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Guglielmo Carchedi (Università di Amsterdam), Nancy Fraser (The New School, New
York), Marco Clementi (Università della Calabria), Vladimiro Giacché (presidente del
Centro Europa Ricerche), Collettivo Ippolita, Manolo Monereo (deputato di Podemos),
Pier Paolo Poggio (direttore della Fondazione Luigi Micheletti), Onofrio Romano
(Università di Bari), Alessandro Somma (Università di Ferrara), Wolfgang Streeck
(Università di Colonia)
Andrea Zhok
5. Genealogia dell’individualità
Che lo sviluppo delle società occidentali abbia fatto posto precocemente
per un peculiare riconoscimento della dignità individuale è stato rilevato
innumerevoli volte. Ne erano consapevoli i Greci dell’Atene periclea,
quando contrapponevano la democrazia greca alle autocrazie orientali, e
ne era consapevole Hegel due millenni più tardi, quando caratterizzava il
mondo moderno, “cristiano-germanico”, come mondo in cui, idealmente,
“tutti sono liberi”, in opposizione alle oligarchie prevalenti nell’antichità
classica e ai dispotismi del mondo orientale.
Quali siano le ragioni di questa peculiarità è oggetto di molteplici analisi
e speculazioni, di cui non daremo qui conto19. Ci limitiamo a proporre
senz’altro la chiave di lettura che ci sembra più convincente, e che
abbiamo preso in considerazione in lavori precedenti. Si tratta di una
chiave di lettura che, diversamente da altre interpretazioni disponibili,
non ricerca come origine una qualche accidentale “decisione culturale”
(ad esempio l’idea del valore dell’anima individuale nel cristianesimo), ma
si concentra sulla costituzione cognitiva dell’individuo.
Ora, l’emergere di una visione che riconosce autonomia e piena dignità a
individui concepibili in modo indipendente dalla loro comunità di
riferimento è un processo storicamente cruciale, associato con la storia
culturale europea. Troviamo una fase ascendente di questa legittimazione
dell’individualità nella Grecia classica e nel mondo romano, una sua
ritrazione con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’imporsi
dell’ordinamento feudale, un suo riemergere con l’Umanesimo e il
Rinascimento, e un’ulteriore accelerazione dal XVIII secolo a oggi.
Per comprendere come si sia potuto con gurare questo consolidamento
della dimensione individuale, che a noi oggi appare come un’ovvietà
pressoché indegna di spiegazione, bisogna innanzitutto chiedersi come si
costituisce un individuo in senso antropologico primario. Ciascun soggetto
diviene un individuo nel momento in cui diviene un soggetto ri ettente,
cioè un soggetto consapevole di sé e della propria distinzione dal mondo
circostante e dagli altri. La soggettività capace di ri essione consiste, dal
punto di vista dei suoi “contenuti di pensiero”, di forme dialogiche comuni
introiettate. Il soggetto individuale viene cioè alla luce come dialogo
interiore (il “dialogo muto dell’anima con se stessa”) e può sviluppare tale
facoltà interiore solo in stretta contiguità con altri parlanti del proprio
intorno. In assenza di un apprendimento del linguaggio non si ha accesso
alle facoltà ri essive. Con l’apprendimento del linguaggio un soggetto si
appropria di una concettualità e anche dello spettro di ragioni che sono
legittimate all’uso nel proprio ambiente20.
Fatta questa premessa proviamo a immaginare come poteva esprimersi
un’esistenza individuale in un qualunque contesto “arcaico”, ad esempio
nelle città greche del periodo omerico. In queste realtà urbane, e a
maggior ragione in realtà minori come i villaggi rurali, ogni individuo
poteva esistere come tale nella sola dimensione del riconoscimento
personale di prossimità, ovvero in quanto le sue parole e azioni erano
rispecchiate e giudicate dal proprio intorno sociale. In questa situazione,
af ne a quella che noi tutti esperiamo nell’infanzia, lo spazio
dell’individualità è in primo luogo quello delle esigenze e dei bisogni
corporei, e in seconda istanza quello dell’approvazione o disapprovazione
di chi ci sta attorno.
