Sei sulla pagina 1di 68

Storia dell’arte contemporanea

«Mostre che hanno fatto la storia dell’arte» o «Mostrare l’arte»


«Ultima mostra di quadri futurista 0,10» - Pietrogrado, inverno 1915
Organizzata e finanziata da Iwan Puni e Xenia Boguslawskaja in uno spazio commerciale vicino al Palazzo
d’Inverno→ centro della capitale imperiale russa ➔ Prima Guerra Mondiale in corso

Allestimento di opere suprematiste → quadri suprematisti di Malevič e dei Controrilievi di Tatlin

“Suprematismo”: Malevič → allontanamento della pittura come arte raffigurativa del reale, della natura →
v. Quadrato nero su fondo bianco → approdo all’arte astratta geometrica < rappresentazione teatrale →
Vittoria sul Sole (opera, Vladimir Maiakovski e Alexei Kruchenykh) → i personaggi miravano ad abolire la
ragione catturando il sole e distruggendo il tempo → Malevich, intriso dello spirito degli esperimenti
linguistici del suo amico musicista Mikhail Matyushin, inventò un nuovo linguaggio pittorico composto
esclusivamente da forme e colori → “Suprematismo” della forma e colore sulla pittura → nuova fase
dell’esperienza umana → altissimo contrasto figura-sfondo → : pittura sacra ➔ rapporto con le icone: quadro
posizionato sull’angolo, punto di incontro tra le pareti → posizionamento delle icone nella tradizione
ortodossa

Assenza di cornici → oggetti sganciati dalla tradizione → si impongono sciolti sullo spazio

Oggetti disposti su quattro registri, senza obbedire a un’ordinata griglia ortogonale

Tatlin: sculture astratte → no riproduzioni del reale, ma esaltazioni dei materiali → sceglie di installarle
nell’angolo, sospese all’altezza dello spettatore, tendendo gli elementi metallici tra le pareti convergenti ➔
sgancia dal piedistallo le sue sculture → ibrido tra scultura e pittura → pur condividendo con il maestro
Malevič i riferimenti al Cubismo, prendeva le distanze dalla pittura fine a se stessa considerando l'estetica
della costruzione la vera frontiera del presente; inaugurazione di una nuova relazione: lo spazio che circonda
l'opera diviene per la stessa un elemento significativo e vincolante

Per via della polemica tra i due artisti (Kasimir Malevič e Vladimir Tatlin), gli spazi all’interno dell’esposizione
furono divisi in modo netto e Tatlin appose all’ingresso della sezione del suo gruppo la scritta «Mostra
professionale» insinuando che le altre opere fossero di natura amatoriale (PUGLIESE 2006, P. 22)

«Erste internationale Dada-Messe» - Berlino, estate 1920


Curatori: George Grosz, Raoul Hausmann e John Heartfield (→ hanno scelto di inglesizzare nomi e cognomi
per allontanarsi dal patriottismo tedesco del momento) → si presentano con ritratti fotografici su grandi
poter correlati da didascalie a slogan

Kunstsalon Otto Burchard (gallerista)

Germania della Repubblica di Weimar → crisi sociale e politica

Negano l’arte tradizionale e quella d’avanguardia, inaugurando un’arte delle macchine → raggiungere un
pubblico più vasto (operai) → non una “mostra”, ma una “fiera” → un coacervo di oggetti disparati, non
selezionati in base a criteri estetici, di fatto invendibili

Necessità di documentarla → utilità di diffusione delle foto → far sapere della loro iniziativa

Rivalutazione dei criteri espositivi → non c’è chiarezza o rigore nell’esposizione → disordine politico (Grande
Guerra appena finita) → “bisogno di riempire” con opere, proclami e manifesti con slogan (→ facilmente
riprodotti su larga scala) → disorientare, sorprendere, trasformare la galleria nella sede di una fiera ➔ non
opere da guardare, contemplare a distanza, ma che sono di fattura meccanica semplice per il nuovo pubblico
(proletariato) → «Era spontaneo, per tutti i movimenti ostili alla concezione tradizionale dell'arte,
immaginare nuove modalità di fruizione delle opere negli spazi espositivi consueti, e altrettanto impellente
la necessità di disporre di spazi adeguati al tenore dei nuovi linguaggi»

Collocazione sul soffitto → attivazione di un altro spazio dell’ambiente → dopo l’angolo conquistato dai
suprematisti, il soffitto → v. cupole e volte dell’arte antica → «Arcangelo prussiano» di Heartfield e Schlichter
→ manichino con testa di porco e uniforme da ufficiale appeso al soffitto

Prendere le distanze da un comportamento passivo, puramente contemplativo → arte = arma per diffondere
un messaggio ➔ posa della fotografia: mettere in ridicolo l’esaltazione contemplativa → volontà di sporcare
la natura asettica degli spazi espositivi, contestando la ricezione dell'arte come esperienza contemplativa, in
forza di allestimenti che provocavano i visitatori per la sgradevolezza urtante, o per la seduzione ammiccante
→ non bastava mostrare quadri e sculture → la mostra stessa diventa un'opera d'arte, secondo strategie
espositive apprese talvolta dal mondo commerciale → surrealisti: atteggiamento ammiccante verso il
pubblico (→ influenza del mondo pubblicitario)

Fotomontaggio a quattro mani (Grosz e Heartfield, Leben und Trieben im Universal City, 12 Uhr 5, Mittags,
1919) → frammentarietà, parcellizzazione dell’immagine per renderla difficile da ricostruire → : metropoli >
eccesso di stimoli sensoriali (visivi, uditivi, olfattivi…) → molto segnata dalle macchine → personaggi
intrappolati nella tecnologia → vorticosità, confusione, città brulicante, insicurezza, instabilità
↳ Ribellione contro l’esaltazione della figura del singolo artista, individuo, (v. Espressionismo) → arte
collettiva, collaborazioni tra artisti → azione collettiva e condivisa

Accusati di antipatriottismo: vittime della società, della guerra → mutilati, sfigurati → tecnica e progresso
scientifico, Imperatore Guglielmo → accusa a politici e generali → dinamica delle turbolenze politiche
correnti

Destinazione principale delle immagini era la riproduzione meccanica su riviste e volantini

George Grosz, I pilastri della società, 1926:


• “ala sinistra” della Nuova Oggettività → parte attiva e impegnata nel sociale e nella politica
• Giornalista con una piuma di pavone (= scrittura che tende a edulcorare i fatti) in mano e un vaso da
notte in testa; la serietà del suo sguardo finisce nel ridicolo
• Città in preda alle fiamme
• Nuovo stile figurativo adatto ai nuovi temi urticanti
• Citazioni di armi, strumenti taglienti, lame → forbici per isolare dettagli importanti
• Veterano di guerra ha una svastica sulla cravatta e sogna di combattere nuovamente → guerriero
che esce dalla sua testa
• Politico convertitosi al Socialismo per opportunismo ha per cervello escrementi fumanti
• Prete dal naso rosso, ubriaco non meno del veterano, benedice il fuoco e la distruzione
• Gruppo di poliziotti sullo sfondo si aggira con aria intimidatoria

«Messinscena provocatoria» (ROVATI 2015)

«The Dadaist person is the radical opponent of exploitation, the meaning of exploitation creates nothing but
stupid people, and Dadaist man hates stupidity and loves nonsense! Therefore, the Dadaist person proves
himself to be truly real as opposed to the stinking mendacity of the patriarch and capitalist rotting away in
his easy chair.» (RAOUL HAUSMANN)

“montaggio”, “montatori”, “montiert”


The Great Plasto-Dio-Dada-Drama, Johannes Baader: accumulo → costruzione di materiali eterogenei
ingombra e dilaga nello spazio espositivo → rottura dei canoni; costruzione piramidale a livelli → da 1
(preparazione del Super-Dada) a 5 (Rivoluzione mondiale)

Stretta relazione opera-ambiente

Esposizione Internazionale del Surrealismo (Parigi, 1938)


Curatori: André Breton e Paul Éluard

Marcel Duchamp (allestitore → fa dell’allestimento un’arte → ribaltamento) e Man Ray (“esperto delle luci”
→ idea di dare nel giorno di apertura delle torce al pubblico, in modo che si facessero strada da soli tra le
opere nell’esposizione multisensoriale)

Galerie Beaux-Arts di Georges Wildenstein → lussuosa galleria specializzata in arte antica → pubblico alto-
borghese; vie della moda

Opere disposte su porte girevoli (interazione dello spettatore)

Ambienti espositivi + allestimenti sperimentali

Installazione “ante litteram” diventa teatro di una performance “ante litteram” → l’attrice Hélène Vanel
inscena un attacco di isteria tra il pubblico (L’atto mancato)

La sala principale della mostra: sacchi di carbone, riempiti di carta di giornale appesi al soffitto (> ribaltamento
della legge di gravità), uno dei quattro letti accanto allo stagno con canne e felci di Wolfgang Paalen

«Ben oltre la logica della semplice presentazione di opere d’arte, l’esposizione fu un evento nel quale il
pubblico era coinvolto e sollecitato in modo multisensoriale» (PUGLIESE 2009)

«La sala principale era una sorta di immensa grotta con il soffitto ricoperto di sacchi di carbone riempiti di
carta di giornale e sul suolo uno strato di foglie con acqua, ninfee e rose. L'illuminazione era bassissima e
inizialmente doveva provenire da un braciere poi sostituito da una lampada elettrica per motivi di sicurezza.
La luce diffusa dal suolo e la presenza dei sacchi sul soffitto creavano un'insolita inversione tra alto e basso,
mentre i quadri esposti su pareti e pannelli mobili (tra cui opere di de Chirico, Dalí, Ernst, Magritte, Miró,
Tanguy) potevano essere ammirati dai visitatori solo illuminandoli con torce portatili. Per convincere gli
artisti, Man Ray -ideatore di questo espediente che ebbe una notevole eco di stampa e che trasformò la serata
in una kermesse di giochi di luce tra il pubblico- aveva dovuto garantire loro che nei giorni successivi
all'inaugurazione le opere avrebbero avuto un'illuminazione migliore. Ai margini della stanza erano collocati
alcuni letti enormi in allusione ai bordelli, mentre un fonografo amplificava il suono di risa registrate in un
manicomio. L'ambiente era anche arricchito da sensazioni olfattive: una macchina per tostare il caffè era
collocata in un angolo per emettere profumo. La sera dell'inaugurazione un'attrice comparve nuda e
incatenata e inscenò una crisi isterica.»

Carattere internazionale del movimento → gruppo intercontinentale → si vuole presentare come compatto,
unito, nonostante le varie crisi politiche in corso ➔ coinvolgimento di molte riviste (specializzate + di moda),
giornali e iniziative per attirare il pubblico delle fasce sociali/economiche alte

Generatore arbitro → protagonismo nell’aver scardinato i sistemi espositivi → Marcel Duchamp

Partecipazione di Enigmarelle: «Le descendant authentique de Frankenstein, l’automate ‘Enigmarelle’,


construit en 1900 par l’ingénieur américain Ireland, traversera, à minuit et demi, en fausse chair et en faux
os, la salle de l’Exposition Surréaliste» → apparizione alla fine non ebbe luogo

Taxi pluvieux, Dalí: «Nel cortile di accesso un taxi nero, a fari accesi e ricoperto di edera, ospitava un autista
con un’omelette in testa e una passeggera coperta di alghe e lumache vive inondate dall’acqua che pioveva
dal tetto forato dell’automobile: erano in realtà due manichini, protagonisti del Taxi pluvieux di Dalí.» (F.
ROVATI, L’ARTE DEL PRIMO NOVECENTO, EINAUDI, TORINO 2015) → Secondo Marcel Jean, nel cortile d’ingresso «le
visiteur recevait le premier choc, là où Dalí montrait son Taxi pluvieux: une antique automobile délabrée dans
laquelle une douche violente s’abattait sur deux poupées par un habile système de tuyauterie, un chaffeur à
tête de requin et, dans le fond, une blondinette en robe du soir à la chevelure en pétard entre têtes de salade
et chicorée, et sur laquelle de gros escargots de Bourgogne laissaient des traces humides.» (U.M. SCHNEEDE,
EXPOSITION INTERNATIONALE DU SURREALISME, PARIS 1938, IN L’ART DE L’EXPOSITION CIT. [DOVE SI PROPONE IL CONFRONTO
CON LA FOTO DI UNA LOCOMOTIVA INVASA DALLA VEGETAZIONE PUBBLICATA SULLA RIVISTA «MINOTAURE» NEL 1937]); natura
può riprendersi i suoi spazi e sopraffare le opere umane; motivo dell’acqua e della pioggia minacciosa; ninfa
boschereccia del mito e trasportata in un’automobile; seduzione corpo femminile // seduzione carrozzeria
splendente dell’auto

Dalí molto presente → si compiaceva di vendere la sua immagine → usare il suo volto come pubblicità

Democratizzazione dell’arte → oggetti surrealisti al di là delle proprie competenze pittoriche → collaborazioni


“non-artistiche”

Les plus belles rues de Paris


Corridoio con la sequenza di sedici manichini androgini naturalistici (→ rendere più urtante la presenza di
corpi femminili nudi) nell’ingresso della galleria: «Arte e realtà dovevano scambiarsi le parti, come dimostrava
la scelta di manichini naturalistici, ormai obsoleti rispetto ai modelli stilizzati più in voga; il cartellino della
ditta «Mannequins ITEM» [PLEM IN KACHUR 2003] fu appeso dietro il lavoro di Arp per dichiarare fin dall’inizio
la matrice commerciale di quelle attrazioni. Ogni visitatore poteva compiere la propria scelta, come davanti
alle vetrine dei negozi, ma la scelta chiamava in causa pulsioni inconsce, come davanti alle Demoiselles
d’Avignon. Alla degradazione dell’arte alla sfera commerciale si aggiungeva infatti la mercificazione del sesso
poiché la sfilata dei manichini non poteva non ricordare le prostitute lungo le strade dei quartieri malfamati;
alla parete del corridoio erano persino affissi dei cartelli stradali, dove nomi di pura invenzione: «RUE DE TOUS
LES DIABLES», «RUE AUX LÈVRES», si mescolavano a indirizzi reali: «RUE VIVIENNE» (vi aveva vissuto
Lautréamont), «RUE DE LA VIEILLE LANTERNE» (vi si era impiccato Nerval). Non a caso Man Ray si limitò ad
appendere degli abiti maschili ad un attaccapanni dietro il manichino nudo, presso una porta chiusa. Del
resto, il corridoio immetteva in una sequenza di tre stanze, secondo una progressione che sollecitava il
voyeurismo dei visitatori: [...]» (F. ROVATI, L’ARTE DEL PRIMO NOVECENTO, EINAUDI, TORINO 2015)

Sulle pareti erano appese le targhe con i nomi delle vie, locandine di mostre surrealiste, opere d’arte (come
una serie di foto di Hans Bellmer), pubblicità e altro materiale a stampa

Spettatore invitato a fare delle scelte → : negozio → allusione alle case chiuse e alle vie di prostituzione (v.
targhe delle vie alle spalle dei manichini → nomi reali + fittizi) → spettatore ↷ voyeur

Corda separa i manichini dai visitatori

«Nel primo manifesto surrealista i manichini dechirichiani erano già annoverati fra i dispositivi del
“meraviglioso”, ma ora si svelava un’attitudine meno innocente poiché i tipi femminili si configuravano come
proiezioni dell’immaginario erotico di altrettanti artisti (tutti uomini tranne Sonia Mossé) che avevano
abbigliato (o denudato) quei corpi; alle pareti, le fotografie della Poupée di Bellmer esibivano una componente
sadica implicita in quelle manipolazioni, spinta fino all’amputazione di una mano nel manichino ideato dallo
scrittore Malet.» (ROVATI 2015)

«Soltanto Arp e Duchamp evitarono un appello erotico esplicito. Arp chiuse il busto del manichino in un sacco
nero con la scritta “PAPAPILLON”. Duchamp (n. 4) vestì il manichino con un completo maschile senza
pantaloni: sul pube tracciò l’acronimo “R.S.” [ROSE SELAVY] in un gioco di rispecchiamenti con il proprio alter
ego femminile Rose Sélavy, il cui nome derivava per omofonia da “Eros, c’est la vie”.» (ROVATI 2015); sul
manichino di Duchamp, era anche visibile un cavo elettrico collegato alla lampadina nel taschino della giacca

Il manichino di André Masson (n. 5): «[…] la testa era chiusa in una gabbia per uccelli, la bocca coperta da un
bavaglio con una viola del pensiero; sul pube era applicato uno specchio ovale circondato da pietre preziose
e sormontato da due piume a girali: lo spettatore vi si ritrovava dentro per un riflesso meccanico, per una
proiezione speculare.» (ROVATI 2015); Pesci rossi nella gabbia, uccellini impagliati sotto le ascelle, peperoncini
rossi impigliati nelle trappole sul cumulo di sale ai piedi del manichino, cavo elettrico collegato alle lampadine
nella gabbia

Il manichino di Joan Miró (n. 8): un filo di ferro intorno come a segnare il volo di una farfalla

Il manichino di Salvador Dalí (n. 11): «Il casco a maglia rosa shocking di Schiaparelli [...] un pinguino [...] un
uovo rotto sul petto e piccoli cucchiaini da caffè dappertutto» (RECENSIONE DI «VOGUE); Una lampadina accesa
è appesa alla mano destra, protesa verso il Téléphone aphrodisiaque, la «natura morta» disposta intorno al
telefono con l’aragosta al posto della cornetta, che comprendeva anche una bottiglia di liquore, sei bicchierini
pieni e uno vuoto; Il rotolo con un testo manoscritto, che avvolgeva il corpo del manichino, è ora svolto alle
sue spalle [; Un negozio commissionò a Dalí un manichino rivestito di cucchiaini, esposto in vetrina nel
gennaio 1938, mentre era in corso l’Exposition internationale du Surréalisme]

Il manichino di Maurice Henry (n. 12): Copricapo di ovatta (‘testa fra le nuvole’), tulle nero intorno al collo,
collana fatta di mollette per il bucato, due colini sul petto, una minuscola clessidra sopra una tavoletta
recante un testo, lunga gonna scura decorata con spighe di grano; Gli oggetti surrealisti e la
democratizzazione dell’arte secondo lo stesso Maurice Henry, il solo tra gli artisti partecipanti che pubblicò
un articolo durante l’apertura della mostra → «If you don’t know how to draw, don’t know how to write, you
can make a Surrealist object» (M. HENRY, LE SURRÉALISME DANS LE DÉCOR, IN «MARIANNE», N. 275, 26 GENNAIO 1938,
TRADOTTO DAL FRANCESE IN KACHUR 2001) → manichini addobbati anche da letterati, non solo da artisti

Il manichino di Man Ray (n. 13): Sulla parete era esposto il Portemanteau esthétique, elencato nel catalogo
della mostra come opera autonoma → un appendiabiti a forma di nuvola con appesi due cappotti e due
cappelli da uomo; la mano sinistra del manichino indicava una porta chiusa, quasi si trattasse dell’anticamera
di un bordello; Pipe di vetro sulla testa [cfr. Ce qui manque à nous tous, 1935]; gocce di vetro sotto le ascelle;
lacrime di vetro [cfr. foto primi anni ‘30]; nastro con la scritta «adieu foulard»; gambe bloccate in un tubo

Il manichino di Oscar Domínguez (n. 14): copricapo a cerchi metallici; gamba avvolta da un panno bianco,
che va a nascondere parzialmente il corpo, agganciandosi a una sorta di attaccapanni

Il manichino di Léo Malet (n.15): donna amputata e bendata; Allusioni erotiche: il pesce rosso poi censurato
e la molla sul petto, citata dallo stesso Malet in La vache enragée «La dame di Léo Malet portava sul luogo
del sesso un piccolo barattolo in cui girava un pesce rosso; l'effetto era così suggestivo che fu necessario
togliere il pesce rosso.» (MARCEL JEAN, CIT. IN SCHEEDE 1998);

Il manichino di Marcel Jean (n. 16): una sirena imprigionata nella rete

La seconda e la terza sala


«il corridoio [con Les plus belle rues de Paris] immetteva in una sequenza di tre stanze, secondo una
progressione che sollecitava il voyeurismo dei visitatori: nella prima sala, l’installazione 1200 sacs de charbon
di Duchamp oscurava il lucernario con centinaia di sacchi rigonfi che rendevano l’ambiente oppressivo e buio:
contenevano carta straccia, ma qualche visitatore era disposto a giurare che scendeva polvere di carbone a
infestare l’aria. Tutti i sensi erano coinvolti: sotto i piedi scricchiolavano la sabbia e le foglie secche sparse sul
pavimento; al centro c’era un braciere elettrico; un macinacaffè spargeva aromi e rumori. Paradossalmente
era la vista il senso più mortificato, nell’oscurità che rendeva quasi indistinguibili i quadri appesi alle pareti;
nella seconda una culotte di pizzo era appesa al soffitto come un lampadario, sopra una porta girevole che
esponeva quadri surrealisti; nella terza un cielo a trompe-l’oeil sovrastava gli innesti improbabili degli oggetti
surrealisti, privi di cartellini identificativi che ne dichiarassero lo statuto artistico. L’identità della galleria
convalidava il recinto artistico dell’intera operazione, ma il confine fra arte e non-arte rimaneva labile.» (F.
ROVATI, L’ARTE DEL PRIMO NOVECENTO, 2015)

Ultrameuble (Ultra-furniture), Kurt Seligmann (1937): sgabello sorretto da quattro gambe femminili con calze
rosa e scarpe col tacco

First Papers of Surrealism (New York City, 1942)


Presso la sede di un Comitato francese in un palazzo ottocentesco (vittoriano) di Madison Avenue (vicino al
MoMA e al Museum of Non-Objective Painting di Solomon R. Guggenheim)

Allestimento di Duchamp e Breton (curatori)

«Nell’ottobre 1942, […] Duchamp organizzò First Papers of Surrealism, mostra d’esordio negli Stati Uniti degli
artisti transfughi dall’Europa in guerra; il titolo alludeva alle carte burocratiche che dovevano convalidare
l’espatrio»; «Allo scoppio della guerra furono gli Stati Uniti l’approdo definitivo. Dopo la capitolazione della
Francia, il governo americano inviò a Marsiglia un proprio funzionario per vigilare sull’espatrio di 200 artisti
e intellettuali francesi; quasi tutti i surrealisti fuggirono in questo modo, dopo l’esperienza dei campi di
concentramento: la "tela di ragno" che Duchamp intrecciò in First Papers of Surrealism era anche una
metafora delle loro vite intrappolate. […] un allestimento che soverchiava il potenziale estetico dei singoli
dipinti impedendo allo spettatore percorsi autonomi» (ROVATI 2015)

Non si potevano appendere le opere alle pareti + Budget limitato → allestite su pannelli mobili → effimerità,
vanità dell’esposizione

Dedalo di spago → ragnatela, trappola → rendeva impercorribile lo spazio espositivo → al contempo aveva
lo scopo di mettere in comunicazione e rendere inaccessibile lo spazio espositivo. La fruizione tradizionale
dell'arte venne minata da un allestimento in grado di soverchiare il potenziale estetico dei singoli dipinti,
impedendo allo spettatore percorsi autonomi nello spazio → Duchamp intese l'allestimento come opera
autonoma attribuendole un titolo (16 miglia di spago); Calder aveva in un primo momento attaccato dei pezzi
di carta alla corda, facendo riferimento al titolo della mostra; «Alcuni chilometri di corda servirono all’artista
per avvolgere in un fitto intreccio il salone di rappresentanza, in un dialogo raffinato con gli stucchi, le
dorature, i lampadari di cristallo; era una "tela di ragno", come la definì Masson giocando sull’ambiguità della
definizione: dipinti e sculture erano presi in trappola dalla tela protagonista.» (ROVATI 2015, P. 76); con il suo
ready-made, Duchamp intrappola gli spettatori e i colleghi, oscurandoli → opere viste attraverso l’intreccio
duchampiano

Nella consapevolezza della temporaneità dell'intervento, si preoccupò di farlo documentare con precisione
incaricando un fotografo → la foto commissionata da Duchamp venne riprodotta capovolta → smarrimento
del pubblico

«L'allestimento di First Papers of Surrealism non era più caratterizzato da una sorta di horror vacui [Berlino
1920, Parigi 1938], riempito da oggetti, forme e suggestioni di varia natura, ma diventava un dispositivo
essenziale, di matrice totalmente concettuale, anticipando gli ambienti di Fontana degli anni Cinquanta.»
(PUGLIESE, 2009)

Marc Chagall, Alla Russia, agli asini e agli altri, 1911-1912, Parigi, Musée National d’Art Moderne: Il titolo
allude probabilmente agli artisti russi del gruppo «Coda d’asino»; Guillaume Apollinaire nel 1914 aveva
definito la pittura di Chagall «surnaturel»; Cfr. Autoritratto con sette dita, 1912-1913

«L’idea della pittura e della scultura, pur d’avanguardia, astrattista o surrealista, come roba da soffitta; una
certa eco della fiera dada berlinese del 1920, in fondo lo si avverte ancora.» (NEGRI 2011)
«I commentatori hanno variamente interpretato la rete di corde con cui Duchamp ha avvolto l'intero
allestimento come portavoce della difficoltà di comprendere l'arte moderna, lo stato attuale del Surrealismo
mentre avvolgeva vecchie idee avanti e indietro, o l'idea che queste opere dovessero essere custodite come
rare bottiglie di vino che emergono dalla cantina coperte di ragnatele.» (ALTHULER 20008)

«Nonostante l’idea prevalente che Duchamp abbia abbandonato l’arte, l’alto piano spirituale su cui tutta la
sua attività è condotta converte la sua installazione [= allestimento] dada alla mostra surrealista in un’opera
d’arte» (LETTURA DEL GALLERISTA SIDNEY JANIS SU «VIEW», TRADUZIONE DI MARINA PUGLIESE, 2009)

Il Surrealismo e la pittura, Max Ernst, 1942: Uccello antropomorfo ricorrente nella produzione di Ernst dagli
anni Venti; le oscillazioni

Un’installazione ante litteram secondo Marina Pugliese (TECNICA MISTA. COME È FATTA L’ARTE DEL NOVECENTO,
MILANO 2006): «Lo spazio espositivo, letteralmente invaso da sedici miglia di spago, diventò l’opera di
Duchamp che "ospitava" le opere dei surrealisti»

Art of This Century (New York City, 1942 – 1947)


Curatori: Peggy Guggenheim (collezionista) e Frederick Kiesler (→ architetto, che portava con sé l'esperienza
delle avanguardie europee con cui aveva collaborato con allestimenti di mostre e scenografie per il teatro e
il cinema; spazio dell'arte come palcoscenico sul quale opere e spettatori dovevano interagire) → stretta
collaborazione

Artisti europei in esilio a New York: Duchamp (principale esponente dadaista), Mondrian (principale
esponente dell’Astrattismo geometrico)

Dipinti senza cornice, allontanati dalle pareti, sottratti alla consueta funzione decorativa, proiettate
nell’ambiente, inseriti direttamente nello spazio espositivo → si oppone ai consueti ambienti rigorosi e spogli
dei musei americani (→ parametri razionalisti) → lo spazio stesso è la cornice dentro cui i visitatori diventano
attori, insieme alle opere (→ spazio espositivo teatralizzato, attivato dal passaggio degli spettatori) → quadri
sospesi, sorretti da delle forcelle metalliche → si presentano come oggetti materiali, con una consistenza
propria, non più come immagini, fedeli riproduzioni fotografiche

Le diverse anime della galleria (cfr. rassegne organizzate da Alfred Barr al MoMA di New York nel 1936):
galleria surrealista: lunghe pareti concave, dalle quali sporgevano bracci metallici orientabili per i quadri;
mobili dai profili sinuosi e dalle funzioni intercambiabili erano a disposizione dei visitatori; luci forti e il suono
registrato di un treno in velocità percuotevano i sensi; galleria astrattista: nessuna distrazione, forcelle di
cavi metallici sospendevano le tele nel vuoto; galleria cinetica: il visitatore doveva mettere in movimento
una sorta di nastro cingolato mentre teneva fisso lo sguardo in una scatola di legno sporgente dalla parete:
le opere (piccoli lavori di Klee, i fogli sciolti della Boîte-en-valise di Duchamp) scorrevano al di là di un vetro.
Ad alcuni sembrò un divertimento da fiera popolare, ad altri ricordò una camera ottica; altri ancora lo
interpretarono come un proscenio; per Kiesler, che era stato vetrinista per i grandi magazzini Saks, era anche
un modo per «dramatizing the merchandise» (ROVATI 2015)

Gli orecchini dell’inaugurazione → due diversi → opere in miniatura

Ricorrere di elementi curvilinei → no pareti, teloni (azzurro-blu → Kandinskij, Der Blaue Reiter) fissati con
una corda + disegno di mobili con funzioni intercambiabili (sedie/piedistallo)

Max Ernst → sperimentalismo tecnico → corde piene di colore venivano lasciate cadere sul supporto →
traccia per dipingere la sua composizione

Arc of Petals, Alexander Calder, 1941. Alluminio naturale e dipinto, filo di ferro: «[…] fu acquistato nel 1941
da Peggy Guggenheim ed entrò nella collezione permanente della galleria Art of This Century [...]; fu collocato
nella sezione dedicata all’arte astratta, ma negli studi per l’allestimento Frederick Kiesler ne previde una
presentazione che ne contaminava il carattere astratto con suggestioni di matrice surrealista: immaginò di
dipingere sul soffitto un orecchio enorme cui Arc of Petals era appeso come un gioiello.» (ROVATI 2015)

Una parte della Boîte-en-valise (valigetta, museo portatile con minuscole riproduzioni delle sue opere con le
istruzioni e gli appunti che hanno accompagnato la loro elaborazione) era presentata nella vetrina in legno
dietro una ruota. Azionando la ruota, altri elementi del lavoro di Duchamp risultavano visibili attraverso il
foro illuminato (→ spettatori attivi) → mini-riproduzioni riconoscibili: Mariée (1912), Air de Paris (1919),
Fontana (1917), Il grande vetro (1915-1923), Sonata (1911), Nove stampi maschi (1914-1915)

Donna sgozzata (Femme égorgée), Alberto Giacometti, 1932 (fusione 1940): posta in orizzontale a terra,
ricorda uno scorpione; probabilmente l’artista era stato ispirato dall’attenzione che la stampa riservava in
quei mesi a Jack lo Squartatore

Aurora, Paul Delvaux, 1937, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim: donna vista come oggetto di attrazione
inattingibile; speranza e disperazione, amore e morte, realtà e sogno si incontrano e si alternano; capacità di
agire sulle emozioni e causare stupore; erotismo inquietante e capacità narrativa; ninfe della mitologia greca,
Metamorfosi di Ovidio

Collage e Assemblaggio
• Aspetto fondamentale dell’agire umano → • Pratica postbellica legata al Cubismo sintetico (v.
dominio dell’artigianato e delle donne Dada), evoluzione del collage
(rammendo, decorazione di scatole, • Termine che si afferma negli Anni ’50, coniato da
costruzione di oggetti) Jean Dubuffet per distinguere le sue opere
• Testimonianze nell’arte giapponese del XII polimateriche dai collage cubisti, futuristi e
secolo, negli emblemi tribali africani e dadaisti
nell’arte europea folcloristica • Elementi 3D
• Ottocento: fotografi iniziano a mettere • < “Costruzioni” polimateriche (v. Picasso) →
insieme immagini incollate che esposizioni hanno spesso come centro strumenti musicali
multiple della stessa pellicola
• Messi in relazione con collage, fogli, progetti,
• Fa irruzione nel linguaggio dell’arte grazie al disegni in via di elaborazione
papier collé cubista, gli esperimenti futuristi,
i ready-made dadaisti, il tema surrealista • «Nell’arte contemporanea, composizione di
degli oggetti trovati oggetti reali o di parti di essi (utensili, pezzi di
stoffa, parti di macchinario, rifiuti ecc.) che
• Finalizzazione a cui è indirizzata la scelta del vengono incollati a un supporto, o inscatolati in
materiale da recuperare, nel fatto che il un contenitore, in genere trasparente, o pressati
risultato non è semplicemente decorativo o in modo tale da supportarsi da sé. L’assemblage
casuale e nella sua capacità di portare si fa risalire alle nature morte cubiste del 1912-
nell’arte un po’ del mondo quotidiano → 13 di Picasso e Braque, ma solo col Dadaismo e
l’uso dei materiali comuni < fascino alla col Surrealismo assume il significato di
densità del loro significato emotivo “spostamento di contesto” [decontestualizza-
• Catturare immagini tipiche, assurde, zione] di oggetti comuni dell’uso quotidiano.
transitorie come un foglio quotidiano, La tecnica è stata ripresa nel secondo Novecento
nonché l’affettività che leghiamo anche a un dal New Dada (R. Rauschenberg, J. Johns), dalla
biglietto del tram o a una ciocca di capelli Pop Art, dal Nouveau Réalisme (Arman, Spoerri,
César) e anche da installazioni poveriste e
processuali, dilatata a scala ambientale.»
(ENCICLOPEDIA DELL’ARTE, MILANO, GARZANTI, 2002
[“GARZANTINA”])
Un oggetto non è più rappresentato (v. pittura), ma viene direttamente presentato (con oggetti veri
provenienti dalla vita vera, es. spartito musicale)

Allusione/illusione, associazioni, slittamenti di senso

Battaglia contro la secolare illusione della pittura convenzionale

Gara tra artisti a sviluppare la novità

Polimaterismo → unire materiali tipici da scultura e prestiti della realtà (“extra-artistici”)

Prelievo della realtà che aiuta a presentare la compenetrazione tra oggetto e spazio e ad azzerare la distanza
tra oggetti e contesto ambientale → fusione con l’ambiente circostante

Modalità e spazi espositivi

Restituzione dell’esperienza psichica della visione → simultaneità

Poetica degli “oggetti trovati” e combinati insieme

Riciclo → riscatto degli oggetti considerati spazzatura

Hausmann: alienazione dell’individuo costretto a lavorare come un ingranaggio volto a quest’epoca di


industrializzazione → sistema produttivo

De Chirico → assemblaggi dipinti (non costruiti realmente, fisicamente); in competizione con Carrà → pittura
metafisica → grande trionfo in Germania prima che si interessassero i Surrealisti

Materiali incollati su supporto bidimensionale (collage) ≠ materiali vincolati tra loro in vario modo (colla,
chiodi, bulloni ecc.) → nuovo modo di realizzare scultura (assemblage)

La Nature morte à la chaise cannée di Picasso (1912) inaugura sia la storia del collage che quella
dell’assemblaggio (corda = cornice!); Coeve sono le “costruzioni” (affiancate alle invenzioni bidimensionali
del papier collé) di strumenti musicali realizzati in cartone, latta, legno e filo di ferro (Picasso, Chitarra, 1912)

Cade il vincolo della durata (non più un unico materiale, ma vari materiali anche di natura effimera; tecnica
figlia della città moderna e della sua cultura “usa e getta”, secondo Lawrence Alloway negli anni Sessanta) →
«L’uso in scultura di materiali anomali facilmente deperibili (quali cartone, latta e filo di ferro) scardina un
postulato fondamentale della scultura tradizionale: la durata. Tra la scultura ottocentesca in bronzo e in
marmo, monumentale e celebrativa, e gli assemblaggi, polimaterici, fragili e privi di piedistallo, lo iato è
enorme. Gli strumenti musicali di Picasso, infatti, concepiti per essere apposti al muro, risultavano essere un
ibrido tra scultura e pittura evitando l’utilizzo del piedistallo, dispositivo simbolico per eccellenza della scultura
tradizionale.» (PUGLIESE 2006, P. 15)

Cade il vincolo del piedistallo (costruzioni che si affiggono direttamente sul muro)

Nature morte « La bataille s’est engagée », Pablo Picasso, 1912


4 oggetti nello studio (su un tavolo, davanti a una parete) realtà materica → chitarra: pezzi di carta colorata;
bicchiere: disegno che lo raffigura; spartito: frammento/lacerto; “Le Journal”: frammento (18/11/1912)

≠ convenzioni illusionistiche pittura; rappresentazione ↷ presentazione

cerchio bianco: cavità cassa armonica (inversione logica chiaroscurale)

vuoto: massimo di luce

Quale “bataille”? Guerra Balcani + confronto arte/realtà → lotta con la concezione tradizionale dell’arte;
paragone fra i codici linguistici verbale, musicale, grafico → autonomia di ogni linguaggio, piena legittimità
del linguaggio cubista (G. Braque, L’homme au violon, 1912), alterità di ogni linguaggio rispetto alla realtà →
v. Braque, Gris, Matisse

Bottiglia realizzata con uno stampo

Umberto Boccioni e il Manifesto tecnico della scultura futurista (1912)


Teoria di una “composizione scultoria futurista” con “piani di legno o di metallo, immobili o meccanicamente
mobili, per un oggetto, forme sferiche pelose per i capelli, semicerchi di vetro per un vaso, filo di ferro e
reticolati per un piano atmosferico, ecc. ecc.”

