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I progenitori di questi scranni, panchine, letti scomodi, degli anni novanta che prossimamente verranno esibiti in qualche spazio

espositivo furono bocciati perch criticavano la politica estera americana - quella che aveva indotto a scaricare sul Vietnam una insensata quantit di bombe - e auspicavano che le micidiali armi della super potenza fossero apprezzate per la loro bellezza ben pi che per la dirompente forza distruttiva. Opere scomode anche queste degli anni novanta che si presentano come altrettanti testi di arte politica e si offrono alla interpretazione libera di altrettanti liberi estimatori darte. Quindi scranni, panchine, letti scomodi che pur pretendendo di essere considerati messaggeri di disagio politico lasciano liberi coloro che li vedranno di attribuirgli altri significati, se non addirittura di utilizzarli -non solo metaforicamente- come strumenti di piacere sessuale e questo in sintonia con quelle ali, eliche, fusoliere di aerei da guerra che negli anni 60, per quanto fossero rivolte a dissuadere dal proseguire la guerra in Vietnam, non impedivano a nessuno di assemblarle per restituirle -con la ritrovata unit- ad un efficace impiego contro luno, laltro, o entrambi i contendenti. La discrezionalit lasciata ai fruitori di interpretare le mie opere non costituisce n un atto inedi-to, n significativo di generoso altruismo poich questi meriti appartengono a Duchamp che esponendo a New York con un titolo arbitrario e come opera sua un candido orinatoio di porcellana, comprato in una rivendita di sanitari, e fondando un museo darte contemporanea destinato ad ospitare anche opere di dubbio valore artistico, seppe suggerire ad alcuni estimatori americani delle prime avanguardie europee lidea rivoluzionaria che un qualsiasi manufatto si prestava ad acquisire significati e valori estetici del tutto arbitrari qualora fosse stato esibito in prestigiosi luoghi desposizione. Sbagliato sarebbe pensare che quella rivoluzionaria idea sia rimasta nellambito del collezionismo e del mercato privato, dal momento che, vinto dallAmerica lultimo immane conflitto, essa fu adottata dalla sua classe dirigente per assecondare i vasti e diversificati impegni che attendevano la neonata potenza imperiale. E nonostante che nelle arti figurative -pittura e scultura- lAmerica non possedesse una tradizione storica paragonabile a quella di molti Paesi europei e asiatici, il compito di tale classe fu tuttaltro che difficile poich pot offrire della nuova potenza unimmagine moderna e spregiudicata valorizzando quegli artisti autoctoni che, a partire dagli anni quaranta, avevano 1

saputo interpretare le poetiche pi estreme che avevano continuato ad attraversare lAtlantico e a sfruttare il fatto che quelle poetiche e le opere da esse ispirate erano rimaste ai margini dellattenzione degli estimatori darte. Fu cos che dagli anni cinquanta il nuovo Stato imperiale mise a disposizione dei pi spregiudicati galleristi di New York i Musei dei suoi Stati e degli Stati alleati e/o sottoposti affinch potessero valorizzare le opere dei loro artisti. Per dare unidea di quanto grande fosse tale generosit basti qui ricordare i Musei che furono messi al servizio di uno solo degli oltre venti artisti che a partire da quegli anni lavoravano per la pi potente galleria di New York, la Leo Castelli. In appena ventanni di attivit presso questa galleria le opere di Jasper Johns furono esposte tra mostre e retro-prospettive da: Pasadena Art Museum-California, 1965,1966; Museum of Modern Art, New York City,1970,1972, 1986; Philadelphia Museum of Art, Pensylvania, 1970; Museum of Contemporary Art,- Chicago, 1971; Museum of Fine Arts, Huston- Texas, 1972; Tate Gallery, London, 1981; Whitney Museum of American Art, New York City,1977, 1982; City Art Museum of St. Luis, Missuri,1985; Jewsh Museum, New York City,1964; e collezionate da: Stedelijk Museum, Amsterdam; Hirshhorn Museum and Sckpture Garden, Washington; Museum of Modern Art, New York City; San Francisco of Modern Art; Seibu Museum of Art, Tokyo; Moderna Museet, Stockholm; Tate Gallery, London;Victoria and Albert Museum, London; Witney of American Art, New York City. Se si ignorasse che lo Stato francese compr la prima opera di Picasso nel 1960, quando lartista era ultra-settantenne, e che nella prima met del XX secolo acquistare e valorizzare opere di artisti anziani, vecchi, morti, era prassi a cui si attenevano i Musei dei paesi democratici in quanto identicamente istituiti per scegliere quali opere -tra tutte quelle create dagli artisti appartenenti a determinate generazioni- meritavano pubblica tutela, non si potrebbe capire lo sconquasso che produsse la classe dirigente americana nellambito delle arti figurative quando unilateralmente abiur tale prassi per affidare la gestione dei Musei a galleristi amici di New York affinch se ne servissero per promuovere i loro artisti. La prima autorevole personalit che si oppose al cambiamento di funzione dei Musei fu Henry Kahnweiler, il mercante darte pi importante del secolo trascorso. Nel 1916 aveva scritto: Non si dovrebbe mai lasciare a disposizione dello Stato denaro per permettergli di aiutare gli artisti viventi perchverrebbe sperperato per persone che non lo meritano. Quarantanni dopo, ormai vecchio, convinto pi che mai che il mondo dellarte dovesse sottostare alle leggi di mercato, rimase profondamente disgustato nel constatare che nella patria del capitalismo nessun significativo settore della societ si era sollevato contro la classe dirigente che aveva tradito tali leggi e nel vedere che questo tradimento era stato compiuto per convogliare lattenzione del mondo su New York a scapito di Parigi. Parigi era capitale universale darte da almeno centocinquantanni per merito dei suoi grandissimi artisti, mentre New York lo sarebbe diventata grazie ai soldi dei cittadini, sperperati dallo Stato per artisti che dovevano ancora dimostrare di esserlo. Ormai convinto che le gallerie americane stiano lavorando per collocare i loro artisti su piedistalli pi alti di quelli sui quali si erano eretti gli artisti delle sue mitiche gallerie -Picasso, Braque, Leger- egli non esita ad attaccare lopera di Polloch, lartista pi noto della scuola di New York, giudicata capace -addirittura- di trascendere la lezione cubista, in nome e per conto di un tormentato subconscio, quando un giudizio obiettivo dovrebbe ravvisare nell action painting di questo artista nientaltro che una delle tante possibili applicazioni dellautomatismo surrealista i cui prodotti sono da catalogare tra quelli che appartengono allarte astratta. Inutile aggiungere che se lopera di Polloch non apprezzata da Kahnweiler, tanto meno lo sono quelle degli altri artisti americani tutte, ai suoi occhi, pretestuosamente sopravvalutate dal momento che altro non sono che derivati delle poetiche europee, alcune delle quali nate ancora prima che vedesse la luce il surrealismo. Giudizi negativi che non possono essere condivisi ma ai quali non si pu negare di affondare le radici su fatti incontestabili poich vero, per quanto riguarda Polloch, che laction painting deriva dallautomatismo surrealista e che le sue opere sono state criticamente sopravvalutate per accre 2

scere il prestigio della scuola di New York. N si pu negare che Kahnweiler avesse ragione a ritenere impossibile che la poetica dadaista, fondata sulla valorizzazione della attivit casuale per rendere improbabile a coloro che lavessero applicata di ottenere risultati poeticamente validi, potesse -solo perch praticata in America- garantire ai neodadaisti -Dine, Johns, Rauschemberg- di ottenere opere sempre tanto eccellenti da meritare di essere esibite nei templi pi esclusivi consacrati all arte. N in base alla definizione che egli ha dato di arte decorativa -pietrificazione . che si manifesta quando . si tratta di fissare un simbolo stereotipato che finisce per vuotarsi di ogni contenuto- si pu misconoscere -come stato fatto- che parte dellarte minimalista -Marden, Ryman, Stella- e concettuale -Barry, Kosut, Heubler- possa essere collocata fuori dal grande contenitore delle arti decorative. E se si dovesse procedere ad esaminare lavversione che ha riversato sugli altri aspetti dellarte moderna americana mai si potr trovare che le sue critiche non siano giuste almeno per due aspetti fondamentali: lessere stata, tale arte, nelle sue parti e nel suo assieme, artificiosamente sopravvalutata e destinata dalla classe dirigente del neo Stato imperiale a svolgere un ruolo vicario. A questo punto si impone la domanda: alla distanza di trentanni dalla morte di Kahnweiler, che senso ha ricordare la sua avversione per larte americana? La risposta : tale arte non avrebbe meritato da parte sua tanta attenzione e ostilit se non fosse stata unarte strumentalizzata. Quindi non una avversione generalizzata alla Artur Danto1 che, in nome della sua filosofia dellarte desunta dagli oggetti inanimati di Duchamp -orinatoi, ruote di biciclette, scola bottiglie, attaccapanni, ecc.-, priva larte addirittura di identit. No: Danto non centra. E nemmeno centrano tutti i filosofi e le filosofie che, nel corso della storia, hanno avversato larte, dal momento che Kahnweiler si propone di esaltarne la perenne vitalit evitando di definirne la natura; una natura che sa essere tanto pi sfuggente quanto pi inestricabilmente compromessa con tutte le attivit umane, da quelle intellettuali a quelle pratiche. Pi modestamente lattacco di Kahnweiler allarte americana non e non vuole essere un attacco di principio al valore artistico delle opere dei suoi protagonisti, ma un at-tacco a coloro che, lodandole oltre il dovuto, le utilizzano per imporre legemonia dello Stato imperiale. Unegemonia che Kahnweiler non accetta nei termini in cui stata posta e imposta, poich non distingue a sufficienza tra politica e cultura, tra i giusti obbiettivi politici -cancellazione dei postumi del militarismo imperiale giapponese, delle dittature nazista e fascista, neutralizzazione dello stalinismo- e larbitrario restringimento di ricerca e di espressione che punisce soprattutto quegli intellettuali e artisti che in buona fede, non rendendosi conto di quanto ci sia di politicamente giusto nel disegno americano, vi remano contro. E tale inaccettabilit nasce in lui ancora prima che dalle convinzioni democratiche dallesigenza di indulgere sullingenuit commessa dal pi grande e stimato artista della sua galleria. Picasso infatti era stato precocemente attratto dalla sirena del cos detto pacifismo avendo partecipato nellagosto 1948 assieme ad altri illustri scrittori ed artisti -tra i quali: Paul Eluard, Ilja Eremberg, Le Courbusier, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Renato Guttuso- al primo Congresso mondiale degli intellettuali della pace che si era tenuto in Polonia dove si erano poste le basi di un pacifismo peloso egemonizzato dallo stalinismo che si proponeva -strumentalmente-, in primo luogo, di contrastare larmamento nucleare e la politica estera americana. Ma Picasso si era spinto oltre dal momento che a questa partecipazione aveva unito liscrizione al Partito comunista francese (PCF) che, assieme a quello italiano (PCI), costituivano le punte di lancia pi pericolose che disponesse l Internazionale comunista nellambito dei paesi occidentali. Da uomo di sinistra -ma non di partito- Kahnweiler consapevole che Picasso meno libero di lui nel giudicare la politica del partito e che distratto dalla vulcanica attivit creativa non trover mai il tempo per meditare a fondo anche solo su una delle gravissime doppiezze che si celavano dietro tale politica. Ci nonostante, conoscendo luomo e quanto fosse grande la sua umanit e inge-nuit,
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Artur Danto ne LA DESTITUZIONE FILOSOFICA DELLARTE -Ed. Tema Celeste,1992- scrive: oggetti [qualsiasi e anche tra loro] indiscernibili diventano opere darte alquanto diverse e distinte grazie ad interpretazioni diverse e distinte pertanto considerer le interpretazioni come funzioni trasformatrici degli oggetti materiali in opere darte.

convinto che per il PCF e per le forze a cui collegato egli sar destinato a scuotere ferree convinzioni che albergano nelle menti di dirigenti e militanti. E che quanto pensava fosse vero lo dimostra anche solo lo sgomento che il grande catalano provoc, nel 1953, alla morte di Stalin, quando gli dedic un ritratto con tanto di baffetti e aria da damerino che pur senza volerlo frantumava impietosamente la rigida iconografia imposta dallalto ai comunisti di rappresentare il feroce dittatore come un uomo destinato ad ispirare solo timore e venerazione. Ma lambiguit che era insita nella militanza politica di Picasso spronava lo stesso Kahnweiler a continuare ad intrattenere con i Paesi doltre cortina un rapporto altrettanto ambiguo, fondato non sulle contrapposizioni ideologiche e politiche frontali, ma su una non dichiarata ostilit rivolta a incrinare il dogma estetico che imponeva agli artisti russi e dei paesi satelliti di rispettare un rigido canone accademico. Un conflitto sotterraneo che doveva culminare nel 1963 quando riusc ad organizzare in Russia una mostra delle opere di Lger. Per quanto osteggiata dallo stesso Kruscev, questa mostra rivela che il lavoro ai fianchi incominciava a dare frutti, come testimonia non solo la relativa libert che durante il soggiorno nel paese dei Soviet fu lasciata a lui e al suo assistente -Maurice Jardot- di incontrare curatori di Musei e artisti, per spiegare che le opere di Lger, che esaltavano il mondo del lavoro e della fatica, non contraddicevano il realismo socialista, ma anche che questa tesi era stata condivisa da una parte della nomenklatura altrimenti n la prefazione del catalogo della mostra sarebbe stata firmata da Maurice Thorez,2 n la mostra avrebbe potuto essere ospitata allErmitage di Leningrado. Un successo che non lasciava soddisfatto Kahnweiler poich alla consapevolezza che la mostra aveva convinto, provvisoriamente, solo una piccolissima parte della nomenklatura sulla non esistenza di un solo realismo socialista, se ne aggiungeva unaltra ancora ben pi decisiva: non aver potuto nemmeno accennare, durante quel soggiorno, che imporre unarte per il popolo equivaleva disprezzarlo, nella misura in cui conculcava il diritto che tutti i cittadini del mondo hanno di far parte delllite degli estimatori darte. E questa insoddisfazione non doveva restare oziosa se, rodendo nel profondo della coscienza, doveva indurlo a ripensare il comportamento che fino a quel momento aveva intrattenuto con i Paesi dellest e pi in generale con il mondo comunista per poi spingerlo a passare da un atteggiamento di fronda ad uno di aperta contrapposizione. Un processo che culmin nel 1968 quando condann linvasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati del Patto di Varsavia e si espresse a favore dellaffermazione del socialismo dal volto umano di Dubcek. Ricordare il contributo dato dal grande gallerista alla causa antistalinista un dovere che si impone per omaggiare lui e quanti come lui, da uomini liberi, operarono con la speranza di poter contribuire a realizzare, senza spargimenti di sangue, una rivoluzione di proporzioni bibliche come quella che poi si realizz tra il 1989-91, con la caduta del muro di Berlino e il disfacimento dello Stato imperiale sovietico. Ed un peccato che un uomo tanto generoso non abbia potuto assistere a questo evento che lavrebbe in parte ripagato delle amarezze patite negli ultimi dieci anni di vita. Mor nel 1979, quando il regime bresneviano con il suo ritorno al passato sembr inaridire quei semi che Krusciov aveva saputo spargere nel 56 quando, al XX Congresso del PCUS, denunci i crimini di Stalin e permise che si divulgassero romanzi e documenti del dissenso. Ma se fosse vissuto tanto a lungo constatare che la classe dirigente americana continuava a sperperare denaro pubblico al fine di strumentalizzare larte lui, che tante energie aveva speso per dissuaderla, non si sarebbe sentito altrettanto remunerato. Una remunerazione che finch fu in vita Kahnweiler mai pens che gli fosse dovuta dal Dipartimento di Stato -meritoriamente impegnato, negli anni settanta, a contrastare la reazione bresneviana e a favorire quello che sar il processo riformatore di Gorbaciov- ma da coloro che appartenendo, o avendo appartenuto, al movimento per la libert della cultura -movimento fondato nel 1950 a Berlino in opposizione a quello della pace3 -, consapevoli che la politica americana non era esente da errori, avrebbero dovuto unirsi nella richiesta di correggerli. Avrebbero dovuto se
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M: Thorez fu segretario del Partito comunista francese (PCF) ininterrottamente dal 1930 al 1964.