Questo non signi ca che il soggetto ri ettente sia un mero “specchio”
del proprio intorno sociale. Non lo è per due ragioni di fondo: in primo
luogo perché il linguaggio, appreso dal contesto prossimale, non è un
“meccanismo” che detta il pensiero. Il fatto che la “materia prima”
intorno a cui si costituisce la soggettività autoreferenziale (l’individuo) sia
il linguaggio non signi ca che un individuo pensi “quello che gli detta il
linguaggio”: il linguaggio è un ordinamento produttivo, “poietico”,
capace di generare il nuovo incardinandosi nell’esperienza prelinguistica.
In secondo luogo, la speci cità organica di ciascun individuo biologico
fornisce proprie peculiari spinte teliche, spinte a interessi e passioni
proprie. Dunque anche in un contesto intersoggettivo arcaico, in una
cultura orale e prossimale, una forma di individualità già sempre esiste:
esiste una soggettività che ha proprie esigenze e che può elaborare idee
ulteriori rispetto a quelle ricevute in formazione.
Tuttavia sotto quelle condizioni storiche lo spazio che de nisce i limiti
dell’individualità personale è e resta quello del riconoscimento altrui, e in
una dimensione di esperienza orale questo spazio di riconoscimento è
quello della vicinanza spaziale e temporale. Esigenze personali ed
eventuali idee nuove hanno una possibilità reale di concretizzarsi soltanto
nel momento in cui vengono riconosciute e approvate dal gruppo sociale
di riferimento. Esigenze percepite come attualmente “irragionevoli”, o
idee incomprensibili o riprovevoli per i propri riconoscitori personali non
possono consolidarsi in comportamenti, non possono essere sostenute,
condivise, trasmesse. Questo signi ca che, per quanto l’individuo abbia
sempre un’autonomia dal gruppo, in un contesto arcaico esso non può
mai discostarsene in modo netto, giacché da esso dipende la sua esistenza
morale e materiale come individuo. Questa condizione di “comunitarismo
strutturale” ha caratterizzato la stragrande parte della storia dell’Homo
sapiens.
5.1 La mente alfabetizzata
Tra il VI e il V secolo nella penisola ellenica, in Asia Minore e nelle isole
greche comincia a maturare quella straordinaria ef orescenza culturale da
cui trae ancor oggi linfa la cultura europea, e mondiale. Questa svolta
accade in concomitanza con il diffondersi della prima forma di scrittura
alfabetica pura. Sarebbe sciocco attribuire senz’altro a questa nuova
tecnica di scrittura l’esplosione del genio greco, tuttavia non è neppure
possibile sottovalutare l’impatto avuto da questa invenzione. L’alfabeto
greco, infatti, ha alcune caratteristiche inedite nella storia. Come osservato
dagli studiosi “oralisti” (Eric Havelock21, Walter Ong22, Jack Goody23)
l’ingresso dell’alfabeto nel novero delle pratiche comunicative rappresenta
una rivoluzione nella costituzione stessa delle “menti” di coloro i quali ne
fanno uso. La scrittura alfabetica, infatti, diversamente dalle scritture
logogra che (ideogrammi, gerogli ci) o sillabiche (hiragana e katakana
giapponesi, lineare B micenea) combina economicità e essibilità.
L’alfabeto è molto più facile da apprendere rispetto alle scritture
logogra che, dove una buona competenza richiede l’apprendimento di
migliaia di segni, e anche rispetto ai sillabari, che richiedono più di cento
segni, peraltro di solito integrati con logogrammi. Inoltre l’alfabeto è
particolarmente essibile, in quanto consente di registrare espressioni
verbali nuove (neologismi) e con ciò concetti nuovi. Nel caso dei
logogrammi l’introduzione di espressioni nuove richiede invece qualcosa
di simile a una riforma della lingua e non può avvenire dunque per
iniziativa “dal basso”, ma richiede un accordo uf ciale, l’istituzione di una
nuova convenzione. Un caso prossimo a quello alfabetico, anche se non
pienamente sovrapponibile, è quello degli “alfasillabari”, come la
devanagari indiana e, in altra forma, il cosiddetto “alfabeto aramaico”
(discendente da quello fenicio). In questi casi ci si ritrova ad aver a che
fare con un numero contenuto di segni, non diversamente dall’alfabeto
greco, ma di fatto questi sistemi di scrittura non rappresentano singoli
“atomi sonori” come l’alfabeto, ma sillabe sui generis24. Ciò rende, di
fatto, queste scritture interpretabili solo con l’uso di una pluralità di
espedienti disambiguanti, come segni diacritici e/o con una precedente
conoscenza del contesto in cui il testo compare. Si tratta dunque di forme
di scrittura piuttosto essibili (capaci di registrare novità), ma di
apprendimento assai più complesso rispetto all’alfabeto greco.
