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0. INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Cos’è precisamente la politica?
La politica è l’attività umana relativa alla presa di decisioni pubbliche imperative. Sono pubbliche perché
riguardano il complesso della società. Le decisioni politiche si applicano a chiunque sia dotato di una data
cittadinanza e/o viva in uno specifico territorio (o stato). Sono imperative perché il governo che prende tali
decisioni è investito dell’autorità (e legittimità) per renderli vincolanti e obbligatorie, vale a dire che ha la
facoltà di sanzionare gli individui che non le rispettano. Le “autorità” hanno il potere di obbligare o forzare
gli individui al rispetto delle proprie decisioni tramite mezzi coercitivi.
La politica è perciò l’attività di acquisizione (e mantenimento) del potere di prendere tali decisioni e di
esercitarlo. È il conflitto o la competizione per il potere e il suo impiego.
Chi decide che cosa, e come, è importante per la vita della società (le decisioni prese riguardano la vita di
tutti i giorni, mentre il modo in cui decisioni pubbliche imperative sono prese varia notevolmente. E ,infine,
conta anche chi prende o influenza le decisioni).
Mentre la teoria politica tratta questioni normative e teoriche (riguardo a uguaglianza, democrazia, giustizia
ecc), la scienza politica tratta questioni empiriche. Nonostante gli studiosi di scienza politica naturalmente si
interessino anche alle questioni di natura normativa, la disciplina in sé è empirica e neutrale rispetto ai
valori.
D’altro canto, mente le relazioni internazionali si occupano delle interazioni tra sistemi politici (equilibrio di
potere, guerra, commercio), la scienza politica tratta le interazioni all’interno dei sistemi politici.
Come disciplina di studio, la scienza politica è interessata ai rapporti di forza fra individui, gruppi e
organizzazioni, classi e istituzioni all’interno dei sistemi politici.
La distinzione fra scienza politica, teoria politica e relazioni internazionali non è così netta. Molti sostengono
che la scienza politica e le relazioni internazionali convengono ormai verso un’unica, singola disciplina. Per il
momento ciò che è importante comprendere è che la scienza politica è una disciplina che si occupa della
pura essenza della politica laddove risiede la sovranità.
Quindi in poche parole la scienza politica è una scienza empirica che studia principalmente la politica
interna.
Oggi va da sé che l’analisi dei fenomeni politici è comparata, ossia comporta l’esame di più di un caso.
È stato sostenuto che proprio perché la scienza politica comprende “ogni cosa” come oggetto di studio,
essa non possiede una specificità da questo punto di vista, ma piuttosto solo una specificità metodologica
basata sulla comparazione, e il suo status disciplinare è stato messo in discussione. Tuttavia c’è una
specificità sostanziale, che è rappresentata dall’analisi empirica delle strutture, dei processi e degli attori
interni. Ma è anche vero che la scienza politica è un’ampia disciplina e, nel corso dei decenni, essa ha avuto
fasi nelle quali si è concentrata su particolari aspetti.
… e ritorno ai casi
Più di recente c’è stato un ritorno a disegni di ricerca con “N piccolo” e orientati ai casi. Diversi studiosi
hanno dimostrato che test empirici rigorosi possono essere condotti anche quando il numero dei casi è
limitato. Questo mutamento metodologico mette in evidenza i vantaggi intrinseci dello studio di pochi casi.
I ricercatori sottolineano che le comparazioni con N-piccolo permettono analisi in profondità. I casi sono
visti nel loro “insieme” piuttosto che scomponendoli in variabili isolate. La spiegazione consiste in
costellazioni di fattori piuttosto che nell’impatto di ciascun fattore preso individualmente.
Ancora una volta osserviamo una sorta di tendenza ciclica nello sviluppo del metodo della scienza politica
esattamente come si è visto per il suo oggetto disciplinare.
CONCLUSIONE
Le varietà della scienza politica
La grande varietà di approcci, metodi e dati della scienza politica corrisponde alla grande varietà di società,
economie, culture e sistemi politici del mondo. Questo manuale si basa sul principio metodologico che
“tutto” sia comparabile. Le comparazioni su larga scala attraverso sia lo spazio che il tempo sono basate
sull’idea che non ci siano limiti alla comparazione.
Non è solo l’ampiezza degli oggetti di studio che conferisce alla scienza politica un carattere di grande
varietà. Tale varietà emerge anche nel disegno di ricerca e nelle strutture teoriche che applichiamo. Oggi,
questa varietà diviene persino maggiore, poiché la scienza politica “invade” sempre più la disciplina delle
relazioni internazionali (e viceversa). I confini tra queste due branche divengono sempre più indistinti.
L’intento della scienza politica è quello proprio di un campo di studio rigoroso, scientifico ed empirico:
descrizione, spiegazione e predizione.
1. LO STATO NAZIONE
Le unità politiche più importanti del mondo moderno sono generalmente denominate “stati” o “stati-
nazione”. È all’interno degli stati e fra gli stati che si svolge tipicamente l’attività politica contemporanea.
INTRODUZIONE
La maggioranza delle unità politiche (o polity) contemporanee condivide alcuni aspetti che giustificano il
fatto che esse vengano chiamate “stati”.
In tale misura, esse costituiscono odierne manifestazioni di in tipo di polity che si sviluppò originariamente
nel moderno Occidente.
Un approccio coerente in termini di “scienza politica” dovrebbe considerare sia gli elementi costitutivi di
quel tipo di polity, sia i più importanti stadi del suo sviluppo.
Questa definizione mette in evidenza alcune caratteristiche ulteriori degli stati attivi nel XIX e XX secolo,
anche se naturalmente i vari stati le condividono in misura e in modi differente da caso a caso. Questa
diversità è il tema principiale di studio della scienza politica.
4. La religione è il mercato
Per prima cosa, lo stato diviene sempre più secolare – vale a dire che esso progressivamente abbandona
ogni preoccupazione circa il benessere spirituale degli individui, che in precedenza aveva invece promosso,
in genere privilegiando (e professando) una religione e associandosi a una confessione. Una delle cause
fondamentali di questo sviluppo fu il collasso dell’unità religiosa dell’Occidente causato dalla Riforma
protestante.
In secondo luogo, lo stato affida progressivamente alle due istituzioni centrali del diritto privato – proprietà
e contratto – la disciplina legale delle attività che riguardano la produzione e la distribuzione di ricchezza e
che sempre più sono allocate tramite il mercato. Il governi, la religione e l’economia, così differenziati,
possono ciascuno affermare la propria autonomia e sviluppare la propria razionalità.
Questi ambiti non stanno sullo stesso piano. Uno dei significati di sovranità è che l’interesse specifico dello
stato per la sicurezza esterna e l’ordine pubblico può essere anteposto a quello degli individui privati,
specialmente nell’affrontare le emergenze. Inoltre, le attività private sono svolte entro una cornice di
norme pubbliche della cui promulgazione e implementazione lo stato è responsabile.
Allo stesso modo, è prerogativa dello stato finanziare le proprie attività estraendo risorse da l'economia.
Tipicamente lo stato moderno è uno "stato fiscale": estrae risorse del sistema economico perlopiù sotto
forma di denaro regolarmente riscosso da depositi e flussi di ricchezza privata. Queste riscossioni,
autorizzate dalla legge ed eseguite da funzionari pubblici, sono compatibili con la garanzia della proprietà
privata e con l'autonomia del mercato. La denominazione stessa di un'altra forma di estrazione sussidiaria,
il debito pubblico, sottolinea quella compatibilità: individui privati diventano creditori dello stato. Inoltre, lo
stato-svolge un ruolo indispensabile nell'emettere e garantire moneta, ma non è suo compito quello di
allocare la ricchezza accumulata è veicolata per mezzo di quella stessa moneta.
Con il procedere della modernizzazione, la distinzione fra stato e società è resa più profonda da ulteriori
processi di differenziazione che hanno luogo in entrambi gli ambiti. Per esempio, all'interno della società
civile emerge un ambito, la scienza, che i occupa espressamente ed esclusivamente della produzione e
distribuzione del sapere secolare riguardo alla natura, in autonomia dalle autorità religiose. All'interno dello
stato stesso, la cosiddetta "separazione dei poteri" tra legislativo, giudiziario ed esecutivo è l'esito di un
processo di differenziazione. Processi di differenziazione sono in atto anche in seno al potere esecutivo, con
l'emergere di temi amministrativi burocratici. Di conseguenza, lo stato si presenta sempre più come un
complesso di parti volutamente differenziate e coordinate, ciascuna designata a svolgere uno specifico
compito. L'immagine dello stato come una macchina e la rilevanza sempre maggiore che acquisisce il
lessico dell'organizzazione ben esemplificano queste dinamiche.
5. La sfera pubblica
La formazione della "sfera pubblica" come una sorta di perno fra stato e società. I soggetti che sono attivi al
suo interno acquisiscono una capacità in primo luogo di osservare le attività dello stato, poi di comunicare
l'uno con l'altro riguardo a esse, di criticarle e infine di portare significativi contributi alle stesse. All'inizio
questo è possibile solo per una ristretta minoranza all'interno della popolazione che di sponde del tempo e
delle risorse materiali e culturali necessarie. Ma sul lungo periodo quella minoranza cresce.
La sfera pubblica comprende istituzioni come la libertà di parola, di stampa, di assemblea, di associazione,
regole che richiedono ad alcuni organi dello stato di condurre le proprie attività in pubblico esponendole a
dibattiti e a critiche legittime, e soprattutto le istituzioni del governo rappresentativo".
1. Attraverso la monarchia assoluta, che ottenne un potere indipendente creando eserciti e burocrazie
responsabili esclusivamente nei confronti del monarca (Francia, Prussia)
2. Attraverso monarchie costituzionali (in cui i sovrani si confrontavano con assemblee rappresentative e
successivamente, all'interno di esse, partiti politici), che svilupparono forza sufficiente per diventare
poteri indipendenti (Inghilterra, Svezia)
3. Dal basso, attraverso confederazioni o federazioni, caratterizzate dal mantenimento di una effettiva
autonomia degli "Stati" costituenti e un enfasi generale sulla divisione del potere centrale attraverso
"pesi e contrappesi" (Svizzera, USA)
5. Tramite indipendenza (Irlanda, Norvegia e casi di frammentazione di imperi, come quello asburgico e
ottomano)
*in alcuni casi la costruzione dello stato precedette la costruzione della nazione, in altri casi fu l'opposto.
Si posano distinguere all'interno della storia dello stato moderno, 3 fasi principali, che diversi Stati europei
hanno attraversato in una sequenza piuttosto variabile.