Boccioni a Parigi nel febbraio e nell’autunno del 1912 vede probabilmente le costruzioni di Picasso e Braque

Elaborazione del Manifesto tecnico della scultura futurista: «In questi giorni sono ossessionato dalla scultura!
Credo di avere visto un completo rinnovamento in quest’arte mummificata»

Punti fondamentali:
• Polimaterismo → punto 4: «Distruggere la nobiltà, tutta letteraria e tradizionale, del marmo e del
bronzo. Negare l’esclusività di una materia per l’intera costruzione di un insieme scultorio. Affermare
che anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell’emozione plastica.
Ne enumeriamo alcune: vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica
ecc. ecc.»
• Compenetrazione → tra gli spazi, tra le discipline, tra le dimensioni, tra oggetti e spazio circostante
• Superamento dei materiali tradizionali
• Movimento

La strada entra nella casa, 1911: «La sensazione dominante è quella che si può avere aprendo una finestra:
tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli
oggetti fuori. Il pittore non si deve limitare a ciò che vede nel riquadro della finestra come farebbe un semplice
fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone»

Materia, 1912: motivo ricorrente del ritratto della madre; titolo < comunanza lessicale tra i termini “madre”,
“materia” e “matrice” → forte valenza simbolica; tecnica divisionista che rende protagonista la luce (forza
motrice della vita); ispirato all’opera Madame Cézanne di Paul Cézanne; le mani intrecciate sono il centro →
spingono l’occhio di chi guarda verso i lati del dipinto, fondendoli e confondendo il rapporto tradizionale tra
figura e sfondo → fulcro da cui partono vibrazioni concentriche + punto più vicino allo spettatore (→
ribaltamento prospettiva classica → centro = punto di fuga = punto più lontano dall’osservatore);
compenetrazione tra spazio esterno, figura e spazio interno, agevolata dalla tecnica pittorica erede del
Divisionismo e coerente con il suo manifesto → «una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e
scompare incessantemente.»

Fusione di una testa e di una finestra, 1912-1913 (distrutta): Complesso plastico polimaterico; testa di gesso,
occhio di vetro, treccia di capelli, telaio di finestra in legno con il vetro

Testa+casa+luce, 1913 (distrutta): figura in gesso con balaustra in ferro e in legno; Recensione su “Le Figaro”
in occasione della “Prima Esposizione di Scultura Futurista del Pittore e Scultore Futurista Boccioni”, giugno-
luglio 1913, galleria La Boëtie di Parigi; Teorizzata l’assenza di distanza tra gli oggetti a livello percettivo

Dinamismo di un cavallo in corsa + case, 1914-15: Unica opera polimaterica di Boccioni sopravvissuta (anche
se gravemente danneggiata e restaurata molti anni dopo la morte dell’artista); Legno, cartone, ferro e rame
assemblati con chiodi; Perduto il pannello retrostante, probabilmente di cartone, doveva suggerire le case
alle spalle del cavallo al galoppo; Restauro anni Cinquanta e Novanta
Enrico Prampolini e il polimaterismo
Béguinage (1914?): «Mentre Boccioni dopo il 1915 abbandonò il polimaterismo, Enrico Prampolini ne divenne
l’alfiere e dal 1914 realizzò diverse opere in tale direzione, tra cui il noto Béguinage fatto con piume, merletti,
rete e filamenti. Nel 1934 Prampolini, rifacendosi alle esperienze precedenti in ambito cubista, dadaista e
futurista, sostenne l’uso di materiali eterogenei caricati di valenze emotive ed evocative e firmò il manifesto
Al di là della pittura verso i polimaterici [in “Stile Futurista”, anno I, n. 2, agosto 1934].» (PUGLIESE 2006, P. 21)
→ datazione non accolta dalla critica; molti storici dell’arte datano l’opera intorno al 1940 all’altezza degli
Automatismi polimaterici di Prampolini

L’assemblaggio nel Costruttivismo e nel Dadaismo


«L’idea di ‘costruire’ opere d’arte è propria anche della cultura costruttivista russa e di quella dada.»

«I Rilievi angolari del 1915 di Vladimir Tatlin sono assemblaggi di ferro, zinco e alluminio che non hanno un
centro ma instaurano una relazione vincolata e vincolante con l’ambiente in cui sono collocati, sculture
astratte che comportano un nuovo rapporto centrifugo con lo spazio.»

«Kurt Schwitters, alla fine degli anni Dieci, sceglie di fare i suoi Merz con scarti, vecchi bottoni, etichette e
corde trovate nella spazzatura, definendoli un materiale valido quanto i colori prodotti industrialmente.»

Kurt Schwitters: dal collage all’assemblaggio


«I quadri di pittura Merz sono opere d’arte astratte. La parola “Merz” significa nella sua essenza
l’assemblamento di tutti i materiali possibili e immaginabili per scopi artistici. [...] La pittura Merz non si serve
dunque soltanto del colore e della tela, del pennello e della tavolozza, ma di tutti gli utensili necessari. Non
ha importanza che i materiali impiegati siano già stati plasmati per qualche scopo o meno. La ruota della
carrozzella, la rete metallica, lo spago e l’ovatta sono elementi equiparati al colore. L’artista crea scegliendo,
ripartendo e riformando i materiali. [...]
Nella pittura Merz [Merzbild] il coperchio della cassa, la carta da gioco, il ritaglio di giornale diventano
superficie; spago, pennellata o tratto di matita diventano linea; la rete metallica, la ridipintura o la carta
oleata appiccicata diventano verniciatura trasparente, l’ovatta diventa morbidezza. » (KURT SCHWITTERS, LA
PITTURA MERZ, “DER STURM”, N. 4, LUGLIO 1919)

Dai Merzbilder al Merzbau

Collage con ogni genere di rifiuto: biglietti, coperchi di barattoli di latta, cicche di sigarette, spago…

Merz deriva da commerzbank, una scritta di cui l’artista appiccicò i un collage solo il frammento centrale →
riabilitare in termini poetici il caso, i rifiuti, i frammenti

Sintesi tra l’estetica cubo-futurista e la protesta dadaista → linee diagonali e dinamiche

Opera ambientale (environment): non si può più parlare di scultura né di arredamento d'interni, come ancora
era possibile nel caso delle ambientazioni futuriste del Bauhaus; l'artista dilata il suo quadro non soltanto
oltre la dimensione, ma in tutta l'intera stanza che lo ospita

Iniziò a occupare il suo studio con una colonna centrale, che poi divennero tre, costruite in maniera
progressiva e casuale → un po’ come accadeva per i numerosi contrafforti di sostegno delle cattedrali gotiche
→ religiosità laica connotata da un forte senso della trascendenza del rapporto tra umano e potere superiore

sorta di autoritratto → l'artista depositava i propri gesti ma anche i propri oggetti più cari e agli amici di
passaggio chiedeva di lasciare qualcosa di proprio, installava bicchieri capovolti o altre testimonianze che gli
consentissero di riempire la lacuna tra vita quotidiana e arte → la struttura crebbe in maniera disordinata,
come una giungla architettonica piena di richiami affettivi e simbolici
labirinto percorribile che si presentava come una gigantesca rappresentazione della mente, con la sua
struttura costruita nel tempo e con le sue affezioni, ossessioni, zone cupe

Opera autobiografica, un diario fatto di immagini e costruzioni → le ricostruzioni tentate dallo stesso artista
non ebbero il medesimo fascino

L’assemblaggio in Raoul Hausmann e nei dadaisti berlinesi


Una maggiore attenzione per i grandi temi del dopoguerra (la spersonalizzazione dell’individuo nella civiltà
delle macchine)

«Raoul Hausmann nel 1919 realizza Lo spirito del nostro tempo (testa meccanica) assemblando a una testa
di manichino di legno vari aggeggi, tra cui una parte di macchina fotografica, un portamonete, un metro da
sartoria.» (PUGLIESE 2006, P. 77) → testa di manichino di legno (in uso nelle accademie) cui vengono assemblati
una parte di macchina fotografica, un portamonete, un metro da sartoria, il contrassegno col numero 22 e
un bicchiere richiudibile; spirito del tempo assurdamente segnato dalla misura, dalla macchina, dalla
necessità di “funzionare” anziché vivere pienamente

Tatlin a casa, 1920: ambientazione dechirichiana (pavimento-palcoscenico, corpo-manichino) per descrivere


la mente di Tatlin che lavora come un motore che mostra i disagi di una Germania impoverita

Dalle costruzioni di Picasso (1912) agli assemblaggi dipinti di De Chirico (1917), agli anti-
monumenti di Baader (1920) e Schwitters (1923 ca)
Atelier di Picasso → sperimentazione libera e giocosa per coinvolgere i suoi amici artisti → collage si dilata
nello spazio dell’atelier con un accento sperimentale → possono costruire insiemi più complessi

Il manager americano ideato da Picasso per Parade (Parigi, 1917) = impresario di un circo, che pubblicizza un
loro spettacolo che andrà in scena quella sera → trovare clienti, vendere biglietti

Il grande metafisico, Giorgio De Chirico, autunno 1917 + Architekt, Max Ernst, 1919 + Il ‘monumento effimero’
di Baader alla Dada-Messe di Berlino (1920): rovesciare il segno, parodiare i grandi monumenti celebrativi
post-Risorgimento (Unità d’Italia)

L’assemblaggio in ambito surrealista


Gli oggetti surrealisti condividono con quelli dadaisti il sapore di critica alle macchine e alla funzionalità →
contraddicono in modo paradossale il loro uso normale; gli oggetti surrealisti, diversamente dai ready-made
dadaisti sono “trovati” e spesso recano in sé una storia da raccontare e rispecchiano la nuova valenza
psicologica che è stata assunta dagli oggetti in un mondo in cui, dopo l'avvento della produzione industriale,
essi sono presenti nelle case in misura maggiore che nel passato e non più sotto forma di utensili necessari
→ funzione essenziale del pensiero umano, colto nel suo passaggio dalla pratica all'astrazione

Nell'oggetto si inizia a proiettare l'identità personale, con ossessione e desideri: siamo nell'ambito di ciò che
Freud avrebbe descritto come “psicopatologia della vita quotidiana”

Associazioni improbabili, ma al di là del puro gioco mentale c’era anche il desiderio di scavare nei meandri
emotivi → contaminazione tra mondi differenti secondo il metodo delle libere associazioni (gusto, tatto…)
alla ricerca del paradosso visivo

Oggetto (Tazza con cucchiaio e pelliccia o Colazione in pelliccia), Meret Oppenheim, 1936: una tazzina, un
piattino e un cucchianio rivestiti di pelliccia, che decontestualizzano l'oggetto negandone la funzione→
oggetto inservibile

Ma gouvernante - My nurse - Mein Kindermädchen, Meret Oppenheim, 1938: «due scarpe da sposa ribaltate
posate su di un piatto e decorate come le cosce di un pollo arrosto, quasi a suggerire che la proprietaria è
stata cucinata a dovere e pronta per essere divorata» (VETTESE 2010, P. 60); svelare tanti sottintesi erotici dei
colleghi artisti

Le scatole di Joseph Cornell


Raccoglieva in scatole coperte da un vetro figure piccoli oggetti, componendoli poi in assurdi teatrini →
accostamenti magici ed evocativi → carte celesti, uccelli esotici (v. Pappagallo che predice il futuro, 1937-
1938) …; teche sigillate da vetri bacheche a ripiani/scomparti

Untitled (Bébé Mary), 1940: bambola prigioniera → infanzia minacciata, interrotta dal furore della guerra

Soap Bubble Set, 1936: bicchiere, uovo, pipa in gesso, testa di bambola, lenti, stampa, teca in legno e vetro
→ citazione della Merzsäule di Kurt Schwitters (testa di bambola → cima della torre) e di Ce qui manque à
nous tous di Man Ray (pipa che fa una bolla); «Nel catalogo ne furono invece fotografate le varie componenti
disposte su un piano d’appoggio, insieme ad altri materiali, fuori dalla teca in legno. Il confronto permetteva
di apprezzare la logica costitutiva dell’arte di Cornell, in cui l’ordinamento ragionato dei singoli elementi
conferiva un significato non estemporaneo al loro accostamento, in alternativa al disordine formale dadaista
e ai contenuti irrazionali del Surrealismo» (ROVATI 2015, SCHEDA 41); ricordi di giochi infantili + attuali interessi
astronomici + conoscenza dei colleghi surrealisti

Evidenziare l'attitudine catalogatoria, sistematica + complessità riferimenti (raffinati) → interessi scientifici

Assemblaggi nel secondo dopoguerra


Benessere economico → nelle strade e nelle case iniziano a entrare oggetti inesistenti fino a pochi anni prima,
ma subito vissuti come indispensabili: automobili utilitarie, poster, frigoriferi, lavatrici, detersivi, cibi in
scatola e bevande confezionate → si propongono come nuovi status symbol della società democratica e nuovi
segni di distinzione tra classi sociali

Realtà trasportata dalla quotidianità all'arte

Invasione degli oggetti → nuova forma di realismo → realtà viene prelevata, modificata e presentata → se
c’è rappresentazione, questa passava attraverso i codici ormai precisi e dilaganti della riproduzione delle
immagini nei media (fumetto, cinema, fotografia da rotocalco, cartelloni pubblicitari) → arte visiva come
strumento per rilevare e sottolineare (anche in modo fortemente critico) i mutamenti nel panorama visivo
nel nuovo orizzonte quotidiano, caratterizzato dal vivere in città, dal consumismo, dall'esplodere della
stampa illustrata e della televisione

Mostre:
• 1951: Dada Poets and Painters di Robert Motherwell
• 1956: retrospettiva K. Schwitters a Hannover
• 1958: retrospettiva sul Dadaismo a Düsseldorf
• 1961: The Art of Assemblage, New York, MoMA (Pablo Picasso, Kurt Schwitters, Robert Rauschenberg,
Jasper Johns, Edward Kienholz, Louise Nevelson) → pitture e sculture confluiscono verso rilievi spesso
integrati nel luogo specifico di esposizione → opere site specific

Sky Cathedral, Louise Nevelson, 1958: frammenti di sedie, di mobili, di porte assemblati in grandi muri fatti
di scatole, che per la loro struttura con predominio di blocchi quadrangolari ricordano la struttura delle città
americane →tutto dipinto di nero; assemblaggio di dimensione ambientale appariva come scaffalatura piena
di ricordi, che evocavano il processo con cui la memoria elabora, classifica e unifica il passato; rinnovamento
dell'idea stessa di “opera” con la nascita dei cosiddetti happening (accadimenti)

Robert Rauschenberg
Anello di passaggio tra l’Espressionismo astratto e la Pop Art
Pratica dell’assemblaggio + gestualità pittorica

Media sperimentati liberamente; filone arte materica informale, ma si allontana dall'idea modernista della
purezza pittorica

Quadri monocromi dipinti a rullo con diversi media → concepiti a partire dal 1951 come specchi, pagine vuote
sulle quali potevano riflettersi i segni di quanto accadeva intorno e sopra di loro → dall'azione della luce, allo
smog, alle ditate dei trasportatori → carte assorbenti della vita che si opponevano ai monocromi bianchi di
Malevic o di chiunque altro fosse spinto da motivazioni mistiche e trascendenti → riflettere l’accidentalità e
l'imminenza e agire «nell'intercapedine che separa arte e vita»; 1953-1954: monocromia pittorica < polvere,
argilla, foglia d’oro

NB lucidità della superficie (→ autorizzata la ridipintura; opere modificate e ridipinte negli anni ‘80)

Dirt Paintings realizzati con polvere e terra (dirt = sporcizia; terra)

Growing Painting: realizzato con polvere, terra e semi, innaffiato ogni giorno da Rauschenberg alla Stable
Gallery di New York nel 1954

Combine Paintings dal 1955 → influenze di Joseph Cornell e delle prime performance

Interventi di colore di derivazione espressionista-astratta

Bed (Letto), 1955: Combine, olio e matita su cuscino, trapunta e lenzuolo su supporti di legno → rimando
all’Action Painting (nel lenzuolo e nella federa del cuscino → trattati come una tela bianca); ≠ ironico ricordo
degli Omaggi al quadrato di Josef Albers (nel residuo di vita domestica, la trapunta); orizzontale ↷ verticale;
arte ‖ vita, ordine vs. disordine, capovolgimento dell’ordine gerarchico delle pale d’altare (il caos terreno vs.
l’armonia celeste); «Uno Schwitters passato attraverso l’esperienza dell’Espressionismo Astratto» (Edward
Lucie-Smith, 1969); rif.: un paio di calzini non meno adatti di legno, chiodi, trementina, olio e tela per fare un
quadro [v. i calzini di Moholy-Nagy nel Merzbau di Kurt Schwitters]

Monogram, 1955-1959. Combine painting: pittura a olio, carta, riproduzioni a stampa, metallo, legno,
tessuto, tacco di scarpa, capra d’Angora in tassidermia, pneumatico d’automobile, palla da tennis su
piattaforma di legno montata su quattro ruote

Una parentesi: eredità del Dada e del Surrealismo. I ‘tableaux’ di Kienholz:


• Roxy (1962) ricostruzione di un bordello di Las Vegas
• Back Seat Dodge ‘38 (1964). Assemblaggio → un rapporto sessuale in un’auto degli anni ’30 (birra
Olympia, autoradio, fari accesi)

Nouveau Réalisme
I Tableaux-pièges di Daniel Spoerri (i resti di pranzi consumati, messi sottovetro)

Arman, Poubelle I (Pattumiera I), 1960. Rifiuti in una teca di vetro

Arman, Accumulation des brocs, 1961. Brocche smaltate in una teca di plexiglas

César, Compresion d’automobile, 1961. Rottami di automobile compressi

Jean Tinguely, Baluba n. 3, 1961. Assemblaggio di materiali di recupero da motore

Installazioni ante litteram


Attivazione spazio espositivo, allontanamento delle opere dalle pareti, continuo aumento del coinvolgimento
del pubblico
L'opera non è solo un oggetto tridimensionale, ma si dilata verso l'intero ambiente e trae il suo senso anche
da questo → Tipo di testo artistico prettamente legato al contesto e che non può essere interpretato se non
unitariamente all'ambiente in cui l'opera viene collocata

«Trattandosi di una pratica artistica ibrida, che si situa al confine tra scultura, allestimento, architettura,
teatro e performance, sfugge a qualsiasi categoria rigida. Jean-Hubert Martin, evidenziando le analogie tra
altari e installazioni, ha descritto queste ultime come serie di oggetti in relazione simbolica tra loro e con lo
spazio circostante. Storicamente, il termine inglese installation si riferiva all’allestimento delle opere in
mostra e la traslazione alla definizione di un genere è dovuta ai modelli espositivi ideologici degli anni Settanta
del Novecento, in cui contenuto e contesto spesso si sovrappongono. Tecnicamente le installazioni
derivano dal collage e dall’assemblaggio, ma hanno dimensioni ambientali e presuppongono sia l’utilizzo di
materiali e media diversi, messi in relazione con una precisa disposizione, sia il coinvolgimento fisico dello
spettatore nello spazio attivato.» (PUGLIESE 2006)

«Termine che indica un’opera d’arte tridimensionale realizzata con materiali diversi e congegnata in modo
da occupare, temporaneamente o permanentemente, una porzione di spazio con cui il pubblico può intergire.
Sia la partecipazione diretta dello spettatore (con modalità e limiti variabili) sia le caratteristiche del luogo
prescelto sono parte integrante dell’opera stessa, definita site-specific.» (ENCICLOPEDIA DELL’ARTE, MILANO,
GARZANTI, 2002)

«Ciò che distingue l’installazione dalla scultura tradizionale è che l’opera non è solo un oggetto
tridimensionale, ma si dilata verso l’intero ambiente e trae il suo senso anche da questo. [...] L’installazione è
dunque un tipo di testo artistico prettamente legato al contesto e che non può essere interpretato se non
unitariamente all’ambiente in cui l’opera viene collocata.»

«Evoluzione dell’environment degli anni Sessanta, che fa la sua comparsa nel lessico artistico all’inizio dei
Settanta, in relazione ad ambienti realizzati in galleria per la sola durata di una mostra. Dopo l’ampia
diffusione degli anni Settanta (analizzata nell’edizione 1976 della Biennale di Venezia, Ambiente Arte, a cura
di Germano Celant) e una fase di minor successo nel decennio seguente, negli anni Novanta è tornata a essere
uno dei media preferiti dagli artisti (tra gli altri, Louise Bourgeois, Christian Boltanski, Robert Grober, Ilya
Kabakov, Bruce Nauman), ulteriormente potenziate dall’applicazione delle tecnologie digitali (Doug Aitken
[/eikn/], Gary Hill, Tony Oursler).» (ENCICLOPEDIA DELL’ARTE, MILANO, GARZANTI, 2002)

“i Maghi della Terra” → multiculturalismo

Relazione tra contenuto e contenitore → mostra nel suo complesso prevale sulle singole opere esposte

Derivazione dall'esperienza del collage e dell'assemblaggio → si dilata in tutto l'ambiente

Coinvolgimento fisico dello spettatore → interattività, partecipazione diretta

Ambiente immersivo, incitamenti multisensoriali

Relazione testo-contesto che dà senso all'opera

Il termine nasce ufficialmente negli ’80s; Parziale ripiegamento, perdita di interesse negli ‘80s ripresa nei ‘90s

Opere ambientali delle avanguardie storiche / allestimenti di mostre o musei letti come
«installazioni ante litteram»
Merzbau, Kurt Schwitters (1923-1937, opera distrutta)
«[Tra le molte opere delle Avanguardie lette come installazioni ante litteram], il precedente per eccellenza è
considerato il Merzbau di Kurt Schwitters, un ambiente percorribile costruito, modificato e arricchito lungo gli
anni Venti con legno, carta di giornale, specchi e oggetti di riciclo all’interno della casa dell’artista a Hannover
(Germania) e nelle successive versioni.» (PUGLIESE 2006)
Baader → Merzsäule (dal 1920), modello (precedente) del Merzbau (la testimonianza di H. Höch)

Lunghe e dettagliate visite guidate con amici e colleghi → La casa-atelier dell'artista ad Hannover (e poi
portata avanti nell'esilio in Norvegia) diventa un ambiente percorribile

Archivio privato e al contempo gigantesca Wunderkammer → Opera cresciuta su se stessa

Immersività (esperienza dello spettatore) → Spettatori intersecano piani virtuali, che si prolungano dalle
superfici costruite dal Merzbau, esperienza dinamica collegata in tutte le sue parti

Il ruolo del direttore Alexander Dorner a Hannover → Commissiona due ambienti espositivi di cui ne verrà
realizzato uno solo per il museo provinciale di Hannover

«Perché non ci sia alcun fraintendimento, le devo dire francamente che il mio metodo di lavoro non ha nulla
a che vedere con l’interior design e la decorazione, che non realizzo in alcun modo un interno dove le persone
potrebbero vivere, perché questo potrebbe essere fatto assai meglio dai nuovi architetti. Io sto costruendo
una scultura astratta (cubista) che le persone possono percorrere. Dalle direzioni e dai movimenti delle
superfici costruite partono dei piani immaginari che fungono da direzioni e movimenti nell’opera e si
intersecano nel vuoto. L’impressione suggestiva che suscita l’insieme si basa sul fatto che le persone, quando
penetrano nella scultura, incrociano questi piani immaginari. È la dinamica di questa impressione che mi
interessa innanzitutto. Io sto costruendo una composizione senza confini nella quale ciascun elemento
fornisce allo stesso tempo il contesto degli elementi vicini e dove tutte le parti fronteggiandosi dipendono le
une dalle altre.» (KURT SCHWITTERS A ALFRED H. BARR 1936, IN PUGLIESE 2006)

Scultura astratta cubista (no lavoro dadaista), che le persone potevano percorrere, labirinto

Assenza di limiti → espansione infinita; collage 3D e assemblaggi; Foresta di elementi in gesso o legno
sviluppati da una colonna centrale + oggetti dei visitatori vip (es. Calzini di Moholy-Nagy) → oggetti quotidiani
→ riciclo in ambito artistico

Riferimenti a esperienze erotiche, omaggio al poeta Goethe

Fortuna del Merzbau nel secondo dopoguerra: Invasione degli oggetti → nuova forma di realismo;
Rappresentazione di oggetti ↷ Presentazione diretta della realtà; Passaggio dall'espressionismo astratto al
New Dada → artisti riflettono su un nuovo modo di rappresentare

Ricostruzione cronologica:
• 1923-36: prima costruzione a Hannover, distrutta nel 1943 da un bombardamento inglese
• 1936: lettera a Barr → scultura astratta (cubista)
• 1937: K.S. si trasferisce a Oslo
• 1943-46/47: nuova versione a Oslo (persa in un incendio nel 1951)
• 1947: inizia una ricostruzione a Londra con finanziamenti del MoMA (K.S. muore nel 1948, fu
completato un solo bassorilievo)
• 1983: Ricostruzione di Peter Bissegger, ora al Museo Sprengel di Hannover (commissione di Harald
Szeemann per la mostra del 1983 al Kunsthaus di Zurigo, Der Hang zum Gesamtkunstwerk - La
tendenza all’opera d’arte totale)

«L’invenzione dell’opera ambientale e di ciò che sarebbe stato definito ‘environment’: non si può più parlare
di scultura né di arredamento d’interni [ambientazioni futuriste; Bauhaus]; l’artista dilata il suo quadro non
soltanto oltre la bidimensione, ma in tutta l’intera stanza che lo ospita»

«In un ambiente della sua casa a Hannover, l’artista inseriva e collegava progressivamente, partendo da una
colonna centrale, collage e assemblaggi realizzati con oggetti rappresentativi della sua identità e dei suoi
rapporti personali e professionali: una sorta di foresta percorribile in gesso e legno, assemblata con corde e
filo di ferro, in cui erano inseriti ricordi bislacchi tra cui un ciuffo di capelli di Hans Richter, un reggiseno di
Sophie Täuber [Täuber-Arp, moglie di Hans Arp], dei calzini di Moholy-Nagy. Il Merzbau, definito da Max Ernst
un’«enorme grotta astratta», comprendeva complessivamente quaranta ambientazioni.» (PUGLIESE 2006)

Esempi di ambientazioni: «grande grotta dell’amore», «grotta di Goethe», «cattedrale della miseria erotica»
[Kathedrale des erotischen Elends], «cava dell’omicidio sessuale» (corpo femminile rotto e dipinto di rosso)

Ambiente labirintico : (complessità) mente umana → una sorta di autoritratto

La testimonianza dell’amico Alfred Dudelsach: «Con amorevole cura vi erano conservati e messi in ordine
interruttori rotti, etichette colorate di formaggio Camembert, bottoni colorati saltati via dai vestiti, biglietti
del tram, in attesa di trovare un uso gratificante in creazioni future»

«Era un complesso di forme concave e convesse che incarnavano e gonfiavano la scultura stessa. Ognuna di
queste forme aveva un suo ‘significato’. Ed effettivamente c’era una cavità di Mondrian, una di Arp, una di
Gabo, una di van Doesburg, una di Lissitzky, una di Malevič, una di Mies van der Rohe e una di Richter. Una
cavità per suo figlio [Ernst, che partecipò alla ricostruzione] e una cavità per sua moglie. Per ognuna di queste
persone c’era in ogni cavità un particolare della sua vita.» (HANS RICHTER, DADA. ARTE E ANTIARTE, MAZZOTTA,
MILANO 1966)

Cattedrale gotica (contrafforti); Giungla architettonica (con richiami affettivi e simbolici)

El Lissitzky
«Più spesso vengono assimilate alle installazioni ambienti espositivi o allestimenti sperimentali come lo Spazio
Proun realizzato da El Lissitzky per la mostra russa di Berlino del 1923 [e il successivo Spazio degli Astrattisti
(Das abstrakte Kabinett), commissionato dal direttore del Museo di Hannover, Alexander Dorner, nel 1927 e
ora ricostruito, come il Merzbau di Schwitters, nel Museo Sprengel di Hannover].» (PUGLIESE 2006)

Das abstrakte Kabinett (Spazio degli Astrattisti), 1927. Commissione di Alexander Dorner, conservatore del
museo in contatto anche con Schwitters; Una sala di 20m2 con pannelli scorrevoli (interazione dello
spettatore nell’allestimento) e pareti dipinte con strisce verticali (bianche, grigie e nere; percezione variabile,
≠ punti di vista); Specchi davanti alle sculture (Archipenko); Esposizione di opere di Picasso, Léger, Mondrian
e dello stesso El Lissitzky; la «si può considerare un’installazione ante litteram, grazie al coinvolgimento fisico
dello spettatore e alla relazione complessa tra le varie componenti dell’opera» (PUGLIESE 2009); sala non molto
grande per favorire l'interazione col pubblico; non ci sono cornici e l'illuminazione è variabile → far reagire il
visitatore; relazioni tra le varie componenti dell'opera

Spazio Proun, Berlino, 1923 [distrutto, ricostruito nel 1965 al Van Abbe Museum di Eindhoven → fotografie]:
Opera d’arte percorribile, opera ambientale; PROUN = “Progetto per la fondazione di nuove forme artistiche”
(a partire dal 1919) o “Progetto per l’affermazione del nuovo”; spazio attivato dagli inserimenti 3D → opere
2D sviluppate nello spazio dedicato all'artista

Le collaborazioni con Dorner e Moholy-Nagy a Hannover: «I miei sforzi in tal senso trovarono un’espressione
temporanea in due sale. La prima era il ben noto ‘gabinetto astratto’ [...] dove noi cercammo di far conoscere
la nuova realtà implicita nelle composizioni astratte a partire da Cézanne. La seconda sala doveva essere
costruita in collaborazione con Moholy-Nagy, che divenne più tardi direttore dell’Institute of Design di
Chicago. [...] un’idea della nuova concezione della realtà e delle sue ripercussioni sulla produzione tecnica,
come il film astratto, la cinematografia, eccetera. Entrambe le sale avevano lo scopo di far partecipe il
visitatore sia fisicamente sia spiritualmente del processo evolutivo della realtà moderna» (DORNER 1946; TRAD.
IT. 1964) → convinto che «la contemporaneità necessitasse di modalità espositive nuove»
Moholy-Nagy e l’arte cinetica su scala ambientale
impostazione della sua arte su una sperimentazione meccanica basata sull'interazione tra luce e oggetto in
movimento, nel tentativo di coinvolgere direttamente il pubblico; primo artista a dare un'importanza
programmatica al movimento dell'opera, cioè al suo continuo cambiare forma e assumere, al contatto con la
luce, anche configurazioni casuali → precursore dell'arte cinetica e anticipatore della Performance e delle
opere effimere

