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“Entartete Kunst”: la mostra nazista che condannava


l’“arte degenerata”

19 luglio 1937. A Monaco di Baviera, presso l’Istituto di Archeologia dell’Hofgarten, si


apre la mostra Entartete Kunst, “Arte degenerata”, ed è curata da Ziegler, un pittore
accademico che il regime nazista ha messo a capo della Reichskammer der Bildenden
Künste (“Camera del Reich per le Arti Visive”), un istituto nato per promuovere l’arte
tedesca ritenuta conforme, viene anche incaricato di ritirare dai musei tedeschi tutti i
dipinti che contravvengono ai principî del regime stesso. Le linee che guidano i sequestri
trovano il loro compendio più esemplificativo in un pamphlet pubblicato agli inizi del 1937:
si intitola Säuberung des Kunsttempels (“Pulizia del tempio dell’arte”) e l’autore è il pittore
Willrich.

Con il suo lavoro, Willrich si impone come uno degli ideologi delle censure. Per lui la
creazione artistica è un modo per definire la pura razza tedesca. Risvegliare il desiderio,
da parte del popolo tedesco, per una tale nobiltà, stabilire in modo chiaro che il bello e il
sublime non sono semplicemente un privilegio di dèi nei quali non si può credere, ma
sono semmai una possibilità umana, nonché il fine ultimo della rinascita... che obiettivi
nobili per l’arte!”. L’arte deve, in sostanza, fornire un esempio al popolo, tale da poterlo
guidare nella definizione della razza pura. Nessuno spazio, dunque, per un’arte che devii
da tale fine: il successo di artisti come Nolde, Kirchner, Schmidt-Rottluff e molti altri, e la
loro inclusione nell’Accademia delle Arti di Berlino, viene visto da Willrich come frutto della
“corruzione dello spirito”, dello “sforzo di soddisfare l’opinione pubblica” e della
“bolscevizzazione” dell’arte. Willrich, tuttavia, non è né il primo, né il più influente: molti
anni prima di lui, nel 1892, Max Nordau aveva pubblicato un libro,
intitolato Entartung (“Degenerazione”) che si era configurato come una delle prime opere
sull’arte degenerata. Tesi di Nordau era che l’umanità stesse conoscendo, appunto, un
periodo di degenerazione, d’indebolimento della morale, e che l’arte fosse tra i principali
responsabili di tale degrado. La sua critica s’era concentrata per lo più sulla letteratura
(venivano indicati come “degenerati” autori come Nietzsche, Ibsen, Wilde, Zola,
Baudelaire, Tolstoi), ma spaziava anche nel campo delle arti visive, nel quale erano
elencati, tra gli altri, Manet, Rossetti, gli impressionisti, i simbolisti.

L’idea di un “canone dell’arte degenerata” non è dunque nuova: ma negli anni Trenta è
destinata ad avere un ruolo profondo sulle vicende artistiche della Germania e, di riflesso,
di tutta l’Europa. Tutti gli artisti più innovativi del tempo vengono infatti messi al bando dal
regime. I nomi sono illustri: leggere le liste delle opere d’arte sequestrate è come
ripercorrere la più grande storia dell’arte del primo Novecento. Vi troviamo gli artisti del
gruppo Die Brücke, quelli del Blaue Reiter, altri espressionisti, e ancora gli artisti della
Secessione Berlinese, quelli della Neue Sachlichkeit, i dada come Kurt Schwitters e Raoul
Hausmann, gli artisti della Bauhaus i cubisti, e ancora, i futuristi, i simbolisti, i post-
impressionisti come van Gogh, Cézanne e Matisse, e poi artisti della Parigi degli anni
Venti, fino agli autori più recenti e aggiornati.

