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BREVE STORIA DELLA GLOBALIZZAZIONE IN ARTE – Marco Meneguzzo

INTRODUZIONE

Il sistema dell’arte occidentale si trova oggi a misurarsi con altri modelli di sviluppo solo
in apparenza analoghi, ma invece portatori di grandi cambiamenti che potrebbero mettere
in discussione lo stesso sistema occidentale e il suo statuto di modello unico a cui
uniformarsi. I primi indizi sono emersi negli anni ‘80 quando l’arte è cominciata a diventare
un business economico di una certa rilevanza <- questa è stata una premessa del
fenomeno della globalizzazione e se si aggiunge la caduta in quel periodo del concetto
di avanguardia, si capisce come gli anni ‘80 siano stati lo spartiacque tra un prima e un
dopo, tra l’arte come fatto esclusivo ed elitario e l’arte come fenomeno globalizzato e
collettivo. Ci sono stati comunque indizi premonitori della situazione degli anni ‘80, sia per
quanto riguarda il cambiamento del modo di considerare l’arte sia per l’allargamento del
sistema dell’arte a culture e paesi prima non coinvolti nel modello occidentale > in
particolare fondamentale è stato il passaggio di capitale dell’arte da Parigi a New York
negli anni 50 e l’affacciarsi dell’arte giapponese sul mercato mondiale più o meno negli
stessi anni. Ciò nonostante, il cambiamento fondamentale si è innescato negli anni ‘80 e
corrisponde alla globalizzazione in arte, cioè l’attenzione sempre più evidente del
mercato per i paesi emergenti definiti con la sigla BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e
Sudafrica). Per quanto riguarda il rapporto tra sistema dell’arte occidentale e nuove culture
che lo modificano, un ruolo importante l’ha giocato la Cina. Un’altra osservazione è che il
sistema dell’arte in via di globalizzazione e il sistema macroeconomico mondiale mostrano
similitudini evidenti: i comportamenti, le attitudini e le scelte sembrano ripercorrere lo
stesso percorso che il commercio e l’industria globalizzati hanno compiuto nei confronti di
tutte le altre merci. È di fondamentale importanza valutare attentamente le prospettive
future del sistema dell’arte globalizzato, che incidono non solo sulla diffusione dell’arte o
sulla sua produzione quantitativa, ma sul concetto stesso di arte -> un cambiamento
sostanziale del sistema dell’arte senz’altro non porterebbe alla morte dell’arte, ma alla fine
dell’arte come concepita oggi.

CAP. 1 – L’ARTE È UNA FACCENDA OCCIDENTALE?

Quando si parla di arte contemporanea ci si riferisce a un modello che si è costruito in


ambito europeo, poi passato anche negli Stati Uniti intorno alla metà del novecento. L’idea
di arte ha una lunga storia, che va dai Greci ai giorni nostri > una storia in cui la centralità
dell’individuo artista e l’idea di progresso del linguaggio artistico hanno innescato nei
secoli quel meccanismo che ha portato l’arte occidentale a essere considerata arte tout
court. L’estremizzazione di questo concetto nel novecento ha prodotto in Occidente un
sistema di linguaggi senza precedenti, articolato e pronto ad inglobare ogni nuovo
strumento espressivo e ogni nuova tecnologia. A questo si è aggiunta la forza del mercato
e dello spirito borghese nel costruire una struttura analoga al sistema capitalistico del
profitto e tutto ciò ha portato all’identificazione del mondo dell’arte con il modello
occidentale. Le variazioni della leadership nel mondo dell’arte inizialmente erano tutte
interne al mondo occidentale, oggi invece devono fare i conti con la globalizzazione del
sistema. Qualche indizio di questo andamento lo si ritrova nel passaggio di capitale
dell’arte da Parigi a New York negli anni ‘50 e nella comparsa sulla scena dell’arte
del caso giapponese, primo esempio di una cultura extraoccidentale coinvolta in quel
sistema.

1.1 IL CONCETTO TRADIZIONALE


si è molto discusso sull’esistenza presso culture non occidentali di un concetto di arte
come quello sviluppatosi negli ultimi due secoli in Occidente, dove la combinazione di
norme linguistiche, convenzioni sociali e libertà individuale ha costituito il terreno adeguato
per la crescita di un’idea di arte che è quella della nostra tradizione (e che è un lascito del
pensiero greco). Uno sguardo meno eurocentrico ha ridimensionato questa posizione:
anche in altre culture, come quella cinese, giapponese e indiana si può riconoscere la
presenza dell’arte, una produzione che anche lì si differenzia da ogni altra produzione di
manufatti e in cui la tecnica e il rispetto delle norme non sono gli unici criteri di giudizio.
Tuttavia se il concetto di arte come prerogativa umana è riscontrabile universalmente
presso tutte le culture e quindi non è conseguenza di uno sviluppo storico particolare
(come affermato dal materialismo storico), il concetto di arte borghese e capitalista si è
affermato solo in Occidente da poco più di due secoli e da lì si è diffuso in tutto il mondo.
Su questa

idea di arte dalla forza pervasiva e che si è diffusa in tutto il mondo con l’accettazione
globalizzata delle sue regole (culturali ed economiche) si gioca il rapporto tra Occidente ed
Oriente. La caratteristica principale dell’arte come si è sviluppata in Occidente è il fattore
“novità”, cioè l’idea che l’introduzione di elementi, forme e relazioni nuove all’interno
dell’opera sia un valore positivo > la possibilità di introdurre nei codici espressivi prestabiliti
elementi di novità è frutto della vocazione evolutiva della civiltà occidentale, sin dalle sue
prime formulazioni classiche. La storia dell’arte occidentale è caratterizzata da
cambiamenti di stile, tecnica, temi e concetti e quando questa attitudine si è misurata con il
sistema produttivo capitalistico (dopo il periodo di conflitto delle avanguardie storiche) si è
adattata perfettamente alle nuove esigenze produttive. Ciò che però ha dato un
dinamismo straordinario al sistema dell’arte dall’inizio del novecento è stata l’accettazione
del nuovo come valore principale del linguaggio artistico e nel mercato mondiale dell’arte
questo è divenuto un valore assoluto. Quando si parla di arte contemporanea si intende
un modello elaborato in Europa e negli Stati Uniti nel novecento, le cui regole si sono
sviluppate quindi in quel contesto -> il sistema dell’arte si può definire come un sistema
economico che ruota attorno a un prodotto, l’opera d’arte, la cui peculiarità sta nel
possesso di una qualità molto più difficile da quantificare rispetto ad altri prodotti e dove la
caratteristica della novità costituisce parte dei requisiti per il successo. Il sistema dell’arte
comprende la produzione, diffusione e collocamento di un prodotto, appartenente ai
cosiddetti beni di lusso, riconosciuto universalmente come espressione più alta di ogni
cultura. La capacità di imporre un modello artistico diventa un elemento strategico per ciò
che comporta l’interpretazione del mondo e lo stile di vita dei gruppi sociali che vi si
avvicinano -> per questo motivo l’arte ha una valenza politica non indifferente. Un esempio
significativo è stata la partecipazione statunitense alla biennale di Venezia del 1964,
quando gli artisti americani proposero la Pop Art come nuova tendenza e la biennale ne
sancì il trionfo immediato in tutto il mondo dell’arte. Il successo della Pop in
quell’occasione viene attribuito alla collaborazione della C.I.A., che aveva messo a
disposizione aerei per consentire l’arrivo in tempo delle grandi tele. Questo è un esempio
di come una potenza egemone miri pensi ad imporre un’immagine di sé come nuova
icona, non solo nella società civile, ma anche presso la cerchia degli intellettuali.
L’economia e la politica decidono le sorti dell’arte, soprattutto se questa si fa interprete e
portavoce dei loro stessi valori -> questa visione semplicistica è comunque quella diffusasi
in Occidente presso sistemi dell’arte di paesi non troppo avanzati (come l’Italia negli anni
‘80-90) e nei paesi emergenti come la Cina o l’India dove il fattore economico derivato dal
mercato rappresenta il movente di quasi tutti questi sistemi dell’arte. La questione che si
pone riguardo alla globalizzazione in arte è se il sistema reggerà all’impatto di nuovi
mercati, cioè se il sistema dell’arte occidentale possa costituire un modello valido per i
nuovi sistemi o se i nuovi mercati modificheranno il sistema iniziale inventato e sviluppato
in Occidente e il concetto stesso di arte. Un’altra ipotesi a lungo termine è che una
globalizzazione sempre più accentuata potrebbe anche rendere autonomi i sistemi dei
paesi emergenti e in futuro potrebbero valere nuovi valori artistici e nuovi modelli linguistici
non più legati al concetto occidentale.

1.2 IL PATTO ATLANTICO: DA PARIGI A NEW YORK

Dal momento della nascita dell’arte moderna tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, con il
passaggio a un’epoca industriale dell’immagine (grazie alla fotografia e alle riviste) il
centro della cultura artistica mondiale era Parigi. Il suo primato non era mai stato messo in
crisi, tanto che quando la capitale dell’arte passerà a New York solo pochi europei si
accorgeranno del cambiamento. I motivi di questo mancato riconoscimento vanno cercati
nel senso di sicurezza dell’universalità e durata del sistema dell’arte europeo, concetto
comprensibile alla luce di una visione dell’arte molto eurocentrica. Nei due decenni tra la
prima e la seconda guerra mondiale Parigi era riconosciuta come la capitale unica e
indiscussa dell’arte. Se in passato il primato poteva essere minacciato da città come
Vienna e Monaco, nel primo dopoguerra Parigi non aveva rivali perché entrambe le città
appartenevano alle culture che avevano perso la guerra e quindi i loro modelli non erano
considerati attuabili. Inoltre l’affermarsi di ideologie totalitarie in Italia e in Germania aveva
lasciato Parigi senza rivali e la città si configurava come la meta di ogni viaggio di
formazione e conoscenza e come simbolo di libertà comportamentale. La libertà di
espressione e di costumi aveva fatto della città il centro del mondo artistico, anche
perché a partire dalla svolta impressionista erano state erette strutture operative e
commerciali fondamentali per il nascente mercato dell’arte. Negli anni ‘20-30 erano molti i
giovani americani che si riversavano a Parigi, ma se ciò denotava un maggior potere
d’acquisto e una ricchezza crescente negli Stati Uniti non rappresentava un’insidia
culturale. Dopo la prima guerra mondiale gli Stati Uniti erano diventati un soggetto politico,
oltre che economico, di primaria importanza, ma la sfera della cultura sembrava ancora
dominio esclusivamente europeo.

