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Relazione sul progetto di Educazione parentale di Matteo L.

"Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con
l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano
alla famiglia e agli ambiti sociali".

"La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono tener conto della
singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni,
capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione".

"Lo studente è posto al centro dell'azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi,
relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. La scuola si deve costruire come luogo
accogliente."

(tratto dalle indicazioni nazionali per il curricolo – 2012)

“L’incoraggiamento, il conforto, l’amore, il rispetto, sono leve dell’anima umana: e chi più si
prodiga in questo senso, più intorno a Sé rinnova e rinvigorisce la vita. Senza ciò lo stimolo
esterno più perfetto passa inosservato”

(Maria Montessori, La scoperta del bambino)

“Alessio non può imparare perché è in conflitto con il mondo della scuola. (….)

Anche Simone quando prova ad impegnarsi fa disastri. Subito gli si appanna la mente come il
cristallo dell’auto quando è umido. La causa è che è un tipo emozionale. Ora questa reazione è
diventata un riflesso condizionato ogni volta che c’è da impegnarsi. (…)

Una via meno dura e più simile al modo di apprendere nella vita quotidiana, in cui si impara
strada facendo, all’occorrenza, al bisogno, con tranquillità…

Adottiamo questa strategia più morbida perché sappiamo che a chi è sensibile ed emozionale come
te succede che la concentrazione giochi brutti scherzi. Il troppo impegno richiama in memoria
anche la paura di fallire, che arriva come un fantasma e ti invita a non consumare tutte le risorse,
perché sarebbe una sconfitta peggiore. E così il conflitto con te stesso ruba tutta la tua attenzione.
La chiamano ansia da prestazione.

Qualcuno ha detto: c’è una porta nel cuore che si apre con la fiducia e si chiude con il timore, il
timore di fallire”

(Camillo Bortolato, Imparare le tabelline)


________________________________

Una storia da raccontare…

Dare spazio ad una riflessione profonda su questi anni e la nostra storia mi sembrava utile. Utile a
noi, per comprendere meglio, mettendo le riflessioni e la sofferenza nero su bianco. Utile a chi ha
accolto la nostra richiesta, per un percorso comune che sia fondato sui temi dell’apprendimento ma
anche dell’umanità. Un modo per conoscerci, insomma, e raccontare la nostra storia che è anche
quella di altri. Riflessioni e conoscenze che soltanto il percorso di questi anni poteva regalarmi:
tante letture, da più punti di vista, tanti incontri su carta e incontri di persona. Tutto ci è stato di
grande aiuto per crescere e comprendere, pur attraversando la sofferenza, e per riprenderci nostro
figlio, la fiducia reciproca, l’amore incondizionato come valore assoluto.

Iniziamo da alcune riflessioni…

Un buon educatore, colui che non costringe ma libera… (J. Korczak), colui che non corregge ma
sostiene, che non è alleato dell’errore ma si allea con il bambino (Maria Montessori, Daniela
Lucangeli) e lo rispetta perché sa che l’errore fa parte del percorso di apprendimento, colui che sa di
avere di fronte un essere umano e non un oggetto di trasmissione di nozioni e saperi, colui che sa
che per apprendere occorre anche gioia, curiosità, serenità d’animo, autostima..

Quante riflessioni mi ha permesso di fare, di scoprire, di digerire la triste vicenda in cui siamo
incappati 6 anni fa!

Dalla sofferenza, scaturita da un trauma vissuto nei primi approcci con il mondo Scuola da parte di
mio figlio, ho avuto la possibilità di aprire nuove porte, di acquisire nuove consapevolezze, di
conoscere il pensiero e l’opera di pedagogisti, psicologi, educatori, esseri umani che non hanno mai
voluto rinunciare alla pasta di cui siamo fatti ovvero alla nostra Umanità, al di là di ogni metodo,
etichetta, definizione, senza dimenticare che sotto la carne c’è anche un’anima!

Vorrei parlare della nostra storia, di Matteo, del suo mondo, con l’intento di riportare l’attenzione
anche sui sentimenti, su quegli aspetti che ci fanno esseri umani e non solo insegnati, alunni,
docenti e discenti.

Di strutture ce ne sono tante che tentano di descrivere il singolo individuo, che ci vorrebbero
contenere e definire ma la nostra anima vuole il suo spazio e allora ha bisogno di sconfinare, di uno
sguardo che sia più in profondità e dall’alto, che comprenda ed entri in empatia.

La mia sarà una “relazione” diversa da quello che ci si attende sia, non un resoconto freddo e
distante ma un racconto vicino, per la vicinanza che sento per essere madre del protagonista della
storia.
Vorrei narrare la nostra vicenda da un punto di vista diverso da quello delle diagnosi perché “Un
essere umano è molto più del suo problema o della sua incapacità…” (J. Juul)

Vorrei ridare dignità a mio figlio, ridargli la fiducia che merita perché è innanzitutto un bambino
sensibile, intelligente, curioso, stravagante. Vorrei restituirgli la sua infanzia, la leggerezza
dell’essere bambino, la gioia dell’incontro con il Mondo. Questo è il valore che vorrei mettere in
evidenza, al di sopra di quello che Matteo sa fare o non sa fare. Quante volte, nei nostri percorsi tra
psicologi, psicomotricità etc.. ho sentito descrivere mio figlio con la parola “funziona” o
“funzionale”, quasi a voler parlare di un oggetto e della sua efficacia a livello di funzionamento!
Quanti percorsi di questo tipo abbiamo fatto, che lo hanno profondamente ferito, umiliato..

Ma ora, dopo questa breve introduzione vengo ai fatti.

Tutto ebbe inizio con l’”inserimento” di Matteo alla scuola dell’infanzia…

Matteo aveva già mostrato delle particolarità: la sua passione forte per la musica che lo aveva
portato da De André al Jazz di Pat Metheny; la curiosità verso i numeri che lo portava a chiedermi
cosa ci fosse dopo il 2999 o se fosse vero che i numeri fossero infiniti; il fatto che, appassionato di
letterine, che già conosceva tramite vari giochi di puzzle ed altro, avesse imparato a leggere alcune
parole da solo, costruendosi, senza che nessuno glielo avesse insegnato, una sua modalità di
associazione dei suoni ai grafemi. Era un bambino curioso, sensibile, tranquillo, che tendeva più a
cercare il contatto con gli adulti piuttosto che con altri bimbi.

