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SOCIOLOGIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI – Prof Paolo Rosa

Il corso, che affronta lo studio delle RI con un approccio scientifico, è diviso in tre grandi blocchi:
1. Cos’è la disciplina? In inglese “international relations” minuscolo è l’oggetto studiato, in
maiuscolo è la disciplina. Verranno trattati i principali approcci allo studio della materia, la
sua evoluzione (sub-disciplina della scienza politica, che a sua volta si divide in politica
comparata, sistema di amministrazione e politica estera) ed istituzionalizzazione
(soprattutto nell’usa).
2. Descrizione della politica internazionale: i protagonisti, i principali obiettivi e gli strumenti
che gli stati usano [diplomatici, militari, diplomatici-bilaterali (direttamente con stato) o -
multilaterali (tramite organizzazioni internazionali)]
3. Parte più analitica riguardo le motivazioni per cui gli stati agiscono in un dato modo?

La disciplina delle RI appartiene alla classe di laurea di scienza politica poiché è una sotto-
disciplina della scienza politica, che si divide in: Amministrazione, Politica comparata, Relazioni
internazionali (sicurezza, international political economy).

Gli studiosi si dividono nella definizione di chi sia il soggetto della materia:
 Livello di analisi individuale: chi pensa sia necessario basarsi sull’analisi del singolo
individuo (il decision-maker) e delle sue caratteristiche (idee, valori, codice operativo):
Kenneth Waltz, politologo statunitense tra i più influenti nello studio delle RI degli ultimi
50anni, neorealista, che nel libro “man, state and war” afferma che le guerre sono il
risultato delle ambizioni delle singole persone.
 Livello di analisi statale: chi crede che per spiegare le azioni degli stati sia necessario
guardare determinate caratteristiche degli stati: le istituzioni politiche (tipo di stato, il
sistema parlamentare o presidenziale, meccanismo istituzionale di decisione) e le variabili
societarie (cultura strategica, ciclo elettorale, opinione pubblica, gruppi di interesse e il loro
peso nelle scelte)
 Livello di analisi internazionale: chi analizza direttamente le caratteristiche del sistema
internazionale. Qui il principale elemento è l’anarchia, la quale può essere però mitigata
dall’esistenza di norme internazionali e interdipendenza economica

Nel corso si affronta lo studio della politica internazionale, la quale è diversa dalla politica estera
nonostante spesso i due termini vengano utilizzati come sinonimi nel parlato:
 Politica internazionale: si occupa dei modelli d’interazione (che possono essere
conflittuali o cooperativi) tra due o più stati: STATO A ↔ STATO B (as studiare l’intera
struttura del sistema di partiti)
 Politica estera: approccio particolare volto ad analizzare le azioni intraprese dei governanti
(o dei loro rappresentanti) per influenzare il comportamento degli attori esterni al proprio
sistema politico: STATO A  ESTERNO (as studiare il singolo partito)
NB: Kenneth Waltz afferma che la sua è una teoria di politica internazionale e non di politica
estera, vuole spiegare quali sono i sistemi che producono più o meno conflitto, stabilità, ecc.

Studio scientifico delle relazioni internazionali ed istituzionalizzazione:


La disciplina delle RI è evoluta molto negli anni, sia per il metodo di studio della materia sia per i
contenuti analizzati. Il processo di istituzionalizzazione ha radici antiche, si pensi all’opera di
Tucidide in cui egli racconta la guerra del Peloponneso (guerra catalitica scoppiata in un sistema
bipolare = che scoppia a causa di una controversia tra alleati minori delle due superpotenze). In
particolare, esso non è stato un processo lineare. Negli anni Cinquanta vi è un radicale aumento
nello studio delle RI: inizialmente l’approccio è di tipo quantitativo, poi qualitativo. Oggi 2/3 della
produzione scientifica è di tipo qualitativo, ma non c’è più un dibattito circa la modalità migliore di
analisi. La disciplina ha visto due grandi momenti di sviluppo:

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1. Realismo vs idealismo: dibattito ontologico, sulla natura della politica internazionale (avvenuto
tra le due guerre mondiali)
 Idealismo, utopismo (scuola liberale): crede essenzialmente che gli esseri umani siano
per natura socievoli e che abbiano degli interessi simili, armonici, per cui il conflitto non è
qualcosa di intrinseco alla natura umana o alla politica in generale. I conflitti, se esistono,
nascono a causa di incomprensioni o dalla mancanza di un’autorità centrale che coordini i
comportamenti. Di conseguenza, la politica internazionale è qualcosa di positivo che può
garantire la pace tramite l’azione di organismi internazionali che mediano tra gli stati. 
secondo Wilson la WWI è una guerra per mettere fine a tutte le altre guerre. Egli ci prova
tramite l’istituzione della società delle nazioni (accordo tra stati per bloccare i paesi che
intendono minacciare la pace mondiale), ma questa non funziona per vari motivi (difficile
coordinamento in contesto anarchico, informazioni riguardo altri stati sono scarse, uscita
degli usa...).
 Realisti (tradizione hobbesiana): visione pessimista, che vede il conflitto come intrinseco
all’essere umano e che ritiene che il comportamento degli stati sia mosso da calcoli di
potenza, di interesse e di convenienza. Si sviluppa come reazione ai fallimenti della SdN,
organismo che pensava di mettere fine alle guerre semplicemente dichiarandole fuorilegge.
Edward Carr (storico e diplomatico inglese) considera gli idealisti degli utopisti poiché
crede che la guerra ci sia e ci sarà sempre. Questa visione domina dalla WWII alla guerra
dello Yom Kippur (1973) in quanto livello di violenza nei rapporti tra stati è tale da rendere
inverosimile la concezione idealista. L’Onu è un organismo che rimpiazza la società delle
nazioni, quindi che a livello teorico rientra nella prospettiva idealista, ma a livello pratico
essa ebbe successo (gli equilibri vennero rispettati) poiché le vere decisioni venivano prese
dalle 5 superpotenze facenti parte del Consiglio di sicurezza.
Il primo grande dibattito si conclude con la vittoria del realismo sull’idealismo (dopo WWII), ma
dopo la crisi energetica del 73 (conseguenza della guerra dello Yom Kippur) vi è un ritorno
dell’idealismo, un’ondata di interesse per l’international political economy. Molti autori dallo stampo
liberale iniziano a sostenere che i problemi riguardino come gestire un’economia internazionale in
crisi, in cui non c’è più una potenza economica in grado di garantire il minimo di beni pubblici e in
cui vari paesi hanno imparato ad usare l’arma energetica come strumento di pressione. Questo per
dire che non c’è dominio assoluto del realismo, seppur sia in parte l’approccio dominante.

2. Comportamentismo vs metodi tradizionali: nel secondo dopoguerra vi è un dibattito


deontologico, epistemologico, che riguarda il modo di approcciarsi alla materia, di analizzarla e di
trarne conclusioni. Contrapposizione tra storici e scienziati sociali soprattutto riguardo det ambiti:

 Diritto internazionale e relazioni internazionali: il primo si basa sulle norme internazionali


(prescrizione o proscrizione di comportamento), quindi su cosa gli stati dovrebbero fare,
mentre gli studi di RI studiano quello che gli stati effettivamente fanno. Anche se le cose
non coincidono, non significa che il diritto internazionale sia ininfluente.
 Storia diplomatica e RI: la storia (scienza ideografica) studia solo il singolo caso, mentre le
RI (scienza nomotetica) studiano le classi di fenomeni in generale (perché scoppiano le
guerre e non perché è scoppiata la WWI). Nel rapporto nr variabili/nr casi lo storico studia
pochi casi, ma analizzandone un sacco di fattori, mentre il politologo analizza una o due
variabili in riferimento a moltissimi casi. Lo scopo infatti è quello di individuare tutte le
sfaccettature che quel fenomeno può avere, comparando i vari casi per poterne trarre la
natura del fenomeno.
 Primi studi “scientifici” di politica estera: negli anni 50/60 due maggiori esponenti della
scuola comportamentista individuarono una serie di variabili che ancora oggi sono utilizzate
come studio base delle RI:

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Richard Snyder: “L’azione dello stato è l’azione intrapresa da coloro che agiscono in nome dello
stato” = lo stato è i suoi decision maker e analizzare lo stato X come un attore nella politica
internazionale è analizzare i suoi decision maker come attori. Il comportamento dei funzionari di
stato diventa così il dato centrale dell’analisi delle relazioni internazionali. Snyder per spiegare
questa teoria individua tutti i fattori che influenzano il comportamento in 3 mega-categorie:

1. External setting: gli Stati (termine che


usiamo per abbreviare) sono influenzati dal
contesto geografico e geopolitico (analisi
comparata)
2. Internal setting: in politica estera chi
governa prima di prendere una decisione
pensa non tanto all’impatto sulla sicurezza
del paese, ma soprattutto a quello sulla sua
carriera e sulla situazione interna al paese
3. Decision making setting: il modo in cui si
prendono le decisioni incide sul contenuto
stesso delle decisioni.
Difetti dello schema: è molto difficile da gestire a causa del numero troppo elevato di variabili che
non sono rimandabili al metodo di una scienza nomotetica e dalla mancanza di un ordine di
importanza che dia un diverso peso alle variabili. Questo provoca dei problemi perché ogni
studioso darà importanza alle variabili in modo soggettivo: un neorealista riterrà l'unico fattore
importante la distribuzione del potere, un liberale l’external setting, un costruttivista gli aspetti
culturali...  Sotto questo aspetto intervenne Rosenau

James Rosenau: nel 1964 riprese lo schema di Snyder ed elencò una serie di variabili (che in
realtà sono le stesse):
 internal setting  variabili societarie e
governative
 external setting  v. sistemiche
 decision making  v. idiosincratiche e di ruolo

Egli inoltre azzardò qualche ipotesi riguardo i fattori che


danno maggiore o minore peso alle
variabili, introducendo un nuovo schema. Sostiene che si
possa ipotizzare che per studiare in modo efficace la
politica e le relazioni internazionali:
 In un paese grande (large), sviluppato (developed) e democratico (open) è più probabile
che siano fondamentali le variabili di ruolo, mentre quelle sistemiche e individuali siano
meno importanti → USA catena di comando molto complessa, basti pensare
all’impeachment, o che le decisioni militari necessitino di autorizzazione del Congresso
 In un paese all’estremo opposto, piccolo, sottosviluppato e autoritario è più probabile che
siano fondamentali le variabili individuali e sistemiche → Ghana, oppure Corea del Nord,
avvia programma nucleare, scelta dettata non dalle caratteristiche societarie, ma
dall’ambiente esterno

La rivoluzione comportamentista ha un approccio che si avvicina molto al metodo scientifico


classico perché sfrutta un approccio quantitativo e/o qualitativo: si parte dalla teoria che cerca di
fornire la spiegazione di un fenomeno, poi si tirano fuori le ipotesi, si raccolgono dati e si arriva a
capire se questi siano coerenti o meno con l’ipotesi (non si dice che i dati confermano l’ipotesi,
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vogliamo essere più moderati, meno deterministi, potrebbe arrivare un nuovo dato che smentisce).
 DWT (Diversionary Theory of War, teoria della guerra diversiva) si sostiene che un paese con
alti tassi di conflittualità interna sia più propenso a conflitti esterni, ad inventare un nemico
all’esterno per distrarre l’opinione pubblica interna  Usa vs Urss

3. Dibattito tra realismo, liberalismo, marxismo, costruttivismo, femminismo: così come ci


sono diversi metodi/approcci, ci sono anche diverse tradizioni di ricerca, queste sono le più diffuse.
REALISMO:
 I principali attori della politica internazionale sono gli stati. Nello specifico sono le grandi
potenze che definiscono la politica internazionale → è necessario studiare la pol estera
delle grandi potenze per comprendere ciò che succede a livello internazionale
 I leader politici perseguono l’interesse nazionale in un mondo competitivo
 Tutti gli stati (grandi, medi e piccoli) competono per la sopravvivenza e la ricerca del potere,
risorsa che può essere utilizzata per raggiungere qualsiasi obiettivo → nelle RI il potere è
l’equivalente dei soldi in economia, in quanto permette agli stati di fare quello che vogliono
 Il fatto che tutti gli stati perseguono allo stesso modo il potere e che il sistema
internazionale sia di per sé anarchico fa sì che la politica internazionale sia conflittuale
Il potere è quasi sempre è inteso come potere militare, in quanto una potenza per essere influente
deve tradurre il proprio potere e la propria ricchezza in strumenti militari. A tal proposito
Mearsheimer dice che per capire l’influenza di un paese sia necessario vedere il numero di carri
armati posseduti. Egli inoltre divide il potere in potere latente (o potenziale, legato alla ricchezza
del paese, capabilities, risorse) e potere manifesto, per specificare che non sempre ciò che è
latente diventa manifesto, ovvero che le risorse non sempre diventano capacità di influenza perché
esse lo diventano quando sono convertite in risorse militari.  ritiene quindi che conti unicamente
la distribuzione del potere e non la situazione interna allo stato.
I realisti si dividono sul perché gli stati ricerchino il potere:
 Realismo classico: la brama di potere deriva dalla natura umana stessa (concetto
hobbesiano) e non ha un limite  Mearsheimer sostiene che quindi uno stato mira a
diventare una potenza egemonica  Carr e Morgenthau (il più famoso)
 Neorealismo o realismo strutturale: non vi è alcuna necessità di invocare la natura
umana per spiegare perché gli stati siano ossessionati dalla ricerca del potere, Waltz infatti
afferma che il motivo sta nella struttura del sistema internazionale. Sarebbe l’anarchia del
sistema internazionale a spingere gli stati verso la ricerca del potere: il bene scarso per
eccellenza diventa quindi la sicurezza, ogni stato deve difendersi da sé (dinamiche di self-
help).
NB: anarchia non significa caos, ma assenza di autorità centrale in grado di regolamentare
i rapporti tra gli Stati, che sono dunque sullo stesso livello. L’anarchia, principale
caratteristica del sistema internazionale, determina dinamiche di “self-help”, dilemma della
sicurezza e “balance of power”.  Waltz (autore più influente negli ultimi 50 anni), Walt
Realismo neoclassico: reazione all’indifferenza del neorealismo per la situazione interna allo
Stato. L’anarchia è importante per spiegare perché lo stato cerca potere e sicurezza, ma non si
possono ignorare i processi burocratici, la cultura strategica interna, strumenti per mobilitare le
risorse, la frammentazione culturale e politica, cultura pacifista → gli stati sono spinti ad agire a
causa delle pressioni derivanti dall’anarchia, ma il modo in cui agiscono, come implementano la
risposta dipende dall’interno (per i realisti neoclassici, a differenza nei neorealisti, la black box ha
importanza fondamentale).  Aron (padre), Schweller
Essi si dividono a loro volta in:

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 Realisti difensivi: (Waltz, meno pessimisti) intendono la ricerca di potere come ricerca di
sicurezza, quindi in una situazione di balance of power in cui lo stato si sente sicuro esso
smette di ricercare altro potere → Israele: ha sviluppato armi nucleari (anche se dice di
non averle) e non aspira a diventare potenza egemonica in medio oriente
 Neorealisti offensivi: (Mearsheimer, molto duro e pessimista), i quali invece affermano
che la ricerca di potere è esponenziale e tendenzialmente infinita a causa o in virtù
dell’anarchia: uno stato non si fermerà nella sua corsa fino a quando non diventa una
potenza egemonica (per lo meno regionale perchè non è possibile che uno stato
costruisca un impero mondiale).

LIBERALISMO: Zimmern, Doyle (teorico della teoria della pace democratica), Russet, Moravcsik,
Keohane, Nye (ha ideato il concetto di soft power)
I principali attori della politica internazionale sono i gruppi sociali (teoria pluralista). Gli stati
reagiscono alle pressioni che vengono dalla società e agiscono come meccanismi di conversione
delle richieste di questa (input) in politiche pubbliche che soddisfino queste richieste (output).
Quindi, le preferenze stato sono le preferenze dei gruppi d’interesse. I gruppi, dal canto loro, sono
portatori di interessi settoriali e si adoperano per influenzare la politica estera dei loro stati e per
stabilire rapporti transnazionali.
Visione più ottimista: l’uomo non è lupus, non tutte le azioni che gli stati fanno sono legate solo alla
sicurezza, ma conta tanto anche l’economia, soprattutto nel senso di benessere economico. Ma
questo non significa siano completamente diversi dai neorealisti. Bowin (?) usa il termine “neo-
neo” per affermare che i neoliberali sono simili ai neorealisti. Infatti, anche in questa tradizione è
presente l’anarchia, ma al contrario di quanto pensano i realisti, ci sono dei modi per cooperare
anche in mezzo all’anarchia e quindi evitare un conflitto. Uscire dalla trappola di Tucidide (quando
guerra è inevitabile perché gli stati si temono a vicenda) non è così difficile come pensano i realisti.
Possono esserci delle versioni non antitetiche (che non si escludono a vicenda) che giungono alla
stessa conclusione, ovvero che la politica internazionale non è così pericolosa:
 Liberalismo commerciale: da Smith, Schumpeter, secondo cui l’economia è una fonte di
unione tra i popoli. Alfred Zimmern (primo con cattedra di RI) disse che l’interdipendenza
economica data dal commercio internazionale crea un interesse per una cooperazione
pacifica, perché non avrebbe senso combattere un partner commerciale. Infatti, secondo la
teoria economica classica di Smith ogni stato partecipa al commercio internazionale nel
settore in cui possiede più risorse. Ogni stato, quindi, sarà incentivato a produrre quello
che gli permette di trarre maggiore profitto e a scambiare beni con altri paesi. Secondo i
liberalisti si crea quindi una relazione di interdipendenza perché senza quello stato
mancherebbero dei beni anche negli altri stati. Così essi sono disincentivati a farsi guerra
a vicenda. Per questo, dicono che se lasciato agire il mercato assicura la pace.
Norman Angell nel 1910 scrive “The great illusion”, opera dove dice che gli stati stanno
così bene economicamente che non hanno motivo di farsi la guerra.  Cooper, Keohane
 Liberalismo repubblicano: la natura del regime politico è determinante nello scoppio (o
nel non-scoppio) di una guerra.
 Teoria della pace democratica: elaborata a partire dagli assunti teorici kantiani e
rousseauiani, dice che le democrazie tendono a non fare guerra ad altre democrazie
grazie alle loro istituzioni, valori e norme (teoria rafforzata dal fatto che non si trovano i casi
nemmeno empiricamente). Se tutti gli stati fossero democrazie allora non ci sarebbero più
alcune guerre MA i processi di democratizzazione sono pericolosi, molto adatti a
reversioni.

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Clinton e Bush condividevano questa teoria, solo Bush II penserà ad esportare la
democrazia  Usa sempre molto moralisti, impegnano soldi, tempo e vite umane anche
per casi puramente ideologici riguardo i quali i realisti direbbero “ma lascia perdere”.
 Liberalismo istituzionale: parte dal presupposto che il conflitto non sia endemico/
inevitabile, ma che nasca da problemi di fiducia a livello internazionale. Nel sistema
internazionale non possiamo fidarci del prossimo poiché esso funziona come il dilemma
del prigioniero: due attori sono portati a scegliere una soluzione subottimale perché nel
caso in cui l’altro non cooperi il primo ci rimette tantissimo. Per evitare questo bisogna fare
in modo che gli stati possano comunicare meglio, facilitando lo scambio di informazioni
tramite organizzazioni internazionali indipendenti. Se è presente un’autorità internazionale
o sovranazionale che facilita la comunicazione e lo scambio di informazioni allora gli stati
saranno più propensi a fidarsi l’uno dell’altro e a cooperare  Keohane

MARXISMO: Micheal Cox, Wallerstein, Gill, Anievas, Linklater

Le classi sociali sono i protagonisti della politica internazionale e i loro interessi derivano dalla loro
collocazione nella struttura economica, la quale ha una portanza sostanziale all’interno della teoria.
Gli stati perseguono politiche estere tese a favorire gli interessi delle classi economicamente
dominanti. In generale, la storia procede grazie a scontri tra chi ha e non ha (classe dominante vs
classe subalterna), secondo una logica di materialismo dialettico. NB: gli scontri possono essere
tra classi all’interno di uno stato, ma anche tra stati che hanno di più e stati che hanno di meno.
La teoria da un lato si avvicina più al liberalismo perché dà molta importanza all’economia, ma
dall’altra si avvicina al realismo perché è fortemente conflittuale.
Secondo i marxisti, il capitalismo (e la modernizzazione) funziona tramite lo sfruttamento dei paesi
poveri da parte dei paesi centrali, dominanti, più ricchi, i quali per mantenere alti profitti cercano
nuovi mercati in cui riversare le merci prodotte. Nel fare questo però si scontrano con altri stati che
stanno facendo la stessa cosa. Quindi, il mercato diviene un mondo che porta a conflitto in senso
imperiale = se si lascia fare all’economia sicuramente scoppieranno le guerre  logica conflittuale
della politica internazionale (ma diversa da quella dei realisti perché qui non viene data tanta
importanza all’anarchia). Soluzione: superare il capitalismo perché porta alla guerra.
La storia funziona in modo dialettico, quindi ci sarà sempre uno scontro tra uno sfruttatore e uno
sfruttato, anche se si scambiano i ruoli.