• Consolidamento del governo: prima fase che ha luogo principalmente tra il XII è il XVII secolo. Durante
questo periodo, diminuisce il numero complessivo di centri politici esistenti, e quelli che restano estendono
il proprio controllo su una porzione sempre più ampia dell'Europa. Tipicamente, ciascuno di essi amplia la
portata territoriale del proprio monopolio della violenza legittima e la impone su altri centri. La mappa
politica del continente diviene sempre più semplice, poiché ogni centro ora governa, in maniera più
uniforme, su territori sempre più vasti. Inoltre, questi ultimi tendono a diventare geograficamente più
continui e più stabili nel tempo.
Talvolta i processi di consolidamento Sono pacifici. Tuttavia, il consolidamento è generalmente l'esito di
conflitti aperti tra due centri diversi riguardo a chi controllerà quale territorio. Tali conflitti sono solitamente
risolti tramite la guerra, seguita dalla conquista e dall’annessione forzata da parte del vincitore di tutto o
parte del territorio dello sconfitto.
Un ruolo decisivo nel consolidamento del governo è quindi giocato dalle risorse militari. Tuttavia, queste a
loro volta richiedono “le energie della guerra”, cioè la capacità finanziaria di radunare queste risorse –
truppe, ufficiali, equipaggiamento bellico – e di dispiegarle contro gli avversari, facendole prevalere nello
scontro delle armi sulle risorse messe in campo dal nemico.
Il ricorso alla guerra, per quanto frequente attraverso tutta la storia europea, avviene tuttavia in maniera
intermittente. Quando le armi sono silenziose, sia pur temporaneamente, entrano in gioco risorse di
diversa natura. Spesso, i centri politici che sono intenti al consolidamento di governo lo fanno in risposta a
un appello alla pace, un fenomeno estremamente ricorrente nella storia europea, spesso promosso da
leader religiosi. Ciascun centro sostiene (e cerca di dimostrare) che stabilendo il proprio controllo su un
territorio più grande può mettere fine alle rivalità fra poteri minori che altrimenti causerebbero la guerra.
Questo non necessariamente implica il prevalere su questi poteri per mezzo delle armi. L’azione
diplomatica, il gioco delle alleanze e delle coalizioni, l’abilità di isolare gli avversari o di far loro accettare un
certo grado di subordinazione, talvolta il ricorso all’arbitrato dell’impero o del papato, possono avere
anch’essi un ruolo.
• Razionalizzazione del governo: possiamo distinguere tre aspetti del processo di razionalizzazione: (1)
centralizzazione, (2) gerarchia e (3) funzione.
- Centralizzazione: nel consolidamento e nell’esercizio del governo, i governanti si avvalsero in larga misura
della cooperazione di vari centri di potere, subordinati ma privilegiati – principalmente dinastie
aristocratiche, villaggi, vescovi ecc. Spesso quella cooperazione si instaurava solo dopo che i poteri
subordinati erano stati costretti a rinunciare ad alcuni dei loro privilegi. Nondimeno la loro successiva
cooperazione generalmente doveva essere negoziata , poiché questi poteri sub statali mantenevano un
grado di controllo autonomo su varie risorse e le gestivano in prima istanza per proprio conto. Potevano
essere indotti ad agire per conto del governante solo a certe condizioni, sancite dalla tradizione o da
espliciti accordi tra essi stessi e il governante. Per esempio, i poteri inferiori coinvolti nella cooperazione
potevano estrarre risorse economiche dalla popolazione locale posta sotto la propria giurisdizione per poi
cederle al governante. Tuttavia essi erano disposti a cooperare solo nel caso in cui fossero in sintonia con lo
scopo per il quale il governante intendeva impegnare quelle risorse. Essi spesso tenevano una parte
piuttosto sostanziosa di quelle risorse per sé e controllavano i modi in cui il resto di esse era gestito e
spesso a livello locale.
Ovviamente tali accordi limitavano considerevolmente la libertà d’azione dei governanti, la loro capacità di
stabilire politiche per lo stato nel suo complesso e di vederle eseguite in maniera pronta, affidabile e
uniforme su tutto il territorio.
Per rimediare a questa situazione, i governanti progressivamente espropriarono gli individui e gli organismi
in questione delle loro facoltà e degli strumenti che essi avevano precedentemente impiegato per svolgere
sia quei compiti, sia quelli richiesti da nuove circostanze. Essi definirono assetti alternativi per svolgere sia
quei compiti, sia quelli richiesti da nuove circostanze. Invece di far affidamento su quegli individui e quegli
organismi con cui avevano precedentemente cooperato, scelsero di avvalersi di agenti e agenzie, cioè
individui e organismi che i governanti selezionavano, legittimavano, organizzavano, controllavano,
finanziavano, disciplinavano e premiavano in prima persona. In altri termini i governanti costruirono le
burocrazie.
@ Lo stato burocratico @
quando prevale lo stato di diritto, un’organizzazione burocratica è governata dai principi elencanti di
seguito.
1. Gli affari ufficiali sono condotti su base continuativa
2. Ci sono regole in un organismo amministrativo tali per cui: (1) il dovere di ciascun funzionario di svolgere
certi tipi di lavoro è definito da criteri impersonali, (2) al funzionario è data l’autorità necessaria a svolgere
le funzioni a lui/lei assegnate, (3) i mezzi di coercizione a sua disposizione sono strettamente limitati.
3. Le responsabilità e l’autorità ufficiali sono parte di una gerarchia.
4. I funzionari non possiedono le risorse necessarie per lo svolgimento delle loro funzioni, ma sono
responsabili del loro uso. Gli affari ufficiali e privati sono strettamente separati.
5. I titolari non possono appropriarsi degli uffici come fossero proprietà privata che può essere venduta o
ereditata.
6. Gli affari ufficiali sono condotti sulla base di documenti scritti.
I governanti arrivano effettivamente a sorvegliare, controllare e in una certa misura, gestire la vita sociale in
generale in una maniera sempre più intensa, continuativa, sistematica, intenzionale e pervasiva. Tuttavia,
per essere legittimo. Il governo deve apparire orientato a perseguire quegli interessi che sono riconosciuti
come generali, e deve essere esercitato in un modo sempre più impersonale e formale.
La razionalizzazione del governo è essa stessa parte di un più ampio processo di razionalizzazione del vivere
sociale in generale. Ciascuna delle grandi sfere della società (politica, economia e religione) diviene di
esclusiva competenza di un ben distinto complesso istituzionale: un insieme di assetti, personale, risorse,
principi e modelli di attività.
- Gerarchia: nel contesto politico, la razionalizzazione modifica la base dell’esercizio abitudinale del potere.
Come abbiamo visto, quella base era costituita tradizionalmente da diritti e benefici di un certo numero di
individui e organismi privilegiati. La nuova base consiste in doveri e obblighi di individui nominati
appositamente per determinati uffici. Le loro attività politiche e amministrative possono essere pianificate
dall’alto tramite direttive esplicite. Le direttive stesse hanno due caratteristiche fondamentali: tendono ad
essere generali, cioè si riferiscono in termini astratti a una varietà di circostanze concrete, e il loro
contenuto può cambiare legittimamente e così rispondere a nuove circostanze,
Perché ciò accada, i nuovi insiemi di individui che svolgono attività politiche e amministrative – le unità
burocratiche – devono essere strutturati gerarchicamente. Alla base della struttura, anche i funzionari di
basso livello sono autorizzati a dare ordini a quelli che sottostanno alla stessa struttura. Tuttavia, quegli
stessi funzionari sono comunque tenuti a rispettare le direttive dei superiori. Tale assetto, replicato a vari
livelli entro l’intera struttura, porta alla costituzione di un ordinamento in cui gli uffici superiori
supervisionano, attivano e dirigono quelli inferiori. Parallelamente, gli uffici inferiori informano quelli
superiori – formulano proposte su come affrontare le situazioni – e quelli superiori prendono decisioni e le
trasmettono a quelli inferiori perché vengano messe in atto.
Come già indicato, il diritto gioca un ruolo significativo nello strutturare questi assetti di governo.
Innanzitutto il diritto è esso stesso un insieme gerarchicamente strutturato di comandi ufficiali. In secondo
luogo, il diritto può essere insegnato e appreso.
Questo secondo aspetto del diritto illustra un elemento più generale della razionalizzazione del governo: il
crescente ruolo del sapere nel governo e nell’amministrazione dello stato. Poiché col tempo i governanti
fanno sempre meno ricorso alla cooperazione di individui e organismi privilegiati, i funzionari che li
rimpiazzano sono prevalentemente scelti sulla base di ciò che sanno e sulla base dei loro titoli accademici e
di test di selezione. Ci si attende che i funzionari orientino le pratiche di governo sempre meno a seconda
delle proprie preferenze individuali o di tradizione e costumi locali, e invece sempre più a partire da un
sapere sistematico e propriamente imparato appreso.
- Funzione: un altro principio che struttura il sistema centralizzato degli uffici è la funzione: il sistema è
differenziato interamente per far sì che ciascuna parte si occupi nella maniera migliore di un compito
specifico. A questo scopo, le componenti del sistema devono possedere risorse di diverso genere. L’intera
struttura è fatta funzionare e controllata non solo dal sapere ma dal denaro, principalmente acquisito
tramite la tassazione.
Oggi, le agenzie operano spendendo fondi pubblici allocati loro sulla base di decisioni esplicite e periodiche
(i bilanci) e sono ritenute responsabili per come quei fondi sono spesi. I titolari di uffici sono tipicamente
remunerati, gestiscono risorse che non appartengono a loro personalmente ma ai loro uffici e,
nell’adempire ai propri doveri, ci si attende che non cerchino alcun guadagno personale, salvo sotto forma
di avanzamento di carriera.
Nella misura in cui è razionalizzato, l’esercizio del governo diviene maggiormente compatibile con il
perseguimento degli interessi privati individuali in seno alla società civile. Dalla prospettiva di quegli
individui, il governo, così come viene esercitato dai funzionari, appare standardizzato e prevedibile, ed è
possibile rimediare a deviazioni occasionali dalle regole.
• Espansione del governo: nella terza fase, gli stati sono caratterizzati da uno sviluppo che possiamo
chiamare “l’espansione del governo”. Per secoli, le attività di ciascuno stato erano orientate da due
principali preoccupazioni.
1. Sulla scena internazionale, esso cercava principalmente di proteggersi dalla violazione da parte di altri
stati del proprio territorio e della propria capacità di definire e perseguire autonomamente i propri
interessi.
2. Entro il suo territorio, esso si impegnava al mantenimento dell’ordine pubblico e dell’efficacia delle sue
leggi.
Nella seconda metà del XIX e nel corso di gran parte del XX secolo gli stati ampliarono le loro attività di
governo fino ad abbracciare una sempre più diversa gamma di interessi sociali.
