Sei sulla pagina 1di 0

TFO - Tesi Filosofiche Online - Online Philosophical Theses

SWIF Sito Web Italiano per la Filosofia





Note sul diritto d'autore


I diritti relativi alle tesi sono dei rispettivi autori.
consentita la copia per uso esclusivamente personale.
Sono consentite, inoltre, le citazioni a titolo di cronaca,
studio, critica o recensione, purch accompagnate
dall'idoneo riferimento bibliografico. Si richiede, ove
possibile, l'indicazione della fonte "TFO-SWIF",
incluso l'URL www.swif.it/tfo.

TFO-SWIF delega la responsabilit per il contenuto
delle singole tesi ai rispettivi autori.

TFO-SWIF declina qualsiasi responsabilit (espressa,
implicita o di legge, inclusa la violazione dei diritti di
propriet e danni da mancato guadagno) in riferimento
al servizio offerto, alle tesi pubblicate, alle
informazioni in esse contenute (incluso accuratezza e
legalit) e ad ogni altro contenuto, anche di terze parti,
presente sul sito TFO-SWIF.

TFO-SWIF non responsabile per alcun danno causato
dalla perdita, cancellazione o alterazione, momentanea
o definitiva, delle tesi.

TFO-SWIF non pu, in nessun caso, essere ritenuto
responsabile per danni o perdite di qualsiasi natura che
l'Utente assuma di aver subito per l'effetto del mancato
funzionamento di qualsiasi servizio offerto e/o per la
mancata ricezione di informazioni e/o per la loro
inesattezza o incompletezza.

TFO-SWIF si riserva il diritto di cancellare ogni
contenuto, che per leggi sopravvenute non rispetti pi
le limitazioni della giurisprudenza o le nuove
condizioni del servizio stabilite.

L'autore ha autorizzato TFO-SWIF al trattamento dei
suoi dati personali ai sensi e nei limiti di cui alla legge
675/96.
Copyright Information


The copyright of each thesis belongs to the respective
author. The copy is allowed only for personal use. The
quotations are allowed for chronicle, study, criticism or
review, but they must have the right bibliographic
reference. If possible, there will must be the indication
of the source "TFO-SWIF", inclusive of the URL
www.swif.it/tfo.

TFO-SWIF delegates to the respective author the
responsability for the content of each thesis.

TFO-SWIF declines all explicit, implicit or juridical
responsability (the violation of property rights and the
damages for non-earnings included), with reference to
the offered service, to the published theses and to the
contained informations (precision and legality
included) and to all contents (of a third party, too) in
the TFO-SWIF site.

TFO-SWIF is not responsibal for any damage caused
from the temporary or absolute loss, cancelling or
alteration of the theses.

TFO-SWIF can under no circumstances be thought
responsible for damages or losses of any nature, that
the User assumes to have suffered, for consequence of
any offered service or of the unsuccessful reception,
uncertainty or incompleteness of information.


TFO-SWIF reserves the right to cancel all contents that
in consequence of new laws don't respect the juridical
limitations or the new conditions of service.


The author allowed TFO-SWIF to the treatment of own
personal data (Italian Law n. 675/96).





SWIF Sito Web Italiano per la Filosofia

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI
FEDERICO II
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA
TESI DI LAUREA
IN
STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE
LA CATEGORIA TOTALITARISMO
NELLA PROSPETTIVA DEL PENSIERO
DI HANNAH ARENDT
Relatore:
Ch.mo prof.
GIANFRANCO BORRELLI
ANNO ACCADEMICO 1997-98
Candidata:
FILOMENA CASTALDO
matr.: 04/9096
CAPI TOLO PRI MO
GENEALOGIA E TOPOLOGIA
DI UN CONCETTO ATTRAVERSO
LE INTERPRETAZIONI
STORICO-FILOSOFICHE
DAGLI ANNI 30 AGLI ANNI 50
Possiamo prendere tutti i termini,
tutte le espressioni del nostro
vocabolario politico,
e aprirli;
al loro interno troveremo
il vuoto.
(S. Weil)
3
1. I l concetto totalitarismo
A cosa rinvia la semantica totalitarismo?
1
E una categoria politica nuova, tutta novecente-
sca? Va considerata per la sua validit euristica oppu-
re no? E qual il quid novi che la caratterizza come
forma politica che si storicamente concretizzata e
che Hannah Arendt profeticamente aveva individuato
nei soli regimi di Hitler in Germania e di Stalin in
Russia?
Un punto dobbiamo tener ben fermo: il totalitari-
smo non autoritarismo.
2
1
In termini generali si veda: M. Stoppino, Totalitarismo, in N. Bobbio,
N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Torino, UTET, 1983;
V. Dini, Totalitarismo e filosofia, un concetto tra descrizione e com-
prensione, in Filosofia politica, a. XI, n. 1, aprile 1997; M. Tarchi, Il
totalitarismo nel dibattito politologico, in Filosofia politica, a. XI,
cit., pp. 63-79.
2
Sul piano lessicale, prima ancora che concettuale, si registra, in parti-
colar modo nei testi di alcuni esponenti del mondo intellettuale tedesco
degli anni 30, una certa confusione ed un uso spesso interscambiabile
dei termini autoritario e totale, pur avendo come obiettivo polemico
comune la forma-Stato moderna. Cos fa notare C. Galli: Si pu fin
______________________________
4
In generale, si considerano autoritari tutti quei
regimi non democratici, caratterizzati dallassenza del
parlamento e delle elezioni popolari, o da una loro at-
tivit apparente, nonch dallindiscusso predominio del
vertice dellesecutivo. E assente la libert dei sottosi-
stemi, sia formale che effettiva: lopposizione politica
soppressa o imbavagliata; il pluralismo dei partiti
dora affermare che totalit vale sempre per corpo sociale integral-
mente politicizzato e integralmente conflittuale, e, in parallelo, per
estensione integrale della politica; insomma, per la sua onnipervasivi-
t. E che autorit termine a minore capacit denotativa e di uso pi
generico, cos da valere per sovranit, potere, governo; ma che in
generale assume pi spesso valenze di stabilizzazione politica. E cos
possibile rigorizzare, senza violentarne lo spirito, le diverse posizioni e
sostenere che la locuzione Stato totale pare pi orientata a descrivere -
al di l del valore che i singoli autori ne danno -una situazione che ten-
denzialmente supera o sfonda, o comunque confonde portandole allestre-
mo, le logiche e gli assetti politico-istituzionali dello Stato moderno;
mentre lespressione Stato autoritario - differenziato da una forma po-
litica obsoleta come il tradizionale Obrigkeitsstaat- si pu intendere una
strategia di rivitalizzazione, pur nelle mutate condizioni, del comando
dello Stato sulla societ, in una ritrovata distinzione e gerarchizzazione
dei due ambiti in una rinnovata articolazione per cerchie del corpo
sociale. C. Galli, Strategie della totalit, in Filosofia politica, cit.,
pp. 27-61.
______________________________
5
vietato o ridotto a simulacro; lautonomia degli altri
gruppi tollerata o distrutta, secondo linteresse del
capo o delllite al governo.
E chiaro che, in questo senso molto generale, il
concetto di autoritarismo pu ricomprendere legitti-
mamente quello di totalitarismo, svuotandolo, per,
facendo del secondo un indicatore di intensit di certi
tratti del contesto autoritario, privando, cio, il con-
cetto di totalitarismo di una specificit che pure va ri-
conosciuta.
Il sociologo politico Juan J. Linz, nel suo Totali-
tarian and Authoritarian Regimes,
3
definisce i regimi
autoritari come sistemi politici con un pluralismo li-
mitato e non responsabile; senza una ideologia elabo-
rata e propulsiva (ma con delle caratteristiche menta-
lit); senza una mobilitazione politica intensa o vasta
(eccetto che in taluni momenti del loro sviluppo); in
3
J. J. Linz, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Greenstein e Pol-
sby (a cura di), Handbook of Political Science, Addison-Wesley, Rea-
ding (Mass.), 1975.
______________________________
6
cui un capo (talora un piccolo gruppo) esercita il pote-
re entro limiti che sono formalmente mal definiti ma
di fatto agevolmente prevedibili.
Il totalitarismo speculare ed opposto.
Lo stesso Linz, precisando i limiti e i confini tra
totalitarismo-democrazia e totalitarismo-autoritari-
smo, presenta una teoria secondo cui gli elementi in-
dispensabili per definire totalitario un sistema politi-
co sono: 1) lideologia, fonte di legittimazione del
potere e della prassi; 2) un partito unico di massa, stru-
mento di pressione sulla popolazione; 3) una leader-
ship, sia individuale che di una lite di dirigenti che
operano senza limiti legali definiti.
Riconosce, invece, come autoritari i regimi post-
totalitari, rappresentati dai sistemi comunisti dopo
il processo di destalinizzazione, risultato combinato
da un pluralismo limitato e in conflitto, da una par-
ziale depoliticizzazione delle masse, da un ruolo at-
tenuato del partito unico e della ideologia, da unac-
centuata burocratizzazione; ed un totalitarismo im-
7
perfetto, che di solito una fase transitoria di un si-
stema politico il cui sviluppo verso il totalitarismo
viene arrestato per poi trasformarsi in qualche altro
regime autoritario.
Con Roman Schnur,
4
possiamo aggiungere che un
elemento fondamentale della distinzione tra autoritari-
smo e totalitarismo che se il primo tende a proporre
una visione del potere sovrano come qualcosa di este-
riore, utilizzabile cio per ottenere unobbedienza este-
riore, senza che con ci venga mai toccata la loro inte-
riorit, la coscienza, il secondo mira a piegare e di-
struggere linteriorit non solo perch non ci sia oppo-
sizione, quanto per creare un uomo nuovo, una realt
nuova secondo un preciso scopo ideologico, secondo
la volont di chi detiene il potere.
Il regime totalitario nella sua fase iniziale deve
comportarsi come una tirannide e radere al suolo i
limiti posti dalle leggi umane. Ma esso non lascia
4
R. Schnur, Individualismo e assolutismo, Milano, Giuffr, 1979.
______________________________
8
dietro di s lillegalit arbitraria e non infierisce per
imporre la volont tirannica o il potere dispotico di
un individuo su tutti gli altri e, men che meno, lanar-
chia di una guerra di tutti contro tutti.
Sostituisce ai limiti e ai canali di comunicazione
fra i singoli un vincolo di ferro, che li tiene cos stret-
tamente uniti da far sparire la loro pluralit in un uni-
co uomo di dimensioni gigantesche.
Abolire i confini delle leggi fra gli individui,
come fa la tirannide, significa annullare le libert
umane, distruggere la libert come realt politica vi-
vente; perch lo spazio fra gli individui, com cir-
coscritto dalle leggi, lo spazio vivo della libert.
Il terrore totale usa questo vecchio strumento del-
la tirannide, ma distrugge allo stesso tempo quel de-
serto, senza leggi e senza barriere, dominato dalla
reciproca diffidenza, che propriamente della tiran-
nide.
Questo deserto non era, certo, uno spazio vivo di
libert, ma lasciava ancora un po di posto ai movi-
9
menti timorosi e alle caute azioni dei suoi abitanti.
5
Se, cio, sotto un governo autoritario e tirannico, ci
sono margini perch si crei unopposizione, perch le
persone dissenzienti possano in qualche modo opera-
re ed agire, con il totalitarismo siamo al grado zero
della comunicazione e delle differenze, al conformi-
smo come alienazione dalla politica e dal mondo, al
dominio che permea le coscienze in modo totale.
La Arendt utilizza limmagine della cipolla per foca-
lizzare il concetto di totalitarismo: al centro quasi in uno
spazio vuoto, si trova il capo. Quale che sia la funzione di
questi (integrare il corpo sociale, come una gerarchia au-
toritaria, o opprimere i sudditi, come un tiranno), egli la
compie dallinterno non dallesterno o dallalto. Tutte le
innumerevoli parti del movimento: le organizzazioni col-
laterali extra-partitiche, le varie associazioni professiona-
li, gli iscritti al partito, la burocrazia del partito, le forma-
5
H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, Harcourt, Brace &World,
Inc., III ed. New York, 1966; trad. it. Le origini del totalitarismo, a cura
di A. Guadagnin, Milano, Edizioni di Comunit, 1996.
______________________________
10
zioni di lite e i gruppi di polizia sono reciprocamente in
una relazione tale da costituire, a seconda del punto di
vista, la superficie o il centro della cipolla: cio, rispetto a
uno strato costituiscono il normale mondo esterno, men-
tre rispetto ad un altro rappresentano il radicalismo pi
estremista. Il grande vantaggio del sistema di fornire a
ciascuno strato del movimento, nonostante il regime tota-
litario, la finzione di una realt normale, insieme, la con-
vinzione di differenziarsene e di essere pi radicale (...).
La struttura a cipolla rende il sistema organizzativamente
inattaccabile dallurto della realt effettiva.
6
Tendenzialmente - tale la proposta di B. R. Bar-
ber
7
- nel definire il totalitarismo si fa riferimento a
due approcci, luno essenzialista, che, generalmente
legato a spiegazioni monocausali, procede attraver-
6
H. Arendt, What is Authority?, in Between Past and Future, London,
Faber & Faber, 1961; trad. it. Che cos lautorit? in Tra passato e
futuro, Milano, Garzanti, 1991.
7
B. R. Barber, Conceptual Foundations of Totalitarianism, in C. J. Frie-
derich, M. Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism im Perspective: Three
Views, New York, Praeger, 1969.
______________________________
11
so ricostruzioni impressionistiche piuttosto che per
riscontri empirici, e tende a sottolineare propriet
astratte e non misurabili, come gli scopi ultimi e i
connotati ideologici, dei regimi che sono considera-
ti totalitari;
8
laltro fenomenologico, che analizza
quegli stessi regimi in una prospettiva multifatto-
riale empirica, cercando di isolarne gli attributi obiet-
tivi, le caratteristiche formali e al limite misurabili,
con la dichiarata intenzione di tracciare un modello
di totalitarismo e gettare le basi di una teoria che
possa spiegarne la genesi e gli sviluppi, stabilendo
nel contempo precise frontiere del campo di appli-
cazione della parola.
9
Decisive sono le puntualizzazioni di L.
Schapiro,
10
che insiste sul carattere analitico-descrit-
tivo del termine in oggetto in relazione a regimi del
8
M. Tarchi, Il totalitarismo nel dibattito politologico, in Filosofia po-
litica, cit., p. 67.
9
Ibidem.
10
L. Schapiro, Totalitarianism, Pall Mall, Londra, 1972.
______________________________
12
nostro tempo che sarebbero altrimenti analizzati con
categorie anacronistiche e non esaustive.
Gi nel 1956 Carl J. Friederich e Zbigniew K.
Brzezinski avevano colto la nuova portata politica del
totalitarismo, fenomeno storicamente unico e sui ge-
neris, riconoscendo questi caratteri: 1) esistenza di una
ideologia ufficiale, riguardante tutti gli aspetti della
esistenza e dellattivit delluomo; 2) partito unico di
massa guidato da un dittatore e strutturato gerarchica-
mente in modo da garantire capillarmente ladesione
allideologia e alla volont del capo; 3) sistema terro-
ristico poliziesco che controlla i nemici reali e poten-
ziali, nonch il partito stesso; 4) monopolio tenden-
zialmente assoluto dei media; 5) monopolio tenden-
zialmente assoluto degli armamenti sulla base della
tecnologia moderna; 6) direzione centralizzata del-
leconomia.
Definendo i regimi fascisti e comunisti fonda-
mentalmente simili, applicando letichetta di dittatu-
re totalitarie anche alle democrazie popolari dellEu-
13
ropa orientale e alla Cina maoista, gli autori di Totali-
tarian Dictatorship and Autocracy
11
hanno descritto
il totalitarismo come sindrome totalitaria, cio come
un insieme di caratteri interrelati che tipizza taluni si-
stemi politici. Di tale modello, tuttavia, sono stati sot-
tolineati spesso i punti deboli: essenzialmente si tratta
di un modello statico, di natura monolitica, che non d
grande spazio al mutamento e alla dinamica interna
del sistema.
Ribadendo che un concetto analitico rimane pa-
trimonio conoscitivo anche se la realt da esso richia-
mata non pi presente,
12
Domenico Fisichella ac-
coglie le tesi di Hannah Arendt in Le origini del tota-
litarismo e assegna al concetto di totalitarismo, pur-
ch corroborato in chiave di analisi delle condizio-
11
C. J. Friederich e Z. K. Brezinski, Totalitarian Dictatorschip and
Autocracy, Harvard University Press, 1956. Tale testo, in merito, con-
siderato, parimenti a quello della Arendt, un classico di teoria politica.
12
D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, Roma, NIS,
1987, p. 20.
______________________________
14
ni, oltre che un ufficio di interpretazione storica, an-
che la portata di una categoria predittiva.
Egli non considera il totalitarismo in modo mo-
nolitico, pur se lispirazione monistica; ne riconosce
la vocazione e la carica antipluralista.
Il regime totalitario, dunque, non un sistema
pluripartitico, rappresentativo-competitivo, pluralistico
in senso liberale;
13
connotato dallassenza di strut-
ture e controlli parlamentari, dalla presenza di un par-
tito unico, dal rifiuto del pluralismo a pro dellunitari-
smo e dellonnicomprensivit.
14
Unattenzione particolare assegnata allideolo-
gia di chi detiene il potere, al terrore come principio
politico, al disordine istituzionalizzato, il quale , per
cos dire, il nucleo genetico e il perno della sua dina-
micit.
In questa considerazione idealtipica, lanalisi fe-
13
Ibidem, p. 22.
14
Ibidem, p. 15.
______________________________
15
nomenologico-descrittiva si arricchisce di contenuti
empirici che non sono destinati comunque a genera-
lizzazioni ed appiattimenti.
Nel lessico storiografico, invece, le cose non sono
considerate in modo sufficientemente chiaro: non
infrequente che gli storici replichino contro la univo-
cit del concetto e quel metodo di reductio ad unum
tipico delle scienze politologiche.
Ne Il Secolo breve, Eric J. Hobsbawn scrive con
una certa imprecisione: Fino al 1945 il termine tota-
litarismo, originariamente inventato per descrivere il
fascismo italiano (e usato con questa funzione dai fa-
scisti stessi), fu applicato soltanto ai regimi fascisti o
filofascisti.
15
E pi semplice la ricezione nellassunto politico
piuttosto che la problematizzazione del concetto sotto
il profilo storico. Pensiamo a quanto scrivono Frano-
15
E. J. Hobsbawn, Age of Extremes. The Short Twentieth Century 1914-
1991, 1994; trad. it. Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995.
______________________________
16
is Furet,
16
Renzo De Felice,
17
Emilio Gentile
18
ed Enzo
Collotti,
19
autori che ne marcano, comunque, la margi-
nalit. Totalitarismo, nelle migliori delle ipotesi, con-
siderato un concetto polisemico, che si connota secon-
do il contesto di applicazione, un parametro, cio, con
cui misurare la realt storica senza peraltro estinguer-
la in esso. Lobiezione fondamentale degli storici
non solo lestensione del concetto a diverse espe-
rienze storiche dallantichit ad oggi, ma, soprattut-
to, di aver accentuato le analogie piuttosto che le dif-
ferenze di ideologia e di base sociale dei due eventi
a cui sottendono lesperienza nazionalsocialista e
lesperienza comunista. Differenze sostanziali ci sono,
eccome!, con effetti rilevanti sulla stessa prassi totalitaria,
16
F. Furet, Le pass dune illusion, Paris, Editions Robert Laffont, 1995;
trad. it. Il passato di un illusione, Milano, Mondadori, 1995.
17
R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma - Bari, Laterza,
1991.
18
E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel
regime fascista, Roma, NIS, 1995.
19
E. Collotti, Fascismo, fascismi, Firenze, Sansoni, 1989.
______________________________
17
ma si potrebbe dire che queste obiezioni non sono perti-
nenti a delegittimare luso del concetto di totalitarismo per-
ch, pur se con contenuti diversi, si possono costruire prassi
di dominio politico sostanzialmente analoghe, come ac-
caduto, appunto, per la Germania hitleriana e per la Rus-
sia staliniana, pi precisamente dopo il 1930. E dobbli-
go, tuttavia, che gli storici di professione comincino a mi-
surarsi in sede critica con le esperienze storiche che sot-
tendono alla nozione totalitarismo, al fine di evitare con-
fusioni e pregiudizi che possano inficiare il modello inter-
pretativo, in modo particolare oggi, in tempo di revisioni-
smo storico, e promuovere ricerche comparate sui paesi
definiti totalitari.
20
20
Di questo avviso ci sembrano G. Ruocco e L. Scuccimarra, Totalitari-
smo e ricerca storica, in Storica, a. II, n. 6/1996; B. Bongiovanni,
Revisionismo e totalitarismo, in Teoria politica, a. XIII, n. 1/1997. Di
recente si tenuto un convegno internazionale organizzato dalla citt di
Siena su Lesperienza totalitaria nel XX secolo, Certosa di Pontigna-
no, 28 settembre - 1 ottobre 1997, i cui atti sono apparsi in forma meno
elaborata in Aa. Vv., Nazismo, fascismo, comunismo. Totalitarismi a
confronto, a cura di M. Flores, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998.
______________________________
18
2. Genealogia del termine totalitarismo
1. Area italiana
Il termine totalitarismo viene per la prima volta ado-
perato in forma aggettivata e in un significato del tutto
negativo dallitaliano Giovanni Amendola in un suo arti-
colo del 22 maggio 1923, a proposito della manomissione
generale da parte dei fascisti delle elezioni amministrati-
ve: il partito dominante aveva presentato la lista di mag-
gioranza e di minoranza, evitando con la forza e linsinua-
zione la formazione di una lista di opposizione ed ogni
fisiologica dialettica politica.
Amendola chiama questo modo di procedere si-
stema totalitario, cio promessa del dominio asso-
luto e dello spadroneggiamento completo ed incon-
trollato nel campo della vita politica ed amministra-
tiva.
21
21
G. Amendola, Maggioranza e minoranza, in Il Mondo, 12 maggio
1923 e in Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1960.
______________________________
19
La parola totalitario, sottolinea il Petersen,
22

