Le origini del totalitarismo è una delle opere storico-politiche più importanti
del Novecento e la sua prima edizione apparve nel 1951, subito dopo il secondo conflitto mondiale ed in piena guerra fredda. In quest’opera la Arendt voleva in primo luogo narrare e comprendere gli avvenimenti con cui si era dovuta confrontare la sua generazione. Il suo sguardo era rivolto ai crimini nazisti e allo sterminio degli ebrei, allo stalinismo e alle persecuzioni degli oppositori politici. Nella stessa prefazione all’edizione del 1966 la stessa filosofa dichiara come il punto di partenza del suo lavoro fosse cercare di articolare una risposta (o meglio offrire degli spunti di riflessione) alle domande: “Che cosa succedeva? Perché succedeva? Come era potuto succedere?”. L’originalità dell’opera consiste, appunto, nell’analisi delle cause e del funzionamento dei regimi totalitari (nazismo e stalinismo) che, secondo l’autrice, erano qualcosa di molto diverso da altre forme di dittatura, come il fascismo, o regimi autoritari sino ad allora conosciuti. Il contributo del lavoro della Arendt è dunque importante sotto due aspetti: 1. il profilo storico-politico, in quanto viene indagata la storia europea nel periodo compreso tra gli ultimi vent’anni dell’Ottocento fino alla Seconda guerra mondiale. 2. il profilo filosofico-politico, in quanto offre un ideal-tipo del regime totalitario e una nuova categoria storica che, da allora, troverà grande fortuna tra gli studiosi.
Due sono le tesi di fondo dell’opera:
● il concetto di stato totalitario è una novità senza precedenti nella storia, esplicatosi unicamente nella Germania nazista di Hitler e nell’Unione Sovietica di Stalin. ● nonostante le diverse impostazioni ideologiche, dietro i due sistemi c’erano dei punti di contatto che li rendevano assimilabili: stessi scopi e stessa idea totalitaria. L’opera ha un carattere monumentale (circa 700 pagine) ed è divisa in tre parti. Nelle prime due si affrontano le premesse dello stato totalitario, in cui crudeltà e razzismo erano patrimonio dell’Europa già prima dell’avvento del nazismo o dello stalinismo: l’antisemitismo e l’imperialismo. Per quanto riguarda la nascita del totalitarismo nazista, la Arendt ripercorre la condizione degli ebrei dal Medioevo sino alla fine dell’Ottocento, notando come l’antigiudaismo tradizionale fosse stato sostituito da un nuovo razzismo antisemita. Anche l’imperialismo, che aspirava alla dominazione economica e militare delle terre extraeuropee, si nutriva di una forte dose di razzismo biologico. La propugnata superiorità dell’europeo e la sua missione civilizzatrice si accompagnarono infatti alla sperimentazione di vere e proprie tecniche di sterminio.
Nell’ultima e più corposa parte si analizza il fenomeno del totalitarismo. Pur
non avendo mai offerto una definizione della parola, dalla lettura di quest’ultima sezione dell’opera, si può sostenere che uno stato totalitario mira ad ottenere il dominio permanente di ogni singolo individuo in qualsiasi aspetto della vita. Quali sono le condizioni nelle quali è nato un movimento totalitario?
Secondo la Arendt sia il nazismo sia lo stalinismo nascono organizzando e
mobilitando masse di individui provate da congiunture economiche, sociali e politiche tremendamente difficili. All’indomani della Prima guerra mondiale, infatti, il senso di solitudine, scoramento, lacerazione dei legami politici e dei valori tradizionali prevalgono. I regimi totalitari riescono ad offrire risposte ad un bisogno di appartenenza (ad una classe o ad una razza superiore) in grado di sedurre le masse e di mobilitarle per i loro scopi. Com'è organizzato il regime totalitario?
Le caratteristiche fondamentali di un regime totalitario risiedono nel:
● ruolo del capo. La volontà del capo è infallibile, il suo potere è immenso e la sua parola diventa l’unica legge del partito, che tutti sono tenuti a rispettare e far rispettare.
● il ricorso ad una violenza di tipo nuovo. Non si tratta infatti di una
violenza politica temporanea, tipica delle dittature. È la realizzazione di un vero e proprio terrore che induce tutti i cittadini a piegarsi alla volontà del partito e del suo capo. Tale violenza è ottenuta col ricorso alla polizia segreta (che controlla e supervisiona ogni aspetto della vita pubblica e privata dei cittadini) e all’individuazione di un “nemico oggettivo”, che non è tale per qualcosa che ha fatto, ma per qualche caratteristica astratta, generale e definita a priori che possiede (essere ebreo, un contadino ricco ecc.). Secondo la Arendt questa è la vocazione fondamentale dei regimi totalitari: un terrore che mira a spezzare la volontà individuale per uniformarsi al volere del sistema, nella speranza - da parte del soggetto - di essere considerato un “leale cittadino” e non un nemico interno.
