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Maurizio Blondet

Anti-Gelmini, ma dove vivete?


09 Ottobre 2008

Sui muri del Paese dove abito sono comparse delle scritte: «Via i romeni da B.». Ne parlo con
la giovane mamma romena che fa i mestieri a casa mia. «No no, adesso mia figlia è
integrata», mi dice. Prima, la bambina (9 anni, bravissima a scuola, forse l’unica che legge
libri anche a casa) non era integrata: nel senso che i compagni la minacciavano fisicamente, la
angariavano attivamente. Poi la mamma ha parlato alla maestra, e le cose sono migliorate.

L’attuale integrazione della scolara romena nella terza elementare di un paesino viterbese
consiste in questo: i suoi compagni di scuola italiani non giocano con lei perchè non ha abiti
firmati. Quando viene interrogata, ridono per la sua pronuncia (ottima, molto più italiana che
romanesca). Quando, su domanda dell’insegnante, dice in classe i nomi di mamma e papà, 
tutti i compagni ridacchiano, e la deridono, perchè sono nomi «strani».

Una volta, una maestra ha chiesto a tutti di costruire il loro albero genealogico. La piccola
romena non ha voluto, perchè si vergogna dei nomi dei suoi genitori e nonni. Quando la
classe esce per qualche motivo, ogni compagno tiene per mano un altro. Lei, nessuno la vuol
tenere per mano. Per fortuna c’è in classe un bambino albanese, che nessuno vuol tenere per
mano, e lei va con lui. Quando giocano, lei è esclusa dai giochi, per una intesa corale degli
scolari italiani.

Insomma, la «integrazione» della bambina pare consistere dunque nel fatto che, per ora, i
compagnetti griffati si astengono dallo sbranarla viva.

Quando le mamme vanno a parlare con le insegnanti, le altre mamme non rivolgono la parola
alla mamma romena, stanno fra loro ostentatamente. «Non si confondono» con una «serva»,
per di più «immigrata».

Ora che sono apparse le scritte sui muri ho paura che la bambina sia in pericolo. E quindi,
vorrei sommessamente chiedere agli insegnanti, ai pedagoghi e ai «progressisti» in genere che
rumorosamente difendono i tre insegnanti per classe: possibile che tre insegnanti non vedano
che una bambina viene discriminata e mortificata, per motivi ignobili? Che non corrano ai
pedagogici ripari?

Mi piacerebbe chiederlo ai presidi delle «Facoltà di Scienze della Formazione» che, riuniti in
«conferenza», si sono scagliati contro la Gelmini «nell’interesse dei bambini, delle famiglie e
del futuro del nostro Paese», ed assicurano:

«Il modulo organizzativo della scuola primaria, sancito dalla legge n.148/1990, prevedendo
tre docenti su due classi, ha consentito ai docenti stessi un progressivo approfondimento
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dell’ambito disciplinare insegnato, ed è stata dunque una misura che è andata nella direzione
di un irrobustimento dell’alfabetizzazione di base, oltre a garantire una pluralità di punti di
vista preziosa per sviluppare l’intelligenza nella molteplicità delle sue forme. Un solo
maestro può limitare l’esperienza socio-affettiva degli alunni, che risulta invece arricchita
dall’attuale pluralità di figure».

Umilmente vorrei domandare: non hanno il dubbio che la loro pedagogia triplice abbia fatto
cilecca proprio nello «sviluppare l’intelligenza nella molteplicità delle sue forme», visto che
dilaga il bullismo da quattro soldi, prova certa di intelligenze mai sviluppate, del tutto prive di
capacità di apprezzare «pluralità dei punti di vista» culturali?

Non vediamo altro, negli scolaretti con zainetto firmato, che limitatissima «esperienza socio-
affettiva», la primordiale malvagia divisione fra «noi» e «loro», tipicamente tribale.

