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Barry M.

Goldwater
 
LA VITA. L'UOMO DI AZIONE.

Barry Morris Goldwater è scomparso venerdì 29 maggio 1998 all’età di


ottantanove anni.

Discendente da una famiglia di ebrei polacchi emigrati in America


Settentrionale nel 1862, nacque a Phoenix capitale della “remota” e bruciata
Arizona il 1° gennaio 1909, dunque tre anni prima che questa entrasse a far
parte dell’Unione nordamericana il 14 febbraio 1912, e può essere
considerato “il padre della Destra statunitense” solo a patto di procedere per
slogan e di voler sacrificare ogni criterio di approfondimento sull’altare della
gergalità giornalistico-massmediatica.

La Destra conservatrice statunitense costituisce infatti un fenomeno


culturale in sé molto più ampio, profondo e antico della figura — con tutto il
rispetto dovutole — del senatore Goldwater. In questo secolo “rinasce” tra
fine anni Quaranta e inizio anni Cinquanta, dopo una lunga stagione di
disorientamento ricostruibile per nodi salienti: remotamente la ferita della
Guerra Civile (1861-1865); poi la nascita, in America Settentrionale, di una
struttura partitica più simile (benché mai del tutto uguale) a quella a forte
base ideologica tipica del Vecchio Continente di ascendenza illuministico-
giacobina e radical-libertina (se il primo di questi due riferimenti guarda alla
Francia moderna, il secondo punta all’Inghilterra e alla Gran Bretagna del
Sei-Settecento); l’avvento di un sempre più marcato bipartitismo, a cui corre
parallela la profonda trasformazione interna al Partito Democratico e a quello
Repubblicano (grosso modo il primo iniziò come “Destra” finendo per
diventare “Sinistra”, e viceversa); quindi i colpi decisivi portati a quanto
rimaneva del Vecchio Sud e al Midwest, figli di una cultura non
metropolitana, non “yankee” e meno filosoficamente modernizzante; infine i
forti traumi causati alla nazione dalle presidenze dei Democratici Woodrow
Wilson (1912-1920) e Franklin Delano Roosevelt (1932-1945), nonché dalla
rivoluzione pedagogica d’inizio secolo condotta da John Dewey e
dall’attivismo giudiziario di Earl Warren, presidente della Corte Suprema dal
1953 al 1969.

Nel “rinascimento” della Destra nordamericana — la riscoperta di un’identità


nazionale in atto, non la formulazione di un costrutto ideologico aprioristico
—, Goldwater s’impone pertanto come referente politico di un vasto
fenomeno culturale pre-esistente, non come “inventore” di un movimento.
 
LA DESTRA CONSERVATRICE NEGLI STATI UNITI 

Fra leader, partito e popolo, la Destra conservatrice statunitense ha sempre


vissuto un rapporto difficile con chi, in occasione delle diverse tornate
elettorali, le si è proposto nei panni di suo alfiere o paladino, soprattutto
quando e dove la struttura ideologica tipica del “partito moderno” ha iniziato
a svolgere un ruolo preponderante in queste dinamiche.
Nel 1992, rispondendo a una domanda del sottoscritto, lo storico delle idee
Russell Kirk individuava nel popolo che li ha appoggiati, indicati, a volte
eletti, quasi sempre votati, il denominatore comune fra Robert A. Taft, Barry
M. Goldwater, Ronald W. Reagan e Patrick J. Buchanan, nel bene e nel male
referenti politici eminenti del mondo conservatore. I Taft, i Goldwater, i
Reagan e i Buchanan passano e vanno, lasciando impronte durevoli solo
nella misura in cui sanno interpretare l’ethos della nazione che li precede
logicamente e ontologicamente, e quando colmano (pur mantenendo tutte le
opportune e fondamentali differenze) lo iato fra politica e cultura altrimenti
riempito con i palliativi del riduzionismo pragmatistico (quando a dominare il
rapporto organico fra quei due momenti è la distorsione del primo, la
politica) o del surrogato ideologico (quando impera la distorsione del secondo
momento, la cultura) che fungono solo da coibenti isolanti.

In America Settentrionale, nel rapporto fra cultura conservatrice ed


esponenti politici di partito, la densità e la quantità del riempitivo
pragmatistico o ideologico varia a seconda di quanto la “logica del potere”
sopravanzi, snaturi, censuri, inibisca e rattrappisca i princìpi di fondazione e
di riferimento di un ambiente umano che in determinati momenti — tenendo
presente l’importanza dell’hic et nunc, ma senza mai scambiare una tornata
elettorale con l’Armageddon — sceglie di puntare su un determinato auriga,
oppure di quanto grande sia l’incidenza di dottrine di partito, ordini di
scuderia ed elementi culturali alieni e spuri.