«Per l’artista ungherese László Moholy-Nagy, che aderì al Costruttivismo a partire dal 1922, l’uso del plexiglas
si inserì in un percorso complesso, che prevedeva l’esplorazione della relazione tra arte e tecnologia attraverso
l’uso incrociato di vari media, in particolare scultura, fotografia e cinema.» (PUGLIESE 2006)

Modulatore Spazio-Luce, 1922-1930: «… una scatola cubica di legno con un motore su cui sono montate lastre
in acciaio, plexiglas e vetro. Mentre la struttura ruota [motore], alcune lampadine inserite sul blocco centrale
si accendono a intermittenza indirizzando fasci di luce sulle lastre, che proiettano nella stanza ombre sempre
diverse: una sorta di lanterna magica ipertecnologica che apre la dimensione della scultura all'ambiente
circostante.» (PUGLIESE 2006); scultura cinetica, che trasforma l'ambiente con giochi di luce e ombra →
lampadine intermittenti → breve film astratto

L’impiego del Modulatore Spazio-luce nel film astratto Lichtspiel: Schwarz-Weiss-Grau di László Moholy-Nagy
(1930): «Nel 1930 Moholy-Nagy filmò i movimenti ipnotici e i giochi di luce e ombre prodotti dal Modulatore
per realizzare un breve film astratto, Lichtspiel: Schwarz-Weiss-Grau (Gioco di luce [trad. letterale; ma la trad.
corretta del termine obsoleto è: Film]: nero, bianco e grigio). Nello stesso anno Alexander Dorner gli aveva
commissionato per il museo di Hannover uno “spazio contemporaneo”. L’artista progetta quindi una stanza
con apparecchi di proiezione, macchine luminose e superfici per la fotografia, ovvero una sorta di ambiente
multimediale ante litteram che però non fu mai realizzato per mancanza di denaro.» (PUGLIESE 2006)

Fotografo, scultore, designer, docente al Bauhaus dal 1923, che nel 1931 aderì al gruppo Abstraction-Création
di Parigi (con Arp, Gabo, Kandinskij, Mondrian)

Gli allestimenti realizzati da Marcel Duchamp per le mostre surrealiste del 1938 (Parigi) e del 1942
(New York)
«Più spesso vengono assimilate alle installazioni ambienti espositivi o allestimenti sperimentali come lo Spazio
Proun realizzato da El Lissitskij per la mostra russa di Berlino del 1923 o gli allestimenti realizzati da Marcel
Duchamp per le mostre surrealiste del 1938, il famoso soffitto con affissi sacchi di carbone riempiti di carta di
giornale, e del 1942, un dedalo di spago che rendeva impercorribile lo spazio espositivo.» (PUGLIESE 2006)

Marcel Duchamp, Allestimento della mostra First Papers of Surrealism, New York, 1942. Presso la sede di un
Comitato francese in un palazzo ottocentesco di Madison Avenue (vicino al MoMA e al Museum of Non-
Objective Painting di Solomon R. Guggenheim)

Gli ambienti spaziali di Lucio Fontana (1949-1968)


Tentativo di liberarsi da una forma plastica statica in cui lo spettatore si trova isolato con se stesso

Vortice come punto di origine dello spazio

Ambiente spaziale con forme spaziali a luce nera, 1949: «uno spazio nero dal cui dal soffitto pendono forme
astratte dipinte con colori fluorescenti e illuminate da una lampada di Wood» (PUGLIESE 2006); Forme sinuose
realizzate in cartapesta e dipinte con i colori fluorescenti entrati in commercio alla fine degli anni ‘40
(molecole organiche in grado di assorbire ed emettere le radiazioni ultraviolette); «L’Ambiente è il segno del
vuoto, la fine di fare le Gallerie col quadro appeso, la piccola scultura, la grande scultura da vendere, l’arte
che è entrata in un fatto sociale generale, che fosse un pensiero più che un’opera d’arte in vendita. Ecco: la
sala tutta nera, la luce di Wood, col colore fluorescente che dava questo senso di vuoto, un senso, una materia
completamente nuova per il pubblico [...]» (L. FONTANA IN C. LONZI, AUTORITRATTO, DE DONATO, BARI 1969);
assorbire radiazioni luminose; scultura d'ambiente; forte interesse degli architetti; primo ambiente spaziale
che non rappresentava né scultura né pittura → forma e luminose → no tema figurativo → spettatore se lo
crea da sé attraverso le emozioni e le impressioni che gli trasmette → diventa una parte attiva; Spazialismo
→ quarta dimensione; liberazione dello spettatore; rivendicazione primogenita di una messa in discussione
del mercato dell'arte;

Matrici culturali di Fontana: poetica futurista (Boccioni 1912: impossibilità di un «rinnovamento se non
attraverso la scultura d’ambiente»); confronto con l’architettura razionalista (vortice); teorie spazialiste
(Manifiesto Blanco, 1946; 1. e 2. manifesto dello Spazialismo, 1947-48)

«Nel gennaio del 1949 si realizza a Milano alla Galleria del Naviglio il “primo Ambiente spaziale” nel mondo,
né pittura né scultura, forma luminosa nello spazio – libertà emotiva dello spettatore.» (LETTERA N. 261 DEL 30
LUGLIO 1951, INDIRIZZATA A GIO PONTI, IN LUCIO FONTANA. LETTERE 1919-1968, A CURA DI PAOLO CAMPIGLIO, SKIRA,
MILANO, 1999, PP. 217-218)

Distacco dalla tradizione decorativa: arte = «quarta dimensione dell’architettura» (MANIFESTO TECNICO DELLO
SPAZIALISMO)

Biennale 1950: proposta di un Ambiente spaziale alla XXV Biennale (solo ceramiche)

Ambiguità semantica di «spaziale» → interesse nell'esplorazione dello spazio atmosferico

Il pubblico come parte attiva → Proposta di un regolamento del movimento spaziale (1950): «L’artista spaziale
non impone più allo spettatore un tema figurativo, ma lo pone nella condizione di crearselo da sé, attraverso
la sua fantasia e le emozioni che riceve.» (BOVI IN PUGLIESE 2009)

1951: Manifesto dell’arte spaziale; IX Triennale: Ambiente spaziale o Struttura al neon “la scia dei movimenti
di una torcia vibrata nell’aria” → movimenti dei corpi nello spazio; In collaborazione con due architetti →
seconda edizione della mostra di architettura e design; nuvola descritta da tubi al neon; contrasto con opere
parietali; trasformazione del paesaggio urbano → insegne al neon → espressione nuova; colore azzurro ⧉
cielo, paradiso nelle cappelle/chiese; Dinamismo, Liberty, Futurismo; soffitto “blu Giotto” (v. bozzetti
dell’architetto Luciano Baldessari)

1952: Manifesto del Movimento spaziale per la televisione (con Burri, Roberto Crippa, Gianni Dova, Tancredi)

Cirro luminoso, 1951: struttura al neon sullo scalone d’onore della IX Triennale di Milano; «Non è un laccio,
un arabesco, uno spaghetto. È [...] l’inizio di un’espressione nuova: abbiamo sostituito, in collaborazione con
gli architetti Baldessari e Grisotti (al soffitto decorato), un nuovo elemento entrato nell’estetica dell’uomo
della strada, il neon.» (LUCIO FONTANA, GLI SPAZIALI ALLA IX TRIENNALE DI MILANO, IN “DOMUS” N. 254, 1951);
«Questo “arabesco di luce” di Lucio Fontana, oggi scrupolosamente replicato in un esemplare moderno, fu
collocato sospeso sullo scalone del Palazzo dell'Arte che ancora oggi ospita la storica istituzione espositiva
milanese. Collocandosi al di là della tradizionale dimensione creativa di pittura e scultura, l'opera si presenta
come un’installazione che propone in chiave monumentale le sperimentazioni “spazialiste” che l’autore
andava teorizzando in quegli anni. Nel serpeggiante disegno che i tubi tracciano nello spazio è possibile,
comunque, cogliere l'impronta del gusto per il movimento e il linearismo che appartengono all'arte di epoche
del passato, dal Barocco alle prime avanguardie del ‘900.» (CLAUDIO ZAMBIANCHI NEL PROGRAMMA «MUSEO
NAZIONALE» DI RAIRADIOTRE)

Esaltazione di una forma, 1959-60: citazione del miglio di spago di Duchamp; un ambiente interamente
realizzato con stoffe rosse di vario tipo, châtillon e veli di lilion offerti all’artista dalla Snia Viscosa; «ambiente
allestito in uno spazio definito da pareti ricoperte da strisce di stoffa attraversate da un incrocio di bande di
tessuto dalle quali pendevano informi masse di voile. La stanza era a forma di piramide tronca con il soffitto
obliquo e illuminata da lampade a stelo. Al centro era collocato un parallelepipedo trapezoidale sghembo e
instabile, con una struttura interna ricoperta da tela. Il vertice del parallelepipedo toccava quasi la superficie
obliqua dello spazio, creando un effetto simile a quello di una grotta»
(https://123dok.org/article/esaltazione-forma-opera-fuori-schemi-fontaniani-esaltazione-forma.zx5036lw)

Collaborazione con Yves Klein (1957-1962): Sala principale del Museo del Novecento, accostamento inedito
tra la Struttura al neon di Fontana (Triennale del 1951) e la distesa blu di Pigment pur, realizzata da Klein nel
1957 alla Galerie Colette Allendy di Parigi (ricreato per la mostra di Milano)

Yves Klein e “L’exposition du vide” (1958)


Erede di Fontana → esponente del Nouveau Réalisme

Mostra organizzata in onore dei suoi trent'anni

monocromi (blu) / Crittici (blu + rosa/oro < foglie) → fuoco ➔ colori blu, rosa, arancioni e dorati erano per
lui i più adatti per parlare di luce e infinito

IKB (International Klein Blue): tonalità di blu ottenuta e brevettata da lui stesso → Mistura di pigmento e
resina che consentiva al colore oltremare di rimanere vibrante come quando è sotto forma di polvere →
ricordo dei cieli di Giotto e, in generale, delle volte delle chiese → sbocco verso una spiritualità diffusa

Yves Klein, Le Vide ou La spécialisation de la sensibilité à l’état matière première en sensibilité picturale
stabilisée, 1958. Parigi, Galerie Iris Clert: ambiente espositivo svuotato (non si incontrano opere d’arte da
contemplare e acquistare → mostra concettuale), pareti in smalto bianco (smaterializzazione dello spazio
espositivo → cancellare tutte le tracce delle esposizioni precedenti), porte a vetri dipinte di blu oltremare;
non c’erano opere comprabili, ma solo la “sensibilità pittorica” dell’artista allo stato puro, acquistabile sotto
forma di certificati, pagandola in oro (→ riutilizzabile dall’artista); Inaugurazione tra sacro e profano, tra rito
e sberleffo, tra Zen e Dada → visitatori (3000 ospitati in gruppi di 10), il cocktail blu (colorava le urine di dei
visitatori anche nei giorni successivi → trasformare i visitatori temporaneamente in opere d’arte), 2
giapponesi in kimono, 2 rappresentanti dell’Ordine cattolico di San Sebastiano, gendarmi in alta uniforme →
omaggiare le culture + mettere a disagio i visitatori

I Nouveaux Réalistes alla Galerie Iris Clert (= gallerista parigina di origini greche) e il sovvertimento delle
convenzioni allestitive

«Il 12 gennaio 1960, in una performance rimasta mitica, Klein si lanciò nel celebre Salto nel vuoto dal secondo
piano della casa della gallerista Colette Allendy a Parigi [con le braccia distese come quelle di un Angelo o di
un novello Icaro] e fu raccolto con un telone dai suoi amici. Grazie a un fotomontaggio venne poi cancellata
la parte inferiore dell’immagine per dare l’impressione che l’artista cadesse senza protezione.» (PUGLIESE
2006) → immagine più significativa dell'aspirazione di Klein verso l'alto e il sovrumano, ma anche di un certo
ironico distacco delle sue stesse utopie

Mostra Velocità pura e stabilità monocroma: Klein e Tinguely «esposero dischi blu che giravano a trecento
chilometri orari» e per le «macchine celibi» di Tinguely (1925-1991) → collaborazione; spettacolo che
coinvolgeva le élite culturali newyorkesi → messinscena di un’autodistruzione → mettere in discussione la
durata dell’arte, delle opere → critica alle fortissime istituzioni artistiche → «Su un versante completamente
differente [rispetto alle ricerche ottico-visuali degli anni ‘50 nell’ambito dell’Arte Cinetica e Programmata] si
collocano le sculture mobili del nouveau réaliste Jean Tinguely, nelle quali l’opera stessa è data dal
movimento e dai suoni prodotti da un insieme di ferraglie cigolanti. Nel 1960, in un memorabile spettacolo
nel giardino del MOMA, Tinguely espone Omaggio a New York, una macchina che si autodistrugge di fronte
al pubblico.» (PUGLIESE 2006)

Partecipazione alla mostra Le Mouvement di Pontus Hultén (Parigi, Galerie Denise René, 1955)

Critica delle potenti istituzioni artistiche quale il MoMA e riflessione sulla durata delle opere d’arte
Risposta di Arman → mostra “Le Plein” → impercorribile → passaggio completamente ostruito → si guarda
da fuori

Amicissimo di Fontana → lettere, reciproca stima e supporto

L’eredità di Fontana nel Gruppo T di Milano


Rinunciano a firmare singolarmente, mettere in evidenza i propri nomi → collettivo → superamento di un
approccio individualistico dell’arte

Grande oggetto pneumatico – Ambiente a volume variabile, 1960: Erogatore d’aria, tubi in polietilene
trasparente; Sette elementi tubolari in polietilene sono gonfiati e sgonfiati alternativamente. Lo spazio
della galleria risulta strutturato ogni volta in modo diverso: immerge e avvolge gli spettatori, costretti a
spostare i cilindri che li coinvolgono → disturbava fruizione dell’ambiente, fino a costringere il pubblico a
uscire. È il primo ambiente cinetico del Gruppo T. Si tratta di un'opera collettiva che può essere assunta come
manifesto del gruppo che l’ha esposta per la prima volta a Milano all'inaugurazione di Miriorama 1 alla
galleria Pater. Miriorama è il termine che indica le “personali” del Gruppo T. [Ultima Miriorama nel 1968]

Allan Kaprow: dall’assemblaggio al happening


v. Pollock → dilatazione dello spazio pittorico, che non aveva all’interno delle gerarchie (alto-basso; centro-
lati) → espansione della pittura

v. esperienza del collage + assemblage → declinazioni di ambito ambientale (v. Merzbau di Schwitters) →
composizioni realizzate sul posto, per posti specifici

happening = azione nella quale non c'è distinzione tra pubblico e artista, essendo tutti chiamati a interagire
→ il pubblico deve prendere parte all'azione e non è prevista una regia dogmatica, come invece accadrà nelle
performance di autori successivi

collage multisensoriale → esperienza che coinvolge le diverse facoltà percettive (vista, udito, tatto)

insiemi di ≠ materiali di < extra-artistica (→ suggerire un innesto dell'opera nella vita reale → v. Rauschenberg
+ necessità di un cambiamento dell'opera → non può più essere fissa, rigida → processo di trasformazione,
dimensione del tempo) + di ≠ discipline → coinvolgimento spettatori (happening)

«Un ulteriore precedente dell’installazione è dato dal rapporto con lo spazio pittorico espanso nell’Action
Painting. Allan Kaprow si riferisce direttamente a Pollock e alla stratificazione compositiva di collage
e assemblaggio per concepire i suoi Happening, spazi attivati da più discipline e materiali nei quali la
partecipazione dello spettatore è condizione essenziale.» (PUGLIESE 2006)

Riproposizioni anche postume: 2009, a cura del performer William Pope.L, NY, inaugurazione della sede della
Hauser&Wirth Gallery nello stesso indirizzo della mitica galleria di Martha Jackson; Scarto tra la «funzione di
apertura vitalistica e di destabilizzazione dei normali schemi espositivi della galleria d’avanguardia di allora
e la completa neutralizzazione e normalizzazione postmodernista di queste spinte centrifughe dentro la ben
organizzata ed estetizzante logica delle attuali grandi gallerie.» (POLI-BERNARDELLI 2016, P. 113)

Nel testo di Allan Kaprow Assemblage, Environments & Happenings (New York 1966) sono inclusi anche
lavori di Dine, Oldenburg e Whitman, «immagini di environment di Yayoi Kusama e opere di Segal
(definite Environmental Sculptures a sottolinearne la natura scultorea), oltre a performance del Gruppo
Gutai e di alcuni esponenti Fluxus e del Nouveau Réalisme.»

Nel testo In the Shape of Art Environment: How anti form Is «Anti Form»? («Artforum», 1968) Kaprow
contrappone le opere di Robert Morris agli environment che «riempiono uno spazio mediante composizioni
realizzate in situ e non progettate altrove e trasportate nello spazio espositivo»
Fluids, 1967, Los Angeles: Happening; Presentazione del progetto davanti al Pasadena Art Museum;
suddivisione dei gruppi che intervennero in piazzali, parcheggi antistanti centri commerciali, aree dismesse
Contributo della Union Ice Company; “Recinzioni”, costruzioni di ghiaccio a metà tra un igloo e un container,
non praticabili → pozze; naturale processo di dissoluzione; «la linea tra l’arte e la vita dovrebbe essere
mantenuta fluida, e anche indistinta, il più possibile» (KAPROW); Documentazione: appunti, poster, foto,
filmati, rassegna stampa; simboliche di ghiaccio inagibili (→ senza aperture nelle pareti) ed effimere (→
destinate a scomparire in una pozzanghera) → critica alla vanità delle costruzioni edili → edifici dovevano
creare massimi profitti per poi essere distrutti qualche anno dopo → obsolescenza → scelta di luoghi specifici
per enfatizzare la critica delle forme speculative dell'edilizia → aree dismesse → no permesso di edificazione;
opera destinata a trasformarsi davanti ai passanti e ai volontari che la assemblavano

↳ Riproposte: Basilea (2005), New York, Genova, Londra, Los Angeles (2008) → tradiscono gli intenti originali
→ si è perso l’intento di protesta contro le forme speculative dell’edilizia commerciale e le gallerie d’arte →
problema delle repliche

allontanamento dalle gallerie e dai musei → interventi in un luogo frequentato da un pubblico indifferenziato
e più vasto → con le rivoluzioni del ’68, si riscopre la necessità di fare interventi negli spazi aperti

Yard (1961): il cortile interno della Martha Jackson Gallery è riempito da centinaia di pneumatici usati, che il
visitatore è invitato a scavalcare, muovere o usare come sedili → l'azione del pubblico, che non è più chiamato
solo a osservare ma a partecipare, è indispensabile

«Nello stesso periodo in cui Kaprow elabora gli environments, Bob Morris installa nello studio di Yoko Ono a
New York Passageway (1961), un corridoio in compensato che si stringe progressivamente fino a comprimere
il fruitore opprimendolo fisicamente e psicologicamente. […]. Questi diversi approcci, frutto della complessa
contaminazione tra arte, performance, teatro e danza tipica degli anni Sessanta, mostrano come la
relazione tra spazio e fruitore possa toccare estremi lontani.» (BOVI 2009); violenza psicofisica

«La linea sottile che Kaprow aveva segnato tra la manipolazione e la partecipazione del pubblico era molto
più autoritaria nel lavoro di Morris» (JULIE REISS, FROM MARGIN TO CENTER. THE SPACES OF INSTALLATION ART, 1. ED.
1999, 2. ED. 2001, CITATA IN BOVI 2009)

Fonti della teorizzazione e della pratica degli happening e degli environments di Allan Kaprow:
• azioni del gruppo Gutai (Giappone)
• gli events di John Cage
• gli assemblage neo-dadaisti (amico Rauschenberg; Jim Dine)

Fondamentale contributo teorico: environment ↷ happening (→ cambiamenti interni all'ambiente sollecitati


dal pubblico coinvolto attivamente); artista individuale ↷ gruppo collettivo; museo ↷ spazio pubblico (→
urgenza, necessità di agire negli spazi reali, in contesti sociali → ambiente urbano o naturale); critica
istituzionale + coinvolgimento del pubblico

«Gli environment hanno incorporato subito l’idea di cambiamenti interni durante la loro presentazione. I
normali spettatori sono diventati partecipanti attivi di questo cambiamento. Qui la tradizionale nozione
dell’artista creatore individuale (il genio) è sospesa in favore di un tentativo collettivo (il gruppo sociale come
artista). L’arte è diventata variabile come il tempo. Ma gli environment non sono stati concepiti solo per
integrare gli spettatori nel lavoro; essi dovevano immergersi il più possibile negli spazi reali e nei contesti
sociali in cui erano collocati. Dovevano uscire dal contesto troppo chiuso dell’arte (studi, gallerie, musei) per
immergersi nella natura e nella vita urbana. Ma a questo punto si sono trasformati in happening» (A.
KAPROW, INTRODUCTION TO A THEORY, IN «BULL SHIT», OTTOBRE-NOVEMBRE 1991, CIT. DA POLI BERNARDELLI 2016)

«In un articolo apparso su “Art News” nel 1958 Kaprow aveva raccontato, […], l’esperienza di essersi trovato
davanti alle tele di Pollock e di averle trovate così esaurienti da riuscire ad andare oltre la pittura per diventare
esse stesse degli ambienti e dei suggerimenti per opere in cui l’azione predomina sul risultato estetico»
(VETTESE 2010)

Happening come «action collage, ovvero un'esperienza collettiva stimolata dall'artista, ma determinata nel
suo sviluppo dalla reazione/interazione con il pubblico» (Giacon in Pugliese 2006, p. 109)

«Nel secondo dopoguerra, un nuovo rapporto tra opera e la sua «produzione» caratterizza l’attività di artisti
che saranno determinanti per l’arte a venire. I dripping di Pollock della fine degli anni Cinquanta mostrano
l’importanza di un processo creativo performativo, anche se ancora teso unicamente alla creazione di
un’opera.» (DANKA GIACON, PERFORMANCE E USO DEL CORPO IN ARTE, IN MARINA PUGLIESE, TECNICA MISTA, MILANO,
BRUNO MONDADORI 2006)

«Anche il gruppo Gutai, […], propone una riflessione sulla rilevanza del processo creativo rispetto al risultato
allestendo azioni ed eventi di natura performativa.» (GIACON 2006)

«[…] l’importante è l’accadere che si fa segno. Quale segno non ha nemmeno importanza.» (VETTESE 2010)

Eredità di Jackson Pollock (“Jack the Dripper” – sgocciolatore)


Adesione alla Psicoanalisi dell'allievo ribelle di Freud, psichiatra zurighese Karl Gustav Jung, secondo il quale
l'umanità condivide, nel suo inconscio collettivo, degli archetipi, delle forme primarie che hanno uno stesso
significato per tutti

Pre-esempio di installazione → Action Painting

Rendere espliciti i processi creativi, procedimenti operativi

Andare oltre la pittura → l'azione è più importante del risultato finale, che è casuale

Attratto dall'arte degli indiani d’America → Soprattutto dai sand paintings dei Navajo → lasciar cadere sabbie
colorate → Vi potevano essere ritrovati i segni incontaminati dell'inconscio primigenio

Raggiunse l'acme della sua produzione nel 1947 quando iniziò a ingigantire i pennelli e a staccarli dalla tela
→ per dipingere usava in questo periodo rotoli di cotone da vela, smalti industriali e vernici direttamente dal
barattolo, servendosi di pennelli ormai consunti e rigidi, stecche o grandi stringhe → l'azione dell'artista, il
suo corpo, determinano le linee della composizione, l'intreccio l'affitto, ora allentato dei grovigli di colore

«La mia pittura non nasce su cavalletto. Quasi mai stendo la tela sul telaio prima di cominciare a dipingere.
Preferisco fissarla al muro, senza intelaiatura, o su pavimento, perché ho bisogno di una superficie rigida che
faccia resistenza punto sul pavimento mi sento maggiormente a mio agio: più vicino, più parte del dipinto,
perché in questo modo posso camminarci intorno da quattro lati diversi ed essere letteralmente dentro al
quadro è un po’ come metodo usato da certi indiani del West che dipingono con la sabbia. Continuo ad
allontanarmi sempre più dagli strumenti abituali del pittore, come cavalletto, tavolozza, pennelli, ecc.
Preferisco usare stecche, ammesso le, coltelli e far sgocciolare vernice fluida o uno spesso impasto di sabbia,
vetro tritato e altri materiali eterogenei.» (POLLOCK IN DORFLES-VETTESE 2010)

Importanza dell'improvvisazione su un canovaccio iniziale (v. vena be-bop della musica jazz) → la tela non
era più uno spazio da progettare, ma un'arena in cui combattere in trance, lasciando agire l'inconscio e il
pulsare del ritmo vitale

Georges Mathieu → si compiaceva di agire davanti a un gruppo ristretto di spettatori

Gruppo Gutai → accento sul processo creativo

Eventi di natura performativa


Richard Serra
Gestualità vicina all’Action Painting: «Così quando Serra estende il gesto di Pollock di lanciare la pittura sulla
tela stesa a terra a quello di lanciare del piombo fuso tra pavimento e parete (in Casting 1969) ripete le
condizioni materiali del medium: l’orizzontalità del campo con la sua attrazione gravitazionale.» (ROSALIND
KRAUSS, REINVENTARE IL MEDIUM. CINQUE SAGGI SULL’ARTE DI OGGI, BRUNO MONDADORI, MILANO 2005, P. 30) → Piombo
fuso su un supporto orizzontale → incontro tra pavimento e parete → “casting” = gettare e fondere;
procedimento con una durata

Belt Piece e Splash Piece di Richard Serra. Una settimana prima Serra aveva presentato un suo Splash Piece
all’esterno dello Stedelijk Museum di Amsterdam in occasione della mostra Op Losse Schroeven (Square
Pegs in Round Holes), curata da Wim Beeren (contributo di Szeemann in catalogo). Cfr. gli scavi di Jan Dibbets
ad Amsterdam e a Berna (Altshuler 2013).

La mostra “When Attitudes Become Form”, curata da Harald Szeemann (“Opere, concetti, avvenimenti,
situazioni, informazioni”) alla Kunsthalle di Berna (1969): Serra realizzò Splash Piece (210 kg di metallo fuso
lanciati sul pavimento)

Dall’allestimento all’installazione: diffusione degli ambienti + analisi critica


delle convenzioni museali e allestitive e il loro sovvertimento
Collettiva di natura sperimentale → esposizione artistica ↷ modalità espressiva autonoma; ambienti ↷
laboratori aperti

Mouse Museum, Claes Oldenburg, 1965-1977: «uno spazio chiuso dipinto di nero con all'interno una lunga
vetrina illuminata contenente una gigantesca collezione di piccoli oggetti realizzati o trovati da lui stesso. Il
progetto deriva dall'importanza attribuita da Oldenburg agli oggetti qualunque quali specchio della società
contemporanea, una sorta di spontaneo museo di arte popolare.» (PUGLIESE 2009) → contrapporre all'estetica
dei musei quella delle vetrine dei normali esercizi commerciali; Museo messo in discussione in modo
originale; opera percorribile che si sviluppa tra il ‘65 e il ‘77; nome allitterale → richiama la forma del museo
visto dall'alto (topolino); collezione di piccoli oggetti come merci in un negozio

Il Musée d’Art Moderne, Département des Aigles di Marcel Broodthaers già a Bruxelles nel 1968: progetto
espositivo in progress; «sezione finanziaria» presentata nel ’71 a Colonia; Bersaglio: la forma-museo con la
sua tendenza a glorificare in pari misura cose importanti e sciocchezze; «Questa non è un’opera d’arte» (v.
Magritte) → paradossalità della situazione; Il museo nel corso degli anni viene presentato al pubblico in varie
forme riferite sia a diverse collezioni (dall'arte antica, a quella del XIX secolo, all'arte moderna) sia alle diverse
funzioni di un museo reale; parodia dell'istituzione e del concetto di originalità e sacralità dell'arte; aquila
come simbolo del potere politico e militare incarnato dall'istituzione (→ sul tema Broodthaers volutamente
sempre vago e contraddittorio) → rapace che governa dall'alto su tutti gli altri; Broodthaers chiude
ufficialmente l'attività del museo allestendone due sezioni nell'edizione di "Documenta" del 1972 a Kassel
curata da Harald Szeemann in cui viene significativamente esposto anche il Mouse Museum di Oldenburg;
interventi di Michael Asher, es. abbattimento parete divisoria tra l’ufficio della galleria e spazio espositivo →
collegamento tra la parte segreta, riservata alle contrattazioni e agli affari e la parte elevata, raffinata della
mostra dedicata all’arte → modifica in modo sottile l'aspetto fisico degli spazi espositivi, mettendone a nudo
i meccanismi politici in senso fisico e simbolico

Un precedente della riflessione sul museo: la ‘scatola’ di Marcel Duchamp, museo portatile in miniatura 1935-
40 (Boite en valise) → Cinematic Gallery, Casa-Museo Palazzo Maffei
This Is Tomorrow (Londra, Whitechapel Art Gallery, 1956)
Pietra miliare nella storia delle esposizioni collettive di natura sperimentale; mostra → modalità espressiva
autonoma; galleria (poi musei) = laboratorio aperto; interdisciplinarità, tecnologia, cultura di massa (fumetto,
cinema, pubblicità); sancisce la nascita della Pop Art

Per pubblicizzare viene usata la riproduzione del collage di Richard Hamilton (Just What Is It That Makes
Today’s Homes So Different, So Appealing?

Trasformazione dello spazio a loro affidato → creare complesse costruzioni che diano comunque
un’uniformità generale

Relazione con lo spazio: interventi concepiti per coinvolgere lo spettatore + costruzione dell’ambiente in
relazione al precorrimento del pubblico → progettato appositamente per quello spazio; non sono opere
pensate per la conservazione o per essere esposte poi in un altro museo

«Architetti e artisti si sono preoccupati della manipolazione degli spazi e del controllo del volume. Ogni spazio
consiste in una complessa organizzazione visiva, ogni spazio ha un proprio messaggio, ogni spazio si relaziona
con gli altri spazi in sequenza.» (PREFAZIONE AL CATALOGO DI LAWRENCE ALLOWAY)

Ognuno dei 12 gruppi di architetti, pittori e scultori che esponevano alla mostra realizzò almeno un manifesto
in edizione limitata.

Gruppo 2: comprendeva molte immagini e oggetti della cultura di massa: la sagoma dell’automa Robby the
Robot con l’eroina svenuta del film Forbidden Planet (Pianeta proibito, 1956), la sagoma a grandezza naturale
di Marilyn Monroe nel film di Billy Wilder The Seven-Year Itch (Quando la moglie è in vacanza, 1955), il poster
dei Girasoli di Van Gogh (la riproduzione artistica più venduta alla National Gallery), una bottiglia gigante di
Guinness Extra Stout. Robby the Robot era presente all’inaugurazione anche come pupazzo tridimensionale.
L’allestimento presentava anche «un collage di immagini di stelle del cinema in formato cinemascope (quasi
una citazione delle avvolgenti Ninfee di Monet).» (A. NEGRI, L’ARTE IN MOSTRA. UNA STORIA DELLE ESPOSIZIONI,
BRUNO MONDADORI 2011); «Ciò di cui c’è bisogno [...] è lo sviluppo delle nostre potenzialità percettive,
accettare e utilizzare il continuo arricchimento di materiale visivo.» (RICHARD HAMILTON NEL CATALOGO DELLA
MOSTRA); Il manifesto di Richard Hamilton con la riproduzione in bianco e nero del collage Just What Is It That
Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?

Analisi dell’opera: Just What Is It That Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?

