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HANNAH ARENDT

A Marburgo segue le lezioni di Martin Heidegger è un momento cruciale un amore, è


una svolta. un amore perché ne nasce una relazione sentimentale che poi si
interromperà e si tramuterà in amicizia che durerà nel tempo. è una svolta perché con
Heidegger conosce il pensare appassionato, conosce una filosofia che è passione per il
pensiero, vitalità. Lascia la Germania nel 1933 per Parigi, ma con l'invasione e occupazione
tedesca della Francia, fugge in America dove insegna in varie università. Dopo una serie di
saggi nel 1951 esce quello che è il suo capolavoro politico “Le origini del totalitarismo”,
un classico nella storia del pensiero politico del Novecento. Questo testo si occupa della
grande catastrofe della civiltà europea, che porta i campi di sterminio e il totalitarismo.

LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO

Il termine totalitarismo è stato concettualizzato proprio dalla Arendt (il termine


totalitarismo viene coniato dagli antifascisti italiani negli anni '20, Arendt lo
concettualizza). I regimi totalitari sono il nazismo e lo stalinismo, il testo si occupa
soprattutto nel nazismo, partendo da una domanda fondamentale: come è stato
possibile l'orrore di Auschwitz nella culla della civiltà europea, come sia possibile
comprendere questo fenomeno senza giustificarlo? Dire che il nazismo è il prodotto di
qualche fenomeno storico precedente, che c’è una sorta di continuità nella storia
significherebbe giustificare il totalitarismo, e soprattutto giustificare lo sterminio
nazista. per la Arendt il nazismo non è giustificabile ma non è nemmeno spiegabile,
perchè è un fenomeno assolutamente nuovo: la distruzione dell'umano, la
disumanizzazione. La disumanizzazione non è il frutto della crudeltà estrema di
particolari uomini, la storia è infatti piena di episodi cruenti ed efferati, ma il cambio di
prospettiva. In passato i regimi politici si ispiravano al principio del tutto è permesso,
con il nazismo viene applicato il principio del tutto è possibile che ha reso cioè possibile
ridurre creature umane ad automi, a un fascio di nervi in sospeso fra il morire e il vivere,
che ha paragonato l'omicidio di un essere umano a quello di una zanzara. È stato un
processo di nientificazione, il primo passo è l'uccisione della personalità giuridica, cioè
togliere la cittadinanza (i diritti) agli Ebrei tedeschi, il secondo passo è la distruzione
della personalità morale, l’ultimo e più importante è l'uccisione dell'unicità. Per la
Arendt la condizione umana è una condizione di unicità perché ogni essere umano è
differente, è distinto da tutti gli altri: l’uomo è unico nella pluralità. Proprio la riduzione
degli uomini nei campi di sterminio e di concentramento a degli automi è l’uccisione
dell'unicità. Per questo motivo il totalitarismo non è il risultato di un periodo storico
precedente, è vero che l'antisemitismo, l'imperialismo e il colonialismo hanno
alimentato il terreno in cui è cresciuto, hanno favorito la distruzione della condizione
umana (unicità), ma ad Auschwitz si è compiuto il male radicale, il male estremo, il male
assoluto cioè l'assenza del bene o la negazione del bene (Arendt si è laureata con una tesi
su Agostino). Qual è il risultato del libro? La domanda di partenza rimane senza
risposta, non è riuscita a spiegare il nazismo, per trovare una risposta occorre ripensare
l’umano per ripensare la politica, ossia ripensare la politica fondandola sull'ontologia
(cosa vuol dire essere umano, qual è la condizione umana). Il libro seguente (in inglese
The Human condition)cerca proprio di fondare la politica sull’ontologia.
LA CONDIZIONE UMANA
Human condition viene pubblicato nel 1958. Qui sostiene che la condizione umana non
è fondata, come vuole la tradizione filosofica da Platone ad Heidegger, sulla mortalità
dell'uomo, ma sulla natalità. La categoria fondamentale per comprendere l’esistenza
umana politica è la natalità. In una frase molto celebre di The Human condition scrive
«Poiché l’azione è l’attività politica per eccellenza, la natalità e non la mortalità può
essere la categoria centrale del pensiero politico, in quanto questo si distingue da quello