usata qui in senso quasi tecnico, indicando un nuovo
sistema elettorale in sostituzione di quello maggio-
ritario e minoritario, anche se lopposizione aventi-
niana mal riusciva a definire la sostituzione del si-
stema parlamentare pluralistico con una dittatura
unipartitica. Nellarticolo del 28 giugno 1923 Amen-
dola applica questa sua interpretazione al dibattito
sulla legge Acerbo: egli attaccava il tentativo fasci-
sta di fare di Cavour lispiratore divino della rifor-
ma elettorale fascista e del sistema totalitario, si
opponeva allimmagine di un Cavour plasmatore
elettorale di un gregge di ascari totalitari.
23
La distruzione del sistema pluralistico e dello sta-
to di diritto veniva sentito pi profondamente in quei
settori della societ italiana dove andava maturando,
22
J. Petersen, La nascita del concetto di Stato totalitario in Italia, in
Annali dell Istituto storico italo-germanico in Trento, I, 1975, pp.
143-168.
23
G. Amendola, Cavour e Pansoja, in Il Mondo, 28 giugno 1923 e in
Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, cit.
______________________________
20
talora con enfasi apocalittiche, lidea di essere di fron-
te a una trasformazione politica e istituzionale di tipo
dittatoriale e totalitaria. Pensiamo allopposizione anti-
fascista liberale, democratica, socialista e cattolica.
Pensiamo a Salvatorelli, a Ferrero, a Gobetti, a Turati,
a Lelio Basso.
Ad Amendola come a Sturzo, gi alla fine del
1923, la caratteristica propria del moto fascista appar-
ve lo spirito totalitario, il quale non consente allav-
venire di avere albe che non saranno salutate col gesto
romano, come non consente al presente di nutrire ani-
me che non siano piegate alla confessione: credo.
Questa singolare guerra di religione che da oltre un
anno imperversa in Italia non vi offre una fede (...) ma
in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza -
la vostra e non laltrui- e vi preclude con una plumbea
ipoteca lavvenire.
24
24
G. Amendola, Un anno dopo, in Il Mondo, 22 novembre 1923;
anche in Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, cit.
______________________________
21
Nel gennaio del 1924, Monti scrisse ne La Rivo-
luzione Liberale che il fascismo si accingeva a fare
dopo le elezioni totalitarie nei comuni e nelle provin-
ce, lelezione totalitaria per la Camera dei deputati.
Sturzo descrisse la nuova concezione fascista di stato-
partito tendente alla trasformazione totalitaria di ogni
e qualsiasi forza morale, culturale, politica, religiosa.
Occupandosi delle elezioni parlamentari nella prima-
vera del 1924, Gobetti parl dei piani governativi
che puntavano sul gioco totalitario della demagogia
fascista. Egli riteneva che Mussolini non sarebbe mai
potuto diventare un tiranno, i suoi restavano sogni
totalitari.
Anche il Giordani, sulle pagine del Popolo, nel
maggio del 1924, scrisse della anima totalitaria del
fascismo e dei suoi quadri delloccupazione totalita-
ria.
Tra il giugno e il dicembre del 1924 sembra che il
termine totalitario sparisca dal vocabolario dellop-
posizione, come se la questione morale dovesse esse-
22
re combattuta non gi sul piano del nascente novus
ordo statale quanto su quello etico.
Tenta di sostantivare laggettivo Lelio Basso, in un
intervento pubblicato su La Rivoluzione liberale del 2
gennaio 1925, accusando il primo ministro di voler im-
porre legemonia di un solo partito che si fa interprete
dellunanime volere, del totalitarismo indistinto.
25
Nel discorso del 15 giugno 1925, alla chiusura
del primo e ultimo congresso dellUnione Nazionale,
Amendola stigmatizza il fascismo per la sua feroce
intransigenza, la sua ansiosa volont totalitaria. E
Mussolini, nel suo discorso del 22 giugno 1925, ri-
prende la citazione letterale del discorso amendoliano
parlando della nostra feroce volont totalitaria e di
fascistizzare la nazione al cento per cento.
Questo certamente un punto dincrocio, il mo-
mento in cui il concetto totalitario come espressione
25
Prometeo Filodemo (L. Basso), Lantistato, in La Rivoluzione libe-
rale, 2 gennaio 1925, ora in Le riviste di Pietro Gobetti, a cura di L.
Basso e L. Anderlini, Milano, Feltrinelli, 1961.
______________________________
23
della tenace volont di opposizione liberaldemocrati-
ca antifascista viene usurpato dal fascismo stesso per
una nuova valenza affatto positiva: Totalitario espri-
me (...) uno spirito fiero e la determinazione di una
totale trasformazione della societ, in parte attraverso
una sorta di monismo religioso e in parte attraverso la
sana ordalia della violenza- molto nello spirito dello
squadrismo.
26
Mussolini sottolinea la nuova centra-
lit dello Stato nel contesto della vita sociale, elabo-
rando la formula tutto nello Stato, niente al di fuori
dello Stato, nulla contro lo Stato.
27
Dichiara Forges Davanzati in un suo discorso al-
lIstituto di cultura a Firenze del 28 febbraio 1926:
Se gli avversari ci dicono che siamo totalitari, che
siamo domenicani, che siamo intransigenti, che siamo
tirannici, non vi spaventate di questi aggettivi.
26
A. Gleason, Totalitarianism. The Inner History of the Cold War,
NewYork- Oxford, Oxford University Press, 1995.
27
B. Mussolini, Discorso del 28 ottobre 1925, in Id., Opera Omnia, a
cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice, 1967, XXI, p. 425.
______________________________
24
Prendeteli con onore ed orgoglio... S, siamo tota-
litari! Vogliamo essere tali, dal mattino alla sera,...
vogliamo essere domenicani..., vogliamo essere tiran-
nici!.
28
Nella voce Fascismo della Enciclopedia Ita-
liana, attribuita a Benito Mussolini e in parte anche a
Giovanni Gentile, il filosofo che ha offerto il suo ma-
gistero come sostrato ideologico di tale movimento,
laggettivo totalitario cos formalizzato: Antiindi-
vidualistica, la concezione fascista per lo stato; ed
per lindividuo in quanto esso coincide con lo stato,
coscienza e volont universale delluomo nella sua
esistenza storica (...). E se la libert deve essere lattri-
buto delluomo reale, e non di quellastratto fantoccio
a cui pensava il liberalismo individualistico, il fasci-
smo per la libert. E per la sola libert che possa
essere una cosa seria, la libert dello stato e dellindi-
viduo nello stato. Giacch per il fascista, tutto nello
28
R. Forges Davanzati, Fascismo e cultura, Firenze 1926, p. 39 e ss.
______________________________
25
stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno
ha valore, fuori dello stato. In tal senso il fascismo
totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unit di ogni
valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del
popolo.
29
E, dunque, forte la connotazione statalista del
termine totalitario nel seno del regime fascista.
Gi in un corso di lezioni di filosofia del diritto svolto
allUniversit di Pisa, Gentile aveva contrapposto alla so-
cietas inter homines una societas in interiore homine.
Quando la sua dottrina dello stato sar elevata a dottrina
quasi ufficiale del regime fascista, nel primo Discorso di
religione, fa la sua apparizione lo stato in interiore homi-
ne, contrapposto allo stato esterno, esteriorizzato, del libe-
ralismo individualistico.
Lo stato, come oggi dovremmo cominciare a sa-
per bene tutti, non inter homines, ma in interiore
29
Voce Fascismo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell Enci-
clopedia Italiana, 1932, XIV, p. 847.
______________________________
26
homine. Non quello che vediamo sopra di noi; ma
quello che realizziamo dentro di noi, con lopera no-
stra, di tutti i giorni e di tutti gli istanti; non soltanto
entrando in rapporto con gli altri, ma anche semplice-
mente pensando, e creando col pensiero una realt, un
movimento spirituale, che prima o poi influir sul-
lesterno, modificandolo.
30
La stessa accezione positiva nella rivendicazione
fatta pi tardi da Pio IX, in polemica concorrenza con il
fascismo: Cos si dice un po dappertutto: tutto deve es-
sere dello Stato, ed ecco lo Stato totalitario, come lo si
chiama: nulla senza lo Stato, tutto allo Stato. Ma in ci vi
una falsit cos evidente, che fa meraviglia che uomini,
del resto seri e dotati di talento, lo dicano e lo insegnino
alle folle. Infatti come lo Stato potrebbe essere veramente
totalitario, dare tutto allindividuo e chiedergli tutto; come
potrebbe dare tutto allindividuo per la sua perfezione in-
teriore - perch si tratta di cristiani - per la santificazione e
30
G. Gentile, Discorsi di religione, Firenze, Sansoni, 1957, p. 25.
______________________________
27
la glorificazione delle anime? Perci quante cose sfuggo-
no alla possibilit dello Stato, nella vita presente e in vista
della vita futura, eterna! E in questo caso ci sarebbe una
grande usurpazione, perch se c un regime totalitario -
totalitario di fatto e di diritto - il regime della Chiesa,
perch luomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve
appartenerle, dato che luomo creatura del buon Dio,
egli il prezzo della redenzione divina, il servitore di
Dio, destinato a vivere quaggi, e con Dio in cielo. E il
rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio
non che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il dirit-
to e il dovere di reclamare la totalit del suo potere sugli
individui: ogni uomo, tutto intero, appartiene alla Chiesa,
perch tutto intero appartiene a Dio. Non c dubbio su
questo punto, per chi non voglia negare tutto.
31
E la sindrome totalitaria.
31
Pio XI, Lunico regime totalitario di fatto e di diritto la Chiesa,
discorso del 18 settembre 1938 riportato in E. Rossi, Il Sillabo e dopo,
Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 87-88. Anche in D. Settembrini, La
Chiesa nella politica italiana (1944-1963), Roma, Rizzoli, Milano 1977,
p. 112.
______________________________
28
Diversamente dallopposizione antifascista, Antonio
Gramsci conduce una riflessione molto pi pregnante sul-
la dimensione totalitaria della politica che mira ad otte-
nere che i membri di un determinato partito trovino in
questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trova-
vano in una molteplicit di organizzazioni, cio a rompere
tutti i fili che legano questi membri ad organismi culturali
estranei e a distruggere tutte le altre organizzazioni o a
incorporarle in un sistema di cui il partito sia il solo rego-
latore. Ci avviene: 1) quando il partito dato portatore di
una nuova cultura e si ha una fase progressiva; 2) quando
il partito dato vuole impedire che unaltra forza, portatrice
di una nuova cultura, diventi essa totalitaria; e si ha una
fase regressiva e reazionaria, oggettivamente, anche se la
reazione (come sempre avviene) non confessi se stessa e
cerchi di sembrare essa portatrice di una nuova cultura.
32
Gramsci, in contrapposizione a Gentile, non ridu-
32
A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Edizione critica dellIstituto Gram-
sci, a cura di V. Gerretana, Torino, Einaudi, 1975, II, Quaderno 6 (VIII),
par. 136, p. 800.
______________________________
29
ce lo Stato alla funzione di dominio e di coercizio-
ne, a mero momento della forza, a guardiano not-
turno che impone, controlla e tutela lordine sociale,
altrimenti Stato = societ politica + societ civile, cio
egemonia corazzata di coercizione.
33
2. Area tedesca
In Germania il sedimento concettuale di totalitari-
smo nel dibattito politico sullo Stato totale, cio sulla
nuova posizione assunta dallo Stato nei rapporti sociali.
E una direttiva alquanto diversa da quella italiana che
abbiamo preso come riferimento iniziale: manca, del resto
in Germania, negli anni venti, un soggetto politico forte
che punti ad una profonda trasformazione sociale secon-
do una feroce volont di potenza.
Stato totale o Stato totalitario sinonimo di Stato
autoritario, possibile categoria con cui definire la cri-
si della forma-Stato e il tracollo dei soggetti politici.
33
Ibidem.
______________________________
30
Classico il riferimento al saggio di Ernst Jnger,
del 1930, Die totale Mobilmachung,
34
dove sebbene si
escluda ogni stabile collegamento con i regimi ditta-
toriali gi in fase di consolidamento, si individua la
caratteristica qualificante dello Stato novecentesco:
imporre ai cittadini una mobilitazione totale come se
fossero minuscoli ingranaggi di un meccanismo che
funziona incessantemente; i paesi diventano gigante-
sche officine metallurgiche e ciascuna singola vita
si trasforma sempre pi chiaramente nella vita di un
lavoratore, di un milite del lavoro completamente
trasformato in ogni sua cellula in Stato, in servizio dello
Stato.
In questa metamorfosi antropologica, Jnger in-
dividua la disponibilit alla mobilitazione come ca-
ratteristica delluomo contemporaneo, la cui vita sin-
34
E. Jnger, Die totale Mobilmachung, in Smtliche Werke, VII, Essays
I: Betrachtungen zur Zeit, Klett-Cotta, Stuttgart 1980, p. 121 e ss. Cfr.
M. Ghelardi, Alcune osservazioni su Carl Schmitt ed Ernst Jnger, in
Ernst Jnger, un convegno internazionale, a cura di P. Chiarini, Napoli,
Shakespeare & Company, 1987.
______________________________
31
gola compromessa non gi da una volont totalitaria
quanto dallirrompere della tecnica. Essa realizzata
molto meno di quanto essa stessa si realizzi, e in guer-
ra e in pace lespressione della pretesa segreta e co-
attiva a cui questa vita nellepoca delle masse e delle
macchine ci assoggetta. Tali intuizioni verranno pri-
vate di ogni alone metafisico da Carl Schmitt e ricom-
prese nellanalisi politica sulla crisi dello Stato libera-
le del XIX secolo.
Lo Stato diviene, per Schmitt, lauto-organizza-
zione della societ, di fatto non pi separabile da essa.
Se la societ stessa si organizza in Stato, Stato e
societ devono essere fondamentalmente identici, co-
sicch tutti i problemi sociali ed economici diventano
immediatamente problemi statali e non si pu pi di-
stinguere fra ambiti statali-politici e sociali-non poli-
tici. Tutte le contrapposizioni finora correnti, basate
sul presupposto dello Stato neutrale, che appaiono in
seguito alla distinzione di Stato e societ e sono sol-
tanto casi di applicazione e delimitazioni di questa di-
32
stinzione, vengono ora a cessare (...). La societ dive-
nuta Stato uno Stato delleconomia, della cultura,
dellassistenza, della beneficenza, della previdenza; lo
Stato divenuto autorganizzazione della societ, quin-
di di fatto da essa non pi separabile, abbraccia tutto il
sociale, cio tutto quanto concerne la convivenza uma-
na. Non c pi nessun settore rispetto al quale lo Sta-
to possa osservare unincondizionata neutralit nel
senso del non-intervento (...). Nello Stato divenuto
autorganizzazione della societ non c pi nulla che
non sia almeno potenzialmente statale e politico.
35
Si passa cos dallo Stato neutrale del sec. XVIII
ad uno Stato potenzialmente totale che ha assunto
una tale estensione da produrre non solo una crescita
35
C. Schmitt, Il custode della costituzione, a cura di A. Caracciolo,
Milano, Giuffr, 1981, p. 123. Anche Id., La dittatura. Dalle origini
dellidea moderna di sovranit alla lotta di classe proletaria, Roma-
Bari, Laterza, 1975. Sul pensiero di Schmitt, vedi N. Bobbio, Thomas
Hobbes, Torino, Einaudi, 1989; C. Galli, Presentazione di C. Schmitt,
Scritti su Thomas Hobbes, Milano, Giuffr, 1986; G. Duso (a cura di),
La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt, Venezia, Arsenale, 1981
______________________________
33
quantitativa ma anche un cambiamento qualitativo, un
mutamento strutturale, e da influenzare non solo gli
affari propriamente finanziari ed economici, ma tutti
quanti i settori della vita pubblica .
36
E un riferimento polemico alla Repubblica di
Weimar, considerata un coacervo conflittuale di for-
mazioni partitiche incapaci di realizzare un autentica
unit politica.
In un saggio del 1933, Schmitt scrive che lo Stato
totale realizzato in Germania uno Stato che si intro-
mette indifferentemente in tutti gli ambiti, in tutte le
sfere dellesistenza umana, che non riconosce pi al-
cuna sfera libera dallo Stato perch in generale non
pu distinguere pi nulla. Esso totale in un senso
puramente quantitativo, nel senso del mero volume,
non dellintensit e dellenergia politica (...). Il suo
volume cresciuto in modo mostruoso. Esso intervie-
ne in tutti i possibili affari e in tutti i campi dellesi-
36
Ibidem, p. 125.
______________________________
34
stenza umana, non solo nelleconomia (...) bens an-
che nelle questioni culturali e sociali, che una volta si
consideravano volentieri faccende puramente priva-
te (...). Questa naturalmente una totalit solo nel
senso del mero volume e il contrario della potenza o
della forza. Lodierno stato tedesco totale a partire
dalla debolezza e dallincapacit di resistenza, dalla
incapacit di opporsi allassalto dei partiti e degli in-
teressi organizzati. Esso deve dare a ognuno, accon-
tentare ognuno, sovvenzionare ognuno ed essere nel-
lo stesso momento a favore dei pi diversi interessi.
Come si detto, la sua espansione la conseguenza
non della sua forma ma della sua debolezza.
37
Le riflessioni schmittiane vengono sviluppate, con
Hitler al potere, da teorici di regime come Rosenberg,
Goebbels, Forsthoff e, ovviamente, dallo stesso Hitler
37
C. Schmitt, Weiterentwicklungen des totalen Staat in Deutschland, in
Europische Revue, IX, 1933, 2, ripubblicato in Id., Positionen und
Begriffe im Kampf mit Weimar-Genf-Versailles 1923-1939, Hanseati-
sche Verlagsanstalt, Hamburg-Wandsbek 1940.
______________________________
35
nei suoi discorsi del 1933, in cui sottolinea che la ter-
za fase della rivoluzione deve essere la creazione del-
lo Stato nella sua totalit secondo la concezione del
movimento nazionalsocialista: lo Stato come deposi-
tario dei suoi valori spirituali.
In un articolo pubblicato sul numero del 1 gennaio
1934 del Vlkischer Beobachter, scrive Artur Rosen-
berg: La rivoluzione del 30 gennaio 1933 non continua
lo Stato assolutista sotto un nuovo nome, ma pone lo Stato
in un nuovo rapporto col popolo (...) diverso da quello che
era prevalso nel 1918 o nel 1871. Ci che ha avuto luogo
nel 1933 (...) non linstaurazione della totalit dello Sta-
to bens della totalit del movimento nazionalsocialista.
Lo Stato non pi unentit giustapposta al popolo e al
movimento, non pi concepito come un apparato mec-
canico e uno strumento di dominio; lo Stato lo strumen-
to della concezione nazionalsocialista della vita.
38
In effetti la categoria totale/totalitario viene am-
38
A. Rosemberg, Totaler Staat?, in Vkischer Beobachter, 1 gen-
naio 1934.
______________________________
36
pliata ai nuovi soggetti dellideologia nazionalsociali-
sta, il movimento e il popolo, in una variante diversa
da quella fascista, perch nella dualit liberale Stato-
societ si inserisce una terzo elemento, il partito, che
se permane nella concezione dello Stato a tre membra
tedesco, in quello fascista tende ad essere interamente
assorbito nello Stato unitario e totalitario.
Sul versante anti-nazista, Marcuse tra i primi teorici
marxisti a rendersi conto che il termine totalitr rimanda
ad una nuova Weltanschauung politica che divenuta il
bacino di raccolta di tutte quelle correnti che, dalla guerra
mondiale in avanti, si sono rivolte contro la concezione
liberistica dello stato e della societ
39
ed hanno accom-
pagnato lascesa del nazionalsocialismo.
39
H. Marcuse, Der Kampf gegen den Liberalismus in der totalitaren
Staatsauffassung, in Zeitschrift fr Sozialforschung, 1934, 3, poi ri-
pubblicato in Id., Kultur und Gesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
1965; trad. it. La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria
dello Stato, a cura di C. Ascheri, H. Ascheri Osterlow e F. Cerutti, in H.
Marcuse, Cultura e societ. Saggi di teoria critica 1933-1965, Torino,
Einaudi, 1969.
______________________________
37
Lo Stato totalitario ed autoritario ha lo stesso back-
ground dello Stato liberale, anzi, ne il suo perfezio-
namento, fornisce lorganizzazione e la teoria della
societ che corrispondono allo Stadio monopolistico
del capitalismo.
40
Non a caso Marcuse parla di una forma di totalit
organica intesa non come somma dei suoi componen-
ti, ma come unit unificatrice delle parti, in cui sol-
tanto ogni parte si realizza e si compie. In modo in-
quietante egli si pone linterrogativo se non sia stata la
cultura intellettuale stessa a preparare la sua liquida-
zione. Totalitaria si pu definire quella societ indu-
striale che opera secondo le pressioni degli oligopoli,
secondo meccanismi manipolativi che comportano la
monodimensionalit. Il termine totalitario, infatti, non
si applica soltanto ad una organizzazione politica ter-
roristica della societ, ma anche ad una organizzazio-
ne economico-tecnica, non terroristica, che opera me-
40
Ibidem, p. 19.
______________________________
38
diante la manipolazione dei bisogni da parte di inte-
ressi costituiti. Essa preclude per tal via lemergere di
una opposizione efficace contro linsieme del siste-
ma. Non soltanto una forma specifica di governo o di
dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure
un sistema specifico di produzione e di distribuzione,
sistema che pu essere benissimo compatibile con un
pluralismo di partiti, di giornali, di poteri controbi-
lanciantisi.
41
Per Franz Neumann, che, secondo Collotti, rifiu-
ta lassunzione della societ nello Stato ed attento,
piuttosto, alle modifiche del rapporto Stato-societ, con
occhio particolare alla tecnica di manipolazione delle
masse, sotto lapparenza totalitaria si celano ben quat-
tro gruppi fondamentali, il partito, lesercito, la buro-
crazia e lindustria.
Nella Germania nazista, tali forme di potere, che
in una normale democrazia si avvalgono di rapporti
41
H. Marcuse, Luomo ad una dimensione. Lideologia della societ
industriale avanzata, Torino, Einaudi, 1968.
______________________________
39
regolati da norme vincolanti universalmente, operano
ciascuna in base al Fhrerprinzip, cio allobbedien-
za assoluta alle decisioni del capo, secondo un potere
legislativo, esecutivo e giudiziario autonomo e secon-
do quei compromessi raggiunti dalle quattro dirigen-
ze, la cui unificazione non istituzionalizzata, quindi,
ma personalizzata.
Non c Stato, n in unaccezione ristretta, n in
quella dualit riconosciuta da Ernst Fraenkel,
42
secon-
do cui esiste uno stato in cui si contrappongono lo Sta-
to normativo e lo Stato discrezionale , basato que-
stultimo su prerogative individuali e irrazionali.
Direi che siamo di fronte a una forma di societ
in cui i gruppi dominanti controllano il resto della po-
polazione in modo diretto, senza la mediazione di quel-
lapparato coercitivo ancorch razionale fino ad oggi
conosciuto come lo stato. Questa nuova forma sociale
non ancora pienamente realizzata, ma esistono ten-
42
E. Fraenkel, Il doppio Stato, Torino, Einaudi, 1983.
______________________________
40
denze che definiscono lessenza stessa del regime.
43
Le classi dominanti, fortemente antagoniste, sono
cementate dalle logiche del profitto, dal potere e so-
prattutto dalla paure delle masse.
Neumann, che prudente nelluso del termine to-
talitario, attribuisce un ruolo decisivo alla propagan-
da e al terrore come due aspetti di un unico processo:
la trasformazione delluomo nella vittima passiva di
una forza onnipresente che lo seduce e lo terrorizza,
lo innalza e lo spedisce nei campi di concentramen-
to.
44
Ecco la metafora del Beemoth: lo stato totalita-
rio, pur se respinto ideologicamente, una forma di
non-Stato, un caos, una situazione di illegalit e di
anarchia.
45
43
F. Neumann, Beemoth.The structure and Practice of National Socia-
lism, Oxford University Press, New York Inc., 1942; trad. it. di M. Bac-
cianini, Beemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo. Milano,
Feltrinelli, 1977.
44
Ibidem, p. 209.
45
Ibidem, p. 21.
______________________________
41
3. Area anglo-americana
La traduzione inglese, nel maggio del 1926, di Ita-
lia e fascismo di Luigi Sturzo, da parte di B. B. Carter,
consegner gli italianismi totalitario e totalitarismo
al vocabolario politico dei paesi anglofoni. Con una
valenza negativa, essi connoteranno un fenomeno
moderno e regressivo, plebiscitario e dittatoriale, inti-
mamente contraddittorio, nonostante che, nel 1928, la
rivista americana Foreign Affairs traduca uno scrit-
to di Giovanni Gentile, The Philosophical Basis of
Fascism, in cui, con toni altisonanti e apologetici, vie-
ne definita totalitaria la dottrina fascista.
Il Times, nel 1929, accomuna in un fondo ano-
nimo con il termine totalitarianism fascismo e bolsce-
vismo, seguendo un percorso di riflessioni comparati-
vistico, ampliando lorizzonte di riferimento al regi-
me monopartitico dellUnione sovietica.
Nel 1933, Victor Serge, comunista dissidente, in
una lettera fatta pervenire clandestinamente in Fran-
cia allopposizione di sinistra, prima che venisse de-
42
portato, definisce come totalitario, castocratico ed
ebbro della propria potenza il regime sovietico.
Pur non conducendo analisi di tipo comparativo
o socio-politologico, utilizza, tuttavia, lo stesso termi-
ne con cui si autodefinito il fascismo italiano.
Lo stesso diranno altri menscevichi russi in esilio
a Parigi. Anche Trotzki, nel volume La rivoluzione
tradita, del 1938, stigmatizza come totalitaria la de-
generazione autoritaria in atto nellUnione Sovietica
da parte di una classe che ha espropriato ed usurpato il
proletariato.
Le analisi comparativistiche americane tenderan-
no a mettere in evidenza un comune nucleo strutturale
tra i due sistemi politico-istituzionali, fascismo e co-
munismo, dando pi attenzione alle loro affinit piut-
tosto che alle divergenze.
In uno dei saggi raccolti in Dictatorship in the
Modern World, pubblicato nel 1935 a cura di Guy Stan-
ton Ford dellUniversit del Minnesota, Max Lerner
cos intende il termine totalitarian : lo stato totalitario
43
uno stato caratterizzato dalla organizzazione dei
gruppi economici che competono per la distribuzione
del reddito nazionale in associazioni o corporazioni
supervisionate dallo Stato e da un governo che tiene
rigidamente in pugno lequilibrio del potere. Uno Sta-
to forte nel quale tutti i conflitti aperti in forma di
sciopero e serrata sono banditi e il movimento dei la-
voratori nazionalizzato.
E evidente la mutuazione dellesperienza ita-
liana.
Comunismo e Fascismo sono sostanzialmente
simili perch entrambi significano lesaltazione della
forza, che non sopporta alcuna opposizione e che su-
bordina lindividuo alle richieste dello Stato.
46
Lo storico del pensiero politico George Sabine
considera, invece, il concetto totalitarismo come sino-
nimo di unitary e, nella voce State della International
46
Christian Science Monitor, estate 1939, in A. Gleason, Totalitaria-
nism, cit.
______________________________
44
Encyclopedia of the Social Sciences, lo applica a tutti
i sistemi monopartitici, Urss inclusa.
47
Particolare diffusione - e confusione concettuale
- si ha durante le elezioni presidenziali del 1940. Sia
da parte democratica che da parte repubblicana si usa
il termine totalitarian in modo irresponsabile e poco
scrupoloso. In un infiammato articolo sullAmerican
Mercury, Herbert Hoover sottolinea dirette analogie -
economiche, politiche e psicologiche- tra lo sviluppo
dei regimi totalitari europei e la situazione degli Stati
Uniti sotto il New Deal. Anzi, giunge a definire Roo-
svelt e i suoi consiglieri come totalitarian liberals e lo
stesso New Deal come un incipiente totalitarismo: sem-
bra che lo confonda con socialistic.
48
E di fatto, con la caduta dei regimi fascista e na-
zionalsocialista, con il deterioramento dei rapporti so-
vietico-americano, con la proclamazione della dottri-
47
G. H. Sabine, voce State, in Encyclopedia of the Social Sciences,
New York, Macmillan, 1934, vol. XIV, p. 330.
48
A. Gleason, Totalitarianism, cit., p. 52 e ss.
______________________________
45
na Truman, il termine giocava un ruolo essenziale
nel collegare lantico alleato sovietico dellAmerica
con la Germania Nazista. Forse lapice di questo peri-
odo si ebbe alla fine del 1950 quando il Mc Carran
International Security Act sbarr ai totalitarian - vale
a dire ai comunisti - lingresso negli Stati Uniti. Du-
rante questi cinque anni, lidea che gli Stati Uniti do-
vessero affrontare la sfida totalitaria torn ad esercita-
re una influenza indiscussa come la chiave del futuro
americano ed ebbe la sua influenza pi diretta sul pen-
siero politico e sulla politica estera americana.
49
Siamo alle soglie della Guerra Fredda, quando il
nemico totalitario sembrava a prima vista , trascende-
re le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra, che
venivano senza dubbio operate negli anni 30. Molti
di coloro che allora lo utilizzavano lo facevano in con-
testi che suggerivano che al centro della discussione
erano solo il nazismo o il fascismo. La sua rinascenza
49
Ibidem, p. 61.
______________________________
46
nel 1945 serv a canalizzare il potente sentimento anti-
tedesco nel nascente sentimento anti-comunistico e allo
stesso tempo agevol la formazione di nuove alleanze
internazionali.
50
50
Ibidem, pp. 61-62. Segnaliamo anche gli studi, negli stessi anni, di J.
L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino,
1967; R. C. Tucker, Towards a Comparative Politics of Movement-Re-
gimes, in American Political Science Rewiew, vol. LV, 1961; K. A.
Wittfogel, Il dispotismo orientale, Firenze, Vallecchi, 1968.
______________________________
CAPI TOLO SECONDO
I O PROCEDO DA FATTI
E DA AVVENI MENTI
LINDAGINE CONTESTUALE
DI HANNAH ARENDT
PER COMPRENDERE LEVENTO
CHE CARATTERIZZA IL XX SECOLO:
IL TOTALITARISMO.
Siamo contemporanei fin
dove arriva la nostra comprensione.
Se vogliamo andare daccordo
con il mondo,
foss anche a costo di essere daccordo
con questo secolo,
dobbiamo partecipare
al dialogo incessante con la sua essenza.
(H. Arendt).
48
1. Sentieri di ricerca: anno di svolta 1933
1951. Hannah Arendt, ebrea tedesca emigrata ne-
gli Stati Uniti nel maggio 1941 dopo un periodo di
internamento nel campo francese di Gurs, pubblica
unopera dalla grande carica emotiva, Le origini del
totalitarismo, che, nonostante le critiche, considera-
ta subito un classico di filosofia politica.
E curioso sapere che il titolo provvisorio dellab-
bozzo, risalente alle prime settimane del 1945, era Gli
elementi della vergogna: antisemitismo, imperialismo
e razzismo; anzi, a volte, la Arendt pi enfaticamente
lo chiamava I tre pilastri dellinferno, pilastri, condi-
zioni sine quibus non, che sorreggono, ma non in sen-
so che determinano, la struttura totalitaria.
Forte, per lei, era laccusa contro lEuropa del XIX
sec., perch quel secolo borghese aveva creato gli ele-
menti da cui si sarebbe cristallizzato il totalitarismo in
Germania e in Russia; forte, per lei, era lincredulit
per quanto stava avvenendo storicamente e politica-
49
mente, non tanto per la svolta del suo paese nel 1933,
quanto, soprattutto, per Auschwitz.
Da principio non ci credevamo. Anche se mio
marito, e anchio, avevamo sempre detto che da quel-
la banda potevamo aspettarci di tutto. Ma questo non
potevamo crederlo, perch era assolutamente contra-
rio a ogni bisogno o necessit militare. Mio marito un
tempo era uno storico militare, e di queste cose ne ca-
piva abbastanza. E mi disse: Non lasciarti mettere in
testa queste storie! E una cosa che non possono fare.
Ma un mezzo anno pi tardi, quando ci furono le pro-
ve, dovemmo crederci. E fu davvero un brutto colpo.
Prima si diceva: ma s, tutti hanno dei nemici, una
cosa del tutto naturale, perch un popolo non dovreb-
be avere nemici? Ma questo era qualcosa daltro. Era
davvero come se si fosse spalancato un abisso. Perch
si sempre avuta lidea che in qualche modo tutto il
resto possa tornare a posto, per esempio in politica tutto
si pu aggiustare. Ma questo no. Questo non sarebbe
mai dovuto accadere. E non mi importa il numero del-
50
le vittime. Mimporta la produzione in massa dei ca-
daveri e il resto (...) e non c bisogno che mi dilunghi
oltre. Questo non doveva succedere. E successa una
cosa per la quale nessuno di noi era preparato.
51
Passarono altri sei anni prima che si arrivasse al
titolo definitivo, Le origini del totalitarismo, che pure
sembrava ricordare uno studio di genetica, come Le
origini della specie di Darwin. Si trattava di un titolo
fuorviante, molto pi di quello scelto dalleditore in-
glese, The Burden of Our Time (Il fardello del nostro
tempo), perch non riusciva a tradurre lo spirito del-
lautrice: occorreva riflettere il metodo di lavoro se-
guito, non si cercavano origini nel senso di cause, non
si cercavano giustificazioni, non si scriveva di storia.
Lalternativa metodologica allo zelo dello storico
51
Intervista concessa nel 1964 a Gunther Gaus, Was bleibt? Es bleibt
die Muttersprche, in G. Gaus, Zur Person: Portrats in Frage und An-
twort, Feder, Mnchen, 1964; in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-
1975: per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 221;
in H. Arendt, La lingua materna, a cura di Alessandro Dal Lago, Mila-
no, Mimesis, 1993, p. 43.
______________________________
51
fu quella di individuare gli elementi principali del
nazismo, risalire alle loro origini e scoprire i problemi
politici reali alla loro base (...). Scopo del libro non
dare risposte, bens preparare il terreno.
52
Per la Arendt gli eventi eccedono sempre le loro
cause, non c deduzione, non c necessit ma solo
caotiche verit di fatto il cui senso aspetta di essere
dischiuso come in un remake narrativo.
Gli elementi del totalitarismo costituiscono le sue
origini, purch per origini non si intenda cause.
La causalit, cio il fattore di determinazione di un
processo di eventi in cui un evento sempre ne causa
un altro e da esso pu essere spiegato, probabilmen-
te una categoria totalmente estranea e aberrante nel
regno delle scienze storiche e politiche. Probabilmen-
te gli elementi in se stessi non causano mai alcunch.
Essi divengono lorigine di un evento se e quando si
cristallizzano in forme fisse e definite. Allora, e solo
52
E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975: per amore del mondo,
op. cit., p. 239.
______________________________
52
allora, sar possibile seguire allindietro la loro storia.
Levento illumina il suo passato ma non pu essere
dedotto da esso.
53
Per la Arendt la parola origine si ricollega allidea di
quel principio casuale, contingente, che getta luce sul-
levento che avviene ed esplicita la realt su cui si fonda; a
posteriori evoca quegli elementi della realt che hanno
acquisito pieno significato nella nuova esperienza, espe-
rienza che resta possibile ed imprevista ai problemi reali
ed irrisolti che erano dietro a quei precedenti.
Dietro lantisemitismo, la questione ebraica, dietro
il decadimento dello stato nazionale, il problema irrisolto
di una nuova concezione del genere umano, dietro lespan-
sionismo fine a se stesso, il problema irrisolto di riorga-
nizzare un mondo che diventa sempre pi piccolo.
54
Bisogna, quindi, che si passi non gi dalle origi-
53
H. Arendt, The Nature of totalitarianism, conferenza inedita (1954),
Congresso; in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt, cit.
54
Lettera a Mary Underwood, in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt, cit.,
p. 240.
______________________________
53
ni, questo oscuro materiale destinato a cristallizzarsi
come un possibile esito, allevento, bens dallevento
verso quegli elementi del passato in cui possono bale-
nare i tratti della cristallizzazione finale. In questo sen-
so lanalisi pi che storica diviene tipologica e socio-
logica.
Il totalitarismo, dunque, levento e la sua origi-
nalit terrificante consiste in atti che rompono con tut-
ta la nostra tradizione, polverizzando letteralmente le
nostre categorie politiche e i nostri criteri di giudizio
morale. Obsoleti sono anche gli strumenti concettuali
della nostra tradizione filosofica.
A Voegelin, che nella recensione a Le origini del
totalitarismo la accusava di perdere i contatti con la
trascendenza, con la dimensione spirituale e ideologi-
ca per cui le origini del totalitarismo non andrebbero
viste principalmente nel destino dello stato nazionale
e nei seguenti cambiamenti sociali ed economici ini-
ziati nel XVIII secolo (come fa la Arendt), ma piutto-
sto nellascesa del settarismo immanentista dellAlto
54
Medioevo,
55
senza indugi, la Arendt replica: Ci che
senza precedenti nel totalitarismo non primaria-
mente il suo contenuto ideologico, ma levento stesso
della dominazione totalitaria. Ci si pu chiaramente
intendere se ammettiamo che le conseguenze delle sue
politiche hanno fatto esplodere le categorie tradizio-
nali del pensiero politico (il dominio totalitario di-
verso da tutte le forme di tirannia e di dispotismo che
conosciamo) e i criteri del giudizio morale (i crimini
totalitari sono descritti in modo del tutto inadeguato
come assassinii e i crimini totalitari possono diffi-
cilmente essere puniti come assassinii). Il signor Vo-
egelin sembra pensare che il totalitarismo sia soltanto
laltra faccia del liberalismo, del positivismo e del prag-
matismo. Ma si concordi o no col liberalismo (io pos-
so dire qui con assoluta certezza di non essere n una
55
Pubblicata, insieme alla risposta della Arendt e ad una sua conclusio-
ne, in The Review of Politics, XV, n. 1, 1953; trad. it. in G. F. Lami (a
cura di) Eric Voegelin. Un interprete del totalitarismo, Roma, 1978. Cfr.
Filosofia politica e pratica del pensiero. E. Vgelin, L. Strauss e H.
Arendt, a cura di G. Duso, Milano, 1988.
______________________________
55
liberale, n una positivista n una pragmatista), il punto
che i liberali non sono chiaramente dei totalitari.
Spero di non insistere indebitamente su questo punto.
Per me importante perch credo che ci che separa
la mia impostazione da quella del signor Voegelin
che io procedo da fatti e avvenimenti invece che da
affinit ed influenze spirituali.
Ci forse un po difficile da scorgere perch io
sono naturalmente molto interessata alle implicazio-
ni e ai cambiamenti filosofici nell auto-interpreta-
zione spirituale. Ma questo certo non significa che
io abbia descritto una rivelazione graduale delles-
senza del totalitarismo dalle sue forme incipienti nel
XVIII secolo a quelle pienamente sviluppate, per-
ch questa essenza non esiste prima di essere venuta
alla luce.
Perci parlo di elementi rintracciabili nel XVIII
secolo, altri forse ancora pi indietro (bench io dubi-
terei della teoria personale di Voegelin, secondo cui
lascesa del settarismo immanentista del Medioevo si
56
sarebbe conclusa alla fine del totalitarismo).
56
Pensare il totalitarismo come laltra faccia del li-
beralismo, del positivismo, del pragmatismo, lo prive-
rebbe di ogni carattere di novit, di ogni significato
fruttuoso per lanalisi del mondo moderno.
La portata epocale del totalitarismo non nel suo
contenuto ideologico, ma nella sua eventualit, nella
fattualit di un dominio realizzato con violenza e ter-
rore attraverso la tragicit dei campi di sterminio. Que-
sto il fatto che interessa la Arendt.
Questo procedimento ermeneutico spiega anche
lassimilazione del regime nazista con quello stalinia-
no nella tipologia del totalitarismo, in quanto, pur se
permeati da ideologie differenti, luna basata sul domi-
nio della razza, laltra sul principio della lotta di classe,
ambedue ricorrono al culto della personalit, al ter-
rore istituzionalizzato, ai campi di concentramento e
allabolizione delle libert civili.
56
Ibidem.
______________________________
57
E vero; solo marginalmente la Arendt si occupa
dello stalinismo.
Lopera doveva essere completata da uno studio
adeguato sulle matrici totalitarie dellideologia marxi-
sta e le differenze tra marxismo e nazismo.
Il tentativo fu intrapreso, alcuni anni pi tardi, a
seguito di una conferenza nel 1953
57
in cui si sottoli-
neavano le trasformazioni che il marxismo aveva su-
bito prima nellinterpretazione di Lenin poi di Stalin.
Ma The marxist elements of totalitarianism non fu mai
completato, rimase una disamina critica della tradizione
filosofica occidentale e un confronto con Marx, il cui
pensiero pure aveva avuto rilievo nella formazione
della Arendt.
58
57
Conferenza inedita del 1953, Karl Marx and tradition of western po-
litical thought, presso la Library of Congress, Washington, Manuscripts
Division, The Papers of H. Arendt, box 64; trad.it.