Poco prima dell’ingresso alla scuola dell’infanzia, Matteo ha dovuto rinunciare al mio seno ed ha
saputo che, in breve, sarebbe arrivato un fratellino. Tante novità in poco tempo e neanche molto
piacevoli e facili da digerire! Ma, nella naturalità delle cose, ogni cambiamento avrebbe preso il suo
posto, con gradualità, se non fosse stato per la “bomba” esplosa ad ottobre del 2012, ovvero per
l’impatto forte e devastante con la scuola dell’infanzia.

Mi sono fidata: delle maestre che mi dicevano che “così fan tutti”, “i bambini vanno lasciati già dal
primo giorno da soli, anche se per una mezz’oretta…piangono sì ma poi passa”.

Ho letto molto anche su questo argomento, mi sono confrontata con alcuni psicologi ed ho
compreso che per questo tipo di cambiamento c’è bisogno invece di gradualità, ciò che sembra
ovvio e invece non lo è sempre. Ovvero che i bambini prima di essere lasciati dalla mamma o dalla
figura di riferimento dovrebbero conoscere l’ambiente, familiarizzare con le persone adulte, vedere
che la mamma si fida di loro, sentire che si è comunque al sicuro.

Questa delicatezza non ci è stata concessa. Poi i giorni a seguire, di male in peggio. Le maestre, che
non hanno voluto attendere di conoscere Matteo, hanno da subito definito un universo in
evoluzione, come solo può essere un bambino, con poche parole e con pochi giorni di osservazione:
c’è un problema, non è come gli altri, “sa già leggere?” … allora è un problema perché i bambini
normalmente prima imparano a scrivere e poi a leggere, “ama i numeri?”.. c’è qualcosa di sospetto,
“non si è integrato con i coetanei” etc..

La Me di allora non sapeva tante cose…quanto mi avrebbe fatto bene sapere che un certo Camillo
Bortolato sostiene che “a leggere si impara in un giorno e a scrivere in un anno”!
Ma non solo..se avessi avuto quelle consapevolezze che ho acquisito nel corso di questi anni di
sofferenza, di ricerca, di preoccupazione, di “tanti specialisti ed esperti consultati” la nostra storia
sarebbe stata diversa e Matteo non avrebbe sofferto tanto!

Perché fa soffrire molto sentirsi dire a 3 anni dalle maestre “non ci riesci” o “non sei capace” e
sentir penetrare quel giudizio nella tua pelle, sentirsi diversi, incapaci, forse “malati” e
contemporaneamente allontanati anche dai coetanei che vedono in te qualcosa di diverso, strano, un
bambino che non è capace di fare quello che fanno gli altri.

Questo ci è capitato: di fronte ai tentativi di Matteo di approcciare il disegno ed il grafismo,


procedendo per scarabocchi senza senso (aveva 3 anni!), le maestre hanno avuto l’atteggiamento
meno costruttivo ed incoraggiante, ovvero: correggere, sottolineare l’errore, giudicare, insinuare la
“malattia”.

Quante volte, andando a prendere Matteo a scuola, mi sentivo dire “anche oggi ha provato a
disegnare un albero o una casetta (richieste dalle maestre, alla faccia della libertà di esprimersi!) ma
tanto non ce la fa! Tanto non ci riesce”. Non hanno concesso a Matteo neanche l’osservazione di
qualche mese! Già dopo qualche giorno era etichettato: c’è un problema, non è come gli altri,
qualcosa non va, è “malato”, portatelo dal neuropsichiatra, dallo psicologo..

In tutto questo io, da qualche mese, mi stavo vivendo la mia seconda gravidanza. Quanto mi hanno
fatto preoccupare, quanta tristezza e sofferenza per le loro parole insensibili e poco ragionate,
buttate là con leggerezza, senza badare alle sofferenze che stavano infliggendo ad un’intera
famiglia!

Cosa avrebbe cambiato nel percorso di Matteo aspettare nell’emettere il giudizio? Cosa avrebbe
perso nella didattica, nel saper fare? Io ora credo che sarebbe stato meglio per Matteo, per Nico che
era nel mio ventre, per me e per mio marito che le maestre avessero atteso di veder crescere Matteo,
con rispetto per le sue caratteristiche uniche, con sensibilità verso un bambino di 3 anni, verso una
madre incinta. Almeno aspettare che avessi partorito per iniziare con le loro insinuazioni, i loro
giudizi frettolosi, le loro frasi poco rispettose pur se pronunciate con il sorriso!

Ora sappiamo che Matteo ne avrebbe tratto solo giovamento perché sarebbe cresciuto con la sua
autostima meno traballante, con una fiducia maggiore negli adulti e nel mondo in generale, con
quella leggerezza di cui ogni bambino ha bisogno, senza quella sofferenza che lo ha portato a dire di
sé stesso “sono un burattino”, “sono una statua”, “non sono capace”, “non so fare niente”, “sono
malato”.

Poi mi sono messa in cammino, ho iniziato a confrontarmi con molte persone diverse, ad osservare
con altri occhi chi prendeva in carico la nostra situazione, a leggere tanto, a cercare di capire
confrontandomi con altre storie simili, a fare riflessioni profonde.

Siamo passati attraverso psicologi, visite di vari specialisti, la psicomotricità. Non abbiamo visto
miglioramenti, né nell’autostima di Matteo né nella sua difficoltà nella scrittura, né nel suo sentire,
né nel suo saper fare.

Così, dopo anni di consulti, terapia, consulenze varie, ci siamo fermati. Fermati rispetto al prendere
la vita come un continuo voler aggiustare, rimettere sui binari, controllare, analizzare, etichettare.
La vita, grazie a Dio, sfugge a tutto questo accanimento, a questi confini imposti e rigidi, a questa
volontà di standardizzare tutto e tutti! La Diversità ha diritto di esprimersi, il Rispetto della persona
va rimesso al primo posto; così l’Essere Umano riacquista tutta la sua complessità e unicità.

