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Ci sono libri che nascono dall’amore, ci sono libri che affondano le loro
radici nell’esperienza di vita dell’autore; altri ancora vedono la loro genesi
in un’idea, una scintilla di potere creativo che regala al mondo l’opportunità
di affrontare un viaggio meraviglioso e irripetibile.
Questo libro, invece, nasce dal giramento di palle.
Direi che è evidente fin dal titolo che ho scelto e che (miracolosamente)
è stato approvato, un titolo non esattamente conciliatorio.
La verità è che sono stufo: sono quasi quindici anni ormai che in un
modo o nell’altro mi interesso di apprendimento, memoria, metodo di
studio. Prima da studente sfaticato in cerca di soluzioni facili, poi da
appassionato della mente e del suo funzionamento, infine da professionista.
E se c’è una cosa che ho imparato in questi quindici anni è che dalle
cazzate, purtroppo, non esiste rifugio.
Ogni disciplina ha la sua fuffa, ogni campo del sapere la sua
banalizzazione a fini di marketing, ogni mercato il suo guru pronto a
spennare senza pietà le persone indifese, ingenue, in difficoltà. È una legge
immutabile dell’universo, come il fatto che a novembre al primo cambio di
temperature mi verrà il mal di gola. È sicuro.
Io sono stato il primo a essere vittima di tutto questo, il primo a cascarci,
il primo a dimenticare il senso critico in un cassetto e abbracciare entusiasta
la fufferia. E ho pagato un prezzo salato. Da qui la frustrazione, immensa, di
vedere tante, tantissime persone che studiano, di ogni età e contesto,
ripetere gli stessi errori che ho fatto io, credere alle stesse promesse
irrealizzabili, illudersi di poter preparare Analisi matematica in una
settimana o anche meno.
In un giorno di ordinaria follia, quindi, stringendo tra le mani
l’ennesimo, immondo volantino che prometteva di farmi sviluppare appieno
il potenziale della mia mente, ho deciso di dare libero sfogo a questa
frustrazione e permetterle di costruire qualcosa che fosse utile almeno a una
persona là fuori: te che mi stai leggendo, magari. E magari sarà utile anche
a me, che l’acidità di stomaco non fa affatto bene. Forse dovrei pure
smetterla di bere ettolitri di Coca Cola Zero, che magari anche quella per
l’acidità non è proprio un toccasana. Ma non divaghiamo.
Dicevo, vorrei sfruttare la mia frustrazione (e il mio sarcasmo, che ne è
il compagno inseparabile), per cercare di riportare un po’ di chiarezza e
buon senso sulle tematiche cui ho dedicato la vita.
Perché sì, è vero, dalle cazzate non esiste rifugio, ma questo non mi
impedirà di provare lo stesso a farle retrocedere. Una parola alla volta, una
frase alla volta, un libro alla volta. Una persona alla volta.
Lo scopo
La struttura
Prima di iniziare sul serio a immergerci nella piscina di orrore che sono
gli argomenti che tratteremo, specialmente quelli riguardanti il metodo di
studio, ho pensato che fosse una buona idea offrirti una panoramica
generale di quello che è un percorso di apprendimento serio e strutturato,
basato su ciò che la scienza ci dice e che può provare, oltre che
sull’esperienza diretta di ormai decine di migliaia di persone.
L’acronimo che uso per descrivere questo percorso è P.A.C.R.A.R., dove
ogni lettera rappresenta una fase del metodo stesso (lo so, il nome fa schifo,
ma ormai si è diffuso così, non ci posso fare niente). Cercherò di
descrivertelo passo dopo passo. Ne parlo in modo approfondito nel mio
videocorso, Sistema ADC, che esaurisce ogni aspetto del metodo di studio
con qualità e chiarezza, l’ho presentato nel mio libro precedente, Vince chi
impara, ma è importante che anche qui tu possa averlo a disposizione,
sintetizzato e abbreviato.
Chiariamoci: non ho inventato un nuovo metodo di studio. Quello che
ho fatto è stato studiare i libri e i manuali che hanno rivoluzionato il campo
della formazione, consultare le fonti bibliografiche, e infine riorganizzare e
sistematizzare il tutto. Poi ho passato anni ad affinare i modi per
comunicare e insegnare con successo questi principi. Non sono un inventore
o uno scienziato, sono un insegnante.
Anche perché i metodi di studio, di apprendimento, i principi, le
tecniche, le metodologie, non si inventano, ma piuttosto si scoprono, si
verificano e si validano ed è il compito delle scienze cognitive farlo, con
esperimenti, pubblicazioni, studi. Ricerca vera, non opinioni da bar.
Detto questo, tu fissati in testa il P.A.C.R.A.R. e tieni come riferimento
queste pagine, lasciaci dentro un segnalibro e tornaci di quando in quando
mentre leggi il resto del libro, facci riferimento come a uno schema mentale
cui poter chiedere aiuto nel momento in cui avessi dei dubbi o non dovessi
capire bene come e dove si collocano le specifiche attività. Cominciamo.
Pianificazione
Il punto di partenza è sempre la P di Pianificazione, c’è poco da fare. Di
fatto, la pianificazione non è ancora vero e proprio studio, quantomeno non
a livello cognitivo. Possiamo dire che precede lo studio, ma al tempo stesso
ne garantisce il successo. Sì, perché si può avere talento, intelligenza,
motivazione, ma se non si ha pronta un’organizzazione strutturata delle
giornate, se non si ha un’idea chiarissima di come gestire la preparazione e
tutto il resto, si fallisce, miseramente.
La fase di pianificazione comprende:
Acquisizione
L’acquisizione, per l’appunto, è il primo momento di contatto con le
informazioni che vogliamo imparare, di qualunque genere esse siano. Il
focus, in questa fase, deve essere orientato sul porre basi solide, sul portare
al massimo la propria attenzione e focalizzazione, sul selezionare le
informazioni importanti, sul preparare il terreno per una comprensione vera
e profonda, sul non perdere nemmeno un dettaglio per strada. Non è
importante, invece, in questa fase, impuntarsi sulla memoria. Non è ancora
il momento di incavolarsi se non ci si ricorda tutto: lo studio è appena
all’inizio.
Fanno parte della fase di acquisizione due momenti specifici: la lettura
efficace, di cui parlo in Leggere per sapere, e la creazione di appunti, che di
fatto costituisce il fluidificante del metodo di studio e facilita tutte le altre
fasi. Alla faccia delle sbobine o degli appunti comprati già fatti dagli altri,
di cui parleremo nel capitolo dedicato (non vedo l’ora, guarda).
Comprensione
Subito dopo la fase di acquisizione, anzi, per la verità,
contemporaneamente alla stessa (le tengo separate solo per spiegarle
meglio), si svolge la seconda fase, il primo vero punto di svolta nello
studio, il primo obiettivo da portarsi a casa: la comprensione.
Mentre si legge, si ascolta e si osserva si devono già mettere in moto le
giuste strategie di comprensione, che sono le fondamenta su cui si potrà poi
costruire e consolidare un ricordo stabile nel tempo (che magari potrà
portare pure a un buon voto). Non bisogna mai cadere nel clamoroso errore
di dare priorità al ricordarsi le cose invece che al capirle. La velocità vera
nello studio è proprio quella di comprendere prima possibile, e a fondo,
quello che si sta assimilando. Se la comprensione fallisce o non arriva in
profondità, il metodo di studio si inceppa immediatamente. Il processo
diventa incredibilmente lungo, complesso, stancante e frustrante. Il
fallimento, ancora una volta, è dietro l’angolo. Al contrario, se la
comprensione è completa e approfondita, memorizzare sarà poi quasi
banale.
È proprio durante la fase di comprensione che si innestano metodi di
sintesi e selezione, come l’individuazione di parole chiave e, se necessario,
strategie di potenziamento della comprensione stessa, come la famosa
tecnica di Feynman (anche se quest’ultima sta a cavallo con la fase
successiva, la rielaborazione).
Rielaborazione
Terminata la comprensione, inizia la fase di rielaborazione, di encoding,
la fase centrale del metodo di studio, una delle mie preferite! Questo è il
momento in cui le informazioni si trasformano e si rendono davvero
personali, producendo qualcosa di nuovo, inserendo l’elemento creativo,
prendendo decisioni, sfruttando il meccanismo del dual coding e, ancora
una volta, il potere della sintesi.
Lo strumento numero uno della rielaborazione è lo schema, ma anche la
tecnica di Feynman che nominavo poche righe fa, perfino i riassunti (che
detesto) hanno funzione rielaborativa, come del resto la scrittura in genere o
la produzione di un video. Mentre sono qui seduto a scrivere, sto
rielaborando ancora una volta le informazioni che conosco. Tutto ciò che
costringe a rivedere le informazioni, metterle in relazione, modificarle,
selezionarle, criticarle, comunicarle è strumento di rielaborazione.
Applicazione
Dopo la rielaborazione si entra nel reame dell’applicazione, del testing,
forse la fase più importante dello studio, perché è qui che si costruisce
finalmente la conoscenza, qui entra in gioco la memoria, aiutata dalla
pratica e dai principi di recupero attivo. Il modo migliore di consolidare
quanto imparato è mettersi alla prova, sforzarsi, sfidarsi. Senza fatica,
sforzo, impegno concreto, non c’è studio.
Il testing prende la forma di quiz, esercizi, test, simulazioni e va a
sostituire completamente la necessità di riletture, rischematizzazioni,
riscritture, ripetizioni, ri… rincoglionimenti. Il testing è una colonna
portante totale, la tecnica di studio più utile in assoluto (anche se non
l’unica, mi raccomando): è qui che si forgia la preparazione, rendendola
davvero inattaccabile.
Ricordo
Infine, nella fase di ricordo, gli obiettivi sono due: mantenere a lungo
termine (anche per sempre, perché no) quanto imparato e aggiungere i
dettagli tecnici. Del mantenimento si occuperanno i ripassi programmati,
portati avanti in diverse modalità e tempistiche, dei dettagli tecnici si
occuperanno le tecniche di memorizzazione.
Comunque, senza quest’ultima fase di ricordo si finisce per perdere tutto
il lavoro fatto o per avere solo una preparazione superficiale, senza mai
entrare nello specifico.
Ricapitolando
Insomma, prima si pianifica, ci si organizza, si selezionano e gestiscono
le fonti, si struttura un Masterplan e obiettivi chiari e definiti. Dopodiché, si
passa alla creazione di appunti se si frequentano le lezioni e alla lettura
efficace delle fonti scritte, portando avanti acquisizione e comprensione,
ragionando. Poi si passa alla costruzione di uno schema e alla
rielaborazione profonda. Arriva il momento del testing, della pratica, della
costruzione del ricordo. E infine si ripassa e si mantiene quel ricordo con i
ripassi programmati e lo si arricchisce con i dettagli tecnici memorizzati
con le mnemotecniche.
Intorno a tutto questo, si procede con costante automonitoraggio,
autovalutazione, adattamento all’esame o al contesto specifico e
meccanismi di metacognizione vari, che adesso non mi metto qui a
descrivere, altrimenti non la finiamo più.
