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Evitate gli avvoltoi


Maurizio Blondet

16 Ottobre 2013

Dovevo lanciare questo avvertimento prima, tanto tempo fa; ma ripugnavo a dedicare
attenzione a così bassi individui. Così ora, vedo che don Floriano Abrahamowicz è cascato
nella trappola. Purtroppo avverto in ritardo: Non si parla con la Zanzara. Quando chiamano i
tirapiedi della trasmissione – è successo anche a me – buttate giù il telefono, magari
spiegando in breve che non avete nulla da dire a tali figuri.

Se si è persone serie o anche solo normali, non ci si guadagna niente, a farsi agganciare; c’è
solo da perdere, se non si è della loro stessa genìa di scioperati da trivio.

Quei due non cercano informazioni e notizie; cercano solo di schernire le forti convinzioni
altrui, diffamare la rettitudine, vilipendere e se possibile, danneggiare l’ingenuo che risponde
alle loro domande con sincerità e candore, come ha fatto don Floriano. Cercano il successo
facile alle spalle di gente onesta che colgono di sorpresa.

Hanno successo e soldi, il che non stupisce in questa Italia che per sua irreversibile gravità,
affonda godendo senza vergogna nel peggio. Nella fisionomia dell’uno, un Lombroso avrebbe
riconosciuto le stigmate di degenerato, che egli attribuiva «delinquente nato»; sento che sarà
probabilmente un futuro suicida.

Il secondo è un tizio di illimitata banalità, una nullità che non avrebbe mai uno stipendio ed
un posto pur nei piani bassi del giornalismo, se non fosse che – a negarglielo – lui e la sua
cosca vi bollano come antisemiti e negazionisti dell’olocausto.

Il primo è di una ignoranza addirittura clamorosa, che toglie il fiato. L’altro si nutre di luoghi
comuni della specie più trita e scontata; e qualunque affermazione che si ponga sopra quella
sua convenzionale insulsaggine, lo scandalizza; ritiene vietato e delittuoso avere idee meno
piatte delle sue. Entrambi sono inarticolati e incapaci di argomentare; sghignazzano, insultano
e deridono, e tanto basta. La loro specialità è il teppismo vandalico, coinvolgere nella loro
canagliata du jour qualche persona perbene. 

Ho dedicato persino troppe righe a questi soggetti. Resta solo da ricordare che Ennio Flaiano
segnalò l’entrata nel «giornalismo» italiota di questo tipo umano (o sub-umano) già molto
tempo fa. Ecco un suo raccontino del 1970. Leggetelo e vi sia di avvertimento: quando
chiamano loro, buttate giù il telefono. Abbiate rispetto di voi stessi.

Due iene in redazione


Ennio Flaiano

«Da un mese nel nostro giornale hanno assunto in prova due iene. Una mattina, nello stanzone
dove lavoro assieme ai colleghi Rosso e Milito, è entrato il capo dei servizi di cronaca con un
tale che teneva queste due iene al guinzaglio. Le ha sciolte e se n’è andato.
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Sulle prime ci siamo un po’ allarmati, la iena è un animale sgradevole; anzi, pare la
combinazione araldica di tutti gli animali sgradevoli: ha qualcosa del ratto di fogna, del
coccodrillo, dello scorpione, un che di pipistrello, e sembra che, invece della sua pelliccia, del
resto inutilizzabile, indossi uno scendiletto sporco. (…) La iena è fissa a un suo orribile
traguardo: vuole il nostro cadavere, e ben putrefatto, per giunta. Vile e sospettosa, manda un
pessimo odore. Non so se questo sia dovuto al cibo che preferisce. Appare timida, ansiosa,
non sta mai ferma, aspetta che gli voltiate le spalle soltanto; sempre fiutando l’aria col suo
naso diabolico e mostrando i denti, per una sua incapacità direi comica a tener chiuse le
labbra: è il suo sorriso perenne. Il suo riso, lo sappiamo tutti, è agghiacciante: ci senti il
sarcasmo e la ferocia professionale dell’assassino.

“Allora” disse quel giorno il capo dei servizi di cronaca “ve le lascio qui con voi, ci sono
questi due tavoli liberi”. E aggiunse: “Spero che diventerete buoni colleghi e che nei primi
tempi le aiuterete”.

Veramente sorpreso, osai chiedere: “Colleghi? Che dobbiamo farne?”. Il capo dei servizi di
cronaca se ne andò senza nemmeno rispondere; sono un praticante, come Rosso e Milito,
posso essere mandato via senza preavviso. Ci lasciò con le due iene. Esse dapprima
misurarono su e giù lo stanzone, poi si sdraiarono sui loro tavoli: e rimasero lì a guardare noi,
le finestre, il soffitto e la porta, alternativamente. Da farti girare la testa. Ogni tanto
arricciavano il naso per lontani fetori che soltanto esse percepivano. Questo il primo giorno. Il
secondo giorno si fecero più audaci, venivano a frugare nei cestini della carta straccia, persino
a leggere i nostri pezzi; e quando arrivò il ragazzo del bar coi nostri sandwich gli tagliarono la
strada e se li mangiarono di colpo.