Viene persino il dubbio: magari nella diseducazione enorme, arrogante e stupida che
attanaglia la nazione e si manifesta in mille forme - dalle tifoserie agli esultanti fancazzisti
Alitalia - c’entra qualcosa la scuola elementare italiota?

I pensosi presidi di «Scienze della Formazione» ci insegnano:

«In un’economia globale basata sulla conoscenza, lo stato di salute del sistema socio-
economico nazionale è legato al tenore delle competenze disciplinari e relazionali acquisiste
dalle persone nei percorsi di formazione. Il nostro Paese è di fronte ad una vera e propria
sfida dell’istruzione. Per affrontarla con successo occorre assicurare a tutti la padronanza
delle conoscenze fondamentali dei saperi linguistici, storici e matematico-scientifici. Tale
padronanza può essere garantita solo da un’alfabetizzazione forte fin dall’inizio della scuola
primaria».

Sommessa domanda:  come mai tanti analfabeti letterali, ma soprattutto morali, già nelle
elementari, che ridono perchè ci sono compagni di classe coi nomi «strani», e che dovrebbero
almeno essere fatti vergognare di questa ristrettezza mentale e ignoranza provinciale?

Ancora i presidi scienziati della formazione:

«Non è pensabile che un singolo insegnante possa avere un’adeguata padronanza di tutti e
tre questi ambiti e delle loro forme d’insegnamento. Occorre un modello combinato di
formazione iniziale e in servizio dei docenti che, oltre a garantire la necessaria preparazione
pedagogica e didattica, e una cultura di tipo interdisciplinare volta a preservare l’unità del
sapere, assicuri l’approfondimento di un ambito disciplinare tra il linguistico, lo storico, e il
matematico-scientifico».

Si osa chiedere rispettosamente: quello dei tre insegnanti che ha una «parziale
specializzazione» nell’«ambito storico», non potrebbe spiegare ai bambini che se il nonno
della piccola romena ha un nome che finisce in -u (Popescu, ad esempio, o Ceausescu, o
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Jonescu, o Codreanu), è perchè quei nomi sono di origine latina, e un tempo finivano in -us?

E non potrebbe spiegare, il corpo insegnante che voi scienziati avete dotato di
«interdisciplinarietà», cosciente delle «competenze disciplinari e relazionali» che devono far
acquistare agli scolari con le scarpe griffate «nei percorsi di formazione», che quei nomi sono
latini, perchè i romeni d’oggi discendono dai legionari romani che l’impero, dopo la conquista
della Dacia, sistemò nelle pianure del Danubio, ciascuno col suo campicello, onde avesse un
sostentamento nella vecchiaia e presidiasse, da soldato-contadino, quella zona di confine?

Non potrebbe informare i piccoli ignoranti di genitori ignoranti che la lingua romena contiene
l’85% di parole latine, ed ha un’identità prestigiosa, antico-romana, che quel popolo ha difeso
con orgoglio per secoli di fronte alla marea slava?

Altrimenti viene il dubbio che gli insegnanti che le Facoltà di Scienze Formative formano da
anni, non siano capaci di alcun «approfondimento dell’ambito disciplinare» loro proprio, sia
«linguistico, storico o matematico-scientifico».

Clotilde Pontecorvo, docente di Psicologia dell’Educazione all’Università di Roma 1, ha


approvato con vigore Mario Lodi, scrittore progressista ed ex maestro che, su L’Unità, ha
scritto: «Il grembiule può anche far pensare che i bambini di una certa classe siano tutti
eguali, mentre sono tutti e sempre molto diversi».

E’ cosciente - chiedo col massimo rispetto - la pedagoga Clotilde che invece, con tutti i loro
abitini firmati e costosi, i bambini sono davvero «tutti eguali», nel senso che sono
standardizzati dalla pubblicità e dai falsi valori del consumismo, si comportano tutti nello
stesso modo, usano lo stesso gergo, vogliono le stesse cose per conformismo feroce, sicchè
imporre loro il grembiule è l’inizio di una pedagogia che vieta di notare le disuguaglianze
stupide del lusso e della moda, vieta di deridere la povertà?