Le peculiari caratteristiche di essibilità ed economicità dell’alfabeto
greco da un lato ne resero l’uso comparativamente molto più accessibile
(il suo apprendimento non richiedeva una “specializzazione
intellettuale”), e dall’altro esso era capace di registrare e trasmettere a un
lettore distante (nel tempo o nello spazio) eventuali innovazioni
semantiche, espressive, speculative. Questa combinazione di “accessibilità
democratica” e “ essibilità semantica” consente un fondamentale
spostamento nella sfera di riconoscimento interpersonale, e dunque nella
percezione dell’individualità propria e altrui. Il pensiero in qualunque sua
forma, da quella quotidiana a quella poetica, da quella loso ca a quella
tecnica, ora non ha più bisogno per “avere realtà” di ricevere l’immediato
riconoscimento del proprio intorno sociale. Ora diviene concretamente
possibile registrare il nuovo e anche l’eccentrico, il controintuitivo, il
complesso, con dando nella possibilità che, anche se esso non verrà
immediatamente assimilato, potrà comunque essere assimilato in seguito.
Non solo, diviene possibile anche per il soggetto solitario confrontarsi nel
tempo con se stesso, con le proprie idee passate, senza dover passare
subito attraverso l’apprensione e interpretazione altrui.
Sul piano dello sviluppo e del riconoscimento dell’individualità, ciò
signi ca che ora la componente di innovazione e iniziativa individuale
acquisisce margini di autonomia straordinari. Anche l’individuo
relativamente isolato, relativamente minoritario, relativamente eterodosso
può diventare portatore di valore sociale. In un certo modo la vicenda
della condanna di Socrate appare come l’emblema di questa
trasformazione. Socrate, portatore di forme di pensiero innovativo ed
eterodosso, entra in collisione con il senso comune del periodo e con le
autorità che lo custodiscono tradizionalmente. Ciò gli costa la condanna
come “corruttore dei giovani”, condanna che in epoche passate gli
sarebbe valsa l’oblio, ma che ora, grazie alla scrittura del suo allievo
Platone, diviene la mossa inaugurale di una nuova epoca. Socrate, il
pensatore che conosce la scrittura, ma che non lascia nulla di scritto,
diviene il “santo protettore” del pensiero critico nei millenni a venire.
Qui è importante notare come l’esistenza di una “tecnica esteriore”
come la scrittura alfabetica permetta alla mente individuale di rimodulare
le proprie potenzialità non solo cognitive, ma anche etiche e politiche.
Diviene possibile costruire nel tempo, e per progressi registrabili, un
pensiero complesso o una visione non ovvia, e quest’operazione può
essere svolta da un singolo individuo che ritorna sui propri pensieri. Il
dissenso momentaneo ora non implica né censura, né discredito, perché si
moltiplicano esempi di giudizi che si consolidano e mutano nel tempo:
possibilità data esclusivamente dalla capacità della scrittura di registrare e
rielaborare il medesimo contenuto in tempi diversi. Ciò nisce per
incidere sul modo in cui pesano i giudizi su soggetti estranei: il fatto che al
momento presente io, o il mio gruppo, non comprenda le ragioni altrui
non signi ca immediatamente che le ragioni altrui siano squali cate. Si
impara (gradualmente) a sospendere il giudizio su ciò che in prima istanza
non si comprende. Questa mediazione nel giudizio esprime le condizioni
di possibilità di ciò che poi sarà la “tolleranza” liberale.
