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STERNHELL
ISBN 9 7 8 - 8 8 - 6 0 7 3 - 0 6 0 - 2
www.bcdeditore.it
e-mail: info@bcdeditore.it
www.portalinus.it
9 788860 730602
SERVIZIO CLIENTI: numero unico 199 - 190822
Questo è un libro di storia delle idee. Tratta
della rivolta intellettuale contro l’ Illumini
smo e i suoi principi fondanti (la libertà indi
viduale, l’autonomia della ragione, il metodo
scientifico), così come si è sviluppata dal
XVIII secolo fino alla fine del X X . A partire
dalla Rivoluzione francese, Edmund Burke,
Joseph de Maistre e tutti i loro epigoni ro
mantici hanno contrapposto alla filosofia de
gli Enciclopedisti una concezione della vita e
della politica in cui quel che conta non è ciò
che rende gli uomini uguali ma ciò che li ren
de diversi: la storia, la cultura, la lingua, l’et
nia. Per duecento anni questa polemica non
si e mai sopita e anzi è stata alimentata da
nuovi autori e nuovi argomenti. Herder,
'Faine, Sorel, Spengler, Croce, Maurras, Ber
lin, per citarne alcuni, hanno criticato l’idea
di una ragione «astratta» opponendole una
visione «concreta» della vita, in base alla
quale l’individuo è sempre immerso in una
comunità e nella Storia. E partendo da
un’approfondita analisi di questi presupposti
che Sternhell ci dimostra come il nazionali
smo, la critica alla democrazia, il risorgere di
una religiosità militante siano il risultato non
di un movimento antimoderno, ma di una di
versa idea della modernità che ha radici lon
tane e con la quale dobbiamo fare i conti an
cora oggi.
Zeev Sternhell è uno dei maggiori storici del
pensiero politico moderno. Insegna all’Uni
versità ebraica di Gerusalemme. E autore di
opere fondamentali, che hanno fatto molto
discutere, sull’ideologia fascista e sul sionismo
(Nascita dell'ideologia fascista, Né destra né si
nistra, Nascita di Israele) tutti pubblicati da
BCE)edilore.
Di Zeev Sternhell
nel catalogo Baldini Castoldi Dalai editore
potete leggere:
Contro rilluminismo
Dal XVIII secolo alla guerra fredda
TRADUZIONE DI
Massimo Giuffredi e Haría La Fata,
Titolo originale:
«L e s anti-Lumières»
INTRODUZIONE.............................................................................................. 13
CAPITOLO 1
Lo scontro delle tradizioni...........................................................................57
CAPITOLO 2
Le fondamenta di un’altra modernità...................................................... 135
CAPITOLO 3
La rivolta contro la ragione e i diritti naturali....................................... 208
CAPITOLO 4
La cultura politica dei pregiudizi.............................................................. 276
CAPITOLO 5
La legge dell’ineguaglianza e la guerra alla democrazia........................ 331
CAPITOLO 6
I fondamenti intellettuali del nazionalismo............................................409
CAPITOLO 7
Crisi di civiltà, relativismo generalizzato e morte dei valori
universali all’inizio del X X secolo........................................ 464
CAPITOLO 8
G li antilluministi della guerra fredda..................................................... 548
EPILOGO .................................................!...................................................616
Uno studio come quello proposto in questo libro richiede che ci si de
dichi, all’interno di uno stesso quadro concettuale, a una grande varietà
di problemi, a prima vista molto diversi. Una simile impresa non è mai
facile; è anzi particolarmente ardua nel caso di cui ci occupiamo qui,
perché la contestazione dell’Illuminismo è un fenomeno complesso, dal
le molteplici stratificazioni e sfaccettature, e le sue ramificazioni, dalle
origini ai giorni nostri, sono numerose e spesso impreviste. Questa con
testazione permanente e allo stesso tempo in evoluzione ha finito con il
suscitare e alimentare una vera e propria cultura antilluministica, senza
la quale mi sembra difficile concepire il disastro del X X secolo.
La struttura dell’opera è analitica e non organizzata per autori, men
tre la cronologia, nell’insieme, viene rispettata, cosa che permette di co
gliere la dinamica dell’evoluzione delle idee. Nella mia analisi degli in
tellettuali antilluministi ho privilegiato le loro opere essenziali, quelle
che non hanno cessato di pesare sulla vita delle idee e attorno alle quali
si è andata costruendo tutta una cultura politica. Qualsiasi lettura della
storia è una scelta e un’interpretazione, è ovvio: nessuno vi sfugge, e al
tre scelte o altre interpretazioni diverse dalle mie sono altrettanto legit
time. Io ho cercato quindi di seguire i consigli di Hippolyte Taine a pro
posito di Thomas Carlyle: è proprio dello storico eliminare ogni forma
di «vegetazione parassita» che si accumula durante la ricerca per coglie
re solo «l’utile e solido legno».
Per quanto riguarda le fonti secondarie, nella mia scelta ho utilizza
to i lavori dal mio punto di vista più significativi, quelli che hanno sti
molato la mia riflessione, e non tutte le opere importanti che invece lo
avrebbero meritato, se il mio obiettivo fosse stato circoscritto soltanto a
una o due figure tra quelle che sono oggetto della mia ricerca.
Il lavoro per questo libro, si è prolungato per diversi anni in quattro
paesi; mi è dunque capitato di leggere una stessa opera in due o tre edi-
9
Premessa
zioni differenti, a volte anche in lingue differenti. Ho fatto del mio me
glio per unificare le citazioni, ma questo non è stato sempre possibile.
Comunque fornisco sempre i riferimenti completi di un’opera quando è
citata per la prima volta, ma quando un riferimento è troppo distante dal
punto in cui è apparso la prima volta i dati bibliografici compaiono di
nuovo. E per questo che non è presente una bibliografia: dal momento
che tutte le fonti sono citate in nota, mi è sembrato superfluo riprender
le alla fine del volume in ordine alfabetico.
Tutte le volte che è stato possibile ho utilizzato i testi francesi. Quan
do questo non è stato possibile, mi sono riferito di preferenza all’edizio
ne inglese. In caso di dubbio ho verificato comparando l’originale alle
traduzioni, e fornisco le due citazioni. Quando sono io stesso a tradurre,
preferisco il senso letterale all’eleganza dello stile. Le traduzioni in fran
cese dal tedesco, per quanto riguarda Herder e Spengler, e in inglese per
Meinecke, sono affidabili e fedeli, cosa che ha assai facilitato il mio com
pito, permettendomi di confrontare l’originale ai testi francesi e inglesi.
La mia conoscenza del tedesco non mi avrebbe permesso né di risolvere.
da solo i problemi posti da certe fonti né soprattutto di procedere a una
velocità ragionevole. Al fine di facilitare la lettura delle citazioni mi sono
permesso in certi casi di modernizzare l’ortografia e di evitare un uso ec
cessivo di corsivi e maiuscole.
Durante gli anni di questo lavoro ho contratto numerosi debiti. Il
primo con mia moglie, Ziva: ha cominciato a lavorare prima di me su al
cuni dei problemi qui trattati ed è sua anche l’idea di questo libro che,
senza di lei, non avrebbe mai visto la luce. Il tempo e l’energia che mi ha
dedicato sono andati a scapito del suo lavoro; le sue ricerche e le sue idee
sull’architettura moderna e il suo contesto culturale, così come sugli in
timi legami che si sviluppano tra poli di attività intellettuale hanno sti
molato notevolmente le mie riflessioni.
Nella lettura del manoscritto, comprese le correzioni linguistiche,
Françoise Laurent ha messo la sua intelligenza, il suo senso critico, la sua
capacità di cogliere la concatenazione delle idee, uniti a quarant’anni di
amicizia, dai tempi lontani in cui, a Scienze Politiche, aveva reso leggi
bile la mia tesi di dottorato, che è diventata poi il mio primo libro. Vor
rei che sentisse qui l’espressione della mia profonda gratitudine.
I miei ringraziamenti vanno anche alle varie istituzioni che mi hanno
aperto le porte e che hanno favorito il mio lavoro. A Gerusalemme 1TJ-
10
Premessa
11
INTRODUZIONE
13
Introduzione
1. J.-J. Rousseau, L e confessioni, trad, di Michele Rago, Einaudi, Torino 1955, p. 445.
Rousseau meditava allora sulle sue In stitution spolitiques, opera che, dice (p. 444),
«doveva a mio parere mettere il suggello alla mia reputazione». Questo libro, co
me si sa, non ha mai visto la luce.
2. David Hume, «Sul contratto originale», trad, di Enrico Mistretta, in Opere fib so -
fiche, voi. Ili, Laterza, Roma-Bari 1987, p. 467. Ecco il testo originale: «A s no
party, in the present age, can w ell support itself, without a philosophical o r specula
tive system o f principles, annexed to its p olitical or practical one; we accordingly
find, that each o f the factions, into which this nation is divided, has reared up a fa
bric o f the form er kind, in order to protect an d cover that scheme o f actions, which
it pursues», in P olitical Essays, a cura di Knud Aakonssen, Cambridge University
Press, Cambridge 1994, p. 186 (Saggio 23).
14
Introduzione
dello spirito»3. Tutti i philosophes, nel senso che questa parola ha acquisito
nel XVIII secolo, consideravano la politica come l’unico strumento in gra
do di cambiare la vita. Mai prima di allora si era discusso tanto intensa
mente sul mondo di domani: la politica era diventata affare di tutti.
Era il periodo dell’Encyclopédie: il Dictionnaire raisonné, tanto deni
grato, era pieno di lacune, come la maggior parte delle opere collettive,
soprattutto quando esse mirano alla diffusione della conoscenza, ma la
sua prima edizione in ventotto volumi costituì un’impresa senza prece
denti nella storia del sapere. Diderot e D ’Alembert pongono l’uomo al
centro dell’universo e l’individuo afferma il suo diritto alla felicità attra
verso il progresso materiale: egli si emancipa per mezzo della ragione. Ma
allo stesso tempo l’uomo del Settecento riporta le passioni al loro giusto
posto: «Checché ne dicano i moralisti, afferma Rousseau, l’intelletto uma
no deve molto alle passioni, le quali, per comune consenso, a loro volta
gli devono moltissimo: il nostro intelletto si perfeziona per opera della lo
ro attività. Noi cerchiamo di conoscere soltanto perché desideriamo di
godere, e non è possibile concepire per quale motivo chi non avesse né
desideri né timori si prenderebbe la briga di ragionare».4H secolo dei Lu
mi non è mai stato quel secolo di aridità intellettuale e di valorizzazione
dei sensi come ancora oggi lo dipingono abbondantemente i suoi nemici.
Il termine «antilluminismo» è stato probabilmente coniato da Nietz
sche ed era di uso corrente in Germania all’inizio del X X secolo5. Non è ca-
15
Introduzione
6. Cfr. Irration al m an: A study in E xisten tial Philosophy, Doubleday, New York 1962,
p. 274: «E xisten tialism is the counter-Enlightenm ent come a t last to philosophical
expression ». Isaiah Berlin pensava di esserne stato l’inventore, nel 1973: Wokler (si
veda la nota precedente) si riferisce a Ramin Jahanbegloo, Conversation with
Isaiah Berlin, Peter Halban, London 1992, pp. 69-70, la cui traduzione francese di
Gérard Lorirrry è apparsa sotto il titolo En toutes libertés: entretiens avec Ram in
Jahanbegloo, Ed. du Félin, Paris 1990. Ecco che cosa dice Berlin: «I don’t know
who invented the concept o f “Counter-Enlightenm ent”. Som eone m ust have said it.
C ould it be m yself? I should be som ew hat surprised. Perhaps I did. I really have no
idea». In francese è stato tradotto: « Je ne sais p as qui a inventé le concept de Con
tre-Lum ières. Q uelqu’un a dû prononcer le mot. Est-ce que cela pourrait être m oi?
J'en sarais supris. Réellem ent, je n’en a i p as la m oindre idée» (p. 93), che non è esat
to, perché non riporta quel «perhaps I did».
7. È proprio così che la traduzione francese rende il concetto di Gegen-Aufklarung.
Ecco il testo del paragrafo 22 [17] citato sopra: « I l y a des courbes plu s ou m oins
courtes ou longues dans le développem ent d’une civilisation. A u sommet de la phi-
16
Introduzione
losophie des Lum ières corrispond le som m et de la reaction à la philosophie des Lu
m ières chez Schopenhauer et Wagner. Les points culm inants des petites courbes se
rapprochent le plu s de la grand courbe-rom antism e». Si veda Friedrich Nietzsche,
Œ uvres philosophiques com plètes III, Hum ain, trop humain - Un livre pour esprits
libres 1, Fragm ents posthum es (1876-1878), Gallimard, Paris 1988, pp. 437-438. In
A urora, parlando dell’«ostilità dei tedeschi contro l’illuminismo», Nietzsche op
pone una «grande reazione» alla «grande rivoluzione»: il termine «reazione» è uti
lizzato nel suo significato proprio e circoscritto. Si veda Friedrich Nietzsche, A u
rora, pensieri su i pregiudizi m orali, trad, di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano
1978, paragrafo 197, pp. 141-143.
8. H termine «axiti-philosophe» si ritrova nel 1751 nei Pensées antiphilosophiques del
l’abate Allemand o nel 1767 nel D ictionnaire anti-philosophique di Louis Mayeul
Chaudon. Il termine compare anche in Diderot nel 1747 (Pensées philosophiques)
e nel D ictionnaire philosophique di Voltaire del 1767. Si veda Darrin M.
McMahon, «The Real Counter-Enlightenment: the Case of France», in «Isaiah
Berlin’s Enlightenment and Counter-Enlightenment» già citato.
17
Introduzione
18
Introduzione
erano in realtà che degli elenchi di privilegi che alcuni nobili avidi di
potere erano riusciti a imporre a una monarchia tendente al dispoti
smo. Il sistema inglese non era basato né su una presunta antica costi
tuzione né su un originario contratto di governo ma su un compro
messo politico e una dipendenza reciproca tra corona e Parlamento, e
dunque su un equilibrio delicato9.