metafisico». Come è possibile? Con il nascere ognuno si mostra unico ed iniziante, il
neonato è colui che appare per la prima volta al mondo e esibisce la sua unicità, il suo
essere diverso da tutti quelli che vivono, sono vissuti e vivranno e si mostra come un
nuovo inizio, simbolo della imprevedibilità, della sorpresa il simbolo di ciò che farà di
nuovo. Ecco, la politica in quanto azione è la seconda nascita.
Che cos’è la politica? È l'agire insieme degli esseri umani che, agendo insieme,
mostrano la loro unicità e la lora capacità di iniziativa. In questo senso la politica è
proprio la seconda scena dopo la nascita. La politica non è morte, è lo spazio dell’azione
aperto dalla collaborazione di più uomini. È anche teatro nel quale ciascuno di noi
interagendo (non esiste azione solitaria)agisce. Così come il neonato nasce e appare agli
altri, la politica è quel teatro in cui ognuno di noi è allo stesso tempo attore e spettatore,
è dunque un teatro interattivo che attualizza, riattualizza, trasporta nel presente la
nascita, ossia quell’annuncio di novità e di iniziativa proprio della nascita.
Scrive la Arendt: “Con la parola e con l’agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo
inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda
realtà della nostra apparenza fisica originale. Questo inserimento non ci viene imposto
dalla necessità, come il lavoro, e non ci è suggerito dall’utilità. Può essere stimolato dalla
presenza di altri di cui desideriamo godere la compagnia, ma non ne è mai condizionato.
II suo impulso scaturisce da quel cominciamento che corrisponde alla nostra nascita, e a
cui reagiamo iniziando qualcosa di nuovo di nostra iniziativa.”
La nascita è un’espulsione, la madre ci mette al mondo e siamo esibiti passivamente,
l'azione invece è una riesibizione voluta da noi, consapevole, intenzionale. “ Il corso
della vita umana diretto verso la morte condurrebbe inevitabilmente ogni vita umana
alla rovina e alla distruzione se non fosse per la facoltà di interromperlo e di iniziare
qualcosa di nuovo, una facoltà che è inerente all’azione come un permanente invito a
ricordare che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per
incominciare”. Questa idea deriva dal nostro modo di rappresentarci la natura come un
ciclo. Eliot scrive: “Aprile è il più crudele di tutti i mesi, genera lillà dalla terra morta,
mescola memoria e desiderio, desta radici sopite con pioggia di primavera. L'inverno ci
tenne al caldo, coprendo la terra di neve immemore…”. Perché? In aprile tutto rinasce,
ma tutto quello che rinasce in primavera poi è destinato a rimorire, per poi ripartire
inesorabilmente con lo stesso ciclo. Rispetto alla natura, la vita umana potrebbe essere
immaginata come una linea retta anomala. La nascita, sebbene sia un fenomeno
biologico, è una interruzione del ciclo naturale. Ciò che cambia è il punto di vista: il
senso dell’esistenza umana non è più dato dalla mortalità, ma è dato dalla natalità.
Il cambio di prospettiva ha innanzitutto una conseguenza politica. Pensando dal punto
di vista della mortalità (es. Platone) si è spinti a fuggire dalla dimensione mortale per
immaginarsi eterni come le idee, come ciò che non muore mai. La Arendt contrappone
alla grande fuga della metafisica che spinge alla ricerca di una nuova dimensione, il
mondo, la mondanità. Ciò significa che non dobbiamo essere interessati da problemi
“metafisici”, ma dal mondo in cui agiamo. Questo è il teatro dove noi ricerchiamo,
giochiamo la nostra felicità politica. (vd. Arist. E The Federalist) Il momento della
politica, dello zoon politicokon è il momento della felicità, della massima realizzazione
dell'umano. A questo proposito cita la celebre frase di Jefferson, ogni generazione
dovrebbe avere la sua rivoluzione, perchè la rivoluzione è un momento di novità.
Naturalmente non intende la rivoluzione in senso violento poichè dove c’è violenza non
c'è politica, ma come il momento in cui gli uomini assieme aprono lo spazio dell’azione.
Nel momento rivoluzionario rinnoviamo la nascita e diventiamo felici nel distinguerci.
La felicità è nell’attualità, nell’istante non nel futuro, intendo dire che il significato
dell'azione non è nel risultato ma nell’azione stessa.