Karl Marx e la
tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a cura di S. Forti,
in MicroMega, n.5, pp.35-108.
58
Cfr. S. Forti, Vita della mente e tempo della polis, Milano, FrancoAn-
geli, 1996.
______________________________
58
Nella prefazione del giugno 1966 a Le origini del
totalitarismo, la Arendt fa riferimento al discorso di
Kruscev, nel 1957, dinanzi al XX Congresso del parti-
to, atto con cui si aperto il processo di detotalitariz-
zazione dell ex-Unione Sovietica.
Secondo la Arendt, il pi chiaro segno della detotali-
tarizzazione sovietica non stato tanto la liquidazione di
buona parte del sistema poliziesco o la chiusura della mag-
gior parte dei campi di concentramento, oppure il fatto
che non sono state pi promosse spettacolari epurazioni
contro i nemici del partito, ora destituiti e allontanati da
Mosca, quanto la ripresa feconda delle attivit culturali,
arte e letteratura in particolare.
Quando Stalin mor, i cassetti degli scrittori e degli
artisti erano vuoti, oggi esiste tutta una letteratura che circo-
la in manoscritti, e ogni via della pittura moderna viene
tentata negli ateliers dei pittori e le loro opere vengono co-
nosciute anche quando non sono esposte a una mostra.
59
59
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., Prefazione, p. XLV.
______________________________
59
Da un sistema totalitario si passati ad una dittatu-
ra a partito unico.
Utilizzando il termine totalitarismo con parsimo-
nia e prudenza, la Arendt si chiede, tuttavia, se esso
sia applicabile
60
anche alla Cina comunista, di cui al-
lepoca non si conosceva niente a causa dellefficace
isolamento dietro cui il paese si era trincerato. Rispet-
to allesempio tedesco e russo le differenze sono note-
voli: dopo il periodo iniziale della dittatura contrasse-
gnato dallo spargimento di sangue e da una decima-
zione della popolazione, dopo la scomparsa dellop-
posizione, non si verificato linasprirsi del terrore e
del massacro, lirrigidimento della burocrazia al pote-
re, il sorgere di una categoria di nemici oggettivi,
60
Per la Arendt il concetto totalitarismo non si applica neanche al
fascismo italiano. Mussolini aveva creato uno stato corporativista, pi
che totalitario, in quanto aveva tentato di statalizzare la societ e lo
stesso partito non si pose al di sopra dello stato ma si identific con la
massima autorit nazionale. Mussolini fu un dittatore, fu il vero usur-
patore nel senso della dottrina politica classica, in H. Arendt, Le origi-
ni del totalitarismo, cit., p. 360 e ss. Sul fascismo italiano vedi A. Aqua-
rone, Lorganizzazione dello stato totalitario, Einaudi, 1965.
______________________________
60
cio il permanere di quei caratteri che per la Arendt
tipizzano il totalitarismo.
Indubbiamente riconosce una pretesa totalitaria nel
programma ideologico del partito comunista cinese,
ancor pi manifeste in politica estera con linasprirsi
dei rapporti cino-sovietici e con laccusa alla Russia,
che pure aveva sostenuto Pechino, di deviazione re-
visionista dopo la morte di Stalin e lavvio di una
politica di distensione.
Pur denunciando la scarsit delle fonti, assumen-
do una posizione piuttosto ambigua, la Arendt accen-
na a quella forma di terrore e di controllo sociale che
era il modellamento e rimodellamento delle
menti,
61
la pervadente riforma della mente umana
che il corrispettivo cinese della creazione delluomo
nuovo tipico dello spirito totalitario.
Un totalitarismo fondato sul consenso, direbbero
oggi i critici.
61
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., Prefazione, p. XXXI.
______________________________
61
Una osservazione, comunque, va fatta a proposito de
Le origini del totalitarismo: c uno squilibrio tra le prime
due parti, pi storiche, pi politiche, e la terza parte che
punta sullessenza del totalitarismo, sullindividuazione
della sua tipicit. Potremmo dire che dallo stare ai fatti
si passa meglio e volentieri ad unanalisi concettuale raffi-
nata, ad una sintesi tipologica, in particolare nel capitolo
dal titolo Ideologia e terrore.
La domanda che ella si pone, in effetti, e che segna la
portata del totalitarismo come evento -come sia potuto
succedere?- filtra la domanda sulleclissi del politico.
Andr Engren scrive: In un certo senso il tota-
litarismo disegna in cavo tutto ci che conferisce ri-
lievo al politico arendtiano: alla chiusura radicale di
un dominio senza incrinature, la Arendt oppone uno
schema normativo senza governanti n governati al
cui interno viene riconosciuto il diritto di ciascuno ad
agire, giudicare e decidere in comune; al flusso totali-
tario che sradica e livella, lei risponde con una rifles-
sione incentrata sulla stabilit della legge che stabili-
62
sce il potere, sullautorit come memoria capace di fis-
sare la politica nella permanenza di un mondo diffe-
renziato. Mentre il totalitarismo si affida a una logica
inflessibile sempre pronta a riassorbire gli eventi in
un ordine superiore, essa d la fiducia al visibile, al-
lopinione e al giudizio che, solo, consente di tenere
testa alla dissoluzione della tradizione.
62
La Arendt legge il fenomeno totalitario come assoluta
eccezionalit, in qualche modo reso possibile, ma non ne-
cessario, da tutti i rovesciamenti a catena, natura e societ,
politica e storia, che insieme oppongono e legano la moder-
nit alla tradizione classica. Il totalitarismo nasce con la
modernit, ma non come qualcosa di originariamente in-
scritto nel suo patrimonio genetico, come esito predetermi-
nato; piuttosto il prodotto di una serie di opzioni soggetti-
ve che convergono su di una contrazione ed uno schiaccia-
mento del politico su altre modalit del fare: il sistema
totalitario estraneo alla vita politica autentica.
62
A. Enegrn, Il pensiero politico di Hannah Arendt, Roma, Edizioni
Lavoro, 1987.
______________________________
63
2. L antisemitismo politico e la questione ebraica.
Perch iniziare unopera politica con unanalisi
sullantisemitismo, le sue origini, le sue sfaccettature,
i suoi esiti, catastrofici, per un popolo, quello ebreo,
che mai si occupato di politica e che storicamente
stato considerato apolide?
La Arendt considera lantisemitismo come lideo-
logia laica del sec. XIX e loriginale prospettiva con
cui tale fenomeno analizzato le permette di mettere
alla prova ci che va via via elaborando intorno alla
autonomia e al primato dellagire politico. Il popolo
ebraico, caso storico concreto, diviene simbolo del-
lalienazione delluomo nel mondo moderno perch
lesperienza dellesilio lo ha privato di uno spazio pub-
blico per lazione. E popolo senza governo, senza
paese, senza lingua.
La condizione ebraica porta a riflettere su quel-
lirriducibile unicit che inerente alla condizione della
nascita, unicit intesa come tradizione culturale, ap-
64
partenenza etnica, fede religiosa, che deve poi con-
durre a trascendere la propria singolarit nel conse-
guimento di fini condivisi.
E sottesa una ricerca filosofica che sar presente
in modo pi evidente nelle opere della maturit, vale a
dire lindividuazione di uno spazio politico che sia
comune a tutti gli uomini, in cui le aspirazioni ebrai-
che allemancipazione possano integrarsi con laspi-
razione di tutti i popoli allautodeterminazione. Allo-
ra lebraismo diviene simbolo della ribellione univer-
sale nei confronti delloppressione.
Nella biografia di Rahel Varnhagen,
63
i cui primi
capitoli vennero scritti nel 1933, anno di fuga della
63
H. Arendt, Rahel Varnhagen. The Life of a Jeweness, East and West
Library (for the Leo Baeck Institut of a Jews from Germany), London
1957; trad. it., Rahel Varnhagen. Storia di unebrea, a cura di L. Ritter
Santini, Milano, Il Saggiatore, 1988. Il libro fu pubblicato nel 1957 in
inglese su iniziativa del Leo Baeck Institut; nel 1959 usc in edizione
tedesca presso Piper. Il manoscritto, fatta eccezione per gli ultimi due
capitoli, era gi pronto nel 1933 quando la Arendt dovette lasciare la
Germania. Nel 1938 venne completato per linsistenza di Heinrich
Blcher e Walter Benjamin.
______________________________
65
Arendt dalla Germania nazista, mentre gli ultimi tre
verso il 1938, quando la Arendt si era rifugiata in Fran-
cia, presente unacuta critica allassimilazione per la
difesa della tradizione e dellautonomia di ciascun
popolo, e non solo quello ebraico, sottolineando che
in un mondo civile luguaglianza giuridica e politica
dei gruppi non pu che essere indiscutibile.
La Arendt rifiuta lassimilazione come possibili-
t di integrazione degli ebrei nel corpo della nazione.
Essa ha indotto alla perdita della propria identit, dei
valori religiosi, della tradizione.
In Le origini del totalitarismo, mostra come lan-
tisemitismo, che non un nazionalismo latente, per-
ch la sua espansione coincide con la crisi dello Stato-
nazione, sia stato il prodotto di un progetto storico e
sociale determinato a cui ha contribuito il generale
declino delle comunit ebraiche dellEuropa centro-
occidentale ed anche quella perenne indecisione degli
ebrei di essere un elemento non nazionale in un si-
stema di stati nazionali, di essere un parvenu piutto-
66
sto che un libero pariah, di non trovare un equilibrio
tra vita pubblica ed esperienza interiore.
Gi alla fine del Settecento
64
si distingueva una mas-
sa di paria e piccole comunit ricche e privilegiate.
Paria, secondo la Arendt, sono quellinsieme di
gente che vive unesclusione politica e sociale, senza
per questo essere degradata sul piano morale come,
invece, aveva sostenuto Nietzsche in Genealogia del-
la morale, dove paria lindividuo formato alla mora-
le del risentimento e della ipocrisia. Laccettazione
64
Sulla nascita della questione ebraica in epoca illuministica, cfr. H.
Arendt, Aufklrung und Judenfrage, trad. it. Illuminismo e questione ebrai-
ca, in Il Mulino, XXXV, 1986, n. 3, pp. 421-437. Cfr. A. Dal Lago, Intro-
duzione ad H. Arendt, La vita della mente, Bologna, Il Mulino, 1987. Sullo
sviluppo di una filosofia ebraica che non sarebbe stata tale perch dovuta
alla creativit di pensatori ebrei, ma perch sarebbe stata rivolta a costruire i
suoi edifici concettuali sulle fondamenta della tradizione ebraica e non avreb-
be nascosto la sua intenzione di servirsi dei suoi concetti per ridefinire i
lineamenti dellidentit ebraica vedi G. Lissa, Filosofia ebraica oggi, in
Rivista di storia della filosofia, n. 4, 1994. Lissa, a partire dallanalisi
della situazione ebraica fatta dalla Arendt in Le origini del totalitarismo,
mette in evidenza come esista un rapporto imprescindibile tra la tradizione
ebraica e la sua potenza dominante, la religione, rapporto su cui si gioca il
destino stesso dellidentit ebraica.
______________________________
67
dellebreo era sul piano della eccezione, o per ric-
chezza o per sapere, come persona particolare, giac-
ch come popolo sarebbe stato disprezzato.
Lebreo di corte, ad esempio, era il finanziatore
della corona, deteneva privilegi un tempo prerogativa
solo della nobilt. Poteva portare armi, scegliere la
residenza, viaggiare e spostarsi secondo il proprio pia-
cere, ovunque era protetto dalle autorit locali. Poteva
contrarre matrimonio con la nobilt, sebbene le eredi-
tiere ebree con la loro dote non facevano che rimpin-
guare il patrimonio dei nobili rampolli. Questo ruolo
super partes, mediatore senza rappresentanza politi-
ca, cominci a vacillare quando, dopo il 1791, si ot-
tenne la parit giuridica. Anzi, quanto pi fu ricono-
sciuta la parit giuridica tanto pi aument la discri-
minazione sociale.
Laristocrazia fu il primo gruppo sociale a diven-
tare antisemita, considerando gli ebrei il prototipo del
borghese egualitario e moderno. Ancora pi radicale
fu la posizione della borghesia che identificava lebreo
68
con il banchiere, parassita della miseria e delle soffe-
renze, in stretto rapporto con il potere centrale. La
borghesia, inoltre, detestava la capacit degli ebrei di
essere mediatori di pace e di intervenire di conseguenza
nelle relazioni di politica internazionale. Il tedesco W.
Rathenau, che aveva cercato di ottenere condizioni di
pace, dopo la prima guerra mondiale, piuttosto favo-
revoli per la Germania grazie al riconoscimento inter-
nazionale delle sue capacit di statista, venne ucciso
da un antisemita. Agli occhi dei borghesi antisemiti
sembrava che gli ebrei governassero i troni di nasco-
sto e che fossero i registi di una trama cospiratoria in-
ternazionale.
Tale teoria che era stata espressa nel testo La congiu-
ra dei saggi di Sion, un falso a cui avevano creduto in
molti e che venne usato da Hitler come ulteriore convali-
da delle sue tesi sulla razza. Ogni volta che un gruppo
nazionale o una classe entrava in conflitto con il potere
centrale dello stato, invece di attaccare direttamente que-
sto, aggrediva gli ebrei. Sfiorando il sociologico, la Aren-
69
dt descrive lantisemitismo del liberale austriaco Schoe-
nerer, di Lueger, capo del partito cristiano-sociale, e del
cappellano tedesco Stoecker, per indicare non solo che in
Austria e in Germania si stava diffondendo lantisemiti-
smo pi forte e virulento ma come in esso si confondesse
nei conflitti di nazionalit sia da parte dei democratici che
da parte dei liberali.
In effetti, la spinta antisemita aveva travolto an-
che partiti altrove pi vigilanti, fatta eccezione dei
partiti operai e di sinistra, che, presi dalla lotta di clas-
se contro la borghesia, si disinteressavano di politica
estera.
La Arendt sottolinea che, oltre a cause strettamente
politico-economiche, sociologiche e ideologiche, al-
lantisemitismo contribuiva anche quella considerazio-
ne da parte degli ebrei di essere il popolo eletto, ipote-
si che si fondava sullidea che il Messia sarebbe venu-
to per la salvezza di tutti i popoli. Tale tesi, tuttavia,
nel corso storico, aveva perso ogni carattere universa-
listico.
70
Con la formazione degli stati nazionali nel XVI
secolo, gli ebrei si erano definiti come gruppo con un
forte senso di appartenenza e del privilegio. Ed in que-
sto consistito lerrore politico: 1) lessersi conside-
rati popolo superiore, non riuscendo, tuttavia, a coesi-
stere con la propria identit, perch al di l di uno spa-
ruto gruppo di privilegiati il resto era una massa di
paria, 2) l essersi disinteressati della politica, soprat-
tutto della rivendicazione dei propri diritti, creando un
potere economico sul vuoto politico.
La Arendt fa suo lo schema analitico di Tocqueville,
che nellopera LAncien Rgime et la Rvolution descrive
la crisi della nobilt alla fine dellantico regime.
I nobili furono attaccati ed odiati quando persero
le loro funzioni, soprattutto quelle militari, erano ric-
chi ma senza alcuna funzione sociale. Lo stesso era
per gli ebrei: essi attiravano odio in particolare per il
loro disinteresse politico.
Lassenza di una rappresentanza di potere ricono-
sciuta in seno allo stato, limpotenza e la conseguente
71
innocenza politica aveva impedito agli ebrei di capi-
re come lostilit sociale sarebbe presto confluita in
tragedia.
Non aveva alcuna validit la tesi del capro espia-
torio n lantigiudaismo: il problema era essenzialmen-
te politico.
La differenza andava protetta; assumere la do-
lorosa identit del paria era lunica strada per confer-
mare la propria presenza al mondo. E il politico anda-
va distinto dal sociale.
Il sociale avanza unipotesi di uniformit perch
spinto da pulsioni privatistiche, concepisce il diverso
come il nemico. Luguaglianza politica non lugua-
glianza sociale, n si pu dar luogo ad un suo perver-
timento.
Le moderne societ di massa offrono innumere-
voli esempi della facilit con cui si scambia legua-
glianza per una qualit innata di ciascun individuo,
che viene definito normale quando come gli altri e
anormale quando se ne differenzia. Questo perver-
72
timento di un concetto politico particolarmente peri-
coloso quando la societ lascia alle differenze uno spa-
zio relativamente esiguo, dando cos luogo ad una
quantit di conflitti.
65
Analizzando il caso Dreyfus, ad esempio, la Aren-
dt mette in rilievo come dal sociale si fosse presto pas-
sati alla strumentazione politica. Contro lebreo spio-
ne e traditore non solo si erano mobilitati i membri
dellesercito che rifiutavano un ebreo nello stato mag-
giore, ma anche il clero, che mal tollerava la diversa
confessione tra gli ufficiali.
Sul piano politico nacque il conflitto: essere anti-
dreyfusardi significava essere antidemocratici e anti-
repubblicani, contrari alluguaglianza giuridica e po-
litica che prima la rivoluzione francese poi la Terza
Repubblica avevano consacrato. Gli ebrei, che cerca-
vano di far prevalere la tesi dellerrore giudiziario,
continuavano a non capire il terreno di scontro.
65
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.
______________________________
73
In Francia e negli altri stati europei, per lungo tem-
po si discusse del caso Dreyfus: da una parte erano
schierate le forze progressiste, dallaltra quelle con-
servatrici di estrema destra, antisemite e antidemocra-
tiche. La xenofobia, di cui pure si alimentava lantise-
mitismo francese, resto qualcosa di inoffensivo. Solo
Cline, che nel 1937 aveva pubblicato Bagattelles pour
un massacre e nel 1938 Lcole des cadavres, raggiun-
se la paranoia incitando al massacro degli ebrei rite-
nuti diabolicamente responsabili di ogni male. Comun-
que, la conseguenza pi importante dellaffare Dreyfus
fu la nascita del movimento sionista ad opera del gior-
nalista austriaco T. Herzl, lunica risposta politica che
gli ebrei seppero trovare al movimento antisemitico e,
insieme, lunica loro ideologia che prese sul serio quel-
lostilit che li avrebbe spinti al centro degli avveni-
menti mondiali.
66
66
Ibidem, p. 168.
______________________________
74
3. La nuova ideologia degli Stati-Nazione europei
in crisi: limperialismo come preludio politico
ai movimenti totalitari.
La questione degli apolidi e il valore dei diritti umani.
Le fila dellopera sono tenute insieme da un uni-
co tema centrale: la storia della dissoluzione dello Sta-
to-nazione in aggregati di uomini superflui.
Antisemitismo e imperialismo, risultato di prati-
che non democratiche, pur se delimitati in modo esclu-
sivo, sono perci intimamente connessi.
Riassunto nello slogan lespansione per lespan-
sione, limperialismo analizzato come una nuova
forma di colonialismo, ben diverso dal precedente
(1500-1700) che si limitava a trarre il massimo delle
ricchezze dalle colonie. Esso fu essenzialmente una
politica di potenza di matrice economica, che diede
luogo ad un processo distruttivo delle societ nazio-
nali inarrestabile, preludio dei fenomeni totalitari del
XX secolo.
75
La Arendt associa al fenomeno ragioni di tipo eco-
nomico, sostenendo che era stata la crisi economica
degli anni 60 e 70 a spingere gli uomini di affari ad
occuparsi di politica internazionale. Si era verificata
una sovrapproduzione di capitale che, non potendo
pi trovare un investimento produttivo entro i confini
nazionali, costituiva una massa di denaro superfluo.
Per la prima volta gli strumenti del potere politico,
anzich aprire la via, seguirono supinamente il denaro
esportato.
67
Gli uomini dellimperialismo erano persuasi che
politica ed economia non erano disgiunte, anzi aveva-
no posto la seconda al servizio della prima. Perch ci
fosse espansione economica continua occorreva il so-
stegno del potere politico. E la politica fu essenzial-
mente politica economica.
E in questo, secondo la Arendt, che si realizza
lemancipazione politica della borghesia, nel senso che
67
Ibidem, p. 188.
______________________________
76
se fino ad allora linteresse prioritario era la conquista
economica senza aspirare al dominio politico, adesso
la borghesia tentava di usare lo stato e i suoi strumenti
di violenza per lespansione dei suoi interessi econo-
mici, indebolendo cos la posizione dei finanzieri in
genere, in particolare quelli ebrei.
La Arendt, tuttavia, non tiene conto che gi al-
lepoca del mercantilismo la classe borghese si era in-
teressata della politica economica degli stati. Ci che
si ebbe nellOttocento, semmai, fu lopinione che ef-
fettivamente il potere politico potesse proteggere gli
interessi economici di uno stato, in modo particolare
nelle colonie.
La definizione che la Arendt tenta di dare dellim-
perialismo si rif alle tesi della sinistra marxista, Rosa
Luxemburg in particolare, la quale, secondo la teoria
del sottoconsumo, riteneva che, per essere assorbita la
produzione corrente in modo integrale, poich la clas-
se lavoratrice non poteva avere un alto potere di ac-
quisto per le sue miserevoli condizioni, occorreva una
77
terza persona, un compratore esterno al sistema ca-
pitalistico. A fianco, cio, del mondo capitalistico, era
necessaria lesistenza di un mondo non capitalistico
perch il sistema del primo non si inceppasse.
68
E la logica degli sviluppi ineguali di cui aveva
parlato anche Lenin in modo pi complesso e critico.
Un contributo sicuramente decisivo, tuttavia, per
la Arendt, sono state le analisi del liberaldemocratico
Hobson e del socialdemocratico Hilferding: questul-
timo, con il quale converge anche Kautsky, considera-
va il fenomeno come una politica del capitalismo.
Nel segno di una apparente razionalit, limperia-
lismo aveva promosso lespansione geografica secon-
do una crescita economica che era limmediato rifles-
so dellaccumulazione capitalista illimitata.
Annetterei i pianeti, se potessi era solito dire
Cecil Rhodes, quasi a suggello della nuova politica
mondiale.
68
R. Luxemburg, Die Akkumulation des Kapitals, Berlin, Singer, 1913;
trad. it. Laccumulazione del capitale, Milano, Feltrinelli, 1976.
______________________________
78
Espansione acquisiva il significato di continuo
ampliamento della produzione industriale e delle tran-
sazioni economiche.
69
Si trattava di un concetto non politico, tanto
vero che lobiettivo degli imperialisti era quello di
ampliare la sfera di potere, potere economico in pri-
mo luogo, senza creare un corrispondente corpo po-
litico.
Era il caso, ad esempio, dei francesi che trattaro-
no lAlgeria come una provincia del territorio metro-
politano senza imporre le loro leggi alla popolazione
araba, creando un ibrido per cui il territorio era nomi-
nalmente francese, giuridicamente parte integrante
della Francia, uno dei suoi dipartimenti, ma gli abitan-
ti non erano cittadini francesi, anzi, vennero conside-
rati quella force noire che doveva proteggere la Fran-
cia, o, per dirla con il Poincar, era carne da canno-
ne, ottenuta con metodi di produzione di massa.
70
69
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 175.
70
Ibidem, p. 180.
______________________________
79
Anche lInghilterra, per il fatto di essere uno stato
nazionale, non cre mai un Commonwealth of Na-
tions nel senso dellassimilazione e incorporazione
dei popoli sottomessi, ma una nazione sparsa nelle
varie parti del mondo.
71
Lesempio irlandese decret il fallimento della
politica estera inglese perch con il riconoscimento
dello status di dominion si era ravvivato lo spirito di
resistenza nazionale dellIrlanda.
Limperialismo, quindi, cre una pericolosa con-
traddizione tra la struttura dello stato nazionale e la
politica di conquista, perch dovunque si presenta-
to nella veste di conquistatore, ha infatti destato la
coscienza nazionale e la volont dindipendenza del
popolo vinto, mandando a monte il tentativo di co-
struzione di un impero duraturo.
72
Diversamente accadde nellantica Roma, per la
quale la Arendt esprime la sua ammirazione: tipica-
71
Ibidem, p. 178.
72
Ibidem, p. 177.
______________________________
80
mente romana era quella capacit di esportare il dirit-
to, collante tra popoli diversi ma egualmente ricono-
scentisi come cittadini romani, nonch perno della cre-
azione di un impero stabile e duraturo.
Limposizione di una legge comune permetteva
luguaglianza giuridica e il diritto alla cittadinanza di
popoli eterogenei, favorendo lintegrazione, laddove
lo stato nazionale, che si basava sul consenso attivo di
una popolazione omogenea, in caso di conquista, im-
poneva il consenso cercando di assimilare, degeneran-
do talora molto velocemente in tirannide.
Gli imperialisti non avevano, quindi, esportato la
legge, bens il dominio.
La prima conseguenza fu lesportazione del rule
by force, il governo mediante la forza, che sostitu la
fondazione del corpo politico.
Violenza, la polizia e le forze armate, che nel-
lambito della nazione erano soggette al controllo del-
le autorit civili, si arrogarono le prerogative di rap-
presentanti nazionali nelle colonie, dove erano state
81
dislocate come custodi del capitale investito. Qui in
regioni arretrate senza industrie e organizzazione po-
litica, dove la violenza aveva pi libert dazione che
in qualsiasi paese occidentale, si consent alle cosid-
dette leggi del capitalismo di diventare realt.
73
Lontano dal potere delle leggi, lontano da quella
funzione costituzionale che loro propria, lesercito e
la polizia diventano strumenti di violenza dalla forza
incontrollabile. Si era violato uno dei principi fonda-
mentali dello stato costituzionale.
Scambiando espansione per conquista, inoltre, gli
imperialisti governavano, piuttosto che per leggi, per
ordinanze e decreti.
La confusione tra potere esecutivo e legislativo -
in effetti le ordinanze e i decreti erano atti del potere
esecutivo- dava luogo nelle colonie allarbitrariet e
allarroganza dei funzionari, i quali preferivano che
lafricano restasse africano
74
per salvaguardare i
73
Ibidem, p. 190.
74
Ibidem, p. 182.
______________________________
82
propri affari laddove le leggi, invece, avrebbero ga-
rantito la legittimit del riconoscimento paritario tra
coloro che erano sottomessi al medesimo governo.
Pertanto le istituzioni democratiche esistenti erano
pericolose perch, come si legge da un discorso di Lord
Cromer in parlamento, non si poteva governare un
popolo per mezzo di un altro popolo, il popolo india-
no per mezzo del popolo inglese.
75
La burocrazia era un governo di tecnici, una
minoranza esperta, che doveva resistere alla costan-
te pressione della maggioranza inesperta,
76
il po-
polo, a cui non era possibile affidare la cura dellam-
ministrazione delle colonie.
I funzionari erano abilmente manipolati dagli uo-
mini di affari, non avevano idee politiche generali n
erano eccessivamente patriottici, anzi, le loro qualit
erano la segretezza, lanonimato, il potere da eminen-
za grigia.
75
Ibidem, p. 298.
76
Ibidem, p. 298.
______________________________
83
Gli uomini dellimperialismo erano individui de-
classati, senza uneffettiva funzione sociale, alienati
dal corpo sociale, parassiti senza identit che si appas-
sionarono allavventura imperialista pensando di po-
ter gestire un potere assoluto o segreto. Lalleanza
plebe e capitale allorigine di ogni coerente politica
imperialista.
77
La Arendt chiarisce che non bisogna confondere
la plebe n con il proletariato industriale, n con il
popolo nel suo insieme: essa formata dagli scarti di
tutte le classi sociali, una massa di persone priva di
qualsiasi principio e numericamente cos forte da su-
perare la capacit dello stato di occuparsene.
78
Direttamente prodotta dalla borghesia, con que-
sta rivela una profonda affinit sul piano politico,
lontana da ipocrisie e falsi valori e fortemente en-
tuasiasta delle teorie razziali che escludevano in li-
nea di principio lidea di umanit e ogni possibile
77
Ibidem, p. 216.
78
Ibidem, p. 219.
______________________________
84
relazione con il diverso, il selvaggio, che non fosse
di mera sudditanza.
Per dare meglio un quadro degli uomini dellim-
perialismo, la Arendt cita alcuni esempi, da Lawrence
dArabia a Lord Cromer fino ai personaggi dei romanzi
di Kipling e di Cuore di tenebra di Conrad.
Quello che le preme sottolineare, in effetti, che
erano uomini annoiati o falliti nel loro paese di origi-
ne di cui avevano rifiutato i valori e pronti a tutto nelle
colonie per conquistare unidentit e condizioni di vita
soddisfacenti.
I tratti distintivi dellimperialismo, dunque, sono
1) le teorie razziste, che sostituirono la razza alla na-
zione come base della struttura politica, e 2) lorga-
nizzazione burocratica, che ne fu lo strumento.
Il razzismo come strumento di dominio venne usa-
to, ancor prima che limperialismo lo definisse come
idea politica, dai boeri nel Sudafrica, i quali, emigrati
intorno al XVII secolo dallOlanda, ripudiarono lethos
europeo e, vivendo in un ambiente che non erano in
85
grado di trasformare, non trovarono altro valore pi
alto che in se stessi. Essi si considerarono individui
pi che umani, scelti da Dio per essere gli dei del po-
polo nero, inferiore non tanto per il colore della pelle
quanto per ragioni economiche: a stretto contatto con
la natura, gli indigeni non avevano creato n modifi-
cato il mondo e la realt umana. Con la scoperta di
giacimenti auriferi e diamantiferi, il Sudafrica fu terra
di investimento per i finanzieri ebrei, i quali divenne-
ro immediatamente bersaglio di odio antisemita da
parte dei boeri per il pericolo di innovazioni nella loro
societ razziale. Essi erano potenziali elementi desta-
bilizzanti presso una comunit che temeva fanatica-
mente lindustrializzazione del paese.
Il Sudafrica ebbe una particolare influenza sui
popoli europei: insegn alla plebe quel che essa ave-
va vagamente presentito, che bastava la mera violenza
per creare a piacimento strati inferiori o sfruttati, che a
tale scopo non occorreva neppure una rivoluzione, ma
si poteva contare sullaiuto di certi gruppi delle classi
86
dominanti, e infine che i popoli stranieri o arretrati
offrivano la migliore occasione per lascesa nella so-
ciet.
79
Se Hobbes poteva essere ritenuto il teorico ante-
signano della politica imperialista, alcuni nobili fran-
cesi del Settecento avevano creato i prodromi per le
teorie razziste che vennero messe in atto nel corso del
Novecento. Il conte de Boulainvilliers, ad esempio,
aveva sostenuto che la nobilt francese era di origine
germanica e che aveva conquistato la terra di Francia,
ora depredata da quellalleanza della monarchia con il
terzo stato.
Nessuno avrebbe mai sospettato che si preparava
la guerra civile, quella rivoluzione che rivendicava
eguali diritti civili per i cittadini di tutta la nazione
francese. Laristocrazia, in effetti, affermava la sua
superiorit per unazione di conquista e non gi per
fattori biologici.
79
Ibidem, pp. 287-288.
______________________________
87
Diversamente fu per la Germania.
Il pensiero razzista tedesco nacque, secondo la
Arendt, dopo la disfatta dei prussiani da parte di Na-
poleone. Si cerc di fare appello ad un generico senti-
mento di nazione per rafforzare lunit interna di un
popolo che si riconosceva dapprima nellunit lingui-
stica, poi nelle teorie fondate sulla razza, poich man-
cava sia lunit territoriale sia la memoria storica. Fu-
rono i razzisti tedeschi che identificarono il popolo
con la razza, idealizzando sulla scia romantica il Me-
dioevo e il Sacro Romano Impero.
Accanto a queste analisi storico-comparative, di
cui marcato il tono sociologico, la Arendt menziona
anche la portata delle teorie eugenetiche e del darwini-
smo sociale, con cui si negava lorigine unica e bibli-
ca delluomo.
Se limperialismo coloniale, comunque, aveva
minato la stabilit della politica estera degli Stati eu-
ropei, creando una dicotomia tra governo metropoli-
tano e colonie, limperialismo continentale, soste-
88
nuto dai movimenti panslavisti e pangermanisti, che
disintegrer internamente la struttura dello Stato-na-
zione.
Limperialismo continentale fu proprio dellarea
orientale dellEuropa, di quegli Stati che non avevano
partecipato allespansione geografica doltremare e
che, secondo una soluzione di continuit geografica,
pretendevano di creare colonie sul continente.
Limperialismo continentale ebbe realmente ini-
zio in patria.
80
Esso esprimeva esigenze nazionali, contrapponen-
do alleconomia un ampliata coscienza etnica che
si supponeva unisse tutte le persone della stessa origi-
ne etnica, indipendentemente dalla storia, dalla lingua
e dal luogo di residenza.
81
Questa sorta di nazionalismo tribale, come spre-
giativamente definito dalla Arendt, aveva in comune
con limperialismo coloniale il razzismo, inteso come
80
Ibidem, p. 312.
81
Ibidem, p. 312.
______________________________
89
rifiuto del diverso, inferiore e sottoposto, e la burocra-
zia, ampiamente descritta da Kafka nei suoi romanzi.
Esso aveva fatto sue le teorie razziali distinguen-
do non pi tra pelle bianca o bruna, bens tra anima
ariana e non ariana; aveva fatto della nazionalit una
qualit permanente proclamando lorigine divina del
proprio popolo; si era proclamato indipendente dal ter-
ritorio osteggiando tutti gli organismi statali esistenti
e identificando il cittadino con il membro del gruppo
nazionale.
Pur mancando di un preciso programma politico,
centrale nella sua ideologia divenne lantisemitismo
come se fosse una visione generale del mondo, isolan-
do cos lodio ebraico da ogni concreta esperienza
politica, sociale ed economica.
Il nazionalismo tribale nacque in unatmosfera di
profondo sradicamento.
Panslavisti e pangermanisti si riconoscevano non
gi per avere una patria territorialmente e giuridica-
mente definita, bens come trib.
90
In questo senso, sottolinea la Arendt, il popolo si
riconosce in quanto massa, orda in movimento, e la
sua forma di rappresentanza non poteva pi essere il
partito ma il movimento stesso.
I partiti, in effetti, mediavano nella vita politica di
un paese, ma non si era dimostrati efficaci, poich,
molto pi legati al potere che a ideali democratici e
parlamentari, si erano macchiati di abusi e corruzione
escogitando giustificazioni ideologiche che facevano
coincidere interessi privati con quelli pi generali del-
lumanit. Il risultato fu il progressivo allontanamen-
to dal governo delle masse, sempre pi antiparlamen-
tari e antidemocratiche, anzi, proprio per il clima di
sfiducia che si era venuto a creare veniva richiesta la
presenza di un dittatore come guida del paese.
La Arendt affronta su un piano comparativistico
la questione della disgregazione dei partiti, che , in