In questi ultimi due anni Matteo è passato attraverso molta rabbia, per non essere stato rispettato,
compreso, amato incondizionatamente. Io ancora devo smaltire il senso di colpa, per aver permesso
che tutto questo accadesse a lui, a noi come famiglia, che il giudizio e lo sguardo superficiale di due
insegnanti acquistasse più valore della fiducia in mio figlio, del fatto che una madre conosce il
proprio figlio meglio di chiunque.

Ora vorremmo riprenderci questa Fiducia, ridare a Matteo e a Nico la serenità di cui c’è bisogno per
crescere in armonia con il mondo, la gioia e il sorriso, la leggerezza dell’infanzia ed i diritti di ogni
bambino.

Il clima che Matteo ha respirato a scuola, anche poi proseguendo nella primaria, è stato opprimente,
nelle sue sfumature di giudizio, compassione, non comprensione, allontanamento da parte dei
coetanei (in alcune occasioni anche in maniera davvero sgarbata) e costante sensazione di essere
diverso, non accettato.

Sentirsi “diversi” è devastante e Matteo lo ha sperimentato in vari modi: con i giudizi delle
insegnanti che non hanno concesso che potesse scarabocchiare a 3 anni; con lo sguardo indagatore
sempre puntato su di lui; con il sentirsi respinto dai coetanei; con i due anni di sostegno
affibbiatogli per due ore al giorno; con nessuno che ti invita a casa sua a giocare nel pomeriggio;
nutrendosi di frustrazione e impotenza, tristezza e rabbia, voglia di farsi apprezzare e un sentimento
di “ingabbiamento”.

Matteo si è spento, ha perso l’entusiasmo e la curiosità di scoprire e sapere che lo


contraddistinguevano; si è rifiutato di mettersi di nuovo alla prova, per tentativi ed errori; gli è
venuta meno la voglia di andare a scuola, in un ambiente dove ogni giorno sentiva sulla sua pelle di
non essere capace, di non essere apprezzato, di essere rifiutato dagli altri, di essere inferiore,
incapace.

La psicologa e scienziata Daniela Lucangeli parla di cortocircuiti emotivi e dice “Le emozioni
contano: i bambini apprendono meglio con il sorriso”. Non sarà facile, dal punto in cui siamo,
ritornare a sorridere. Ma questo è il nostro intento di genitori: aiutarlo a ritrovare fiducia in Sé
stesso, a risanare la sua autostima, a risanare quelle ferite che quest’esperienza dolorosa gli ha
procurato.

“Paura, senso di colpa, ansia incidono sulle capacità di apprendimento e creano il cortocircuito
emozionale. Questa condizione ostacola o complica le capacità di apprendimento e con il tempo
può far dimenticare ciò che si è imparato, perché la mente tende a fuggire dalle esperienze a dai
ricordi dolorosi. Per disattivare le emozioni negative e superare il cortocircuito emozionale, è
importante creare una situazione positiva, stimolando emozioni positive” (D. Lucangeli).

A queste riflessioni ci ispiriamo e, dopo anni di tentativi restando dentro la Scuola, ora abbiamo
deciso di tentare un’altra via: dove sia consentito di sbagliare, senza grandi traumi; dove sia
presente il diritto all’errore, come processo di modifica e miglioramento continuo; dove ci sia piena
fiducia nelle capacità di chi apprende; dove non è costante il confronto con l’altro che ci fa sentire
inadeguati; dove ci sia amore e accettazione; dove l’apprendimento non sia frutto di sforzo e
costrizione ma di curiosità, scoperta, divertimento.

Dopo tre anni di scuola primaria dobbiamo ancora raggiungere l’obiettivo della scrittura: Matteo,
dopo il trauma della scuola dell’infanzia (non esagero a chiamarlo trauma perché così lo ha definito
la pediatra e pedagogista Elena Balsamo dopo un consulto su Matteo, “Trauma scolastico”) ha
ripreso in mano un colore o una matita solo al primo anno della scuola primaria; dopo 3 anni ancora
non riesce a scrivere in stampato grande, se non con difficoltà; permane un rifiuto dello scrivere che
lo porta ad evitare quanto più possibile di confrontarsi con una pratica che lo mette a disagio, lo
riempie di frustrazione, gli riporta alla memoria emozioni negative e forti dalle quali cerca di
difendersi.

Con l’educazione parentale viene meno il rapporto quotidiano con il gruppo classe ma, considerato
il livello di interazione effettiva, direi che almeno non è più sottoposto a situazioni in cui veniva
allontanato (quante volte si è sentito dire “vattene”, a parole o anche solo con gli sguardi) o
compatito o trattato con falso rispetto e attenzione, con quella considerazione che si riserva ai
diversi.

Vorremmo che ritornasse a credere in Sé stesso, che apprezzasse i propri talenti e conoscesse i
propri limiti. Crediamo che soltanto con una maggiore serenità interiore ed un rispetto di Sé possa
avere una sana relazione con i coetanei e con il mondo che lo circonda. Al riguardo, rinvio al Dott.
Giovanni Galli, psicologo e psicopedagogista, ed alle sue riflessioni in materia.

Ora, dei segnali positivi ci stanno arrivando: maggiore tranquillità, un ritorno della curiosità che lo
contraddistingueva e che è la porta attraverso la quale apprende meglio. I suoi interessi sono vari
ma si incentrano principalmente sulla musica, di vari generi, e sulla lingua inglese. Sa organizzarsi,
in materie dove c’è un forte interesse personale, programmando con autonomia il proprio percorso
conoscitivo. Si gode l’incontro con i coetanei in luoghi dove la competizione scolastica e tutti i
dolorosi trascorsi non intervengono a rovinare il contatto con l’altro, che si basa essenzialmente
sull’essere e non sul saper fare. Si mostra capace di riflessioni profonde anche su temi sociali,
esistenziali, profondamente umani, che denotano una grande sensibilità.

Osservando Matteo ritrovo quella “attrazione appassionata” di cui parla Paolo Mottana, docente di
filosofia dell’educazione all’Università “Bicocca” di Milano, dove l’apprendimento è sostenuto dal
desiderio appassionato di farlo proprio. Per questo e per le ferite che si porta dietro, abbiamo scelto
di dare priorità alla sua voce, alle sue passioni, alle sue curiosità e da queste partire per approdare
anche ad argomenti e nozioni più specifici, con rispetto dei tempi personali e del grado di
attenzione, senza forzare. Citando la Montessori vorrei che fosse messa in primo piano “l’anima del
bambino che, liberata dagli ostacoli, agisce secondo la propria natura”. Parole che condivido
pensando a quanto gli interventi scorretti degli adulti, i tempi forzati per raggiungere i risultati, ci
distolgono lo sguardo dal bambino, creando fronti opposti che spesso sconfinano in ostilità,
incomprensione profonda.