Molte delle loro opere sono incluse nella grande mostra del 1937. Un’esposizione che
comunque non si configura come la prima in assoluto: la mostra di Monaco di Baviera è
infatti preceduta da diverse altre esposizioni di più ridotte dimensioni, la prima delle quali s’era
tenuta presso il Municipio di Dresda nel 1933. In quell’occasione, venivano proposte al
pubblico circa duecento opere, due terzi delle quali erano disegni e acquerelli, più almeno
quarantadue dipinti e dieci sculture. Malgrado le dimensioni relativamente contenute, si
trattava di una mostra importante, e non solo perché fu la prima di quelle dedicate alla
“Entartete Kunst”, ma anche perché costituì il nucleo fondante del grande evento che avrebbe
aperto i battenti il 19 luglio del 1937. Poi, nei quattro anni che intercorrono tra la mostra di
Dresda e quella di Monaco di Baviera, si verificano accadimenti destinati a influire in modo
ancora più pesante e massiccio sull’ambiente artistico tedesco. Verso la fine del 1936, il
Ministro per l’istruzione e la propaganda, Joseph Goebbels, dà vita a due azioni decisive:
nomina, come presidente della Reichskammer der Bildenden Kunst, il suddetto Ziegler,
decisamente più estremista del suo predecessore Eugen Hönig, e soprattutto mette al bando
la critica d’arte in modo da stringere il controllo diretto del Reich su ogni manifestazione
artistica in Germania (del resto già nel 1929 Hitler aveva individuato nella stampa uno dei
principali responsabili della diffusione dell’“arte degenerata”). La decisione pone, di fatto, la
parola “fine” sul dibattito artistico nel paese: di lì in avanti, solo l’arte conforme alle istanze del
Reich avrebbe trovato spazio nelle gallerie. Per sancire il nuovo corso e per dare ufficialmente
un indirizzo, Goebbels (che, così come Hitler e Göring, aveva visitato negli anni precedenti le
piccole mostre di “Entartete Kunst”) decide di organizzare un doppio evento a Monaco di
Baviera: una grande mostra che raccolga l’arte considerata sana ed esemplare (Große
Deutsche Kunstausstellung, “Grande mostra dell’arte tedesca”), aperta a tutti gli artisti che
vogliano partecipare (la commissione giudicatrice riceverà ben quindicimila richieste di
partecipazione) e una mostra che, al contrario, raduni quanto considerato deviante.
Quest’ultima viene organizzata in tempi rapidissimi: il decreto con cui Goebbels investe Ziegler
del ruolo di curatore è datato 30 giugno. In appena due settimane, il presidente della
Reichskammer e la sua commissione setacciano i musei tedeschi e confiscano 5.328 opere,
tra le quali verranno selezionate quelle da mostrare al pubblico.
Le direttive che la commissione di Ziegler segue sono piuttosto semplici. Vengono sequestrate
tutte le opere tendenti all’astrazione o con figure ritenute irrealistiche. Si colpiscono poi le
opere considerate lesive del comune pudore, o dell’onore della nazione. Vengono poi ritirate
dai musei le opere di artisti ritenuti privi di abilità tecnica. Ancora, vengono passate in
rassegna le riviste sulle quali scrivono i critici più aggiornati, in modo da ottenere facilmente
liste di nomi di artisti da censurare. Viene studiato l’odioso libro di Willrich che elenca ulteriori
artisti considerati degenerati, e lo stesso viene fatto con la produzione letteraria dei critici di
regime. In generale, sono colpiti dai sequestri tutti gli artisti la cui sensibilità viene considerata
lontana da quella del Reich. Non vengono risparmiati neppure gli artisti che hanno aderito al
NSDAP, il Partito Nazista: a Emil Nolde, che era da tempo iscritto al partito, vengono
confiscate più di mille opere, e gli viene proibito di dipingere, malgrado le sue proteste. Nolde,
e molti altri artisti, vengono infatti raggiunti dalle lettere del presidente della Reichskammer,
che comunicano la loro esclusione dall’istituto. Ecco cosa recitava quella ricevuta da Schmidt
Rottluff: "In occasione dell’eliminazione dell’arte degenerata dai musei [...], La informo che a
Lei sono state confiscate 608 opere. Un certo numero di esse sono state esposte alle mostre
Entartete Kunst a Monaco, Dortmund e Berlino. Per questa ragione, Lei deve comprendere
che le Sue opere non sono conformi ai fini di promozione della cultura tedesca nei confronti
del popolo e del Reich. Lei doveva essere consapevole del discorso pronunciato dal Reich
all’apertura della Große Deutsche Kunstausstellung, e malgrado ciò ancora oggi Lei risulta
lontano dal pensiero culturale dello Stato Nazionalsocialista. Sulla base di quanto sopra