Gli anni precedenti la seconda guerra mondiale videro Parigi accrescere ancora di più il
suo ruolo di meta degli artisti, soprattutto di quegli artisti che non si sentivano liberi nei
propri paesi d’origine causa dei totalitarismi. Alla vigilia della guerra a Parigi il surrealismo,
l’ultima avanguardia storica, non avevano ancora esaurito la sua carica e costituiva la
tendenza di riferimento della modernità. L’occupazione tedesca di Parigi e della Francia
durante la seconda guerra mondiale portò come immediata conseguenza per l’arte la fuga
di moltiartisti e il crollo delle relazioni internazionali del mercato dell’arte. Oltre il
rallentamento nella produzione di opere e una stasi nelle compravendite del mercato
artistico le conseguenze più profonde della guerra sull’arte furono quelle di una crisi ideale
difficilmente superabile. Nonostante il desiderio di ricostruire e le oggettive difficoltà
economiche, il conflitto aveva messo in crisi anche i modelli culturali vigenti, di cui Parigi
era la massima espressione. La guerra e il dopoguerra costrinsero gli artisti a interrogarsi
su un mondo che risultava totalmente cambiato nella sua essenza, mettendo in luce
l’orrore di cui l’uomo di era dimostrato capace. Nel mondo dell’arte il mercato è
sicuramente l’elemento più facilmente rinnovabile, perché il commercio si dirige dove ci
sono i mezzi > risulta facile comprendere come il sistema dell’arte si sia trasferito
nell’unico luogo in cui queste condizioni potevano manifestarsi: New York. I motivi di
questo spostamento sono evidenti: gli Stati Uniti erano la più grande potenza mondiale,
avevano vinto la guerra, erano tecnologicamente all’avanguardia, non avevano subito
distruzioni sul loro suolo e si proclamavano difensori della libertà. L’arte e la cultura
diventarono ben presto bandiere da sfruttare nel gioco politico: al blocco dell’Est che
controllava ogni espressione artistica sino a promuovere un’arte di stato, gli Stati Uniti
contrapponevano la massima libertà espressiva in campo artistico. Questa posizione di
libertà dell’arte sarebbe stata però vanificata se negli Stati Uniti non ci fossero stati
davvero le condizioni per una nuova spinta all’arte contemporanea < le condizioni che
favorirono gli Stati Uniti, come si è detto, sono state dettate dalla terribile situazione socio
politica europea, che va dall’ascesa del nazismo alla guerra civile in Spagna, dallo scoppio
della seconda guerra mondiale allo stalinismo. In una situazione in cui lo stalinismo
imponeva un’arte che fosse pura propaganda, il nazismo bollava “l’arte degenerata” e il
fascismo italiano adottava una politica autarchica anche in campo culturale, l’unica
possibilità per gli artisti era quella di emigrare l’elenco degli artisti che negli anni ‘30 si
stabilirono negli Stati Uniti è lunghissimo e comprende ad esempio Walter Gropius, Marcel
Breuer, van der Rohe, Josef Albers, Hans Hofmann, Matta, Yves Tanguy, Moholoy Nagy,
Duchamp a Picabia. L’elenco in realtà comprende due tipi di artisti:

- coloro che sono stati costretti ad emigrare, soprattutto artisti e architetti tedeschi - coloro
che scelgono gli Stati Uniti ritenendo la sua cultura più aperta verso la loro ricerca,

soprattutto artisti surrealisti o rivoluzionari del linguaggio (come Duchamp) -> sono proprio
gli artisti di estrazione culturale francese a trovare negli Stati Uniti la migliore accoglienza
grazie al rapporto privilegiato che gli intellettuali americani coltivavano con Parigi. Inoltre il
surrealismo incarnava quell’idea di modernità e novità artistica che si accordava bene con
la politica del New Deal

La generazione americana che giungerà a maturità subito dopo la seconda guerra


mondiale comincia la sua crescita alla fine degli anni ‘30, grazie al confronto diretto con gli
artisti europei che spesso diventano insegnanti in scuole d’arte, grazie allo sviluppo di
istituzioni museali per l’arte contemporanea e al diffondersi del collezionismo e delle
gallerie private. Inoltre, negli anni ‘30-40 l’interesse per l’arte contemporanea negli Stati
Uniti era cresciuto in modo rapido e massiccio, grazie a una mentalità non gravata dal
peso della tradizione come in Europa. La classe dirigente americana, una volta raggiunta
la ricchezza, cercava di acquistare dignità attraverso l’arte, ad esempio fondando musei;
nel 1929 viene fondato il Moma, che solo pochi anni più tardi sotto la direzione di Barr
realizza mostre sull’arte contemporanea, tanto importanti da influenzare le nuove
generazioni di artisti americani. Oltre a questo, si sviluppa un collezionismo emulativo che
rende solido il sistema del mercato e delle gallerie d’arte, tra cui una delle maggiori è Art of
this Century di Peggy Guggenheim, che sarà molto rilevante per la crescita dei nuovi
artisti.

1.3 INDIZI DI CAMBIAMENTO: IL CASO GIAPPONESE

È passato come episodio marginale l’affacciarsi sulla scena dell’arte di artisti e movimenti
giapponesi, sin dalla metà degli ’50 > il riferimento è al gruppo Gutai, fondato nel 1954 da
Yoshihara e Shimamoto, ai quali si unirono poi altri artisti. Presente fin dal 1956 sulla
scena europea e americana, aveva una doppia anima: una performativa le cui azioni
avrebbero influenzato gli artisti americani che avrebbero dato vita agli happenings
(performances), e l’altra pittorica legata all’Informale con la ricerca sul gesto e sul segno.
La presenza del gruppo in Europa e America era la prima manifestazione di
un’espressione artistica “altra” e al contempo coerente rispetto al mondo dell’arte
contemporanea così come si stava strutturando dopo la guerra. La questione non

riguardava soltanto l’arte, ma innanzitutto la politica e il modello di vita che il Giappone


sembrava disposto ad accogliere, così come aveva accolto l’industrializzazione negli ultimi
decenni dell’ottocento. La scoperta del Giappone come produttore di cultura compatibile
con la cultura occidentale fa parte di una politica di democratizzazione del paese voluta
dagli Stati Uniti anche in funzione antisovietica. Il coinvolgimento del Giappone assumeva
l’aspetto di una svolta epocale, perché rappresentava la prima cultura “non bianca”,
peraltro sconfitta solo pochi anni prima, con la quale gli Stati Uniti dialogavano. L’apripista
culturale del Giappone in Occidente è stato il cinema con la vittoria del Leone d’oro nel
1951 alla mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del regista Kurosawa,
che ricevette poi anche l’Oscar; accanto a lui negli anni ‘50 altri registi giapponesi hanno
ricevuto premi e introdotto la cultura giapponese in Occidente. In questa rinascita l’arte
ricopre un ruolo minore, se paragonato a quello del cinema; tuttavia quando Saburo
Murakami, artista di Gutai, attraversa la carta tesa su 21 telai, realizzando una lacerazione
simbolica dello spazio tradizionale della pittura, l’impatto sulle generazioni di artisti
occidentali, soprattutto americani, è molto forte e questa volontà d’azione si ritroverà poco
dopo negli happenings. Ad avere maggiori contatti con quella cultura è l’America e
soprattutto gli artisti della costa californiana. Anche l’interesse per la calligrafia e gli
ideogrammi giapponesi seducono molti artisti (es. Mark Tobey), così come la scoperta
dello zen scatena l’imitazione di certi atteggiamenti orientali. Da quel momento il mondo
dell’arte si è enormemente allargato e anche se, fino alla fine degli anni ’80, la cultura
artistica giapponese è stata considerata un’appendice dei centri di produzione principali, la
sua presenza ha costituito un importante precedente della globalizzazione e l’esempio di
un’autonoma partecipazione a un sistema culturale non proprio, ma accettato e sfruttato.
Quando l’arte giapponese, verso la fine degli anni ‘80, si è presentata sul mercato
mondiale da posizioni economiche e politiche ben differenti da quelle di paese sconfitto, gli
artisti giapponesi hanno saputo imporre una loro immagine contemporaneamente
internazionale e molto “giapponese” attraverso personaggi che hanno fatto della
rivisitazione di tradizionali manga una cifra immediatamente riconoscibile > artisti come
Takashi Murakami hanno dato vita ad una produzione inconfondibile, essenza del
Giappone postmoderno, capace di rinnegare le caratteristiche di raffinatezza compositiva
ed eleganza formale che avevano rappresentato l’arte giapponese per secoli. Lo
spostamento progressivo tra il 1960 e il 1990 dalla cultura elitaria uscita dalla seconda
guerra mondiale alle icone di massa della società giapponese ha introdotto nella
percezione dell’arte contemporanea un elemento autenticamente pop. La variante
giapponese della Pop Art ha dimostrato di saper unificare cultura alta e di massa con
una disinvoltura non presente persino negli Stati Uniti: mentre in Occidente il livellamento
tra cultura alta e bassa aveva alla base un discorso ideologico mirante a ribaltare le
divisioni classiste tradizionali tra i linguaggi, in Giappone - e ancora di più in Cina - il
passaggio è avvenuto in maniera semplice e immediata con l’accettazione entusiastica di
una nuova società. Il livellamento tra cultura alta e di massa non viene vissuto come un
decadimento di valori della tradizione verso la postmodernità globalizzata, ma come un
naturale passaggio temporale e come affermazione di un’identità culturale che si è
evoluta.