Tuttavia il vero obiettivo dell’esecrazione di Burke e della sua scuo
la è proprio la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadi
no. Nel 1789 era ancora possibile occultare Locke e Hume, la Gloriosa
Rivoluzione poteva essere interpretata in modi diversi, soprattutto sul
continente, e l’America era ancora troppo lontana dai centri del potere
e della cultura per potere svolgere un ruolo d’avanguardia nell’evoluzio
ne della civiltà. Inoltre i critici deUllluminismo fecero di tutto per ac
creditare l’idea per cui la ribellione delle colonie inglesi d’America non
era affatto contro VAncien Regime, e ancora meno era un sollevamento
della ragione sovrana contro la storia. I più intelligenti tra loro, come il
letterato Friedrich von Gentz, traduttore e interprete tedesco di Burke -
e più tardi consigliere di Metternich - pensavano che la Dichiarazione
d’indipendenza fosse stata la copertura ideologica di cui i coloni aveva
no bisogno per dare alla secessione una dimensione epica; nei fatti essi
non avevano alcuna intenzione di opporre i diritti dell’uomo ai diritti
specifici dei membri di una comunità storica. All’inizio dell’anno 1800
Gentz pubblicò un lungo articolo nel quale si impegnò a separare la ri
volta delle Tredici colonie, semplice movimento di secessione con obiet
tivi moderati, ben definiti e limitati, dalla Rivoluzione francese, fatto vio
lento e veramente mostruoso10; l’appello ai nefasti principi di «diritti na
turali e inalienabili» deve, secondo lui, essere considerato un errore di
giudizio. Questo saggio fu subito tradotto in inglese da John Quincy
19
Introduzione
1i . Russell Kirk, The Conservative Mind, from Burke to Santayana, Henry Regnery
Company, Chicago 1953 (sesta ristampa 1963) e la sua introduzione alle Reflec
tions on the Revolution in France di Burke, Gateways editions, Los Angeles 1955
(Kirk, iniziatore del culto contemporaneo di Burke, è considerato uno dei primi
portavoce del conservatorismo della seconda metà del Novecento); Gertrude
Himmelfarb, The Roads to Modernity, The British, French, and American
Enlightenments, Knopf, New York 2004; Carl L. Becker, The Heavenly City of
Eighteenth Century Philosophers, Yale University Press, New Haven 1965 ( 1J ed.
1932) [La città celeste dei filosofi settecenteschi, trad, di Umberto Morra, Ric
ciardi, Napoli 1946]. Tutti questi autori vedono in Burke il fondatore di un con
servatorismo «illuminato», nei fatti l’unico uomo dei Lumi bene intesi; si veda
un altro recente esempio nell’antologia di Jerry Z. Muller che, come altri, asso
cia fium e alla famiglia conservatrice: Conservatism: an Anthology o f Social and
Political Thought, Princeton University Press, Princeton 1997.
12. Si veda l'introduzione di Russell Kirk in Gentz, The French and American Revo
lutions Compared, pp. Ill-XI. Si vedano anche le critiche rivolte a un’altra ope
ra di Cari Becker, The Declaration of Independence, da Yehoshua Arieli, autore
dell’ammirevole Individualism and Nationalism in American Ideology, Harvard
University Press, Cambridge (Mass.) 1964, p. 369.
20
Introduzione
13. L’idea di una rivoluzione non solo francese ma occidentale è stata sviluppata ne
gli anni Cinquanta del Novecento da Jacques Godechot (La Grande Nazione.
Lespansione rivoluzionaria della Francia nel mondo. 1789-1799, trad. di Franco
Gaeta, Laterza, Bari 1962) e Robert Palmer (The Age o f thè Democratic Revolu
tion, Princeton University Press, Princeton 1959 [L'era delle rivoluzioni demo
cratiche, trad. di Adriana Castelnuovo Tedesco, Rizzoli, Milano 1971]). In un’al
tra opera su La controrivoluzione. Dottrina e azione (1789-1804), a cura di Enzo
Turbiani, Mursia, Milano 1988, Godechot guarda in questa prospettiva ai moti,
alle rivolte e alle rivoluzioni della fine del XVIII secolo, dalla rivoluzione gine
vrina del 1768 durante la quale i controrivoluzionari fecero bruciare dal boia il
Contrai social sulla pubblica piazza, fino alla rivolta in Olanda del 1783-1787 e
a quella scoppiata a Liegi nel 1790. In ambedue gli ultimi casi l’ordine fu rista
bilito grazie a un intervento straniero. Nel frattempo si erano verificati disordi
ni anche in Inghilterra, nel 1782-1784, e di nuovo a Ginevra, dove nel 1782 gli
oligarchi chiamarono in soccorso le truppe di Berna, di Zurigo, del re di Sarde
gna e del re di Francia.
21
Introduzione
22
Introduzione
vano Renan o Taine, assume nelle strade la fisionomia della destra rivo
luzionaria, nazionalista, comunitaria - per la Germania si parla anche di
«rivoluzione conservatrice» - nemica giurata dei valori universali. Re
spingendo, dalla seconda metà del XVIII secolo, l’idea dell’autonomia
dell’individuo, là modernità antirazionalista diventa, cento anni dopo,
una forza politica dalla straordinaria capacità di rottura, che riesce a
scalzare i fondamenti della democrazia. All’inizio del X X secolo compa
re una nuova concettualizzazione, ma i contenuti e la funzione di que-
st’altra modernità restano. Come ai tempi di Herder e di Burke, le sue
bestie nere sono sempre Kant, Rousseau, Voltaire, e in generale tutti i
philosophes.
__Conviene a questo punto insistere su un altro elemento, anch’esso di
grande importanza: una delle spinte principali di questa campagna che
continua ben oltre la fine della Seconda guerra mondiale è l’attacco sfer
rato in nome di un certo liberalismo. Un liberalismo opposto aH’Illumi-
nismo poteva ancora avere un senso e una funzione importante fino alla
seconda metà dell’Ottocento, ma dal momento in cui, per effetto della
rapida industrializzazione del continente europeo e della nazionalizza
zione delle masse urbane, emerge una nuova società, il liberalismo antil-
luminista - spesso seducente, perché la sua nocività non è sempre evi
dente - mettendo in discussione la capacità dell’individuo di essere pa
drone del mondo in cui vive, indebolisce la stessa possibilità di soprav
vivenza della democrazia.
Questa campagna contro rilluminismo è molto più sofisticata e più
sfumata di quella dei nemici classici, apertamente autoritari, del XVIII se
colo ma, ponendosi come obiettivo la distruzione della visione atomistica
della società, preannuncia già la nascita del comunitarismo. Contrariamen
te a quanto si pensa oggi in certi ambiti comunitaristi americani, la corre
zione del liberalismo col comunitarismo si è tradotta, nel corso del X X se
colo, in una diminuzione del liberalismo, o perlomeno del liberalismo co
me lo intendevano Constant, Tocqueville e Mili. Infatti il pluralismo dei va
lori che ne è la bandiera conduce necessariamente verso il relativismo. La
guerra fredda e il pericolo staliniano hanno provocato un massiccio ritorno
della critica aU’Illuminismo e alla Rivoluzione francese di Burke e Taine e
una rifioritura dei vecchi temi antilluministi maturati e sviluppati nell’Ot
tocento. Un corollario dell’antirazionalismo è il relativismo: esistono così
un relativismo nazionalista, un relativismo fascista e un relativismo liberale.
23
Introduzione
Quest’ultimo è quello di Isaiah Berlin, che nella seconda metà del X X se
colo segue la linea di pensiero avviata da Herder, della quale l’opera di Mei-
necke costituisce, fra le due guerre, un riferimento imprescindibile.
. Certo, la conoscenza storica è aliena dai concetti degli inizi assoluti e
lo zelo storico ha provocato il deperimento delle figure fondatrici“1. Tut
tavia, se si dovesse assolutamente trovare una data precisa per il momen
to in cui si avvia la campagna contro i Lumi - quella che assumerà il si
gnificato conosciuto nei secoli X IX e X X - la scelta cadrebbe necessaria
mente sull’estate del 1774, quando il giovane Herder, per alzare una diga
contro l’influenza dellTlluminismo francese in Germania, compose in tre
settimane il suo Ancora una filosofia della storia (Auch eine Philosophie
der Geschichte), delineando così una seconda modernità. Perché proprio
a questo mira il giovane pastore luterano che prestava il suo servizio a
Biickeburg, in Westfalia, quando scaglia il primo attacco globale contro
tutto ciò che conta nel pensiero illuminista: in primo luogo contro De
scartes che, con il suo razionalismo, emancipa le scienze matematiche e
fisiche dalla teologia; contro Montesquieu, l’autore col quale deve misu
rarsi chiunque allora scriva di scienze umane; contro Rousseau e Voltai
re; ma anche, con altrettanto vigore, contro Hume, Robertson, Ferguson,
Iselin, Boulanger e D ’Alembert, per nominare solo gli autori citati diret
tamente o chiamati in causa indirettamente e allusivamente in questo
pamphlet di non comune importanza sotto ogni punto di vista.
II bersaglio principale e immediato è Voltaire, che ha appena conia
to il concetto di «filosofía della storia» o, se si vuole, un modo filosofico
di pensare la storia. Ma, con lui, anche Montesquieu è messo in discus
sione altrettanto duramente e questo a prima vista potrebbe sorprende
re, tenendo conto di alcuni obiettivi che Herder si pone. E tutta la mo
dernità razionalista a essere presa di mira, attraverso gli autori francesi e,
con loro, praticamente tutti i grandi storici e pensatori illuministi ingle
si. Una decina di anni dopo il pamphlet di Biickeburg si apre la polemi
ca con Kant, che suggella simbolicamente la grande divisione tra i due
rami della modernità: la modernità portatrice di valori universali, della
grandezza e autonomia dell’individuo padrone del suo destino, una mo-14
14. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, trad. di Cesare Marelli, Ma
rietti, Genova 1992, p. 507.
24
introduzione
dernità che vede la società e lo Stato come strumenti nelle mani dell’in
dividuo, avviato alla conquista della libertà e della felicità; e la modernità
comunitaria, storicista, nazionalista, una modernità per la quale l’indivi
duo è determinato e limitato dalle origini etniche, dalla storia, dalla lin
gua e dalla cultura. Per Herder l’uomo è quello che hanno fatto di lui i
suoi antenati, la «zolla» (Erdscholle) nella quale essi sono seppelliti e dal
la quale lui stesso è nato; non sono le buone istituzioni e le buone leggi
che plasmano gli uomini, non è la politica che li modella: la politica è
esterna all’uomo, è la cultura che ne costituisce l’essenza.
__ Alla fine del decennio segnato nella vita intellettuale dallo scontro
tra Kant ed Herder, il maestro e l’allievo, in branda crolla VAncien Re
gime e la frattura tra i due rami della modernità diventa una realtà stori
ca. Quando il pensiero degli Illuministi franco-kantiani viene tradotto in
termini concreti dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, dopo che era
stata formulata, in condizioni meno drammatiche ma in termini altret
tanto chiari e fermi, anche nelle colonie inglesi d’America, Edmund
Burke diffonde le sue Riflessioni sulla Rivoluzione francese. Questo gran
de pamphlet è preceduto da A Vindication of Naturai Society del 1756 e
dalYInchiesta sul Bello e il Sublime del 1759. Fin dagli esordi della sua at
tività politica e intellettuale, l’autore delle Riflessioni sulla Rivoluzione
francese definisce l’Illuminismo come uno spirito che nutre un movi
mento di cospirazione intellettuale il cui obiettivo è la distruzione della
civiltà cristiana e dell’ordine politico e sociale da essa creato. Secondo lui
infatti l’essenza dell’Illuminismo consiste nell’accettare come unico prin
cipio quello per cui la ragione è il solo criterio di legittimità di qualsiasi
istituzione umana. La storia, la tradizione, il costume, l’esperienza non
possono pretendere di rivestire il ruolo della ragione. Sapendo che que
sta critica da sola non potrebbe valere, Burke aggiunge che la capacità di
una società di garantire ai suoi membri una vita decente non basta più
agli Illuministi e non può più legittimare tale società. Per loro una vita
decente non è sufficiente: esigono la felicità, in altri termini l’utopia. Co
me Herder, nello stesso momento e indipendentemente da lui, Burke ne
ga alla ragione il diritto di mettere in discussione l’ordine esistente. I di
ritti dell’uomo, proprio come l’idea secondo la quale la società è un pro
dotto della volontà dell’individuo ed esiste solo per garantire il suo be
nessere, sono una chimera pericolosa, una vera rivolta contro la civiltà
cristiana. Ciò che esiste è stato legittimato dall’esperienza, dalla saggezza
25
\ntrodiaione
collettiva, e possiede una ragione d ’essere che può non essere chiara in
ogni momento per ciascun individuo ma è il frutto della volontà divina
presente nella storia. Per questo l’ateismo è un altro modo di distrugge
re la civiltà. Una società esiste solo tramite la venerazione della storia, il
rispetto della Chiesa costituita e delle sue élite: sostituire le élite in cari
ca con nuovi elementi, distruggere un sistema politico legittimato dall’e
sperienza e da una tradizione più che secolare, abbattere la potenza del
la Chiesa, può essere paragonato alla conquista di un paese civilizzato da
parte dei barbari. Ecco perché, per garantire la continuità di ciò che esi
ste, conviene adoperare la forza; e la difesa dei privilegi è la difesa della
civiltà. In altri termini: tutto è legittimo, tutto è permesso, tutti i mezzi
sono buoni per abbattere la rivoluzione in Francia. Devono essere mo
bilitate tutte le forze dello Stato britannico per fermare questa rivolta
contro tutto ciò che è e deve restare sacro.
Vero pioniere del principio della guerra ideologica, Burke inventa in
effetti il concetto di «contenimento», in voga durante la guerra fredda.