COSTRUTTIVISMO: Karl Deutsch, Katzenstein, Wendt, Johnston, Checkel, Kratochwil.


I principali attori della politica internazionale sono gli individui e i loro sistemi di credenze sviluppati
a partire dalle norme culturali e dall’identità politica (approccio più sociologico). In base a queste
“idee” viene plasmato il comportamento degli individui e dei gruppi.
Quindi, le idee politiche e le identità degli attori nazionali sono l’elemento che più influenza il modo
in cui gli stati definiscono il loro interesse e si comportano a livello internazionale. Ma la definizione
dell’identità statale non dipende solo dai processi interni di costruzione dell’identità politica, ma
anche dall’interazione con gli altri stati, che reciprocamente si riconoscono. In base all’identità che
si attribuiscono l’un l’altro decidono come comportarsi.
Esiste l’anarchia, ma anch’essa è un costrutto sociale e dipende da come gli stati si considerano
l’un l’altro e come interpretano l’anarchia stessa: Wendt, culture dell’anarchia:
 Natura hobbesiana: gli stati agiscono secondo il principio homo homini lupus e la politica
internazionale risulta essere bellum omnia contra omnes, conflitto amico-nemico in cui
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l’avversario è da estirpare dal conflitto poiché non gode del diritto di esistere  questo tipo
di anarchia esiste, ma solo in alcuni limitati momenti storici
 Natura lockiana: gli stati non si vedono come nemici da eliminare definitivamente, ma come
rivali che si devono si affrontare, ma i motivi di conflitto sono limitati e soprattutto viene
riconosciuto il diritto all’esistenza del rivale.
 Natura kantiana: gli stati si considerano parte di una comunità in cui non esiste l’idea
stessa che un conflitto venga risolto con le armi

FEMMINISMO: Enloe, Spike Peterson, Tickner (una delle prime ad inserire la problematica delle
differenze di genere nella politica int. Critica il realismo politico in quanto proiezione mascolina
della politica int poiché esso affronta i problemi con l’impulsività e l’aggressività tipica degli uomini)
È un approccio a sé, nonostante alcuni pensatori oscillino verso altre tradizioni, poiché esprime la
necessità di studiare il ruolo delle donne nella politica internazionale (forse non è neanche una
tradizione vera e propria se la si compara con le prime tre). Per il femminismo i principali attori
della politica internazionale sono gli individui e le loro identità di genere. Possiamo tuttavia trovare
due varianti nella stessa tradizione:
1) Più moderata: non si discosta molto dalle altre teorie, ma obietta agli studi di RI il fatto che
si sia data importanza solo al ruolo degli uomini, mentre sarebbe necessario concentrarsi
anche sul ruolo che le donne hanno avuto nella politica int. L’intento è mostrare che le
donne hanno svolto un ruolo diverso e ben più importante nel corso della storia, non sono
state solo mogli, vittime o madri.  Cyntia Enloe
2) Più radicale: trova che la teoria stessa risenta di un approccio mascolino alla poli nt. Infatti,
le teorie che noi studiamo sono state ideate da uomini, quindi l’elaborazione teorica è frutto
di una differenza di genere. C’è una differenza di genere nell’approccio maschile o
femminile e questa cosa si vede nella poli internazionale (differenza di natura biologica e
culturale). Quindi, se le donne fossero al governo ci sarebbe una politica più pacifica

In concreto, cos’è la politica internazionale? Quali sono gli attori, gli obiettivi, gli strumenti
principali? Prima parte: politico-descrittiva.
Momenti di gravi crisi nucleari:
3) 1962: crisi dei missili a Cuba
4) 1973: crisi Yom Kippur
5) 1983: esercitazione militare Nato scambiato dall’Urss come un imminente attacco
ATTORI: 1. STATI (grandi, medie e piccole potenze)
 per i realisti la lotta per il potere interno si ferma di fronte al nemico esterno “politics stops at
water edge”
marxisti: lo stato fa l’interesse solo della classe dirigente dominante
1648, pace di Westfalia: data storica convenzionale dell’inizio del moderno sistema degli stati (non
dello stato moderno). Ci sono due trattati, uno tra impero asburgico e Francia e uno tra Asburgo e
Germania, ognuno dei quali regolava un principio particolare:
 Riconoscimento dello stato a base territoriale come elemento base della politicai int:
basta interferenze di soggetti sovranazionali nella vita dello stato (impero e chiesa) 
chiesa diventa stato territoriale che non ha diritto di interferire negli affari esterni al territorio
pontificio. Da questo momento solo gli stati nazione possono concludere rapporti
internazionali, firmare trattati di pace, ecc.
 Principio cuius regio eius religio: le guerre non possono essere più fatte per motivazioni
religiose (= in Europa cessano le guerre di religione che avevano caratterizzato i conflitti

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europee per quasi un secolo). Le guerre possono essere fatte solo in base a interessi
materiali, ragioni economiche-commerciali e non per questioni teologiche.
Riv fra: nasce il concetto di identità nazionale, per la prima volta è un esercito nazionale a
difendere lo stato (anche la leva obbligatoria è un modo per creare appartenenza nazionale). Di
riflesso questo sentimento si sviluppa anche all’interno degli altri stati (seppur inizialmente in
chiave antifrancese).  cambia radicalmente anche la percezione dello stato perché non è più
solo un insieme di territori in cui una persona/gruppo è dotato del monopolio dell’uso legittimo della
forza fisica (Weber), ma diventa un’unità territoriale in cui vive una nazione, un gruppo che
condivide la medesima cultura, storia e lingua.
Ogni sistema è composto da un certo numero di potenze. Per i realisti bisogna studiare queste
grandi potenze per poter comprendere la politica internazionale. Nel corso dei secoli ci sono stati
diversi sistemi internazionali, il cui numero di grandi potenze e l’identità è cambiata nel corso del
tempo. Per poter definire i sistemi internazionali è necessario anche capire se sono sistemi
unipolari, bipolari o multipolari.  come individuare queste grandi potenze??
 Mearsheimer: una grande
potenza è uno stato che è in
grado di resistere militarmente in
una guerra contro la potenza più
forte, o almeno darle un po’ di
fastidio.
 Schweller: una grande potenza
deve essere almeno la metà
della potenza più grande.
Contano tanto anche: territorio (Russia
non è stata mai occupata grazie ai suoi
vasti territori), popolazione (= potenziale
bellico, esercito).
Nelle analisi quantitative vengono usati diversi indicatori per definire una grande potenza: in analisi
dei conflitti di usa il CNC.
NMC, raccoglie i dati dal 1800 ad oggi per definire la forza di un paese in base alle spese militari,
esercito, popolazione…  nel 1816 il paese più forte era: Uk, Rus, Fra, Austria, la Russia, la
seconda potenza era la metà della prima.
Nel 2012 la prima potenza è la Cina, anche se gli Usa (n2) hanno 6 volte le spese militari cinesi.
Durante guerra fredda la n1 è la Russia e poi gli Usa (0,17 vs 0.14).
Guardando alle possibilità economiche gli Usa erano una potenza già ben prima del 1910, ma per
fattori sociali e culturali erano restii a investire nell’armeria bellica. Le grandi potenze erano gli stati
europei. Dopo la WWII il sistema cambia radicalmente: da multipolare (almeno 5) diventa un
sistema bipolare. Il dibattito contemporaneo non ha ancora definito il sistema internazionale
sviluppatosi dopo il 1991. All’inizio si prevede un ritorno al multipolarismo tra Usa, Russia (meno
forte ma con armi nucleari), Cina (in ascesa), UE (molto ottimista rispetto il futuro). Ma hanno
luogo delle guerre che cambiano questa prospettiva:
o Prima guerra del golfo  Usa è potenza più forte
o Guerra in Jugoslavia con intervento massiccio di Usa e debolezza Ue
o Seconda guerra del golfo
o Guerra in Afghanistan
Queste guerre mostrano un sistema internazionale unipolare (“Iperpotenza americana” termine
coniato dal ministro francese Hubert Védrine) affiancato da un gruppo di grandi potenze, altre

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medie e molte piccole potenze. Queste però non sono ininfluenti perché possono dare luogo a
guerre catalitiche, conflitti in paesi minori che coinvolgono poi anche le grandi potenze).
Altri invece pensano invece che ci sia un nuovo bipolarismo: Usa vs Cina poiché entrambe hanno
un PIL molto alto. Alcuni obiettano dicendo che si tratta più di un sistema “bipolare-zoppo” perché
la Cina non è ancora definibile una superpotenza (se si guarda ad esempio al pil pro-capite).
Secondo ___ (indicatore più utilizzato) Cina è più forte di Usa già dal 1995, ma guardando spese
militari gli Usa sono incredibilmente più forti (usa spendono più dei 10 paesi dopo di loro in
classifica messi insieme).
Guardando ai metodi tradizionali di misurazione come:
6) GDP (gross domestic product, pil): Cina > Usa dal 2015 circa
7) CINC (pil, dimensione della popolazione, nr militari, percentuale di popolazione urbana,
spese militari e produzione industriale): Cina > Usa da 2005
Micheal Beckley, politologo statunitense, ritiene che il secondo indicatore gonfi troppo il dato
cinese perché include la popolazione, che nel caso della Cina è un dato enorme, mentre se
guardiamo il reddito medio pro-capite allora sono gli Usa molto più ricchi. Il GDP invece non tiene
conto dei costi per produrre quella ricchezza: inquinamento dell’aria, del terreno, dell’acqua,
l’invecchiamento della popolazione. Beckley sostiene che è possibile trovare un indicatore più
significativo sottraendo alla ricchezza di un paese i costi economici, ambientali e sociali che esso
deve sostenere per raggiungere quella ricchezza: GDP x GDPprocapite. Si ottiene un nuovo
indicatore più coerente con l’immagine empirica dei due paesi: non c’è alcun superamento della
Cina, anzi è ancora molto indietro rispetto agli Usa. Egli inoltre sostiene che la Cina non
sorpasserà gli usa nel breve periodo.

ATTORI: 2. ORGANIZZAZIONI INTERGOVERNATIVE  attori di politica internazionale con ruoli


secondari rispetto a quelli statali, che funzionano tramite diversi livelli di interazione, sono composti
da una diversa membership (diversa scelta dei membri) e hanno competenze diverse:

 ONU: assemblea di tutti i paesi riconosciuti al mondo in cui il voto di ogni stato ha lo stesso
valore. Ma ogni decisione deve passare il vaglio del consiglio di sicurezza, il quale è
composto dalle grandi potenze dotate di diritto di veto
 UE: organizzazione sovranazionale che ha espropriato gli stati di alcune competenze
sovrane (politica monetaria fra tutte) e che mira ad un’unificazione politica tout court
 OSCE (organisation for security and cooperation in Europe): organizzazione che tratta temi
solo riguardo la sicurezza europea (membership regionale)
 ASEAN (association of south east Asian nations): paesi del sud-est asiatico (membership
regionale) con qualche osservatore esterno come la Cina e gli Usa
 WTO: tratta solo questioni commerciali

Essi rendono il sistema internazionale molto diverso, molto più denso rispetto al passato e questo
produce un effetto nei comportamenti degli stati. Gli stati sono ancora i protagonisti, ma sempre di
più devono confrontarsi con altri attori che hanno un peso diverso, una capacità di influenzare e di
agire diversa.

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ATTORI: 3. ATTORI NON GOVERNATIVI

 NGO: rappresentano la società civile internazionale riunita in organizzazioni che riescono


ad incidere nell’agenda politica degli stati senza essere organizzazioni intergovernative o
parte dello stato (croce rossa internazionale, Emergency, Green peace, medici senza
frontiere, Amnesty international)
 Imprese multinazionali: possono avere bilanci che superano i bilanci statali, quindi hanno
un potere tale da influenzare fortemente gli stati. Anzi spesso hanno più potere degli stati
perché questi da soli non possono fare niente contro una multinazionale. Stati usano
politica monetaria e politica fiscale in economia, ma le multinazionali riescono a scavalcarle
entrambe.  Dumping sociale: gli stati riducono le tasse per ingraziarsi le grandi imprese,
ma così facendo riducono i servizi ai cittadini.
 Organizzazioni criminali/terroristiche
 failed states

Quali sono gli OBIETTIVI che gli stati di solito perseguono? E quali sono gli strumenti che gli stati
usano per perseguire i propri obiettivi?
1. SICUREZZA: obiettivo di breve periodo
 Sopravvivenza fisica = continuare ad esistere (= evitare di scomparire come Polonia a fine 700).
L’ambiente internazionale è anarchico, non esiste alcun tipo di sicurezza a priori, quindi ogni stato
deve arrangiarsi tramite dinamiche di self-help per mantenere la propria sicurezza (in modo
duraturo perché l’anarchia è permanente). Talvolta per mantenere la propria sicurezza gli stati
attaccano preventivamente (Mearsheimer: tutti gli stati sono portati ad aggredire), tanto che
Raymond Aron definisce la politica internazionale come rapporti tra stati all’ombra di una guerra.
L’anarchia rende il sistema internazionale potenzialmente ostile (poiché il conflitto non ha luogo
necessariamente), ma è sempre in potenza, quindi gli stati devono organizzarsi ed essere sempre
pronti a difendersi. Lo stato nasce quindi come un’organizzazione per fare la guerra e garantire la
propria sicurezza e i primi aspetti che sviluppa sono politica estera, politica di difesa e politica
fiscale per prelevare i soldi che servono per pagare i costi delle prime due.
 Integrità territoriale = difendersi da una possibile amputazione territoriale da parte degli stati
vicini. In generale la disputa territoriale è la maggiore causa dei conflitti.
o Taiwan: la Cina lo considera parte del suo territorio quindi è disposta a combattere per
riprenderselo, ma esso è ben difeso.
o Tibet: regione facente parte la repubblica cinese che rivendica l’indipendenza dal governo
centrale poiché abitata dalla comunità tibetana (non cinese)
o Hong Kong: colonia inglese fino al 1997 composta da cinesi abituati a vivere in un regime
liberale, il quale è stato significativamente modificato. Si può parlare di pluralismo limitato:
esistono delle libertà di opinione e di scelta, ma in conclusione le autorità che governano e
che decidono non devono essere sgradite al governo centrale. Sono formalmente liberi, ma
esistono dei vincoli effettivi che portano a dinamiche di auto-censura.
Per la Cina aspetto simbolico >>> aspetto reale: essa è disposta a mantenere un sistema
politico diverso ad Hong Kong e in Taiwan (rispetto al resto del paese) pur di tenere questi
territori formalmente sotto la sua giurisdizione.
 Indipendenza: non cadere nell’orbita di un altro stato con una finta sovranità.
 Dottrina Breznev: tramite il patto di Varsavia l’Urss aveva il diritto di intervenire all’interno
degli stati contraenti nel caso in cui la sopravvivenza dei partiti comunisti fosse in pericolo.
 Dottrina Sonnenfeldt: gli Usa non avrebbero mai lasciato che in un paese alleato andasse
al governo il partito comunista. Dottrina figlia anche degli avvenimenti del 73 in Cile:
Allende va legittimamente al governo, ma per gli Usa è inaccettabile, quindi viene
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organizzato il colpo di Stato e inizia la lunga dittatura di Pinochet = anche vincendo le
elezioni legalmente, un partito comunista non poteva governare se nell’orbita americana =
PCI in Italia non avrebbe potuto governare lo stesso.

 Stabilità del regime politico: mantenere il potere nel proprio territorio.


 In chiave negativa: regime autoritario che vuole mantenere il potere indipendentemente
dalla situazione/bisogni del paese
 In chiave positiva: democrazia che vuole mantenere il potere per garantire il sistema di
valori e libertà fondamentali. = Far sopravvivere un modello di vita politica e sociale (anche
se in alcuni momenti di crisi le libertà fondamentali possono essere limitate in nome della
sicurezza nazionale, ma con la certezza che a fine emergenza tutto torni alla normalità)

2. ECONOMIA (obiettivo di medio periodo): raggiungere il livello di ricchezza più alto possibile
(PIL e PIL procapite). Economia è la base della sicurezza perché solo con una solida base
economica, industriale agricola ed energetica possono essere creati i mezzi (militari) per
mantenere la sicurezza.  La potenza militare deriva dalla potenza economica
(Mearsheimer), ma non avviene necessariamente anche il contrario.
List: nazionalismo economico, contro il libero scambio poiché esso porta alla specializzazione
in un solo settore, senza mai permettere allo stato di svilupparsi in generale e diventare una
grande potenza (non possibile diventare una grande potenza con una base economica
agricola, servono le industrie per potenziare l’apparato bellico e difendersi). Inoltre, bisogna
essere indipendenti dagli altri paesi (vedi crisi energetica 1973).
3. IDENTITÀ: gruppo di obiettivi più vario, non strumentali, ma espressivi, post-strumentali e
di lungo periodo:
o Reputazione
o Immagine nazionale
o Ruolo
Nono sono la risposta funzionale alle minacce di un ambiente anarchico, ma sono ciò che
gli stati possono fare dopo aver risposto alle pressioni. Affermare gli aspetti in cui crede,
anche appoggiando autori non statali.

