me, gode di una certa stima, quindi sarebbe davvero ben
accetto ogni Suo pronunciamento a riguardo - visto che, tra l’altro, fino a non molto tempo fa
risiedeva in zona. 

Grazie anticipatamente qualora intendesse darmi qualche dritta. Per il resto, come ogni tanto
si sente dire da qualche persona anziana (anche in questo caso: per quanto ancora?) siamo
nelle mani del Signore!

Un abbraccio

Antonio Maria A.»

Il lettore chiede anzitutto i consigli pratici: la Cattolica di Milano è un’università decente, lo


IULM lo è in rapporto a certe università del Sud. Per il resto, inoltre solleva domande enormi,
che si possono solo sfiorare.

Posso solo congratularmi con lui per il fatto che abbia raggiunto questa consapevolezza a 23
anni. Sì, è vero, una laurea oggi è necessaria, ma non assolutamente sufficiente: è una specie
di pedaggio amaro da pagare, perchè (altra verità) non solo le nostre università, salvo
eccezioni, non danno cultura, ma spengono ogni voglia di farsela.

Siamo ancora al pezzo di carta, nonostante tutto. Che tristezza. E’ anche vero che non mi sono
laureato; ai tempi del boom economico, a Milano, non solo era possibile trovar lavoro
qualificato anche con un istituto tecnico, che nel Nord erano seri perchè collegati con le
industrie (conosco un perito chimico settantenne che le aziende non vogliono lasciare a
riposo, perchè con l’esperienza, e una vita passata a risolvere problemi come se fosse la prima
volta, sa cose che i laureati in chimica ignorano – e che nemmeno hanno l’umiltà di imparare
da lui. Quando quest’uomo lascerà, si perderà una enorme competenza, che non verrà
trasmessa).

Uno Stato serio lo dovrebbe assumere come insegnante; molti pensionati, fra cui il
sottoscritto, saremmo disponibili a questo trasferimento di saperi – ma no, perchè ci sono i
professionisti dell’insegnamento che occupano i posti e non vogliono certo concorrenti venuti
dalla vita. E questo mi porta a mettere il dito nella piaga, quella che spiega il suo smarrimento
e il senso di inutilità dei suoi (e altrui) studi. 

L’insegnamento di ogni ordine e grado ha perso il fondamento, ossia la coscienza di essere


anzitutto un fatto politico. Con ciò non intendo destra o sinistra, nè tanto meno quel che passa
per politica nei TG.Dico politico come opposto aindividualista.

I maestri e i docenti che ho avuto la fortuna di conoscere in altri tempi avevano la coscienza
che stavano preparando una comunità di destino, una nazione o patria, per prepararla a far
buona figura nel mondo. Per questo, senza che nessuno glielo ordinasse minuziosamente,
sapevano conciliare il principio di uguaglianza che è il basilare elemento politico della scuola
pubblica di massa, con la selezione dei migliori, avviati a più alti destini.

Nessuno dovrebbe studiare anzitutto per sè e per raggiungere un successo individuale, come
nessuno dovrebbe vincere un concorso a cattedra per coronare la sua carriera e il suo
stipendio. Invece è proprio quel che accade oggi. E il risultato è il degrado dell’eccellenza,
l’abbandono dello sforzo; se uno è abbastanza fortunato farà un master all’estero, gli altri –
concittadini – si arrangino. Molti caratteri, intelligenze e qualità morali si perdono nel tran-
tran a cui si riduce la perdita del compito politico della scuola, il preparare gente per una polis
che sia all’altezza del mondo d’oggi.

Il lettore poi scrive:

«Esco da un Liceo Classico portato a termine in maniera come minimo superficiale, durante


il quale ho potuto appena sperimentare la potenza dello studio di lingue ‘morte’ come il
Latino e il Greco. Dopo un primo anno ad ottimi livelli, però, qualcosa cambiò. Vuoi una
latente ma manifesta spacconeria del sottoscritto - mi sentivo troppo bravo, figurarsi - vuoi
un mancato coinvolgimento a 360 gradi, ho campato di rendita fino al triste epilogo della
Maturità».

Appunto è quel che dico. Il giovane è stato lasciato alla sua spacconeria, ed ora se ne pente. Il
fatto è che i giovani non sanno che cosa vogliono, credono di avere davanti un tempo infinito,
infinite possibilità di recupero, e non hanno la minima idea – mancando di esperienza – di
cosa perdono. Per questo una scuola seria li deve obbligare, li deve forzare a studiare – non
solo ciò che vogliono o piace loro, ma tutto il quadro essenziale delle nozioni che rapresenta
la cultura generale, e che li preparerà ad imparare da soli da adulti, quando dovranno
risolvere problemi che non sono nel manuale.

Ci sarebbero ancora molte cose da dire, per esempio l’abolizione – nella prima infanzia –
delle favole, perchè le pedagoghe di sostegno dicono che mettono in ansia i bambini. Invece
preparano sia a sviluppare la fantasia, sia alla tragicità della vita, che non sarà mai facile per
nessuno. Non capiscono le fiabe, i bambini? Si spaventano al racconto dell’Orco che vuol
mangiare Pollicino?

Regalo ai lettori un proverbio dei tempi antichi: « Fiaba oscura, nespola dura – la paglia e
il tempo te le matura». C’è tutta una pedagogia, in questi versi ingenui.

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