5.2 L’accelerazione moderna
Il ruolo giocato dalla scrittura alfabetica greca nel favorire l’esplosione
culturale della Grecia classica è facilmente comprensibile. Che le
speci cità di tale esplosione non siano semplicemente dettate dalla
disponibilità dell’alfabeto è parimenti chiaro: basti pensare a quali effetti
culturali differenti ebbe l’ingresso dell’alfabeto in altri contesti storici.
Anche guardando al solo mondo latino, si osserva come la creatività
culturale di Roma, dopo l’accesso alla scrittura alfabetica, si concentrò sul
diritto e, in parte, sulla letteratura, limitandosi a importare i modelli greci
in altri campi.
Tuttavia le forme di produzione e riproduzione della conoscenza scritta
rimasero legate alla pratica artigianale della scrittura su pergamena, papiro
o cera. Per questo motivo, con la crisi dell’organizzazione statale romana e
il conseguente rarefarsi dei mezzi sici per l’esercizio della scrittura, la
pratica della scrittura alfabetica regredì a una dimensione marginale,
coltivata prevalentemente dai chierici, nel contesto protetto di monasteri e
abbazie. Con essa regredì anche la legittimazione sociale dell’autonomia
individuale, che nel millennio medievale ripresenta stilemi arcaici.
Con il progressivo consolidarsi della realtà urbana, in particolare in
Italia, nel basso Medioevo, anche i margini di espressione della libertà
individuale riprendono a crescere. Per quanto alcune celebrazioni
dell’“individualismo” rinascimentale, come La civiltà del Rinascimento in
Italia di Jacob Burckhardt, siano oggi riconosciute più come narrazioni
suggestive che come disamine pienamente af dabili, tuttavia è vero che
l’uscita della cultura scritta dall’ambito ecclesiastico si riverberò in una
nuova legittimazione dell’iniziativa individuale.
L’accelerazione decisiva di questo processo avvenne tuttavia con
l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johannes
Gutenberg, nel 1455. L’unione della essibilità della scrittura alfabetica
con il nuovo processo di stampa seriale produsse un balzo decisivo nel
potere diffusivo della cultura scritta. È appena il caso di menzionare
l’impatto straordinario che avrà la stampa sulla capacità di trasmettere
fedelmente e cumulare la conoscenza: non soltanto rapidità e precisione
delle riproduzioni aumentano in modo esponenziale, ma l’abbinamento
nella stampa della scrittura alfabetica e di mappe, piante, disegni tecnici
produce un salto di qualità di cui la nascente scienza moderna si gioverà
in modo rimarchevole25.
Tuttavia la svolta più profonda e ricca di implicazioni per gli sviluppi
della ragione liberale non avverrà in Italia, bensì nel Nord Europa. La
Riforma protestante, la cui data convenzionale di nascita è il 1517, con
l’af ssione delle 95 tesi di Lutero, creerà il terreno per una visione
complessiva del mondo e dell’umanità in cui l’irriducibilità della coscienza
individuale si troverà in un’inedita posizione centrale. Il nesso tra nascita
del Protestantesimo e disponibilità della scrittura è noto e cruciale. Nel
Protestantesimo due fattori giocarono un ruolo formativo fondamentale
per le popolazioni che vi aderirono: la lettura ed esegesi diretta dei testi
sacri, e il ri uto dell’intermediazione ecclesiastica rispetto a questioni
soteriologiche (salvezza dell’anima individuale). Porre al centro di una
dottrina rivolta al popolo nella sua interezza la lettura diretta della Bibbia
è qualcosa che non sarebbe stato neppure concepibile senza una scrittura
facilmente accessibile, e senza la diffusione testuale di cui era capace la
stampa. Ora il singolo individuo, nel suo foro interiore, e in un confronto
diretto con la “voce di Dio” che gli parla attraverso una pagina scritta, è
chiamato a de nire i giudizi terreni di bene e male, giusto e ingiusto.
Questo spostamento ha due implicazioni di lungo periodo.