Mi hanno colpito anche le parole che ho trovato nell’Approccio Globale al curricolo della rete
Senza Zaino, dove si pone al centro “la globalità della persona: l’apprendimento deve considerare
tutti gli aspetti, da quelli emotivi, a quelli razionali, da quelli corporei a quelli intellettuali” ma
anche “la globalità come integrazione: non si può più parlare di alcuni alunni diversi perché …Tutti
gli alunni sono diversi”.

A questo punto mi sembra chiaro sottolineare la necessità di questo breve racconto. La storia che ho
raccontato cerca di presentare vari aspetti, alcuni dei quali sfuggono alle relazioni fatte dai vari
esperti, non compaiono nel Pei e nel PdP, non trovano spazio negli incontri che solitamente si fanno
con le insegnanti dove, almeno dalla nostra esperienza, al centro rimane sempre e comunque la
didattica, il sapere ed il saper fare, escludendo la parte più emotiva, umana del discorso.

Dopo anni in cui Matteo è stato sottoposto a varie analisi degli specialisti, con varie diagnosi fatte e
varie ipotesi nonché varie etichette che si sono rivelate inutili e controproducenti perché hanno
istillato ancor di più la sensazione negativa di malattia nel bambino, senza produrre miglioramenti,
ora vorremmo rimettere Matteo al centro.

Vorremmo dargli la possibilità di scardinare quelle false credenze legate al “non saper fare” che
ancora hanno molto potere su di lui, vorremmo che recuperasse gioia e spensieratezza, che sentisse
di essere accettato per quello che è, sinceramente, che sperimentasse finalmente il Rispetto per Sé
stesso e per gli altri, unico vero limite alla nostra libertà personale. Noi genitori, dal canto nostro,
forti dei nostri errori passati e delle nostre fragilità, delle nostre esperienze maturate in questi anni
di sofferenza ed incomprensione, delle nuove consapevolezze guadagnate attraverso l’esperienza e
la riflessione, abbiamo come primo obiettivo di restituire Matteo a Sé Stesso, di amarlo
incondizionatamente, di incoraggiarlo e sostenerlo nel percorso di crescita umana e di benessere
personale.

Proseguo con un breve estratto da “Tutta un’altra scuola” di Giacomo Stella, professore ordinario di
psicologia clinica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia:

“Il principio di uguaglianza applicato a scuola ci dice: questa è l’offerta, se per te non va bene, se
non riesci a stare al passo sono fatti tuoi o della tua famiglia. Trova qualcuno che ti aiuti o cambia
scuola. Io non posso cambiare modo di insegnare per te, e non posso valutarti in modo diverso dagli
altri.” Il principio di uguaglianza dunque “è la negazione della didattica flessibile, dell’ascolto e
della considerazione non solo dei bisogni ma anche delle idee degli studenti. Il principio di
uguaglianza è un travestimento del principio di omologazione..”

“Per il principio di equità invece “l’obiettivo principale è la soddisfazione dei partecipanti


all’evento, andare incontro ai bisogni di tutti con flessibilità, assumere il punto di vista dell’altro.”

“Niente più necessità di diagnosi, di etichette o DSA”, “L’esatto contrario del principio di
uguaglianza che in realtà non rende tutti uguali, ma mantiene le differenze, le enfatizza, le
cristallizza”, “Il principio di equità, al contrario, dà a tutti le stesse opportunità, valorizza le
caratteristiche di ciascuno e crea le condizioni per stare bene in gruppo, rende felici, sollecita la
partecipazione. È tutta un’altra storia!”

Ancora Giacomo Stella: “La scuola in genere umilia le differenze, intese come deviazioni dalla
norma”. Nel nostro caso per le insegnati era più importante sottolineare da subito una diversità,
segnalarla in modo da diagnosticare precocemente il disturbo e intervenire…ma questo non è
aiutare, questo è dare con leggerezza un giudizio affrettato, etichettare, far soffrire ingiustamente un
bambino di 3 anni perché non sa “disegnare la casetta”! Non sarebbe meglio lasciare il tempo di
osservare con calma il bambino, aiutarlo nel percorso di crescita, nell’acquisizione delle capacità,
sostenerlo, accettare le sue divergenze in prospettiva positiva? Matteo non ha avuto alcun
miglioramento da questo tipo di accanimento, anzi. Abbiamo seguito tutte le tappe consigliate, fino
a diventare invadenti, opprimenti, ogni giorno. Siamo stati da psicologi, neuropsichiatra, centro
riabilitativo Santo Stefano per 2 anni di psicomotricità, abbiamo inserito l’insegnante di sostegno,
calcando la mano sulla diagnosi per farglielo ottenere. Tra l’altro, l’ultima psicologa che lo ha
osservato ha ammesso la pericolosità del sostegno nel caso specifico di Matteo, sostenendo dunque
la non necessità. Matteo ad un certo punto ha urlato il suo BASTA! Ha tirato fuori tutta la rabbia
per essere stato trattato da malato, da diverso, giudicato, offeso. E noi genitori, fortunatamente,
siamo usciti da questo percorso desolante, fatto di sfiducia e sofferenza. Mi preme accennare alla
consulenza con la Neuropsichiatra Dott.ssa Stoppioni, che, in un colloquio con noi genitori, ha
descritto Matteo come un bambino con particolarità, divergenze, caratteristiche non standard che
spesso fanno preoccupare le insegnanti che tendono a problematizzare, a classificare sin da subito, a
medicalizzare. Ed è proprio questo atteggiamento che spesso crea il “problema”. Ma soprattutto ora
ci chiediamo a cosa sia servito seguire tutto l’iter suggerito. Abbiamo recuperato l’autostima del
bambino? No, perché quei giudizi caduti su nostro figlio all’età di 3 anni sono stati come “una
gelata su una pianta da frutto durante la fioritura”. Gli interventi di correzione e riabilitazione non
hanno prodotto risultati di miglioramento nel grafismo, non hanno ridato autostima al bambino ma
hanno soltanto aggravato una situazione già difficile emotivamente e psicologicamente. Appesantire
un bambino con questo clima crea soltanto malessere ed un rifiuto proprio in quel settore in cui è
rivolto il giudizio, l’analisi, la riparazione. Quell’esperienza della scuola dell’infanzia per Matteo è
stata assorbita come una “credenza radicata di incapacità definitiva, una ferita all’immagine di Sé,
un drastico ridimensionamento dell’autostima, con conseguente tendenza ad evitare quel compito”
(citando le parole di Giacomo Stella, professore di Psicologia Clinica).