fondo, la disgregazione dello Stato-nazione nel senso
della perdita dei valori democratici e parlamentari,
nonch del diritto alla cittadinanza.
91
Lo svolgimento stato ben diverso nei paesi del-
lEuropa occidentale rispetto a quella orientale. In In-
ghilterra, ad esempio, il sistema rappresentativo era
solido grazie al bipolarismo, allalternanza dei due
partiti al potere; mentre in Germania lo Stato sviri-
lizzava
82
i partiti, nel senso che il sistema tedesco
faceva del parlamento un campo di battaglia di inte-
ressi e di opinioni contrastanti, la cui funzione pratica
per la direzione degli affari statali era estremamente
discutibile.
83
Lantagonismo stato-societ venne poi spazzato
via dai seguenti movimenti totalitari.
La crisi interna allo Stato-nazione viene acuita
dalla situazione degli apolidi, gli Heimatlose, grup-
pi che con la guerra del 1914 erano emigrati da un
paese ad un altro privati dei diritti umani garantititi
dalla cittadinanza, condannati all apolidicit come
schiuma della terra.
82
Ibidem, p. 357.
83
Ibidem, p. 357.
______________________________
92
Cechi, sloveni, ebrei, russi bianchi e altre mino-
ranze costrette allo spostamento territoriale per la ca-
duta dellImpero russo, austro-ungarico e ottomano,
erano unicamente tutelati per una serie di trattati inter-
nazionali, i Minority Traties, spesso rimasti pura enti-
t astratta.
In molti Stati europei, inoltre, erano state intro-
dotte leggi che permettevano la denazionalizzazione e
la denaturalizzazione; il primo provvedimento venne
preso in Francia gi nel 1915 in relazione ai cittadini
naturalizzati provenienti da un paese nemico; poi nel
1922 il Belgio annullava la naturalizzazione delle per-
sone che avevano commesso atti antinazionali duran-
te la guerra; nel 1926 in Italia il regime di Mussolini
eman una legge analoga per quei cittadini che si era-
no mostrati indegni della cittadinanza italiana o rap-
presentavano una minaccia per lordine pubblico;
lAustria nel 1933 per chi avesse commesso azioni
ostili nei suoi confronti e via via fino al 1935 quando
con le leggi di Norimberga la Germania distinse i te-
93
deschi in cittadini a pieno titolo e cittadini senza diritti
politici.
84
La Arendt, considerando lapolidicit un fenome-
no di massa tutto contemporaneo, tiene a precisare la
differenza tra minoranze e apolidi.
Le minoranze erano senza stato solo a met; al-
meno de jure appartenevano a un organismo statale,
anche se avevano bisogno di una protezione supple-
mentare e di speciali garanzie per godere di certi dirit-
ti. (...) Le minoranze potevano essere considerate come
un fenomeno eccezionale, proprio di determinati ter-
ritori che deviavano dalla norma.
85
E i trattati sulle minoranze dicevano quello che
gi era implicito nel sistema degli stati nazionali, cio
che solo lappartenenza alla nazione dominante dava
veramente diritto alla cittadinanza e alla protezione
giuridica, per cui i gruppi allogeni erano soggetti solo
84
Ibidem, nota p. 387 e ss. Cfr. anche G. Agamben, Mezzi senza fini.
Note sulla politica. Torino, Bollati Boringhieri, 1996.
85
Ibidem, p. 384.
______________________________
94
a leggi eccezionali fino a quando non si compiva las-
similazione. A tutela era stata creata la Lega delle na-
zioni.
Gli apolidi, invece, erano stati privati della citta-
dinanza, nel senso che essa presupponeva una strut-
tura statale che, se non ancora completamente totalita-
ria, non tollerava alcuna opposizione e preferiva per-
dere dei cittadini piuttosto che albergare nel suo seno
dei dissenzienti.
86
Quanto fosse perverso questo meccanismo e quan-
to sia attuale, viene sottolineato dalla Arendt investen-
do della sua critica anche il paese democratico per
antonomasia, gli Stati Uniti, allorquando si era creata
la possibilit, durante il periodo maccartista, di priva-
re della cittadinanza gli americani comunisti.
La perdita della cittadinanza quanto di pi of-
fensivo si possa fare ad un uomo, agli uomini, perch
significa la privazione di uno spazio pubblico di rico-
86
Ibidem, p. 387.
______________________________
95
noscimento, di un agire politico di concerto che dia
peso alle opinioni e alle azioni e che, secondo la Aren-
dt, pu realizzare quella dignit di essere-uomini.
In questo senso vengono messi in questione gli
stessi diritti delluomo ritenuti inalienabili dalla Di-
chiarazione dei diritti delluomo e del cittadino del
1789, con cui, per lappunto, si creata la perfetta coin-
cidenza di uomo e cittadino.
Lapolide segna la crisi di questo rapporto e, di
riflesso, anche la crisi dello Stato-nazione perch vie-
ne meno quella triade Stato-nazione-territorio, quindi
lo stesso concetto di sovranit.
Rimedi furono considerati il diritto allasilo, il rim-
patrio e la naturalizzazione, ma nessuno di questi fu
storicamente e politicamente adeguato.
Gli apolidi furono costretti, infatti, ad unesisten-
za crepuscolare.
La Arendt prende cos una posizione netta e pre-
cisa anche rispetto al problema palestinese, quando,
cio, venne creato in Palestina lo Stato dIsraele.
96
Sembrava, infatti, che la questione ebraica non
dovesse avere una risoluzione, eppure venne affronta-
ta con la colonizzazione e la conquista di un territorio,
producendo, non a caso, una nuova categoria di apoli-
di, i profughi arabi.
Quella degli apolidi una nuova categoria da cui
ripensare la comunit politica e la stessa figura di po-
polo. E come una maledizione che accompagna il
sorgere di nuovi stati, fondati sulla falsariga dello sta-
to nazionale. Questa maledizione contiene i germi di
una malattia mortale per i nuovi organismi. Perch lo
stato nazionale non pu esistere una volta infranto il
principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Senza questa uguaglianza, che in origine era destinata
a sostituire i vecchi ordinamenti della societ feudale,
esso si dissolve in una massa anarchica di privilegiati
e di diseredati. Le leggi che non sono uguali per tutti
danno luogo a privilegi, qualcosa che contrasta con la
stessa natura dello stato nazionale. Quando questo non
in grado di trattare gli apolidi come soggetti politici
97
e lascia ampio campo dazione allarbitrio delle misu-
re poliziesche difficilmente resiste alla tentazione di
privare tutti i cittadini del loro status e di governarli
con una polizia onnipotente.
87
Secondo tale prospettiva, potremmo dire che sia il
capitolo sullAntisemitismo che quello sullImperialismo
altro non sono che una continua ricerca, da parte della
Arendt, delle ragioni della perdita dellidentit individua-
le e collettiva da parte della comunit politica occidentale.
Lerrore stato quello di non aver trovato nulla di
sacro nellastratta nudit dellessere nientaltro-che-
uomo.
88
La nostra vita politica si fonda sul presupposto
che possiamo instaurare leguaglianza attraverso lor-
ganizzazione, perch luomo pu trasformare il mon-
do e crearne uno di comune, insieme coi suoi pari e
soltanto con essi.
89
87
Ibidem, p. 402.
88
Ibidem, p. 415.
89
Ibidem, p. 417.
______________________________
98
La messa la bando e la riduzione delluomo a mera
esistenza ha strappato ogni legame del singolo con
lumanit, ha impedito il rispetto della pluralit e il
riconoscimento che luguaglianza dei popoli solo, e
non pu essere che solo giuridica, risultato dellor-
ganizzazione umana nella misura in cui si fa guidare
dal principio di giustizia. Non si nasce uguali; si di-
venta uguali come membri di un gruppo in virt della
decisione di garantirsi reciprocamente eguali diritti.
90
Ci che andato storto nella politica, e che ha
dato corpo allevento totalitarismo, stato la confu-
sione tra sfera pubblica e sfera privata, lo schiaccia-
mento del politico sul sociale, la perdita dello spazio
pubblico dellazione.
90
Ibidem, p. 417 e ss.
______________________________
CAPI TOLO TERZO
LA CATEGORIA TOTALITARISMO
Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non mia colpa se vivo e respiro
e mangio e bevo e dormo e vesto panni.
(Levi, Il superstite, 1984)
Che cosa resta? Resta la lingua materna.
(H. Arendt)
100
1. I l mutato sfondo socio-politico tra i due secoli:
la nuova societ di massa
Rompendo quella linea di continuit causa ed
effetto, in alternativa, quindi, al metodo continui-
sta dello storico,
91
la Arendt rintraccia nella crisi di
valori e nella rottura della tradizione dell Europa
occidentale i germi da cui prender corpo il totalita-
rismo. Antisemitismo, imperialismo, crisi dello Sta-
to-nazione, atomizzazione della societ rappresen-
tavano il collasso della societ illuministica e ven-
gono puntualmente esaminati sul piano storico, po-
litico, sociologico e psicologico, dalla Arendt, per-
ch fenomeni nuovi, che mettono in discussione il
91
Circa il rapporto H. Arendt-metodo storico, cfr. in particolare: M.
Salvati, Hannah Arendt e la storia del novecento, in Aa. Vv., Nazismo,
fascismo, comunismo, Totalitarismi a confronto, a cura di M. Flores,
Milano, Bruno Mondadori, 1998; V. Marchetti, Resistenza ebraica,
antisemitismo, totalitarismo, in Aa. Vv., Nazismo, op. cit.; A. Engren,
op. cit.; G. Even-Gramboulan, Hannah Arendt face lhistoire, in Aa.
Vv., Hannah Arendt et la modernit, a cura di A. M. Roviello, Vrin,
1992.
______________________________
101
lessico politico e filosofico e impongono nuove mo-
dalit di comprensione.
Che cosa sia il totalitarismo e che cosa abbia si-
gnificato per quella sua carica dirompente nella vita
della comunit politica analizzato nella terza parte
de Le origini del totalitarismo in modo meno schema-
tico, ma con altrettanta intensit, a partire dal tramon-
to della societ classista e da quel processo di massifi-
cazione a cui hanno rivolto la loro attenzione filosofi
e storici come T. W. Adorno, W. Reich, E. Canetti, E.
Broch, G. Mosse.
92
Maggiore influenza per la Arendt ha avuto State
of the Masses di E. Lederer, in cui lautore contrappo-
ne alla societ dellopinione pubblica la minaccia di
una societ senza classi. Lederer ha studiato il rappor-
92
Sullopera di W. Reich circa la psicologia delle masse e il fascismo e
sugli accenni fatto da Adorno sullo stesso argomento, cfr. S. Moscovici,
Lge des foules, Paris, Complexe, 1985; E. Canetti, Masse und macht,
Hamburg, Classen, 1960, trad. it. Masse e potere, Milano, Rizzoli, 1973;
H. Broch, Massenpsycologie, Zrich, Rhein, 1959; G. Mosse, Luomo e
le masse nelle ideologie nazionaliste, Bari, Laterza, 1995.
______________________________
102
to privilegiato della massa con il capo totalitario e ha
definito lo stato dittatoriale come fondato sul terrore
distruggendo i gruppi sociali di ogni tipo, sradicando
la ragione, consegnando luomo alle sue emozioni e
istituzionalizzando inevitabilmente le masse.
93
Nella bibliografia de Le origini del totalitarismo,
si fa riferimento anche al testo di Ortega y Gasset, La
ribellione delle masse,
94
di cui la Arendt non condivi-
de lipotesi deterministica secondo cui meccanico
ed inevitabile che la societ moderna arrivi alla massi-
ficazione, giacch essa fondata su individui isolati,
privi di interessi e responsabilit.
In questo senso la Arendt molto pi prossima a Toc-
queville e al pessimismo di Burckhardt, che pure avevano
sottolineato i rischi di unattrazione a dir poco naturale e
93
E. Lederer, The State of masses. The Treat of the Classless Society,
New York, W. W. Norton, 1940, trad. it. parziale, Lo Stato delle masse,
in M. Salvati, Da Berlino a New York, Bologna, Cappelli, 1989.
94
J.Ortega y Gasset, La rebelion de las masas, Madrid, Revista de
Ocidente, 1929; trad. it. La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino,
1962.
______________________________
103
spontanea verso sistemi dispotici e autoritari di individui
completamente deresponsabilizzati e superflui, appar-
tenenti peraltro a tutte le classi sociali.
Il termine massa si riferisce soltanto a gruppi
che, per lentit numerica o per indifferenza verso gli
affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono
inserirsi in unorganizzazione basata sulla comunanza
di interessi, in un partito politico, in un amministra-
zione locale, in unassociazione professionale o in un
sindacato. Potenzialmente, essa esiste in ogni paese e
forma la maggioranza della folta schiera di persone
politicamente neutrali che non aderiscono mai ad un
partito e fanno fatica a recarsi alle urne.
95
La Arendt non riconosce alcuna capacit di azio-
ne alla massa, che soggetto passivo, facilmente
manipolabile, diversamente dallinterpretazione della
critica socialista e marxiana che ne d una valenza
positiva.
96
95
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 431.
96
R. Williams, Cultura e rivoluzione industriale, Torino, Einaudi, 1968.
______________________________
104
Indubbiamente ella rimarca che le masse sono il
portato della degenerazione dellindividualismo bor-
ghese e di una societ atomizzata in cui la competiti-
vit e il senso di solitudine dellindividuo erano state
contenute dallappartenenza ad una classe, tant che
la peculiarit delluomo di massa era lisolamento e la
mancanza di relazioni sociali, piuttosto che la brutali-
t e la rozzezza. Potremmo dire con il Kornhauser che
sotto il profilo oggettivo societ atomizzata, sotto
il profilo soggettivo popolazione alienata.
97
Il crollo della muraglia protettiva classiste tra-
sform le maggioranze addormentate, fino ad allora a
rimorchio dei partiti, in una grande massa, disorganiz-
zata ed amorfa, di individui pieni di odio che non ave-
vano nulla in comune tranne la vaga idea che le spe-
ranze degli esponenti politici in un ritorno dei bei tempi
andati fossero campate in aria e che quindi i rappre-
sentanti della comunit rispettati come i suoi membri
97
W. Kornhauser, The Politics of Mass Society, Free Press, Glencoe,
1959.
______________________________
105
pi preparati e perspicaci fossero in verit dei folli,
alleatisi con le potenze dominanti per portare, nella
loro stupidit o bassezza fraudolenta, tutti gli altri alla
rovina.
98
E una massa di uomini disperati e insoddisfatti,
come i deracins dei salotti borghesi del tardo Otto-
cento e i parassiti e gli avventurieri dellimperialismo.
Sono la generazione del fronte, totalmente spo-
liticizzata, educata alla guerra e alla vita di trincea, ad
un attivismo e ad una esaltazione del proprio io che si
riduceva ad un fare qualcosa, di eroico o di crimina-
le, che fosse imprevedibile e indeterminato da altri.
99
Il terrorismo di cui si vantavano esprimeva la fru-
strazione e lodio di quanti consideravano la guerra,
con la sua implacabile arbitrariet, simbolo della mor-
te e legge delluniverso nonch origine di un nuovo
ordine mondiale.
98
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 436.
99
Ibidem, p. 459.
______________________________
106
Il processo di massificazione rifletteva la disso-
luzione dei legami sociali, lappiattimento della pira-
mide sociale, lannullamento delle differenziazioni
individuali e di quelle strutture che garantiscono il plu-
ralismo in un istituzione democratica.
Pi specificamente la societ di massa una con-
dizione necessaria, ma non sufficiente, per linstaura-
zione di un regime totalitario.
La Arendt osserva che per trasformare la dittatu-
ra rivoluzionaria di Lenin in un regime totalitario, Sta-
lin dovette prima creare artificialmente quella societ
atomizzata che in Germania per i nazisti era stata pre-
parata dagli avvenimenti storici.
100
Fu necessario,
cio, distruggere quegli antichi rapporti di classe, fa-
miglia e villaggio molto radicati in Russia fin dal Me-
dioevo; annientare le vecchie classi; cancellare le me-
morie del passato; operare quello sradicamento che
nellEuropa occidentale si era venuto svolgendo gi
100
Ibidem, p. 441.
______________________________
107
da tempo. La destrutturazione della societ era fina-
lizzata alla edificanda societ totalitaria, al nuovo
ordine in cui, tuttavia, occorreva mantenere la mobi-
litazione, i fattori disgreganti e le spinte massificanti,
in modo da impedire la stabilit e il dimensionamento
in dittatura monopartitica.
Aclassista, antipluralista, il totalitarismo, che pure
si basa sulla disponibilit
101
di base della societ di
massa, crea il dominio permanente di ogni singolo
individuo in qualsiasi aspetto della vita.
102
In questo sfacelo generale di valori e di aspirazio-
ni, sia la plebe che llite intellettuale erano attratte
dallimpeto dei movimenti totalitari.
Il culto della violenza e il gangsterismo sembra-
vano smascherare lipocrisia della borghesia. La mo-
rale a doppio uso era bersaglio di aspri attacchi da
101
S. Neumann, Permanent Revolution, Harper, New York 1942; D.
Fisichella, Elezioni e democrazia. Unanalisi comparata, Bologna, Il
Mulino, 1983.
102
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 451
______________________________
108
parte degli artisti e degli intellettuali, sia dellarte del-
le avanguardie che della letteratura e del teatro. Parti-
colarmente significativa, a proposito, fu la calda acco-
glienza della ironica Dreigrischenoper di Brecht nella
Germania prehitleriana, dramma che identificava i
gangsters come rispettabili affaristi e gli affaristi come
rispettabili gangsters.
La plebe applaudiva perch prendeva lafferma-
zione alla lettera; la borghesia, perch era stata cos a
lungo ingannata dalla sua stessa ipocrisia da essere
stanca della tensione e da trovare una profonda sag-
gezza nellespressione della banalit con cui viveva;
llite, perch lo smascheramento dellipocrisia era un
divertimento meraviglioso.
Leffetto era lopposto di quello che si era prefis-
sato Brecht.
103
Questa distorta alleanza fra plebe ed lite era ba-
sata su un equivoco accidentale: la plebe, in quanto
103
Ibidem, p. 464.
______________________________
109
scarto della borghesia, pensava che grazie alle masse
avrebbe potuto ottenere il potere e rimpiazzare i vec-
chi strati della societ borghese; llite, affascinata dal
radicalismo totalitario, riusciva grazie ad un certo fa-
natismo rivoluzionario, a manipolare e mobilitare le
masse, escludendole dai centri vitali del potere.
In ogni caso era necessario imbrigliare e allineare la
massa di filistei, in cui si identificava il borghesuccio gret-
to che in mezzo alle rovine del suo mondo aveva a cuore
soltanto la sicurezza personale ed era pronto a sacrificare
ogni cosa -fede, onore, dignit- al minimo pericolo.
Nulla si rivel pi facilmente distruttibile dellin-
timit e della moralit privata di gente che pensava
unicamente a salvaguardare lininterrotta normalit
della propria vita.
104
104
Ibidem, p.469. Ancora pi incisiva la Arendt quando individua nel
buon padre di famiglia il tipo delluomo-massa: Credo sia stato Pguy a
chiamare il padre di famiglia grand aventurier du 20 sicle, ma morto
troppo presto per imparare che quel tipo duomo era anche il grande crimi-
nale del secolo. Eravamo talmente abituati ad ammirare o a canzonare gar-
batamante il padre di famiglia per le sue affettuose premure e la sua assidua
______________________________
110
E saranno proprio costoro a macchiarsi dei pi
nefandi crimini, dopo anni di livellamento per mezzo
di una propaganda menzognera e una capillare orga-
nizzazione di potere.
dedizione al benessere della famiglia, per la sua solenne determinazione ad
assicurare alla moglie e ai figli una vita agiata, che non ci siamo accorti di
quanto il devoto paterfamilias, la cui preoccupazione principale era la pro-
pria sicurezza, si fosse involontariamente trasformato, sotto la spinta della
caotica situazione economica del nostro tempo, in un avventuriero, al quale
non bastava una grande industriosit ed accortezza per essere certo di quello
che il giorno sucessivo gli avrebbe riservato. (...) Ci voleva solo il genio
satanico di Himmler per scoprire che, dopo una simile degradazione, que-
stuomo sarebbe stato completamente disposto a fare letteralmente di tutto
quando la posta si fosse alzata e la piatta esistenza della sua famiglia fosse
minacciata. (...) Cos oggi pu accadere che quella stessa persona, il tedesco
medio, che anni di propaganda nazista non erano riusciti a convincere ad
uccidere un ebreo (neppure quando divenne abbastanza chiaro che un siffat-
to omicidio sarebbe rimasto impunito), accetti senza opporsi di mettersi al
servizio della macchina della distruzione. (...) Diversamente dalle prime
unit delle SS e della Gestapo, lorganizzazione totale di Himmler non con-
ta sui fanatici, n sugli assassini per natura, n sui sadici; essa fa interamente
assegnamento sulla normalit dei lavoratori e dei padri di famiglia, in Col-
pa organizzata e responsabilit universale, articolo del gennaio 1945, ora in
Ebraismo e modernit, a cura di G. Bettini, Milano, Feltrinelli, 1993. La
Arendt rimarca questo carattere della normalit anche quando ritrae Eich-
mann in La banalit del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltri-
nelli, 1993.
______________________________
111
2. Gli strumenti del totalitarismo:
propaganda, polizia segreta e burocrazia.
Lideologia come logica di unidea.
La Arendt ritiene che la propaganda sia lo stru-
mento di cui il movimento totalitario si serva, almeno
in un momento iniziale, perch sia possibile trasfor-
mare la natura delluomo.
Essa rivolta in particolare alla sfera esterna, cio
agli strati non totalitari della popolazione o ai paesi stra-
nieri perch evitassero qualsiasi ingerenza interna.
La propaganda utilizzava la menzogna e la falsi-
ficazione, che erano s accorgimenti potestativi ma con
la subdola finalit di sommergere le masse in un mon-
do irreale di modo che fossero incapaci di lottare per i
propri interessi concreti, si sentissero profondamente
sradicate dal tessuto economico-sociale e aderissero
pienamente alle astrazioni dellideologia totalitaria.
La specificit tecnica della propaganda totalitaria
quella di investire gli uomini fin nella profondit
112
psichica usando come espediente il terrore. Pertanto,
oltre a forme di propaganda diretta, vi erano altrettan-
te forme di propaganda indiretta, miranti a sostenere
la mobilitazione totale, la guerra di una popolazione
contro se stessa.
Ma cosa veniva propagandato?
Nessuna propaganda basata sullinteresse puro
e semplice pu avere effetto fra masse che essendo
caratterizzate principalmente dallestraneit a qualsi-
asi corpo sociale e politico, presentano un vero caos
di interessi individuali.
Il fanatismo dei militanti dei movimenti totalitari,
cos diverso qualitativamente dallattaccamento dei
membri dei partiti normali, prodotto dalla mancanza
di un interesse egoistico delle masse, che sono pronte
a sacrificarsi.
I nazisti hanno dimostrato che si pu condurre in
guerra un intero popolo con lo slogan vittoria o di-
struzione (qualcosa che la propaganda bellicista del
1914 avrebbe accuratamente evitato), e ci non in un
113
periodo di miseria, disoccupazione o ambizioni nazio-
nali deluse.
105
I movimenti totalitari, secondo la Arendt, svuotano
di ogni contenuto utilitaristico i propri fondamenti dottri-
nari e annunciano le loro finalit politiche attraverso for-
me di predizione infallibile. In questo senso fanno dichia-
razioni legate al futuro piuttosto che richiamandosi al glo-
rioso passato, pensano nei termini del millennio a veni-
re, alimentano la fuga dalla realt delle masse.
Prima di tirare intorno a s una cortina di ferro
per impedire che il pi lieve rumore esterno turbi la
spaventosa quiete di un mondo interamente immagi-
nario, essi possiedono gi, grazie alla loro propagan-
da, la forza di segregare le masse del mondo reale.
106
La finalit della propaganda, inoltre, non tanto la
persuasione quanto lorganizzazione, larte di accumu-
lare il potere senza possedere gli strumenti di potere.
105
Ibidem, p.481. Cfr. G. Sartori, Cosa propaganda ?, in Rasse-
gna italiana di sociologia, IV, 1962.
106
Ibidem, p.488.
______________________________
114
Per avere unidea di come si strutturi lorganizzazio-
ne totalitaria, la Arendt, in Che cos lautorit,
107
la de-
scrive in modo molto pi semplice come una cipolla: nel
centro della quale, quasi in uno spazio vuoto, si trova il
capo (...). Tra le innumerevoli parti del movimento: le or-
ganizzazioni collaterali extrapartitiche, le varie associa-
zioni professionali, gli iscritti al partito, la burocrazia del
partito, le formazioni di lite e i gruppi paramilitari sono
reciprocamente in una relazione tale da costituire, a se-
conda del punto di vista, la superficie o il centro della ci-
polla: cio, rispetto a uno strato costituiscono il normale
mondo esterno, mentre rispetto ad un altro rappresentano
il radicalismo pi estremista. Il grande vantaggio del si-
stema di fornire a ciascuno strato del movimento, nono-
stante il regime totalitario, la finzione di una realt norma-
le e, insieme, la convinzione di differenziarsene e di esse-
re pi radicale.
107
H. Arendt, Between Past and Future: Six Exercices in Political Thou-
ght, London, Faber and Faber, 1961; trad. it. Tra passato e futuro, Mila-
no, Garzanti, 1991
______________________________
115
In questo modo, ritenendo che ci sia solo una dif-
ferenza quantitativa tra ciascuno degli strati, nessuno
a conoscenza dell abisso che si venuto a creare tra
il mondo artificiale in cui vive e quello reale che lo
circonda.
Attraverso le organizzazioni frontiste e dei sim-
patizzanti viene creata una nebbia di normalit e ri-
spettabilit che inganna sui veri caratteri dellideolo-
gia del movimento totalitario. Nellisolamento dalle
realt, il capo totalitario prende le decisioni dallinter-
no della struttura stessa, n dallesterno n dallalto: il
suo compito fare da magica difesa contro il mondo
esterno e insieme da ponte con esso.
108
La figura del capo come leader del movimento
non , comunque, la conditio sine qua non dellinstau-
razione del regime totalitario, anche se il Fhrerprin-
108
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 516. Sulla figura del
capo: L. Cavalli, Il capo carismatico, Bologna, Il Mulino, 1981; M.
Stoppino, Totalitarismo, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Di-
zionario di politica, cit.
______________________________
116
zip e il culto della personalit non sono poi irrilevanti.
La Arendt, infatti, chiarisce che il principio del capo
non di per s totalitario ma ha colto elementi dal-
lautoritarismo e dalla dittatura militare.
Il Fhrerprinzip poteva collegarsi ad una forte tra-
dizione tedesca, ancor pi sentita durante gli anni del
sistema presidenziale della repubblica di Weimar, con
la reggenza di Hidemburg, e presente nelle forme mi-
litarizzanti delle associazioni giovanili e darma, nel
diffuso atteggiamento antidemocratico, nelle ideolo-
gie dominanti nella burocrazia e nellesercito.
Le crisi del 1923 e del 1930 avevano dato nuovo
slancio allappello verso luomo forte, un capo cari-
smatico, attraverso cui il Fhrerprinzip diventava una
sintesi di idee di ordine autoritario e militaresco con
forme di legittimazione pseudodemocratico-plebisci-
taria, manipolate attraverso la propaganda di massa.
E la volont del Fhrer che diventa legge suprema
in uno stato totalitario e non i suoi ordini che defini-
rebbero una struttura gerarchica.
117
Lautorit non filtra dal vertice agli strati inter-
medi fino alla base del corpo politico come nel caso
dei regimi autoritari. La ragione effettiva che non
c gerarchia senza autorit e che, malgrado i numero-
si equivoci sulla cosiddetta personalit autoritaria,
il principio di autorit , in tutti gli aspetti importanti,
diametralmente opposto a quello del dominio totalita-
rio. A prescindere dalla sua origine nella storia roma-
na, lautorit in qualunque sua forma sempre desti-
nata a ridurre o limitare la libert, ma mai ad abolirla.
Il dominio totalitario, invece, mira a distruggerla, ad
eliminare la spontaneit in genere, e non si accontenta
affatto di una sua riduzione, per quanto tirannica.
109
Tutto deve convergere alla costruzione di un mon-
do fittizio: il mondo viene spogliato di quella multi-
formit, di quel pluralismo che elemento di disorien-
tamento e disintegrazione per le masse.
La Arendt tende a sfatare cos un luogo comune
109
Ibidem, p. 555.
______________________________
118
dei regimi totalitari, che essi siano garanti dellordine
e della stabilit. Hitler e Stalin si servirono delle pro-
messe di stabilit per nascondere la loro intenzione di
creare uno stato di instabilit permanente.
Per un movimento totalitario entrambi i pericoli
sono mortali: levoluzione verso lassolutismo mette-
rebbe fine al suo impeto interno, e unevoluzione ver-
so il nazionalismo impedirebbe lespansione esterna,
senza la quale non pu sopravvivere. Esso deve ricor-
rere a quella che, con Trotsky, si potrebbe chiamare
rivoluzione permanente.
110
La rivoluzione totali-
taria, dunque, rivoluzione permanente in quanto
risponde necessariamente a quella logica di perpetua-
zione della guerra civile che lha originata.
110
Ibidem, p. 536. Il termine rivoluzione permanente compare gi in
Trotsky nel 1905 a proposito del fallimento dellesperienza dei soviet di
Pietrogrado e, in seguito, in polemica contro la cristallizzazione teorica
fatta da Stalin del socialismo in un solo paese. Vedi R. Schnur, Rivolu-
zione e guerra civile, a cura di P.P. Portinaro, Milano, Giuffr, 1986; L.
Pellicani, Dinamica delle rivoluzioni, Milano, Sugarco,1974. Cfr. anche
H. Arendt, On revolution, Viking Press, New York, 1963; trad. it. a cura
di M. Magrini, Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni Comunit 1996.
______________________________
119
All instabilit permanente fa da contrappeso la
completa assenza di struttura: lo stato totalitario non
monolitico, anzi, come sistema monopartitico, esso,
in concreto, si caratterizza secondo il dualismo Stato-
partito o, per alcuni critici, secondo la divisione tra
potere reale e potere apparente.
111
La Arendt sostiene che se si considera lo stato
totalitario esclusivamente come uno strumento di po-
tere lasciando da parte lefficienza amministrativa, in-
dustriale ed economica, la sua mancanza di struttu-
ra appare il mezzo ideale per lattuazione di quello
che i nazisti chiamavano il principio del capo. La con-
tinua concorrenza fra gli uffici che, oltre a sconfinare
111
cfr. F. Neumann, Behemoth. The Structure and Practice of National
Socialism, Harper & Row, New York 1966. Neumann afferma che il
regime nazional-socialista si caratterizzava attraverso quattro centri di
potere fondamentali, ciascuno con il proprio esecutivo, legislativo e giu-
diziario. Fraenkel, ne Il doppio Stato, cit., teorizza, invece, la compre-
senza di uno Stato normativo, non sospeso del tutto, che regola la
produzione, ed uno Stato discrezionale, in cui si esprimono gli obiet-
tivi programmatici del nazismo, obiettivi accettati dal capitalismo tede-
sco purch gli sia riconosciuto il predominio nella sfera produttiva.
______________________________
120
con lesercizio delle proprie funzioni nei settori altrui
sono incaricati di compiti identici, rende pressoch
impossibili lopposizione e il sabotaggio.
112
Il segno pi evidente della mancanza di una ge-
rarchia la moltiplicazione dellapparato burocrati-
co, tant che il cittadino del Terzo Reich era co-
stretto a vivere sotto lautorit simultanea e spesso
contrastante di poteri concorrenti, come lammini-
strazione statale, il partito, la SA e le SS; e non sape-
va mai, perch nessuno glielo diceva esplicitamente,
quale di queste istanze possedeva unautorit mag-
giore. Egli doveva sviluppare una specie di sesto
senso per capire a un dato momento a chi obbedire e
chi ignorare.
113
Lo stesso accadde in Russia, dove il regime era
ricorso in misura ancora maggiore alla continua crea-
zione di nuovi uffici per relegare nellombra i vecchi
centri di potere. Solo che il gigantesco sviluppo buro-
112
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit, p. 554.
113
Ibidem, p. 548.
______________________________
121
cratico, inerente a questo metodo, veniva frenato dalle
ripetute epurazioni.
114
La differenza sostanziale, secondo la Arendt, tra i
due sistemi, nazional-socialista e sovietico, era che
Stalin, ogni qual volta trasferiva il potere da un ap-
parato allaltro, tendeva a liquidare insieme con lap-
parato declassato il suo personale, mentre Hitler, mal-
grado lo sprezzante giudizio sulle persone incapaci
di saltare al di l della propria ombra, era perfetta-
mente disposto ad utilizzare tali ombre anche in se-
guito, magari in unaltra funzione.
115
Lo Stato funge da facciata, rappresentando il pae-
se per interessi di politica estera; in realt il vero cen-
tro di potere la polizia segreta, le cui agenzie sono le
cinghie di trasmissione che danno dinamismo al-
lazione dello stato totalitario.
La polizia segreta completamente soggetta alla
volont di chi detiene il potere, interamente alla
114
Ibidem, p. 553.
115
Ibidem, pp. 550-1.
______________________________
122
merc delle massime autorit per la conservazione del
suo lavoro. Al pari dellesercito in uno stato non tota-
litario, si limita ad eseguire la politica decisa da altri,
avendo perso tutte le prerogative godute nelle buro-
crazie dispotiche.
116
La sua caratteristica, dunque, ridotta ad un pia-
no meramente esecutivo e una delle ragioni della
moltiplicazione dei servizi segreti, i cui agenti non si
conoscono, lesigenza di una estrema flessibilit. Per
usare il nostro esempio, poteva darsi che le massime
gerarchie, al momento della comunicazione del loro
ordine, fossero ancora indecise fra una maggiore prov-
vista di tubi e unepurazione. La moltiplicazione con-
sentiva i mutamenti allultimo momento: era cos pos-
sibile che, mentre gli agenti di un servizio preparava-
no la concessione dellordine di Lenin al direttore del-
la fabbrica, quelli dellaltro servizio si apprestassero
ad arrestarlo. Lefficienza della polizia consisteva nel
116
Ibidem, p. 585.
______________________________
123
fatto di poter preparare simultaneamente lesecuzione
di incarichi cos contraddittori.
117
La polizia segreta,
che uno strumento di repressione terroristica, non
ha il compito di scoprire gli autori di delitti, ma quello
di essere pronta quando il governo decide di arrestare
una certa categoria della popolazione. La sua unica
distinzione di essere la sola a godere la fiducia della