STRUMENTI che gli stati utilizzano per perseguire i loro obiettivi:


Persuasivi: diplomazia (arte del negoziato, strumento più antico di politica estera), ovvero
strumento pacifico, persuasivo per avanzare i propri obiettivi/scopi con la mediazione. Può essere
bilaterale o multilaterale: grandi potenze preferiscono la bilaterale perché non amano dover avere
a che fare con tanti stati più piccoli e meno importanti, piccoli paesi invece preferiscono la
multilaterale perché così è possibile attanagliare le grandi potenze tramite alleanze tra tanti paesi
piccoli. In alcuni casi è quasi obbligatorio agire tramite consessi multilaterali (es. temi ambientali).
Questo non è legato solo alla potenza nazionale (strumenti determinano gli obiettivi: più strumenti
hai obiettivi più raffinati perseguirai). Henry Kissinger, segretario di Nixon distingue:
8) Modello pragmatico: tipico di democrazie liberali
9) Modello Urss: duro, grezzo, burocratico. I negoziatori erano molto duri e insistenti
10) Modello carismatico-rivoluzionario: Cina di Mao, di Cuba castrista, Iran di Ahmadinejad,
l’obiettivo non è portare a casa un risultato, ma fare propaganda, esportare i propri valori.
Ambasciata: difende interessi politici dello stato negli altri stati
Consolato: difende gli interessi dei cittadini negli altri stati

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È cambiato molto nel corso del tempo: una volta i negoziati riguardavano questioni militari, di
confini e di guerre. Dalla crisi energetica degli anni 70 iniziano a diventare importanti le questioni
economiche (gli stati arabi dell’Opec usano le risorse energetiche per fare pressioni politiche ai
paesi occidentali, idem nel 79 con l’Iran), quindi si comincia anche a trattare di atro. Si iniziano a
fare queste cene in cui si cerca di sistemare i maggiori problemi. Negli anni 90 scoppia la
questione climatica (Thatcher si dice che l’abbia inventata per spezzare i sindacati inglesi). 
ridisegnare figura del diplomatico: una volta non sapeva niente, sapeva bene le lingue e aveva
buone maniere.
Quando una questione non si riesce a risolvere con lo strumento diplomatico si passa a quello
militare  punto debole dell'Unione europea, vedi dissoluzione Jugoslavia
Coercitivi: forza militare può essere utilizzata per costringere qualcuno a NON fare qualcosa, per
prevenire un comportamento spiacevole. Shelling analizza i cambiamenti dell’uso della forza e
afferma che si esistono tre momenti storici che si distinguono in base al concetto del targeting
(come scegliere e bersagliare target):

 Pace di Westfalia-WWI: i civili non sono bersagli, il target è l’esercito dell’altro


schieramento, i civili muoiono solo per danno collaterale (saccheggi, carestie) o per mal
comportamento dei militari
 WWI-WWII: con l'introduzione della tecnologia, aeroplani e nuova strategia:
bombardamenti (strategici) così da distruggere le città. Nuova idea: si può distruggere il
nemico colpendo i suoi centri di potere (città, fabbriche, luoghi di istruzione…)
 Guerra fredda: armi nucleari, usate in funzione di deterrenza, non per cambiare le sorti del
combattimento, ma per evitare che la guerra scoppi. Si passa da politica di coercizione a
politica di deterrenza, che si basa sulla minaccia dello strumento nucleare  Problemi delle
armi nucleari: non tutti possono averle, bisogna avere la capacità di arricchire l’uranio. Però
subentrano due concetti:
o Credibilità: quanto si è credibili nella minaccia nucleare se in realtà si sa che non
verrà utilizzata? Strategia mad-man, potere a un pazzo perché solo lui può fare
queste cose pazze O strategia del non poter scegliere (se un paese non ha gli
arsenali, ma l'altro si, allora esso non può attaccare, altrimenti verrebbe schiacciato
dal migliore armamento dell’altro)
o Stabilità: le armi non bastano per mantenere una situazione di deterrenza, serve un
nemico all'altezza, con un grande arsenale nucleare perché solo con la minaccia
dell’attacco altrui lo stato è portato a non agire.
Due teorie circa la situazione attuale:
 Politica internazionale non è più quella di un tempo perché l’introduzione delle armi nucleari
ha reso impossibile il conflitto bellico classico.
 Non c’è rivoluzione nucleare, ma c’è il paradosso della stabilità-instabilità: se due paesi
hanno entrambi delle armi nucleari, allora combattono con strumenti convenzionali. Se
invece una ha l’arsenale e l’altro no, quello senza eviterà di far scoppiare un conflitto.
Tipi di conflitti internazionali:
 Guerra interstatale: scontro militare tra almeno due unità politiche indipendenti (città-stato,
stati-nazione, imperi), con almeno 1000 vittime derivanti dai combattimenti, per un periodo
di 12 mesi  in crescita esponenziale
 Guerra extra-statale: scontro militare tra uno stato e un attore non-statale, quasi del tutto
scomparse perché erano le guerre coloniali (ultime in Angola e Mozambico negli anni 70,
ex colonie portoghesi)

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 Guerra intra-statale: guerre tra due o più gruppi all'interno del territorio dello stato.
Includono guerre civili (che coinvolgono il governo statale e un attore non statale) e conflitti
intercomunali (che coinvolgono due o più gruppi, comunità, nessuno dei quali è il governo)
 Guerra internazionalizzata: guerra intra-statale con la partecipazione di un attore esterno
 quasi tutti i conflitti di oggi: Syria (governo damasco+Russia vs ribelli+Usa+Turchia…),
Jugoslavia, Yemen.
Esplose dopo la guerra fredda perché è esploso il numero di failes states in cui
scoppiavano guerre civili (i civili rimangono le vittime maggiori). Durante guerra fredda i
micronazionalismi venivano governati perché le grandi potenze avevano paura che un
piccolo conflitto provocasse un grande conflitto catalitico. Dopo fine guerra fredda questo
bisogno non c’era più, quindi si è lasciato che alcuni stati andassero in fallimento,
scoppiassero guerre civili: qui terreno per i gruppi terroristici (Afgnanistan con Al-Qaida,
Syria con Isis).

Strumenti persuasivi/coercitivi: economia. Può essere usata sia per piegare e ricattare un
paese (blocchi commerciali, embargo), sia per aiutare, stimolare e favorire lo sviluppo di un paese.
Problema di sanzioni economiche: non funzionano, esempio è Cuba: per 50 anni è stata soggetta
a dei blocchi a cui è sopravvissuta nonostante fosse molto piccola e povera. Infatti, se l’obiettivo è
far cambiare il regime, il governo, la politica di un paese, i blocchi non hanno mai funzionato (Iraq,
Cuba…) poiché la popolazione anziché rivoltarsi contro il regime interno, si rivolta contro l’attore
esterno che pone le sanzioni economiche (il malcontento dato dalla mancanza di beni primari non
porta i cittadini a rovesciare il governo, ma ad unirsi dietro ad esso contro i sanzionatori). 
Zimmern: nemico esterno produce avvicinamento interno, coesione

Inoltre, le sanzioni per funzionare devono essere rispettate dalla maggior parte dei paesi. Ma non
si riesce mai a mettere delle sanzioni così forti da impedire ad uno stato di organizzare scambi
commerciali con quel paese.
11) Germania, la Siemens ha fornito contribuito alla formazione di centrali nucleari a Iran
12) Sanzioni contro Corea del Nord, ma Cina non aderisce
Le sanzioni vengono fatte per far vedere che lo stato sta facendo qualcosa, sono una
dimostrazione per opinione pubblica. Oggi blocchi finanziari, si colpiscono le élite.

Strumenti persuasivi: soft power  Joseph Nye: Un paese può raggiungere i propri intenti in
politica internazionale perché gli altri stati vogliono seguirlo, stimandone i valori, emulandone il
comportamento e aspirando ai suoi livelli di prosperità e apertura. In questo senso, è tanto
importante stabilire le priorità in politica internazionale e attrarre gli altri, quanto forzarli a cambiare
con minacce o con l’impiego di armi militari ed economiche. Questo aspetto del potere, indurre gli
altri a volere ciò che tu vuoi, è ciò che definisco soft power.
= uno stato è disposto ad accettare il modello di un altro paese perché è allettante, è un esempio
da guardare con ammirazione ed emulare. Per fare ciò è necessario avere un modello culturale
attraente.

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Parte più analitica: non più indagare cosa fanno gli stati, ma perché essi fanno quello che fanno.
Relazioni Internazionali sono scienza esplicativa che tenta di spiegare i fenomeni internazionali
mettendo in luce diverse variabili (variabile dipendente: ciò che vogliamo spiegare // variabile
indipendente: ciò che ipotizziamo possa spiegare il fatto). Essa funziona tramite teorie, spiegazioni
che vengono elaborate per dare senso a ciò che accade. A seconda della tradizione di ricerca di
riferimento, si pone l’accento su variabili esplicative diverse:
13) Realismo: potere, distribuzione e cambiamento nel tempo. Non importa la forma di stato o
di governo, ma conta il potere poiché gli obiettivi sono una funzioni del livello di potere che
uno stato ha, quindi più cresce il potere, più crescono gli obiettivi, indipendentemente
dall’essere una demo o uno stato autoritario.
14) Liberali: indipendenza economica e tipo di regime politico (teoria della pace demo)
Nella spiegazione dei fenomeni verrà applicato un metodo che prevede diversi livelli di analisi,
guardando a diversi fattori che incidono sui fenomeni:
1. Singola persona che prende decisioni di politica estera  livello individuale
2. Fattori e caratteristiche di stato e società che prende queste decisioni  livello statale
3. Struttura stessa del sistema internazionale  livello internazionale
Kenneth Waltz fu il primo a fare questa divisione nel libro Man, the state and war, in cui riassume
le varie teorie legate alla guerra per spiegarla. = Waltz elabora una teoria sistemica
 Alcune teorie spiegano la guerra in base alle caratteristiche delle singole persone 
Hobbes, uomini che bramano potere e si scontrano con altre persone simili.
 Altre pensano siano il risultato di dinamiche messe in moto dalle caratteristiche degli stati,
delle singole società  marxismo: guerra è risultato del capitalismo, che spinge gli stati a
ricercare altri mercati e quando queste ricerche si scontrano scoppiano le guerre
(imperialismo fase suprema del capitalismo) // Schumpeter: le dinamiche sociopolitiche
fanno scoppiare le guerre (imperialismo è atavismo, è residuo del passato).
 Waltz introduce un terzo livello di analisi (sua preferita) che riguarda la struttura del sistema
internazionale, l’anarchia. Essa porta gli stati a perseguire politiche di autodifesa (armarsi),
le quali vengono travisate dagli altri stati poiché non sanno se l’intenzione di tale riarmo sia
difensiva o di attacco, quindi inizia una corsa agli armamenti che, aumentata da dinamiche
di sfiducia reciproca, può portare anche alla guerra.
Da questo libro è rimasta la tripartizione del livello di analisi che ha dato forma allo studio della
disciplina in generale. Nel tempo altri autori hanno rivisto questa tripartizione: David Singer
all’inizio degli anni Sessanta l’ha divisa in due perché secondo lui i primi due livelli erano
accorpabili, mentre Bruce Russet l’ha divisa in sei parti, scomponendo ogni livello in due.

LIVELLO DI ANALISI INDIVIDUALE: Chi sono i leader, le loro caratteristiche, i loro sistemi di
credenze, come percepiscono l’ambiente che li circonda e come reagiscono a questo.
LIVELLO DI ANALISI STATALE:
1. parte sulle istituzioni politiche, come funziona il processo di governo: processo decisionale,
rapporto legislativo-esecutivo, forma del regime pol
2. parte sulla società nel complesso: ruolo svolto dai valori culturali, problema del ciclo
elettorale, dell’opinione pubblica e ruolo dei gruppi di interesse (soprattutto in teoria lib)
LIVELLO DI ANALISI INTERNAZIONALE: anarchia (realismo), interdipendenza economica
(liberalismo) e norme internazionali (costruttivismo).

In generale, l’approccio sincretico risulta il migliore poiché unisce diverse interpretazioni per dare
una spiegazione ad uno stesso fatto. Infatti, le spiegazioni non sono alternative tra loro, anzi
spesso di completano a vicenda.
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LIVELLO DI ANALISI INDIVIDUALE: spiegazioni di poli int che si focalizzano sul ruolo svolto dai
singoli decision makers e dalle loro caratteristiche, idiosincrasie, paranoie e ambizioni.
Snider: lo stato è una funzione giuridica, sono i governanti che agiscono per conto dello stato.
15) non sono gli Usa a decidere di entrare in WWI, è Roosevelt che decide di farlo
16) non è la Germania che invade la Polonia, ma Hitler e il suo governo.
17) Truman diventa presidente nel 45 alla morte di Roosevelt senza avere una reale opinione
di politica internazionale, del ruolo Usa nella pol int, quindi si basa molto sulla burocrazia
del dipartimento di stato. Secondo May, storico diplomatico di RI, questo ha avuto
conseguenze importanti perché la burocrazia aveva una visione molto più dura circa l’Urss
di quanto ne avesse Roosevelt. Quindi, una cosa naturale come la morte di Roosevelt ha
contribuito ad un irrigidimento della politica internazionale.
18) Gorbačëv: rivoluziona la politica estera sovietica, è lui a rendersi conto che l’Urss ha
bisogno di un cambiamento perché non regge più il confronto (economico) con gli Usa.

Lo studio delle RI si è focalizzato su alcuni aspetti e caratteristiche dei decisori: (psicologia politica)
 Sistemi di credenze e percezioni  Jervis
 Generazioni, lezioni della storia e scelte politiche
 Dinamiche psicologiche e di gruppo: molti fallimenti in politica int possono essere spiegati
attraverso le dinamiche decisionali dei gruppi che devono prendere decisioni politiche 
Jervis: ha studiato casi famosi di successi e fallimenti di pol int in cui cerca di spiegare
come gruppo di persone assegnate, razionali, intelligenti e preparate hanno preso decisioni
così disastrose (Baia dei Porci, Pearl Harbor, Vietnam).
Ci sono due diverse origini di questo tipi di studi:
1. Robert Jervis: per dare spiegazione ai fenomeni di politica internazionale trae ispirazione
dalle teorie cognitive della psicologia sociale in Perception and Misperception in
International Politics (1976).
Parte dal presupposto che ognuno ha dei radicati sistemi di credenze che funzionano come filtri
attraverso i quali le persone vedono e interpretano il mondo e prendono decisioni. Essi sono molto
difficili da modificare poiché sono la chiave di lettura attraverso cui una persona affronta il mondo.
Quindi quando si riceve delle informazioni che sono in contrasto con le proprie credenze, si tende
a trascurarle, travisarne il senso o manipolarle per mantenere in equilibrio il proprio sistema di
credenze. Essi si basano su bias motivati (che servono ad uno scopo) e immotivati (di origine
cognitiva) e servono per capire le decisioni prese dai decision makers, in particolare quelle che
altrimenti sarebbero incomprensibili tenendo conto solo degli altri livelli di analisi (statale e int).
I decision makers sono dei “cognitive miser” (avari cognitivi) che non si sforzano di cercare:
 Coerenza tra fonte e messaggio: si evita di cercare la verità, di verificare le informazioni,
perché queste sono azioni time-consuming e perché la quantità di info è tale da rendere
impossibile un’analisi accurata di tutto. Per questo essi cercano delle spiegazioni-
scorciatoie a fatti complessi: interpretare le informazioni in base alla considerazione che si
ha della fonte che ha procurato l’informazione.
 Coerenza tra valutazione complessiva di un attore e sue singole azioni: una stessa azione
compiuta da persone o da stati diversi assume un significato diverso (arsenale nucleare
creato da Corea del Nord vs da Francia)  se l’azione è compiuta da qualcuno che
reputiamo “amico” ci comportiamo in un modo, se invece non lo percepiamo come tale il
nostro comportamento nei confronti della stessa azione cambia
 Saddam Hussein per moltissime volte ha smentito di avere armi di distruzione di massa, ma poi
le ha usate contro i suoi stessi cittadini. Quindi è razionale che Bush non gli abbia creduto quando
nel 2003 ha affermato di non averne. C’è il rapporto Blix che afferma che nel 2003 l’Iraq non
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possedeva armi di distruzione di massa, nonostante se un tempo avesse fatto dei tentativi riarmo
nucleare. Ma questo rapporto non viene tenuto in considerazione dai decisori Usa perché Blix era
uno studioso socialista che aveva più volte criticato le scelte politiche statunitensi. = Usa era
convinta della malafede di Saddam Hussein, quindi indipendentemente dalle prove trovate la
campagna in Iraq sarebbe andata avanti.
 Negli anni 50 Usa non ascolta ultimatum cinese in Corea e il diplomatico che avverte di questo
ultimatum non viene ascoltato perché marxista, quindi ritenuto filocinese.
 11 settembre: le informazioni sono arrivate ai servizi di intelligence usa (gruppo di arabi che
prendevano lezioni di volo in cui volevano solo imparare a dirottare un aereo), ma erano delle info
molto singolari e sconnesse fra loro, che non risaltavano all’occhio dei membri dell’intelligence.

Importante attenzione va posta anche sulla personalità dei leader:


 “Illusioni positive”: visione ottimistica del mondo e della storia
 processo decisionale usa nella decisione di entrare in Iraq ne 2003
 WWI, convinzione che la guerra sarebbe stata breve e che il proprio paese avrebbe
vinto (Sleepwalkers - Christopher Clark)
 Propensione al rischio
È importante conoscere i sistemi di credenze dei decision makers, ma in un sistema composto da
checks and balances vi sono vincoli che limitano l’operato del singolo, mentre in un regime
autoritario-dittatoriale la singola persona ha molto più potere. Dove il potere è centralizzato e il
controllo delle altre istituzioni e dei gruppi di interesse è più basso allora è molto più determinante il
sistema di credenze e la personalità del singolo leader.

2. Tradizione che fa capo agli operational code, con particolare riferimento ai sistemi politici
chiusi, in cui il mindset e la visione del mondo dei leader è determinante nelle scelte.
Operational code - Alexander George (studioso di cremlinologia, metodo di studio per spiegare
le scelte di politica internazionale di un paese chiuso, autoritario, di cui non si hanno molte
informazioni. Oggi esiste pechinologia). Egli riprende uno studio fatto alla fine degli anni 50 da
Nathan Leites (sovietologo) che indagava l’operational code (sistemi di credenze e di pensiero) dei
leader sovietici per capire il comportamento internazionale sovietico. George parte da questa
analisi per dare forma a questo schema, in cui individua due gruppi di credenze:
 Filosofiche: riguardo l’idea, l’immagine che il leader ha della pol int  conflittuale (politica
as gioco a somma zero, politica schmittiana, Mao: il potere nasce dalla canna del fucile) vs
cooperativa (politici italiani)
 Strumentali: riguardo le preferenze strategiche da utilizzare per risolvere i conflitti 
preferenza per strumenti coercitivi (militari) o strumenti cooperativi (diplomatici)

Immagini della politica conflittuali Immagini della politica


cooperativa
Preferenze strumentali Leadership assertiva-revisionista Leadership assertiva-status quo
conflittuali  Hitler: cambiare il mondo  Reagan, politica è migliorabile,
tramite lo strumento militare non porta sempre agli stessi
errori
Preferenze strumentali Leadership moderata-revisionista Leadership moderata-status quo
cooperative  tutti leader italiani, Carter,
Gorbačëv (cambia il suo sistema
di credenze circa pol int,
abbandona dottrina Breznev)

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Questo schema oggi viene ripreso da moltissimi autori (talvolta veri e propri gruppi di ricerca) per
analizzare i diversi leader di uno stesso paese che si susseguono nel tempo e per fare confronti tra
i diversi leaders believes system.  VICS (verbs in context system), piattaforma che analizza il
comportamento di un leader basandosi su un discorso di pol estera di minimo 1500 parole. A
questo articolo associa dei valori numerici che indicano la collocazione del leader nella tabella di
cui sopra.

Stili di leadership – Margareth Hermann (meno diffuso del primo)


Lei appartiene al CREON (comparative research on the events of nations): software a distanza per
analizzare i comportamenti dei leader politici e poterne spiegare il comportamento internazionale,
così anche da poterlo anticipare. Metodo a distanza che ricava dai discorsi pubblici i profili dei
leader considerando variabili diverse:
 Sensibilità a vincoli politici: quanto un leader sente di avere dei vincoli istituzionali e
costituzionali che limitano la sua sfera di azione  se si sente regime builder (che può
cambiare politica internaz con il suo comportamento) o regime manager
 Apertura verso le informazioni: quanto un leader è pronto a modificare il proprio
comportamento quando arrivano loro informazioni nuove che potrebbero cambiare il loro
pov  info vengono usate in modo strumentale, per rafforzare la propria posizione o per
cercare la verità
Alta apertura verso le Bassa apertura verso le
informazioni informazioni
Alta sensibilità ai vincoli politici Leadership opportunistica Leadership pragmatica
(Milosevic) (Kathami, Rohuani)
Bassa sensibilità ai vincoli Leadership strategica (Putin, Leadership crociata (Bush Jr,
politici Kim Jong-Un) Ahmadinejad, Castro)  chi
vuole espandere i propri
valori, idee, preferenze e non
si ferma davanti a niente

NB: manca variabile riguardo il potere  leader interessati all’espansione del potere o dei valori.