Piccolo collage dai colori sbiaditi di Richard Hamilton realizzato nel 1956 e divenuto prototipo della Pop Art,
emblema della cultura di massa

Non opera autonoma, ma poster della sezione del Group 2 dell’Independent Group alla mostra londinese
“This Is Tomorrow” e riprodotto in b/n sul catalogo

Originale esposto solo nel 1964

Modelli: Dadaisti berlinesi

Soggiorno borghese di città: oltre al gusto moderno dell’arredamento (mobili di design svedese), la presenza
di una cameriera ci fa capire la classe sociale cui allude il collage; i protagonisti sono un uomo e una donna
nudi → corpo di lui modellato dallo sport e non dalla caccia, dalla guerra o dal lavoro, come racconta la
caramella-racchetta da tennis che ha in mano (su cui compare per la prima volta il termine “Pop” che avrebbe
designato l’intera corrente); il corpo della donna non è “materno”, ma orientato alla seduzione → in casa
non ci sono bambini e questo è un mondo per adulti; tra i vari oggetti che campeggiano nella stanza
osserviamo un registratore, un aspirapolvere e un televisore → elettrodomestici che stavano invadendo le
case → non a caso, una freccia accanto al tubo dell’aspirapolvere ne indica le prestazioni, suggerendo che i
tubi degli altri aspirapolvere “arrivano solo qui”; a confermare il nuovo stile di vita, sul tavolino di centro sta
una confezione di prosciutto in scatola: cambia anche il modo di alimentarsi; su un portalampada campeggia
il marchio delle automobili Ford; alla parete vediamo, giustapposti con indifferenza, un ritratto classico a
un'immagine tratta dai fumetti (→ nuova forma di romanzo popolare) ad altre forme di intrattenimento di
massa, all'hotel panorama che si intravede dalla finestra, dove cartelli e insegne luminose pubblicizzano i
nuovi spettacoli cantanti jazz, musical e film; i due personaggi centrali esprimono, dunque, tutto il loro
narcisismo e il loro modo di vivere fondato su abitudini e gusti massificati attraverso il loro corpo, ma anche
attraverso gli oggetti che li attorniano

Esplicito messaggio politico, denuncia sociale → satira di costume che insieme critica e celebra il sistema
delle merci

Giovane coppia in un interno stipato di prodotti commerciali → interno: pubblicità di Armstrong Floors;
Soffitto: terra dallo spazio; Sfondo: cinema Warner di Broadway nel 1927

I repertori dell’American Way of Life degli anni ’50: “Life”; “Ladie’s Home Journal”; “Fortune”; “Look”

Il potere omologante delle merci, tutte ugualmente appetibili:


• mobile-televisore Stromberg-Carlson • magnetofono
• fumetto incorniciato • aspirapolvere Hoover Constellation
• ritratto (prestazioni evidenziate dalla freccia e
• paralume con marchio Ford-Fairlane dimostrate dalla casalinga)
• prosciutto in scatola Armour Star Ham
«Tutta la rosa degli oggetti di consumo – ritagliata da immagini di rotocalchi, quindi da un ulteriore oggetto
di consumo come in un procedere di specchi» (VETTESE 2010)

seduzione delle merci e dei corpi; “Tomorrow Man” = Irwin “Zabo” Koszewski, Mister Los Angeles 1954;
Tootsie Roll Pop (lecca-lecca); Jo Baer, artista già modella per riviste erotiche; La pervasività del messaggio
pubblicitario → parificazione tra le merci e i corpi, presentati in pose artificiose

La nudità della coppia: «Non più figure entro una composizione, bensì individui allineati all’interno del mondo
reificato dalla mercificazione di massa. Un Adamo ed una Eva contemporanei e consustanziali agli anni del
boom economico e alle ossessioni dell’era atomica: narcisisticamente immersi in un Eden consumistico,
felicemente privi d’ogni senso di colpa o di complicazioni esistenziali»

Parallelismo con il videoclip di I want to break free dei Queen → la dinamica ed elegante signora che pulisce
la scala con un’aspirapolvere ultramoderno e altri particolari

Padiglione del Group 6 di Paolozzi: «occupato e parzialmente coperto da accumulazioni di oggetti, pietre,
pezzi di gesso simili a frammenti archeologici.»; «Ricorrono inoltre riferimenti agli esperimenti ambientali dei
costruttivisti e di Schwitters.» (PUGLIESE 2009)

«Il Gruppo 10, che realizza un ambiente di passaggio curvilineo dalle cui pareti fuoriescono volumi geometrici,
dichiara in catalogo: ‘L’intento della nostra collaborazione è stato esplorare il terreno comune tra architettura
e scultura. Noi crediamo che lo sviluppo di questa collaborazione possa portare ad un ambiente umano più
integrato. Nel contesto di questa mostra particolare ci siamo limitati ad articolare uno spazio direzionale
attraverso il quale passa lo spettatore.» (PUGLIESE 2009)

Dylaby (Amsterdam, Stedelijk Museum, 1962)


Laboratorio di avanguardia; il modello di This Is Tomorrow viene sviluppato in un museo pubblico; centralità
del coinvolgimento del pubblico e della dimensione ambientale dell’opera; il precedente di Bewogen
Beweging; gli sviluppi a Stoccolma nel 1966
A cura di Willem Sandberg (→ fotografia con gli artisti → museo ↷ laboratorio → presentare il processo di
realizzazione degli ambienti ≠ presentazione opere da contemplare → apertura del direttore a collaborare,
mettere in gioco giovani artisti) e Ad Petersen

6 artisti, 9 opere

Giovani artisti → Nouveaux Réalistes + New Dada (v. Rauschenberg)

Catalogo con biografie degli artisti, pianta dell’esposizione, testi di Willem Sandberg, diario di Ad Petersen,
foto di Ed van der Elsken → molte fotografie del pubblico negli ambienti (tra cui anche molti bambini → clima
gioioso e scanzonante) → costruzione e assemblaggio della mostra-laboratorio

Intento: mettere al centro il pubblico → attore imprescindibile che mette in funzione il laboratorio e diventa
pubblico di se stesso → I visitatori devono cogliere l'importanza della loro presenza

«Grazie allo spirito innovatore del direttore Willem Sandberg, allo Stedelijk Museum di Amsterdam viene
messa in scena nel 1962 la prima esposizione museale che si configura come un vero progetto ambientale
organicamente articolato, elaborato in stretta collaborazione da sei artisti: gli esponenti del Nouveau
Réalisme Jean Tinguely, Daniel Spoerri, Niki de Saint Phalle e Martial Raysse, il neodada Robert Rauschenberg
e Per Olof Ultvedt. La mostra, intitolata ‘Dylaby’ (dynamic labyrinth), viene realizzata interamente utilizzando
materiali di recupero, strutture in legno, elementi meccanici in ferro, decorazioni di vetrine e altri svariati
oggetti. [...] I visitatori venivano coinvolti in una sorta di percorso da luna park, e stimolati mentalmente e
sensorialmente con effetti stranianti.» (POLI-BERNARDELLI 2016)

Stretta collaborazione tra 5 dei 6 partecipanti (il francese era la lingua prevalente)

Per la maggior parte opere (fa eccezione il lavoro dell’americano Rauschenberg → alcune opere destinate al
circuito del mercato dell'arte) destinate alla distruzione

Materiali di recupero, oggetti extra-artistici; Pubblico stimolato muti-sensorialmente con effetti stranianti

Progetto ambientale che si realizza sul posto (processo = centro dell’operazione, non i prodotti già realizzati)

Impronte sulla copertina: collaborazione tra artisti, curatore e direttore (→ museo pubblico si apre a un'arte
effimera e non commerciale, tendenzialmente destinata distruzione) + percorso che dovrà fare il pubblico

«Ecco la complessa articolazione del percorso espositivo: una sala labirintica tutta buia (Spoerri); uno stretto
ambiente formato da una salita in legno (Ultvedt) ...» (POLI-BERNARDELLI 2016)

Organizzazione degli spazi:


• sala I di Daniel Spoerri → il pubblico doveva trovare il percorso da seguire, usando tatto e olfatto
• sala II di Per Olof Ultvedt
• sala III di Daniel Spoerri → principio dei piani scambiati (v. serie dei Quadri-trappola → es. pranzo su
tela ruotato di 90°) → stanza ruotata di 90°, sovvertimento delle coordinate spaziali (v. sacchi di
carbone di Duchamp → richiamo alla mostra di Parigi del ‘38); «una sala tradizionale di museo
ruotata di novanta gradi, con sculture su piedistallo agganciate al muro e il pavimento ricoperto di
quadri» (POLI-BERNARDELLI 2016); «indirizzare lo sguardo a regioni cui non siamo abituati a guardare»
(INTERVISTA A DANIEL SPOERRI DI DIEGO SILEO, MILANO 2008, CIT. IN PUGLIESE 2009)
• sala IV di Martial Raysse → «la Raysse Beach, un ambiente con piscinetta comprensivo di oggetti
balneari pop fra cui un jukebox (Raysse)» (POLI-BERNARDELLI 2016); Strandkorb (poltrona in vimini a
schienale alto che si usa nel Mare del Nord e nel Mar Baltico per ripararsi dal vento); Manichino
abbigliato con articoli di moda acquistati nei grandi magazzini; Insegna al neon con il titolo della sala;
Giocattoli per bambini, palloni e animali di plastica gonfiabili; Salvagente, ombrellone e costumi da
bagno; Pop Art → cultura di massa; nuovo mito delle vacanze al mare; assemblaggi, manichino
reinterpretato
• sala V di Niki de Saint Phalle → Shooting Gallery → Colore modifica le sculture (: paintball); scultura
ambientale a Stoccolma collaborazione di Saint Phalle, Tinguely e Ultvedt (Moderna Museet, 1966.
Invito di Pontus Hultén) → dea della fertilità, grande donna incinta, dea madre; terrazza da cui i
visitatori vedevano gli altri visitatori in fila per entrare nella scultura-ambiente dal sesso della donna
→ «Una colossale creazione che fungeva al medesimo tempo da scultura ambientale, ingresso al
museo e vero e proprio percorso a tema, con installazioni, dispositivi meccanici, un cinema e un bar.
Il tutto inserito all’interno della gigantesca figura femminile reclinata a gambe aperte, dal cui sesso
si poteva accedere direttamente. L’eco di tale realizzazione fu notevole, non soltanto per l’aspetto
provocatorio ma anche per un’inedita capacità di captare e interpretare il nuovo spirito dei tempi».
(POLI-BERNARDELLI 2016)
• sala VI di Robert Rauschenberg → strada, orologi
• sala VII di Jean Tinguely (presente anche in I, II e V) → «… un enorme macchinario semovente e una
sala piena di palloncini in libertà» (POLI-BERNARDELLI 2016)

«Gli artisti si sono riuniti da vari Paesi con l’intento di permettere al pubblico di partecipare al loro lavoro, di
asciarti vedere, sentire e collaborare con loro [...] Sei artisti in sette stanze hanno creato ambienti pieni di
varietà gioiosi e strani, rumorosi e silenziosi dove puoi ridere, esaltarti diventar pensoso. Non sei fuori dagli
oggetti, ma costantemente dentro di loro come parte del tutto» (TRAD. IT. DAL CAT. 1962, IN PUGLIESE 2009)

«La concezione di ‘Dylaby’ ha origine nel teatro - terreno di incontro tra Tinguely e Spoerri - per poi portare a
una dimensione in cui lo spettatore diventa attore e pubblico di se stesso. Invece di trovarsi di fronte a
situazioni rappresentate, lo spettatore nel ‘Dylaby’ ha un ruolo determinante interagendo con gli ambienti a
seconda del mutare dei suoi movimenti e della sua posizione. Il museo apre di fatto le porte all’arte effimera
e non commerciale, lasciando libertà totale agli artisti e aiutandoli nel montaggio delle opere. La mostra
prescinde infatti dall’esposizione di oggetti e le sale vengono montate sostanzialmente con materiali di
recupero per essere quindi distrutte a fine mostra» (PUGLIESE 2009)

Robert Rauschenberg, Dylaby I, 1962, New York, Sonnabend Gallery: Combine Painting → assemblaggi di
disegni, fotocopie, pagine stampate, fotografie istantanee, oggetti trovate di ogni tipo che prendono
ispirazione dal sovrapporsi, nel nostro campo visivo e nella nostra memoria, di informazioni di diversa natura,
senza che venga rispettata alcuna gerarchia tra i messaggi culturali elevati e quelli comuni; pubblicità della
Coca-Cola in metallo, asse arrotondata di legno, scarti di telone e di metallo

Teatro delle mostre (Roma, Galleria La Tartaruga, maggio 1968)


Rivoluzione sessantottina

Galleria ↷ “palcoscenico” per alcuni progetti di natura performativa, dando prevalenza all'esecuzione e al
pubblico, che a volte partecipava in prima persona al processo creativo

Trappola bianca (→ “white hue”) → spazio dedicato all'esposizione delle opere d'arte perfettamente
illuminate su pareti neutre → no interferenze

Spettatore messo a nudo

Giosetta Fioroni: spettacolo voyeurista → spioncino da cui spettatore vedeva dentro una stanza intima, dove
una giovane donna compiva azioni quotidiane

Arte Povera + Azioni Povere (Amalfi, Arsenale e aree circostanti, 1968)


A cura di Germano Celant (critico e curatore)

29 artisti; numero delle opere ignoto


L’editore e collezionista salernitano Marcello Rumma coinvolse Germano Celant nella terza edizione della
Rassegna di Amalfi (RA3) e prese parte a varie «azioni»

Nuovo modello operativo: mostra + performance + dibattito sul ruolo dell’arte, degli artisti e della critica
(Celant: «appunti per una guerriglia» → impegno sulla vita quotidiana → abbandonare musei e lavorare di
più negli spazi pubblici → pubblico più vario e variegato → nuovo capitolo della storia del rapporto tra opere
artistiche, arte contemporanea e strutture architettoniche funzionali del passato) → mostra brevissima →
evento, manifestazione; abbattimento delle barriere tra le singole discipline

Catalogo edito successivamente → collezione delle foto delle azioni, non solo delle opere → Principalmente
realizzate sul posto

Arsenali dell’antica repubblica: anticipato il riutilizzo di spazi funzionali ed extra-artistici

Partecipazione spontanea da parte degli artisti: «Avevo fatto un altro piccolo monumentino da aggiungere a
quelli romani con qualche mattone, stracci e una scarpa rotta» (PISTOLETTO, che arrivato dopo gli altri,
intervenne nella parte terminale dello spazio)

Dall’oggetto all’azione che porta alla realizzazione di un'opera/evento; Scambio e interazione; Partita di
pallone tra le opere → progetti che dialogano con le arti performative e rappresentazioni/sperimentazioni
teatrali contemporanee

L’«azione» di Richard Long: stringeva la mano ai passanti nel centro di Amalfi

Michelangelo Pistoletto e Lo Zoo, L’uomo ammaestrato, Amalfi, 4 ottobre 1968. «Uscire dallo studio era
uscire dalla gabbia»; ‘Zoo’: animali diversi, linguaggi diversi (cineasti, musicisti, poeti, attori); Abbattimento
dei confini tra discipline; Dialogo con il pubblico e capovolgimento di prospettiva: «vi siete mai chiesti chi
siano i veri spettatori, voi da una parte delle sbarre o gli altri al di là delle sbarre?»; necessità di uscire dallo
spazio vincolante dello studio → agire negli spazi pubblici; “chi sono davvero gli spettatori?”

Live in Your Head. When Attitudes Become Form: Works-Concepts-Processes-Situations-


Information
Edizioni: • Berna, Kunsthalle, 22 marzo - 27 aprile 1969
• Krefeld, Museum Haus Lange, 9 maggio - 15 giugno 1969
• Londra, Institute of Contemporary Art, 28 agosto – 27 settembre 1969
• Ricostruzione del 2013
Curatore: Harald Szeemann (critico d‘arte)

68 artisti; 127 opere ca.

Szeeman e Michael Heizer assistono all’esecuzione di Bern Depression → «La Kunsthalle diventa un cantiere
aperto» (SZEEMANN) → mostra si svolge sia all'interno che all'esterno

Copertina: carattere manoscritto ciclostilato

interazione col pubblico

Nel 2013 a Ca’ Corner della Regina, sede veneziana della Fondazione Prada, Germano Celant ha firmato il
«reenactment espositivo» della mitica mostra curata da Harald Szeemann nel 1969 alla Kunsthalle di Berna

Una settimana prima Serra aveva presentato un suo Splash Piece all’esterno dello Stedelijk Museum di
Amsterdam in occasione della mostra Op Losse Schroeven (Square Pegs in Round Holes), curata da Wim
Beeren (contributo di Szeemann in catalogo) [Cfr. gli scavi di Jan Dibbets ad Amsterdam e a Berna]

[Cfr. la mostra January 5-31, 1969, curata da Seth Siegelaub nei locali di un ufficio affittati a Manhattan]
Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, Alighiero Boetti, 1969. Cemento a presa rapida e farfalla
cavolaia: l'artista ha ricostruito il proprio corpo con una serie di pallottole fatte a mano su cui ha lasciato le
impronte delle dita → un corpo intero viene a essere fatto da innumerevoli atomi identici; statua che non si
presenta più eretta; farfalla gialla al posto del cuore

Spaces (New York, MoMA, 1970)


A cura di Jennifer Licht; ospiti Michael Asher, Larry Bell, Dan Flavin, Bob Morris, il gruppo Pulsa e Franz Erhard
Walther

«L’idea è utilizzare una situazione spaziale coesiva in un unico lavoro»; «Presenza umana e percezione del
contesto spaziale sono diventati materiali artistici»; «In questa ‘Età dello Spazio’, lo spazio non è più
un’astrazione»

Il titolo avrebbe dovuto essere Environments → cambiato dopo l’allunaggio → titolo allusivo → copertina:
cielo stellato

«Una mostra in cui l’installazione diventa la pratica realizzazione dell’opera d’arte e gli spazi devono essere
pianificati e composti secondo le necessità degli artisti, sfida il ruolo usuale del museo e provoca sforzi e risorse
non abituali per lo staff.» (LICHT 1969, CITATA E TRADOTTA IN PUGLIESE 2009)

Spostamento semantico tra installazione in quanto allestimento e installazione in quanto opera (autonoma)
→ «Una mostra in cui l’installazione diventa la pratica realizzazione dell’opera d’arte e gli spazi devono essere
pianificati e composti secondo le necessità degli artisti, sfida il ruolo usuale del museo e provoca sforzi e risorse
non abituali per lo staff.» (LICHT 1969, CITATA E TRADOTTA IN PUGLIESE 2009)

[NB. il passo dedicato «alle attività multimediali dalla fine degli anni Cinquanta» («gli Enviroments e gli
Happenings di Kaprow, Dine e Oldenburg [...] e i tableaux di Kienholz e Segal», «eredi diretti dell’applicazione
dadaista di Schwitters delle tecniche di collage- assemblaggio») citato da PUGLIESE 2009, PP. 61-62]

Untitled, Robert Morris, 1969: quattro grosse strutture in metallo a pianta poligonale disposte a croce e
riempite di terra, lasciando tra queste dei corridoi per il passaggio del pubblico. Ogni struttura ha
un'inclinazione diversa e nella terra sono inseriti alberi in miniatura disposti a creare l'illusione ottica della
presenza di un ambiente naturale in un interno giocando su una distanza e una profondità che non esistono

L’installazione negli anni Novanta e Duemila, un medium in evoluzione


Quali gli elementi fondamentali della relazione tra opera e spazio?
• Immersività dell’ambiente
• Uso di materiali effimeri assemblati direttamente in mostra
• Multisensorialità
• Coinvolgimento attivo del pubblico

Art Index (1978): il termine installation è registrato solo con un rimando a environment

The Oxford Dictionary of Art (1988): «Term which came into vogue during the 1970s for an assemblage or
environment constructed in the gallery specifically for a particular exhibition»

Alla Biennale di Venezia le prime opere definite installazioni sono citate nel catalogo del 1980

Medium ideale per quegli artisti che negli anni Ottanta e Novanta indagano questioni di genere e identità →
inclusioni/esclusioni della società (raccolte e allestimenti museali) → «Mining the Museum»: interi gruppi
sociali esclusi dalle raccolte e dal percorso di un museo → attribuzione di valore nei musei americani
(egemonia) + accostamento di oggetti (es. catene per schiavi nella vetrina degli argenti → v. Fred Wilson)
Investimento economico di grandi sponsor ad artisti già noti per progetti di installazioni → visibilità

medium che supera la distinzione tra interno ed esterno

«[...] By turning to installation art, the artists directly reference traditions of display by restaging or reframing
their spatial and cultural forms. Their works examine how not only the visual arts and museums exhibitions,
but also religious architecture, mass media, commercial commodities, government agencies, and material
culture, in the past and the present, have fixed social landscape of raced subjects.» (JENNIFER A. GONZÁLES,
SUBJECT TO DISPLAY. REFRAMING RACE IN CONTEMPORARY INSTALLATION ART, THE MIT PRESS, LONDON 2008)

Metalwork 1793-1880 (1992) di Fred Wilson alla mostra «Mining the Museum» (Baltimora, Maryland
Historical Society) nel 1992. «Uno dei lavori [...] consisteva semplicemente nell’inserimento nella vetrina degli
argenti di una sala dedicata alle arti applicate, di catene in ferro per schiavi. L’accostamento tra gli oggetti
serve quindi a costruire racconti in modo non didattico e forse proprio per questo particolarmente efficace.»
(PUGLIESE 2009)

«L’evoluzione è data dagli slittamenti delle categorie che la definiscono: spazio, materia, tempo, fruizione»
(PUGLIESE 2009); Relazione con spazio e materia: nomadica - Relazione con tempo e fruizione: frammentaria

Medium che meglio rappresenta la contemporaneità → ruolo avuto nel passato dall’affresco e dalla pittura
su tela (v. Kabakov)

Spazi permeati da segni di potere ed egemonia culturale


Cfr. le installazioni di Asher e Broodthaers (smascherato il potere delle istituzioni artistiche)

L’installazione I believe in the skin of things as in that of women di Monica Bonvicini alla 48. Biennale
di Venezia (1999)
analisi critica dell’architettura, arte maschile per eccellenza

Il titolo è una frase di Le Corbusier che si riferisce alla superficie di facciate e pareti

la citazione di Auguste Perret, «a window is a man, it stands upright» compare accanto alla caricatura di un
uomo nudo

Relazione con lo spazio – Totes Haus Ur, Gregor Schneider, 2001, Venezia, 49. Biennale,
Padiglione tedesco
Opera di tipo nomadico → non è legata a un determinato luogo → tendenza a ricreare in altri luoghi i percorsi
labirintici e claustrofobici costruiti nel suo studio-abitazione (casa popolare a tre piani isolata a Rheydt in
Vestfalia, nord della Germania)

“Ur” = iniziali del nome della via della casa popolare in cui viveva / prefisso per “originale”, “primordiale”;
“Totes” = In qualche modo tradisce l'originale con lo spostamento

Ambienti con soffitti bassi, finestre chiuse e senza uscite → > malessere fisico e psicologico → claustrofobia,
affanno, oppressione

Ricostruiti in spazi espositivi (es. Padiglione della Germania ai Giardini della Biennale di Venezia) → concetto
della riproduzione

“monumenti effimeri” = interventi di tipo monumentale, in ambienti interni o esterni, che non hanno
l’ambizione di restare, durare nel tempo o dare valori permanenti alla contemporaneità → materiali poveri
in spazi monumentali

: Merzbau → ossessività nell'accumulo dei materiali di recupero; intenzione di creare un percorso labirintico
per il pubblico; volontà di ricostruire il proprio lavoro in luoghi diversi; apertura al pubblico di spazi privati
: Kobakov → Riproduzione di uno spazio chiuso e privato; imbarazzo e mancanza di libertà

Relazione con la materia – Thomas Hirschhorn


The bridge, 2000. Londra Whitechapel Art Gallery. Mostra collettiva «Protest and Survive» sul rapporto tra
arte e politica: ponte percorribile che collegava la sede della mostra alla libreria anarchica Freedom Press →
legame fisico e metaforico tra arte e attivismo politico; materiali preferiti → nastro adesivo, cartone, legno,
compensato, sacchi per l'immondizia; inviti a interventi/relazioni

: Kaprow → uso di materiali “usa e getta” con un valore, una valenza politica

Evento riproposto in Flamme éternelle al Palais de Tokyo (→ museo di arte contemporanea prima del
Pompidou; v. Nicolas Bouriaud → relazioni sul rapporto autore/pubblico), Parigi, 2014: aperto nella sua
forma, accessibile e gratuito → un autentico spazio pubblico all'interno dell'istituzione messo a disposizione
di una platea non esclusiva, accogliendo gli amanti dell'arte tanto quanto coloro che non hanno una
particolare inclinazione verso l'estetica; il suo studio temporaneo, un centro di accoglienza per intellettuali
che sono lasciati liberi di considerare il loro intervento o la loro semplice presenza al di fuori di qualsiasi
obbligo nei confronti dell'istituzione di impegnarsi in "moderazione culturale"

Progetto nella periferia di Parigi → lasciato alla cura degli abitanti; ha coinvolto molti giovani

Pubblico sosta, si incontra, affronta temi politici

La relazione con il tempo – Ilya Kabakov


The Toilet, 1992. Kassel, Documenta IX (prima edizione dopo l’abbattimento del muro di Berlino e subito
dopo lo scioglimento dell’URSS): ricostruzione di un casottino per bagni pubblici simile a quelli edificati tra gli
anni Sessanta e Settanta in Unione Sovietica nei pressi delle stazioni; La struttura, divisa in due ambienti e
dotata di due accessi differenti per donne e uomini, si presentava all'interno come un appartamento di due
stanze → il salotto nel bagno degli uomini e la camera da letto in quello delle donne; In entrambi gli spazi,
oltre al normale arredamento, era presente lungo una delle pareti una serie di latrine da bagno pubblico;
evocazione della memoria di un’esperienza conosciuta (in/direttamente) e privata che faceva riferimento al
passato → Germania divisa; il pubblico si metteva in fila per entrare; associazioni imbarazzanti e promiscue
→ accostamenti brutali; evoca mancanza di libertà che la popolazione provava vivendo negli appartamenti
comunitari → condivisi tra più famiglie → promiscuità, paura di essere controllati e spiati; clima totalitario e
decadente dell’URSS; Per l'artista russo la società occidentale è legata agli oggetti mentre quella sovietica
dell'epoca, nella mancanza diffusa di beni personali, attribuiva molta più importanza agli spazi; La memoria
personale e quella collettiva si mescolano e l'installazione diventa la materializzazione di un tempo passato
al contempo privato e pubblico che si sovrappone all'esperienza del visitatore e al suo vissuto

L’uomo che volò nello spazio dal suo appartamento, 1981-1988: personaggio inventa un marchingegno per
evadere da quella situazione oppressiva → v. buco nel soffitto; nel modellino si vede la traiettoria del volo →
emula quelli aerospaziali; prevale il colore rosso → materiali propagandistici; vena narrativa → ogni
installazione è accompagnata da un racconto → titoli;

Nell’URSS si guadagnava da vivere come illustratore (: Chagalle) → v. metropolitana di Napoli

Cfr. Etant donnés di Duchamp (1946-1966; Philadelphia, Museum of Art): non accesso diretto alla stanza

Relazione con la fruizione - The Weather Project, Olafur Eliasson, 2003. Londra, Tate Modern,
Turbine Hall
Riprodotto una sorta di Sole all'interno del museo. Tramite un gigantesco specchio che copriva il soffitto e
centinaia di lampade a mono-frequenza disposte in forma semicircolare, lo spazio era inondato di una luce
abbagliante mentre una nebbia leggera era prodotta da appositi macchinari. Eliasson, che abitualmente
lavora con la riproduzione di effetti percettivi o fenomeni atmosferici in musei e gallerie, è interessato alla
reazione che il fruitore ha con l'ambiente. L'artista ha fatto precedere all'installazione una serie di interviste
allo staff del museo sul tema del tempo, da cui ha estrapolato frasi usate nella campagna promozionale della
mostra, volutamente priva di immagini, in modo da evitare di dare anticipazioni e di creare aspettative,
modificando l'impatto con l'opera.

Radicalmente trasformato la percezione dello spazio (le lampade a mono-frequenza permettono solo di
vedere due colori, il giallo e il nero) e coinvolto il pubblico in modo inedito. Come succede durante le eclissi,
le persone hanno filmato e fotografato l'opera, sdraiandosi a terra per contemplare e ricevere i raggi di un
Sole artificiale.

Specchio → favoriva protagonismo del pubblico

Nelle installazioni il ruolo dello spettatore è fondamentale perché “l’osservatore fa parte del sistema che
osserva; osservando produce le condizioni della sua osservazione e trasforma l'oggetto osservato". Dagli
Environments di Kaprow, dove lo spettatore era invitato a collaborare alla creazione dell'opera, al corridoio
di Morris o alla Totes Haus Ur di Schneider, nella quale il fruitore è frustrato e messo alla prova, agli ambienti
accoglienti di Eliasson, l'installazione innesca una pletora di tipologie di fruizione che, confermando la
centralità del corpo del visitatore, rimandano alla fluidità del medium.

Le installazioni nella Turbine Hall della Tate Modern - monumenti temporanei su commissione della
multinazionale Unilever
Ex centrale elettrica convertita in un centro polifunzionale e un museo d’arte contemporanea → accesso
avviene tramite ingresso monumentale nella sala delle turbine (Turbine Hall) → ambiente suggestivo, teatro
di “spettacoli” e installazioni

“Il ruolo dell’installazione in arte è ancora oggi centrale: la Tate Modern di Londra, museo cattedrale della
contemporaneità, ha specificatamente dedicato a questa pratica artistica lo spazio monumentale della
Turbine Hall.” (PUGLIESE 2006)

Esempi installazioni:
• Olafur Eliasson, The Weather Project, 2003.
• Carsten Höller, Test Site, 2006: «[…] l'esperienza dello scivolamento è meglio riassunta in una frase
dello scrittore francese Roger Caillois come un "panico voluttuoso su una mente altrimenti lucida". Le Gli
diapositive
scivoli sono sculture impressionanti a sé stanti, e non c'è bisogno di sfrecciare giù per apprezzare
questa opera d'arte. Ciò che interessa Höller, tuttavia, è sia lo spettacolo visivo di guardare le persone
che scivolano sia lo "spettacolo interiore" sperimentato dagli stessi cursori, lo stato di gioia e ansia
simultanea in cui si entra mentre si scende. Ad oggi Höller ha installato sei scivoli più piccoli in altre
gallerie e musei, ma lo spazio cavernoso della Turbine Hall offre un ambiente unico in cui estendere
la sua visione. Eppure, come suggerisce il titolo, lo vede come un prototipo per un'impresa ancora più
grande, in cui gli scivoli potrebbero essere introdotti in tutta Londra, o in effetti, in qualsiasi città. In
che modo una dose giornaliera di scivolamento potrebbe influenzare il modo in cui percepiamo il
mondo? [..]. Gli scivoli, come questi lavori precedenti, mettono in discussione il comportamento
umano, la percezione e la logica, offrendo la possibilità di auto-esplorazione nel processo.»
≠ Anish Kapoor, Marsyas, 2002: «[…] rinomato per le sue enigmatiche forme scultoree che permeano
lo spazio fisico e psicologico. L'inventiva e la versatilità di Kapoor hanno portato a opere che vanno
dalle sculture di pigmenti in polvere e interventi site-specific su parete o pavimento, a gigantesche
installazioni sia all'interno che all'esterno. In tutto, ha esplorato ciò che vede come polarità
metafisiche profondamente radicate: presenza e assenza, essere e non-essere, luogo e non-luogo e
solido e intangibile. Marsyas […] comprende tre anelli in acciaio uniti tra loro da un'unica campata di
membrana in PVC. Due sono posizionati verticalmente, ad ogni estremità dello spazio, mentre un
terzo è sospeso parallelamente al ponte. Apparentemente incuneata in posizione, la geometria
generata da queste tre rigide strutture in acciaio determina la forma complessiva della scultura, uno
spostamento da verticale a orizzontale e di nuovo verticale. Kapoor ha iniziato il progetto nel gennaio
2002, rendendosi presto conto che l'unico modo per sfidare l'altezza scoraggiante della Turbine Hall
era, paradossalmente, usare la sua lunghezza. Si avvicinò allo spazio come una scatola rettangolare
con una mensola (il ponte) al centro di esso e, per molti mesi, ne esplorò il potenziale attraverso una
serie di disegni e maquette scultoree. La dimensione umana e il rapporto dello spettatore con l'opera
erano centrali nel suo pensiero. La membrana in PVC ha una qualità carnosa, che Kapoor descrive
come "piuttosto simile a una pelle scorticata". Il titolo si riferisce a Marsia, un satiro nella mitologia
greca, che fu scorticato vivo dal dio Apollo. Il colore rosso scuro della scultura suggerisce qualcosa
"del fisico, del terreno, del corpo". Kapoor ha commentato: "Voglio trasformare il corpo in cielo".
Marsyas confonde la percezione spaziale, immergendo lo spettatore in un campo monocromatico di
colore. È impossibile vedere l'intera scultura da qualsiasi posizione. Invece, lo sperimentiamo come
una serie di incontri discreti, in cui siamo lasciati a costruire il tutto.»
• Doris Salcedo, Shibboleth, 2007 → duplice significato nella lingua inglese, di origine ebraica →
“dottrina, idea antiquata, sorpassata” / “parola o uso peculiare, distintivo, che separa un gruppo
linguistico o culturale da un altro” → parola nota per distinguere il nemico (chi non sapeva
pronunciarla correttamente) → esclusione, separazione, alterità → frattura, crepa sul pavimento,
baratro per tutta la lunghezza della sala→ non c’è un intervento nel grande volume, ma solo sul suolo
→ separazione tra Occidente e il Terzo Mondo + devastazioni naturali (terremoti); crepa lunga e
profonda nel pavimento → nel tempio dell'architettura ortogonale la divisione portava una nota di
dramma e disordine, come se fosse stato squassato da un terremoto
• Dominique Gonzalez-Foerster, TH 2058, 2008-2009: «immagina la Tate Modern 50 anni nel futuro,
in una Londra afflitta da una pioggia perpetua. La Tate Modern viene utilizzata come rifugio per le
persone, come deposito per opere d'arte e per i resti della cultura. La vasta Turbine Hall è piena di
repliche monumentali di opere scultoree iconiche [Louise Bourgeois, Grande ragno; Alexander Calder,
Fenicottero]. File di letti a castello sono disseminate di libri [di fantascienza (Ballard, Wells)], e su uno
schermo gigante è in continua esecuzione The Last Film, composto da brevi estratti da film di
fantascienza, suggerisce un potenziale stato di catastrofe e la possibilità di memoria collettiva.»
• Ai Weiwei, Sunflower Seeds, 2010: «cento milioni di semi di girasole formano una distesa grigia di
mille m2, per dieci cm di altezza e un peso di centocinquanta tonnellate» (A. GALANSINO, AI WEIWEI,
GIUNTI, FIRENZE MILANO 2016); Milioni di cinesi vittime delle carestie provocate dalle riforme di
Mao Zedong (girasole nutrimento; uso diffuso di sgranocchiare i semi); Mao paragonato al sole,
seguito dal suo popolo (i girasoli che lo seguono); Contrasto tra la produzione seriale e le lavorazioni
di qualità; Esperienza tattile e sonora; Video (dall’estrazione del caolino necessario per la porcellana
alla decorazione a pennello); Salario mensile più elevato; orgoglio degli artigiani (1600 ca;
Jingdezhen) - Rischio di esalazioni tossiche (in seguito il pubblico solo all’esterno)

Altre opere di Doris Salcedo


Nuovi scenari geografici

Oppressione e divisione tra i popoli

Istanbul, 2003, 8. Biennale di Istanbul: zona popolare → abbandono di gruppi linguistici, persone costrette a
lasciare la propria casa → non ci sono più, hanno lasciato i legami, le attività; sedie → casa + spazi pubblici e
di incontro (es. bar); barricata, ostacoli che i moti rivoluzionari avevano creato nelle strette vie delle città
europee per opporsi al potere (es. monarchie, v. Rivoluzione Francese); Istanbul = città dei ponti, ma è stata
teatro di persecuzioni ed esclusioni; «un'installazione in una strada comune composta da 1.500 sedie di legno
accatastate precariamente nello spazio tra due edifici»; Sedie ammassate = individui che hanno abitato una
casa o frequentato dei locali; Spazio vuoto non è solo il luogo adatto a una speculazione edilizia
↳ La millenaria città sul Bosforo (Bisanzio, Costantinopoli, seconda Roma, Istanbul)

↳ associazioni: La forma-barricata → rivoluzione; Barriera / ostacolo; Europa / Asia; maschi / femmine;


Cristianesimo / Islam; ricchi / poveri

Abyss, Castello di Rivoli (Torino), 2005: antico castello dei Savoia; ambiente opprimente e claustrofobico,
prigione che mette a disagio il visitatore; «Salcedo ha rielaborato una delle sale principali dell'istituzione
ampliando il soffitto a volta in mattoni esistente della galleria. Trasformando sottilmente lo spazio esistente,
Abyss è stato progettato per evocare pensieri di incarcerazione e sepoltura.»; «spazio claustrofobico e
opprimente realizzato con semplici mattoni che ricoprono la quasi totalità di un immenso salone storico.
Lasciando solo una stretta fascia libera nella parte bassa della stanza. Questi spazi, queste gabbie fisiche e
mentali, si fanno metafore di una mortifera chiusura al mondo esterno, segno e sintesi di un lavoro di grande
originalità che sa trasformare semplici elementi di quotidiana normalità in apocalittiche visioni di paurosa
intensità.» (POLI, BERNARDELLI 2016); abbassamento della cupola di mattoni di una sala del Castello di Rivoli →
soffitto sembra cadere fino a coprire parte delle finestre

Noviembre 6 y 7, Bogotá, 2002 (“an act of memory”: 1985): «Il lavoro di Salcedo è diventato sempre più
basato sull'installazione. Utilizza gli spazi museali o luoghi insoliti per creare arte e ambienti politicamente e
storicamente carichi. […] un'opera che commemora il 17° anniversario della violenta presa della Corte
Suprema a Bogotá il 6 e 7 novembre 1985. Salcedo collocò questo pezzo nel nuovo Palazzo di Giustizia. Le ci
sono volute nel corso di 53 ore (la durata dell'assedio originale) per posizionare sedie di legno contro la
facciata dell'edificio che veniva abbassata da diversi punti sul tetto. Salcedo lo ha fatto come creare "un atto
di memoria". Il suo obiettivo era quello di riabitare lo spazio che era stato dimenticato»; vittime dell’assedio
al Palazzo di Giustizia di Bogotá; sedie di legno attaccate lungo le pareti → evocazione delle persone assenti
→ memoriale

Monumenti effimeri
Rosalind Krauss: la scultura del XX secolo non riesce a rapportarsi al concetto tradizionale di monumento →
saggio Sculpture in the Expanded Field → la studiosa riconduce il cambiamento radicale della scultura
modernista alla separazione dal monumento con il quale, tramite figurazione, verticalità e piedistallo era
stata vincolata fino alla fine del XIX secolo. Una volta superata la logica del monumento, la scultura diventa
infatti puro segno astratto autoreferenziale entrando in quella che Krauss definisce una "condizione negativa
di nomadismo". In effetti, la scultura del Novecento si è radicalmente liberata dal ruolo narrativo, celebrativo
e popolare che aveva mantenuto fino al secolo precedente. Questo, però, con il risultato di una progressiva
perdita di capacità di comunicare con la gente tanto che le opere d'arte pubblica sono spesso contestate e
talvolta rimosse.