massima autorit e a sapere quale linea politica sar
attuata.
118
Attraverso la provocazione, i processi e le
epurazioni, gli agenti segreti hanno il compito di sta-
nare lopposizione. Cosa significa?
Ogni forma di governo ha degli oppositori; anzi,
in via analitica, possiamo distinguere tra: 1) nemici
reali, 2) nemici potenziali, 3) nemici oggettivi, 4) au-
tori di delitti possibili, 5) innocenti, 6) amici e se-
guaci.
Ma ci che caratterizza il totalitarismo il perse-
guitare in particolar modo persone e gruppi ricompre-
117
Ibidem, p.583.
118
Ibidem, p.583.
______________________________
124
si sotto il clich di nemico oggettivo e definiti tali
ideologicamente gi prima di conquistare il potere.
A sua discrezione, il gruppo di potere individua e
persegue un portatore di tendenze
119
che in futuro
potrebbe risultare oggettivamente ostile, una catego-
ria di persone la cui inimicizia pu apparire plausibile
ideologicamente, soprattutto allestero.
E il nemico oggettivo, che differisce dal sospetto,
individuato dalle polizie segrete, in quanto la sua identit
determinata dallorientamento politico del governo, non
dalla attivit sovversiva di cui autore.
Per questo, riflettendo quel dinamismo intrinseco
al movimento totalitario stesso, esaurita una catego-
ria, si dichiara guerra ad unaltra, procedendo cos alla
tassonomia dei subumani. Ogni operazione contro il
nemico oggettivo di turno -il che ci induce a pensa-
re che lunico innocente solo chi detiene il potere-
viene legittimata sul piano ideologico, secondo la raz-
119
Ibidem.
______________________________
125
za per i nazionalsocialisti, come nemico della classe
operaia per i comunisti.
Lesasperazione del nemico oggettivo conduce
alla nozione di delitto possibile, cio la presunzio-
ne che il crimine possa essere costruito in anticipo su
basi ritenute oggettivamente attendibili, anche se in
concreto assolutamente improbabili. In questo modo
il governo totalitario ammanta con proprie giustifica-
zioni le misure terroristiche adottate.
La Arendt, tuttavia, dellavviso che con la com-
pleta realizzazione del terrore totalitario, vengono ab-
bandonati i concetti di nemico oggettivo e delitto
logicamente possibile per una coerente arbitrariet:
le vittime, innocenti, verranno scelte a caso, senza al-
cuna accusa, solo perch dichiarate indegne di vivere.
E il modo pi efficace di negare la libert umana.
Principio dazione, allora, lideologia, che la
Arendt definisce come logica di unidea.
120
120
Nessun termine presenta una vasta gamma di significati cos dispa-
rati quanto il termine ideologia. N. Bobbio distingue un significato
______________________________
126
La sua materia la storia, a cui la idea applicata;
il risultato di tale applicazione non un complesso di af-
fermazioni su qualcosa che , bens lo svolgimento di un
processo che muta di continuo. Lideologia tratta il corso
degli avvenimenti come se seguisse la stessa legge del-
lesposizione logica della sua idea.(...) Le ideologie non
si interessano mai del miracolo dellessere.
121
debole da uno forte. Nel significato debole designa uninsieme di
idee e valori che riguardano lordine politico e hanno la funzione di
guidare i comportamenti politici collettivi. Per il significato forte fa
riferimento a Marx che considera lideologia una credenza falsa, la falsa
coscienza dei rapporti di dominazione tra le classi. Nella scienza e nella
sociologia politica contemporanea prevale il primo significato, ideolo-
gia come concetto neutro, quindi, contrapposto in modo esplicito o im-
plicito a ci che pragmatico e arricchito di certi elementi tipici come
il dottrinarismo, il dogmatismo, una forte componente passionale e via
dicendo. Lideologia lo strumento fondamentale che le lites politiche
hanno a disposizione per operare la mobilitazione politica delle masse e
per portare ad un grado massimo la loro manipolazione. Cfr. M. Stoppi-
no, Ideologia, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di
politica, cit. Per il nesso ideologia-simulazione, E. Voccia, Lideologia
della provocazione, in Porta di Massa. Laboratorio Autogestito di Filo-
sofia - Simulazione, Napoli, primavera-estate 1996, pp. 6-12.
121
Ibidem, p. 642. Tre anni prima nel lavoro della Arendt, cos Orwell
scriveva: Tu credi che la realt sia qualcosa di oggettivo, di esterno,
che esiste per proprio conto. E credi che anche la natura stessa della
______________________________
127
Con certezza assoluta, lideologia pretende di spie-
gare, indipendentemente da ogni esperienza ed accer-
tamento fattuale, la storia, di obiettivare lintero corso
storico, di produrre e dimostrare come eliminabile il
nemico, non in quanto oppositore ma come simbolo
dellalterit. E il diverso che, necessariamente, deves-
sere ricompreso nella totalit dellesistente e annien-
tato perch non riconosciuto.
Lideologia suggella la totale non appartenenza
al mondo degli uomini, la loro superfluit, perch
trasforma lisolamento e la solitudine in estraneazio-
ne, in perdita non solo dello spazio pubblico ma, so-
prattutto, del proprio io.
realt sia evidente per se stessa. Se ti persuadi che stai pensando qualco-
sa, credi che tutti gli altri vedano quella stessa cosa. Ma io ti dico, Win-
ston, che la realt non esterna. La realt esiste nella mente degli uomi-
ni, e in nessun altro luogo. Non nelle menti individuali, e cio in questa
o in quella, che invece possono commettere errori, e che in ogni caso
destinata a svanire prima o poi: ma solo nella mente del Partito, che
collettiva e immortale. Qualsiasi cosa il Partito ritiene sia vera, vera.
E impossibile vedere la realt se non attraverso gli occhi del Partito, in
G. Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 1973.
______________________________
128
E il totalitarismo, abolendo lumanit che in ogni
uomo, disprezzando la realt e la fattualit, attua quel
supersenso ideologico che pu essere definito come
leccedenza di senso su cui fa perno la stessa ideolo-
gia, una logica coerente che fa apparire degno di sen-
so ogni atto arbitrario, ribaltando la situazione-limite
in quotidianit, lillegale nel legale, linsensato nel
sensato.
La societ dei morenti, in cui la punizione viene
inflitta senza alcuna relazione con un reato, lo sfrutta-
mento praticato senza un profitto e il lavoro compiuto
senza prodotto, un luogo dove quotidianamente si
crea linsensatezza. Eppure, nel contesto dellideolo-
gia totalitaria nulla potrebbe essere pi sensato e logi-
co: se gli internati sono dei parassiti, logico che ven-
gano uccisi col gas; se sono dei degenerati, non si deve
permettere che contamino la popolazione; se hanno
un anima da schiavi (Himmler), non il caso di
sprecare il proprio tempo per cercare di rieducarli. Vi-
sti attraverso le lenti dellideologia, i campi hanno quasi
129
il difetto di aver troppo senso, di attuare la dottrina
con troppa coerenza.
122
Il supersenso ideologico ritiene di aver scoperto
la chiave della storia o la soluzione degli enigmi del-
luniverso, senza tener conto della fattualit, anzi, di-
sprezzandola, e, attraverso una logica deduttiva e co-
ercitiva, edificando il suo artificioso sistema.
Lantiutilit, lantieconomicit e linsensatezza
123
sono caratteri dominanti per la preservazione del po-
tere totalitario.
Totalitaria non la pretesa della Russia rivolu-
122
Ibidem, p. 626.
123
Sul carattere irrazionale del totalitarismo, inteso nellassoluta incon-
gruenza tra fini da perseguire e mezzi impiegati per perseguirli, cfr. Bar-
rington Moore jr., Le origini sociali della dittatura e della democrazia,
Torino, Einaudi, 1971; R. Conquest, Il grande terrore, Milano, Monda-
dori, 1970; M. Curtis, Retrat from Totalitarianism, in C. J. Friedrich, M.
Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism in Perspective: Three Views, Prae-
ger, New York 1969; A. B. Ulam, Lenin e il suo tempo, Firenze, Vallec-
chi, 1967. Contestano questa interpretazione, a favore di una razionalit
intrinseca al totalitarismo, R. A. Nisbet, La comunit e lo Stato, Milano,
Comunit 1957; J. G. Gliksman, Social Prophilaxis as a From of Soviet
Terror, in C. J. Friedrich, Totalitarianism, cit.
______________________________
130
zionaria che nelle condizione esistenti la dittatura del
proletariato sia la miglior forma di governo, bens la
catena di deduzioni, tratta soltanto dal dittatore totali-
tario, in base alla quale risulta logicamente che senza
tale sistema non si pu costruire una metropolitana,
che chiunque sa dellesistenza della metropolitana di
Parigi sospetto perch potrebbe dubitare della prima
deduzione e che, quindi, se fosse possibile, bisogne-
rebbe distruggere questa metropolitana, che invero non
sarebbe mai dovuta esistere.
124
124
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit, p. 627.
______________________________
131
3. Terrore e campo di concentramento.
La societ dei morenti e il male radicale.
La Arendt sottolinea marcatamente che il terrore
lessenza del potere totalitario e il campo di concen-
tramento la sua istituzione centrale.
Possono considerarsi questi tratti distintivi del
regime totalitario?
1. Il terrore totalitario
Il terrore , secondo una definizione da diziona-
rio, lo strumento di emergenza cui un governo ricor-
re per mantenersi al potere: lesempio pi noto
quello del periodo della dittatura del Comitato di
salute pubblica guidato da Robespierre e da Saint-
Just durante la Rivoluzione francese (1793-1794).
Potremmo riecheggiare Machiavelli, che gi tre se-
coli prima ricordava che per ripigliare lo stato, per
conservare il potere, era necessario periodicamente
spargere terrore e paura; anche Montesquieu ed
132
Hobbes,
125
che riconoscono il terrore luno come ele-
mento qualificante di comparazione fra gli Stati, lal-
tro come concausa del sorgere del Leviatano sovra-
no.
Il terrore totalitario ben di pi: qualcosa di
pervasivo che si insinua generando un clima di repres-
sione e colpa; una violenza imprevedibile intesa come
minaccia generica fissa contro lindividuo; un timo-
re paralizzante, che si instilla anche in quelli che po-
trebbero opporsi attivamente alloppressione.
Attraverso la lettura psicoanalitica di Franz Neu-
mann, potremmo dire che ogni sistema politico si fon-
da su una angoscia nevrotica, che, pur avendo una base
reale, allontanare la minaccia di un pericolo, prodot-
ta interiormente attraverso lIo.
126
Per il grado di alienazione delluomo moderno,
125
Cfr. Ch. de Secondat de Montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di
S. Cotta, Torino, UTET, 1952; N. Machiavelli, Il Principe, Milano, Fel-
trinelli,1995; Th. Hobbes, Leviatano, Bari, Laterza, 1974.
126
F. Neumann, Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, Il
Mulino, 1973.
______________________________
133
soprattutto per lalienazione politica che permette una
totale obliterazione dellIo, cio lidentificazione del-
le masse con un leader abile nel manipolare le co-
scienze attraverso teorie cospiratorie, viene a crear-
si un contesto fittizio in cui si verificano le seguenti
condizioni: che le masse si trovino in una situazio-
ne di pericolo oggettivo, che siano incapaci di capi-
re il processo storico e che langoscia attivata dal
pericolo venga trasformata, attraverso la manipola-
zione operata da altri, in angoscia nevrotica perse-
cutoria (aggressiva).
127
Se langoscia reale sembra
propria nei regimi di tipo liberale, langoscia nevro-
tica istituzionalizzata in un sistema totalmente re-
pressivo. Il terrore, per Neumann, allora, lincal-
colabilit delle sanzioni: lassenza di una certezza
giuridica genera quellangoscia nevrotica persecu-
toria di cui si avvantaggia il leader o llite per il
mantenimento del potere.
127
Ibidem.
______________________________
134
Cos la Arendt, in Le origini del totalitarismo,
scrive: Il terrore estremamente sanguinoso dello sta-
to iniziale del regime totalitario serve invero soltan-
to a sbaragliare gli avversari e a rendere impossibile
ogni ulteriore opposizione; ma il terrore totale si sca-
tena solo quando, superato questo stadio, il regime
non ha pi nulla da temere dagli oppositori.
In proposito si spesso osservato che in tal caso
il mezzo diventato il fine, ma ci dopotutto equi-
vale semplicemente ad ammettere, in maniera para-
dossale, che la categoria mezzo-fine non pi vali-
da, che il terrore non pi lo strumento per incutere
paura alla gente.
128
2. Il campo di concentramento
Il terrore totalitario, che si nutre del nemico og-
gettivo, si attua, sostiene la Arendt, nella creazione
128
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. Cfr. R. Conquest, Il gran-
de terrore, cit. ; A. Devoto, La tirrannia psicologica, Firenze, Sansoni,
1960.
______________________________
135
di un universo concentrazionario.
129
I lager sono listituzione centrale del potere tota-
litario. Perch?
I campi di concentramento e di sterminio servono al
regime totalitario come laboratori per la verifica della sua
pretesa di dominio assoluto sulluomo.(...) Il dominio to-
tale, che mira ad organizzare gli uomini nella loro infinit,
pluralit e diversit come se tutti insieme costituissero un
unico individuo, possibile soltanto se ogni persona vie-
ne ridotta ad unimmutabile identit di reazioni, in modo
che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scam-
biato con qualsiasi altro. Si tratta di fabbricare qualcosa
che non esiste, cio un tipo umano simile agli animali, la
cui unica libert consisterebbe di preservare la specie.
Tale fine viene perseguito sia con lindottrinamento ideo-
logico delle formazioni di lite sia col terrore assoluto dei
Lager.(...) I Lager servono, oltre che a sterminare e a de-
gradare gli individui, a compiere lorrendo esperimento di
129
D. Rousset, Luniverso concentrazionario, Milano, Baldini & Ca-
stoldi, 1997.
______________________________
136
eliminare, in condizioni scientificamente controllate, la
spontaneit stessa come espressione del comportamento
umano e di trasformare luomo in un oggetto, in qualcosa
che neppure gli animali sono. (..) In circostanze normali
ci non pu essere ottenuto, perch la spontaneit non pu
mai essere interamente soffocata, connessa com non solo
alla libert umana, ma alla vita stessa in quanto semplice
rimaner vivo.
130
Il campo di concentramento il paradigma na-
scosto dello spazio politico della modernit; la sua
essenza consiste nella materializzazione dello stato di
eccezione e nella creazione di uno spazio in cui diritto
e fatto, norma e applicazione diventano indiscernibili.
Solo in questo senso possiamo comprendere per-
ch esso lo spazio del tutto possibile, quel prin-
cipio nichilista in cui si cristallizzano la vita e i metodi
del campo tanto da apparire come un contenitore er-
meticamente chiuso agli occhi del mondo dei vivi.
130
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.
______________________________
137
Per il senso comune, infatti, tutto avvolto in una
nube fumogena di insensatezza e le condizioni di inintel-
legibilit paradossalmente superano ogni cortina di credi-
bilit. Anzi, dice la Arendt, chi parla o scrive sui campi
di concentramento ancora considerato con sospetto; e se
decisamente ritornato al mondo dei vivi, egli stesso
talvolta assalito dai dubbi sulla sua veridicit, come se aves-
se scambiato un incubo per realt.
131
Solo l indugio sugli orrori potrebbe aiutare a com-
prendere quanto avvenuto, anche se le memorie quanto
le testimonianze oculari restano prive di comunicativa.
132
131
Ibidem, p. 601. Cfr. A. Camus, Luomo in rivolta, Milano, Bompiani, 1958.
132
Sullinenarrabilit di quanto accaduto e la testimonianza da affidare alla
memoria vedi: P. Levi, Se questo un uomo. La tregua, Torino, Einaudi, 1963
e I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986; H. Langbein, Menschen in
Auschwitz, Europa Verlag, Wien 1972, trad. it. Uomini ad Auschwitz, Milano,
Mursia, 1984; B. Bettelheim, Surviving and Other Essay, Knopf, New York,
1979, trad. it. Sopravvivere, Milano, Feltrinelli 1991; J. Amry, Jenseits von
Schuld und Shne. Bewltigungsversuche eines berwltigten, F. Klett, Stut-
tgart, 1977, trad. it. Un intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri,
1987; R. Antelme, LEspce humaine, Paris, 1947, trad. it. La specie umana,
Torino, Einaudi, 1976. Per una riflessione cfr. G. Agamben, Quel che resta di
Auschwitz. Larchivio e il testimone, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
______________________________
138
E vero che n i campi di concentramento n i campi
di lavoro forzato sono uninvenzione totalitaria.
Le fonti
133
sono alquanto scarse; si ritiene che i
primi sono stati costruiti dagli spagnoli a Cuba nel 1896
per internare ben 400.000 persone tra vecchi, donne e
bambini, senza per questo conoscere il numero totale
delle vittime della repressione del generale spagnolo
Valeriano Weiler y Nicolau, inventore dei campi di
concentramento. Furono organizzati dagli americani
nelle Filippine nel 1898 per lo scoppio di uninsurre-
zione e nel 1900 dai britannici in Sudafrica contro la
guerriglia dei boeri, in particolare quelli del libero Stato
di Oranje. Si ebbero accese manifestazioni di protesta
133
Gli studi sui campi di concentramento e sulla loro organizzazione
non sono numerosi. Segnaliamo A. J. Kaminski, Konzentrationslager
1896 bis heute. Geschichte, Funktion, Typologie, Mnich, Piper, 1982;
trad. it. I campi di concentramento dal 1986 ad oggi. Storia, funzioni,
tipologia. Torino, Bollati Boringhieri, 1997. K. Hueser, Wewelsburg 1933
bis 1945. Kultund Terrorstatte der SS, Paderborn, Verlag Bonifatius-
Druckerei Paderborn, 1982; M. Broszat, Nationalsozialistiche Konzen-
trationslager 1933-1945, in Anatomie des SS-Staates (Band 2), Muni-
ch, Deutsche Taschenbuch Verlag, 1967.
______________________________
139
da parte dellopinione pubblica, grazie alla filantropa
Emily Hobhouse che denunci la disumanit e lin-
fanticidio del sistema dei campi, colpe infamanti che
macchiavano la classe politica inglese. E un ritorno
positivo non si fece attendere: i campi vennero chiusi.
Non esistono, invece, testimonianze sui campi di
concentramento eretti dal regime clerico-fascista au-
striaco prima del 1938. Poco dettagliate sono anche le
informazioni relative alle condizioni vigenti in Russia
prima del 1917: allepoca zarista furono circa trenta-
duemila i condannati alla katorga, originariamente la
galera, poi pesante pena detentiva comportante i lavo-
ri forzati.
Si cercato di schiacciare i campi nazionalsocialisti
su quelli inglesi ed ispano-coloniali, supposti modelli, ma
questa una falsa opinione perch i secondi vennero uti-
lizzati nel contesto di guerre coloniali, furono campi per
ostaggi, mentre i primi furono creati in tempi di pace e
allinterno del territorio nazionale allo scopo di segregar-
vi gli avversari ideologici, con un eccessivo zelo per di-
140
stogliere lattenzione da quanto stava accadendo. Per
lesperienza sovietica, si utilizzato lacronimo gulag
(Glavnoye upravleniye lagerej) che sta per Amministra-
zione generale dei campi di lavoro, meglio noti come
campi di concentramento, generando qualche confusio-
ne concettuale.
Specialmente nel regime staliniano, i cui campi
di concentramento erano per lo pi descritti come cam-
pi di lavoro coatto perch la burocrazia aveva voluto
nobilitarli con tale nome, era chiaro che non si trattava
di questo; il lavoro coatto era la condizione normale
di tutti i lavoratori russi, che non avevano libert di
spostamento e ad ogni istante potevano essere arbitra-
riamente mobilitati per linvio in qualsiasi luogo.
134
Linserimento dei campi di concentramento nella
societ sovietica veniva giustificato negli anni ven-
ti come conseguenza della pianificazione generale del-
leconomia.
134
Andrzej J. Kaminski, I campi di concentramento dal 1986 ad oggi.
Storia, funzioni, tipologia. Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
______________________________
141
Il dubbio sullopportunit di parlare di campi di
concentramento o meno nell Unione Sovietica na-
sce dal fatto che la maggioranza dei detenuti veniva
deportata - ricordiamo che i campi sovietici sono stati
aboliti da M. S. Gorbacev- per un periodo stabilito in
base ad una sorta di sentenza che richiamava talune
leggi penali, e, quindi, da una prospettiva giuridico-
formale i gulag dovrebbero essere equiparati non gi
ai campi di concentramento, bens ai campi di puni-
zione nazionalsocialisti.
Un aspetto significativo dei campi di concentra-
mento sovietico consisterebbe nella legalizzazione
dellarbitrario.
Gunther Specovius sostiene che a differenza del-
lo Stato nazionalsocialista, lUnione sovietica cono-
sce soltanto campi di punizione o le odierne colonie
di lavoro correzionale, per i quali prevista una con-
danna a tempo determinato, mentre la condanna a cam-
pi di concentramento, come quelli istituiti dai nazisti,
prevedeva la detenzione a tempo indeterminato.
142
Le condanne a vita erano e sono estranee al dirit-
to penale sovietico.
135
Si sa, tuttavia, che soprattutto durante il periodo
delle purghe staliniane, i processi e le pene detentive
sono state delle farse e che i campi sono stati strumen-
ti arbitrari della polizia finalizzati alla conservazione
di un potere politico totalitario. In particolare, nella
realizzazione unitaria di una societ senza divisioni
interne, compatta, interamente votata ad uno scopo
comune attraverso le varie attivit, attenta, quindi, ad
eliminare i parassiti, gli elementi nocivi ed i rifiuti, si
poteva essere condannati in base all art. 58 del Codi-
ce penale, consistente, nel capitolo dei delitti contro
lo Stato, di 14 punti in cui si viene dichiarati nemi-
co del popolo. Si trattava di un autentico minestrone
perch era molto semplice affossare un uomo, soprat-
tutto per due punti, talmente vaghi da poter essere ap-
plicati a chiunque, il punto 10: propaganda antirivo-
135
Ibidem.
______________________________
143
luzionaria, ribattezzata antisovietica; e il punto 12:
mancata delazione.
La delazione uno degli strumenti in uso del to-
talitarismo, necessaria per creare quella fitta trama di
sospetto che rende il popolo nemico di se stesso, cos
come la tortura e la presenza e lattivit della polizia
segreta, interamente alla merc di chi detiene il pote-
re. Si tratta, tuttavia, di caratteri comuni anche a for-
me di governo autoritari, non rappresentano caratteri
distintivi del totalitarismo quanto il terrore e listitu-
zione dei campi di concentramento.
La domanda inquietante : in questo spazio, che
non esterno, eppure posto fuori dellordinamento
giuridico riconosciuto -il campo di concentramento
escluso ed incluso nello stesso tempo nel territorio
nazionale-, quale diritto, quale norma riconosciuta?
Dovremmo identificare il campo come quello stato
di eccezione di cui parla Schmitt, in cui la norma
sospesa e la decisione, in virt dellarticolo 48 della
Costituzione di Weimar, solo del capo dello Stato.
144
Dovremmo, anzi, sostenere che lo stato di ecce-
zione voluto, cio per esso il sovrano non si limi-
ta pi a decidere sulleccezione, comera nello spirito
della costituzione di Weimar, sulla base del riconosci-
mento di una data situazione fattizia (il pericolo della
sicurezza pubblica): esibendo a nudo lintima struttu-
ra di bando che caratterizza il suo potere, egli produce
ora la situazione di fatto come conseguenza della de-
cisione sulleccezione.
136
E dovremmo aggiungere
che nella parvenza di un diritto totalitario viene ma-
scherato il disordine, il caos, la violenza, anche la
mancanza di un conflitto in quanto si nega la diversi-
t, lesistenza dellaltro.
Colui che viene messo al bando non solo messo
al di fuori della legge ed indifferente a questa, ma
abbandonato da essa, esposto ad una soglia dove
vita e diritto, esterno ed interno si confondono.
Il sistema dei campi era un mondo in cui non
136
G. Agamben, Homo Sacer, Torino, Einaudi, 1995.
______________________________
145
valevano le regole e i costumi morali che reggevano
la normale societ tedesca. In quel nuovo mondo il
tedesco o la tedesca nazisti potevano trattare i tede-
schi cos come pareva loro giusto, in base alla conce-
zione ideologica che avevano delle vittime, e ai pi
bassi e profondi impulsi personali. Il nazismo, nel
mondo dei campi, lasciava loro mano libera.
137
Del resto se partiamo dal presupposto che linter-
nato vive una vita indegna di essere vissuta, chia-
ro che ci che il totalitarismo tende a creare una so-
ciet di morti viventi, interamente piegati, liquidati di
137
D. J. Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e
lOlocausto, Milano, Mondadori, 1997. Lo storico ebreo, contrariamen-
te alla maggior parte delle ricerche sullOlocausto, sostiene lidea della
responsabilit individuale dei tedeschi: lopposto della colpevolezza
collettiva. In questo modo, passando da unimputazione collettiva e
morale ad una personale, si eviterebbe la difficolt implicita nel proces-
sare e nel condannare i criminali nazisti, la trasferibilit sul piano giudi-
ziario. La Arendt non sarebbe daccordo perch verrebbe meno un ca-
rattere del totalitarismo, la negazione di ogni filtro tra responsabilit
individuale e responsabilit collettiva. In un sistema totalitario, colpe-
volezza e innocenza diventano concetti senza senso cosicch ci sono
crimini che gli uomini non possono n punire n perdonare, in H. Aren-
dt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 628.
______________________________
146
ogni carattere umano, incapaci soprattutto di opporsi.
La Arendt li eguaglia al cane di Pavlov che lesem-
plare umano ridotto alle reazioni pi elementari, elimina-
bile o sostituibile in qualsiasi momento con altri fasci di
reazioni che si comportano in modo identico, il cittadino
modello di uno stato totalitario, un cittadino che pu esse-
re prodotto solo imperfettamente fuori dei campi.
138
E solo in questo senso che pu realizzarsi quellide-
ale -che ogni buon senso ritiene unutopia irrealizzabile-
di societ totalitaria, in cui possibile impadronirsi inte-
ramente delluomo per trasformarlo in cittadino modello.
La fabbricazione massiva e demenziale di cadave-
ri non che lultimo episodio di una pice in tre atti di cui
il titolo potrebbe essere: la preparazione storicamente e
politicamente intelligibile dei cadaveri viventi.
139
138
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 624.
139
Ibidem, p. 612. E la fabbricazione in massa dei cadaveri, riflesso
di un meccanismo di produzione, la peculiarit del genocidio dei regimi
totalitari: la morte viene privata di ogni sacert e lindividuo intera-
mente assoggettato al potere perch cadavere-vivente. Cfr. T. W. Ador-
no, Minima moralia, Torino, Einaudi, 1997; M. Foucault, Il faut dfen-
dre la socit, Gallimard-Seuil, Paris, 1997.
______________________________
147
Il primo passo avviene uccidendo il soggetto di
diritto che nelluomo, attraverso la snazionalizza-
zione e ponendo il Lager al di fuori del sistema penale
ordinario; poi si procede attraverso luccisione della
personalit giuridica; infine, con la soppressione della
personalit morale, trionfo dellideologia totalitaria,
per cui la coscienza non pi sufficiente e decidere
cosa sia bene e cosa sia male come valutare assassi-
nio e assassinio.
Chi potrebbe risolvere il dilemma morale della
madre greca a cui i nazisti concessero di scegliere quale
dei suoi tre figli doveva essere ucciso?.
140
Al fine di trasformare gli uomini in morti viventi,
latto conclusivo era lannientamento della loro peculia-
re identit, la soppressione di quella spontanea unicit
la quale foggiata in parti uguali dalla natura, dalla vo-
lont e dal destino, ed diventata una premessa cos evi-
dente che persino gemelli identici ispirano un certo disa-
140
Ibidem, p. 619.
______________________________
148
gio, suscita un orrore che mette in ombra lo sdegno della
persona giuridico-politica e la disperazione della perso-
na morale. E questo orrore che d luogo alle generaliz-
zazioni nichilistiche, le quali sostengono, abbastanza plau-
sibilmente, che in fondo tutti gli uomini indistintamente
sono bestie. In verit, lesperienza dei campi di concen-
tramento dimostra che gli uomini possono essere trasfor-
mati in esemplari dellanimale umano, e che la natura
umana soltanto nella misura in cui schiude alluomo la
possibilit di diventare qualcosa di estremamente innatu-
rale, cio un uomo.
141
Se nel campo criminali e politici potevano ancora
rivendicare un brandello di capacit di riconoscimento
di se stessi e dei propri simili, un ultimo autentico re-
siduo della loro personalita giuridica
142
in quanto ap-
partenevano ad una precisa categoria, avevano fatto
qualcosa, coloro che venivano del tutto annientati era-
no gli innocenti, vittime confuse di arresti arbitrari.
141
Ibidem, pp. 623-624.
142
Ibidem, p. 616.
______________________________
149
La Arendt ha osservato che larresto arbitrario
come pratica terroristica e strumento ideologico di-
strugge la validit del libero consenso come la tortura
distrugge la possibilit dellopposizione.
143
Larbitrariet nella selezione del nemico oggettivo
la linfa del sistema concentrazionario. Poich il fine era
di avere una popolazione dei campi composta da innocen-
ti, esso veniva a negare la libert umana pi efficacemente
che qualsiasi tirannide. In una tirannide, infatti, bisognava
essere un avversario per essere punito, essere allopposi-
zione e osare la libert di opinione. Teoricamente, anche
in un regime totalitario si poteva scegliere di stare allop-
posizione, ma siffatta libert cessava nel momento in cui
si profilava la possibilit di appartenere a quella moltitu-
dine scelta arbitrariamente perch ideologicamente inde-
siderabile per il regime.
La libert in questo sistema non solo ridotta alla
sua ultima garanzia, palesemente indistruttibile, la possi-
143
Ibidem, p. 617.
______________________________
150
bilit del suicidio, ma ha anche perso il suo carattere di-
stintivo, perch le conseguenze del suo esercizio sono
condivise con persone completamente innocenti.
144
La spoliazione dellindividualit, inoltre, privava
luomo della sua stessa morte: niente pi gli apparte-
neva ed egli non apparteneva pi a nessuno, come se
non fosse mai esistito.
Nei paesi totalitari le prigioni e i lager sono organiz-
zati come veri e propri antri delloblio in cui chiunque pu
andare a finire senza lasciare neppure le usuali tracce del-
lesistenza di una persona, un cadavere e una tomba. In
confronto di questa modernissima invenzione per elimi-
nare la gente il vecchio metodo dellassassinio, politico o
comune, appare davvero inefficiente e primitivo.
Lassassino lascia dietro di s un cadavere e, ben-
ch si sforzi di fare sparire le tracce della propria iden-
tit, non ha alcun potere di cancellare lidentit della
vittima dalla memoria dei viventi.
144
Ibidem, p. 592.
______________________________
151
Lazione della polizia segreta, al contrario, riesce mi-
racolosamente a far s che la vittima non sia mai esistita.
145
E lirruzione del male radicale, quel male che la
teologia cristiana e la tradizione filosofica, in partico-
lare Kant, non ha mai potuto definire se non in negati-
vo, come deficienza dellessere.
Quando limpossibile stato reso possibile, di-
ventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che
non poteva pi essere compreso e spiegato con i malvagi
motivi dellinteresse egoistico dellavidit dellinvidia, del
risentimento, della smania del potere, della vigliaccheria;
e quindi la collera non poteva vendicare, la carit soppor-
tare, lamicizia perdonare, la legge punire.
146
145
Ibidem.
146
Ibidem, p. 628. Sul male radicale cfr. La banalit del male. Eichmann a
Gerusalemme, cit. Per un commento critico: Il male, in R. Esposito, Nove
pensieri sulla politica, Bologna, Il Mulino,1993; P. Amodio, Il problema
del male nella riflessione di Hannah Arendt, estratto dagli Atti dellAcca-
demia di Scienze morali e politiche, vol. C- 1989. In particolare R. Esposi-
to, associando il male con la libert e la legge, scrive: Il male in politica
lautosoppressione della libert nella forma delleliminazione violenta del
suo stesso presupposto. E per questo che portato al livello di massima
radicalit nellesperienza totalitaria. E tuttavia ci non significa che coinci-
______________________________
152
Il male di cui parla la Arendt e che rende lesperienza
di Auschwitz, inteso come la metafora del campo totalita-
rio, del tutto singolare, lo strappo della nostra realt, la
lacerazione della nostra esperienza, il trauma del nostro
pensare.
Esso il trionfo di un sistema in cui tutti gli uomini
sono divenuti egualmente superflui, lacme di quel non-
pensiero proprio delluomo-massa che ha eliminato ogni
possibilit di senso comune e spazio politico.
147
da con essa. Diciamo che il totalitarismo il suo esito estremo, il suo com-
pimento assoluto. Ma non la sua origine. Altrimenti verrebbe meno la con-
traddittoria compresenza di male e libert. Perch essa sia tenuta ferma
necessario ipotizzare che quello stesso male che ha raggiunto il proprio cul-
mine nel campo totalitario nasca allinfuori -e prima- di esso. Che anzi il suo
seme spunti allorigine della nostra concezione della politica e sia latente
addirittura in quellevento che al totalitarismo paradigmaticamente si oppo-
ne come la genesi medesima della libert.
147
Il problema del male rinvia a quello della responsabilit. Era possibile
non appoggiare i crimini politici legalizzati dal sistema? Sarebbe stato pos-
sibile evitare la responsabilit giuridica e morale? Laccettazione di un male
minore, come taluno ha sostenuto, discusso insieme alla tematica della
responsabilit dalla Arendt nel saggio pubblicato su MicroMega, 4, 1991,
pp. 185-206 dal titolo Responsabilit, ora anche in Aa. Vv., Oltre la politi-
ca. Antologia del pensiero impolitico, a cura di R. Esposito, Milano, Bru-
no Mondadori, 1996.
______________________________
CAPI TOLO QUARTO
IL TOTALITARISMO A CONFRONTO
CON LA MODERNIT POLITICA
Linizio,
prima di diventare avvenimento storico,
la suprema capacit delluomo;
politicamente si identifica con la libert umana.
Initio ut esset creatus est homo
(affinch ci fosse un inizio fu creato luomo),
dice Agostino.
Questinizio garantito da ogni nuova nascita,