CAP.2 – GLI ANNI ’80 E IL TURNING POINT


Gli anni ‘80 stabiliscono la svolta verso la globalizzazione, forse prima culturale che
economica. La gara tra i modelli di sviluppo - quello occidentale capitalista e quello
sovietico socialista - si conclude con la disfatta dell’Unione Sovietica e l’aprirsi di una
nuova condizione per l’intero Occidente. Non si tratta più di contrapporre un sistema a un
altro, ma di applicare un sistema unico all’intero pianeta e questo sistema è quello
occidentale, democratico e capitalistico. L’Occidente pensa di aver vinto su tutti e che il
proprio modello con i suoi linguaggi (compreso quello dell’arte) debbano essere diffusi
ovunque; si diffonde così il linguaggio egemone dell’arte, quello nordamericano, e si
incoraggiano tutte quelle espressioni artistiche che ne adottino i modelli, i modi e temi.

2.1 POLITICA PLANETARIA E CULTURA GLOBALE

Gli anni ‘80 sono da ricordare per la caduta del muro di Berlino (1989) e il crollo dell’idea
socialista e comunista del blocco sovietico, collasso ideologico accompagnato dal
fallimento reale di quel modello di paese. Il collasso è avvenuto anche in virtù di un ideale
di vita, quello occidentale proposto negli anni ‘80, fatto di atteggiamenti, mode e oggetti di
consumo. Questi anni sono infatti caratterizzati da una distanza di comportamento tra i
due blocchi e in particolare dalla rinuncia da parte dell’Occidente a insistere su concetti
forti di libertà, per esaltare invece il raggiungimento di un benessere generico e ampio.
Alla fine è il modello di vita occidentale a vincere, con l’aumento

dei consumi, del benessere individuale e delle possibilità di divertimento > questo modello
culturalmente e tecnologicamente punta su una società fatta di elementi sempre più
immateriali, come le informazioni e la comunicazione; a questa “offerta” si aggiungono poi
gli elementi ideali e di comportamento che in quegli anni contribuivano al passaggio tra
modernità e postmodernità. Il passaggio dal pensiero della modernità al cosiddetto
“pensiero debole” postmoderno ha consentito una maggiore flessibilità sia del sistema
dell’arte sia dell’arte stessa: i concetti di “giusto” tipici della modernità sono stati sostituiti
da concetti post-moderni più deboli, ma più efficaci perché globalmente condivisibili. La
percezione, l’immagine di sé e del proprio mondo sono elementi evanescenti, ma anche
molto più facilmente comprensibili rispetto alla realtà e una volta liberati dalla concezione
del loro essere superficiali si stabilisce un’equivalenza tra immagine e cosa, percezione e
realtà  questo fa parte della concezione che caratterizza il modello occidentale. Negli anni
’80 gli elementi macroeconomici o politici ovviamente hanno giocato il ruolo principale nel
porre le premesse della globalizzazione, cioè l’apparente riduzione del pianeta a modello
unico di pensiero e di sviluppo. I risvolti successivi testimoniano che l’adozione di un
modello unico non si è verificata, come dimostrano la prima guerra del Golfo nel ‘91 e le
grandi potenze asiatiche di oggi, Cina e India. Comunque, in quel momento si pensava ad
una transizione al modello di pensiero unico che avrebbe poi conquistato anche tutti gli
altri territori. La cultura degli anni ‘80, e soprattutto l’arte, ha contribuito all’allargamento
degli orizzonti > l’arte diventa in questo periodo anche un’opportunità economica, grazie
alla nuova popolarità raggiunta e dal suo ruolo di status symbol per le società civili ricche
che volevano dimostrarsi anche colte e alla moda. In quel decennio tutto è avvenuto così
rapidamente che non si può ipotizzare che ci fosse un vero e proprio progetto di
esportazione del sistema dell’arte occidentale, anche perché esso, solo in quel momento,
si stava strutturando come sistema articolato con ruoli definiti. Il mercato comunque ha
avuto un ruolo centrale grazie alla sua capacità di imporre modelli sotto forma di opere >
l’imposizione di modelli è stata possibile grazie all’ampia possibilità di scelta offerta dalla
produzione artistica che appariva come una sorta di supermarket delle idee, tradotte in
oggetto e quindi in merce.

2.2 L’ARTE COME STATUS SYMBOL

All’inizio degli anni ’80 un’opera di Lucio Fontana costava pochi milioni di lire, alla fine del
decennio era venduta anche a 500 milioni di lire. Questo era sicuramente riconducibile a
dati oggettivi, come la maggiore circolazione di denaro, l’aumento di relazioni economiche
internazionali e l’aumento di nuovi ricchi attraverso la finanza, ma il motivo dominante è
che in quel momento l’arte contemporanea rappresentava l’idea di esclusività massima e
al contempo di popolarità  l’arte contemporanea era diventata uno status symbol per
l’intero mondo occidentale. Ci sono un insieme di cause che hanno portato a questo
risultato. Nel passaggio dalla modernità alla postmodernità il desiderio di arte ha
conosciuto un’impennata: la postmodernità ha attribuito una maggiore importanza a
elementi immateriali, come le informazioni e l’arte, essendo l’esempio più sublime e
complesso di informazione, non è stata esente. L’arte e la cultura sono diventate così
parte di quel sistema di informazioni desiderate. Ci sono però indizi più concreti della
direzione presa dai desideri in una società complessa e ricca, come quella occidentale:
uno è l’aumento delle persone direttamente occupate nel settore terziario e in particolare
in quei settori dedicati al tempo libero > la gestione del tempo libero infatti è diventata una
delle prime industrie al mondo, che ha contribuito ad ampliare le possibilità di “coltivare lo
spirito”. Comunque, la frequentazione e l’ostentazione dell’arte rispondono a requisiti di cui
pochi altri “passatempi culturali” sono dotati, come per esempio l’idea di libertà assoluta
che circonda l’ambiente artistico o la visibilità che il mondo dell’arte garantisce a chi lo
frequenta  queste sono le vere motivazioni che hanno creato lo status symbol per quella
società di nuovi ricchi in cerca di una veloce legittimazione. L’arte diventa dunque un
prodotto popolare e al contempo elitario, perché la frequenta ione è gratuita, ma il
possesso di no ed è quest’ultimo a conferire prestigio. Come tutti i prodotti di lusso, l’arte
deve essere infatti diffusa per essere conosciuta ma costosa per essere prestigiosa. La
vera novità che c’è stata riguarda il modo e la velocità con cui la vecchia struttura fatta di
conoscenza, studio e passione dell’arte è crollata di fronte all’irruzione del denaro in quel
settore > in pochi anni l’arte contemporanea è diventata un business, in cui il guadagno
su un singolo artista è stato all’incirca di 200 volte in neppure un decennio. Mai quanto
allora il valore di un’opera è stato associato al suo prezzo e anche se collezionisti come
Charles Saatchi sono pochissimi, il movimento internazionale che si è creato intorno a
queste figure fatto di seguaci delle mode lanciate da altri ha consolidato enormemente
l’idea dell’arte contemporanea come status symbol. Il motivo per cui è stata proprio l’arte
contemporanea a diventare status symbol delle società postmoderne è che l’arte
contemporanea è un prodotto molto più disponibile dell’arte antica ad esempio, e in più si
rinnova continuamente, consentendo di rispondere a una domanda sempre più vasta.

Un’altra novità di questi anni è l’inizio del passaggio dal collezionismo privato a quello
delle fondazioni o delle corporation, che lega l’idea di arte come status symbol a quelle di
art business e di speculazione economica. È proprio l’affermazione dell’arte come status
symbol a indurre tutto il ceto abbiente, anche in assenza di una passione particolare, a
interessarsi d’arte contemporanea, pena l’esclusione dal club dei detentori del gusto.

2.3L’ARTE COME FENOMENO POPOLARE


L’altra faccia dell’arte come status symbol è la percezione di questa come un fenomeno
popolare, perché non è pensabile una moda elitaria che possa prescindere da
un’attenzione popolare. Come nel corso del Novecento si è andata riducendo la forbice tra
cultura alta e cultura bassa, così anche i contesti dell’intrattenimento e della cultura sono
andati confondendosi; tale fenomeno ha coinvolto tutti i linguaggi, da quelli più universali
(moda, musica, cinema) a quelli più sofisticati (arte, architettura) mentre solo la letteratura
ha mantenuto ancora la distinzione tra alta e bassa. Nell’arte, alcuni avvenimenti hanno
consolidato questa tendenza popolare, in particolare il successo planetario della Pop Art e
il venir meno del concetto di avanguardia, superato dalla concezione post- moderna di un
tempo e un luogo senza direzioni e quindi senza avanguardia né retroguardia. Se la storia
è finita ha poco senso pensare che certe tendenze siano più avanzate di altre. Inoltre gli
anni ‘70 avevano lasciato in eredità un’arte molto concettuale, mentre gli anni ‘80 sono
caratterizzati dal trionfo di una pittura emotivamente coinvolgente, piacevole e di forte
impatto cromatico e narrativo (sono gli anni della Transavanguardia, dei Nuovi Selvaggi
tedeschi e del graffitismo americano)  il risultato è da un lato l’affermarsi di un’arte più
accessibile che chiede allo spettatore una partecipazione emotiva ma non mentale,
dall’altro un rimescolamento che quasi annulla ogni possibilità critica. Un’arte facile,
immediatamente fruibile da chiunque si voglia avvicinare alla disciplina è la condizione
indispensabile di ogni popolarità. La nascita e lo sviluppo della popolarità dell’arte
contemporanea sono meccanismi non molto diversi da quelli che si innescano quando
l’arte diviene status symbol > in questo caso il pubblico si sente attore tanto quanto
collezionista, e infatti è solo quando l’arte riesce a muovere le masse che diventa
l’elemento imprescindibile all’attenzione dei media. Un fenomeno emerso negli anni 80 è
il mostrismo, quell’avvenimento per cui le grandi mostre nei grandi musei sono diventate
manifestazioni da non perdere con centinaia di migliaia di visitatori. Ciò che si è verificato
è la trasformazione delle opere d’arte da oggetti museali a soggetti attivi, protagonisti dello
spirito del tempo e ciò è stato dovuto da una serie di circostanze e situazioni che hanno
caratterizzato il punto di svolta tra modernità e postmodernità. Tra queste condizioni
sicuramente c’è un nuovo benessere, il desiderio di uscire dal clima ideologico del
decennio precedente e una volontà di divertimento che hanno fatto del mondo dell’arte un
territorio ideale e glamour per un pubblico più vasto in cerca di nuove appartenenze.
Quando l’arte diventa un “evento”, essa raggiunge la popolarità: è la partecipazione a una
mostra, l’io c’ero l’imperativo per vivere l’appartenenza a una sorta di esclusività, non
molto diversa da quella dei possessori dell’arte. Ciò avviene soprattutto nei confronti
dell’arte contemporanea, campo in cui non si tratta solo di opere, ma anche di artisti,
dell’ambiente che hanno intorno a loro e dell’interpretazione della vita che essi forniscono
e incarnano. Nelle riviste gli artisti sono trattati alla stregua di star: conquistano le
copertine, mentre i valori delle loro opere schizzano in alto > negli anni ‘80 artisti italiani
della Transavanguardia, soprattutto Clemente e Chia, arrivano a una posizione di prestigio
pari a protagonisti della scena dell’arte americana. L’attenzione dei media aumenta la
propensione dei nuovi appassionati verso il mondo dell’arte e viceversa il loro interesse
aumenta il coinvolgimento dei media, mentre su tutto domina il denaro, inteso come
misura stessa di valore > l’incontro tra domanda e offerta diventa l’unico meccanismo
riconosciuto per stabilire il valore di un’opera, di un artista e dell’arte stessa. La semplicità
di tale sistema rende inutili tutti gli altri criteri interpretativi che hanno la necessità dello
studio della storia dell’arte e l’erudizione  la trasformazione dell’arte in merce fornisce il
criterio di giudizio più semplice e comprensibile: quello del prezzo. All’inizio il sistema è
“puro” (senza correttivi), come invece accadrà nei vent’anni successivi, che venderanno
l’utilizzo di correzioni e persino trucchi di tipo economico per alzare le quotazioni. La
rivoluzione del mondo dell’arte negli anni ‘80 è consistita nel cambiamento radicale del
metro di giudizi prima ancora che nel cambiamento di stile e di tendenze -> così facendo
si è stabilita una base comune su cui costruire un mercato globale, mentre le regole
interpretative sino ad allora valide sono state relegate in un ruolo secondario e la critica
d’arte ha rinunciato al suo ruolo ermeneutico, in favore della pura retorica del
convincimento.