Aggiungo altre interessanti riflessioni tratte da “La scuola che fa bene” di Annalisa De Stasi ed
Elena Conte: “Ogni comportamento è un messaggio e ogni comunicazione presenta un aspetto di
contenuto e uno di relazione.”

Ogni messaggio pertanto riveste una grande importanza, tanto più se indirizzato ad un bambino che
è in fase di crescita. “Le nostre parole possono tramortire o far decollare un alunno perché i nostri
messaggi in qualche modo diventano le loro credenze”, dicono queste due insegnanti nel loro libro.
Genitori ed insegnanti hanno un ruolo molto importante nella crescita di un bambino poiché sono le
figure di riferimento con cui i bambini, solitamente, trascorrono buona parte del loro tempo.
Citando anche il libro di Daniel Goleman “Intelligenza emotiva”, la nostra percezione della realtà si
basa innanzitutto su ciò che proviamo, sulle emozioni che scaturiscono di fronte a certe esperienze.
In tema di apprendimento poi ciò che proviamo, nel momento in cui ci mettiamo alla prova, è
fondamentale. Su questo aspetto sono stata incantata dalle parole della Dott.ssa Daniela Lucangeli,
professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l'Università degli Studi di Padova, ed esperta di
psicologia dell'apprendimento: “I bambini percepiscono se vengono amati ed accettati per quello
che sono o per quello che fanno. Ha molta importanza, pertanto, prestare attenzione nell’evitare che
coltivino credenze ed atteggiamenti negativi verso Sé stessi o verso le proprie capacità. Un discorso
sull’autostima è pertanto imprescindibile, prima ancora di un discorso sulla didattica, perché se le
porte dell’apprendimento sono chiuse per disistima, sfiducia, senso di frustrazione ed
inadeguatezza, allora non possiamo fare altro che aiutare il bambino a far sì che abbia la voglia ed il
coraggio di riaprire queste porte, di tornare a credere in Sé stesso, ad avere fiducia, a sentire di
potercela fare, scardinando le credenze limitanti che sono state interiorizzate.”

Questa premessa era per me necessaria, calzante per la nostra vicenda, fondamentale per aiutare
nostro figlio a ricostruirsi un percorso di apprendimento, di educazione, di benessere personale, di
autostima.

Riporto un esempio dell’esperimento fatto da Robert Rosenthal sull’impatto dell’effetto Pigmalione


in ambito scolastico: “L’ipotesi da verificare era quella che le aspettative degli insegnanti nei
confronti degli studenti potessero sortire effetti concreti sulle loro performance e sul loro
rendimento. Si è potuto constatare che le aspettative degli insegnanti in merito alle prestazioni degli
alunni possono funzionare come PREDIZIONI CHE SI AUTOREALIZZANO.” Da quello che ho
raccontato sulla nostra vicenda, risulterà chiaro quanto questo passaggio sia importante per noi. Non
si tratta ora di dare la colpa a qualcuno per le nostre sofferenze e, in primis, per le sofferenze di
Matteo, ma di comprendere che non si può scaricare tutto il peso su di un bambino, puntare il
riflettore solo su di lui e accanirsi per “farlo funzionare”. Il discorso a questo punto è complesso,
dobbiamo avere uno sguardo più ampio, riflettere su quanto è accaduto per cambiare rotta.

“Accade sempre che si instaura un circolo vizioso o virtuoso per cui lo studente si plasma sull’idea
di Sé che gli viene comunicata e tende in entrambi i casi a diventare come l’insegnante si aspetta
che sia”. (Rosenthal)

Quello che possiamo fare è cambiare prospettiva e, come suggerisce Rosenthal, “arriveremo alla
conclusione che il vero problema è il nostro modo di vedere il problema”. Se in un ambiente, che
frequento quotidianamente, respiro un clima di fiducia, di rispetto delle potenzialità e difficoltà,
posso crescere permettendomi di essere me stesso e sentirmi bene nei miei panni; sentirò di essere
trattato con rispetto anziché sentirmi racchiuso in un’etichetta o in una categoria.

È un dato di fatto che la maggior parte dei problemi che ostacolano il successo e la felicità delle
persone, ha origine nella mancanza di autostima, in un’immagine di Sé debole, sminuita, che si
nutre di paure ed è priva della forza e del coraggio di prendere decisioni autonome. La paura
principale, che è all’origine di tutte le altre, è la paura di non essere amati, accettati, e ogni
comportamento disarmonico, dalla chiusura totale all’aggressività, deriva da questa paura. A scuola
l’amore si traduce con apprezzamento e incoraggiamento, con un atteggiamento positivo da parte
dell’insegnante.

Continuano così De Stasi e Conte: “Quando ci sono convinzioni autolimitanti già inculcate negli
studenti, il processo di cambiamento richiede il suo tempo, dovendo rimediare a danni già fatti.
Nessuno può convincere un altro a cambiare. Ciascuno di noi è il custode di un cancello che può
essere aperto soltanto dall’interno. Noi non possiamo aprire il cancello di un altro. Le più recenti
scoperte nell’ambito delle neuroscienze hanno inequivocabilmente stabilito la connessione tra le
emozioni vissute nella relazione di un alunno con gli insegnanti e la specifica qualità degli
apprendimenti e della percezione di benessere / malessere in relazione alla vita scolastica. È dunque
una grande responsabilità di noi adulti di riferimento. Mancanza di rispetto è non accettare la loro
unicità e non riconoscere che siamo noi al loro servizio come facilitatori del loro apprendimento e
della loro educazione, della loro crescita, e non loro al nostro servizio come pubblico mansueto del
nostro eloquio. La mente inconscia è modellabile, ed è quindi programmabile, soprattutto dalle
persone che vengono riconosciute come autorità (genitori ed insegnanti). La ripetizione di messaggi
va a incidersi in profondità, passando dalla mente conscia a quella inconscia e formando le credenze
della persona. Le parole possono distruggere o salvare, far ammalare o curare, indebolire o
potenziare una persona, e milioni di volte di più se è un bambino! Ne consegue che una frase di
incoraggiamento buttata lì ogni tanto non potrà controbilanciare gli effetti della ripetizione di
numerose affermazioni negative e depotenzianti o di etichette ormai stampate nell’inconscio. (…)”

