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Relazione del film The Post (2017)

“La libertà di stampa è un diritto che permette ai giornalisti di essere guardiani della
democrazia”. Così parla Steven Spielberg, regista del film drammatico/storico “The Post”
che si afferma quale inno alla libertà di stampa e al valore dell’informazione a sostegno
della democrazia. La pellicola racconta e ripropone la famosa vicenda dei “Pentagon
Papers”, documenti commissionati nel 1967 dal Segretario alla Difesa degli Stati
Uniti Robert S. McNamara e che attestarono il ruolo degli Stati Uniti in Indocina a partire
dal 1954. Fu Daniel Ellsberg, analista militare, a consegnarli al “New York Times” in
quanto, nonostante inizialmente fosse stato sostenitore del ruolo degli Stati Uniti in
Indocina, divenne poi fiero oppositore del coinvolgimento politico e militare degli USA
nella guerra poiché scosso dalle massicce perdite americane accumulate durante il
conflitto. Secondo Ellsberg i documenti hanno dimostrato un comportamento
incostituzionale da parte di una serie di presidenti, la violazione del loro giuramento e del
giuramento di ciascuno dei loro subordinati. Ellsberg, pertanto, decise di divulgarli per
porre fine a quella che percepiva come una “guerra illecita”. L’importanza di tali documenti
è indubbia: i “Pentagon Papers” rappresentavano una vera e propria polveriera destinata a
rivelare quella che era la reale situazione in Vietnam. La Casa Bianca, infatti, sapeva di
combattere una guerra impossibile da vincere. La diffusione di determinati atti governativi
fece cambiare idea al popolo americano sulla guerra che scese in strada per protestare
contro il conflitto e contro il governo americano. Tra le bugie e i sotterfugi rivelati dai
documenti, si ricorda sicuramente quello che era l’obiettivo o meglio l’apparente obiettivo
del conflitto: assicurarsi un “Sud Vietnam indipendente e non comunista”. Tuttavia, i
“Pentagon Papers” mostrano tutt’altro: dal memorandum di McNamara il vero motivo non
era “aiutare un amico, ma contenere la Cina”.

“The Post” si apre con una scena di guerra in Vietnam, nella giungla di una base militare
dei marines, per poi proseguire nella giungla d’asfalto degli uffici del Washington Post. Il
film vede quello che è un incontro scontro tra due personalità lontane ma allo stesso
tempo vicine, l’editrice del giornale, Katharine Graham e il direttore del Washington Post,
Ben Bradlee. La donna, dopo aver preso le redini dell’azienda, è in procinto di quotarla in
borsa; ma la situazione si fa più complessa del previsto: infatti, i due si troveranno dinanzi a
una questione di enorme delicatezza e importanza il cui esito avrebbe pesanti ripercussioni
sulle sorti dell’azienda di famiglia. Katharine e Ben sanno che rendere pubblici i cosiddetti
“Pentagon Papers” portando alla luce quello che è il coinvolgimento politico e militare
degli USA nella guerra del Vietnam e rivendicando in tal modo il sacrosanto diritto della
libertà di stampa significherebbe, allo stesso tempo, mettere a rischio l’azienda nonché la
carriera dei suoi redattori, accusati di aver danneggiato la sicurezza nazionale. La donna
deciderà tuttavia di andare in fondo alla vicenda e renderà pubblici i documenti. Il suo
coraggio e la sua determinazione saranno premiati dato che i redattori del “Washington
Post” verranno successivamente assolti dalla Corte Suprema in quanto “la stampa non è
destinata a servire coloro che governano bensì coloro che sono governati”.
Dalla visione di “The Post” emergono chiaramente rilevanti spunti di riflessione su
questioni di fondamentale importanza e più che mai attuali: su tutte, la libertà di stampa e
di espressione, quali diritti inalienabili di ogni società. Si tratta di pilastri fondamentali di
qualunque democrazia che si rispetti in quanto assicurano al popolo di essere libero di
ricevere e diffondere informazioni che non siano manipolate o al servizio di una particolare
persona, organizzazione o interesse. Ciò rende possibile indagare sulle persone di potere e
sulle istituzioni, porre domande su ciò che accade nel mondo, permettendo così la ricerca
della verità. Non solo: la libertà di stampa svolge la primaria funzione di informazione, di
Informare sulla realtà politica e sulle questioni sociali di primo piano. Del resto, una
democrazia è migliore se i cittadini dispongono di informazione di qualità, in quanto
potranno scegliere in modo razionale i loro rappresentanti e approvare le scelte migliori
per la convivenza. Se non sono correttamente informati, invece, tenderanno a credere a
chi dice le cose che più sollecitano le loro paure e desideri. E’ chiaro in questo senso il
ruolo cruciale svolto dai media, così come sono evidenti i contributi alla società derivanti
da un’adeguata informazione. Contemporaneamente però, possono scaturire conseguenze
negative da una scarsa qualità di informazione: l’epoca attuale, infatti, si caratterizza per la
sempre più facile diffusione di fake news nonché per limitazioni alla libertà di stampa e ai
diritti fondamentali. Ci si trova a dover affrontare un vero e proprio conflitto fatto non di
violenza fisica ma di manipolazione sistematica dell’informazione, a vantaggio di persone o
istituzioni. Una vera e propria guerra cognitiva, termine con cui si intende una forma di
conflitto organizzato in cui soggetti o gruppi differenti si confrontano sul piano della
capacità di produrre, mettere in relazione ed eludere elementi di conoscenza in un
contesto conflittuale. La guerra cognitiva mira a costruire e a rendere stabili
rappresentazioni mentali generalizzate, ossia idee e modi di pensare diffusi nell’opinione
pubblica che orientano emozioni, atteggiamenti, ragionamenti, scelte e comportamenti dei
soggetti servendosi di numerosi strumenti, tra cui: la pubblicità, ossia la diffusione di
messaggi il cui scopo primario è quello di influenzare e non di informare, o anche la
disinformazione, quindi il diffondere notizie infondate, allo scopo di danneggiare
personaggi pubblici.