Questo è il metodo di studio ideale. Questo è il P.A.C.R.A.R.
Ovviamente, ogni singolo punto, che qui ho descritto in una manciata di
parole giusto per darti un’idea di come funziona, ha al suo interno una
miriade di metodi, tecniche, strategie, tattiche, trucchetti, ottimizzazioni,
personalizzazioni… È un argomento vasto e complesso, ma che alla fine dà
vita a un sistema semplice e impeccabile.
● Se si salta la pianificazione si procede alla cieca e il risultato sarà casuale.
● Se si salta l’acquisizione beh, lo studio non inizia nemmeno.
● Se si salta la comprensione si rimane superficiali e l’intero metodo
rallenta e diventa più macchinoso.
● Se manca la rielaborazione non si codifica davvero l’informazione nella
mente, non si aggiunge il proprio punto di vista, non si è in grado di fare
collegamenti originali e si appesantisce la fase di memorizzazione.
● Se si salta l’applicazione si rimane vittime della ripetizione ossessiva e si
rischia un risultato mediocre, in cui una conoscenza teorica non
consolidata dà vita a una competenza pratica inesistente.
● Infine, se si salta il ricordo, si dimentica in fretta quanto imparato o non si
memorizzano mai i dettagli tecnici più precisi.
Figura I.1. Ecco qui uno schema iper-semplificato, da tenere sempre con te
mentre studi.
Stupidità
Partiamo subito con lo sfatare il mito più pigro, arrogante e
discriminatorio che ci sia: “Tanto alle boiate ci crede solo chi è poco
intelligente”. Esiste anche la versione più stronza: “Beh, se credi a quelle
stronzate allora non capisci un ca**o , ti sta bene se ti fregano”. È il
“Wanna Marchi-pensiero” ed è molto più diffuso di quanto si possa
immaginare, perché viene da un rigurgito interno a ognuno di noi:
l’insofferenza e l’imbarazzo nel vedere altri esseri umani compiere scelte
assurde, idiote e autodistruttive.
Il primo istinto è sempre quello di pensare che noi non siamo come loro,
che a noi non potrebbe mai capitare, che devono per forza essere delle
persone molto stupide. È un meccanismo ovvio: serve a esorcizzare il
timore di non essere intelligenti quanto si pensa, e a illudersi che non sia
possibile che accada anche a noi. Si arriva perfino a spostare la colpa sulle
vittime, quasi giustificando chi se ne approfitta.
Mi dispiace rompere subito questa fantasia rassicurante, ma no:
l’intelligenza non è il fattore determinante nella creduloneria. Certo,
l’intelligenza è sempre utile, anche nel discernere ciò che è vero e sensato
da ciò che non lo è, sarebbe assurdo volerlo negare, ma molto più
importante è il temperamento, l’abitudine a pensare criticamente,
l’attenzione che poniamo sulle cose, l’esperienza e, forse più di tutto questo
messo insieme, lo stato emotivo personale.
Anche le persone più intelligenti, preparate, scettiche e composte hanno
punti deboli, vivono momenti difficili, provano paura, delusione, lutto,
depressione, ansia e quegli stati emotivi sovrascrivono tutto il resto. Non è
un caso che, per esempio, uno degli agganci tipici di chi truffa sia il fornire
una speranza per un problema apparentemente irrisolvibile, magari di
salute. Lo sapevi che il buon Steve Jobs (non proprio l’ultimo degli idioti),
dopo aver scoperto di essere malato di tumore al pancreas nel 2003 ha
passato più di un anno a cercare di curarsi con metodi alternativi e
“naturali”, alcuni dei quali trovati personalmente su Internet? Lo racconta il
suo biografo ufficiale, Walter Isaacson: agopuntura, dieta vegetariana
strettissima, succhi di frutta, rimedi alle erbe varie… invece di affidarsi alla
medicina e alla chirurgia. La sua famiglia e i suoi amici erano disperati ed
esasperati dalle sue scelte “stupide”: non riuscivano proprio a capire come
potesse comportarsi in quel modo. Pare che a un certo punto il buon Steve
sia rinsavito, abbia capito di aver fatto una scelta stupida, ma la malattia era
ormai a uno stadio troppo avanzato. Nella giusta situazione, quindi, anche
le persone intelligenti possono comportarsi in modo stupido.
Quello di Steve Jobs è un esempio estremo, certo, e gli esempi non
fanno statistica, il suo caso basta a dimostrare che la teoria “creduloneria =
stupidità” non sia solida o, quantomeno, sia insufficiente.
Lo stesso accade con le fake news, le teorie del complotto, le leggende
metropolitane: gli studi psicologici e la nostra esperienza quotidiana ci
mostrano come non sia sempre vero che a crederci siano solo persone
stupide: tutt’altro!
In questo libro parleremo di credenze sbagliate su temi molto meno
impegnativi a livello emotivo: parleremo di studio e di cervello, ma non
sottovalutare mai quanto la difficoltà di uno studente o una studentessa che
stanno passando un momento di crisi possa abbassare le barriere critiche.
Quando l’arroganza supera il limite rischi di esporti ancora di più al
pericolo. Quando pensi che nulla potrebbe toccarti è il momento migliore
per propinarti un fuffa-corso su uno “straordinario” metodo di studio. Parlo
per esperienza diretta. Quindi…
REGOLA 1
Non sei mai troppo intelligente, non hai mai troppo pensiero critico, non sei mai
immune alle cazzate. Tratta le persone che cascano in queste idiozie con gentilezza,
perché non conosci la loro situazione, e togliti di dosso ogni traccia di supponenza.
Tieni sempre gli occhi aperti, specialmente quando stai passando un brutto momento.
Ignoranza
REGOLA 2
Studia di più, pensa di più, ricerca di più; ma, soprattutto: studia, pensa e ricerca
meglio. Approfondisci le ragioni filosofiche e pratiche per cui il metodo scientifico è la
strada giusta da seguire per interpretare la realtà, immergiti nel suo funzionamento, nei
pregi e nei difetti, allena il tuo scetticismo e sviluppa una rete di fonti attendibili
intorno a te, che ti supporti quando hai dei dubbi.
Bias di conferma
Più che essere una ragione per cui si arriva a credere a qualcosa di falso,
il bias di conferma è una delle forze più potenti che ci impediscono di
cambiare idea. Il meccanismo è semplice e intuitivo: io mi convinco di
qualcosa e, a quel punto, mi metto alla ricerca di tutte le prove, gli indizi,
gli aneddoti, gli elementi che mi diano ragione e mi confermino che, in
effetti, quella cosa è vera.
Questo è un problema sia di psicologia sia di metodo. Di psicologia,
perché a ogni “prova” (o presunta tale) in cui mi imbatto rinforzo sempre di
più la mia credenza e ciò rende sempre più difficile e doloroso il cambiare
idea. Di metodo, perché basta un solo controesempio per invalidare una
teoria, quindi cercare solo conferme non è mai la strada giusta, perché ti
nasconde i motivi per i quali potresti avere torto.
REGOLA 3
Qualunque sia la tua credenza, mettila in dubbio e torchiala più che puoi. Cerca
attivamente tutti i motivi, le fonti e le prove che potrebbero dimostrarti che ti stai
sbagliando. Più importante è la credenza, più impatto ha sulla tua vita, più energia devi
metterci nel cercare di confutarla. Solo le idee e le informazioni che resistono a questo
“massacro” falsificativo sono degne di risiedere nella tua mente.
Pressione sociale
REGOLA 4
Non c’è niente di male a voler appartenere a dei gruppi o a volersi fidare di altri, ma
non dimenticare mai di ragionare, prima di tutto, come un individuo. Le scelte che
compi sono tue, le nozioni in cui credi sono le tue credenze, i comportamenti che metti
in atto sono i tuoi. Quando senti che un determinato gruppo o una determinata persona
ti mette addosso pressione, o cerca di persuaderti in modo emotivo, probabilmente è
meglio cambiare aria.
Volontà
La mitica serie tv degli anni Novanta X-Files aveva un motto: “I want to
believe”, voglio crederci. Si parlava di misteri, alieni e roba soprannaturale,
ma ho sempre trovato che quella frase fosse molto più profonda di quanto
non si potesse pensare. A volte, semplicemente, vogliamo proprio credere a
qualcosa, a volte abbiamo bisogno di avere delle certezze, a volte ci serve
una speranza incrollabile, a volte ci aggrappiamo a un’idea, una
informazione, un metodo, solo perché non sapremmo che cosa fare se non
ci fosse più, se ammettessimo che non esiste o non funziona.
Ci piace credere (o illuderci) di avere il controllo, e spesso l’idea della
panacea di tutti i mali, dell’unica soluzione per tutti i problemi è troppo
attraente per essere ignorata.
REGOLA 5
Cambia il motto da “I want to believe” a “I want to know the truth”: voglio sapere la
verità. Non la verità con la “V” maiuscola, che quella non la sa nessuno, ma la verità
dei dati, dei fatti, delle attuali conoscenze in materia. E quando qualcosa sembra troppo
bella per essere vera, beh, dubita il doppio.
Furbizia
Quanto ci piace pensare di essere più astuti degli altri! Noi sì che
sappiamo trovare scorciatoie, trucchetti, passaggi segreti per vincere la
gara, facendo anche meno fatica! La ricerca della furbizia è una delle
principali strade verso la fufferia, perché, solleticando l’ego, la pigrizia e
l’innato desiderio di successo facile, chi spaccia cazzate ha gioco facile. È
la favola di Pinocchio, no? Come fanno, il Gatto e la Volpe, a fregare il
nostro povero burattino? Semplice: gli fanno credere che ci sia un metodo
segreto e furbissimo per far crescere le monete dalla terra. Pinocchio vuole
fare soldi facili e così ci casca.
Ma tu non vuoi essere Pinocchio…
REGOLA 6
Non sei più furba o più furbo degli altri, non devi mai cercare di diventarlo, devi
cercare invece di diventare più abile, più competente. Scappa dai furbi e dalle furbe,
sempre, lascia a loro le scorciatoie che conducono chissà dove e tu prendi l’autostrada.
Parzialità
● il bilancio complessivo tra ciò che ha senso e ciò che non lo ha, tra ciò
che è utile e ciò che non lo è, tra ciò che è vero e ciò che è falso;
● l’opportunità di imparare ciò che ci serve anche da fonti migliori.
Mettendo insieme questi due livelli emerge una verità: non è necessario
bersi una marea di stupidaggini per poter raggiungere un paio di consigli di
buon senso, nessuno ci obbliga a salvare ciò che è più negativo che
positivo. Nell’era dell’informazione accessibile non devi più pagare il
prezzo di imparare da fonti imprecise o ingannevoli, puoi cercare
direttamente ciò che ti serve dalle fonti più complete, precise e autorevoli.