Spesso, del resto, l’opera di riduzione della distanza esistente fra cultura e
politica — conservatorismo e candidati elettorali di questo o di quel partito —
chiede tempi e modalità tali da costringere in alcuni casi gli elettori a
scegliere realisticamente fra “quel che c’è”. In certi frangenti — sotto
l’urgenza e la spinta del confronto diretto, soprattutto quando polarizzato e
decisivo benché, come detto, solo in alcuni casi precisi una consultazione
elettorale o referendaria possa assumere i caratteri dello “scontro finale” —,
l’indicazione dell’elettore può ridursi solo a esprimere quanto più
vistosamente e vigorosamente possibile la distanza diametrale massima fra
due visioni del mondo, o due soluzioni a fronte di un determinato problema,
scegliendone recisamente una e rifiutandone seccamente un’altra. Fatti salvi
quei princìpi oserei dire di diritto naturale — la soglia invalicabile del quale
deve restare intonsa pena il crollo dell’axis mundi della convivenza civile fra
gli uomini —, spesso quanto scelto in questo modo non rappresenta affatto
l’optimum, ma solo il possibile perché tertium non datur.

Detto tutto ciò, l’area entro cui tratteggiare e comprendere la figura pubblica
del Goldwater politico è disegnata.

Goldwater è incomprensibile senza la grande cornice del variegato network


conservatore che ne spinge e ne motiva, mutatis mutandis, l’azione: con lui il
conservatorismo raggiunge il palco principale della scena politica
statunitense e — ancor più che non con Taft in passato — la profonda
elaborazione culturale della Destra si connette a un front-man efficace e
combattivo, mentre al Partito Repubblicano viene impressa quella forte
virata verso destra che sta ancora oggi alla base dell’idea (errata) del “Grand
Old Party” — così viene altrimenti definito il Partito Repubblicano
nordamericano — come casa comune tout court di tutti i conservatori.

Negli ambienti goldwateriani si sono del resto fatti le ossa un po’ tutti i
leader dell’attivismo giovanile della Destra, comprese quelle figure che anni e
decenni dopo sarebbero a loro volta salite alla ribalta nazionale e
internazionale come candidati politici del Partito Repubblicano. La cosiddetta
“Reagan Revolution” degli anni Ottanta e la discesa nell’arena politica di
Patrick J. Buchanan — la prima volta in occasione delle presidenziali del
1992 —, ma anche le affermazioni Repubblicane nelle votazioni per il rinnovo
del Congresso degli ultimi anni — in particolare quelle del 1994, quando
Newt Gingrich lanciò il programma definito “Contract with America” —,
affondano di fatto e di principio le radici nel “fenomeno Goldwater”.

Il sostegno a Goldwater divenne per esempio un punto distintivo degli Young


Americans for Freedom, organizzazione chiave del “Draft Goldwater
Movement” (la rete di attivisti che gestì la propaganda elettorale presidenziale
del senatore dell’Arizona) e di quella che sarebbe divenuta la selva di
fondazioni e d’istituti in cui si è sviluppata la Destra nordamericana negli
anni successivi. Formata nel 1960 nell’abitazione newyorchese di William F.
Buckley Jr., il fondatore di National Review, per favorire l’educazione
politico-culturale dei giovani, ha visto passare fra le proprie fila un po’ tutti i
futuri leader della Destra statunitense; per esempio Lee Edwards, l’autore di
quella che forse è la biografia più completa di Goldwater.

Il senatore dell’Arizona fu un vero capo, un uomo cioè capace di scegliere


adeguatamente i propri consiglieri e i propri collaboratori tenendo conto non
tanto del ricatto dell’elettorato, ma intelligentemente dell’humus del proprio
paese. Il suo successo — al di là della sconfitta di allora, un certo
“goldwaterismo” ha infatti trionfato negli Stati Uniti d’America con e da
Reagan in poi — è stato il successo di un vasta porzione di popolo
nordamericano, quella che peraltro ha la pretesa di rivendicare la più diretta
continuità con le tradizioni di fondazione della nazione.

Il conservatorismo, che nel senatore scomparso ha avuto un esponente


politico di punta negli anni Sessanta, si pone infatti essenzialmente come
movimento culturale che rivendica lo spirito dei Padri Fondatori; l’ideale del
costituzionalismo e del repubblicanesimo classici (in cui nel mondo
anglosassone si fondono, al di là delle concrete scelte istituzionali dettate
dalla storia, dalle situazioni e dai contesti, l’eredità dei Tory e degli Old Whig
britannici della seconda metà del Settecento); il retaggio della cultura del
“precedente”, del “pregiudizio” e del valore normativo delle “usanze” espressa
nella forma mentis che anima il Common Law consuetudinario e
medioevaleggiante; l’opposizione allo spirito filogiacobino dei cosiddetti New
Whig progressisti, razionalisti (come ha affermato Friedrich A. von Hayek) e
pianificatori; la Grande Tradizione della filosofia politica classica
(l’espressione è stata “codificata” da Leo Strauss) e del diritto naturale;
nonché il retaggio di Londra, Roma, Atene e Gerusalemme.
 
THE COSCIENCE OF A CONSERVATIVE

Goldwater — di cui pure la Destra statunitense ha onestamente denunciato


le gravi cadute di tono in tema di liceità dell’omosessualità e dell’aborto — ha
rappresentato per la prima volta nel dopoguerra la possibilità di unire le
diverse “scuole” del conservatorismo in una concreta proposta politica: il
successo non lo ha premiato direttamente, ma l’importanza del suo agire — e
soprattutto del suo saper interpretare il sensus nationis — resta una grande
lezione di realismo e di idealità politiche.