Viceversa, le installazioni, grazie alla sacralità di cui le ammanta il museo e alla percorribilità che è una forma
accessibile di approccio alla monumentalità, sono oggi l'unico medium in grado di coinvolgere e comunicare
con il pubblico → Massimiliano Gioni: «[...] più recentemente la pratica delle installazioni in arte ha creato
degli ambienti immersivi che polverizzano ogni senso di unità. Ancora nella sua apertura interconnessa nella
molteplicità dei riferimenti e nel caotico abbraccio di materie e di oggetti di desiderio, l'installazione crea delle
esperienze con la stessa grandiosità associata alla scultura monumentale. Non è casuale che il trionfo
dell'installazione si sia sviluppato in parallelo con quello di un'economia dello spettacolo e con una soglia di
attenzione limitata. L'installazione riflette i bombardamenti di dati che formano la fase matura della società
dell'informazione. Descrive l'estasi della comunicazione, la sublime consapevolezza di essere solo un nodo in
un flusso in espansione di connessioni istantanee diffuse per il globo.»

A differenza dei monumenti, infatti, le installazioni non riescono più a celebrare momenti specifici di una
memoria condivisa, per celebrare invece i modi e i riti di una collettività indistinta
Opere di dimensioni colossali, ospitate in un'architettura monumentale + ripropongono monumenti del
passato, anche se non hanno l'ambizione di proporre valori permanenti

riparare frattura imposta dalle Avanguardie storiche, quando la scultura aveva rinunciato a un ruolo narrativo
e celebrativo popolare → si era ritagliata un pubblico di nicchia, estremamente esclusivo

Nascita di nuovi musei dalle dimensioni sempre più imponenti

Dialogo arte-pubblicità che si accentua negli Anni ‘80-90

Christian Boltanski
Réserve, Christian Boltanski: serie di opere realizzate tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta

allusione alla morte e all'assenza o semplicemente al passato, tramite foto, oggetti e indumenti usati. Réserve
del 1990 (Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris – Centre Pompidou) è una stanza illuminata da luce fioca
con le pareti ricoperte di vestiti appesi. Lo spazio ricorda i depositi di beni sequestrati nei campi di
concentramento e l'assenza delle persone è evocata non solo dagli indumenti ma anche dall'odore che questi
emanano. L'anonimato delle persone celebrate diventa un memento mori collettivo. Senza indicazioni utili
per un'interpretazione univoca, l'opera diventa un sacrario comune nonché l'evocazione di una memoria
perduta corale

“Scenario comune” → anonimato, mancanza di un'identità esclusiva che emerge sul pubblico → coralità
indifferenziata → Memento Mori

Personnes, 2010. Grand Palais di Parigi, per Monumenta, 2010: «La caratterizzazione monumentale di molte
sue opere raggiunge un vertice di alta drammaticità ed essenzialità [...]. Tutti i temi ricorrenti della sua
carriera artistica - dal senso di anonimato, alla solitudine e finitezza dell’individuo, alla compresenza di vita e
morte nel nostro orizzonte terreno – si materializzano in un’immensa installazione dove circa trenta
tonnellate di abiti usati e abbandonati sono alla mercé di una gigantesca benna mordente che, come una
meccanica mano del fato, li solleva e li fa cadere periodicamente, mentre il suono cupo e ossessivo di battiti
cardiaci amplificati risuona sotto le arcate della spettacolare architettura espositiva.» (POLI, BERNARDELLI 2016)

Vesti evocano l'assenza, il destino implacabile all'uso dalla benna che lascia cadere capi di abbigliamento nel
logorati
mucchio, loro gatti abbandonati a se stessi; battito cardiaco amplificato di sottofondo; riproposta Milano in
un'industria riqualificata (v. Tate Modern)

The Eyes of Gutete Emerita, Alfredo Jaar, 1996. Zurigo, collezione Daros
in occasione di un viaggio in Ruanda effettuato due anni dopo il genocidio dei tutsu del 1994, ha fotografato
gli occhi di una donna che aveva assistito all'uccisione del marito e dei figli durante il massacro di un intero
villaggio. L'artista ha deciso di ricordare le vittime facendo stampare un milione di diapositive con l'immagine
degli occhi della donna. L'opera diventa così un sacrario al contempo personale e collettivo ricordando,
tramite lo sguardo di Gutete Emerita, tutti i caduti del genocidio

Lutto collettivo, persona di cui si conosce il nome e di cui si vedono gli occhi → tragedia, genocidio, massacro
di un intero villaggio durante la messa domenicale; testo scritto a mano → ricorda i popoli massacrati in
Ruanda; un milione di diapositive ammucchiate → lenti che permettono di visionarle (→ riproduzioni della
foto dello sguardo addolorato, allibito); Scenario personalissimo e collettivo

State Britain, Mark Wallinger, 2007. Londra, Tate Britain


Ricostruzione all'interno della Tate Britain il presidio allestito dal pacifista Brian Haw in Parliament Square a
Londra per protestare contro le sanzioni economiche contro l'Iraq. L'attivista, che dal 2001 aveva montato
una tenda davanti al Parlamento esponendovi intorno cartoline, foto, messaggi, scritte e ricordi di vario
genere, è stato costretto a recedere quando nel 2006 un'apposita legge ha proibito la presenza di presidi non
autorizzati entro un chilometro dal Parlamento. Wallinger ha calcolato che la Tate Britain è collocata
esattamente sul limite di quella distanza e ha quindi segnato sul pavimento del museo il confine per
ricostruire fedelmente all'esterno di esso l'opera State Britain, ogni elemento del memoriale di Haw. L'opera,
che fa chiaramente riferimento alla libertà di espressione, introduce nel museo la nuova tipologia di
monumenti spontanei costituiti dalla libera apposizione da parte dei cittadini di fiori, biglietti e oggetti, ai
quali - da Pont de l'Alma, dove morì Lady Diana, a piazza Alimonda a Genova, dove fu ucciso Carlo Giuliani -
siamo ormai abituati. Anche in virtù di questa rinnovata capacità di comunicazione, sostanzialmente inedita
nel contemporaneo, ma soprattutto grazie alle grandi dimensioni e alla complessità strutturale, le
installazioni – come i monumenti nel passato – sono paradossalmente diventate il nuovo segno del potere
del mondo dell'arte, tanto da essere sostenute da sponsorizzazioni (v. "Unilever Series" alla Tate Modern).
Del resto, la monumentalità, anche architettonica, è storicamente sempre stata simbolo di potere

presidio pacifista organizzato da Mark Wallinger alla Tate Britain → State Britain → Stato britannico, che
condiziona fortemente la vita dei cittadini e mette a repentaglio la libertà di espressione → evidenziare
confine sottile arte-quotidiano, lecito-illecito → Stabilito dalla legge → circonferenza tracciata attorno al
palazzo del Parlamento → libertà di espressione viene garantita dalla appropriazione in ambito artistico del
memoriale → v. monumenti spontanei e retti dal pubblico (v. morte di Lady Diana o di Maradona)

Germania, Hans Haacke, 1993. Venezia, XLV Biennale, Padiglione Tedesco


Ricollegamento alla storia dei padiglioni, simboli all'inizio del Novecento del potere della nazione
rappresentata (Achille Bonito Oliva nel 1993 li aveva voluti internazionali). Nel 1934, il Padiglione Tedesco
era stato visitato da Hitler e per l'occasione era stato dotato di una nuova pavimentazione in marmo. Haacke
ha quindi divelto il pavimento lasciando la desolazione dell'interno vuoto pieno di macerie su cui camminare

Monumento critico e temporaneo alla storia della Germania nazista, ma anche al rapporto tra arte e potere

critica istituzionale → indaga stretta connessione tra architettura e potere → rompere, infrangere le lastre di
marmo del pavimento; ricordo con una fotografia la visita di Hitler all'inizio del padiglione; nome latino →
ripreso con orgoglio dal Nazismo

il curatore della Biennale vuole rompere il legame tra padiglioni e nazioni → invitava i Paesi ad accogliere
artisti anche non cittadini “propri”

The Cremaster Cycle, Matthew Barney, 2003. New York, Solomon R. Guggenheim Museum
Il suo intero ciclo di film e una serie di sculture e scenografie a esso collegate; Musée d’Art Moderne de la
Ville de Paris | Museum Ludwig di Colonia

«Gli spazi del sacrario per eccellenza dell’arte del XX secolo sono stati trasformati da Barney in un’enorme
installazione multimediale. Schermi con proiezioni di film, sculture e disegni prodotti per le scenografie
creavano un enorme Gesamtkunstwerk indicativo del potere raggiunto dall’artista nella gerarchia del mondo
dell’arte. Se il monumento è stato storicamente l’emblema del potere, l’installazione rappresenta la
precarietà della società odierna, priva di ideologie e di certezze economiche»

Ciclo di film presentato in due sedi europee e nel grande tempio dell'arte moderna newyorkese (Salamon
Guggenheim) → dei fotogrammi di elementi di scena, disegni delle scenografie, progetti; ospiti d'eccezione

Richard Serra, fotogramma da Cremaster 3 (2002): L’artista statunitense viene invitato a ripetere il gesto di
Casting del 1968

VB62, Vanessa Beecroft, 2008. Palermo, chiesa Santa Maria dello Spasimo
Nell'abside della chiesa l'artista ha disposto a raggiera, su basamenti simili ai sarcofaghi tipici della scultura
funeraria, una serie di sculture di corpi femminili in gesso vicino alle quali, in analoghe pose statiche, erano
situate in modo mimetico alcune modelle con il corpo dipinto di bianco. Improvvisamente le modelle,
indistinguibili dalle sculture, prendevano vita, iniziando lentamente a muoversi. Ovidio narra nel X libro delle
Metamorfosi che il re di Cipro, Pigmalione, realizzò una statua talmente bella che prese vita. Riferendosi alla
cultura classica e al virtuosismo della scultura funeraria settecentesca, Beecroft ha realizzato un'opera al
contempo performativa e monumentale ma temporanea e materialmente fragile. Paradigma della
contemporaneità, le installazioni sono il medium ideale per rappresentarne la complessità, le questioni sociali
e politiche ma anche identitarie o semplicemente estetiche e di tendenza. A differenza dei monumenti
classici, concepiti per durare nel tempo rendendo eterna la memoria collettiva, le installazioni, come i segni
incisi e i post-it attaccati sulle pareti in Celotex negli ambienti di Rudolf Stingel, sono monumenti effimeri di
una società troppo complessa e distratta per condividere a lungo termine una memoria comune

Performance che si può anche definire installazione per la sua relazione col luogo; scultura classica – pittura
nudo del primo Novecento; regia attentissima, no casualità, partitura rigida e controllata; scultura funeraria
→ nudi che evocano il marmo, passaggio dalla morte alla vita; rapporto con l'area presbiteriale, l'abside
dell'edificio gotico disadorno

Come tramandare un'idea


«È giusto ricostruire un mito? È possibile fermare un processo di creazione permanente in uno stato immobile?
Q,uesti interrogativi, in cui da tempo mi dibattevo, si dissolsero il giorno in cui alla maniera un po' egocentrica
degli organizzatori di mostre, prese piede in me il desiderio di avere soggiornato almeno una notte nel
MERZbau.» (HARALD SZEEMANN, IN FERRIANI 2009)

Nonostante tutti i problemi, le ricostruzioni sono infatti l'unica possibilità di ripresentare ambientazioni
effimere, nate in una particolare occasione storica e andate perdute alla fine dell'evento. Nella maggior parte
dei casi, fino alla fine degli anni Settanta, la loro dispersione non è stata frutto di una scelta consapevole degli
artisti, ma di fattori contingenti: mancanza di spazio, costi di conservazione, eventi imprevisti, oppure
semplicemente disinteresse, esauritasi l'occasione che le aveva generate, da parte degli stessi autori

Merzbau di Kurt Schwitters


Merzbau = modello tenuto presente Schneider per il suo intervento al padiglione tedesco della Biennale di
Venezia del 2001

Opera in divenire, continuamente in evoluzione, interrotta nel 1937 → rimasta incompiuta

Szeemann, in occasione della mostra "Der Hang zum Gesamtkunstwerk Europäische Utopien seit 1800"
allestita nel 1983 a Zurigo, Düsseldorf e Vienna, decise di concretizzare il suo "egocentrico desiderio”, ovvero
la ricostruzione del Merzbau, da lui considerato come una delle prime realizzazioni di "opera d'arte totale".
Era possibile attuare questo progetto avendo a disposizione solamente tre foto di un'unica stanza (lo studio
di Schwitters da diverse angolazioni), una vaga pianta dell'abitazione e le testimonianze del figlio dell'artista
che aveva visto l'ambiente complessivo 44 anni prima, a 18 anni? → Ricostruzione di Peter Bissegger, ora al
Museo Sprengel di Hannover; Definendo il lavoro come "tentativo di ricostruzione" e non come "reale
ricostruzione", riuscirono a superare opposizioni e scetticismi, in primo luogo del biografo di Schwitters,
Werner Schmalenbach, e del figlio dell'artista, Ernst; Gli oggetti furono riprodotti utilizzando gli ingrandimenti
delle foto, mentre le luci e i colori furono riproposti attenendosi ai ricordi del figlio; fraintendimenti recepiti
dal pubblico: scritta Merzbau su uno specchio all’entrata considerata come parte integrante dell’opera +
ricostruzione scambiata per l'originale, nonostante le molte didascalie

La Travel Copy del 1988-89, seconda ricostruzione realizzata in occasione della mostra Dada & Constructivism
alla Annely Juda Fine Art di Londra

problema della ricostruzione di ambienti trattato da Claire Bishop → invitata a scrivere per il catalogo della
mostra organizzata da Harald Szeemann
ricostruzioni diedero all’opera un maggiore risalto → entrata a far parte della conoscenza comune come
opera importante del periodo storico

La riproposizione di uno spaccato di un'opera così complessa, eseguita basandosi solo su indizi documentali,
può veramente essere testimone del suo spirito originario? Può renderci l'intenzionalità dell'artista? O si
rischia di trasformare un'espressione artistica unica e irripetibile in un qualcosa di estraneo o di sovrapposto
all'atto creativo originale?

El Lissitzky, Spazio Proun


collocazione di forme tridimensionali sulle pareti → attivano l'ambiente e il lucernario insieme al pubblico
che lo attraversa

ricostruzione in un importante museo di arte moderna danese (Van Abbemuseum di Eindhoven) nel 1965 in
occasione di una mostra monografica di El Lissitzky → direttore (Jean Leering) interessato agli sviluppi di
ambienti → volle testimoniare i precedenti delle avanguardie storiche → linea di allestimento del museo →
ricostruzioni filologiche, ricostruzione nata con intenti didattici che poi si è andata a sostituire all’originale

1971: un'altra ricostruzione → l'opera fu chiesta contemporaneamente in prestito per un'esposizione a Parigi
e per la mostra "Art in Revolution" che si doveva tenere alla Tate Gallery di Londra → La prima versione fu
esposta a Parigi e successivamente (nel 1995) venduta al Landesmuseum fur Moderne Kunst, Architektur und
Photographie di Berlino, mentre la seconda, a cui Leering aveva fatto apportare lievi variazioni, non venne
allestita nel museo londinese per problemi organizzativi e rimase di proprietà del Van Abbemuseum

Nel 2003, in occasione dell'apertura della nuova sede del Van Abbemuseum, l'eventualità di eseguire una
terza versione fu valutata dai responsabili del museo che si interrogarono sulle motivazioni che potevano
legittimare questa scelta, giungendo alla conclusione che ormai la pratica delle ricostruzioni, nata con intenti
didattici, era diventata essa stessa parte della storia del museo

Lucio Fontana, Ambiente spaziale con forme spaziali a luce nera


1949, Milano, Galleria del Naviglio

gli ambienti che Lucio Fontana realizzò negli anni Cinquanta e Sessanta che, pur rappresentando un punto di
partenza imprescindibile per l'arte dei decenni seguenti, sono andati distrutti dopo la realizzazione

L'Ambiente spaziale è stato il primo tentativo di liberarsi da una forma plastica stanca, l'ambiente era
completamente nero, con luce nera di Wood, entravi trovandoti completamente isolato con te stesso

1972: prima ricostruzione per la retrospettiva di Palazzo Reale (scultore Agenore Fabbri, amico di Lucio
Fontana e diretto testimone); replica distrutta dopo la mostra

1976: seconda versione che tuttora viene presentata come documento dell'attività dell'artista. I responsabili
della Fondazione Lucio Fontana testimoniano che il progetto fu realizzato sulle misure esatte del perimetro
della sala della Galleria del Naviglio e sulla documentazione fotografica custodita presso il loro archivio

Gianni Colombo
Del lavoro restano progetti, maquettes e parti dei componenti originali, ma soprattutto le conoscenze
acquisite direttamente dagli assistenti dell'artista che tuttora si occupano degli allestimenti delle sue
installazioni

già dalle origini erano pensate delle ricostruzioni, riproposizioni, ricollocazioni delle sue opere → dispositivo
spaziale ripetibile anche in altri contesti

Riproposizione dello Spazio Elastico (1966-67, mostra Trigon ‘67 a Graz, Austria) per la Biennale di Venezia
del 1968: (: Grande Oggetto pneumatico del Gruppo T) cubo di 43m perfettamente razionale dipinto di bianco
fuori e di nero dentro → suddiviso da una griglia euclidea fatta di fili di spago fluorescenti che non è stabile
e si dilata/contrae < meccanismo di motorini, > disorientamento; vinse il primo premio per la pittura alla
Biennale; motorini elettrici si devono sentire, percepire → svelare l'inganno → restano rumorosi; questo
ambiente è stato ricostruito numerose volte dall'artista stesso ancora in vita e dall'Archivio Colombo dopo la
sua morte nel 1993; se ne si conoscono le misure, i componenti e il funzionamento → la sostituzione di alcuni
elementi, come gli elastici, soggetti a un naturale e irreversibile deterioramento, non va in nessun modo a
intaccare l'essenza dell'opera, ma anzi permette di mantenere intatta la sua natura processuale restituendoci
pienamente l'intenzionalità dell'artista → elementi importanti per la funzione e non per il valore estetico

Ben Vautier
installazione che volta le spalle alle gallerie e critiche al museo, che poi paradossalmente viene ricostruita in
uno spazio espositivo

molto vicino ai Nouveaux Réalistes

Scultura vivente (1962 Londra, «Festival of Misfits»): vetrina e insegna della Gallery One, dove l'artista si
trasferisce per tutta la durata del Festival circondato da sue opere, su cui appone slogan di natura neo-
dadaista come “la bellezza è orribile” → lui stesso era parte della scultura e si offre in vendita alla cifra di
250£; Quest'installazione rappresenta la naturale continuazione di una ricerca che l'artista aveva cominciato
nel 1958 a Marsiglia, dove il suo negozio di dischi usati era diventato laboratorio di un'arte "quotidiana" che
mirava ad annullare le distinzioni tra arte e vita (Le Laboratoire 32); operazioni di critica istituzionale che
finiscono esposti negli spazi istituzionali a fini museali → quando l'artista chiude il laboratorio, gli oggetti
vengono comprati con il consenso dell’artista dal MNAM (Centre Pompidou, Paris) per creare un'installazione
permanente → Le Magasin de Ben, 1972; a trent'anni di distanza viene invitato a riproporre l'intervento a
Minneapolis (Ben’s Window, 1992, mostra “In the Spirit of Fluxus”) → ricostruisce la vetrina con delle
repliche degli oggetti originali e facendo aggiunte → un proiettore di diapositive, uno stereo portatile e una
didascalia per mettere in evidenza il divario con l'edizione originale → ricostruzione = operazione di natura
archeologica, di congelamento di un'opera che aveva l'esplicito intento di allontanamento dal museo per
avvicinarsi alla vita quotidiana → «Come potete vedere, questo non è un set teatrale [ ... ] era vita reale [ ... ].
Quando feci la finestra, si supponeva che Fluxus fosse arte e vita. Oggi, è archeologia»

Allan Kaprow
Autorizzò delle ricostruzioni di sue opere favorendo variazioni, pur lasciando il titolo invariato → temeva
riproposizioni di natura archeologica (statica, che congelava l'opera → voleva improvvisazione, movimento,
evoluzione → partecipanti tendevano a uniformarsi in maniera pedissequa alle sue istruzioni → toglieva
spontaneità all'evento, che invece richiede libertà → decise quindi di smettere di controllare le ricostruzioni
per favorire l'adattamento alla nuova collocazione, al nuovo contesto

«il passato può essere solo creato (non ricreato).»

«I musei oltre che isolare questi lavori dalla vita, sottilmente li santificano e così li uccidono.»

Istruzioni, partiture, Activity booklets; ricercata la spontaneità; rinuncia al controllo; realizzazione demandata
ad altri

Push and Pull: A Furniture Comedy for Hans Hofmann (1963, New York, Santini Brothers Warehouse.): Hans
Hoffmann = artista di origini tedesche trasferito negli Stati Uniti d’America (dove insegnava), usava la tecnica
del dripping; una o due stanze arredate in cui il pubblico entrava e spostava i mobili, mentre due anziane
cercavano di pulire; l'artista non aveva nessun ruolo nell'azione; ogni volta la scena sarà diversa dalla
precedente → cessa il controllo autoriale di Kaprow sui propri lavori → la ‘narrazione’ originaria si trasforma
e si adatta a nuovi contesti
Seguendo le volontà dell'artista, per la mostra itinerante ''Allan Kaprow - Art is life" sono state riproposte
differenti reinterpretazioni:
• 2007: Al Van Abbemuseum di Eindhoven, gli elementi originali sono stati sostituiti da grandi palle
colorate che gli spettatori potevano usare per sedersi o far rotolare nella stanza attigua dove
scaffalature piene di fotocopie e un mobile da ufficio permettevano ulteriori forme di partecipazione
• 2008: al Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova, l’opera è stata reinterpretata dagli
studenti della Facoltà di Architettura con la collaborazione del pubblico. In due stanze è stato creato
un work in progress in cui gli studenti erano invitati ad aggiungere oggetti esterni a quell'ambiente
e a integrarli con lo spazio ricostruito fino a ricreare un nuovo equilibrio
• 2008: al Museum of Contemporary Art di Los Angeles il mobilio e gli accessori sono stati colorati di
blu e collocati all'interno di un grande ambiente espositivo dove coesistevano anche altre opere

Riproposizione postuma di Yard (1961) nel 2009, a cura del performer William Pope.L, in occasione
dell’inaugurazione della sede newyorkese della Hauser&Wirth Gallery nello stesso indirizzo della galleria di
Martha Jackson: «'Riorganizzare le gomme', intonò William Pope.L, che, insieme a Sharon Hayes e Josiah
McElheny, fu uno dei tre artisti invitati dalla curatrice Helen Molesworth a reinterpretare l'opera di Allan
Kaprow del 1961 Yard per la mostra inaugurale di Hauser & Wirth a New York. Kaprow insisteva sulla
reinvenzione e non […] "ri-creazione, o ri-ristabilimento, o rifacimento". Con questo in mente, la voce che
chiedeva ai visitatori di riorganizzare i luridi cumuli di pneumatici per auto che affollavano il nuovo quartier
generale della galleria nell'Upper East Side avrebbe potuto quasi essere quella del fantasma di Kaprow.
"Secondo i primi principi dell'arte ambientale", scrisse Kaprow nel 1998, Yard "deve sempre cambiare". E il
cambiamento lo fece, anche se, in un certo senso, questa versione notevolmente politicizzata era
temporaneamente tornata a casa per posarsi; fu in questi stessi locali che Yard apparve per la prima volta,
quando l'edificio ospitava la Martha Jackson Gallery. Nel 1961, quella galleria ha messo in scena
"Environment – Situations – Spaces", una mostra con il lavoro di sei artisti: George Brecht, James Dine, Walter
Gaudnek, Kaprow, Claes Oldenburg e Robert Whitman. Originariamente situato in un piccolo spazio esterno
sul retro dell'edificio, Yard è stato il contributo di Kaprow, progettato per sedersi su una linea sfocata tra
l'essere una nuova forma d'arte con cui le persone potevano interagire e l'aspetto di una discarica
quotidiana.» → Scarto tra la «funzione di apertura vitalistica e di destabilizzazione dei normali schemi
espositivi della galleria d’avanguardia di allora e la completa neutralizzazione e normalizzazione
postmodernista di queste spinte centrifughe dentro la ben organizzata ed estetizzante logica delle attuali
grandi gallerie» (POLI-BERNARDELLI 2016) → rischio che si fraintenda, tradisca l’artista con riproposizioni in
contesti molto utati da quelli che aveva scelto in origine

Joseph Beuys, Block Beuys (1967)


considerata come la più completa espressione della "dilatata definizione di arte" che caratterizza il lavoro
dell'artista

installazioni trattate con estrema flessibilità e ogni opportunità di esibire i suoi lavori divenne occasione per
creare un'interazione dinamica tra sé, lo spazio e gli oggetti

Quando un'intera mostra, quella realizzata dall'artista allo Städtisches Museum di Mönchengladbach nel
1967, venne acquistata dal collezionista Karl Ströher e ceduta allo Hessiches Landesmuseum di Darmstadt
nel 1969, i lavori acquisirono un nuovo contesto visuale, un intreccio di relazioni e di significati basati
specificamente sulla configurazione che andava delineandosi negli spazi del museo di Darmstadt. Joseph
Beuys non si limitò a installare le sue opere nelle sette stanze che il museo gli aveva destinato, definendone
anche i minimi dettagli, ma aggiunse nuovi elementi e fino all'anno della sua morte continuò ad apportare
lievi variazioni. Benché avesse in precedenza dichiarato una sua predilezione per spazi disadorni e allo
Städtisches Museum di Mönchengladbach avesse posto le stesse opere in ambienti con muri bianchi e
pavimenti di legno, Beuys adeguò l'installazione al nuovo contesto adottando, come elementi costitutivi, i
muri tappezzati con juta e la moquette grigio/blu che ricopriva i pavimenti delle sale del museo

«Il suo nucleo è costituito dal gruppo di opere acquisite nel 1967 dal collezionista di Darmstadt Karl Ströher,
che è stato ampliato e ampliato dopo il 1968. Beuys stesso installò gli oggetti e le loro vetrine nel 1970. Block
Beuys è stato acquisito per il museo nel 1989. Il complesso comprende 290 opere intitolate databili dal 1949
al 1972 disposte in sette gallerie e comprende numerosi pezzi di importanza centrale per la comprensione
degli artisti, ad esempio The Grauballe Man (1952), Virgin (1961), Scenes from the Deer Hunt (1961), Chair
with Fat (1963), FOND II (1968) e FOND III (1969). Oggetti in feltro dal 1964 al 1967 documentano il significato
di uno dei materiali primari dell'artista. Oggetti derivanti da azioni precedenti e numerosi multipli di Joseph
Beuys sono disposti in 23 vetrine. La collezione è completata da disegni e acquerelli.»

Quando nel 2007 lo Hessiches Landesmuseum è stato chiuso per ristrutturazione e la sua direttrice, Ina
Busch, ha comunicato l'intenzione di procedere al rinnovamento anche degli ambienti in cui era allestito il
Block Beuys, si è costituito in Germania un movimento di opinione decisamente contrario a ogni
cambiamento del contesto originario in cui l'artista aveva lavorato → per il museo ambiente e opera
sembravano logori e trascurati, ma gli oppositori, tra cui il curatore del museo, non volevano saperne, perché
ormai ambiente e opera erano inseparabili e impossibili da considerare disgiunti, visto che l’autore ha usato
l’architettura presente e il contesto per collocare gli oggetti

Che cosa accade quando un'installazione è stata creata o riformulata da un artista per uno specifico spazio
espositivo fino a diventarne parte integrante?

L'impossibilità di stabilire, in mancanza di chiare indicazioni da parte dell'artista, quali degli elementi che
costituiscono il lavoro di Beuys siano fondanti e quali invece siano estranei alla definizione della sua poetica
non ha permesso fino a oggi di trovare una soluzione riguardo al futuro del Block Beuys ed è stato costituito
un gruppo di lavoro che si occuperà di valutare le possibili soluzioni

Janine Antoni
Quando l'opera è realizzata con elementi effimeri, materiali fragili e instabili, com’è possibile decidere che
cosa debba essere conservato, che cosa costituisca l'oggetto originale? L'idea o la sua attuazione materiale?

Scultura nell’antichità = forma per fermare nel tempo eventi importanti e volti di personaggi illustri

Spettatori non assistono ai processi, ma hanno modo di seguire, individuare l’azione compiuta → segni palesi

Lick and Lather, 1993, Biennale di Venezia: Seven licked chocolate self-portrait busts and seven washed soap
self-portrait busts on fourteen pedestals; "l'invecchiamento dei materiali è concettualmente parte del
lavoro" ed è importante che ogni sostanza non venga alterata da trattamenti conservativi e mantenga le
proprie caratteristiche; le tracce della sua azione devono rimanere come testimonianza di un processo
narrativo insostituibile ➔ alcune sue opere possono essere ricreate a ogni esposizione, utilizzando i calchi
degli oggetti che portano le tracce della sua azione; 7 busti scuri si si confrontano con 7 busti candidi →
contrapposizione tra bianchi e non bianchi, razzismo; riproposizione alla Biennale di Venezia del 1993 →
molto diversa dall’originale, che era un’algida presentazione, mentre ora diventa caotica tra le altre

Gnaw, 1992, Museum of Modem Art di New York: un'opera costituita da due grandi cubi di cioccolato e lardo
(ciascuno di 270 chilogrammi) rosicchiati dall'artista e da una vetrina cosmetica a specchio a tre pannelli
(elegante, come quelle delle profumerie o cioccolaterie di lusso) al cui interno sono esposti rossetti e
confezioni a forma di cuore realizzate con i materiali che l'artista aveva rimosso dai cubi; il museo, nel
momento in cui ha acquistato l'opera, ha acquisito anche l'autorizzazione a ricrearla e replicarla ogni volta
che verrà installata; Usando la sua bocca come strumento, Antoni mordicchiava gli angoli di entrambi i cubi,
lasciando segni visibili dei denti nel materiale. I frammenti di cioccolato, mescolati con lo spiedo, sono stati
fusi in 27 confezioni a forma di cuore per cioccolatini, mentre il residuo di lardo è stato combinato con cera
e pigmento rosso vivo per creare 135 tubi di rossetto

Zoe Leonard, Strange Fruit (For David), 1993-1998. Philadelphia Museum of Art
iniziato come mezzo di consolazione per l'artista dopo la morte di un amico (→ < bisogno interiore e non da
una progettazione, in un disegno o pensiero preciso), ma ora presenta una vasta gamma di letture possibili,
tra cui una meditazione sulla perdita e la mortalità. Le bucce dei frutti – svuotate, essiccate, sbiadite, riparate
e decorate – hanno la sensazione di reliquie, quasi come fotografie. Trasformati dal delicato rammendo
dell'artista, sono soggetti agli effetti del tempo tanto imprevedibili quanto inevitabili → monumento effimero
privatissimo → fragilità delle cose umane → perdita, mortalità

Prendendo il titolo da una canzone di Billie Holiday, Strange Fruit è unico nei suoi materiali ma non nei suoi
temi. Richiama la venerabile tradizione delle nature morte di vanitas, che mostrano oggetti che suggeriscono
la natura fugace della vita, come una candela tremolante o un fiore appassito. Molto più diretto di
un'immagine, Strange Fruit effettivamente decadrà. Introducendo i ritmi naturali della vita di un'opera d'arte
nell'ambiente museale, solleva domande sulla permanenza dell'arte e se risieda in oggetti, idee o esperienze
e ricordi delle persone

«È stato un modo per ricucire me stessa. […] Ero appena tornata dall'India e mi era rimasto impresso come
ogni pezzetto di carta, ogni pezzo di filo veniva usato al massimo, fino alla fine della sua vita utile […]. Una
mattina mangiai due arance e non me la sentì proprio di buttare via le bucce, così inavvertitamente le ricucii.»
→ perdita, isolamento e riparazione

Ha accettato che qualcuno dei suoi frutti cuciti venisse restaurato (qualche pezzo) → il resto è destinato a
farsi polvere, decomporsi

Félix González-Torres
che cosa succede quando i materiali costitutivi acquistano una loro valenza anche in relazione all'uso che ne
fa il pubblico?

