Sei sulla pagina 1di 21

L’ETÁ DELLE IDEOLOGIE

REAZIONARISMO, CONSERVATORISMO, LIBERALISMO E COMUNISMO

CHE COS’È UN’IDEOLOGIA?


Il termine ideologia proviene dall’ambito della filosofia. Fu utilizzato per la prima volta in modo
chiaro e sistematico da un gruppo di filosofi, il più importante dei quali fu Antoine Destutt de
Tracy, che vissero ed operarono in Francia fra gli ultimi decenni del ‘700 ed i primi dell’800. Il
termine, nell’uso che ne facevano gli “ideologi”, stava ad indicare lo studio delle sensazioni e delle
idee che si producono nella coscienza umana. Di provenienza illuministica e di fede politica
liberale, gli ideologi assunsero una posizione critica nei confronti tanto di Robespierre e del Terrore
rivoluzionario quanto di Napoleone. L’imperatore, in polemica con loro, diede alla parola ideologia
un significato negativo, utilizzandola per definire un tipo di pensiero politico del tutto astratto e
dottrinario, privo di contatto con la realtà e di alcun valore o riflesso pratico. Qualche decennio più
tardi la parola fu nuovamente utilizzata ancora con una connotazione negativa da Karl Marx. Il
materialismo storico e dialettico del filosofo tedesco attribuisce un’importanza centrale sul piano
sia economico sia sociale sia politico alle classi e dallo scontro in atto fra di esse. La vicenda umana
è fatta di lotta tra le classi, lotta dalla quale una sola classe riesce ad emergere vincitrice trovandosi
così nella condizione di dominare sulle altre. Il dominio di classe tuttavia non è esplicito e sfacciato,
ma si nasconde dietro a teorie, idee, principi, finalizzati da un lato a legittimarlo, dall’altro a
occultarne la spietata durezza. Questo paravento teorico è per Marx l’ideologia. Le caratteristiche
della definizione marxiana di ideologia sono dunque due: in primo luogo l’ideologia ha un’origine
sociale, ovvero è prodotta dalla classe dominante; in secondo luogo essa è falsa, ossia consiste di
idee e dottrine prive di corrispondenze con la realtà ed anzi finalizzate soltanto a nasconderne la
sostanza- che è fatta di lotta e dominio di classe. Per Marx il termine ideologia è collegato alla
classe borghese che sfrutta il proletariato (ovvero la maggioranza della popolazione) e che legge la
realtà solo con gli occhi del capitalismo. I borghesi sono quindi ideologi, non tengono conto della
realtà, del proletariato.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 il concetto di ideologia ha perduto qualsiasi connotazione,
positiva o negativa, e si è trasformato in uno strumento conoscitivo neutro, utilizzato al fine di
descrivere una visione del mondo. Ora l’ideologia assume le caratteristiche di un sistema, ovvero
include al proprio interno numerosi elementi, ad esempio: elementi teorici ed astratti (idee,
principi, valori, credenze), varie discipline come la filosofia, le scienze, la teologia, le tecniche, ma
anche principi economici e la politica.
Dalla seconda metà del ‘900, l’ideologia svolge un’importate funzione di legittimazione, ovvero dà
agli attori politici, siano essi al potere o all’opposizione, la possibilità di giustificare il proprio
operato facendo ricorso a una visione globale del mondo, a principi e concetti di portata ampia e
generale.
Le ideologie si estendono su più di un piano disciplinare: possono essere analizzate da filosofi,
giuristi, storici, ecc. questa loro interdisciplinarità fa sì che esse possano essere affrontate con
strumenti e approcci differenti, ottenendo così spesso anche risultati differenti. Tuttavia sempre in
questo periodo i confini che delimitano le ideologie diventano sempre più rigidi e immutabili. Le
ideologie diventano monolitiche, si escludono a vicenda, non c’è comunicazione tra le stesse.
Alcune questioni fondamentali che tutte le ideologie si trovano a dover risolvere sono le seguenti:

• Il rapporto fra realtà storica ed azione umana


• Il quesito “a chi spetta governare?”
• Il rapporto fra stato e società
• Individuo e collettività: chi deve essere privilegiato, tutelato?

1
IL REAZIONARISMO
L’ideologia reazionaria intende reagire a un evento o serie di eventi che giudica negativamente.
Punta ad annullarne, o almeno minimizzarne, le conseguenze, in maniera da ripristinare una
condizione il più possibile simile a quella che esisteva prima del mutamento.
Per il reazionarismo ottocentesco l'evento «corruttore» è rappresentato dalla Rivoluzione francese
del 1789. La rivoluzione è, se non l'unica, certamente la principale fra le sorgenti delle ideologie
ottocentesche e novecentesche. L'assetto sociale e politico che la rivoluzione rifiuta ed intende
riformare più o meno radicalmente è quello della Francia settecentesca - un assetto che, dopo il
1789, verrà chiamato Ancien Régime. È dunque ad esso che guarda il reazionarismo ottocentesco,
pur nella consapevolezza che i risultati del 1789 non potranno mai essere cancellati del tutto, e che
quindi ritornare compiutamente al passato non sarà possibile.
Gli antirivoluzionari negano che gli uomini abbiano il diritto di organizzare liberamente, secondo i
dettami della ragione, la propria vita associata. Ritengono al contrario che l’assetto politico e
sociale debba essere modellato sulla base di principi che non stati inventati - e quindi non possono
nemmeno essere respinti o modificati - dagli uomini, ma che derivano invece dall'ordine naturale
delle cose e quindi dalla divinità che tale ordine ha creato. La rivoluzione non appare dunque ad
essi semplicemente come la sostituzione di un tipo di organizzazione sociale a un altro, ma come
una ribellione sacrilega ai dettami eterni e giusti di Dio e della Natura.
Secondo i reazionari questi dettami sono:

• il potere politico spetta al re, che è tale non in virtù della propria forza o del consenso dei
governanti, ma per volontà divina. È necessario regni il sovrano legittimo, ovvero quello
che, per appartenenza dinastica e secondo le leggi della successione, si ritiene sia destinato
da Dio ad occupare il trono. In virtù di questa sua origine trascendente, il potere del
monarca non deve essere condiviso con nessun’altra persona o istituzione né può essere da
alcuno limitato, controllato o sindacato. Tuttavia, non è affatto onnipotente: nemmeno lui
ha la facoltà di disattendere o modificare i principi dell'organizzazione sociale, che derivano
anch'essi da Dio. Questi principi sono anti-individualistici: le strutture della società sono
considerate più importanti della singola persona, che è subordinata ad esse.
• la famiglia, la comunità locale e la chiesa hanno una forma piramidale e sono rigidamente
gerarchiche; al loro interno l’autorità viene affidata interamente ai vertici delle piramidi –
il padre nella famiglia, i nobili nella comunità locale, ecc. I singoli individui, infine, sono
tenuti a conservare la posizione sociale che è stata loro assegnata dalla nascita, non essendo
loro data la facoltà di scegliere liberamente la propria professione né di guadagnare
posizioni lungo la scala gerarchica.
Come si è appena visto, il reazionarismo ottocentesco si appoggia pesantemente sull'elemento
divino e religioso, attribuendo ad esso la funzione di legittimare l'intero sistema politico e sociale.
Così facendo, esso crea un legame naturale con la chiesa cattolica - legame ulteriormente
irrobustito dalle marcate tendenze antireligiose ed anticlericali che manifestò invece la Rivoluzione
francese. Questa relazione non deve essere considerata però scontata ed automatica.
L'immagine dell'Antico regime che abbiamo presentato, alla quale il reazionarismo ottocentesco si
ispira, corrisponde solo in parte a quello che l'Ancien Régime fu davvero. In L’Antico regime e la
rivoluzione, pubblicato nel 1856, Alexis de Tocqueville affermava che vi erano forti elementi di
continuità tra la Francia anteriore e quella posteriore al 1789, sostenendo in particolare che già
sotto l’Ancien Regime era iniziato il processo di dissoluzione delle strutture sociali dal quale era
emerso in primo piano, nella sua solitudine, il singolo individuo. L’ideologia insomma, in questo
come in numerosissimi altri casi, non mostra alcun interesse per la ricostruzione spassionata e
fedele del passato, ma considera i dati storici come semplici strumenti, che essa deve utilizzare per
acquistare maggiore forza e legittimità e che, a questo fine, possono anche essere manipolati,