REGOLA 7
Non sorbirti la pseudoscienza solo perché ogni tanto tira fuori qualcosa di buono: cerca
direttamente le cose buone e le fonti attendibili, risparmierai tempo e non ti riempirai
la testa di falsità.
Esaltazione
REGOLA 8
Non prendere mai nessuna decisione, di nessun tipo, quando ti domina l’esaltazione.
Rimanda al giorno dopo, quando è tornata la calma e hai avuto il modo e il tempo di
riflettere e confrontarti con opinioni diverse. Calma e sangue freddo.
Il re è nudo
Per tutte queste meravigliose ragioni che abbiamo visto (e per mille altre
che potremmo ancora discutere), ormai avrai capito che abbiamo credenze
sciocche e che non riusciremo mai a eliminarle del tutto dal nostro modo di
ragionare: fanno parte di quello che siamo, del modo in cui il nostro
cervello elabora le informazioni, della società che abbiamo costruito. Ci
sembra impossibile, ci sembrano realtà lontane anni luce dal nostro modo di
vivere e di pensare, ci sembra sempre di essere migliori di chiunque altro, di
essere immuni alla creduloneria, alla stupidità, all’ignoranza, ma non è così.
Non siamo mai al sicuro: posso garantirti che, in questo momento, tu e
io crediamo almeno in una cosa sbagliata, falsa, inaccurata o
pseudoscientifica. Almeno una, ne sono certo. Non vederla come una
sconfitta, però. Non è una tragedia, non ti voglio buttare giù di morale. Per
come la vedo io, questo è un effetto collaterale, un prezzo da pagare per la
stupefacente meraviglia che il nostro cervello è in grado di sprigionare e di
regalare.
La creduloneria è inscritta nel nostro codice genetico e nei nostri
comportamenti di gruppo, e dobbiamo fare pace con questo, imparare a
conviverci in modo produttivo. Ce lo spiega bene Massimo Polidoro nel suo
libro La scienza dell’incredibile. La persona razionale, critica, dal
ragionamento efficace, non è quella che non sbaglia mai o che non crede
mai a delle cazzate, ma quella che si mette costantemente in discussione e
che cerca smentite, sapendo che prima o poi, inevitabilmente, commetterà
un errore o si accorgerà di averlo commesso. Quella che, quando succederà,
sentirà la responsabilità di cambiare idea e rimediare. Che rimane aperta
alla possibilità di sbagliare e che si sottopone volontariamente allo scrutinio
e alla critica degli altri. Che fa il possibile per ragionare in modo autonomo,
libero. Che studia e si informa per diventare sempre più abile a scovare
questi errori, in primis dentro di sé e poi dentro gli altri. Che, quando si
accorge di un errore, non scrolla le spalle, non si volta dall’altra parte, non
si allontana, ma ha il coraggio di affrontare la prova più faticosa e dolorosa
del mondo: ammettere di aver sbagliato e cambiare idea.
Solo le divinità dell’Olimpo sanno quanto io odio avere torto nella vita,
quanto mi dispiace sbagliarmi e dire cazzate, eppure ho dovuto scendere a
patti con quella sensazione, mi è stata sbattuta in faccia la mia fallibilità
tante volte nel mio percorso, e altrettante volte mi sarà sbattuta in faccia di
nuovo. Vorrei poter dire che a ogni smusata presa sono diventato più forte,
più immune, ma non sono sicuro che sia davvero così. Ma ogni volta che
succede, questo sì, divento più rapido ad accorgermene e più flessibile nel
cambiare idea. Spero che ogni capitolo di questo libro possa aiutarti a fare
lo stesso.
E adesso si comincia sul serio.
PARTE PRIMA
Lo studio non è una cazzata
1
“Scopri il tuo stile e studia meglio!”
La cazzata degli stili di apprendimento sensoriali
Non potevo non dare inizio alla nostra esplorazione con la boiata più
rappresentativa degli stili di apprendimento sensoriali. Questa “teoria” è
perfetta: ha tutte le caratteristiche necessarie per finire in un libro come
questo, perché…
● è dimostrabilmente falsa;
● è diffusa in modo capillare in tutto il mondo;
● è fastidiosa e dannosa;
● ci ho creduto in passato (purtroppo) e la conosco molto da vicino;
● le persone ci credono davvero e si innervosiscono quando qualcuno la
contesta.
● Il tempo che abbiamo dedicato: più ore abbiamo passato a studiare, più il
cervello si sentirà soddisfatto del risultato.
● Lo sforzo: più sentiamo una stanchezza incredibile a fine giornata, più
energie abbiamo consumato e più il cervello crederà di essersi dato da
fare.
● La produzione: più cose concrete abbiamo prodotto (riassunti, schemi,
pagine scritte, parole sottolineate, esercizi svolti) e più il cervello
valuterà come positiva la sessione di studio.
A tempo fisso
Voglio che una cosa ti sia chiarissima: il fatto che lo studio dell’ultimo
minuto sia una cazzata e un gigantesco problema per chi studia non
significa che ci si debba arrendere a uno studio lento, tedioso, estenuante.
Lo studio non deve essere un sacrificio, non si deve esagerare con la ricerca
della perfezione e della massima qualità a tutti i costi: prepararsi per un
esame, una verifica o qualsiasi altra prova è, e sempre sarà, un
compromesso tra tempo, qualità e sostenibilità, ed è giusto che sia così.
Applicare una pianificazione intelligente e previdente, studiare fin
dall’inizio delle lezioni, cercando il più possibile di rimanere in pari con ciò
che viene spiegato in aula, tenere un ritmo di studio giornaliero che non ci
stressi troppo e non ci esaurisca: questo è ciò che si deve fare se si vuole
avere successo a lungo termine nello studio.
Non saranno consigli rivoluzionari o sorprendenti, ma funzionano sul
serio. Anche applicare un corretto metodo di studio fa tutta la differenza del
mondo (qualcuno ha parlato del P.A.C.R.A.R.?)
E poi, puoi anche sfruttare quell’intensità finale del cramming che
dicevamo, e portarti a casa i risultati di focus e concentrazione, aumentando
gradualmente l’intensità del tuo studio verso il giorno della scadenza, per
sviluppare una sorta di cramming nella settimana finale, ma concentrato
unicamente sul ripasso. Studiare in modo troppo intenso, come abbiamo
visto, può essere un grosso problema, ma ripassare in modo intenso è molto
meno pericoloso: non si accumula la stessa quantità di stress, non ci si
stanca allo stesso modo, si possono sostenere ritmi elevati senza bruciarsi.
Per cui, il consiglio è di affrontare la tua preparazione tutta in spacing,
per poi fare una full immersion finale di ripasso. Così soddisferai da un lato
la voglia del tuo cervello di percepire il tempo e la fatica e dall’altro la tua
necessità di procedere con calma e consolidare le conoscenze.
Ah, e a proposito, vuoi per caso sfruttare il Principio di Pareto per essere
più efficiente? Ok, nello studio, per quanto mi riguarda, possiamo
applicarlo in senso temporale e di ordine: partiamo a studiare quel 20% più
importante del programma dell’esame, la parte centrale per la comprensione
di tutto il resto; poi, consolidato quello, affrontiamo l’80% che ci manca.
Quindi, ben venga il segnarsi le domande più probabili e il prestare
attenzione a lezione per intuire le priorità dell’insegnante, il suo punto di
vista, gli argomenti cui tiene di più. Basta solo ricordarsi che questo è solo
un punto di partenza e un obiettivo prioritario, ma non esauriscono l’intera
preparazione. Ecco, così ha senso.
3
“Perché prendere appunti, quando puoi scroccarli?”
La cazzata della “pappa pronta”
Lucrezio era un po’ stronzo, e noi con lui. Siamo persone orribili, e se
c’è una cosa che amiamo nella vita è non fare fatica. Ecco perché la pratica
del passarsi, scroccare o acquistare appunti, sbobine, riassunti, schemi,
esercizi, compiti per casa, versioni tradotte, slide, domande più probabili, e
chi più ne ha più ne metta è vecchia quanto il mondo dello studio. È parte
integrante del percorso di istruzione. Chi è senza peccato scagli il primo
quaderno di appunti. Io devo, per onestà intellettuale, collocarmi nella fila
dei colpevoli.
Immagina: è il secondo anno della triennale di Lettere moderne, gli
esami di Filologia si accumulano generando un vortice quantico di noia
esistenziale. Alessandro, un astuto e arrogante studentello di Padova, ha la
soluzione: smette di frequentare le lezioni, che tanto sono inutili (a detta
sua), e passa giorni a setacciare le pagine Facebook e i gruppi universitari
alla ricerca di qualche anima pia che possa fornirgli degli appunti. Trova
questi ignari individui, tenta di fare loro pietà, scrocca il quaderno e poi
nelle pause pranzo si infiltra in ufficio dalla mamma, che lavora in banca,
per scroccare pure le fotocopie. Il piano malvagio ha successo, non una ma
svariate volte, e l’astuto Alessandro, intanto, accumula ritardo universitario.
Ma è soddisfatto, perché l’ha fatta franca. Oggi, finalmente, la terribile
verità è venuta a galla, ma la mamma complice è al sicuro: ormai è in
pensione e non possono più licenziarla per abuso di fotocopiatrice.
Storie edificanti di delinquenza giovanile a parte, torniamo allo scrocco
come approccio allo studio: nel migliore dei casi si tratta di una pratica
saltuaria, una sorta di extrema ratio quando eventi fuori dal nostro controllo
ci hanno impedito di produrre noi stessi i materiali di studio, ma nel
peggiore dei casi diventa un sistema collaudato, un “metodo”, se si può
definire così, che permea a ogni livello l’esperienza scolastica e
universitaria. Il problema, come vedremo, è che in entrambi i casi questa
scelta si rivela essere catastrofica: un errore apocalittico, che, a cascata,
devasta tutto il processo di studio e apprendimento.
Ultima nota: la cosa che più mi fa imbestialire è il sorrisetto supponente
che alcuni di questi geni scrocconi esibiscono. Sentono di aver vinto contro
di te, di me, dell’insegnante, di aver fregato il sistema. La loro furbizia
supera ogni ostacolo, secondo loro.
E l’unica persona che stanno fregando, in realtà, è quella che vedono
ogni giorno allo specchio.
Un’ancora di salvezza
Quello che ti ho spiegato finora significa forse che non si possa in toto
usare il materiale altrui? Mai e poi mai? In nessun caso? No, e sarebbe
sbagliato dirlo. Lo scrocco del materiale ha precisi confini in cui ha ancora
diritto di esistere e un preciso atteggiamento con cui deve essere affrontato.
Si può usare materiale scroccato solo e soltanto quando non c’è altra
alternativa.
● “Non sono bravo a produrre appunti, quindi in classe ascolto e basta e gli
appunti li prendo da chi è più in gamba di me.” No, cazzata. Impara a
produrre appunti migliori.
● “Timidezza e imbarazzo mi bloccano nel partecipare in modo attivo alle
lezioni, lascio che i miei compagni o le mie compagne facciano domande
e spero di capire così i punti che non mi sono chiari.” No, cazzata. Cerca
di vincere le tue debolezze un po’ alla volta o, al massimo, raggiungi
l’insegnante dopo la lezione per porre le tue domande in modo più
privato.