«Senza pubblico i miei lavori sono il nulla. Il pubblico completa i lavori, gli chiedo di aiutarmi, di prendersi una
responsabilità, di diventare parte del mio lavoro.»

costruiva cataste di fogli e di caramelle per evocare persone o situazioni che appartenevano sia alla sfera
personale che a quella politica. Il volume dell'opera rimanda all'assenza di corpi, ma anche a situazioni, ad
accadimenti, e il pubblico è invitato a servirsene, mangiando le caramelle, prendendo i fogli di carta, in un
processo di appropriazione e di privazione che, sebbene nell'idea originaria dell'artista doveva portare alla
sparizione dell'opera, può essere rinnovato ogni giorno, reintegrando ciò che è stato prelevato

Le sue opere consistono generalmente in cumuli di fogli, dolcetti o caramelle del medesimo peso del suo
corpo, talvolta accompagnate da scritte che raccontano vicende della sua vita privata; il pubblico è invitato a
prendere un foglio o un dolce come se si trattasse di un'offerta, diminuendo una mole dell'opera →
un'allegoria per indicare come nelle relazioni d'amore chi prende l'altro lo fa vivere ma lo consuma anche →
paradosso circolare: lo scambio, la comunicazione, l'affetto possono rivelarsi veicolo di malattie mortali, ma
sono anche la sola cura possibile; ispirazione concettuale, tornano a includere la sfera privata e un rimando
all'autobiografia

«Quando ho iniziato a fare i mucchi di fogli volevo fare una mostra che sparisse completamente. Era un lavoro
sulla sparizione e l'apprendimento. Volevo attaccare il sistema dell'arte ed essere generoso. Volevo che il
pubblico potesse conservare il mio lavoro. Era eccitante che qualcuno potesse venire alla mostra e potesse
andarsene con il mio lavoro. [...] Le pile di carta o le cataste di caramelle sono indistruttibili perché possono
essere duplicate all'infinito. Esisteranno sempre perché realmente non esistono, perché non devono esistere
tutto il tempo. Sono usualmente fabbricate in contemporane in luoghi diversi. [...] Non esiste un originale, ma
solo un certificato originale di autenticità. Sto cercando di alterare il sistema di distribuzione di un'idea
attraverso una pratica artistica. Un pezzo di carta non costituisce l'opera in sé, eppure è un'opera, ma allo
stesso tempo non lo è, perché non c'è un vero pezzo, solo un'altezza ideale di copie infinite. […] queste pile di
carta sono composte da copie infinite o da stampe prodotte in massa. Ma in un certo senso ogni singolo pezzo
acquista delle nuove valenze in base alla sua destinazione, che dipende solo dalla persona che lo sceglie»

Le opere non vengono acquistate nella loro forma materiale, ma come certificati con allegate le istruzioni per
la realizzazione

Le caramelle utilizzate dall'artista nelle singole opere non sono indistinte caramelle, ma riportano al
significato profondo del suo lavoro:
• Untitled (Throat), 1991: le Luden's honey-lemon drops, caramelle per la tosse, evocavano la malattia
del padre che le utilizzava per alleviare il suo dolore
• Untitled (Public Opinion), 1991: la liquirizia avvolta nel cellophane aveva la forma di un missile e
rimandava alla guerra del Golfo

A distanza di anni, alcuni tipi di caramelle possono essere fuori mercato o aver cambiato confezione e aspetto
→ si dovevano ricreare le confezioni originali o si potevano usare quelle in commercio, anche se diverse
nell'aspetto? O utilizzare invece un prodotto avente lo stesso valore simbolico di quello originario?

Peso delle caramelle suggerisce la presenza del compagno → equivale a quello di Ross quando è morto →
dimagrimento < AIDS, decadere per la malattia del compagno

Gli interessava una forma d’arte pubblica

«scomparso a causa dell’AIDS, ha radicato il suo lavoro a una consapevolezza delle emozioni più impalpabili;
attento ai modi di produzione, ha centrato la propria pratica su una teoria dello scambio e della condivisione»
(NICOLAS BOURRIAUD, ESTHÉTIQUE RELATIONELLE, ED. IT. 2010)

«Freud ha detto che mettiamo in scena le nostre paure per diminuirle. In un certo senso questa generosità - il
rifiuto di una forma statica, della scultura monolitica, a vantaggio di una forma fragile, instabile - era un modo
per mettere in scena la mia paura di perdere Ross, che scompariva a poco a poco davanti ai miei occhi. Ed è
una sensazione molto strana quando vedi il pubblico che entra in galleria e se ne va con un pezzo di carta che
è tuo. Mi piace lavorare sulle contraddizioni; creare opere completamente private, quasi segrete; e allo stesso
tempo creare lavori pubblici e accessibili. Purtroppo, molta arte pubblica è solo arte da paesaggio. Il fatto che
venga piazzata in strada non trasforma automaticamente un’opera in lavoro pubblico» (INTERVISTA DI TIM
ROLLINS CON FÉLIX GONZÁLEZ-TORRES)

Alcuni esempi della relazione tra arte e pubblicità


Félix González-Torres
Commissione MoMA del 1992 (Projects; vari artisti): sceglie di intervenire con alcune affissioni su Billboard
in 24 punti della città di NY → distinzione tra pubblico e privato (riferimento a una sentenza della Suprema
Corte nel 1986) → altre possibili interpretazioni: «[...] riguarda il modo in cui la gente lo legge per strada.
Riguardava lo svuotamento, la mancanza di una casa, l’amore [...] qualsiasi cosa. Era l’annuncio di un film
che stava per uscire; era la pubblicità per una fiera del bianco [...]»

Immagini di un letto sfatto con due cuscini che portano ancora il segno dell’impressione delle teste →
relazione privata

Guerrilla Girls
I «messaggi di servizio pubblico» tesi a denunciare varie ingiustizie sociali e di genere
Il billboard design Met.Museum del collettivo femminista G.G., prodotto dal Public Art Fund di New York e
subito censurato nel 1988 (a causa del manico del ventaglio, presente nella Grande odalisca di Ingres). Il
manifesto fu esposto per la prima volta a North Adams (MA) nel 1999 (Billboard. Art on the Road) e quindi
alla Biennale di Venezia nel 2005 (all’inizio della sezione dell’Arsenale).

Atto di denuncia contro il sessismo nel mondo dell’arte

Altri collettivi coinvolti dal Public Art Fund in campagne di affissioni contro pregiudizi sociali e razziali: Group
Material e General Idea

Capolavoro (collage dadaista) profanato dalla maschera di gorilla (simbolo del gruppo di artiste anonime)

Alfredo Jaar
Artista cubano attivo negli USA

Serie di interventi di numerosi artisti che si alternano alle pubblicità → Message to the Public, 80 progetti
d’artista promossi dal Public Art Fund su un’insegna luminosa a Times Square (1982-1990)

A Logo For America, 1987 (19 aprile - 2 maggio): «Stiamo cercando di fare un’arte che sia tempestiva, abbia
un messaggio, sia visivamente potente e stia cercando di affrontare la linea sottile che divide l'arte dall'arte
commerciale.» (JESSICA CUSICK, PROJECT DIRECTOR DEL PUBLIC ART FUND); design di un logo per l’America → USA vs.
Continente, occidente vs. terzo mondo → “this is not America” → citazione a Magritte

Rushes, New York, Spring Station, 1986-87: immagini di momenti di riposo associate, abbinate a immagini di
sfruttamento → denuncia sociale e politica; spazi affittati lungo il percorso che univa le zone residenziali al
centro (luogo di lavoro di chi lavora in borsa) → stazioni più trafficate

Jenny Holzer
Insegna luminosa della serie Truismi, segni di sopravvivenza, 1985-86; Utilizzazione temporanea del pannello
spectacolor in Times Square a New York

Aforismi, anche di difficile comprensione; forma verbale imperativa → artista sembra parlare in prima
persona direttamente allo spettatore (io-tu → “save me from what I want” → Mette in guardia dal
bombardamento pubblicitario, dagli stimoli che invitano, invogliano a comprare)

Display a led luminosi usati non per veicolare messaggi promozionali, ma per rendere pubbliche le poesie che
ha composto sui rapporti con se stessa, con la madre, con il mondo che fluisce continuamente senza che lo
si riesca ad afferrare, proprio come scorrono rapide le parole sui supporti pensati per la pubblicità elettronica
→ brevi testi sul significato della vita e sulle dinamiche di relazione umana

Barbara Kruger
Imitazione linguaggio pubblicitario: linguaggio mimetico → associazioni di immagini e testo usati negli anni
‘80 per svelare i meccanismi di vendita

I shop therefore I am (Compro dunque sono), 1987. Serigrafia fotografica su vinile: «Icona dell’uso critico
dell’immagine pubblicitaria» → esplicita accusa alla moderna civiltà dei consumi → esisto solo comprando

I meccanismi di convinzione della grafica pubblicitaria sono utilizzati non per proporre un prodotto, ma per
inviare messaggi di carattere esistenziale e politico (effetti del consumismo, campagna a difesa dell’aborto
→ v. manifestazione di Washington del 1989 → inviti a iniziative)

Grandi foto ritoccate → immagini semplici, connotate da scritte bianche su fondo nero o rosso e una cornice
rossa (v. copertine della rivista “Life” + grafica del costruttivismo sovietico)

Untitled, 1989: «Thinking of you» → eccesso di cura, legame troppo stretto


Pop Art degli Anni ‘60 aveva raccontato il consumismo, la sua prosecuzione negli ‘80s ne ha raccontato gli
effetti con piglio critico e un distacco sarcastico

Antoni Muntadas
Media Eyes, (in collaborazione con Anne Bray), 1981, Cambridge, Massachusetts: occhi puntati sui mezzi di
comunicazione di massa → di notte le lenti degli occhiali vengono occupate da fotografie di tante pubblicità
che giravano in quel momento

Land Art o Earth Works (arte nel paesaggio, arte con il paesaggio, arte della terra)
“Land Art” = formula affermata dal 1969 → titolo di un film elaborato per la televisione → Gerry Schum
(gallerista anticonvenzionale → sceglie la televisione come luogo deputato alla promozione artistica)
interpreta un regista e coinvolge otto giovani artisti → trasmissione televisiva trasmessa il 15 aprile 1969 su
Sender Freies Berlin/ARD; documentava i lavori con/nel paesaggio degli artisti coinvolti; recensito con fervore
dal famoso critico John Anthony Thwaites: «un nuovo mito della natura ha contagiato le arti visive»

Artisti si spingevano fuori dalle gallerie → atteggiamento critico + realizzavano segni destinati a estinguersi /
che si volevano imporre nel tempo → Land Art + Body Art (Performance)

Opere che accettano di porsi in balia delle modificazioni che la natura imporrà loro → opere mai finite

«La critica più radicale al sistema pare restare quella incarnata dalle opere che scappano dal museo e dalle
mostre andando in cerca di luoghi anomali. Nell’estate del 2007, a Münster, Pawel Althamer aveva creato
un sentiero che si perdeva verso i campi e che fuggiva dalla kermesse della mostra Skulptur Projekte. Quel
piccolo intervento poetico, insieme ai giardini variamente coltivati da Jenny Holzer, Fischli & Weiss, Tobias
Rehberger, Alan Sofist in ambiti non deputati, sono eredi delle opere di Land Art.» (VETTESE 2010) → mostra
riprende il tema della critica alle istituzioni museali → fuga dalla mondanità

Stati Uniti d’America


Ampia disponibilità di luoghi naturalistici disabitati

Robert Smithson
Spiral Jetty (Molo a spirale), 1970, Great Salt Lake, Rozen Point (Utah): proprietà della Dia Art Foundation; ha
fatto costruire sulla costa una passerella a forma di spirale, usando materiale prelevato dalla collina vicina;
spirale (v. Minimal Art) scelta come forma primordiale ed evocativa dei processi di vita → vortici nell'aria e
gorghi d'acqua, chiocciole e lumache, avvolgersi dei corpi celesti; sede di antiche credenze → coloni mormoni
ritenevano che il lago fosse collegato all'oceano e che le sue correnti provocassero gorghi enormi; omaggio
alla natura che ritorna alla natura → quando l'artista terminò l'acqua salata iniziò a coprire la superficie
laterale della passerella di microrganismi che ne fecero il proprio habitat; negli anni un innalzamento del
livello del lago, l’ha resa sempre più abitata da sale, alghe e animaletti (metamorfosi, continuo cambiamento
del luogo) → spesso sommersa e visibile solo dall'elicottero; registrazione audio → punti cardinali + elenco
materiali che ha dovuto spostare per eseguire l’opera; ricordato formula latina (scoperta della morte nella
terra di Arcadia) «Et in Utah ego» → continua trasformazione della sua opera → “anch’io sono stato nello
Utah, ho segnato questo straordinario paesaggio difficile da conquistare e percepire”; marginalità, luogo
ricercato → «La sua collocazione è talmente aliena dal mondo dell’arte che Tacita Dean ha fatto della sua
gita alla ricerca dell’opera un viaggio senza successo e un’opera audio» (VETTESE 2010); contrapposizione Site
(luoghi naturali esplorati) vs. Non-Site (luoghi espositivi dove trasferisce i materiali presi nei siti esplorati) →
trasferimento di un frammento di sito in un contesto espositivo (entro strutture di varie forme geometriche)
→ attenzione volta al sito reale esterno (documentato in galleria attraverso foto, carte geografiche e disegni;
gigantesco monumento primitivo e insieme dimostrazione dei raggiungimenti della tecnologia moderna
↳ Casting a Glance, film del 2007 di James Benning: 16 sequenze, realizzate in altrettanti anni e viaggi, per
documentare l’altalenante presenza riaffiorante dalle acque

Asphalt Rundown, 1969: reinterpretazione del lavoro di Pollock (v. Kaprow, Serra…) → fece rovesciare un
camion di asfalto nero sul declivio di una cava abbandonata di ghiaia rossa a Roma

Michael Heizer
Double Negative, 1971, Virginia River Mesa (Nevada): destinato a venir alterato o riassorbito dagli agenti
naturali; intervento umano a modifica di un territorio non antropizzato → imita grandiosità del «gesto»
(graffio), delle forme naturali create nella terra; 240k tonnellate di arenaria e riolite spostate con una ruspa

Metodi simili a quelli di Smithson e Richard Long

Walter De Maria
Lightning Field, 1977, Quemado (New Mexico): Proprietà della Dia Foundation; Installazione a lungo termine
→ tempi di fruizione previsti molto lunghi → la più estesa opera del mondo → attraversamento del deserto
per raggiungere il sito (un rettangolo di 1 miglio per 1km → 2-3h necessarie), dove bisogna trascorrere
almeno 24h (→ alba, tramonto, notte → veder mutare il volume virtuale con le ore del giorno e le diverse
situazioni luminose); «Rovesciamento grandioso della logica museale e dell’opera d’arte come oggetto
tradizionale» (DEL PUPPO 2013); 400 aste d’acciaio, a distanza di ca. 67m e alte ca. 6m (l’altezza varia a seconda
dell’andamento del terreno, le estremità suggeriscono un piano orizzontale virtuale)

Cfr. Minimal Art (rigore della struttura) → al caos della natura sottostante si oppone l’ordine dei pali, destinati
a diventare appariscenti quando la luce del giorno o di una notte di luna li illumina o ad attrarre lampi grazie
a un “effetto parafulmine”

The Vertical Earth Kilometer, 1977: proprietà della città di Kassel e realizzata con i fondi della Dia Foundation
per Documenta 6; «[…] ha piantato un palo di 1km nel terreno [davanti al museo Fredericianum], rendendo
l’opera solo parzialmente visibile e quindi destinandola all’immaginazione.» (VETTESE 2010)

The Land Show. Pure Dirt Pure Earth Pure Land, 1968, Galerie Heinrich Friedrich, Monaco di Baviera: blocchi
di terra che ingombrano tutto lo spazio della galleria

James Turrell
Siti difficili da raggiungere

Interventi che sembrano richiedere un’estrema dedizione, una sorta di misticismo

Grandi contraddizioni della Land Art: desiderio di allontanarsi dai circuiti dei sistemi artistici, critica alle
istituzioni del mercato dell'arte, ma servono grandi finanziamenti per la progettazione e realizzazione delle
opere → allontanamento solo apparente

Roden Crater, dal 1977 in progress, Osservatorio astronomico in Arizona (non ancora aperto al pubblico):
«Ciò che chiedono queste opere è una partecipazione completa, senza l’effetto luna park e con una
concentrazione totale da parte dello spettatore. L’istituzione deputata all’arte viene considerata un pericolo
ed evitata» (VETTESE 2010); fruizione esclusiva, vicina al misticismo; Acquisto del cratere nel 1977 (sostegno
della Dia Art Foundation) → cono di cenere vulcanica; Costruzione dal 1979 con ulteriori aiuti della Lannan
Foundation e un circolo di «amici» noto come Skystone Foundation; l’interno è uno spazio sofisticatissimo di
aree destinate alla sperimentazione e contemplazione della sfera celeste in tutte le sue forme → funzionerà
come un osservatorio naturale per gli eventi celesti dove l’effetto sensoriale è assicurato

«Emblema della megalomania dell’arte nella sua proiezione su scala pubblica, Lightning Field conferma il
carattere ambivalente che si incontra negli earthworks, come il Roden Crater di Turrell, o Double Negative di
Michael Heizer: la ciclopica concretezza del lavoro unita a una contemplazione individuale ai limiti del
misticismo» (DEL PUPPO 2013)

Sky Space I, 1976, Villa Menafoglio Litta Panza, Biumo Superiore (Varese): ha aperto un'area quadrata nel
soffitto all'interno di una stanza completamente vuota e bianca → il visitatore è spinto a guardare quella
porzione di cielo come fosse un dipinto variabile

↳ Robert Irwin: una finestra senza infissi che incornicia un grande albero → immagine varia con le stagioni e
con il passare del tempo; lo strombo della finestra, creato in modo da suggerire una scatola prospettica, aiuta
a leggere il vuoto come un pieno, come un quadro che muta nel tempo tenendo fisse le sue dimensioni

Europa
Richard Long
Lavoro più rispettoso, discreto nei confronti della natura → vs. lavori più mastodontici; no proclamazione dei
grandi progressi tecnologici

Viaggio, pellegrinaggio, cammino; luoghi segnati dall’incontro, dal passaggio umano; ha trasferito nei musei
dei materiali scelti durante le sue esplorazioni (v. Smithson) → lunghe escursioni a piedi in luoghi deserti da
cui riporta pietre o altri reperti, che in seguito dispone in galleria in forme geometriche primarie come strisce
o cerchi posati a terra; crea con il fango e con le mani dei dipinti murali o adagiati sul pavimento →
coinvolgimento del proprio corpo

A Line Made by Walking, 1967, Tate Modern, Londra: Fotografia, stampa alla gelatina d’argento su carta e
grafite di una traccia lasciata sull’erba da un’escursione

A Line in Scotland, 1981: stampa a colori; paesaggio segnato da linea di rocce in piedi; proprietà dell’artista

Berlin Circle, 1996, Nationalgalerie am Hamburger Bahnhof - Museum für Gegenwart, Berlino: Blocchi di
ardesia di Delabole (Cornovaglia); Sullo sfondo un’opera di Anselm Kiefer; Cerchio di pietre di diversa misura,
di 12m di diametro, che Long installò per la prima volta per l’inaugurazione del museo nel 1996; Fu riproposto
nella mostra personale “Richard Long. Berlin Circle” nel 2011; spazio significativo → stazione di Amburgo,
trasformata in museo dopo la riunificazione della Germania; confronto con la scultura minimalista (Minimal
Art) a cui toglie la rigidità, la freddezza

Christo & Jeanne-Claude


Impacchettamento di oggetti di uso quotidiano ↷ spazi aperti (naturali + urbani, architetturali) → ideologia
sociale dell’arte pubblica → fruizione gratuita, estensione democratica della pratica artistica (collaborazione
alle varie fasi del processo realizzativo, grande team + pubblico molto vasto)

Progetti auto-finanziati → vendita dei disegni, concept iniziali e dei diritti di immagine

I primi lavori di Christo di gusto neo-dadaista → v. wrapped magazines: impacchettamento non occulta
completamente i giornali → pratica di impacchettare e chiudere, serrare con lo spago < Man Ray → macchina
da cucire avvolta, legata, nascosta → obliterazione di una forma di un oggetto ordinario ↷ enigmatico

Wrapped Kunsthalle, Bern, Switzerland, 1967-68: prima occasione per avvolgere completamente un intero
edificio → luglio 1968 = 50° anniversario del museo → evento celebrato con una mostra internazionale di
opere ambientali di 12 artisti; hanno confezionato l'intera mostra → «Abbiamo preso gli ambienti di altri
undici artisti e li abbiamo avvolti.»; 2.430m2 di polietilene rinforzato, resti del dell’Air Package di Kassel, fissati
con 3km di corda di nylon e con una fessura all'ingresso principale per garantire l’entrata nell'edificio ai
visitatori; edificio dall'aspetto voluminoso, nonostante le pareti curve e il tetto spiovente → silhouette
massiccia ammorbidita dal mantello di polietilene traslucido; Gli unici elementi architettonici rimasti visibili
chiaramente sono i contorni del tetto e le cornici; lati dell'edificio lussuosamente avvolti → velo di plastica
continuamente animato da pieghe morbide e fluttuanti e luci scintillanti; Il processo di avvolgimento di sei
giorni con l'aiuto di undici operai edili e una scala idraulica richiesta ai vigili del fuoco locali; Le compagnie di
assicurazione si rifiutarono di sottoscrivere la Kunsthalle e il suo contenuto durante il periodo in cui fu
avvolta, quindi per proteggersi (incendi e vandalismo), il direttore del museo Harald Szeemann aveva sei
sentinelle sempre appostate intorno all'edificio → costoso → l'edificio è stato scartato dopo una settimana

Valley Curtain (Tenda sulla valle), 1970- 1972, Valle del Rifle, Colorado: Teloni di nylon arancione, cavi e tiranti
d’acciaio, lunghezza 381m; 17mila ore di lavoro → molti collaboratori; colore acceso rimanda al velluto del
sipario teatrale; durata di 28 ore → si levò senza lasciare tracce visibili → “gentile disturbo”

Impacchettamento del Reichstag, 1971-1995, Berlino: Teloni di nylon grigio argento, cavi d’acciaio, funi di
nylon, tralicci in alluminio, superficie dei teloni ca 100mila mq; Colossale installazione temporanea → breve
durata dell’intervento (solo 2 settimane) vs. lunghi tempi di realizzazione (→ 25 anni dall’idea al
compimento); l’intervento si è realizzato dopo la commissione all’architetto Norman Foster del rinnovo della
sede del parlamento, ultimato nel 1999 (→ caratteristiche della cupola → 1. «candeliere solare», un cono
invertito di vetro che incanala la luce naturale nella sala delle sedute; 2. Rampe elicoidali grazie alle quali i
visitatori sovrastano i «potenti»)

Running Fence, 1972-1976, Contea di Sonora-Marin (nord di San Francisco), California: Teloni di nylon bianco,
montanti e tiranti d’acciaio, 5.5m x 39km, cavo d’acciaio sorretto da 2000 montanti metallici; 4 anni di
preparazione, centinaia di maestranze, durata di 14 giorni; zona collinare → adattarsi all’orografia del
territorio per poi spegnersi all’incontro con l’Oceano Pacifico; suggestivo rumore prodotto dal vento che
raggiunge i teloni; lavoro burocratico ingente → permessi, controllo impatto ambientale, proprietà privata

Impacchettamento del Pont Neuf, 1975-1985, Parigi: Teloni di nylon color arenaria (→ entrare in dialogo con
il paesaggio urbano → architetture del cuore della città → colore caldo e raffinato), funi di nylon, superficie
dei teloni circa 40mila mq; durata di 2 settimane; impacchettati anche i lampioni; lungo iter progettuale →
tra i luoghi più amati anche dagli impressionisti

Joseph Beuys
combina la Body Art (performance) e gli interventi degli spazi → coinvolgimento sociale del pubblico

Gilet da pescatore pieno di tasche → strumenti, oggetti utili per le performance e la sopravvivenza in luoghi
ostili; Energia, vitalità, forte interesse per le scienze naturali → determinante nella sua attività artisti-
ca insieme a interessi politici, didattici ed etici; Interesse per elementi “poveri” e naturali (cera, legno, rame
e miele), simboli di processi vitali ed energetici

Pilota della Luftwaffe → incidente di volo in Crimea nel 1943 → mancato assideramento, aiutato da nomadi
tatari (grasso e feltro → = materiale salvifico → diventano marca stilistica → v. Serie degli Angoli grassi del
1964-65 → Rigidità geometrica dello spazio architettonico vs. consistenza morbida e indeterminazione del
materiale organico; v. Berna 1969, When Attitudes Become Form. Opere, concetti, avvenimenti,
situazioni, informazioni, a cura di Harald Szeeman → Beuys riempì l’angolo di una sala di grasso)

desiderio di curare le ferite individuali e collettive → Arte = mezzo di liberazione personale e sociale,
planetaria (→ società ammalata, bisognosa di cure)

Partecipa alla fondazione di Fluxus

1972: fu allontanato dall'Accademia di Düsseldorf (dove insegnava dal 1961; anche pensiero = scultura) →
Fondazione della FIU (Free International University), Libera Università per la creatività e la ricerca
interdisciplinare; a causa della sua scultura sociale realizzata per la mostra Documenta 5 → «Nei primi anni
Sessanta le mostre e gli eventi di Fluxus sono spesso caratterizzati da episodi performativi. In questo contesto
è fondamentale la figura di Joseph Beuys, che estende la propria concezione di arte fino a introdurre il
concetto di ‘scultura sociale’: invitato a Documenta nel 1972, l’artista realizza l’Ufficio per la democrazia
diretta, un luogo di confronto con il pubblico aperto per tutta la durata della manifestazione.»

Il veggente della società industrializzata, lo sciamano che attraversa il confine tra vita e morte

Attacco all’opera come oggetto, contro l’arte cristallizzata e duratura

Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda, 1968, Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges
Pompidou: Pianoforte ricoperto di feltro e tessuto; crisi della cultura europea dell’Otto-Novecento (di cui il
pianoforte è un simbolo) → colonialismo, guerre mondiali; Ammutolito, soffocato (feltro=isolante); Serbatoio
di energia → ricondurre alla vita → “Presa di coscienza con la natura” e la sua energia

Slitta, 1969, Minneapolis, Walker Art Center: slitta di legno, feltro, cinghie in tessuto, torcia elettrica, grasso,
pittura ad olio, corda; simbolo della sopravvivenza in condizioni estreme

Vestito di feltro, 1970, Oberlin, Allen Memorial Art Museum: Appendiabiti e completo da uomo in feltro;
abito = protezione del corpo → feltro = materiale salvifico; il vestito vuoto dall'aspetto di divisa ricorda la vita
e la morte nei campi di concentramento → arte politica → che ha a che fare con la convivenza, la tolleranza,
la cura reciproca

Coyote, I like America and America likes me, 1974, New York, René Block Gallery: performance; si fece
chiudere in una gabbia insieme a un coyote; protetto solo da un panno di feltro, un giornale “Wall Street
Journal” e un bastone di rame (= mezzo simbolico di dialogo → conduttore di energia → “eurasiatico”); attese
che tra lui l'animale si generasse una reciproca confidenza; bastone segno di guida del gregge → attribuito
nel contesto cristiano al Buon pastore (sacerdote), in culti orientali è segno del potere del mago e dello
sciamano, del rabdomante che sente lo scorrere di energie invisibili; riferimenti a San Francesco e a Orfeo
(domare, parlare con gli animali); Coyote = simbolo dell’America selvaggia prima della colonizzazione →
sterminio rievocato nei film western → animale selvatico in una galleria di Manhattan → agnello sacrificale,
capro espiatorio, bersaglio, qualcosa da evitare → simbolo delle minoranze → incomprese, demonizzate,
emarginate, rifiutate; Lo sciamano e l’animale sacro dei nativi americani esposti per tre giorni al ludibrio, alla
gogna dello show business → Premonizione dei reality show; Protesta anti-imperialista

7000 Eichen (7000 querce), dal 1982, Kassel (Documenta): mostra a ripetizione regolare → prima ogni quattro
e poi ogni 5 anni (→ dalla quinta edizione → Szeemann → v. Mouse Museum); deciso di non sorvegliarne gli
esiti → progetto che ha visto molti aderenti essere estesa al di là dei confini di Kassel; Querce, 7000 stele di
basalto (di 120cm circa), Kassel e altre città tedesche; motto = «Stadtverwaldung statt Stadtverwaltung»
(rimboschimento vs. amministrazione) → rendere la vita migliore; Cumulo di stele di basalto recuperate nelle
cave ai margini della città dovevano essere acquistate dai cittadini → 500 marchi = stele (e trasporto) + albero
(impianto); il pubblico reagì male → perplessità messaggio ecologista + stravolgimento del “salotto” di Kassel
(parcheggio piazza Friedrich) + artista riconosciuto da soli sei anni + ostacolo al traffico stradale; cumulo :
distruzione della guerra, bombardamenti → macerie; rimando ai collage-assemblaggi (v. Yard); invita non
solo a riconoscere gli alberi come esseri consenzienti ma dà anche un messaggio pacifista, antimilitarista;
azione chiusa simbolicamente → figlio Wenzel pianta un albero prima dell'apertura della Documenta
successiva (1987); scultura sociale → cittadini, sindacati, associazioni, sponsor internazionali (giapponesi
appassionati d'arte); tempo sovraumano → la vita di una quercia ha una durata maggiore della vita media
umana (ca 800 anni); intenzione di estendere progetto in Russia e in Cina; Alleanza uomo/natura;
Trasformazione nel tempo e nello spazio; Simbologia della quercia nel mondo celtico; Opera temporalmente
indefinita → fino alla fine di questo ecosistema

Alberto Burri
Laureato in medicina, convertitosi alla pittura soprattutto durante un periodo di prigionia in Texas

Biografia:
• 1940: laurea in medicina
• 1944: prigioniero, trasferito nel campo di concentramento di Hereford (Texas)
• 1946: Roma
• 1951: gruppo Origine con Ettore Colla e Giuseppe Capogrossi
• 1948-49: Catrami, opere monocrome (pomice, catrame, sabbia, terre)
• 1950-51: Muffe
• 1950-55: Gobbi (tela spinta in avanti da un’armatura in metallo o in legno incastrata nel telaio)
• dal 1952: Sacchi → la tela non è più il supporto della pittura, ma una sua parte integrante (v. collage)
• inizio anni ’60: Plastiche
• dal 1973: Cretti → Superficie monocroma di alto spessore viene lasciata asciugare e crepare come
terra al Sole

Materie naturali o artificiali, animate da fenomeni di degradazione quali ruggine e combustione; Cellophane
(materiale sintetico trasparente < laminazione viscosa)

Sacco e bianco, 1953, Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou: Sacco, stoffa, tela,
olio su tela; ≠ dadaisti → non operazione provocatoria, ironica; composizione attentamente studiata nei suoi
rapporti strutturali → geometrie meditate, equilibrio quasi “classico”, a fronte di un materiale tanto umile e
grezzo; Anonimi lacerti di sacco di juta, ma ≠ per tonalità, texture, andamento superficie (lisce, increspate,
perforate da slabbrature, strappi, buchi); frammento di tela bianca macchiata; campiture nere e bianche;
Eccezionale sensibilità compositiva → verticali e orizzontali, figure quadrate e rettangolari, pause e legature;
Trompe-l’oeil rovesciato → «non è più la pittura a fingere la realtà ma la realtà a fingere la pittura» (G.C.
Argan) → oggetti reali (sacchi) si fingono una composizione astratta, la pittura → riscatto pittura estetica (v.
Merzbilder di Kurt Schwitters)

Cretto G1, 1975, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna: Caolino (particolare tipo di argilla utilizzata
soprattutto per la produzione di porcellane), bianco di zinco e vinavil su cellotex (materiale industriale
composto da trucioli di segatura e colla pressati a caldo); Suggestioni antiche (Umbria, Texas); tensioni
interiori, lacerazioni; materia protagonista

Grande cretto di Gibellina, 1985-1989, Gibellina (Trapani): Cemento bianco e macerie; ricostruzione della
città dopo il terremoto del Belice nel gennaio 1968 → intervenne sulle rovine → coprire con del cemento le
macerie, i resti → sudario su un cadavere; progetto del 1981 e una prima realizzazione (parziale), avviata nel
1985, si concluse nel 1989 (mancanza di fondi); solo nel 2015 (centenario della nascita dell’artista, a 20 anni
dalla morte e a 30 dall’inizio dell’impresa) il Grande cretto fu completato (98000 mq) → opera “postuma”;
caso molto discusso sui fallimenti → opposto alle 7000 querce → no rispetto per la natura, rimboschimento
del territorio urbano, ma copertura del paesaggio → fallimento della nazione, incapacità di ricostruire, solo
di cementificare paesaggi (critica di Montanari); crettatura (< reticolo di vie) : paesaggio arso, desertico
(Umbria, Texas) → ferite, lacerazione, strappi → tensioni interiori vissute dall'occidente nei conflitti mondiali;
raccontare la tragedia di vivere e descrivere la ricerca continua di un equilibrio visivo

I materiali di recupero, che evocano la realtà della discarica, del rifiuto, trovano il proprio riscatto nella
bellezza della creazione estetica; Stracci, strappi, cuciture < esperienza prigionia, formazione medica; Il corpo
martoriato della società sopravvissuta alla catastrofe = ferite, macchie

Sacco 5P, 1953, Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Burri: Sacco, acrilico, vinavil e stoffa
su tela; I frammenti di sacco di juta, usati per contenere beni di prima necessità, diventano una sorta di pelle
segnata da ferite e bruciature.