Ma da dove arrivano questi operational code? Carl Heim, sociologo tedesco mette in luce l’impatto
della generazione di appartenenza: persone di generazioni diverse tendono a vedere in maniera
diversa il mondo che li circonda. Secondo la psicologia sociale aver vissuto delle esperienze
traumatiche (soprattutto in età adolescenziale poiché è qui che si formano idee) determina
fortemente l’opinione di una persona in quel determinato ambito.
Robert Jervis ha applicato questo assunto alla pol int: a seconda della generazione in cui cresce
un leader, egli avrà un’opinione diversa della politica internazionale.
 Bush padre: appartiene a generazione di WWII, ha lavorato in Cina e come vicepresidente
con Reagan. Si è formato nella lotta al totalitarismo (prima Hitler, poi Stalin), quindi ha una
visione altamente conflittualista della politica, in cui non si vede concedere troppo al
dittatore.
 Bush figlio: generazione post guerra fredda
John Vasquez: analizza i cicli della pol int ame e trova cicli internazionalisti e isolazionisti 
andamento ciclico che corrisponde all’alternarsi di leader diversi che sono vissuti in generazione
diverse = hanno interiorizzato esperienze diverse e quando sono arrivati al potere hanno agito in
base a questa visione del mondo.
Si può dire quindi che ogni generazione impara dalla propria esperienza personale.
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Lezioni della storia (e uso di analogie):
 WWI: To appease is better than to deter  WWI è stata scatenata da un insieme di fattori
complicati, essere così duri a volte è controproducente, dare dei contentini a volte è meglio
che scatenare grosse crisi internazionali
 Monaco (1938): To deter is better than to appease  con i dittatori bisogna essere duri
perché essi capiscono solo la logica conflittuale della lotta (leader formatisi durante wwii
applicano questo approccio contro i leader sovietici in guerra fredda)
 Vietnam: Non si combatte senza il sostegno della propria opinione pubblica, bisogna avere
un chiaro e definito obiettivo strategico e politico, non ci devono essere vincoli politici
all’uso dello strumento militare  in prima guerra del golfo (1991, prima grande guerra in
cui usa è coinvolta dopo Vietnam) pesa tantissimo l’obiettivo strategico, Bush si mobilita
tantissimo per creare sostegno nell’opinione pubblica e l’obiettivo è liberare il Kuwait, senza
addentrarsi in Iraq e rovesciare Saddam Hussein.
Per capire perché un gruppo di leader sviluppa un determinato operational code, bisogna guardare
alla generazione di appartenenza.  Clinton è il primo dei leader a non aver fatto la WWII, quindi
ha un approccio diverso alla poli nt.
Ma è possibile fornire una spiegazione alternativa dei sistemi di credenze: GENDER GAP  non
solo generazioni diverse influenzano il modo di guardare alla politica inter, ma anche il genere
pone esperienze diverse.  fattori biologici, sociologici

Gruppo di studi che si rifanno agli aspetti emotivi: decision makers sono persone in carne ed
ossa che si assumono la responsabilità decisionale su temi che comportano importanti stress
emotivi, crisi nervose, ecc.
Irvin Janis: psicologo che si occupava degli aspetti psicologici dei processi decisionali si chiese
come è possibile che persone razionali e intelligenti che si trovano a gestire situazioni di politica
estera complesse e che decidono insieme prendano decisioni che da soli non avrebbero mai
preso. Vuole smontare idea diffusa del fatto che le decisioni del singolo sono peggiori delle
decisioni prese in gruppo. In politica estera le decisioni vengono prese quasi sempre in gruppo e
spesso queste decisioni si rivelano dei fischi: Baia dei Porci, Pearl Harbour, 11/09, Vietnam…
Il singolo individuo ha delle immagini stereotipate, un ferreo sistema di credenze, quindi in linea
teorica dovrebbe prendere delle decisioni terribili. Invece è il gruppo a prendere cattive decisioni
poiché il gruppo deresponsabilizza le persone e annulla l’io del singolo individuo, quindi è anche
più probabile ricorrere all’uso della forza. Quando occorre prendere delle decisioni in tempi di crisi
(poco tempo per decidere, minaccia forte ai valori centrali della propria società e rischio di guerra)
le decisioni vengono prese dai leader e dalla loro stretta cerchia di consiglieri. Questi piccoli gruppi
molto coesi creano un forte sentimento di auto-conformismo e autocensura (piuttosto che mettere
in discussione l’unità del gruppo o la propria presenza all’interno del gruppo ci si autocensura).
Per studiare le decisioni prese in politica estera egli si rifà a degli studi circa il conformismo sociale.
 Serie di esperimenti per misurare la pressione sociale sul conformismo: veniva chiesto a degli
studenti di mostrare due linee di lunghezza leggermente diversa e veniva chiesto loro quale fosse
la più lunga. Al gruppo di controllo veniva detto di indicare la linea sbagliata, così da vedere come
si comportava il gruppo sperimentale. Questi infatti, vedendo che la maggior parte delle persone
indicava la linea sbagliata, modificava la propria risposta e indicava quella sbagliata.  La
pressione del gruppo può essere talmente forte da accettare anche ciò che non è vero.
Quando si entra in un gruppo, si viene accettati da esso, ci si indentifica con esso, ci si conforma
alle sue dinamiche e al modo di rappresentare la realtà e quando si hanno dei dubbi/delle idee
diverse si tende a trascurarle per non minare l’equilibrio del gruppo stesso.
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Applicando questo alla politica estera, Janis ha coniato il termine “groupthink” che rimanda al
fatto che quando un gruppo coeso deve prendere una decisione subordina il pensiero critico
all’unità del gruppo. È una sindrome: serie di sintomi che portano una serie di conseguenze. Pur di
raggiungere una decisione consensuale tendiamo a sopprimere le differenze, ad auto-censurarci,
ad emarginare chi la pensa diversamente, ad innescare degli elogi verso ciò che riguarda il gruppo
e rifiutare tutto ciò che non riguarda il gruppo. Sono tutte dinamiche che non hanno nulla a che
vedere con la razionalità, ma solo con l’emotività. Pur di mantenere una facciata, l’unanimità, il
consenso si sottovalutano i rischi, il range di scelte.

Cause antecedenti: serie di fattori, di atteggiamenti mentali che portano ad una valutazione non
critica delle situazioni, delle valutazioni e delle possibilità.
 Coesione di gruppo: più un gruppo viene dallo stesso ambiente sociale, più è possibile
che si manifestano dinamiche di groupthink perché condividono gli stessi interessi e valori
 spesso le decisioni di politica estera vengono prese da personaggi che hanno percorso
delle tappe simili per arrivare a quella posizione.
 Isolamento del gruppo: meno ha input dall’esterno, più si autoconvince della giustezza
delle proprie posizione, più sono impermeabili a previsioni, opzioni e valutazioni alternative
 Mancanza di leadership neutrale: il gruppo si comporta in maniera diversa se c’è un
leader che ha già in mente cosa fare e non lascia lavorare il gruppo
 Bush dopo 11/09 riunisce il Gabinetto pensando solo a cosa fare in Iraq (nonostante non
c’entri nulla) = aveva già deciso di andare in Iraq.
Idem Johnson in Vietnam, decisione già presa per motivazioni di politica interna.
 leadership neutrale: Kennedy che non sa come reagire a posizionamento dei missili a
Cuba e per non interferire nelle decisioni del gruppo di esperti egli non prende parte alle
riunioni, non vuole condizionare con le sue idee la libertà di espressione, di confronto e di
valutazione del gruppo, così da permettere al gruppo di esperti di prendere la decisione
migliore possibile in risposta alla minaccia sovietica.
 Mancanza di procedure per la raccolta metodica delle informazioni: se un gruppo ha
una routine più ferrea riguardo la raccolta di informazioni, è più difficile che certe
informazioni vengano ignorate.
 Omogeneità sociale e ideologica dei membri del gruppo
 Trade-off e stress decisionale: tanto più il trade off è alto (c’è da perdere, da rischiare, da
sacrificare qualcos’altro), tanto più la decisione produce uno stress emotivo.  leader
politici incontrano moltissime decisioni così, in cui bisogna sacrificare qualcosa per avere
qualcos’altro
 crisi dei missili: non rispondere a minaccia sovietica o rischiare guerra nucleare.
Concurrence seeking: variabile interveniente che fa scattare il tutto. Letteralmente “ricerca di
unanimità, di consenso”, ovvero caratteristica psicologica delle persone che porta ad evitare di
prendere delle decisioni che possono creare delle divisioni del gruppo. Quindi essa porta a
focalizzarsi di più nel prendere decisioni in modo consensuale, nel modo più simile all’unanimità
possibile. = come razionalità e criticità vengano meno in gruppo.
Sintomi: in quella situazione si è manifestato il fenomeno del groupthink
 Sensazione di invulnerabilità: idea che tutto andrà bene e che il proprio desiderio
diventerà realtà, scambiare intenzioni per realtà
 Credenze sulla moralità intrinseca del gruppo: credere di essere nel giusto, mentre la
parte opposta è nel torto  divisione ingroup (con solo aspetti positivi) – outgroup (con solo
aspetti negativi)
 Processi di razionalizzazione collettiva: quando una decisione viene presa per un
motivo, ma poi ci si inventa nuove motivazioni per giustificare l’azione

19
 Bush aveva già deciso di andare in Iraq, poi viene usata la carta delle armi di distruzione
di massa (ma era solo cosa da spendere per guadagnare consenso dell’opinione pubblica)
 Immagini stereotipate del nemico
 Autocensura delle posizioni devianti: avere un’opinione che differisce da quella più
diffusa nel gruppo e decidere di autocensurarsi perché si sa che si potrebbe minare l’unità
e la coesione del gruppo
 Illusione di unanimità
 Pressioni sui membri dissidenti del gruppo: affinché coloro che la pensano
diversamente cambino idea  portarli contro il gruppo stesso, per farli sentire esclusi, per
farli adeguare all’opinione dominante
 Emergere di un “guardiano”: colui che crea mediazione, unione, consenso tra i membri
del gruppo. Secondo psicologia sociale in un gruppo c’è bisogno del leader espressivo (che
tenga l’unitarietà del gruppo, che allenti le tensioni all’interno del gruppo) ma anche di un
leader strumentale (che ha chiari in testa gli obiettivi).

Effetti: prodotti dai sintomi, negativi sul processo decisionale


 Un esame incompleto delle opzioni disponibili: non ci si ferma su tutte le opzioni
possibili, ma si va direttamente a quella preferita
 Un esame incompleto degli obiettivi coinvolti
 Incapacità a riesaminare le opzioni precedentemente scartate
 Ricerca insufficiente delle informazioni: ci si basa sulle informazioni che sostengono la
decisione già presa, non si rischia di minare la coesione del gruppo tramite info nuove.
 Distorsione delle informazioni: informazioni non servono per cercare verità, ma solo per
sostenere la propria decisione
 Incapacità ad elaborare piani di emergenza
Il fatto che si voglia prendere decisioni all’unanimità (chi la pensa diversamente viene emarginato o
si autocensura), il fatto che si è convinti che tutto andrà bene (moralità e vulnerabilità) e il fatto che
il nemico sia stereotipato portano a prendere delle decisioni subottimali, portano il gruppo ad
amplificare i difetti di ognuno, anziché limitarli.
Janis analizza Pearl Harbour, Vietnam, Baia dei Porci, Watergate (fiasco interno) e Crisi dei missili
di Cuba (controesempio perché è stata una decisione vincente poiché frutto di un processo sano),
negli altri casi il processo decisionale è stato viziato.

Dina Badie analizza il gruppo decisionale che ha deciso di invadere l’Iraq. Foto: 21 March 2003,
war council in the Situation Room of the White House (from foreground):
 National Security Advisor - Condoleezza Rice
 CIA Director - George Tenet
 Chief of Staff od the White House - Andy Card
 President - George W. Bush
 Secretary of State - Colin Powell (ministro esteri)
 Secretary of Defense - Donald Rumsfeld
 Chairman of the Joint Chiefs of Staff - Richard Myers (capo di stato Maggiore della difesa)
Bush aveva già deciso di andare in Iraq. Il gruppo era abbastanza coeso, ma c’erano delle opinioni
contrastanti: Powell, capo dipartimento di stato (min esteri) che era consapevole dei rischi che
comportava la guerra in Iraq. Si sapeva che fosse semplice vincere la guerra, ma non si sapeva
cosa sarebbe successo dopo, se la popolazione avrebbe davvero accolto gli occidentali e la
democrazia a braccia aperte. Anzi, la scomparsa di un dittatore sunnita (Hussein), ha aumentato
20
l’influenza sciita iraniana in Iraq, quindi gli Usa hanno perso un importante contraltare alla potenza
iraniana in Medioriente. Inoltre, lo spaccarsi del paese ha offerto terreno fertile per la formazione di
gruppi terroristici in Iraq (che prima non c’erano, anzi venivano perseguitati da Hussein). Altra voce
critica: Tenet, direttore della CIA, che sapeva che non sarebbe stato così semplice.
Nell’analizzare le dinamiche interne al gruppo decisionale, si trova una forte componente di auto-
conformismo/autocensura attorno alle due voci critiche, le quali pur di salvare il proprio potere
decisionale all’interno delle dinamiche di palazzo, si allineano all’opinione principale.
Le due voci contrastanti vengono messe a tacere, quindi vi è illusione di unanimità, vi è illusione di
invulnerabilità e una sottovalutazione dei rischi. In più, il fatto che la guerra sia stata giustificata
come una guerra contro il terrorismo (nonostante non ne avesse niente a che fare) fece in modo
che si aggiungesse la qualità morale alla guerra. Non è stata una guerra al terrorismo, ma
un’invasione dell’Iraq per mano statunitense. La guerra comunque non si spiega solo come
distorsione del processo decisionale, è stata di più: contesto internazionale, guerra al terrorismo, il
fatto che Hussein non era crollato nonostante 10 anni dopo guerra del golfo. Ma è un ottimo
esempio per capire le dinamiche di groupthink.
“La decisione di incorporare l'Iraq nella più ampia missione anti-terrorismo post-9/11 fu influenzata
patologicamente dal groupthink, che causò un cambiamento nella visione di Saddam da semplice
dittatore a minaccia esistenziale per la sicurezza degli Stati Uniti.
Bush ha mostrato chiari elementi di una leadership direttiva subito dopo il 9/11, presentando la sua
opzione preferita prima che il gruppo potesse valutare le prove e articolare un’adeguata risposta
agli attacchi. Insieme, Bush, Cheney e Rumsfeld influenzarono la scelta politica, agendo come
leader promozionali per influenzare gli altri membri del gruppo.
Pressione al conformismo si verificarono nel periodo immediatamente successivo al 9/11 quando
divisioni all'interno del gruppo vennero alla luce. Cheney e gruppi all'interno del Dipartimento della
Difesa coinvolsero attivamente Powell e lo spinsero a conformarsi, portando il Segretario di Stato a
interiorizzare la minaccia di Saddam. Tenet voleva conservare la sua influenza all'interno del
gruppo decisionale e si auto-censurò di fronte alla crescente pressione da parte dei falchi. Mentre i
falchi dell'amministrazione cominciavano a parlare pubblicamente e privatamente dell'Iraq, Powell
e Tenet si conformarono passivamente nonostante le riserve.
Nonostante ampi avvertimenti, l’illusione di invulnerabilità dell'amministrazione impedì una
adeguata analisi dei rischi potenziali, di delineare obiettivi chiari e sviluppare piani di emergenza.
L'incorporazione dell'Iraq nella guerra al terrorismo diede una qualità morale al caso” - D. Badie

Hanno prodotto il contrario di quello che volevano: destabilizzazione dell’area + terra fertile per
terrorismo

Teoria e pratica: leader cinesi e politica estera


Tanto più un paese è caratterizzato da un sistema politico autoritario, centralizzato, tanto maggiore
è l’impatto delle caratteristiche idiosincratiche del singolo policy maker.
 Regime islamico in Iran: vi sono le elezioni tra partiti diverse (Polity four: classifica gli stati
in base a due variabili: democrazia o autocrazia con valori che vanno da 1 a 10). Elezioni
sono libere nella misura in cui sono gradite ai guardiani della rivoluzione, all’ayatollah e ai
gruppi paramilitari.  comunque meno centralizzato della Cina

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In Cina il potere è molto centralizzato, il governo è in mano al politburo, ma ogni leader che è
venuto dopo Mao aveva meno potere di lui = le cose sono completamente cambiate. Storicamente
la Cina ha affrontato momenti di espansione del potere (signori della guerra, crisi dell’impero) e di
centralizzazione del potere (nuova dinastia che rimette ordine al caos). Per questo motivo Mao è
stato visto come un nuovo imperatore rosso, che ha riportato ordine dopo un secolo di disordini.
“Dominio alla corte di Mao” (1949-76), periodo in cui la politica è diretta espressione delle volontà
di Mao. La Rivoluzione culturale è vista come momento di caos prima di nuovo ordine.
Oggi cose molto diverse: ogni 5 anni vi è il congresso del PC e viene nominato un nuovo leader. È
stato stabilito che i politici smettano di lavorare a 68 anni e che possono diventare presidenti per
massimo 2 mandati. Ma Xi Jinping non sembra intenzionato ad andarsene, infatti ha abolito il
doppio mandato per la sua carica.
Le cinque generazioni di leader cinesi: élite politics

Generazioni Principali eventi periodo Leader Figure rappresentative


storici dominante
I generazione Lunga marcia 1949-76 Mao Zedong Zhou Enlai, Liu Shaoqi, Lin
(1934-35) Biao, Deng Xiaoping
II generazione Guerra 1976-92 Deng Xiaoping Hu Yaobang, Zhao Ziyang,
antigiapponese Yao Yilin, Qiao Shi
(1937-45)
III generazione Trasformazione 1992- Jiang Zemin Li Peng, Zhu Rongji, Li
socialista 2002 Lanqing, Li Ruihuan
(1949-58)
IV generazione Rivoluzione 2002- Hu Jintao Wen Jiabao, Zeng
culturale 2012 Qinghong, Wu Bangguo, Li
(1966-76) Changchun
V-VI generazione Riforme 2012- Xi Jinping Li Keqiang, Li Zanshu,
economiche 2022 (?) Wang Yang, Wang Huning,
(1978-) Zhao Leji, Han Zheng

I generazione (1949-76): coloro che sono entrati nel PC al momento della sua fondazione nel
1921 (Mao non è fondatore, arriva comunque subito, nonostante all’inizio non è così influente,
emerge come figura carismatica negli anni 30). Questa generazione si forma nella guerra civile
contro Chiang Kai-Shek: all’inizio perde nelle città (iniziano secondo modello sovietico: rivoluzione
dalle fabbriche e dal proletariato), quindi si spostano nelle campagne e portano avanti la
rivoluzione tramite i contadini  modo cinese di fare la rivoluzione poiché non esistevano
fabbriche e proletariato, ma solo contadini. Per scampare allo sterminio nazionalista, il PCC si
sposta 6mila km a nord: lunga marcia (momento di formazione politica che determina tutta la loro
vita). Qui Mao emerge come leader principale.
Sono dei rivoluzionari di professione che hanno trascorso tutta la loro vita a combattere il nemico:
1920s guerra contro Kuomintang, 1930s guerra contro giapponesi, 1945-49 guerra civile. Nel
maggio 1949 finisce la guerra e il 1 ottobre nasce Repubblica Popolare Cinese. Per questo motivo
essi hanno una concezione altamente conflittualista della politica in generale, quindi anche
della pol internazionale (visione schmittiana).
Ideologia comunista è di per sé fortemente conflittualista. Infatti, Mao nei suoi scritti espone la
versione cinese della dialettica Marxista: essa procede per conflitti, che sono sia tra una stessa
classe (possibile soluzione pacifica) sia tra classi diverse (necessario conflitto). Ci sono conflitti
antagonistici e conflitti _____, conflitti primari (contro Urss) e conflitti secondari (vs Usa). In
generale le relazioni umane sono caratterizzate da conflitto e violenza. Non a caso nell’analisi del
contenuto degli speech di Mao la parola più trovata è “nemico” (di classe, imperialista o altro). Per i
membri di questa generazione, fare politica significa combattere contro qualcuno. Infatti, non
22
manca mai il nemico: forte dimensione ideologica della pol internazionale che funziona con
dinamiche di amico – nemico: si scontrano diverse visioni del mondo e la più forte vince sull’altra.
Mao applicava la sua visione della politica interna alla politica internazionale: come la rivoluzione in
Cina è partita dalle campagne, allo stesso modo dovevano essere i paesi più poveri (i paesi del
terzo mondo) a ribellarsi contro i paesi ricchi (città). In questo modo gli fomentava le rivoluzioni dei
paesi più poveri.
La leadership di Mao era fortemente ideologizzata (leninista): partito visto come strumento di
controllo che doveva guidare il paese verso il socialismo + visione conflittualista di tutti i rapporti
sociali.  Tutto ciò duro fino al 76, quando finì la rivoluzione culturale e morì Mao.

II generazione (1976-92): leader principale Deng Xiaoping. Il processo di socializzazione politica è


plasmato dalla guerra antigiapponese, anch’essi sono rivoluzionari di professione, persone che
molto presto hanno imbracciato le armi e hanno portato avanti una guerra nazionale e una civile.
 non troppa differenza con prima gen: politica è lotta, conflitto (AN).