fossero stati coerenti, ma non lo erano stati, e lui era rimasto solo, fin dai lontani anni cinquanta, a invocare che i Musei americani e quelli dei Paesi amici ritornassero a svolgere i compiti danteguerra, anzich promuovere le opere di giovani principianti che non avevano ancora avuto nemmeno il tempo per capire quali fossero le loro attitudini e capacit. E questa solitudine linduceva al pessimismo, a ritenere che sarebbe stato pi facile assistere alla conversione al liberismo e al liberalismo di tutti i partigiani della pace, che vedere anche solo qualche partigiano della libert della cultura mobilitarsi per emendare gli errori della democrazia sicch, i Musei, liberi di promuovere numeri crescenti di opere immeritevoli, avrebbero col tempo resa generale e irreversibile la convinzione che le arti figurative fossero un parco giochi dove, bandite le responsabilit personali e collettive, tutti sono costretti a divertirsi come matti, cos come a divertirsi erano stati costretti i visitatori della XXXIII Biennale di Venezia con dozzine e dozzine di apparecchi che funzionano quando si premono i bottoni e di luci che si accendono, palle che rimbalzano, specchi convessi e concavi che si attorcono, buchi in cui si cacciano le dita e che danno sensazioni rare. Chi scrive confessa che se non avesse letto il libro -IL MERCANTE DI PICASSO- di Pierre Assouline mai avrebbe capito che la censura messa in atto dalla classe dirigente americana per impedire che artisti sgraditi togliessero visibilit, moneta e gloria a quelli graditi fosse stata esercitata in modo tanto sistematico, esteso, duraturo; n che leredit pi preziosa lasciata da Kahnweiler alle future generazioni fosse lincitamento a ribellarsi sempre e ovunque agli arbitri che offendono il diritto di espressione individuale, formalmente riconosciuto da tutte le Costituzioni democratiche; n avrebbe significativamente apprezzato il tentativo fatto da ANTIDOGMA per riparare i danni arrecati -non solo allarte- dalla politica. ANTIDOGMA in origine fu unassociazione informale creata da Ugo Nespolo, Marcello Levi, Armando Puglisi, al fine di promuovere lattivit di quegli artisti che pur meritevoli avevano difficolt a farsi conoscere e apprezzare dal pubblico e costituire un punto dattrazione per quelle persone e quei gruppi che erano potenzialmente disponibili ad appoggiare le lotte per i diritti civili che trovavano nel Partito radicale (Pr) il loro centro propulsivo. Questassociazione ebbe vita breve, (anni: 1973 - 75), ma ricca di proposte e iniziative. Tra quelle pi significative qui si ricordano le mostre degli scultori: Calzolari, Lenassini, Mainolfi, Trafeli; le conferenze di Giovanna Zincone e Fulvio Gianaria -rispettivamente: CULTURA FEMMINISTA COME CULTURA ALTERNATIVA e CODICI E LIBERTA PERSONALI-; lasta delle opere che un gruppo di artisti -Anselmo, Boetti, Carena, Gastini, Gilardi, Griffa, Martelli, Nespolo, Penone, Piacentino, Zorio- avevano donato per finanziare le lotte radicali. Alla fine del 1975 Levi, ormai convinto che con Nespolo si era creata una divergenza insanabile su quali fossero gli artisti da considerare meritevoli di apprezzamento e promozione, si ritir e ritirandosi determin la chiusura dellampia sede di via Calandra 13, che fino a quel momento aveva ospitato ANTIDOGMA, ma non riusc a decretarne la fine poich prontamente questa si trasfer in via Cassini 46, presso lo studio Nespolo. Il trasferimento segn anche il prologo della duplicazione di ANTIDOGMA, tra quello che far capo a Nespolo, impegnato a sostenere le lotte di liberazione propugnate dal FUORI e dal Pr, ma anche e sempre pi a promuovere iniziative artistiche di generi diversi e quello che far capo a Puglisi. Questultimo il debutto, in realt, laveva gi fatto nel 74 quando sulla copertina di un pamphlet di 112 pagine -PRATICAMENTE /dibattito tra lotta continua e un suo militante4 - comparve un
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Per uninformazione pertinente e succinta su questo movimento si rimanda al libro BENEDETTI AMERICANI di Massimo Teodori; Ed. Mondadori, 2003.
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Su Paese Sera -settembre 1974- con il titolo Dibattito tra militanti il panphlet fu recensito da Piero Dallamano. Nella recensione si legge: C da chiedersi perch manchino in questo periodo i libri che indirizzino allindottrinamento politico attraverso larma della letteratura popolare. Eppure un tempo il genere era abbastanza . fiorentepenso a Monaldo Leopardi [padre di Giacomo]tuttavia il genere sopravvivePrendiamo come esempio questo Dibattito tra Lotta Continua e un suo militante che prende il titolo di Praticamente In Praticamente lapparato letterario narrativo ridotto davvero al minimo, al punto che i personaggi del dibattito sono siglati o abbreviati: L. C. (=dirigente di Lotta Continua); Antonio il P. (=operaio FIAT); comp. Stud. (=studente); comp. Op. (= operaio); comp. Op. e Stud. (= operai e studenti), mentre si entra

logo composto dalla parola ANTIDOGMA posta sotto due mani contrapposte a pugni serrati ma ad indici ben distesi a simboleggiare determinazione nel percorrere opposte direzioni. Questo logo -ideato e disegnato da Nespolo- da quel momento in poi comparve su copertine e prime pagine di libercoli e opuscoli che chi scrive compil, ciclostil, distribu durante il periodo in cui frequent da iscritto o da compagno di strada il Partito radicale (anni 1972-83). Di questi documenti qui ne verranno ricordati solo alcuni. Lettera inviata nellestate 76, AI DEPUTATI/ AL CONSIGLIO FEDERATIVO/ AL SEGRETARIO/ ALLA GIUNTA/ AL TESORIERE/ AL REVISORE DEI CONTI DEL P.R.. Per comprenderne il contenuto necessario tener presente che nel 1974 il Partito radicale si era assegnato il compito di promuovere una nuova forza di socialisti -unificazione organica di Psi e Pr- con il compito di conquistare il 20% del consenso elettorale. Disegno ambizioso che proponendosi di portare questa nuova forza ad essere il principale Partito dopposizione alla Democrazia Cristiana, con il compito di prosciugare i privilegi clericali, rendere responsabili e liberi i singoli cittadini, rispettose dei principi costituzionali le forze politiche, avrebbe poi rese possibili quelle alternative di governo che -finalmente- avrebbero permesso anche allItalia di vivere nellambito della normalit democratica. Propositi giusti ma irreali poich, sopraggiunte le elezioni politiche anticipate (giugno 1976) lunificazione rimasta una chimera aveva costretto i due Partiti a presentarsi separati al giudizio degli elettori e ad ottenere voti inferiori a quelli che nelle precedenti elezioni il Partito socialista aveva ottenuto da solo. Se questa era la deludente realt che emergeva dalle elezioni, la lettera si rivolgeva ai dirigenti radicali per invitarli a cambiare disegno politico e il suo contenuto, brevemente riassunto, era il seguente: le elezioni le aveva vinte il Partito comunista che con il suo 34% si era portato a ridosso di quel 38% di voti ottenuti dalla Democrazia cristiana; perdenti socialisti e radicali che con un misero 10% erano rimasti ben lontani da quel consenso che i radicali si erano proposti di conquistare allarea socialista-libertaria. Il fallimento era da attribuire ai radicali per aver convinto lelettorato che le lotte per i diritti ci-vili sono avulse dalle lotte economico-sociali, lasciando -a sinistra- il Pci libero di presentarsi co-me il paladino di entrambe, per trarre il massimo beneficio dalla carenza radicale. Pertanto la po- litica del Partito doveva essere corretta con la coniugazione delle due lotte, senza paura che tra esse [insorga] una conflittualit distruttiva causata dalla eterogeneit delle forze sociali che le sostengono. Pericolo inesistente poich la riforma del sistema pensionistico, incentrata sul divieto per tutti i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, di percepire la pensione di anzianit e/o di vecchiaia prima del compimento del cinquantunesimo anno di et e di usufruire di benefici pensionistici dalle retribuzioni che superano di 2,5 volte quelle medie degli operai dellindustria, costituisce un buon esempio di come si possa coniugare la lotta economico-sociale con quella per i diritti civili, dal momento che entrambe dispongono di un analogo maggioritario consenso tra la borghesia, i ceti medi, la classe operaia. Se quindi il Pr far propri i contenuti [proposti], certo che non solo ridimensioner la forza burocratica del Pci, ma aiuter, parimenti, i socialisti a ritrovare il volto migliore della loro tradizione riformista, per aggregare attorno al polo libertario quel vasto consenso necessario a rendere il disegno alternativo di sinistra attuale. La risposta che arriv qualche mese dopo nel novembre 76 dalla mozione approvata dal XVII Congresso di Napoli del Pr era totalmente negativa poich, proponendo indifferentemente a socialisti e comunisti -come agli appartenenti di tutti gli altri partiti- il referendum, come strumento unico di lotta politica, bocciava non solo le proposte della lettera, ma anche i presupposti dai quali erano scaturite, che poi altri non erano che quelli su cui i radicali si erano attestati nel Congresso di Milano, e che ora con questa mozione cancellavano condannando il Psi a rimanere senza un
sibito nel vivo della discussione politica. Paradossalmente per il dialogo non manca di una plastica vivacit, al punto che il libro di Puglisi si fa accogliere quasi come un romanzoSarebbe giusto entrare nel vivo delle ragioni sostenute da questo operaio della FIAT Antonio il P. considera che la vera sfruttatrice del lavoro altrui la classe media, come quella che assorbe la maggior parte del reddito sottraendolo alle spalle degli operai e in misura crescente ai contadini, mentre lalta borghesia,, lindustria, la finanza ecc., si rivelano se non subordinate, quantomeno vincolate dal potere della burocrazia, in cui la classe media finisce con lidentificarsi. La tesi del compagno Antonio il P. sulluguaglianza dei salari e stipendi, unita alla sua giustificazione teorica, appare certamente inattuale in un tempo come il nostro, in cerca di nuovi schieramenti ed alleanze, se non altro mostra come sia sempre possibile slittare verso il regno dellutopia.

programma di riforme economico-sociali e a comportarsi da ceto parassitario di quelle classi che avrebbe dovuto difendere, ma condannavano anche se stessi a isterilirsi in un solo genere di proposte che [aggiungo] gli impedir, negli anni novanta, al crollo della prima Repubblica, di assumere quel ruolo di avanguardia traghettatrice che pur gli sarebbe dovuto competere. Da quanto esposto si comprende come ANTIDOGMA svolse unattivit che non fu di piatta adesione alle proposte formulate dai dirigenti del Partito, poich cerc di interferire con esse, nel tentativo di modificarle; nel 76 con la citata lettera e nel 75, quando al XV Congresso di Firenze intervenni per illustrare un canovaccio tracciato per loccasione. Nel canovaccio il tratto pi significativo della situazione italiana veniva individuato nellabnorme espansione delloccupazione pubblica che, favorita dalla crescente automazione dei processi produttivi, non avrebbe potuto ipotecare negativamente lintera economia, se le forze politiche non si fossero trasformate in meri tutori degli interessi burocratici. Da ci discendeva che il Pr doveva diventare il rappresentante degli interessi delle classi e dei ceti sfruttati o emarginati, riprendendo la via tracciata da Giustizia e Libert5, per la tutela dei diritti [non solo] civili [ma anche] materiali di tutti gli italiani. Lintervento anche se pronunciato di sera, ad ora tarda, davanti a una platea quasi vuota fu ben presto interrotto dallagitarsi e rumoreggiare dei presenti. A questi tentativi altri seguirono, anche se qui se ne ricorder solo uno: quello che si materializz in una dispensa di 84 pagine ciclostilate -titolo: FREMMA, FREMMA/ HO! HO! PRR/ COME VAI DI TROTTO- che nel corso del 1977 venne distribuita nel Partito e inviata ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio, ad alcuni Ministri, ai Presidenti dei Gruppi parlamentari, ai Segretari dei partiti, ai sindacati, ai Direttori dei pi importanti quotidiani e settimanali nazionali ed europei. La dispensa altro non era che una dura denuncia del sistema previdenziale italiano, funzionante in base a contrapposti criteri (assistenziale, previdenziale). Dopo aver dimostrato che un dipendente pubblico, a trentanni [di et (sic!)], poteva ottenere una pensione danzianit che -pur maturata su contributi otto volte inferiori- gli concedeva benefici pensionistici sei volte superiori di una analoga pensione corrisposta a un dipendente privato di eguale qualifica professionale, .. si poneva larduo compito di quantificare il risparmio che sarebbe derivato, se le norme pensionistiche del pubblico impiego fossero state uniformate con quelle del settore privato. Ma essa non si limitava a quantificare lo spreco provocato da leggi assurde poich, traendo spunto da esse, sferrava un attacco alle forze politiche e sociali che pretendevano di risanare i bilanci degli Enti previdenziali con riforme rivolte a coinvolgere solo i lavoratori del settore privato, mentre le misure di risanamento, per essesere efficaci, avrebbero dovuto investire il settore pubblico, principale responsabile del dissesto degli Enti erogatori e proteso a dilatarlo fino alla catastrofe. Contro gli atteggiamenti ciechi e pusillasmi, la dispensa invocava subito lattuazione di una riforma che rendesse il sistema pensionistico unitario e previdenziale6. Uninvocazione sfortunata poich di s non lasci traccia nella giungla delle migliaia e migliaia di dichiarazioni, manifestazioni, articoli, che in quegli intensissimi anni vennero rilasciati, promos-si, pubblicati sui pi disparati argomenti in nome o per conto di un Partito sempre pi romano-centrico.7 Una situazione di insopportabile isolamento che mi avrebbe indotto ad allontanarmi dal
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Giustizia e Libert fu fondata nel 1930 a Parigi da Carlo Rosselli. Il suo programma pur differenziandosi radicalmente dalle correnti socialiste di ispirazione marxista prescrivendo che al regime fascista dovesse seguire non una societ comunista ma una Repubblica fondata su una Costituzione democratica prevedeva esplicitamente che fossero realizzate incisive riforme sociali: costruzioni su larga scala di case per operai; riduzione degli affitti per le classi meno abbienti; abolizione delle imposte sui generi di prima necessit.
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Lapice della lotta per la riforma del sistema pensionistico Antidogma lo raggiunse nellestate 79 quando: a) 5000 firme furono raccolte su una petizione che perorava laumento delle pensioni minime e lallineamento delle pensioni dei lavoratori del settore privato -dipendenti, autonomicon quelle dei pubblici dipendenti; b) occupatata la sede di Torino del PSDI per contestare il suo Segretario nazionale -Pietro Longo- favorevole ai diritti acquisiti; c) fondato il Comitato Unitario Pensionati di azione nonviolenta -CUPnv-. Purtroppo appena raggiunto tale apice precipit poich terminato il Congresso di Genova del Pr -si veda nota (7)- nel Comitato si diffuse la convinzione i radicali non si sarebbero mai seriamente occupati della riforma pensionistica e chi scrive fu assalito dalla sfiducia di possedere le necessarie capacit per poter guidare i suoi militanti verso obiettivi costruttivi.
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La svolta decisiva contro i propositi di costruire un Partito multicentrico avvenne nel 1979