“Sviluppare i talenti personali, ovvero dare spazio e tempo ad ognuno, evitando di annullare le
caratteristiche particolari e uniche di ognuno in nome di uno standard, un modello che ci obbliga ad
apprendere tutti le stesse cose, alla stessa età, nello stesso modo, negli stessi tempi, con gli stessi
strumenti…” (…)

“In un ambiente dove si condividono regole essenziali comuni, dove c’è rispetto di ognuno, dove si
danno fiducia e libertà di scelta, ognuno si sente accettato e di conseguenza le tensioni si allentano.
Un bambino libero di scegliere si sente innanzitutto accettato nella sua particolarità, si sente
riconosciuto e valorizzato, indipendentemente dai suoi tempi, ritmi, stili di lavoro. Si sente anche
protetto e al sicuro da prese in giro, umiliazioni, sconfitte. Quanto può essere frustrante sentirsi
sempre inadeguati? Un bambino lasciato libero di svolgere un’attività che lo gratifica, acquisisce
autonomia e consapevolezza delle sue potenzialità e l’emozione positiva lo porterà a desiderare di
provare nuove soddisfazioni, e quindi avventurarsi con un senso di sicurezza e fiducia in nuove
sfide. Mentre un bambino, che viene forzato al di là di quello che può fare in quel momento, vive un
sentimento di inadeguatezza che poi lo accompagnerà a lungo. Lo stress e la paura di non farcela
indeboliscono il sistema nervoso e cognitivo, ostacolando l’apprendimento. Il senso di umiliazione
e fallimento, unito all’ansia da prestazione, permarranno a lungo nella memoria generando altro
stress.”

Occorre dare spazio e tempo affinché il bambino, in questo caso, recuperi maggiore conoscenza e
padronanza di sé, sicurezza interiore, amor proprio, fiducia nelle proprie possibilità. Tutto questo
inoltre ha sempre un effetto anche sulla socializzazione: sentirsi “in difetto” genera una sofferente
sensazione di essere “sbagliati”, “malati”, “da curare” e le possibilità di instaurare un dialogo ed
un’esperienza con gli altri diminuiscono notevolmente fino a sentirsi rifiutati, allontanati dagli altri
“normali”. Tutto l’opposto del bisogno primario di ognuno, ovvero essere amati
incondizionatamente e accolti dal mondo che ci circonda!

Nel libro di Daniele Novara “Non è colpa dei bambini”, l’autore si chiede cosa stia succedendo ai
bambini di oggi ed il perché di tante diagnosi. Novara prosegue con la sua ipotesi, sostenendo che
oggi si tende a delegare alla medicina quello che apparterrebbe alla pedagogia, ovvero si tende a
curare anziché educare. In uno stretto legame tra evoluzione sociale, cambiamenti drastici
nell’educazione e confusione di ruoli, l’autore sostiene che la scuola abbia delegato il proprio ruolo
alla neuropsichiatria…

Riporto, a miglior comprensione, alcuni stralci del testo: “Quello che non riusciamo a gestire e
controllare lo possiamo curare. Se un bambino non si comporta come ci aspettiamo, se è troppo
diverso dagli altri, se mette in difficoltà il mondo adulto, si possono attivare strumenti terapeutici.
La diversità - dalle aspettative, dal contesto, dal gruppo, da ciò che si ritiene normale – si annulla,
curandola come una malattia: quelli che un tempo erano gli status dell’infanzia e dell’adolescenza,
considerati età a sé, distanti, con le loro caratteristiche di incompiutezza e originalità, diventano
oggetto di un’attenzione sanitaria. (…) Perdendo di vista la naturale specificità infantile, abbiamo
lasciato che la neuropsichiatria sostituisse l’educazione e la pedagogia. (…) Si rischia di produrre
una sorta di terrorismo psicologico nei confronti di madri e padri che, sommersi dai sensi di colpa,
dalle diagnosi incomprensibili, dalle indicazioni disparate e contraddittorie, vivono l’impresa di
crescere un figlio come qualcosa di impossibile, superiore alle loro stesse capacità. Oggi i bambini
non sono malati, sono confusi. (…) I genitori sono la più grande risorsa che i bambini e i ragazzi
hanno a disposizione: la vera strategia vincente consiste nel sostenere il loro ruolo educativo”.

Queste e tante altre riflessioni per noi sono state molto utili e sono alla base della nostra scelta di
educazione parentale. Abbiamo trovato un ambiente scolastico ostile e guidato proprio da questa
spinta a “curare” da subito, ad etichettare, senza riflettere sulle possibili conseguenze di questo
modo di procedere che, da un punto di vista educativo, equivale ad una resa, ad una delega. Noi
genitori abbiamo avuto momenti di smarrimento, varie ipotesi da analizzare, vari esperti con
relazioni contrastanti. Abbiamo iniziato percorsi curativi per nostro figlio, ci siamo imbarcati in
questa nuova visione, passando da un clima familiare sereno ad un vero e proprio incubo. Anni di
dubbi e sofferenze, anni in cui Matteo è stato catapultato dalla sua infanzia, fatta di una quotidianità
serena, ad un’atmosfera che continuamente gli rimandava il messaggio “tu hai qualcosa che non
va”, “devi essere curato”. Credo che la nostra vicenda sia simile a quella di molte altre famiglie.
Non escludiamo di far rientrare Matteo in una comunità educante, anzi, ne sosteniamo il valore, ma
per noi ora era vitale recuperare serenità, tornare a vivere una quotidianità più distesa. Ora però
sappiamo di voler scegliere accuratamente questa comunità cui affidare l’educazione dei nostri figli.
Sappiamo di doverci guardare allo specchio, di dover migliorare e modificare alcuni comportamenti
come genitori e siamo disposti a metterci in gioco. Sappiamo che un bambino ha bisogno
innanzitutto di crescere con fiducia, in un clima di serenità e rispetto, dove si possa esprimere senza
giudizio, dove le lacune sono sanabili e gli errori ammessi e che nessuna “cura” ha più valore di un
ambiente di crescita dove vieni accolto con un amore incondizionato, dove vai bene così come sei.
Un bambino di 3 anni non dovrebbe vivere sulla propria pelle quelle sensazioni laceranti di “essere
sbagliato, non capace, diverso”, in nome di una riabilitazione precoce! Ne va del suo diritto
all’infanzia.