Di lui si ricorda soprattutto il volumetto The Conscience of a Conservative,


pubblicato nel 1960 e nell’agosto 1964, alla vigilia delle elezioni presidenziali
che vedranno la sconfitta elettorale del senatore dell’Arizona a opera di
Lyndon B. Johnson, già ristampato 22 volte per un totale di tre milioni e
mezzo di copie vendute. The Conscience of a Conservative è divenuto un
piccolo classico anche in Italia, dove è stato pubblicato, a Milano nel 1962
per volontà del giornalista Romano F. Cattaneo e nella traduzione realizzata
da Henry Furst, da «Le Edizioni del Borghese» con il titolo Il vero
Conservatore e come prima uscita di una biblioteca non conformista allora
davvero d’avanguardia.

A questo proposito vale la pena di ricordare che quel famoso libro-


programma venne in realtà scritto da L. Brent Bozell, scomparso nel 1997.
Cattolico tradizionalista, “carlista”, una delle prime persone a dimostrare
pubblicamente e rumorosamente contro l’aborto statunitense nel 1970,
Bozell fondò nel 1966 il mensile Triumph come roccia inamovibile nel mezzo
della tempesta del progressismo postconciliare. Al suo fianco vi era Frederick
D. Wilhelmsen (morto nel 1996), altro “carlista” e docente di filosofia alla
Dallas University di Irving nel Texas, nonché presidente della Society for
Christian Commonwealth la quale svolgeva corsi estivi nel palazzo di El
Escorial di Madrid in quanto emblema della Cristianidad iberica. Su Triumph
firmarono nomi come Otto d’Asburgo, Lin Carter, Russell Kirk, Christopher
Dawson, Erik Maria Ritter von Kuehnelt-Leddihn — scomparso il 27 maggio
1999, all’età di novant’anni —, Jeffrey Hart e tanti altri. Una delle filiazioni
più significative dell’ambiente di Bozell e di Wilhelmsen è peraltro stato il
Christendom College di Front Royal, Virginia, la cui casa editrice —
Christendom Press — sta preparando un’antologia dei pezzi più significativi
di quell’importante periodico.

Goldwater fece proprio, firmò e indossò quel testo scritto per lui da Bozell,
trasformandolo in un programma politico capace di raccogliere le diverse
anime della Destra statunitense attorno a un sensus commune e d’imprimere
al Partito Repubblicano una sterzata verso destra i cui effetti sono ancora
forti.
Ora, Goldwater è stato — nonostante tutte le aspre critiche che gli sono state
rivolte e le caricature a cui è stato ridotto — un uomo politico tanto
intelligente da sapersi circondare — consapevole di essere in politica
anzitutto per dare gambe e corpo alle “visioni” elaborate dai “professionisti”
della cultura — di consiglieri di prima piano e di un certo tipo. Per esempio,
dietro alle pagine di Why Not Victory?, un volume che nel 1962 auspicava la
sconfitta completa dell’Unione Sovietica rispondendo ai liberal che invece
flirtavano con l’«Impero del Male», si erge la figura dell’analista e filosofo della
politica voegeliniano Gerhart Niemeyer, anch’egli scomparso nel 1997.

Nel 1964, quando la National Review lancia la candidatura alla nomination


Repubblicana di Goldwater — nomina ottenuta dal senatore dell’Arizona ai
danni del liberal Nelson D. Rockefeller, dunque imprimendo una netta svolta
a destra dell’intero partito (svolta che in parte dura ancor oggi), quindi
ancora segnando una tappa politica importante del successo dell’intero
movimento conservatore —, questo primo tentativo profuso dalla Destra
conservatrice del dopoguerra per conquistare la Casa Bianca conta
sull’appoggio eminente del tradizionalista Russell Kirk (che per il senatore
dell’Arizona scrive alcuni discorsi); del “fusionista” Frank S. Meyer, per il
quale è solo l’anticomunismo militante a potere mettere d’accordo
tradizionalisti e liberali classici; del “buckleyano” William Rusher; degli
anarco-capitalisti Ayn Rand (“atea militante”) e Milton Friedman; dei cattolici
Buckley e Bozell; e del collaboratore del Dipartimento di Stato
nordamericano Niemeyer; nonché addirittura del “semiprogressista”
straussiano Harry V. Jaffa.

Goldwater ha cioè rappresentato il candidato politico del polo costituito dalle


varie anime del conservatorismo culturale statunitense, nonostante le
differenze e a volte la vera e propria impossibilità di reductio ad unum di quel
mondo: Kirk e la Rand, Friedman e Bozell rappresentano coppie come lo
zenit e il nadir, ma in quel momento nessuno è stato tanto insensato e
superficiale da farsi cogliere da raptus di snobismo, né i libertarian da una
parte né i tradizionalisti (cattolici e “integralisti” come il fondatore di
Triumph) dall’altra. A differenza di Taft, sostiene lo storico George H. Nash,
Goldwater era un politico che non disdegnava ammiccare anche alla filosofia.