● “Vado a lezione e l’insegnante va molto veloce a spiegare, è davvero
difficile produrre appunti, quindi mi affido alle sbobine.” No, cazzata.
Sbattiti di più e migliora per star dietro alla lezione.
● “Non mi va di fare gli schemi, quindi li prendo da un mio compagno o
una mia compagna.” No, cazzata. Fatti venire la voglia o organizzati
meglio.
● “Le slide sono comode, perché così evito di leggere il libro e vado più
veloce, quindi le sfrutto.” No, cazzata. Valuta con attenzione, argomento
per argomento, e seleziona la fonte più completa, non quella più comoda.
● “Andando a sentire gli esami mi segno le domande che sento più spesso,
così mi imparo la risposta solo di quelle, ho una buona probabilità di
passare e posso prepararmi all’esame in pochi giorni.” No, cazzata. Sei
una capra e probabilmente all’esame finirà malissimo.
Sono stato chiaro? Ogni singola volta in cui si può ottenere lo stesso
risultato (o un risultato migliore) senza sfruttare materiale scroccato, è
tassativo farlo.
E ora vediamo l’atteggiamento con cui percepire e usare il materiale a
scrocco.
Ecco, meglio.
Figura 4.2. Schema esemplificativo, così sono davvero certo di essere stato
chiaro.
Mettiamocela via
Ma, allora, noi che cosa possiamo fare? Possiamo mettercela via, per
prima cosa, e accettare il fatto che la fatica non solo è inevitabile, ma anche
desiderabile. Così come uscire dalla palestra coi muscoli indolenziti (ma
non troppo) non è qualcosa di negativo, altrettanto è finire una giornata di
studio con la stanchezza addosso deve essere la normalità.
Si può studiare meglio, si può studiare in modo più approfondito, si può
studiare in modo più rapido, si può studiare in modo più duraturo… non si
può studiare senza fatica. È stato, in particolare, uno psicologo di nome
Robert A. Bjork a coniare il termine desirable difficulty, cioè “difficoltà
desiderabile”, per descrivere un compito di apprendimento, o studio, che
costringa a dare il massimo, senza però esaurirsi, e porti al risultato della
costruzione di conoscenze e competenze migliori e più durature. Oltre che a
voti più alti.
Il punto cruciale, però, è l’equilibrio, perché se la difficoltà aumenta
troppo o se la fatica supera il livello di guardia, avviene l’esatto opposto: lo
stress e la frustrazione aumentano, l’apprendimento peggiora, i risultati
svaniscono. Imparare deve essere una sfida, una missione difficile ma mai
impossibile: non è necessario essere Tom Cruise.
Tutte le tecniche positive ed efficaci che ti ho descritto finora, che
insegno nel mio Sistema ADC e che compongono il P.A.C.R.A.R. sono
mirate proprio a ottenere questo bilanciamento di difficoltà. Testing, lettura
efficace, schematizzazione, spacing, sono nomi con cui devi prendere
confidenza. Sapere tutto questo ti permetterà di superare la diffidenza e la
resistenza iniziali che questi metodi incontrano sempre: innanzitutto, fare
più fatica di rado viene percepita come una cosa positiva e incoraggiante,
ma in secondo luogo lo stesso Bjork osserva come queste tecniche possano
ridurre la fiducia che chi studia ripone nel suo metodo e fargli percepire il
processo come più lungo e lento. Le tecniche automatiche e prive di sforzo,
infatti, sembrano mostrare risultati temporanei e immediati migliori, e
spesso chi le applica li confonde per risultati duraturi. Ancora una volta, il
cervello ci inganna, ma noi dobbiamo saperlo, anticiparlo e resistere.
Altro parametro cui fare attenzione è quello dell’attività; ne ho parlato a
lungo nell’altro libro, Vince chi impara. L’hai già acquistato, vero? Bene
così. In breve, a ogni step del tuo metodo di studio devi assicurarti di tenere
un atteggiamento critico, rielaborativo, devi porti domande, cercare
collegamenti, inventare esempi, svolgere compiti pratici, prendere note,
scrivere, fare esercizi, creare schemi, insomma partecipare al contenuto,
non subirlo.
Se, quando studi, passano più di cinque minuti di fila in cui non ti
“muovi”, fisicamente e mentalmente, stai sbagliando qualcosa.
Arruolare la fatica
Ah, molto bene, siamo già al momento in cui parlare di “lettura veloce”
o “speed reading”, “photoreading”, “lettura tridimensionale”, “lettura
satellitare”, “lettura rapida”, “fotolettura”, “dynamic reading” … Un grande
classico della spazzatura pseudoscientifica nel mondo dell’apprendimento
efficace. Una crosta infetta che non possiamo fare a meno di grattarci. E io,
ogni volta che ci penso, sono costretto a sgranocchiare Maalox come
fossero anacardi tostati. A questo punto potresti chiederti perché rosico così
tanto proprio su questo tema. Sono costretto a confessare. Ebbene sì: io
stesso sono stato un adepto della fuffologia della lettura veloce. Un’altra
trappola in cui sono caduto in prima persona. Non è la prima che hai letto in
queste pagine, non sarà l’ultima. Di più e peggio ancora: l’ho anche
insegnata. Un errore di gioventù del quale sono profondamente
consapevole, una macchia di sugo indelebile sulla mia anima e sulla mia
carriera.
Il fatto è questo: di tutte le promesse assurde che hai letto e leggerai in
questo libro, quella della lettura veloce è una delle più seducenti in assoluto.
Sì, la lettura veloce è maledettamente sexy. L’aggancio è tanto semplice
quanto inebriante:
Non è facile risalire a chi abbia avuto per la prima volta l’idea di
proporre corsi o metodi per leggere più velocemente. Se dovessi
scommettere, direi che è un’idea nata alla prima povera vittima che ha
dovuto leggere un librone di Diritto per un esame universitario. Un nome,
però, spicca su tutti gli altri: Evelyn Wood, un’insegnante e imprenditrice
americana in attività negli anni Cinquanta che sembra essere stata la prima
a commercializzare in modo organizzato questi sistemi, che all’epoca
definiva “lettura dinamica”. La regina capostipite dei “superlettori veloci
megagalattici”. A sua discolpa c’è da dire che all’epoca le evidenze
scientifiche in merito all’inapplicabilità della lettura veloce erano davvero
scarse, quindi magari, all’inizio, era in buona fede… Senonché a un certo
punto quelle evidenze cominciarono ad arrivare, e lei ci passò sopra come
una mietitrebbia su un formicaio. Cominciò a dire in giro di poter leggere
fino a duemilasettecento parole al minuto (fra poco ti renderai conto di
quanto oltraggiosa sia questa sparata), di poter finire un libro intero in meno
di un’ora, di non scorrere le pagine da destra a sinistra ma dall’alto in basso,
di non rileggere mai nulla e… vabbè, ci siamo capiti.
E poi questa tizia si è fatta un bidone di danari, ma tanti, tantissimi. Ha
intuito prima di chiunque altro che una “magia” del genere non interessava
solo agli studenti, ma anche a professionisti, ricercatori e politici. Organizzò
corsi alla Casa Bianca, a senatori, astronauti, attori di Hollywood. Tra i suoi
allievi più famosi il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter.
Da lì, la lettura veloce comincia a diventare di dominio pubblico e dagli
anni Settanta in poi si diffonde ovunque ci sia qualcuno pronto a fare
qualche soldo facile raccontando panzane, cioè dappertutto, sempre, in ogni
Paese del mondo. Anche in Italia, ovvio, che noi non ci facciamo mancare
mai niente.
● saccade;
● fissazione;
● pausa di comprensione;
● regressione.
Figura 5.1. Nemmeno Yoda potrebbe leggere nella zona di acutezza bassa.
Come direbbe lui: “Difficile da vedere è. Sempre in movimento la visione
periferica è”. Ah, no, forse era il futuro, ma il concetto è lo stesso.
Fatto questo, gli occhi hanno finito di lavorare e tocca al cervello, che
durante la terza fase della lettura deve prendersi qualche istante di pausa
per elaborare le informazioni e comprenderle. In questa fase avviene la
cosiddetta subvocalizzazione, un processo strambo e importantissimo: in
pratica parlottiamo tra noi e noi, nella nostra mente, borbottiamo in silenzio
e questo ci aiuta a capire. Giusto per precisare, ti ricordi che ne abbiamo già
parlato nello scorso capitolo, quando ti spiegavo come funzionano la
memoria e l’apprendimento? La subvocalizzazione avviene nel magazzino
della memoria di lavoro, in uno spazio che si chiama loop articolatorio.
Questa pausa con borbottio mentale porta via all’incirca ancora dai 300 ai
500 millisecondi.
Infine, come ultima fase, meno sistematica, ci sono le regressioni, che
significa che i nostri occhi, quando serve, ripetono la saccade e la fissazione
o si riposizionano, a volte per piccoli errori, a volte perché il passaggio è
particolarmente complesso. Le regressioni possono essere minime o
enormi, anche di alcune righe, e avvengono in maniera conscia o anche
inconsapevole. Di quelle inconsapevoli, ovvio, non ti accorgi. Quelle
consapevoli sono quelle in cui ti dici “Aspe…, non ho capito nulla, meglio
ricominciare la frase”.
Ho operato un’estrema semplificazione, ma pressappoco ci siamo, hai
capito come si legge. La persona comune ha una velocità media di lettura,
complessiva delle quattro fasi, di circa 200 o 250 PAM (vuol dire sempre
parole al minuto… non perderti, su!).
Adesso che sai tutto questo, non soltanto hai un argomento da sfoggiare
a tavola in una cena in cui vuoi fare colpo, ma puoi anche finalmente capire
come dovrebbe funzionare lo speed reading e come, purtroppo, fallisce di
brutto.
E quindi?
La memoria millenaria
(Soc)corsi di memoria
Sono sette gli elementi distintivi delle mappe mentali, che non si
ritrovano in altre forme popolari di schematizzazione come le mappe
concettuali, gli schemi lineari o i diagrammi di Ishikawa. Eccoli qua:
Con questi cinque punti il nostro rapporto con le mappe mentali sarà
bilanciato e sereno, senza estremismi e senza fufferie. E finalmente le
mappe mentali avranno giustizia e torneranno a essere ciò che sono sempre
state: un metodo meraviglioso, una grande invenzione, una delle tante
tipologie di schemi e diagrammi validi. Ma niente di più.
8
“Studia mentre dormi!”
La cazzata dell’imparare nel sonno
La storia dell’ipnopedia
Sonni multipli
Fare riassunti non funziona. O, meglio, funziona peggio che fare schemi,
dunque non c’è motivo per riassumere quando studiamo. Non voglio essere
troppo cattivo, perché il riassunto è comunque una forma di rielaborazione,
di certo è meglio di niente ed è un passo avanti rispetto al “leggi e ripeti” o
al discorsetto perenne.