Per riuscire ad affrontare il sempre più facile dilagare di notizie false definite
oggigiorno“bufale”, è dunque necessario adottare un atteggiamento di scetticismo attivo:
alla lettura di qualsivoglia informazione, è indispensabile, al fine di evitare di adottare
decisioni sbagliate o affrettate, sospendere il giudizio, verificare le fonti normative e
informative, distinguere fatti verificati e certi quindi appartenenti al piano oggettivo, da
notizie probabili ma non certe (il cosiddetto piano quasi-oggettivo) distinguendo a loro
volta queste ultime da semplici opinioni tipiche del piano soggettivo. Si può quindi definire
lo scetticismo attivo come una forma pratica di senso critico, utile a evitare di finire
inconsapevolmente in balia di tali conflitti cognitivi.

Tema portante e indubbiamente attuale di “The Post” è rappresentato, inoltre, dalle


pressioni dell’istituzioni sulla stampa: in Ben e Katharine si identificano tutti quei giornalisti
che, ponendo al centro del proprio impiego la costante ricerca della verità, sono costretti
sempre più spesso a tacere dinnanzi alle pressioni e alle minacce dei potenti, temendo
pesanti ripercussioni sulla loro carriera e sulla loro vita: tuttavia, ogni qualvolta viene
tappata la bocca a un giornalista con ricatti e intimidazioni, un pezzo di democrazia viene
meno. Si assiste sempre più spesso a veri e propri soprusi nei confronti di un diritto
fondamentale come lo è il diritto di stampa, non solo in Paesi più arretrati dal punto di
vista socio-culturale, ma anche in Paesi ben più sviluppati: basti pensare alla guerra portata
avanti dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti della stampa e, allo
stesso tempo, nei confronti della Costituzione USA, attaccando il “sacro” Primo
Emendamento: infatti, quest’ultimo garantisce la libertà di culto nonché la libertà di parola
e di stampa, oltre al diritto di riunirsi pacificamente e di appellarsi al governo per
correggere i torti. Per Trump, la stampa americana era colpevole di accendere i riflettori
sulla sua gestione e ciò era quanto bastava per ordinare all’amministrazione degli USA di
non rinnovare gli abbonamenti ai due principali quotidiani politici nazionali: il New York
Times e il Washington Post. Inoltre, vanno ricordate le ripetute offese ai media, definiti
“disgustosi” e “corrotti”. Insomma, si tratta di corsi e ricorsi storici che tristemente passano
in sordina.