Secondo Nash, The Conscience of a Conservative reitera le idee base della


filosofia di Russell Kirk con la quale il testo è congruente anche in merito
all’interpretazione dell’esperienza storica della nazione nordamericana. Il
riferimento più diretto di Nash è un “manuale” scritto per i servicemen
impegnati nella Guerra di Corea e per un po’ adottato come libro di testo
dall’Accademia dell’Aeronautica Militare statunitense. Kirk lo pubblicò nel
1957 con il titolo The American Cause.

Chi storce il naso al suono di parole che ricordano i cow-boy, il Vietnam, il


napalm, John Wayne, Rambo e Reagan, dovrebbe invece leggerne le pagine
(ancor più significative, se si pone mente al fatto che vennero redatte prima
della conclusione dell’itinerario di conversione al cattolicesimo che il suo
autore concluse nel 1964). In esso Kirk afferma, e Bozell-Goldwater ripete
poco più tardi, che gli americani (veri) hanno mostrato sin dall’inizio di
possedere una forma mentis conservatrice — certa e tradizionale — basata
su princìpi da sempre riveriti, osservati e difesi, la quale — sola — ha reso
possibile la costruzione di una res publica ordinata e stabile. «In campo
morale essi hanno osservato i precetti religiosi greco-giudeo-cristiani e
innegabilmente formano una “nazione cristiana”»: così sintetizza Nash,
secondo il quale «l’etica cristiana è il cemento della vita americana».
Politicamente sono invece la tradizione giuridica, la dottrina politica e la
pratica britanniche; l’erudizione classica e il cauto realismo dei Padri
fondatori; nonché la libertà disciplinata, tradizionale, moderata e rispettosa
del diritto a costituire il proprium degli Stati Uniti, che non sono una
democrazia pura basata sulla falsa idea dell’“uomo immacolato”. Piuttosto,
riassume sempre lo storico, «“i poteri limitati e decentrati”, il sistema di pesi e
contrappesi, la democrazia territoriale, i diritti dei singoli Stati e i partiti non
ideologici hanno costituito l’essenza del nostro sistema politico», mentre in
economia si è sempre riverita quella libertà d’intrapresa immensamente più
giusta e ordinata di qualsiasi schema collettivistico. Con questo programma,
fondato in Kirk e in altri, Goldwater è sceso nell’arena politica per unire le
diverse anime della Destra contro un nemico progressista — la tirannia delle
masse di tocquevilleana memoria e la demagogia — in quel frangente ben più
pericoloso delle pur importantissime distinzioni interne al conservatorismo.

Eppure nel 1964 a Goldwater — che i Repubblicani preferiranno a


Rockefeller, il quale più tardi otterrà da Gerald R. Ford la vicepresidenza e
dagli ambienti reaganiani l’astio — un’America immatura preferì Johnson,
faccendiere grigio e liberal del Partito Democratico, forse anche sull’onda
lunga dell’emozione scatenata dall’assassinio del presidente John Fitzgerald
Kennedy e dalla conseguente “caccia alle streghe” contro la Destra
alimentata dai media e dalle Sinistre.

Nella corsa alla Casa Bianca di quell’anno uscì sconfitto il Goldwater


candidato presidenziale, ma niente affatto il profondo movimento di popolo e
di opinione che lo aveva scelto come proprio rappresentante. Lungi dal venire
travolto da un tale e pur cocente smacco, il vero Goldwater — il meglio di
Goldwater, ovvero la cultura che il senatore dell’Arizona ha scelto di
rappresentare nell’arena politica — ha finito alla lunga per trionfare.
Goldwater ha infatti mostrato la possibilità di una vittoria (che pure egli non
ha saputo cogliere di persona, ma che anni dopo il “goldwateriano” Reagan
ha conquistato trionfalmente) e soprattutto ha mostrato come per un leader
nazionale sia possibile indossare con successo sulla scena politica (e portare
all’interno di un partito) un progetto culturale forte, deciso e niente affatto
compromissorio.

Come osserva Nash, «movimento intellettuale e politico, il conservatorismo non


raggiunse l’apice con Goldwater, né morì dopo di lui».

Nel 1996, alla vigilia dello scontro presidenziale fra William Jefferson Clinton
e Robert Dole, Lee Edwards — oggi uomo di punta di The Heritage
Foundation (il noto think tank di Washington) e del mensile The World & I —,
illustrando il proprio voluminoso Goldwater: The Man Who Made A
Revolution, uscito nel 1995, mi ha detto: «Il Goldwater di oggi è Dole».
Con tutta la stima (assolutamente non manieristica) che provo per
Edwards, il senatore dell’Arizona non merita un paragone simile; oppure è
davvero questa la chiave per comprendere l’involuzione di un certo settore
della Destra statunitense avvenuto negli ultimi decenni ed
emblematicamente rappresentato dalla senescenza dello stesso Goldwater,
anziano nel fisico e decrepito culturalmente.

In occasione della scomparsa, la stampa anche italiana ne ha ricordato lo


spostamento a sinistra degli ultimi anni soprattutto su questioni di principio
come quelle dell’aborto e dello stile di vita omosessuale.