Partito se nella primavera 1980, giunto a Roma con lintenzione di partecipare per lultima volta ad un Congresso, non ne fossi stato dissuaso e addirittura costretto a sottoscriverne la mozione. La mozione del XXIII Congresso accusava i potenti del mondo di perseguire una politica di fol-le incremento degli armamenti che comportava, nelle parti pi povere del pianeta, lo sterminio per fame di milioni di persone; accusava la politica europea di criminalit poich era analoga a quella che negli anni trenta aveva portato le democrazie a piegarsi, con il trattato di Monaco, al nazismo. Di fronte a tale situazione il Partito richiamava se stesso a difendere con intransigente coerenza i diritti delluomo per trascinare capi di Stato e di Governo, responsabili delle politiche di armamento e sterminio, davanti a un nuovo tribunale di Norimberga e ad operare per sollecitare lONU ad interrompere lo sterminio in atto. A causa della mozione, condivisa e sottoscritta ANTIDOGMA da quel momento aggiunse nuovi impegni ai vecchi. Di questi qui si ricorda limpulso che nel 1982 diede alla costituzione del gruppo promotore che compil e invi -firmata da cinquanta artisti ed estimatori darte- al Presidente del Consiglio direttivo della Biennale di Venezia la richiesta di istituire, nellambito della rassegna internazionale, uno SPAZIO PER LA VITA dove ospitare le opere di quegli artisti che avessero concretamente sostenuto lappello che 54 premi Nobel avevano divulgato, nel giugno dellanno precedente, da Ottawa, New York, Parigi, Roma, Bruxelles, Ginevra, per denunciare lorrore delle morti per fame e invocare dalle massime autorit internazionali un intervento urgente capace di attaccare la morte che condanna una gran parte dellumanit. Una richiesta che non venne accolta, n fortuna migliore ebbe linvito che ANTIDOGMA, in quello stesso anno, rivolse a Leo Castelli affinch richiamasse lattenzione dei suoi artisti sulla mobilitazione contro la fame che sempre pi pressante era sollecitata dai Nobel con laccrescersi del numero delle loro adesioni. Gi ho accennato che mi sarei allontanato dal Pr se Pannella non avesse denunciato lo sterminio per fame, ma a trattenermi non fu solo lorrore provocato dallapprendere che milioni di persone stavano vivendo un dramma senza precedenti, ma anche la razionalit che informava la lotta che il leader aveva intrapresa per ridurlo. Infatti se le micidiali armi ammucchiate negli arsenali atomici erano gi in quantit tali da distruggere pi e pi volte il genere umano, continuare a produrne per offrirle a cadaveri era insensato e smettere di costruirne per destinare i risparmi a salvare agonizzanti costituiva unazione razionale ben prima che umanitaria. Questa la straordinaria proposta che Pannella sottoponeva al vaglio dellintelligenza e coloro che ne avevano molta laccolsero e lo dimostra la fortuna che incontr presso i Nobel. Quei moltissimi altri che ne avevano meno la ignorarono e ignorandola finirono per bocciarla, ed egli da sconfitto, invece di reagire dignitosamente con un as-sordante silenzio o con una controproposta autenticamente laica e riformista, come avrebbe potuto e dovuto fare, si rivolse clamorosamente alla Chiesa di Roma affinch gli fornisse una ciambella . . .. (omissis).. . .. E fu cos che considerando ormai inutile la permanenza nel Partito, nel 1984 labbandonai prendendo a pretesto la mozione che mi era stata respinta da Pannella al XXIX Congresso di Rimini 8.
-XX Congresso di Genova- quando Pannella, contro coloro che chiedevano che gli embrionali Partiti regionali potessero autonomamente decidere di partecipare ad elezioni amministrative, invoc la mobilitazione contro la fame nel mondo, il militarismo, il finanziamento pubblico ai partiti e propose a tutti gli iscritti di impegnarsi nella promozione di un nuovo pacchetto referendario e di ravvisare in esso lunico mezzo capace -con laumento delle iscrizioni e dellautofinanziamento- di garantire al Partito di continuare a svolgere un vitale ruolo politico. Liquidata lipotesi del Partito federale laccentramento nella mani del suo leader si accrebbe, col tempo, a dismisura per raggiungere la perfezione negli anni 90 quando, dissolta la prevedibile impossibilit di imporre per via referendaria al Parlamento labolizione del finanziamento pubblico ai Partiti, lo trasform in un aggregato di soggetti imprenditoriali con personale stipendiato. Per conoscere questa metamorfosi si rimanda al capitolo Partitoholding e politica-marketing del libro Pannella & Bonino Spa di Mauro Suttora, ed. KAOS, 2001.
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Di questa mozione riporto stralci delle sue parti vitali: Il 29 Congresso preoccupato che la forsennata corsa allautomazione dei processi produttivi, innescatesi nei Paesi industrializzati, riduca in modo drastico gli addetti del settore produttivo e, dopo una pausa caratterizzata da

A Torino presso la Mole Antonelliana, curata da Germano Celant, si era tenuta (giugno, ottobre 84) la mostra coerenza in coerenza. Nel catalogo, edito da Mondadori, lallora assessore alla Cultura della Citt -Giorgio Balmas- affermava che la mostra si proponeva di storicizzare larte povera per offrire un panorama scientifico e didattico sui primordi torinesi del gruppo poverista; per il curatore lobiettivo era pi modestamente volto a promuovere unimpresa visuale di dialogo con larchitettura .. iconoclasta . della Mole. Indipendentemente che fossero vere luna, laltra o entrambe le finalit, la mostra aveva escluso Piero Gilardi che proprio di quei primordi era stato tuttaltro che un protagonista insignificante. Questa grave dimenticanza aveva sollecitato lescluso a pubblicare due articoli su il Manifesto per contestare al Celant di aver omesso gli aspetti politici che avevano animato i pi coscienti protagonisti torinesi dellarte povera e di averli omessi per occultare che nel periodo compreso tra il 1966-69 sia Pistoletto, con gli oggetti in meno e il teatro di vita (lo Zoo), che Gilardi con la proposta ambientale dei tappeti natura avevano espresso tensioni e contenuti analoghi a quelli del movimento culturale e politico culminato nel 68. Questi due articoli mi offrirono lopportunit di riempire il vuoto creato dallabbandono della militanza politica con i ricordi dellesperienza artistica fatta prima delliscrizione al Pr, (anni 1965-72); ricordi che vennero pubblicati con il titolo A PROPOSITO DI COERENZA verso la met del 1985, da Pallacorda. In questa pubblicazione Gilardi veniva smentito poich si dimostrava che le citate opere di Pistoletto non potevano definirsi politiche e tanto meno frutto di una cultura antagonista a quella borghese, ma che il loro significato andava . ricercato nel mito dellestra-niazione rivolto provocatoriamente a convincere anche il contestatore pi incallito che si poteva utilizzare il tempo, senza correre rischi, in modo intelligente e proficuo manipolando oggetti duso quotidiano o di poco prezzo facilmente reperibili. Un modo di concepire e di fare antieroico che trovava riscontro anche nellesperienza teatrale promossa in quegli anni, poich variegata come essa era, per non creare la bench minima tensione sociale, mai si era proposta di modificare una qualsiasi struttura pubblica o privata. Il documento esaminava poi quanto lautore degli articoli scriveva sui tappeti natura per confrontarlo con quanto, su di essi, di diverso aveva scritto negli anni 60-70 per giungere a dimostrare che tali tappeti erano scaturiti da esigenze simili a quelle che avevano spinto Pistoletto, a realizzare oggetti in meno e teatro di vita e che, quindi, mai Gilardi si era occupato di politica antagonista prima della seconda met del 68 quando, folgorato -come San Paolo sulla via di Damasco- dalle contestazioni studentesche ed operaie, che improvvise si erano manifestate intense e diffuse al di l e al di qua dellAtlantico, smise di produrre arte povera. Stando cos le cose, laccusa a Celant di averlo escluso da coerenza in coerenza, a causa del contributo antiborghese riversato in tale arte in compagnia di
una imponente disoccupazione, comporti lulteriore aumento dellimpiego pubblico; preoccupato che, per lesigenza di garantire redditi ad una massa abnorme di lavoratori allocati al di fuori dei settori produttivi, la distribuzione clientelare esercitata dalla burocrazia si rafforzi a dismisura, con la conseguente emarginazione del mercato quale fattore attivo nella determinazione della vita economica; proclama il 1984 ANNO INTERNAZIONALE DEL LAVORO PER LA DEMOCRAZIA al fine di coinvolgere con petizioni e manifestazioni nonviolente i lavoratori, i licenziati, i disoccupati, i cittadini di buona volont, la gente tutta, nella richiesta ai Parlamenti e ai Governi dei Paesi Trilaterali di prendere concordi liniziativa di ridurre subito a 36 e nel giro di pochi anni a 32 le ore di lavoro settimanali di tutti gli addetti del settore privato al fine di contenere il depauperamento del tessuto occupazionale del settore, di rendere leale e umana la concorrenza, pi equilibrato il rapporto fra privato e pubblico. Visto il carattere acuto che in Italia ha assunto la crisi economico-sociale rispetto agli altri Paesi dellarea nord-ovest il Congresso ritiene che i lavoratori e i cittadini, nei luoghi di lavoro e di studio oltre che nei quartieri, nelle strade e nelle piazze, debbano diventare soggetto attivo di promozione politica al fine di spingere la classe dirigente ad assumere atteggiamenti meno violenti ed eversivi verso la legalit democratica e repubblicana. Pertanto, nel 1984 i cittadini italiani saranno chiamati a sostenere, oltre la Petizione internazionale, almeno altre tre Petizioni riguardanti fondamentali opzioni giuridiche ed economiche. Le tre Petizioni riguarderanno: 1) la partitocrazia per realizzare indagini patrimoniali, finanziarie, processi per i profitti di regime; 2)la riduzione delle spese in armamenti al fine di finanziare progetti di vita e qualit della vita; 3) le pensioni per chiedere che siano: a) elevati a 450.000 lire mensili le pensioni sociali e i minimi per coloro che sono privi di altri redditi; b) resi eguali, per i dipendenti pubblici e privati, gli anni di lavoro e di et necessari ai fini del conseguimento della pensione; c) discussa e attuata la riforma generale del sistema pensionistico. Il 29 Congresso stabilisce che qualora il Pr partecipi alle amministrative che si terranno in Campania, tale partecipazione non possa prescindere dalla denuncia allopinione pubblica dellaffollamento della facolt di medicina di Napoli, n il Partito federale sottrarsi al dovere di prendere opportune iniziative per richiamare il Parlamento sullimprorogabile necessit di regolare laccesso alla facolt di medicina mediante numero chiuso.

Pistoletto e degli altri artisti del gruppo Sperone, era del tutto priva di fondamento, tanto pi che a Torino larte politica era stata introdotta dallesterno da un artista romano -Pino Pascali- quando allinizio del 1966 aveva esposto nella galleria Sperone strumenti di guerra (cannoni, mitragliatrici) a grandezza reale. Opere impressionanti per la brutale aderenza alla realt e che esibite nel momento in cui cruenta divampava la guerra in Vietnam sollecitavano coloro che le vedevano a pensare di utilizzarle pro o contro luno o laltro dei contendenti. Questa mostra lavevo vista pi volte fino a convincermi che avesse due finalit: persuadere che le armi sono create per essere utilizzate e che hanno sempre ragione non i detentori dellumana saggezza ma quelli che negli arsenali ne hanno di pi o che pur avendone meno sono capaci di meglio utilizzarle. Convinzioni che una volta maturate mi sollecitarono ad abbandonare la precedente attivit scultorea per iniziarne unaltra rivolta a produrre aerei da guerra USA che facilmente potevo conoscere acquistando modellini in plastica nei negozi di giocattoli. Una produzione nuova che pur impegnata come quella di Pascali a dare forma -con materiali analoghi: ferro, legno, ecc.- a strumenti di guerra altrettanto micidiali, si separava dalle sue finalit poich presentandoli non assemblati li offriva inerti a coloro che li osservavano e gli suggerivano che, a guerra del Vietnam in corso, meglio era ammirarli che impiegarli per distruggere umanit, flora, fauna in quel lontano Paese asiatico. A partire dallautunno 66 e poi nel 67 le opere furono esposte accanto a quelle di Baj, Fontana, Rotella, Manzoni, in mostre collettive nella galleria torinese il Punto-allora diretta da Remo Pastori- e poi nel giugno 68 in una mostra personale. Gilardi queste opere le aveva conosciute e forse anche apprezzate, visto che nel luglio di tale anno mi invit ad esporne una nel Deposito dArte Presente (DDP); spazio che Marcello Levi aveva aperto al pubblico per presentare, a ciclo continuo, le opere degli artisti contemporanei europei ed americani pi noti e importanti. Unopera, quella portata, dal titolo: Olimpiadi 68- che non fu mai installata e che poi venne espulsa dal DDP nellottobre da Gian Enzo Sperone, giudicata indegna di essere esibita accanto a quelle degli artisti appartenenti o graditi alla sua galleria. Dopo quellinvito, Gilardi lo rividi nel tardo autunno 69 quando -ormai lontano dalla Sonna-bend, da Sperone, dal DDP (nel quale avrebbe dovuto rappresentare gli interessi del gruppo degli artisti della galleria Sperone), dai poveristi, dal mercato internazionale dellarte- nell ATELIER POPULAIRE -uno stanzone che lui stesso aveva voluto e attrezzato- progettava e stampava materiali di propaganda che incessantemente gli erano richiesti dal movimento studentesco e dai comitati di lotta operai ed extra-parlamentari. LATELIER lo frequentai e la frequenza mi permise di partecipare a manifestazioni pubbliche pensate e promosse instancabilmente dallo stesso Gilardi, tra le quali A PROPOSITO DI COERENZA ricordava lhappening fatto nel 1970 nel giorno di pasquetta, in un noto giardino pubblico di Torino, per sensibilizzare sul problema dei manicomi che il Dott. Basaglia aveva autorevolmente sollevato e la contestazione della mostra Conceptual-art, Land-art, Arte povera fatta il giorno in cui era stata inaugurata alla Galleria dArte Moderna di Torino, nel giugno di quello stesso anno. Una contestazione memorabile poich fu seguita con attenzione aristocratica da un gruppo selezionato di mercanti ed estimatori darte, capeggiati da Peggy Guggenhein ma, soprattutto perch tra Gilardi e chi scrive si verific unaperta divaricazione sulle ragioni che li avevano spinti a contestare. Infatti mentre per Gilardi lavanguardia artistica avrebbe dovuto ostacolare lespansione dello imperialismo USA nel terzo mondo e in Europa mediante ladesione degli artisti alle lotte spontanee di classe, portatrici di istanze antimperialiste, anticapitaliste e antiistituzionali, per me tale avanguardia avrebbe dovuto denunciare loppressione esercitata sui popoli dei paesi socialisti dalla burocrazia egemone in URSS e contrastare lillusione USA di poter salvaguardare i suoi interessi e quelli della democrazia facendo ingiustificato ricorso alluso della forza. Se limprovviso emergere di tali divergenze indusse Gilardi a non coinvolgermi pi nelle iniziative che aveva continuato a promuovere numerose, assieme ai suoi generosi seguaci, doveva anche permettermi -tanti anni dopo- di capire che lautore dei tappeti natura aveva pubblicato i due 10