Questa è la nostra storia, sappiamo che ci sono persone ed ambienti che non rispecchiano quanto
abbiamo vissuto noi nella scuola, che ci sono insegnanti sensibili e aperti, che conoscono la
complessità dell’essere umano e lo sanno accogliere, che non giudicano ma sostengono, che non
compatiscono ma incoraggiano, accettando di muoversi nelle diversità e nella complessità di tante
situazioni diverse che vanno messe in relazione. Il nostro percorso però non è stato semplice e gli
ambienti e le persone che abbiamo incontrato ci hanno davvero complicato la vita in questi ultimi
anni. Ora vorremmo tornare a sorridere!
IL PROGETTO DI EDUCAZIONE PARENTALE

“Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi” (Albert Einstein). Ed è proprio
sulla base di questo semplice pensiero che siamo giunti alla scelta di educazione parentale per
Matteo. Qualcosa andava cambiato alla base, dopo anni di tentativi in una stessa direzione, dove
Matteo veniva visto come un oggetto da riparare. Era necessario rimettere l’unicità di Matteo in
primo piano, l’essere umano con tutte le sue emozioni e imperfezioni, con le sue potenzialità e
limiti, ridando fiducia al suo modo di essere, ritornando ad un clima di serenità e gioia di scoprire,
con l’intento di vivere la vita sotto tutte le sue sfumature, senza appesantire le giornate alla ricerca
dell’errore, del problema, del danno.

Così ci siamo mossi cercando di ritornare ad una visione positiva dell’apprendimento, e anche
gioiosa! La psicologia cognitiva e il costruttivismo suggeriscono di agganciarsi a quelle passioni in
cui un bambino si sente competente, che suscitino un’emozione positiva, per approdare
all’apprendimento. L’apprendimento è emozione. E allora siamo partiti dalla musica, la sua
passione forte e gioiosa, nata precocemente e mai spenta. La storia del rock è stato il primo
spiraglio per far riaprire la porta della fiducia, la curiosità e l’interesse in Matteo, facendo, al tempo
stesso, esercizi di scrittura e di coordinamento occhio-mano, attraverso il collegare i puntini per
trarne un disegno da colorare. Con lo stesso schema abbiamo proposto gli argomenti di storia,
geografia e scienze: una paginetta al giorno dove affrontare un argomento, scrivere una parola con
la penna, digitare un breve testo al computer ed esercitarsi in precisione e coordinamento occhio-
mano tramite l’esercizio del collegare i puntini. Per la matematica ci siamo invece affidati ai testi di
Camillo Bortolato, con l’ausilio di vari strumenti-gioco quali lo strumento per le tabelline, lo
strumento della linea del 100 con le sue finestre, lo strumento della linea del 20. Essendo il gioco il
primo modo che ha un bambino per apprendere, ci siamo affidati alla semplicità ed immediatezza di
questi strumenti, creando percorsi giocosi, dove potersi anche muovere, piuttosto che stare seduti.
Unire all’apprendimento il movimento si è rivelato molto efficace. Abbiamo utilizzato il materiale
messo a disposizione dalla classe prima, partendo dal conteggio mentale che si basa sulle quantità,
così come suggerito dallo stesso Bortolato. Per italiano, non avendo ancora acquisito padronanza
nella scrittura, per Matteo abbiamo pensato di procedere puntando al recupero del piacere della
lettura. Sì perché purtroppo anche questo piacere si era spento, in questi anni di scuola, mentre da
piccolissimo chiedeva che gli venissero letti libri, ascoltando con grande attenzione. Abbiamo
puntato sui testi di Gianni Rodari, di varie tipologie: dalla filastrocca al racconto breve; il racconto
che propone la scelta di tre finali, molto apprezzato da Matteo. Stiamo procedendo anche con i testi
di Camillo Bortolato per quanto riguarda la grammatica, la lettura, le tipologie testuali etc.. Altro
strumento molto efficace per l’apprendimento intuitivo è risultato il libricino dedicato all’analisi
grammaticale e logica, sempre di Bortolato, con la sua presentazione simultanea e divertente degli
argomenti.

IL METODO, I PRINCIPI GUIDA

Il motivo principale per cui abbiamo scelto di seguire il metodo analogico di Camillo Bortolato è il
suo linguaggio, la sua modalità di procedere, il suo “credo” profondamente umano, oltre alla
convinzione che dare uno sguardo d’insieme e non parcellizzare sia utile in ogni campo e disciplina.
Secondo Bortolato, permettere un accesso diretto all’apprendimento, senza eccessi di spiegazioni, è
il miglior modo di porsi con i bambini. Leggendo il libro di Bortolato “La via del metodo
analogico”, ho trovato, nel paragrafo dal titolo “Uno schermo emozionale”, la descrizione sensibile
ed esatta di quanto ho visto accadere in Matteo: “I bambini in difficoltà hanno, più degli altri,
questo schermo che si appanna come il vetro dell’auto con l’umidità. Sono in lotta con il tempo, nel
senso che devono agire prima che le emozioni negative contaminino la visione. Possono imparare
non in uno stato di concitazione ma in una condizione di rilassamento vigile routinario e
simmetrico… Assomiglia al ritmo circolare del respiro”.

Inoltre condividiamo la riflessione sulla necessità di non insistere troppo sull’analisi del testo che,
ribadendo la necessità di non complicare troppo la didattica con un eccesso di spiegazioni, lasci lo
stupore della lettura e della comprensione intatto. La domanda che si pone Bortolato è: “Quando
riflettere sulla scrittura? Sicuramente dopo che si è imparato a usarla, allo stesso modo in cui
possiamo studiare la sintassi della frase solo dopo che sappiamo padroneggiare il linguaggio. La
riflessione comincia sempre dopo”. E “La comprensione viene, gratuita, quando non ci siamo noi a
controllare tutto”.