È come se il senatore dell’Arizona si fosse dimenticato di quanto Bozell aveva


scritto per lui agli inizi degli anni Sessanta. Forse, negli ultimi anni, spentesi
le luci della ribalta che ne avevano rischiarato la figura nel tormentato
decennio delle rivolte nei campus universitari — il ’68 statunitense —, della
contro-cultura promossa dalle Sinistre e delle mosse propagandistiche di
Nikita Kruscev tese a dilatare l’influenza sovietico-comunista nel mondo in
maniera nuova rispetto allo stalinismo puro, Goldwater, dei tanti consigli
ricevuti dal fior fiore dell’intellettualità conservatrice e libertarian
nordamericana, ha ricordato solo lo slogan «l’estremismo in difesa della
libertà non è un vizio», scordandone il seguito: «la moderazione nella ricerca
della giustizia non costituisce virtù». Di questo fu padre Harry V. Jaffa,
appartenente a una delle scuole filosofiche straussiane, sempiprogressista
d’impronta egalitarista e grande avversario delle migliori menti del
conservatorismo tradizionalista nordamericano degli anni Ottanta. La
concezione della libertà come fine e non come mezzo ha evidentemente
portato il senatore dell’Arizona, un tempo bastione delle «realtà permanenti»
care ai nordamericani, a trasformarsi in un relativista.

Patrick J. Buchanan, nato politicamente nel “Draft Goldwater Movement”, ha


introdotto una nuova edizione di The Conscience of a Conservative, uscita nel
1990, rivendicando l’eredità migliore del senatore oggi scomparso. E questi
ne ha prontamente criticato le campagne elettorali del 1992 e del 1996, che
proprio l’essenza del conservatorismo goldwateriano degli anni Sessanta
hanno di fatto incarnato e riproposto.
 
BUCHANAN E GOLDWATER: I DUE ESITI DELLA DESTRA POLITICA NORDAMERICANA
CONTEMPORANEA.

L’associazione d’idee riporta a Bozell e a un’osservazione forse utile per


abbozzare una qualche prima conclusone. Il periodico Triumph fu fondato
sulla scorta dello scontro fra cattolici progressisti e cattolici conservatori,
avviato — secondo Nash — dalla denuncia serrata nei confronti del
progressismo e del secolarismo divoranti la cultura e l’istruzione del paese
che nel 1951 Buckley aveva articolato nel volume God and Man at Yale.
Anche se il mondo di Buckley non è perfettamente sovrapponibile al
“tradizionalismo” cattolico nordamericano, e anche se questi e altre firme
importanti della Destra statunitense finiranno per rompere con Bozell e con
il suo entourage, le pagine del quindicinale, poi settimanale, National Review
— fondato nel 1955 da Buckley come “roccaforte” dei conservatori — hanno
spesso significativamente fiancheggiato quella realtà. L’impresa editoriale-
culturale di Buckley (in anni recenti molto meno rappresentativa che non in
passato) è peraltro l’emblema di quel folto e variegato mondo del
conservatorismo nordamericano che con il cattolicesimo ha, in molti casi,
mantenuto rapporti qualificanti al punto da alimentare la convinzione
(nutrita anche da conservatori protestanti, benché inesatta in questa
formulazione) che le guide intellettuali di quel movimento di pensiero siano
state tutte cattoliche. Triumph e a National Review non erano (non sono mai
state) omogenee, ma comunque sono state “da questa parte del fiume”.

Il grande dibattito fra il “tradizionalismo” cattolico (quanti abusi sotto questo


nome...) e il conservatorismo che si richiama alla Grande Tradizione
occidentale classico-cristiana e alla filosofia politica classica del diritto
naturale, racchiuso emblematicamente nel triangolo descritto da figure
archetipiche del cattolicesimo nordamericano quali Bozell, il filosofo della
politica Willmoore Kendall e il sacerdote gesuita John Courtney Murray, ha
portato a scontri e a incomprensioni forse per certi versi insanabili, ma
anche a importanti tratti di strada percorsi in comune.

Ma i fuochi delle sezioni coniche descritte dalle orbite di questi due mondi
possono sperare di coincidere solo comprendendo adeguatamente il posto
occupato dall’esperienza nordamericana nella storia della Cristianità
occidentale. È la sfida attuale dei conservatori.

Ovvero — e trattando di figure come quella di Goldwater è certamente vero


—, il “movimento conservatore” considerato nel suo insieme è decisamente
più importante dei suoi singoli protagonisti, fatti salvi comunque i vertici
culturali raggiunti da alcuni maestri. Così, nonostante tutto, mentre stanno
scomparendo gli “ultimi vecchi” — i protagonisti di una vera e propria
epopea durata mezzo secolo —, rimane sempre vero quanto usava dire
Reagan, citato da Buchanan nella ricordata introduzione a Goldwater: «Il
meglio deve ancora venire».

L’intero movimento conservatore nordamericano deve insomma ancora


esprimere il meglio di sé, rispondendo a quelle domande che hanno sempre
interessato, a volte angustiato, poi alienato dal “movimento” una figura
(anche emblematica) come quella di L. Brent Bozell, “anima” di Goldwater: la
natura davvero conservatrice degli Stati Uniti d’America, il posto della sua
esperienza storica nello sviluppo della Cristianità occidentale e il rifiuto della
Modernità filosofico-politica iniziata con il 1789 illuministico-giacobino.