articoli su il Manifesto perch interessato a prendere a pretesto coerenza in coerenza per creare il mito di unarte approdata in campo borghese, dopo aver tradito le sue ori-gini proletarie al fine di incitare le nuove generazioni a riprendere con lo stesso entusiasmo crea-tivo unattivit artistica impegnata a conquistare una societ ben pi giusta di quella capitalista. Un incitamento sbagliato che Gilardi avrebbe evitato se avesse letto le opere di Marx ed Engels e ri-scontrato che in Russia e Cina non esistevano giustizia e liberazione sociale ma solo una dittatura che strumentalizzava il marxismo per occultare che sfruttava le classi subalterne a favore di una nuova borghesia collettiva ormai presente anche in tutti i paesi capitalisti, dove si moltiplica in classi e sottoclassi di Stato e paraStato, per produrre, in concorrenza con la vecchia borghesia, livelli crescenti di sfruttamento. A PROPOSITO DI COERENZA continuava affermando che se lautore dei tappeti natura avesse avuto una conoscenza migliore della struttura economico-sociale esistente nei paesi dellest e dellovest non avrebbe sposato . una fede politica che opera per spingere le classi subalterne verso il peggio, n avrebbe attribuito alla direzione della Fiat la responsabilit di averlo escluso dalla mostra in quanto questa responsabilit andava attribuita non alla vecchia ma alla nuova borghesia, essendo stato il governo di sinistra del Comune di Torino che quella mostra aveva voluto e finanziato e poi legittimato con il riconoscimento fatto dallAssessore alla Cultura alla selezione degli artisti operata dal Celant, per rendere solo costoro protagonisti indiscussi e definitivi dellarte povera torinese. I fatti accaduti erano gravi e non solo perch Gilardi era stato escluso ingiustamente dalla mostra ma anche perch con questa esclusione il Comune di Torino aveva ingannato gli estimatori darte, i visitatori, sperperando denaro pubblico per offrire ai cittadini una storicizzazione falsa sui primordi torinesi dei poveristi e che per confutarla non servivano ideologie e lotte rivoluzionarie ma il recupero di un sicuro riferimento democratico e una coscienza critica capace di individuare gli arbitri commessi dalle istituzioni pubbliche e di avversarli con proposte idonee a correggerli. Stampate e distribuite oltre mille copie di A PROPOSITO DI COERENZA ritornai sui tentativi compiuti, negli anni 70, per modificare la politica del Pr, per convincermi sempre pi che se avessero avuto successo non sarebbero stati umiliati n il laicismo di Ernesto Rossi, n con il caso Tortora, la giustizia. Nato a Genova nel 1928, Enzo Tortora, giornalista e noto presentatore televisivo, il 17 giugno 1983 era stato arrestato allhotel Plaza di Roma e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli di quella citt. Larresto, per associazione a delinquere di stampo camorristico finalizzato al traffico di droga, era stato disposto dallautorit giudiziaria di Napoli a seguito delle accuse che gli erano state rivolte da ergastolani pentiti. Che queste accuse fossero prive di fondamento fu subito chiaro a coloro che conoscevano quanto di torbido ed oscuro avveniva in quei tormentati anni, densi di tensioni politiche e sociali. Non fu, quindi, un caso che poche settimane dopo larresto un appello di solidariet a suo favore venisse pubblicato su la Repubblica sottoscritto da noti politici e prestigiosi uomini di cultura -tra i quali: Piero Angela, Giorgio Bocca, Umberto Veronesi- e che alcuni giorni dopo Leonardo Sciascia scrivesse sul Corriere della Sera che quelle contro Tortora erano accuse che non trovano . riscontro in un solo indizio oggettivo accuse che nascono solo dallinfermit mentale di camorristi pentiti. Edotto da questi ed altri avvenimenti, qualche mese dopo il suo arresto, mi ero gi convinto che il presentatore fosse vittima della partitocrazia per linteresse che questa aveva di impedire che le leggi premiali, utilizzate contro le Brigate Rosse, fossero estese alle organizzazioni mafiose e che il Partito radicale, impegnato a sottrarre alle interminabili carcerazioni preventive coloro che erano in attesa di giudizio, non avrebbe tardato ad offrirgli una candidatura parlamentare, so-prattutto se fosse stato disposto a rinunciare allimmunit pur di affrontare il processo. Convinzio-ni, queste ultime, che lanno successivo puntualmente si verificarono poich candidato dal Pr Tortora a giugno fu eletto -con oltre quattrocentocinquantamila preferenze- al parlamento europeo e una

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volta eletto chiese e ottenne lesenzione dallimmunit per poter -leale allimpegno assunto9 affrontare il processo. Un processo composto da due parti. La prima, che culmin con una sentenza di condanna a dieci anni e sei mesi di carcere, inflitti -settembre 1985- dalla decima sezione del tribunale di Napoli; la seconda, con il processo dappello in cui il presentatore fu assolto (settembre 1986) con formula piena dallaccusa infamante di associazione di stampo camorristico e spaccio di stupefacenti. Tortora durante il processo fu strenuamente difeso dentro le aule giudiziarie da due noti, combattivi, penalisti -Raffaele Dalla Valle e Alberto DallOra- e fuori da tali aule dal Pr. Le considerazioni che qui di seguito verranno espresse riguarderanno solo questultima difesa che, caratterizzandosi come lotta politica e civile condotta per ottenere, in primo luogo, che Tortora venisse risarcito per i danni, materiali e immateriali, subiti da un pugno di magistrati, colpevoli di aver dato credito alle menzogne di alcuni criminali, interessati ad ottenere benefici carcerari e riduzioni di pena era, per me, inaccettabile per la convinzione che il presentatore televisivo fosse vittima della casta politica la quale, contraria alle leggi premiali, aveva trovato un manipolo di magistrati e di giornalisti disposti a creare un clamoroso caso di mala giustizia per sollevare, verso tali leggi, nellopinione pubblica indignazione e avversione. Quindi un caso clamoroso che una volta esploso trov subito consenzienti anche i dirigenti del Pr con la sola eccezione di Sergio Turone -giornalista e cofondatore del Partito- che se ne dissoci nellestate 84 quando espresse le sue riserve sulla candidatura offerta a Tortora sapendo che era gradita alle organizzazioni mafiose come evidenziava quanto era avvenuto nel suo paese dorigine -Rizziconi: provincia di Reggio Calabria- dove i 32 voti ottenuti dai radicali alle elezioni politiche del giugno 83 si erano pi che decuplicati alle europee nel giugno dellanno successivo per la mobilitazione di parenti e amici di un noto boss mafioso del luogo. La denuncia di Turone incontr solo incomprensione e avversione ed io gi convinto che il caso Tortora fosse opera diabolica della politica, nell86 fui costretto a meditare lungamente e amaramente su quanto Pannel-la si fosse allontanato da quella realt che negli anni 70 sempre era stato capace di individuare e denunciare, fuori e dentro le aule parlamentari, quanto pi essa pretendeva di rimanere occulta e indecifrabile. Ricordavo il suo coraggio quando durante una tribuna politica raccont comera stata uccisa in piazza Navona a Roma una ragazza di 19 anni -Giorgiana Masi- che aveva partecipato ad una festa indetta dal Pr per raccogliere firme su un pacchetto di referendum mentre con gioia festeggiava il terzo compleanno della grande vittoria del referendum sul divorzio. Ora, anche voi che leggete, ascoltate quello che dagli schermi dei loro televisori udirono dalla viva voce del leader radicale coloro che una sera di maggio del 77 assistettero a quella tribuna politica: Il tempo dei lupi venuto, gli assassini stanno scendendo dalla montagna ... Vi ricordate Pinelli e Valpreda? Non vi ricordate la nostra solitudine quando dicevamo che dietro cera lo Stato che ammazzava per farci paura, per poter ammazzare ancora pi, ritornare magari al fascismo, per difendere la corruzione? quel giorno [12 maggio 77] siamo andati in allegria per dimostrare che Roma poteva essere lieta, serena, pacifica, contando che fra di noi nessuno sarebbe stato violento. Come sono andate le cose? Su 5200 poliziotti, su centinaia di giovani poliziotti costretti ad apparire nelle strade come i lupi dei quali abbiamo paura, per consentire a Cossiga, in nome di quei lupi, di fare leggi pi fasciste e ammazzare passanti, ecco il bilancio: una scalfittura al polso di un carabiniere. Eravamo 20-30 mila! Dopo sei ore di attacchi, di scontri -lhan detto lorolunico atto di violenza il graffio al polso di uno dei 5200 uomini. E un bilancio che rivendichiamo; eravamo l con i lapis, ma hanno paura dei lapis! Devono por-tare ogni giorno alla televisione Curcio e Cossiga, devono farci vedere le P38, per distrarci dallottimismo, dalla bont, dalla felicit della firma, della musica, dellallegria, del girare per Roma dicendo: gli assassini li isoliamo con il sorriso Di questo non vi dicono nulla. Dalla nostra parte ab-

Un impegno che Toni Negri -professore universitario e ideologo dellestremismo giovanile- aveva poco prima clamorosamente tradito quando, eletto deputato radicale -elezioni politiche giugno 83-, era scappato in Francia pur di non farsi riarrestare e processare.

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biamo avuto una morta, dieci feriti da arma da fuoco, decine di feriti da manganelli, gas, candelotti lacrimogeni sparati a vista duomo. Faremo un libro bianco, lo stiamo per fare .10 Solo dopo aver ricordato il coraggio che Pannella aveva dimostrato nel 77 nello svelare a una opinione pubblica ingannata che il mandante delle stragi era lo Stato, chi legge pu comprendere il mio disappunto nel constatare che egli -sette, otto anni dopo-, pur conoscendo chi fosse il mandante delle torture inflitte a Tortora e agli altri innocenti, si limitasse a denunciarne gli esecutori. Che il leader sapesse certo, poich se, per assurdo, al momento dellarresto di Tortora non avesse individuato il mandante, lavrebbe appreso da Radio Radicale, il 6 maggio 1984, quando il presentatore nellannunciare che accettava la candidatura alle elezioni europee, disse: LItalia vive un periodo terribile io sento lesigenza di chiedere scusa a Pinochet, a tutti i regimi totalitari che per lo meno non hanno la pretesa di dire: questo uno Stato pluralista, democratico e libero Ma questo [il nostro] un regime camuffato da democrazia. Ancora pi feroce di un regime esplicito perch ha tutte le blandizie, i bla-bla-bla ma in sostanza tiene luomo in un degrado inammissibile in occidente, tiene luomo in un disprezzo assoluto. Quindi certo che almeno da quel 6 maggio Pannella non poteva non sapere, avendoglielo detto il torturato che il suo torturatore era proprio colui che lui -Pannella- nel 77 aveva denunciato essere il mandante delle stragi che terribili erano seguite a quella della Banca dellAgricoltura di Milano, e cio: lo Stato. Uno Stato individuato correttamente anche dal presentatore televisivo poich colto nella sua concretezza costituita sempre -in tutti i tempi e luoghi e indipendentemente dalle forme che assume- in primo luogo dai poteri esecutivi e dagli apparati repressivi. Pervaso dal bisogno di individuare la causa che aveva indotto il leader radicale ad ingannare i cittadini sul caso Tortora, mi chiesi quale fosse e la ravvisai nel recente superamento del divieto di accesso, per gli esponenti dei partiti laici minori, ai vertici dellesecutivo che aveva consentito a Craxi -dopo Spadolini- di arrivarci nellagosto 1983, e quindi compresi che durante la sua Presidenza laccusa allo Stato di essere il torturatore dellinnocente presentatore era impossibile senza deteriorare quei rapporti che i radicali avevano stabilito e che volevano continuare ad intrattenere con i compagni socialisti. Una impossibilit di cui credo fossero consapevoli tutti i dirigenti radicali ma che solo Pannella poteva comprendere nelle sue pi profonde implicazioni poich, essendo lartefice della tesi che i governi di sinistra alternativi a quelli della democrazia cristiana erano ammessi dai Paesi del Patto Atlantico, non gli sfuggiva che lascesa di Craxi ai vertici dello Stato, avvenuta dopo che lassassinio di Moro e i governi di unit nazionale avevano dimostrato che tale tesi non era condivisa da coloro che avrebbero dovuto legittimarla, ne segnava la fine. Forte di queste convinzioni gi nel 1986 ero consapevole che Pannella avrebbe cercato pretesti per costringere il suo Partito a sospendere lattivit politica in ambito nazionale, 11 cosa questa che poi avvenne due anni dopo quando un Congresso straordinario ratific la decisione pannelliana di trasformare il Pr in partito transnazionale, destinandolo a non partecipare pi a elezioni -politiche e amministrative- in Italia. Improvvisamente -settembre88- mor mio fratello: Giuseppe mi aveva sempre rimproverato di aver abbandonato la scultura e per riavvicinarmi ad essa aveva trasformato in attrezzato studio una delle stanze vuote della sua casa di scapolo che aveva di recente acquistata per abitare pi vicino a me e alla mia famiglia. Fu la sua morte che mi spinse a riabbracciare quellattivit che per due lunghi decenni aveva invano perorato e a realizzare poi quelle nuove sculture -ALERBA, ALACARRETTA, MERCURIO- che ricollegandosi a quel passato lontano trasformavano in istantanei messaggeri di vita veloci aerei da guerra.
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Marco Pannella/ Scitti e discorsi/ 1959-1980; Ed. Gammalibri, 1981.