Per questo abbiamo preferito leggere brani dove non ci fossero già inglobati nella stessa pagina
esercizi di comprensione, di sezionamento della frase, di analisi della struttura etc…

Abbiamo voluto lasciare la magia della lettura per il gusto della lettura, per il piacere della storia,
senza altri scopi, senza mettere già in previsione che sarà richiesta una verifica, perché fa diminuire
il piacere di leggere, distrae dalla storia, crea tensione e non quel clima disteso e sereno, quasi
giocoso, fondamentale per abbandonarsi alla lettura.

Conclude Bortolato “Come sempre, decide il cuore a chi affidare le energie e che cosa capire” e
“Dopo i primi fallimenti (alcuni bambini) deliberano di abbassare l’impegno per proteggersi da
ulteriori fallimenti che brucerebbero tutte le risibili speranze. Non hanno più cuore in quello che
fanno. Non hanno più fede”.

Questo credo sia accaduto “dentro” Matteo, con la sua esperienza traumatica. Le porte
dell’apprendimento si sono chiuse, in certi casi, proprio per proteggersi da un eccesso di
frustrazione, di sentimenti negativi che lo avrebbero fatto soffrire troppo. Ora vorremmo provare
innanzitutto a ridargli fiducia, ad attendere i suoi tempi, a valorizzare le sue potenzialità ed i suoi
talenti, che sono vari e ben radicati e su questo abbiamo voluto porre maggiore attenzione con la
nostra scelta educativa. Procedere con il proprio ritmo, senza doversi sempre confrontare con il
ritmo degli altri, percorrere la strada dell’apprendimento senza ansie, senza confronti, senza
valutazioni. Anzi, crediamo che poter apprendere con il gusto della scoperta, con curiosità
personale, con entusiasmo e gioia, possa restituire forza all’apprendimento e benessere alla persona
che apprende e cresce, piuttosto che perseguire la via dello sforzo, del sacrificio “per il tuo bene”.

“Ritorna in te stesso. (…) Ritorna così il modo naturale di apprendere in cui non serve più didattica,
cioè quel sapere intermedio dal sapore scolastico che poi si butta via. Ritorna il piacere di imparare
direttamente le cose, possibilmente da soli. (…) Un capovolgimento che nasce da una conversione
prima del cuore che della mente. Per capire come sono fatti i bambini basterà commuoverci e
guardarci allo specchio per vedere che siamo ancora come loro.” (Camillo Bortolato)

OBIETTIVI:

1. Recuperare autostima e serenità d’animo


2. Far riemergere, in un ambiente disteso e propositivo, la naturale propensione a conoscere ed
apprendere
3. Proporre argomenti di varie materie, rispettando tempi e modalità del bambino
4. Favorire l’incidentalità dell’apprendimento, partendo da curiosità, esperienze dirette,
interessi specifici
5. Raggiungere competenze didattiche specifiche stilando un programma da tenere come guida
6. Favorire il viaggio, l’incontro sociale, la conoscenza diretta e sul campo
7. Approfondire le questioni emotive basandosi sul dialogo e sul confronto, affrontare false
credenze e vissuti dolorosi favorendo una rimarginazione delle ferite dell’Anima
8. Restituire gioia, spensieratezza al vissuto quotidiano, restituire il diritto all’infanzia
9. Cercare di scardinare la convinzione di non saper fare, specifica della scrittura, cercando di
entrare in contatto con la naturale propensione alla comunicazione e scalfendo un po’ alla
volta quei sentimenti di frustrazione e di incapacità che hanno creato un vero e proprio
blocco. Non sappiamo con certezza se sia predominante la componente di “disprassia
selettiva” o quella di “blocco emotivo” ma sono evidenti le reali difficoltà che Matteo
incontra nell’espressione scritta ed in quella grafica. Matteo non ha mai voluto fare un
disegno, dopo i giudizi su di lui che ha subito dalle maestre della scuola dell’infanzia e
questo, già di per sé, mette in risalto una forte componente emotiva, un vero e proprio rifiuto
di fronte al solo gesto di prendere un colore, una matita in mano, di tentare un segno.
10. Recuperare dove è rimasto indietro nella didattica perché, con la scusa del PdP, ci siamo resi
conto che spesso Matteo non aveva affrontato argomenti che venivano proposti alla classe.
11. Rafforzare le competenze già raggiunte dove permangono insicurezze e si riscontrano
lacune.

PROGRAMMA:

- Programma della classe quarta secondo le indicazioni ministeriali e dei testi di riferimento
- E-learning: materiale scaricato dai siti Edupar.org e Liberaeducazione.it
- Materiale di Musica (libri, dvd, cd, strumenti)
- Viaggi culturali
- Corso di nuoto dal mese di novembre 2018
- Da Gennaio 2019 è stato iniziato un percorso di psicomotricità presso lo Spazio Evolutivo e-
movere di Jesi

TESTI DI RIFERIMENTO:

- Testi di Camillo Bortolato e materiale annesso, dalla classe prima alla classe quarta
(matematica e italiano)
- “L’astuccio delle regole di matematica” di Silvia Tabarelli (Erickson)
- “L’astuccio delle regole di inglese” di Francesca Panzica e Luciana Favaro (Erickson)
- “L’astuccio delle regole di italiano” di Nicoletta Farmeschi e Annalisa Vizzari (Erickson)
- Testi vari di lettura di Gianni Rodari
- Testo ministeriale di quarta della scuola primaria, casa editrice Raffaello, dal titolo
“Sorpresa”
- Materiale scaricato da internet e dal sito della casa editrice Raffaello su argomenti vari di
classe quarta, raccolti in un contenitore ad anelli
- Utilizzo di laptops di italiano per procedere con le tipologie del testo
- Materiale vario di lettura tratto dal mondo della musica: depliant, libricini interni di DVD,
testi sui gruppi
- Testi vari da cui abbiamo tratto gli argomenti di storia, scienze e geografia, rielaborati
appositamente per Matteo
- Testi presi in biblioteca durante la permanenza di Matteo alla Biblioteca Statale di Macerata
(dove lavora il babbo)

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