in verit ogni uomo.
(H. Arendt)
154
1. Definizione del regime totalitario
Il totalitarismo levento con cui necessariamen-
te e costantemente dobbiamo confrontarci per com-
prendere il nostro presente.
Non possiamo spiegare quanto accaduto dopo
Auschwitz o Kolyma se non teniamo conto della frat-
tura che il totalitarismo, nella sua dimensione empiri-
ca, ha imposto al pensiero e allesperienza democrati-
ca occidentale.
Comprendere non significa negare latroce, de-
durre il fatto inaudito da precedenti, o spiegare i feno-
meni con analogie e affermazioni generali in cui non
si avverte pi lurto della realt e dellesperienza. Si-
gnifica piuttosto esaminare e portare coscientemente
il fardello che il nostro secolo ci ha posto sulle spalle,
non negarne lesistenza, non sottomettersi supinamente
al suo peso.
Comprendere significa insomma affrontare spre-
giudicatamente, attentamente, la realt, qualunque essa
155
sia.
148
E la riflessione, poi, che, in sede teorica, ci
consegna quellidealtipo con cui operare la verifica,
chiudendo cos il cerchio: noi partiamo dalla singola-
rit dellevento per analizzarlo con strumenti concet-
tuali nuovi e andarlo a verificare concretamente, te-
nendo conto delle analogie e differenze, variabili che
obbligatoriamente devono rientrare nellanalisi, una
volta che il modello euristico ha individuato le grandi
direttrici.
La Arendt non sarebbe daccordo ad una esten-
sione del totalitarismo ad altre forme che non siano i
regimi di Hitler e di Stalin. In questo stata molto
chiara. Il totalitarismo nasce per la crisi della societ
borghese, anche laddove, in Russia ad esempio, ne
arriva solo lesperienza. Nasce per la crisi dei grandi
valori democratici; antisemitismo, imperialismo e per-
148
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. XXXIV. Vedi anche
Understanding and Politics, in Partisan Rewiew, XX, IV, !953; trad.
it. Comprensione e politica. in La disobbedienza civile, Milano, Giuffr,
1985.
______________________________
156
dita dei diritti umani ne sono gli elementi denotativi.
Nasce per la crisi dello Stato-nazione e la perdita del-
lo spazio e del pluralismo politico.
Totalitario, dunque, quel regime che presenta i
seguenti caratteri:
atomizzazione della societ ed estraneazione degli
individui;
movimento rivoluzionario recante una ideologica vi-
sione del mondo;
assenza di struttura per lintrinseca capacit di mo-
bilitazione;
istituzionalizzazione del caos;
terrore organizzato al fine di privare gli uomini di
ogni spontaneit;
sistema dei lager e dei campi di concentramento.
E in questo senso che per la Arendt noi non pos-
siamo confondere il totalitarismo n con le dittature a
partito unico n coi regimi autoritari.
Che il totalitarismo possa nuovamente accadere,
non possibile prevederlo aprioristicamente.
157
Gli storici sono alquanto scettici, poich concre-
tamente di esso non se ne mai data una realizzazione
completa, n secondo un modello di societ n tramite
la creazione di uomo nuovo.
Il totalitarismo, in effetti, porta con s i germi del-
la propria autodistruzione.
E anche in questo senso la Arendt stata profetica.
Scrive, infatti, nelle pagine conclusive de Le ori-
gini del totalitarismo: Le soluzioni totalitarie potreb-
bero sopravvivere alla caduta dei loro regimi sotto for-
ma di tentazioni destinate a ripresentarsi ogni qual-
volta appare impossibile alleviare la miseria politica,
sociale od economica in maniera degna delluomo.
149
Ma che senso ha parlare di tentazioni totalitarie?
150
149
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 429.
150
Secondo Habermas, la Arendt ha messo correttamente in evidenza
limportanza del potere comunicativo nelle strutture della sfera pubbli-
ca, la cui mancanza o soppressione d luogo ai movimenti di massa che
sottendono al regime totalitario. Parlare oggi di tentazioni totalitarie,
in un epoca post-totalitaria, dovrebbe farci pensare alla nuova forma di
massificazione imposta dai media, per i quali gli spettatori elettronica-
mente irretiti solo apparentemente prendono posizione, nel senso che
______________________________
158
Forse che esso pu essere una deviazione della demo-
crazia occidentale, qualora si diano particolari contin-
genze storiche? Cos che viene meno?
Se il totalitarismo rappresenta leclissi del politi-
co nel XX sec., allora proprio il politico che va ri-
pensato attraverso un nuovo criterio: la libert.
Non un caso che la Arendt sostenga che ci
che andato storto la politica.
151
Se per la modernit la politica -o il politico- si
identificata con lo Stato, se vero che la crisi dello
Stato-nazione ha contribuito allaccadere del totalita-
rismo, se anche vero che con esso si dato scacco al
pensiero occidentale, di cui gi era stata preconizzato
permangono strutture che bloccano lo scambio orizzontale di sponta-
nee prese di posizione (ossia luso delle libert comunicative), e che
inducono gli isolati e privatizzati spettatori a collettivizzare in maniera
scoraggiante le loro idee. J. Habermas, Colloquio su alcuni problemi di
teoria politica. Unintervista di M. Carleheden e R. Gabriels, in Infor-
mazione filosofica, n. 28, maggio 1995, pp.21-22.
151
H. Arendt, Was ist Politik?, R. Piper GmbH & Co KG, Mnchen,
1993; trad. it. a cura di M. Bistolfi, Che cos la politica?, Milano, Edi-
zioni Comunit, 1995.
______________________________
159
il tramonto, allora occorre operare dei distinguo nel-
lordine del lessico politico, creare nuovi paradigmi
con cui decifrare la complessit dellesistente: torna-
re, quindi, alle origini dellesperienza umana, al di fuori
di ogni incrostazione metafisica, al di l di ogni con-
fusione concettuale.
160
2. Lo Stato-Leviatano di Hobbes e lo Stato
totalitario. Confronto legittimo?
In Le origini del totalitarismo, la polemica della
Arendt non solo diretta alla grande scuola del diritto
degli anni 30, di cui Schmitt ne era il portavoce pi
influente, ma anche ai teorici del pensiero borghese,
Hobbes e Rousseau, teorici della sovranit ovvero di
quella capacit dello Stato di essere un unico centro di
potere e il soggetto esclusivo della politica.
Il monismo statuale, inteso come reductio ad unum
della pluralit dellazione umana, uno dei caratteri
della modernit che ha contribuito alla formazione della
mentalit totalitaria. Con ci, tuttavia, la Arendt non
vuol sostenere che Hobbes o Rousseau siano i padri
del totalitarismo.
Scrive la Arendt che Hobbes lunico grande fi-
losofo della borghesia perch la sua concezione del-
lindividuo un ritratto quasi completo, non dellUo-
mo in quanto tale, ma delluomo borghese, un analisi
161
che in trecento anni non ha perso dattualit n stata
superata.
152
Luomo borghese una funzione della societ e
la volont di potenza la sua passione fondamentale.
La relazione tra gli uomini che dovrebbe fondare il
corpo politico , secondo la visione che la Arendt ha
della teoria politica hobbesiana, connessa esclusiva-
mente allinteresse privato, senza, quindi, vincoli per-
manenti, n responsabilit e solidariet.
In Hobbes luomo sempre solo, le sue azioni
hanno carattere privato e lo stesso Commonwealth,
basato sulla delegazione dei poteri, in realt, qualora
venissero meno i presupposti del patto, manifesta la
sua fragilit perch, non essendovi una comunit ge-
nuina, ognuno proteggerebbe se stesso. Il Com-
monwealth di Hobbes una struttura vacillante che
deve procurarsi sempre nuovi puntelli dallesterno;
152
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, op. cit., p. 196. Th. Hobbes,
Leviatano, Roma-Bari, Laterza, 1989. Per una lettura del pensiero hobbe-
siano: G. Borrelli, Ragion di Stato e Leviatano, Bologna, Il Mulino, 1993.
______________________________
162
altrimenti precipiterebbe di colpo nellinsensato assur-
do caos degli interessi privati da cui scaturito.
153
Il privato, il sociale, si confuso con la sfera pub-
blica; il potere e la necessit hanno avuto il monopo-
lio sui diritti e la libert.
Lo Stato-Leviatano di Hobbes precorre sul piano
ideale lo stato totalitario?
Sarebbe impossibile non pensarlo se tenessimo
solo conto dellincisione a mo di frontespizio dellope-
ra hobbesiana: questo sovrano mostruosamente gran-
de che sovrasta il mondo reggendo la spada e il pasto-
rale, simboli del potere temporale e religioso, il cui
corpo formato da tanti minuscoli sudditi, i molti,
da cui esso prende vita e potere.
La Arendt mette in evidenza come la concezione uni-
taria dello Stato in Hobbes ha sacrificato la pluralit e ha
distrutto lo spazio politico: lunit si realizzata nel do-
minio. E il dominio distrugge lo spazio politico.
153
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 198.
______________________________
163
La ragion dessere dello Stato hobbesiano nel
bisogno di sicurezza dellindividuo che si sente mi-
nacciato dai suoi simili e luguaglianza tra i sudditi
non luguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla
legge perch hanno uguali diritti e uguale dignit,
bens unuguaglianza che poggia le sue fragili basi
sulla concezione della forza nella lotta per il potere.
Linteresse privato, dunque, il bene comune, il po-
tere la forza e ad una accumulazione illimitata di
beni corrisponde unaccumulazione illimitata di po-
tere: da qui lintrinseca instabilit del Commonwe-
alth, basato, appunto, su una delegazione di potere
piuttosto che di diritti.
La versione verticale del potere che si trova in
Hobbes, in virt del patto di soggezione, comporta
che ciascun individuo dia il suo consenso ad essere
sottoposto ad un governo, il cui potere consiste nella
somma totale delle forze che tutti i singoli individui
hanno incanalato in esso, e che vengono monopoliz-
zate dal governo per il preteso beneficio di tutti i
164
sudditi.
154
Lazione dei pattuenti, cio, vincolata
alla rinuncia di uno spazio politico, quindi allazione
interrelata, e ci che ne deriva lisolamento, lato-
mizzazione degli individui. Lazione -dice la Aren-
dt- non mai possibile nellisolamento; essere isolati
significa essere privati della facolt di agire.
155
Pi che come autore di una possibile Weltaschau-
ung totalitaria, tuttavia, per la Arendt, Hobbes contri-
buisce a quella ideologia progressista del tardo XIX
sec. che preannuncia lascesa dellimperialismo.
Lo stessa critica, potremmo dire, traspare nella
valutazione della volont generale in Rousseau, che
pure considerato padre dei giacobini e teorico della
democrazia diretta. La Arendt mette in evidenza che
anchegli opera quella reductio ad unum dello Stato
che azzera il pluralismo come singolare capacit
154
H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. Lopera, pubblicata dalla Arendt
nel 1963, stata riedita nel 1965 con alcune piccole ma importanti
modifiche.
155
H. Arendt, The Human Condition, Chicago, The University of Chi-
cago Press, 1959; trad. it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, p. 137.
______________________________
165
dazione degli individui e fa coincidere la volont ge-
nerale con la sovranit unica e indivisibile.
Secondo la Arendt la sovranit non pu essere
confusa con lautorit.
Tale identificazione darebbe luogo a deviazioni
dittatoriali perch da una stessa matrice,
sovranit=autorit, deriverebbero il potere e lautori-
t, la legalit e la legittimit, istanze che, invece, do-
vrebbero restare separate per il corretto funzionamen-
to delle istituzioni democratiche.
Ci che ha a cuore la Arendt, in effetti, capire come
sia possibile che le democrazie possano deviare in dittatu-
re e totalitarismo, se sono gi in esse i germi di questa
devianza e quale la condizione ottimale, se esiste, per-
ch questa deviazione verso il terrore o verso il dominio
totalitario di una maggioranza non accada.
Il suo approccio ermeneutico consiste nello stu-
diare lorigine delle democrazie moderne, la fonda-
zione di queste come fondazione del nuovo, la crea-
zione, nel senso romano del termine, di una tradizione
166
e di una autorit. Ella si pone, cio, questo interrogati-
vo: stata possibile la fondazione di un nuovo corpo
politico in cui ogni singolo ha potuto partecipare alla
vita politica? E come? Cosa ha significato fondare un
corpo politico sulla libert? Che cosa storicamente
avvenuto?
167
3. Linedito nella storia: le rivoluzioni.
Liberazione da o libert di:
qual il fondamento del nuovo corpo politico?
La politica come natalit.
La Arendt individua nella rivoluzione il momen-
to in cui possibile laffermazione, nellet moderna,
di una politica autentica, intendendo per et moder-
na quel periodo di tempo in cui sembra che lazione
politica progressivamente vada scomparendo fino ad
estinguersi del tutto con il totalitarismo.
La rivoluzione, anzi la storia delle rivoluzioni, quella
americana del 1776, quella francese del 1789, infine quel-
la ungherese del 1956, diventano, quindi, la chiave inter-
pretativa dei fenomeni storici moderni.
156
156
Alcune critiche sono state mosse a riguardo: 1) Habermas sostiene
che la Arendt abbia distinto e contrapposto una buona ed una cattiva
rivoluzione, luna politica, la rivoluzione americana, laltra sociale, quella
francese. Si potrebbe obiettare che la Arendt comunque sottolinea che la
rivoluzione americana fallisce nei suoi effetti perch i cittadini poi in-
tendono la libert come libert della sfera privata contro il mondo poli-
tico. 2) Lo storico Hobsbawm ritiene che la Arendt avrebbe dovuto te-
______________________________
168
Che cosa sintende per rivoluzione?
157
La Arendt cerca di recuperare il significato au-
tentico della nozione in relazione con i concetti di li-
bert e potere, anchessi sclerotizzati da schemi e teo-
nere in debito conto anche la prima rivoluzione inglese. Questo non
possibile perch la Arendt stata molto pi attenta a quelle rivoluzioni
che sul piano delle istituzioni hanno dato luogo a delle reali modifiche:
la rivoluzione dei livellatori stata una rivoluzione mancata, sebbene
abbia aperto la strada alla monarchia costituzionale. 3) Per Nisbet la
Arendt ha minimizzato la questione sociale presente in America. Questa
obiezione non tiene conto, tuttavia, che non cera la stessa pressione sul
governo americano come dei sanculotti sui giacobini, n le stesse ver-
tenze economiche.
157
La rivoluzione il tentativo accompagnato dalluso della violenza
di rovesciare le autorit politiche esistenti e di sostituirle al fine di effet-
tuare profondi mutamenti nei rapporti politici, nellordinamento giuri-
dico-costituzionale e nella sfera socio-economica. (...) La necessit del-
limpiego della violenza come elemento costitutivo di una rivoluzione
pu essere teorizzato in astratto, ma senza fondamenta storiche, rilevan-
do come le classi dirigenti non cedano il loro potere spontaneamente e
senza opporre resistenza e come quindi i rivoluzionari siano costretti a
strapparlo loro con la forza, e sottolineando inoltre che i mutamenti in-
trodotti dalla rivoluzione non possono essere accettati pacificamente,
poich significano perdita di potere, status e ricchezza per tutte le classi
colpite. (...) ...in taluni casi le rivoluzioni sono forzature della storia,
forse inevitabili ma pur sempre forzature. G. Pasquino, Rivoluzione, in
N. Bobbio, N. Metteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, op. cit.
______________________________
169
rie reciprocamente escludentisi. Ella sostiene che non
esiste il mito della violenza rivoluzionaria creatrice,
n che la rivoluzione vada interpretata come una fi-
gura del progressivo avanzare dello spirito assoluto
oppure come lo sbocco necessitato delle contraddizioni
economico-sociali.
Lontano dalla prospettiva hegeliana e marxista,
la Arendt opera un distinguo tra libert e liberazione:
la liberazione pu essere una condizione della liber-
t, ma assolutamente da escludere che vi conduca
automaticamente; (...) il concetto di libert implicito
nella liberazione pu essere solo negativo, e quindi
lintenzione di liberare non si identifica col desiderio
di libert.
158
La libert non pu essere liberazione da cos come
levento rivoluzionario non pu essere necessitato o de-
terminato da forze storiche. Esso, anzi, si sostanzia della
libert che ci che appare nella relazione plurale tra gli
158
H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.
______________________________
170
uomini che partecipano alla vita pubblica, capacit cora-
le di dare vita e partecipare al nuovo assetto politico.
Libert non necessit n atto di volont.
La rivoluzione, dice la Arendt, si decide da sola,
sulla base di fatti ed avvenimenti per i quali gli uomini
sono attori-spettatori e non autori.
Vicina alla teoria di Rosa Luxemburg, ella ritiene
che una buona organizzazione dellazione rivoluzio-
naria pu e deve essere appresa nel corso stesso della
rivoluzione, allo stesso modo in cui si impara a nuota-
re soltanto nellacqua. (...) Le rivoluzioni non sono
fatte da nessuno, ma erompono spontaneamente.
159
Le rivoluzioni sono gli eventi che irrompono nel-
la routine della storia e ne cambiano il volto; sono atti
inaugurali di un nuovo inizio, la cui conoscenza, da
parte dei protagonisti, emerge solo dopo che essi erano
giunti, in gran parte contro la loro volont, ad un pun-
to da cui non si poteva tornare pi indietro.
160
159
Ibidem.
160
Ibidem.
______________________________
171
Il termine rivoluzione venne mutuato dallastro-
nomia e solo nel 1660 venne utilizzato per designare
un cambiamento politico, la restaurazione della mo-
narchia in Inghilterra.
La rivoluzione era essenzialmente rivoluzione
conservatrice.
Chi era entrato nel gioco rivoluzionario credeva di
poter restaurare un antico ordine di cose, cose appartenen-
ti al passato, e, solo nel corso stesso della rivoluzione, si
rese conto che ci era impossibile. Si trattava di una im-
presa totalmente nuova, una novit assoluta.
Ci che essi avevano concepito come una restau-
razione, un recupero delle loro antiche libert, diven-
ne invece una rivoluzione.
Gli uomini della rivoluzione si resero conto solo
dopo che avevano la possibilit non gi di ripristinare
una tradizione consumata bens creare un nuovo ordi-
ne politico, la repubblica, un novus ordo saeclorum.
E questo il significato autentico di rivoluzione,
la cui idea centrale linstaurazione della libert, os-
172
sia la fondazione di uno stato che garantisca lo spazio
in cui la libert pu manifestarsi.
161
Lanalisi comparativistica delle due importanti ri-
voluzioni dellet moderna, quella americana e quella
francese, pur presentando delle limitazioni, tenta un
discorso che non si riduca allastrattezza, che resti, cio,
puramente teorico, anche se per gli specialisti questo
un aspetto spesso insoddisfacente.
Il disegno della Arendt seguire la tradizione de-
mocratica per raccontarne la fondazione e capire come
mai la tradizione filosofica, sia da Hobbes a Schmitt
che da Rousseau agli eredi dei giacobini, non riusci-
ta ad impedire il totalitarismo.
In termini generali possiamo dire che nessuna
rivoluzione addirittura possibile l dove lautorit
dello Stato veramente intatta (...). Le rivoluzioni
sembrano sempre riuscire con straordinaria facilit
nella loro fase iniziale e la ragione che i loro arte-
161
Ibidem.
______________________________
173
fici allinizio non fanno che strappare il potere ad un
regime in piena disgregazione.
Sono insomma la conseguenza non la causa del
crollo dellautorit politica.
162
Dovremmo pensare che lavvento del nazional-
socialismo stato conseguenza della crisi della Re-
pubblica di Weimar: la vulnerabilit delle istituzioni
e il malcontento sociale hanno favorito il partito na-
zionalsocialista e la violenza adottata per giustifica-
re la trasformazione radicale del vecchio ordine.
La presa di potere di Hitler in Germania era sa-
lutata dai nazionalsocialisti come rivoluzione na-
zionale
163
: in realt, sebbene nei primi anni del loro
162
Ibidem.
163
Cfr. Bracher, che sostiene Propagandisti, politici e giuristi nazionalso-
cialisti fin da principio si preoccuparono particolarmente di sottolineare che
il governo hitleriano avrebbe significato linizio di una rivoluzione, di un
profondo mutamento di tutte le cose, ma che si trattava di un processo lega-
le, svolgentesi nellambito del diritto e della costituzione. Mediante il con-
cetto paradossale di rivoluzione legale vennero uniti artificiosamente due
assiomi della azione politica che si contraddicevano reciprocamente. K. D.
Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazional-
______________________________
174
regime i nazisti riversarono sul paese una valanga di
leggi e decreti,
164
non venne mai abrogata la carta
costituzionale di Weimar, tant che essa era formal-
mente in vigore ancora al momento della dissoluzio-
ne della Germania e della morte del Fhrer.
La rivoluzione in quanto tale non pu non condur-
re, secondo laccezione arendtiana, ad una nuova co-
stituzione, segno tangibile della fondazione del nuovo
corpo politico.
165
Nonostante la dichiarazione di voler attuare una
socialismo, Bologna, Il Mulino, 1973. Anche Nolte scrive che in Germania
si comp una rivoluzione senza alcuna violazione rivoluzionaria della le-
galit vigente (e insieme senzombra di rispetto per essa) . E. Nolte, I tre
volti del fascismo, Milano, Mondadori, 1971.
164
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. , p. 541.
165
La costituzione la struttura stessa di una comunit politica organiz-
zata. Lesigenza di una costituzione scritta fu per la prima volta avvertita
in Inghilterra durante il periodo delle guerre civili, sebbene questa re-
stasse poi fedele alla costituzione consuetudinaria. La prima costituzio-
ne scritta fu quella della Virginia nel 1776, a cui seguirono altri stati
americani, fino a che, nel 1788, venne portato a termine il processo co-
stituente con la ratifica, da parte della maggioranza degli stati, della co-
stituzione degli Stati Uniti dAmerica, stesa alla Convenzione di Fila-
delfia, costituzione da allora ancora vigente.
______________________________
175
rivoluzione permanente,
166
con il nazionalsociali-
smo, invece, non si avuto alcun ammodernamento
delle istituzioni.
In America, invece, con la rivoluzione del 1776,
era accaduto proprio il contrario.
La rivoluzione americana aveva avuto il pregio di
mettere in evidenza la possibilit dellagire politico
autentico: nel nuovo mondo, il patto sottoscritto l11
novembre del 1620 sul Mayflower dai Padri Fondato-
ri aveva coniugato potere politico e libert, felicit e
vita pubblica grazie ad una nuova concezione del po-
litico come pratica di libert. Ci che in realt fece
la rivoluzione americana fu di portare alla ribalta la
nuova esperienza ed il nuovo concetto di potere ame-
ricano. Come la prosperit e luguaglianza di condi-
zioni questo nuovo potere era pi antico della rivolu-
166
La nozione di rivoluzione permanente rinvia al carattere di movi-
mento incessante, di mobilitazione che doveva impedire la stabilit del
governo. Per questo lhitlerismo mette in atto una selezione razziale in-
cessante affinch si prevenga lanchilosi del Volk, mentre lo stalinismo
attua una lunga serie di epurazioni e trasferimenti della popolazione.
______________________________
176
zione, ma non sarebbe sopravvissuto senza la fonda-
zione di un organismo politico, destinato esplicitamen-
te a difenderlo e a conservarlo; senza rivoluzione, in
altre parole, quel nuovo principio di potere sarebbe
rimasto nascosto.
167
Diversamente era stato per la rivoluzione france-
se, il cui esito fu fallimentare, da una parte perch si
rivel pi astratta, progettata da intellettuali interessa-
ti ad elaborare idee e teorie piuttosto che pratica poli-
tica, dallaltra per lemergenza della questione socia-
le, per cui la libert veniva ad identificarsi con la libe-
razione dal bisogno.
Non la libert pubblica era lo scopo dei rivoluzio-
nari, bens il benessere del popolo.
In concreto, quando si scaten questa forza, quan-
do ognuno fu convinto che solo linteresse nudo e il
167
H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. Peraltro, il patto dei Padri Pellegri-
ni, che erano giunti sulle desolate spiagge di Cape Cod, serv a fondare
la comunit politica di Plymouth: fu il punto di avvio di altrettanti cove-
nants ed agreements da cui, nel New England, nacquero numerose co-
munit.
______________________________
177
bisogno erano senza ipocrisia, i malheureux si cam-
biarono in enrags, perch la rabbia in realt lunica
forma in cui la miseria pu diventare attiva.
168
Per la Arendt viene a confondersi ci che neces-
sariamente legato alla natura delluomo e ci che gli
conferisce identit e dignit, poich con la rivoluzio-
ne francese la politica viene subordinata alla questio-
ne sociale, ergo alleconomico.
Tale confusione particolarmente evidente nella
nozione di popolo.
La definizione stessa del termine era nata dalla
compassione e la parola divenne sinonimo di sfortuna
e infelicit -le peuple, les malheurex mapplaudissent,
soleva dire Robespierre; le peuple toujours malheu-
rex, come si esprimeva perfino Sieys, una delle figu-
re meno sentimentali e pi lucide della Rivoluzione.
169
Il termine popolo rinvia tanto al soggetto politico
costitutivo quanto alla classe che di fatto esclusa dalla
168
H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.
169
Ibidem.
______________________________
178
politica. Sia nellitaliano popolo che nel francese peu-
ple o lo spagnolo pueblo, con i connessi aggettivi,
presente questa ambiguit semantica; lo stesso per lin-
glese people, che conserva, anzi, un ordinary people
in opposizione alla nobilt.
170
Popolo e popolo, quindi, una frattura che ha de-
viato lazione politica in Europa fin dalla Rivoluzione
francese.
In Le origini del totalitarismo, la Arendt aveva
rimarcato che nel momento in cui il popolo tedesco si
era riconosciuto nella razza ariana era Volks per il di-
ritto, corpo politico integrale, e sanciva cos lesclu-
170
Nella costituzione americana si legge, senza distinzioni di sorta,
We, the people of the United States...; ma quando Lincoln, nel discor-
so di Gettisburgh, invoca un Governement of the people by the people
for the people, la ripetizione contrappone implicitamente al primo po-
polo un altro, da G. Agamben, Mezzi senza fini, op. cit., p.30. Labate
Sieys, autore del famoso Quest-ce que le Tiers Etat? (1789) aveva
parlato della nazione come se intendesse lintero popolo francese. In
realt il riferimento era per la borghesia: la nazione borghese era ununi-
t compatta esprimente non lempirica volont generale, bens lassolu-
ta volont generale per cui si condannavano i partiti e le fazioni. Anche
in questo caso il termine popolo risulta equivoco.
______________________________
179
sione dai diritti il cittadinanza degli ebrei e di quanti
identificava con la categoria di nemico oggettivo.
171
Una legge di natura, dunque, aveva finito per per-
meare il diritto rendendo ancor pi catastrofica la frat-
tura Popolo e popolo.
Lequivoco, dunque, che compromise il buon esi-
to della rivoluzione francese fu il voler emancipare
la natura, voler porre una soluzione ai bisogni natu-
rali: La necessit invase cos il campo del politico,
lunico in cui gli uomini possono essere liberi.
172
In America esistevano delle precondizioni, la relati-
va eguaglianza e la mancanza di una radicale questione
sociale, le quali permisero che il sociale, il privato, non
inficiasse la politica. La felicit era felicit pubblica, il
consenso era scambio di opinioni tra eguali, la sovranit
del popolo non era concezione assoluta.
171
Con la soluzione finale, i nazisti tentarono di eliminare dalla scena
politica gli indesiderabili, compito che essi ostinatamente andavano
ad assolvere anche per gli altri popoli europei.
172
H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.
______________________________
180
La pratica politica del Mayflower Compact, mai
interrotta dalla posterit dei Padri Fondatori, aveva
portato in risalto che la capacit umana di costituire il
mondo avrebbe di per s garantito e tutelato gli uomi-
ni dalle pulsioni naturali.
Nessun ricorso, quindi, a finzioni circa la natura
delluomo, come volevano le classiche teorie contrat-
tualistiche, n alcun ricorso allAssoluto - Robespierre
aveva reclamato l Essere Supremo come garanzia
della stabilit della repubblica laddove nel contesto re-
ligioso, tipicamente europeo, si faceva ancora appello
al Dio Onnipotente che aveva dotato gli uomini di
diritti inalienabili.
La rivoluzione francese non aveva fatto altro che
sostituire la volont del popolo, che si rivela come
dispotismo della maggioranza, sul dominio delluomo
sulluomo e riconoscere la sottomissione delluomo
alla legge divina o morale, mantenendo ben ferma la
confusione tra potere e dominio.
E per la Arendt il dominio una interpretazione
181
falsificata e falsificante del potere.
173
Non solo. Il buon
esito della rivoluzione francese sarebbe stato deviato
dal terrore.
La considerazione che il terrore sia lo strumento
che permetta la conservazione del potere e che la vio-
lenza sia necessaria per la creazione di un corpo po-
litico viene confutata dalla Arendt facendo riferimen-
to al racconto di Melville, Billy Budd, e allepisodio
del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Do-
stoevskij.
Ella si serve di queste due opere letterarie per
mostrare come, nella storia, chiunque, sia esso popo-
lo, classe o individuo, si ponga come depositario del
bene assoluto risponda poi con la violenza allingiu-
stizia. Non esiste nessuna violenza necessaria, anzi essa
testimonia di un vuoto del diritto e, quindi, di un vuo-
173
Illuminante il saggio di P. Ricoeur Pouvoir et violence, in Politi-
que et pense. Colloque Hannah Arendt, ditions Payot & Rivages, Pa-
ris, 1996. Questa raccolta di saggi apparsa per la prima volta con il
titolo Ontologie et politique. Hannah Arendt, presso le edizioni Tierce,
1989.
______________________________
182
to della giustizia. Lo stesso deve dirsi per il terrore
totalitario.
Durante la rivoluzione, in Francia, la compassione
dei miserabili si era impadronita degli animi pi elevati e
li aveva spinti ad azioni non pertinenti alla politica. Il loro
obiettivo divenne lo smascheramento dellipocrisia, del-
linganno sociale, in un tempo, quello della monarchia as-
soluta, in cui facilmente si violavano i giuramenti e si pas-
sava allintrigo. Gi per Rousseau il male principale della
societ era lipocrisia, cio la mancanza di promesse, non
mantenute dal potere centrale, verso il popolo. Se per So-
crate lipocrita era il falso testimone di se stesso, il peggio-
re degli uomini quindi, per Machiavelli, con cui la Arendt
daccordo, lipocrita colui che appare quale vuole es-
sere stimato.
174
174
Simulazione e dissimulazione sono termini chiave per il discorso sul
politico. Simulazione mostrare di essere ci che non si ed ha uno
spettro di comportamenti ben pi ampio, in campo politico, della dissi-
mulazione, che, in quanto nascondere ci che si realmente, si limita
alla sola sfera dellinganno pi o meno cosciente. cfr. N. Machiavelli, Il
Principe, Milano, Feltrinelli, 1995.
______________________________
183
Nel campo delle relazioni umane, infatti, l dove c
apparenza di virt, ci sono anche gli effetti della virt e
poco importa se qualcosa di imperscrutabile vi si nasconda.
La deviazione verso il terrore per la rivoluzione fran-
cese deriva dal fatto che elementi moralistici erano, come
la compassione e lo smascheramento dellipocrisia erano
entrati nella pratica politica, scatenando furori e annullan-
do il regno del diritto che garantisce e tutela tutti.
Lo stesso Robespierre, che pretendeva di essere il
depositario della virt, era diventato luomo del terro-
re. Nel clima di sospetto che circondava i rivoluziona-
ri, chiunque poteva essere sospettato di ipocrisia e di
essere nemico del popolo.
La Arendt, per questo motivo, sostiene la teoria
di Montesquieu,
175
che, peraltro, contrappone a Rous-
175
Montesquieu, fedele allantica iurisdictio, teneva soprattutto allin-
dipendenza della funzione giudiziaria dal politico e al governo misto,
visto in funzione dei checs and balances, dei pesi e dei contrappesi per
realizzare un equilibrio costituzionale. Era, dunque, necessaria la sepa-
razione di questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le
risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o giudicare le controver-
sie dei privati.
______________________________
184
seau. Secondo lautore dell Esprit des lois la virt non
un assoluto, deve essere moderata e non deve entra-
re nella politica. Il teorico del costituzionalismo rite-
neva che la garanzia della pluralit risiedeva nella ri-
partizione del potere, in modo tale da mediare le ten-
sioni e i rapporti di forza.
Riproporre Montesquieu e il contrattualismo an-
glosassone come riflessione sul patto e sulle istituzio-
ni realmente esistenti, conduce la Arendt a riflettere
anche sulle modalit della rappresentanza.
La pluralit non pu essere rappresentata, innan-
zitutto perch lunicit degli esseri che la esclude,
poi perch il concetto di rappresentanza implica las-
senza dei rappresentati, quindi la spoliticizzazione della
politica. La rappresentanza si definisce, dunque, come
rapporto di dominio di alcuni uomini su altri, come
organizzazione della forza dei governanti, come di-
sciplinamento centralizzato della decisione. Non c
alcunch in comune se non uno spazio.
Alla constitutio libertatis, dunque, cosa occorre?
185
Storicamente in tutte le rivoluzioni si attuata lorga-
nizzazione spontanea dei consigli: in quella americana di
Jefferson, nella Comune di Parigi, nei Soviet, persino nel-
la rivoluzione ungherese del 1956. Essi sono la manife-
stazione della vera democrazia perch si d a tutto il po-
polo la possibilit di agire e di essere responsabili delle
proprie azioni e dellandamento egli eventi.
E garantita limprevedibilit, la pluralit, la par-
tecipazione diretta. Nella tradizione occidentale que-
sti sono caratteri a cui si pensato sempre di porre
rimedio, ad esempio con la formazione dei partiti.
Ne Le origini del totalitarismo, la Arendt aveva gi
espresso un giudizio secco e negativo sullattivit dei par-
titi. Questi funzionavano come cinghia di trasmissione
dellinteresse individuale nellinteresse collettivo, come