Se lo vuole, il conservatorismo autentico è in grado di rispondere a tali


interrogativi giacché, in essenza, è diverso dagli ossimori filosofico-politici
che, nei due secoli che ci distanziano dalla Rivoluzione di Francia, hanno
caratterizzato certe destre (“false destre” le definirebbe il pensatore brasiliano
Plinio Corrêa De Oliveira) note come “liberal-conservatorismo”, “rivoluzione
conservatrice”, e così via. Non essendo il conservatorismo un’ideologia figlia
dell’epoca del relativismo e della secolarizzazione, ma una visione del mondo
che si oppone al 1789 e che si richiama, venendone vitalizzata, alle «realtà
permanenti», esso si pone come fenomeno “antimoderno” per eccellenza. Al
contempo, essendo una tradizione — un cammino —, è un progredire verso
una meta. Il meglio di Barry M. Goldwater, le cui nudità scabrose vanno
coperte imitando il gesto pietoso dei figli di Noè, deve ancora venire.

A decenni di distanza, The Conscience of a Conservative conserva ancora


tutta la propria validità. Qualche pagina può certo apparire datata, ma non
l’impianto generale del testo. La stagione calda dei diritti civili è finita; le
questione del welfare (l’assistenzialismo) o del labor (il sindacalismo) hanno
assunto aspetti per molti versi nuovi; e da dieci anni il “blocco comunista”,
che allora minacciava d’appresso l’Occidente, non c’è più. Eppure, oltre che
come documento storico di un’America Settentrionale completamente diversa
da quella che continua a raccontarci per esempio una Fernanda Pivano, il
volume di Goldwater-Bozell resta sempre verde perché propone valori e
princìpi intramontabili. E perché continua ancora oggi a suggerire una
dinamica vincente.

Goldwater ammiccava alla filosofia, ha scritto lo storico George H. Nash, ma


non era un filosofo. Era un uomo politico. Il primo a mostrare — ben oltre il
1964 e gli Stati Uniti d’America — che la Destra vince in politica e governa
bene un paese quando le sue diverse anime culturali si alleano e si
coordinano, quando la sua rappresentanza politica investe — anche a lungo
termine — sulla costruzione e sulla formazione culturali, quando essa si fa
tribuno delle istanze avanzate dall’anima autentica di una nazione.

Goldwater testimonia, e il suo libro esemplifica, le fortune di un movimento


che non si è adattato per riverire questo o quell’uomo politico, ma che
sapendo farsi strada e acquistare consensi ha attirato su di sé l’attenzione
(magari anche strumentale) della politica. Un movimento, cioè, che ha
“costretto” i politici ad assumerne valori e princìpi per rappresentarli in
politica: perché se a configurare la cultura di questo movimento è un
comune, ma non maggioritario, sentire che si basa sulla verità delle cose,
presto o tardi, per forza e per natura, quel “comune” finisce per significare
anche “maggioritario”, a configurare l’identità di un’intera nazione e —
prosaicamente — a “fare gola”.

Niccolò Machiavelli afferma che «nissuno maggiore indizio si puote avere della
rovina d’una provincia che vedere disprezzato il culto divino», raccomandando
dunque ai principi di «mantenere incorrotte le cerimonie della religione».

Va bene anche così, perché il reale a cui per forza o per amore fanno ritorno
gli uomini politici “vinti” da una scelta culturale di questo tipo (del tipo che
ha “conquistato” un Goldwater) è attraversato da una “mano invisibile”
capace di corregge anche il farisaismo. Il suo nome è verità delle cose.
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

L’esergo utilizzato all’inizio del presente saggio è tratto da BARRY M.


GOLDWATER, Il vero Conservatore, trad. it., Le Edizioni del Borghese, Milano
1962, p. 17.

Notizie biografiche sintetiche sul senatore dell’Arizona sono alla voce


Goldwater, Barry Morris compilata da RUSSELL KIRK per l’Encylopædia
Britannica, 1965.

La biografia più recente e — benché pubblicata prima della sua morte —


probabilmente più completa del senatore dell’Arizona è quella stilata da LEE
EDWARDS, Goldwater: The Man Who Made A Revolution, Regnery, con una
premessa di Trent Lott, Washington (D.C.) 1995.