Essenzialmente, lo stato non si limita più semplicemente a regolare tramite la legislazione le iniziative
autonome degli individui o dei gruppi, oppure a sanzionare i loro accordi privati attraverso il proprio
sistema giuridico. Sempre più, lo stato interviene negli affari privati modificando quegli accordi o
raccogliendo risorse più ingenti per poi distribuirle in misura maggiore a qualche gruppo sociale piuttosto
che ad altri inoltre cerca di gestire le attività sociali a seconda del proprio giudizio e delle proprie
preferenze, poiché considera l’esito di quelle attività come una questione di legittimo interesse pubblico,
che dovrebbe riflettere un interesse più ampio ed elevato.
L’espansione del governo modifica profondamente la relazione fra stato e società caratteristica della fase
precedente. Possiamo classificare la maggior parte delle spiegazioni di questo processo a seconda che esse
individuino la principale spinta all’espansione nello stato o nella società.
Tali spiegazioni si articolano in vari modi:
1. Una prima interpretazione imputa alla macchina ammnistrativa dello stato una tendenza intrinseca a
crescere, ad avvalersi di maggiori risorse, a farsi carico di più compiti.
2. Una seconda spiegazione individua la principale ragione per l’espansione dello stato nelle dinamiche
della democrazia rappresentativa e della politica competitiva. Detto in maniera semplice, un partito escluso
dal potere ha interesse a incrementare il proprio supporto promettendo, una volta eletto al potere, di
dedicare più risorse pubbliche a questa o quella nuova attività statale, promuovendo così gli interessi dei
gruppi sociali che avranno risposto al suo appello.
3. Questa interpretazione è strettamente correlata a una terza che imputa l’espansione dello stato
principalmente ai fenomeni collocati sul versante sociale della dicotomia stato/società. In quest’ottica, i
gruppi svantaggiati sono quelli che potrebbero trarre i maggiori benefici dall’espansione dello stato e così la
richiedono e la favoriscono attraverso il loro voto e altre forme di mobilitazione.
4. Tuttavia, secondo una quarta interpretazione, molti aspetti dell’espansione dello stato consolidano
direttamente o indirettamente ì, anziché correggere e contrastare, i meccanismi dell’economia di mercato,
facendo gli interessi in primo luogo delle imprese e dei datori di lavoro.
Qualunque sia la ragione, l’espansione dello stato implica una crescita di 3 aspetti interdipendenti:
- il prelievo fiscale, cioè la quota del prodotto annuale di un paese estratta e gestita dallo stato.
- il grado di differenziazione interna della macchina organizzativa dello stato
- il numero totale di individui che quelle unità impiegano e che possiedono qualifiche e abilità sempre più
diversificate.
2. LE DEMOCRAZIE
Dopo aver costituito meno di un regime su quattro a livello mondiale negli anni cinquanta e sessanta del XX
secolo, le democrazie oggi ne rappresentano quasi tre su quattro.
Quello che un tempo era un gruppo piccolo e omogeneo di regimi democratici è ora divenuto grande ed
eterogeneo. Perciò, le tipologie e le classificazioni sono importanti per capire come funzionano le
democrazie.
COMPARARE LE DEMOCRAZIE
Ci sono almeno 4 fattori importanti, tra loro collegati, che hanno contribuito a questo nuovo interesse verso
la comparazione delle democrazie.
3. L’ingegneria istituzionale
Il terzo impulso fondamentale si collegava anche all’evidente mancanza di esperienza democratica in molti
dei paesi che stavano effettuando questa transizione, portando a una grande ripresa dell’interesse concreto
verso le questioni di “ingegneria istituzionale” (Sartori 1994). Nel costruire democrazie da zero, diventava
cruciale per gli estensori delle costituzioni raccogliere indicazioni riguardo le probabili implicazioni di
particolari scelte istituzionali, mentre il processo rappresentava anche un laboratorio nuovo e senza
precedenti nel quale gli studiosi potevano testare teorie riguardanti le cause e le conseguenze della
progettazione concreta delle democrazie. La questione fondamentale diventava quella di valutare i
differenti modelli di democrazia nei termini della loro efficienza, stabilità e legittimità.
Coloro che si occupano di ingegneria istituzionale hanno mostrato un particolare interesse per le ragioni
per cui alcuni sistemai sembrano fornire prestazioni “migliori” rispetto ad altri.
4. Il neo-istituzionalismo
Il quarto fattore si legava anch’esso agli sviluppi all’interno della scienza politica più in generale, e in
particolare alla cosiddetta svolta neo-istituzionalista nell’analisi politica (March e Olson 1984). Nell’ambito
dell’emergente approccio neo-istituzionalista, al contrario, le istituzioni cominciavano a essere viste come
variabili indipendenti che impattavano direttamente su esiti e comportamento, quasi a prescindere dal
contesto sociale ed economico. Questo incoraggiava gli studiosi a iniziare ad analizzare sistematicamente
gli effetti della democrazia piuttosto che solamente le fonti della democrazia e a indagare il modo in cui
differenti forme di democrazia esercitano un impatto diverso sui livelli della crescita economica, della
stabilità sociale, della soddisfazione democratica, e così via. Questo ha portato alla definizione di nuove
modalità di classificazione delle polity democratiche e nuovi modi di comparare le diverse architetture
istituzionali. Dalla fine degli anni 80 del XX secolo, l’enfasi è stata posta sulla forma e la qualità della
democrazia, piuttosto che sulla sua esistenza in quanto tale. Quindi dato che la democrazia diventa “the
only game in town” la ricerca accademica si è concentrata sulla qualità, piuttosto che sulla quantità, della
democrazia.
DEFINIRE LA DEMOCRAZIA
Democrazia procedurale vs. democrazia sostantiva
Ci sono due approcci ben distinti per definire la democrazia. Da un lato, ci sono molte definizioni
procedurali di democrazia che si concentrano su come il regime è organizzato e sui processi tramite i quali
la rappresentanza, l’accountability e la legittimità sono assicurati.
Dall’altro lato, ci sono le varie definizioni sostantive di democrazia che si occupano anche degli obbiettivi e
dell’efficacia del regime e della misura in cui la volontà del popolo possa essere rispettata in senso più
esplicito.
Schumpeter ha offerto una definizione strettamente procedurale di democrazia: “il metodo democratico è
quell’assetto istituzionale per giungere a decisioni politiche all’interno del quale gli individui acquisiscono il
potere di decidere per mezzo di una competizione per il voto del popolo”. Questa è diventata una delle
definizioni di democrazia più ampiamente usate e Schumpeter ha cercato di semplificarla ulteriormente
sostenendo che la democrazia implica “libera competizione per un libero voto” (1947).
Le definizioni sostantive, al contrario, prevedono anche obiettivi particolari, tali per cui la democrazia reale
non può essere definita solo come un processo, ma implica anche sforzi per promuovere l’uguaglianza,
l’equità e l’inclusione. E precisamente questo approccio che Schumpeter cercava di superare, dal momento
che egli rifiutava esplicitamente un significato precedente e più normativo di democrazia, tipico del XVIII
secolo, che vedeva “il metodo democratico come l’assetto istituzionale per arrivare a decisioni politiche che
realizza il bene comune facendo decidere il popolo stesso attraverso l’elezione di individui che devono
riunirsi per espletare la sua volontà”.
Poliarchia
Nella pratica, le definizioni procedurali sono solitamente preferite nelle comparazioni dei regimi
democratici. In effetti l’impiego di definizioni sostantive di democrazie è diventato molto raro nei dibattiti
accademici contemporanei, a dispetto dell’insistenza di Dahl sul fatto che processo e sostanza non possono
essere realmente separati. È forse per questa ragione che Dahl preferisce non parlare di “democrazie”
quando considera casi del mondo reale bensì di “poliarchie” (1971), che egli definisce in termini
primariamente procedurali. Nel caso di Dahl, tuttavia, a differenza di Schumpeter, la definizione
procedurale è estesa anziché ristretta. In altri termini, le poliarchie sono definite da qualcosa di più di un
semplice processo elettorale, ma anche da una cittadinanza più o meno inclusiva e dal diritto di quei
cittadini a opporsi e destituire i propri governanti. La definizione di poliarchia va al di là della libera
competizione per il voto libero.
Nel suo classico “Poliarchia” (1971) Dahl enumera otto garanzie istituzionali che sono richieste affinché i
cittadini possano formulare le loro preferenze, possano dichiarare queste preferenze e possano vedere
queste preferenze ponderate equamente nella condotta del governo. Questi sono i 3 elementi che egli
reputa necessari perché il governo risponda in maniera democratica ai suoi cittadini.
Più tardi, in “La democrazia e i suoi critici” (1989) Dahl specifica le 7 istituzioni che devono esistere affinché
un governo sia classificato come una poliarchia: istituzioni che includono rappresentanti eletti, elezioni
libere ed eque, suffragio inclusivo, il diritto a concorrere per gli incarichi, libertà di espressione, la presenza
di fonti alternative di informazione e autonomia associativa.
Nella versione procedurale ristretta principalmente associata a Schumpeter, la democrazia riguarda quindi
le elezioni e poco più che le elezioni, nella definizione procedurale estesa, principalmente associata a Dahl,
la democrazia (o poliarchia) implica anche il conferimento di garanzie e controlli costituzionali riguardo
l’esercizio del potere esecutivo.
In un saggio più recente Dahl (2000) distingue due dimensioni della democrazia:
1. La prima di queste due dimensioni è caratterizzata da un insieme esecutivo di diritti e opportunità, sulla
base dei quali i cittadini possono scegliere di agire se lo desiderano, e che include i diritti di libertà di
associazione, culto ed espressione, e così via: “un paese senza questi diritti e opportunità indispensabili di
conseguenza mancherebbe anche delle istituzioni politiche fondamentali necessarie per la democrazia. Tali
condizioni, poi, sono parte della versione procedurale “estesa”
2. La seconda dimensione di Dahl corrisponde alla versione “ristretta” e si riferisce alla reale partecipazione
nella vita politica. “L’esistenza continuativa di un rodine democratico sembrerebbe richiedere che i
cittadini, o almeno alcuni di essi, talvolta partecipino realmente alla vita politica, esercitando i loro diritti e
agendo sulla base delle opportunità garantite loro”. Comunque, vedere la democrazia solo alla luce della
seconda dimensione sarebbe errato, aggiunge Dahl, poiché la presenza di diritti e opportunità fondamentali
è anche un elemento intrinseco della sua definizione.
In maniera simile, Mény eSurel (2002) tracciano una distinzione tra democrazia popolare e democrazia
costituzionale come due pilastri che insieme determinano la legittimità e l’efficacia dei regimi democratici.