2.4UNA GLOBALIZZAZIONE ABORTITA: IL FENOMENO RUSSO

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 si assiste a un passaggio repentino da un


modello produttivo culturale centralizzato a una disgregazione delle iniziative. In Unione
Sovietica la distinzione tra artisti “ufficiali”, appartenenti all’unione degli artisti dell’Urss o
all’Accademia delle arti dell’Urss, e “non ufficiali” è durata fino agli anni ’80. L’interesse
occidentale per il mondo dell’arte russo ha cominciato a emergere intorno alla metà di quel
decennio con mostre dove spesso non si distingueva tra chi apparteneva all’arte ufficiale e
chi no, perché l’essere russo e lo sfuggire in qualche modo allo stereotipo del realismo
socialista (che era l’unica espressione dell’arte sostenuta dal regime) era una caratteristica
sufficiente per un artista per essere selezionato a rappresentare in Occidente la nuova
arte russa. Per questo, la percezione di quell’arte è risultata distorta e superficiale, tanto
da perdere presto di interesse quando si è compreso che dal punto di vista economico e
culturale la Russia non offriva particolari suggestioni. Sul fronte culturale l’arte russa risultò
presto poco interessante perché troppo legata un contesto particolare (politico e sociale) il
cui confronto, per mancanza un linguaggio veramente nuovo, non coinvolgeva il pubblico
occidentale. Sul fronte economico il mercato russo non era in grado di assorbire nulla di
quanto avveniva in Occidente, mentre i pochi artisti che avrebbero potuto aspirare a un
mercato internazionale si erano già trasferiti in Occidente. Più interessante da analizzare,
in termini di globalizzazione, è l’evoluzione del mondo dell’arte russa messo
improvvisamente a confronto con quello occidentale. Già dal 1986 gli effetti
della glasnost (trasparenza) introdotta da Gorbacev (eletto nell’85) si iniziarono ad
avvertire, perché fu possibile allestire mostre anche non sostenute dalle istituzioni ufficiali
e già agli inizi degli anni ‘90 non aveva più senso parlare di artisti underground e di
ufficiali, perché il contesto era radicalmente cambiato. Agli inizi degli anni 90 la situazione
russa era talmente libera da risultare anarchica, con l’unica consapevolezza che di fronte
si aveva un modello, quello occidentale, di cui si conosceva solo superficialmente il
funzionamento. Così, il sistema dell’arte russo in quel decennio ha cercato di darsi
un’immagine imitando nelle definizione e nelle tipologie il sistema dell’arte occidentale (ad
es. nascono le prime gallerie a Mosca). Il sistema però non funzionava: nessuna galleria
all’inizio aveva artisti in esclusiva e tutti esponevano in tutte le gallerie, istituendo un
metodo non concorrenziale e aggravato inoltre da una diffidenza verso l’arte
contemporanea, la quale non era oggetto di studio ufficiale in nessuna istituzione.
Nell’ambiente russo non circolava il minimo sentore che l’arte potesse essere qualcosa di
diverso da una pratica individuale di rappresentazione del mondo, per cui solo l’imitazione
degli standard occidentali avrebbe potuto far pensare all’arte sotto l’aspetto di status
symbol, cosa che è avvenuta sulla partire dal nuovo millennio. Gli anni ‘90 sono stati anni
di tentativi: dopo i gruppi di artisti e le gallerie spesso fondate dagli stessi artisti, si sono
costruiti luoghi di esposizione a carattere solidaristico e poi altri istituzioni più vicine ai
modelli occidentali; anche se la vera novità per il sistema dell’arte russo sono le
fondazioni: veri e propri musei privati, prodotto di un’oligarchia che vuole raggiungere al
più presto rispettabilità e consenso internazionale. L’intenzione di queste istituzioni e dei
suoi proprietari è quella di entrare al più presto e nella maniera più semplice nella cerchia
di quelle poche istituzioni e di quei pochi mecenati e collezionisti che possono dirigere il
mondo dell’arte. La situazione del mondo dell’arte russo di fronte alla globalizzazione è
paradigmatica di quanto può accadere a un sistema culturale tradizionalmente molto
solido che si trova ad affrontare un cambiamento così forte e repentino. Nell’irruzione del
mondo globalizzato nelle strutture russe si possono individuare alcune fasi determinate:

1) Dal 1985 il 1991 - prime aperture di Gorbacev e speranza del cambiamento > i segnali
d’attenzione dall’Occidente avevano contribuito a creare all’interno un clima di dibattito
sull’arte e sul sistema russi

2) anni ‘90 - fase di stagnazione economica e inflazione > il mondo dell’arte cerca di darsi
una struttura, imitando l’Occidente: nascono molte gallerie quasi tutte a Mosca, ma non si
sviluppa un solido mercato dell’arte. È un momento di quasi totale anarchia caratterizzato
da fervore culturale e produttivo e testimoniato dalla riunione in gruppo di artistici disposti
a interagire con le strutture di diffusione dell’arte senza alcun tipo di esclusività. Gli
intellettuali sono i promotori della nascita del sistema dell’arte, ma non hanno i mezzi per
svilupparlo ulteriormente

3) Dopo la crisi del 1997-1998 > la società si caratterizza per grandi ricchezze concentrate
in mani di pochi. Questa oligarchia deve però essere riconosciuta in patria e all’estero
come un’oligarchia illuminata e ciò può avvenire attraverso l’attività nel mondo dell’arte
contemporanea, e in particolare attraverso l’apporto di capitali con gli l’accettazione
acritica delle regole vigenti nella società capitalistica occidentale e il riconoscimento dei
suoi valori. In questa fase cambia però il soggetto alla guida del rinnovamento e del
dibattito, perché la guida viene tolta agli intellettuali e assunta dagli stessi finanziatori. Il
modello che si crea è

quello di un sistema squilibrato in favore di poche grandi istituzioni private, le uniche a


rendersi visibili internazionalmente e il rischio è che il modello vincente sia quello del
fondamentalismo del mercato. Per una crescita equilibrata del sistema servirebbe invece
l’educazione al contemporaneo delle nuove generazioni e l’inserimento dell’arte
contemporanea negli insegnamenti universitari.