2
distorti e falsati. Il comune riferimento all’Ancien Regime e all'elemento religioso rende il
reazionarismo un fenomeno presente con caratteristiche piuttosto simili in tutti i paesi europei.
All’interno di questo panorama la Gran Bretagna rappresenta però un’eccezione, essendo qui il
filone ideologico reazionario sostanzialmente assente. Lungo quasi tutto il 1600 e nella parte
iniziale del 1700 l’Inghilterra visse circostanze di estrema instabilità politica, culminante nella
Grande rivoluzione dei decenni 1640 e 1650 e nella Gloriosa rivoluzione del 1688. Da questi cento
anni di sconvolgimento emerse un sistema politico che già garantiva ai sudditi consistenti diritti di
libertà, già si era sbarazzato del principio dell’origine divina dei sovrani e già prevedeva che il
potere regio fosse sottoposto al controllo di un’assemblea elettiva. Il sistema politico-istituzionale
della Gran Bretagna settecentesca, in altre parole, non aveva le caratteristiche dell’Antico regime, e
conteneva in sé i germi di una possibile evoluzione verso un assetto costituzionale pienamente
moderno. L’opposizione inglese alla Rivoluzione francese del 1789 – un nome per tutti, Edmund
Burke - fece forza su questa tradizione politica, e non può dunque essere inserita nel filone
reazionario, appartenendo piuttosto al conservatore e per certi aspetti al liberale.
Il reazionarismo ottocentesco pur risultando infine sconfitto, insomma, riuscì ad influenzare in
misura considerevole il ritmo e la profondità del processo di modernizzazione politica. E
convivendo con questo processo, e prendendo atto dell'ineluttabilità di alcune delle sue
conseguenze, che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento il reazionarismo acquisisce
caratteristiche nuove e diverse. Esso continua sia a respingere senza compromessi la Rivoluzione
francese ed i principi del 1789, sia -almeno nel contesto francese, dove la «mutazione» del pensiero
reazionario ha inizio - a richiamarsi con convinzione ai valori del cattolicesimo. Rimane pertanto
avverso al liberalismo, alla democrazia ed al socialismo, nella convinzione che i rapporti gerarchici
vadano salvaguardati e rafforzati e che l'ordine sociale debba avere la precedenza sul singolo
individuo. Questo impianto «tradizionale» appare però sempre meno adatto a un contesto politico
che ha ormai conosciuto l'avvento della dimensione di massa. Nell'arena politica non si muovono
più solamente le oligarchie dirigenti, o le fasce sociali più significative per censo ed istruzione, ma
l'intera popolazione; è dunque necessario, per il reazionarismo così come per le altre famiglie
ideologiche, utilizzare strumenti nuovi che rendano possibile rivolgersi ad un nuovo pubblico,
molto più vasto di quello antico, sollecitandolo, convincendolo e mobilitandolo.
Lo strumento che l'ideologia reazionaria – così come del resto quella conservatrice e, in misura
minore, quella liberale – sceglie al fine di ampliare la portata del proprio appello e raggiungere i
nuovi soggetti politici, è la nazione. I “nuovi” reazionari puntano dunque sui sentimenti di
appartenenza alla comunità nazionale e di contrapposizione rispetto alle altre comunità nazionali,
inglobandoli nel proprio patrimonio ideologico ed utilizzandoli come veicoli per la diffusione e
l'irrobustimento di quel patrimonio in un contesto politico di massa. In alcuni paesi, soprattutto la
Francia e la Germania, i sentimenti di appartenenza nazionale (o razziale) vengono anche rafforzati
dall'antisemitismo, il quale promuove avversione nei confronti di quelli - gli ebrei, appunto - che
della nazione (o della razza) si ritiene non facciano parte. La profonda trasformazione dell'impianto
ideologico reazionario, indotta dall'accettazione della dimensione politica di massa e
dall'acquisizione dei valori nazionalistici diviene particolarmente rilevante e visibile in Italia con il
fascismo ed in Germania con il nazismo, pur nella diversità dei due casi.
Nazismo e fascismo conservano l’avversione radicale nei confronti del liberalismo, della
democrazia, dell’uguaglianza, e continuano a ritenere che la società debba essere ordinata e
gerarchica e gli individui subordinati alla collettività: si contrappongono insomma ai principi del
1789 (anche se non bisogna dimenticare che pure l'idea di nazione era stata rilanciata, se non
creata, proprio dalla Rivoluzione francese). Il processo di modernizzazione ha tuttavia trasformato
in maniera tale il contesto politico da rendere impossibile un ritorno all'Ancien Regime, e quindi
irrilevante qualsiasi riferimento ad esso. Nazismo e fascismo abbandonano dunque completamente
il principio monarchico, ed ancor di più la teoria del diritto divino, scegliendo di affidare il potere
politico a un unico individuo – duce in Italia, Führer in Germania - scelto in virtù dell'abilità
personale e della capacità di «rappresentare» la volontà dell'intera comunità nazionale,

3
mantenendosi con essa in un contatto quasi mistico. In secondo luogo, rinunciano a qualsiasi
riferimento trascendente, recidendo così le radici che il reazionarismo aveva nel cattolicesimo: si
tratta di ideologie atee, che puntano a creare proprie «religioni» immanenti in sostituzione delle
religioni tradizionali. Negandone l’origine divina, fascismo e nazismo lasciano infine l'assetto
sociale completamente in balia del potere politico, attribuendo ad esso il diritto di inglobare l'intera
società al proprio interno e di guidarla e trasformarla secondo i propri desideri.
In tutti questi suoi elementi, il reazionarismo novecentesco smarrisce almeno in parte il
riferimento al passato ed alla tradizione che aveva invece caratterizzato in maniera forte il
reazionarismo ottocentesco: i principi ideologici in base ai quali fascismo e nazismo intendono
ricostruire l'ordine politico e sociale sono nuovi, originali, e i due movimenti - soprattutto il primo -
guardano più in avanti che all'indietro. In questa maniera essi finiscono per recuperare dal 1789
l’idea rivoluzionaria, ovvero il principio secondo il quale la realtà può essere radicalmente
trasformata utilizzando strumenti politici - principio che forse più di tutti gli altri il reazionarismo
ottocentesco aveva invece rifiutato. È in questo elemento rivoluzionario, nella pretesa di riassorbire
tutta la vita sociale e culturale all'interno delle strutture politiche, che i teorici del totalitarismo
hanno ritrovato forti elementi di somiglianza fra il reazionarismo «moderno» di fascismo e
nazismo —nato in opposizione ai principi del 1789 — ed il rivoluzionarismo «moderno» del
comunismo — nato invece per dare a quei principi completo e radicale sviluppo.

IL CONSERVATORISMO
Il conservatore affronta con notevole diffidenza, quando non aperta ostilità, il razionalismo
rivoluzionario emerso nel 1789. Ritiene infatti che l’uomo non abbia il potere di ricostruire a
proprio piacimento la realtà sociale, economica e politica che lo circonda poiché a suo avviso essa si
fonda su principi non modificabili, deducibili dalla religione, dalla natura umana o dalla storia
oppure da tutte e tre allo stesso tempo. Diversamente dal reazionarismo, tuttavia, il
conservatorismo non ha in mente un mondo completamente immobile, sempre uguale a sé
medesimo, né vagheggia il ritorno all’Ancien Régime. È al contrario disposto ad entrare in un
rapporto dialettico con quanti chiedono la trasformazione anche radicale dell’esistente
(progressisti) ed a cedere ad alcune loro richieste, purché però le riforme non indeboliscano
eccessivamente i principi fondamentali ai quali esso si ispira, e che ritiene irrinunciabili.
Il conservatorismo è quindi diverso dal reazionarismo perché non rifiuta il mutamento, ma accetta
di interagire con esso, pure se intende rallentarlo e limitarne i “danni”. Questi sono i valori
essenziali che un conservatore intende salvaguardare:
• la strutturazione gerarchica della società: il conservatorismo è anti egualitario e ritiene che
chi sta in alto abbia il dovere di guidare chi sta in basso, e di conseguenza il diritto di essere
obbedito;
• l’ordine e la coesione sociale: la piramide gerarchica non deve essere contestata né messa in
pericolo ed i diversi strati che la compongono devono mantenere un atteggiamento solidale
di cooperazione. La salvaguardia dell’ordine è affidata anche al potere pubblico, che deve
pertanto essere forte, autorevole e rispettato;
• la famiglia;
• la religione e la chiesa;
• la proprietà privata: di norma il conservatorismo non è individualistico; questo significa che
esso ritiene la salvaguardia del gruppo più importante della tutela del singolo. Proprio per
questo il conservatorismo pone dei limiti al principio della proprietà privata. Esso deve
essere salvaguardato, poiché rappresenta una pietra fondamentale dell’ordine sociale, ma la
piena disponibilità che il proprietario ha dei propri beni, ed il libero utilizzo che può farne
non debbono arrivare al punto di mettere in pericolo gli interessi o, peggio ancora,
l’esistenza della collettività.

4
Con l’insorgere, negli ultimi decenni dell’800 della questione sociale e con l’affermarsi del
principio nazionale, i conservatori cominciano ad accorgersi che per soddisfare le richieste
materiali delle classi inferiori il ceto dirigente può utilizzare anche l’apparato statale (esempio –
la Germania di Bismarck). Questo filone ideologico – che potremmo definire di
“conservatorismo sociale” – non si spegne durate il ‘900 ma acquista anzi un impulso ulteriore.
Soprattutto in Italia e Germania il conservatorismo si identificherà sempre di più con i partiti di
ispirazione cattolica, ed assorbirà attraverso di essi le propensioni sociali che il cattolicesimo
politico ha acquistato in forma sempre più marcata fin dalla pubblicazione, nel 1892,
dell’enciclica Rerum novarum.
Negli ultimi decenni dell’ottocento, il conservatorismo non rimane affatto insensibile all’affermarsi
del principio nazionale. Gli ultimi trent’anni del XIX secolo e i primi tre lustri del XX costituiscono
quella che i storici hanno battezzato l’età dell’imperialismo. Con tale espressione si intende
segnalare l’affermarsi nei paesi europei di un modello più aggressivo di gestione delle relazioni
internazionali, tanto nei confronti di paesi europei quanto nei confronti dei territori extraeuropei.
Oltre che sul piano della politica estera, i conservatori utilizzano il principio nazionale anche su
quello della politica interna. L’idea di nazione infatti ponendo l’accento sugli elementi comuni a
tutti membri di una comunità politica aiuta a riunificare e compattare la stessa aumentandone la
solidarietà interna e facendo sì che singoli e gruppi sociali ne accettino la struttura gerarchica
consolidata. Infine, l’idea di nazione viene utilizzata dai conservatori per affrontare la sfida posta
dall’avvento delle masse sulla scena politica.
In origine il conservatorismo è avverso ai principi della democrazia: il potere politico spetta agli
strati superiori della società. Quando, tuttavia, le istituzioni politiche di un paese hanno ormai
compiuto un passo in avanti sulla strada della democrazia, i conservatori solitamente dimostrano
di accettare il mutamento – salvo poi cercare di limitarne il più possibile gli effetti. Tuttavia, dopo il
1945, i valori della democrazia prevalgono definitivamente nel mondo occidentale e così il
conservatorismo finisce per riappacificarsi con essi.
Il discorso sulla maniera in cui il conservatorismo affronta la questione dell’ordine politico –
istituzionale ha bisogno di qualche ulteriore specificazione. È necessario in primo luogo distinguere
fra Gran Bretagna e continente europeo.
In Inghilterra essere conservatori implicava la volontà di difendere un modello tradizionale di
costituzione mista o equilibrata nel quale coesistevano un potere monarchico, uno aristocratico ed
uno democratico. Questo modello fin dal tardo seicento non avrebbe più conosciuto rivoluzioni. Il
continente europeo, invece, è attraversato fin dal tardo settecento da numerosi rivolgimenti
istituzionali, che non consentono ai conservatori dei diversi paesi di far riferimento a tradizioni
consolidate. In assenza di queste tradizioni, nell’Europa continentale i conservatori si limitano a far
forza su quel che è rimasto dei regimi precedenti ai rivolgimenti ed a cercare di impedire che il
potere politico venga condiviso anche con gli strati inferiori della società.