«Di questa diversità che la scuola si deve fare carico e che è senza dubbio uno dei punti di
forza della nostra attuale scuola primaria», continua la Clotilde: «la quale è una scuola
accogliente, che ha consentito una buona integrazione degli allievi disabili, con la presenza
dell'insegnante di sostegno e la riduzione del numero degli alunni per classe (...). Ma il
problema nuovo, di cui il ministro Gelmini sembra del tutto inconsapevole, è il grande
numero di studenti di lingua e di cultura diversa da quella italiana che sono oggi presenti
nella scuola, in particolare nella scuola di base. E che soprattutto nella scuola dell'infanzia
prima e poi nella scuola primaria, possono trovare lo spazio comunicativo e il tempo per
poter padroneggiare la nostra lingua e la nostra cultura, in cui la presenza di più figure di
insegnanti è fondamentale per consentire un dialogo ravvicinato».

Scuola «accogliente», psico-professoressa Clotilde? Chieda ad una mamma romena di una


bambina che si vergogna di dire i nomi dei suoi nonni per non essere derisa, che i compagni
non fanno partecipare ai giochi, a cui non rivolgono la parola. Si domandi se le insegnanti si
«fanno carico» di questo problema, se «aprono lo spazio comunicativo» alla piccola scolara
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che viene da un paese latino, i cui antenati erano soldati di Roma, e magari venivano dalla
Tuscia, e i cui padri e nonni hanno combattuto e sono morti sulle nevi russe accanto ai nostri
alpini, in un ieri non tanto lontano; magari, ricordare che ci fu tra le nostre nazioni una
fraternità nel dolore e nella sciagura, può aiutare i piccoli ignoranti maleducati a rispettare chi,
per sventura, deve emigrare.

Mi piacerebbe fare qualche domanda anche a Giancarlo Cerini, che scrive su «Insegnare»,
rivista di un sindacato di maestri, quanto segue: «Non basta un solo docente per aiutare i
bambini ad incontrare la ricchezza dei saperi. E' un'idea povera quella che vorrebbe affidare
ad una sola figura il ‘filtro’ dei tanti stimoli che giungono spesso disordinatamente ai
bambini (linguaggi, forme espressive, gadget tecnologici, strumenti, riferiti al mondo
dell'arte, della musica, delle scienze, della storia, delle lingue, ecc.), ma che vanno
riorganizzati, ristrutturati, rielaborati per conoscere la realtà, per comprenderla, per
descriverla. Ogni disciplina può diventare una ‘finestra aperta’ sul mondo, non però se viene
trasmessa come un corpus statico di conoscenze già date, ma perché ognuna è uno spazio
simbolico da percorrere e da agire (ecco la didattica «operativa») maneggiando - di volta in
volta - immagini, rappresentazioni, simboli, codici che ‘alimentano’ e ‘vestono’
l'intelligenza(Olson)».

Di grazia: come mai il risultato di tutto questo «maneggiare di immagini, rappresentazioni,


simboli e codici», è il bullismo di massa, il conformismo vestimentario-pubblicitario
infinitamente idiota, ributtante e per giunta impunito?

Dov’è, chiedo scusa, la capacità di far diventare «ogni disciplina una finestra aperta sul
mondo», se i bambini italioti dimostrano una crescente chiusura e ristrettezza mentale,
spiccatamente neo-neanderthaliana?

Ma di quale «ricchezza di saperi» va sproloquiando, Cerini Giancarlo? Non basta insegnare,


nelle elementari, l’essenziale e il senza-tempo, l’inattuale? Non è necessario soprattutto
insegnare le aste e la dignità che si deve al povero, il non giudicare dai vestiti i compagni, la
famosa «uguaglianza» di fronte alla legge e a Dio, le vite degli eroi antichi, modello di dignità
e di valore per i ragazzini?