2.5DECLINO DELL’ARTE EUROPEA

Con arte europea si intende l’arte continentale con l’esclusione dell’arte inglese, più affine
nel suo sistema al modello nordamericano. Le strutture espositive e di collezionismo
dell’Europa occidentale sono consolidate da tempo e ben radicate nelle singole culture
nazionali, ma nonostante ciò si avverte un declino dell’arte europea. Il fattore principale è
che l’arte europea stessa a suscitare minore interesse > la quantità di manifestazioni,
mostre e il movimento di denaro per il commercio di opere d’arte è ancora enorme in
Europa, rispetto ai mercati emergenti, ma è proprio alla considerazione che l’arte non è più
solo una faccenda occidentale ad aver mutato il modo di percepire l’arte soprattutto in
Europa. Il senso critico europeo, unito alla scarsa aggressività di atteggiamento
economico e mercantile, ha favorito la conoscenza di culture altre, ma al contempo ha
riconosciuto la perdita della propria centralità. Questa era già stata perduta in realtà nei
confronti del mondo inglese e americano, ma quel fenomeno era stato vissuto con uno
spostamento all’interno della stessa area culturale, linguistica e storica. Al contrario,
l’affacciarsi sulla scena dell’arte internazionale di altre culture, e soprattutto di altri modelli,
ha generato una percezione del declino dell’arte europea > l’arte e il sistema europeo, i
più aperti e i primi ad aprirsi alla globalizzazione, rischiano di rimanere emarginati dal
confronto tra vecchi concetti e nuovi comportamenti. A fronte di un’apertura delle frontiere
culturali si riscontra una mancanza di incisività dell’arte europea nel nuovo assetto
mondiale e un fattore che testimonia ciò è l’insieme delle grandi mostre istituzionali che
fanno il punto sulle tendenze dominanti e che dimostrano che dalla seconda metà degli
anni ‘80 l’arte europea ha perso continuamente quote di mercato, in favore del resto del
mondo. Da un lato si tratta di una naturale conseguenza dell’allargamento dei confini del
sistema dell’arte e dell’arrivo di nuovi soggetti sulla scena (arte cinese, indiana, brasiliana
etc), dall’altro sono proprio le motivazioni interne all’arte europea a risultare meno
interessanti su scala mondiale. L’arte europea oggi è globalmente percepita
come un’appendice del modello egemone anglosassone: nulla di diverso da quanto
accade anche sul piano economico e geopolitico. Tutto ciò è accentuato da fattori interni al
sistema europeo che, nonostante segnali di coesione, è ancora basato sulle singole
culture nazionali che risultano quindi svantaggiate trovandosi di fronte a culture più coese
(come quelle anglosassoni dove il fattore lingua e la matrice culturale le rendono più
compatte). La capacità delle nazioni di essere differenti all’interno del mondo globalizzato
non è un fattore positivo, ma penalizzante perché la differenza viene percepita e
considerata “minorità”. Si potrebbe obiettare che i valori nelle aste di artisti e opere
europee sono lievitati negli ultimi anni; ciò è vero in termini assoluti, perché per esempio il
mercato ha eletto a bene rifugio anche artisti italiani che hanno visto aumentare di molto il
loro valore (Fontana, Manzoni, Castellani e Boetti), ma non in termini relativi perché a
questi casi eccezionali fanno da riscontro tanti altri artisti di tutto il mondo e molto più
giovani che raggiungono o superano ampiamente gli stessi valori. Per un artista europeo
superare il milione di dollari in asta è qualcosa di eccezionale, mentre si assiste a
rendimenti assai maggiori di artisti extraeuropei -> ciò è segno di un declino dell’arte
europea! Inoltre è dalla metà degli anni ‘80 che non si afferma su scala mondiale nessun
movimento o tendenza proveniente da ambienti europei, perché l’attenzione del mondo è
rivolta a produzioni anglosassoni o extraoccidentali.

CAP. 3 – PERCHÉ CERCARE NUOVI SOGGETTI?

Quando si è affermato il concetto moderno di arte è emersa l’idea che il suo valore
dovesse essere basato sulla novità del linguaggio, dei soggetti del contesto e l’epoca
delle avanguardie e delle neoavanguardie ha esaltato questo concetto. A partire dal
Neoclassicismo la ricerca del nuovo è passata anche dall’idea di riscoperta di qualche stile
del passato mentre a partire dalla metà dell’ottocento la ricerca del nuovo si è configurata
come ricerca non più nel tempo ma nello spazio: è stato il caso ad esempio
del japonisme o della cosiddetta “arte negra” > in entrambi i casi si sono presi stilemi da
un modello lontano da innestare nel linguaggio artistico. Anche quando la fine delle
avanguardie ha decretato la possibilità che qualsiasi linguaggio funzioni, il desiderio del
nuovo non si è estinto, ma anzi si è accentuato e la sua ricerca è stata effettuata in culture
ritenute lontane e

misteriose. Il nuovo è diventato così il non conosciuto e l’unico serbatoio a disposizione


del desiderio è stato quello di un altrove geopolitico.

3.1 SINTOMI DI STANCHEZZA


Nella maggior parte dei casi i cambiamenti, che danno sempre origine a nuovi linguaggi,
non investono contemporaneamente tutti i diversi settori disciplinari: non solo alcune
discipline possono essere poco toccate da quella precisa novità, ma ognuna possiede una
certa indipendenza nel proprio sviluppo e può rimanere immune alle innovazioni correnti.
Quanto è avvenuto nel mondo dell’arte è che persino all’interno del singolo sistema alcune
strutture sono state più sensibile a certi mutamenti e altre meno: questo causa un
disordine strutturale difficile da ricomporre. Il grande cambiamento percepito da tutti gli
intellettuali a partire dalla metà degli anni 80 e sviluppatosi in pieno dall’inizio del nuovo
millennio ha colto il sistema dell’arte in un momento delicato di riflessione teorica su di sé.
I concetti “deboli” della Postmodernità hanno avuto come risultato la sparizione di ogni
avanguardia artistica > la mancanza di una direzione precisa che identificasse
l’avanguardia e la distinguesse dal resto, cioè dalla tradizione ha cambiato il modo di
considerare lo scenario dell’arte. Se prima questo era diviso in due campi, quello dell’arte
sperimentale/d’avanguardia e quello del resto della produzione artistica, negli anni 80 tutto
è stato ricomposto e l’avanguardia è indistinguibile dalla retroguardia. Il risultato è una
sorta di doppio movimento dell’arte contemporanea: l’accettazione di tutte le tecniche,
gli strumenti espressivi e le idee per fare arte è stato sintomo di libertà espressiva, ma ha
prodotto anche una sorta di stagnazione intellettuale dovuta alla mancanza di dibattito.
L’accettazione acritica di ogni azione e opera ha infatti ridotto al minimo il dibattito
intellettuale e di fatto il mondo dell’arte è arrivato a divorare ogni novità perché la accetta
incondizionatamente: sono ormai lontani i tempi dello scandalo o del confronto interno tra
artisti e intellettuali sul linguaggio dell’arte. Se la Modernità è stata nell’arte l’epoca degli
shock linguistici per la borghesia egemone, la Postmodernità è il momento in cui tutto è
immediatamente fagocitato da quella stessa borghesia. Oggi il panorama artistico dei
paesi-guida è sostanzialmente stagnante: se tutto può funzionare nessuno è più
autorizzato a cercare un giudizio di merito e da ciò deriva la crisi del critico d’arte e la
sua sostituzione con la figura del curatore. Da almeno vent’anni l’arte del mondo
occidentale è scandita semplicemente da variazioni su temi già conosciuti e gli artisti
ripropongono modalità già sperimentate da generazioni precedenti con variazioni sempre
più minime. Poiché non è ipotizzabile una sorta di “fine della memoria” che faccia
dimenticare quanto realizzato da artisti precedenti, è pensabile che nonostante
l’allargamento di pubblico e collezionismo d’arte contemporanea il quoziente di novità nelle
opere più recenti sia in costante diminuzione. Sembra però che la produzione artistica,
intesa nella sua globalità di sistema, debba al contrario cercare nuovi stimoli e modelli da
assimilare laddove questi esistano ancora, cioè in culture appena sfiorate dal nostro
modello; il tutto sulla base di uno scambio diseguale che prevede aperture commerciali e
accoglienza nel sistema dell’arte occidentale per i nuovi paesi in cambio di nuovi spunti
linguistici e novità.

3.2 ENERGIE FRESCHE

Elaborare nuovi modelli linguistici non è mai stato facile e questa difficoltà di fatto


contrasta con l’esigenza di novità che viene dal concetto storico di arte occidentale e dal
suo mercato dell’arte che necessita di un ricambio costante. Il ricambio in generale
avviene più attraverso l’avvicendamento degli artisti e delle loro opere che non per un
mutamento epocale delle idee, ma tuttavia anche se il numero degli artisti presenti sulla
scena è in costante aumento, la velocità con cui si consumano le immagini e i modi di
produrre arte sono molto aumentati e superano la capacità di introdurre varianti
significative da parte degli artisti > sembra avvicinarsi il momento in cui tutto sembrerà già
visto e le varianti non saranno più percepibili. Un modo per ovviare al problema della
ricerca e della sperimentazione di novità è quello della citazione, del revival e del
metalinguaggio:

- citazione e revival sono categorie usate sin dall’arte antiche e moderna (si possono


ricordare tutti i prefissi “neo- …” nella storia dell’arte”) anche se è nel Novecento che
queste pratiche si sono moltiplicate, esempi sono: neodada, neoespressionismo,
neoavanguardie, nuovi realisti, nuovi selvaggi etc

- metalinguaggio è il linguaggio sul linguaggio, categoria che ha saputo anche


recentemente rinnovare le ricerche inaugurate da Marcel Duchamp. Abbandonando le
congetture filosofiche dell’arte concettuale, da almeno un ventennio l’attenzione degli
artisti verso il metalinguaggio (che si chiamano ancora concettuali) si è rivolta al sistema
dell’arte e i suoi procedimenti: Hans Haacke, Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli sono
artisti che

svelano le dinamiche del mondo dell’arte a partire di solito dalla sfera della percezione
dell’opera da parte del fruitore e dell’attribuzione del valore. L’arte come metalinguaggio
oggi è quindi rivolta allo svelamento dei meccanismi che caratterizzano i rapporti interni tra
le varie componenti del sistema, anche se essa costituisce solo una minima parte
dell’intera produzione dell’arte.

Questi temi e andamenti dell’arte non fanno che accentuare quel senso di stanchezza che
pervade l’intero sistema e l’antidoto sarebbe un cambiamento deciso e un innesto di
nuove idee e forme. L’innesto di energie fresche non può che avvenire dal di fuori, da un
altrove che preme per entrare nel territorio codificato dell’arte; così il mondo dell’arte oggi
cerca apporti dalle nuove culture che si affacciano al suo mondo. Per accettare energie
fresche bisogna però per prima cosa riconoscerle > il concetto di fresco per molti aspetti
coincide con l’idea di naif, ingenuo, sempre però rapportato al livello alto del sistema
dell’arte occidentale. Poiché non è concesso a chi vive già in un sistema occidentale di
essere “ingenuo”, l’energia andrà cercata dove questo sistema non vige ancora o dove
una situazione di crisi ne ha sospeso le principali caratteristiche. La novità deve quindi
provenire da culture non ancora contaminate dalla storia del linguaggio o toccate da
avvenimenti straordinari da far pensare che a quella condizione eccezionale possano
corrispondere interpretazioni e risposte altrettanto uniche. Il contesto culturale e
geopolitico in cui l’arte viene prodotta diventa un elemento di novità e diventa il fattore
per definire nuova qualsiasi espressione artistica. Il sistema dell’arte maturo è disposto
quindi ad accettare anche espressioni artistiche già sperimentate in passato, purché
queste provengano da aree culturali nuove e desiderose di entrare a far parte del sistema
dell’arte occidentale. Questa “operazione d’accoglienza” è il risultato preciso di
un’operazione egemonica mirante a imporre un modello espressivo a tutto il globo.