Burke aveva sperimentato in America il processo di containment, che si
sarebbe poi applicato al blocco sovietico: costruire una diga intorno alle
pretese dei coloni di tradurre in termini concreti, staccandosi dalla ma
drepatria, i loro diritti naturali e proseguire così la Rivoluzione inglese del
1689 diventava l’obiettivo principale per contenere il male in contrade
lontane e impedire il suo arrivo in Europa. Quando però quella stessa ri
voluzione illuminista scoppia in Francia, il contenimento non può più ri
spondere ai bisogni del momento: alle porte dell’Inghilterra, nel cuore
della civiltà occidentale, bisognava rispondere con una guerra a oltranza.
E per questo che il grande parlamentare britannico non appare tanto
come il fondatore di un conservatorismo liberale - nella tradizione tory o
nella sua versione continentale - ma come il precursore di quell’atteggia
mento che ai giorni nostri ha preso il nome di neoconservatorismo. I libe
rali conservatori autentici come Tocqueville o Acton in Inghilterra o, più
vicino a noi, Leo Strauss o Raymond Aron, temevano la forza corruttrice
del potere. Essi erano gli eredi di Montesquieu e di Locke e se si rivolge
vano innanzitutto aìYEsprit des lois, dovevano molte delle loro idee al Se
condo trattato: il loro grande obiettivo era di garantire la libertà con il fra
zionamento del potere e con lo sviluppo della capacità dell’individuo a te
nere testa al potere. Invece i sostenitori del neoconservatorismo sono affa
scinati dalla forza dello Stato: il loro scopo non è limitarne l’intervento, né
26
Introduzione
27
Introduzione
poi in Francia all’indomani del 1848 e poi del 1870. Il secondo Bill of
Rights inglese del 1867, la Comune di Parigi, la costituzione della Terza
Repubblica annunciano l’avvento di Calibano. In questo contesto pren
de forma una riflessione sul venir meno della civiltà occidentale e della
sua eredità medievale, una civiltà organica, comunitaria, intrisa di timor
di Dio, in preda alla decadenza democratica e aU’influenza del «mate
rialismo». Le grandi linee che orientano allora la critica della modernità
razionalista sono fissate per un secolo e mezzo. Carlyle e Taine hanno
scritto la storia di questa lunga caduta; con Renan, essi propongono
un’analisi del male e dei rimedi: sradicare l’idea dell’onnipotenza del
l’individuo, ricostituire comunità organiche, porre fine alla farsa del suf
fragio universale e dell’eguaglianza. Le loro opere rappresentano altret
tante riflessioni sulla decadenza della Francia, il cui spirito non può non
ricordare quello del Giornale di viaggio 1769, che Herder aveva riporta
to da Parigi. La Francia è sempre l’incarnazione di una cultura raziona
lista figlia dei Lumi, rósa dalle velleità democratiche e dall’eredità di
Rousseau. Queste riflessioni vengono fatte mentre l’Europa si trova al
l’apice della sua potenza; la Francia sta creando il secondo impero colo
niale del mondo e l’eguaglianza vi si insedia come mai prima e come da
nessun’altra parte. Anche Herder e Burke si erano dedicati alla deca
denza della Francia proprio nel momento in cui essa stava per dare al
mondo una lezione di vitalità fuori del comune: questo perché per i ne
mici dell’Illuminismo, in un mondo che adotta il razionalismo, l’univer
salismo e l’idea del primato dell’individuo come norme di comporta
mento, la decadenza è inevitabile.
Tuttavia se il X IX secolo, nella sua fase di maturità, conserva ancora
una certa ambivalenza, non è più così durante i suoi ultimi due decenni.
In un nuovo contesto sociale e politico, mentre l’industrializzazione mu
ta velocemente la faccia del continente, il rifiuto dellTlluminismo esplo
de con una energia fino ad allora sconosciuta. Non è la Grande Guerra,
come si sostiene spesso, che segna l’inizio del X X secolo. Esso nasce
quando, in un mondo che cambia a un ritmo impensabile solo vent’anni
prima, appaiono contemporaneamente nuovi stili di vita, tecniche e tec
nologie innovative, e quando crescita economica, democratizzazione del
la vita politica e istruzione obbligatoria diventano una realtà, mentre per
la generazione precedente erano solo chimere. Il nuovo secolo si insedia
definitivamente quando il rifiuto deH’Illuminismo diventa un fenomeno
28
Introduzione
15. Friedrich Meinecke, Die Enstebung des Historismus, R. Oldenbourg Verlag, Mün
chen 1959 [Le origini dello storicismo, trad, di M. Biscione, C. Gundolf, G. Zam
boni, Sansoni, Firenze 1973]. Il termine historismus fu usato per la prima volta nel
1797 da Friedrich Schlegel e da subito acquisì un significato vicino a quello che
avrebbe preso in seguito. Nel 1857 un lavoro su Vico vedeva l’elemento essenzia
le di una visione storicista nell’idea esaminata sopra, secondo la quale gli uomini
non conoscerebbero altra realtà che la storia. La riflessione sullo storicismo conti
nuò per tutto l’Ottocento e l’inizio del X X secolo e culminò con Meinecke. Per i
diversi significati che assume questo concetto e anche per la sua storia si veda un
articolo che fornisce anche una vasta bibliografia: Georg G. Iggers, «Historicism:
The History and Meaning of the Term», journal of the History o f Ideas, voi. 56 (1),
1995, pp. 129-152. Di Iggers si consulti anche The German Conception of History:
the National Tradition of Historical Thought from Herder to the Present, Wesleyan
University Press, Middletown 1983 (prima edizione 1968).
29
Introduzione
16. Meinecke, Die Entstehung des Historismus, p. 2: «Der Kern des Historismus be
steht in der Ersetzung eine generalisierenden Betrachtung geschichtlich - mensch
licher Kräfte durch eine individualisierende Betrachtung». Si veda anche la ver
sione inglese: Historism. The Rise o f a New Historical Outlook, trad, di J.E. An
derson, pref. di Isaiah Berlin, Routledge and Kegan Paul, London 1972, p. LV:
«The essence o f historism is the substitution o f the process o f individualising ob
servation for a generalising view o f human forces in history». Si vedano anche le
pp. 2-4 (pp. LVI-LVII della traduzione inglese) [Le origini dello storicismo, pp.
X e X XI],
30
Introduzione
17. Meinecke, Die Entstehung des Historismus, pp. 2-4 (pp. LVTLVII della tradu
zione inglese) [Le origini dello storicismo, pp. X-XII].
18. Max Rouché, La Philosophie de l’histoire de Herder, Société d’Editions Les Bel
les Lettres, Paris 1940, p. 583.
31
Introduzione
32
Introduzione
33
Introduzione
totale dei loro fondamenti e principi19. A volte sembra che Berlin non
fosse del tutto consapevole della portata del proprio pensiero o della
portata della linea di pensiero iniziata da Herder. Ipnotizzato dalla guer
ra fredda, si scaglia all’attacco di Rousseau, poi dell’idea di libertà «p o
sitiva» per scrivere, in nome del pluralismo, un vibrante elogio della li
bertà «negativa». In una serie di lavori, in particolare quelli che furono
pubblicati in Controcorrente e in II legno storto dell’umanità, egli rese un
servizio enorme a tutti gli odierni nemici del razionalismo e dell’univer-
salismo: prima dei postmoderni e in un contesto essenzialmente politico,
nonostante il fatto che il suo pensiero non sia monolitico e che abbia an
zi molte ambiguità, prova come si possano contestare i fondamenti del
l’Illuminismo restando su posizioni liberali: nell’introduzione a Contro-
corrente, che chiede a Roger Hausheer di scrivere in nome suo, tutto è
esplicitato: Berlin considera i principi deH’Illuminismo francese come
fondamentalmente opposti a quelli di una giusta società. Inoltre la sua
interpretazione deH’Illuminismo riprendeva l’essenziale delle idee riba
dite di generazione in generazione dai tempi di Herder e Burke. Ai no
stri giorni questi stereotipi ritornano con forza nel neoconservatorismo.
Lo scontro permanente che oppone un insieme di idee ancorate ai
principi illuministi e un corpus ideologico che si considera come un’al
ternativa a esse è divenuto così una delle grandi costanti del nostro mon
do. Questo confronto può cambiare volto o dimensione, può esserne
privilegiato un aspetto piuttosto che un altro, ma dalla seconda metà del
XVIII secolo il rifiuto deirilluminismo appartiene al nostro orizzonte in
tellettuale e politico.
Qui bisogna sottolineare che molto spesso il peso dei pensatori di que
sta corrente si è fatto sentire solo diversi anni dopo la pubblicazione delle
loro opere maggiori. Tuttavia ognuno di loro ha avuto immediatamente un
grosso successo. Da Burke fino a Meinecke, passando per Taine, Renan,
Carlyle, Maurras, Barrès, Croce e Spengler, ognuno degli autori qui studia
ti è stato un autore di successo se non proprio un caposcuola riconosciuto.
E tutti, allo stesso tempo, si sono considerati come combattenti coinvolti in
uno scontro di civiltà. Da Herder e Burke, partiti in guerra contro la civiltà
19. Isaiah Berlin, lin toutes libertés: entretiens avec Ramin Jahanbegloo, trad. di G é
rard Lorimy, Fd. du Félin, Paris 1990. Si veda il nostro cap. 7.
34
Introduzione
36
Introduzione
37
Introduzione
Conviene ribadire ancora che, pur non essendo tutti sostenitori del
l’intera eredità dell’Ancien Regime, la maggior parte dei detrattori dell’Il-
luminismo, tranne forse Herder, ritiene che quella forma di organizzazio
ne sociale abbia avuto aspetti positivi e sufficienti per togliere ogni giu
stificazione alla Rivoluzione francese. Burke, che nelle sue Riflessioni sul
la Rivoluzione francese mostra un paese prospero e tutto sommato felice,
governato da un re bonario e preoccupato del benessere dei suoi sudditi,
stabilisce la linea argomentativa per due secoli: se anche non raggiunge la
perfezione, l’ordine esistente permette comunque di condurre una vita
decente, o in altri termini una vita civile. La permanenza della civiltà oc
cidentale, la grande civiltà cristiana, è garantita solo se la realtà non è le
sa in quello che ha di essenziale. Tuttavia i nemici dellTlluminismo, non
lo ripeteremo mai abbastanza, non vivono rivolti al passato. Non mostra
no nostalgia per il passato prossimo ma per una storia altamente selettiva
e molto spesso, perlomeno fino all’inizio del X X secolo, per la cultura or
ganica del Medioevo cavalleresco e cristiano come lo vedono loro.
La scelta degli autori qui analizzati attiene alla loro influenza diretta e
immediata sulla vita intellettuale del loro tempo e dal carattere rappresen
tativo ed emblematico delle loro opere. Al centro di questo lavoro si tro
vano proprio le figure ambigue, quelle che non sono tutte di un pezzo e
sfuggono così alle categorizzazioni facili. «Spettatori coinvolti», non si pre
sentano in bianco e nero e sono per questo i più interessanti e i più signi
ficativi20. Alcune loro opere mostrano un’evidente duplicità, frutto di con
traddizioni che dipendono dall’evoluzione delle persone e dall’influenza
degli eventi. A volte essi stessi correggono le loro prese di posizione a di
stanza di qualche anno o decina di anni. Fra tutti questi autori si sono in
20. È per questo che oggetto principale di questo libro non sono i nemici classici
della Rivoluzione francese e della democrazia, le figure fatte tutte di un pezzo o
gli antiliberali famosi, nonostante il fatto che una visione d’insieme della nostra
problematica renda inevitabile la loro presenza. Tra molte altre opere importan
ti si possono consultare tre studi particolarmente pertinenti: Albert O. Hirsch-
man, Retoriche dell'intransigenza, trad, di Giovanni Ferrara degli Liberti, Il Mu
lino, Bologna 1991; Stephen Holmes, The Anatomy of Antiliberalism, Harvard
University Press, Cambridge (Mass.) 1993 [Anatomia dell’antiliberalismo, trad,
di Rodolfo Rini, Edizioni di Comunità, Milano 1995] e Richard Wolin, The Se
duction o f Unreason: the Intellectual Romance with Fascism from Nietzsche to
Post-Modernism, Princeton University Press, Princeton 2004.
38
Introduzione
tessuti dei legami duttili e insieme complessi. Sono tutti d’accordo nel ve
dere nell’azione l’esito del pensiero. Tutti si volgono al loro mondo non so
lo per comprenderlo e per imparare a viverci ma anche per cambiarlo, per
dirla con Marx. Per loro il pensiero rimane intimamente connesso all’a
zione; erano tutti intellettuali impegnati nel senso proprio del termine e
tutti avrebbero sottoscritto questa ammissione di Renan, fatta l’indomani
di Sedan: «Ci tengo particolarmente a evitare il rimprovero di avere rifiu
tato alle questioni del mio tempo e del mio paese l’attenzione dovuta da
ogni cittadino [...] Prima di proclamare che il saggio deve rinchiudersi nel
pensiero puro, bisogna esser sicuri che si sono esaurite tutte le possibilità
di far sentire la voce della ragione»21. A eccezione di Herder, che viveva in
un ambiente dove gli affari pubblici erano privilegio di un piccolo nume
ro di dignitari intorno al monarca, tutti gli altri erano affascinati dalla po
litica, in tutti l’attualità si innestava sulla riflessione storica e tutti sono
giunti alla politica attraverso la storia. Gli autori di cui ci occupiamo qui
sono contemporaneamente attori e osservatori. Nessuno di loro ha lascia
to un lavoro politico sistematico, ma hanno tutti prodotto opere di analisi
politica e di battaglia intellettuale scritte per incidere sul presente. Alcuni,
come Herder, Burke, Carlyle o Renan, pur pubblicando libelli scritti in
fretta, hanno nondimeno realizzato dei classici del pensiero politico.