● l’annullamento dell’individualità, il dominio totale sull’uomo
considerato essere superfluo al pari di un oggetto, realizzata completamente nei campi di sterminio. È distrutta qualunque forma di spontaneità, personalità, dignità. Prima che fisicamente, dell’uomo si vuole distruggere la sua umanità, la sua libertà. Si vuole far sparire perfino le vittime della memoria, è il dominio totale del potere sull’individuo. Qual è l'essenza del regime totalitario?
Oltre che nel terrore, l’essenza del totalitarismo risiede nell’ideologia
totalitaria. Secondo la Arendt la vera novità di nazismo e stalinismo non sta tanto nell’originalità dei contenuti ideologici in quanto tali. Difatti, entrambi facevano riferimento ad idee elaborate nel XIX secolo: la lotta di classe per il comunismo e la competizione tra le razze per il nazismo. Ciò che risultava nuova era la coerenza logica con cui erano organizzate le ideologie totalitarie.
Tra le caratteristiche delle ideologie totalitarie possiamo dunque rintracciare:
1. la pretesa di spiegare integralmente il passato, il presente e il futuro dell’intera umanità. 2. il totale distacco e indipendenza dalla realtà dei fatti e dall’esperienza concreta e la tendenza a piegare i dati sensibili secondo i propri principi. 3. la coerenza assoluta e la logica ferrea. Quando si presentano delle discrepanze tra la realtà e la visione ideologica, si suppongono dei complotti da smascherare e punire. Qual è la condizione degli individui in un regime totalitario?
All’interno del regime totalitario gli individui provano un totale isolamento
nella sfera politica e un forte senso di straniamento nei rapporti sociali. Si annienta, infatti, in primis la vita politica democratica, la libera comunicazione tra cittadini. Subentra unicamente la paura e il sospetto reciproco, che portano alla distruzione dei legami affettivi e della vita privata. Ogni uomo si sente solo e circondato da potenziali nemici. Ma l’isolamento della società di massa, aggiunge infine la Arendt, è “un costante pericolo” anche dopo la scomparsa del nazismo e dello stalinismo che potrà, anche in futuro, minacciare la libertà politica degli individui. La banalità del male è una delle opere più importanti di Hannah Arendt. Il testo fu redatto nel 1963 a seguito del processo contro il criminale nazista Adolf Heichmann, arrestato in Argentina nel 1960. Durante il processo, al quale prese parte in qualità di inviata speciale del “New Yorker”, Hannah Arendt si rese conto che l’uomo, privo di pensiero, si limita a mettere in pratica gli ordini ricevuti. Le cause dell’antisemitismo, dunque, sono state: 1. l’assenza di scrupoli di coscienza; 2. il meccanicismo nell’eseguire gli ordini. Quando si verificano tali condizioni, l’uomo diventa capace delle più disumane atrocità. A causa di queste sue riflessioni, la Arendt è stata criticata ed additata dal mondo ebraico, al quale ella stessa apparteneva, per aver sottovalutato il fenomeno nazista. La responsabilità di Eichmann, colpevole di aver destinato gli ebrei nei campi di concentramento, fu in qualche modo “tecnica”, ma non per questo meno grave. Tuttavia, interrogato nel corso del processo, l’ex gerarca afferma di aver esclusivamente eseguito degli ordini ricevuti, come se questo bastasse per scagionarlo. La motivazione che Hannah Arendt dà rispetto a questa mancata assunzione di responsabilità e di comprensione della gravità del fenomeno è che i crimini nazisti non sono stati dovuti tanto alla crudeltà dei loro carnefici, ma al fatto che i protagonisti delle atrocità verso gli ebrei si fossero in qualche modo “privati” di pensiero, pienamente inseriti all’interno del meccanismo nazista. I nazisti, quindi, non sarebbero affatto incarnazioni degli aspetti più spregevoli dell’animo umano, ma banali individui inseriti all’interno di un meccanismo infernale. Il che comporta una pericolosa considerazione: chiunque, inserito nello stesso meccanismo, potrebbe agire nello stesso modo. Infatti un buon padre di famiglia, un burocrate, o in generale una persona normale e banale può ritrovarsi a fare del male se inserito in un meccanismo politico–sociale o in un apparato poliziesco che lo spingono ad agire senza pensare. Il nazismo aveva quindi tolto ai tedeschi la capacità di pensare, ovvero di giudicare le proprie azioni. I campi di concentramento non solo hanno distrutto fisicamente ma soprattutto hanno spogliato l’identità di essere uomini, svilendo alla radice la capacità di giudicare i propri atti. In conclusione, Eichmann stesso non sarebbe altro che un uomo comune, superficiale e mediocre, incapace di pensare al valore morale dei propri atti. Dietro questa mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male. Come Eichmann ce ne potrebbero essere altri milioni: il nazismo infatti non incarna il male in sé, ma il fatto di aver condotto uomini banali, a compiere del male atroce. Lo stesso, in una forma leggermente diversa, potrebbe anche essere applicato agli scienziati che hanno lavorato alla bomba atomica senza pensare alle sue conseguenze.