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“Il sogno cinese”

Analisi delle relazioni tra Cina – Usa secondo il realismo.


Nello scenario politico – economico attuale emerge l’eventualità che la Cina e gli Stati Uniti si
ritrovino in un conflitto che nessuno delle due potenze auspica, ma nonostante la contrarietà di
entrambi i paesi a questa opzione, la possibilità che questo si verifichi non è da sottovalutare.
I due paesi potrebbero cadere nella “trappola di Tucidide”, concetto coniato dallo storico Tucidide,
considerato il padre del realismo, che fa riferimento specificatamente al celebre conflitto tra la città
di Sparta e quella di Atene e, in particolare, che descrive l’inevitabile scombussolamento che si
genera nel momento in cui una potenza in ascesa minaccia di spodestare la potenza dominante. A
proposito di questo argomento, nel suo libro “Storia della guerra del Peloponneso”, scrisse: "Fu
l'ascesa di Atene e la paura che questa incuteva a Sparta a rendere inevitabile la guerra".
Ciò che ci si chiede oggi a 25 secoli di distanza dall’analisi di Tucidide è: Cina e Stati Uniti saranno
le moderne Sparta e Atene? Le visioni di Pechino e Washington sono troppo contrastanti? Possono
l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?
Se nei prossimi decenni la Cina continuerà la sua strabiliante crescita economica, probabilmente
agirà seguendo la logica del realismo, cioè tenterà di imitare gli Stati Uniti e di prendere il loro
posto in un nuovo mondo unipolare.

Prima di analizzare l’attuale situazione tra Cina e USA è importante sottolineare gli assunti
principali del realismo per comprendere meglio perché questa dottrina è in grado di descrivere il
conflitto tra queste due potenze.
Il realismo è una delle dottrine principali delle relazioni internazionali che si concentra
sull’equilibrio di potere e sull’interesse personale degli stati. Uno degli autori principali di questa
dottrina è Hans Morgenthau che la descrive attraverso sei principi. Innanzitutto la politica è radicata
nella natura umana, i cui tratti fondamentali sono l’egocentrismo e l’amor proprio. In particolare,
Morgenthau parla di animus dominandi, della sete di potere, che spinge gli individui a ricercare non
solo una posizione di vantaggio rispetto agli altri, ma anche un spazio politico entro il quale vivere
al sicuro dalle imposizioni altrui. Di conseguenza, questa concezione porta inevitabilmente gli
individui ad entrare in conflitto tra loro.
Il secondo assunto riguarda l’autonomia della politica: non si può ridurre all’economia o all’etica la
politica. Il terzo assunto è uno dei più importanti poiché riguarda la sopravvivenza: l’agenda
internazionale dei realisti vede al primo posto la sicurezza, infatti lo stato si concentra sui conflitti
potenziali ed effettivi, sul mantenimento della stabilità del sistema internazionale e in generale sui
problemi relativi alla sicurezza e alla strategia militare (high politic). Dunque, lo scopo generale
della politica di ogni stato è la preservazione e l’incremento del potere o interesse nazionale.
Successivamente, Morgenthau ritiene che l’etica delle relazioni internazionali è un’etica politica o
situazionale, molto diversa dalla morale privata: lo statista responsabile dovrebbe cercare di fare
non il meglio in assoluto, bensì il meglio che le circostanze del momento permettono.
Inoltre, i realisti respingono l’idea che certe nazioni possano imporre la propria ideologia ad altre
nazioni, perché sarebbe un’attività pericolosa che potrebbe mettere a repentaglio la pace e la
sicurezza internazionale e di ritorcersi, alla lunga, sul paese stesso.
Infine secondo Morgenthau governare è un’attività che si basa sulla profonda consapevolezza dei
limiti e delle imperfezioni umane.
Il realismo ha avuto sempre come maggior rivali tutte quelle teorie che invocano il superamento dei
confini statali, come ad esempio l’idealismo e il suo progetto di una pace internazionale.
Per i realisti le unità di analisi sono gli stati, intesi come gli stati vestfaliani, ovvero caratterizzati da
sovranità territoriale e indipendenza politica. Gli stati sono inseriti nel sistema internazionale
moderno, il quale è caratterizzato da anarchia, cioè la mancanza di un’autorità centrale che possa
regolamentare il comportamento degli stati. La stabilità di questo sistema anarchico può essere
garantita solamente tramite il principio di balance of power, cioè una visione della politica
internazionale basata su un’incessante lotta per il potere con cui si impedisce che una potenza
diventi egemonica.
In secondo luogo, un’altra conseguenza dell’anarchia è la logica di self-help, dato che gli stati sono
attori indipendenti, preoccupati dei propri interessi nazionali fanno affidamento su loro stessi per
difendere la sovranità territoriale e l’indipendenza politica.
In generale, dunque, i realisti ritengono che gli Stati siano attori razionali in grado di elaborare
strategie per garantire il loro interesse primario: la sopravvivenza.