NATALITA’ E TOTALITARISMO
Il vocabolario della Arendt è anomalo, ad esempio il termine politica ha un significato
molto diversa da quello tradizionale. Per la tradizione, politica è un certo ordine, un
sistema di potere, una forma un regime; per Arendt la politica è una performance, è
sempre qualche cosa di agito, è il teatro in cui si esibisce l'unicità. Su questo modo di
intendere la politica si può comprendere il legame tra natalità e totalitarismo. Così come
nel cuore del totalitarismo il male radicale l'uccisione dell'unicità, la trasformazione di
uomini in automi (i prigionieri torturati e uccisi siai gli aguzzini che obbediscono
ciecamente) caratterizza la degenerazione della politica in Occidente, sul teatro della
politica c’è l'esibizione e l’esaltazione dell'unicità. L’unicità è l’iniziativa di chi si esibisce
come unico e insostituibile. Tutto questo coincide la libertà, non libertà da qualche cosa
o libertà di fare qualche cosa, libertà è spontaneità, è il mostrare chi si è. Il chi si è è un
altro concetto fondamentale nel vocabolario della Arendt, e va distinto dal che cosa si è.
La domanda chi sei? Interroga la mia unicità, per questo si manifesta quando
interagisco con gli altri, però non c'è un modo di dire chi sono.
La domanda cosa sono riguarda le mie qualità, i miei modi di essere, il mio carattere. È
possibile dare un definizione di ciò che si è (una donna, un’insegnante, una studiosa di
filosofia). Ma essere una donna o un’insegnante non mi rende unica, ci sono tantissime
altre come me.
É il chi sono a essere fondamentale per comprendere la propria unicità, il chi è indicibile
(non può essere descritto) ma è esibibile attraverso l’azione. Proprio nell’azione politica
posso mostrare l'unicità della mia identità personale e la mia libertà.
Alla luce di quanto detto, si comprende perchè la politica non implichi mai il dominio,
un rapporto di comando e obbedienza, una gerarchia. La politica è un piano orizzontale
di esibizione reciproca e di cooperazione. L’ unicità dunque non è eccezionalità ma è la
nostra condizione, è uno degli snodi fondamentali della costruzione politica.