Anche se la lista Pannella, che fu varata in vista delle elezioni politiche del 92, viene da molti ritenuta la continuazione del Pr chi scrive non la considera tale condividendo le obiezioni espresse da Massimo Teodori nel libro Marco Pannella/ Un eretico liberale/ nella crisi/ della/ Repubblica; Ed. Marsilio, 1996.

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Queste nuove sculture apprezzate da Alberto Weber vennero -assieme ad altre degli anni 60esposte nel giugno 91 nella sua galleria. Durante la mostra distribuii un foglio intitolato POETICA nel quale si poteva leggere: Allinizio del XX secolo, fu grande merito del Futurismo aver colmato il ritardo dellarte nel prendere in considerazione i prodotti dellera tecnologica Per Marinetti, una macchina ruggente mille volte pi affascinante delle meravigliose invenzioni dellepoca precedente, perch moltiplica le straordinarie forze cantate dagli aedi dellantichit. Il merito del Futurismo fu anche un altro: praticare la commistione arte politica, in modi mai tentati prima, col pretendere dallartista di dare priorit al coraggio virile e alla disinteressata mili- tanza politica Lenin smise di ascoltare la musica, quando si accorse che linduceva a divagare su cose graziose, io pratico la scultura perch mi sprona a prestare attenzione alle torme di lupi che mi circondano Non arte dello squallore, tutelata dal preventivo consenso del passatismo ben pensante, ma arte esposta, gravida di scomoda certezza, che fa dellecologismo il terreno privilegiato di confrontoscontro. Per dare seguito a quanto annunciato nel foglio distribuito durante la mostra, in autunno scrissi e inviai una LETTERA APERTA ai dirigenti del Pr per annunciare che nel 92 mi sarei riiscritto al Partito per perorare cambiamenti consistenti su sei argomenti: fame nel mondo, pena di morte, nonviolenza, unit politica dEuropa, riforme economico-sociali, immigrazione. In coerenza con limpegno assunto nella LETTERA APERTA, nel 92 mi iscrissi al Pr e preparai un canovaccio che servisse da guida allintervento che mi ero proposto di pronunciare al Congresso che si sarebbe tenuto a Roma, a cavallo dei mesi aprile-maggio, allinsegna dello slogan: PER SALVARE IL PIANETA DAL DISORDINE STABILITO ORGANIZZIAMO LE NOSTRE IDEE, LA NOSTRA AZIONE. Un Congresso ambizioso preparato da una trama fittissima di contatti con personalit eminenti e organizzazioni culturali e politiche di diversi e anche opposti orientamenti. Per tessere questa trama i radicali avevano stampato e distribuito -gi a partire dal precedente anno- numeri speciali di un giornale che, tradotto in quattordici lingue, avevano inviato a duecentocinquantamila cittadini e a quarantamila -40.000 (sic!!)- parlamentari di cinquantatr Paesi di quattro continenti. Uno sforzo enorme per rendere nutrita e qualificata la partecipazione al Congresso -il XXXVI- dal quale avrebbe dovuto nascere un PARTITO nuovo capace di coordinare le energie popolari e parlamentari internazionalmente diffuse capaci, in quanto tali, di superare gli ostacoli frapposti dalle barriere nazionali e affermare il nuovo verbo che Pannella aveva confezionato a beneficio dellumanit. Nonostante mi fossi iscritto al Partito per pronunciare il discorso preparato con il canovaccio, intimorito dalla quantit e qualit dei partecipanti, rinunciai a partecipare al Congresso. E se qui giusto che ripeta che fui un codardo a negare a questo breve intervento 12 la possibilit di poter
Se avessi avuto coraggio di partecipare al Congresso e mi fosse stato permesso, ecco cosa avrei detto: Compagni/e chi immagina che Roma 2000 sar capitale cattolica, italiana, europea sbaglia poichsar diventata caotica capitale asiatico-africana di un nuovo Stato islamico Chi si illude che la nuova Roma non sar specchio di una realt analoga enormemente pi ampia sbaglia perch il declino dellEuropa gi scritto nel tasso negativo di natalit che, ad ogni generazione, avr continuato a dimezzare gli stanchi popoli europei e il cui vuoto sar stato riempito da vitali, crescenti ondate di masse dimmigrati dai Paesi musulmani. Ci predica nel tempo della coesistenza che si devono utilizzare i risparmi delle spese militari per far decollare i Paesi poveri sbaglia, perch se impegnati, tali risparmi produrrebbero nuovi sprechi e corruzione, aumento della popolazione, pi estesa povert. Chi declama che il terzo e il quarto mondo, per raggiungere il calo demografico, debbano prima ricalcare il suo modello di sviluppo sbaglia, perch affida ad agonizzanti il destino di quei mondi. Compagni/e contro chi esalta la irresponsabilit dei molti, affermate la eguale responsabilit di tutti nel riconoscere che il controllo demografico il fardello comune del genere umano che ci che consente alluomo di riconoscersi nellaltro come compartecipe di una stessa umanit e civilt e a cui tocca impedire che intere etnie si auto estinguano per troppo benessere e altre, per irresponsabile prolificit, rompano i confini che ostacolano la propria e laltrui distruzione, compresa quella degli altri esseri viventi che con luomo popolano la terra. Compagni, affermate che per strappare miliardi di uomini al sottosviluppo, allarretratezza, alla morte per fame, e per spingere le comunit e i popoli a partecipare ad ununica avventura di pace, di progresso, di cammino verso e attraverso la democrazia, occorre che le massime autorit culturali, religiose, politiche- che gli Stati riconoscano concordi il dovere dei Paesi ricchi di aiutare quelli poveri e di questi ultimi di autocontrollare le nascite e che concordi operino per conferire maggiori poteri e mezzi allONU per metterlo in grado di realizzare gli obblighi che da questi doveri discendono
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essere pronunciato, non posso tacere che la Presidenza del Congresso censur il telegramma che gli era stato recapitato affinch comunicasse ai convenuti che esisteva almeno un iscritto italiano al Pr che non condivideva il modo che i dirigenti di questo Partito avevano scelto per giungere allabolizione universale della pena capitale. A Congresso terminato, con un comunicato stampa, denunciai la censura subita dal telegramma e resi noto che per testimoniare a favore del suo contenuto avrei fatto tre giorni di sciopero della fame. Sollecitato da questo comunicato un Consigliere Federale del Pr nuovo invi al suo autore una lettera per diffidarlo dal continuare a dissentire pubblicamente dalle posizioni assunte dagli organi di Partito sulla pena di morte, minacciando che altrimenti morte o ergastolo avrei finito personalmente per rischiarli. La risposta a questo delirante ultimatum la diede un comunicato stampa nuovo, sul quale si poteva leggere: Caro Sergio DElia Da quanto scrivi deduco che sei contrario al popolo giudice della pena che deve essere inflitta agli assassini, perch li punirebbe con la morte o lergastolo, mentre tu vuoi che la pena sia breve. Non ho dubbi che se oggi venisse consultato il popolo sulla sanzione da infliggere a chi commet- te efferati crimini, la maggioranza si esprimerebbe nel senso da te paventato, ma sbagli ad attribuire a me laccettazione di tale responso. Io non ho del popolo una visione manichea, dal momento che ritengo che le posizioni di maggioranza debbano essere corrette con le posizioni di minoranza. In questa visione, dal momento che lopinione maggioritaria viene notevolmente mitigata, essa non pu coincidere con posizioni estreme e contrarie al senso di umanit E lessere figlio delloscurantismo che ti impone di vedere in me il paladino della pena di morte, dellergastolo e di tutte le nefandezze che infestano il mondo. E loscurantismo che ti spinge a misconoscere che dove labolizione della pena di morte si sposa con il permissivismo essa prospera pi che mai. Qui la perversione raggiunge il suo apogeo: lo Stato, da delegato del popolo a giudicare e punire, diventa connivente e complice di criminali e li spinge a ferire e ammazzare innocenti, in una catena senza fine. Chi cieco pu udire, ma chi vede e sente pu non vedere e sentire: labrogazione della pena di morte non abroga la morte e la morte irresponsabile di Stato incommensurabilmente peggiore della morte responsabile di Stato. Un comunicato duro che costituiva non solo una risposta al DElia ma anche al modo di concepi- re la giustizia del Pr cos come si era rivelato ai miei occhi da quando Pannella aveva fatto della magistratura il boia cinico di Enzo Tortora. Un modo sprezzante di cui complici si erano resi anche altri dirigenti del Partito: da Mauro Mellini 13 pronto a negare che si potesse anche solo ipotizzare lesistenza di una qualche forma organica di connivenza fra ambienti malavitosi e spezzoni dello Stato, a Massimo Teodori che pur essendo certo che tale commistione esisteva e che aveva causato diversi omicidi extralegali -si legga: M. Teodori/ La P2:/ controstoria/ Sugarco/ 1985- avrebbe dovuto reagire apertamente almeno contro le posizioni pi estreme. Quindi un comunicato dalle vaste implicazioni che stigmatizzava la stessa scelta fatta da Pannella di impegnare il Pr nuovo nella abolizione della pena capitale, ravvisando in essa soltanto un alibi da utilizzare nel caso in cui questo Partito avesse fallito il suo obiettivo politico di conquistare qui, ora, subito, sotto la sua direzione, diritti civili e democratici in vaste aree del mondo, senza nemmeno accorgersi che prima di impegnarsi in tale ambizioso progetto avrebbe dovuto dimostrarsi capace di affrontare le strozzature che impedivano a questi stessi diritti di affermarsi in Italia. Dopo lo scontro con il DElia, costretto a prendere atto che era inutile insistere oltre nel tentati- vo di convincere i radicali a desistere dal voler giocare internazionalmente al ruolo di prime donne, mi rifugiai nella produzione di sgabelli, panchine, letti, destinati -diversamente da quelli creati per la comodit di tutti- a quei pochi che, ricordando la fine fatta da Pericle nella mitica Atene, si
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Per avere unidea di come sia possibile mettere al servizio di una tesi falsa abbondanti, innegabili ed esecrabili fatti reali, si consiglia di leggere di M. Mellini: Nelle mani dei pentiti; Ed. Spirali, 1999.

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dolgono nel dover constatare che la storia troppe volte scritta dallirrazionale. Queste opere nel 93 vennero poi esposte e il ricordo dell esposizione qui lo affido a quanto nel 95 ho scritto nel pamphlet ANTIDOGMA/un percorso: ad aprile, presso la galleria Weber di Torino dovevo tenere la terza mostra personale. Era la prima volta che una mia mostra veniva collocata al centro del calendario espositivo annuale di una rinomata galleria. A questo segnale positivo altri se ne erano aggiunti: la pubblicit fatta alla mostra dal gallerista su una delle pi importanti riviste [italiane] darte con la pubblicazione in grande evidenza della fotografia di una significativa opera del 68; ledizione del catalogo delle mie opere di scultura uscito subito dopo la chiusura della mostra; linteresse dimostrato nei confronti delle opere esposte da alcuni collezionisti. Linsieme di questi e altri segnali suscit euforia.. al pensiero che presto [sarei] passato al professionismo iniziando, seppur in ritardo, quella carriera che trentanni prima avevo tanto desiderata. Mentre questa mostra era ancora in corso, appresi che Ugo Nespolo, sul quotidiano La Stam- pa, aveva pubblicato un articolo 14 nel quale Germano Celant e Ida Giannelli, curatori della mostra -Unavventura internazionale - Torino le arti 1950-70-, erano accusati di aver fatto scempio degli avvenimenti artistico-culturali che in quegli anni erano accaduti nella citt sabauda e di averlo fatto per ingigantire le scelte che il castello-museo aveva irresponsabilmente deciso di promuovere. Un fare tanto riprovevole da costringere larte a diventare un optional asfittico, roba per pochi eletti e criptocultori da mostrare in musei imprenditivi ma deserti, in quei luoghi in cui ci che si autodefinisce avanguardia ha il ghigno ottuso dellufficialit. Larticolo, efficace nel dimostrare che i due curatori avevano esercitato la censura a danno di Ruggeri, Salvo , Piacentino, Rotella, Adami, Baj, Ben Voutier, Jonas Mekas, Allen Ginsberg, Fernanda Pivano, Angelo Pezzana, il Punto, il Nouveau Realisme il nuovo cinema sperimentale, il Fuori, ecc. e che la politica culturale del castello-museo era frutto perverso di una mentalit burocratica che pretende di determinare a priori quali devono essere i caratteri, sostanziali e formali, che informano i prodotti artistici, si prestava a due obiezioni: non distingueva tra responsabilit privata e pubblica, non indicava i rimedi che era necessario apportare affinch larte fosse liberata -per quanto possibile- dal controllo burocratico. Per segnalare tali manchevolezze inviai una Lettera Aperta oltre che a Nespolo a un centinaio di persone legate allambiente artistico torinese. Nella Lettera affermavo che in democrazia compete al potere pubblico garantire alle arti figurative libert e verit e che dai curatori delle mostre del castello non si poteva pretendere correttezza e professionalit poich erano stati scelti con il tassativo compito di evitarle e che la responsabilit della loro nomina doveva essere attribuita non allibrida direzione del castello ma alla sua componente pubblica, al Consiglio della Regione Piemonte. Una situazione grave, anzi gravissima, poich censura e manipolazione non erano fenomeni circoscritti, nel tempo e nello spazio, e che per essere corretta richiedeva che il castello-museo venisse trasformato in Ente pubblico, con lincarico di organizzare delle esposizioni di quegli artisti viventi, europei e mondiali, le cui opere assumono rilievo internazionale; trasformato in Ente itinerante, agile, svincolato dal peso della conservazione, affidato ad un unico direttore responsabile, fornito di adeguati mezzi finanziari, nominato dal Presidente della Repubblica con incarico triennale non rinnovabile. A Lettera diffusa Marcello Levi reag avvisandomi che avrebbe smesso di apprezzare la mia attivit scultorea e sapendo che egli era amico di Leo Castelli, dellarte moderna americana e sostenitore attivo dellarte povera e del castello di Rivoli, compresi che laccarezzato proposito di passare al professionismo doveva essere abbandonato. Un abbandono amaro poich avvenendo in concomitanza con il crollo dellimpero sovietico impediva di approfittare del suo arsenale in disarmo per trasformare ordigni e missili in orologi segnatempo15 che in vesti di sculture in perenne movimento avrebbero offerto della poetica futurista una nuova versione.
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U. Nespolo: Larte al castello di Rivoli/ un sapore acido da obitorio; articolo pubblicato su La Stampa, marzo 1993.
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La possibilit di poter realizzare tale trasformazione me la offr Raul Manciulli, elettronico esperto e creativo oltre ogni immaginazione.