descritto, Lei non ha più i requisiti per far parte di questa Camera. [...] La escludo quindi dalla
Reichskammer der bildenden Kunst, e Le proibisco, con effetto immediato, di dedicarsi a
qualsiasi attività, sia a titolo professionale sia ad altro titolo, nel campo delle arti visive.
Firmato: Adolf Ziegler".
I curatori, presi dalle confische, hanno poco tempo per preparare il materiale promozionale. Le
tempistiche consentono di pensare unicamente un volantino che reclamizza l’evento in questo
modo: Tele torturate - Degrado mentale - Fantasie malate - Incompetenti malati di mente -
Prodotti e produttori di un’“arte” premiata dalle cricche degli ebrei ed apprezzata dai letterati,
comprata dallo Stato e dalle città sperperando milioni delle risorse nazionali mentre artisti del
popolo tedesco morivano di fame. Ecco: come era quello Stato, tale era la sua arte. Venite a
vedere! Giudicate voi stessi! Visitate la mostra “Entartete Kunst”. Ingresso libero. Vietato ai
giovani. Il catalogo ufficiale della mostra verrà pubblicato solo quattro mesi dopo, in occasione
della tappa che la mostra fa a Berlino, e diventa celebre per la sua copertina, che consiste in
una fotografia di un’opera di Otto Freundlich (Słupsk, 1878 – Majdanek, 1943), Großer Kopf
(Der Neue Mensch), ovvero “Grande Testa (L’uomo nuovo)”, una scultura di stampo
primitivista, chiaramente ispirata alle grandi statue dell’Isola di Pasqua: sull’immagine viene
semplicemente apposto il titolo della mostra. Sia Freundlich che la sua scultura sono peraltro
destinati a fini tragiche: la scultura scompare nel 1941, probabilmente distrutta, mentre l’artista
viene deportato nel campo di concentramento di Majdanek, nei pressi di Lublino, in Polonia, e
viene assassinato proprio nel giorno dell’arrivo.
Figura 3 Il volantino pubblicato per promuovere la mostra e il catalogo della mostra di Berlino
La mostra si apre quindi il 19 luglio: a tenere l’agghiacciante discorso inaugurale è lo
stesso Ziegler. Riportiamo di seguito un passo del suo intervento: “Abbiamo ancora un
tragico dovere da compiere: dobbiamo mostrare al popolo tedesco che, fino a poco tempo
fa, certe forze, che nell’arte non vedevano una naturale o chiara espressione vitale,
esercitavano un’influenza sostanziale sulla produzione artistica. Erano forze che
rinunciavano deliberatamente a un’arte sana per promuoverne una che era invece malata
e degenerata, celebrandola peraltro come la più grande rivelazione. Ma dalle parole
pronunciate ieri dal Führer possiamo con entusiasmo renderci conto che per queste forme
d’arte è finalmente giunta la fine. [...] Oggi ci troviamo nel mezzo di una mostra che non
rappresenta altro che una frazione di quanto i musei, con i soldi del popolo tedesco, hanno
comperato come arte e hanno esposto ed esibito come arte. Tutto intorno a voi potete
vedere i prodotti di queste pazze canaglie, i sottoprodotti alterati dell’impudenza,
dell’inettitudine, della degenerazione. E quello che la presente mostra ha da offrire ci
provoca lo stesso disgusto, il più assoluto sconcerto. Molti dei curatori dei nostri musei non
hanno neppure un briciolo di senso della responsabilità nei confronti del popolo e della
nazione, cosa che invece rappresenta il prerequisito fondamentale per poter curare una
mostra d’arte”. All’inaugurazione della Große Deutsche Kunstausstellung, che aveva
aperto il giorno prima, era presente anche lo stesso Führer, che aveva tenuto il discorso
inaugurale: tuttavia, molti di quanti erano lì avrebbero poi scritto che, quel giorno, Adolf
Hitler era molto nervoso. Sembrava che, in certa misura, lui, Goebbels e gli altri convenuti
avvertissero lo scarto di qualità tra le opere per la più parte mediocri e insulse che
popolavano la mostra dell’arte ariana, e le opere della più aggiornata avanguardia che
erano state riunite per la mostra dell’arte degenerata. E Hitler aveva ben ragione d’essere
preoccupato, perché il pubblico si sarebbe dimostrato molto più desideroso di visitare la
mostra della Entartete Kunst: alla chiusura, stabilita per il 30 novembre, l’esposizione
avrebbe fatto registrare ben 2.009.899 visitatori, più del triplo di quelli della “grande mostra
dell’arte tedesca”. Rimane ancora oggi una delle mostre d’arte più frequentate della storia:
per alcuni si tratta addirittura della mostra d’arte contemporanea più visitata di sempre.
Figura 4 Il pubblico in coda per entrare alla mostra "Entartete Kunst" di Monaco di Baviera