IL LIBERALISMO
L’elemento centrale della filosofia politica liberale è l’individualismo, ovvero la tutela
dell'autonomia del singolo e la sua valorizzazione davanti alle pretese dei gruppi sociali. All’interno
del percorso storico che ha condotto alla nascita ed all’affermazione dei valori dell'individuo ha
avuto un 'importanza particolare la profonda frattura nella coscienza europea determinata dalla
riforma protestante. Nel corso del Settecento l’Illuminismo, sviluppando idee e principi emersi
già nei secoli precedenti, ha contribuito, almeno in alcuni suoi filoni, a trovare per questo problema
una soluzione individualistica, attribuendo la massima importanza alla razionalità del singolo, alla
sua autonomia di giudizio e di azione. Il liberalismo, insomma, si fonda su una filosofia della
conoscenza di tipo relativistico. Chi crede di aver raggiunto la verità assoluta può costringere gli
altri a conformarsi ad essa; se invece si ritiene che la verità assoluta non sia conoscibile, o quanto

5
meno conoscibile «oggettivamente», bisognerà permettere a ciascuno di cercare la propria verità
personale e di adeguare ad essa il proprio comportamento. La libertà dell'individuo, secondo il
liberalismo, deve essere gelosamente difesa prima di tutto dalle possibili intrusioni del potere
pubblico. Nel corso dei secoli il costituzionalismo liberale ha elaborato una serie di meccanismi,
norme ed istituzioni finalizzati a regolare e limitare l'attività dello stato, e di conseguenza a definire
gli ambiti all'interno dei quali non è ad esso consentito violare l'autonomia del cittadino. La
suddivisione del potere statale fra più di un'istituzione - governo, parlamento, giudici -, la
subordinazione di ogni atto pubblico alla legge, l'esplicita statuizione dei diritti di libertà dei
cittadini, la creazione di istituzioni giudiziarie speciali che costringano lo stato a rispettare queste
regole - corti costituzionali - sono alcuni degli strumenti utilizzati dal costituzionalismo liberale al
fine di difendere gli individui dalle possibili violenze del potere pubblico.
Normalmente i liberali ritengono che lo stato, per quanto limitato, debba tuttavia esistere. Il potere
pubblico, infatti, non è il solo nemico della libertà dell'individuo. Essa può essere violata anche dai
centri del potere sociale oppure dall'azione di altri individui. Lo stato avrà in questo caso il diritto
ed il dovere di intervenire, ed il suo intervento non rappresenterà più un pericolo per la libertà
individuale, ma servirà anzi a difenderla e ripristinarla.
Uno degli ambiti fondamentali all'interno dei quali secondo il liberalismo la libertà deve essere
tutelata è quello dell'attività economica. La libertà economica non viene difesa soltanto perché
deriva dal più generale patrimonio dei valori liberali, ma anche in virtù della convinzione che essa
rappresenti lo strumento più efficace per promuovere il benessere dell'intera collettività. La
ricchezza, il progresso e lo sviluppo, tanto materiale quanto morale, sono secondo i liberali il frutto
della creatività e dell'intraprendenza dei singoli. Queste qualità sono stimolate soprattutto dalla
concorrenza, in virtù della quale potranno emergere ed affermarsi la persona, l'idea, il sistema
produttivo, l'impresa migliori e più efficienti. Intralciare gli individui e la competizione fra di essi,
in conclusione, significherebbe ostacolare l’avanzamento di tutta la società. Sul piano economico lo
stato deve quindi intervenire il meno possibile, permettendo che il libero gioco degli attori
economici giunga spontaneamente alle soluzioni ottimali. In particolare, dal momento che la
competizione deve coinvolgere il maggior numero possibile di individui su un territorio il più vasto
possibile, lo stato deve evitare di intralciare, o peggio ancora impedire, il commercio, ponendo
barriere o tasse doganali. Su questi principi, che possono essere riassunti nella massima laissez
faire, laissez passer si fonda anche il liberismo: termine da non confondere con il liberalismo,
infatti mentre il primo indica una dottrina economica il secondo è un'ideologia politica.
L'affermarsi dei valori liberali, storicamente, ha seguito due percorsi differenti nei paesi
anglosassoni e sul continente europeo. In Gran Bretagna i principi del liberalismo si sono quindi
intrecciati con la sua tradizione politica, sono scaturiti dalla storia della società inglese, e
lentamente all'interno di essa sono venuti costruendosi ed evolvendo.
Sul continente europeo invece essi si sono proposti sul piano dottrinario e filosofico, solitamente
sotto la più generale etichetta di «diritti dell'uomo», e si sono posti subito in radicale
contrapposizione con la realtà storica, che nell'Europa continentale era la realtà dell'Antico regime.
Nel Settecento, insomma, un sostenitore inglese delle ragioni dell'individuo avrebbe potuto
guardare con soddisfazione al proprio paese, mentre un suo amico francese avrebbe dovuto
meditare con tristezza sull'enorme lavoro che era necessario compiere perché la Francia fosse
davvero libera. La differenza fra il liberalismo anglosassone e quello continentale non deve essere
esagerata: i due filoni si sono non poco influenzati a vicenda, e possono comunque rientrare
all'interno della medesima categoria ideologica. Si può tuttavia grosso modo sostenere che il primo
ha un'origine storica ed è pertanto più diffidente nei confronti dello stato (più «libertario»); il
secondo ha invece un'origine filosofica e guarda quindi con maggiore favore al potere pubblico (più
«liberazionista»).
Il liberalismo è fin dalla sua nascita indissolubilmente legato alla democrazia concepita come la più
o meno larga partecipazione del popolo al governo dello Stato (solitamente partecipazione non

6
diretta, ma attraverso rappresentanti eletti). L'esistenza di istituzioni rappresentative, infatti, è
forse la maggiore fra le garanzie elaborate dal costituzionalismo liberale al fine di limitare il potere
dello stato.
Non bisogna tuttavia pensare che il liberalismo ottocentesco intendesse concedere a tutti i cittadini
il potere di intervenire nella gestione della cosa pubblica: i liberali ritenevano che tale potere
dovesse essere affidato a chi era istruito e possedeva proprietà.
Con il trascorrere dei decenni, comunque, anche le forme più moderate di liberalismo hanno
sostanzialmente accettato l'affermarsi di procedure ed istituzioni politiche sempre più
democratiche. Se il termine «democrazia» implica la partecipazione di tutti i cittadini adulti al
governo attraverso istituzioni rappresentative, il liberalismo del Novecento - soprattutto dopo il
1945 – può essere con buona approssimazione ribattezzato «liberaldemocrazia». Se per
«democrazia» intendiamo invece un sistema nel quale gli uomini debbano tendenzialmente essere
uguali, la sua compatibilità con il liberalismo diviene assai meno scontata. Il liberalismo ammette
un solo tipo di uguaglianza: quella «formale», secondo la quale tutti debbono essere uguali davanti
alla legge, avere i medesimi diritti ed i medesimi doveri. L'ideologia liberale (e a maggior ragione
quella radicale) è avversa ai privilegi creati e difesi dal potere pubblico; essendo individualista non
vede la ragione per cui una persona debba essere trattata diversamente da un'altra, e ritiene inoltre
che le «regole del gioco», all'interno delle quali si svolge la competizione fra i singoli, debbano
essere il più eque possibile. Quanto però alle diseguaglianze esistenti nella società
indipendentemente dalla politica, quelle create dal caso, dall'appartenenza familiare,
dall'intelligenza e dall'energia personali, il liberalismo ritiene che siano almeno in una certa misura
inevitabili, spesso giustificate dal merito individuale, ed utili a promuovere la composizione e
quindi lo sviluppo della società.
Con molta cautela e molte eccezioni, in Europa il XIX secolo può essere considerato il secolo del
liberalismo. Possiamo dire che a grandi linee nell'Ottocento affermarono gradualmente i principi
tanto del costituzionalismo liberale quanto del liberalismo economico.
Tuttavia già alla fine del secolo, tuttavia, l'ideologia liberale comincio a mostrare dei rilevanti segni
di cedimento. Fino alla fine del XIX secolo la libertà difesa dal liberalismo era stata soprattutto una
libertà «negativa»: un individuo non poteva essere ostacolato nelle sue attività, a condizione che
esse fossero lecite. L'assenza di ostacoli creati dallo stato o da altre persone non implicava però
necessariamente che l'individuo fosse davvero in grado di fare ciò che voleva, poiché potevano
esistere altri impedimenti: la povertà, l'ignoranza, la malattia, la vecchiaia.
La crescente attenzione con la quale dagli ultimi decenni dell'Ottocento si cominciò a guardare a
quei problemi condusse all'elaborazione di un nuovo concetto di libertà, quello di libertà
«positiva». Non era più sufficiente che l'individuo non fosse ostacolato, ma diventava necessario
che gli fossero anche forniti gli strumenti minimi perché fosse davvero in grado di vivere,
ragionevolmente, come desiderava: soprattutto salute fisica, istruzione ed un livello minimo di
benessere materiale. Su questa base, e senza rinunciare alle radici individualistiche, poté nascere
un liberalismo «sociale», che identificava soprattutto nello stato il fornitore dei servizi essenziali
che rendessero «positiva» la libertà.
Gli anni compresi fra i due conflitti mondiali sono stati anni di grave crisi per il costituzionalismo
liberale, sconfitto e negato da regimi autoritari o totalitari in gran parte d’Europa. Il 1945 ha
riportato istituzioni di matrice liberal-democratica in tutto il mondo occidentale, e la crisi mortale
del comunismo avvenuta alla fine degli anni Ottanta ha ulteriormente diffuso e rafforzato questo
modello di governo. In Occidente il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale ha anche visto
la crescita notevolissima dell'intervento statale nell'economia intervento finalizzato a gestire
direttamente alcuni servizi ritenuti essenziali, a controllare le più rilevanti variabili
macroeconomiche, a garantire il benessere di tutti i cittadini.

7
L'Occidente postbellico, in altre parole, ha accettato le istituzioni liberaldemocratiche, ma ha
almeno in parte respinto i dettami economici liberali.
Appartengono almeno per alcuni versi al patrimonio ideologico liberale, infine, i movimenti
cosiddetti «neo radicali»: ambientalismo, femminismo, salvaguardia dei diritti delle minoranze,
ecc. Alcune correnti di questi movimenti partono infatti da un approccio individualistico, ed
intendono rimuovere – quasi sempre attraverso l'intervento dello stato - privilegi, impedimenti ed
iniquità che limitano la libertà dei singoli.