Infine, altra questione posta in risalto dalla pellicola di Spielberg è sicuramente la


condizione femminile in ambito lavorativo, rappresentata e incarnata da Katharine
Graham, editrice del “The Washington Post”, giornale in ascesa al tempo (si parla degli
anni 70’ del Novecento) ma ancora legato a una dimensione minore rispetto a testate
giornalistiche ben più importanti come il New York Times. La Graham, infatti, si trovò a
dover rivendicare il suo ruolo di donna in un ambiente ancora contraddistinto da una forte
egemonia maschile. L’editrice fronteggiò direttamente tali discriminazioni, riuscendo a
ricoprire l’incarico solo dopo il suicidio del marito il quale, a sua volta, ottenne il lavoro dal
padre di Katharine. La donna svolse una funzione di primo piano in quella che fu la
“rivelazione” dei Pentagon Papers e il suo coraggio diede un enorme contributo nel
facilitare le dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon, in seguito allo scandalo
Watergate, definito dal New York Times stesso come “il tramonto della dignità civile di una
classe dirigente”: si tratta del famoso caso di spionaggio organizzato dai repubblicani ai
danni del comitato elettorale del partito democratico per le elezioni del 1972.

Quello della discriminazione delle donne sul lavoro è un tema di vitale importanza in
quanto si parla di un fenomeno che tutt’ora sopravvive in molti paesi del mondo
nonostante i progressi sperimentati recentemente. Infatti, le donne sono ancora lontane
dal raggiungimento dell’uguaglianza di genere e talvolta sono intrappolate in lavori poco
qualificati e retribuite in maniera inferiore rispetto agli uomini. Tale problematica è
preoccupante non solo poiché viola i diritti fondamentali ma ha anche ripercussioni
rilevanti dal punto di vista economico e sociale. Le discriminazioni soffocano opportunità,
sprecano il talento umano necessario per il progresso economico e accentuano le tensioni
sociali e le disuguaglianze. Pertanto, la lotta alla discriminazione è parte essenziale della
promozione del lavoro dignitoso. Inoltre, la parità di genere è strettamente legata alla
giustizia sociale e rappresenta uno degli obiettivi cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni
Unite per lo sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030 rappresenta un’occasione importante per
unire gli sforzi a livello globale e sviluppare politiche coerenti per il raggiungimento
dell’uguaglianza di genere. Intensificare gli sforzi per migliorare l’accesso delle donne a
posti di lavoro dignitosi rappresenta non solo un imperativo morale ma anche
un’importante opportunità per promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo.

Si può quindi affermare che tra gli strumenti della comunicazione sociale, il cinema è ormai
uno strumento molto diffuso ed apprezzato poiché in grado di veicolare messaggi e
insegnamenti basandosi non tanto sulle parole, quanto piuttosto su fatti concreti, espressi
con immagini di grande impatto sugli spettatori e sul loro subconscio. Proprio a causa del
suo forte potere persuasivo e di suggestione, il cinema ha suscitato timori fin dalle sue
origini, tanto da spingere le istituzioni a ricorrere a strumenti di censura, con lo scopo di
“proteggere” la libertà di scelta e di giudizio degli spettatori. E’ indispensabile quindi dare
alla cinematografia il posto e il valore che le spetta, esortando i responsabili ad ogni livello
a prendere piena coscienza della grande influenza che possono esercitare sulla gente e
della missione che sono chiamati a svolgere in periodi come questi, in cui sempre di più si
avverte l’urgenza di messaggi universali di pace e di tolleranza. In “The Post” e non solo, il
cinema diventa dunque strumento di critica sociale, in particolar modo se si sofferma sui
rapporti tra l’individuo e la società nel tempo della crisi. Vi è quindi un impegno
pedagogico del cinema e film come “The Post” sanno sensibilizzare nel modo più efficace
possibile-attraverso l’arte cinematografica- argomenti e questioni di assoluta importanza e
criticità.

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