Magari basta un insegnante a fare da filtro, quando si tratta di insegnare la vergogna per le
azioni prepotenti e ignobili e meschine, per lo stupido orgoglio del vestito e  dei soldi,
insomma le regole basilari della civiltà e del civismo, della cordialità e dell’amicizia. Non mi
pare, ahimè, che la triplice docenza sia in grado di «riorganizzare, ristrutturare, rielaborare» i
famosi «tanti stimoli che giungono disordinatamente ai bambini».

Chissà, almeno per quegli «stimoli» che sono «riferiti al mondo dell’arte, della musica, delle
scienze, della storia», uno dei tre insegnanti potrebbe cogliere il destro della presenza in aula
di un bambino albanese per ricordare agli altri, gli ignoranti con lo zainetto firmato, una breve
storia degli illirici, dicendo magari che Diocleziano era un albanese? O, data la presenza di
una bambina romena che viene fatta vergognare della sua origine dagli stupidi che conoscono
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solo pregiudizi, parlare un po’ di quanto la cultura europea deve a personalità romene d’oggi,
come Mircea Eliade, Cioran, Jonescu.

Capisco che alle elementari non si parli di Eliade. Ma gli insegnanti sanno chi è Eliade? Le
Facolta di Scienze della Formazione ne ha un’idea?

Ma nemmeno si chiede tanto. Basterebbe che gli insegnanti elementari si allarmassero,


quando davanti alla loro scuola appaiono scritte come «Via i romeni», o «morte agli
albanesi», scritte evidentemente da loro scolari. E dessero almeno l’allarme, com’è loro
dovere di operatori civili della educazione e della formazione.

Perchè questo problema è urgente, e ci riguarda tutti. Specie oggi, che i fuochi del
consumismo scemo e del superfluo a rate devono forzatamente finire. La crisi, la depressione,
sarà decennale, e così la penuria.

Bambini educati a considerare «essenziali» telefonini ultima moda e zainetti firmati, cosa
faranno quando non se li potranno permettere? Ammazzeranno i pensionati per scipparli e
comprarsi la roba, il gadget tecnologico ultimo modello?

Stiamo, state educando delle belve, degli esseri rozzi, insensibili al dolore altrui, moralmente
bassi, incapaci di vergogna; al più basso livello di civiltà e umanità immaginabile.

Magari non è tutta colpa vostra, insegnanti: anche voi siete «educati» dai tempi correnti, da
Mediaset, dalle volgarità pubblicitarie, anche voi vivete come «valori» i successsi dei Briatore
e delle Carfagna, o delle veline.

L’Italia è un Paese che, in tutti questi anni di falsità, è stato «abbandonato a se stesso» che ha
smesso di sforzarsi per crescere, essere migliore, alzarsi almeno all’altezza dei tempi; ed è
ritornato indietro, verso localismi padani o tribalismi napoletani, segno allarmante di
regressione.

Perciò anche a voi, nessun potere pubblico ha additato ciò che dovete insegnare alla nazione
futura: a valorizzare l’onestà, la dedizione al bene comune, la responsabilità non solo verso il
proprio stipendio ma verso il futuro della comunità, il sacrificio che nessuno vede, lo studio
serio che non va in TV nè all’Isola dei Famosi. Ma ora, con la vostra Scienza appresa nelle
Facoltà di Formazione, dovete sforzarvi di vedere i tempi mutati, e di prepararne voi e gli
scolari.

Philippe Frémeaux, un economista, dice che ormai occorre una «visione dell’economia che
lasci meno spazio alla cupidigia, alle ineguaglianze, al disprezzo delle conseguenze collettive
dei comportamenti individuali» egoistici.

Ma come si fa a preparare questi tempi di penuria, serietà e dignità, se voi per primi siete
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contro il grembiulino uguale per tutti, che copra le «diversità» che si comprano nei negozi,
con carta di credito? 

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