SOCIALISMO e COMUNISMO
Se il liberalismo, almeno nella sua versione continentale, deriva dal primo dei tre concetti che
compongono il grande slogan del 1789 – libertà, uguaglianza, fraternità -, la tradizione socialista si
fonda invece sugli altri due. Questa tradizione non nasce affatto, a differenza del liberalismo, con la
Rivoluzione francese: i suoi progenitori possono essere definiti Platone, Thomas More, Rousseau.
Si afferma nel XIX e XX secolo.
La caratteristica fondamentale del socialismo è anti-individualistica: viene data massima
priorità alla costruzione ed al benessere del corpo sociale. Questo deve essere omogeneo al proprio
interno (= uguaglianza: senza differenze nelle quantità del potere politico, economico e sociale
attribuito a ciascuna persona o gruppo di persone) e solidale (= fraternità: bisogna tenere in
maggiore considerazione gli interessi dell’intera società che i propri). Questi principi portano:
• sul piano politico: democrazia = partecipazione di tutti i cittadini alla gestione del potere
pubblico
• sul piano economico: scomparsa della proprietà privata, a favore di forme collettive di
possesso e gestione economica. L’impianto collettivistico realizzerà anche la massima
felicità possibile dei singoli individui, che verranno liberati dall’egoismo, dalla
subordinazione, dallo sfruttamento.

I primi decenni dell’800 vedono emergere, nella riflessione di alcuni filosofi francesi (Fourier,
Proudhon, Saint-Simon) e dell’inglese Owen, una forma di socialismo che più tardi sarà definita
“utopistica”. Questi pensatori sono accomunati dal desiderio di realizzare i principi del socialismo
attraverso un’opera lenta e graduale di ricostruzione morale e psicologica della società (no azione
rivoluzionaria e violenta). Strumento per la realizzazione di tale opera è la creazione di piccole
comunità socialiste (esempio della società futura). All’interno del filone ideologico socialista può
essere inserito almeno in parte anche Mazzini. Egli infatti sosteneva una trasformazione
democratico-repubblicana delle istituzioni, il declino dell’individualismo e l’affermazione su scala
mondiale di valori associazionistici e solidaristici.
Il contributo + rilevate ed influente all’ideologia socialista è stato senza dubbio fornito dalla
riflessione congiunta di Karl Marx e Friedrich Engels
Il primo vive nell’epoca del sistema produttivo capitalistico (proprietà privata, sfruttamento
manodopera, dominio della borghesia), che secondo il tedesco è destinata a entrare in una crisi
profonda che condurrà al rovesciamento del capitalismo e della borghesia ed alla costruzione di un
nuovo assetto economico, sociale, politico fondato sulla classe proletaria. La dittatura del
proletariato sarà diversa dagli altri predomini di classe poiché per la prima volta la classe al potere
sarà costituita dalla larghissima maggioranza della popolazione. Questa dittatura sarà transitoria e
da essa si giungerà alla realizzazione di una società senza classi, priva di proprietà privata,
sfruttamento, disuguaglianze. Rispetto alle altre teorie socialiste quella marxiana ha in più un
fortissimo elemento deterministico: l’avvento della dittatura del proletariato non è eventualità, ma
una certezza.

8
PRIME TAPPE SALIENTI DIFFUSIONE COMUNISMO
1. Ultimi decenni ‘800: nascita di partiti di ispirazione socialista - tali partiti facevano
riferimento all’ideologia marxista, con influenze anche da altri filoni del socialismo,
umanitari, positivistici, democratico-radicali, laburisti, ecc.
2. 1875 nascita partito socialista tedesco
3. La lotta di classe si deve svolgere in tutto il mondo - il Manifesto del partito
comunista scritto nel 1848 da Marx ed Engels si concludeva infatti con la frase
“Proletari di tutti i paesi, unitevi!”
4. 1864 fondazione della Prima Intesa nazionale socialista, che intendeva raccogliere e
collegare i un unico organismo i movimenti socialisti dei diversi paesi.

COMUNISMO E IMPERIALISMO
La fine dell’ottocento è stata anche l’età dell’imperialismo e del trionfo dei valori nazionalistici.
Rispetto a questi fenomeni il socialismo acquisto un atteggiamento di recisa contrapposizione. La
politica estera aggressiva ed espansionismo era vista dal socialismo come una conseguenza del
sistema economico capitalistico finalizzata a fornire ad esso nuove risorse da sfruttare e nuovi
mercati da colonizzare, ed a ritardarne così la crisi finale. Sul piano della politica interna l’appello
ai sentimenti nazionali distoglieva secondo i socialisti l’attenzione dalle iniquità sociali e dalla lotta
di classe, rafforzando un sistema politico ed economico gerarchico ed ingiusto. Nemmeno i
socialisti comunque restarono del tutto insensibili al richiamo della fedeltà nazionale. Quando nel
1914 scoppiò la prima guerra mondiale in quasi tutti i partiti socialisti d’Europa i valori patriottici
finirono per prevalere su quelli internazionalistici.
Fine 800-inizio 900 si accende il dibattito su tattica da seguire e sugli strumenti da utilizzare per
la realizzazione della società socialista.
A. Filone riformista - Bernstein = rinuncia a una strategia di contrapposizione rigida e frontale
con le istituzioni politiche, sociali, economiche, per lavorare all’interno di esse (migliorare
per gradi la posizione delle classi operaie e eliminare progressivamente la proprietà
privata);
B. Filone integralista = conservazione di una contrapposizione radicale rispetto all’assetto
socioeconomico fondato sulla proprietà privata (socialisti devono stare separati da questo
ambiente – “stato nello stato”);
C. Filone rivoluzionario = bisognava raggiungere il socialismo con un atto rivoluzionario, da
compiere o sul piano economico-sociale attraverso il sindacato o sul piano politico
attraverso il partito.

COMUNISMO E RIVOLUZIONE RUSSA


1917 – successo comunisti in Russia
Il leninismo rifiutava non solo la prospettiva riformistica, ma anche quella integralista, ritenendo
che, una volta postosi su una di queste due strade, il socialismo sarebbe stato ben presto riassorbito
dai regimi “borghesi”. L’unica via praticabile per la piena realizzazione della società senza classi era
dunque la rivoluzione. Su questa via, guardiano del popolo sarebbe stato il Partito comunista:
partito di pochi membri, compatto, ideologizzato e rigidamente disciplinato, in grado di gestire il
processo rivoluzionario con forza, convinzione ed assoluta unità di intenti. Una volta acquisito il
potere, i comunisti non avrebbero fatto ricorso ai meccanismi istituzionali della democrazia
“borghese” – parlamenti, elezioni, partiti -, ma avrebbero instaurato una nuova forma di
democrazia incentrata sui soviet, assemblee di operai che si riunivano nei luoghi di lavoro. La
creazione di istituzioni sovietiche non avrebbe però soppiantato né reso superfluo il partito, che
avrebbe comunque dovuto mantenere salda la presa sul potere ed esercitare sulla società un
controllo rigido e capillare, al fine di garantire che il paese si mantenesse, senza incertezze o
deviazioni, sulla strada del socialismo. Nello svolgere questa funzione il partito avrebbe utilizzato

9
anche le strutture coercitive dello stato. Questa sarebbe stata in sostanza la fase della dittatura
del proletariato – fase la cui gestione non era affidata direttamente al proletariato, ma alla sua
avanguardia rivoluzionaria, il partito. Sulla base dell’elaborazione ideologica leninista il
comunismo russo, nell’attesa che l’avvento della società senza classi rendesse superflua la
dittatura, finì per dare vita a un apparato istituzionale totalitario.
Nel corso del ventennio compreso fra i due conflitti mondiali, il comunismo si diffonde e rafforza in
tutta Europa, spinto dal “mito” della Rivoluzione del 1917 ed aiutato direttamente dall’Unione
Sovietica e dall’organizzazione internazionale del comunismo – la Terza Internazionale. Al di fuori
della Russia non riuscì tuttavia a giungere al potere in alcun paese.
L’unione sovietica emerse dalla II guerra mondiale come una delle potenze vincitrici e partecipò
alla successiva ristrutturazione degli equilibri internazionali. Poté così ricostruire attorno a sé un
vasto polo geopolitico, costituito inizialmente dai paesi dell’Europa orientale, nel quale esportò il
modello politico-istituzionale comunista. Nei decenni successivi al 1945 questo modello ebbe un
fortissimo potere di attrazione anche al di fuori d’Europa, nei paesi sottosviluppati che emergevano
dal processo di decolonizzazione. In particolare, esso fu realizzato in Cina, sia pure in una forma
particolare, quale quella teorizzata e praticata da Mao Tse-tung. Mentre il modello comunista si
affermava nell’Europa orientale, nell’Europa occidentale post-1945 il socialismo concludeva il
lungo processo di riavvicinamento ai valori della liberaldemocrazia. L’evento + emblematico è stato
il congresso del Partito socialdemocratico tedesco svoltosi a Bad Godesberg nel 1959. Il socialismo
ha rinunciato a sostenere forme di democrazia alternative a quella parlamentare, ha dato il proprio
pieno contributo alla difesa dei diritti individuali non economici, ha accettato che buona parte
dell’economia continuasse ad essere gestita con metodi capitalistici. In questo contesto, esso ha
cercato di dare allo stato un peso sempre maggiore nella vita economica e sociale e di creare una
sempre più robusta rete di protezione per le fasce più svantaggiate della popolazione. Ha così
contribuito alla nascita ed alla costruzione dello Stato sociale.

BREVE STORIA DEI DIRITTI UMANI


I diritti umani dal Medioevo alla prima metà del Novecento
La storia dei diritti umani ha radici consolidate nel tempo, ma nonostante questo molto fragili,
vista la facilità con la quale è facile sradicarli nella pratica, ma soprattutto nelle coscienze. La loro
storia comincia con l’idea di libertà (dal potere religioso e da quello politico) e si afferma con l’idea
di uguaglianza.
La rivendicazione della libertà trova antecedenti in un passato lontano, da un lato nella lotta per la
libertà religiosa degli eretici medievali (V-XV secolo) e dei riformatori protestanti contro
l’integralismo repressivo della Chiesa cattolica (XVI), dall’altro nella difesa delle autonomie di
gruppi sociali, corporazioni, città contro l’autoritarismo dei sovrani. Il riferimento più tradizionale
lo si trova nella storia inglese, nella Magna Charta Libertatum (concessa da Giovanni Senzaterra)
del 1215, che enuncia il principio dell’habeas corpus, e che troverà nel ‘600 il suo sviluppo con
l’Habeas Corpus Act (1679) e con il Bill of Rights (1689, dopo la Gloriosa Rivoluzione), frutto di
lotte civili, che sostenevano rivendicazioni fondate nella storia e nella tradizione inglese.
È con il moderno giusnaturalismo che si afferma l’idea dei diritti umani, fondati sul presupposto
dell’eguaglianza naturale di tutti gli uomini, secondo presupposti individualisti e razionalisti. Si
può ricostruire lo sviluppo di questa nuova dottrina a partire da Grozio, passando per Hobbes, fino
al liberale John Locke, per il quale il sovrano, il potere politico si legittima in quanto garantisca il
rispetto dei 3 diritti che l’uomo ha per natura: il diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà privata.
È poi con l’illuminismo che l’idea dei diritti umani si approfondisce dal punto di vista filosofico
(Kant, Rousseau, Voltaire, Montesquieu, Beccaria) ma cerca anche la realizzazione attraverso
riforme concrete.