Purtroppo, però, per sua natura il riassunto taglia, perde dettagli, ed è
necessario che sia così, perché deve utilizzare lo strumento della scrittura
tanto quanto il testo, ma deve risparmiare tempo e spazio. Costringe, quindi,
a lasciare da parte alcune informazioni e, dunque, è inevitabilmente più
superficiale e meno completo della fonte di riferimento. Opera al contrario
dello schema, che comprime le informazioni e, tramite l’uso di parole
chiave, grafica e colore, le esprime in uno spazio più contenuto ma senza
perdere di profondità.
Il riassunto è anche più lento nella stesura e nella rilettura. Ci costringe a
uno sforzo di utilizzo della lingua italiana che è meraviglioso se stiamo
imparando a scrivere, ma del tutto superfluo se vogliamo studiare in modo
efficiente. Questo è uno dei motivi per i quali ritengo il riassunto uno dei
migliori esercizi di scrittura possibili, eccellente anche per chi deve
imparare a scrivere temi migliori, ma un pessimo alleato nello studio.
Quindi possiamo tagliare corto: il riassunto è, semplicemente, superato
dallo schema, che funziona molto meglio.
Dai, che siamo alla fine di questo lunghissimo capitolo, forse il più
lungo del libro. Come premio, ti meriti una buona notizia: studiare una
quantità disumana di ore non funziona. E studiare per molto tempo senza
pause, pure non funziona. E dedicare la tua intera vita allo studio, peggio
ancora. La cultura dello stakanovismo tossico, della produttività a tutti i
costi, dello studio come sacrificio umano alle divinità della conoscenza ha
fatto danni incalcolabili e ha anche ampiamente fracassato appendici
corporee che non descriveremo. Le ricerche in merito sono chiare, ma
voglio rimanere breve e schematico, ti elenco i punti indispensabili che devi
tenere a mente.
Eh, sì, le cazzate sullo studio, di fatto, sono una sottocategoria delle
cazzate sul cervello, non esisterebbero se avessimo l’abitudine di studiare la
mente con gli strumenti della scienza. I neuro-miti sono le fondamenta su
cui poggia tutto quello di cui abbiamo parlato finora.
Ecco perché, pensando alla scaletta di questo libro, arrivato alla fine
degli argomenti che volevo trattare sullo studio, mi sono detto: “Non posso
fermarmi qui, non posso fermarmi ora”. Così ho deciso di inserire otto
capitoli aggiuntivi che affronteranno, con lo stesso stile e la stessa struttura
cui ormai hai fatto l’abitudine, otto bubbole sul cervello.
Spero che questo servirà ad ampliare il tuo spettro critico e ad allenarti a
tenere d’occhio non dico tutto il tavolo (sarebbe impossibile), ma almeno
un’area del tavolo delle fufferie.
10
“Raddoppia il tuo Qi in 22 giorni!”
La cazzata dell’aumento dell’intelligenza
Sto sproloquiando solo per allungare questo paragrafo? Pare di sì, quindi
procediamo.
Dual n-back
Insomma, l’idea sarebbe che il vero potere del cervello umano sia sopito
all’interno di aree cerebrali inattive, alle quali non avremmo mai accesso
nella vita, se non con qualche tecnica o con l’aiuto di pillole e intrugli
chimici, magari tenuti nascosti dai poteri forti e da Bill Gates. Arrivati a
questo punto del libro ho la sensazione che tu possa anticipare il mio
autorevole giudizio su tutto questo. Come dici? Ritieni che io ritenga che
sia una cazzata? E invece no, questa volta ti sbagli.
Questa non è solo una cazzata: è la Madre di tutte le cazzate, l’origine
primordiale della boiata, il Big Bang della fufferia cosmica, l’Everest delle
bufale, un razzo di Elon Musk sovraccarico di idiozia atterrato
verticalmente negli abissi di analfabetismo funzionale delle masse… Scusa,
mi fermo, questa cosa delle metafore mi sta sfuggendo di mano.
Il fatto è che forse questa è davvero la cazzata originale, quella da cui ha
preso origine l’intero mondo della crescita personale fuffosa che ha a che
fare con la mente. È il peccato originale, ed è mio dovere combatterlo senza
pietà, anche perché è offensivo verso coloro che, studiando psicologia,
neurologia e neuroscienze, hanno dedicato il loro lavoro e la loro vita a
svelare sul serio i misteri del cervello umano. Percepisco la loro
frustrazione e sono a un passo dal diventare un gigante verde enormemente
muscoloso.
La pillola magica
Anfetamine
Ci sono vari farmaci per il trattamento del deficit dell’attenzione che,
assunti in modo insensato (e illegale) da persone non affette da ADHD hanno
effetti sulla capacità di concentrazione e la resistenza alla fatica. Il farmaco
più noto e famoso in questo senso è l’Adderall, protagonista di una vera e
propria epidemia di consumo tra ragazzi e ragazze negli Stati Uniti e anche
in Europa. I vantaggi sono innegabili: si studia molto più a lungo e ci si
distrae molto di meno. Non sembrano esserci, invece, vantaggi significativi
in termini di apprendimento e memoria.
Che meraviglia, dirai tu, dove posso procurarmelo? Un momento, un
momento, a fronte di questi innegabili vantaggi potresti trovare interessanti
anche gli effetti collaterali. Prima di tutto, il crash post-assunzione: quando
l’effetto svanisce non torni al livello normale, torni molto più giù, sia come
capacità di concentrazione sia come umore. Ma questo è ancora niente,
perché l’altra insidia incredibile è l’assuefazione e la dipendenza fisica e
psicologica. Gli effetti positivi si riducono a ogni assunzione e il crash si fa
sempre più intenso, portando a consumarne sempre di più e sempre più
spesso. Gli effetti collaterali, come per tutti i farmaci e le droghe,
dipendono dalla dose: più ne prendi e più è probabile che ti facciano male e
a ogni uso il danno sarà più serio. Il problema è che mantenere moderata
l’assunzione è estremamente difficile. Col tempo e l’assuefazione, si arriva
a sviluppare una sorta di incapacità di provare gioia senza spararsi una dose
e si comincia quindi ad assumere l’Adderall non solo per studiare, ma anche
per uscire a divertirsi, godersi una serata in discoteca, fare sesso… E gli
effetti, in alcuni casi, rischiano di protrarsi anche dopo aver smesso di
assumere la sostanza ed essere usciti della dipendenza (sempre se ci si
riesce).
E vediamoli questi sintomi… Nevrosi? Certo che sì. Paranoie, anche
gravi? Puoi scommetterci. Depressione? Ovvio. Disfunzione erettile,
ipertensione o ipotensione, tachicardia, dolori addominali, nausea, perdita
dell’appetito con conseguente drastica perdita di peso, annebbiamento della
vista, diarrea, insonnia, irritabilità, sbalzi d’umore… come potremmo
privarcene?
Quindi sì, assumendo questa meravigliosa sostanza senza controllo e
autorizzazione medica stai violando la legge, distruggendo il tuo corpo e
compromettendo la tua capacità a lungo termine di “funzionare” a livello
cognitivo. Ma, ehi, le tue sedute di studio per questa sessione durano ben tre
ore in più ogni giorno!
È veramente una pazzia: l’Adderall e tutte le anfetamine del genere sono
farmaci potenti che vanno impiegati solo su prescrizione medica e solo in
contesti, condizioni o con patologie che lo richiedano. Punto.
Altri psicostimolanti
Ci sono altri farmaci dagli effetti simili a quelli delle anfetamine, sempre
prescritti per l’ADHD o la narcolessia, tra i più famosi il Modafinil (o
Provigil) e il Ritalin. Cambiano le strutture chimiche, ma il messaggio è lo
stesso: funzionano, sarebbe scientificamente scorretto dire il contrario, ma
hanno senso solo a dosaggi controllati, sotto costante monitoraggio medico
e solo per il trattamento di disturbi e patologie. In tutti gli altri casi, specie
per l’assunzione illecita e autoregolata, a fronte di un lieve beneficio
producono un enorme danno alla salute, spesso irreversibile. Non pensarci
nemmeno.
Nicotina
Strano ma vero, la nicotina contenuta in sigarette e sigari ha effetti che
possono a prima vista sembrare favorevoli allo studio e alla cognizione in
genere: un lieve effetto analgesico, un miglioramento del tono dell’umore e
un effetto di potenziamento delle performance cognitive (in particolare
dell’attenzione e della memoria). Non si tratta di effetti eclatanti, ma
neanche trascurabili. Mica male, no? Sì, eccellente, senonché… sono anche
questi effetti a favorire lo sviluppo di una dipendenza grave. Eh già, pure la
nicotina provoca dipendenza fisica e psicologica, e con una facilità
disarmante. E, mai una gioia, a lungo termine produce effetti collaterali
devastanti in chi ne è dipendente. Livelli di stress aumentati
esponenzialmente, ansia, stati depressivi, irritabilità, difficoltà di
concentrazione, disturbi del sonno, tremendi crash quando si cerca di
disintossicarsi. Esistono anche studi sugli animali che suggeriscono come la
nicotina, specie in adolescenza, possa influenzare negativamente sullo
sviluppo del cervello. Ma non sono studi conclusivi.
Ancora una volta, più male che bene. Bocciata di brutto anche la
nicotina.
Caffeina e teina
Senza dubbio lo stimolante più diffuso al mondo, che sia consumato
sotto forma di caffè, bevande energetiche o direttamente in capsule, proprio
come un integratore. La caffeina funziona. Che si tratti di studio, lavoro o
allenamento, è una delle sostanze col migliore rapporto tra sicurezza ed
efficacia. Per evitare, però, che i suoi benefici svaniscano, uno stratagemma
che funziona davvero è quello della “ciclizzazione”: alternare periodi di
assunzione a periodi di astinenza di almeno una settimana, per trarre il
massimo da questo nootropo nel lungo termine.
Un modo per contrastare i possibili effetti negativi della caffeina
(l’eccessiva eccitazione, per esempio, o l’interferenza col sonno) è
combinarla con la teanina (no, non la teina, che è sempre caffeina con un
nome diverso): un amminoacido dotato di effetti calmanti. Non a caso
questa sostanza ha iniziato a essere inserita in alcuni energy drink, proprio
per limitare gli effetti collaterali della caffeina. Per dosaggi precisi ti
consiglio di consultare chi si occupa di medicina e nutrizione, non certo
divulgatori esperti di metodo di studio.
Creatina
Croce e delizia dei palestrati di tutto il mondo per i suoi effetti
“muscolari”, serve anche a chi studia e ai knowledge worker? Pare di sì.
Questa sostanza si può trovare anche nel cibo, prevalentemente nella carne
e nel pesce, ma il suo utilizzo è molto diffuso, sotto forma di integratore in
polvere o in compresse, tra chi si allena. I suoi effetti nel migliorare la
prestazione durante gli allenamenti di resistenza sono piuttosto solidi e
documentati.