La democrazia liberale comprende il ruolo del demos, la libera associazione dei cittadini, il mantenimento di
libere elezioni, la libertà di espressione politica e il governo “dal” popolo.
La democrazia costituzionale comprende i requisiti istituzionali del buon governo, come i limiti
dell’autonomia dell’esecutivo e la garanzia di diritti individuali e collettivi. Questo è il governo “per” il
popolo e per i bene pubblico. Come evidenziamo Mény e Surel, una democrazia ideale ha bisogno di
trovare un equilibrio fra questi due pilastri.
Rappresentanza
La seconda delle tappe fondamentali secondo Dahl fu il diritto a essere rappresentati, cioè il diritto a
organizzarsi in partiti e far sì che questi concorrano in pari condizioni all’elezione del parlamento.
L’organizzazione dei partiti in quanto tali non fu mai un ostacolo molto importante, persino nei regimi più
restrittivi, ma la loro registrazione, il loro riconoscimento formale e la facilità con cui potevano partecipare
alla vita parlamentare variava sostanzialmente da sistema a sistema.
Un utile indicatore, sebbene non del tutto accurato, del raggiungimento di questa tappa fondamentale era
rappresentato dal cambiamento del sistema elettorale, da quello tradizionalmente maggioritario che
caratterizzava i – più esclusivi – regimi del XIX secolo a formule di voto più aperte e proporzionali.
I sistemi elettorali divennero più proporzionali nel momento in cui i nuovi partiti di opposizione iniziarono a
guadagnare terreno. Se i sistemi fossero rimasti maggioritari, i nuovi partiti, che spesso beneficiavano di
una base solida nel nuovo elettorato di massa precedentemente privo del diritto di voto, avrebbero in
ultima istanza beneficiato di un enorme vantaggio rispetto ai partiti delle élite che erano già in parlamento.
Non deve perciò sorprendere il fatto che i sistemi proporzionali vennero adottati in molti paesi europei
nello stesso momento in cui il diritto di voto veniva universalizzato – 1907 in Finlandia, 1918 nei Paesi Bassi,
1919 in Germania. In un numero limitato di paesi, in particolare Regno Unito, negli USA e in Canada, i nuovi
partiti non erano visti come particolarmente minacciosi e i sistemi rimasero maggioritari ed eventualmente
anche meno frammentati.
Opposizione organizzata
La terza tappa fondamentale secondo Dahl fu segnata dal diritto di un’opposizione organizzata di chiedere
un voto contro il governo nelle elezioni e in parlamento, un diritto che è stato descritto senza mezzi termini
come la disponibilità per i cittadini di mezzi democratici per “liberarsi dai mascalzoni”. Nei sistemi
parlamentari, questa tappa fondamentale è raggiunta quando l’esecutivo diviene pienamente responsabile
verso il potere legislativo e, pertanto, quando può essere sfiduciato da una maggioranza in parlamento.
Un indicatore approssimativo di quando questa tappa fondamentale fu raggiunta per la prima volta tra le
democrazie di più lunga durata può essere individuato nel momento del primo ingresso al governo dei
partiti socialisti o socialdemocratici. Questo è avvenuto in tempi molto diversi fra le democrazie di più lunga
tradizione, specialmente al di fuori dell’Europa, iniziando dall’Australia nel 1904 e arrivando infine al
Giappone nel 1993. Finora un partito definibile come socialista o socialdemocratico non è riuscito ad
accedere al governo nazionale in Canada e negli USA, mentre in molte democrazie europee l’accesso fu
conquistato negli anni fra le due guerre mondiali (Austria, Finlandia, Norvegia, Regno Unito) o
immediatamente dopo la 2GM (Islanda, Irlanda, Italia). Dal momento che questi partiti hanno costituito
l’ultima grande forza di opposizione che si è sviluppata nella maggior parte delle democrazie prima del
1989, il lor o ingresso nell’esecutivo ha segnato uno spartiacque cruciale nello sviluppo democratico.
Tuttavia, benché il diritto all’opposizione sia stato ormai riconosciuto in tutte le democrazie liberali,
permangono differenze sostanziali nella capacità ordinaria dei parlamenti di rendere possibile una
completa alternanza all’interno dell’esecutivo. In particolare, la frammentazione del sistema dei partiti e la
necessità di maggioranze parlamentari talvolta spinge ad affidarsi a coalizioni multipartitiche che non
possono essere sostituite per intero. Cioè, dati certi tipi di coalizione e data una molteplicità di partiti,
un’alternanza completa diventa difficile e, pertanto, solo alcuni dei “mascalzoni” possono essere rimpiazzati
in un dato momento.
Nei sistemi bipartitici, al contrario, così come nei vari sistemi multipartitici o bipolari che sono caratteristici
di un certo numero di democrazie più recenti, l’alternanza completa al governo è un evento relativamente
frequente.
Percorsi di democratizzazione
In maniera più schematica, Dahl ha anche tracciato la trasformazione dei regimi non democratici verso la
democrazia lungo due dimensioni – quella della liberalizzazione, o della contestazione pubblica (il diritto di
essere rappresentato e di mobilitare l’opposizione), e quella dell’inclusività, o della partecipazione e del
voto – al fine di comparare i diversi percorsi di approdo alla democrazia di massa.
I regimi non democratici (nella maggior parte dei casi, monarchie assolute) che hanno sperimentato la
liberalizzazione senza diventare più inclusivi sono stati classificati da Dahl come oligarchie competitive.
Queste includono i regimi parlamentari con suffragio ristretto che si affermarono nel Regno Unito e in
Francia nel periodo precedente la 1GM. I regimi non democratici che sono divenuti più inclusivi senza
liberalizzazione sono stati classificati come egemonie inclusive. Essi includono i regimi totalitari fascisti e
comunisti rispettivamente nella Germania nazista e nel blocco sovietico, che ricorrevano regolarmente a
processi elettorali di massa non competitivi.
I regimi che sono diventati effettivamente democratici (le poliarchie), lo hanno fatto sia liberalizzando, sia
diventando più inclusivi, simultaneamente o in fasi diverse.
TIPOLOGIE DI DEMOCRAZIA
Democrazie maggioritarie vs. consensuali
Ci sono stati solo una manciata di tentativi da parte degli studiosi di ideare tipologie di democrazie come
sistemi completi; il più esauriente di questi è stata l’influente distinzione tra democrazie maggioritarie e
consensuali elaborate da Lijphart in una serie di pubblicazioni chiave negli anni 80 e 90 del XX secolo. Si
trattava infatti di una rielaborazione di un approccio precedente che Lijphart aveva sviluppato inizialmente
nel 1968, quando propose una nuova tipologia di sistemi democratici come correttivo ai modelli sviluppati
all’epoca da Gabriel Almond.
L’obbiettivo iniziale di Almond era quello di arrivare a una classificazione dei sistemi politici in tutto il
mondo, incluse le molte non-democrazie. All’interno dell’universo democratico egli aveva tracciato una
distinzione chiave tra ciò che chiamava le democrazie angloamericane, da un lato, e le democrazie
dell’Europa continentale, dall’altro. Il primo modello era caratterizzato da una cultura politica secolare e
omogenea nella quale gli attori e le associazioni partecipanti erano indipendenti ma autonomi, mentre il
secondo era caratterizzato da una cultura politica frammentata con subculture politiche separate. Nel
primo caso, il sistema politico è probabile sia centripeto, moderato e stabile; nell’altro caso, è probabile sia
conflittuale e instabile.
Le modifiche proposte da Lijphart a questo modello basilare implicavano prendere in considerazione una
seconda dimensione trasversale e quasi-istituzionale, nella quale egli distingueva due tipi di
comportamento delle élite politiche, collaborativo e avversariale.
Mettendo questa classificazione in contrasto a quella di Almond si arrivava a una semplice tipologia
quadrupla dei regimi democratici, nella quale l’attenzione di Lijphart si rivolgeva particolarmente a quelle
che egli definiva “democrazie consociative”, cioè quei sistemi nei quali le élite collaborative cercavano di
neutralizzare i peggiori effetti della frammentazione e dei conflitti sociali. In particolare, Lijphart applicava
questo modello a un certo numero di democrazie europee più piccole che erano effettivamente trascurate
dalla tipologia di Almond – i cosiddetti sistemi multipartitici funzionanti di Austria, Svizzera, Paesi Bassi e
Belgio – nei quali fratture socio-politiche profonde e potenzialmente molto conflittuali erano controllate e
gestite da élite politiche alla ricerca del consenso.
La nuova tipologia delle democrazie sviluppata da Lijphart nel corso degli anni 80 del XX secolo era di più
ampio raggio, e poiché era definita in termini quasi esclusivamente politici e istituzionali (piuttosto che
politico-culturali) poteva adattarsi a una casistica quasi illimitata da un punto di vista geografico. Si trattava
della distinzione tra democrazie maggioritarie e consensuali. Costruite su un insieme ad ampio raggio e
piuttosto esaustivo di indicatori politici e istituzionali, soprattutto nella versione del 1999 quando anche il
sistema delle associazioni di interessi e il grado di indipendenza della banca centrale vennero aggiunti alla
lista dei criteri distintivi. Nel modello originale consociativo, al contrario, venivano considerate solo quattro
caratteristiche istituzionali: la proporzionalità, il veto delle minoranze, l’autonomia dei segmenti sociali e la
grande coalizione.
In breve, le democrazie maggioritarie erano viste come quelle in cui un partito o una coalizione di partiti
vincenti poteva esercitare un potere virtualmente illimitato all’interno di un sistema partitico, per via del
fatto che l’autorità di governo era soggetta a pochi vincoli. In altre parole, all’interno di queste democrazie
c’era una grande differenza fra vincitori e perdenti e il potere era esclusivo – i perdenti non avevano voce –
piuttosto che inclusivo. Al contrario, nelle democrazie consensuali era più probabile che il potere fosse
condiviso piuttosto che conteso, le minoranze venivano formalmente incluse nei processi decisionali e il
potere esecutivo era limitato da corti costituzionali, seconde camere dotate di un certo potere e un sistema
decentrato di governance territoriale.
Lijphart definì la sua nuova struttura identificando per prima cosa le varie caratteristiche politiche e
istituzionali che potevano essere associate alla democrazia maggioritaria – e che erano originariamente
esemplificate dai casi del Regno Unito e dalla Nuova Zelanda – e poi definendo ciascuna delle
caratteristiche della democrazia consensuale come l’opposto di quella che prevaleva nel caso maggioritario.
Si trattava di un quadro di riferimento induttivo per la comparazione delle democrazie, che a partire da due
casi reali arrivava a individuare modelli idealtipici collocati agli estremi opposti di un continuum teorico.