10
Alla fine del Settecento i diritti umani vengono affermati come universali attraverso le due
Dichiarazioni: la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 e la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea nazionale francese il 26
agosto 1789. Esse sanciscono l’affermazione della nuova cultura borghese e aprono la lotta per le
prime rivendicazioni dei diritti delle donne.
Le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo resteranno però lettera morta dal momento che il diritto
vigente verrà limitato ai diritti civili e politici dei cittadini di sesso maschile (adulti e abbienti) nelle
Costituzioni e nelle codificazioni dell’Ottocento. È il periodo in cui si afferma la sovranità esclusiva
dello Stato-nazione, legislatore onnipotente e unica fonte di produzione del diritto, che garantisce,
autolimitandosi, alcune prerogative ai suoi cittadini.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento riprende vigore la battaglia per l’eguaglianza
uomo/donna, non solo intesa come eguaglianza giuridica ma anche come diritto all’indipendenza
economica e culturale. Il pensiero liberale richiede tutele specifiche per la libertà degli individui,
minacciata dal potere dello Stato ma anche dai poteri privati della famiglia, della comunità. Per
contro, la nascente dottrina marxista critica l’ideologia dei diritti dell’uomo, individualista e
borghese, ma contribuirà alla costruzione dei diritti sociali, che saranno affermati per la prima
volta nel 1919 nella Costituzione di Weimar, anche come sviluppo delle misure di assistenza
pubblica già previste nella Germania di Bismarck a tutela dei lavoratori. L’avvento della società
industriale e la rivoluzione industriale avevano portato infatti grandi rivolgimenti: la questione
sociale suscitava grandi preoccupazioni e aveva favorito la formazione di movimenti associativi per
la difesa delle condizioni di vita dei gruppi sociali oppressi o emarginati. Nello stesso periodo erano
sorti associazioni e movimenti femminili.
Ma le dittature che si instaurano in Europa dopo la prima guerra mondiale travolgono la cultura
dei diritti. La seconda guerra mondiale scatenata dal nazismo, sostenuto dal fascismo, travolge
l’intera Europa e sconvolge il mondo.

I diritti umani dalla seconda metà del Novecento


È nel secondo dopoguerra che ha luogo una silenziosa ma profonda rivoluzione dei diritti umani.
Questa nuova cultura dei diritti è fondata sull’idea che gli esseri umani debbano essere dotati di
alcune prerogative essenziali inviolabili e universali, che uno stato non possa avere il diritto di
sterminare una parte dei suoi cittadini, che dunque la sovranità statale non possa più essere
assoluta: i diritti inalienabili degli individui vengono affrancati dal monopolio dell’ordine giuridico
da parte dello Stato-nazione.
Due concetti sono alla base di questa silenziosa ma profonda rivoluzione dei diritti umani che, a
partire dal secondo dopoguerra, ha segnato una svolta nella comunità internazionale:
1. l’eguaglianza di tutti gli esseri umani dal punto di vista di ciò che essi hanno diritto di
esigere dalla società e dagli altri, nel senso che non si può distinguere, in tema di diritti
fondamentali, tra cittadino e straniero, tra uomo e donna, tra bianco e nero, tra cristiano ed
ebreo, tra musulmano e non musulmano, tra credente e non credente;
2. la dignità della persona umana, che significa, come scriveva Kant, che l’uomo non può
essere trattato dall’uomo come semplice mezzo, ma deve essere trattato sempre anche
come un fine.
Sulla base di queste concezioni si riuscì allora a rifondare il diritto internazionale, imperniato
sull’Organizzazione delle Nazioni Unite, che è stata istituita il 26 giugno 1945 e la cui Assemblea ha
approvato la Dichiarazione Universale dei diritti umani (30 articoli), firmata a Parigi il 10 dicembre
1948.
A questo proposito si può dire che i diritti sono un prodotto artificiale della nostra cultura (ossia un
prodotto storico). I testi sopra citati sono frutto di una scelta razionale, nata dalla consapevolezza
che solo in questo modo si potessero evitare gli orrori del passato.

11
NOZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI DIRITTI
I diritti umani sono quei diritti dei quali ogni essere umano è titolare solo per il fatto di
appartenere all'umanità, indipendentemente dalla loro codificazione nazionale, giacché nessun
governo può disconoscere quei diritti. Gli Stati che si riunirono a Vienna nella Conferenza
mondiale sui diritti umani (1999), riaffermarono che i diritti umani sono diritti di nascita di tutti gli
esseri umani e che la protezione dei diritti umani è la prima responsabilità dei governi. Tutte le
persone possiedono un'innata dignità umana e che hanno uguali titoli di godimento dei diritti
umani senza differenze di sesso, razza, colore, lingua, nazionalità, età, classe, ideologia o religione.
È importante sottolineare che essi vanno al di là dei diritti del cittadino, in quanto sono universali;
e differiscono dai diritti rivendicati dai popoli, poiché appartengono tutti all'individuo, anche
qualora debbano essere esercitati in forma collettiva. [...] I diritti umani sono quindi il prodotto
della civiltà umana più che della natura in quanto sono diritti storici (o che diventeranno storici) e
quindi mutevoli; anche se per comodità si cerchi poi di delimitarli e inserirli in generazioni essi
continuano a evolversi.

Le generazioni dei diritti umani


I diritti si classificano in 4 generazioni
1. DIRITTI CIVILI E POLITICI o diritti di prima generazione sono contenuti negli articoli 1-21
della Dichiarazione universale dei diritti umani (DUDU). Essi hanno come fonte il Bill of
Rights inglese del 1689, la Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino del
1789 e i primi dieci emendamenti della Costituzione americana.
Realizzano l’autonomia dell’individuo nella società e la partecipazione alla vita
politica, e nel contempo limitano l’azione dello Stato nei confronti delle persone. Alcuni di
questi diritti sono anche definiti tradizionalmente “libertà”. In particolare, si distinguono
libertà positive (di fare qualcosa o di partecipare), e libertà negative (di essere esenti da
qualcosa, di non partecipare). Sono “positive”, ad esempio, le libertà di: pensiero, coscienza,
religione, associazione, riunione, movimento, stampa. Sono libertà cosiddette “negative”
quelle che consistono nel non dover subire tortura, schiavitù, arresto arbitrario,
discriminazione.

2. DIRITTI SOCIO-ECONOMICO-CULTURALI o diritti di seconda generazione sono contenuti


negli articoli 22-27 della DUDU. Sono emersi essenzialmente nella prima metà del XX
secolo, anche se già verso la fine del Settecento è possibile intravederne le premesse in
alcuni testi costituzionali.
Tali diritti sono legati all'uguaglianza, sono fondamentalmente di natura economica,
sociale e culturale e garantiscono a membri diversi della cittadinanza condizioni e
trattamenti uguali.
Essi si ispirano a una filosofia che mette in risalto, al contrario di quella liberale, il dovere
d'intervento dello Stato. I diritti economici e sociali sono dunque in generale diritti a:
diritto al lavoro, alla casa, all'istruzione, alla sicurezza sociale, alla tutela della salute, ecc.
Essi permettono di chiedere allo Stato non più un'astensione, ma un'azione positiva,
consistente per lo più nella fornitura di una prestazione e implicante l'istituzione e il
funzionamento di servizi pubblici.

3. DIRITTI DI SOLIDARIETÀ E FRATELLANZA o diritti di terza generazione sono contenuti


negli articoli 28-30 della DUDU. Esempi: il diritto alla pace, all'autodeterminazione, al
godimento delle risorse della terra e dello spazio, ad un ambiente sano ed equilibrato, allo
sviluppo economico e sociale, all'aiuto umanitario in caso di catastrofi. Si tratta di diritti
difficilmente "azionabili" sul piano giuridico. In qualche caso sono "diritti" in un senso
palesemente diverso da quelli delle prime due generazioni, perché hanno come soggetto
attivo non individui, ma comunità, popoli, o addirittura l'intera umanità.

12
4. I NUOVI DIRITTI o diritti della quarta generazione non sono neppure contemplati nella
DUDU, poiché emersi successivamente, in considerazione del formarsi di nuove pretese di
protezione dalle nuove tecnologie. Ad esempio: privacy; informazione e sicurezza in rete;
integrità del patrimonio genetico a fronte dei progressi della ricerca biologica; diritto alle
cure palliative (ossia l’accesso a tutti i trattamenti che permettono al malato di evitare
inutili sofferenze).