Dal punto di vista cognitivo, alcuni studi sembrano suggerire un
miglioramento sul piano della memoria a breve termine, e una riduzione
dell’affaticamento mentale dopo alcune settimane dal suo utilizzo
(soprattutto nei soggetti che non ne assumono abbastanza attraverso la
dieta) e una diminuzione parziale degli effetti negativi della mancanza di
sonno. Attenzione: questo non significa che tu possa compensare le ore di
sonno perse con una maggior quantità di creatina. Non funziona così. In
ogni caso, non ci sono effetti collaterali significativi, se non leggeri
problemi intestinali in caso di sovradosaggio, ma si tratta senza dubbio di
uno dei nootropi più sicuri in circolazione.
Io, che quando non scrivo o non lavoro passo il tempo a sollevare
tonnellate di ghisa, l’ho assunta per anni.
Cocaina
Devo davvero spiegartelo? Prendi gli effetti collaterali che abbiamo
descritto per anfetamine e psicostimolanti e moltiplicali per dieci in gravità,
pericolosità e illegalità. Non serve aggiungere altro.
Ashwagandha
Un’erba dal nome esotico che viene utilizzata nella medicina ayurvedica
(non farti domande) e sembra avere una certa efficacia nel ridurre i livelli di
stress e ansia. I suoi effetti calmanti sul sistema nervoso sembrano dovuti
proprio alla diminuzione dei livelli del cosiddetto “ormone dello stress”,
ovvero il cortisolo. Non pare avere effetti collaterali significativi. Quindi se
fai fatica a rilassarti e magari hai anche problemi a dormire puoi prenderla
in considerazione per abbassare il tuo livello di energia e riuscire anche a
concentrarti meglio. Viceversa, se già dormi sul banco mentre il docente
spiega o in ufficio davanti al computer, l’ashwagandha non è il nootropo
che fa per te.
Di sostanze di cui parlare ce ne sarebbero mille, ma basta così, un’idea
te la sei fatta: la pillola magica non esiste, le sostanze che davvero hanno un
impatto significativo sulle nostre prestazioni mentali spesso sono
pericolose, hanno effetti collaterali che superano ampiamente i benefici,
sono illegali e provocano dipendenza. Tutte le altre, invece, presentano
benefici abbastanza modesti o vanno ciclicizzate per non perderne gli effetti
per assuefazione.
● Ask: chiedi all’universo ciò che vuoi. Scrivilo, dillo ad alta voce,
dichiaralo e pensaci con attenzione.
● Believe: credici, visualizzalo, pensaci di continuo, riscrivilo, ridillo ad
alta voce, sii positivo, prova gratitudine per ciò che hai già, mantieni una
mentalità sempre positiva e motivata.
● Receive: ricevi quello che hai chiesto.
Non voglio però che passi l’idea che non ci sia nulla di utile nel pensiero
positivo, nella gratitudine e nella visualizzazione. Tutt’altro.
Essere ottimisti, guardare al futuro senza il velo cupo della tristezza
sempre davanti agli occhi, provare gratitudine per quello che abbiamo e per
le persone che ci stanno intorno, agire in nome delle proprie ambizioni,
immaginare e visualizzare i propri obiettivi, tutto questo può essere utile.
Molto utile. Io stesso, che nei momenti difficili tendo per natura a essere
pessimista, ansiogeno, cupo e riflessivo, provo grande beneficio nel portare
deliberatamente la mia attenzione su ciò che di bello c’è nella mia vita, così
come trovo nuova motivazione nell’immaginare i traguardi che voglio
raggiungere e nel pensare: “Sì, ce la farò!”.
La visualizzazione ha effetti importanti, concreti e misurabili
nell’aumento della performance fisica e mentale, nella gestione dell’ansia,
nella regolazione dell’umore. È curioso il fatto che possa essere utile non
solo la visualizzazione positiva, ma anche e soprattutto (secondo alcune
ricerche recenti) quella negativa. Concentrarsi su ciò che potrebbe
succedere nel caso fallissimo, anticipare i problemi che potremmo trovarci
di fronte, immaginare le conseguenze negative di una nostra rinuncia a
darci da fare, sembra portare a sostanziali miglioramenti nella produttività e
nel focus.
Ci sono poi gli influssi del buonumore e dell’effetto placebo sulla salute
psicofisica, innegabili: l’ottimismo e la positività hanno su di noi e su chi ci
circonda effetti potenti, ci rendono più simpatici, aperti e piacevoli da
frequentare.
È vero pure che esistono le profezie negative autoavveranti: se
manchiamo di autostima e ci convinciamo che falliremo, la nostra
probabilità di successo diminuisce, così come la nostra efficacia,
concentrazione e abilità nella performance.
E poi, il muoversi verso i nostri obiettivi, pianificare il futuro, aumenta
la probabilità che qualcosa di buono accada e che la vita si muova in quella
direzione. Tutti questi fattori contribuiscono senza alcun dubbio alla
costruzione della felicità e del successo personale. Se preso con intelligenza
e moderazione, un atteggiamento del genere può migliorare la vita.
Ma, quindi, che problema c’è con la legge dell’attrazione se, con una
dose generosa di virgolette, «“‘funziona’”»? Il problema è che queste poche
pillole di buon senso e psicologia applicata vengono travisate, esagerate
oltre ogni limite possibile, legate a credenze mistiche, elevate a suprema
cazzata ultradimensionale, trasformate in una religione della motivazione
per capre.
Dire che essere positivi è utile non significa che porti automaticamente
risultati (anzi, il positive thinking esagerato è correlato anche a depressioni
gravi ed effetti opposti). Dire che la visualizzazione aiuta ad accrescere
l’efficacia personale non significa che la struttura della realtà si modifichi
con il nostro pensiero. Dire che il buonumore e la gratitudine ci rendono
persone migliori e più piacevoli non significa che ti ritroverai una Porsche
in garage se elimini ogni pensiero negativo.
Ripetiamolo: la nostra capacità di visualizzazione e di pensiero non ha
alcun influsso sulla struttura del reale, sulle leggi della fisica o sulle azioni
altrui. Quindi, facciamo così: io ti faccio un elenco di otto buoni consigli di
pensiero positivo, da applicare nella tua vita e che possono realmente
portare a buoni risultati; tu, in cambio, mi prometti di non farti abbindolare
da quella gente e dalle loro credenze ridicole. Ok? Ok!
Vai coi consigli.
● Ogni volta che ti senti giù, perché lo studio non sta andando come
vorresti o per qualsiasi altro motivo, prenditi qualche minuto per
focalizzare la tua attenzione su tutti i risultati che hai ottenuto in vita tua.
Pensa a ciò che di bello e positivo hai nel tuo mondo: le persone che ti
vogliono bene, le opportunità che hai davanti, le esperienze che hai
vissuto. Cerca dentro di te quel sentimento di gratitudine e lascialo
sfogare un po’. Se ti fa sentire bene, prova anche a scriverlo.
● Sempre a proposito di gratitudine positiva, abituati a ringraziare le
persone per ciò che fanno per te, anche quando sono cose banali e
scontate. Ringrazia più spesso, esprimi i tuoi sentimenti positivi ad alta
voce, fa’ complimenti (non roba fuori luogo, mi raccomando).
● Sfrutta la visualizzazione positiva per immaginare i risultati che vuoi
ottenere (nello studio come in qualsiasi campo), la vita che avrai quando
li avrai ottenuti e le azioni che dovrai compiere per raggiungerli. Ritorna
spesso su quelle immagini, rafforzale, ripensaci e arricchisci la
visualizzazione di sempre maggiori dettagli.
● Pianifica le tue giornate, le tue settimane, i tuoi obiettivi a lungo termine,
non lasciare che i tuoi desideri rimangano nella “sfera dei miracoli da
chiedere all’universo”, prova a trasformarli uno alla volta in progetti
concreti, misurabili, organizzati. E poi mettiti all’opera.
● Sfrutta la visualizzazione negativa per anticipare i problemi e per
ricordarti che cosa c’è in gioco. Preparati a quando le cose andranno
male, ragiona su che cosa potrebbe succedere di brutto e pensa a come
evitarlo.
● Ogni volta che agisci concretamente per raggiungere un obiettivo (ogni
volta che ti metti a studiare, che termini un lavoro o che eserciti
un’abitudine cui tieni), prenditi un minuto per prendere nota dei tuoi
progressi e per congratularti con te stesso o te stessa per il percorso che
stai facendo.
● Prenditi cura del tuo stato psicofisico, perché avrà un diretto effetto sul
tuo umore, sulla tua efficienza mentale e sulla tua salute. Dieta varia ed
equilibrata, movimento fisico aerobico, movimento anaerobico, cura del
sonno, meditazione, socialità… quante più di queste cose riesci a inserire
nella tua vita, tanto meglio sarà.
● Allena e coltiva l’ironia, anche di fronte alle cose terribili che ti accadono
e che non sono sotto il tuo controllo. Abituati a reagire con una risata e
un sorriso anche e soprattutto, quando sembrano pioverti sulla testa le
sfighe più nere. Scherza sulle cose che vanno male, scherza sulle cose
che vanno bene, scherza su tutto.
● Consiglio bonus: ricordati che l’universo non ti deve proprio niente, che
le leggi della natura non sono al tuo servizio e che tutto ciò che hai e che
avrai nella tua esistenza dipende dalle condizioni in cui ti ritrovi, dalle
circostanze e da come le affronti. Eliminare credenze pseudoscientifiche
e false illusioni è un primo passo concreto per iniziare a darsi da fare sul
serio. Pensa positivo, ma non in modo ottuso.
Questo è tutto, non ti serve altro. Non ti servono leggi strane, anzi: non
esistono leggi strane. È questo il vero segreto.
13
“Riprogramma la tua vita!”
La cazzata della PNL
Tu, magari, nella tua meravigliosa ignoranza delle follie del mondo, ti
starai chiedendo: “Ma che cos’è, poi, questa PNL?”. Per poterti rispondere
devo spiegarti da dove arriva, quali fossero i presupposti di partenza, che
cosa volesse ottenere. Ci spostiamo così negli anni Settanta, ovviamente
negli Stati Uniti d’America (e te pareva), in California, questa volta, e lì
possiamo incontrare due personaggi ormai divenuti leggendari: Richard
Bandler e John Grinder. Grinder è un linguista in erba, mentre Bandler è
matematico e psicologo.
Sono anni esaltanti per il mondo dello studio della mente, nascono nuovi
grandi paradigmi di indagine psicologica e neurologica, grandi certezze del
passato vengono messe in discussione, nuove brillanti intuizioni si fanno
largo tra i laboratori, le aule delle università e gli studi dei terapeuti. I due
hanno un’intuizione che, senza alcuna ironia, per me anche a distanza di
cinquant’anni rimane brillante: studiare e analizzare le pratiche di alcuni
degli psicologi e psicoterapeuti più famosi ed efficaci del momento, ed
estrarne una serie di pratiche per guidare la psicoterapia stessa. In pratica
cercano di costruire un protocollo di psicoterapia efficace, partendo
dall’analisi di casi concreti e dalle tecniche dei migliori esperti del campo.