gruppo di interesse senza riuscire a garantire la singolarit
che si manifesta nella relazione plurale.
Sono esposti alla corruzione e allinefficienza;
sono antidemocratici per il fatto che indicano i candi-
dati che il cittadino-elettore andr a votare.
186
Nei consigli, invece, il popolo poteva gestire gli
affari politici direttamente; ogni consiglio avrebbe elet-
to i rappresentanti da inviare ai consigli superiori, se-
condo una piramide che avrebbe formato una lite af-
fettivamente democratica.
Pur proponendo labolizione del suffragio univer-
sale, la Arendt ritiene che il metodo dellalternanza di
due soli partiti possa preservare il sistema da eventua-
li blocchi e pericoli: lopposizione di un periodo sar
al potere in un altro momento, senza per questo perde-
re la responsabilit dellazione politica. Una respon-
sabilit che manca nel caso di pi partiti al potere e del
tutto assente sia nella societ di massa, in cui i singoli
sono deresponsabilizzati alla politica, sia nel totalita-
rismo, ove tutto nelle mani del capo.
E chiaro che istituzioni e leggi sono il perno fon-
damentale per il corretto funzionamento della demo-
crazia, quanto il consenso.
Quanto, per, i consigli, contrari allisolamento del
singolo e luogo privilegiato della pluralit irrapresen-
187
tabile e dellazione intesa come nuovo inizio, sono pra-
ticabili? Lorientamento della Arendt resta unalterna-
tiva utopica o, quantomeno, non realistica?
CONCLUSIONI
189
In Le origini del totalitarismo la Arendt sottoli-
nea spesso come il totalitarismo distrugge il presup-
posto di ogni libert, annulla la capacit di agire di
concerto, azzera quello spazio che esiste tra ciascun
uomo libero estraniandolo.
Abbiamo visto come i prodromi dellideologia
totalitaria siano nella crisi dello Stato-nazione e nel
contesto socio-culturale-politico in cui si attua lanti-
semitismo e limperialismo. Abbiamo visto come ai
margini della tradizione egemone siano esistite poten-
zialit politiche che si sono sottratte alla categoria del
dominio: lesperienza della rivoluzione americana e
dei sistemi consiliari.
Se necessario ripensare la politica, cosa la Arendt
intende per politica?
Un punto da tener ben presente: la deviazione della
politica stata evidente quando la sfera del privato si
confusa, anzi, si identificata con la sfera pubblica; in
altre parole, quando lo Stato si aperto alla societ o, se
vogliamo, la societ permeata nello Stato. Sono venute
190
meno le categorie tradizionali del pensiero politico: Stato,
sovranit, autorit, potere ed altre.
La Arendt non ha mai identificato il politico con
lo Stato, semmai ne ha rivendicato lautonomia sottra-
endolo al dominio, lo strumento di coercizione con cui
da Platone in poi si pensato il potere politico. Anzi,
nella tradizione del pensiero occidentale, il potere
stato sempre connesso alla violenza come qualcosa di
inscindibile; invece, essi si escludono a vicenda.
I Padri Fondatori americani erano riusciti a istituire
uno spazio politico senza fare ricorso alla violenza, ser-
vendosi solo di una costituzione, anche non erano riusciti
a comunicare nel tempo a venire lo spirito della loro inno-
vativa esperienza. E possibile una fondazione senza vio-
lenza; possibile esercitare il potere senza violenza.
Nella tradizione occidentale, la Arendt rileva che
molti attori rivoluzionari confondono latto plurale e
politico della fondazione, da cui deriva lautorit del
nuovo corpo politico, con la violenza. Ricordando
Machiavelli e Robespierre, dice che il loro problema
191
era, alla lettera, quello di come fare unItalia unita o
una repubblica francese, e la loro giustificazione della
violenza nasceva e riceveva la sua intrinseca plausibi-
lit dallargomentazione sottesa: come non si pu fare
un tavolo senza abbattere degli alberi, o una frittata
senza rompere le uova, neppure si pu fare una Re-
pubblica senza uccidere qualcuno.
176
Cos dovremmo giustificare anche il terrore totalitario?
E indicibile il passaggio dal tutto permesso
al tutto possibile dei campi di concentramento e
della violenza psicologica che riduce gli uomini ad un
unico fascio di reazioni.
177
Il dominio per mezzo della pura violenza entra
in gioco quando si sta perdendo il potere.
178
176
H. Arendt, What is Authority?, in Between Past and Future, cit.; trad.
it. Che cos lautorit? , in Id., Tra passato e futuro, cit.
177
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.
178
H. Arendt, On Violence, Harcourt, Brace & World, 1970, poi in The
Crisis of the Republic, San Diego- New York- London, Harcourt Brace
Jovanovich, 1972; trad. it. Sulla violenza, in Politica e menzogna, Mila-
no, SugarCo,1985, p. 201.
______________________________
192
E ancora: La violenza pu sempre distruggere il
potere; dalla canna del fucile nasce lordine pi effi-
cace, che ha come risultato lobbedienza pi imme-
diata e perfetta. Quello che non pu mai uscire dalla
canna di un fucile il potere.
179
Il potere tale per lessere-insieme degli uomini,
non rappresentabile n alienabile, n coincide sul-
lunanimit.
La Arendt pensa il consenso nei termini di un dis-
sidio su cui si acconsente e si pu continuare a dis-
sentire. E rispetto delle differenze, riconoscimento
della pluralit.
Lo spazio in comune, che non unicamente spa-
zio fisico, territoriale, bens la possibilit dello sta-
re-insieme avendo qualcosa in comune, il mondo.
Il mondo la casa che abitano gli uomini. E
lo spazio dellapparenza, il pubblico.
Il termine pubblico equivale al mondo stesso,
179
Ibidem, p. 202.
______________________________
193
in quanto comune a tutti e distinto dallo spazio che
ognuno di noi vi occupa privatamente. Questo mondo
tuttavia non si identifica con la terra e con la natura,
come spazio limitato che fa da sfondo al movimento
degli uomini e alle condizioni generali della vita orga-
nica. Esso connesso, piuttosto, con lelemento artifi-
ciale, il prodotto delle mani delluomo, come pure con
le relazioni che intercorrono tra coloro che insieme
abitano il mondo fatto dalluomo.
180
La Arendt preoccupata -e Le origini del totali-
tarismo lo confermano- per la riduzione degli uomini
in esemplari seriali nella societ di massa, e, soprat-
tutto, se si tratta di una societ totalitaria.
E come se la vita stessa, nella sua nudit, fosse
entrata per necessit nel dominio pubblico creando
uniformit e spersonalizzazione.
Il carattere monolitico di ogni tipo di societ, il
suo conformismo che concede un interesse solo e una
180
H. Arendt, The Human Condition, op. cit.
______________________________
194
sola opinione, in ultima analisi radicato nell essere-
uno del genere umano.
181
La societ cos omogenea perch tutti gli indivi-
dui hanno i medesimi bisogni materiali, la stessa ur-
genza di provvedere alle necessit della vita. E se un
tempo la distinzione era il contrassegno dellazione
politica, ora la moda, latteggiamento stravagante,
leffimero.
Pertanto la burocrazia che politicamente la ri-
flette.
Ci che noi tradizionalmente chiamiamo Stato e
governo lascia qui il posto alla pura amministrazione: a
quello stato di affari che Marx giustamente prediceva come
lestinzione dello Stato, bench sbagliasse nel credere
che solo una rivoluzione potesse causarla.
182
Si concretizza the rule of nobody.
Il governo di nessuno non necessariamente un
non-governo; esso pu, anzi, in certe circostanze, pro-
181
Ibidem, p. 34.
182
Ibidem, p. 33.
______________________________
195
dursi in manifestazioni ancora pi crudeli e tiranniche
di quelle consuete.
183
Il totalitarismo ne il mostruoso esempio.
Ich selber wirchen? nein, ich will
verstehen. Und wenn andere menschen
verstehen-im sselben Sinne, wie
ich verstanden habe dann gibt mir
das eine Befriedigung wie ein Heimatgefhl.
184
183
Ibidem, p. 30.
184
Io esercitare un influsso? No, io voglio capire. E se altri poi capisco-
no -alla stessa maniera in cui ho capito io- mi d un senso di soddisfa-
zione come una patria comune.
______________________________
BIBLIOGRAFIA
197
SCRI TTI DI HANNAN ARENDT
1929
Der Liebesbegriff bei Augustin. Versuch einer philosophischen Inter-
pretation, J. Springer, Berlin 1929; trad. it. Il concetto damore in
Agostino, a cura di L. Boella, Milano, SE, 1992.
1930
Augustin und Protestantismus, in Frankfurter Zeitung, n. 902, 12 aprile
1930.
Philosophie und Soziologie. Anlsslich Karl Manheim Ideologie und
Utopie, in Die Gesellschaft. Internationale Revue fr Soziali-
smus und politik, VII, 1930, pp. 163-176.
Rilkes Duineser Elegien, (in collaborazione con G. Stern), in Neue
Schweizer Rundschau, XXIII, 1930, pp. 855-871; ristampato in
U. Fllerborn, M. Engel, (hrsg.), Rilkes Duineser Elegien. Zwei-
ter Band, Forschungsgeschichte, Frankfurt a. M., Surkamp, 1982,
pp. 45-65; trad. it. Le Elegie Duinesi di Rilke, in aut aut, 1990,
nn. 239-240, pp. 127-144.
1931
(Recensione di:) H. Weil, Die Entstehung des deutschen Bildungsprin-
zips, in Archiv fr Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, LXVI,
1931, pp. 200-205.
1932
Sren Kierkegaard, in Frankfurter Zeitung, n. 75-76, 29 gennaio
1932.
Friederich von Gentz. Zu seinem 100. Todestag am 9 Juni, in Klni-
sche Zeitung, n. 308, 8 giugno 1932.
198
Adam Mller - Renaissance?, in Klnische Zeitung, n. 501, 13 set-
tembre 1932 e n. 510, 17 settembre 1932.
Aufklrung und Judenfrage, in Zeitschrift fr die Geschichte der Juden
in Deutschland, IV, 1932, nn. 2-3; ristampato in H. Arendt, Die
verbogene Tradition. Acht Essays, Frankfurt a. M. Suhrkamp, 1976,
pp. 108-126; trad. it. Illuminismo e questione ebraica, in Il Muli-
no, XXXV, 1986, n. 3, pp. 421-437.
Berliner salon e Brief Rahels an Pauline Wiesel, in Deutscher Almana-
ch fr das Jahr 1932, 1932, pp. 175-184 e 185-190.
1933
Rahel Varnhagen. Zum 100. Todestag, in Klnische Zeitung, n. 131, 7
marzo 1933; ristampato in Judische Rundschau, nn. 28-29, 7
aprile 1933.
(Recensione di:) A. Rhle-Gerstel, Das Frauenproblem der Gegenwart.
Eine psychologische Bilanz, Leipzig, Hirzel, 1932; in Die Gesel-
lschaft. Internationale Revue fr Sozialismus und Politik, X, 1933,
pp. 177-179.
1942
A beliver in European Unity, in The rewiew of politics, IV, 1942, n. 2,
pp. 245-247; recensione di P. R. Sweet, Friedrich von Gentz. De-
fender of the Old Order, Madison, The University of Wisconsin
Press, 1941.
From the Dreyus Affair to France Today, in Jewish Social Studies,
1942, n. 3, pp. 195-240; ristampato in Essays on Anti-semitism,
Conference on Jewish Relations, 1946; ripubblicato parzialmente
con il titolo Herzl and Lazare, in H. Arendt, The Jew as Pariah,
New York, Grove Press, 1978, pp. 125-130; trad. parziale, Herzl e
Lazare, in H. Arendt, Ebraismo e modernit, Milano, Unicopli,
1986, pp. 27-33.
199
1943
We Refugees, in Menorah Journal, XXXI, January 1943, pp. 69-77;
ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 55-66; trad. it. Noi pro-
fughi, in Ebraismo e modernit, cit., pp. 35-49.
Why the Crmieux Decree Wa Abrogated, in Contemporary Jewisch
Record, VI, 1943, n. 2, pp. 115-123.
Portrait of a Period, in Menorah Journal, XXXI, October 1943, pp.
307-314; recensione di S. Zweig, The World of Yesterday: An Au-
tobiography, New York, The Viking Press, 1943; ristampato in
The Jew as Pariah, cit., pp. 112-121; trad. it. Ritratto di un perio-
do, in Ebraismo e modernit, cit., pp. 51-62.
1944
Race-Thinking Before Racism, in The Rewiw of Politics, VI, 1944, n.
1, pp. 36-73.
The Jew as Pariah: A Hidden Tradition, in Jewish Social Studies, VI,
1944, n. 2, pp. 99-122; ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp.
67-90; versione tedesca ampliata: Die verbogene Tradition, in H.
Arendt, Sechs Essays, hrsg. von D. Sternberger, Heidelberg, L.
Schneider, 1948; ristampata in H. Arendt, Die verbogene tradi-
tion. Acht Essays, cit., pp. 46-73; trad. it. parziale della versione
tedesca, in frammenti con i segueni titoli: parte I, Heinrich Heine:
Schlemihl e principe del mondo di sogno; parte III, Charlie Chaplin:
il sospettato; parte IV, Franz Kafka: luomo di buona volont, in
H. Arendt, Il futuro alle spalle, a cura di L. Ritter Santini, Bolo-
gna, Il Mulino, 1981, pp. 63-71; 271-274; 73-84.
Concerning Minorities, in Contemporary Jewish Record, VII, 1944,
n. 4, pp. 353-368.
Our Foreign Language Groups, in Chicago Jewish Forum, III, 1944,
n. 1, pp. 23-34.
Franz Kafka: a Revaluation. On the Occasion of the Twentieth Anniver-
200
sary of his Death, in Partisan Rewiw, XI, 1944, n. 4, pp. 412-
422; versione tedesca ampliata: Franz Kafka, in H. Arendt, Sechs
Essays, cit.; ristampata in H. Arendt, Die verbogene Tradition.
Acht Essays, cit., pp. 88-107; trad. it. della versione tedesca: Franz
Kafka: il costruttore di modelli, in H. Arendt, Il futuro alle spalle,
cit., pp. 85-103.
Das zeitweilige Bdnis Zwischen Mob una lite, in Hochland. Monats-
zeitschrift fr alle Gebiete des Wissens, 1944, pp. 51-52, 511-
524.
1945
Organized Guilt and Universal Responsability, in Jewish Frontier, XIII,
1945, n. 1, pp. 19-23; ristampato in R. Smith, (a cura di), Guilt:
Man and Society, New York, Doubleday Anchor, 1971; ripubbli-
cato in The Jew as Pariah, cit., pp. 222-236; trad. it. Colpa orga-
nizzata e responsabilit universale, in H. Arendt, Ebraismo e mo-
dernit, cit., pp. 63-76.
Approaches to the German Problem, in Partisan Rewiew, XII, 1945,
n. 1, pp. 93-106.
The Stateless People, in Contemporary Jewish Record, VIII, 1945, n.
2, pp. 137-153.
The Assets of Personality, in Contemporary Jewish Record, VIII, 1945,
n. 2, pp. 214-216, recensione di M. W. Weisgal, (a cura di), Chaim
Wiesmann.
Nightmare and Flight, in Partisan Rewiew, XII, 1945, n.2, pp. 159-
260, recensione di D. de Rougemont, The Devils Share.
Dilthey as a Philosopher and Historian, in Partisan Rewiew, XII, 1945,
n. 3, pp. 404-6; recensione di H. A. Hodges, Wilhelm Dilthey: An
Introduction.
Christanity and Revolution, in The Nation, 22 settembre 1945, pp.
288-89.
201
The Seeds of a Fascist International, in Jewish Frontier, giugno 1945,
pp.12-16.
Zionism Reconsidered, in Menorah Journal, XXXIII, agosto 1945, pp.
162-196; ristampato in M. Selzer, (a cura di), Zionism reconside-
red, New York, Macmillan; ripubblicato in The Jew as Pariah,
cit., pp. 131-163; versione tedesca Der Zionismus aus heutiger
Sicht , in H. Arendt, Die Verbogene Tradition, 1976, pp. 127-168;
trad. it. Ripensare il sionismo, in H. Arendt, Ebraismo e moderni-
t, cit., pp. 77-116.
Imperialism, Nazionalism, Chauvinism, in The Rewiew of Politics,
VII, 1945, n. 4, pp. 441-463.
Parties, Movements and Classes, in Partisan Rewiew, XII, 1945, n. 4,
pp. 504-512.
Power, Politics, Triumphs, in Commentary, I, 1945, n. 1, pp. 92-92,
recensione di F. Gross, Crssroads of Two Continents.
1946
ber den Imperialismus, in Die Wandlung, I, 1946, pp. 650-666; ri-
stapato in H. Arendt, Sechs Essays, 1948; H. Arendt, Die Verbo-
gene Tradition, 1976.
Privileged Jews, in Jewish Social Studies, VIII, 1946, n. 1, pp. 3- 30;
ristampato in A: G. Duker e M. Ben-Horin, Emancipation and
Counteremancipation, New York, KtavPublishing House, 1947;
pubblicato in modo parzoale con il titolo The Moral of History, in
H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp. 96-105, trad. it. parziale La
morale nella storia, in H. Arendt, Ebraismo e modernit, cit., pp.
117-122.
The Nation, in The Rewiew of Politics, VIII, 1946, n. 1, pp. 138-141;
recensione di J. T. Delos, La Nation, Editions de lArbre, Mpntreal.
Proof Positive, in The Nation, 5 gennaio 1946, p. 22; recensione di V.
Lange, Modern German Literature.
202
The too Ambitious Reporter, in Commentary, II, 1946, n.2, pp. 94-95;
recensione di A. Koestler, Twilight Bar e The Yogi and Commisar.
What is Existenz Philosophy?, in Partisan Rewiew, XIII, 1946, n.1, pp.34-
56; trad. ted. in Sechs Essays, 1948; trad. it. Che cos la filosofia
dellesistenza?, a cura di S. Maletta, Milano, Jaca Book, 1998.
Imperialism: Road to Suicide, in Commentary, II, 1946, n. 3, pp. 27-35.
French Existenzialism, in The Nation, 23 febbraio 1946, pp. 226-228.
Tentative List of Jewish Cultural Treasure in Axis-Occupied Countries,
in Supplement to Jewish Social Studies, VIII, 1946, n.1; curato
dal gruppo di ricerca Commission on European Jewish Cultural
Reconstruction sotto la direzione di H. Arendt.
Tentative List of Jewish Educational Istitutions in Axis-Occupied Coun-
tries, in Supplement to Jewish Social Studies, VIII, 1946, n. 3;
curato dal gruppo di ricerca Commission on European Jewish
Cultural Reconstruction sotto la direzione di H. Arendt.
The Street of Berlin, in The Nation, 23 marzo 1946, pp.350-351; re-
censione di R. Gilbert, Meine Reime Deine Reime.
The Jewish State: 50 Years After, Where Have HerzlPolitics Led?, in
Commentary, II 1946, n. 1, pp. 1-8; ristampato in Jew as Pa-
riah, cit., pp. 164-177; trad. it. Lo stato ebraico: cinquantanni
dopo. Dove ha portato la politica di di Herzl?, in H. Arendt, Ebrai-
smo e modernit, cit., pp. 123-137.
The Image of Hell, in Commentary, II, 1946, n. 3, pp. 291-95; recensione
di The Black Book: The Nazi Crime Against the Jewish People, cura-
to da World Jewish Congress, e a M. Weinreich, Hitlers Professor.
No Longer and not Yet, in The Nation, 14 settembre 1946, pp. 300-
302; recensione di H. Broch, The Death of Virgil.
The Ivory Tower of Common Sense, in The Nation, 19 ottobre 1946,
pp. 447-49; recensione di J, Dewey, Problem of Men.
Expansion and the Philosophy of Power, in Sewanee Rewiew, LIV,
1946, pp. 601-16.
203
1947
Creating a Cultural Atmosphere, in Commentary, IV novembre 1947,
pp. 424-426, ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp.
91-95; trad. it. Creare unatmosfera culturale, in H. Arendt, Ebrai-
smo e modernit, cit., pp. 139-144.
The Hole of Oblivion, in Jewish Frontier, luglio 1947, pp. 23-26; re-
censione di Anonimo, The Dark Side of the Moon.
1948
Sechs Essays, Heidelberg, L. Schneider, ristampati in H. Arendt, Die
Verbogene Tradition, 1972.
Jewish History Revised, in Jewish Frontier, marzo 1948, pp. 34-38;
ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp.96-105; trad.
it. Una rilettura della storia ebraica, in H. Arendt, Ebaraismo e
modernit, cit., pp. 145-156; recensione di G. Scholem, Major
Trends in Jewish History, New York, 1946.
Beyond Personal Frustation: The Poetry of Bertold Brecht, in The
Kenyon Rewiew, X, 1948, n.2, pp.304-312, recensione di B. Bre-
cht, Selected Poems.
To Save the Jewish Homeland: There is Still Time, in Commentary, V,
maggio 1948, pp.398-406; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pa-
riah, cit., pp.178-192; trad. it. Salvare la patria ebraica: c ancora
tempo, in H. Arendt, Ebraismo e modernit, cit., pp. 157-173.
The Concentration Camps, in Partisan Rewiew, XV, 1948, n.7, pp.743-
763; versione tedesca in Die Wandlung, III, 1948, pp.309-330.
The Mission of Bernadotte, in The New Leader, XXXI, 23 ottobre
1948, pp. 808-819.
About Collaboration, in Jewish Frontier, XV, Ottobre 1948, pp. 55-
56; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp. 175-178.
cura del volume di B. Lazare, Jobs Dunheap, New York, Schocken
Books, 1948.
204
1949
Hermann Broch und der moderne Roman, in Der Monat, I, 1949, nn.
8-9, pp. 147-151.
Totalitarian terror, in The Rewiew of Politics, XI, n.1, pp. 112-115;
recensione di D. J. Dallin e B. I. Nicolaevsky, Forced labor in
Soviet Russia.
Single Track to Zion, in Saturday Rewiew of Literature, XXXII, 1949,
n. 5, pp. 22-23; recensione di C. Waizmann, Trial and Terror: The
Autobiography of Chaim Waizmann.
Parteien und Bewegung, in Die Wandlung, IV, 1949, pp. 451-473.
The rights of Man: What Are They?, in Modern Rewiew, III, 1949, n.
1, pp. 24-37.
The Achievement of Hermann Broch, in The Kenyon Rewiew, XI,
1949, n. 3,pp. 476-483.
1950
Social Science Techniques and the Study of Concentration Camps, in
Jewish Social Studies, XII, 1950, n. 1, pp.49-64.
Peace or Armistice in the Near East?, in The Rewiew of Politics, XII,
1950, n. 1, pp.56-82; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah,
cit., pp. 193-222; trad. it. Pace o armistizio nel Vicino Oriente?, in
H. Arendt, Ebraismo e modernit, cit., pp179-213.
Religion and the Intellectuals. A Symposium, in Partisan Rewiew, XVII.
1950, n. 1, pp. 113-116.
Der Dichter Bertold Brecht, in Die Neue Rundschau, LXI, 1950, pp.53-
67; trad. it. Il poeta Bertold Brecht, in V. Santoli, (a cura di), Da
Lessing a Brecht. I grandi scrittori nella grande crisi tedesca,
Milano, Bompiani, 1968, pp. 573-589, poi in aut aut, 1990, nn.
239-240, pp.145-160.
The Imperialist Character, in The Rewiew of Politics, XIII, 1950, n.
3, pp.303-320; versione tedesca Der imperialistische Charakter.
205
Eine psychologisch-soziologische Studie, in Der Monat, II, 1950,
n. 4, pp. 509-522.
The Aftermath of Nazi Rule. A Report from Germany, in Commentary,
Iv, 1950, n. 10, pp.342-353.
Mob and Elite, in Partisan Rewiew, XVIII, 1950, n. 8, pp. 808-819.
1951
The Origins Of Totalitarianism, New York, Harcourt, Brace and Co, 1951;
seconda edizione ampliata: New York, The Word Publishing Com-
pany, Meridian Books, 1958; terza edizione con nuove prefazioni:
New York, Harcourt Brace and World, 1966; la versione inglese della
prima edizione apparsa con il titolo The Burden of Our Time, Lon-
don, Secker and Warburg, 1951; la versione inglese della seconda
edizione reca il titolo The Origins of Totalitarianism, London, Allen
and Unwin, 1958; trad. it. Le origini del totalitarismo, Milano, Edi-
zioni di Comunit, 1967; trad. ted. Elemente und Ursprnge totaler
Herrschaft, Frankfurt, Europische Verlangsanstalt, 1955.
The Road to Dreyfus Affair, in Commentary, XI, febbraio 1951, pp. 201-
203; recensione di R. F. Byrnes, Antisemitism in Modern France.
Totalitre Propaganda. Ein Kapitel aus Ursprnge des Totalitari-
smus, in Der Monat, III, 1951, n. 33, pp. 241-248.
Totalitarian Movement, in Twentieth Century, 1951, n.149, pp. 368-389.
Bei Hitler zu Tisch, in Der Monat, IV, 1951, n. 37, pp. 85-90.
Die Geheimpolizei, in Der Monat, IV, 1951, n. 38, pp. 370-388.
1952
The History of the Great Crime, in Commentary, XIII, marzo 1952,
pp. 300-304; recensione di Poliakov, Brviare de la haine: le III-
me Reich et les Juifs.
Magnes. The Coscience of the Jewish Peeople, in Jewish Newsletter,
VIII, 1952, n. 25, p. 2.
206
1953
Ideology amd Terror: a Novel Form of Government, in The Review of
politics, XV, 1953, n. 3, pp. 303-327; ristampato in H. Arendt,
The Origins of Totalitarianism, Second Enlarged Edition, cit., 1958,
pp. 460-479; pubblicato in versione tedesca in Offener Horizont.
Festschrift fr Karl Jaspers, Mnchen, Piper, 1953, pp. 229-254.
Rejoinder to Eric Voegelins Review of The Origins of Totalitarianism, in The
Review of politics, XV, 1953, n. 1, pp. 76-85; trad. it. in Eric Voegelin:
un interprete del totalitarismo, Roma, Astra, 1978, pp. 73-87.
The Ex-Communists, in Commonweal, LVII, 1953, n. 24, pp. 595-599.
Understanding and Politics, in Partisan Review, XX, 1953, n. 4, pp. 377-
392; trad. it. Comprensione e Politica, in H. Arendt, La disobbedien-
za civile ed altri saggi, Milano, Giuffr, 1985, pp. 89-111.
Religion and Politics, in Confluence, II, 1953, n. 3, pp. 105-126; trad. it.
Religione e politica, in G. A. Brioschi, L. Valiani, (a cura di), Totalita-
rismo e cultura, Milano, Edizioni di Comunit, 1957, pp. 285-304.
Understanding Communism, in Partisan Review, XX, 1953, n. 5, pp.
580-583; recensione di W. Gurian, Bolshevism.
1954
Tradition and the Modern Age, in Partisan Review, XXII, 1954, n. 1,
pp. 53-75; ristampato in H. Arendt, Between past and future. Six
Exercises in Political Thought, New York, Viking Press, 1961, pp.
17-40; trad. it. La tradizione e let moderna, in H. Arendt, Tra
passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991, pp. 41-69.
Europe and America: Dream and Nightmare, in Commonweal, LX,
1954, n. 23, pp. 551-554.
Europe and the Atom Bomb , in Commonweal, LX, 1954, n. 24, pp.
578-580.
Europe and America: the Threat of Conformism, in Commonweal,
LX, 1954, n. 25, pp. 607-610.
207
1955
Dichten und Erkennen, Introduzione a H. Broch, Gesammelte Werke, a
cura di H. Arendt, Zrich, Rheir, 1955; trad. it. Hermann Broch:
poeta-scrittore contro la sua volont, in H. Arendt, Il futuro alle
spalle, cit., pp. 171-216.
The personality of Waldemar Gurian, in The Review of politics, XVII,
1955, n. 1, pp. 33-42; ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times,
New York-London, Harcourt Brace Jovanovich, 1968, pp. 251-262.
1956
Was ist Autoritt, in Der Monat, VIII, 1956, n. 89, pp. 29-44; ristam-
pato in H. Arendt, Fragwrdige Traditionsbestnde im politischen
Denken der Gegenwart. Vier Essays, Frankfurt a. M. , Europi-
sche Verlagsanstalt, 1957.
Authority in Twentieth Century, in The Review of politics, XVIII, 1956,
n. 4, pp. 403-417.
1957
Misstrauen gegen Kultur, in Die Kultur, VI, 1957, n. 12, p. 10.
Natur un Geschichte. Die Anfnge der griechischen Geschichtsschrei-
bung, in Deutsche Universittszeitung, XII, n. 8, pp. 6-9, n. 9,
pp. 9-14.
Geschichte kann nicht gemacht werden. Die Entstehung des historischen-
Bewusstseins, in Deutsche Universittszeitung, XII, 1957, n. 20,
pp. 7-11; n. 21, pp. 10-14.
History and Immortality, in Partisan Review, XXIV, 1957, n. 1, pp. 11-53.
Fragwrdige Traditionbestnde im politischen Denken der Gegenwart,
Vier Essays, Frankfurt a. M., Europische Verlagsanstalt, 1957.
Karl Jaspers as Citizen of the World, in P. A. Schlipp, (ed.), The Philosophy
of Karl Jaspers, La Salle, Open Court, Pub. Co., 1957, pp. 539- 550;
ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 81-94.
208
1958
The Human Condition, Chicago, University of Chicago Press, 1958; trad.
it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, 1988; edizione tedesca
rielaborata dallautrice, Vita Activa oder von ttigen Leben, Stutt-
gart, Kohlhammer, 1960, Mnchen, Piper, 1967.
Rahel Varnhagen: the Life of a Jewess, London, East and West Library,
1958; ed. tedesca, Rahel Varnhagen, Lebensgeschichte einer deu-
tschen Jdin aus der Romantik, Mnchen, Piper, 1959; ed. ameri-
cana Rahel Varnhagen: the Life of a Jewish Woman, New York,
Harcourt Brace Jovanovich, 1974.
Totalitarian Imperialism: Reflections on the Hungarian Revolution, in
The Journal of Politics, 1958, n. 1, pp. 5-43; ristampato in H.
Arendt, The Origins of Totalitarianism, Second Enlarged Edition,
cit., pp. 480-510; ed. ted. Die Ungarische Revolution und der To-
talitre Imperialismus, Mnchen, Piper,1958.
Karl Jaspers. Reden zur Verleihung des Friedenspreises des deut-
schen Buchhandels, Mnchen, Piper,1958; trad. ingl. Karl Ja-
spers: A Laudatio, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp.
71-80.
Kultur und Politik, in Merkur, XII, 1958, n. 12, pp. 1122-1145; ri-
stampato in Untergang oder bergang. Erster Kulturkritikerkon-
gress in Mnchen, Mnchen, Piper, 1959, pp. 35-66.
The Modern Concept of History, The Review of politics, XX; 1958, n.
4, pp. 570-590.
Totalitarianism, in The Meridian, II, 1958, n. 2, p.1.
The Crises in Education, in Partisan Review, XXV, 1958, n. 4, pp.
493-513; ristampato in H. Arendt Between Past and Future. Six
Exercises in Political Thought, cit., pp. 173-196; trad. it. La crisi
dell istruzione, in H. Arendt, Tra Passato e futuro, cit., pp. 228-
255; versione tedesca Die Krise in der Erziehung, in Der Mo-
nat, XI, 1958-59, pp. 48-61.
209
1959
What Was Authority?, in C. Friederich, (ed.), Authority, Cambridge,
Harward U. P., 1959.
Reflections on Little Rock, in Dissent, V, 1959, n. 1, pp. 45-56.
1960
Von der Menschlichkeit in finsteren Zeiten: Gedanken zu Lessing, Mn-
chen, Piper,1960; trad. ingl. On Humanity in Dark Times: Thoughts
about Lessing, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 3-31.
Freedom and Politics: A Lecture, in Chicago Review, XIV, 1960, n. 1, pp. 28-46.
Society and Culture, in Daedalus, LXXXII, 1960, n. 2, pp. 276-287.
Der Mensch, ein gesellschaftliches oder ein politisches Lebewesen, in
Die deutsche Universittszeitung, XV, ottobre 1960, pp. 38-47.
Revolution and Pubblic Happiness, in Commentary, XXX, novembre
1960, pp. 413-422.
1961
Between Past and Future. Six Exercises in Political Thought, New York,
The Viking Press, 1961; trad. it. Tra passato e futuro, Firenze,
Vallecchi, 1970; Milano, Garzanti, 1991.
Freedom and Revolution, New London, Connecticut College, 1961; ri-
stampato in Zwei Welten: S. Moses zum 75. Geburstag, Tel Aviv,
Bitaon, 1962.
1962
Action and The Pursuit of Happiness, in A. Dempf, H. Arendt, F.
Engel-Janosi, (hrsg.), Politische Ordnung und Menschliche Exi-
stenz. Festgabe fr Eric Voegelin, Mnchen, Beck, 1962, pp. 1-
16; trad. it. in Trimestre, XVIII, 1985, nn. 1-2, pp. 127-147.
The Cold War and the West, in Partisan Review, XXIX, 1962, n. 1, pp. 10-20.
Cura del volume di Karl Jaspers, The Great Philosophers, New York,
Harcourt, Brace and Co., vol 1, 1962.
210
1963
A Reporter at Large: Eichmann in Jerusalem, in The New Yorker, 16
febbraio, pp. 40-113; 23 febbraio, pp. 40-113; 2 marzo, pp. 49-91;
9 marzo, pp. 48-131; 16 marzo, pp. 58-134.
Eichmann in Jerusalem: A report on the Banality of Evil, New York,
The Viking Press, 1963; seconda edizione ampliata, 1965; trad. it.
La banalit del male. Eichmann in Gerusalemme, Milano, Feltri-
nelli, 1964; versione tedesca: Eichmann in Jerusalem: ein Bericht
von der Banalitt des Bsen, Mnchen, Piper,1964.
Reply to Judge Musmanno, in The New York Times Book Review,
VIII, n. 4, 23 giugno 1963; ristampata in M. Fredman, P. B. Davis,
(eds.), Contemporary Controversy, New York, MacMillan, 1966,
pp. 312-317.
Mans Conquest of Space, in American Scholar, XXXII, autunno 1963,
pp. 524-540; ristampato con il titolo The Conquest of Space and
the Stature of Man, in H. Arendt, Between Past and Future. Eight
Exercises in Political Thought, New York, Viking Press, 1968, pp.
265-280.
Kennedy and After, in The New York Review of Books, I, 1963, n. 9, p. 10.
On Revolution, New York, Viking Press, 1963; seconda edizione ri-
vista, 1965; trad. it. Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni di Co-
munit, 1983; versione tedesca ber die Revolution, Mnchen,
Piper, 1963.
1964
Eichmann in Jerusalem. An Exchange of Letters between Geschom
Scholem and Hannah Arendt, in Encounter, XXII, 1964, n. 1,
pp. 51-56: ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 240-251; trad.
it. Eichmann a Gerusalemme. Uno scambio di lettere tra Ger-
schom Scholem e Hannah Arendt, in H. Arendt, Ebraismo e mo-
dernit, cit., pp. 215-228.
211
The Deputy: Guilt by Silence, in New York Herald Tribune Magazi-
ne, 23 febbraio 1964, pp. 6-9; ristampato in J. W. Bernauer S. J.,
(ed.), Amor Mundi. Explorations in the Faith and Thought of Han-
nah Arendt, Dordrecht, Martinus Nijhoff Pubblishers, 1987, pp.
51-58.
Nathalie Serraute, in The New York Review of Books, II, 1964, n. 2,
pp. 5-6; versione tedesca Nathalie Serraute, in Merkur, XVIII,
1964, n. 8, pp. 785-792.
Personal Responsability under Dictatorship, in The Listener, 6 ago-
sto 1964, pp. 185-187 e p. 205.
1965
The Christian Pope, in The New York Review of Books, IV, 1965, n.
10, pp. 5-7; ristampato con il titolo Angelo Giuseppe Roncalli: A
Christian on St. Peters Chair from 1958 to 1963, in H. Arendt,
Men in Dark Times, cit., pp. 57-69; versione tedesca, Der Christli-
che Papst, in Merkur, XX, 1966, n. 4, pp. 362-372.
Krieg und Revolution, in Merkur, XIX, 1965, n. 202, pp. 1-19.
Politik und Verbrechen. Ein Briefwechsel, Hannah Arendt - Hans Ma-
gnus Enzensberger, in Merkur, XIX, 1965, n. 205, pp. 380-385;
trad. it. Politica e crimine. Hannah Arendt e Hans Magnus Enzen-
sberger, in Linea dombra, 1989, n. 35, pp. 37-46.
1966
The Formidable Dr. Robinson: A Reply to the Jewish Establishment, in
The New York Review of Books, V, 1966, n. 12, pp. 26-30;
ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 260-276.
On the Human Condition, in M. A. Hinton, (ed.), The Envolving Society,
New York, Institute of Cybernetical Research, 1966, pp. 213-219.
Remarks on The Crisis Character of Modern Society, in Christianity
and Crisis, XXVII, 1966, n. 9, pp. 112-114.
212
The Negative of Positive Thinking: A Measured Look at the Personality,
Politics and Influence of Konrad Adenauer, in Book Week,
Washington Post, 5 giugno 1966, pp. 1-2; recensione di Konrad
Adenauer, Memoirs. 1945-1953.
A Heroine of the Revolution, in The New York Review of Books, VII,
1966, n. 5, pp. 21-27; ristampato con il titolo Rosa Luxemburg:
1871-1919, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 33-56; trad.
it. Elogio di Rosa Luxemburg, rivoluzionaria senza partito, in
Micromega, 1989, n. 3, trad. it. Elogio di Rosa Luxemburg, ri-
voluzionaria senza partito, in Micromega, 1989, n. 3, pp. 43-
60; versione tedesca Rosa Luxemburg, in Der Monat, XX, 1966,
n. 243, pp. 28-40.
What is Permitted to Jove, The New Yorker, 5 novembre 1966, pp.
68-122; ristampato con il titolo Bertold Brecht. 1898-1956, in H.
Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 207-249; versione tedesca
Quod Licet Jovi Reflections ber den Dichter Bertold Brecht
und sein Verhltniss zur Politik, in Merkur, XXIII, 1969, n. 6,
pp. 527-542 e n. 7, pp 625-642; versione ristampata in H. Arendt,
Walter Benjamin, Bertold Brecht. Zwei Essays. Mnchen, Piper,
1971, pp. 63-107; trad. it. della versione tedesca Bertold Brecht: il
poeta ed il politico, in H. Arendt, Il futuro alle spalle. Bologna, Il
Mulino, 1981, pp. 217-269.
Introduction, a B. Naumann, Auschwitz; A Report on the Proceedings
against Robert Karl Ludwig Mulka and Others Before the Court
at Frankfurt, New York, Frederick A. Praeger, 1966; ristampato in
Falk, Kolto, Lifton, (eds.), Crimes of War, New York, Random
House, 1971.
1967
Truth and Politics, in The New Yorker, 25 febbraio 1967, pp.49-88;
ristampato in H.Arendt, Between Past and Future. Eight Exerci-
213
ses in Political Thought, cit., pp. 227-264; ed. ted. Wahrheit und
Politik, in H. Arendt, Wahreheit und Luge in der Politik, Mn-
chen, Piper, 1972, pp. 44-92.
Randall Jarrell: 1914-1965, in Randall Jarrell: 1914-1965, New York,
Farrar, Strauss and Giroux, 1967; ristampato con lo stesso titolo in
H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 263-267.
Preface a K. Jaspers, The Future of Germany, Chicago, University of
Chicago Press, 1967.
Introduction a J. Glenn Gray, The Warriors, New York, Harper and Row,