LA BELLE ÉPOQUE: tra luci e ombre


ETÀ DI PROGRESSO
Tra la fine dell’800 e inizio 900 in Europa si assiste ad un generale miglioramento delle condizioni
materiali di vita. Il periodo è chiamato belle époque a sottolinearne i caratteri di benessere e
spensieratezza. Si tratta di una definizione introdotta alla fine della Prima guerra mondiale, per
rimarcarne il contrasto tra quegli anni e le inquietudini suscitate nel 1914 dallo scoppio del
conflitto.
L’impiego dell’espressione francese dipende dalla centralità che ebbe Parigi in quell’epoca: centro
di riferimento nel campo della cultura, della moda e del divertimento.
A seguito della lunga depressione (1873-1896) l’economia di buona parte d’Europa riacquista forza:
si sviluppano banche, industrie di costruzioni navali, società di commercio, ferrovie. Inoltre
l’energia elettrica era comparsa anche nelle città per l’illuminazione di strade, oltre che per il
funzionamento dei trasporti pubblici, compreso il tram elettrico. L’elettricità entrò nelle case dei
benestanti insieme al riscaldamento centralizzato, l’ascensore e i servizi igienici.
Avviene l’apoteosi dell’industrializzazione in Inghilterra, e poi in tutta Europa, grazie:
o alla teoria economica liberista di Adam Smith, che comportava la libertà nel mercato;
o al modello parlamentare britannico, dal Bill of Rights – 1689;
o al fenomeno delle enclosures, che privatizzano la terra per essere coltivata. Inoltre
permettevano la crescita del dinamismo della classe media inglese (‘500-’600);
o alla scoperta di giacimenti di carbone, che trasformato dà la ghisa. Esso ha permesso
miglioramenti portando alla nascita di macchine a vapore, industrie siderurgiche, telaio
meccanico e spoletta volante;
Così si afferma il ceto medio, la classe capitalistica ricca di liquido da investire. In Inghilterra ad
esempio nascono le Società per azioni (SPA) dove i capitalisti, al posto di investire in un’unica
azienda, comprano azioni di società diverse dislocate in tutto il mondo.
→ Ciò ha promosso l’industrializzazione in quanto una singola persona ha potere decisionale in
tante aziende e in diversi settori. È un sistema democratico in quanto ogni azienda conta sulla
lungimiranza e apertura di mente dei dipendenti.
→ La nazione trae benefico da ciò: se si può contare sugli investitori, non c’è bisogno del sistema
bancario, che richiede l’interesse, le garanzie del profitto e che ha anche potere decisionale (spesso
agisce richiedendo il maggior profitto nel minor tempo possibile).
N.B.: questo è in atto solo in Inghilterra
I nuovi mezzi di trasporto sono:
▪ bicicletta
▪ automobile, grazie all’invenzione del motore a scoppio, poi perfezionato da Benz e Daimler
Usano benzina, derivante dal petrolio, come carburante
▪ aeroplano - 1903 con i fratelli Wright
… e i nuovi mezzi di comunicazione sono:
▪ giornali
▪ telegrafo senza fili di Marconi
▪ radio
▪ cinema dei fratelli Lumière

13
Progressi in campo sanitario:
• pastorizzazione alimenti di Pasteur
• avvio vaccinazioni contro vaiolo, colera, rabbia di Koch
• sterilizzazione diffusa da Pasteur
• prima radiografia a raggi X individuati da Röntgen
…e nel campo della chimica e della fisica
• Becquerel scopre l’uranio
• Marie Curie e i suoi studi sulla radioattività
• Planck e la teoria dei quanti: l’energia è composta di quantità non divisibili
• Einstein e prima teoria della relatività
Nasce poi la psicoanalisi, fondata da Freud che analizza e spiega la psiche e le azioni dell’uomo.

ETÀ DELL’IMPERIALISMO (1870 – 1914)


Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 le potenze europee (Gran Bretagna, Germania, Francia,
Russia, Giappone, Italia, Paesi Bassi) furono protagoniste di una serie di iniziative politiche,
economiche e militari volte a ottenere una posizione di supremazia. Il principale terreno di rivalità
fra gli Stati fu però la corsa alle colonie, ossia l’appropriazione da parte delle potenze europee
dell’intero continente africano e anche buona parte di quello asiatico.
A questo proposito, con la Conferenza di Berlino del 1884-1885, Bismarck aveva voluto invitare i
maggiori Stati EU a fissare le linee dell’espansione in Africa, fino a quel momento condotta in
modo caotico, definendo le rispettive aree di influenza e assegnando i territori non ancora
sottoposti alla dominazione coloniale. La conferenza di Berlino sancì anche la nascita dello Stato
Libero del Congo sotto l'influenza di Leopoldo II del Belgio. Con l’ascesa di Guglielmo II e la caduta
di Bismarck, la politica estera tedesca si fece più aggressiva e il colonialismo passò all’imperialismo.
Gli obiettivi economici perseguiti dalle potenze europee sono motivati non solo sulla base di
un’ideologia patriottica e nazionalista, ma anche sulla retorica della “missione civilizzatrice
dell’uomo bianco”: gli europei, in quanto appartenenti ad una presunta civiltà superiore, avrebbero
avuto il dovere morale di civilizzare le popolazioni indigene.
Questa giustificazione si fondava sulle teorie razziali, che consideravano l’uomo bianco come un
essere umano superiore agli altri: la supremazia culturale degli europei avrebbe avuto motivazioni
biologiche. Nel corso dell’Ottocento, infatti, molti biologi e naturalisti si erano dedicati alla
classificazione delle “razze” umane:
➢ De Gobineau suddivise l’umanità sulla base di presunte caratteristiche psicologiche innate;
➢ Haeckel distinse le razze umane classificandole in base al loro grado di evoluzione (grado +
alto = razze romana e germanica)
→ pericolosa corrispondenza tra imperialismo ed evoluzionismo
COLONIALISMO: l'espansione politico-economica di uno Stato su altri territori spesso lontani al
fine di creare delle colonie, spesso per sfruttarne le risorse naturali, come minerali, gas, acqua,
petrolio e terreni coltivabili, e umanitarie, come la Forza lavoro, e per espandere il proprio dominio
politico ed economico, magari anche per poter rivaleggiare con altri stati.
IMPERIALISMO: politica di potenza e di supremazia di uno Stato tesa a creare una situazione di
predominio, diretto o indiretto, su altre nazioni, mediante conquista militare, annessione
territoriale, sfruttamento economico o egemonia politica. Dal punto di vista dottrinale
l’imperialismo poggia sull’idea che i popoli più forti abbiano il diritto di imporsi su quelli più
deboli. Inoltre, il termine imperialismo implicherebbe la convinzione che la conquista e il
mantenimento degli imperi abbiano una valenza positiva; tale punto di vista è spesso unito al
presupposto di una superiorità culturale o di altro tipo (es. razziale) intrinseca al potere imperiale.

14
DIRETTRICI COLONIALI + IMPORTANTI
• GB: Cina, India (Direct Rule), Canada (Dominion), Australia, Africa del Sud, Sudan,
Nigeria, Gambia, Uganda, Kenya, Egitto (in Africa Indirect Rule)
23, 85% della superficie terrestre, 502 milioni di abitanti = 1⁄4 della popolazione mondiale
N.B. Indirect rule = si domina la popolazione indigena, si mantengono le loro istituzioni e
strutture sociali, ma nelle questioni importanti è presente il funzionario britannico
Direct rule = il dominio della madrepatria è diretto
• FRANCIA: Maghreb, Tunisia, Senegal, Ciad, Congo, Algeria, Sudan (spartito tra FR e GB
durante la Conferenza di Berlino), Senegal, Indocina, Messico, Costa d'Avorio
• OLANDA: ridimensionata dall’Atto di navigazione di Cromwell, Sumatra, Borneo,
Indonesia
• GERMANIA: Togo, Camerun, Africa orientale, Nuova Guinea
• ITALIA: Eritrea (1890), Somalia (1905, con ufficialità piena dal 1908), Libia (1911)
• USA: Hawaii, Samoa, Filippine, Porto Rico, Cuba, Panama
• RUSSIA: Alaska

15
LE GRANDI POTENZE NEL I DECENNIO DEL ‘900

GERMANIA:
Nell’ultimo decennio del XIX secolo, la Germania si accingeva a vivere un fondamentale cambio di
rotta nel suo indirizzo politico, in coincidenza con l’ascesa al trono nel 1888 di un nuovo
imperatore, Guglielmo II di Hohenzollern, figlio di Guglielmo I. Il nuovo sovrano tedesco era un
sostenitore della modernità e della tecnologia, oltre che un convinto militarista, ed era deciso a
rendere la Germania protagonista assoluta della politica internazionale. Diversamente dal suo
cancelliere, Otto von Bismarck, che in tutta la sua carriera aveva perseguito con accortezza e
coerenza il mantenimento di un equilibrio con le altre potenze, il giovane Guglielmo II non
appariva attento agli equilibri né interni né internazionali. La profonda distanza di opinioni e
comportamenti fra Bismarck e il suo imperatore, oltre alla volontà di quest’ultimo di accentrare
tutto il potere nelle proprie mani, costrinse perciò l’ormai anziano cancelliere a dimettersi il 18
Marzo 1890.
Così Guglielmo II riuscì a mettere in atto uno sfrenato progetto espansionistico coloniale e militare.
Questo era appoggiato da una potente classe, quella degli Junker: i grandi proprietari terrieri che
rappresentavano l’aristocrazia di origine feudale. L’aggressiva politica tedesca – Weltpolitik – se
da una parte affermò la potenza nascente della Germania anche in ambito internazionale, dall’altra
sortì l’effetto di appianare le rivalità fra Francia e GB e fra quest’ultima e la Russia. Di fronte
all’attivismo politico e militare tedesco, era impensabile che Londra continuasse a restare
nell’isolamento in cui si era chiusa. Preoccupata dall’ascesa tedesca, e in particolare dal
potenziamento della flotta militare, la Gran Bretagna si avvicinò alla Francia con la firma nel 1904
dell’Entente cordiale (base per la stipula della Triplice intesa - 1907). Inoltre ricordiamo che fra la
fine dell’800 e l’inizio del Novecento, l’industria tedesca si era sviluppata in maniera esponenziale,
sino a fare della Germania la prima potenza economica europea.

FRANCIA: nel 1905 venne promulgata la legge sulla separazione tra Chiesa e Stato --- laicità
dello Stato.

GRAN BRETAGNA:
Dal 1886 al 1905, dopo un ventennio di egemonia politica del Partito liberale di Gladstone, la scena
politica britannica fu dominata dai conservatori, guidati da Lord Salisbury. Quando, poi, alla regina
Vittoria successe il figlio, Edoardo VII, i liberali ritornarono ad avere la maggioranza (dal 1906).
Questo fu possibile anche grazie all’alleanza stretta con una uova forza politica che stava
acquisendo sempre + consenso popolare: il Labour Party (Partito laburista) fondato nel 1900. Sotto
il governo liberale vi furono importanti interventi in ambito di politica sociale: furono introdotti
servizi sanitari gratuiti per i bambini, l’assistenza alla maternità, le pensioni di vecchiaia, fondi
assicurativi in caso di disoccupazione e di malattia.
Questione irlandese: dal 1919 al 1922 l’isola fu dilaniata da un conflitto vero e proprio, che si
concluse con la nascita dello Stato libero irlandese. Si trattava di un dominion all’interno
dell’Impero britannico, ma autonomo in materia di politica interna.
Tra il XIX e il XX secolo, l’Impero britannico aveva conosciuto una nuova fase di espansione
coloniale ma, allo steso tempo, erano emersi i primi segnali di crisi legati alle difficoltà di gestire
possedimenti così vasti (insurrezioni, scontri nelle colonie africane). Ricordiamo che in Asia, le
truppe britanniche avevano invaso l’emirato dell’Afghanistan, scontrandosi con i russi, che avevano
mire espansionistiche su quell’area, riuscendo ad assumere il controllo nel 1880. Con la Russia
sancirà nel 1907 un accordo per il mutuo riconoscimento delle sfere d’influenza coloniale in Asia
(altra base per la stipula della Triplice intesa - 1907).