Tuttavia si trattava di un approccio problematico e non sempre interamente coerente. Le 8 caratteristiche
associate al modello maggioritario nella versione del 1984 e le 10 adottate nel 1999 si combinavano in
maniera molto coerente nel particolare sistema politico dal quale esse erano state derivate induttivamente
– il sistema britannico. Analogamente, anche le 8 (e poi 10) caratteristiche della democrazie consensuale
formavano un insieme piuttosto coerente all’estremo opposto dello spettro – nei casi del Belgio e della
Svizzera. Tuttavia, fra questi due estremi la maggior parte degli altri sistemi del mondo reale presentava
una miscela talvolta confusa di caratteristiche sia maggioritarie, sia consensuali (per esempio gli USA).
DEMOCRAZIE ALL’AUDIENCE?
Benché la democrazia sia diventata il tipo di regime più comune nel mondo, c’è una crescente
preoccupazione che le sue fondamenta siano meno robuste di prima. Un sintomo di questo problema
incipiente è rappresentato dalle numerose evidenze dell’insoddisfazione dei cittadini verso taluni aspetti
della democrazia, così come dal declino nei livelli di partecipazione e impegno. Questi segni di ritiro dei
cittadini dal coinvolgimento politico tradizionale sono sempre più pervasivi e sembrano caratterizzare molte
delle democrazie. L’affluenza elettorale è diminuita, particolarmente dalla fine degli anni 80 del XX secolo, il
numero di iscritti ai partiti è spesso crollato a minimi da record e sia la stabilità sia la forza dei livelli di
identificazione partitica si sono nettamente indebolite. Più in generale, la fiducia popolare nella politica e
nei politici è caduta quasi ai minimi termini.
Durante i primi anni del dopoguerra e probabilmente almeno sino alla fine degli anni 70 del XX secolo, la
politica tradizionale era vista come qualcosa che apparteneva ai cittadini e in cui i cittadini potevano
impegnarsi – e spesso lo facevano. Con l’inizio del nuovo secolo la politica tradizionale pare essere
diventata parte di un mondo esterno che gli individui preferiscono osservare da fuori. C’è un mondo dei
partiti, e un mondo dei leader politici, che è sempre più separato dal mondo dei cittadini e, quindi, un
mondo nel quale la partecipazione popolare sta diventando meno rilevante. Così come sostenuto da
Bernard Manin (1997), ciò che stiamo osservando è la sostituzione della democrazia rappresentativa o
democrazia partitica con la democrazia dell’audience.
Mentre i cittadini si ritirano dalla politica, i processi decisionali diventano più depoliticizzati.
CONCLUSIONE
A partire dalla caduta del muro di Berlino nel 1989 e dall’esplosione delle transizioni alla democrazia negli
anni 90 del XX secolo, gli studiosi e i policy-maker sono diventanti sempre più attenti verso le differenze fra
sistemi democratici. Trattando la democrazia stessa come l’opzione standard fra i vari regimi politici,
l’interesse si è spostato dal concentrarsi sulla questione della quantità di democrazia alla questione relativa
alla qualità della democrazia. Allo stesso tempo, la capacità di comparare sistematicamente le democrazie
si è indebolita perché i regimi democratici stessi divengono soggetti a influenze globali e transnazionali e
poiché le istituzioni sono riformate o trapiantate senza molta attenzione alla loro coerenza e coesione. Ciò
che era una volta un gruppo ristretto ed omogeneo di regimi democratici è ora diventato ampio ed
eterogeneo, e molto meno riconducibile a classificazioni e modellazioni.
Le democrazie hanno attraversato diverse turbolenze negli anni recenti. Il disimpegno dei cittadini dalle
elezioni e da altre modalità tradizionali di partecipazione politica, così come la crescente diffidenza
popolare e insoddisfazione verso le leadership politiche, hanno teso a creare una democrazia più passiva e
orientata all’audience. Il processo elettorale, che una volta era visto come la caratteristica definitoria di una
polity democratica, è stato spesso screditato e soggetto a sfide, con il risultato che i processi decisionali
sono sempre più nelle mani delle istituzioni giudiziarie o di altre agenzie non maggioritarie. In uno sforzo
per incoraggiare maggiori legami con la popolazione, i leader politici pongono un’enfasi crescente sull’uso
di referendum e primarie, sviando il potere decisionale da quei partiti, oggi sempre più offuscati, che una
volta incarnavano la democrazia.
In queste circostanze, il ruolo del pilastro costituzionale della democrazia acquisisce nuova centralità,
mentre quello del pilastro popolare sembra sempre meno rilevante. In altre parole, la democrazia, sia essa
su scala nazionale o transnazionale, sembra ora riguardare più protezione dei diritti degli individui, e meno
la garanzia che essi abbiano ancora voce in capitolo.
3. REGIMI AUTORITARI
INTRODUZIONE
Fino a te poi recenti, gli Stati erano normalmente governati da regimi autoritari e la maggior parte di essi
erano monarchie ereditarie. Tuttavia l'idea che il governo su di uno stato e la sua popolazione potesse
essere ereditati come se si trattasse di proprietà privata avrebbe finito per sembrare molto primitiva non
appena la democrazia inizio a competere con le monarchie. Per sopravvivere il regime autoritario doveva
modernizzarsi introducendo una forma nuova e moderna di dittatura, piuttosto che una monarchia.
Ma l'evoluzione della dittatura andò ben oltre sul piano dell'organizzazione e su quello della legittimazione
durante le tre fasi di modernizzazione che si svilupparono nel XIX e XX secolo.
La prima fase di modernizzazione della dittatura incluse:
1. Il governo di un'organizzazione militare oppure del suo leader
2. e una legittimazione "democratica" attraverso un plebiscito o un'elezione presidenziale con un unico
candidato oppure sostenendo che si trattasse di una dittatura temporanea finalizzata a democratizzare o
"purificare" il sistema politico
Nel corso del XIX secolo, dittature modernizzate di questo tipo vennero istituti te con una certa frequenza
in America Latina, ma nel XX secolo si diffusero anche nel "terzo mondo".
Infatti esse rappresentano la forma più comune di regime autoritario nel XX secolo e da un punto di vista
numerico superarono di gran lunga la nuova forma - quella dello stato ideologico a partito unico - che
emerse nella seconda fase della modernizzazione della dittatura.
La seconda fase di modernizzazione portò alla nascita dello stato ideologico a partito unico attraverso due
innovazioni radicali. Innanzitutto, venne adottata l'organizzazione chiave della democrazia, il partito
politico, ma nell'ambito di un sistema monopartitico piuttosto che multipartitico. in secondo luogo, questo
stato rivendicò la propria legittimità attraverso un qualche nere di ideologia, quali il comunismo o il
fascismo. Questa nuova forma di regime autoritario apparve per la prima volta in seguito alla Rivoluzione di
ottobre in quello che era stato sono ad allora l'impero russo. Nel corso degli anni 30 del XX secolo il nuovo
leader del partito, Stalin stabili una dittatura personale con cui rivaleggiarono per "asprezza" totalitaria
suolo i due Stati ideologici a partito unico fascisti costituiti da Mussolini nell'Italia fascista e Hitler nella
Germania nazista (anche se il primo non riuscì mai a consolidarsi come un totalitarismo compiuto).
Nel terzo quarto del XX secolo la maggioranza dei paesi del mondo era governato da dittature della prima o
seconda fase di modernizzazione - incluse alcune nuove varianti come lo stato africano a partito unico.
Così attorno alla metà degli anni 70 del XX secolo sembrava che i regimi autoritari stessero dominando a
livello globale non solo da un punto di vista numerico, ma anche politico.
Tuttavia, in quel periodo cioè nell'ultimo quarto del XX secolo inizio anche una nuova ondata globale di
democratizzazione. Nonostante non coinvolgesse il Medio Oriente, essa tocco in maniera quasi sequenziale
le altre regioni del mondo: l'Europa meridionale, l'America Latina, l'Asia, l'Europa orientale, l'Africa, per non
menzionare la dissoluzione dell'Unione sovietica.
Proprio allora emerse anche una terza fase di modernizzazione, che comportava:
1. Rimpiazzare lo stato a partito unico con un sistema multipartitico presunto "democratico"
2. E sostituire la legittimazione ideologica con una rivendicazione di legittimazione democratica basata sul
fatto di tenere elezioni multipartitiche presunte "competitive".
La terza fase della dittatura accrebbe ulteriormente la già sorprendente diversità dei regimi autoritari. Il
modo migliore per categorizzare e descrivere una simile varietà di regimi è porsi le domande del chi
governa, perché governa e come governa.
CHI GOVERNA?
2. Il governo personale
a) del leader di un'organizzazione dittatoriale
b) o di un dittatore camuffato da leader democratico che è tipicamente "un monarca presidenziale
populista"
• inoltre la categoria del governo personale e stata ulteriormente estesa sino ad includere le monarchie
che governano, dato che ne sopravvivono ancora alcune e che quelle del mondo arabo, specie il regno
dell'Arabia saudita, hanno un peso rilevante a livello internazionale.
Monarchie dittatoriali
Solo le monarchie che governano esercitano lo stesso tipo e/o grado di potere di una dittatura.
Al contrario, le monarchie regnanti si trovano generalmente in contesti democratici, in cui il monarca è un
capo di Stati scelto su base ereditaria ma dalle funzioni prevalentemente cerimoniali e con poteri
costituzionali molto limitati. Naturalmente, a livello storico anche i monarchi che governano hanno
conosciuto limitazioni al proprio potere per mano delle tradizioni, delle religioni, delle costituzioni o anche
semplicemente del potere di altri attori sulla scena politica. Il monarca assoluto in grado di esercitare un
potere illimitato in maniera discrezionale o persino arbitraria rappresenta senz'altro l'eccezione alla regola,
a livello storico. Nessuna delle monarchie che ancora sopravvivono al mondo è assoluta e alcune di essere
sono monarchie regnanti piuttosto che monarchie che governano, come le monarchie regnanti che possono
essere trovate in alcuni Stati democratici dell'Europa occidentale.
Le monarchie che governano sopravvissute si trovano prevalentemente nel mondo arabo e specialmente
nella regione del Golfo Arabo/Persiano del Mondo Orientale (Arabia saudita, Emirati Arabi e il sultanato
dell'Oman).
La sopravvivenza di queste monarchie arabe non può essere spiegata dalla forza della tradizione, si
potrebbero essere tentanti di spiegare la sopravvivenza della monarchia saudita e delle altre monarchie
arabe sulla base dei loro possedimenti di petrolio ("nessuna rappresentanza senza tassazione").