CAP. 4 - DOVE CERCARLI: UNA GEOPOLITICA CULTURALE

All’inizio del novecento al di fuori del mondo occidentale tutto era “altro”, perché il pianeta
era per la maggior parte inesplorato nelle sue componenti culturali e perché il concetto di
egemonia culturale era molto radicato in Occidente. Dalla fine della guerra fredda (fine dei
blocchi Est-Ovest) il pianeta si allarga e contemporaneamente diventa più piccolo: non
esistono più confini, ma culture ed espressioni artistiche; interi continenti, come l’ex
Unione Sovietica, l’Asia non islamica, l’Africa, l’Oceania e il centro e sud America, sono
pronti per essere scoperti e inseriti nel sistema occidentale. Il sistema dell’arte si precipita
alla ricerca di nuove idee e artisti proprio in quei territori che promettono all’arte egemone
nuovi spunti e temi possibili, ma anche sbocchi mercantili ed economici. Negli anni ‘90 tale
ricerca si è svolta a tutto campo, coinvolgendo in maniera indifferenziata tutte le
culture altre e solo con il precisarsi dei nuovi assetti economici mondiali anche l’attenzione
del mondo dell’arte si è spostata verso quei paesi economicamente più promettenti.

4.1 I CONFINI SI SPOSTANO

Sino a quarant’anni fa il mondo dell’arte si identificava con i soli paesi occidentali e


occidentalizzati. La produzione artistica è infatti arrivata per ultima nel commercio
mondiale delle idee e delle merci, dietro anche alla letteratura che era sostenuta da una
tradizione e una pratica di diffusione affiancata da una vera e propria industria. Ciò è
accaduto anche perché quel che poteva sembrare uno scambio di idee e opere d’arte è
stato invece un’attività univoca da parte del dell’arte occidentale, nel senso che è soltanto
l’arte occidentale che si è sentita racchiusa entro confini stretti. Il senso di superiorità
dell’arte occidentale nel servirsi di idee e modelli altrui per adattarli ai propri e rinnovarli ha
fatto sì che il risultato di tutti i contatti con le altre culture tra la fine dell’ottocento e l’inizio
del novecento sia stato solo appannaggio della cultura occidentale, mentre le altre non
hanno ottenuto benefici. Un esempio è la passione tardo ottocentesca sviluppatasi a Parigi
per l’arte giapponese che ha prodotto scarsi risultati artistici in Giappone o la passione per
l’”arte negra” agli inizi del secolo che non me ha prodotto nessuno in Africa. In seguito i
confini hanno cominciato a spostarsi e con loro si è spostato l’interesse del mondo
dell’arte > l’apertura verso nuove culture consentiva di arricchire di nuova linfa quella
egemone, attraverso l’adozione delle loro novità. Al contrario di quanto era avvenuto un
secolo prima con il Giappone o l’Africa, esisteva però una contropartita che consisteva
nell’accogliere con interesse e riconoscimenti economici all’interno del sistema egemone
alcune manifestazioni artistiche delle culture altre. Il mondo ideale era il luogo ideale per
questa “adozione”: visibile, ricco, immediato nella ricezione del nuovo e che non
necessitava dell’esistenza di un sistema strutturato nei paesi “adottati”, perché era
sufficiente elevare singoli individui e singole opere ad artisti

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internazionalmente riconosciuti e accettati. Questa disponibilità veniva dalla certezza di


non avere interlocutori alla pari: si pensava che tutte le altre culture non aspettassero altro
che essere invitate a diventare parte del ricco Occidente e si riteneva che nessuna di esse
potesse essere così forte da metterlo in crisi  l’Occidente pensava di esportare un
modello importante nuove idee. All’inizio la ricerca del confine più lontano si è mossa in
maniera disordinata: negli anni ‘90 la curiosità verso la diversità è stata occasionale e
dettata da impulsi del momento. La ricerca era indirizzata verso le culture artistiche di quei
paesi che di volta in volta si affacciavano alla ribalta mediatica per qualche motivo e
spesso questo motivo era drammatico (una guerra, una tragedia umanitaria etc). Dopo
l’interesse per la cultura artistica russa si assiste a un forte interesse per tutti i Balcani, le
repubbliche baltiche, gli Stati dell’ex Urss, l’Egitto, alcuni paesi africani, l’Australia, la
Turchia e Cuba. Sulla Cina invece aggravava ancora la repressione di piazza Tienanmen
(1989), mentre l’India appariva ancora troppo esotica. È importante sottolineare che
l’interesse del mondo dell’arte non ha mai preceduto lo scoppio di una crisi o la
manifestazione economico-politica di un cambiamento, ma al contrario l’ha seguita
mostrando sempre di più il legame esistente tra l’interesse mediatico e il sistema
dell’arte. Non a caso quando l’informazione su quei luoghi veniva meno anche l’interesse
per le loro espressioni artistiche era destinato a scemare e soltanto quegli artisti che
avevano capito il meccanismo e si erano trasferiti verso i centri di potere dell’arte (New
York e Londra) hanno avuto la possibilità di superare il calo di interesse.

4.2 PAESI ALLA RIBALTA, CONTINENTI DIMENTICATI

L’attenzione del mondo dell’arte si è distribuita nel mondo secondo una scelta


geopolitica che tende ad assecondare l’interesse generale manifestato verso quelle
stesse aree. Ecco alcuni esempi:

1) La tragedia dei Balcani con le guerre interne tra serbi e sloveni prima, poi serbi e croati,
serbi e bosniaci e infine serbi e albanesi. Tutte le etnie che si sono ribellate ai serbi sono
state gratificate di attenzioni da parte del mondo dell’arte, che ha contribuito così a
confermare i ruoli attribuiti alle controparti dalla politica, dall’economia e dal sentimento
comune. Manifestazioni come la Biennale di Tirana, di cui sono stato organizzato un paio
di edizioni, hanno goduto dell’attenzione mediatica. Ogni mostra dedicata alle espressioni
artistiche di quei luoghi era l’occasione per il mondo dell’arte occidentale per mostrare la
propria capacità di testimoniare la realtà in presa diretta e la volontà di schierarsi “dalla
parte giusta” (sostenendo gli artisti delle etnie che si erano ribellate). A essere esclusi in
realtà sono stati proprio gli artisti, ridotti al rango di testimoni momentanei e considerati
interscambiabili: essi erano presenti a queste manifestazioni più come rappresentanti
etnici, che non come artisti e il mondo dell’arte ha reso così visibile che la scelta di certe
espressioni artistiche era derivata da fattori geopolitici.

2) Il caso di Cuba > sono stati i sentimenti contrastanti nei confronti del regime di Fidel
Castro ad aver regolato tutti i rapporti con l’arte dell’isola, a partire dalla Biennale
dell’Avana fondata nell’84. L’alone romantico che circonda la rivoluzione caraibica e la
mitologia del Che hanno portato una ventata di interesse nei confronti di quanto di artistico
accadeva nell’isola.

Il fatto che aree geopoliticamente sotto i riflettori dell’Occidente attirino attenzione del
mondo dell’arte non è di per sé un fatto negativo, perché questo interesse conoscitivo
potrebbe persino portare un contributo alla comprensione di quanto sta accadendo in
quelle aree; tuttavia il mondo dell’arte ha escluso da ogni considerazione culture di grande
tradizione solo per il fatto di essere in quel momento poco interessanti dal punto di vista
politico e mediatico: un es. è l’arte dell’America Latina che è stata praticamente
cancellata da ogni manifestazione internazionale per il solo fatto di essere diventata terra
priva di ogni attrattiva mediatica (Allende e il Che erano già morti). Motivi di crisi ce ne
sono stati anche in quell’area, ad esempio la bancarotta dell’Argentina nel 2000, ma il
fallimento economico di un paese ha poco di mediatico e spettacolare. Stessa
considerazione vale per l’Africa esclusa dalle scelte del sistema dell’arte, salvo qualche
eccezione (si tratta soprattutto di artisti africani residenti in Occidente). Con l’Africa si
intende non la fascia a nord del Sahara (che appartiene culturalmente più all’Islam) e non
il Sudafrica, la cui storia recente e la forte presenza della cultura bianca ha prodotto
risultati unici, ma l’Africa nera. Il mondo dell’arte occidentale si è rivelato in questo caso
incapace di andare oltre gli stereotipi, a meno che l’interesse non venisse lanciato dal
mondo mediatico. Sono pochi gli artisti africani che hanno raggiunto una qualche visibilità
nel sistema dell’arte e nella percezione culturale l’Africa non ha oggi alcun peso  la causa
di questa situazione non sono qualità artistiche, ma il fatto che non esiste reciprocità.
La reciprocità richiesta è di natura economica e a questa richiesta l’Africa non può
rispondere.
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Se la situazione a fine ottocento era che il linguaggio occidentale poteva appropriarsi di


linguaggi altrui senza concedere nulla, alla fine del novecento le esigenze erano
radicalmente cambiate. Un secolo fa erano stati gli artisti stessi ad andare alla ricerca di
nuovi linguaggi, mentre in seguito il protagonista è diventato l’intero sistema dell’arte che
insieme alle novità linguistiche ha cercato anche nuovi sbocchi per i propri prodotti. La
diffusione globale di un sistema dell’arte significa anche l’allargamento del mercato,
compreso quello culturale, per cui appare sempre più centrale la possibilità di sviluppare
una rete di scambi attraverso un sistema di musei pubblici, istituzioni e gallerie -> questa
condizione in Africa non esisteva e per questo motivo il mondo dell’arte se n’è
disinteressato. Al contrario, in alcuni paesi anche molto diversi tra loro (Turchia, Sudafrica,
Brasile e Messico) queste condizioni esistono: ricchezza crescente, città emancipate,
ambizioni dichiarate di entrare nel sistema occidentale, posizioni strategico-militari ne
fanno i soggetti ideali delle attenzioni di tutti i sistemi economici, politici, culturali e
mediatici. Turchia e Sudafrica sono due paesi emblematici gli un’ideologia globale e non è
un caso che una delle prime azioni di “adozione” sia stata la creazione di una biennale
d’arte: la biennale di Johannesburg fondata nel 1995 (durata solo due edizioni) e quella di
Istanbul nell’87. Grande accoglienza hanno poi avuto gli artisti dei due paesi nelle
manifestazioni internazionali, stabilendo quella reciprocità anche economica -per quanto
sbilanciata - attraverso presenze di artisti sudafricani e turchi nei mercati dell’arte di tutto il
mondo.