LA BANALITA’ DEL MALE


La Arendt diventa conosciuta al grande pubblico negli anni 60 in seguito a un libro che
ebbe un grande successo soprattutto perché suscitò grande scandalo. Il libro è intitolato
La banalità del male.
Perchè fece scandalo? Nel 1960 viene catturato in Argentina il gerarca nazista Eichman
e viene illegalmente trasportato a Israele Gerusalemme. Lì viene processato,
riconosciuto colpevole e condannato a morte. La arendt si fa mandare come inviata
speciale dal settimanale New Yorker ad assistere al processo. L'insieme di questi
reportage sarà pubblicato nel 1963 col titolo La banalità del male.
Lei definisce il male di Eichman banale. Dal male radicale teorizzato nelle Origini del
totalitarismo passa al male banale. La Arendt aveva già cominciato a riflettere sul
concetto di radicalità del male, ed era arrivata alla conclusione che non può essere
applicato all'orrore nazista perché la radicalità del male dà l'idea di qualche cosa di
grandioso che rendi i nazisti dei mostri incatalogabili, fuori dalla “normale” storia del
male. Il processo ad Eichman conferma questa idea. Assistendo al processo infatti, si
trova davanti un piccolo borghese, un padre di famiglia non particolarmente cattivo,
non particolarmente stupido che come molti altri in Germania obbedisce alla spirito
della storia, non vuole cioè perdere il treno della storia. Per timore di non fare carriera e
averne danno per lui e per la sua famiglia, diventa un volenteroso carnefice esecutore di
ordini che nel processo si definisce cittadino ideale (cittadino ideale = obbedire, fare il
proprio dovere). Non c'è una volontà nientificatrice ma una grigia banalissima
obbedienza che rende tutto più pericoloso. I mostri, le grandi figure negative esistono
ma sarebbero isolate, in Germania molte persone pur non essendo direttamente agenti
dello sterminio, si resero complici perché non si opponevano. Se nella civilissima
Germania gran parte della popolazione è stata complice, potrebbe succedere ancora
potrebbero cioè crollare di nuovo quei principi morali che prescrivono di non uccidere e
trasformare la popolazione in piccoli esecutori grigi e banali del male. Il vero pericolo
non è il mostro ma la nostra debolezza, l’amore per se stessi e l’incapacità di pensare
criticamente. Scrive in risposta alle accuse: “Ho cambiato idea e non parlo più di "male
radicale". […] Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma
soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca.
Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua
superficie come un fungo. Esso "sfida" […] il pensiero, perché il pensiero cerca di
raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male,
è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene è
profondo e può essere radicale” .Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della
irriflessività. la "normalità" fa sì che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla
società - in questo caso i programmi della Germania nazista - trova luogo di
manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le
applica incondizionatamente . Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come
lui ce n'erano tanti e che quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono
tuttora, terribilmente normali. E questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità
messe insieme, poiché implica che questo nuovo tipo di criminale "commette i suoi
crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce
male. " L'analisi delle interrelazioni fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere
tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro implicazioni morali rappresentano
il nucleo tematico dell'opera . A questo proposito la Arendt si è chiesta se la facoltà di
pensare, nella sua natura e nei suoi attributi intrinseci, coinvolge la possibilità di evitare
di "fare il male". Assistendo al processo Eichmann la Arendt disse: ." mi sono sentita
scioccata perché tutto questo contraddice le nostre teorie di male". La perplessità
davanti ad un fenomeno che ha contraddetto le teorie note di male, e la relazione chiara
tra il problema del male e la facoltà di pensare, era quello che la Arendt ha espresso con
la frase "la banalità del male". Come può dunque la capacità di pensare evitare il male?
Per prima cosa, secondo la Arendt, gli standard etici e morali basati sulle abitudini e
sulle usanze possono essere cambiati da un nuovo insieme di regole di comportamento
dettate dalla società. Non tutti aderiscono ovviamente al regime malgrado ogni
coercizione, come è possibile?. A tale domanda risponde in maniera semplice: i non
partecipanti, chiamati irresponsabili dalla maggioranza, sono gli unici che osano essere
"giudicati da loro stessi", e sono capaci di farlo non perché posseggano un miglior
sistema di valori o perché i vecchi standard di "giusto e sbagliato" siano fermamente
radicati nella loro mente e nella loro coscienza, ma perché essi si domandano fino a che
punto sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe
azioni.Il pensiero è quella facoltà che ci consente di opporci, non è una questione di
elevata intelligenza ma semplicemente l'abitudine di vivere insieme, e in particolare con
se stessi, significa dialogare con se stessi, significa pensare come diceva Socrate.
L'incapacità di pensare non è stupidità ma è l’incapacità, appunto, di dialogare con se
stessi, l’unica vera causa del male. Dunque l'uso del pensiero previene il male, e il
dialogo socratico è il modello di questo pensiero. La manifestazione del pensiero è
capace di provocare perplessità e obbliga l'uomo a riflettere e a pronunziare un giudizio.
Banalità significa 'senza radici', non radicato nei 'motivi cattivi' o 'impulso' o forza di
'tentazione'.
La banalità del male provoca scandalo, innazitutto perchè la Arendt si interroga sulla
legitttimità dello Stato di Israele di giudicare un crimine contro l’umanità, poi perchè
dice che se le autorità ebraiche non avessero collaborato coi nazisti in tutte le fasi della
soluzione finale (classificazione, rastrellamento, trasporto, internamento, genocidio
eliminazione dei cadaveri) ci sarebbero stati meno morti “La verità vera era che sia sul
piano locale che su quello internazionale c'erano state comunità ebraiche, partiti ebraici,
organizzazioni assistenziali. Ovunque c'erano ebrei, c'erano stati capi riconosciuti, e
questi capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti. La verità vera era
che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci
sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni”.
Questa farse costa alla Arendt l’accusa di antisemitismo da parte dell'intera comunità
ebraica mondiale, naturalmente manterrà qualche amico intelletuale fa gli ebrei
americani e fra gli ebrei europei ma sarà accusata di essere antisemita.

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