III generazione – generazione del miracolo economico cinese (1992-2002): leader dominante
è Jiang Zemin, nominato dopo i fatti di piazza Tienanmen. A differenza delle prime generazioni,
questa non si è formata con la guerra, ma negli anni della trasformazione socialista, anni in cui
sono state poste le basi per lo sviluppo economico. Hanno un livello di istruzione superiore perché
non hanno dovuto vivere in clandestinità a causa della guerra. Ma hanno lauree principalmente in
ingegneria, quindi sono una generazione di tecnocrati. Questo, applicato alla pol internazionale
determina un approccio molto più pragmatico e meno ideologico  grazie a questo possibile il
miracolo economico cinese (nel 2001 entra nel WTO, completamente contro l’approccio maoista e
delle prime generazioni).
Sono anni di sovietizzazione della Cina in economia (transizione verso economia industriale, ma
pianificata) e in politica (burocrazia a due pilastri: partito e stato). Non cessa però la minaccia della
sicurezza perché esiste ancora Usa. Anni di grande balzo in avanti, svolta socialista e
accelerazione della produzione industriale, ma è fallimento che porta a più grande carestia della
storia cinese.
Problema è la successione dei leader: si rischia che non venga riconosciuto o che venga fatto fuori
da altre persone. Quindi, Zemin introduce la regola dei 68 anni e dei 2 mandati al potere. In realtà
lui stesso cerca di rimanere oltre i due mandati.

IV generazione (2002-2012): leader Hu Jintao, parte delle ex guardie rosse (studenti che hanno
partecipato alle rivoluzioni culturali e poi sono stati mandati in campagne per successiva
rieducazione, passaggio da ideologia a non-ideologia). Generazione di tecnocrati, ma ancora
meglio istruiti poiché alcuni studiano anche all’estero. Sono molto pragmatici e pongono
l’economia prima della sicurezza  simili alla terza gen.

V generazione (2012-2022): leader Xi Jinping, primo ministro Li Keqiang (appartengono a diverse


fazioni politiche). Si sono formati negli anni delle riforme economiche, non sono più tecnocrati, ma
economisti e giuristi. Secondo alcuni, data la maggiore rilevanza della cultura giuridica nella
formazione di questi leader, la Cina dovrebbe avere una maggiore sensibilità verso lo stato di
diritto  Xi Jinping è stato più duro di Hu Jintao nella repressione del dissenso interno e in poli nt
c’è stato ritorno verso politica assertiva.

23
LIVELLO DI ANALISI STATALE:
Quello che gli stati fanno non è solo influenzato dalle scelte policymakers, ma anche dalle
caratteristiche stesse dello stato. Verranno analizzate:
1. Caratteristiche proprie delle istituzioni politiche:
o Caratteristiche del processo decisionale: modo in cui vengono prese le decisioni
influenza il contenuto stesso delle decisioni
o Rapporto esecutivo-legislativo: pol estera è prerogativa del governo (ministero
esteri, difesa, militari, intelligence) ma Parlamento non è del tutto secondario, anzi,
esempio principale è ruolo primario del Parlam nel processo di ratifica dei trattati int
o Modo in cui la forma stessa del regime politico influenza il comportamento
internazionale degli stati  teoria della pace democratica (tesi dei liberali e critiche
dei realisti)
2. Caratteristiche della società: cultura strategica, ciclo elettorale e opinione pubblica, gruppi
di interesse

Graham Allison: Tre modelli del processo decisionale per interpretare il modo in cui gli stati
prendono decisioni:
1. Modello dell’attore razionale (dell’homo oeconomicus, della national choice).
Stato è un attore unitario e razionale, che è capace di individuare le diverse opzioni/strategie per
raggiungere un determinato obiettivo e di scegliere la migliore per raggiungere tal fine (con analisi
mezzi-fini)  approccio più utilizzato in scienza politica (nonostante scissione accademica in Usa).
 analizza Crisi dei Missili: quando l’Excom (executive commette for national security) si riunì,
cercò di capire perché Chruščëv, colui che aveva iniziato il processo di distensione dei rapporti,
avesse posizionato i missili a cuba:
 Difesa di Cuba (in risposta all’attacco usa alla baia dei porci dell’anno prima)  ma erano
missili a medio raggio che sarebbero potuti arrivare anche in territorio usa, quindi era più
che una difesa, era una minaccia.
 Invasione di Berlino Ovest  non c’è stata
 Probe: mettere alla prova la capacità di leadership del presidente Kennedy e metterlo in
imbarazzo  ma l’anno prima a Berlino aveva dato una dimostrazione evidente del suo
livello di risolutezza
 Potere missilistico: dopo il lancio dello Sputnik nel 1957, gli Usa pensano di avere un gap
tecnologico, quindi investono in un programma massiccio di riarmo. Si scopre però che
Urss ha pochissimi missili intercontinentali, non ha basi in giro per il mondo: il missil gap
non è da parte Usa, ma da parte Urss. Dato che Chruščëv era impegnato nel
miglioramento del welfare interno, non aveva modo di recuperare questo gap, quindi
avrebbe posizionato gli unici missili che aveva a disposizione (a medio raggio) per colmare
il gap minacciando gli usa senza spendere soldi per nuovi razzi  è unica opzione che
spiega l’azione sovietica in modo razionale, che concilia cognizione di causa, un chiaro
obiettivo strategico e l’azione effettivamente compiuta (anche se negli anni 90 dagli archivi
sovietici si è visto che l’intenzione principale era la prima e che la scelta dei missili era una
scelta obbligata poiché non ve n’erano altri a disposizione).
In base a quest’analisi dell’azione sovietica, gli Usa hanno preso in considerazione varie opzioni
per rispondere all’attacco:
 Invasione dell’isola  troppo rischioso perché sarebbe stato il primo confronto militare tra
usa e urss in un’isola piena di soldati comunisti
 Attacchi aerei chirurgici: attacchi militari mirati alle zone dove vi erano i missili 
impossibile con tecnologia del tempo che non permetteva di prevedere l’entità del colpo e i

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possibili colpi sui civili. Inoltre, non avevano piani di azione disponibili per questo tipo di
attacchi.
 Accordo segreto con Castro: promesse e minacce per trovare una soluzione  soluzioni
diplomatiche avrebbero fatto risultare Kennedy troppo colomba, troppo accondiscendente,
quindi avrebbe potuto perdere le elezioni successive
 Coinvolgere ONU e OSA (organizzazione stati americani)  =
 Blocco navale  scelta perché unica opzione disponibile
Anche nell’analizzare la risposta Usa, si parte dal presupposto che abbia agito in modo unitario e
razionale, scegliendo l’opzione che massimizzasse il risultato. Si cerca un obiettivo che renda
comprensibile quella mossa lì.
 Perché Saddam Hussein ha invaso Kuwait: per ragioni di politica interna perché opinione
pubblica era sfinita da guerra contro Iran e aveva bisogno di un capro espiatorio esterno, perché
voleva avere le mani sul petrolio, perché voleva egemonia sulla regione.
 Perché nel 2006 la Corea del Nord ha testato delle armi nucleari, nonostante sia un paese
molto povero e costantemente sull’orlo della carestia: pazzia di Kim Jong-Un, attacco verso corea
del sud, ragioni di prestigio/potenza tecnologica, risultato di ideologia autarchica lì praticata fino
dagli anni 50, difesa da politiche americane che sono politiche di regime change: hanno capito che
Usa colpiscono i paesi senza testate nucleari che sono nella loro black, li invadono e portano
avanti un cambiamento di regime – così successo in Libano, Siria e Afghanistan).
 Perché Usa hanno sganciato bombe atomiche: per ridurre perdite ame, perché si sapeva che
Giappone non si sarebbe arreso senza invasione territoriale, per lanciare messaggio a Urss
(durante negoziati di Potsdam, in cui vi è irrigidimento di Stalin) sia di minaccia, sia per porsi come
potenza più potente alla quale lasciare maggior spazio di scelta, oppure per finire guerra in
Giappone e allo stesso tempo minacciare Urss.
NB: Indipendentemente dalla grandezza dello stato e dalla forma di governo si pensa che tutti gli
stati agiscano in modo unitario e razionale. È diverso solo il paniere delle opzioni a disposizione.

Critiche di Allison: da studi di sociologia dell’organizzazione, dagli studi sulla burocrazia di


Weber, da studi processi decisionali di Herbert Simon e James March, che evidenziano due grossi
limiti al modello dell’attore razionale:
1. Razionalità è limitata (Simon): le persone che agiscono in nome degli stati non hanno tutte
le informazioni, non sono in grado di analizzare tutte le opzioni realmente disponibili e di
valutare tutte le conseguenze che derivano dall’azione scelta. Le persone in realtà quando
prendono le decisioni non hanno razionalità sinottica, bensì limitata (non hanno un chiaro
obiettivo, non considerano tutte le opzioni e non sanno valutare così bene). Il
comportamento umano non si basa sulla massimizzazione delle utilità, ma sul satisfying
behaviour.
2. Stato non può essere considerato un attore unitario, è insieme di gruppi, persone e
istituzioni che pensano in modo diverso, vedono i problemi in modo diverso e che
preferiscono strategie diverse per raggiungere un determinato fine. Inoltre, essi operano
secondo procedure predefinite (elemento di rigidità). 

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2. Modello del processo organizzativo
Stato come conglomerato di uffici, agenzie e organizzazioni che per poter funzionare seguono
routine organizzative prestabilite. Esso è infatti composto da moltissimi decision makers che hanno
opinioni diverse circa i problemi, le strategie e le soluzioni, per i quali sarebbe impossibile riunirsi di
volta in volta e prendere delle singole decisioni per ogni problema. Per questo sono necessari gli
standard operational codes, procedure operative standard che stabiliscono come i diversi attori
statali si devono comportare in determinate situazioni, senza dover prendere delle decisioni.
Molte decisioni di politica internazionale sono il risultato dell’applicazione molto burocratica di
procedure operative standard, le quali sono molto rigide e in alcune occasioni hanno portato dei
problemi a livello internazionale (se applicati in casi particolari, non compresi dal manuale).
 Crisi dei missili: si è deciso per il blocco navale, ma dove farlo? Robert McNamara (segretario
della difesa) suggerisce di non intercettare le navi in mare aperto, bensì vicino alla costa cubana
così che l’intercettazione avvenga il più tardi possibile e i mediatori abbiano più tempo per trovare
una soluzione diplomatica ed evitare lo scontro diretto. Egli dà questa indicazione al maggiore
della marina, ma l’ammiraglio a capo della nave applica le regole standard previste per i blocchi
navali, le quali prevedono che il blocco avvenga in mare aperto.
 Abbattimento di un aereo di linea iraniano da parte degli USA nel 1983 secondo i protocolli, che
però rischiò di far scattare un’altra guerra (non per stupidità degli attori, ma per l’applicazione di un
codice procedurale inadeguato al caso specifico).
Le decisioni, quando vengono prese, non sono il risultato di una scelta, ma di un output, di un
insieme di decisioni di routine prese dall’organizzazione nel suo insieme.  limite di teorie
cospirazionistiche: partono dal presupposto che le organizzazioni agiscano in modo
completamente razionale, quando in realtà funzionano in modo rigido e non razionale, che nel 90%
dei casi fa funzionare bene l’organizzazione, ma non sempre.

3. Modello della politica governativa: le persone agiscono in modo diverso a seconda del
ruolo che ricoprono (teoria dei ruoli).
 Es: chiudere basi militari. Ogni attore coinvolto in questa decisioni vedrà la questione da
un’angolatura diversa e quindi proporrà una soluzione diversa.
o I militari penseranno al valore militare della base  aspetto militare
o Il dipartimento di stato vedrà l’impegno americano nella difesa di quel paese, il valore
simbolico che viene trasmesso a quello stato  aspetto diplomatico
o OMB (ufficio di bilancio) pensa ai costi  aspetto economico
o I politici hanno interessi a tenere una base per non perdere il consenso delle persone che
vivono nella base, che comprano e spendono.  aspetto politico
Quindi, è necessario trovare una mediazione tra tutte queste posizioni.
Determinanti delle posizioni dei policy makers:
 Interessi organizzativi: Where you stand depends on where you sit - Mais
 Interessi legati alla politica interna
 Interessi personali
Come si arriva a decisione finali? Tramite meccanismi politici, in base al potere e all’influenza
politica degli attori coinvolti nel processo decisionale: chi è più influente riuscirà a far prevalere la
propria posizione. La decisione finale sarà quella della coalizione politica più forte, la quale è data
dalle risorse di potere che i singoli attori hanno, che possono essere delle più svariate (dal
controllo dei mezzi di coercizione, all’influenza personale).

26
 Crisi dei missili: si decide per il blocco non perché sia la scelta più razionale (bloccava solo la
posizione di nuovi missili, non contrastava quelli già posti), ma era sostenuta da persone di cui
Kennedy si fidava di più (influenza personale).
Determinanti dell’influenza degli attori, risorse di potere:
 Autorità formale: ministro degli esteri ha più potere del ministro ai beni culturali nelle
decisioni di politica estera.
 Controllo delle informazioni: la facoltà di raccogliere info è determinante nella scelta finale
perché è in base a queste che il personale competente prenderà delle decisioni.
Raccogliere un determinato tipo di informazioni porta ad un determinato tipo di decisione.
 Controllo sul processo di implementazione, rapporto principal/agent: chi va ad applicare le
decisioni prese può completamente stravolgerne il significato.
 Kennedy voleva avvicinare la costa cubana per avere più tempo, mentre ammiraglio
Anderson applicò la procedura conforme alla prassi che prevede l’attacco in mare aperto.
 tecnocrate esperto vs politico inesperto: non sempre il principal (colui che prende
decisioni) ha davvero più potere dell’agent (colui che dovrebbe applicarle). Quando
l’esperto contesta una decisione dicendo che tecnicamente non si può fare, il politico lo
accetta e lo ascolta, soprattutto se non ha esperienza in materia. Aaron Wildavsky:
implementation – how great expectations in Washington are dashed in Oakland
Politica burocratica: modello che considera le decisioni e le azioni dei governi come esiti politici,
risultati dei giochi politici che avvengono tra un numero di attori diversi, i quali hanno opinioni
diverse circa i problemi e le rispettive soluzioni e godono di risorse ed influenze diverse per
influenzare il processo decisionale.
 Esiti: decisione non è soluzione al problema, ma deriva dal compromesso, dal conflitto e
dalla confusione di funzionari con diversi interessi e diversa influenza
 Politici: decisione emerge da contrattazione tra singoli membri del governo
Comportamento nazionale negli affari internazionali può essere concepito come qualcosa che
emerge da giochi intricati, sottili, simultanei e che si sovrappongono tra giocatori che occupano
posizioni governative (Allison)

Rapporti Esecutivo/Legislativo: importante per capire decisioni e comportamento di uno stato in


politica internazionale.
Per quanto le decisioni di politica estera prese in momenti di crisi spettino più che altro ai membri
dell’esecutivo, ci sono altri attori un po’ fuori dalla cerchia del governo che hanno comunque
un’influenza sulle decisioni. In altre decisioni di politica estera anche il legislativo ha un ruolo
importante: primo tra tutti, ratifica dei trattati internazionali (così diventano parte costitutiva della
legislazione di un paese e questo continua ad aderire a quelle regole nonostante i cambiamenti
nell’esecutivo). Negli Usa esiste anche la War powers act (1973): c’è bisogno di voto formale del
Congresso per mandare le truppe in una guerra (presidente può mandare truppe per un intervento
immediato, ma dopo tot tempo deve chiedere consenso a parlamento).
Robert Putnam: i politici quando prendono decisioni in politica estera giocano su due tavoli –
giochi a due livelli:
1. i rappresentanti nazionali cercano di raggiungere un accordo con la controparte straniera.
2. i negoziatori devono assicurarsi che la decisione internazionale non pregiudichi la propria
posizione di potere interna e venga ratificata dal Parlamento.
Negoziatore guarda sia alla sostanza dell’accordo che sta firmando, sia alle conseguenze interne
che questo può avere nella sua carriera politica (rielezione, sostegno parlamentare). Questo
succede anche negli stati autoritari dove non c’è bisogno dell’approvazione parlamentare /
elettorale  Bueno de Mesquita, politologo usa dice che esiste un selectorate, un gruppo di
27
persone che traggono interesse dal mantenere al potere un dittatore e che volendo potrebbero
rovesciare questo regime (equivalente di maggioranza parlamentare che può rovesciare un
presidente democraticamente eletto).
Egli studia le condizioni che rendono più facile/probabile prendere una decisione che abbia anche
consenso interno:
 Abilità del negoziatore
 Struttura istituzionale del sistema politico: se c’è bisogno di una maggioranza semplice per
ratifica, allora è più semplice prendere una decisione (Senato Ame per ratificare trattati int
deve avere maggioranza di 2/3 – molto difficile)
Win-set: insieme di accordi che ha una buona probabilità di vincere, può essere più o meno ampia
a causa dell’abilità del negoziatore e dalla struttura istituzionale  Usa: tantissimi trattati int che
vengono firmati da Presidente, ma non ratificati dal Congresso.
A seconda del rapporto tra E-P cambia anche la posizione del Paese in politica int:
 UK: PM è capo del partito che ha la maggioranza in parlamento, quindi è molto libero nel
prendere decisioni in politica estera perché ha molto potere sul parlamento.
 Usa: congresso e presidenza vengono eletti in sedi serate, quindi il Pres non ha
facoltà/abilità di poter esercitare effettiva pressione politica sul Parl.
 Fra: il Parlamento non ha alcun ruolo in politica estera, perché il Presidente ha tutto il
potere, Ministro degli esteri ha mero ruolo organizzativo.

Forma del regime politico  Teoria della pace democratica (fine anni 80-inizio 90), proposta
più che altro da studiosi liberali Doyle e Russett.

Assunto di base: i regimi democratici non fanno guerra ad altri regimi democratici. Questo non
significa che siano meno bellicosi (anzi), ma semplicemente che non si attaccano fra di loro.
Questo è confermato dall’evidenza empirica: storicamente è molto difficile trovare casi di guerra tra
due demo. Infatti, dal 1816 (momento di inizio raccolta dati) non ci sono guerre tra paesi
democratici, anche se secondo alcuni dovrebbe essere un’eccezione la guerra del 1812 tra Usa e
Uk in cui Usa cercano di occupare il Canada, ma entrambe non erano delle democrazie così
compiute (se guardiamo i dati di Polity Four).
Teorici liberali individuano due motivazioni a sostegno della tesi:
 Politico-istituzionale: le demo hanno un processo decisionale complesso in cui l’opinione
pubblica conta poiché tramite il meccanismo elettorale può punire i politici per le sue
pessime decisioni e non rieleggerli. Per questo motivo essi sono più restii a prendere
decisioni che potrebbero scontentare l’opinione pubblica (come l’entrare in guerra). Nei casi
in cui decidono di entrare in guerra, è comunque quando sono sicuri di vincere.
 Storico-culturale (Russett): le demo si basano sul fatto che i conflitti interni si risolvono in
modo pacifico, ogni 4/5 anni con elezioni (sostituire bullets con ballots). Democrazia è
metodo per risoluzione pacifica dei conflitti nella società. Questo a livello internazionale
implica meno scontri.  spiegazione più forte
+ Interdipendenza economica: vedi variabili internazionali
 consiglieri di Bill Clinton sostenevano questa teoria, infatti egli puntava ad aumentare il numero
delle democrazie per favorire la pace mondiale. Questa però non ha niente a che vedere con
esportazione di democrazia portata avanti da Bush (neoconservatore).
Richard Rummel: in generale le democrazie sono meno bellicose. Teoria con minore evidenza
empirica (meno casi di conferma) e con delle implicazione di policy molto importanti perché si
parte dal presupposto che non ci siano guerre tra demo.
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Critiche: soprattutto da parte dei realisti
1. Wait and see: non è detto che solo perché fino ad oggi non ci siano stati casi di guerre tra
demo, allora non ci saranno mai. Ci sono demo che sono andate molto vicini allo scontro
diretto (Fra e Uk a fine 1800).
2. Le demo non sono molto numerose, sono limitate, non sono un numero tale da poter
entrare in conflitto.
3. David Gibler porta avanti analisi empirica (da 1946 a 1999) con cui dice che non sono le
democrazie a determinare la pace, ma è la pace a determinare le democrazie. La struttura
democratica sarebbe possibile solo quando due paesi hanno già risolto le dispute territoriali
con i paesi vicini.
Dati mostrano che c’è relazione positiva tra la soluzione delle dispute territoriali e la
creazione di un regime democratico. Coefficienti logistici: probabilità che variazione in un
fattore produca un cambiamento nell’altro fattore, se negativa si riduce la probabilità. Il
rapporto tra demo e guerra è negativo, quindi sembrerebbe confermare che se c’è demo
non c’è guerra. Ma se si divide le democrazie che hanno risolto le proprie dispute territoriali
da quelle che non l’hanno fatto, si vede che il rapporto diventa statisticamente insignificante
(il coefficiente diventa non-significativo).  il fatto che ha raggiunto pace con i propri vicini
rende possibile instaurare una demo e non il contrario. La relazione tra pace e democrazia
è quindi spuria poiché in realtà ciò che conta è il fatto che esiste una variabile antecedente
(la risoluzione delle dispute dei confini) che spiega sia l’insorgenza democratica, sia la
risoluzione dei conflitti.