A partire dal 1991 gli Stati Uniti sono emersi come unica superpotenza di un nuovo sistema
unipolare, giocando per anni il ruolo di unico vertice del sistema internazionale, dettando le regole
del gioco e mostrandosi come i garanti dell’ordine mondiale. Questo periodo di stabilità, insieme ai
decenni precedenti caratterizzati dal balance of power è considerato come il periodo di stabilità più
lungo tra le maggiori potenze. Tuttavia, la recente crescita di nuovi paesi emergenti, come i BRICS
(Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ha aperto la strada ad un nuovo sistema globale
caratterizzato dal multipolarismo. In questo modello multipolare, gioca un ruolo fondamentale la
Cina che, proprio in quanto potenza in rapida ascesa in termini di potere economico e militare, già
dopo la fine del bipolarismo era vista come una potenza challenger, e quindi, da contenere.
In questo nuovo ordine mondiale, gli Stati Uniti e la Cina si scontrano su una gamma sempre più
vasta di ambiti che spaziano dall’economia alla cultura (con il soft power). Entrambi giocano un
ruolo importante all’interno dell’arena mondiale e il degenerare delle relazioni sino-americane in un
vero e proprio conflitto rappresenterebbe una catastrofe internazionale sotto ogni punto di vista.
La relazione tra Stati Uniti e Cina è forse una delle relazioni internazionali più significative del XXI
secolo ma può essere fatta risalire alla prima parte del XIX secolo, durante la dinastia Qing.
All’epoca, gli Stati Uniti erano interessati a commerciare con la Cina e ad aprire i suoi mercati alle
merci americane. Nonostante ciò le relazioni tra i due paesi furono tese durante la guerra civile
cinese che durò dal 1945 al 1949, durante la quale gli Stati Uniti appoggiarono il governo
nazionalista, mentre il Partito Comunista ricevette il sostegno dell’Unione Sovietica. La fine della
guerra fredda segnò l’inizio di una nuova era nelle relazione tra questi due stati, in quanto gli Stati
Uniti vedevano nella Cina una potenza economica in ascesa che offriva nuove opportunità alle
imprese americane e, di conseguenza, i due paesi cominciarono a impegnarsi maggiormente l’uno
con l’altro. Un esempio di questo è l’adesione della Cina all’organizzazione mondiale del
commercio nel 2001, la quale ha segnato una svolta significativa nelle relazione tra i due paesi.
Tuttavia, negli ultimi anni, le tensioni tra i due paesi sono aumentate poiché oggi viviamo in un
mondo post-egemonico, nel quale la primazia degli Stati uniti è messa in discussione, perché questi
non sono più da un punto di vista politico, militare e economico gli architetti del mondo.