Da un lato esso contribuirà alla creazione di quell’etica protestante che
Weber rintraccerà alle origini dello “spirito del capitalismo”26. La lettura
weberiana di questo nesso notoriamente si focalizza sul fatto che una
speci ca componente protestante, quella calvinista, vedeva nel successo
economico il segno tangibile della benevolenza divina (della “grazia”).
Senza sottovalutare questo nesso, è però forse più utile sottolineare un
secondo aspetto. La visione protestante operava come “correttivo” etico
rispetto a un individualismo economico che non aveva bisogno di
particolari spinte religiose per mettersi in moto. La prospettiva
protestante toglieva di mezzo il giudizio ecclesiastico come fattore di
condizionamento morale dell’iniziativa individuale e al tempo stesso
creava le condizioni per un “individualismo timorato di Dio”, cioè per un
individualismo che “si fa degli scrupoli” e che fa resistenza
all’immoralismo spesso connesso alla liberazione di istanze puramente
individualistiche. In sostanza la visione protestante crea un terreno dove
l’iniziativa individuale non può essere censurata da terzi (e in questo senso
è autonoma), ma dove essa al contempo ha un solido senso religioso del
bene e del male (è morale). La combinazione di questi due fattori sarà
decisiva nel costruire il retroterra sociale della Rivoluzione industriale
inglese.
La seconda implicazione dell’innovazione teologica protestante consiste
nella creazione di un nuovo spazio per la dignità dell’individuo. Se è vero
che già nel cristianesimo preluterano (e nell’ebraismo) le sorti dell’anima
individuale erano al centro dell’interesse religioso, nella prospettiva
protestante l’anima individuale viene letteralmente innalzata senza
mediazioni al cospetto di Dio. La mossa di Lutero di neutralizzare
l’autorità delle gerarchie ecclesiastiche, mettendo l’individuo e Dio in un
ideale contatto diretto, ha come implicazione collaterale quella di rendere
concepibile l’isolamento etico dell’individuo dalla sua comunità. Questo
passaggio giocherà un ruolo fondamentale nella nascita del pensiero
liberale proprio nell’Inghilterra e nella Scozia protestanti.
5.3 La mente individuale e i suoi limiti
Il quadro sommariamente delineato da queste considerazioni
genealogiche mira a mostrare due cose. Da un lato bisogna tener fermo
che l’individualità è e non può che rimanere strutturalmente una funzione
intersoggettiva. L’individuo non è il singolo corpo individuale in un certo
spazio-tempo. Questo può essere un concetto di individualità valido per
una de nizione degli oggetti sici, ma l’individualità personale è una
funzione relazionale che dipende dal riconoscimento altrui. Ne dipende
quanto alla genesi, giacché l’autocoscienza ri essiva emerge solo a partire
dall’ingresso nella sfera del linguaggio comune. E ne dipende quanto alla
persistenza nel tempo, giacché il soggetto ri ettente viene orientato nelle
sue scelte dal gioco, immediato o mediato, dei riconoscimenti
intersoggettivi. Concepire il soggetto individuale come un atomo isolato è
una nzione falsa persino nei casi più gravi di disturbo della personalità27.
Che la soggettività individuale abbia un’esistenza ineludibilmente
relazionale non signi ca, naturalmente, che la sfera intersoggettiva sia una
sfera di “buoni sentimenti”. Ciascun individuo è condizionato e mosso
tanto dall’amore e dall’empatia che dall’ambizione, dall’emulazione, dalla
vanità, dalla gelosia, dalla vergogna ecc. Non si tratta qui di de nire una
natura umana buona o malvagia, ma semplicemente di comprendere come
ciascuna persona individuale esista come nodo relazionale mobile, non
come atomo. In ciascun individuo esiste una sfera desiderativa radicata
nella speci ca realtà biologica di quel corpo individuale, che la rende
irriducibile a ogni altra persona individuale; tuttavia questo radicamento
corporeo viene tradotto sin dai primi mesi di vita in un sistema di ragioni
e motivazioni intersoggettivamente valide. Dunque, la dimensione
individuale, pur non essendo mai riassorbibile integralmente in una
dimensione collettiva, non può nemmeno mai distaccarsene del tutto.