Rapporto Esecutivo-Legislativo nel caso USA:


Politica estera in generale è dominata dall’esecutivo poiché richiede soluzioni da trovare in breve
termine (il Congresso non avrebbe il tempo necessario per riunirsi) e perché i servizi di intelligence
(che forniscono le informazioni) fanno capo ai membri del governo e non al congresso. Inoltre, la
politica estera solitamente importa poco ai parlamentari poiché non è un tema determinante la
propria rielezione. Nonostante ciò, l’apparato legislativo ha comunque una funzione molto
importante in politica int.
Poteri del Congresso in politica estera:
 Potere legislativo: molti atti di politica estera devono essere trasformati in legge dal
parlamento per diventare esecutivi. ≠ in Usa esistono Executive Agreement: accordi presi
dall’esecutivo che non devono passare per il Congresso.
 Potere finanziario: quasi tutte le azioni di politica estera hanno dei costi da inserire nel
bilancio, il quale viene elaborato dal Presidente (che distribuisce fondi in base a proprio
indirizzo politico e a richieste delle forze armate che giungono tramite il Segretario alla
difesa), ma deve essere autorizzato dal Congresso, possibilmente senza troppi
cambiamenti. Qui giocano un ruolo importanti commissione di autorizzazione e
commissione di stanziamento dei programmi, che possono bloccare/emendare il bilancio. I
capi di queste commissioni sono parlamentari di vecchia data, con un expertise enorme e
con fonti di informazione all’interno dell’esecutivo che permette loro di esercitare un forte
potere. Se senato e camera propongono testo diverso, devono riunire un comitato di
conciliazione per stilare un testo unico.
 protocollo di Kyoto: firmato da Clinton, ma non ratificato dal Parlamento.
 Irangate: amministrazione Reagan ha violato 2 leggi votate dal congresso (dem): quella
che impediva di sostenere la guerriglia in Nicaragua (gruppi di estrema dx che combatteva
regime di estrema sx) poiché il Cong aveva tagliato i fondi all’operazione e quella che
vietava di vendere armi all’Iran. Per questo viene accusato di Impeachment, ma si salva

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dicendo che non ne sapeva niente.  caso in cui Congresso aveva agito per modificare
decisioni di politica estera e esecutivo era limitato da esse.
 alcuni politologi usano il bilancio per spiegare le priorità di un governo: il fatto che fino al
45 la distribuzione dei fondi era 1/3 alla marina, 1/3 alla fanteria e 1/3 all’aeronautica,
mentre dopo il 45 aeronautica 2/3 e la restante parte divisa tra marina e fanteria spiega
l’assegnazione autoritativa dei valori in una società, spiega per cosa vengono spese le
risorse, in cosa si crede, cosa si vorrebbe migliorare o cambiare.
 Potere di conferma: governo nomina i capi delle varie agenzie, i quali devono essere
confermati dal Congresso. John Tower (Rep) doveva essere segretario alla difesa di
Clinton, ma questo non viene confermato dal Congresso (figura sgradita perché troppo
estremista).
 Potere di controllo: commissioni di controllo verificano se l’esecutivo sta rispettando le linee
politiche espresse davanti all’opinione pubblica e controllano in generale l’operato del
governo  qui scoperto Irangate
 «War power act»: no guerre senza consenso del parlamento per evitare che il Pres possa
portare paese in guerra senza il consenso del popolo. Un tempo non era necessario quindi
Usa si trovava in guerra senza mai aver dichiarato guerra.
 Potere di ratifica dei trattati: qualsiasi trattato int deve essere ratificato dal Congresso con
una maggioranza dei 2/3 (Biden non ha questa maggioranza, quindi potrebbe firmare dei
trattati che non verranno poi ratificati al Congresso).
Il modo in cui il Congresso viene ______ in politica estera dipende dal tipo di decisione che deve
essere presa. Il tipo di istituzioni, di arena politica che si attiva per prendere una decisione è
influenzato dalla decisione che deve essere presa.

Politiche strutturali: politica estera di difesa che implica una forte allocazione di risorse, forte
sborso di fondi pubblici (nuovi sistemi di armi, politica commerciale, politica tariffaria…). Politiche
che vanno ad intaccare settori privati che producono queste cose (in Usa sono tutte agenzie
private, mentre in Eu sono quasi sempre nazionali o a capitale principalmente nazionale).
Congresso interviene attraverso le commissioni parlamentari (riunioni chiuse in pubblico) e
avvengono tramite meccanismi di scambio di sostegno (uno approva una cosa e l’altro ne approva
un’altra) e arrivano in aula solo per l’approvazione finale.
Politiche strategiche: definiscono a grandi linee la politica strategica del paese a livello
internazionale (definisce minacce e risposta ad esse - politica del containment). Esse vengono
discusse in aula in grandi dibattiti in cui intervengono le figure più rappresentative dei partiti e il
risultato è basato sulla contrattazione e sul compromesso.
Politiche di crisi: influenza del Parlamento (sia come assemblea sia come singole commissioni) è
molto bassa, poiché avvengono in momenti in cui c’è alto rischio di guerra, minaccia ai valori
centrali di società e poco tempo per decidere  non c’è tempo per includere il congresso (ma
figure chiave tendenzialmente vengono informate, anche se non possono partecipare formalmente
al processo decisionale).

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Negli ultimi 30 anni in Usa c’è stata un’espansione dell’attivismo del Congresso in politica estera a
causa di:
 Guerra fredda: politica estera è diventata parte di vita di cittadino comune.
 Crescente commistione tra agenda domestica e internazionale: questioni che sono a metà
tra i due livelli, che hanno un risvolto sia internazionale sia interno (inquinamento riguarda
tutto il mondo e richiede un’azione generale da parte di tutti gli stati, ma ha importanti effetti
interni riguardo il mercato energetico, del lavoro, il sistema di tassazione…)  interesse dei
parlamentari perché avendo una ricaduta interna diventa un argomento spendibile in
campagna elettorale.
 Errori dell’esecutivo (Paul Amy e ____ Snow): che hanno portato all’intervento del
Congresso per limitare gli errori presi dall’esecutivo  rivalità fra organismi militari,
fallimento dei sistemi di intelligence…
 Crescente competizione intra e inter-partiti: inizialmente i partiti non discutevano di politica
internazionale, dopo Vietnam iniziano ad esserci delle discrepanze, le quali aumentano in
modo sostanziale negli anni 90. Le questioni internazionali ora sono un modo per indebolire
presidente. In ultimi 30 anni c’è crescente iper-politicizzazione delle questioni internazionali.
Non vale più “politics stops at water’s age”.
 Esposizione mediatica

LIVELLO STATALE: ASPETTI CULTURALI E SOCIALI

1) Cultura strategica di un paese e come influenza politica internazionale


2) Opinione pubblica e ciclo elettorale
3) Ruolo dei gruppi di interesse: politica internazionale come traduzione degli interessi dei
gruppi interni

Cultura strategica: sottocategoria della cultura nazionale di un paese. Infatti, ogni stato ha un
proprio sistema di valori dominanti (concetto di cultura nazionale però è stato contestato e criticato
da studiosi dopo WWII perché porta a stereotipizzazione), una propria cultura politica
(atteggiamento di persone vs politica e istituzioni). La cultura strategica è il riflesso di cultura
politica di un paese, anche se è più incentrata sugli aspetti internazionali e sull’élite politica che
prende le decisioni di politica estera. Tre fasi di studio:
Prima generazione: studio di tipo antropologico  antropologia culturale, Ruth Benedict: ricerca
approccio del Giappone alle guerre, poiché si crede che il modo di fare guerre sia legato ai valori
culturali del paese. Cultura giapponese è legata ai valori confuciani, ad una visione gerarchica
della politica, dei rapporti sociali e della politica int, valori spirituali > valori tecnologici e disprezzo
per la morte. Questo in ambito bellico si traduce in assenza di ospedali da campo (il soldato o vive
o muore), in rifiuto totale della resa (combattono finché ci sono soldati vivi) e in un elevatissimo
tasso di perdite che l’opinione pubblica può sopportare.  Il sistema culturale del Giappone
irrigidisce la posizione americana, che opta per la bomba atomica, altrimenti sarebbe stato un
massacro per i soldati americani mettere fine alla guerra in modo tradizionale.
 approccio screditato negli anni 50 perché tende a portare al razzismo. Inoltre, vi è la percezione
che con introduzione delle armi nucleari tutti gli stati si comporteranno in modo analogo poiché
esse impongono una razionalizzazione dei comportamenti.

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Seconda generazione: Game theory: approccio razionale e calcolato, indipendente dalla
nazionalità degli attori, sostenuto da studiosi di economia e di matematica. Esso si impone negli
anni 60, in tempi di teoria della deterrenza, e mette da parte aspetti culturali (importa l’essere
policymaker, non l’essere sovietico, francese, cinese o statunitense).  messo in dubbio da Jack
Snider (realista neoclassico) negli anni 70 reintroduce la componente culturale e conia il concetto
di cultura strategica, in risposta alla dottrina celeste (teoria delle opzioni selettive?). Essa
prevedeva l’utilizzo delle armi nucleari in modo limitato per cambiare le sorti di un combattimento,
quindi non solo per deterrenza (armi nucleari usate solo per evitare che l’avversario usi le sue). I
sostenitori di questa teoria sostenevano che se Usa fa uso limitato di armi nucleari, allora anche
Urss agiranno nello stesso modo. Ma Snider contesta dicendo che questi sono policymakers russi,
persone che sì devono prendere decisioni di politica estera, ma socializzate in una cultura diversa
da quella americana, quindi non ha senso aspettarsi che questi si comportino nello stesso modo.
Snider dimostra che dalla lettura dei testi militari sovietici, il concetto di guerra limitata non esiste,
non c’è neanche distinzione tra armi nucleari e armi tradizionali. Quindi introduce il concetto di
cultura strategica (1977): ogni paese ne ha una che deriva da storia, geografia, dal livello
tecnologico del momento.
Poi viene ripreso da altri autori come Ken Butt che introduce il concetto di etnocentrismo degli
affari militari: errori militari vengono compiuti perché si tende ad inquadrare gli altri in stereotipi.
War fog: per quanto si possano pianificare le operazioni militari, non andranno mai così in realtà
perché ci sono troppe variabili che infieriscono nelle azioni  cultural fog: nebbia culturale per cui
è difficile valutare il comportamento degli altri (non si pensa che questi abbiano un loro approccio).
Colin Drei: studioso che sostiene il national style nell’approccio militare: Usa hanno approccio
industriale (chi più produce, più ha possibilità di vincere perché ha più mezzi per schiacciare
avversario  guerra di attrito, che non sempre funziona) e basato sul tecnological fix (ogni
problema strategico può essere sistemato con innovazioni tecnologiche). Cultura strategica
sarebbe quindi figlia di cultura nazionale (basata su economia, industria e miglioramento continuo).

Terza generazione da svolta costruttivista (anni 90): politica int è influenzata da valori culturali di
un paese (approccio culturale a comportamento statale). Anne Smidel: cultura è cassetta degli
attrezzi da cui le persone traggono gli approcci e i mezzi con cui affrontare qualsiasi cosa, non
contano obiettivi, ma modo con cui approcciare tali obiettivi. Culture diverse avranno diversi
elementi nel repertorio di strumenti utilizzabili: Usa - technological quick fix ≠ Italia - scelte
multilaterali, approccio soft verso questioni militari (interviene solo in peace keeping/ building).
Alastair Iain Johnston (sinologo, studioso di RI che si è occupato principalmente di Cina) in
“cultural realism” ha ripreso il concetto di cultura strategica ricercando le caratteristiche della
cultura strategica cinese (ricerca circa il modo di affrontare problemi di sicurezza nazionale da
tempi antichi a Mao). Per analizzare cultura strategica bisogna individuare 2 aspetti:
 Nucleo della cultura strategica: insieme di credenze che le persone appartenenti a det
cultura hanno circa:
 Visione della guerra (fatto eccezionale e aberrante o ricorrente nella vita degli stati)
 Visione di credenze che si ha degli altri (amici o nemici, alleati o rivali  anarchia)
 Visione dell’utilizzo della forza (legittima, efficace in rapporti internazionali oppure
produce solo cose negative)
Analizzata in cubo di Johnston: se rapporti con stati sono a somma zero o meno, se hanno
rapporti conflittuali o pacifici: idealpolitik (visione della guerra come fatto aberrante, gli altri
visti come amici e visione negativa dell’utilizzo della forza) vs hard realpolitik (parabellum)
 punti estremi, poi i vari paesi vanno posizionati all’interno del cubo.

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 capita che venga confuso con operational code nonostante oc faccia riferimento ad un solo
leader e si concentri più sugli aspetti psicologici, mentre la cultura strategica fa riferimento
all’insieme delle credenze di una nazione (studi di antropologia culturale). Spesso possono essere
sovrapposti: l’insieme degli oc di molti policymakers vengono utilizzati per definire la cultura
strategica di quel paese. Nonostante queste differenze metodologiche essi arrivano alle stesse
conclusioni: il modo in cui le persone vedono gli affari int condiziona il loro modo di approcciarsi ad
essi.
2. Preferenze strategiche, scelte operative ordinate gerarchicamente che derivano dalla
cultura strategica:
 Se un paese ha cultura strategica parabellum avrà queste preferenze strategiche:
1. Uso dello strumento militare in chiave offensiva
2. Uso dello strumento militare in chiave difensiva
3. Uso dello strumento diplomatico
 Cultura strategica improntata su idealpolitik  preferenze strategiche:
1. Strumenti diplomatico-persuasivi (non coercitivi),
2. Uso dello strumento militare in chiave difensiva,
3. Uso dello strumento militare in chiave offensiva.
Un paese può cambiare la propria cultura strategica? Si, i grandi cambiamenti dipendono da esito
della guerra (vittoria-sconfitta) e da opinione diffusa circa la guerra (positiva-negativa, utile-inutile):
se la guerra viene persa e vi è sentimento negativo a riguardo allora avvengono i grandi
cambiamenti in cultura strategica. Solitamente la cultura non cambia, è persistente.
 Italia, Germania e Giappone: paesi che sotto l’impatto di un evento drammatico come la
sconfitta schiacciante di WWII hanno cambiato radicalmente la loro cultura strategica. Da hard
realpolitik sono passati a pacifismo e antimilitarismo: rifiuto della guerra, forze armate con ruolo
secondario e le spese militari contenute.
Critica: cultura strategica ha funzione puramente retorica, è un modo per giustificare il proprio
comportamento o quello dell’altro.  per i costruttivisti no: è intrappolamento retorico perché
persone sono “prigioniere” delle loro parole: il modo in cui viene definita l’identità influenza anche il
modo in cui vengono organizzate le tue operazioni (il fatto di definirsi pacifisti e antimilitaristi ha
delle conseguenze pratiche sul comportamento di questi paesi).
 Nassiriya: attentato nasce dal fatto che era la base meno difesa perché era un’azione di polizia
internazionale atta ad aiutare la popolazione civile. I terroristi hanno colpito l’obiettivo italiano
semplicemente perché era il più semplice. Definirlo intervento di “peace building” (missione di
international policy, non operazione di guerra) ha effetto reale.
Durante guerra fredda sia realisti sia costruttivisti pensavano la stessa cosa circa il comportamento
internazionale di questi stati, anche se dandosi motivazioni diverse. Per i costruttivisti questi paesi
erano poco impegnati militarmente per motivi culturali, mentre per i neorealisti questo
comportamento era dato dal fatto che erano paesi small power sotto la costante protezione Usa.
Dopo fine guerra fredda neorealisti si aspettano cambiamento dato dalla nuova distribuzione del
potere (leader Usa/Urss si indeboliscono e medie potenze riacquistano possibilità di manovra),
mentre i costruttivisti si aspettano stesso comportamento perché da pov culturale non è cambiato
molto  sembrerebbero avere più ragione, ma non del tutto: dopo fine guerra fredda il
coinvolgimento in azioni militari di questi paesi è aumentato e sono aumentate le spese militari,
seppur di poco.

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Opinione pubblica: conta perché i governanti hanno bisogno di essere rieletti.
Gli studi a riguardo sono antichissimi, iniziano dai tempi di Roosevelt: Usa non avrebbe preso delle
misure preventive, pur sapendo l’intenzione giapponese di attaccare Pearl Harbour, per smuovere
OP isolazionista e dare sostegno al movimento internazionalista  non si hanno prove, è
argomentazione creata basandosi sulle conseguenze).
Può influenzare le politiche di un paese in politica int: Usa tra WWI e WWII tenne posizioni
isolazioniste (meglio parlare di nazionalismo) poiché OP pensava che Usa dovesse lasciarsi
coinvolgere da affari internaz solo in caso di questioni importanti con conseguenze dirette
all’interno del paese. = Anche settore di high politics (politica int) opinione pubblica e politica
interna possono svolgere un ruolo significativo.
Due modelli teorici:
 Classico di Almond-Lippmann: in politica estera OP non ha ruolo sostanziale perché il
cittadino medio non ha opinioni strutturate e stabili, non ha adeguate conoscenze e perché
non ha interesse a riguardo in quanto sono questioni che non intaccano direttamente il suo
benessere materiale. Unica eccezione: guerra, ma elemento non più così presente ormai.
Oggi ci sono delle polarizzazioni riguardo alcuni argomenti: euro, guerra in Iraq… ma sono
delle eccezioni! Solo stretta cerchia di opinione pubblica si interessa di politica estera, gran
parte di OP si concentra su argomenti di low politics (interni).
 teoria che ha avuto credito per decenni, anche perché per decenni Rep e Dem
condividevano stesse posizioni di politica estera, ma con Vietnam le cose cambiano: partiti
prendono posizioni diverse e OP è polarizzata (stragrande maggioranza sosteneva guerra,
nonostante manifestazioni vistose di minoranze). Oggi iper-politicizzazione di politica
estera, che è diventato un oggetto da vendere ad OP.  quanto è OP a guidare il dibattuto
politico e quanto sono l’agend setting e i policy makers a guidare l’OP?
Studiosi hanno cercato di capire impatto di OP  Miller: cerca di capire se, come e quanto gli
eletti seguano le promesse fatte nelle singole circoscrizioni elettorali: non c’è grande correlazione
statistica tra orientamento politico della circoscrizione e scelte di politica estera di politici eletti in
quella circoscrizione, corrispondenza è rilevabile empiricamente solo nelle decisioni di politica
interna.  Empiricamente sembrerebbe confermare il modello Almon-Lippman
Benjamin Page, esperto di opinione pubblica, ripetendo l’analisi trova una differenza: non c’è
empiricamente differenza tra modo in cui OP influenza comportamento di policymakers in politiche
pubbliche interne ed estere  questo modello contraddice modello AL.
Thomas Risse (Kappen) studia impatto di OP in politica estera, analizzando il cambiamento delle
scelte politiche fatte in Fra, Germ, Usa e Giappone dopo fine della guerra fredda e trova che in
realtà OP può influenzare scelte di politica estera  variabile interveniente che fa cambiare il
risultato della ricerca: domestic structure, struttura statale e tipo di rapporto tra attori sociali e attori
statali, spiega la capacità dell’OP si impattare sulle scelte internazionali.
o Weak state (Usa): debolezza dello stato verso gli attori sociali, governo è un burattino
controllato dai gruppi di interesse  opinione pubblica riesce a farsi sentire e se vuole può
richiedere (e ottenere) la riduzione delle spese militari = contano più attori sociali
o Strong state (Fra): istituzioni sono impermeabili a richieste della società  OP non conta =
contano più attori politici
o Corporates policy network (Giappo, Germ): stato e attori sociali contrattano in
continuazione le decisioni che devono essere prese in pol estera = contano sia attori
politici, sia attori sociali
Gruppo di studiosi dice che nessuno nega il fatto che le persone solitamente non si interessano di
politica estera, ma quello che influenza OP è l’immagine che il leader ha nel momento in cui agisce
nel piano internazionale (figuraccia = cattiva leadership, buoni risultati = ottimo leader).