Seguendo la logica del realismo, gli stati devono essere sempre pronti ad affrontare i loro rivali per
mantenere il loro potere e la loro sicurezza, infatti, gli Stati Uniti, essendo l’economia e l’esercito
più potenti del mondo, hanno sempre visto la Cina come un potenziale concorrente e, per questo
motivo, si sono impegnati in una strategia di contenimento dell’ascesa al potere cinese.
Le relazioni tra Stati Uniti e Cina sono state caratterizzate da tensioni militari, soprattutto nella
regione dell’Asia-Pacifico. Gli Stati Uniti hanno mantenuto una presenza militare significativa in
questa regione, soprattutto in Corea del Sud, Giappone e Filippine. Questo è stato visto dalla Cina
come una strategia per contenere la sua ascesa militare e la sua influenza nella regione. In aggiunta,
negli ultimi anni, la Cina ha perseguito in modo aggressivo una strategia di ammodernamento delle
proprie forze armate e di sviluppo delle proprie capacità militari, che ha portato a temere un
potenziale conflitto militare tra le due potenze.
Gli Stati Uniti hanno risposto all’ascesa della Cina adottando politiche di contenimento della sua
influenza, come il Partenariato trans-pacifico e il riequilibrio dell’Asia Pacifico. Inoltre, gli Stati
Uniti hanno criticato la Cina per le sue violazioni dei diritti umani, soprattutto nei confronti delle
minoranze etniche come i musulmani iuguri, imponendo sanzioni a funzionari cinesi responsabili di
abusi dei diritti umani nello Xinjiang.
Come anticipato precedentemente, le due potenze mondiali potrebbero cadere nella “trappola di
Tucidide”, sostenuta anche dal politologo di Harvard Graham Allison, il quale nella sua opera più
famosa “destined for war: can America and China escape Thucydides’s trap?” sostiene che il
pericolo di guerra salirà alle stelle quando la Cina in ascesa sorpasserà l'America in declino. Anche
il presidente cinese Xi Jinping, implicitamente, ha sostenuto questo concetto affermando che
Washington deve fare spazio a Pechino: << La più grande fonte di caos nel mondo di oggi sono gli
Stati Uniti >>, Xi Jinping, Marzo 2021.
Gli Stati Uniti secondo la logica realista sono definiti una superpotenza mentre la Cina è definita
una grande potenza o potenza challenger in quanto dispone di grandi capacità militari, di forti
economie e di grandi risorse di potere.
Dopo decenni di crescita, investimenti nell’ambito della tecnologia, dell’informatica, della
comunicazione e delle infrastrutture, attualmente la Cina non cessa la sua corsa al potere e,
certamente, Xi Jinping non ha smesso di credere nel “sogno cinese” di restituire alla Cina il
predominio in Asia, nonostante ultimamente stia perdendo i vantaggi che hanno contribuito in
passato alla sua rapida ascesa avvenuta tra gli anni ‘70 e gli anni 2000. Durante questi anni la Cina
aveva un ambiente geopolitico sicuro, un facile accesso ai mercati esteri e alle tecnologie, il tutto
sostenuto da relazioni amichevoli con gli Stati Uniti.
Il “sogno cinese” di XI Jin Ping unisce prosperità e potenza, e rendere la Cina di nuovo grande
significa: restituire alla Cina il predominio in Asia, di cui godeva prima dell’intrusione
dell’Occidente. Successivamente vorrebbe ristabilire il controllo sui territori della “grande Cina”,
inclusi non solo Xinjiang e il Tibet ma anche Hong Kong e Taiwan.
Per realizzare il suo sogno a livello economico la Cina ha già raggiunto uno degli <<obiettivi dei
due centenari>>. Per prima cosa, ha raddoppiato il PIL pro capite del 2010 aumentandolo a 12.699$
nel 2021 quando il paese ha celebrato il 100° anniversario del Partito Comunista Cinese. In secondo
luogo, diventerà una nazione modernizzata, pienamente sviluppata, ricca e potente in occasione del
100° anniversario della Repubblica Popolare Cinese nel 2049. Se la Cina raggiungerà anche questo
obiettivo, secondo il Fondo Monetario Internazionale, la sua economia sarà il 40% più grande di
quella degli Stati Uniti, quindi diventerà il triplo di quella Americana.
Per aumentare ulteriormente i suoi profitti e massimizzare i benefici come previsto dalla logica
realista, nel 2013 il presidente Xi ha annunciato un progetto di infrastrutture con una durata
pluridecennale e del valore di diverse migliaia di miliardi chiamato “One Belt, One Road”: OBOR.
L’obiettivo a cui mira è la creazione di una rete di trasporti e di tecnologia che attraversa l’Eurasia e
quasi tutti i paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano. Di fatto il programma esporterà parte
dell’eccesso di capacità industriali della Cina e l’obiettivo è quello di creare un corridoio di circa
3.000 km e del valore di 46 miliardi di dollari composto di strade, ferrovie e oleodotti che
attraversano il Pakistan, e da dighe idroelettriche e miniere di stagno in Myanmar, fino ad arrivare a
una nuova installazione navale a Gibuti nel Corno d’Africa. Così come la via della seta originale fu
da stimolo non solo per il commercio, ma anche per la competizione geopolitica, l’OBOR
consentirà alla Cina di estendere il proprio potere su diversi continenti.