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Nel 94, come gi era avvenuto dieci anni prima, il vuoto lasciato dalla dismessa attivit scultorea fu riempito dai ricordi anche se essi ripercorrevano lesperienza politica degli anni 70-80 pi che quella artistica degli anni 60. Frutto di questo ripercorrere fu il gi citato phamphlet ANTIDOGMA/ UN PERCORSO che venne stampato e distribuito nel 95 in poco pi di mille copie e il cui contenuto il lettore in parte conosce essendo stato in precedenza riportato. Davide Perazzelli, intellettuale sottile e riservato, la cui amicizia risaliva agli anni 70 della militanza radicale, venuto a conoscenza della censura e dellabbandono della scultura, propose di aprire una vetrina per esibire su Internet le opere censurate impegnandosi, qualora la proposta fosse stata accolta, di realizzarla. Fu cos che ricevuto consenso e catalogo delle opere si apprest a realizzare Internet vetrina. Una vetrina di trentadue videate di cui due, in apertura, erano dedicate allartista e alla sua inclinazione a considerare larte una commistione di vita e passione civile; unarte che pur utilizzando codici semantici comuni ad altre correnti artistiche contemporanee, -arte concettuale land artarte povera- di queste non ha la dimensione equivoca poich manca lattitudine a strizzare locchio a un mercato ove si suppone che il fruitore possa accettare lopera solo . quando essa non elemento di critica. Pi avanti continuava: lopera ha qualit formali per piacere a un pubblico vasto, ma colui che voglia comprenderla non pu fare a meno di addentrarsi nella dimensione drammatica in essa contenuta. Una dimensione . in cui luomo [] individuo nel contempo medioevale, nella consapevolezza delle forze metafisiche che lo sovrastano. [e] kantiano, nel suo obbedire allimperativo di liberarsi da ogni condizione di minorit immanenteUn uomo agli antipodi della dimensione solipsista e narcisista delluomo di Michelangelo Pistoletto, che esiste . nellatto nichilistico di guardarsi allo specchio. E Perazzelli nellavviarsi alla conclusione, pur riconoscendo che Puglisi non pu definirsi sociologicamente un artista poich divorato dalla passione civile non ha dedicato la vita allarte, afferma che il suo ritorno alla scultura doveva essere salutato positivamente e non costretto ad abbandonarla solo perch rifiutava di depotenziarne i contenuti in nome di una maggiore, presunta, accettabilit da parte del mercato. Ed era per reagire a questa ostilit che proveniva da coloro che controllano i canali consolidati della diffusione artistica che Puglisi scommette su Internet e sfida le incognite di un pubblico disavvezzo agli stilemi vuoti di troppi professionisti della critica [e i] protocolli stanchi ed abusati di un mercato artistico che paradossalmente provinciale e mondializzato nel contempo. La vetrina continuava con le videate delle fotografie delle opere corredate da brevi didascalie che richiamavano lattenzione su come, seppur scaturite da avvenimenti politici contemporanei, non mancassero di evocare i miti dellet classica per segnalare che gli ideali di libert e giustizia devono essere difesi anche a costo di sacrifici personali. A progetto realizzato Perazzelli si rivolse a Paolo Barbera, un amico che aveva conosciuto frequentando il Partito dellAglietta, dei Chicco, dei Cucco, dei Favero, dei Francone, dei Negri (Elena, Giovanni), dei Pezzana, dei Silombria, dei Sorace e delle altre decine di compagni che con la loro militanza, negli anni 70, avevano reso ricco di proposte e iniziative il Pr del Piemonte e soprattutto quello di Torino. Paolo Barbera una persona straordinaria, un uomo rinascimentale per il desiderio di conoscere e dominare ogni ramo dello scibile -letteratura, storia, geografia, economia, filosofia, matematica, fisica- e cimentarsi sin da giovanissimo in settori pi disparati che vanno dai coloranti alimentari ai cavi elettrici e telefonici, dalle attivit turistiche alle produzioni cinematografiche e televisive, per poi partecipare agli inizi degli anni 90 alla costituzione di una rete telematica. E in quanto titolare di questo nodo telematico e quale internet provider che Davide gli si rivolse nel 96 per mettere in rete la vetrina Web delle mie opere: una delle primissime mostre virtuali aperta 24 ore su 24 accessibili in tutto il mondo.

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Messa in rete la vetrina, Perazzelli per i lettori de LOPINIONE -quotidiano romano al quale collaborava- nel novembre 96 mi intervist offrendomi lopportunit di ribadire che larte contemporanea era opera di mediatori culturali che, sotto legida USA, si erano costituiti in cartello per brandire larte come un martello contro la falce comunista e che caduto il muro di Berlino il cartello, pur perdendo la funzione per cui era stato creato, era sopravvissuto poich un gruppo di addetti ai lavori per continuare a usufruire dei benefici che derivavano dalla gestione delle sue strutture si era inventata lesistenza di nemici dai quali bisognava difendere larte moderna e i suoi valori. Una difesa costruita sul falso presupposto che la barbarie nazista aveva lasciato in eredit una situazione di non ritorno che impedendo ai popoli europei di attingere alla loro migliore tradizione umanistico-scientifica li condanna alla confusione morale e al degrado civile indipendentemente che siano stati o che possano -potenzialmente- ritornare ad essere complici o vittime dellolocausto. E se tali presupposti informano un pensiero si comprende come questo possa spingere chi lo possiede a positivizzare valori negativi, a confondere e identificare laicismo e iconoclastia, dialettica e rifiuto delle distinzioni, frammentario e compiuto, individuale e collettivo e servirsi dellopera di artisti che esprimono malessere e disagio per fondare un apparato critico teso a identificare incoerenza e storia, che non propone nulla [di costruttivo] e che apre ad esiti pericolosamente incerti e sconosciuti. Per quanto possa sembrare assurdo su tali presupposti che Germano Celant ha costruito la sua fortuna di teorico dellarte povera che gli ha spalancato le porte del Castello di Rivoli e consentito di realizzare, tra le altre, anche quella mostra tanto criticata da Ugo Nespolo. Una intervista tanto amara non poteva concludersi che con la domanda se sarebbe stato mai possibile liberare larte dallasservimento in cui era stata gettata e con una risposta che tentava di allentare la tensione che si era creata: La rinascita dellarte non potr che fondarsi sul recupero di quelle condizioni che hanno consentito, nella Francia dellottocento, il raggiungimento di traguardi altissimi. Guardando a quelle condizioni, la prima necessit che oggi si impone quella di separare il museo dalla sala di esposizione. Il museo deve ritornare ad essere il luogo della memoria storica, mentre la sala deve rappresentare lo spazio ove regna il bailamme della cronaca, ove coesistono, confusi e in conflitto, valori effimeri e duraturi. Il liberismo deve imporsi anche per larte come legge di progresso, contro quello statalismo che genera, direttamente nel museo, unarte asfittica, espressione di artisti repressi e di censori. Lo Stato deve ridurre al minimo il suo intervento, limitandosi a garantire a tutti gli artisti spazi espositivi comuni. Lofferta a tutti di eguali opportunit spinger ciascuno a superare laltro in una gara che produrr una straordinaria, diversificata ricchezza culturale. Tanta abbondanza di produzione stimoler critici e intellettuali a schierarsi per luno o per laltro artista e solo i migliori saranno in grado di segnalare quanto degno di essere ricordato nel tempo. Verranno favoriti anche mercanti e compratori, ma la maggiore beneficiaria sar la classe politica che, liberata da compiti illegittimi, impropri e burocratici, potr disporre dellintelligenza di uomini liberi e creativi, capaci di individuare pi facilmente le strettoie da superare lungo il cammino che porta al progresso. In precedenza ho accennato che nel 92 la riiscrizione al Partito radicale nuovo era stata cau-sata dallesigenza di chiedere cambiamenti su sei argomenti di cui il quarto avrebbe dovuto riguar-dare lunit politica dEuropa. Avrebbe poich rimase unenunciazione, ma ci non mi imped di elaborare un pensiero tanto pi che esso fu sollecitato dai tragici avvenimenti iugoslavi e dallatteggiamento assunto dai radicali. Se noto che il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia proclamarono la loro indipendenza, rimasto pressoch sconosciuto allopinione pubblica che, nemmeno tre mesi dopo, il Consiglio federativo del Partito radicale nuovo approv una mozione che fissava tre punti di capitale importanza: a) le istituzioni federali iugoslave con la proclamazione dindipendenza di tali Repubbliche avevano perso ogni fondamento di legalit, pertanto i paesi della Comunit europea, della NATO e dellONU dovevano riconoscere alla generalit delle repubbliche che avevano formato lex 18

federazione indipendenza e sovranit qualora lavessero proclamata ed esercitata nel rispetto dei diritti civili e democratici dei cittadini che risiedevano nellambito dei confini che la Costituzione iugoslava del 1974 aveva riconosciuti ad ognuna di loro; b) la perdita di legalit delle istituzioni federali rendeva illegittima la sopravvivenza dellesercito federale; c) la Serbia impegnata nel Kossovo a reprimere la minoranza albanese e ad utilizzare lex esercito federale al fine di realizzare la grande Serbia doveva, dalla Comunit europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, essere ritenuta una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionale e conseguentemente discriminata urgentemente con misure dembargo e militari simili a quelle che avevano colpito lIraq di Saddam Hussein. Di questi tre punti condividevo il primo. Il secondo lavrei condiviso qualora i radicali, dopo aver riconosciuto che le operazioni militari compiute dallex esercito federale si configuravano a tutti gli effetti come crimini, avessero sollecitato i paesi della Comunit europea ad offrire ai militari di carriera di quellesercito la possibilit di essere accolti nelle loro forze armate e/o economicamente tutelati e assieme ammoniti che le offerte erano innegoziabili poich, se respinte, arsenali, armamenti pesanti, alloggiamenti sarebbero stati progressivamente distrutti. Il terzo era inaccettabile poich contrariamente al primo che stabiliva che le Repubbliche che avevano formato la federazione dovevano continuare ad esistere immutate nei loro confini territoriali, anche dopo che la proclamazione dindipendenza di Slovenia e Croazia aveva azzerato le istituzioni federali, pretendeva che la comunit internazionale surrettiziamente smembrasse la Serbia riconoscendo il diritto di autodeterminazione alla sua minoranza albanese. Non lo accettavo, quindi, non per avversione allesigenza radicale di contrastare il razzismo, il militarismo, lautoritarismo vetero-comunista di Slobodan Milosevic, poich accettava che la forza militare che sosteneva la sua politica fosse colpita dagli Stati europei, bens per impedire che i radicali, con questo terzo punto, cancellassero gli altri che avevano il pregio di suggerire come agire per evitare che il male peggiore si affermasse, per i popoli che abitavano in Serbia o altrove nella ex Iugoslavia. E che i primi due punti avessero questa potenzialit ne ero certo, poich pensando ai danni che gli aerei da guerra dei Paesi europei avrebbero inflitto allesercito ex federale, ogni qual volta avesse operato fuori dai confini della Serbia, altro non riuscivo ad immaginare che il suo dividersi in una minoranza, pronta ad immolarsi nella disfatta, e una maggioranza che consapevole dellimpossibilit di non poter realizzare militarmente la grande Serbia avrebbe aiutato il suo popolo a liberarsi di Milosevic per renderlo -seppur obtorto collo- disposto a giungere ad una pace con la parte avversa che lavrebbe riappacificato con la comunit internazionale ma anche con se stesso, con le sue minoranze, con gli altri popoli, compresi i serbi residenti nelle altre Repubbliche. Se quanto esposto indica il percorso che da quei punti poteva prendere lavvio, il lettore pu comprendere la mia delusione nel constatare che seppur conosciuti -essendo stato divulgato capillarmente il testo della Mozione che li conteneva- nessuno dei paesi della Comunit europea e/o della NATO si propose di utilizzarli, poich tutti preferirono anteporvi il terzo formulato con lintento di indicare che se nella ex Iugoslavia non era impossibile evitare il peggio, favorirlo era necessario per poter prendere a pretesto le atrocit della guerra civile per poi giustificare linstaurazione di quel neo-tribunale di Norimberga permanente che avrebbe offerto alle democrazie egemoni di dominare, con cinico machiavellismo, il mondo, ora che lURSS era miseramente crollata. Queste opinioni, che si affacciarono nel 93 e che nel corso degli anni successivi si precisarono e consolidarono, pubblicamente furono parzialmente espresse solo nel 99 in un amaro comunicato stampa dal titolo ANTIDOGMA NON DEMONIZZA I SERBI nel quale si poteva leggere: Sono pi di quindici anni che Antidogma denuncia la nonviolenza teologica di Pannella e del suo partito, senza riuscire nemmeno a scalfirla. Anzi, lattacco sferrato dalla NATO alla Serbia dimostra che tale teologia ha, ormai, pervaso il comportamento di tutti i governi democratici del di qua e del di l dellAtlantico.