Tuttavia Herb sostiene che una spiegazione migliore della sopravvivenza delle monarchie arabe al potere è
che spesso si tratta di monarchie dinastiche. Le loro famiglie reali non devono seguire la regola della
primogenitura, caratteristica delle monarchie occidentali. Così la famiglia reale dinastica può impedire a
una persona incompetente e inaffidabile di succedere al trono e può anche rimuover un monarca che sia
diventato incompetente o inaffidabile.
Un'altra caratteristica distintiva di queste monarchie dinastiche è che le famiglie reali sono molto numerose
e hanno mostrato il desiderio di "impegnarsi nel servizio pubblico" all'interno del governo,
dell'amministrazione pubblica e dell'esercito.
Questo conferisce alle famiglie reali dinastiche un controllo esteso su tutto lo stato.
Inoltre, i sudditi di alcune monarchie arabe hanno il diritto di presentare di persona le loro lamentele e
richieste al monarca. L'accessibilità ai governanti potrebbe essere volta a compensare una mancanza di
istituzioni democratiche, ma le monarchie arabe non-dinastiche di Giordania e Marocco sono andate oltre e
hanno creato istituzioni parlamentari presunte democratiche, con tanto di elezioni semi democratiche, e
condividendo persino il potere con politici eletti.
Dittatori monarchici
Così come è difficile distinguere tra monarchi che governano e monarchi che regnano soltanto, è altrettanto
difficile distinguere dittatori che esercitano un governo personale e dittatori che sono meramente agenti
dell'organizzazione che governa.
Il leader del partito comunista Mao Zedong era il dittatore personale della Cina negli anni 60 e 70 del XX
secolo e in effetti il suo potere era comparabile a quello di un monarca assoluto. Mao aveva di fatto
rovesciato la relazione principale-agente col proprio partita e aveva trasformato quello che interroga era il
partito al governo in un mero agente o strumento del suo governo personale.
Nonostante un numero relativamente ristretto di dittatori sia divenuto un governante assoluto, essi hanno
ottenuto far gradi di autonomia dal partito o dall'esercito che hanno condotto al potere o di cui sono stati a
capo durante il recesso di consolidamento del potere da parte di quell'organizzazione.
Un'indicazione di questa autonomia sta nella tendenza a diventare dittatori monarchici "a vita" e persino
nell'istaurare meccanismi di successione ereditaria nei confronti di un figlio o un fratello - creando quella
che gli scienziati politici degli anni 70 del XX secolo definivano una monarchie presidenziale. La monarchia
presidenziale stava divenendo prevalente in Africa e in altri parti del terzo Mondo. Nonostante la gran parte
delle monarchie presidenziali venissero rovesciate dallo data globale di democratizzazione degli anni 80 e
90 del XX secolo, Bashir Assad succedette ad Hafiz Assad nel 2000, Kim Jong II a Kim II Sung nel 1994,
mentre il fratello più giovane di Fidel Castro, Raul, ne prese il posto ne 2005, quando il presidente di ritirò
per motivi di salute.
L'ondata globale di democratizzazione che portò al crollo di gran parte delle monarchie presidenziali ha
determinato un contesto politico in cui una forma insolita di monarchia presidenziale è adesso divenuta la
forma standard e dovrebbe essere distinta come una categoria separata di governo personale - la
monarchia presidenziale populista. Si tratta di una forma storicamente antica di dittatura personale che ha
le sue origini alla metà del XIX secolo ed è apparsa successivamente in maniera occasionale in America
Latina. È stato svoltato con il-passaggio recente alla terza fase che la monarchia presidenziale populista si è
affermata. Questo è in parte dovuto al fatto che essa si presta bene a essere una forma di dittatura
personale camuffata da democrazia, ma anche perché il modo in cui una monarchia populista presidenziale
viene fondata è coerente col contesto politico democratico a livello mondiale.
La monarchia presidenziale populista emerge attraverso un'appropriazione indebita di potere da parte di
un presidente eletto, quello che in America Latina veniva chiamato un autogolpe. Il presidente trasforma
l'elettorato nello strumento del proprio governo personale. La tradizione latinoamericana di autogolpe e di
no arche presidenziali populiste è stata mantenuta negli anni 90 del XX secolo da Fujimori in Perù, da
Chavez in Venezuela e in molti paesi dell'ex URSS.
Governo militare
La dittatura militare è un caso molto ovvio di governo da parte di un'organizzazione distintiva. Ci fu un
periodo negli anni 70 del XX secolo quando sembro che l'esercito fosse davvero sulla strada di governare
ogni paese del Terzo Mondo. D'altro canto l'esercito aveva smesso ceduto i potere ai civili attraverso
elezioni democratiche o perché non aveva mai avuto intenzione di mantenere il potere a lungo oppure
perché aveva scoperto che i costi istituzionali di mantenimento del potere erano di gran lunga maggiori dei
benefici.
Quindi non può sorprendere che il governo militare avesse una durata media di alcuni anni, piuttosto che
decenni.
L'ondata globale di democratizzazione che iniziò a metà degli anni 70 del XX secolo non solo rimosse la
maggior parte delle dittature militari, ma riducesse anche drasticamente il numero di paesi soggetti a
interventi militari nella politica.
L'intervento militare nella politica ha prodotto parecchie differenti forme strutturali di governo militare. Ci
sono sia:
In seguito, il partito istituisce una delle tre forme strutturali di stato a partito unico:
1. Lo stato palesemente è letteralmente a partito unico nel usale tutti gli altri partiti sono vietati
2. Lo stato camuffato ma quasi a partito unico nel quale il partito ufficiale del regime "guida" un qualche
genere di coalizione con uno o più partiti fantocci
3. Lo stato camuffato e' di fatto a partito unico in cui a tutti gli altri partiti è di fatto impedito di competere
realmente col partito ufficiale.
Tuttavia uno stato a partito unico non è necessariamente un caso di governo a partito unico.
I sottotipi di governo a partito unico sono stati solitamente classificati dagli scienziati politici nei termini
delle differenze a livello di orientamento ideologico e politiche pubbliche, anziché rispetto alle differenze
nella forma strutturale di stato monopartitico.
Le due categorie più ovvie a livello ideologico e di politiche pubbliche sono i sottotipi fascista e comunista,
ma c'è anche un gruppo residuale di una certa ampiezza ovvero il sottotipo "Terzo Mondo". Di questi tre
sottotipi, quello fascista è stato storicamente il più raro e si è estinto quando la Germania fu sconfitta
militarmente nel 1945. Al contrario, i sottotipi "comunista" e "terzo mondo" sono stati abbastanza
numerosi storicamente e il sottotipo comunista è riuscito ad evitare l'estinzione.
Comunista
Il regime comunista è storicamente il sottotipo più importante così come quello più numeroso. Produsse
una delle superpotenze del XX secolo, la defunta Unione sovietica, e sembra destinato a produrre un'altra
superpotenza nel XXI secolo se la Cina manterrà il suo tasso di sviluppo economico - e il suo governo a
partito comunista.
Al momento del loro picco numerico negli anni 80 del XX secolo, ci furono diversi regimi che sposarono i
fondamenti dell'ideologia comunista del marxismo-leninismo. Tuttavia una buona parte di questi regimi
erano in realtà dittature personali di capi militari che impiegavano il marxismo-leninismo semplicemente
come una facciata ideologica.
Fu così che tanti regimi comunisti crollarono alla fine degli anni 80 e all'inizio degli anni 90 del XX secolo.
Attualmente solo tre di queste dittature dell'organizzazione sopravvivono ancora: Cina, Vietnam e Laos
Terzo Mondo
Il sottotipo "terzo mondo" è una categoria residuale che raccoglie una varietà di casi. Il sottogruppo più
significativo è un gruppo di "Stati monopartitici africani" che emersero dalla decolonizzazione dell'impero
britannico e francese in Africa fra gli anni 40 e 60 del XX secolo.
Questi esempi africani di governo a partito unico furono presto o rovesciati da un colpo di stato militare,
oppure videro il loro capo partito diventare un dittatore personale, solitamente nella forma di un monarca
presidenziale. La maggioranza di queste dittature personali sopravvisse per una generazione prima di
essere rimossa dallo data di democratizzazione che vesti l'Africa negli anni 90 del XX secolo.
Ci sono stati alcuni casi di governo a partito unico del Terzo Mondo fuori dall'Africa, come il governo del
partito baathista in Iraq sotto la leadership di Saddam Hussein. Egli trasformo il regime in un governo a
partito unico prima di stabilire una dittatura personale sino all invasione statunitense dell'Iraq nel 2003.
In America Latina, 3 esempi di spicco di governo a partito unico furono quelli del Messico, della Bolivia e del
Nicaragua
PERCHÉ GOVERNA?
Tutti i regime autoritari rivendicano un autorità legittima. Quest'ultima conferisce loro il diritto a governare
e ad imporre ai propri sudditi il dovere di obbedire.
• Legittimità di diritto: rivendicano una giustificazione e una base legale per il proprio governo. In effetti i
regimi autoritari tipicamente hanno un qualche genere di costituzione, parlamento e sistema giudiziario
che può rappresentare una notevole rivendicazione formale di legittimità sul piano del diritto. In aggiunta
a questa rivendicazione di legittimità di diritto ci sarà anche una rivendicazione di
• Legittimità religiosa: le rivendicazioni religiose all'autorità legittima sono state storicamente le più
comuni, ma sono ora relativamente rare e si trovano solo nel medio oriente (Iran) e nella Città del
Vaticano
• Legittimità ideologica: durante il XX secolo, le rivendicazioni di legittimità basaste sulla religione furono
ampiamente "sostituite" da rivendicazioni basate sull'ideologia. Queste ideologie variavano dal
marxismo-leninismo al populismo latinoamericano. Se u ideologia vuole essere efficace come queste
religioni nel fornire una base di legittimità a un regime autoritario, al l'ideologia dovrà essere data una
simile presenza e influenza sociale dal "suo" regime - attraverso l'impiego dei mass media, il sistema
educativo e le organizzazioni per la mobilitazione di massa, quali il partito ufficiale del regime, il
movimento giovanile e sindacati. La diversità ideologia dei regimi autoritari include non solo il contenuto
delle loro ideologie, ma che il fatto che molte di queste ideologie non sono prese seriamente e che molti
regimi militari non si sono mai neppure preoccupati di avere u ideologia simbolica. Un'altra fonte di
diversità è quella per cui le rivendicazioni ideologiche per legittimare l'autorità assumono forme
differenti.