Offrono notevoli materiali biografici e politici:

ANTHONY E. ARCESE, Conscience and Conservatism, Dorrance, Filadelfia 1968;

JACK BELL, Mr. Conservative: Barry Goldwater, Doubleday, Garden City (New
York) 1962;

MILTON CUMMINGS (a cura di), The National Election of 1964, The Brookings
Institution, Washington (D.C.) 1966;

ROBERT ALAN GOLDBERG, Barry Goldwater, Yale University Press, New Haven
(Connecticut) 1995;

KARL HESS, In a Cause That Will Triumph: The Goldwater Campaign and the
Future of Conservatism, Doubleday, Garden City 1967;

JOHN H. KESSEL (alias John Howard), The Goldwater Coalition: Republican


Strategies in 1964, Bobbs-Merrill, Indianapolis 1968;

PETER IVERSON, Barry Goldwater: Native Arizonan, University of Oklahoma


Press, Norman 1997;

EDWIN MCDOWELL, Barry Goldwater: Portrait of an Arizonan, Regnery,


Chicago 1984;

STEPHEN C. SHADEGG, Barry Goldwater: Freedom Is His Flight Plan, Fleet, New
York 1962;

IDEM, What Happened to Goldwater? The Inside Story of the 1964 Republican
Campaign, Holt, Rinehart and Winston, New York 1965;
DEAN SMITH, The Goldwaters of Arizona, con una premessa di Barry M.
Goldwater, Northland Press, Flagstaff (Arizona) 1986;

THEODORE WHITE, The Making of the President 1964, Signet Books, New York
1965;

ROB WOOD e D. SMITH, Barry Goldwater, Avon Books, New York 1961.

Di carattere autobiografico è invece BARRY M. GOLDWATER con JACK CASSERLY,


Goldwater, Doubleday, New York 1988. Utili sono anche B. M. GOLDWATER,
The Conscience of a Majority, Prentice-Hall, Englewood Cliffs (New Jersey)
1970; IDEM, With No Apologies: The Personal and Political Memoirs of United
States Senator Barry M. Goldwater, William Morrow and Company, New York
1979; e IDEM, Conscience of the Right (registrazione sonora), Encyclopedia
Americana/CBS News Audio Resource Library, Newy York 1980.

Per una contestualizzazione della figura di Goldwater nell’ambito della storia


intellettuale del conservatorismo nordamericano contemporaneo, è
indispensabile riferirsi a GEORGE H. NASH, The Conservative Intellectual
Movement in America Since 1945, 2a ed. accresciuta, Intercollegiate Studies
Institute, Wilmington (Delaware) 1996. Per un suo inquadramento nelle
vicende del movimento conservatore statunitense del dopoguerra — anche in
riferimento alle attività della Destra politica e partitica —, si vedano L.
EDWARDS, The Conservative Revolution: The Movement that Remade America,
The Free Press, New York 1999; M. STANTON EVANS, The Future of
Conservatism: From Taft to Reagan and Beyond, Holt, Rinehart and Winston,
New York-Chiacago-San Francisco 1968; e KEVIN P. PHILLIPS, The Emerging
Republican Majority, Arlington House, Mew Rochelle (New York) 1969.

Una fonte diretta sul “Movimento Goldwater” è F. CLIFTON WHITE con WILLIAM
J. GILL, Suite 3505: The Story of the Draft Goldwater Movement, Arlington
House, New Rochelle (New York) 1967.

Degno di nota l’opuscolo che raccoglie articoli del conservatore Chicago


Tribune, initolato Why We Are for Goldwater: A Series of Editorials From The
Chicago Tribune Run During the 1964 Republican Convention, Tribune
Company, Chicago 1964 (per il carattere decisamente conservatore di questo
quotidiano di Chicago e per il ruolo da esso svolto nel movimento
conservatore statunitense, cfr. JUSTIN RAIMONDO, Reclaiming the American
Right: The Lost Legacy of the Conservative Movement, Center for Libertarian
Studies, Burlingame [California] 1993, Cap. VI, Colonel McCormick and the
Chicago Tribune, pp. 130-148; e L. EDWARDS, The Conservative Revolution:
The Movement that Remade America, cit., passim).

RUSSELL KIRK, comunicazione all’autore, Mecosta (Michigan), agosto 1992. Su


questo punto ho svolto, più in esteso, considerazioni analoghe — che pure cercano
di situare la figura di Barry M. Goldwater fra storia intellettuale e storia politica del
conservatorismo statunitense — nel mio L’inventore del Polo delle Libertà: Barry
Goldwater. Un excursus sul conservatorismo nordamericano, in GIAMPIERO
CANNELLA, ALDO DI LELLO, MARCO RESPINTI e FABIO TORRIERO, Rivoluzione blu. La
sfida di destra alla terza via, con una prefazione di Vittorio Feltri, Koinè, Roma 1999,
pp. 99-135.

«“La tradizione e la continuità più ampie”. Questa frase kirkiana ne suggeriva


un’altra, che negli anni Cinquanta e Sessanta i conservatori venivano sempre più
spesso pronunciando: la “Grande Tradizione”. Questa espressione veniva usata in
modo particolare da Leo Strauss e dai suoi discepoli nell’intento d’indicare la filosofia
politica premoderna di uomini come Platone, Aristotele e Cicerone, in contrasto al
filone moderno giudicato inferiore e articolato da Machiavelli, Hobbes e Locke.
Questa concezione di una tradizione di verità che non conoscono limiti né di tempo
né di luogo esercitava forte attrazione su quei conservatori che, come Kirk, miravano
a rendere ragione della sapidità e della continuità dell’esperienza occidentale»
(GEORGE H. NASH, The Conservative Intellectual Movement in America Since 1945,
2a ed. accresciuta, Intercollegiate Studies Institute, Wilmington [Delaware] 1996, p.
180). Il più noto storico del conservatorismo nordamericano contemporaneo riformula
sinteticamente il medesimo concetto parlando anche de «[…] la fondamentale
distinzione straussiana fra la Grande Tradizione e la ribellione contro di essa
inaugurata da Machiavelli, Hobbes e Locke» (ibid., p. 217).