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Che un teologo rigorista, dimentico delle radici risorgimentali e garibaldine del suo partito, non abbia mai compreso le aspirazioni serbe non stupisce, mentre constatare che tutti i Paesi occidentali, diventati immemori delle loro cruente origini, abbiano finito per appiattirsi sulla posizione pannelliana, lascia sgomenti. Non colpa dei serbi se la storia con loro stata meno generosa che verso altri popoli europei e americani che hanno avuto la fortuna di costituirsi in nazioni nei secoli passati quando erano ancora sconosciuti nazismi e stalinismi. Non aver compreso che il nazionalismo serbo, anche se inficiato da xenofobia, conteneva in se anche una componente patriottica, che doveva essere riconosciuta e assecondata, costituisce un imperdonabile errore. Antidogma, mentre si dissocia dalla generale irresponsabilit, auspica che la classe dirigente democratica internazionalmente voglia immediatamente riconsiderare la propria posizione per consentire anche ai serbi di realizzare una patria che sia in grado di dare loro, come popolo, una certa e garantita identit etnica, territoriale e nazionale, quale presupposto necessario per una futura loro libera civilizzazione e adesione allEuropa comunitaria multietnica e multiculturale. Allinizio del 1998 mi fu recapitato lOsservatorio laico, pubblicazione mensile della associazione OSSERVATORIO LAICO SUL GIUBILEIO fondata a Roma, nel settembre del precedente anno, da un selezionato gruppo di uomini di cultura appartenenti a diversi orientamenti -tra i quali: Giordano Bruno Guerri, Guido Cernetti, Ida Magli, Mauro Mellini, Indro Montanelli, Giovanni Ne-gri, Davide Perazzelli, Angelo Pezzana, Fulco Pratesi, Alberto Ronchey- per monitorare limpatto che il GIUBILEO 2000 avrebbe prodotto su approvvigionamenti, sanit, viabilit, ordine pubbli- co, assetto urbanistico, della citt eterna. La lettura di questo mensile che, oltre ad elencare i di-sagi che il Giubileo avrebbe arrecato ai cittadini romani, esponeva quanto gi era costato in soldo-ni e quanto ancora avrebbe gravato sulle finanze pubbliche, locali e nazionali, indusse chi scrive a ritenere che la Chiesa, almeno in parte, avrebbe potuto risarcire i sacrifici richiesti alla generalit degli italiani se avesse operato per rimediare ad errori commessi dai laici. Fu da tali presupposti che doveva nascere lopuscolo GIUBILEO 2000 / Lettera aperta a Giovanni Paolo II, che, scritto nel corso del 98, stampato nel marzo 99, fu inviato poco dopo al pontefice, ad alti prelati - tra i quali non mancava lallora cardinale Ratzinger- e a non pochi direttori e giornalisti di quotidiani e settimanali italiani ed europei. Il documento informava il Pontefice che il mittente gi nel 91 aveva inviato una LETTERA APERTA ai dirigenti del Pr per segnalare che labolizione della pena di morte poteva essere richiesta solo da coloro che intendono sostituirla con un forte luogo carcerario, ma che era illegittima se proveniva da chi pretendeva di abolire allo stesso tempo pena di morte e carcere e che quasi inutile era sottolineare che lAssociazione abolizionista radicale non avrebbe potuto auto titolarsi NESSUNO TOCCHI CAINO se fosse nata con la volont di rispettare i valori intangibili che impongono di riconoscere piena legittimit allautodifesa e allazione volta ad impedire la reiterazione dei pi gravi reati. Procedeva sostenendo che lo scempio dei valori intangibili il leader radicale non avrebbe potuto nemmeno concepirlo se non fosse esistita nel mondo cattolico una corrente buonista che aveva fatto dei Vangeli il luogo ove si realizza la sovversione della tradizionale legge ebraica, visto che per questa corrente Ges di Nazaret non avrebbe insegnato ad inibire, fin dal nascere, le pulsioni contrarie alle dure prescrizioni dei comandamenti mosaici ma si sarebbe presentato al mondo come il banditore di un Dio buono, amorevole, tollerante anche verso le pi turpi nefandezze umane. N il leader radicale avrebbe potuto ignorare che gli Stati moderni fondano la loro legittimit sul popolo e non su una teologia che consente alluxoricida che si costituisce ed ammette la sua colpa di tornare subito a casa . al pluriomicida di lasciare il carcere dopo solo un anno [ai] colpevoli di decine di omicidi di godersi ancora giovani, la libert. E pi avanti il Santo padre veniva invitato a non usare la sua autorit per sostenere NESSUNO TOCCHI CAINO poich se la pena di morte fosse stata burocraticamente abolita si sarebbe soddisfatta una certa pubblica demagogia ma i paesi dispotici avrebbero continuato a praticarla in 20

modo occulto -magari ricorrendo ad apparati mafiosi paralleli- con il risultato di peggiorare i loro gi pessimi comportamenti in materia penale, mentre quelli democratici sarebbero stati sollecitati ad adottare una forma di giustizia allitaliana, dove la pena di morte verr inflitta ad innocenti per mano di omicidi resi liberi dopo che i tribunali di Stato avranno accertato le loro oggettive responsabilit criminali. Avviandosi alla conclusione il documento, dopo aver risollecitato Giovanni Paolo II a resistere alle richieste che sempre pi incalzanti gli sarebbero pervenute nel corso del Giubileo dai partigiani del NESSUNO TOCCHI CAINO, invitava a sostenere con pi coerenza e rigore la lotta per i diritti civili in quanto unica attivit capace di imporre ovunque il fiorire delle democrazie senza le quali impossibile abolire la pena di morte poich non sar possibile sostituirla con la pena certa e severa, a testimonianza che gli uomini appartengono alla schiera dei giusti quando operano per mantenere vivo il ricordo di coloro che avrebbero continuato a vivere la vita che gli era stata donata da Dio o dalla natura e che solo Dio o la natura avevano . autorit e/o il diritto di togliere. Un documento forte che non provoc reazioni se non quella dellautore che incominci ad interrogarsi perch non uno dei molti redattori di quotidiani e settimanali nazionali a cui il documento era stato recapitato sent la necessit di intervistarlo per sapere perch si era convinto che la proposta abolizionista avanzata dallassociazione radicale fosse massimalista e poi a rispondersi che era mancata per paura della risposta. Meglio non udirla per evitare di riferire ai lettori che la richiesta di tale associazione non avrebbe potuto che essere riformista e rivolta ai paesi musulmani affinch cancellassero la pena di morte per prostituzione, sodomia, violenza carnale, adulterio, violazione di regole religiose, e che essa non venne avanzata solo per ottenere dai cattolici e dai governi europei riconoscenza per lopportunit offerta di dimostrarsi favorevoli allabrogazione di una pena oggettivamente ripugnante senza bisogno di mettersi in urto, anche solo diplomaticamente, con qualcuno. Ancora: la massima riconoscenza i radicali lavevano ottenuta dalla classe politica italiana per aver richiamato lattenzione sui paesi in cui la pena di morte esiste, per stornarla da quelli in cui pur essendo stata cancellata dalle costituzioni e dai codici penali, continua a sopravvivere in forma extragiudiziale, come notoriamente avviene in molti paesi delle Americhe - Colombia, Brasile, Equador, Honduras, ecc.- ma anche in Italia dove seppur mistificata pi che mai attiva. Una situazione unica quella italiana dove i reati di qualsiasi entit e natura non sono considerati trasgressioni di prescrizioni intangibili -non ammazzare, non corrompere i giudici, non fornire falsa testimonianza, non rompere i patti, non fruire di libert diverse dagli altri, non rubare, ecc.in cui accanto ad ognuna indicato il prezzo che si dovr pagare per risarcire i danni arrecati al patto sul quale si fonda giustizia e convivenza civile degli Stati democratici moderni, bens atti commessi per ignoranza la cui responsabilit ricade sulla societ per aver omesso di impartire una educazione sufficiente ai trasgressori. Una situazione assurda, artificiosamente creata da una Costituzione in cui le regole intangibili seppur elencate, vengono allo stesso tempo negate -articolo ventisette- e che impedendo di considerare legittime le punizioni cancella il concetto stesso di colpa. Un articolo diabolico che in abito costituente poteva essere concepito solo da cultori delle sottigliezze teologiche, ma che condiviso e sottoscritto da cattolici e laici era destinato a diventare parte organica del testo costituzionale promulgato nel gennaio 1948 e a condizionare negativamente, da allora in poi, attivit legislativa, giudiziaria 16 e convivenza civile degli italiani. La mancata reazione alla diffusione dellopuscolo indusse ANTIDOGMA a realizzare un manifesto al fine di segnalare come i laici avrebbero dovuto vivere il Giubileo. Un manifesto in bianco e nero costituito da una fotografia di un sedile di sgabello, SKRANNO, affollato di elementi appuntiti e dalla sovrastante scritta 2000/ GIUBILEO LAICO che non lasci dubbi a coloro che a
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Lesistenza di processi oggettivi non prevista dalla nostra Costituzione poich prescrivendo che solo lultimo dei diversi gradi di giudizio valido rende invalidi non solo quelli che lo precedono ma anche se stesso in quanto chiamato a sindacare sentenze che a priori sono inconsistenti.

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Torino lo videro affisso ai lati di strade e piazze del centro e delle periferie a chi fosse destinato, n che i destinatari potessero trovare riposo e felicit nellanno in cui i cattolici erano intenti a giubilare. La scelta di affiggere il manifesto nella citt sabauda non fu casuale poich pretendeva di essere dauspicio che proprio dalla citt in cui il laicismo risorgimentale era nato 17 potesse dalle sue ceneri rinascerne un altro, altrettanto vitale, nella misura in cui avrebbe dovuto iniziare la sua esistenza spazzando via quella massoneria clericale che con la P2 aveva tutto infettato. Con laffissione del manifesto per la prima volta dal 1993 una mia opera di scultura, seppur incompleta e in fotografia, poteva ritornare ad essere esposta. Questo ritorno offr lopportunit di ipotizzare che opere figurative di contenuto politico, che erano bandite dalle gallerie private e dagli spazi espositivi pubblici, avrebbero trovato, se riprodotte su manifesti, la possibilit di esibirsi davanti a un pubblico pi vasto e potenzialmente attivo di quello che abitualmente frequentava i luoghi deputati ad ospitare opere rese sterili da questi stessi luoghi. Una ipotesi che nel 2001 fu messa alla prova da ANTIDOGMA quando assegn a un manifesto il compito di denunciare il pericolo che lamministrazione americana capeggiata da Georges Bush, resa ebbra dalla dissoluzione dellimpero del male, facesse pessimo uso della straripante potenza militare di cui disponeva. Questo manifesto il compito lo svolse coniugando una fotografia rimaneggiata di una scultura degli anni sessanta di chi scrive con la parola WANTED. La scultura, costituita da un aereo da guerra USA, privo di ali, ergeva la sua carlinga su uno stelo infisso su un disco appoggiato a terra, per urlare da una bocca spalancata, che aveva preso il posto della cabina di combattimento, riprovazione contro coloro che lo consideravano un bandito. Il manifesto che venne affisso a Torino e a Venezia, pur non lasciando dubbi sul messaggio che veicolava -anche gli aerei da guerra degli Stati Uniti si sarebbero ribellati qualora fossero stati male utilizzati (sic!)- non riusc, purtroppo, a convincere la classe politica di quella grande nazione a comportarsi diversamente da come si comport a partire da quel tragico undici settembre. Constatare che il manifesto era stato brutalmente smentito costrinse ANTIDOGMA a ritornare sulla precedente affrettata ipotesi per riconoscere che anche se i suoi manifesti avessero ricevuto unattenzione e un consenso ben pi vasti di quelli ottenuti dalle opere figurative non si sarebbero ancora trasformati in azione politica concreta, che avrebbe continuato ad essere monopolio di minoranze specializzate e quindi si imponeva la necessit di affidare ai futuri manifesti oltre il compito di diffondere una informazione politicamente orientata anche quello di cercare chi avrebbe avuto interesse a sfruttarla. Nel giugno 2001 le elezioni politiche erano state vinte da Forza Italia e Berlusconi era ritornato a presiedere un governo che tutte le previsioni indicavano che sarebbe stato di legislatura e ANTIDOGMA, per rendere noti i convincimenti maturati sugli avvenimenti politici italiani degli ultimi dieci anni, nel 2002 invi una LETTERA APERTA/ AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO/ DOTT. SILVIO BERLUSCONI e in fotocopia a non meno di un migliaio tra giornalisti, politici, intellettuali. In riassunto il suo contenuto era il seguente: Berlusconi era sceso in campo per recitare una parte che un consumato attore avrebbe potuto recitare solo se prevista in un testo surrealista, ma egli laveva superato poich aveva trasformato il surrealismo stesso in vivente realt, accusando coloro che lavevano aiutato a concentrare su di s un enorme potere mediatico, economico, politico, di essergli nemici e per di pi sapendo che costoro avrebbero continuato -senza limiti di tempo- ad accrescergli averi e poteri, materiali e immateriali, purch continuasse a recitare la parte.

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Il laicismo risorgimentale, figlio dello Statuto albertino del 1848 si sostanzi nella legge Siccardi che presentata al Parlamento subalpino nel 1850 era composta da nove articoli che riguardavano: labolizione del foro ecclesiastico e lantico diritto dasilo da parte di istituti religiosi, la limitazione delle pene stabilite dalla legge per inosservanza delle festivit religiose, lautorizzazione per poter acquistare o accettare donazioni da parte degli enti ecclesiastici, lincarico dato al governo di presentare al Parlamento un progetto di legge per regolare il contratto di matrimonio.

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Contestata la recita, la LETTERA rimproverava il destinatario di non averne scelto unaltra diversa e ben pi responsabile, come la preventiva rinuncia a ricandidarsi alla Presidenza del Consiglio che gli avrebbe permesso di utilizzare il tempo in cui al governo cera il centro-sinistra (anni: 1966/2001) per scegliere coloro che nellambito del suo schieramento avrebbero dovuto ricoprire le cariche ministeriali quando il centro-destra avrebbe rivinto le elezioni politiche. Una recita mancata poich le elezioni, vinte dal centro-destra, lavevano catapultato a presiedere un governo di dubbia legittimit in quanto costituito in violazione di una legge del 1957 che prescriveva lineleggibilit a cariche pubbliche di coloro che erano titolari di importanti concessioni pubbliche. E se Berlusconi era responsabile di presiedere tale governo, molto di pi lo era DAlema che, in qualit di leader del pi grande partito della sinistra, nella precedente legislatura, non avrebbe dovuto rendersi disponibile a collaborare con lui in bicamerale per legittimarne il ruolo politico che pretendeva di svolgere, ma operare per creare una maggioranza trasversale al fine di varare una legge sul conflitto dinteressi che impedisse a chiunque si trovasse in tale condizione di ricoprire cariche pubbliche in violazione di fondamentali principi di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e di divisione dei poteri tra organi dello Stato. Posti di fronte ai gravissimi errori commessi, a DAlema e al suo Partito ora non rimaneva altro che lAventino. Un Aventino che per evitare gli errori amendoliani, dovrebbe creare un governo ombra -nel cui programma non potr mancare limpegno a realizzare un reale mercato televisivo-, lasciare presidi combattivi dentro le Camere, affidarsi ad una prolungata attivit agitatoria, che coinvolga dal basso grandi quantit di cittadini, per renderli consapevoli degli interessi particolari che si celano dietro la decennale campagna scatenata da Forza Italia e dai suoi alleati contro la magistratura e di quanto necessario fare per ritornare nellambito della legalit. Un ritorno che per la sinistra costituisce il problema dei problemi ma non perch chiamata a riscattarsi dal suo passato stalinista -come pretenderebbe Berlusconi- ma dal buonismo cattolico che lha contagiata sul modo di concepire origine e amministrazione della giustizia che la rende serva di interessi faziosi di ogni genere e natura. Un ritorno possibile poich la sinistra pur digiuna di cultura giuridica laica ha la fortuna di poter procedere nella giusta direzione capovolgendo semplicemente i sofismi che Forza Italia pretende rappresentino altrettanti aspetti di una giustizia giusta. In tale contesto Antidogma manifesto vuole essere, quindi, pungolo della sinistra per spingerla a prendere coscienza che deve rifondarsi sulla giustizia cara a Di Pietro, solo argomento capace di sottrarla ai soffocanti abbracci delle gerarchie religiose e dei clericalismi dei partiti pseudo-liberali, pseudo-marxisti e di renderla partito liberalsocialista coeso, moderno, in grado di affrontare le nuove, difficili sfide imposte dallunificazione europea e dalla globalizzazione. Manifesto bandiera che sventola per avvertire i democratici e i liberali europei, di destra e di sinistra, del pericolo che incombe per la sospesa democrazia italiana. Nello stralcio della LETTERA sopra riportato la parola manifesto due volte ripetuta. Per comprenderne la presenza si deve sapere che tale documento era stato preceduto dallaffissione del terzo manifesto, in bianco-nero, di ANTIDOGMA, composto dalla fotografia di una panchina -SKRANNA LONGA- ripresa da un obiettivo posto leggermente in alto per evidenziare quanto fosse problematica lagibilit di tutti i suoi posti a sedere e dal nome BERLUSCONI scritto sopra la panchina per non lasciare dubbi, in coloro che lo vedevano, che sotto la sua egida nessuno avrebbe potuto trovare riposo se non mettendo a rischio lincolumit personale e/o collettiva. Dalla descrizione si evince che lo schema compositivo del terzo manifesto ripeteva quelli precedenti: fotografia + nome . Impossibile per capire che la sua finalit si era, nel frattempo, irrigidita poich, pur continuando ad essere rivolta allinformazione politica, pretendeva che a partire da se stesso tutti i manifesti di ANTIDOGMA avrebbero dovuto trattare un unico tema: B E R L U S C O N I. Una correzione imposta dalla necessit di ancorare saldamente ANTIDOGMA alle forze liberali pi coerenti che ravvisavano nel padrone di Mediaset il problema pi spinoso che le classi dirigenti erano chiamate ad affrontare e dalla convinzione, sopraggiunta in 23