16
IMPERO AUSTRO – UNGARICO:
Alla fine dell’Ottocento anche l’Impero austro-ungarico vide un rapido susseguirsi di governi. Fra i
governi + longevi vi fu quello di orientamento conservatore guidato da Eduard Taaffe, che tentò di
conciliare le nazioni dell’Impero – così venivano definite le diverse etnie (12) che vivevano entro i
confini dell’Austria – Ungheria - e le classi sociali, ma nel 1893 fu costretto a dimettersi a causa del
fallimento del suo tentativo di riportare la pace fra i cechi e i tedeschi. Alla fine una parte della
popolazione boema abbracciò entusiasticamente il panslavismo (progetto di unione politica di tutti
i popoli slavi. La discussione riguardante le nazionalità slave dell’Impero austro – ungarico fu
avviata durante il congresso slavo di Praga – 1848. Successivamente, il panslavismo acquisì il
carattere di un progetto politico, nazionalista e imperialista, volto alla liberazione degli slavi dei
Balcani e alla loro unificazione in una federazione guidata dalla Russia).
L’impero asburgico, logorato dai problemi legati ai conflitti tra le varie nazionalità, assecondando i
conservatori al potere, ratificò ufficialmente l’annessione della Bosnia-Erzegovina, occupata nel
1878. Questa iniziativa ebbe però l’effetto di aumentare il peso delle nazionalità slave all’intero
dell’Impero e di rafforzare il panslavismo. Sollevò inoltre un coro di proteste da parte di altre
potenze europee, a eccezione della Germania, e in particolare della Serbia e della Russia,
anch’esse interessate alla supremazia nell’area balcanica. Del resto l’Austria-Ungheria aveva stretto
sin dal 1879 un accordo con la Germania in chiave antirussa e nel 1882 questa intesa si era
allargata all’Italia con la Triplice alleanza. Ma quest’ultima alleanza aveva degli elementi di
debolezza, ancora una volta legati al problema delle nazionalità: non erano solo gli slavi a
rivendicare l’autonomia o l’indipendenza, ma anche la maggior parte della popolazione italofona
che abitava nell’Impero austro-ungarico desiderava l’annessione all’Italia.
RUSSIA:
Dal 1894 al 1917 troviamo il regno di Nicola II caratterizzato da: forte sentimento antisemita,
autoritarismo, orientamento politico reazionario, uniformazione religiosa ortodossa e
russificazione.
Quadro generale: il processo dell’industrializzazione non si era ancora avviato, l’agricoltura era
arretrata e fondata ancora sui latifondi (la servitù della gleba era stata abolita ma di fatto i
contadini erano messi nella condizione di doversi affidare totalmente ai latifondisti), nelle
campagne dilagava la povertà.
Tra gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi del Novecento in Russia erano nate nuove formazioni di
orientamento liberale e socialista, sebbene i partiti politici operassero spesso in condizioni di
semiclandestinità a causa delle persecuzioni del regime zarista.
Al 1898 risaliva la fondazione del Partito socialdemocratico russo da parte di Georgij Plechanov. Di
orientamento marxista, il partito si era presto diviso al suo interno in due correnti che intendevano
organizzarlo in modi differenti:
o la prima corrente, guidata da Martov, indicava come modello il Partito
socialdemocratico tedesco, un partito dunque aperto alla partecipazione di chiunque
si riconoscesse nei suoi principi;
o la seconda corrente, guidata da Lenin, pensava invece a un partito centralizzato,
formato esclusivamente da un'avanguardia di rivoluzionari di professione.
Nel 1903, quando a Londra si tenne il congresso del partito, i sostenitori di Lenin ottennero la
maggioranza; la sua corrente fu chiamata per questo bolscevica (che in russo significa
"maggioritaria"), mentre quella di Martov fu chiamata menscevica (che in russo significa
"minoritaria"). Esisteva in Russia anche un'altra formazione socialista, il Partito socialista
rivoluzionario, fondato nel 1902. A differenza dei socialdemocratici, che rivolgevano il proprio
interesse principalmente alla classe operaia, i socialisti rivoluzionari guardavano soprattutto al

17
mondo contadino, dove riscuotevano ampi consensi. Il socialismo che volevano realizzare era di
tipo agrario e basato sulla cooperazione tra contadini.
Nel 1905 nacque il Partito costituzionale democratico (KDP), costituito da liberali che ambivano
alla creazione di un parlamento sul modello delle democrazie europee; questa formazione politica
si andava ad aggiungere ad altri partiti fra cui quelli dei socialdemocratici e dei socialisti
rivoluzionari, i cui membri puntavano ad ottenere un governo democratico per la Russia attraverso
una rivoluzione di tipo comunista. Il malcontento popolare sfociò il 22 gennaio 1905, in una
manifestazione a San Pietroburgo, in cui una folla sfilò pacificamente per chiedere a Nicola II delle
riforme. Per tutta risposta, la polizia sparò sui manifestanti uccidendone 130 e ferendone diverse
centinaia. La brutale repressione è passata alla storia come "domenica di sangue”. Così dal 20 al 30
ottobre la Russia rimase paralizzata da uno sciopero di amplissime proporzioni e le proteste
innescarono una vera e propria rivoluzione. In questa occasione, sorse per la prima volta un soviet
("consiglio" in russo), un organismo di rappresentanza degli operai e dei contadini. I
rappresentanti dello soviet cominciarono a deliberare direttive (sugli ambiti di sanità, lavoro,
istruzione) che erano in contrasto con le leggi promulgate dallo zar. → GUERRA CIVILE
Dal 1906 al 1911 la politica russa fu dominata dal primo ministro Pètr Stolypin. La sua figura è
legata a un'importante riforma agraria con la quale cercò di risolvere la situazione di profonda
arretratezza delle campagne russe, che era una delle cause fondamentali dell'instabilità sociale
dell'Impero, e di impedire che il malcontento dei contadini si unisse a quello degli operai creando
nuovi focolai di rivolta. La riforma modificò profondamente la struttura sociale delle campagne
russe: rese infatti possibile la vendita di terreni di proprietà statale e mise fine alla tradizionale
organizzazione delle comunità di villaggio russe, l’obščina. Questo mutamento favori la nascita di
un gruppo di agricoltori autonomi e relativamente benestanti, i cosiddetti kulaki, a cui si
contrapposero i contadini più poveri, che non erano in grado di acquistare le terre e si ritrovarono
ancor più immiseriti dal fatto di non poter contare neppure sulla redistribuzione comunitaria dei
terreni.
Anche in politica estera, la Russia si trovò nelle condizioni di dover cambiare radicalmente
indirizzo. Dopo l'uscita di scena di Bismarck, venne meno qualsiasi possibile intesa con la
Germania, dato che quest'ultima aveva consolidato la propria alleanza con l'Austria-Ungheria,
acerrima nemica della Russia. Per uscire dall'isolamento diplomatico in cui si trovava, lo zar strinse
un accordo con la Francia (1891), rafforzato da una successiva convenzione militare, che stabiliva
l'assistenza reciproca in caso di attacco da parte della Germania o dell'Italia.
Nel 1904-1905 la Russia dovette inoltre fronteggiare l'attacco del Giappone per il controllo della
Manciuria: la Guerra russo-giapponese si concluse con un'eclatante vittoria nipponica. La sconfitta
della Russia, la prima di una potenza europea contro un paese asiatico, fu un'umiliazione
profondissima e determinò nel governo zarista la decisione di rafforzare e modernizzare l'esercito.
In questo contesto maturò anche un'alleanza militare con la Gran Bretagna, paese con il quale vi
era stata una forte ostilità sino a quel momento. Fu così che nel 1907 nacque la Triplice intesa fra
Russia, Francia e Gran Bretagna, che si contrapponeva alla Triplice alleanza.

MAROCCO
Verso la fine del XIX secolo, la Francia si mostrò sempre più propensa a contrastare la crescente
influenza spagnola in Marocco, Stato formalmente indipendente. La Germania di Guglielmo II
decise di intervenire appoggiando il sultano nell’atto di impedire che, con la conquista del Marocco,
la Francia estendesse i suoi domini coloniali su tutta l’Africa nord-occidentale (che conduce con
l’approvazione della Gran Bretagna). La controversia tra Francia e Germania dà luogo a due crisi,
cosiddette crisi marocchine (prima – 1905, seconda – 1911). Le trattative tra Germania e Francia si
concludono con la rinuncia da parte della Germania, in cambio di una parte del Congo francese.
→ Marocco diventa protettorato francese

18
IMPERO OTTOMANO
L’impero ottomano passa una fase molto critica, data da continue tensioni esterne ed interne.
Anche il governo di Istanbul era impegnato a contrastare alcuni movimenti indipendentisti e
separatisti, animate dalle nazionalità che vivevano all’interno del vastissimo Impero. In particolare
in Macedonia vi sono movimenti che puntano rispettivamente all’annessione con la Bulgaria o con
la Grecia.
Ma i nemici non si annidavano soltanto fra le etnie non turche: nel 1902 si riunì a Parigi il Primo
congresso dei Giovani Turchi, un gruppo di oppositori al regime del sultano, patrioti di tendenze
liberali. Un personaggio importante di questo movimento è Mustafa Kemal, che fonderà lo Stato
turco (Repubblica turca) nel 1923, e attuerà numerose riforme “moderne” (es. possibilità per le
donne di non indossare il velo). Anche qui Francia e Inghilterra fomentano una rivolta contro il
sultano.
Dopo un attentato e numerosi ammutinamenti, alla fine con un colpo di Stato i Giovani Turchi
destituirono nel 1909 il sovrano Abdul Hamid II, sostituendolo con un altro di solo potere
nominale (ciò rende l’Impero molto debole, e di questa debolezza approfitta l’Italia che riesce a
sottrargli Libia e Dodecaneso nel 1911).