Tra gli psicologi oggetto di questa analisi Milton Erickson, Virginia Satir e
Fritz Perls, tre giganti della disciplina. Fin qui tutto bene, anzi, benissimo:
potrebbe uscirne uno studio fondamentale per la psicologia, utile, pratico,
basato su ricerca concreta ed evidenze sperimentali e di osservazione.
Bandler e Grinder, però, progressivamente si fanno prendere la mano e
decidono di uscire dal campo della pratica di psicoterapia e includere altre
discipline nella loro analisi: la linguistica, appunto, e l’informatica (che non
si capisce che cosa c’entri). Analizzano, a detta loro, i lavori di Bateson,
Korzybsky, Noam Chomsky e poi passano a esperti di public speaking,
comunicatori, venditori, politici… Insomma, cominciano, pian piano, ad
aggiungere “cose a caso”, e la loro ambizione cresce, cresce a dismisura,
finendo per partorire un nuovo obiettivo: la costruzione di un modello unico
e universale del pensiero, del comportamento e della comunicazione degli
esseri umani. Vogliono congegnare una disciplina e una serie di pratiche per
comprendere il funzionamento di questi ambiti, prenderne il controllo e
modificarli a piacimento.
E qui cominciamo a entrare in un reame sospetto. Le “analisi” e le
pratiche che i due attuano nella seconda fase del loro lavoro non vengono
sottoposte ai controlli rigorosi delle pubblicazioni scientifiche, non
rispettano gli standard degli studi sperimentali, non illustrano in modo
esaustivo i metodi con cui vengono condotte, i risultati statistici, le
correlazioni.
L’ipotesi che comincia a serpeggiare è che questi grandi nomi della
psicologia, della linguistica, dell’informatica, della comunicazione, così
come la terminologia desunta dai loro studi e lavori, siano buttati là da
Bandler e Grinder più per dare autorevolezza al loro lavoro che per altro.
Anche perché, con l’eccezione di Virginia Satir, nessuno degli altri grandi
nomi citati ha mai collaborato direttamente con questo processo, né ha
avuto qualcosa a che fare con la PNL o i suoi fondatori. Questo non ha
fermato, però, i due guru, che hanno continuato a modificare la loro
creatura, promuoverla, insegnarla, pubblicizzarla, fino a farla fiorire in un
fenomeno di portata mondiale.
Fino a questo momento, però, nonostante l’iniezione di fufferia che
rende ricchi Bandler e Grinder, la PNL ancora ancora si salva. Si ritrovano in
quei lavori originali alcuni spunti preziosi, idee innovative, pratiche che
vale realmente la pena di analizzare, idee che verranno poi confermate
anche da successivi lavori scientifici e sperimentali.
Il vero degrado succede dopo.
Dai seminari in cui i fondatori certificano altri “esperti” di PNL in giro
per il mondo si crea una schiera innumerevole di nuovi mini-guru, che non
hanno né la formazione, né la profondità di analisi di Bandler e Grinder.
Come nel gioco del telefono senza fili, la disciplina comincia a tramandarsi
di persona in persona, impoverendosi, banalizzandosi e ibridandosi con
qualunque altra credenza folle di chi la utilizza. Si espande sempre di più il
campo di applicazione, le promesse si fanno sempre più estreme e astruse.
Sfuggita dalle mani dei due studiosi, negli ultimi trent’anni ne ha parlato
chiunque, e chiunque ci ha messo del suo: la PNL è cresciuta, si è
modificata, si è fusa con mille altre discipline e a oggi è davvero difficile
riconoscere tutte le influenze, varianti, evoluzioni, vere o presunte che
siano.
Buttiamo via tutto, quindi? Quasi, ma non proprio. Nel senso che sì, io
personalmente ti consiglio di stare alla larga dalla PNL, ma voglio
comunque prendermi quest’ultimo paragrafo per spezzare una lancia in
favore di coloro che la praticano, spesso in buona fede, e della disciplina in
sé. Anche perché se non lo faccio, poi Gennaro Romagnoli non la finisce
più di ronzarmi nell’orecchio.
Al mondo non esiste soltanto gente che vuole fregarti. Anzi, la maggior
parte di coloro che lavorano in questo ambito crede realmente di star
facendo qualcosa di buono, non si può essere troppo cattivi con loro. E poi
è giusto dire che a volte anche discipline scorrette e pseudoscientifiche o
che non rispettano il rigore della psicologia ufficiale, per i motivi più
disparati, possono portare a risultati. Le persone ottengono miglioramenti e
si sentono meglio per moltissimi motivi, la maggior parte dei quali
puramente soggettivi; dunque, sarebbe sbagliato negare che ci sono persone
che hanno tratto beneficio dalle pratiche di PNL. Nessuno vuole togliere loro
la propria soddisfazione e i propri risultati, perché sono reali.
Un seminario di PNL frequentato senza particolari problemi personali,
senza aspettative eccessive, senza condizioni pregresse che necessitano di
intervento psicologico o psichiatrico urgente, non è certo un’esperienza che
rovina la vita. Qualche volta può pure essere utile. Se puoi fare a meno di
andarci, anche meglio, ma se proprio ti tocca, basta rimanere consapevoli di
quello che si sta ascoltando, della superficialità di questa pseudo-psicologia
pop e non fidarsene troppo, prendendo quello che c’è di buono e di sensato
e scartando le promesse più estreme.
In più, voglio ribadire ancora una volta la legittimità degli esordi della
PNL: alla sua nascita, era un progetto interessante, emerso in un’epoca di
grande rivoluzione per il mondo della psicologia. Se fosse rimasto
nell’ambito in cui era nato, cioè quello dell’analisi critica delle pratiche di
psicoterapia, probabilmente non saremmo qui a discuterne criticamente.
Alcune delle intuizioni di Bandler e Grinder si sono rivelate realmente
efficaci, e infatti sono entrate nelle pratiche terapeutiche di scuole di
psicoterapia assolutamente rispettabili.
Il grande “peccato” dei fondatori è stato quello di uscire dall’ambito
terapeutico, di smettere di rispettare gli standard scientifici, di farsi
prendere la mano, di farsi sedurre dal denaro facile e di trasformare il loro
lavoro in un pastrocchio senza limiti. E, comunque, qualcuno mi deve
ancora spiegare che cosa diavolo c’entrasse l’informatica in tutto questo.
14
“Scopri se il tuo cervello è logico o creativo!”
La cazzata dei due emisferi
Sono ormai quindici anni che il tema della mente, del cervello,
dell’apprendimento e della memoria rappresenta il mio campo di interesse
principale, una passione che si è trasformata in una vera e propria
professione. Credimi quando ti dico che non esiste al mondo un falso mito
pseudoscientifico sul cervello più diffuso e radicato di questo. Questa
cialtronata è ormai ovunque: se ne sente parlare a eventi di formazione, la si
ritrova in corsi e videocorsi, libri, articoli di blog, post sui social network,
video divulgativi, discorsi al bar, poster motivazionali, magliette, elementi
di arredamento, programmi tv… e la lista è infinita. È impossibile
interessarsi ai temi di cui abbiamo parlato in queste pagine senza imbattersi
almeno una volta in questo concetto.
Naturalmente, si tratta di una sonora cazzata, ma questo lo potevamo
dare per scontato, altrimenti non l’avrei inserita in un capitolo a sé. Molto
più interessante è capire perché sia una cazzata, quale verità nasconde e
perché sia un problema crederci: in fondo, di tutte le bufale che hai scoperto
grazie a me (non ringraziarmi, non sono un eroe), questa potrebbe sembrare
la più innocua, e invece…
Ci arriviamo, ma facciamo le cose per bene, con calma, come sempre.
Partiamo dall’inizio.
Un doppio mito
Cervelli splittati
Multisperimentiamo
0-1-2-3-4-5-6-7-8-9
A-B-C-D-E-F-G-H-I-L
Anche qui, non dovresti aver avuto nessun problema. Niente errori e
ottima velocità.
Ora, invece, prova a pronunciare a voce alta i due elenchi uno dopo
l’altro, senza leggere, andando più velocemente che puoi. Prima tutti i
numeri e poi tutte le lettere, di fila, senza fermarti.
Fatto?
La velocità dovrebbe essersi mantenuta e la facilità anche, magari c’è
stato un millisecondo di incertezza nel passaggio tra un elenco e l’altro,
quando dopo il 9 hai dovuto cominciare con la lettera A, ma tutto sommato
te la sei cavata alla grande.
Adesso viene il bello.
Ora prova a mescolare i due elenchi. Sempre ad alta voce, sempre senza
leggere: prova a pronunciare più velocemente possibile le due liste
alternando un elemento di una e un elemento dell’altra. Vai con 0 - A - 1 - B
e così via. Prova, vai più veloce che puoi.
Come dici? Più o meno a metà cominci a incasinarti? La velocità
diminuisce? Hai commesso errori? Senti molta più fatica cognitiva? Più che
normale: stai saturando la tua memoria di lavoro, che per motivi biologici
ha poco spazio, non può gestire più di pochi elementi in contemporanea,
come ti ho spiegato nel capitolo sulla lettura veloce.
Con l’esercizio delle liste alternate del professor Zocchi la stai
costringendo a mantenere e manipolare in parallelo troppi elementi diversi
tra loro: il cervello comincia a faticare, a rallentare, a sbagliare con sempre
maggiore frequenza. Il multitasking sta mostrando il suo vero volto.
Ti ho convinto? Forse sì, ma sento che non è abbastanza, lo so che sei
una testa dura.
Facciamo un passo in avanti verso il sadismo e aggiungiamo
all’esperimento del professor Zocchi un elemento in più di pura malvagità:
prova a rifare la stessa cosa, ovvero a ripetere le due liste alternate ad alta
voce più velocemente possibile, ma questa volta mentre ti allacci le scarpe.
He he he… Prova, fallo sul serio, e vedi che cosa succede…
Succede un disastro, ecco cosa, perché la tua memoria di lavoro a questo
punto è completamente satura, il tuo sistema esecutivo centrale non sa più
che pesci pigliare e ha rassegnato le dimissioni: ci sono elementi visivi,
procedurali, tattili, uditivi, fonologici che intasano ogni anfratto del tuo
magazzino di lavoro. L’intero sistema è in tilt e Alan Baddeley, l’esimio
scienziato già citato nel sesto capitolo, quello che per primo ha descritto il
funzionamento e la struttura della memoria di lavoro, ti sta cercando con in
mano una katana giapponese.
Ma… pensaci un secondo: stai mandando in pappa il tuo cervello con
che cosa? Con le prime dieci lettere, le prime dieci cifre e una banale
operazione che fai ogni santo giorno in meno di dieci secondi. Immagina
che cosa può accadere se provi a fare multitasking per davvero mentre
studi, con libroni universitari, dispense, articoli, esercizi; o sul luogo di
lavoro, tra mail, procedure, compiti da portare a termine, problemi da
risolvere.