Dialoghi tra antico e contemporaneo


La presenza del contemporaneo nei musei d’arte “antica”
Interazione fra artisti e opere di epoche diverse in musei o gallerie pubbliche (in Italia e all’estero). Il dialogo
tra le opere d’arte contemporanea e architetture del passato

Tendenze curatoriali: interazione, confronto e dialogo fra opere storiche e attuali (Amburgo, Kunsthalle)

Riferimento: T. Montanari, V. Trione, Contro le mostre, Einaudi, Torino 2017

Alcuni interventi nello spazio pubblico a Firenze


Diverse reazioni della critica e il dibattito sui «crossover senza senso» (TOMASO MONTANARI E VINCENZO TRIONE)

Interventi site-specific a Palazzo Strozzi a Firenze


Carsten Höller e Stefano Mancuso, The Florence Experiment, 2018: Plant Decision-Making Based on Human
Smell of Fear and Joy; Rendering di Giuseppe Onali; artista concettuale tedesco Carsten Höller in
collaborazione con il neurobiologo vegetale teorico dell‘intelligenza delle piante, Stefano Mancuso → mix di
arte, ricerca scientifica, amore per la natura e divertimento → spruzzata di luna park; due dei famosi scivoli
acrobatici di Carsten Höller che collegano il terrazzo al secondo piano con il cortile rinascimentale sottostante
per un totale di 20m di discesa ad alta velocità, che i visitatori affrontano dopo essere stati muniti di una
pianta → immediatamente dopo, il pubblico passa in un vero e proprio laboratorio allestito nei locali della
Strozzina, dove degli scienziati rilevano le variazioni nei parametri fotosintetici della pianta e le molecole
volatili → " le emozioni di eccitazione, sorpresa, divertimento, timore vissute dai partecipanti” influenzano
le reazioni di diversi tipi di piante; allestite due sale cinematografiche → 1. divertenti brani di famose
commedie, 2. mix di scene tratte dai film horror → da entrambe le sale partono dei tubi che servono a
incanalare i composti chimici volatili emessi dalle persone divertite e impaurite per far raggiungere loro la
facciata di Palazzo Strozzi e influenzare le piante di glicine disposte ad arrampicarsi proprio lì con una serie di
fili → l’orrore e l’allegria del pubblico influenzano visibilmente la direzione di crescita delle piante

Ai Wei Wei, Reframe, installazione sulla facciata durante la mostra “Ai Wei Wei. Libero”, 2016-2017:
gommoni rossi appesi in modo che le prue dei gommoni evochino, almeno quanto nascondono, le centine
delle finestre del palazzo; vita e morte dei migranti → fatto che non può più essere liquidato con sufficienza;
dramma dei migranti, razzismo

Giovanni de Gara, Eldorato. Nascita di una nazione, 2018


Installazione temporanea sulla facciata di San Miniato al Monte, Firenze

«È un modo di dire che un ministro dell’Inferno non può chiudere le porte del Paradiso: cioè della giustizia e
dell’umanità» (MONTANARI 2019)

trasposizione del famoso luogo immaginario Eldorado → deriva dal termine ebraico El (Dio) → Dio Dorato →
sogno di coloro che, lasciando la propria terra, arrivano a una Terra Altra, la terra Madre, di appartenenza
spirituale, che concede generosa la possibilità di ripartire per realizzare se stessi

riveste le porte di alcune chiese con le coperte isotermiche per il primo soccorso → l’oro delle coperte è un
segnale di accoglienza, calore e di salvezza → dramma dei migranti

l’illusione di questo millennio: l’esistenza di una terra d’oro, dove brilla la possibilità di un futuro sostenibile
→ migranti che appena arrivati vengono coperti di oro (telo termico) e sono pieni di speranze per una vita
migliore di quella che hanno lasciato → l’esigenza di un popolo di appartenere a uno Stato che Stato non è e
non sarà → “Eldorato” = stato mentale, che non ha confini, lingua o capi, ma esiste ed è rappresentato dalla
sua bandiera

La prima è stata San Miniato al Monte, che fu costruita come porta di accesso al paradiso, l’“Eldorato” dei
cristiani, e dedicata a Miniato, un profugo armeno che scappava dalle persecuzioni → le tre porte rivestite di
luce hanno una valenza simbolica: la Gerusalemme celeste, come descritta nell’Apocalisse, o il tempio e le
porte “dorate” del Cristianesimo, della carità verso gli “ultimi”

Jeff Koons in Piazza della Signoria e a Palazzo Vecchio


Gazing Ball (Barberini Faun) nella Sala dei Gigli (accanto alla Giuditta di Donatello) e Pluto and Proserpina
(accanto a una copia del David)

CONTRASTO: SEDUZIONI DI IERI E DI OGGI. Accostamento tra il pop scintillante di Jeff Koons e la nobile
tradizione della scultura italiana, tra Rinascimento e Barocco → due imponenti sculture dell’artista
statunitense si confrontano con le meraviglie della statuaria rinascimentale

Curatore: Sergio Risaliti

incontro tra i grandi protagonisti del contemporaneo e le architetture del ‘500 → fallimento quasi
scontato che ridimensiona l’arte del presente al cospetto della magnificenza di quella antica → servono
giganti, artisti capaci di “reggere” e di trovare la misura; opere azzeccate, scelte con criteri rigorosi o anche
solo accordandosi al meglio con l’umore dei luoghi; serve un senso, nel racconto e nel raffronto, e serve uno
schema → esatto, armonico, sintetico. Qualcosa che renda sostanziale ciò che in un primo momento appare
asimmetrico e innaturale

MITO CLASSICO: TRA OVIDIO E PLATONE. A due passi dalla copia del David di Michelangelo viene
esposto Pluto e Proserpina, possente gruppo scultoreo in acciaio inox, lucidato a specchio e con una
cromatura oro. Direttamente dalle pagine delle Metamorfosi di Ovidio, la storia della giovane figlia di Cerere,
aggredita da un infuocato Plutone, si tramuta in una spettacolare visione plastica, completamente irrorata di
luce. Tutto lo spazio intorno è destinato a implodere e moltiplicarsi, riflettendosi, dissolvendosi,
incendiandosi intorno a quel fulcro dorato, capace di produrre e restituire frequenze luminose. All’interno,
nella fastosa Sala dei Gigli, affrescata dal Ghirlandaio, troverà invece posto il Fauno di Koons, tratto dalla
serie Gazing Ball: calchi in gesso di celebri sculture greco-romane, a cui si aggiunge una sfera metallica
azzurra, bloccata sui corpi in posizione di disequilibrio. Un oggetto simbolico con rimandi al concetto di
modello, di perfezione e di compiutezza. Così, la sfera giocattolo, sul punto di scivolare, contraddice la propria
stessa tensione ideale, diventando precaria. E dunque effimera, come ogni malia. Come un riflesso, come un
luccichio che frastorna, come l’edonismo che incrocia la trascendenza, o la perfezione che diventa rischio. O
ancora, come i racconti della grande letteratura popolare, declinati nei secoli in forme sempre nuove. Fra
persistenza della memoria, dissoluzioni, collisioni post-moderne e imprevedibili giochi di specchi

Time is Out of Joint, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2016
Direttrice: Cristiana Collu; curatore: Saretto Cincinelli → i due ruoli si avvicinano

processo di trasformazione, riorganizzazione e riallestimento → spazi completamente rinnovati + profonda


rilettura delle collezioni del museo → direttrice fa scelte curatoriali azzardate

tempo disarticolato, scardinato, sconnesso → sonda l’elasticità del concetto di tempo e cita, nel titolo, i versi
dell’Amleto di William Shakespeare → definitivo abbandono di qualsiasi linearità storica

Un tempo che va ricomposto → intreccio di inaspettate relazioni nello spazio simbolico del museo, che non
rispondono alle ortodosse e codificate leggi della cronologia e della storia (dell’arte), ma si muovono in una
sorta di anarchia, che si appella a qualcosa che viene prima delle regole

eterodossia, una disobbedienza, una sovversione così naturale che si potrebbe definire con Jabes “uno dei
momenti privilegiati in cui si ristabilisce il nostro equilibrio precario” e si configura un incipit. Un punto
sorgente e una persistenza che mette fuori gioco qualsiasi certezza cronologica e introduce una temporalità
plastica che dipende dal nostro sguardo. E con un vero e proprio montaggio, con la parzialità che ogni scelta
e ogni selezione porta con sé, fa precipitare il tempo storico cronologico, anacronizza passato, presente e
futuro, ricostruisce e fa decantare un altro tempo, mentre mette in evidenza intervalli e durate, riprese e
contrattempi. Un tempo pieno di faglie, fratture, vuoti, scarti e scatti, che suggerisce molte combinazioni

esempio di accostamenti (in una stessa sala): Giuseppe Penone, Spoglia d’oro su spine d’acacia, 2002 (quadro
su parete) + Antonio Canova, Ercole e Lica, 1795-1813 (esposta su piedistallo) + Pino Pascali, 32 mq di mare
circa, 1967 (30 vasche in lamiera zincata e acqua colorata all’anilina, disposte a terra)

Interventi alla Reggia di Versailles


Jeff Koons Versailles, 2008
Mostra di 17 opere negli Appartamenti Reali e nel Giardino della Reggia

stretta relazione tra opera e spazio circostante; opere scelte appositamente per Les grands appartements al
piano nobile, composto da Les appartements du Roi (Gli appartamenti del re) e Les appartements de la Reine
(Gli appartamenti della regina), che formavano una suite di diverse stanze "en enfilade". Questi grandi
appartamenti sono gli spazi più prestigiosi e importanti del Castello, poiché erano le sale ufficiali del Re Sole,
composte come una delle più ricche espressioni di arte e architettura

Cane di palloncini (magenta), 1994-2000. Acciaio inossidabile cromato con rivestimento in colore trasparente
→ contrasto affreschi seicenteschi – colori Neo Pop

Murakami Versailles, 2010


La prima grande retrospettiva di Takashi Murakami in Francia

Nelle 15 sale del castello e nei giardini sono esposte 22 opere importanti, 11 delle quali create esclusivamente
per questa mostra. Secondo il curatore, Laurent Le Bon (direttore del Centre Pompidou Metz), Murakami
Versailles «è una passeggiata, un sentiero attraverso l'"area paesaggistica" di Versailles. Il grande pubblico
potrà vedere e ammirare le sue creazioni, che sono spesso capolavori tecnici. Le allegorie e altri miti di
Versailles portano avanti un dialogo con le creature oniriche di Takashi Murakami. Tra le opere presentate al
pubblico per la prima volta ci sono il gigantesco Buddha Ovale sul Parterre d'Acqua nel giardino, Flower
Matango nella Sala degli Specchi e Yume Lion (Il Leone dei Sogni) nel Salone Apollo del Castello.»

Murakami ha sviluppato uno stile distintivo combinando le tecniche più moderne con l'arte tradizionale
giapponese. Il suo lavoro è ispirato ai manga e alla cultura kawaii (carina)

È diventato noto al grande pubblico quando lo stilista Marc Jacobs gli ha chiesto per la prima volta di
reinterpretare il monogramma Louis Vuitton per la loro linea Primavera/Estate 2003 → nella mostra
itinerante ©Murakami (dal 2007: MoCA di Los Angeles, Guggenheim Museum di New York e di Bilbao) era
inserito un negozio, ideato in collaborazione con il brand Louis Vuitton, in cui si potevano acquistare oggetti
di consumo progettati dall’artista

«I prodotti che escono dalla fabbrica della quale egli è imprenditore sono spesso omaggi alla bomba atomica,
il trauma dal quale è nato il Giappone moderno. Ma sono anche maniere per rimuoverlo: si tratta infatti di
dipinti che ritraggono mostri o sculture a forma di funghi lucidissimi, colorati, eccitanti, ragazzine dai seni
enormi (Hiropon, 1997) ed efebi dal grande pene (My Lonesome Cowboy, 1998) [...]» (VETTESE 2010)

Maurizio Cattelan al Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli (Torino)


Post 1989: globalizzazione → culture del globo intero vanno verso un'omologazione progressiva

Dialogo con un’architettura di prestigio con pareti finemente decorate

Novecento, 1997: installazione; il titolo si ispira al film di Bernardo Bertolucci (1976) e a un Bar italiano a New
York (“dove gli è venuta l’idea”); un cavallo imbalsamato appeso al soffitto con le gambe e il collo pendenti
verso terra → stesso tema già affrontato dall'artista nell’opera Ballata di Trotski (1996) e nella sua prima
personale a New York (cavallo da corsa appeso al soffitto → gambe ondeggianti e postura incatenata >
disperazione della situazione → rassegnato al suo destino, pronto a soccombere agli effetti della gravità; Il
titolo dell'opera si riferisce a Leon Trotsky, una figura dell'utopia rivoluzionaria e del suo fallimento; crescente
importanza dell'uso della tassidermia nella pratica dell'artista riflette il suo interesse per i modi in cui gli
umani proiettano le loro paure e fantasie sulle rappresentazioni animali); allusione a una condizione
esistenziale dove il soggetto è privato di qualunque possibilità di azione; tensione frustrata, un’energia
destinata a non trovare sbocco → insicurezza, idea di fallimento; collezione permanente del museo; modifica
strutturale → allungamento gambe → “attratto dalla gravità”; ispirazione → 1. foto in bianco e nero esercito
italiano → cavalli venivano tirati su con delle carrucole sulle navi, 2. Copertina di un disco di un gruppo
musicale inglese; opera d’arte a prova del tempo, ma va curata (spazzolata); cavallo = animale nobile

Senza titolo, 1998: olivo trasportato dall'Italia fino all'interno del casinò di Lussemburgo e piantato in
un’enorme zolla di terra bruna dalla forma di un cubo; senso di solitudine dell'emigrante → dislocato lontano
dalle sue origini, in un interno e non all'aria aperta; l'occhio dello spettatore non è a livello del tronco o dei
rami, come accade di norma, ma delle radici vive che devono essere bagnate e concimate; ulivo
tradizionalmente legato al divino e, nella cultura cristiana, simboleggia la rinnovata alleanza tra Dio e gli
umani; In ambito artistico, ricorda l’impiego dei materiali naturali e delle energie primarie → Arte Povera;
dimensioni imponenti dell’installazione e il grande cumulo di terra che incombe sugli spettatori → «fetta di
realtà» portata a forza dentro il museo; Senso di estraneità, Nord vs. Sud, Artificio vs. Natura

La presenza del contemporaneo in edifici storici


La relazione testo-contesto nell’installazione; Recenti scelte curatoriali

Mostra di Pablo Picasso a Palazzo Reale a Milano nel 1953


Palazzo Reale ancora danneggiato dalle bombe → relazione tra il soggetto dipinto e l'aspetto della sala

Guernica nella sala delle Cariatidi → uscito dai depositi del Metropolitan di New York, dove stava recluso in
attesa della caduta di Franco; tuonava sul tessuto logoro di un ambiente antico spazzato via dalle bombe del
’43 → segni delle incursioni aeree, ferita sul soffitto appena ricucita da uno strato di calce e intonaco →
testimonianza perenne degli orrori di tutti i conflitti; la grande tela con i suoi lampi e le sue grida lanciava un
messaggio politico gigantesco; Fu Picasso a volerla collocare proprio sotto le lesene e i ballatoi sbriciolati
nell’esplosione → clausola vincolante → sfondo delle cariatidi erose gli ricordavano la Spagna invasa e
umiliata dai franchisti; esporre l’opera accanto ad altre che rincaravano la sua dose di rabbia e denuncia →
trio compatto di manifesti contro le barbarie, ampie tele dal valore civile (La guerra e la pace e Massacro in
Corea); potenza dilaniante → arte in grado di esprimere e sintetizzare il senso e le dinamiche del momento
storico che stavano vivendo e dei drammi che avevano vissuto; collera dei simboli (toro, cavallo, coltello) →
dibattito storico fra realismo e astrazione → con la sua energia primitiva creò un lessico universale

Palazzo Grassi, Venezia


Edificio civile veneziano, sito nel sestiere di San Marco e affacciato sul Canal Grande. È uno degli edifici
lagunari più noti, oltre a sede di mostre d'arte è famoso perché definito come l'ultimo palazzo patrizio
affacciato su Canal Grande prima del crollo della Serenissima Repubblica di Venezia

Nel 2005, l'imprenditore francese François Pinault lo acquistò per esporvi la sua collezione privata di opere
d'arte contemporanee e moderne → affidò all'architetto giapponese Tadao Andō il rinnovo della struttura

Una delle cinque collezioni d'arte moderna e contemporanea più grandi del mondo → costituita da pitture,
sculture, fotografie e video appartenenti ai movimenti artistici dell'Arte Povera, del Minimalismo, del Post-
minimalismo e della Pop Art → opere di artisti fra i più importanti a livello internazionale (es. Piero Manzoni,
Maurizio Cattelan, Andy Warhol, Jeff Koons, Lucio Fontana, Takashi Murakami)

L'esposizione delle opere della collezione è concepita tramite esposizioni temporanee, cui si alternano anche
mostre concepite assieme ad altri istituti museali
Damien Hirst: gigantesca scultura ingombra il cortile → monumentalità architettonica sfruttata; mostra in
cui si immaginava un sorprendente ritrovamento di sculture classiche naufragate nel Mar Rosso → create
due versioni di ciascuna scultura → es. improbabile dea Calì che combatte contro una sorta di idra → gruppo
scultoreo 1. aggredito da microrganismi marini, 2. versione uscita dal restauro

Esempi di «crossover» per le ultime edizioni di ArtVerona al Museo di Castelvecchio


Ad naturam, Palazzo Lavezzola Pompei, 2014-2015
Mostra organizzata da Studio la Città al Museo Civico di Storia Naturale

Analizzare ed evidenziare i modi di rappresentare la natura nella produzione artistica contemporanea e


contestualizzare l'opera all'interno della collezione del museo. Il percorso espositivo presenta il lavoro di
artisti contemporanei di fama inter/nazionale e si è sviluppato attorno a diversi temi e capitoli: la natura
come oggetto d'arte, la natura come soggetto dell'arte, natura e questioni ambientali. Questi temi sono
entrati in dialogo interattivo con le varie collezioni del museo grazie all'intervento scientifico dei suoi studiosi
→ le opere non sono solo una presenza ma un momento di riflessione partecipativa → un'opera si riferisce a
uno scenario o a un elemento della natura, allora quello viene trattato in modo scientifico. Fotografia,
installazioni, pittura, disegno, video e design

Installazione con un albero, Jacob Hashimoto, Colonia 2003: Legno, viti in acciaio, plastica, filo in acciaio;
Rappresentazione di un albero con bolle al posto delle foglie

Le meraviglie del 2000. Opere della collezione Stellatelli a Castelvecchio, 2015


Da un’idea di Beatrice Benedetti e Paola Marini; organizzata dal Comune di Verona – Direzione Musei d’Arte
e Monumenti in collaborazione con Veronafiere

Mostra che fa dialogare 18 capolavori del Museo di Castelvecchio con altrettante opere contemporanee
tratte dalla sezione India-Cina-Pakistan della Collezione «Arte 2000» di Antonio Stellatelli

Titolo: 1. omonimo romanzo fantascientifico di Emilio Salgari (scrittore veronese e figura guida dei collaterali
di questa edizione di ArtVerona) → immagina un balzo di un secolo, dal 1903 al 2003, verso i prodigi e i mali
del nuovo millennio (inquinamento, terrorismo e una nociva frenesia); 2. “2000” → nome dato dal mecenate,
Antonio Stellatelli, alla sua raccolta, a partire dall’anno spartiacque in cui essa ringiovanisce (dal
contemporaneo “storico” alle avanguardie più recenti) → artisti con passaporto non necessariamente
italiano → andamento girovago dell’universo attuale

Le assonanze tra opere contemporanee e il Museo si rivelano al visitatore già all’ingresso, nella Galleria delle
sculture, dove il collegamento tra Medioevo e Contemporaneità coinvolge l’intero ambiente. Legno, ferro e
cemento sono elementi base dell’intervento architettonico di Carlo Scarpa a Castelvecchio (ultimato nel
1964) così come della prima opera in mostra dell’indiano Riyas Komu Left Leg, il cui legno proveniente dal
Kerala come l’artista, è poi comune denominatore tra la scultura di Komu e l’Arca dei Santi Sergio e Bacco,
un sarcofago di epoca romanica su cui è raffigurato il martirio dei cavalieri Sergio, decapitato, e Bacco, al
centro della scena, ucciso a bastonate

Citando altri esempi di assonanze, nella sala al primo piano della Reggia in cui si trovano due icone del Museo,
la Madonna del roseto attribuita a Stefano di Giovanni o a Michelino da Besozzo e la Madonna della
quaglia di Pisanello, le similitudini e i contrasti concorrono a un’armonia di fondo. L’accordo tra hortus
conclusus nelle due tavole e il manto metallico di Landscape of Waking Memories di Saksi Gupta sta nelle
asimmetrie, tra i fondi oro dei dipinti e il filo d’acciaio dell’installazione, o nel tripudio di piume di angeli e
volatili; persino la presenza/assenza della figura umana contribuisce a un’articolata sinfonia.
Al secondo piano della Reggia due versioni sinonimiche di Madonna con il bambino di Giovanni
Bellini (incluse da Scarpa in un’unica cornice) riecheggiano in Synonym per i toni cromatici dell’accenno di
sari rosso della giovane ritratta da Reena Kallat, in cui tuttavia scompare la nobiltà dei due volti di Maria,
contornati entrambi da un manto carminio.

Nel passaggio tra i due livelli, nella Torre del Mastio, s’incontra la Sala delle Armi, in cui è
appesa Untitled dell’indiano Valay Shende, una giacca di sfere d’acciaio che richiama la cotta medievale
indossata, sotto la preziosa armatura, dal notabile veronese Pase Guarienti in un ritratto a figura intera che
testimonia l’influenza di Paolo Caliari sulla pittura della sua città natale nel secondo Cinquecento

Nella Galleria dei dipinti (ultima tappa del percorso) dialogano, tra gli altri, Slogan 86 del cinese Zhang Dali e
il piccolo Ritratto di giovane con disegno infantile di Giovan Francesco Caroto. Zhang Dali, celebre grazie
al graffitismo approfondito in Italia, sceglie come soggetto una lavoratrice immigrata dalle campagne cinesi,
il cui viso anonimo emerge da una griglia di ideogrammi: slogan propagandistici della Repubblica Popolare,
mischiati con epigrammi filosofico-morali e con la parola «AK-47» (sigla del kalashnikov). In questo volto
pixelato, gestaltico, si distingue un sorriso malinconico, ancor più se messo in relazione con l’ambiguo ritratto
di Caroto, anch’esso sorridente, ma scherzoso

Affinità formali, iconografiche o di sottile relazione semantica nell’intero percorso espositivo testimoniano
un influsso internazionale nella Verona gotica, ininterrotto fino al Seicento. A conferma dell’interculturalità
degli artisti contemporanei, basti l’invito rivolto agli indiani Shilpa Gupta, Riyas Komu e al pakistano Rashid
Rana a far parte del Padiglione Iraniano alla 56^ Biennale di Venezia

Il flauto magico. 16 collezionisti per un’istituzione, 2016-2017


A cura di Andrea Bruciati e in Collaborazione con Ketty Bertolaso, Margherita Bolla e Alba Di Lieto

Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart come sorgente per una ricca storia di percezioni e vissuti, resi
artisticamente concreti nei diversi media delle opere in mostra, provenienti dalle maggiori Collezioni italiane
→ opera mozartiana ha puntato il dito su tematiche esistenziali che accomunano da sempre l’uomo
occidentale → guidare nuovi estri creativi → inquiete insoddisfazioni di Lessing e dello Sturm und
Drang additavano la definitiva crisi della raison voltairiana → fare propri i dubbi e le fughe nell’irrazionale →
oggi i consueti parametri raziocinanti sembrano incapaci di dirimere una gestione della realtà

Ogni lavoro presentato fungerà da reagente utopico, dove l’assoluto romantico si incaglia e umanamente
fallisce → una sfida e una lotta interna al concetto stesso di creazione, che trovano in de Sade, Goya, Kant e
Piranesi, a cui si rifà il curatore della mostra, volta a indagare il lato oscuro della nostra contemporaneità
attraverso l’opera di grandi Maestri

Per i manufatti si è cercata con cura negli spazi del Museo un’ambientazione che ne esaltasse le
caratteristiche e contemporaneamente creasse un rapporto dialettico con i capolavori esposti → rispettoso
dialogo con gli spazi e i percorsi espositivi museali, ispirati e suggestionati in primis dall’intervento sapiente
quanto sempre attuale di Carlo Scarpa

Chiesa di San Francesco al Corso, Museo degli affreschi “Giovan Battista Cavalcaselle”

In occasione della 12^ edizione di ArtVerona, ASLC progetti per l’arte presenta, nella suggestiva cornice della
chiesa di San Francesco al Corso – Museo degli Affreschi, l’installazione site-specific del sound artist Roberto
Pugliese, curata da Valerio Dehò. L’intervento realizzato in collaborazione con i Musei d’Arte e Monumenti
del Comune di Verona, Veronafiere e Studio la Città, si inserisce tra i collateral che ogni anno la fiera
promuove in città in concomitanza con la manifestazione. Il tema sarà legato alla vita e alle opere di Wolfgang
Amadeus Mozart

Mostra Iconoclash. Il conflitto delle immagini, 2017-2018


Curatori: Antonio Grulli (critico), Diego Bergamaschi e Marco Martini (collezionisti)
Uno degli eventi OFF di Artverona dedicato all'uso delle immagini, al forte impatto che hanno come mezzo
di comunicazione e alle potenzialità, spesso negate, attraverso le opere di un gruppo di artisti che entrano in
dialogo con le collezioni e gli spazi espositivi del Museo di Castelvecchio

Importanza delle immagini in una società che ne è ossessionata e dove il loro processo di creazione si è
velocizzato come mai nella storia → processo di digitalizzazione e smaterializzazione → temporaneità,
durata? → precarietà dei dispositivi di archiviazione e l’esposizione ad attacchi hacker e cyberterrorismo

potere delle immagini e dell’arte → capacità di essere ancora degli “oggetti scomodi”, che fanno paura,
danno fastidio, possono ferire, possono modificare la realtà o la sua percezione → vandalismo, distruzioni e
sfregi, attacco terroristico dopo la vignetta satirica di Charlie Hebdo

sottile linea di confine che separa l’amore e l’ossessione per l’immagine dal desiderio ossessivo di annullarla
e cancellarla → immagini sfregiate (Nazgol Ansarinia, Luca Bertolo, Jiri Kolar, Nicola Samorì, Mimmo Jodice),
distrutte (Gianni Politi), tamponate (Flavio Favelli, Vincenzo Simone), occluse (Jesse Ash, Francesco Carone),
frammentate (Matteo Rubbi, Davide Trabucco), negate (Francesco Carone, Ryan Gander, Elad Lassry, Simon
Starling), corrose (Paola Angelini, Stefano Arienti, Giulia Cenci, Paolo Gioli, Ketty la Rocca). Altre avranno
raggiunto la monocromia e la totale assenza di elementi data da un sovraccarico di informazioni che genera
un blackout visivo (Alessandro di Pietro, Ryan Gander, Fabio Mauri, Mandla Reuter)

The Adventure of Our Collection I, Kaiser Wilhelm Museum, Krefeld, 2016-2017


Riapertura delle sale del Kaiser Wilhelm Museum (uno dei tre edifici che costituiscono il complesso museale
di Krefeld) → ristrutturazione durata sei anni

Il rinnovato edificio ospita per l'occasione un'importante mostra curata dal direttore Martin Hentschel

Un viaggio attraverso le collezioni del museo dal 1945 a oggi in un allestimento anticonvenzionale che accosta
opere d'arte moderna e contemporanea. In questo contesto, Herbert Hamak ha l'onore di vedere esposti i
propri lavori accanto ai celebri dipinti di Claude Monet, tratti dalla serie Il Parlamento di Londra, mettendo
così in relazione il suo utilizzo di luce e colore con le sperimentazioni del Maestro impressionista

Herbert Hamak a Verona


Il tesoro misterioso. Herbert Hamak al Museo Maffeiano, 2015
Evento collaterale di ArtVerona 2015 → In occasione dell’undicesima edizione di ArtVerona, Studio la Città
presenta, in collaborazione con la Direzione Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona e Veronafiere,
l’allestimento site specific di Herbert Hamak

Uno dei più antichi musei pubblici d’Europa

Sulla scia della suggestione salgariana indicata per i collateral di ArtVerona 2015

Opere in resina, custodi di piccoli manufatti e di pigmenti colorati, si alternano ai preziosi reperti conservati
nelle sale museali, mentre nel giardino alcuni elementi evocano il tracciato dell’antica cinta urbana di cui un
segmento è visibile nel sotterraneo del Museo

l’artista tedesco interviene in maniera duplice: 1. in stretta correlazione con lo spazio suggestivo del sito, fa
riemergere il muro di cinta sottostante con un invito alla memoria e alla riscoperta di ciò che è meno visibile;
mentre la trave che campeggia appoggiata al muro, è una delle sue lance blu che solcavano il camminamento
e che qui ritornano come citazione; 2. Nelle sale l’intervento si lega all’omaggio che accompagna sia un
viaggio salgariano, che il viaggio nell’aldilà → alcuni reperti sono custoditi nelle resine a ricordare
contemporaneamente la memoria e la creazione di un’opera d’arte → ciò che affascina è il mistero più che
lo svelamento dell’oggetto custodito nel blocco di resina → “costruisce” il mistero → immergendo qualsiasi
“cosa da questo mondo” nella resina, si stabilisce quella “lontananza” che nella realtà è costituita da appena
qualche centimetro di resina semitrasparente, ma che nell’immaginario è costituita più dal tempo che dallo
spazio e colloca l’oggetto in una regione fantastica → mancata identificazione subitanea della “cosa”
consente alla fantasia di costruire più ipotesi sulla sua natura, e molteplici livelli di narrazione su di essa, a
partire dal suo stato fisico → contraddizione tra la percezione di una semplice realtà (oggetto imprigionato
in un blocco di resina) e le possibili costruzioni immaginative

Hamak ha intitolato queste sue opere “Point Alpha” → “inizio” (Alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco),
“nuovo inizio” → attività precedente sempre interpretata come un esempio di minimalismo astratto,
concretizzato in una forma e in un colore → sembra tutto stravolto, per la presenza di un oggetto o di
un’immagine che apparentemente diventano protagonisti dell’opera → sottolineare la frattura con un
periodo precedente della propria storia → rinunciare ai concetti di forma, di colore, di geometria, in favore
di immagini, metafore e narrazioni, la considerazione potrebbe andare al vero protagonista di tutto questo
rinnovamento, che non è altro che il blocco di resina → innesca la metafora, costruisce il tempo della
narrazione, mette in scena il mistero, molto di più dell’oggetto racchiuso al suo interno

I fiori di Warhol insieme alla sbarra multicolore rimandano a colori di esotici siti. Mentre colonne e piccoli
cubi monocromi suggeriscono possibili antichi colori alle urne di Volterra.