Ci sono state rivendicazioni ideologiche alla legittimità a livello:
- personale (leader che rivendicano una legittimità profetica in quanto ideologi)
- organizzativo (partiti o militari che rivendicano un diritto ideologico al potere
- visionario o programmatico (un regime che asserisce che gli obbiettivi e i principi racchiusi nella sua
ideologia gli conferiscono un diritto al governo.
L'ideologia comunista è stata quella più utilizzata per rivendicare la legittimità, con il suo nucleo marxista-
leninista capace di fornire tanto una forma organizzativa leninista quanto una concezione visionaria
marxista.
Non c'è stato nessun equivalente del leninismo tra i rari tentavi di giustificare il governo militare da un
punto di vista ideologico.
• Legittimità democratica: la rivendicazione alla legittimità democratica ha preso una forma istituzionale.
C'è stata una rivendicazione o del fatto di stare usando situazioni democratiche, come un parlamento o
una presidenza eletti, oppure del fatto di stare adoperandosi per introdurle/reintrodurle.
L'ultimo caso si presenta tipicamente dopo che l'esercito si è impossessato del potere da ciò che reputa
essere un governo non democratico, corrotto e incompetente. Solitamente, l'esercito rassicura
rapidamente le platee internazionali e domestiche sul fatto che il governo militare è solo temporaneo e che
si sa adoperando per la (re)introduzione della democrazia. Ma potrebbe volerci un lungo periodo di tempo
per tenere fede a queste promesse.
Al contrario, la rivendicazione di stare utilizzando istituzioni democratiche consiste nell'avere effetti ente,
piuttosto che nel promettere, un parlamento o un presidente eletti - ma sulla base di elezioni non
democratiche.
Per esempio, un parlamento potrebbe venire eletto in maniera plebiscitaria, come sperimentato per la
prima volta nella prima fase di modernizzazione della dittatura, quando agli elettori viene data la "scelta" di
o approvare o rigettare il candidato, o la lista di candidati ufficiali.
Un esempio precoce di dittatura della seconda fase in cui venne eletto un parlamento in maniera
plebiscitaria è rappresentato dalla Germania nazista nel 1938 - 5 anni dopo la sua trasformazione di fatti e
di diritto in uno stato a partito unico. Hitler enne nuove elezioni per il Reichstag sulla base di un sistema di
rappresentanza proporzionale per liste, ma con un unica lista di candidati da approvare o rigettare. Si
trattava di una lista di candidati scelti personalmente da Hitler. Grazie a brogli elettorali e altri metodi non
democratici il risultato delle elezioni fu un voto per oltre il 99% favorevole alla lista.
Nonostante queste elezioni siano state definite elezioni a lista unica o a candidato unici, una descrizione più
ampia e più calzane è quella di elezioni "non competitive".
Tuttavia, anche quando istituiscono partii fantoccio, le elezioni non competitive non possono raggiunger la
sofisticazione caratteristica delle elezioni semi competitive, che vennero inventate in America Latina molto
tempo fa e sono divenute il metodo standard della terza fase della modernizzazione e delle dittature
camuffate da democrazia. Le elezioni semi competitive sono democraticamente più credibili delle elezioni
non competitive perché consentono una certa competizione elettorale tra i partiti, benché il partito o
candidato ufficiale non possa perdere - se necessario, il regime ricorrerà a brogli elettorali o persino
annullerà le elezioni in qualche modo.
La terza fase di modernizzazione ha già prodotto nuove varianti di elezioni semi competitive, specialmente
introducendo partiti o candidati fantoccio che garantiscono una competizione e "opposizione" fasulla al
governo o al regime (per ex. Kazakistan).
La crescente sofisticazioni dei metodi elettorali delle dittature di terza fase ha reso più acuto il problema di
come distinguerle da regimi ibridi che collocano nella zona grigia tra autoritarismo e democrazia.
COME GOVERNA?
Questo paragrafo descrive il modo in cui i regimi autoritari hanno impiegato vari meccanismi per esercitare
un controllo sullo stato e sulla società. Inoltre descrive il modo più estremo in cui le dittature hanno
governato e che gli scienziati politici hanno chiamato totalitarismo.
TOTALITARISMO E AUTORITARISMO
Totalitarismo
Il termine totalitarismo fu reso popolare per la prima volta negli anni 20. E 30 del XX secolo, quando
Mussolini descrisse lo stato fascista come totalitario. Quando il termine fu adottato dagli scienziati politici
dopo la 2GM, questi ne diedero una più ampia applicazione che includeva il regime nazista hitleriano e il
regime comunista stalinista dell'Unione sovietica. Gli scienziati politici che si sono occupati di totalitarismo
lo hanno descritto come una forma di dittatura nuova particolarmente ambiziosa.
A differenza dei tipi precedenti di dittatura, essa cercò di trasformare la aura umana attraverso
un'organizzazione "totalitaria" di tutti gli aspetti della vita e tramite un ideologia ufficiale che non solo
giustificava e indirizzava questa trasformazione della natura umana, ma. Forniva anche mezzi psicologici per
eseguirla - ovviamente con ausilio di controlli esterni messi in atto dal partito di regime e da altre
organizzazioni, specialmente il "terrore" imposto dalla polizia segreta.
I primi teorici del totalitarismo si focalizzarono sul ruolo della leadership ideologicamente ispirata,
specialmente concentrandosi sulla figura di leader quali Hitler o Stalin che interpretavano profeticamente
l'ideologia e ne erano guidati.
Tuttavia questo ed altri aspetti del totalitarismo dovettero essere riconsiderai all'indomani della morte di
Stalin nel 1953, dal momento che la leadership post-staliniana mise fine al regno del terrore imposto dalla
polizia politica e critico il governo personale di Stalin, accusandolo di aver creato un "culto della
personalità".
In aggiunta dagli anni 60 del XX secolo la ricerca storica stava iniziando a mostrare che i regimi di Hitler e
Stalin non erano riusciti a imporre un controllo totale delle azioni, per non parlare delle menti, e che il
concetto di totalitarismo poteva essere applicato solo alle aspirazioni o agli obbiettivi di questi regimi,
piuttosto che ai loro reali "risultati". Infatti, sembra che alcune dittature successive, come il regime
comunista della Corea del Nord siano state un esempio migliore di totalitarismo.
Autoritarismo
La differenza fra il modo totalitario di governare e quello standard dei regimi autoritario fu sottolineato
grazie a un sofisticati concetto di autoritarismo sviluppato da Linz negli anni 70 (1970). Egli descrisse 4
elementi o caratteristiche distintive dell'autoritarismo tali da delineare qualcosa che andava al di là della
monarchia, a era molto meno estremo rispetto al totalitarismo:
• Presenza di un limitato pluralismo politico
• L'assenza di un ideologia che sia elaborata e/o stata per guidare il regime
• L'assenza di una mobilitazione politica intensa o estesa
• Una leadership soggetta a limiti prevedibili nell'esercizio del potere piuttosto che arbitraria o
discrezionale, di un piccolo gruppo o di un individuo.
Queste 4 caratteristiche sono state presenti nella grande maggioranza delle dittature, a prescindere dal
fatto che la dittatura fosse personale, militare o a partito unico.
Linz sostenne anche che i regimi totalitari potessero infine svilupparsi in qualcosa che apparisse più simile a
un regime autoritario, conio infatti il termine "post-totalitario".
Successivamente introdusse l'espressione "moderno sultani amo" per descrivere quei di attori personali
assoluti che non solo erano privi della carica ideologica e della legittimazione caratteristica dei leader
totalitari, ma che ricorrevano anche all'avidità e alla paura per motivare i propri subordinati.
Esercitare il controllo
Sia il totalitarismo che l'autoritarismo impiegano una gamma di meccanismi di controllo per assicurate che
vi sia obbedienza al regime.
Il meccanismo di controllo più efficace è una forza di polizia politica oppure "segreta" competente. A
seconda del regime e delle circostanze, i metodi della polizia politica:
1. Per ciò che riguarda la raccolta di informazioni, spaziano dall'impiego della tortura e di delatori a una
sorveglianza meramente elettronica e
2. per ciò che riguarda le punizioni, spaziano dal l'esecuzione pubblica o dalla "sparizione" alla mera
stroncatura delle rispettive di carriera degli individui.
È più probabile che sia il totalitarismo, rispetto all'autoritarismo, a ricorrere ai metodi estremi di polizia
politica, ma ogni dittatura può impiegarli nei periodi di repressione più aspra.
Un regime militare ha alcuni meccanismi distintivi di controllo, specialmente la giunta e la dichiarazione
della legge marziale. Quest'ultima conferisce poteri di polizia e giudiziari all'esercito che può poi impiegare i
propri soldati per mantenere l'ordine e controllare la popolazione sul territorio. La giunta può essere
impiegata per controllare il governo presidenziale o ministeriale del regime militare per controbilanciare
l'influenza dei civili sopra e all'interno del governo, specialmente per ciò che riguarda i civili che hanno
incarichi tecnici, come quello di ministero delle Finanze, alcuni regimi militari hanno esteso ulteriormente il
loro controllo sullo stato nominando ufficiali dell'esercito a importanti posizioni nell'amministrazione
pubblica e nel governo regionale o locale.
I meccanismi di controllo distintivi del governo a partiti l'unico sono stati basati sul l'impiego di un partito
politico per controllare lo stato e la società. Il partito ricorre ai propri numerosi iscritti nell'amministrazione
pubblica e nel l'esercito per assicurarsi che queste politiche siano realizzare.
4. PARTECIPAZIONE POLITICA
INTRODUZIONE
La partecipazione politica istituisce dei collegamenti fra il pubblico di massa ed élite politiche. Il termine si
riferisce a un'ampia gamma di attività, che includono votare ala elezioni, donare tempo e soldi alle
campagne politiche, candidarsi per una carica, promuovere petizioni e boicottaggi, riga nizzardi in insaccati,
manifestare, svolger sit-in illegali o occupazioni, blocchi o persino un assalto fisico contro le forze
dell'ordine.
La democrazia non funziona senza la partecipazione politica (volontaria e legale) e i suoi cittadini.
Ma anche molti regimi autoritari possono tollerare qualche modalità di partecipazione politica, se non altro
per raccogliere informazioni riguardo alle lamentele dei loro sudditi in modo da sedare la frustrazione
repressa.
I regimi totalitari istituiscono anche la partecipazione obbligatoria per mantenere l'ordine politico esistente.
3. Le attività di partecipazione possono essere distinte con riguardo alla loro rischiosità per la libertà e la
vita dei partecipanti
Modalità di partecipazione
La maggior parte della partecipazione popolare è organizzata e regolare.
Movimenti sociali
Flussi di attività che indirizzano istanze ai policy-maker attraverso eventi a livello di comunità, di piazza e
mediatico come loro spazi principali di articolazione sono movimenti sociali. I movimenti sociali possono
coinvolgere un gran numero di individui, ma generalmente hanno piccolo nuclei organizzativi formali.