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 Carter non viene rieletto a causa di alcuni avvenimenti di politica estera andati male: porta
avanti apertura verso Urss ma poi nel 79 questa invade l’Afghanistan, firma trattato Salt II ma
viene bocciato in Congresso, nel 1979 la rivoluzione khomeinista rovescia lo scia iraniano (alleato
usa), gli studenti sequestrano il personale dell’ambasciata usa, viene organizzata missione di
salvataggio, ma elicotteri si scontrano e cadono. Questi episodi sono irrilevanti da pov interno, ma
vanno a ledere l’immagine di Carter, che risulta un leader debole.  forse se non fosse stato per
questo non sarebbe stato eletto Reagan.
OP non è interessata a quello che fai, ma come lo fai. Non a caso, quando si avvicinano elezioni si
tende a diventare più duri in pol estera, per dare immagine più forte di sé. Questo, se portato
all’estremo, sfocia nella teoria della guerra diversiva: stati fanno guerre non perché c’è disputa
irrisolvibile con mezzi diplomatici, ma perché i policymakers vogliono distrare l’opinione pubblica
dai problemi interni spostando l’attenzione verso un nemico esterno (anche inventato). Questo fa
scattare il meccanismo rally-around-the flag (studiato da psicologi sociali): maggiore è il conflitto
con l’out-group, maggiore è il consenso con l’in-group = più produci un nemico esterno, più riduci il
conflitto interno.
 1969: scontro Cina-Urss su fiumi Ussuri e Amur per agguato iniziale cinese. Era manovra
difensiva cinese per riunire il popolo dato che il paese era sull’orlo di una guerra civile (studenti vs
professori, dipartimenti vs dipartimenti, padri vs figli, partito vs esercito…).
Due guerre diversive i epoca moderna:
 Guerra delle Falkland / Malvinas (1982): in Argentina la giunta militare di colonnelli
(fortemente repressiva) decide di invadere le Falkland per riunire la società che era
fortemente polarizzata e provata da episodi di terrorismo di sx, aizzando una vecchia
argomentazione del nazionalismo argentino (riprendere le Malvinas). Prende questa
decisione pensando che fosse un obiettivo semplice: isola priva di militari e non così
importante per Uk (pensavano Uk non avrebbe reagito). Ma in Uk c’era Margareth Thatcher
(che non si era ancora affermata come la lady di ferro) che stava affrontando uno sciopero
dei minatori lungo 9 mesi, la quale non poteva permettersi di perdere le Falkland. Uk allora
interviene e vince (obv), ci mette più tempo a raggiungere le isole che a vincere la guerra.
 Guerra non combattuta per ragioni, ma per ricompattare OP  cose vanno male e
giunta crolla.
 Guerra di Crimea: Napoleone III la utilizza tentativo espansionistico russo per risolvere
problemi di instabilità politica interna.
Secondo analisi empiriche le crisi internazionali aumentano il consenso: consenso a presidenti
come Bush e Obama esploso in momenti di crisi int. Ma attenzione a non cedere al complottismo
che inverte il rapporto causa-effetto: consenso aumenta come effetto di crisi internazionale, non è
causa di crisi! Bush non ha pilotato attacco alle torri gemelle per avere più consenso!
Ma questo funziona solo tra stati che si trovano già in un contesto di rivalità reciproca, i quali usano
tecniche diversive per livellare l’instabilità interna: all’aumentare della instabilità interna aumenta la
probabilità di conflitto esterno. Questo non succede tra stati che non hanno una storia pregressa di
ostilità reciproca: l’aumentare dell’instabilità interna produce una riduzione della conflittualità
esterna.  tecniche diversive operano solo in ambienti in cui c’è già storie pregresse di ostilità.
Cosa succede ai leader dopo che hanno optato per l’uso della forza? Analisi empirica circa la
probabilità che un politico venga rimosso dal suo incarico dopo una guerra. Si misura quanti mesi i
vari leader sono rimasti in carica dopo i conflitti, così da ricavare coefficiente (che spiega se la prob
aumenta o diminuisce) e hazard rate (spiega la percentuale di rischio):
 Se coefficiente negativo: probabilità di rimozione diminuisce // se positivo: aumenta la
probabilità di essere rimosso.
 Hazard rate: se <1 diminuisce la probabilità (quanto diminuisce la probabilità di rimozione),
se >1 aumenta la probabilità (rimozione del leader è probabile del tot%).
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Qui sono state prese in considerazione due variabili:
 Lunghezza del periodo in cui è stato al potere - anni già al potere per valutare se il potere è
talmente radicato da resistere anche una sconfitta militare. I leader che sono da tanto
tempo al potere tendono a rimanerci nonostante una sconfitta (Saddam Hussein).
 Numero di morti (quanto è sanguinoso un conflitto): intensità del conflitto aumenta
probabilità che un leader venga rimosso
 Esito della guerra: prob di essere rimossi diminuisce se si vince, se si perde aumenta
(soprattutto se leader non è da tanto tempo al potere)  Leader demo tendono ad avere
più prob di essere destituiti se perdono una guerra (conferma teoria pace demo), mentre se
vincono sono più inclini a rimanere al potere (eccezione Bush).
Quanto più una guerra è lunga, inconcludente e produce molte vittime, tanto più essa ha un effetto
negativo in OP e nella carriera politica di un leader.

Gruppi di interesse: si mobilitano per portare avanti le loro preferenze.

Per la teoria liberale la politica int non è altro che l’aggregazione delle preferenze dei gruppi di
interesse presenti nella società. Lo stato è solo un meccanismo che permette di trasformare gli
interessi della classe economicamente dominante in politiche pubbliche (ma ci sono anche altri
gruppi di interesse importanti – sindacati).  tra le due guerre mondiali Usa è incapace di
elaborare una teoria economica coerente perché non c’è coalizione dominante tra i vari gruppi di
interesse. Dopo WWII prevale l’establishment dell’East Coast, basato su banche e aperto a
mercato internazionale (ha interessi a livello internaz), quindi fa pressione sull’arena politica
affinché venga promossa e perseguita una politica economica coerente ai loro interessi.
Ci sono due grandi visioni circa come la società si è articolata in gruppi di interessi:
1. Teoria pluralista: tanti gruppi di interesse con risorse diverse (economiche, organizzative…)
influiscono sulle scelte di politica estera. (vedi slide per schemino)
Gruppi interesse non possono sempre mobilitarsi per influenzare scelte di pol estera. In situazioni
di crisi (minaccia vitale agli interessi centrali della società, poco tempo per decidere, rischio di
guerra – Micheal Brecher, Jonathan Wilkenfeld) i gruppi non hanno tempo per introdursi nelle
dinamiche decisionali e non hanno neanche interesse tale da poter essere davvero rilevanti.
In momenti non di crisi, di routine, possono esserci due situazioni:
 Decisione di politica estera che non implica allocazione di risorse (accordo di pace,
riconoscimento diplomatico di un paese…)  Si mobilitano gruppi di interessi promotori,
che portano avanti cause comuni, ampie, di pubblico interesse (es. diritti umani), che non
difendono l’interesse del singolo e non hanno grandi interessi economici.  Amnesty
International che denuncia violazione dei diritti umani senza avere interessi economici.
 Decisione che implica allocazione di risorse, quindi ha un impatto sull’interesse economico
degli attori  si mobilitano i gruppi di interessi economici (es. tematiche ambientali)
Ci sono vari gruppi che si mobilitano su diverse issues a seconda della situazione in cui viene
presa la decisione (crisi o routine) e a seconda dell’impatto economico che tale scelta avrà nei
singoli attori (non sempre facile distinzione perché alcune issue sono a metà).
Theodore Lowi analizza i negoziati di pace tra Usa e Giappo dopo WWII: molto complessi perché
Giappo è stato invaso da Usa. Il principale ostacolo che ha complicato il raggiungimento di un
accordo finale non è stato la figura dell’imperatore (tenerlo o democratizzare il paese – politics) o
conglomerati economici enormi presenti nell’economia nipponica (es. Yamaha che produce da
chitarre a moto), ma i diritti di pesca nelle acque antistanti la baia giapponese perché i gruppi di
interessi Usa volevano avere il diritto di pescare in quelle acque. Egli giunge alla conclusione che il
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tipo di decisione influenza chi si mobilita e come avvengono i rapporti politici nelle sedi decisionali.
Per farlo egli rovescia il classico schema Politics  Policy: per lui la Policy determina la Politics.
Questo, applicato alla politica estera Usa rende difficile stabilire se essa sia pluralista o elitista.
Sembrerebbe essere entrambe le cose, poiché dipende dal tipo di questioni che stiamo trattando:
alcune mobilitano solo alcuni gruppi di interesse, altri solo gruppi economici… Il tipo di policy
determina il tipo di meccanismi decisionali, istituzioni coinvolte e gruppi di interessi che si
mobilitano.

2. Teoria elitista: c’è solo un gruppo di interesse che ha un peso sostanziale nelle decisioni di
politica estera: il complesso militare-industriale  termine coniato da Eisenhower per indicare quel
complesso che ha un peso spropositato in politica int poiché i suoi grandi interessi lo portano a
influenzare moltissimo il processo decisionale (ha interesse anche a tenere incrinati i rapporti int?).
Wright Miles traccia uno schema a livello nazionale: c’è
intreccio perverso di attori che hanno forti interessi a livello
internazionale, che costituisce un triangolo nel quale c’è un
continuo scambio di favori, di posizioni… (è permeabile,
che domina tutti gli aspetti della società)

 Congresso finanzia il dipartimento difesa


 Difesa offre contratti per militari (che vogliono
arricchirsi)
 Militari aiutano membri del congresso per rielezione
Altri studiosi criticano questa teoria dicendo che questo attore non è sempre determinante nelle
scelte di politica int: non è detto che vinca sempre (in industria nucleare hanno vinto i pacifisti) e
comunque esistono anche attori minori che comunque partecipano.

Cultura strategica della politica estera cinese:


La cultura strategica ha effetto sulla continuità in un det comportamento internazionale di un
paese: anche al cambiare della distribuzione del potere e della ricchezza, i fattori culturali
persistono (sono indicatori di resistenza ai cambiamenti nel tempo).
Infatti, la politica estera cinese ha elementi di continuità che risalgono al IV/V sec ac, poiché
presenta un sistema di credenze centrali e una serie di preferenze strategiche che sono ordinate
gerarchicamente. Johnston analizza il contenuto dei discorsi militari e trova discrasia (gap) tra il
nucleo centrale della cultura strategica cinese (confucianesimo) e le preferenze strategiche-
operative che determinano il comportamento internazionale effettivo del paese. Secondo lui la pol
estera cinese è un mix tra tradizione confuciana + realismo politico: il primo prevale a livello
retorico, il secondo prevale a livello operativo. Questo produce una visione conflittualista della
politica int: il confucianesimo viene usato solo per nascondere un atteggiamento effettivamente
realista nei rapporti int (tanto che Cina è il secondo paese al mondo per dispute militari, dopo Usa).
 Confucianesimo (teoria pacifista): sottomettere il nemico senza combattere, preferenza per
uso della diplomazia, degli stratagemmi e per politiche di “accomodamento”  guerra solo in
momenti eccezionali (anche se prevede l’intervento umanitario, la “responsability to protect” = fare
guerra ad un altro stato per salvare cittadini che vengono maltrattati – Onu lo fa solo da anni
2000). In generale, aggiunge moralità alle relazioni internazionali, tanto che concetti quali armonia
nella società e cooperazione sono stati largamente utilizzati dalla leadership cinese degli ultimi 10
anni  tiansianismo (significato letterale sotto il cielo, modo in cui definiscono la terra = quello che
sta sotto il cielo) applicato alle RI indica che la comunità internaz intera è sotto lo stesso cielo. In

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questo modo si proietta come una potenza pacifica, responsabile, non aggressiva, che sa
difendere i propri interessi senza aggredire gli altri…
NB: la cultura di un paese non deriva solo dalle azioni di un paese (sarebbe tautologico). Bisogna
analizzare prima i testi e le immagini simboliche per ricostruire il frame culturale di un paese e poi
confrontarlo con le azioni/fatti  non derivare cultura da comportamento.
 Realismo (parabellum): guerra, utilizzo della forza e azioni offensive come elementi centrali
nelle RI, le quali sono rapporti a somma zero. La Cina ha in realtà sempre avuto visione realista
della politica int, la quale è aumentata dopo la fusione con pensiero di Mao (conflitto come
elemento inalienabile degli aspetti sociali  coerente con teoria del materialismo dialettico e con
comportamento cinese). Può essere inquadrata nella hard realpolitik.

Andrew Scobell: riprende analisi johnstoniana, ma aggiungendo che confucianesimo è un mix


pericoloso poiché sostenendo valori quali la difesa e la pace, porta la Cina ad essere convinta di
poter utilizzare la forza in modo massiccio perché tanto sta agendo per legittima difesa e pace int.
 Per difendersi può anche invadere un paese (che è invece una mossa di attacco!). =
Convinzione di essere un paese pacifista porta ad un uso spropositato della forza.
Inoltre, leader cinesi vedono nemici ovunque quindi danno importanza esagerata all’integrità
territoriale.
In futuro, se ci sarà un conflitto Usa-Cina, è probabile che scoppi con modalità analoghe a WWI:
sistema di alleanze, concezione di guerra catalitica, dispute territoriali + culto dell’offensiva =
vince la guerra chi attacca per primo (credenza sviluppata dopo le guerre di fine 800, ma che
ignorava il fatto che i cambiamenti tecnologici avrebbero reso impossibile una guerra vecchio stile).
Questo culto riemerge all’inizio degli anni 80 quando Reagan pensa che le armi nucleari possano
essere effettivamente usate: vincere guerra nucleare attaccando per primo, distruggendo il più
possibile l’avversario e aumentando lo scudo spaziale  questo genere forte instabilità perchè:
 Chi pensa di poter vincere con attacco a sorpresa ha incentivo ad attaccare per primo 
preventive: stato che si sente incentivato ad attaccare per primo per sfruttare la propria
superiorità
 Chi pensa di essere in svantaggio, ha forte incentivo a prevenire l’attacco altrui attaccando
a sua volta per primo, altrimenti potrebbe essere distrutto  pre-emptive: temendo di
essere colpito anticipa l’attacco.
Logica preventive-prehemptive spinge i due attori a spostarsi da cooperazione a defezione.
Questo successe in WWI, poi venne neutralizzato da armi nucleari, per poi tornare in voga durante
anni 80 ed oggi è di nuovo prevalente in modo di affrontare le questioni strategiche:
 Proliferazione di tecnologie militari sempre più offensive e che danno vantaggio a chi
attacca per primo: Usa sta sviluppando sistemi militari con precisione sempre maggiore,
che potrebbero permettere loro di attaccare per prima annullando la capacità di
rappresaglia dell’avversario. + Trump: Usa è pronta ad utilizzare armi nucleari anche se
l’avversario non lo fa.
 Sapendo che Usa potrebbero attaccare per primi riducendo capacità di risposta militare o di
coercitive diplomacy cinese, la Cina potrebbe essere incentivata ad attaccare per prima 
aumentato dal fatto che Cina normalmente si sente legittimata ad attaccare per prima
perché è convinta che le sue guerre siano tutte difensive.
 Da ambo le parti, gli attacchi vengono presentati come pre-empive anche se in realtà sono
preventive, o addirittura, vere e proprie aggressioni (NB: Attacco Usa contro Iraq è
un’aggressione, non un attacco preventivo!)
 tutto ciò genera instabilità, misperception, inadvertent escalation, warning: cose che complicano
la situazione.
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Altri aspetti tipici della politica cinese:
Opinione pubblica: anche se Cina è un regime autoritario (assenza di elezioni in cui premiare o
meno la condotta dei leader) OP ha comunque un ruolo, legato fortemente a:
Nazionalismo (o sciovinismo?): opinione pubblica cinese è fortemente nazionalista e poco
comunista (Mao stesso era molto nazionalista, rivendica il secolo dell’umiliazione). Esso
condiziona le scelte dei policymakers, i quali devono tenere conto delle opinioni nazionaliste di OP:
integrità territoriale non è solo una fissazione storica dei leader, ma è un elemento chiave di OP
(qualsiasi leader cinese che portasse avanti l’idea che liberare Taiwan è possibile, vedrebbe la
propria carriera rovinata). Inoltre, nazionalismo è un elemento su cui fare leva nei momenti di crisi
(vedi oggi). Sondaggio riguardo principali minacce secondo opinione pubblica cinese:
1. Indipendenza Taiwan
2. Militarismo giapponese
3. Instabilità sociale
Nazionalismo è forza più grande del comunismo stesso: in Cina infatti è più corretto parlare di
leninismo (tattica per prendere e conservare il potere). L’ideologia comunista tout court
(proletariato, internazionalismo) non è tanto presente in ideologia cinese, tanto che Cina in WTO
non vota mai per paesi poveri, ma sempre per paesi ricchi, perché ha interessi economici molto più
vicini a quelli delle grandi potenze capitaliste occidentali (no solidarietà terzomondista).
OP è molto nazionalista e l’esercito fa da paladino di questi interessi presto istituzioni politiche,
quindi leader che dovesse portare avanti idee contrastanti avrebbero contro di sé l’esercito (centro
del potere del partito) e OP.  questo conta quando ci sono delle divisioni all’interno della
leadership cinese (sempre): ogni fazione cerca di usare OP per sfavorire la fazione opposta
(progressisti a dx, verso apertura e mercato libero, conservatori a sx, verso chiusure comuniste).
Fazionalismo: caratteristica fondamentale di tutta la società cinese. Fazione: rapporto clientelare
tra un patrono (leader) e un supporter (cliente), in cui il supporter ottiene dei benefici (sicurezza,
protezione) in cambio di appoggio al leader.  Lucian Pye (politologo cinese emigrato in Usa)
dice che è un elemento culturale, un tratto tipico anche della società cinese pre-comunista, una
risposta al bisogno di sicurezza che le persone hanno in un regime autoritario, in cui non c’è rule of
law o magistratura indipendente che possano essere garanti di sicurezza.
Spiegazioni:
 Pye – Spiegazione culturale: Cina è un paese autoritario, quindi le persone cercano
protezione nelle fazioni di qualsiasi categoria (è elemento onnipresente).
 Wilson (o Winston?) – Spiegazione militare: fazioni del PCC sono una riproposizione della
struttura dell’armata rossa durante la guerra civile.
 Spiegazione politica: fazionalismo è conseguenza della struttura a partito unico cinese. in
ogni sistema a partito unico/dominante (DC in Ita, partito liberaldemocratico in Giappone)
all’interno del partito si creano delle fazioni, così da colmare la mancanza di pluralismo
politico.  bipartitismo in Cina tra fazione più a sx e più a dx potrebbe avere importanti
conseguenze un domani? dubbio. Oggi fazione di Xi Jinping, fazione del PM, fazione dei
figli dei vecchi leader, fazione dei leader dei gruppi di Shangai…
Tutto ciò va ad impattare anche nelle decisioni di politica estera. Le lotte politiche non si fermano
quando toccano questioni internazionali. Grandi decisioni prese da Cina che hanno aumentato
tantissimo scontro tra fazioni:
 Entrata in WTO nel 2001
 Apertura ad Usa nel 1969  sembrava pura scelta strategica, ma in realtà può essere
inscritta nella logica della lotta fra fazioni, che erano:

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1. Radicali (Chan Ching, moglie di Mao, speechwriter di Mao)  Usa e Urss sono
entrambe minacce per Cina, quindi fare azioni che portino caos o creino problemi
ad entrambe le potenze, un po’ a turno.
2. Militari  Usa è principale minaccia  potenziare l’esercito
3. Moderati (PM)  Urss è principale minaccia  normalizzare rapporti con Usa
Mao in questo gioco mette fazioni una vs altra, si allea con tutte, si sente vicino ai radicali, ma poi
si sposta verso i moderati. Scelta di politica estera può essere interpretata come calcolo razionale
(mezzi-fini), sia come risultato di processo politico in cui anche high politics viene influenzata da
low-politics.
 Regimi autoritari, anche se hanno alta centralizzazione del potere decisionale e non devono
avere a che fare con electorate o con parlamento, hanno a che fare con fazioni, quindi non
necessariamente sono più efficienti nel prendere decisioni.  non semplice mettere d’accordo
gruppi di interesse istituzionali e decisionali: Mao ci riusciva perché aveva un potere simile a quello
di un imperatore, mentre tutti i suoi successori sono stati meno potenti e hanno avuto a che fare
con le fazioni.
NB: Questi meccanismi accadono in regimi democratici come in regimi autoritari (anche in Russia:
fazione di ex-KGB (Putin), fazione legata ad ex-industria pesante, fazione di militari…).
Per capire le scelte di politica estera di questi paesi bisogna tenere a mente anche questi elementi
culturali/sociali/strategici  cosa difficile perché richiede abile competenza in politica comparata e
profonda conoscenza dei casi.