Tuttavia, visto che le domande concrete che si posero tutti questi au
tori erano di interesse generale, le loro risposte dovevano assumere im
mediatamente un valore universale. Tutti erano non solo storici e critici
della cultura, «filosofi della storia», secondo la loro definizione, storici
delle idee, dell’arte, delle religioni o della letteratura, ma anche pubbli
cisti di fama e di talento, impegnati nella vita pubblica dei loro rispetti
vi paesi. Anche quando non furono uomini politici attivi per tutta la vi
ta, come Burke, uno dei primi grandi intellettuali divenuto un politico
professionista, vi si dedicavano di tanto in tanto. Come Barrès, deputa
to a Parigi, come Croce, che fu deputato, senatore e ministro negli anni
Venti, come Renan, che si candidò con poca fortuna alle elezioni politi
che per due volte, nel 1863 e nel 1871. Quando scrivevano del passato,
39
Introduzione
22. Keith Michael Baker, «O n the problem of the Ideological Origins of the French
Revolution», in Dominick LaCapra e Steven L., Kaplan, Modern European Intel
lectual History. Reappraisals and New Perspectives, Cornell University Press,
Ithaca 1982, a p. 207 cita Daniel Roche, Le siècle des Lumières en province.
Académies et académiciens provinciaux, 1680-1789, Mouton, Paris 1978, t. I, p.
206. Si veda anche, dello stesso autore, La France des Lumières, Fayard, Paris
1993, e L’Illuminismo: dizionario storico, a cura di Vincenzo Ferrane e Daniel
Roche, Laterza, Roma-Bari 1997.
40
Introduzione
attenzione. Per lo storico delle idee che si dedica oggi alla loro opera, es
sa costituisce certo materiale di prima mano, ma allo stesso tempo ognu
no di essi è interprete del pensiero dei predecessori, storici delle idee, cri
tici della cultura, filosofi politici e anche pubblicisti di fama. E un feno
meno interessante in sé e non privo di significato che tutti questi autori,
da Burke a Herder fino a Berlin, prendano spesso di mira una caricatura
dell’Illuminismo e non quello che è in realtà; ma di questori occupere
mo piu avanti. Si sa che gli studi sulle influenze sono tra i più complessi
che esistano. In questo caso però le cose sono relativamente semplici:
Taine scrive molto su Burke e Carlyle, Meinecke dedica lunghe analisi a
Burke e un centinaio di pagine a Herder e risponde a Cassirer senza no
minarlo, Renan vede in Herder il più grande filosofo venuto al mondo
dopo Platone, Carlyle, affascinato dalla Germania, importa in Inghilterra
il pensiero del movimento Sturm und Drang del quale aveva fatto parte il
giovane Herder. Croce legge Vico con lo stesso entusiasmo di Meinecke
per Herder, e alcune formule usate per glorificare l’opera dell’autore del
la Scienza nuova e per denigrare l’Illuminismo si ritrovano vent’anni più
tardi nei lavori di Meinecke e poi nei saggi di Berlin. Nel 1895 George
Sorel pubblica un lungo studio su Vico che precede di oltre quindici an
ni quello di Croce. Tra i fondatori italiani delle scienze sociali, che si ispi
rano anche a Croce e che saranno tra i più acerrimi nemici del XVIII se
colo, non si contano i debiti nei confronti di Taine. Berlin scrive con ana
logo entusiasmo su Vico, Herder e Meinecke, attaccando allo stesso mo
do rilluminismo francese e, con la sua versione del loro pensiero, ag
giungendo un nuovo anello alla cultura politica antilluminista.
41
Introduzione
42
Introduzione
27. Mi permetto qui di rimandare alla mia Introduzione alla nuova edizione di Ni
droite ni gauche. L’idéologie fasciste en France, Fayard, Paris 2000.
28. Roger Hausheer in Isaiah Berlin, Controcorrente. Saggi di storia delle idee, a cu
ra di Henry Hardy, intr. di Roger Hausheer, trad. di Giovanni Ferrara degli
Liberti, Adelphi, Milano 2000, p. XXIII.
43
Introduzione
dal nazismo, negli anni Trenta ebbe inizio e continuò per tutto il dopo
guerra un vero rinnovamento intellettuale, che fu anche un esame di co
scienza. Questa riflessione sul disastro europeo fu spesso incentrata su
un profondo interrogativo circa lo storicismo o, in altri termini, sul si
gnificato che il rifiuto dei valori universali può avere per un’intera civiltà.
La storia delle idee vedeva così uno sviluppo notevole un po’ ovunque,
eccetto in Francia.
Bisogna ancora dire che sottovalutare la forza delle idee è un erro
re non soltanto comodo ma anche molto comune. Le idee spingono
l’uomo all’azione e, anche se si trattasse solo della razionalizzazione del
le pressioni psicologiche o sociali o dei processi economici, le costru
zioni intellettuali assumono rapidamente una propria potenza e diven
gono forze politiche autonome. E difficile capire come la sola forza de
gli eventi avrebbe potuto produrre quei fenomeni senza precedenti
quali furono in primo luogo la Rivoluzione francese e poi le rivoluzioni
del Novecento.
In Francia, contrariamente a quanto succede nel mondo anglofono
o nella sfera d’influenza della cultura tedesca, la storia delle idee non ha
mai acquisito un vero diritto di cittadinanza, e questa discussione con
temporaneamente concettuale e storica appare spesso evitata. L’ho già
ribadito altrove: quando il weberiano Aron scrisse un bel libro sulla sto
ria delle idee, ritenne utile, per essere preso in considerazione, intito
larlo Le tappe del pensiero sociologico. Bisognerà poi attendere il 1966
perché Fayard pubblichi la traduzione del grande libro di Cassirer su
La filosofia dell’Illuminismo, uscito in lingua originale nel 1932. Del re
sto, il famoso lavoro di Arthur O. Lovejoy, The Great Chain o f Being,
considerato nel mondo anglofono il fondamento della storia delle idee
come disciplina universitaria autonoma, non è mai stato tradotto in
Francia29.
29. Arthur O. Lovejoy, The Great Chain of Being: A Study in the History of an Idea,
Harper Torchbooks, New York 1965 [La grande catena dell’essere, trad, di Lia
Formigari, Feltrinelli, Milano 19661. Si vedano l’introduzione e in particolare le
pp. 21-29. La prima edizione di questo lavoro risale al 1936. Nel gennaio 1940 Lo
vejoy fondò il notissimo Journal o f the History of Ideas. Sulla personalità di Lovejoy
si veda Gladys Gordon-Bournique, «A.O. Lovejoy and the “History of Ideas”»,
Journal of the History of Ideas, voi. 48, II, aprile-giugno 1987, pp. 209-210.
44
Introduzione
30. Lovejoy, The Great Chain of Being, p. 15: «The same idea often appears, someti
mes considerably disguised, in most diverse regions of the intellectual world» [La
grande catena dell’essere, p. 22].
31. Si veda il fascicolo di aprile-giugno 1987 del journal o f the History o f Ideas, voi.
48, II, e segnatamente l’articolo di Daniel J. Wilson «Lovejoy’s The Great Chain
of Being after Fifty Years», pp. 187-206. Si veda anche Thomas Bresdorff, «Lo-
vejoy’s idea of “Idea”», New Literary History, voi. 8, II, 1977, pp. 195-212.
45
Introduzione
46
Introduzione
47
Introduzione
«Ben pochi si innalzano sopra i costumi del tempo»’*4. Sono proprio que
sti uomini eccezionali che riescono a vedere oltre l’orizzonte e oltrepas
sare il loro momento storico. I problemi posti da Dante o san Tommaso
d ’Aquino non sono più i nostri. Questo non significa che il dibattito me
dievale sul conflitto latente o aperto fra i due poteri, quello spirituale e
quello temporale, sia privo di senso attuale. Le questioni di principio che
potevano essere sollevate dall’opposizione di Chiesa e Stato mantengo
no il loro significato, non fosse altro perché quei principi possono esse
re tradotti in termini che ci sarebbero familiari. Il pluralismo non è altro
che il primo di questi termini.
Tuttavia, ancora una volta, queste problematiche spariscono quan
do l’ambito della ricerca è limitato a un periodo che costituisce una ve
ra e propria unità di tempo storico. E il caso di quello che va dalla fine
del XVII secolo ai giorni nostri. E utile ricordarlo ancora, non fosse al
tro perché una delle grandi linee d’attacco contro l’Illuminismo passa
attraverso l’idea secondo la quale la Rivoluzione francese è stata un’e
splosione religiosa preparata da illuminati e condotta da fanatici, cre
denti convinti quanto gli uomini del Medioevo, partiti alla ricerca di ve
rità eterne e del paradiso terrestre. L’idea che la Rivoluzione presentas
se un carattere fondamentalmente religioso era tutt’altro che originale.
Lanciata a suo tempo da de Maistre, ripresa da Tocqueville, sviluppata
da Hippolyte Taine sotto il velo di una ricerca storica positivista, accre
ditata negli Stati Uniti negli anni Trenta dallo storico Cari Becker,
vent’anni dopo essa avrebbe entusiasmato la scuola totalitaria. Mentre
la guerra fredda era al culmine, avanzava l’idea secondo la quale l’uto
pia illuminista aveva partorito la Rivoluzione sovietica, poi lo stalinismo
e i gulag. Adorno e Horkheimer propendevano invece per una filiazio
ne tra Illuminismo e nazismo. Questo attacco, si sa, continua ancora og
gi sotto diverse forme. Per esempio, secondo Derrida, che usa questa
argomentazione contro Husserl, ci sarebbe solo un passo tra l’umanesi
mo, quale che sia, e il razzismo, il colonialismo e l’eurocentrismo. Nei
fatti, qualsiasi umanesimo coinciderebbe con una tendenza all’esclu-
34. Voltaire, Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni e sui principali fatti della sto
ria da Carlomagno sino a Luigi XIII, trad. di Marco Minerbi, CdL, Milano 1966,
4 voli., t. II, cap. 82, p. 360.
48
Introduzione
35. Alain Renaut, «Les humanismes modemes», in A. Renaut (a cura di), Histoire de la
philosophie politique, t. Ili, Lumières et Romantisme, Calmann-Lévy, Paris 1999, p. 45.
36. Cfr. Mark Bevir, che propone un’eccellente critica al contestualismo linguistico:
«The Errors of Linguistic Contextualism», History and Theory, 31 (8), 1992, pp.
276-298. Dello stesso autore si veda anche The Logic o f the History o f the Ideas,
Cambridge University Press, Cambridge 1999. Si veda inoltre John E. Toews,
«Intellectual History after the Linguistic Turn», American Historical Review, voi.
92, IV, 1987, pp. 879-907; Anthony Padgen, «Rethinking the Linguistic Turn:
Current Anxieties in Intellectual History», Journal of the History of Ideas, voi.
49, III, 1988, pp. 519-530.
37. Per il problema della storia delle idee contro la storia culturale, qui non affronta
to, cfr. Nancy J. Christie, «From Intellectual to Cultural History: The Comparati
ve Catalyst», Journal of History and Politics, voi. 6,1988-1989, pp. 79-100. Riguar
do all’importanza dell’«archeologia del sapere» per lo storico si veda, tra gli altri,
Larry Shiner, «Reading Foucault: Anthi-Method and the Genealogy of Power-
Knowledge», Llistory and Theory, voi. 21, III, 1982, pp. 382-397; Jeffrey Weeks,
«Foucault for Historians», History Workshop Journal, voi. 14, 1982, pp. 106-119.
49
Introduzione
38. Quentin Skinner, «Some problems in the Analysis of Political Thought and Ac
tion», in ). Tully (a cura di), Meaning and Context: Quentin Skinner and His Cri
tics, Polity Press, Cambridge 1988, p. 106.
39. Quentin Skinner, «Meaning and Understanding in the History of the Ideas», Hi
story and Theory, 8, 1969, pp. 49-53. Si veda anche Dominick LaCapra e John P.
50
Introduzione
Diggins, «The Oyster and the Pearl: The Problem of Contextualism in Intellec
tual History», History and Theory, vol. 23, II, 1984, pp. 151-169; «Rethinking In
tellectual History and Reading Texts», History and Theory, vol. 19, II, 1980, pp.
245-276; Eric Miller, «Intellectual Discourse after the Earthquakes: a Study in
Discourse», History Teacher, vol. 30, III, 1997, pp. 357-371; due articoli di D o
nald R. Kelley, «Horizons of Intellectual History: Retrospect, Circumspect, Pro
spect», journal of the History of Ideas, vol. 4 8 ,1, 1987, pp. 143-170 e «What is
Happening to the History of Ideas», journal of the History of Ideas, vol. 51, I,
1990, pp. 3-25.
51
Introduzione
40. Sul concetto di epoca, si veda Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 499.
52
Introduzione
41. Un altro problema, quello doloroso e vergognoso della schiavitù nel Sud o della
discriminazione istituzionalizzata fino agli anni Sessanta del Novecento, non può
essere affrontato qui.
53
Introduzione
54
Introduzione
55
Introduzione
Tutti questi autori erano coscienti del carattere storico delle loro
idee, ma allo stesso tempo tutti ponevano questioni fondamentali sulla
natura umana o sulla vita dell’uomo in società e cercavano di delineare
una buona società. Tutti intendevano andare oltre il loro contesto im
mediato e tutti erano consapevoli di affermare un certo numero di verità
fondamentali, di «principi eterni» e non si sentivano schiavi di paradig
mi: il fatto che alcuni scrittori contemporanei ricoprano questi termini di
sarcasmo non cambia nulla alla realtà. Tutti volevano interrogarsi sulla
nascita e la caduta delle civiltà e non esitavano a porsi in una prospetti
va lunga venticinque secoli dialogando con Platone.
In questa riflessione sulle sorti delle civiltà si fa strada, all’inizio del
Novecento, l’idea che l’Illuminismo non appartenga solo al Settecento e
che in effetti sia una forma di civiltà che dall’Atene di Pericle fino alla
Cina di Confucio, appartiene alle fasi di decadenza, quando i miti spari
scono e si afferma il regno della ragione. Il pensiero illuminista può dun
que essere ritrovato in ogni tempo e in ogni luogo nel mondo e rappre
senta una minaccia permanente per la cultura bene intesa.
56
CAPITOLO 1
57
Lo scontro delle tradizioni
1. Thomas Paine, l diritti dell’uomo e altri scritti politici, a cura di Tito Magri, trad,
di Marina Astrologo, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 143.