Figura 5 Adolf Hitler (secondo da sinistra) supervisiona la mostra di Monaco di Baviera con Ziegler (primo da sinistra)

Diverse le cause del successo. L’ingresso gratuito certo ha facilitato un’alta


partecipazione, ma non è che uno degli ingredienti di un riscontro tale da indurre gli
organizzatori a pensare a ulteriori tappe, al fine di portare le opere degli “artisti degenerati”
a Berlino, Lipsia, Düsseldorf, Vienna, Salisburgo e altre città del Reich, in un tour destinato
a durare quattro anni. I visitatori, intanto, percepiscono come trite, noiose e monotone le
opere dell’“arte ufficiale”, mentre più stimoli provengono dai “degenerati”. Ancora, il
pubblico evidentemente immagina che la mostra di Monaco di Baviera rappresenti l’ultima
occasione per vedere dal vivo e da vicino le opere degli artisti moderni: molte di queste,
infatti, verranno distrutte, e di altre si perderà traccia. Oppure, i visitatori desiderano
vedere fino a che punto il regime s’è spinto a insultare gli “artisti degenerati”, come il
volantino lasciava supporre.

Nelle sale della mostra, infatti, i dipinti sono sempre accompagnati da commenti e slogan
infamanti. Le opere sono molte: però, dal momento che dell’edizione di Monaco di Baviera
manca il catalogo ufficiale, che come accennato sopra uscirà solo in occasione della
tappa di Berlino, non si può far altro che avanzare delle stime sui numeri, e gli studiosi
indicano tra le 650 e le 750 le opere che si alternano negli ambienti dell’Istituto di
Archeologia dell’Hofgarten. Sappiamo, dal catalogo berlinese, che le opere sono suddivise
in gruppi tematici, ognuno presentato da un apposito titolo. Tuttavia la suddivisione dei
gruppi tra le sale, nella mostra di Monaco, non segue in modo pedissequo i
raggruppamenti noti dal catalogo, ma citarli dà comunque un’idea di quali fossero le
caratteristiche che i nazisti attribuivano all’“arte degenerata”. Primo gruppo,
degenerazione... tecnica: “Zersetzung des Form und Farbempfindens” (“Disintegrazione
della percezione della forma e del colore”). Secondo gruppo, opere a tema religioso:
“Unverschämter Hohn auf jede religiöse Vorstellung” (“Insolenti offese a ogni idea
religiosa”). Terzo e quarto gruppo, opere a tema politico: “Der politische Hintergrund der
Kunstentartung” (“Il contesto politico della degenerazione dell’arte”) e “Politische Tendenz”
(“Tendenze politiche”). Quinto gruppo, opere ritenute offensive nei confronti della morale:
“Einblick in die moralische Seite der Kunstentartung: Bordell, Dirnen, Zuhälter” (“Sguardo
sugli aspetti morali della degenerazione artistica: bordelli, prostitute, protettori”). Sesto
gruppo, opere considerate lesive della dignità della razza ariana: “Abtötung der letzten
Reste jedes Rassebewußtseins” (“Distruzione degli ultimi resti di ogni consapevolezza
razziale”). Settimo gruppo, opere lontane dai canoni estetici ritenuti sani e conformi ai
principî del Reich: “Idioten, Kretins, Paralytiker” (“Idioti, cretini, paralitici”). Ottavo gruppo,
opere prodotte da artisti ebrei, intitolato semplicemente “Juden” (“Giudei”). Nono e ultimo
gruppo, opere di artisti considerati pazzi: “Vollendeter Wahnsinn” (“Pazzia assoluta”). Oggi
conosciamo molte delle opere esposte alla mostra, che si apre con un grande crocifisso,
tendente all’astrazione, di Ludwig Gies, accompagnato dal commento “Dieses