Oltre alla sfida economica lanciata dalla Cine, bisognerebbe fare luce su un aspetto più militare del
conflitto. La Cina ha aumentato la sua presenza militare nel Mar Cinese Meridionale, che è stato
fonte di tensione tra i due paesi. La Cina rivendica la sovranità su diverse isole nel Mar Cinese
Meridionale, rivendicate anche da altri paesi, come il Vietnam, le Filippine e gli Stati Uniti
considerano le azioni cinesi come una minaccia alla stabilità della regione e dunque hanno
aumentato la loro presenza militare in alcuni luoghi.
Secondo la teoria del realismo delle relazioni internazionali, il conflitto tra Cina e Stati Uniti nel
mare cinese e in particolare su Taiwan può essere compreso in termini di politica di potenza e
interessi nazionali.
Il realismo enfatizza il ruolo del potere e dell'interesse personale nelle relazioni internazionali,
suggerendo che gli Stati sono principalmente interessati alla propria sicurezza e sopravvivenza in un
sistema internazionale competitivo e anarchico.
Da una prospettiva realista, il conflitto tra Cina e Stati Uniti per Taiwan può essere visto come una
lotta per il potere e l'influenza nella regione Asia-Pacifico. Entrambi i Paesi hanno importanti
interessi strategici nella regione e il controllo su Taiwan è considerato un fattore chiave per
mantenere il dominio regionale.
Taiwan è una piccola isola dell'Asia orientale che è stata al centro di una disputa geopolitica di
lunga data tra Cina e Stati Uniti. Questa disputa ha le sue radici nella complessa storia di Taiwan e
nel suo attuale status di democrazia autogestita non riconosciuta dalla Cina come Stato sovrano
separato.
La Cina considera Taiwan come parte del proprio territorio sovrano ed è da tempo impegnata a
riunificare l'isola con la terraferma. Gli Stati Uniti, invece, hanno fornito sostegno militare e
diplomatico a Taiwan sin dalla fine della guerra civile cinese nel 1949 e si sono impegnati a
difendere l'isola da qualsiasi tentativo di riunificazione forzata. Nel 1979, gli Stati Uniti hanno
cambiato il riconoscimento diplomatico da Taipei a Pechino come parte della normalizzazione delle
relazioni con la Cina, ma hanno continuato a fornire assistenza militare a Taiwan in base al Taiwan
Relations Act. Questo atto prevede che gli Stati Uniti forniscano a Taiwan le armi difensive
necessarie e da allora è un elemento cruciale delle relazioni tra Stati Uniti e Taiwan. La situazione
attuale è complicata da diversi fattori. La Cina è diventata sempre più assertiva nelle sue
rivendicazioni territoriali nella regione, anche su Taiwan. Ha aumentato la sua presenza militare
nella regione e ha cercato di isolarla dal punto di vista diplomatico, facendo pressione sui Paesi
affinché tagliassero i legami con Taipei. Gli Stati Uniti, nel frattempo, sono diventati più espliciti
nel loro sostegno a Taiwan e hanno intensificato la loro presenza militare nella regione, anche
attraverso operazioni di libertà di navigazione nello Stretto di Taiwan che hanno portato talvolta a
degli incidenti.
La Marina degli Stati Uniti ha istruito le proprie navi affinché evitino ogni scontro e, qualora si
trovino difronte a simili tattiche, agiscano per ridurre la tensione, ma non sempre la Marina ci è
riuscita. Nell’aprile del 2001, un aereo spia statunitense che volava nei pressi dell’Isola di Hainan si
è scontrato con un caccia cinese che lo stava tartassando per dimostrare la contrarietà di Pechino a
questi voli per la raccolta di informazioni. Il pilota cinese rimase ucciso, mentre quelli statunitensi
furono costretti a compiere un atterraggio di fortuna in territorio cinese, scatenando cosi la prima
crisi internazionale del presidente George W. Bush. L’equipaggio americano, che era stato arrestato
dai cinesi, venne liberato dopo dieci giorni, mentre i cinesi trattennero l’aereo per un tempo più
lungo per estrarre la tecnologia di spionaggio top secret installata sul velivolo. A partire da questo
episodio l’EPL (esercito popolare di liberazione, cioè le forze armate della repubblica popolare
cinese) ha alterato l’equilibrio di forze nelle acque adiacenti alla Cina. Ha creato isole, dispiegato
batterie missilistiche e costruito campi d’aviazione lungo tutto il Mar Cinese Meridionale, la Cina
sta creando una nuova situazione di fatto per porre minacce maggiori alle forze armate statunitensi
su queste rotte di navigazione.
La Cina ha inviato decine di aerei da combattimento che hanno toccato la zona di difesa aerea di
Taiwan e minacciato l'isola che rivendica come propria. Per quanto riguarda questa situazione
Biden ha ammesso che in caso di aggressione difenderà Taiwan mentre Pechino ha dichiarato che
non c’è nessun margine per i compromessi. Da queste affermazioni si può dedurre che la strada
della pacificazione tra i due giganti è molto lunga e tortuosa, se non irrealizzabile. Wang Yi
(ministro degli affari esteri cinesi) ha risposto duramente alle affermazioni di Biden, accusando gli
Stati Uniti di inaccettabile intromissione negli affari interni cinesi, mettendo in guardia Washington
sulle prossime mosse poiché saranno considerate da Pechino atti bellici (come lo è già l'invio di
truppe USA sul suolo di Taiwan).
Alla luce di questi episodi, le tensioni tra Cina e Stati Uniti su Taiwan riflettono una più ampia
competizione per il potere e l'influenza nella regione Asia-Pacifico, nonché uno scontro di interessi
e valori nazionali. Il realismo suggerisce che il conflitto è destinato a persistere finché entrambi i
Paesi vedranno Taiwan come una componente critica dei loro interessi strategici e saranno disposti
a usare la forza militare o altri mezzi per raggiungere i loro obiettivi.