Tipicamente non vi è un adesione formale.
Gruppi di interesse
Quelle attività in cui i partecipanti fanno principalmente affidamento sul comunicare le proprie preferenze,
istanze e minacce ai policy-maker coinvolti nell'arena legislativa ed esecutiva tendono a portare alla
creazione di gruppi di interesse durevoli. Tipicamente, essi sono organizzati in modo formale con espliciti
ruoli d'appartenenza.
Il numero degli associati è un indicatore della capacità di minaccia di un gruppo di interesse nei confronti
dei policy-maker.
In parte, il potere di un gruppo di interesse deriva dalla centralizzazione della sua organizzazione interna.
Partiti politici
Quelle attività in cui i partecipanti cooperano per nominare candidati parlamentari, li iuta no a conquistare
gli elettori e organizzano l'affluenza alle urne di elettori in favore di tali candidati concernono la formazione
di partiti politici.
I partiti acquisiscono reputazione e possono fare promesse in maniera credibile solo se riuniscono un gran
numero di politici per un lungo periodo e li fanno accordare su istanze più o meno simili.
Tutte le associazioni politiche si focalizzano su una sola "competenza centrale" e su un solo spazio di
mobilitazione partecipativa in un dato momento
• Premessa dell'importazione di Olson è che gli individui trattano la partecipazione politica come un costo.
Ma cosa succede se da essa deriva un beneficio o se è essa stessa un beneficio?
• Gli attori possono essere portati a sottostimare i costi della partecipazione. Si può trattare di una semplice
questione di errata percezione
1. Nelle democrazie con elezioni a suffragio universale per l'organo legislativo e per le cariche
nell'esecutivo e con istituzioni per proteggere i diritti civili e politici dei cittadini. Esiste un'ampia gamma
di azioni arte inattive tra cui movimenti con nuclei organizzativi ristretti, grandi gruppi di interesse e
partiti politici
2. Nei regimi autoritari come le monarchie costituzionale del XIX secolo o in molte dittature militari e civili
del XX secolo, l'esecutivo è al di là della responsabilità democratica, ma tollera alcune attività di
movimenti sociali e di partiti politici.
3. Nei regimi dispotici aspramente repressivi le opportunità sono sostanzialmente più ristrette. Essi non
solo contrastano e reprimono ogni forma di azione coordinata dal basso ma impongono dall'alto la
partecipazione politica obbligatoria attraverso organizzazioni statali di massa.
Due esempi dove ci si può attendere che gli effetti contestuali delle democrazie influenzano la
partecipazione politica. Il primo riguarda il "paradosso del voto" che mette in relazione il contesto di un
paese con il suo livello di affluenza alle urne. Il secondo esempio riguarda i differenti livelli di adesione
sindacale.
• Il voto obbligatorio ha un legame con l'affluenza. È cruciale sapere se è come il non-voto sia sanzionato.
Per quando riguarda le democrazie occidentali, i paesi con voto obbligatorio tendono ad avere un tasso
d'affluenza più elevato.
• Le regole regionali hanno un legame con l'affluenza. Si distingue solitamente tra sistemi a rappresentanza
proporzionale (ogni voto conta) e sistemi maggioritari o a collegi uninominali (il vincitore prende tutto). In
tutti questi sistemi gli elettori razionali che ritengono che il loro patito o candidato preferito non abbia la
possibilità di vincere un seggio e che hanno in antipatia tutte le opzioni alternative, manifestano una forte
preferenza a starsene a casa.
• La collocazione temporale delle elezioni ha un legame con l'affluenza al di fuori delle democrazie
parlamentari. L'affluenza tende ad essere maggiore se le elezioni legislative e presidenziali hanno luogo lo
stesso giorno.
1. L'adesione ai sindacati del lavoro tende ad essere più elevata nelle polity ricche piuttosto che nei paesi
in via di sviluppo.
2. Anche il regime politico conta. Le associazioni volontarie degli interessi come i sindacati prosperano
nelle polity democratiche. Nelle prime transizioni alla democrazia in Europa, i sindacati promossero la
democratizzazione.
3. Le politiche di sviluppo economico messe in atto nei regimi comunisti e in quelli autoritari
corporativi: poiché le industrie nazionali crescevano, ma rimanevano relativamente inefficienti, la
mobilitazione dell’influenza politica risultava vitale per la loro sopravvivenza.
4. Un'altra considerazione che si è fatta è che il tasso di adesione sindacale è rimasto elevato o è
cresciuto nei Paesi dove era già forte, ma quasi invariabilmente è diminuito nei Paesi dove i sindacati
avevano solo una forza moderata o erano già deboli.
Storicamente, un altro fatto che ha contribuito ad influenzare il livello di adesione sindacale è il sistema di
Gent:avviato nei paesi socialisti, consisteva nella delegazione da parte del governo ai sindacati del compito
di organizzare e amministrare l’indennità di disoccupazione.
Tratti individuali
Gli individui si impegnano nella partecipazione politica se hanno risorse e disposizioni che facilitano la
partecipazione. I fattori più importanti a livello individuale possono essere ulteriormente distinti in 4
differenti insiemi (Schlozman):
• Risorse
• Reclutamento
• Orientamenti verso la politica
• Stimoli contestuali
Risorse
Una semplice condizione fondamentale per la partecipazione politica è la disponibilità di tempo. Chi non
lavora, o non lavora a tempo pieno, tende a mostrare livelli più elevati di partecipazione politica.
Una variabile chiave è chiaramente la scolarizzazione/istruzione. Una migliore istruzione consente ai
cittadini di rielaborare più informazioni riguardo alle decisioni politiche in corso e formarsi un'opinione su
che cosa influenza o meno la qualità della loro vita in modi che possono spingere all'azione politica. Una
migliore istruzione promuove anche una più forte fiducia in se stessi è un senso di capacità individuale di
governare la propria vita piuttosto che lasciare che autorità esterne prendano decisioni al proprio posto.
Inoltre la capacità di processare informazioni consente agli attori di identificare strategie più efficienti per
perseguire i propri obbiettivi attraverso l'azione politica.
L'istruzione indirettamente accresce la partecipazione attraverso il suo impatto sul reddito. Individui più
istruiti tendono a percepire redditi più elevati che consentono loro di indirizzare parte delle proprie risorse
economiche verso attività discrezionali, come l'economia.
L'istruzione, il reddito e la vita professionale o lavorativa promuovono anche un coinvolgimento in una
varietà di attività civiche, come le associazioni professionali e culturali.
Reclutamento
Il coinvolgimento associativo è un meccanismo che spiega la partecipazione politica non solo per colore che
hanno dotazioni personali favorevoli al coinvolgimento nella politica (istruzione, tempo, denaro). Il
coinvolgimento associativo può essere un amplificatore della partecipazione.
Entrambi i parlamentari della vita lavorativa e della situazione residenziale potrebbero giocare un ruolo a
questo proposito.
Gli impegni che non richiedono un alto capitale umano e che non garantiscono a chi li pratica un maggiore
controllo sul proprio tempo possono stimolare la partecipazione politica, se l'organizzazione del processo
lavorativo consente agli attori di entrare i contatto con altri che vivono in condizioni sociali molto simili.
L'elevata capacità di azione collettiva che ne deriva è ulteriormente potenziata anche dalla situazione
residenziale delle famiglie dei dipendenti, concretati in quartieri vicini alle strutture di lavoro.
I risultanti milieu di classe e di gruppo promuovono e sostengono un'elevata capacità di azione collettiva.
Storicamente il picco dell'organizzazione sociale e della partecipazione politica basata sull'ambiente fu
raggiunto nella prima metà del XX secolo, quando la dimensione delle fabbriche raggiunge il suo apice. Il
restringimento della dimensione dei luoghi di lavoro, la crescente separazione tra luoghi di lavoro e luoghi
di residenza e la dispersione territoriale delle abitazioni che accompagnarono l'avvento dell'automobile
come mezzo relativamente economico di trasporto a partire dalla 2GM hanno progressivamente eliminato
la capacità dei luoghi di lavoro e dei quartieri circostanti di favorire l'organizzazione della partecipazione
politica.
Importante è anche il ruolo della famiglia. La famiglia è il luogo critico in cui i giovani acquisiscono il gusto, o
l'avversione, per la partecipazione politica.
È infine necessario menzionare le caratteristiche demografiche di età e genere. Le persone giovani e le
donne tendono a essere meno attive in politica rispetto alle persone più anziane e agli uomini, per ragioni
che hanno a che fare con l'esperienza politica e con la formazione culturale.
Orientamenti
Come ulteriore determinante della partecipazione politica aggiungiamo l'interesse politico e l'ideologia.
Stimoli consensuali
Comparare i livelli di partecipazione fra i paesi rivela che la distribuzione delle risorse e delle disposizioni dei
cittadini spiega solo una piccola parte delle differenze transnazionali.
Morales (2009) individua 3 gruppi: primo, nei paesi del Nord Europa, le adesioni associative sono molto
elevate, tuttavia la partecipazione nelle attività dell'associazione è strettamente debole. Secondo, nei paesi
anglosassoni e in qualche paese continentale, l'appartenenza a gruppi politici è contenuta, ma l'attivismo è
più forte. Infine nei paesi mediterranei poche persone sono parte di associazioni politiche, ma quelle che lo
sono mostrano una maggiore volontà di partecipare.
Le grandi differenze nella propensione media dei cittadini alla partecipazione politica, come unirsi in gruppi
di interesse, dipendono da fattori contestuali. Alcuni di essi li abbiamo già indicati, come l'impatto delle
orme elettorali sull'affluenza elettorale o il ruolo del sistema Gent.
Più in generale, possiamo distinguere almeno 4 differenti livelli di effetti contestuali, che hanno un impatto
sui profili individuali e aggregati della partecipazione politica
• A livello micro, le reti famigliari e amicali influenzano la partecipazione: se le reti sociali personali di un
individuo sono fortemente politicizzate, sono alte le possibilità che anch'esso diventi politicamente attivo.
• A livello macro, non solo le istituzioni democratiche ma anche gli allineamenti strategici tra forze politiche
possono incoraggiarlo scoraggiare il coinvolgimento.
• Anche la natura del sistema dei partiti influenza la partecipazione. Dove gli individui scelgono tra
un'ampia varietà di partiti politici piuttosto che solo tra due grandi partiti, è più probabile che uno di essi
abbia un programma politico molto vicino a ciò che il singolo cittadino vorrebbe vedere realizzato nel
policy-Making. Ciò può incoraggiare lui o lei a contribuire a quel partito diventandone membro.