2. Si veda Tilo Schabert, «Modernity and History I: What is Modernity?», in The
promise of History: Essays in Political Philosophy, Walter de Gruyter, Berlin e New
York 1986, pp. 9-21.
58
Lo scontro delle tradizioni
dernità continua dal XII al XVIII secolo. Questo perché, come ha mo
strato Jiirgen Habermas, l’idea di modernità si ritrova ogni volta che in
Kuropa si prende coscienza di un’epoca nuova3. La scuola detta di Char-
tres, con Bernardo di Chartres e Giovanni di Salisbury, sviluppa l’idea
secondo la quale gli antichi erano dei «giganti» sulle cui spalle stavano
dei «nani», ma, grazie alla loro posizione, i nani potevano vedere più
lontano degli antichi. Nel XVI secolo il dibattito oppone due schiera-
menti ben definiti: con Rabelais, Giordano Bruno e Jean Bodin, con
Francis Bacon all’inizio del secolo successivo, i moderni non temono più
di affermare la propria superiorità45.
Di fronte si erge lo schieramento degli antichi: in un bel capitolo dei
suoi Essais, giustamente intitolato «Della consuetudine e del non cam
biare facilmente una legge accolta», dopo avere evocato i grandi nomi
dei tempi antichi, da Socrate e Platone a Ottavio e Catone, Montaigne
proclama: «La novità mi disgusta, sotto qualsiasi aspetto si presenti, e ho
ragione, perché ne ho veduti effetti molto dannosi. [...] Ma anche il mi
glior pretesto per un’innovazione è molto dannoso: adeo nibil motum ex
antiquo probabile est»?.
A metà del XVII secolo Pascal assume una posizione di compromes
so in quello che sembra l’ultimo sforzo per salvare il salvabile dell’auto
rità degli antichi6. Tuttavia diventa sempre più difficile mantenere questo
complesso equilibrio, man mano che un numero crescente di europei si
convince che i capolavori di Corneille, Racine e Molière, di Poussin,
Charles Le Brun e Claude Perrault erano ben altro che una semplice imi
tazione degli Anciens. Per molti il secolo di Luigi XIV non era inferiore
59
Lo scontro delle tradizioni
7. Si veda Charles Perrault, Parallèle des Anciens et des Modernes en ce qui regarde
les Art et les Sciences, Eidos Verlag, Munich 1964, pp. 165-171 (fac-similé dell’e
dizione del 1688).
8. Fénelon, «Reflexions sur la Grammaire, la Rhétorique, la Poétique et l’Histoire
ou Mémoire sur les travaux de l’Académie française à M. Dacier», in Œuvres, II,
a cura di Jacques Le Brun, Gallimard, Paris 1997, p. 1197. Il titolo consueto con
cui questo testo è universalmente noto è «Lettre à l’Académie». In appendice a
questo volume si trovano le prime due versioni di quel testo, che ebbe innume
revoli edizioni (pp. 1199-1237). In una prima versione Fénelon osserva che «la
guerra civile déiVAcadémie» può avere effetti benefici permettendo un certo per
fezionamento del gusto. Se egli teme per «gli autori pieni di talento e delicatezza
che oseranno abbandonare e disprezzare gli Anciens», non è perché chiede loro
di inchinarsi a essi. Al contrario: «Mi auguro che li superino, ma credo che si
debba imparare a superarli dagli stessi Anciens, posto che vi si possa riuscire» (p.
1225). Si veda anche p. 1220: «D a parte mia vorrei che i Modernes superassero
tutti gli Anciens».
9. Ibid., p. 1191. Si veda anche p. 1224: «Abbiamo solo un numero molto piccolo di
autori eccezionali tra i greci e i latini. Ne abbiamo di eccellenti in diversi generi
nel nostro secolo e nella nostra nazione».
60
Lo scontro delle tradizioni
61
Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
15. Paul Hazard, La crisi della coscienza europea, a cura di Paolo Serini, Il Saggiato
re, Milano 1968, 2 voli.
63
Lo scontro delle tradizioni
64
Lo scontro delle tradizioni
65
Lo scontro delle tradizioni
prima di lui, tutti gli uomini, chiunque essi siano, appartengono a que
sto mondo umano che è la storia concepita come perfettibilità.
Fontenelle, una delle bestie nere di tutti i nemici dei Lumi, come
Georges Sorel all’inizio del Novecento, che vedono in lui il simbolo del
male, esprimerà prima di Kant e di Rousseau la magnifica fiducia in se
stesso dell’uomo moderno. Gli uomini sono gli stessi in ogni tempo e in
ogni luogo: «In virtù di che cosa il cervello di allora avrebbe dovuto es
sere meglio organizzato?» Non è forse chiaro che «la natura ha tra le ma
ni una certa pasta che è sempre la stessa, e che gira e rigira incessante
mente in mille modi»? «I secoli non producono alcuna differenza natu
rale tra gli uomini. [...] Eccoci dunque tutti perfettamente eguali, anti
chi e moderni, greci, latini e francesi.»20 Gli Anciens non hanno fatto al
tro che precedere i Modernes nel tempo, e questo crea l’illusione che es
si abbiano inventato tutto. Al loro posto, i Modernes sarebbero giunti
agli stessi risultati. Ma, nei fatti, i Modernes sono giunti a risultati mai ot
tenuti dagli Anciens. Questi non avevano solo pregi, anzi: colmi di difet
ti e debolezze, hanno «utilizzato la maggior parte delle idee false che si
potevano produrre. Era assolutamente necessario pagare all’errore e al
l’ignoranza il tributo che essi hanno pagato». Quello che, secondo Fon
tenelle, mancava indubbiamente agli Anciens era il metodo scientifico, o
ciò che egli definisce esattezza e rigore: «Non di rado deboli rapporti,
piccole somiglianze, fantasie poco solide, discorsi vaghi e confusi, ven
gono presi per dimostrazioni»21. I secoli passati non hanno avuto alcun
Descartes: grazie a questo balzo in avanti, in tutti i campi del sapere re
gna «una precisione e un’esattezza, fino a ora sconosciute»22. Ecco per
ché «essendo dunque illuminati dalle concezioni degli antichi, e dai loro
stessi errori, non è sorprendente che li superiamo»23. Le generazioni si
succedono e gli ultimi venuti saranno sempre superiori ai loro predeces
sori: «È evidente che tutto ciò non ha fine, e che gli ultimi fisici o mate
matici dovranno naturalmente essere i più abili»24. Il progresso delle co-
66
Lo scontro delle tradizioni
I
67
Lo scontro delle tradizioni
brutalità e barbarie dei costumi antichi e per concludere che «quei mo
numenti di crudeltà provano sufficientemente la superiorità della nostra
filosofia moderna su quella che ha potuto uniformarsi a tali abomini»’0.
Lo stesso quadro di barbarie ritorna in Volney che, in più, si prende gio
co dell’adorazione superstiziosa per i greci e i romani, dei quadri idillia
ci che dipingono la libertà e l’eguaglianza di cui essi avrebbero goduto,
quando invece Sparta e Roma erano oligarchie brutali che tenevano sot
to il loro giogo intere popolazioni di schiavi e di plebei parimenti mise
rabili. Lo stesso Chateaubriand sapeva che le antiche Repubbliche non
potevano nemmeno supporre l’esistenza della «libertà figlia dei lumi»3031.
Tuttavia, pur avendo una chiara coscienza della specificità del loro
tempo e facendo valere la consapevolezza della modernità, gli Illuministi,
proprio come i loro successori del X IX e X X secolo, non vedono la loro
epoca come «ultima e singolare». Senz’altro la loro era una grande epo
ca, ma il cammino in avanti non si sarebbe mai fermato. Spesso la storia
dell’Europa appare sotto forma di un vasto movimento di preparazione
dei tempi moderni: l’esordio della democrazia può essere intuito già nei
presocratici. Ma non c’è nessuna «fine della storia»: nessuna epoca, nes
sun popolo può pretendere di avere raggiunto l’optimum. Non c’è alcu
na linea di arrivo. Invece Burke considerava il suo mondo come la perfe
zione; con l’Inghilterra del XVIII secolo, secondo i suoi principi genera
li, si era raggiunto il massimo. Egli aveva pensato alla fine della storia due
secoli prima di uno dei suoi seguaci neoconservatori, Francis Fukuyama32.
E proprio a questa scuola di pensiero che appartiene l’idea della fine della
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Lo scontro delle tradizioni
69
Lo scontro delle tradizioni
l’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità
è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.
[...] Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligen
za! E questo il motto deH’lluminismo»55. L’appello di Kant all’emancipa
zione del soggetto umano dagli intralci della storia e della religione è un
corollario della sua visione dei Lumi come un processo dinamico, un
continuo cammino verso un’autoemancipazione sempre più avanzata.
Questa visione ottimistica della storia è basata sul concetto del primato
dei diritti dell’uomo: sotto l’influenza di Rousseau, Kant comincia a con
siderare la libertà come il primo principio della morale, e la teoria del
contratto sociale gli appare ormai come la sola filosofia politica compa
tibile con una simile concezione della morale56. Kant ha sottolineato il
suo debito con Rousseau: «Rousseau mi ha corretto [...] Lio imparato a
rispettare gli uomini e mi sentirei all’improvviso più inutile di un comu
ne lavoratore se non credessi al tempo stesso che le mie osservazioni pos
sano rappresentare un valore per tutti, in grado di costruire diritti del
l’umanità»57. Egli vedeva nell’autore del Contrat social il Newton della
morale: «Rousseau fu il primo a scoprire, nella molteplicità delle forme
assunte dall’uomo, la sua natura profondamente nascosta»58.
Per Kant gli uomini del suo tempo non erano ancora padroni del lo
ro destino, non si erano ancora liberati dai pregiudizi e dalle superstizio
ni, ma, se l’età non era ancora illuminata, era già quella della ragione e
della critica. È proprio da questa critica razionale delle certezze e dei va
lori tradizionali che procede la teoria dei diritti naturali, il principio del35678
35. Kant, «Risposta alla domanda: che cos’è rilluminismo?», in Scritti di filosofia po
litica, a cura di Dario Faucci, trad. di Gioele Solari e Giovanni Vidari, La Nuo
va Italia, Firenze 1967, p. 25 (corsivo nel testo). Sulla critica di questo testo da
parte di Michel Foucault, si veda il suo «Q u ’est-ce que les Lumières?», in Ma
gazine littéraire, aprile 1993, pp. 62-74. Si veda anche Maurizio Passerin d’En-
trèves, Cntique and Enlightenment: Michel Foucault on «Was ist Aufklärung»,
Institut de ciències politiques i socials, Barcelone 1996.
36. F.C. Beiser, Enlightenment, Revolution and Romanticism. The Genesis o f Modem
German Political Thought, 1790-1800, Flarvard University Press, Cambridge
(Mass.) 1992, pp. 30-33, 37.
37. Kant, Annotazioni alle Osservazioni sul sentimento del hello e del sublime, a cu
ra di Maria Teresa Catena, Guida, Napoli 2002, p. 64.
38. Ibid., p. 80.
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Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
sione delle cose, non quella degli uomini del XVIII secolo: uno come
Voltaire era convinto dell’imminenza della vittoria, prodotto naturale
della rivoluzione intellettuale di cui era testimone. Né i tempi, né le opi
nioni, né i costumi sono più gli stessi, «da circa cinquant’anni quasi tut
ta l’Europa ha cambiato aspetto»/7 scriveva nel 1763: non cera alcuna
ragione di ritenere che questo cammino potesse fermarsi. Kant, testimo
ne della Rivoluzione, si entusiasma per i fatti di Parigi. Il conflitto delle
facoltà, ultimo opuscolo pubblicato da vivo nel 1798, esprime l’ottimi
smo di una generazione che ha visto la libertà prevalere in America, VAn
cien Régime abbattuto, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo proclama
ta a Parigi e certe tendenze liberali apparire persino in Prussia. «La ri
voluzione di un popolo ricco di spirito, rivoluzione che abbiamo visto
accadere ai nostri giorni, può riuscire o fallire; può essere [...] colma di
miserie e atrocità [...] questa rivoluzione, dico, trova però nell’animo di
tutti gli spettatori [...] una partecipazione, sul piano del desiderio, pros
sima all’entusiasmo [...] che può essere causata solo da una disposizio
ne morale intrinseca al genere umano.»4748 E Kant prosegue: i popoli avan
zano verso una «forma politica» basata sull’amministrazione dello «Sta
to, sotto l’unità del capo supremo (il monarca), secondo leggi analoghe
a quelle che un popolo darebbe a se stesso in base a principi giuridici
universali»4950.Ecco perché «anche senza il dono dello spirito profetico, io
ritengo di poter predire, in base agli indizi e ai segni premonitori dei no
stri giorni, che il genere umano raggiungerà questo fine e quindi, al tem
po stesso, che il suo avanzamento verso il meglio non sarà da qui in poi
del tutto impedito». La Rivoluzione francese è dunque il fenomeno che
attesta il cammino in avanti; «ha svelato una capacità e una disposizio
ne» inerenti alla natura umana: «Solo questo fenomeno poteva promet
tere d’unire nel genere umano, in base a interni principi giuridici, natu
ra e libertà». Nonostante tutto, persino le atrocità, «quell’avvenimento è
troppo grande [...] per non tornare [...] alla memoria dei popoli»’1.
47. Voltaire, Trattato sulla tolleranza, a cura di Lorenzo Bianchi, Feltrinelli, Milano
2003, p. 50.
48. Kant, Il conflitto delle facoltà, a cura di Domenico Venturelli, Morcelliana, Bre
scia 1994, p. 165 (corsivo nel testo).
49. Ibid., p. 169 (corsivo nel testo).
50. Ibid.,pp. 169-170.
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Lo scontro delle tradizioni
Non che questo progresso sia automatico, precisa Ruyssen. Mentre l’a
nimale si rimette passivamente alla legge della natura, nell’uomo natura
e libertà sono riunite. Per natura, gli uomini sarebbero tentati di com
portarsi come gli animali, come quelle «docili pecore guidate, nutrite e
validamente protette da un padrone buono e accorto». Ma «a un essere
dotato di libertà non basta infatti godere il comodo della vita»: egli può
accettare «per il popolo al quale appartiene, solo quel governo in cui il
popolo partecipa alla formazione delle leggi»51. Ormai la specie umana è
in stato di allerta; conosce la sua forza. Dopo di ciò la lezione da trarre
dalla filosofia della storia non è una promessa ma un appello, un’eco del
l’imperativo; invita l’essere ragionevole ad assumersi la responsabilità del
proprio destino52.