Mettendo da parte le specificazioni riguardo al conflitto prettamente economico, militare e di


controllo dei territori, bisogna soffermarsi anche sulle differenze culturali tra Stati Uniti e Cina, che
il politologo Graham Allison definisce un vero e proprio scontro tra civiltà riprendendo Samuel
Huntington, uno studioso di scienze politiche che sostiene:“La mia tesi è che in questo nuovo
mondo, l’origine principale del conflitto non sarà anzitutto ideologica o economica. Le maggiori
divisioni all’interno dell’umanità saranno di tipo culturale. Lo scontro delle civiltà dominerà la
politica globale”Samuel Huntington “The clash of Civilizations”. In passato la politica verso la
Cina era sostenuta dalla convinzione che la Cina si sarebbe liberalizzata o, come minimo, sarebbe
diventata meno autoritaria, prendendo il suo posto nell'ordine internazionale come un partner
piuttosto che un concorrente.
Questa convinzione riguardo la transizione della Cina, come sostiene Huntington proviene da una
costante, quasi millenaria, convinzione americana che la democrazia liberale sia la migliore forma
di governo che alla fine vincerà sulle altre. Un esempio lampante di questa concezione si riscontra
in un commento di Biden riferito a Xi Jinping durante il suo primo congresso: “È seriamente
intenzionato a rendere la Cina la nazione più influente e importante del mondo. Lui e gli altri
autocrati pensano che la democrazia non sia in grado di competere contro le autocrazie nel
21esimo secolo. Ma noi dimostreremo che la democrazia funziona”Joe Biden.
Da qui ne diverrebbe una “civiltà universale”, così definita da Huntington, ossia una visione
occidentale direttamente in contrasto con il cosiddetto particolarismo della maggior parte delle
civiltà asiatiche. L’occidente crede che un insieme fondamentale di valori, come l’individualismo, il
liberalismo, l’uguaglianza, la libertà, la democrazia, il libero mercato dovrebbero essere accolti da
tutta l’umanità. Al contrario, le culture asiatiche apprezzano l’insieme di valori e credenze a loro
peculiari che li contraddistinguono dagli altri.
Di conseguenza, il fallimento dei paesi del Medio Oriente nel seguire questo modello non è tanto
una questione di essere meno civilizzati o moralmente retrogradi, ma uno scontro tra visioni
fondamentali del mondo con idee che sono contraddittorie nel loro insieme.
Huntington sostiene che la Cina e i paesi di influenza cinese condividono una comune visione del
mondo confuciana. Le culture confuciane pongono l'autorità, la gerarchia, l'armonia e la
subordinazione dell'individuo alla società come presupposti culturali centrali. Questo, naturalmente,
è in netto contrasto con la devozione americana alla libertà, all'uguaglianza, alla democrazia e
all'individualismo. Mentre le società confuciane pongono grande enfasi sulla costruzione del
consenso e sul “salvarsi la faccia”, gli americani apprezzano l'auto-espressione, il dibattito e la
critica come mezzo per mandare avanti la società. 
Inoltre, va rilevato che la cultura collettivista cinese enfatizza il lavoro di squadra, la famiglia e gli
obiettivi di gruppo al di sopra dei bisogni o desideri individuali. Al contrario, gli Stati Uniti
valorizzano le conquiste individuali. Il collettivismo cinese è così forte che ovunque essi emigrino,
rafforzeranno sempre i legami con gli altri cinesi.
Da qui, una visione estremamente rivoluzionaria e innovativa delle RI, grazie all’introduzione della
variabile culturale, focalizzata in un’ottica di pessimismo realista che descrive il sistema
internazionale come un sistema sopraffatto dall’anarchia, composto da una molteplicità di attori
unitari e razionali (gli Stati) la cui agenda internazionale è incentrata sulla sicurezza e sulla ricerca
di potere. La cultura costituirebbe la variabile interveniente tra l’anarchia del sistema internazionale
e il comportamento degli Stati. Tale variabile rappresenta il parametro che si aggiunge alla variabile
classica dei realisti costituita dalla distribuzione del potere.
In breve, le differenze culturali possono accelerare l'attuale guerra commerciale tra Stati Uniti e
Cina.