LIVELLO INTERNAZIONALE:
Stati non sono isolati, ma sono inseriti in contesto/sistema internazionale con altri stati, organiz int
e attori non statali (NGO, organizz terroristiche). La politica internazionale ha a che fare con ciò
che succede all’esterno degli stati, con il modo con cui stati tengono relazioni tra loro in un
ambiente complesso e rischioso come quello internazionale, in cui la probabilità di conflitto è alta.
Essi infatti sono vincolati (da azioni di grandi potenze che fanno quello che vogliono) e stimolati da
quello che succede all’esterno dei loro confini.
Caratteristiche:
1. Modo in cui la distribuzione del potere (militare, Mearsheimer) influenza il comportamento
degli stati.  concetto base: anarchia internazionale = immagine di come il potere è
distribuito (in modo orizzontale, non gerarchico) tra stati che sono autonomi, indipendenti e
sovrani (che devono riuscire a cavarsela da soli). Questa per molti è una fonte/causa di
guerra: in Europa (sistema orizzontale) ci sono state molte guerre, mentre in Asia, con
sistema verticale, ha visto poche guerre.
2. Distribuzione della ricchezza: stati sono inseriti in rete di rapporti/vincoli economici,
finanziari e commerciali che influenza le relazioni tra essi.
o Teoria liberale: partner economici non si fanno guerra tra loro (Smith).
o Teoria marxista: capitalismo è intrinsecamente conflittuale, imperialista e violenta
3. Distribuzione delle norme internazionali e creazione di istituzioni internazionali
(universali – Onu, regionali – Ue…), che vanno ad incidere in comportamento int degli stati.
 Il fatto che stati hanno creato norme e istituzioni int, più o meno radicate e accettate in
tessuto sociale int, in qualche modo influenza comportamento int di stati.

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a. Realismo: org int contano nella misura in cui non si scontrano con interesse
nazionale di grandi potenze
b. Liberalismo: org int importanti perché sono strumenti che aiutano a risolvere
problemi di cooperazione (chiamate costi di transazione)
c. Costruttivismo: org int sono agenzie di socializzazione, in cui le persone che
rappresentano gli stati imparano nuovi modi per affrontare le questioni internazionali

Elemento strutturale di ambiente int è Anarchia internazionale, condizione esistenziale in cui


vivono sempre e necessariamente gli stati, la quale è necessaria per l’esistenza della politica int
stessa. Teoricamente il sistema int è orizzontale (stati dovrebbero essere sullo stesso piano), ma
si riconosce che effettivamente che ci sono delle gerarchie tra gli stati (non hanno stessa capacità
di difendersi e di conseguire i propri interessi).
≠ Asia: parte da presupposto che stati sono organizzati gerarchicamente, ma poi riconosce una
base di sovranità e indipendenza ad ogni stato (oltre al pagamento di qualche tributo, il
riconoscimento della superiorità cinese è puramente formale e riguarda molto il sistema culturale
cinese, che è molto avanzato).
Non è sinonimo di caos: si riferisce al fatto che non c’è un’autorità formale principale in grado di
garantire ordine, sicurezza e imporre regole (che ci sono, ma nessuno ha il potere di farle
rispettare). Non c’è un’agenzia centrale, un corpo di polizia internazionale che protegge gli
interessi se dovessero venire minacciati da altri stati. Questa è una condizione strutturale data dal
fatto che il potere non è centralizzato, ma è disperso tra tanti attori diversi.
Essa influisce sul comportamento degli stati perché mettendo a rischio la loro sopravvivenza essi
sono costretti a comportarsi in un det modo (analogia con impresa in libero mercato: se essa non
si adegua alle pressioni del mercato alla fine verrà espulsa dal mercato). La pressione strutturale
esercitata dall’anarchia int spinge gli stati a tenere determinati comportamenti, altrimenti
potrebbero venire espulsi dal sistema internazionale.
Per questo motivo tutte le teorie considerano anarchia come punto di partenza, dal quale poi
sviluppano analisi diverse con fattori diversi.
Condizione di anarchia genera un problema: necessità di provvedere da soli alla propria sicurezza,
dinamiche di Self-help. Per fare ciò gli stati adottano delle Strategie di Balancing:

 Balancing esterno: stringere alleanze perché individualmente si è troppo deboli o perché


le spese per provvedere alla propria sicurezza sono troppo ingenti  Italia in Triplice
Alleanza, Patto d’acciaio, NATO… moltissimi tipi di alleanze: intese, patti di difesa, accordi
di alignment
 Balance of power: stati si alleano con stato più potente
 Balance of threat: stati si alleano con stato più minaccioso (per questo stati eu si alleano
con Usa in Nato contro Urss)
 dilemma delle alleanze (Glenn Snyder): alleanza è modo poco costoso per ridurre i
rischi derivati da anarchia int, ma c’è rischio di abbandono o di intrappolamento (rischio di
fare guerra per cui non si ha interesse).  Alleanze aumentano o diminuiscono la
possibilità della guerra? Una teoria sostiene abbiano un effetto deterrente (diminuisce prob
guerra), altre dicono che aumentano prob guerra perché permettono agli stati di attaccare
in quanto si sentono sicuri grazie alla protezione data dall’alleato. Un’analisi empirica
mostra che più due stati appartengono a stessa alleanza, più è probabile che si facciano
guerra (oggi Grecia e Turchia, anche se entrambe in Nato).
 Balancing interno: dovendo provvedere autonomamente alla propria sicurezza, gli stati
optano per il potenziamento delle proprie forze militari. Comporta dei costi anche ingenti,

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quindi risulta necessario togliere risorse da investimenti sociali per convogliarle in spese
militari (strategia Usa).
 Buck-passing (scarica barile): lasciare questioni scottanti ad alleati (possibile solo se non
si trovano a ridosso della fonte della minaccia). Jennifer Lind sostiene che durante guerra
fredda Giappone e Italia hanno tenuto questa strategia: non hanno contribuito a costi di
mantenimento Nato, hanno sfruttato aiuti Usa per migliorare la propria economia e società.
 Bandwagoning (saltare sul carro del vincitore): non allearsi con altri stati per contrastare
lo stato-minaccia, ma allearsi con la minaccia stessa (stato più aggressivo e pericoloso)
per evitare di averla come nemica (Mussolini con Hitler).  introdotto da Randall
Schweller, il quale analizza il fenomeno facendo metafore con animali: gli aggressivi sono
lupi (Germania), struzzi che mettono testa sotto sabbia e non vedono minaccia (Usa),
sciacallo che interviene dopo che lupo ha fatto il suo lavoro (Italia di Mussolini)…
in questo modo si dà più potenza alla potenza maggiore, la quale potrebbe rivoltarsi
anche contro i propri alleati (se Hitler avesse conquistato l’Europa, poi avrebbe potuto
sottomettere anche Mussolini)
Dilemma della sicurezza (John Hertz): in ambiente anarchico è difficile stabilire se la natura di
un’azione sia di tipo difensivo o offensivo (es. aumento del militare o alleanze). Quindi questo può
ingenerare insicurezza e paura negli altri membri della società int, i quali hanno incertezza circa le
intenzioni del comportamento dell’altro.  Dilemma (che riguarda tutti gli stati e ha conseguenze):
 Non riarmarsi e rischiare la propria sicurezza se l’altro ha intenzioni offensive
 Riarmarsi innescando una corsa agli armamenti (reciproco aumento delle spese militari e
alleati) ma rimanendo in stessa posizione circa la sicurezza, ma con grande spreco di
risorse e con possibilità di giungere ad un conflitto.
 tutte manifestazioni del dilemma del prigioniero: attori in situa di incertezza circa l’azione
dell’altro devono scegliere azioni che potrebbero massimizzare il proprio guadagno oppure
minimizzare il proprio pagamento. Intenzione degli attori è di ridurre il danno, quindi scelgono di
fare azioni di tipo non cooperativo, arrivando ad una soluzione finale che è subottimale (ottimale
sarebbe cooperare, ma attori non hanno certezza circa il fatto che l’altro cooperi).
Negli ultimi anni c’è letteratura circa l’idea che senza il nucleare il mondo sarebbe un posto
migliore. Ciò viene criticato da Thomas Schelling (Nobel per teoria dei giochi): non sarebbe un
mondo più stabile o sicuro perché sarebbe esasperato dal dilemma del prigioniero. In mondo
senza nucleare, ma in cui si conosce il processo produttivo (non possono essere disinventate), se
scoppia una crisi uno stato sarebbe super incentivato a ricrearle perché il vantaggio che ne
ricaverebbe sarebbe enorme sia rispetto agli altri stati, sia rispetto alla situazione in cui anche altri
stati hanno armi nucleari. Ma non solo, avrebbe anche forte incentivo ad attaccare per primo.
Inoltre, per quanto si potrebbe anche distruggere tutte le armi nucleari, non sarebbe possibile
distruggere la loro base produttiva.  dilemma del prigioniero: essere colti impreparati in mondo
senza nucleare sarebbe molto più grave di trovarsi preparati in mondo con tante potenze nucleari.
Tutto ciò si basa sulla Bargaining Theory of War, che vede la guerra come metodo di
contrattazione: guerre scoppiano perché due attori non riescono a mettersi d’accordo su come
dividersi una risorsa, quindi finiscono per farsi la guerra per stabilire chi è il più forte e quindi chi
avrà di più.
In ambiente anarchico vengono esasperati due problemi intrinsechi a politica int.
 Problema delle informazioni private: in situazione di anarchia gli stati non possono fidarsi
di ciò che dicono gli altri stati perché non hanno sicurezza circa le informazioni da essi date
(vedi Saddam Hussein, Hitler…). Per questo, gli stati hanno incentivo a nascondere le
proprie risorse e intenzioni, a non rivelare il vero livello della propria forza. Può anche
succedere che uno stato dica la verità, ma non è detto che gli altri ci crederanno.

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 Problema del commitment (dell’impegno): quando uno stato prende un impegno, non è
detto che lo manterrà nel futuro perché non esiste un sistema giuridico o un’agenzia
centrale che vagli il rispetto dei patti (a causa di anarchia). Es. impegno a non attaccare
può essere non rispettato da governo successivo).
Per questi motivi nel modello realista l’anarchia è anche la causa principale della guerra: sia
perché è permissiva/è possibile (stati possono concludere qualsiasi disputa con conflitto), sia
perché esaspera problema di informazione e commitment. In mondo anarchico è meglio non
fidarsi, armarsi e a lungo andare può scoppiare guerra (seppur è lungo percorso).
 Dilemma della sicurezza elaborato da Robert Jervis: mondo caratterizzato da azioni offensive in
cui è difficile l’intenzione dell’altro è un mondo doppiamente pericoloso. ≠ mondo doppiamente
stabile (non c’è conflitto): prevale tecnologia difensiva ed è facile capire intenzioni dell’altro.
Anarchia è immutabile nel tempo, è concetto strutturale del sistema internazionale, la base da cui
si sviluppa politica int internazionale. Se anarchia è sempre uguale, cosa spiega la variabilità del
comportamento degli stati?  Distribuzione del potere, che determina diverse strutture del
sistema int:
 Unipolarismo  secondo alcune analisi è situazione attuale (1990- oggi)
 Bipolarismo  guerra fredda, Sparta-Atene, Cartagine-Roma (1945-1990)
 Multipolarismo (1648-1940)

Guerra può essere spiegata tenendo a mente solo una variabile: la distribuzione del potere in un
contesto anarchico  Dibattito circa la stabilità del sistema (quale sistema meno propende alla
guerra) che genera indecisione anche all’interno della stessa dottrina realista:
Realismo classico – balance of power: guerra è meno probabile quando c’è equilibrio di potere:
se gli stati hanno simili risorse e poteri, nessuno attacca per primo perché la probabilità di vincere
è simile alla probabilità di essere distrutti dal nemico.
Organski – preponderance of power: una distribuzione di potere non equa rende più probabile
una situazione di pace perché gli stati piccoli non hanno i mezzi per attaccare gli stati più forti.
Secondo Organski, la balance of power è terribile perché gli stati che non riescono a raggiungere
un qualsiasi accordo finiranno per attaccarsi a vicenda (bargaining theory of war).
Blaney - Guerra per scoppiare ha bisogno di due attori che ritengano che combattendo
otterrebbero di più che non combattendo. Ciò è probabile quando il power gap è piccolo, altrimenti
sarebbe chiaro stabilire quale stato guadagnerebbe di più dalla guerra. Quando il gap è ridotto, lo
stato leggermente in svantaggio potrebbe pensare che attraverso la guerra potrebbe arrivare ad un
livello maggiore di potere. Invece, più il potere è sproporzionato, meno è probabile guerra.
 Frequenza delle guerre: (probabilità
scoppio guerra x intensità della guerra):
guerre sono più frequenti in sistemi
multipolari, ma sono meno intense. Mentre in
sistemi bipolari le guerre sono meno, ma
sono molto più disastrose.
Frequenza delle guerre x numero di poli 
(grandi potenze): all’aumentare del numero
dei poli, aumenta il numero delle guerre, ma
raggiunto un certo livello, la probabilità della
guerra crolla di nuovo
 Sono correlazioni, andrebbero spiegate le regolarità empiriche.
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In che modo distribuzione potere e anarchia vanno ad incidere sulla formazione di alleanze?
La durata di un’alleanza è diversa a seconda che il sistema sia:
 Multipolare: alleanze aideologiche, brevi e basate solo su interessi, convenienza e
situazione momentanea  Ita in WWI
 Bipolare: alleanze dalla forte connotazione ideologica (Alleanza atlantica: democrazie
liberali VS patto di Varsavia: stati socialisti, uniche eccezioni Grecia e Turchia quando
hanno colpi di stato interni), da cui è difficile uscire (dottrina Breznev VS dottrina
Sonnenfeld)
 Unipolare: tecniche di bandwagoning
Tutto ciò è spiegato unicamente facendo riferimento alla variabile strutturale del sistema internaz:
anarchia della politica int. Le differenze sono determinate dal diverso modo in cui quest’anarchia si
articola, ovvero in base alla diversa distribuzione del potere militare.
3 aspetti delle RI su cui si concentrano le diverse dottrine:
 Apparato militare  realismo
 Interdipendenza economica  liberalismo
 Istituzioni internazionali  costruttivismo

Distribuzione della ricchezza – dipendenza economica:


Liberalismo: pur partendo da una visione della politica int che assomiglia a visione realista
(anarchia, self help, dilemma sicurezza), ne ha una visione meno negativa. Questo deriva dal fatto
che ha una concezione antropologica dell’essere umano non hobbesiana (basata sulla ricerca del
potere), ma lockiana, per cui la ricerca della ricchezza non necessariamente si scontra con la
ricerca altrui, anzi, l’interesse individuale egoistico produce ricchezza collettiva. Quindi, economia
int e commercio int possono svolgere un ruolo positivo e mitigare l’impatto negativo e bellicoso
prodotto dall’anarchia. Se anarchia produce guerra, nazionalismo divide gli stati, industrializzazion
avvicina gli stati e promuove cooperazione.  ruolo pedagogico del commercio.
Micheal Mousseau: commercio come strumento di educazione all’onestà perché l’attore
economico deve costruirsi e mantenersi una buona reputazione per fare affari con altri attori eco =
modo per uscire dal dilemma del prigioniero perché nel commercio il gioco viene ripetuto infinite
volte, per cui diventa inefficiente scegliere la soluzione subottimale. Dato che l’interazione
economica è duratura, a lungo andare tutti gli attori avranno interesse a cooperare.  teoria
evolutiva della cooperazione: seppur all’inizio gli attori hanno incentivo a defezionare, con il tempo
(evolutiva) capiscono che vero incentivo è cooperare.
Altra interpretazione che giunge a conclusioni simili ma che si basa sul costo opportunità: fare la
guerra non è conveniente perché implica l’interruzione dei rapporti economici-commerciali e la
diminuzione del guadagno di entrambi.  maggiori sono i rapporti di interdipendenza tra gli stati,
minori sono i vantaggi che essi possono trarre dalla guerra.
Critiche alla visione positiva del commercio int:
1. Modello del dilemma del prigioniero funziona solo in piccoli gruppi dove gli attori si
conoscono l’un l’altro e hanno strette relazioni. Questo non è possibile nel commercio
internazionale, quindi gli effetti positivi sopraelencati vengono meno.
2. Guerra non conveniente per attori economici:
- critica empirica: le peggiori guerre sono state combattute in Europa, dove i paesi erano
molto connessi economicamente  analisi della ricchezza di un paese prodotta dalle sue
relazioni esterne (import + export / PIL, quanto ricchezza del paese dipende da commercio
int) mostra che il momento di max espansione del commercio int in termini relativi è prima
di WWI. Oggi commercio int è maggiore in termini assoluti, ovvero crea più ricchezza, ma

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in proporzione alla ricchezza totale, la ricchezza prodotta dall’economia internaz è minore
(torta è più grande, ma fetta più piccola!!!!!)
- critica teorica: è la politica che produce i conflitti, anche se l’economia porterebbe alla pace.
Gli stati sono più preoccupati per la sicurezza: in mondo dominato da dilemma della
sicurezza, l’interdipendenza economica è rischiosa. Essi sono incentivati a sviluppare una
propria industria militare, la quale è necessaria per essere meno vulnerabili, anche se tutto
ciò non è un risultato ottimale da pov economico.  Strategia preferita da realisti: autarchia
Quindi:
Attori: Obiettivi: Esiti politici:
Liberalismo: Stati, mercati e Guadagni assoluti Cooperazione
imprese possibile
Realismo-nazionalismo: Stati Guadagni relativi Cooperazione difficile
Marxismo: Classi sociali Profitto economico Conflitto

Per i liberali contano i guadagni relativi, per i realisti contano i guadagni assoluti: se gli stati si
preoccupano solo della ricchezza, si concentrano solo sul volume totale della ricchezza
(grandezza della torta), se invece si preoccupano delle ricadute che ciò può avere sulla sicurezza,
si concentrano anche sulla ricchezza che potrebbe sviluppare un possibile nemico (ripartizione
della torta).  inizio anni 90 Usa più preoccupata da minaccia Europa e Giappone in competizione
politica per egemonia mondiale, non da Cina o da Russia!!
 Catherine Barbieri: analisi empirica circa l’interdipendenza economica e le dispute militari tra
1870 e 1938: rapporto positivo = essere legati da strette relazioni economiche aumenta la
possibilità di conflitto. In un altro modello circa le guerre (tutte) non trova una relazione
statisticamente significativa, quindi sembra che l’interdipendenza non abbia un effetto né positivo,
né negativo.

Ultima variabile del sistema internazionale: ruolo svolto da istituzioni e norme internazionali.
Queste vengono create e strutturate in base alla politica int. Le istituzioni int possono ridurre i
problemi delle informazioni private, del commitment e della sfiducia nel dilemma del prigioniero:
affidare le questioni ad un’organizzazione internaz aumenta la fiducia tra gli stati (che è
solitamente scarsa) perché l’org int garantisce che le info siano affidabili e controlla che i dettami
vengano rispettati.
Ma i realisti criticano questa teoria: il fatto che lo stato dovrebbe confermarsi alle norme e alle
istituzioni internaz lede l’interesse nazionale degli stati  è la potenza statale a dover determinare
le norme internaz, non le istituzioni internaz!
Per i liberali le norme riducono il conflitto e favoriscano la cooperazione.
Per i costruttivisti le organizzazioni internazionali sono delle agenzie di cooperazione che educano
gli stati a comportarsi in un det modo attraverso l’interiorizzazione delle norme che vengono diffuse
attraverso di esse.

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