Il conflitto delle facoltà mette il punto finale all’appello lanciato nel
la sua Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? uscita nel 1784.
Nel 1790 Kant scrive ancora: «La prima massima [pensare per se stessi]
è quella di una ragione che non è mai passiva. L’inclinazione alla passi
vità e di conseguenza all’eteronomia della ragione si chiama pregiudizio-,
il più grande di tutti consiste nel rappresentarsi la natura come se essa
non fosse sottomessa alle regole che l’intelletto le dà per fondamento
grazie alla propria legge essenziale, ed è la superstizione. La liberazione
dalla superstizione si chiama Illuminismo» ” . Il libero pensiero, il pensie
ro liberato, è quello autonomo, quello che è autorizzato solo dal tribu
nale del proprio intelletto, dice Françoise Proust, quello che si dà le sue
leggi da sé e riconosce come legittime solo le leggi naturali e morali che
gli fornisce la sua ragione. Questo è il senso che la parola «legge» assu
me nel Settecento: la legge è l’opposto dell’arbitrio poiché è universale e
permette di risolvere il problema posto da Rousseau: trovare una forma
di legame tale per cui si sia liberi pur essendo costretti a obbedirvi. Que
sto legame è la legge, alla quale l’uomo obbedisce liberamente perché è
la legge della sua ragione5'1. Questa arringa in difesa dei principi illumi-
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Lo scontro delle tradizioni
nisti era una splendida risposta a Herder e a Burke, e anche, senza che
Kant avesse mai sentito parlare di lui, a Vico.
Una restaurazione e due rivoluzioni più tardi, un altro liberale illumi
nato, Tocqueville, riassume ciò che per tutti gli Illuministi fu l’idea di li
bertà, agli antipodi di quella alla quale credeva Burke: «Secondo la con
cezione moderna, democratica e oserei dire giusta della libertà, ogni uo
mo che si presume abbia ricevuto dalla natura le cognizioni necessarie per
comportarsi, reca in sé dalla nascita un diritto eguale e imprescrittibile a
vivere indipendente dai suoi simili, per tutto quanto si riferisce alla sua
persona, e a decidere come meglio crede del proprio destino»55. E così che
Tocqueville riunisce i due aspetti dell’idea di libertà che Benjamin Con
stant, dopo Kant, aveva già esposto, che Burke aveva voluto ignorare e
che cento anni dopo Isaiah Berlin distinguerà56. In questo senso egli si pre
senta come un liberale autentico, un liberale dei Lumi, e così facendo pro
va che non esiste altro liberalismo se non quello legato ai principi illumi
nisti. Qualche riga più avanti Tocqueville traccia il quadro concettuale del
nazionalismo liberale: «L’idea per cui ogni individuo, e per estensione
ogni popolo, ha il diritto di guidare le proprie azioni, un’idea ancora oscu
ra, definita in modo incompleto e mal formulata, si introdusse a poco a
poco in tutti gli animi»57. Anni luce separano l’idea di nazione di Burke da
quella di Tocqueville. Per l’autore de LAncien Regime fu nel XVIII seco
lo che si produsse la trasformazione che avrebbe permesso l’emergere dei
concetti di libertà moderna, libertà individuale e libertà collettiva.
Contrariamente a Burke, secondo cui la rivoluzione in Francia na
sceva dalla rivolta contro la civiltà cristiana, Tocqueville si rende perfet
tamente conto della realtà del XVIII secolo. Esaminando, sessant’anni
dopo, i cahiers preparati dai tre ordini alla vigilia della convocazione de
gli Stati generali, quelli della nobiltà e del clero così come quelli del Ter
zo Stato, egli scopre, «quasi con terrore, che quanto si chiede è l’aboli
zione simultanea e sistematica di tutte le leggi e tutti gli usi vigenti nel
paese»58. Non è dunque la «cabala letteraria» parigina che ha la respon
75
Lo scontro delle tradizioni
sabilità dei fatti del 1789. Per Tocqueville questa rivoluzione in arrivo
non è il prodotto di una vasta cospirazione contro la civiltà cavalleresca
e cristiana, come pensa Burke, ma piuttosto delle realtà deil’Ancien Re
gime. Egli concentra la risposta in due capitoli di L’Ancien Regime et la
Revolution. 11 capitolo XII del secondo libro si intitola «Come, nono
stante i progressi della civiltà, la condizione del contadino francese fos
se talora peggiore nel XVIII secolo di quanto era stata nel XIII». Ecco
perché Tocqueville è spesso più vicino a Rousseau che a Burke, perlo
meno quando si tratta dei contadini deU’Ancien Regime e non degli ope
rai in rivolta del giugno 1848. Gran signore, egli capiva quel testo di
Rousseau che raccontava il suo incontro con un contadino al quale egli
aveva chiesto da mangiare: tale esperienza fu «il germe di quell’odio ine
stinguibile che poi mi si sviluppò nel cuore contro le vessazioni subite
dallo sventurato popolo e contro i suoi oppressori»59. Ecco qualcosa che
Burke, e dopo di lui Taine, accecati dall’odio per ITlluminismo francese
e per la Rivoluzione, non avevano nemmeno tentato di capire.
Nel capitolo successivo, primo del terzo libro, Tocqueville cerca di
capire «Come, verso la metà del secolo XVIII, i letterati divennero i prin
cipali uomini politici del paese, e quali conseguenze ne risultarono». Da
una parte, la loro stessa condizione li «disponeva a prediligere le teorie
generali e astratte in materia di governo e ad abbandonarvisi ciecamen
te», ma allo stesso tempo Tocqueville chiarisce che, pur non partecipan
do gli intellettuali francesi del XVIII secolo alla vita pubblica come in In
ghilterra, essi non restavano comunque estranei alla politica: «Si occupa
vano costantemente di materie attinenti al governo; era questa, a onor del
vero, la loro principale attività». In effetti sono queste le questioni fon
damentali oggetto del loro interesse: «Ogni giorno li si udiva dissertare
sull’origine della società e sulle loro forme primitive, sui diritti primor
diali dei cittadini e su quelli dell’autorità, sui reciproci rapporti, naturali
e artificiali, degli uomini, sui difetti o sulla legittimità delle consuetudini,
e sui principi stessi delle leggi. Addentrandosi di giorno in giorno fin nel
le stesse basi della costituzione del loro tempo, ne esaminavano con cu
riosità la struttura e ne criticavano l’assetto generale». E qui viene l’es
senziale: «Non a caso i filosofi del secolo XVIII avevano in genere con-
76
Lo scontro delle tradizioni
cepito nozioni tanto opposte a quelle che stavano ancora alla base della
società del loro tempo; tali idee erano state loro suggerite dalla visione di
quella medesima società che tutti avevano sotto gli occhi. Lo spettacolo
di tanti privilegi abusivi o ridicoli [...] spingeva, o meglio ancora faceva
simultaneamente precipitare l’animo di costoro verso l’idea di una natu
rale eguaglianza delle condizioni. Nel vedere tante istituzioni anomale e
bizzarre, frutto d’altri tempi, [...] era facile per quei filosofi ripudiare le
cose antiche e la tradizione». E questa società, la sola che sia veramente
stata una società bloccata, una società senza futuro, a far sì che gli uomi
ni di lettere francesi fossero «naturalmente sospinti a voler ricostruire la
società del loro tempo secondo un progetto totalmente nuovo, che cia
scuno di loro tracciava alla sola luce della propria ragione»60.
Ecco in che cosa consiste «la filosofia politica del secolo XVIII», di
ce Tocqueville, quando «si prescinde dai particolari per risalire alle idee
madri»: gli scrittori di quel tempo, quali che siano le loro differenze,
«pensano che convenga sostituire con regole semplici ed elementari, at
tinte alla ragione e alla legge naturale, le consuetudini complesse e tra
dizionali che reggono la società del loro tempo»61. Molto spesso lo stes
so Tocqueville appare come un uomo del XVIII secolo per il suo profon
do legame col razionalismo sperimentale. In UAncien Regime et la Re
volution egli dedica alcune pagine straordinarie all’elogio degli uomini
del 1789: «È l’89, tempo d’inesperienza senza dubbio, ma anche di ge
nerosità, di entusiasmo, di virilità e di grandezza, tempo di imperitura
memoria, verso il quale si volgeranno con ammirazione e rispetto gli
sguardi degli uomini, quando coloro che l’hanno visto e noi stessi sare
mo da tempo scomparsi». Tocqueville prosegue, con un brano il cui ri
lievo è evidente: «In quel momento i francesi si sentirono abbastanza fie
ri della loro causa e di se stessi da credere di poter essere uguali nella li
bertà. In mezzo a istituzioni democratiche introdussero quindi dapper
tutto istituzioni libere»62. Qui Tocqueville, che non viene praticamente
ricordato da Berlin, risponde in anticipo all’autore di Due concetti di li
bertà'. la libertà negativa significa difesa dell’individuo contro un’interfe-
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Lo scontro delle tradizioni
63. Ibid., p. 302. Nel campo «conservatore» sarà capace di un simile elogio solo il
giovane Renan, proprio all’inizio della sua carriera.
64. Ibid., pp. 299-300.
65. Ibid., p. 71.
66. Ibid., pp. 596-597. Si vedano anche le pp. 597-598.
78
Lo scontro delle tradizioni
79
Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
74. Ibid., p. 325. Se ne veda la traduzione francese, qui utilizzata per la scelta dei
brani, in appendice a Burke, Réflexions sur la révolution de Lrance, trad. de Pier
re Andler, présentation de Philippe Raynaud, annotation d’Alfred I ierro et
Georges Liébert, Hachette (coll. «Pluriel»), Paris 1989, pp. 467-603.
75. Ibid., pp. 288-289.
76. Ibid., p. 290.
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Lo scontro delle tradizioni
82
Lo scontro delle tradizioni
81. Ibid., p. 318. Questo passo di Burke si trova in «Riflessioni sulla Rivoluzione
francese», in Scritti politici, a cura di Anna Mastelloni, Utet, Torino 1963, p. 256.
82. Ibid., p. 319.
83
Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
85
Lo scontro delle tradizioni
89. I primi scritti di Burke sono raccolti nel volume I, pubblicato nel 1997, di The
Writings and Speeches o f Edmund Burke, Clarendon Press, Oxford 1989-2000.
La pubblicazione di questa esemplare edizione scientifica (anche se a volte net
tamente apologetica su alcune questioni spinose come la tratta dei neri) sotto la
cura generale di Paul Langford, non è ancora terminata. Le citazioni di questa
edizione figureranno come «edizione di Oxford».
90. Si dispone ora di una traduzione recente in francese del primo volume: Recher
ches sur la Révolution française, traduction, annotations et introduction de Lukas
K. Sosoe, préface de Alain Renaut, Vrin, Paris 1998. Lo scritto di questo alto fun
zionario dello Stato di Hanover, pubblicato nel 1793, rappresenta l’equivalente
tedesco delle Riflessioni di Burke. Non ha mai potuto avere in Germania, presso
un pubblico già «burkizzato», come lo definisce Alain Renaut, il successo godu
to dal parlamentare britannico, e in Francia è rimasto praticamente ignoto. Non
86
Lo scontro delle tradizioni
c’è dubbio che il libro di Rheberg sia superiore a quello di Burke, abbia una
profondità che manca al pamphlettista britannico, ma non presenti vera origina
lità rispetto alle Riflessioni. Si vedano per esempio le pp. 99-104 (114-117 del ci
tato testo francese) sulla negazione dei diritti universali, del razionalismo, dell’e
guaglianza tra gli uomini, dell’idea di contratto, dell’autonomia dell’individuo e
delle generazioni rispetto a quelle precedenti o della possibilità di cambiare una
Costituzione a maggioranza. Dire che «la Dichiarazione francese è un’accozzaglia
di massime filosofiche molto approssimative» e che «contiene solo diritti del cit
tadino e per niente i doveri», affermare che «lo spirito metafisico si era impadro
nito di tutte le menti dell’Assemblea nazionale» (pp. 135-136), nel 1793, e ancor
più in seguito, non era una novità per i critici della Rivoluzione. Che la poca fa
ma di Rehberg rispetto alla gloria di Burke sia un’ingiustizia è sicuro, ma è pro
prio il successo di Burke (che per altro Rehberg non manca di citare), durato fi
no ai nostri giorni, che contribuisce all’oblio di tutti gli altri scritti dell’epoca ba
sati sugli stessi principi miranti a scalzare le fondamenta dei Lumi francesi.
91. Edmund Burke, «Ricorso dai nuovi agli antichi Whig», in Scritti politici, p. 523.
92. Burke, «Deuxième lettre, sur le génie et le caractère de la révolution française,
dans ses rapports avec les autres nations» (Deuxième lettre sur la paix régicide),
in Réflexions sur la révolution de France, p. 600.
93. Burke, «Riflessioni sulla Rivoluzione francese», in Scritti politici, p. 285.
87
Lo scontro delle tradizioni )
/
ma il suo incitamento alla forza per soffocare nel sangue il nuovo regime
francese, il suo messianesimo antirivoluzionario, il suo orrore per quella
«falsa filosofia» che aveva infettato la società fino alle persone eminenti
di questo mondo non sono affatto inferiori alla veemenza del diplomati
co savoiardo94. Ma per Burke la Rivoluzione non è il prodotto della vo
lontà divina, è l’operato degli «uomini cattivi», quegli intellettuali che di
struggono la religione, che scalzano la legittimità dell’ordine sociale tac
ciandolo di essere profondamente ingiusto; essa è il prodotto del falli
mento di una classe dirigente indebolita dalla prosperità come da una
falsa filosofia e dell’avanzata di un’altra classe sociale dagli oscuri dise
gni. Da una parte Burke fa un’apologià òdi!Ancien Regime non ripresa
nemmeno da critici dei Lumi e della Rivoluzione come Carlyle, Renan o
Taine ma che si ritroverà in de Maistre e in parte anche in Maurras: egli
vede nell’Europa degli anni precedenti la Rivoluzione francese la più
bella età della storia umana95. Non pensava, come Tocqueville, che la vi
ta del contadino francese nel XVIII secolo fosse più dura che nel Me
dioevo96. Però egli comprende il carattere conflittuale della società fran
cese e, come Carlyle, è consapevole della decadenza che caratterizza i
suoi ceti privilegiati.