Una porta sul fiume. Herbert Hamak e Costas Varotsos, Dogana di fiume, 2021
Studio la Città con i Musei civici di Verona; progetto di collaborazione con il Canoa Club Verona che
“custodisce” l’antica Dogana di Fiume (eretta nel 1792)

Uno dei luoghi più suggestivi di Verona che, al calare del sole, offre un incantevole gioco di riflessi sull’acqua

Ciclo di eventi articolato in più puntate avviato da Studio la Città per la valorizzazione della Dogana →
inaugurato con la prima mostra in occasione del programma di eventi legati alla manifestazione
di ArtVerona 16 e Vinitaly Special Edition

Cogliendo la proposta di sinergia suggerita dalla Fiera, Studio la Città ha coinvolto il mondo del vino in un
progetto realizzato con ISWA – Italian Signature Wines Academy: istituzione che riunisce nove delle più
importanti aziende vinicole italiane → valorizzare l’immagine e l’eccellenza del vino italiano nel mondo

Per questa occasione le aziende del gruppo, che già da tempo hanno legato il loro nome a iniziative volte al
sostegno dell’arte e della cultura, rinnovano l’interesse di uno scambio reciproco, realizzando con Studio la
Città due eventi creati ad hoc negli spazi della Dogana di Fiume

Installati, sulla sponda dell’Adige, una serie di lavori realizzati dagli artisti Herbert Hamak e Costas Varotsos,
in dialogo con l’acqua e le sue rifrazioni di luce

Herbert Hamak: il suo lavoro non rientra nelle categorie tradizionali dell’arte → si concentra sulla purezza
del colore, esaltata da un uso sapiente della luce, filtrata dalla resina; si è posto più volte in relazione
all’esistente, che si tratti della natura o dei monumenti; no interventi canonici di scultura → utilizza gli edifici,
le loro facciate, i loro spazi come un pittore utilizza la tela o il telaio; nella suggestiva cornice della Dogana di
fiume, esporrà una serie di colonne colorate sul limitare della sponda fluviale, in prossimità della scalinata
che degrada verso l’Adige → lavori di diverse dimensioni, illuminati e visibili da Lungadige Pasetto e Ponte
Navi; colonne colorate rievocheranno i colori degli affreschi dell’antico palazzo Fiorio Della Seta che si
affacciava sul fiume proprio poco distante dalla Dogana, ma che oggi non esiste più; il modello dell’edificio e
alcuni affreschi strappati prima della demolizione (per costruire l’argine del fiume) sono conservati al Museo
degli Affreschi e ne testimoniano la bellezza e la ricchezza

Costas Varotsos: vetro = protagonista della produzione artistica; predilige le grandi dimensioni, a
testimonianza della sua riflessione su temi essenziali della vita e dell’uomo quali lo spazio, il tempo, la natura,
l’energia → monumentalità e profondità poetica concorrono assieme alla realizzazione finale, che si
concretizza in un gesto minimale come la linea di un orizzonte tra cielo e terra; minimalismo → luce,
trasparenza, energia, movimento, tempo, equilibrio; L’opera Orizzonte (1996, ferro e vetro),
precedentemente esposta nel giardino del Museo di Castelvecchio, è molto connessa al tema dell’acqua, e
sarà collocata di fronte alla facciata dell’antico palazzo che ospitava l’ex dogana di Verona → ricerca
dell’artista di un equilibrio tra l’intervento umano e quello della natura

Fondazione Prada
1993: Prada Milano Arte, via Spartaco 8, Milano, direzione artistica di Germano Celant; Vasti spazi adatti a
installazioni e progetti ambientali anche spettacolari; Synchro System di Carsten Höller (2000), Dal Vivo di
Laurie Anderson (1998)

2001: ex fabbricato industriale in via Fogazzaro 36, Milano

2010: acquisizione di Ca’ Corner della Regina, Venezia (ex sede dell’ASAC, Biennale, dal 1975)

2015 (giugno): nuova sede in via Isarco, intero isolato urbano, ex stabilimento di una distilleria, studio
OMA/Rem Koolhaas (dal 2008); «polo» più che spazio espositivo: 19.000 mq (10.000 mq nuovo progetto +
7500 preesistenti)

La mostra del 2017: “The Boat is Leaking. The Captain Lied”, a cura di Udo Kittelmann; la produzione filmica
di Alexander Kluge, l’opera fotografica di Thomas Demand e le scenografie di Anna Viebrock riunite in un
progetto collettivo

Portable Classic, Ca’ Corner della Regina, Fondazione Prada Venezia, 2015
A cura di Salvatore Settis e Davide Gasparotto, allestimento di Rem Koolhaas

Esplora origini e funzioni delle riproduzioni in miniatura di sculture classiche, presentando oltre 80 opere
tra il piano terra e il primo piano nobile di Ca’ Corner della Regina. Sia nell’antica Roma che nell’Europa
moderna si forma un vero e proprio canone di sculture, considerate come la formulazione più alta di un
determinato soggetto. Il loro prestigio è tale che il pubblico colto ne desidera almeno una riproduzione,
anche di piccole dimensioni e in materiali diversi dall’originale. Un esempio di questa tendenza è il caso
dell’Ercole Farnese, proposto in mostra attraverso un calco in gesso di 317cm accostato a una serie di
riproduzioni moderne in scala in marmo, bronzo e terracotta dai 15 ai 130cm.

Alcuni capolavori in piccole dimensioni di epoca classica sono avvicinati a multipli di età rinascimentale,
attraverso gli esempi dell’Ignudo della Paura e della Venere Accovacciata.

Un’altra sezione della mostra è dedicata a importanti figure di collezionisti del Cinquecento. In alcuni dipinti
di Lorenzo Lotto, Tintoretto e Bernardino Licinio, i soggetti sono ritratti tra sculture classiche e calchi in gesso
provenienti dalle loro raccolte. Partendo dai casi emblematici del Torso del Belvedere e del Laocoonte, la
mostra illustra come gli artisti rinascimentali abbiano utilizzato le copie in piccolo formato per elaborare
ipotesi sulle parti mancanti degli originali classici

Serial Classic, Fondazione Prada Milano, 2015


A cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola, allestimento di Rem Koolhaas

Inaugurazione della nuova sede milanese → prosecuzione della mostra della sede veneziana

Dedicata alla scultura classica → spazio destinato all'arte contemporanea ha proposto una mostra dedicata
all'altra antica; rapporto ambivalente tra originalità e imitazione nella cultura romana e il suo insistere sulla
diffusione di multipli come omaggi all’arte greca. All’idea di classico tendiamo ad associare quella di unicità,
ma in nessun periodo dell’arte occidentale la creazione di copie da grandi capolavori del passato è stata
importante quanto nella Roma della tarda Repubblica e dell’Impero; repliche in formati e materiali diversi
Il percorso espositivo riunisce più di 60 opere e si apre con un approfondimento sugli originali perduti e loro
copie multiple, rappresentate da due serie particolarmente note come il Discobolo e la Venere accovacciata

Altri due importanti nuclei sono dedicati ai temi dei materiali e del colore dei bronzi e dei marmi classici.
L’Apollo di Kassel, ad esempio, è riproposto in due recenti calchi in gesso che riproducono la superficie
bronzea dell’originale greco perduto e la coloritura delle copie romane in marmo

Un’altra sezione della mostra esplora le tecnologie e le modalità impiegate nella realizzazione delle copie,
illustrando due momenti fondamentali come la creazione del calco in gesso e il trasferimento delle misure
sul nuovo blocco di marmo. Sono inoltre esposte due note serie, la Penelope e le Cariatidi sul prototipo
dell’Eretteo di Atene

Marc Quinn
nell’estate del 2013 alla Fondazione Cini sull’isola di San Giorgio Maggiore: Breath (2012; h 11 m) → una
reinterpretazione colossale dell’opera Alison Lapper Pregnant, installata nel settembre 2005 sul quarto plinto
al centro della londinese Trafalgar Square; paralimpiadi di Londra → no corpo perfetto, integro

Verona, estate 2009 (nell’ambito della Biennale di Venezia) a San Giorgio Maggiore

Con Mark Wallinger: due statue che contraddicono l’idea di opera celebrativa → 1. Ribaltamento del
significato di opere e spazi; 2. Confronto con la tradizione della scultura monumentale

Una nuova idea di monumento tra sperimentazione e ricerca del consenso


1. Critica alla concezione dell’arte come intrattenimento (i musei e le gallerie non devono diventare dei
«centri commerciali in cui si vende un modo di usare il tempo libero»)

2. Recupero di un’arte legata alla comunità (millenaria presenza dell’arte nei luoghi di culto, nei luoghi
condivisi dalle comunità come piazze, teatri ecc.) → Rischi: ricerca del consenso a tutti i costi, compiacere
eccessivamente il pubblico; il kitsch urbano

Senso inquieto della corporeità → corpo come veicolo di bellezza e seduzione e come luogo misterioso pieno
di orrende esigenze e capace di riservarci angoscia e malattia → tendenza a trasformare se stesso

Divi che animano la società dello spettacolo cambiano look continuamente e restano giovani in eterno;
esperimenti sulla clonazione di animali → paura del futuro e della possibilità di agire modificando il corpo

La Biennale “diffusa” e gli eventi collaterali: Palazzo Barbaro, Palazzo Fortuny, Museo Correr, la chiesa di San
Giorgio Maggiore (Jaume Plensa, Marc Quinn), Gallerie dell’Accademia (Mario Merz; Philip Guston; Georg
Baselitz), Palazzo Grimani (Baselitz. Archinto)

Mostra nella Scuola Grande di San Rocco

Fondazione Emilio e Annabianca Vedova: oltre allo Spazio Vedova, ha a disposizione un ulteriore spazio
espositivo alle Zattere, il Magazzino del Sale. Realizzato su progetto di Renzo Piano, è uno dei nove magazzini
parte dell'antico complesso dell'Emporio dei Sali. Il Magazzino del Sale oggi è una struttura flessibile che
consente un allestimento dinamico, reso possibile dalla presenza di un binario fissato alle capriate della
copertura, sul quale si muovono dieci bracci estensibili che prelevano le opere dall’archivio e le trasportano
nello spazio espositivo

Jeff Koons, Puppy, 1992, Museo Guggenheim, Bilbao, Spagna: ossimoro visivo, giocattolo ingigantito; cucciolo
canino della razza West Highland White Terrier; struttura in acciaio inossidabile ricoperta di piante e fiori →
materiale effimero; (+ cfr. Gazing Balls, 2013 → Gesso e vetro, Palla di vetro blu su calco 1:1 dell’Ercole
Farnese del Museo Nazionale di Napoli)
Giuseppe Penone, Idee di pietra, 2003, Kassel, Staatspark Karlsaue: Bronzo e pietra fluviale di granito grigio;
Installazione permanente; riferimento → Atlante Farnese, II secolo d.C., Napoli, Museo Archeologico
Nazionale (Marmo); albero che sorregge una pietra

Charles Ray, Boy with Frog, 2009: Acciaio inossidabile e poliuretano acrilico; Collocazione temporanea sulla
Punta della Dogana a Venezia nel 2009, Collezione François Pinault (→ inaugurazione); piccolo David sotto la
Fortuna; intervento pensato per essere visto come un invito a entrare nelle nuove collezioni del museo e di
entrare in relazione con l'edificio che lo sovrastava; scarto dimensionale, dialogo con la scultura classica;
riferimenti → Apollo Sauroctonos (originale di Prassitele), Lo spinario (Roma, Musei Capitolini), Bambino che
strozza un’oca (Monaco, Antikensammlungen), Putto con pesce di Verrocchio, Bambino con gallo di A. Cecioni
(1868), Il Pescatoriello di V. Gemito (1879); (+ cfr. Shoe Tie, 2012 + Fall ‘91, 1992 e Family Romance, 1993 →
manichini iperrealisti sovradimensionati, effetto straniante, percezione visiva messa alla prova, nuovo
rapporto opera-ambiente-osservatore)

Bestiario Contemporaneo, Museo di Storia Naturale, Venezia


A cura di Gemma De Angelis Testa e Giorgio Verzotti; Direzione scientifica di Gabriella Belli; Coordinamento
Luca Mizzan e Mauro Bon; In collaborazione con ACACIA Associazione Amici Arte Contemporanea Italiana

In occasione della Biennale 2013, l'arte contemporanea viene chiamata a dialogare con la collezione
permanente del Museo di Storia Naturale secondo analogie formali e legami contenutistici → Il rapporto
arte-scienza e arte-natura è tra i più antichi e indissolubili → mondo animale e vegetale, segreti della vita
microscopica e delle forme macroscopiche, gli aspetti dell’animato e dell’inanimato, del finito e infinito →
argomenti di confronto e stimolo, ambiti di suggestione e indagine dell’espressione artistica fin dall’antichità

Gli artisti contemporanei continuano a confrontarsi e farsi ispirare, riflettere e meravigliarsi riguardo la realtà
che emerge dalla semplice visione della natura e dall’indagine scientifica, che apre a nuove conoscenze,
consapevolezze, interrogativi

alternanza tra grande effetto scenografico e microscopica sorpresa → insieme ai reperti naturalistici, le opere
d’artisti affermati sulla scena italiana e internazionale (es. Vanessa Beecroft le cui performance sono tableaux
vivants e Gianni Caravaggio)

Maurizio Cattelan, Love Saves Life, 1995: asino, cane, gatto e gallo in tassidermia; I musicanti di Brema dei
Fratelli Grimm; trova una continuazione nell’opera Love Lasts Forever (1999) → scheletri degli animali nella
stessa posizione → esposti insieme nell’ingresso della Kunsthalle di Brema

Le mostre monografiche nel Solomon R. Guggenheim Museum di New York


Sequenza di installazioni e mostre di artisti con caratteristiche sempre più ambientali e spettacolari

Mario Merz, 1990: uno dei suoi igloo posto in mezzo alla base della scala centrale

Matthew Barney, The Cremaster Cycle, 2003: intero ciclo di film e una serie di sculture e scenografie a esso
collegate; tappa conclusiva dopo Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris; «Gli spazi del sacrario per
eccellenza dell’arte del XX secolo sono stati trasformati da Barney in un’enorme installazione multimediale.
Schermi con proiezioni di film, sculture e disegni prodotti per le scenografie creavano un enorme
Gesamtkunstwerk indicativo del potere raggiunto dall’artista nella gerarchia del mondo dell’arte. Se il
monumento è stato storicamente l’emblema del potere, l’installazione rappresenta la precarietà della società
odierna, priva di ideologie e di certezze economiche» (PUGLIESE IN MONUMENTI EFFIMERI, 2009)

Maurizio Cattelan: All, 2011 → insieme di tutte le sue opere, appese all’interno dell’iconica scala a chiocciola

La presenza del contemporaneo nei musei d’arte “antica”


Alcuni casi all’estero
Musei tra Olanda e Germania
Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen: Contemporary art and design; come gli oggetti di uso
quotidiano sono cambiati negli ultimi 800 anni, dalle brocche medievali e vetreria del Secolo d'oro olandese
ai mobili Rietveld e al design olandese contemporaneo. Una giovane generazione di artisti visivi come
Eliasson e Cattelan (Untitled, 2001 → Testa umana in cera con capelli naturali e cotone, che sbuca dal
pavimento → il buco nel pavimento suggerisce la scena di un'irruzione, con il ladro che forza violentemente
un passaggio per raggiungere l'oggetto dei suoi desideri criminali → assalto all'istituzione che diventa una
dichiarazione di intenti → sguardo furtivo e cauto della figura rende la scena una metafora della posizione di
Cattelan nell'arte contemporanea → l'artista sceglie di raffigurarsi in una posizione illecita, entrando nella
casa del tesoro della storia dell'arte come intruso → la sua pratica artistica in generale si rivela come una
forma di furto con scasso del sistema stabilito e canonico) aggiorna la collezione d'arte del museo

Brema, Kunsthalle: tradizione e modernità; la prima casa indipendente per una collezione borghese in
Germania. La variegata collezione comprende opere d'arte di otto secoli, da Dürer a Monet e Picasso a Turrell
→ 700 anni di storia dell'arte in un unico luogo. Come parte viva del paesaggio culturale, il museo si vede
nello spirito di libertà e cosmopolitismo non solo come una casa espositiva, ma anche come un luogo di
incontro e di esame di temi e sviluppi attuali. Attraverso le vaste collezioni storiche e un programma attivo
di mostre ed eventi, passato e presente, Brema e il mondo sono riuniti in un dialogo produttivo. Dagli anni
2000, la Kunsthalle è stata in un attivo processo di apertura e diversificazione. Dopo una sostanziale
espansione e ristrutturazione, la Kunsthalle Bremen dimostra una connessione programmatica tra passato e
presente attraverso la sua architettura. L'edificio classicista originale del 1849 con la sua estensione del 1902
ha ricevuto due ali laterali contemporanee nel 2011, sottolineando la simmetria dell'architettura originale

↳ Tierischer Aufstand. 200 Jahre Bremer Stadtmusikanten in Kunst, Kitsch und Gesellschaft: il viaggio
congiunto dei musicanti della città di Brema alla ricerca di una vita dignitosa è caratterizzato da speranza e
pragmatismo. Sono passati 200 anni dalla prima pubblicazione della Fiaba dei Grimm nella seconda edizione
dei Racconti per bambini e famiglie (1819). Da allora, asini, cani, gatti e galli hanno vagato attraverso
un'ampia varietà di mondi pittorici, dalle prime illustrazioni di libri al kitsch e al commercio alle arti visive.
Sebbene non arrivino mai veramente a Brema nelle fiabe, oggi sono saldamente parte del paesaggio urbano
come simboli di coraggio e solidarietà. Tra immagini storiche e cultura quotidiana moderna, opere di Gerhard
Marcks, Maurizio Cattelan (Love Saves Life e Love Lasts Forever), Ayse Erkmen e molti altri fanno luce sulla
gestione artistica dei quattro animali popolari e sui temi della fiaba

Monumenti da calpestare
Qualche esempio di arte pubblica nello spazio urbano → rapporti tra architettura e memoria

Riferimento: A. Zevi, Monumenti per difetto. Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d’inciampo, Donzelli, Roma
2014 (Virgola, 107)

in tema di memoria, la testimonianza artistica, o il contenitore architettonico, non sono mai indifferenti, né
tantomeno neutrali

Mausoleo delle Fosse Ardeatine


primo monumento a non essere concepito come oggetto da contemplare ma come percorso «da agire», per
far rivivere il tragitto seguito dalle vittime; le forme – naturali, architettoniche e artistiche – non sono intese
come stazioni di arrivo, ma come tappe intermedie di un circuito continuo

Jochen Gerz
«contro-monumento» → prevede già nella concezione la sua sparizione

Ostia antica (Noi e loro, 2010): mette in relazione le antiche rovine romane con la storia della comunità
ebraica e della sinagoga accomunate da una topografia territoriale e urbana
un atto artistico, un’installazione che pone come fatto pregnante il ricordo e il ridare vita creando una sorta
di giardino botanico della memoria, sia presente che passata

«L’ebraismo è il solo grande culto che considera una rovina il più sacro dei luoghi» (RABBINO VITTORIO HAIM
DELLA ROCCA)

[cfr. Alberto Burri → Cretto di Gibellina → non ha a che fare con la Shoah, ma con gli effetti distruttivi di un
terremoto che ha cancellato l’antica Gibellina, in Sicilia (1968) → sulle macerie del paese distrutto, sente
quel luogo come sacrario della memoria]

Guter Demnig
«pietre d’inciampo» → «memoriale diffuso» dedicato a tutti i deportati: discreto, centrifugo, antigerarchico
e in progress; un enorme mosaico della memoria europea le cui tessere sono le decine di migliaia di
sampietrini collocati davanti alle abitazioni dei deportati, che restituiscono loro dignità di persone e un luogo
dove ricordarli

Peter Eisenman
Architetto tedesco

Denkmal für die ermordeten Juden Europas a Berlino

monumento commemorativo per gli Ebrei assassinati d’Europa, nel centro di Berlino, senza cancelli o confini,
in cui 2711 pilastri di diversa altezza e inclinazione vanno a costruire una griglia deformata e asimmetrica,
sbilenca → registra il passaggio dal monumento come percorso al monumento come brano di città

Jüdisches Museum di Daniel Libeskind


il più grande museo ebraico in Europa, situato a Berlino

composto da due edifici, uno dei quali è un ampliamento appositamente progettato dall'architetto Daniel
Libeskind, una collezione permanente e svariate esposizioni temporanee raccontano due millenni di storia
degli ebrei in Germania. Dopo due anni di ristrutturazione, la nuova mostra permanente "L’ebraismo in
Germania – Tra storia e presente" ha aperto le sue porte nel 2020. Trasmette la storia, la cultura e il presente
ebraico in Germania con un nuovo orientamento e una nuova scenografia.

Il museo comprende anche un archivio, una biblioteca e l'Accademia W. Michael Blumenthal. Queste
strutture servono a trasmettere la cultura ebraica e la storia ebraico-tedesca.

L'edificio stesso può essere considerato un'opera d'arte, poiché mescola architettura e scultura

Libeskind ha battezzato il suo progetto between the lines, nei punti in cui le due linee si intersecano si
formano spazi vuoti detti voids, che attraversano l'intera costruzione del museo e ne sono concettualmente
l'elemento strutturale centrale. Spazi in cui non è possibile entrare, privi di luce artificiale e climatizzazione
che rimandano alla radicale distruzione della vita ebraica che non è possibile mostrare. «La parola
inglese Void in architettura normalmente è un termine tecnico per dire che sopra o sotto non c'è nulla. Io
non volevo però creare uno spazio nel senso di qualcosa di sconosciuto, bensì un luogo dell'incontro,
dell'assenza, che tuttavia fosse uno spazio fisico. Il Void non è soltanto uno spazio concettuale. Lo si può
vedere e percepire visitando le mostre. Non importa quanto sia attraversabile o a volte inattraversabile. Non
importa che cosa si faccia, questo buco creerà sempre una discontinuità. Il buco non è molto largo, ma basta
per creare luce, un raggio di luce, che taglia la costruzione. La costruzione è divisa dalla luce. Ed è la luce che
dischiude il senso di buona parte dell'edificio. È una storia raccontata attraverso la luce - dall'ingresso
nell’edificio barocco verso l'oscurità e poi verso i diversi assi che il visitatore può scegliere di seguire.»

Visto dall'alto, l'edificio ha la forma di una linea a zig-zag, e per questo è stato soprannominato blitz. La forma
ricorda una stella di David decomposta e destrutturata. L'edificio è interamente ricoperto da lastre di zinco-
titanio e le facciate sono attraversate da finestre molto sottili e allungate, disposte in modo diagonale,
verticale e orizzontale più simili a squarci o ferite che a vere e proprie finestre, disposte in modo casuale

L'entrata al museo è stata intenzionalmente resa difficile e lunga, per infondere le sensazioni di sfida e di
difficoltà che sono distintive della storia ebraica: «Ho sempre pensato che un edificio debba raccontare una
storia. Non doveva essere solo un'astrazione, qualche finestra, qualche spazio, qualche oggetto. Doveva
essere un percorso, un viaggio, ed è complessa questa storia... la storia degli ebrei in Germania... la
distruzione di questa comunità avvenuta in un modo così orribile, come è accaduta nella Shoah. Come
raccontare questa storia? Non attraverso le parole, perché un architetto non può raccontarla con le parole:
la si può raccontare attraverso i materiali, proporzioni, con l'acustica, con un senso dello spazio.»

Progetti di Alberto Garutti


Indagine preliminare sulla storia di un luogo e dei suoi abitanti; Patrimonio collettivo

la ristrutturazione del teatrino di Fabbrica, frazione di Peccioli in provincia di Pisa (prima committenza
pubblica ricevuta dall’artista) → luogo caro alla comunità, ma allora in disuso → su una lastra di pietra,
installata all’ingresso del teatro, è incisa la frase: «Dedicato ai ragazzi e alle ragazze che in questo piccolo
teatro si innamorarono» → occasione “estetica” per affermare un procedimento metodologico che l’artista
definisce “machiavellico”, perché l’opera da un lato si integra nel territorio sociale e geografico, dall’altro si
rivolge al sistema dell’arte esplorandone i linguaggi → lavorare sul metodo e in un modo politico piuttosto
che fare un’opera politica → instaurare una trama di relazioni con la città

Ai Nati oggi, 2000, Piazza Dante, Bergamo: Targa con didascalia e pulsante nel reparto di Maternità
dell’Ospedale di Bergamo, che attiva l’accensione dei lampioni di piazza Dante → luce dei lampioni si
intensifica ogni volta che nasce un bambino → in prossimità dei lampioni, nella pavimentazione è posta una
lastra di pietra in cui è inciso il testo: «I lampioni di questo luogo sono collegati con il reparto di maternità
dell’ospedale … Ogni volta che la luce lentamente pulserà, vorrà dire che è nato un bambino. L’opera è
dedicata a lui e ai nati oggi in questa città.»; Intervento riproposto a Gent, Istanbul, Mosca, Bergamo…

Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora, 2004 (collocazione 2015), Firenze, piazza
Santa Maria Novella: Proprietario e detentore = Museo del Novecento di Firenze; lastra inserita nella
pavimentazione della piazza con l’iscrizione: «Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui,
ora» → frase che ciascun passante può fare propria e interpretare in maniera personale; Installata a partire
dal 2004 in varie città, l’opera crea relazioni invisibili tra diversi luoghi e differenti traiettorie individuali; A
Firenze è stata collocata, a cura di Valentina Gensini, di fronte al Museo Novecento, in dialogo con la lapide
che nel loggiato delle Leopoldine ricorda i detenuti politici da lì deportati nei campi di concentramento nel
marzo 1944, invitando il passante a ricordare la storia anche quando lo spazio della città, nel suo continuo
mutare, non ne restituisce la memoria

Piccolo Museion (Cubo Garutti), 2000-2001, Bolzano, via Sassari 17b: nato in occasione del progetto Arte sul
territorio curato da Museion - museo d'arte moderna e contemporanea di Bolzano → intervento per
il quartiere Don Bosco; sede distaccata del museo di arte contemporanea cittadino → padiglione in cui
ospitare, a cadenza regolare, opere dalle collezioni del Museion; La piccola struttura non è accessibile, ma
funziona come una vetrina all'interno di un'area verde; Di notte, si attiva un impianto di illuminazione, per
rendere le opere sempre visibili; I lavori presentati, a cui si alternano progetti ad hoc, oltre a rappresentare
una diversa modalità di incontro con un pubblico che non frequenterebbe altrimenti il museo, acquistano il
ruolo poetico di custodi della comunità

Performance uso del corpo in arte


Ibridazione di generi diversi → interesse per le arti performative, musica e teatro

Body Art → il corpo come mezzo espressivo → tra narcisismo, ironia e autolesionismo
«La mancanza di limiti specifici nelle varie pratiche artistiche del XX secolo ha portato a un’ibridazione di
generi di cui è figlia la performance. Si tratta infatti di una sorta di azione/rappresentazione svolta
generalmente dall’artista secondo uno schema di comportamento predefinito senza il coinvolgimento diretto
del pubblico. L’azione performativa prevede dunque una progettazione dell’azione e in questo caso si avvicina
ai modi del teatro sperimentale, ma al contempo è focalizzata sulla centralità del corpo del performer,
mostrando analogie con la danza.» (D. GIACON, PERFORMANCE E USO DEL CORPO IN ARTE, IN M. PUGLIESE, TECNICA
MISTA, MILANO, BRUNO MONDADORI 2006, P. 109)

Precedenti nelle avanguardie storiche


Dadaismo: Kurt Schwitters, Ursonate, Londra, 1944 → poesia fonetica, declamazione di suoni che non corri-
spondono a parole reali

Futurismo: ricerca onomatopea, serate futuriste → esigenza di creare nuove formule di presentazione del
proprio lavoro

Man Ray: Tanti scatti fotografici dell'alter-ego femminile di Duchamp (Rrose Sélavy)

Pollock: dripping, processo creativo performativo (anche se ancora teso unicamente alla creazione di
un’opera) → di conseguenza: Serra e Kaprow (→ ha studiato composizione musicale con John Cage tra il
1956 e il 1958; In seguito all’incontro con Cage ha approfondito la valenza estetica delle nozioni di caso e
indeterminatezza, che sono alla base dell’happening)

Gruppo Gutai: riflessione sulla rilevanza del processo creativo rispetto al risultato allestendo azioni ed eventi
di natura performativa

Fluxus (Wiesbaden 1962): episodi performativi → v. Joseph Beuys, che estende la propria concezione di arte
fino a introdurre il concetto di ‘scultura sociale’ → Coyote + in Documenta 1972, l’artista realizza l’Ufficio per
la democrazia diretta, un luogo di confronto con il pubblico aperto per tutta la durata della manifestazione;
v. anche Ben Vautier, Yoko Ono e Nam June Paik

Nouveaux réalistes: performatività → v. Yves Klein → Salto nel vuoto + colorazione delle urine dei visitatori
con il cocktail blu alla mostra Le Vide

Gilbert & George (Gilbert Proesch e George Passmore)


Singing Sculptures, 1969, St. Martin’s School of Art, Londra: espongono se stessi ricoperti di vernice dorata
→ sculture viventi

Doubles (Doppi), 1989, Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli, Rivoli (Torino): Ingrandimenti
fotografici colorati, 20 pannelli; Performance → riproduzione seriale (sempre e solo la loro immagine); Un
George rosso col volto verde ha alle spalle due Gilbert (verde e blu) + un Gilbert verde col volto rosso ha alle
spalle due George (rosso e blu); Stesse fotografie - diversificazione cromatica (continuo travestimento) →
RGB si intercambiano tra abito, colletto, cravatta, volto e scarpe

Arnulf Rainer
Autoritratti fotografici, col viso sfigurato da smorfie, su cui interviene pittoricamente, con segni espressivi
eseguiti direttamente con le mani, che sottolineano l’andamento dinamico della smorfia

Legami con la pittura viennese del primo Novecento (Schiele, Kokoschka)

Splitter (scheggia), 1971, MART, Rovereto: Pastelli e olio su fotografia

Vito Acconci
Azioni che sondano i limiti estremi delle esperienze fisiche e delle relazioni interpersonali (distanza di
sicurezza tra una persona e l’altra)
Opere che si collocano tra la scultura pubblica e l’architettura: progetti di scuole esplose, rotonde viarie che
si alzano al passaggio delle auto, librerie labirintiche e dai muri trasparenti

Uso provocatorio e scioccante del proprio corpo, inteso come pagina bianca sulla quale scrivere storie o
rappresentare esperienze

Applications, 1970, MART, Rovereto: impronte del rossetto della protagonista femminile del video sul corpo
dell’artista → rapporti interpersonali

Proximity, 1971: performance; Reazione di imbarazzo o fastidio, per l’impudente prossimità a sconosciuti

Rubbing Piece, 1969, Ristorante Max’s Kansas City, New York: Azione di sfregamento di un’ora
sull’avambraccio sinistro fino a piagarlo

serie Trademarks: morsi, abrasioni, segni, ferite → anche spalmati di inchiostro e stampati su tela o carta

Gina Pane
Azione sentimentale, 1973, Galleria Diagramma di Milano: Attributi della sposa → jeans bianchi e bouquet di
rose → dono di sé; Taglio dei polsi, sopportazione delle spine infilzate nell’avambraccio; Distacco del pubblico
che sembrava assistere a una rappresentazione teatrale

Psyche, 1975, Galleria Diagramma di Milano: Azione, quattro tagli a croce intorno all’ombelico; Lamette,
schegge di vetro - una sorta di rigenerazione attraverso il sangue; Dolore = forma più immediata e percepibile
di comunicazione

Marina Abramovich
sessualità e corporeità al centro delle performance

Imponderabilia, 1977, Galleria d’arte moderna, Bologna: insieme a Ulay; pubblico costretto a entrare nello
spazio passando tra i loro corpi nudi

The Great Wall Walk, 1988: Marina Abramovich e Ulay percorrono a piedi la Muraglia cinese dai due lati
opposti per incontrarsi a metà strada; Simbolica conclusione della loro relazione professionale e personale

Dragon Heads (Teste di drago), 1992, Deichtorhallen, Amburgo: Performance di un’ora con cinque pitoni sul
corpo e sul capo; Sottofondo = Un dì, felice, eterea (Alfredo nella Traviata di Giuseppe Verdi); Secondo
l’artista, i serpenti seguivano le «linee di energia sprigionate dal suo corpo»; Possibile reminiscenza dell’opera
simbolista molto famosa in Germania Il peccato (Die Sünde) di Franz von Stuck

Balkan Baroque, 1997, Biennale di Venezia: Rame, acqua, 100 femori di mucca; Performance → Lavava un
mucchio di ossa di bovino per 8 ore al giorno nel sotterraneo della Biennale, come a mondare il suo popolo
dalle colpe della guerra nell’ex Jugoslavia

Rebecca Horn
Non ha carattere eversivo di denuncia o di rivendicazione femminista → no valore politico

Lunga degenza in ospedale isolamento forzato, vulnerabilità del corpo

Estensioni del corpo (sugli arti, sulla testa…) → sculture presentate nelle collezioni museali e/o indossati
durante performance o riprese video → entra in relazione con il proprio corpo e lo spazio circostante; rimandi
a figure mitologiche

Einhorn, 1972, Documenta 5, Kassel: Tessuto e legno; giovane donna prossima alle nozze indossa il corno per
attraversare la campagna e avvicinarsi al bosco; Punti di contatto tra Body Art e Land Art → fragilità dei
confini tra arte e vita, necessità di documentare gli interventi, ambiente paesaggistico imponente e inviolato;
riferimenti artistici → 1. La Columna Rota di Frida Kahlo (1944) → corpo nudo avvolto da cinghie bianche →
permettono di sorreggere il corno), 2. La dama e l'unicorno → ciclo di arazzi fiamminghi della fine del XV
secolo → nella leggenda l'unicorno è visibile solo dalle vergini

Arm Extensions, 1968: protesi che irrigidiscono le braccia, ma consentono di esplorare lo spazio

Vanessa Beecroft
rifacendosi all’iconografia artistica del nudo femminile di gruppo, realizza performance in cui giovani donne
con dettagli di abbigliamento uguali si muovono lentamente nello spazio → effetto, imbarazzante e
straniante, che evidenzia il voyeurismo del pubblico e la dimensione oggettuale del corpo femminile nella
tradizione storico-artistica

Vb43.069.te, 2000, Gagosian Gallery, Londra: attenzione per altri linguaggi della comunicazione (v. sfilate di
moda); corpi delle modelle come materiale espressivo per comporre tableaux vivants in lunghe performance
pubbliche; Mutismo, totale isolamento, imbarazzo in chi osserva; modelle obbligate a una lunga posa

Performance Ponti Sister, 2001, Associazione culturale Vista Mare, mostra “Camera Italia” a Pescara: La
sorella dell’artista e una sua amica nigeriana, dipinte a fasce nere e bianche; Bianco su bianco (o nero su
nero) all’inizio e alla fine della performance

Potrebbero piacerti anche