4.3 L’ISLAM COME NERO DELL’OCCIDENTE

L’inizio del nuovo millennio ha evidenziato l’importanza fondamentale della forza


economica anche per il prodotto artistico, ma esiste ancora una parte del mondo non
secondaria che risponde ad altri criteri: l’Islam. Le culture dei paesi che lo compongono
hanno caratteristiche comuni che vedono nel generico antioccidentalismo e nella
proposizione di un modello di pensiero alternativo i nuclei principali di discussione. Anche
le aperture a modi occidentali di concepire l’arte sembrano più improntate a una mossa
politica gestita dal potere, che non a un’esigenza culturale di confronto sentita dagli
intellettuali; se si pensa ai musei, frutto di accordi con il Guggenhiem di New York e il
Louvre di Parigi, che tra poco si apriranno a Dubai, queste operazioni sono il frutto di una
pianificazione politica precisa che mira alla costruzione di un’immagine culturale indirizzata
più all’esterno che all’interno del paese. Del resto, la figura dell’artista mantiene nei paesi
islamici un significato diverso e l’arte è considerata o come una vocazione trascendentale
vicina al divino o nella sua funzione decorativo-artigianale. La differenza tuttavia è
reciproca, anzi è stato l’Occidente ad aver escluso dalla propria sfera di scambio
intellettuale tutto questo mondo. Dalla fine del blocco sovietico è il mondo islamico a
costituire per l’Occidente il nemico ideologico e culturale, anche se non economico, con
cui è necessario colloquiare il meno possibile. Eppure le potenzialità artistiche di quella
parte del mondo sono tutt’altro che scarse: la cultura di certi paesi, come l’Iran e la Persia,
era tradizionalmente una cultura di scambi stretti con l’Occidente, così come le coste
nordafricane e mediorientali del Mediterraneo. In epoca contemporanea due grandi
questioni hanno impedito relazioni più costanti: Israele e la questione palestinese e la
rivoluzione del ‘79 che ha destabilizzato tutta l’area tra Iraq e Pakistan. Gli artisti
riconosciuti dell’area islamica sono soltanto i fuoriusciti, cioè gli artisti emigrati che fanno
della loro cultura il soggetto del proprio lavoro, ma che vivono nei centri del potere
artistico. Con tutta probabilità l’artista persiana Shirin Neshat, che vive negli Stati Uniti,
non si sente affatto una fuoriuscita pur avendo costituito il proprio successo sulla denuncia
della condizione della donna sotto regimi autoritari, ma la sua percezione e quella di molti
altri artisti islamici da parte del mondo dell’arte non prescinde da questa con condizione. Il
popolo palestinese resta invece totalmente escluso, relegato nell’invisibilità, esattamente
come accade per lo statuto politico e giuridico dei territori a esso assegnati a Gaza e in
Cisgiordania. Ciònonostante, anche in quei paesi esiste un abbozzo di sistema dell’arte
che comprende l’organizzazione di mostre, uno status sociale per l’artista, la presenza di
musei d’arte moderna e contemporanea e qualche galleria.

CAP. 5 - L’OCCIDENTE INCONTRA LA CINA

L’incontro fra Occidente e Cina è caratterizzato da false partenze: basterà ricordare il gelo
decennale seguito alla strage di piazza Tienanmen e la paura sulle potenzialità odierne
della Cina per capire come essa venga vissuta da un lato come un’opportunità, dall’altro
come una minaccia. Per molto tempo la Cina è stata considerata come un serbatoio di
energie di tutti i tipi e soprattutto a buon mercato. La curiosità verso l’arte contemporanea
cinese, fino agli anni ‘90, si è configurata come l’interessamento nei confronti di una delle
tante culture altre che si stavano scoprendo, nel tentativo di consolidare il modello di
pensiero unico dopo il crollo dell’avversario sovietico. Per

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troppo tempo si è pensato che il flusso culturale, se non quello economico, potesse essere
unidirezionale, un ingresso di modelli di vita occidentali verso una cultura che si riteneva
devastata da quarant’anni di maoismo e ansiosa di ricostruire una propria immagine
internazionale sulle orme del modello occidentale. In arte questo fraintendimento ha
impedito di capire che cosa stesse maturando all’inizio del nuovo millennio, prima ancora
che nell’ambito del linguaggio, nel campo del mercato dell’arte cinese.

5.1 UNO SCAMBIO DI LUNGA DATA

I rapporti tra Occidente e Cina sono molto antichi, soprattutto di tipo commerciale, e la
Cina è una delle poche nazioni che hanno mantenuto inalterati i propri confini per circa
due milleni; a dispetto delle numerose guerre contro di essa da parte di tutte le potenze
mondiali a partire dall’ottocento, l’integrità della Cina è rimasta intatta e nessuno è mai
riuscito a occuparla interamente né a dirigerla. Nel corso dei secoli il rapporto tra
Occidente e Cina è peggiorato, raggiungendo il culmine tra il declino dell’ultima dinastia
imperiale, i Qing, a metà ottocento e i disordini politici degli anni ‘30 del novecento: il
commercio estorto con la forza da parte delle potenze occidentali e il considerare la Cina
solo un grande serbatoio di manodopera a buon mercato hanno incrinato fortemente le
relazioni. C’è voluto un nemico più grande perché si cominciasse a stabilire qualche
alleanza tra Occidente e Cina: il Giappone imperialista degli anni ‘30 e della seconda
guerra mondiale. Poi con l’avvento del comunismo di Mao (1949) si è avuto un silenzio
durato trent’anni e quando cominciava l’epoca del disgelo è avvenuta la repressione di
piazza Tienanmen (’89) che ha rimandato di qualche anno l’epoca degli investimenti
occidentali in Cina e la crescita economica straordinaria del paese. L’ipotesi di poter
guidare lo sviluppo della Cina doveva apparire impossibile sin da subito: nonostante tutti i
cambiamenti epocali della fine degli anni ‘80, non solo in Cina non c’è stato alcun collasso
con vuoto di potere (come nell’ex unione sovietica), ma al contrario la leadership cinese ha
saputo realizzare quello che finora è il più riuscito esempio di pianificazione economica
socialista: è riuscita a coniugare il controllo politico centralizzato con lo sviluppo della
libera impresa a stampo capitalista. Questa capacità di inventare modelli di sviluppo nuovi
non è da sottovalutare sia in campo economico che in campo artistico. L’atteggiamento
occidentale non ha però tenuto conto della differenza e complessità tra il modello
cinese e quello vigente nel resto del mondo, ma ha preso in considerazione solo gli
elementi ritenuti utili al proprio immediato profitto. Ciò che differenzia la cultura cinese è
che essa è abituata a prefiggersi obiettivi (e a raggiungerli) attraverso il rispetto millenario
dell’autorità costituita (oggi rappresentata dal partito comunista) e nella mancanza quasi
totale di questioni e principi considerati fondamentali in Occidente (questioni relative alla
produzione, ad esempio salari, orari di lavoro, sicurezza, inquinamento etc). È soprattutto
l’atteggiamento culturale, ancora prima di quello economico, a porre la Cina in posizione
privilegiata rispetto al resto del mondo. L’Occidente non è riuscito a vedere e cogliere la
portata della reattività cinese, accecato dalla possibilità di produrre e vendere a costi
sempre minori. Persino il concetto di copia è stato sottovalutato e considerato un piccolo
danno collaterale rispetto agli enormi profitti di una produzione “autentica” a basso costo;
quando ci si è accorti dell’enorme potenziale, ricchezza e conoscenza raggiunto dalla Cina
grazie all’uso di tecnologie e sistemi fatti propri era impossibile tornare indietro. All’epoca il
libero mercato sembrava propendere per il maggiore profitto dell’Occidente come accade
in presenza di economie meno consapevoli, ma con la Cina il sistema non ha funzionato,
semplicemente perché è stato assimilato, studiato e riprodotto. Le mosse del sistema
dell’arte occidentale nei confronti di un’arte contemporanea cinese pressoché sconosciuta
attorno al 1990 non sono state inizialmente diverse da quelle attuate nei confronti di altre
culture; la Cina appariva soltanto come un mercato più vasto dove si sarebbero potuti
trovare nuovi linguaggi e dove si sarebbe potuto esportare, insieme agli artisti occidentali,
anche un preciso modello di pensiero e sviluppo.