A partire da queste premesse si comprende come operi l’adozione di
una pratica di scrittura capace di registrare e rispecchiare il pensiero
verbale. Si tratta di un passaggio che amplia enormemente i nessi di
riconoscimento, allontanando nel tempo e nello spazio i “riconoscitori”
che de niscono ciascuna persona come l’individuo che è. Al posto
dell’interazione dialogica immediata possiamo trovare operazioni come la
lettura di un romanzo, dove ciascun soggetto viene in contatto con
frammenti signi cativi di una personalità altrui, e interagendo con essi
modula le proprie credenze e aspettative. Al contempo il lettore si
concepisce come “scrittore ideale”, come qualcuno che può lasciare dei
segni, con dando nella loro permanenza e disponibilità per altre
coscienze a venire.
Per molti secoli la scrittura alfabetica ha rappresentato l’unica forma di
rappresentazione materiale del pensiero personale, anche se in tempi
recenti abbiamo moltiplicato le forme di mediazione attraverso media
digitali che consentono combinazioni espressive multimediali. Tuttavia è
abbastanza chiaro come la comunicazione scritta rimanga centrale e
inaggirabile, per quanto integrabile con immagini, lmati ecc.
Sintetizzando, si può dire che la disponibilità della scrittura alfabetica (e
poi di altre scritture fonetiche) abbia portato alla luce una forma di
individualità che diviene capace di conservare un’identità stabile con una
riduzione drastica dei contatti personali immediati. Gli spazi di
indipendenza e autonomia delle istanze dell’individuo si sono perciò
ampliati in modo peculiare. L’individualità che viene così al mondo non è
stata “creata” dal nulla dalla disponibilità della scrittura. Tuttavia non è
neppure corretto dire che essa “esisteva da sempre” e che era, per così
dire, semplicemente in attesa di un’occasione per venire alla luce. La
scrittura consente l’espressione di istanze individuali preesistenti, e crea
poi una retroazione che aumenta la mutua irriducibilità degli individui.
Così, il divario tra retroterra culturali, anche tra parlanti di una stessa
lingua in una medesima area geogra ca, è immensamente più ampio tra
lettori piuttosto che tra menti abituate alla sola oralità: le esperienze
accessibili a due lettori separati, per quanto geogra camente e
linguisticamente prossimi, sono molto più varie e numerose di quelle
accessibili a due soggettività orali geogra camente e linguisticamente
prossime.
La mente alfabetizzata si diffonde in quanto consente al soggetto un
accesso potenziato all’esperienza, accesso che si converte in una potenziale
superiorità cognitiva. Collateralmente a questo aumento comparativo di
potere dell’individuo si veri ca una crescita della sua autonomia mentale,
che dunque cerca riconoscimento come mente autonoma, cioè cerca
maggiore libertà. Questa tendenza, si consoliderà sul piano teorico nel
dispiegarsi storico del pensiero liberale.
8. La grande convergenza
Alle origini del capitalismo troviamo una sinergia storica peculiare tra
uno Stato solido e capace di imporre le proprie leggi, una nuova
legittimazione dell’iniziativa individuale, un ef ciente funzionamento della
pratica monetaria e un incremento tecnoscienti co delle capacità
produttive. Sull’origine dello Stato ci soffermeremo più avanti, trattandosi
di un’istituzione che non è peculiare dello speci co sviluppo capitalistico.
Nei capitoli precedenti abbiamo invece tentato un resoconto genealogico
degli altri tre fattori.