Proprio Burke, il primo grande critico dell’intellettualismo, è stato
anche il pioniere della guerra totale, il primo a capire che si sarebbe po
tuto bloccare la filosofia dei Lumi solo se le si fosse opposta una con
trofilosofia altrettanto potente, poggiata su baionette tanto acuminate
94. Michael Freeman pensa a ragione che in un testo del 1795, Letter to William El-
lìot, Burke fornisca il miglior sunto del suo punto di vista sulle cause della Rivo
luzione in Francia. Si veda il suo «E. Burke and thè Sociology of Revolution»,
Politicai Studies 25 (4), 1977, p. 466. In effetti questo scritto riprende per som
mi capi ma in modo più sintetico tutte le argomentazioni già anticipate in modo
più diffuso nelle Riflessioni.
95. E. Burke, Letter to William Elliot, 26 May 1795, The Wrìtings and Speeches of
Edmund Burke (edizione di Oxford), voi. IX, p. 39. Questa lettera fu scritta in
risposta a una dura critica delle idee di Burke fatta dal duca di Norfolk ]’8 mag
gio 1795 alla Camera dei lord. Norfolk pensava che non solo le idee di Burke
«distruggevano i diritti costituzionali degli inglesi, ma erano diametralmente op
poste ai principi whig [che erano] i principi della Rivoluzione del 1688». Si ve
da il testo completo di queste lettere alle pp. 29-44.
96. Alexis de Tocqueville, E Antico regime e la Rivoluzione, p. 209.
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89
Lo scontro delle tradizioni
uomini. Per Burke, Rousseau, più che Voltaire, è il maître à penser degli
uomini che hanno messo le mani sulla Francia, perché «il vizio [...] è in
lui in tutto il suo splendore»97. Burke fustiga l’autore del Discours sur l’o
rigine de l’inégalité per avere messo in piedi una teoria dell’eguaglianza
sociale basata sulla sua concezione di libertà e gli rimprovera il ricorso a
un diritto naturale astratto staccato dal cristianesimo98. Sotto la sua in
fluenza è iniziata un’immensa rivoluzione che cambia i costumi, la poli
tica e la società. Sotto l’impatto del pensiero di Rousseau spariscono lo
spirito di cavalleria e i «pregiudizi aristocratici»99. Si giunge infine quel
la scena pittoresca il cui ridicolo non è forse sfuggito ai contemporanei:
i capi dell’Assemblea nazionale «litigano con calore su chi somigli di più
a Rousseau. Si sono appropriati realmente del suo sangue, del suo spiri
to e delle sue abitudini. Lo studiano, lo meditano, sfogliano i suoi scrit
ti in ogni momento che possono sottrarre alle laboriose macchinazioni
del giorno e alle dissolutezze della notte»100.
Queste frasi appartengono alla terza fase della guerra ingaggiata da
Burke contro l’Illuminismo francese. La prima è quella dei trenta anni
che precedono il 1789, la seconda produce le Riflessioni, la terza è quel
la che segue immediatamente il suo pamphlet, con l’appello alla crocia
ta contro la Francia dei diritti dell’uomo fino all’annientamento del ma
le. I primi rintocchi della Rivoluzione confermano le sue intime convin
zioni espresse fin dai primi colpi sferrati a Rousseau. Infatti la prima let
tura di Locke lo aveva già convinto: il pensiero emancipato del Secondo
Trattato e il pensiero rivoltoso del secondo Discorso minacciavano un’in
tera civiltà, la grande civiltà cristiana. Per lui la Rivoluzione francese non
era uno sfortunato incidente ma la messa in pratica delle idee del XVIII
secolo: era la prima rivoluzione totale della storia. Se egli non fosse sta
to preparato intellettualmente e moralmente da tanto tempo, se la sua
avversione per i Lumi non avesse già raggiunto l’apice, l’esplosione del
le Riflessioni non si sarebbe potuta verificare con tale violenza e tale ra-
91
Lo scontro delle tradizioni
pidità. Burke, nel quale Tom Paine vedeva tutto sommato «un metafisi
co»,101 non aveva paura delle idee in sé, temeva le idee nuove, le idee «il
luminate» che egli chiamava, per meglio denigrarle, «astrazioni»: in altri
termini, le idee che offrivano l’immagine o il modello di un avvenire di
verso dall’ordine esistente. Per combattere i fondamenti teorici della
scuola giusnaturalista, Burke formula i principi dello storicismo. La ca
duta dclYAncien Régime in giugno, la notte del 4 agosto, la Dichiarazio
ne dei diritti dell’uomo, le giornate del 5 e 6 ottobre dimostravano la po
tenza del pensiero illuminista, quindi del pericolo mortale che ormai at
tendeva l’Europa. E assurdo sostenere che Burke si sia mosso all’attacco
nel 1789 perché aveva previsto il Terrore e la lunga guerra europea. Ave
va lanciato il suo assalto contro la Francia perché la trasformazione de
gli Stati generali in Assemblea nazionale, la cancellazione degli antichi
privilegi e il trasferimento forzato del re e della regina rappresentavano
la conclusione dell’ordine cavalleresco ed esprimevano la fine dell’unico
ordine sociale e politico degno, secondo lui, di una società civile.
Questo scontro di civiltà, «uno dei più grandi spettacoli che occhio
umano abbia mai visto», è stato a sua volta definito da de Maistre come
una «lotta a oltranza del cristianesimo e del filosofismo»1021034. Tuttavia, lo
vedremo più avanti, l’unico cristianesimo degno di questo nome per de
Maistre è quello di prima della Riforma. Il protestantesimo, fondatore
dell’individualismo, si accompagna al giacobinismo ed è all’origine della
più grave caduta della «ragione umana» mai vista nella storia105. Il XVI
secolo rappresentò una prima insurrezione, quella dell’individuo contro
la disciplina collettiva, ma è solo nel XVIII secolo che « l’empietà diven
ne realmente una potenza [...]. Dal palazzo alla capanna, essa si intro
duce dappertutto e infesta tutto»101. Sono gli intellettuali, coloro «che si
chiamavano filosofi», che scatenano una «guerra mortale» al cristia-
92
Lo scontro delle tradizioni
nesimo105. Tutti gli scienziati, dice de Maistre, tutti gli uomini di lettere,
tutti gli artisti francesi hanno formato «dall’inizio del secolo una vera
congiura contro i pubblici costumi»: dopo essere riusciti a conquistare i
grandi signori e le donne, quei congiurati hanno «fatto in Francia disa
stri incredibili»106. Hanno dato il loro contributo a quella corruzione e
degradazione generale che regnavano in Francia alla vigilia della Rivolu
zione107. Hippolyte Taine non dirà niente di diverso, Maurras riprenderà
alla lettera questi temi.
L’identità dei grandi colpevoli non sorprende affatto: Montesquieu,
che sta a Licurgo come Batteux sta a Omero o a Racine, Locke, che fal
lì clamorosamente quando volle dare leggi agli americani, Rousseau, uno
dei più pericolosi sofisti del suo secolo, l’uomo che forse ha errato più di
tutti, e infine l’arcinemico, Voltaire108. In alcune pagine del primo volu
me delle Soirées de Saint-Fétersbourg, de Maistre versa il suo fiele sullo
«spirito corrotto» di Voltaire: «Osservate la fronte abietta che il pudore
non colorò mai, i due crateri spenti nei quali sembrano ancora ribollire
la lussuria e l’odio [...] la smorfia spaventosa [...] e le labbra strette da
una malizia crudele come una molla pronta a scattare per lanciare la be
stemmia o il sarcasmo»109. La sfortuna più grande è che «le sue opere non
sono morte; esse vivono, ci uccidono»110.
Il «torrente rivoluzionario» la cui sorgente sta in «uno dei più gran
di flagelli del genere umano»,111 la Riforma, rivela due caratteristiche es
senziali: sebbene abbia nel tempo preso direzioni diverse, il suo caratte
re generale non è mai mutato;112 quel carattere è « satanico» e «la distin
gue da tutto ciò che si è visto finora, e forse da tutto ciò che si vedrà in
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Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
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Lo scontro delle tradizioni
è il prodotto della sua visione di se stesso: siccome egli attribuisce solo al
le circostanze le sue bassezze e i suoi vizi, pensa che sia lo stesso per l’uo
mo. La natura è buona, nella struttura umana non ci sono difetti, è la so
cietà l’unica responsabile di tutte le sventure. Taine moltiplica le citazio
ni e le frasi famose apportatrici di tutte le sventure - «la natura ha fatto
l’uomo felice e buono, la società lo corrompe e lo fa miserabile» - per mo
strare come la dottrina spiritualista si formi attorno a questa idea centra
le. All’uomo non basta il-piacere personale, gli occorrono ancora la pace
della coscienza e le effusioni del cuore. Nessuno dei suoi impulsi e delle
sue inclinazioni naturali, quelle che ha in comune con gli animali, sono
cattive in sé. Il male è nel governo degli uomini: togliete queste dighe,
opere della tirannia e della consuetudine, e la natura riprenderà la sua an
datura retta e sana, l’uomo non si ritroverà soltanto felice ma anche vir
tuoso125. In base a questo principio l’attacco comincia, dice Taine. Storico
delle idee nutrito di Burke e di Carlyle, egli analizza la rivolta scatenata
da Rousseau. La sua è un’interpretazione priva di grande originalità, uni
dimensionale, ma l’essenziale non è questo. Sono spesso le interpretazio
ni più banali che colpiscono l’immaginazione e diventano idee correnti.
Per Taine, l’assalto condotto dall’autore dei due Discours è il più vio
lento, è l’attacco globale che va infinitamente più lontano di quello di
Montesquieu e di Voltaire o di quello di Diderot e di D ’Holbach. È l’af
fermazione del diritto alla felicità immediata, inseparabile dalla nobiltà
riconquistata dal soggetto umano, è il rifiuto totale dell’ordine esistente.
In poche pagine stringate, Taine cita i testi classici del Rousseau del Di
scours sur l’inégalité e del Contrai social, quelli che hanno determinato la
sua gloria in campo repubblicano e contemporaneamente ne hanno fat
to oggetto di accusa da parte di tutti i sostenitori del vecchio ordine: la
società politica all’origine fu «un contratto iniquo [...] concluso tra il ric
co scaltro e il debole ingannato [...] [che], col nome di proprietà legale,
consacrò l’usurpazione del suolo». Oggi è un contratto ancora più ini
quo, «grazie al quale [...] un pugno di gente annega nel superfluo men
tre la moltitudine affamata manca del necessario». Qui Taine riprende la
sua analisi per mostrare come, secondo Rousseau, sia su questa inegua
glianza fondamentale, destinata ad aumentare con il tempo, che poggia il
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Lo scontro delle tradizioni
97
Lo scontro delle tradizioni
illimitata dello Stato»1'0. Qui si trova l’origine prima dell’idea per la qua
le la Rivoluzione è all’origine di tutte le dittature del X X secolo. Sia per
10 storico Jacob Talmon che per il filosofo Isaiah Berlin, e in pratica an
che per altri studiosi della loro generazione, Rousseau è ancora e sempre
11 grande responsabile dell’ascesa della «democrazia totalitaria».
E proprio a Tocqueville, che per una volta Taine non trascura di ci
tare, che si deve la sistematizzazione dell’idea secondo la quale, dal mo
mento in cui il principio della sovranità popolare è acquisito, VAncien
Regime centralizzatore e distruttore delle libertà locali e parlamentari
porta direttamente a un dispotismo di tipo nuovo1’1. Solo che, contraria
mente a Burke e a Taine, Tocqueville pensava che si sarebbero potuti su
perare i pericoli della democrazia facendo appello alle sue virtù.
Seguendo Burke, Taine riconduce il dispotismo democratico all’idea di
un contratto sociale, prima e unica fonte del diritto. Nel momento in cui il
contratto tra «esseri perfettamente eguali e liberi, esseri astratti, specie di
unità matematiche, tutte dello stesso valore» è concluso, «tutti gli altri pat
ti», cioè lo stato di fatto al quale dopo Burke è stato affibbiato il nome di
«patto storico» da tutti i critici dell’Illuminismo, «diventano nulli». In que
sto modo vede la luce «il nuovo Stato», contro il quale nessuna delle vec
chie istituzioni - Chiesa, famiglia, proprietà - può accampare diritti. Que
sto Stato non è però lo Stato all’americana, una sorta di società di mutua
assicurazione. Taine non nutre alcuna simpatia per lo Stato concepito co
me «una macchina utilitaria», quell’«impertinenza americana», come dice
va Renan, ma non c’è nulla di peggio di quel «convento democratico che
Rousseau costruisce sul modello di Sparta e Roma», dove «l’individuo non
è niente» e «lo Stato è tutto». Questo «primogenito della ragione, suo fi
glio unico e solo rappresentante», viene al mondo nel momento in cui «al
la sovranità del re, il Contrai social sostituisce la sovranità del popolo»130132.
Nell’alienazione dell’individuo e nel suo asservimento a quel mostro
che si chiama sovranità popolare, Taine vede il fine di tutta l’opera di
Rousseau. Moltiplica le citazioni famose per dimostrare la totale sotto-
missione richiesta all’individuo con questo processo fondativo: prima
130. Ibid.
131. lbid.,p. 437.