Ci si abitua a tutto. Dopo una settimana ci eravamo anche abituati al fatto che consumassero
lì, sotto i tavoli, con uno sgranocchiare infernale, la loro colazione. A mezzogiorno viene
infatti un garzone di macelleria con un gran cesto di frattaglie e di ossa. In un attimo se lo
lappano e restano poi a leccarsi le labbra e a girare attorno al cesto, sempre sperando che vi
sia rimasto qualcosa. Ho fatto le mie proteste quando le bestie hanno cominciato a depositare i
loro escrementi nei vani delle finestre. Dalla direzione del personale ci hanno risposto
mandandoci un sacco di segatura. O prendere o andarsene. Abbiamo finito per accettare la
sconfitta, che ha qualche vantaggio; primo, le iene ci aiutano nel nostro lavoro; secondo,
poiché tutti i colleghi vengono con qualche scusa a vederci, ne ricaviamo un certo prestigio.
Noi siamo “quelli delle iene”, l’attrazione del giornale. L’essenziale è lasciar sempre le
finestre aperte e spruzzare ogni tanto un deodorante. E tapparsi le orecchie quando ridono alle
loro storielle.

C’è di più; dopo una decina di giorni abbiamo cominciato – Dio ci perdoni – a stimarle.
Sanno fare il loro lavoro, lo perfezionano anche, si direbbe che ce l’hanno nel sangue, questa
maledetta cronaca. Noi abbiamo su di esse il vantaggio di conoscere bene o male la
grammatica e la sintassi; abbiamo maggiore abilità nell’incollare le notizie d’agenzia,
sappiamo telefonare e usare le figure retoriche, la metafora, la metonimia, l’antonomasia, la
litote e l’iperbole: abbiamo – suvvia! – una certa cultura classica che ci permette di citare
autori e fatti e prendere le cose alla larga, letterariamente, anche con una certa eleganza. Ma
quanto, mi chiedo, quanto durerà questo nostro vantaggio? Le due iene, oltre a un’intelligenza
non comune hanno (ed è questa la loro naturale qualità), hanno il cosiddetto fiuto, che non
s’impara. Ora, per il nostro lavoro, avere fiuto è tutto. Esse sentono un fatto di cronaca a venti
chilometri, e non solo il cadavere. Sentono il morituro, la tragedia, la strage, la complicazione,
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al notizia che monta, si allarga, investe la città, tutto il paese. Succedono ogni giorno fatti
orribili ma stancanti, e noi siamo portati dalla noia, dalla routine, e anche dalla pietà a lasciarli
esaurire con qualche articolo, attenendoci generalmente alle notizie che ci forniscono gli
inquirenti.

Le iene no, esse non mollano mai. Vanno fino in fondo, hanno il loro metodo: lavorano
soltanto sul cadavere. Gli tirano fuori tutto: le trippe, il cuore, il passato, l’infanzia, il servizio
militare, gli amori, le possibili depravazioni, i nomi degli amanti, i rapporti incestuosi o di
natura “particolare” (oh, come amano questa parola!), e le fotografie, e i diari, e le più
innocenti confessioni, tutto. Alla rinfusa, ma tutto. Scovano gli amici delle vittime, i
camerieri, i lacché, i lenoni: li fanno parlare, si fanno raccontare dietro compenso le cose più
segrete e più luride, quelle stesse cose che le vittime avrebbero voluto seppellire nell’oblio per
sempre, e hanno creduto di farlo uccidendo o uccidendosi. No, le iene vanno lontano,
risalgono, scovano: e quando il cadavere non ha ormai più segreti, quando il lezzo è
insopportabile, tornano da noi, ridono a crepapelle, osano invitarci a pranzo, ai loro pranzi.

Riuscirò mai ad abituarmi? O devo considerare già scontato il fatto che saranno esse a
stancarsi di noi e a chiederci di abbandonare tutto il lavoro nelle loro mani? Il successo che
ormai ottengono le fa spavalde. Ogni tanto mettono le loro zampacce infette sulle macchine
da scrivere e tentano di scrivere. Vogliono imparare: e col tempo ci arriveranno. Ma ecco
scoppia un altro delitto, un altro scandalo: prima che arrivi la notizia le vedi infilare la porta e
per un po’ si respira. La verità è che noi ci sentiamo già inutili, sorpassati. Questa mattina
hanno assunto altre due iene e l’unica nostra speranza è che, col tempo, aumentando di
numero, finiscano per divorarsi tra di loro.
Se prima non divoreranno noi».

(Ennio Flaiano, dal Corriere della Sera del 4 ottobre 1970)

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