Il vero multitasking è limitatissimo e riguarda solo operazioni
completamente automatiche che non entrano in conflitto fra loro.
Camminare e parlare, ascoltare la musica canticchiando e lavando i piatti,
ascoltare una lezione mentre scarabocchi un foglio (ne riparliamo fra poco),
questo sì che può succedere. Mi dispiace, ma mai, mai e poi mai sarai in
grado di studiare, ragionare, sviluppare creatività e problem-solving mentre
stai eseguendo altri compiti complessi.
E… no, la situazione non cambia per le donne, mi spiace. Gli studi
dimostrano che non esistono sostanziali differenze tra uomo e donna quanto
a multitasking, checché ne dicano i miti e le chiacchiere da bar. Ti lascio in
bibliografia alcuni studi anche su questo, se ancora non ti fidi.
Le uniche eccezioni (forse) riguardano una percentuale minuscola della
popolazione, che mostrerebbe una maggiore tolleranza al multitasking, ma
ancora non ne sappiamo abbastanza. E, comunque, statisticamente, non
riguarda te che leggi in questo momento.
Basta, mi rifiuto di andare oltre. A questo punto avrò spiegato questa
cosa settemila volte con settemila esempi diversi, è “ora di basta”! Accetta
questa verità come Mosè ha accettato le Tavole della Legge: “Undicesimo
comandamento: non commettere atti di multitasking quando studi e lavori”.
Ottimizzare le risorse
Va bene, hai sperimentato, capito e preso atto del fatto che svolgere più
compiti complessi allo stesso tempo è un’eresia che peggiorerà la tua
produttività e ti allontanerà dai tuoi risultati. Ora sei consapevole del fatto
che lo scopo cui tendere è fare una sola cosa per volta e dedicarle tutta la
tua potenza mentale.
Ma che cosa succede quando, indipendentemente dalla nostra volontà,
dobbiamo per forza giocolare con troppe palline? Possiamo sfruttare alcuni
principi e alcune strategie che ci permettano di ottimizzare le nostre risorse
cognitive e massimizzare i nostri risultati, minimizzando al tempo stesso
rischi e problemi. Te ne propongo tre (più uno).
Che cosa ci dicono gli studi scientifici? Uomini e donne sono intelligenti
uguali? Sono più intelligenti le donne? Sono più intelligenti gli uomini? Ai
fini pratici quotidiani potremmo iper-semplificare e dire che, di fatto, sono
intelligenti uguali, ma faremmo un dispetto a chi queste cose le studia per
davvero. Non è così semplice, non lo è mai.
Quello che possiamo osservare, il punto di partenza fondamentale, è che
la distribuzione media di intelligenza tra uomini e donne è praticamente la
stessa, vale a dire che l’uomo medio e la donna media hanno lo stesso
livello di QI. Le due curve di distribuzione sono in larga parte sovrapposte.
Anzi, rubo di peso da un bellissimo libro chiamato Into the know, di Russell
T Warne la figura che rappresenta la curva di distribuzione.
Che ti devo dire… qualcuno ancora la pensa così. Spesso tutti questi
stereotipi legati all’incostanza e alla volubilità sono legati al ciclo
mestruale. Bene, all’Università di Zurigo si sono presi la briga di dimostrare
come non ci sia alcuna correlazione significativa tra l’andamento del ciclo
mestruale e la performance cognitiva delle donne, giusto per stroncare
definitivamente tutti coloro che si permettono di definire le donne “non
adatte alle attività intellettuali”.
Così possiamo finalmente metterci il cuore in pace anche su questo.
E qui mi fermo. Ci sarebbero mille altre cose interessanti da analizzare,
ma rischierei di allontanarmi troppo dalla mia area di competenza. Spero
comunque che questo capitolo possa averti fatto ragionare un po’ su questi
temi, che mi stanno davvero a cuore. Sono convinto che nel mondo dello
studio, della cultura, dell’intelletto, la vera parità di genere e la vera
uguaglianza di opportunità non sia soltanto giusta, doverosa, etica, ma
soprattutto necessaria per lo sviluppo della nostra specie.
E gli stereotipi che ti ho raccontato non sono niente rispetto a quello che
accade a qualche migliaio di chilometri di distanza da noi. Viviamo ancora
in un mondo in cui milioni di donne non hanno accesso all’istruzione o non
possono esprimere al meglio le loro facoltà cognitive per colpa di leggi
repressive, dettami religiosi, tradizioni vetuste e inaccettabili. Non
possiamo permetterlo e non possiamo perdonarlo.
E parlare di queste cose anche in un contesto del tutto diverso, come il
nostro, che sembra ad anni luce di distanza da quella realtà, ci allena a non
dimenticarci di questa battaglia.
17
“Chiunque è un genio, a modo suo”
La cazzata delle intelligenze multiple
Oh, mamma! Siamo quasi arrivati alla fine del libro. Mi tocca tirare
fuori il singolo argomento che può far imbestialire di più chi mi legge, e mi
tocca farlo con un capitolo bello lungo. Mi tocca parlare di intelligenza,
anzi, di intelligenze, al plurale. Questo argomento l’ho lasciato per ultimo
apposta, sperando che tu ti stufassi di leggere prima, perché so bene quanto
possa essere divisivo: è un tema che tocca corde intime della nostra
persona, gioca con convinzioni e credenze profonde, con il nostro ego, con
il modo in cui percepiamo (e immaginiamo) la realtà.
Invece di occupare questo spazio iniziale del capitolo per un rant
sarcastico, quindi, stavolta lo userò per mettere le mani avanti e per
scusarmi in anticipo: mi scuso perché quello che stai per leggere, forse, ti
darà fastidio. Ogni volta che ne parlo online succede il finimondo: ho
imparato che le persone arrivano a starci proprio male e non è qualcosa che
da insegnante e divulgatore mi faccia piacere.
Però.
Però siamo partiti dal presupposto che l’unico modo per imparare
qualcosa su di noi, sul nostro modo di pensare, studiare e imparare è seguire
ciò che dice la scienza. Per onestà intellettuale, quindi, dobbiamo mantenere
questo approccio sempre, anche quando non ci piace, anche quando
distrugge le nostre speranze e le nostre aspettative.
Se ci siamo permessi di ridere insieme di fronte a chi spera di imparare
ascoltando delle voci nel sonno, se abbiamo bacchettato chi scrocca gli
appunti, se abbiamo sfottuto chi crede di manipolare la realtà con la
visualizzazione, allora dobbiamo quantomeno accettare il fatto che
sull’intelligenza, le sue componenti, il suo funzionamento, ci sono realtà
accertate da decenni. Realtà che non sono perfette: la scienza non procede
per Verità assolute, ma per approssimazioni e verità relative, valide fino a
prova contraria. Ci sono sempre errori da correggere, problemi da risolvere,
aree ancora oscure da esplorare.
Ma quello che ti presenterò qui è rappresentativo di ciò che sappiamo
oggi, di ciò che è accettato e applicato da chi studia scientificamente il
fenomeno dell’intelligenza. E, infatti, come sempre, troverai una ricca
bibliografia in cui immergerti, se ti andrà.
Allora… facciamo così: io cerco di essere meno pungente del solito, per
rispetto di un tema che, per la maggioranza delle persone, è delicato. Tu, dal
canto tuo, mi segui fino alla fine e mi dai il beneficio del dubbio.
Partirò dalle intelligenze multiple di Gardner, arriverò al tema del QI
(quoziente d’intelligenza), toccherò pure l’intelligenza emotiva. Farò del
mio meglio per essere chiaro e completo.
Per preparare l’atmosfera, ti dedico una versione da me rivisitata di una
delle frasi motivazionali più condivise sui social network dall’alba dei
tempi. Ovviamente è attribuita ad Einstein, che, altrettanto ovviamente, non
l’ha mai pronunciata:
Se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, passerà tutta la vita a credersi
stupido.
Noi però siamo tutti scimmie e se non riusciamo ad arrampicarci sugli alberi, beh,
tanto intelligenti non siamo.
Ma il QI ha senso?
● comprensione verbale;
● ragionamento visuo-percettivo;
● memoria di lavoro;
● velocità di elaborazione.
Tra l’altro, le cose sono ben più approfondite: ognuna di quelle quattro
dimensioni ha una serie di sottoinsiemi che vengono indagati con test
distinti. Taglio corto, altrimenti non finiamo più.
Credo che già da ora puoi renderti conto della profonda differenza con il
sistema di Gardner. Le intelligenze multiple cercavano di riferirsi ai risultati
finali dell’intelligenza, alle loro manifestazioni nell’attività umana. La
misurazione del QI si riferisce, invece, al funzionamento del cervello, alle
capacità che stanno alla base di qualunque attività umana, in qualunque
campo. Che tu debba curare gardenie, lavorare in un ufficio, risolvere un
problema di matematica, suonare uno strumento musicale, sostenere un
esame universitario, discutere di filosofia o giocare a pallacanestro, avrai
sempre e comunque bisogno di impegnare la tua memoria di lavoro per
elaborare informazioni. E più memoria di lavoro hai e meglio è. Avrai
sempre bisogno di comprendere il tuo contesto e il linguaggio degli altri
esseri umani; avrai sempre bisogno di compiere ragionamenti, percepire e
visualizzare l’ambiente intorno a te e avrai sempre bisogno di rapidità di
pensiero. Più questi elementi saranno sviluppati e migliori risultati otterrai,
in qualunque campo. Più questi elementi saranno sviluppati e… più
intelligente sarai.
Il risultato che emerge dal test del QI, che rappresenta la media tra questi
elementi, è quindi un dato aggregato, non singolo e unidimensionale.
Questo dato può essere espresso con un numero, che, di fatto, indica la
capacità generale del tuo cervello (e del mio e di quello di chiunque) di
risolvere problemi, in qualunque ambito. Ecco, quel numero è il QI, la
misura dell’intelligenza generale. In questi test si cerca di sfruttare prove
che siano il meno possibile legate ad aspetti culturali (anche se vedremo che
questo rimane un problema) e sulle quali sia complicatissimo (se non
impossibile) allenarsi, in modo da rappresentare con quanta più precisione
possibile le capacità di base dell’individuo.
Lo strumento del QI è in uso da decenni e ha tutto quello che alla teoria
di Gardner manca:
I problemi del QI
Ah, non vorrei che poi passasse un messaggio errato: il QI misurato con
il test WAIS-IV è senza alcun dubbio il miglior strumento mai creato per
descrivere e misurare l’intelligenza, ma questo non significa che sia
perfetto. Problemi e limiti ci sono, eccome, te ne elenco alcuni.
E l’intelligenza emotiva?
Ci rileggiamo presto.
Alessandro
GLOSSARIO
Un piccolo supporto nel caso in cui dovessi perderti con tutti questi
paroloni complicati (spesso pure in inglese) sull’apprendimento, il metodo
di studio e il cervello. Rigorosamente in ordine alfabetico.
Introduzione
Parte 1
Capitolo 1
Capitolo 2
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