Ad oggi, dunque, è alquanto evidente che la Cina difficilmente si liberalizzerà, che la Cina
probabilmente non diventerà mai molto simile all'America o all'Occidente. Ad ogni modo, non
bisognerebbe cercare di convertire i cinesi allo stile di vita occidentale, ma piuttosto bisognerebbe
sviluppare una relazione funzionale che porti benefici ad entrambi i paesi ma oggigiorno, questo
sembra molto più che lontano mentre sembra piuttosto vicina la fiamma che alimenterà ancora di
più questo conflitto tra giganti.
Come mostrano questi scenari, lo stress di fondo generato dall’ascesa travolgente della Cina crea
delle condizioni in cui eventi accidentali come l’incidente nelle acque cinesi, potrebbero innescare
un conflitto su larga scala.
I leader di ambo i paesi per esigere il rispetto che spetta alle due potenze, potrebbero cadere in una
trappola. Se verrà mantenuta la traiettoria attuale, nei prossimi decenni una guerra tra due grandi
potenze non solo sarà possibile ma molto più probabile di quanto la maggior parte delle persone sia
disposta ad ammettere.
In conclusione, quindi le relazioni tra Stati Uniti e Cina sono un complesso intreccio di
cooperazione, competizione e tensioni, caratterizzato da dimensioni economiche, politiche e
militari. Un'analisi realista suggerisce che gli Stati Uniti e la Cina sono stati impegnati in una
strategia di bilanciamento del loro potere e della loro sicurezza, con gli Stati Uniti che hanno
perseguito una strategia di contenimento dell'ascesa al potere della Cina, mentre la Cina ha
perseguito una politica di sviluppo pacifico. Il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Cina è incerto,
con potenziali conflitti e tensioni all'orizzonte, poiché entrambe le superpotenze continueranno a
perseguire il proprio interesse personale e l'equilibrio di potere per mantenere il proprio dominio a
livello globale.

Fonti:
1
Graham, Allison: Destined for war. Can America and China escape Thucydides’s trap?: Houghton
Mifflin Harcourt, 2017.
2
Mazzei Franco, Marchetti Raffaele, Petito Fabio: Manuale di politica internazionale: Egea, 2010
3
Morgenthau J. Hans: Politics Among Nations: The Struggle for Power and Peace: McGraw-Hill
Education, 1948
4
Vecchiarino Domenico: La fortezza Taiwan, l’origine della discordia: formiche.net (Airpress),
2022, link articolo: https://formiche.net/2022/09/taiwan-formosa-storia-cina/

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