chi scrive, che se i suoi manifesti avessero dimostrato, in luoghi e tempi diversi, di stimolare nei cittadini la consapevolezza che lanomalo Presidente del Consiglio italiano costituiva un pericolo per le stesse istituzioni democratiche dei paesi europei, avrebbero potuto ottenere quotazioni di mercato equivalenti alle opere dei pi quotati artisti contemporanei. Questo ambizioso disegno, che fu accolto con scetticismo da quelle pochissime persone che informalmente, in quel momento, costituivano ANTIDOGMA, nellimmediato non aveva mancato di gratificare coloro che pi avevano contribuito alla sua realizzazione quando un sondaggio rivel che una significativa percentuale di chi laveva visto affisso a Torino aveva reagito secondo quanto previsto. Una gratificazione che manc del tutto a chi scrive per limprovviso, sciagurato, precipitare della salute di colei che manifesti e affissioni fino a quel momento aveva finanziati. Linaridirsi dei finanziamenti per ANTIDOGMA fu un colpo durissimo poich dopo la seconda affissione del terzo manifesto, che venne realizzata a pochi mesi di distanza dalla prima nella stessa citt, fu costretto a rinunciare a quelle che dovevano essere fatte nel tardo autunno a Milano e Roma e poi, nel 2003, a desistere dal progettare altre affissioni in alcune capitali europee. Fu cos che limponente immaginata campagna di affissioni in fase di decollo fu costretta ad atterrare precipitosamente per fermarsi nel 2004 con il quarto manifesto che se pur realizzato con il ricorso al collaudato schema compositivo non incitava pi alla rivolta culturale e politica contro Berlusconi ma si appellava alla sua coscienza affinch trovasse in se stesso la forza di desistere dal continuare a torturare la democrazia. Su questi avvenimenti, anche affettivamente dolorosi, non mi soffermo limitandomi a segnalare che il vuoto lasciato dallinterrotto progetto fu riempito dalle lettura del libro MANI PULITE/ la vera storia 18 che inaspettato e ponderoso comparve nelle librerie nellestate 2002. Un libro che mi doveva sollecitare a ricordare come durante la guerra fredda la nostra classe politica, incalzata dalla necessit di ricorrere alle mafie per convogliare il consenso elettorale sulla Democrazia Cristiana - unico Partito internazionalmente legittimato a governare- fosse stata costretta a promuovere se stessa a classe dominante e a sottomettere ai suoi particolari interessi tutta la societ, compresa quella borghesia alla quale pur avrebbe dovuto sottostare poi a pensare che se dopo il crollo del muro di Berlino questa classe non ha perso il dominio fu perch gi prima che quel muro crollasse una sua non piccola parte era consapevole che per non soccombere sotto il peso della responsabilit avuta nel derubare e dissestare i bilanci dello Stato avrebbe potuto usufruire non solo della comprensione delle classi dirigenti dei Paesi NATO ma anche della Costituzione repubblicana. E nel mutato quadro internazionale fu quello che avvenne quando indagata e processata si aggrapp alla Costituzione che le consentiva, anche se ripetutamente condannata, di proclamare la propria innocenza e tenere aperto un inutile contenzioso, consapevole che l dove i principi primi sono ambigui e contradditori chi decide non sono legge e ragione ma la forza. Sul groviglio dei fatti accaduti dopo che la forza prevalsa non posso soffermarmi e non potendo mi limito ad asserire che fu la loro gravit a convincermi che portare lItalia nellambito della normalit democratica sarebbe stato impossibile se non fosse sopraggiunto dallesterno un energico, imprevisto aiuto alla debole opposizione interna. Ossessionato da questa convinzione nel tardo autunno 2003 inviai una lettera a Bill Emmot, direttore di THE ECONOMIST. La decisione di scriverla era stata presa nellestate dopo aver letto su LEspresso, che lautorevole settimanale inglese aveva dedicato a Berlusconi un dossier. La lettera informava che i ripetuti articoli pubblicati dal settimanale sullanomala situazione italiana gi in passato avevano sollecitato il mittente a scontrarsi, ripetutamente con quei pochi amici radicali che gli erano rimasti e poi a rendere pubbliche le divergenze. Cosa questa che era avvenuta nel 2002 quando ANTIDOGMA aveva prima affisso un manifesto per allertare i cittadini che Berlusconi, in veste di Presidente del Consiglio, costituiva un pericolo e poi inviato allo stesso una LETTERA APERTA
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Autori: Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio, Editori Riuniti, giugno 2002.

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che di fatto linvitava a dimettersi dalla carica ricoperta, anticipando quella stessa conclusione a cui recentemente era giunto l ECONOMIST. Richieste sagge -desiderabili- ma irrealizzabili per la indisponibilit di colui che avrebbe dovuto accoglierle. ANTIDOGMA posto di fronte a tale indisponibilit non intendeva reclinare la testa poich confida Suo tramite di trovare chi, per un periodo di tempo prestabilito, si identifichi con esso per trasformarlo da associazione virtuale in associazione culturale reale, forte e strutturata. La lettera proseguiva affermando che qualora questa trasformazione fosse avvenuta l ANTIDOGMA virtuale non solo avrebbe proposto a quello reale di svolgere unazione articolata su tre indirizzi operativi: a) affissioni di manifesti nelle capitali dei pi grandi Paesi dEuropa e nelle citt in cui hanno sede organi di governo europeo -Berlino, Londra, Madrid, Parigi, Roma, Bruxelles, Strasburgo; b) mostre da realizzare con i manifesti e/o le fotografie, scattate nei luoghi in cui sono stati affissi; c) iniziative culturali da tenersi anche in concomitanza delle affissioni o delle mostre di cui ai punti precedenti ma si sarebbe anche anticipatamente impegnato a dotare il suo succedaneo di un nuovo manifesto -anche di grandi dimensioni e in numero sufficiente a tappezzare una capitale fra quelle menzionate nel punto a) [rinunciando] in perpetuo a rivendicare qualsiasi forma di propriet sui beni materiali e immateriali connessi allattivit del nuovo ANTIDOGMA. La lettera, poco oltre, si concludeva affermando che gli artisti di ANTIDOGMA desiderosi di offrire pi mezzi a quellesigua minoranza che con lintransigente opposizione al berlusconismo si candida a svolgere il ruolo che mezzo secolo fa fu assolto dagli intellettuali della libert della cultura si attendono una risposta positiva, ma qualora questa fosse negativa essa verrebbe accolta come un invito a cercare altre strade per giungere da una diversa parte a svolgere la stessa lunga e difficile opposizione. Rimasta senza risposta,19 il mittente, ringraziati gli artisti che si erano offerti di mettere gratuitamente le loro capacit professionali al servizio del nuovo ANTIDOGMA, qualora avesse visto la luce, si accinse, in coerenza con limpegno assunto in chiusura di lettera, a cercare quale strada diversa potesse utilmente percorrere. Una scelta sbagliata poich cadde sulla stesura di un libro nel quale i suoi protagonisti -due ex iscritti al Pr dei mitici anni 70- dopo aver scoperto di non essere daccordo che Pannella avrebbe potuto traghettare lItalia dalla prima alla seconda Repubblica, purch fosse stato libero da errori personali indotti da unindole troppo concentrata su se stessa20, avrebbero dovuto dare vita ad unanimata discussione fatta mentre passeggiavano -dalle sei di sera di un giorno ancora caldo di settembre alle sei del mattino del giorno dopo- lungo o nei pressi di una riva torinese del Po. Questo libro -IL CONTRADDITTORIO non venne mai ultimato. Dei due soli animati capitoli scritti, qui mi limito a dire che se mai dovessero avere un pregio questo consisterebbe nellaver senza ambiguit affermato contro lottimismo di Teodori che Pannella, nonostante tutte le meritorie battaglie che di volta in volta ha tenacemente combattute in veste di liberale, libertario, nonviolento, antimilitarista, anticlericale, sarebbe stato un cattivo traghettatore, poich da maniacale estimatore della vigente Costituzione, la seconda Repubblica lavrebbe fondata sugli stessi principi che hanno caratterizzato la prima, con le conseguenze negative che il lettore conoscendo quanto in precedenza stato scritto pu immaginare. Nel 2005
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Unassenza tanto pi deludente credendo di sapere che altrimenti Berlusconi ben difficilmente sarebbe ritornato a presiedere per la terza volta un governo e che lEuropa avrebbe potuto disporre di un gruppo di intellettuali di altissimo livello -tra quelli italiani penso, primo fra tutti, a Giovanni Sartori- che avrebbero messo a disposizione delle classi dirigenti e dei governi dei Paesi europei non poche indicazioni e proposte capaci di aiutarli ad avvicinare quella difficile unit ancora tanto lontana dal traguardo che lattende.
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Citazione tratta dal libro di M. Teodori riportato in nota 11.

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(omissis).

POST SCRITTUM Recentemente Bill Emmot, dopo aver percorso in lungo e in largo lItalia, ha pubblicato un libro -Forza Italia/Come ripartire dopo Berlusconi; Ed. Rizzoli, ottobre 2010- nel quale pensando alle proposte che un Cavour redivivo farebbe per risollevarne le sorti le individua nelle seguenti riforme:legge elettorale, legislazione del lavoro, giustizia, concorrenza, finanza pubblica, conoscenza. Riforme che a qualche settimana di distanza in un articolo pubblicato su Lespresso -novembre 2010- riduce a tre definendole priorit assolute per la politica e la societ: legge elettorale, sistema giudiziario, competitivit, Che si debba partire dalla legge elettorale lo condivido, cos come condivido che questa legge debba essere un proporzionale corretto da una soglia di sbarramento -purch non sia del 5 ma del 9%- per eliminare assieme ai partitini anche i partiti minori e che solo ad elezioni avvenute si debbano pattuire coalizioni governative. Condivido che tra le priorit assolute sia annoverata la riforma della giustizia purch non principi dalla separazione delle carriere dei magistrati ma dallattacco alle pi assurde garanzie di difesa. La prima a cadere dovrebbe essere ludienza preliminare che allontanando laccertamento dei fatti dai tribunali serve al reo per non essere inchiodato alle proprie responsabilit dai ricordi sbiaditi o cancellati e dai ricatti che il tempo gli ha permesso di esercitare sui testimoni e alla casta politica per mortificare la professionalit della magistratura, accusando, tutte le sue componenti -inquirenti, giudicanti- di essere responsabile della ferriginosit e lentezza dei processi. Condivido che limpopolarit della parola competitivit debba individuarsi nella carenza di concorrenza economica a causa di uno Stato endemicamente predisposto a favorire inefficienza e corruzione che ha permesso ai poteri forti di trarre costanti vantaggi dalle collusioni e che per procedere verso la creazione di un mercato aperto si debba partire dalla rottura del monopolio televisivo e pubblicitario sul quale affondano rigogliose le radici del berlusconismo politico. Passando dalle priorit assolute elencate su Lespresso alle riforme proposte nel libro penso che se il Cavour redivivo fosse chiamato a giudicarle apprezzerebbe quella sulla Finanza Pubblica poich anche lui, convinto che lenorme debito pubblico costringer lItalia a una progressiva regressione economica, condividerebbe lindicazione data di procedere ad una drastica ristrutturazione dei ministeri e di altri enti pubblici al fine di realizzare una positiva riduzione nelle dimensioni dello Stato. Ma dubbi sono certo che gli sorgerebbero sulla capacit del federalismo fiscale di poter su base regionale richiamare gli amministratori locali al senso della loro responsabilit se questesempio prima non verr dato dagli organi centrali. E altri lassalirebbero sulla riforma del Lavoro e non per contrariet a quella proposta dai professori Tito Boeri e Pietro Garibaldi sul nuovo contratto unico per tutti teso a superare la precariet di quello attualmente offerto a milioni di giovani ma poich consapevole che nellattuale congiuntura macroeconomica, caratterizzata dalla progressiva espulsione di forza-lavoro dai settori primario e secondario -agricoltura, industria- e dallincapacit del terziario privato di assorbire quella in eccesso coniugata allimpossibilit di espandere ulteriormente debito e occupazione pubblica, e reperire risorse utili da tassazioni ed evasioni fiscali , penserebbe che i pesanti oneri derivanti dalla riforma possono essere reperiti solo dalle spese inutili di Stato a partire da quelle sperperate per la casta politica.

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Unacasta i cui privilegi superano quelli di nobilt e clero del tempo di Luigi XV e che la rendono cinica nel mistificare classi subalterne e societ; incapace di assolvere gli obblighi che il capitalismo liberale gli impone: p r o m u o v e r e i n t e r e s s i g e n e r a l i. Una incapacit che ben compresa nelle sue cause dal Cavour redivivo lo solleciterebbe a contattare intellettuali e politici europei per illustrare lo sbaglio commesso agli inizi degli anni 90 dallUnione nellammettere lItalia nel trattato di Maastricht pur non avendo i requisiti richiesti, e a rivolgersi al popolo italiano per sollecitarlo con petizioni a chiedere che qui, ora, subito, siano dimezzate le retribuzioni percepite dai parlamentari delle assemblee nazionali e delle altre disseminate nei capoluoghi regionali e provinciali e ad utilizzare liniziativa come trampolino per lanciare un partito -azionista liberale proteso a realizzare necessarie e urgenti riforme sovrastrutturali e strutturali.21

Armando Puglisi Torino, febbraio 2011

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Queste non potranno che principiare dallabolizione dei comuni con popolazione inferiore lle 3000 unit

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