Schauerwerk hing als Heldenehrenmal in Dom zu Lübeck” (“Questa orrenda opera è
appesa come omaggio ai caduti nella Cattedrale di Lubecca”). La scultura (in seguito
distrutta) introduce la sala delle opere a tema religioso, dove figurano dipinti come il
Paradiso perduto di Emil Nolde (oggi alla Nolde Stiftung Seebüll) o il Cristo e l’adultera di
Max Beckmann (oggi conservato al City Art Museum di Saint Louis). Ma sono molte le
opere di grande pregio che trovano spazio nelle sale della mostra. Dipinti come le Tre
ragazze di Otto Müller (anch’esso oggi a Saint Louis), il cosiddetto Purim di Marc Chagall
(oggi al Philadelphia Museum of Art), e ancora le Dame al caffè di Ernst Ludwig Kirchner
(oggi al Brücke-Museum di Berlino), la veduta di Monte-Carlo di Oskar Kokoschka (oggi al
Musée d’Art Moderne di Liegi), l’Ecce Homo di Lovis Corinth oggi al Kunstmuseum di
Basilea e i Due gatti, blu e giallo di Franz Marc (nello stesso museo). Particolarmente
famosa è la parete che ospita le opere afferenti al movimento dada: in una fotografia,
sotto all’ironico slogan “Nehmen Sie Dada ernst! / Es lohnt sich” (“Prendete sul serio il
Dada! / Ne vale la pena”), si distinguono chiaramente una Ringbild di Kurt Schwitters
(della quale non conosciamo la sorte) e la Leggenda della palude di Paul Klee, che oggi è
conservata alla Städtischen Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera. In un’altra
fotografia nota vediamo una parete su cui campeggia lo slogan “Sie sagen es selbst” (“Lo
dite voi stessi”, rivolto al pubblico) e dove sono appese opere come le Maschere di Emil
Nolde (oggi in collezione privata), o i Due rossi di Vassilij Kandinskij e l’autoritratto di
Conrad Felixmüller, entrambi dipinti dei quali ignoriamo la fine.
Figura 6 Emil Nolde, Paradiso perduto (1921)

Figura 7Marc chagall, Purim (1917)

Figura 8 Franz Marc, Due gatti blu e giallo (1912)


Figura 9 Oskar Kokoschka, Monte Carlo (1921)

Figura 10 La parete con le opere Dada

Alla data del 1941, saranno più di sedicimila le opere confiscate dai nazisti. Molte di loro
verranno distrutte, mentre altre, come alcune di quelle sopra elencate, riusciranno
fortunatamente a salvarsi. Leggendo la lista delle opere esposte alla mostra di Monaco di
Baviera, ci si accorgerà dell’assenza pressoché totale di opere di artisti stranieri (come van
Gogh, Braque, Picasso e altri), che pure erano state sequestrate durante i rastrellamenti di
gallerie e musei. Molte di loro, infatti, verranno vendute all’estero, spesso su iniziativa degli
stessi gerarchi: Hermann Göring, che grazie a confische e saccheggi nei paesi occupati era
riuscito a crearsi una cospicua collezione, nel 1938 aveva preso sotto la sua custodia un buon
numero di dipinti di artisti post-impressionisti, e li aveva personalmente ceduti o barattati per
altre opere. Le misure dei nazisti, tuttavia, non sarebbero riuscite a fermare del tutto le
avanguardie. Molti artisti troveranno altri modi d’esprimersi: i più si sposteranno all’estero e
proseguiranno la loro attività in Francia, in Olanda, negli Stati Uniti, continuando il loro lavoro
laddove i sequestri e le distruzioni l’avevano interrotto. E oggi è possibile affermare con
sicurezza che, malgrado la buia parentesi, l’arte si è dimostrata decisamente più forte della
violenta barbarie.

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