Negli stessi anni Grecia, Serbia, Montenegro e Bulgaria (protettorato ottomano) – incoraggiate
dalla Russia – strinsero un’alleanza antiottomana, la Lega balcanica. Scoppiò così la Prima guerra
balcanica (1912-1913) in cui l’impero sconfitto fu costretto a cedere tutti i suoi territori europei a
eccezione di Istanbul.
L’area dei Balcani è particolarmente instabile, in quanto anche qui le potenze europee sobillano le
popolazioni a rendersi indipendenti (potendo così entrare nella loro sfera di influenza).
La Seconda guerra balcanica vede Serbia, Montenegro e Grecia contro la Bulgaria, in quanto
quest’ultima punta ad annettere la Macedonia (ambita da tutte), ma viene sconfitta.
Nel 1914 venne riconosciuto un nuovo Stato balcanico: l’Albania (ambita dalla Serbia poiché voleva
avere uno sbocco sul mar Mediterraneo).

CINA:
Alla fine del XIX secolo il colonialismo europeo si era esteso su buona parte del mondo ed era
sempre + aggressivo. In Asia, però, si trovò di fronte un ostacolo: la Cina. Questa non era soltanto
un paese immenso ma anche un impero unitario, governato dal 1644 dalla dinastia Qing (o
Manciù) che aveva sostituito la dinastia Ming. Tuttavia tra la fine dell’800 e ‘900 l’impero era
molto indebolito e vedeva tentativi di conquista di città e porti principali da parte delle potenze
europee. L’imperatrice, lasciva, permetteva loro di occupare militarmente e di sfruttare le ricchezze
del territorio per mezzo di concessioni.
In Cina gli occidentali erano considerati dei barbari e c’era una diffusa ostilità nei loro confronti →
sentimento di umiliazione e di odio verso l’occupante straniero.
L’avversione verso gli europei trovò sfogo nel 1898 nella rivolta detta dei Boxer, una società segreta
e xenofoba che sollevò il popolo incitandolo a massacrare tutti gli stranieri presenti sul territorio
cinese. Nel 1900 i Boxer assaltano il quartiere di Pechino, dove vivevano i diplomatici stranieri. A
quel punto le potenze colonialiste organizzarono una forza di spedizione multinazionale che sbarcò
in Cina e conquistò Pechino. La spedizione si concluse con una brutale rappresaglia contro la
popolazione e la firma di un trattato che prevedeva il pagamento di indennità altissime e altrettante
concessioni.

19
La dinastia Qing, ormai screditata per l’atteggiamento arrendevole mostrato di fronte alle
ingerenze degli stranieri, fu rovesciata da una rivolta popolare.
Nel 1912 nasce la Repubblica popolare cinese di Sun Yat-sen, che intendeva modernizzare
il paese attraverso riforme radicali, tuttavia viene estromesso da un ex-membro della corte
imperiale che instaurò una dittatura militare sostenuta dalle potenze europee.
→ I presidenti successivi saranno filo-europei.
Golpe: sovvertimento del regime ad opera militare

GIAPPONE
SITUAZIONE PRECEDENTE AL ‘900: Il paese aveva sempre avuto una struttura gerarchica del
potere, che vedeva al vertice l’imperatore e in basso i “daimio”, i signori feudali, e gli “shogun”, che
agivano da intermediari tra i due. Nel 1600 il Giappone, poiché risultava diviso in tanti feudi, ancora
non aveva una propria identità. Tuttavia Tokugawa ridimensiona il potere dei “daimio” sotto il potere
dell’imperatore, il quale per ringraziarlo, gli dà la possibilità di inaugurare una dinastia.
→ inizia lo Shogunato, che si concluse nel 1852 con Mutsuhito, che avvia una restaurazione e
modernizza il Giappone trasformandolo in una potenza industriale e militare, sul modello
occidentale: emana una Costituzione nel 1889 (che però non intacca l’autorità suprema
dell’imperatore), abolisce i vecchi vincoli feudali e li sostituisce con un sistema amministrativo simile
a quello dei paesi occidentali, riforma l’esercito e la marina, riorganizza il sistema giudiziario,
istituisce una banca nazionale e adotta una moneta comune, lo yen.
Come nel resto d’Europa, si affermò un’ideologia imperialista, fondata sul militarismo, il
nazionalismo e il razzismo e prese piede il progetto di imporre il dominio del Giappone su tutta
l’Asia.
Dopo la Corea, il Giappone rivolse le sue mire espansionistiche verso la Manciuria, già sotto il
controllo dell’Impero russo. Nel 1904 scoppiò la Guerra russo-giapponese. I russi subirono due
terribili disfatte nella battaglia di Mudken e nella battaglia di Tsushima. Nel 1905 fu stipulata la
pace di Portsmouth, con cui al Giappone veniva riconosciuto il protettorato sulla Corea.

STATI UNITI
Dopo la fine della guerra civile (1861-1865) gli Stati Uniti conobbero un massiccio incremento
demografico, dovuto al fatto che molti sceglievano di lasciare l’Europa per gli Stati Uniti.
Negli stessi anni gli Stati Uniti si accingevano a diventare una grande potenza economica.
L’economia statunitense si rafforzò in tutti i settori, tanto in quello agricolo quanto in quello
industriale. Furono inoltre fatti ingenti investimenti sulle infrastrutture, che permisero la
costruzione di una rete ferroviaria che rese possibile un più veloce trasporto delle merci in ogni
parte del paese. Lo sviluppo economico e infrastrutturale favorì la formazione di un grande
mercato interno.
Nel sistema produttivo statunitense si indebolirono le piccole medie imprese e si affermarono le
grandi corporations (compagnie), che detenevano il monopolio di settori strategici come quello
dell’acciaio e del petrolio (di cui gli USA erano ricchi). Tuttavia i governi videro nei monopoli un
freno allo sviluppo del mercato nazionale, tanto da introdurre norme antitrust (es. Sherman Act -
1890, fortemente impiegata da Roosevelt e Taft). Sotto la presidenza di Taft venne smantellata la
Standard Oil del petroliero Rockefeller, che attraverso la formazione di un ampio monopolio era
giunta a controllare buona parte del mercato petrolifero statunitense.
A cavallo tra 800 e 900 muta la politica estera statunitense, fino a quel momento di linea
isolazionistica, ovvero disinteressata nei confronti delle dinamiche europee. Primo fattore che
determinò questa decisione fu la necessità di trovare nuovi mercati, a causa della crescente
competitività commerciale con gli stati europei. Si decise di non intraprendere iniziative di tipo
coloniale ma di creare zone di influenza in paesi considerati vitali per la sicurezza e il commercio

20
nazionali, facendo in modo che dipendessero dalla politica economica o militare statunitense, pur
mantenendo l’indipendenza politica e un proprio governo.
Interprete di questa diversa forma di imperialismo fu Roosevelt che sosteneva il diritto del suo
paese di intervenire nel continente americano, quando necessario, considerando le Americhe alla
stregua di un protettorato statunitense. Questa dottrina prende il nome di “corollario Roosevelt”.
La prima dimostrazione del nuovo orientamento fu la Guerra ispano-americana, con cui gli
statunitensi impongono la loro influenza su Cuba (“il giardino di casa”).
Dal 1895 i cubani, guidati dall’intellettuale José Martí, erano in rivolta contro il governo spagnolo
(Cuba era una colonia della Spagna). Nel 1898 gli Stati Uniti intervennero a sostegno di Cuba,
dichiarando guerra alla Spagna, che venne duramente sconfitta. Cuba ottiene l’indipendenza pur
rimanendo sotto l’influenza statunitense.
Finiscono sotto la dominazione statunitense anche Portorico, le Filippine e le Hawaii (qui iniziano i
lavori per la costruzione del porto di Pearl Harbor).
Gli Stati Uniti presentarono un nuovo progetto per la costruzione di un canale che attraversasse
l’Isto di Panama, passaggio essenziale per agevolare i commerci da Oceano Atlantico all’oceano
Pacifico. Inizialmente il governo colombiano accettò il progetto, ma in seguito tornò sui suoi passi.
Gli Stati uniti fomentarono allora una rivolta dei panamensi contro il governo, offrendo loro
sostegno militare, finché nel 1903, Panama ottenne l’indipendenza dalla Colombia e finì sotto la
sfera d’influenza statunitense. Il canale di Panama venne completato nel 1914.
→ colonialismo americano = controllo indiretto
Negli Stati Uniti troviamo il movimento conservatore porterà all’introduzione del proibizionismo e
protezionismo.

L’AMERICA LATINA E LA RIVOLUZIONE MESSICANA


Tra la fine dell’800 e inizio del ‘900 il Sudamerica divenne meta di massicci flussi migratori, che
determinarono un deciso incremento demografico e la formazione di grandi centri urbani. Data la
crescente industrializzazione in Europa, aumentò la domanda di prodotti e materie prime, come
zucchero, caffè e cacao, e questo incentivò il sistema della monocoltura. A lungo andare però,
l’aumento delle esportazioni rese le economie sudamericane dipendenti da quelle
straniere/europee.
Nella maggior parte dei paesi dell’America latina vi erano regimi oligarchici, espressione del potere
dei latifondisti; alle masse era impedita la partecipazione alla vita politica.
All’inizio del ‘900 il Messico tentò di emanciparsi da questo sistema oligarchico-militare. Al tempo
la repubblica messicana era guidata da Diaz. Nel paese gli squilibri sociali erano molto forti poiché
mentre quasi tutti i contadini erano braccianti che non possedevano terre da lavorare, pochissimi
latifondisti possedevano la quasi totalità delle aree coltivate. Diaz aveva inoltre aperto il paese ai
britannici e statunitensi dando loro la possibilità di sfruttarne le grandi ricchezze. Nel 1910 il
malcontento divenne tale da innescare una rivoluzione, che vide sia i borghesi-liberali guidati da
Madero, sia i contadini guidati da Pancho Villa e Zapata, chiedere una redistribuzione più equa
delle terre. Madero divenne il nuovo presidente del Messico, ma venne destituito e assassinato da
Huerta con il sostegno sia dei conservatori, sia degli Stati Uniti, che non volevano rinunciare alle
concessioni economiche ottenute negli anni precedenti sui pozzi petroliferi e sulle miniere
messicane.
Ne derivò una sanguinosa guerra civile tra i conservatori, i progressisti liberali, guidati da Carranza
e Obregón, e i guerriglieri contadini di Zapata e Villa. La guerra si concluse ne 1921 e il nuovo
presidente divenne Obregón.
N.B. L’esercito zapatista era composto da indios.

21

Potrebbero piacerti anche