Queste tre genealogie mirano a portare alla luce le linee motivazionali
profonde, storiche e antropologiche, che tra il XVII e il XVIII secolo
convergono nell’emergere del capitalismo e nel costituirsi della “ragione
liberale”. Come abbiamo notato, in tutte e tre queste genealogie il
momento che fa da catalizzatore dell’intero processo è dato dalla
possibilità di rappresentare alcune relazioni in forma scritta, cioè
ssandole in modo da poter sussistere anche in assenza di un soggetto che
attualmente le “tenga in mente”. Poter trascrivere il pensiero e l’originalità
individuale (alfabeto), poter riprodurre e sviluppare relazioni quantitative
a prescindere dalle realtà quanti cate (scrittura numerica), e poter
registrare giudizi di valore economico soggettivo (denaro) sono tre
pratiche che consentono di incrementare l’ordine di grandezza di alcuni
effetti, creando pratiche sociali nuove. È importante vedere come queste
tre forme di “scrittura” (alfabetica, numerica, monetaria) non creino dal
nulla pulsioni o interessi, ma consentano ad alcuni di essi di svilupparsi in
modo incommensurabilmente superiore a prima. L’implementazione di
nuove pratiche sociali produce a sua volta radicali trasformazioni nelle
aspettative, nei discorsi, e anche nei “valori”, se con ciò intendiamo le
istanziazioni concrete di ciò che ha valore.
Ciascun soggetto umano ha intrinsecamente una dimensione di relativa
indipendenza dal proprio intorno sociale, ma tale indipendenza diviene il
moderno “valore della libertà” solo sullo sfondo di quella trasformazione
delle aspettative sociali radicata nella pratica alfabetica. Parimenti la
pulsione alla conoscenza operativa e causale è sempre esistita, ma solo la
possibilità di registrare ri essioni e metodi, di calcolare esiti possibili e
misurare esiti reali trasforma quella pulsione nella “tecnoscienza”
moderna.
Ciò che accomuna tutti questi spostamenti è l’incremento di una
capacità di controllo, governo e dominio di sé e dell’ambiente, naturale e
sociale, circostante: quelle “scritture” ampli cano immensamente le
antecedenti facoltà di memoria, sintesi, analisi, comparazione, ri essione.
Quelle pratiche si impongono perché conferiscono a chi le adotta dei
poteri che li avvantaggiano rispetto a chi non le adotta.
Va subito rimarcato come l’ingresso di queste pratiche nella storia
umana non sia, sin dall’inizio, indolore, giacché esse creano alterazioni e
deformazioni nei precedenti equilibri. Il primo ingresso della “scrittura
monetaria” nel mondo mesopotamico, ad esempio, è associato a violente
crisi sociali, crisi epocali di indebitamento e schiavitù per debiti che
minacciano a più riprese l’esistenza di quella civiltà51. Similmente,
l’ingresso della scrittura alfabetica nel mondo greco crea il fenomeno dei
“falsi sapienti” (so sti) e incrina l’unità tradizionale della comunità greca,
richiamando perciò su di sé la celebre condanna da parte di Platone, nel
Fedro e nella VII lettera. Non c’è alcuna “armonia prestabilita” che
garantisca il carattere “progressivo” di tali innovazioni.
Tuttavia, insieme a nuovi problemi, la scrittura forniva anche nuovi
mezzi per risolverli. All’introduzione della scrittura alfabetica è certo
connessa la nascita della so stica; ma anche quella della loso a. Se da un
lato, come notava Platone, la scrittura rendeva i pensieri “privi di
padre”52, decontestualizzati, e dunque più facilmente soggetti a
fraintendimenti e strumentalizzazioni, dall’altro la scrittura stessa
permette di ritornare più volte sui medesimi testi, commentandoli e
chiarendoli logicamente.
Similmente, la scrittura provocava la disgregazione dell’in usso della
tradizione orale, che ora veniva sottoposta a critica e ri essione personale;
al contempo però la scrittura stessa creava le condizioni per una nuova
forma di tradizione, quella che oggi conosciamo come la Storia.
E parimenti la scrittura creava i mezzi per un maggiore
“individualismo”, ma anche quelli per un rafforzamento
dell’organizzazione centrale del potere (lo Stato) . Per quanto non ci fosse
53
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4 Aldo Barba, Massimo Pivetti, Il lavoro importato. Immigrazione, salari e Stato sociale
5 Nancy Fraser, Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi
6 Álvaro García Linera, Democrazia, Stato, Rivoluzione. Presente e futuro del socialismo del XXI
secolo
7 Mimmo Porcaro, I senza patria. La solitudine degli italiani in un mondo di nazioni