1967.
1968
Between Past and Future. Eight Exercises in Political Thought, New
York, Viking Press, 1968.
Walter Benjamin, in Merkur, XXII, 1968, pp. 50-65, 209-223, 305-
315; ristampato in Walter Benjamin, Bertold Brecht. Zwei Essays,
cit., pp. 2-62; trad. ingl.
Walter Benjamin: 1892-1840, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit.,
pp.153-206; trad. it. Walter Beniamin: lomino gobbo e il pescato-
re di perle, in H. Arendt, Il futuro alle spalle, cit., pp. 105-170.
Men in Dark Times, New York, Harcourt, Brace and World, 1968; ed.
ingl., London, Cape, 1970; versione tedesca Menschen in finste-
ren Zeiten, Mnchen, Piper, 1989.
Is America by Nature a Violent Society? Lawlessness is Inherent in the Upro-
oted, in The New York Times Magazine, 28 aprile, 1968, p. 24.
Hes All Dwight: Dwight MacDonalds Politics, in The New York
Review if Books, XI, 1968, n. 2, pp. 31-36.
Comment on The Uses of Revolution by Adam Ulam, in R. Pipes (ed.),
Revolutionary Russia, Cambrige, Mass., Harvard University Press, 1968.
Walter Benjamin, in The New Yorker, 19 ottobre 1968, pp. 65-156;
ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 153-206.
214
Isak Dinesen: 1855-1962, in The New Yorker, 9 novembre 1968, pp. 223-
236; ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 95-109.
Walter Benjamin und das Institut fur Sozialforschung, in Merkur, XXII,
1968, n. 246, p. 968.
1969
Reflection on Violence, in Journal of International Affairs, pp. 1-35;
ristampato in The New York Review of Books, XII, 1969, n. 4,
pp. 19-31.
The Archimedian Point, in Ingenor, College of Engineering, Univer-
sity of Michigan, 1969, pp. 4-9, 24-26.
Martin Heidegger zum 80. Geburtstag, in Merkur, XXIII, 1969, n. 10,
pp. 893-902; trad. ingl. Martin Heidegger at Eighty, in The New
York Review of Books, n. 21, 1971, pp. 50-54; ristampato in M.
Murray (ed), Heidegger and Modern Philosophy, New Haven, Yale
University Press,1978.
1970
On Violence, New York, Harcourt, Brace and World, 1970; ristampato in H.
Arendt, Crises of the Republic, New York, Harcourt, Brace and Jova-
novich, 1972; trad. it. H. Arendt, Sulla violenza, Milano, SugarCo,
1985, pp. 85-122; ed. ted. Macht und Gewalt, Mnchen, Piper, 1970.
Replica ad una recensione di J. M. Cameron, in The New York Review
of Books, XIII, 1 gennaio 1970, p. 36.
Civil Disobedience, in The New York, 12 settembre 1970, pp. 70-105;
ristampato in H. Arendt, Crises of the Republic, New York, Har-
court, Brace and Jovanovich, 1972, pp. 49-109, e in E. V. Rostow
(ed), Is Law Dead ?, New York, Simon and Schuster, 1971; trad.
it. La disobbedienza civile, in H. Arendt, La disobbedienza civile
e altri saggi, Milano, Giuffr, 1985, pp. 29-88 e in Id., Politica e
menzogna, cit., pp. 123-166.
215
1971
Walter Benjamin-Bertold Brecht. Zwei Essay, Mnchen, Piper, 1971.
Thinking and Moral Consideration. A Lecture, in Social Research,
XXXVIII, 1971, n. 3, pp. 417-46; trad. it. Pensieri e riflessioni
morali, in H. Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Mila-
no, Giuffr, 1985, pp. 113-152.
Lying and Politics. Reflections on the Pentagon Papers, in The New
York Review of Books, XVII, 1971, n. 8, pp. 30-39; ristampato
in H. Arendt, Crises of the Republic, New York, Harcourt, Brace
and Jovanovich, 1972, pp. 1-47; trad. it. La menzogna in politica.
Riflessioni sui Pentagon Papers, in H. Arendt, Politica e menzo-
gna, cit., pp. 85-122; trad. ted. Luge in der Politik, in Neue Run-
dschau, 1972, n. 2.
1972
Crises of the Republic, New York, Harcourt, Brace and Jovanovich, 1972;
trad. it. Politica e menzogna, a cura di P. Flores dArcais, Milano,
SugarCo, 1985.
Wahreit und Luge in der Politik. Zwei Essays, Mnchen, Piper, 1972.
Washingtons Problem-Solvers-Where they Went Wrong, in The New
York Times, 5 aprile 1972.
Postfazione a R. Gilbert, Mich hat kein Esel im Galopp verloren, Mn-
chen, Piper, 1972.
1974
Karl Jaspers zum funfundachtzigsten Geburtstag, in H. Sanser (hrsg.), Erin-
nerungen an Karl Jaspers, Mnchen, Piper, 1974, pp. 311-315.
1975
Remembering Wystan H. Auden, in The New Yorker, 20 gennaio 1975,
pp. 39-40; ristampato in The Harvard Advocate , CVIII, 1975,
216
n. 2, pp. 42-45 e in W. H. Auden, A Tribute, London, Weidenfeld
and Nicholson, 1974-75, pp. 181-187.
Home to Roost, in The New York Review of Books, 26 giugno 1975,
pp. 3-6; ristampato in S. B. Warner (ed), The American Experi-
ment, Boston, Houghton Mifflin, 1976, pp. 61-77.
1976
Gesprche mit Hannah Arendt, a cura di A. Reif, Mnchen, Piper, 1976;
comprende la conversazione con Gunther Gaus, Was bleibt? Es
bleibt die Muttersprache, trad. it. Che cosa resta? Resta la lingua
materna, in aut aut, nn. 239-240, 1990, pp. 11-30.
Die Verborgene Tradition. Acht Essays, Frankfurt, Suhrkamp, 1976.
1977
Dem Andenken Martin Heideggers: zum 26 Mai 1976, Frankfurt a. M.,
Klostermann, 1977.
Public Rights and Private Interests, in Money e Stuber (eds.), Small
Comforts for Hard Times: Humanists on Public Policy, New York,
Columbia University Press, 1977.
Thinking, in The New Yorker, 21 novembre 1977, pp. 65-140; 28 no-
vembre 1977, pp. 135-216; 5 dicembre 1977, pp. 135-216.
1978
The Life of the Mind, a cura di M. McCarthy, New York, Harcourt, Brace,
Jovanovich, 1978, 2 voll.; trad. it. La vita della mente, Bologna, Il
Mulino, 1986; trad. ted. Vom Leben des Geistes, Mnchen, Piper, 1979.
From an Interview, a cura di R. Errera, in The New York Review of
Books, XXV, 1978, n. 16, p. 18.
The Jew as Pariah: Jewish Identity and Politics in the Modern Age, a
cura di R. H. Feldman, New York, Gove Press Inc., 1978; trad. it.
Ebraismo e modernit, Milano, Unicopli, 1986.
217
1979
On Hannah Arendt, in M. A. Hill (ed.), The Recovery of the Public Wor-
ld, New York, St. Martin Press, 1979.
1982
Lectures on Kants Political Philosophy, Chicago, The University of
Chicago Press, 1982; trad. it. Teoria del giudizio politico. Lezioni
sulla filosofia politica di Kant, Genova, il melangolo, 1990; trad.
ted. Das Urteilen, Mnchen, Piper, 1985.
Le grand Jeu du monde, in Esprit, VI, 1982, nn. 7-8, pp. 21-29.
1985
Karl Jaspers - Hannah Arendt. Briefwechsel 1926-1969, a cura di L.
Khler e H. Saner, Mnchen, Piper, 1985; trad. it. parziale, Han-
nah Arendt - Karl Jaspers. Carteggio, a cura di A. Dal Lago, Mi-
lano, Feltrinelli, 1989.
Travail, Oeuvre, Action, in tudes Phnomnologiques, 1985, n. 2,
pp. 3-25.
1986
Labor, Work, Action, in J. W. Bernauer (ed.), Amor Mundi. Explorations
in The Faith and Thought of Hannah Arendt, Boston, Dordrecht,
Lancaster, Martinus Nijhoff, 1986, pp. 29-42, trad. it. Lavoro, ope-
ra, azione. Le forme della vita attiva, a cura di G. D. Neri, Verona,
Ombre Corte.
Collective Responsability, in J. W. Bernauer (ed), Amor Mundi, cit., pp. 43-50.
Philosophie et politique. Le problme de laction et de la pense aprs la
Rvolution francaise, in Les cahiers du Grif , 1986, n. 33, pp. 85-96,
ed. orig. Philosophy and Politics: The Problem of Action and Thou-
ght after the French Revolution (scritto nel 1954), in Social Re-
search, LVII, 1990, n.1, pp.73-103.
218
Le problme de la femme dans le monde contemporain, in Les cahiers
du Grif , 1986, n. 33, pp. 69-72.
Lettres a W. Auden, in Les cahiers du Grif , 1986, n. 33, pp. 81-83.
Zur Zeit. Politische Essays, a cura di M. L. Knott, Berlin, Rotbuch Ver-
lag, 1986.
1989
Nach Auschwitz. Essays & Kommentare 1, a cura di E. Geisel e K. Bit-
termann, Berlin, Tiamat, 1989.
Die Krise des Zionismus. Essays & Kommentare 2, a cura di E. Geisel e
K. Bittermann, Berlin, Tiamat, 1989.
1990
Linteresse per la politica nel recente pensiero filosofico europeo, in
aut - aut , 1990, nn. 239-240, pp. 31-46; ed. originale Concern
with Politics in Recent European Philosophical Thought, (scrittonel
1954), in Arendt, Essays in Understanding 1930-1954. Uncollected
and Unpublished Works by Hannah Arendt, a cura di J. Kohn,
Harcourt Brace, New York.
Philosophy and Politics: The Problem of Action and Thought after the French
Revolution, in Social Research, LVII, 1990, n. 1, pp. 73-103.
La Nature du totalitarisme, Paris, Payot, ed. originale On the Nature of
Totalitarianism: An Essays in Understanding, (scritto nel 1953),
in Arendt, Essays in Understanding 1930-1954, op. cit., pp. 328-
360.
1991
Israel, Palastina und der Antisemitismus, a cura di E. Geisel e K. Bitter-
mann, Berlin, Tiamat, 1991.
219
1993
Was ist Politik ? Aus dem Nachlass, a cura di U. Ludz, Mnchen, Piper,
1993. trad. it. Cos la politica, a cura di U. Ludz, Milano, ed.
Comunit 1997
La lingua materna. La condizione umana e il pensiero plurale, a cura di
A. Dal Lago, Mimesis, Milano.
Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Milano, A. Mondadori,
ed. parziale del saggio su Benjamin comparso nella traduzione
italiana Arendt, Il futuro alle spalle, op. cit., pp.105-170.
1994
Essays in Understanding 1930-1954. Uncollected and Unpublished
Works by Hannah Arendt, a cura di J. Kohn, Harcourt Brace, New
York. Lopera contiene anche: 1) Rand School Lecture, scritto nel
1948 o nel 1949; 2) The Eggs Speak Up, scritto nel 1950; 3)
Heidegger the Fox, scritto nel 1953.
1995
Die Korrespondenz Hannah Arendt-Kurt Blumenfeld, a cura di I.
Nordmann, Hamburg, Rotbuch Verlag.
Between Friends. The Correspondence of Hannah Arendt and Mary
McCarty, a cura di C. Brightman, New York, Harcourt Brace.
Some Questions of Moral Philosophy, (scritto nel 1965), in Social
Research LXI, 1994, n.4, pp. 739-764; tr. it. parziale, Comanda-
menti contro lorrore, in Liberal, pp. 72-78.
Karl Marx e la tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a
cura di S. Forti, in MicroMega, n.5, pp.35-108.
Verit e politica, a cura di V. Sorrentino, Torino, Bollati Boringhieri.
1996
Hannah Arendt-Heinrich Blcher, Briefe 1936-1968, Piper, Mnchen.
220
BI BLI OGRAFI A DEGLI SCRI TTI DI
HANNAH ARENDT TRADOTTI I N I TALI ANO
Der Liebesbegriff bei Augustin. Versuch einer philosophischen Inter-
pretation, J. Springer, Berlin 1929; trad. it. I l concetto damore in
Agostino, a cura di L. Boella, Milano, SE, 1992.
Rilkes Duineser Elegien, (in collaborazione con G. Stern), in Neue
Schweizer Rundschau, XXIII, 1930, pp. 855-871; trad. it. Le
Elegie Duinesi di Rilke, in aut aut, 1990, nn. 239-240, pp.
127-144.
Aufklarung und Judenfrage, Zeitschrift fr die Geschichte der Juden
in Deutschland, IV, 2-3, 1932, ristampa in Die verbogene Tradi-
tion, cit., trad. it. a cura di A. Dal Lago, I lluminismo e questione
ebraica, Il Mulino, 3, 1986, pp. 421-437.
What Is Existenz Philosophy?, in Partisan Rewiew, XIII, 1946, n.1,
pp. 34-56; trad. ted. in Sechs Essays, 1948; trad. it. Che cos la
filosofia dellesistenza?, a cura di S. Maletta, Milano, Jaca Book,
1998.
The Aftermath of Nazi-Rule. Report from Germany, saggio apparso nel
1950 sulla rivista americana Commentary; trad. it. Ritorno in
Germania, a cura di A. Bolaffi, Roma, Donzelli, 1996.
Der Dichter Bertold Brecht, Die Neue Rundschau, LXI, 1950, pp. 53-
67; trad. it. I l poeta Bertold Brecht, in V. Santoli, (a cura di), Da
Lessing a Brecht. I grandi scrittori nella grande critica tedesca,
Milano, Bompiani, 1968; poi in aut aut, 1990, nn. 239-240,
pp.145-160.
The Origins of Totalitarism, New York, Harcourt Brace and Co., 1951;
trad. it. condotta sulla ed. americana del 1966 di A. Guadagnin, Le
origini del totalitarismo, Milano, Comunit, 1967; Milano, Ri-
stampa Bompiani, 1968; ristampa Milano, Comunit, 1996.
221
Religion and Politics, Partisan Rewiew, II, 3, 1953; Religione e poli-
tica, in Totalitarismo e cultura, a cura di G. A. Brioschi e L. Valia-
ni, Milano, Comunit, 1957.
Rejoinder to Eric Voegelins Review of Origins of Totalitarism, Review of
politics, 15, 1953, pp. 76-85; trad. it. a cura G. Sorba, Una replica, in
Eric Voegelin: un interprete del totalitarismo, Roma, Astra, 1978.
Totalitarian Imperialism: Reflexions on the Hungarian Revolution, The
Journal of Politics, XX, 1958, n.1, pp. 5-43; trad. it. Riflessioni
sulla rivoluzione ungherese, MicroMega, 3, 1987, pp. 89-120.
The Human Condition, Chicago, University of Chicago Press, 1958; trad.
it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, 1988.
Rahel Varnhagen, Lebengeschichte einer deutschen Judin aus der Ro-
mantik, Mnchen, Piper, 1959; trad. it. e introduzione di L. Ritter
Santini, Rahel Varnhagen. Storia di unebrea, Milano, Il Saggia-
tore, 1988.
Between Past and Future: Six Exercices in Political Thought, New York,
The Viking Press, 1961; trad. it. di M. Bianchi di Lavagna Mala-
godi e T. Gargiulo, Tra passato efuturo, Firenze, Vallecchi, 1970;
Garzanti 1991.
Action and the Pursuit of Happiness, in Politische Ordnung und men-
schliche Existenz. Festgabe fur Eric Voegelin zum 60. Geburtstag,
a cura di H. Arendt, A. Dempf, F. Engel-Janosi, Beck, Mnchen,
1962, pp. 1-16; trad. it. di G. Rametta, Lazione e la ricerca della
felicit, in G. Duso, a cura di, Filosofia politica e pratica del
pensiero, Milano, FrancoAngeli, 1988, pp. 333-348.
Eichmann in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, New York,
The Viking Press, 1963; trad. it. di P. Bernardini, La banalit del
male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 1964.
On Revolution, New York, The Viking Press, 1965; trad. it. di M. Magri-
ni, Sulla rivoluzione, con un saggio introduttivo di R. Zorzi, Mi-
lano, Comunit, 1983, 1996.
222
Politik und Verbrechen. Ein Briefwechsel, Hannah Arendt - Hans Ma-
gnus Enzensberger, in Merkur, XIX, 1965, n. 205, pp. 380-385;
trad. it. Politica e crimine. Hannah Arendt e Hans Magnus En-
zensberger, in Linea dombra, 1989, n. 35, pp. 37-46.
A Heroine of the Revolution, in The New York Review of Books, VII,
1966, n. 5, pp. 21-27; trad. it. Elogio di Rosa Luxemburg, rivolu-
zionaria senza partito, in Micromega, 1989, n. 3, pp. 43-60.
Truth and Politics e The Conquest of Space and the Stature of Man, in
Between past and Future. Eight Exercises in Political Thought,
New York, The Viking Press, 1968; trad. it. Verit e politica, a
cura di V. Sorrentino, Torino, Bollati Boringhieri 1995.
Martin Heidegger ist 80 Jahre alt, Merkur, XXIII, 1969, n. 10, pp.
893-902; trad. it. di A. Dal Lago, Martin Heidegger a ottantan-
ni, in MicroMega, 2, 1988, pp. 165-180.
On Violence, New York, Harcourt Brace and World, 1970; trad. it. di A.
Chiaruttini, Sulla violenza, Milano, Mondadori, 1971.
Heirich Heine: Schlemihl und Traumweltherrscher (1948), Franz Kafka:
Der mensch mit dem guten Willen (1944), Franz Kafka(1948),
Charlie Chaplin: der Suspekte (1948), tutti in Die verbogene Tra-
dition. Acht Essays, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1976; Walter
Benjamin (1968), Bertold Brecht (1966), in Walter Benjamin- Ber-
told Brecht. Zwei Essays, Mnchen, Piper, 1971; Hermann Broch.
Dichten und Erkennen, cit.; trad. it. di V. Bazzicalupo e S. Mu-
scas, I l futuro alle spalle, Bologna, Il Mulino, a cura e con intro-
duzione di L. Ritter Santini.
Civil Disobedience (1970), Understanding and politics (1953), Thinking
and Moral Considerations: A Lecture (1971), in Crises of the Re-
public, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1972; trad. it. di S.
DAmico, Politica emenzogna, SugarCo., Milano 1985, con un
saggio introduttivo di P. Flores dArcais; La disobbedienza civile
e altri saggi, tr. di T. Serra, Milano, Giuffr , 1985.
223
Was Bleibt? Es bleibt die Mutter sprche, in Gesprche mit Hannah
Arendt, Mnchen, Piper, 1976; trad. it. La lingua materna, a cura
di A. Dal Lago, Milano, Mimesis, 1993.
The Jew as Pariah: Jewish Identity and Politics in the Modern Age, a
cura di R. Feldman, New York, Grove Press, 1978; trad. it. e intro-
duzione di G. Bettini, Ebraismo emodernit, Milano, Edizioni
Unicopli, 1986; Milano, Feltrinelli, 1993.
The Life of the Mind, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1978, a
cura di M. McCarty, 2 voll.; trad. it. di G. Zanetti, bibliografia di
S. Forti, a cura di A. Dal Lago, La vita della mente, Bologna, Il
Mulino, 1987.
Lectures on Kants Political Philosophy, a cura di R. Beiner, Chicago,
1982; trad. it. La teoria del giudizio politico, Genova, Il melango-
lo, 1990.
H. Arendt- K. Jaspers, Briefwechsel 1926-1969, a cura di L. Kohler e H.
Saner, Mnchen, Piper, 1985; ediz. italiana ridotta, trad. di Q. Prin-
cipe e cura di A. Dal Lago, Carteggio (1926-1969), Milano, Fel-
trinelli.
Linteresse per la politica nel recente pensiero filosofico europeo, in
aut - aut, 1990, nn. 239-240, pp. 31-46.
Was ist Politik?, a cura di U. Ludz, Mnchen, R. Piper GmbH & Co KG,
1993; trad. it. Cos la politica, a cura di U. Ludz, Milano, ed.
Comunit 1997.
Einleitung, in H. Broch, Dichten und erkennen. Essays, 2 voll., in Ge-
sammelte Werke, Zurich, Rhein-Verlag, 1995; trad. it. di S. Verto-
ne, Prefazionea H. Broch, Poesia e conoscenza, Milano, Lerici,
1966.
Lettere tra Hannah Arendt e Karl J aspers, in appendice a R. Esposito,
a cura di, La pluralit irrapresentabile. Il pensiero politico di
Hannah Arendt, Urbino, QuattroVenti- Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici, 1987, pp. 214-222.
224
I l pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Milano, A.
Mondadori, 1993, ed. parziale del saggio su Benjamin comparso
nella traduzione italiana Arendt, Il futuro alle spalle, op. cit.,
pp.105-170.
Some Questions of Moral Philosophy, (scritto nel 1965), in Social
Research LXI, 1994, n. 4, pp. 739-764; tr. it. parziale, Comanda-
menti contro lorrore, in Liberal, 1995, pp. 72-78.
Karl Marx e la tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a
cura di S. Forti, in MicroMega, n.5, 1995, pp.35-108.
225
BI BLI OGRAFI A DEI SAGGI CRI TI CI SU HANNAH ARENDT
Aa. Vv, Diotima. Mettere al mondo il mondo, Milano, La Tartaruga,
1990.
Aa. Vv, La politica tra natalit e mortalit. Hannah Arendt, a cura di E.
Parise, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993.
Aa. Vv, Hannah Arendt et la modernit, a cura di A. Roviello, Paris,
Vrin, 1992.
Aa. Vv, Politique et pense. Colloque Hannah Arendt, Paris, Ptite Bi-
bliotque Payot,1996. La prima edizione di questo testo compar-
sa presso Tierce nel 1989 con il titolo Ontologie et politique. Han-
nah Arendt.
Aa. Vv, Oltre la politica. Antologia del pensiero impolitico, a cura di
R. Esposito, Milano, Bruno Mondadori, 1996.
Aa. Vv., Hannah Arendt, introduzione e cura di S. Forti, Milano, Bruno
Mondadori, 1999.
Agamben, Giorgio
1. Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi,
1995.
2. Mezzi senza fine. Note sulla politica, Torino, Bollati Boringhie-
ri, 1996.
3. Quel che resta di Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
Amiel, Anne
Hannah Arendt. Politique et vnement, Paris, PUF, 1996.
Amodio, Paolo
Il problema del male nella riflessione di Hannah Arendt, estratto da-
gli Atti dellAccademia di Scienze morali e politiche, vol. C- 1989.
Bazzicalupo, Laura
Hannah Arendt. La storia per la politica, Napoli, Edizioni Scien-
tifiche Italiane, 1996.
226
Boella, Laura
Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, Mi-
lano, Feltrinelli, 1995.
Cangiotti, Marco
Lethos della politica. Studio su Hannah Arendt, Biblioteca di Her-
meneutica, Urbino, QuattroVenti, 1990.
Canovan, Margaret
Hannah Arendt: a reinterpretation of her political thought, Cam-
bridge University Press, 1992.
Cavarero, Adriana
1. Nonostante Platone, Roma, Editori Riuniti, 1990.
2. Politica ed esistenza in Hannah Arendt, Home Page di Critica
marxista, Edicola della Citt Invisibile.
Cedronio, Marina
La democrazia in pericolo, Bologna, Il Mulino, 1994.
Engren, Andr
La pense politique de Hannah Arendt, Puf, Paris 1984; trad.
it. Il pensiero politico di Hannah Arendt, Roma, Edizioni La-
voro, 1987.
Esposito, Roberto
1. (a cura di), La pluralit irrapresentabile. Il pensiero politico di
Hannah Arendt, Urbino, QuattroVenti-Istituto italiano per gli stu-
di filosofici, 1987.
2. Categorie dell impolitico, Bologna, Il Mulino, 1988.
3. Lorigine della politica. Hannah Arendt o Simone Weil?, Roma,
Donzelli, 1996.
4. Nove pensieri sulla politica, Bologna, Il Mulino, 1993.
Ettinger, Elzbieta
Hannah Arendt e Martin Heidegger: una storia damore, Milano,
Garzanti, 1996.
227
Fistetti, Francesco
Hannah Arendt e Martin Heidegger. Alle origini della filosofia
occidentale, Roma, Editori Riuniti,1998.
Flores dArcais, Paolo
Hannah Arendt. Esistenza e libert, Roma, Donzelli, 1995.
Focher, Ferruccio
La consapevolezza dei principi. Hannah Arendt ed altri studi, Fran-
co Angeli, 1995.
Forti, Simona
Vita della mente e tempo della polis, Milano, Franco Angeli, 1994.
Galli, Carlo
Modernit: categorie e profili critici, Bologna, Il Mulino, 1988.
Hansen, Phillip
Hannah Arendt: politics, history and citizenship, Cambridge Poli-
ty Press, 1993.
Illuminati, Augusto
Esercizi politici, quattro sguardi su Hannah Arendt, Roma, mani-
festolibri, 1994.
Lissa, Giuseppe
Filosofia ebraica oggi, in Rivista di storia della filosofia, n. 4,
1994.
A cura del Prof. Lissa e del Dott. Amodio sono in corso di pubblicazio-
ne, presso la casa editrice Vivarium, gli atti del convegno sulla
Shoah, tenutosi a Napoli nel maggio del 1997.
Young-Bruehl, Elisabeth
Hannah Arendt. For love of the World, Yale University Press, New
Haven and London 1982; trad. it. di D. Mezzacapa, Hannah Aren-
dt, 1906-1975. Per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri,
1990.
228
FASCI COLI DEDI CATI AD HANNAH ARENDT
Les Cahiers du Grif, n.33, Paris, Tierce, primavera 1986:
1. Introduction, Actualit de Hannah Arendt
2. M. McCarty, Pour dire au revoir Hannah
3. H. Arendt, Nathalie Serraute Le Fruits dOr
4. J. Taminiaux, La vie de quelquun
5. E. Young-Breuehl, Les histoires de Hannah Arendt
6. E. Young-Breuehl, Sur la biographie
7. F. Collin: Du priv et du public
8. H. Arendt, Le probleme de la femme dans le monde contempo-
rain
9. Th. Mann, Lettre Hannah Arendt
10. U. Johnson, Il me faut remarcier
11. H. Arendt, Lettre Wystan Auden
12. H. Arendt, Philosophie et politique
13. R. Varnhagen, Lettres et penses
14. H. Plard, Illusions et piges de lassimilation
15. K. Jaspers-H- Arendt: Correspondance propos de Rahel
Varnhagen
16. B. Pelzer, Le vent du nord est mon plus grand ennemi
tudes Phnomenologiques, n. 2, Bruxelles, ditions OUSIA, 1985:
1. H. Arendt, Travail, uvre, action
2. R. Legros, Hannah Arendt: une comprnsion phnomnologi-
ques des droits de lhomme
3. D. Lories, Sentir en commun et juger par soi-mme
4. B. Stevens, Action et narrativit chez Paul Ricur et Hannah
Arendt
5. J. Taminiaux, Arendt, disciple de Heidegger?
229
Aut aut, n. 239-240, 1990.
1. A. Dal Lago, Il pensiero plurale di Hannah Arendt
2. H. Jonas, Agire, conoscere, pensare: spigolature dallopera fi-
losofica di Hannah Arendt
3. J. Taminiaux, Arendt, discepola di Heidegger?
4. L. Boella, Hannah Arendt fenomenologa. Smantellamento
della metafisica e critica dellontologia
5. E. Greblo, Il poeta cieco. Hannah Arendt e il giudizio
6. E. Heller, Hannah Arendt critico letterario
7. S. Maletta, La salvezza come lode. Nota al saggio arendtiano
del 1930 sulle Elegie duinesi di Rilke
Comunit, XXXV, n. 183, novembre 1981, ha pubblicato i seguenti
articoli:
1. J. Habermas: La concezione comunicativa del potere in Han-
nah Arendt
230
BI BLI OGRAFI A ESSENZI ALE SUL TOTALI TARI SMO
Aa. Vv, Germania: un passato che non passa, a cura di G.E.Rusconi,
Torino, Einaudi, 1987.
Aa. Vv, Nazismo, fascismo, comunismo. Totalitarismi a confronto. Mi-
lano, Mondadori, 1998.
Amendola, Giovanni
La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, Milano-
Napoli, Ricciardi, 1960.
Amry, Jean
Un intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.
Antelme, Robert
La specie umana, Torino, Einaudi, 1976.
Aquarone, Alberto
Lorganizzazione dello stato totalitario, Einaudi, 1965.
Aron, Raimond
Teoria dei regimi politici, Milano, Comunit, 1973.
Barber, B. R.
Conceptual Foundations of Totalitarianism, in C. J. Friederich,
M. Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism im Perspective: Three
Views, New York, Praeger, 1969.
Barrington Moore jr.
Le origini sociali della dittatura e della democrazia, Torino, Ei-
naudi, 1971.
Bauman, Zygmunt
Modernit e Olocausto, Bologna, Il Mulino, 1992.
Bettelheim, Bruno
Sopravvivere, Milano, Feltrinelli 1991.
Bobbio, Norberto
Dal fascismo alla democrazia, Milano, Baldini&Castoldi, 1997.
231
Bongiovanni, Bruno
Revisionismo e totalitarismo, in Teoria politica, a. XIII, n.1/
1997.
Borrelli, Gianfranco
Ragion di Stato e Leviatano, Bologna, Il Mulino, 1993.
Bracher, Karl D.
La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazio-
nalsocialismo, Bologna, Il Mulino, 1973.
Camus, Albert
Luomo in rivolta, Milano, Bompiani, 1958.
Canetti, Elias
Masse e potere, Milano, Rizzoli, 1973.
Cavalli, Luciano
Il capo carismatico, Bologna, Il Mulino, 1981.
Collotti, Enzo
Fascismo, fascismi, Firenze, Sansoni, 1989.
Conquest, Robert
Il grande terrore, Milano, Mondadori, 1970.
De Felice, Renzo
Le interpretazioni del fascismo, Roma - Bari, Laterza, 1991.
Devoto, Andrea
La tirrannia psicologica, Firenze, Sansoni, 1960.
Dini, Vittorio
Totalitarismo e filosofia. Un concetto fra descrizione e com-
prensione, in Filosofia politica, a. XI, n. 1, aprile 1997.
Duverger, Maurice
Giano, le due facce dellOccidente, Milano, Comunit,
1973.
Firpo, Luigi
I totalitarismi, in Storia delle idee politiche, Torino, UTET, 1972,
vol.VI, pp. 249-325.
232
Fisichella, Domenico
1. Analisi del totalitarismo, Roma, la Nuova Italia Scientifica, 1994.
2. Elezioni e democrazia. Unanalisi comparata, Bologna, Il Mu-
lino, 1983.
Forges Davanzati, R.
Fascismo e cultura, Firenze 1926.
Fraenkel, Ernst
Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, a cura di
P.P. Portinaro, Torino, Einaudi, 1987.
Friederich, C. J. e Brezinski, Z. K.
Totalitarian Dictatorschip and Autocracy, Harvard University
Press, 1956.
Furet, Franois
Il passato di un illusione, Milano, Mondadori, 1995.
F. Lami (a cura di)
Eric Voegelin. un interprete del totalitarismo, Roma, 1978.
Galli, Carlo
1. Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero
politico moderno, Bologna, Il Mulino, 1996
2. Strategie della totalit, in Filosofia politica, a. XI, n. 1, aprile 1997.
Gentile, Emilio
La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime
fascista, Roma, NIS, 1995.
Gentile, Giovanni
Discorsi di religione, Firenze, Sansoni, 1957.
Gleason, Abbott
Totalitarianism, The Inner History of the Cold War, Oxford Uni-
versity Press, 1995.
Goldhagen, Daniel J.
I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e lOlocausto,
Milano, Mondadori, 1997.
233
Gramsci, Antonio
Quaderni dal carcere, Edizione critica dellIstituto Gramsci, a cura
di V. Gerretana, Torino, Einaudi, 1975.
Grawitz, M.- Leca, J. (sous la dir. de)
Trait de science politiques, vol.2, Les regimes politiques contem-
poraines, Paris, PUF, 1985, pp.115-267.
Hermet, G. (sous la dir. de),
Totalitarismes, Paris, Economica, 1984.
Janklvitch, Vladimir
Perdonare?, tr. it. di D. Vogelmann, Firenze, Giuntina,
1987.
Jnger, Ernst
Die totale Mobilmachung, in Samtliche Werke, VII, Essays I: Be-
trachtungen zur Zeit, Klett-Cotta, Stuttgart 1980.
Kaminski, Andrzej J.
I campi di concentramento dal 1896 ad oggi, Torino, Bollati Bo-
ringhieri, 1997.
Kershaw, Ian
1. Che cos il nazismo, tr. it. di G. Ferrara degli Uberti, Torino,
Bollati- Boringhieri, 1996.
2. Lintrouvable totalitarisme, in Magazine littraire, n.337, nov.
1995, p. 63 e ss.
Lacoue-Labarthe, Philippe
La finzione del politico, Genova, il melangolo, 1991.
Lacoue-Labarthe P./ Nancy J. L.
Il mito nazi, Genova, il melangolo,1992.
Langbein, H.
Uomini ad Auschwitz, Milano, Mursia, 1984.
Levi, Primo
1. I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986.
2. Se questo un uomo. La tregua, Torino, Einaudi, 1963.
234
Linz, Juan
Totalitarian and Authoritarian Regimes, Greenstein e Polsby (a cura di),
Handbook of Political Science, Addison-Wesley, Reading (Mass.), 1975.
Losurdo, Domenico
1. Il peccato originale del Novecento, Bari, Laterza, 1998.
2. Il revisionismo storico. Problemi e miti, Bari, Laterza, 1996.
Luxemburg, Rosa
Laccumulazione del capitale, Milano, Feltrinelli, 1976.
Salvati, Mariuccia
Da Berlino a New York, Bologna, Cappelli, 1989.
Marcuse, Herbart
1. Cultura e societ. Saggi di teoria critica 1933-1965, Torino,
Einaudi, 1969.
2. Luomo ad una dimensione. Lideologia della societ industriale
avanzata, Torino, Einaudi, 1968.
Matteucci, Nicola
Lo stato moderno, Bologna, Il Mulino, 1997.
Mosse, George
Luomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Bari, Laterza, 1995.
Mussolini, Benito
Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice, 1967.
Neumann, Franz
1. Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, Milano,
Feltrinelli, 1977.
2. Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, Il Mulino, 1973.
Nisbet, Robert A.
La comunit e lo stato, Milano, Comunit, 1957.
Nolte, Ernst
1. Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-
1945, Firenze, Sansoni, 1988, ristampa in Milano, Bur Supersaggi, 1996.
2. I tre volti del fascismo, Milano, Mondadori, 1971.
235
Ortega y Gasset, J.
La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino, 1962.
Orwell, George
1984, Milano, Mondadori, 1973.
Pellicani, Luciano
1. Dinamica delle rivoluzioni, Milano, Sugarco, 1974.
2. I soggetti del totalitarismo, in La societ contemporanea, a cura
di V. Castronovo e L. Gallino, Torino, Utet, 1987.
Petersen, Jens
La nascita del concetto di Stato totalitario in Italia, in Annali
dellIstituto storico italo-germanico in Trento, I, 1975, pp. 146-
149, 157 e 161.
Poliakov, L.
Storia dellantisemitismo, Firenze, La Nuova Italia, 1974-6.
Popper, Karl
La societ aperta e i suoi nemici, Roma, Armando, 1973.
Prometeo Filodemo (L. Basso),
Lantistato, in La Rivoluzione liberale, 2 gennaio 1925, ora in
Le riviste di Pietro Gobetti, a cura di L. Basso e L. Anderlini,
Milano, Feltrinelli, 1961.
Williams, Raymond
Cultura e rivoluzione industriale, Torino, 1968.
Rosemberg, Artur
Totaler Staat?, in Volkischer Beobachter, 1 gennaio
1934.
Rousset, David
Luniverso concentrazionario, Milano, Baldini & Castoldi,
1997.
Ruocco G. e Scuccimarra L.
Il concetto di totalitarismo e la ricerca storica, in Storica, a. II,
n. 6, 1996, pp. 119-159.
236
Schapiro, L.
1. Totalitarianism, Pall Mall, Londra, 1972.
2. Il concetto di totalitarismo, in Il totalitarismo nelle societ
moderne, a cura di D. Staffa, Milano, Ceses, 1975, pp. 35-71.
Schmitt, Carl
1. Il custode della costituzione, a cura di A. Caracciolo, Milano,
Giuffr editore, 1981.
2. Positionen und Begriffe im Kampf mit-Weimar-Genf-Versailles
1923-1939, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg-Wandsbek
1940.
3. Stato, movimento, popolo. Le tre membra dellunit politica, in
Id., Principii politici del nazionalsocialismo, Firenze, Sansoni,
1935.
Schnur, Roman
1. Rivoluzione e guerra civile, Milano, Giuffr editore, 1986.
2. Individualismo e assolutismo, Milano, Giuffr editore, 1979.
Solzenitsyn, Aleksandr I.
Arcipelago Gulag, Milano, Mondadori, 1995.
Stoppino, Mario
Totalitarismo, in Dizionario politico, a cura di N. Bobbio, UTET.
Talmon, J. L.
Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino, 1967.
Tarchi, Marco
Il totalitarismo nel dibattito politologico, Filosofia politica, a.
XI, n. 1, aprile 1997.
Todorov, Tzvetan
1. Luomo spaesato, Roma, Donzelli, 1996.
2. Di fronte allestremo, Milano, Garzanti, 1992.
Tucker, R. C.
Towards a Comparative Politics of Movement-Regimes, in Ame-
rican Political Science Rewiew, vol. LV, 1961.
237
Vander, Fabio
Metafisica della guerra. Confronto tra la filosofia italiana e la
filosofia tedesca del Novecento, Guerini Scientifica, 1995.
Weil, Simone
Sulla Germania totalitaria, Milano, Adelphi, 1990.
Wittfogel, Karl A.
Il dispotismo orientale, Firenze, Vallecchi, 1968.
INDICE
239
CAPITOLO PRIMO
GENEALOGIA E TOPOLOGIA DI UN CONCETTO
A PARTIRE DALLE INTERPRETAZIONI
STORICO-FILOSOFICHE DAGLI ANNI 30 AGLI ANNI 50
1.1 - Il concetto totalitarismo ............................................................. 3
1.2 - Genealogia del termine totalitarismo ....................................... 18
CAPITOLO SECONDO
IO PROCEDO DA FATTI E DA AVVENIMENTI.
LINDAGINE CONTESTUALE DI HANNAH ARENDT
PER COMPRENDERE LEVENTO CHE CARATTERIZZA
IL XX SECOLO: IL TOTALITARISMO
2.1 - Sentieri di ricerca: anno di svolta 1933 ....................................... 48
2.2 - Lantisemitismo politico e la questione ebraica .......................... 63
2.3 - La nuova ideologia degli Stati-Nazione europei in crisi:
limperialismo come preludio politico ai movimenti totalitari.
La questione degli apolidi e il valore dei diritti umani ................ 74
CAPITOLO TERZO
LA CATEGORIA TOTALITARISMO
3.1 - Il mutato sfondo socio-politico tra i due secoli:
la nuova societ di massa ............................................................ 100
3.2 - Gli strumenti del totalitarismo: propaganda, polizia segreta
e burocrazia. Lideologia come logica di unidea ................... 111
3.3 - Terrore e campo di concentramento.
La societ dei morenti e il male radicale ................................... 131
240
CAPITOLO QUARTO
IL TOTALITARISMO A CONFRONTO
CON LA MODERNIT POLITICA
4.1 - Definizione del regime totalitario ............................................... 154
4.2 - Lo Stato-Leviatano di Hobbes e lo Stato totalitario.
Confronto legittimo? .................................................................... 160
4.3 - Linedito nella storia: le rivoluzioni. Liberazione da
o liberazione di: qual il fondamento del nuovo
corpo politico? La politica come natalit .................................... 167
CONCLUSIONI .................................................................................. 189
BIBLIOGRAFIA
Scritti di Hannah Arendt ...................................................................... 197
Bibliografia degli scritti di Hannah Arendt ......................................... 220
Bibliografia dei saggi critici su Hannah Arendt ................................. 225
Fascicoli dedicati ad Hannah Arendt ................................................... 228
Bibliografia essenziale sul totalitarismo ........................................... 230
INDICE ................................................................................................ 239

Potrebbero piacerti anche