132. Ibid., pp. 435-438.
98
Lo scontro delle tradizioni
del contratto sociale l’uomo era proprietario di beni, con il contratto so
ciale si è alienato ed è divenuto debitore dello Stato. Nel «nostro con
vento laico», dice, «tutto ciò che ogni monaco possiede è un dono revo
cabile del convento»1” . Ma questo convento è anche «un seminario» nel
quale l’inquadramento dei cittadini è il primo pensiero dello Stato. Taine
illustra che cosa fosse per Rousseau la formazione ideale del cittadino:
quella auspicata da Platone nella Repubblica, quella di Licurgo e quella
praticata a Sparta. Il suo obiettivo era rendere ogni individuo parte in
tegrante di un tutto, poiché esiste solo per e attraverso l’insieme. Per
mezzo della formazione e dello stile di vita, fin dalla più tenera infanzia,
i futuri cittadini si abituano a riconoscere nella decisione del popolo riu
nito l’unica decisione legittima. Per dare una visione d’insieme dell’or
rore che si prepara, Taine evoca il Code de la nature di Morelly, che com
pleta il lavoro di Rousseau: Morelly - che a ragione Taine considerava
marginale, ma che in questo cotesto gli tornava utile - sarebbe stato uno
dei fondamenti della dimostrazione di Talmon nelle Origini della demo
crazia totalitaria. Si delineano così i contorni dello Stato totalitario. Il ter
mine sarebbe apparso solo un secolo dopo, ma i principi di base di que
sto nuovo fenomeno sono chiaramente enunciati. L’interesse primario
dello Stato nuovo, dice Taine, «sarà sempre quello di formare volontà
che gli assicurino la durata, [...] di sradicare dalle anime le passioni che
gli sarebbero contrarie e di seminarvi quelle che gli saranno favorevoli
[...]. In un convento bisogna che i novizi siano educati da monaci; altri
menti, quando saranno cresciuti, non vi sarà più convento»1’4.
Infine, e qui sta forse l’essenziale, quel convento laico ha una religio
ne, «una religione laica», o in altri termini un’ideologia dominante con il
monopolio della legittimità. Ecco dunque l’altra grande idea che la scuo
la totalitaria degli anni Cinquanta del Novecento trarrà dalle Origines. La
grande specificità dello Stato nuovo consiste nella sua ostilità «per le as
sociazioni diverse da sé, perché sono sue rivali, l’ostacolano, accaparrano
la volontà e falsano il voto dei loro membri»1” . Qualsiasi opinione, qual
siasi ideologia, qualsiasi organizzazione politica e sociale che non sia di-1345
99
Lo scontro delle tradizioni
136. Ibid. Taine cita il contratto sociale (a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, To
rino 1966), li, 3, p. 43. La citazione è tagliata ma colpisce soprattutto il fatto
che Taine ometta il seguito: «Nel caso in cui non si possa fare a meno di società
parziali, è necessario allora moltiplicarne il numero e prevenirne la disugua
glianza, come fecero Solone, Numa, Servio». Il cap. IV, ultimo del libro, pp.
171-184, tratta «Della religione civile».
137. Louis-Sébastien Mercier, Hanno del duemilaquattrocentoquaranta, trad. di Laura
Tundo, Dedalo, Bari 1993. Nato nel 1740, morto nel 1814, denigrato da alcuni, let
to e apprezzato da altri, Mercier fu tradotto in diverse lingue. Lan deux mille qua
tre cent quarante è del 1770 o del 1771. Fino al 1799, l’opera, che aveva avuto nu
merose edizioni, si era diffusa in tutta Europa (Introduction a Mercier, Lan deux
mille quatre cent quarante. Rêve s’il en fut jamais, édition, introduction et notes par
Raymond Trousson, Editions Ducros, Paris 1971, p. 66). Ammiratore di Rousseau,
nel 1791 Mercier pubblica uno squillante De Jean-Jacques Rousseau considéré com
me l'un des premiers auteurs de la Revolution; girondino, eletto alla Convenzione,
si salva dal patibolo per la caduta di Robespierre (Introduction, pp. 22-25).
Kl
100
Lo scontro delle tradizioni
138. Taine, Le origini della Francia contemporanea. L’antico regime, pp. 443-444.
Taine cita Lan deux mille quatre cent quarante, I, capitoli XVII e XVIII. I due
capitoli citati sono dedicati al celibato monastico e al culto dell’Essere supre
mo. Il brano tra virgolette è dello stesso Taine, non di Mercier. Quest’ultimo si
era spesso vantato, con Lan deux mille quatre cent quarante, di essere stato il
profeta della Rivoluzione diciannove anni prima che esplodesse (Introduction,
p. 73). Tuttavia le affermazioni che gli attribuisce Taine non sono sue.
101
Lo scontro delle tradizioni
102
Lo scontro delle tradizioni
scere, il poema lirico abortisce, come pure il poema epico. Taine chiama
a testimone Voltaire, il quale confessava che, «di tutte le nazioni civili, la
nostra è la meno poetica»1-". Mai «si sente il grido involontario della sen
sazione viva»; a teatro, da Corneille e Racine fino a Marivaux e Beau-
marchais, non si vede che gente di mondo. In un carattere vivente l’arte
classica è incapace di cogliere il particolare, non crea individui verosimi
li ma personaggi generici, si interessa poco alle circostanze specifiche, al
tempo e al luogo propri alle une e non alle altre. Si crea così un «mondo
astratto» dove, con Corneille e Racine, «attraverso la pompa e l’elegan
za dei loro versi», si dipinge «l’uomo in sé»14142. Persino in Molière «si sop
prime la singolarità dell’individuo, il viso diventa per un istante una ma
schera teatrale». In conclusione: «C ’è dunque un difetto originario nel
lo spirito classico». Nella giusta misura eso ha potuto produrre i suoi ca
polavori più puri ma, peggiorando con il tempo, nel Settecento si mostra
incapace di rappresentare «la cosa vivente, l’individuo reale, quale esiste
effettivamente nella natura e nella storia»14’.
In più l’età classica «non ha senso storico» e ritiene che «l’uomo sia
dovunque lo stesso». Per cui, quando arriva la Rivoluzione, non si ha al
cuna «idea della creatura umana quale essa è [...]. Tutti se la raffigura
no come un automa elementare» trasformato da una «macchinetta per
produrre frasi [...] [in] una macchinetta per produrre voti». Infine «mai
fatti, solo astrazioni»144. In questo mondo astratto e artificiale non esi
stono né l’individuo, organismo complesso dai caratteri stratificati e dal
le peculiarità mescolate e aggrovigliate, individuo reale in tutta la com
plessità dei contesti che sono i suoi, né il tempo e lo spazio, la natura e
la storia.
In questo modo si accredita il mito secondo il quale il pensiero illu
minista misconosce la storia, la tradizione e l’eredità a beneficio di una
ragione incapace di cogliere l’individuo reale, ma la cui autorità si ac
cresce per le scoperte scientifiche. Il XVIII secolo rinnega il pregiudizio
ereditario, abolisce il passato, rimuove la religione a vantaggio della ra
gione e, non tenendo conto dell’esperienza, ricade ancora e sempre nei
141. Ibid., pp. 357-358. Taine cita VEssai sur le poème épique.
142. Ibid., pp. 359-360.
143. Ibid., pp. 360-362.
144. Ibid, pp. 363-367.
103
Lo scontro delle tradizioni
104
Lo scontro delle tradizioni
una predizione della notte del 4 agosto 17 SS»»149. Poi viene coinvolto il
Terzo Stato, «i dogmi di eguaglianza e libertà filtrano e penetrano in
ogni classe che sa leggere. [...] E lo spirito di Rousseau, “lo spirito re-
pubblicano”; ha conquistato tutta la classe media, artisti, parroci, im
piegati, medici, procuratori, avvocati, letterati, giornalisti»150. Ecco co
me e perché la conquista giacobina è alla fine divenuta possibile: grazie
alla letteratura rivoluzionaria, numerosa e a buon mercato, «scende e si
diffonde la filosofia del XVIII secolo»: se al primo piano, nei begli ap
partamenti dorati, «le idee» sono state solo dei «giochi d’artificio di una
serata», in altre parti della casa i fuochi accesi hanno trovato «mucchi
di legna accumulati da tempo» e nelle cantine era già pronto «un ma
gazzino di polveri»151.
M Le accuse di Taine si ritrovano in Renan, sono identiche alle critiche
di Carlyle, non differiscono molto da quelle che quasi un secolo prima
lanciavano Herder e Burke e che si ritrovano nei neoconservatori un se
colo più tardi. Gli stessi argomenti vengono ripresi con la stessa devo
zione, perché le problematiche non sono cambiate di molto. Il Settecen
to, dice l’autore de LA ven ir de la Science, consumato dallo «strano fuoco
che lo animava»,152153dal male, dalla depravazione e dalla decadenza che ne
derivano, impose «il giogo dello spirito ristretto», si irrigidì in un «cer
chio di idee assai limitato»151. Così l’Illuminismo, da un secolo, è all’ori
gine del «grande indebolimento morale» della Francia, in tutti i campi. Il
termine «veleno», molto utilizzato da Carlyle, ritorna in Renan per deli
neare la natura dell’Illuminismo: «Il veleno, anche se preso a piccole do
si, produce il suo effetto»154. Il risultato materiale di questo processo è la
legislazione rivoluzionaria, artificiale e astorica, livellatrice e distruttrice
149. Taine, Le origini della Francia contemporanea. Lantico regime, pp. 514-515
(corsivo nel testo).
150. Ibid., pp. 551-552.
151. Ibid., pp. 565-566.
152. E. Renan, La Monarchie constitutionnelle en France, in La Réforme intellectuelle et
morale, Calmann-Levy, Paris, 12‘ ed., série Œuvres complètes, s.d. [1929], p. 238.
153. Citato in Edouard Richard, Ernest Renan, penseur traditionaliste?, Presses uni
versitaires d’Aix-Marseille, Aix-en-Provence 1996, pp. 162 e 131-132.
154. Renan, «Réponse au discours [...] Claretie», in Feuilles détachées, p. 1078, ci
tato in Richard, Ernest Renan, penseur traditionaliste?, p. 163, nota 335.
105
Lo scontro delle tradizioni
della fede, ma i danni del materialismo si sono fatti sentire in tutti i cam
pi della vita intellettuale e politica. La Francia è marcita a causa della me
diocrità e delle astrazioni egualitarie. Insomma, qui sembra di sentire
Herder quasi parola per parola: da una parte «quel secolo non compre
se la natura dell’attività spontanea», dall’altra fu un periodo che «non
comprese altro che se stesso e giudicò tutti gli altri secondo se stesso»1” .
La polvere esplode ai tempi della Rivoluzione francese, che secondo
Renan diventa subito una bassa democrazia terrorista, trasformatasi in
dispotismo militare e in strumento di asservimento per tutti i popoli15156.
Come in Taine, si approda a una visione della Rivoluzione che farà feli
ce la riflessione storica sui mali della guerra fredda. Renan mostra come
« l’esperienza mancata della Rivoluzione ci ha guariti dal culto della ra
gione»157. Questa tendenza prosegue nella prefazione all’edizione del
1890 de L’Avenir de la Science fino a rinnegare l’essenza dello spirito che
presiede all’edizione originale dell’opera158.
Occorre pertanto aprire qui una breve parentesi. Da un canto il gio
vane Renan guarda alla Rivoluzione in un modo molto diverso dal Renan
del 1890, ma d’altro canto vede già come la problematica del suo tempo
si inscriva nel secolo precedente. Come Carlyle, anche lui è affascinato
da «questo immenso evento che rappresenta tutto il Settecento»,159 que-
106
Lo scontro delle tradizioni
sto «secolo che ha cambiato il mondo» e che rimane «il nostro model
lo perpetuo» per avere saputo ispirare «convinzioni energiche, senza
farsi setta o religione, rimanendo invece puramente scienza e filoso
fia»160. 11 XVIII secolo, afferma, «non ha né Racine né Bossuet e tutta
via è molto superiore al XVII: la sua letteratura è la sua scienza, la sua
critica, la prefazione dell’Encyclopédie, i luminosi saggi di Voltaire»161.
Perché è nel XVIII secolo che l’umanità, «dopo avere vagato per se
coli nella notte dell’infanzia, senza coscienza di sé, [...] ha preso pos
sesso di se stessa». E così che «la Rivoluzione francese è il primo ten
tativo dell’umanità di prendere in mano le redini e guidarsi da sola»:
è per questo che «la vera storia della Francia inizia nell’89; tutto ciò
che precede è la lenta preparazione all’89 e interessa solo in questa
funzione»162. Nel 1849, all’inizio della sua carriera, quando ancora la
politica non aveva nel suo pensiero quel ruolo che avrebbe avuto
vent’anni dopo, egli ha degli accenti molto kantiani: «L a Rivoluzione
francese [...] è il momento corrispondente a quello in cui il bambino,
condotto fin ad allora da un istinto spontaneo, dal capriccio e dalla vo
lontà degli altri, diventa persona libera, morale e responsabile dei pro
pri atti»16’. L’accesso dell’uomo alla maturità resta il senso della Rivo
luzione: Renan guarda il XVIII secolo con gli occhi del giovane scien
ziato, affascinato dal principio per il quale «la ragione deve governare
il mondo», da «quell’incomparabile audacia, quel meraviglioso e ardi
to tentativo di riformare il mondo conformemente alla ragione»164165.
Nella nota 7 di questo brano, alla fine dell’opera, Renan scrive: «Si ve
da come eminentemente caratteristica la Dichiarazione dei diritti nel
la Costituzione del ’91. E il XVIII secolo nella sua interezza: il con
trollo della natura e di ciò che esiste, l’analisi, la sete di chiarezza e di
ragione evidente»163. In un’altra nota nella stessa pagina si esprime
con un tono che difficilmente si può immaginare per l’autore della
Ré/orme intellectuelle et morale-. «L’anno 1789 sarà un anno santo
107
Lo scontro delle tradizioni
166. Ibid.
167. Ibid., p. 1039. Si veda anche p. 1124: la Pallacorda «un giorno sarà un tempio».
168. Ibid, pp. 1028-1029.
169. Ibid, p. 884.
170. Ibid, p. 1029.
171. Ibid, p. 990.
172. Ibid, pp. 990-991.
173. Ibid, p. 1032.
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