Cfr. BARRY M. GOLDWATER, The Conscience of a Conservative, Victor Publishing


Company, Shepherdsville (Kentucky) 1960. Nel 1990, in occasione del trentesimo
anniversario della pubblicazione del testo, la Regnery Gateway di Washington ne ha
pubblicata una nuova edizione, arricchita di una introduzione di Patrick J. Buchanan,
promossa e sponsorizzata dalla Young America’s Foundation, un organismo diretto a
Herndon, in Virginia, da Ron Robinson.

Cfr. IDEM, Il vero Conservatore, trad. it., Le Edizioni del Borghese, Milano 1962.

Cfr. IDEM, Why Not Victory? A Fresh Look at American Foreign Policy, McGraw-Hill,
New York 1962, reprint Greenwood Press, Westport (Connecticut) 1980.

Cfr. G. H. NASH, op. cit., pp. 191-192.

R. KIRK, The American Cause, Henry Regnery Company, Chicago 1957, reprint
Greenwood Press, Westport 1975; 2a ed. riveduta, con una premessa di John Dos
Passos, Henry Regnery Company (per iniziativa della Constructive Action di Whittier,
California), Chicago 1966.

G. H. NASH, op. cit., p. 191.

Ibidem (la citazione utilizzata dallo storico è tratta direttamente dalla prima edizione
di R. KIRK, The America Cause, cit. p. 36).

Ibidem.

Ibid., p. 274.

LEE EDWARDS, comunicazione all’autore, Washington (D.C.), settembre 1996.


Goldwater pronunciò queste famose parole in occasione del discorso di accettazione
della nomination del Partito Repubblicano al termine della Convention svoltasi a San
Francisco nell’estate del 1964: cfr. Official Proceedings of the Twenty-Eighth
Republican Convention, Republican National Committee, Washington 1964.

THOMAS STEARNS ELIOT, L’idea di una società cristiana, trad. it. a cura di M. Respinti,
Gribaudi, Milano 1998, p. 120.

G. H. NASH, op. cit., p. 292.

Cfr. WILLIAM F. BUCKLEY, JR., God and Man at Yale, Henry Regnery Company,
Chicago 1951.

Il riferimento è almeno a WILLMOORE KENDALL, The Conservative Affirmation in


America, Henry Regnery Company, Chicago 1963; a IDEM e GEORGE W. CAREY, The
Basic Symbols of the American Political Tradition, Louisiana State University Press,
Baton Rouge 1970, 2a ed., The Catholic University of America Press, Washington
1995; nonché a JOHN COURTNEY MURRAY S.J., We Hold These Truths: Catholic
Reflections on the American Proposition, Sheed and Ward, New York 1960.

PATRICK J. BUCHANAN, The Voice in the Desert, introduzione a B. M. GOLDWATER,


The Conscience of a Conservative, Regnery Gateway, Washington 1990, p. 21.

NICCOLÒ MACHIAVELLI, Discorsi, I, 12.

Tratto da Marco Respinti, "Barry M. Goldwater: il conservatorismo in azione".


TRADIZIONE
Le antiche e provate verità che guidarono la nostra repubblica durante i
suoi primi giorni basteranno ottimamente anche per noi.
Barry Goldwater

CONSERVATORISMO SACRALITà
Il conservatorismo, ci dicono, è antiquato. L’accusa è assurda, e
dovremmo dirlo con audacia: le leggi di Dio e della natura non portano
data.
Barry Goldwater

CONSERVATORISMO
I principi sui quali si fonda la posizione politica conservatrice sono stati
stabiliti da un processo che non ha nulla a che fare col paesaggio
sociale, economico e politico, il quale muta di decennio in decennio e
da un secolo all’altro.
Barry Goldwater

CONSERVATORISMO SACRALITà
I principi del conservatorismo sono derivati dalla natura dell’uomo e
dalle verità che Iddio ha rivelato intorno alla Sua creazione.
Barry Goldwater

VALORI CONSERVATORISMO TRADIZIONE


Le circostanze,sì mutano;e così anche i problemi che sono plasmati
dalle circostanze. Ma i principi che governano la soluzione dei problemi
non possono cambiare. Insinuare che la filosofia conservatrice sia
antiquata sarebbe come che i Dieci Comandamenti o la politica di
Aristotele sono antiquati.
Barry Goldwater

REALISMO VERITà CONSERVATORISMO


Il metodo conservatore di affrontare i problemi consiste semplicemente
nel tentativo di applicare la saggezza, l’esperienza e le verità rivelate
del passato ai problemi d’oggi. Non si tratta di trovare nuove o diverse
verità, ma di imparare come le verità stabilite possano applicarsi ai
problemi del mondo contemporaneo.
Barry Goldwater
 

CONSERVATORISMO
Mi ha molto preoccupato il vedere tante persone dagli istinti
conservatori che oggi sentono il bisogno di scusarsene.
Barry Goldwater

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