5.2 MODELLI OCCIDENTALI

La penetrazione dell’arte contemporanea occidentale nella cultura cinese ha seguito il


solito metodo: all’iniziale introduzione delle merci più appetibili hanno fatto seguito le merci
più sofisticate; alle manifestazioni più semplici del benessere occidentale (beni di
consumo) si sono cioè affiancate le espressioni più sofisticate, fino alla discesa in campo
di tutte le componenti di un modello di vita. Lo stesso metodo era stato utilizzato anche
all’interno del sistema occidentali

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stesso, con l’arrivo dei beni di consumo americani in Europa, culminati con l’arrivo trionfale
della Pop Art. La Cina sembra aver subito lo stesso fascino per gli oggetti, la cui crescita
esponenziale è visibile, ma non sembra avere accolto completamente il modello sotteso a
quegli oggetti: sensibili al possesso di beni materiali e all’incremento del proprio
benessere, i cinesi appaiono però refrattari all’adozione dei modelli proposti da quegli
stessi oggetti. Per quanto riguarda l’arte, in Cina esiste ancora la censura per cui non si
possono esibire o trattare certi temi (legati alla sessualità o alla critica politica) ma la
creatività non sembra risentirne. Il primato della penetrazione dell’arte occidentale è quello
dell’arte americana e i motivi sono molteplici, primo fra tutti il canale privilegiato che esiste
tra Stati Uniti e Cina che mostra come la Cina abbia mirato sin da subito ad aprire
trattative con il paese più forte. Importanti sono anche le caratteristiche dell’arte americana
contemporanea che sono più facilmente comprensibili dal pubblico. Da queste
considerazioni emerge che non è un caso che tutta l’arte cinese abbia una connotazione
pop, che non deriva tanto dall’adozione totale del modello statunitense, ma dal
riconoscimento in quell’arte di certe caratteristiche proprie della nuova vita quotidiana
cinese. È a partire dal nuovo millennio che esiste un movimento di scoperta della giovane
arte cinese da parte soprattutto di galleristi desiderosi di concretizzare la ricerca della
novità in luoghi con fortissimo potenziale di sviluppo. Gli anni di preparazione all’esordio
mondiale sono i primi 4 del millennio, poi c’è stata qualche mostra generica e subito dopo
alcune aste che hanno segnato l’esplodere del fenomeno cinese; nel giro di tre anni, dal
2004 al 2007, le vendite di arte cinese contemporanea nelle aste di Hong Kong subiscono
un incremento dei prezzi di 14 volte e anche nelle aste newyorkesi la media dei prezzi
delle opere cinesi si incrementa di tre volte con punte di oltre il milione di dollari. Le scelte
dei collezionisti si concentrano su poche figure di artisti e quindi pochi diventano nel giro di
breve tempo i “maestri” dell’arte contemporanea cinese. Il boom dell’arte contemporanea
cinese, almeno in questa fase, è guidato e promosso da case d’asta occidentali, da
collezionisti, galleristi e musei internazionali. Nel giro di pochissimi anni la presenza cinese
nell’arte contemporanea, stando ai risultati delle aste, si è affermata a tal punto da
costituire il nucleo più forte e il più giovane. Il fenomeno cinese ha conosciuto numeri
vertiginosamente moltiplicati e tempi estremamente ridotti dell’affermazione sul mercato
mondiale. L’attenzione generale per la Cina e le potenzialità del suo mercato ha poi
rapidamente moltiplicato le aperture di gallerie occidentali nelle due città di Pechino e
Shanghai, le quali godevano già di rapporti privilegiati con i paesi occidentali.

CAP. 6 - LA CINA INCONTRA L’OCCIDENTE

L’avvicinamento tra Cina e Occidente risale alla morte di Mao (1976) e subisce
un’interruzione dopo la repressione dell’89, anche se il riavvicinamento è inesorabile e
passa attraverso l’intreccio dell’economia. Il fatto che gli Stati Uniti siano oggi debitori della
Cina e gran parte delle produzioni occidentali siano dislocati in quel paese pare sempre
che ciò sia determinato dalla volontà occidentale. Anche per il sistema dell’arte si è
pensato così e all’inizio i modelli di sviluppo e diffusione dell’arte cinese sono stati
promossi da occidentali, i quali si sono visti però scavalcare presto dai nuovi signori cinesi
del mondo dell’arte. Questi ultimi hanno assimilato il modello occidentale, ne hanno
imparato le regole e si sono affermati velocemente; a questa attitudine si aggiunge il forte
senso di identità nazionale che fa da muro alle troppe ingerenze esterne. Al contrario di
tante culture che hanno sentito la necessità di adottare modelli occidentali per sentirsi
parte del mondo internazionale, il sistema dell’arte cinese non si sente affatto debitore e
semplicemente applica regole diventate internazionali al proprio prodotto, con la
prospettiva di poter in futuro ideare e imporre le proprie regole alla globalità del pianeta.

6.1 LA RISPOSTA CINESE

Uno dei pilastri dell’unità e della forza della Cina è il rispetto dell’autorità centrale
sostanzialmente divinizzata. L’Occidente in generale ha sempre sottovalutato la Cina e
soltanto l’aspetto politico aveva destato preoccupazioni in Occidente, ma quando il
modello si è sgretolato in Unione Sovietica e aveva mostrato il suo lato repressivo in Cina
nell’89 il modello socialista sembrava aver perso e si credeva che se un modello del
controllo e del partito unico venivano meno si sarebbe dissolto anche il sistema produttivo
ad esso legato (produzione centralizzata e decisa dallo Stato). Ma il modello cinese non è
crollato: si è evoluto e adattato alle nuove esigenze, basandosi sulle richieste venute
dall’interno più che sull’adozione di un modello straniero. Così a partire dall’inizio degli
anni ‘90 è iniziata l’ascesa economica della Cina, la cui importanza è emersa soltanto del
nuovo millennio: quei 10 anni di incremento di produzione e ricchezza hanno posto la Cina
in una posizione inattaccabile. La Cina ha fatto della permeabilità a fattori esterni la propria
impermeabilità, creando
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le condizioni per essere indispensabile e in grado di condurre il gioco da posizioni


paritarie, risultato che non è riuscito a nessun altro paese. L’accoglimento totale da parte
della Cina delle richieste provenienti dall’estero ha reso l’Occidente completamente
dipendente dall’economia cinese. Per il campo dell’arte contemporanea sembrerebbe che
l’accoglimento delle richieste provenienti dall’estero si potrebbe tradurre in un conformarsi
a modelli occidentali, sia per quanto riguarda il sistema che i modi espressivi > a prima
vista sembrerebbe così, ma la situazione cinese è molto più complessa. Bisogna capire se
il linguaggio adottato dagli artisti cinesi contemporanei sia un linguaggio d’importazione o
se sia l’evoluzione di un proprio percorso linguistico moderno e contemporaneo. L’arte
cinese è stata senz’altro l’ultima a prendere in considerazione modelli occidentali, pur
essendone venuta a contatto fin dal 1500: la pittura a olio è stata introdotta da occidentali
in Cina tra ‘600 e ‘700, ma senza riuscire a sviluppare una vera e propria scuola e anche
quando si potrebbero riconoscere tratti di realismo occidentale si tratta piuttosto di
un’evoluzione della tradizione cinese della pittura su carta e della pittura vascolare. Un
elemento importante è che l’intero sistema cinese, dell’educazione, dell’arte e di qualsiasi
altro settore, è fortemente gerarchizzato e basato sul concetto di una costante
“riproduzione” di modelli altrettanto costanti: il rispetto delle convenzioni, sociali e
stilistiche, è una caratteristica inossidabile che interessa anche il nuovo linguaggio usato
dagli artisti più noti a livello internazionale. È un errore leggere nell’arte contemporanea
cinese l’abbandono totale del modello cinese di visione del mondo e di comportamento: le
concessioni formali dell’Occidente rientrano invece in un contesto che sì tiene conto del
sistema per ora egemone (quello occidentale), ma che è altrettanto conscio della propria
forza, che nel futuro non potrà che aumentare.

6.2 UN MERCATO GIGANTESCO

Uno dei motivi della crescita continua della Cina è la vastità del suo mercato interno, tanto
più che a oggi la popolazione cinese non ha ancora completamente soddisfatto le proprie
necessità e desideri di benessere e di beni di consumo. La Cina è un paese
potenzialmente enorme di consumatori, ma anche di produttori e questo vale anche per il
mondo dell’arte. Nel campo dell’arte, il “grande numero” di potenziali artisti rischia di
cambiare completamente i modi della diffusione e fruizione dell’arte, e non solo all’interno
della Cina visto che il paese sta diventando un fulcro dell’attenzione mondiale. Facciamo
ora alcune considerazioni sullo stato attuale del pubblico e dei collezionisti cinesi > lo
sviluppo del gusto per l’arte contemporanea segue gli stessi passi che si sono riscontrati in
ogni società che da povera diventa affluente nel giro di pochi anni: dopo l’iniziale
attenzione per gli status symbol più banali e subito visibili (immobili, auto, oggetti di lusso)
si approda in un paio di genere ioni a strumenti più sofisticati, come l’arte contemporanea.
I milionari che in Cina sono diventati collezionisti hanno seguito lo stesso percorso
avvenuto in altre culture, ma con una differenza: in Cina, l’attenzione per l’arte e l’abitudine
a collezionare è molto più radicata che altrove e di conseguenza il collezionista cinese
possiede una consapevolezza del proprio gusto che si traduce in autonomia di scelte. Il
nuovo collezionista cinese d’arte contemporanea non è in totale balia di un gusto esterno
alla propria tradizione, ma è un soggetto deciso ad affermare il proprio gusto. Cosa sia il
gusto cinese non è semplice da definire, si tratta di un’attitudine che precede ogni scelta
specifica: la ricerca di una spettacolarità che esalti la maestria, la decorazione, il nuovo e
contemporaneamente la tradizione. Entro questi parametri si inserisce più o meno tutta la
nuova arte cinese, ma non l’arte internazionale e se a questo si aggiunge che il
collezionista mantiene una predilezione “patriottica”, si comprende come l’arte
internazionale non si trovi ad operare in un territorio facile. Un esempio sono le gallerie
straniere che hanno creato delle filiali in Cina, le quali sono più facilitate a esportare artisti
cinesi in Occidente che capaci di proporre artisti occidentali in Cina. Il sistema
cinese comunque è ancora carente e sta prendendo piede per ora solo a Pechino,
Shanghai e Hong Kong, mentre mancano del tutto musei d’arte contemporanea. È
singolare che in un paese così carico di storia i musei siano così scarsi e così poco ricchi
di reperti; tuttavia in quel paese e più in generale in Oriente il concetto di storia è molto
diverso da quello occidentale: il passato è ripetibile e il tempo è circolare > questa
concezione del tempo condiziona tutta la percezione del mondo: non è considerato infatti
troppo utile conservare il passato negli oggetti, i quali sono ripetibili, ma è sufficiente
conservarlo nella memoria  questo atteggiamento spiega la generale scarsità di musei sul
territorio. I musei che sono stati creati recentemente hanno saltato tutta la fase borghese
e moderna, quella della conservazione del passato come monito per il futuro, e sono
approdati direttamente alla fase post-moderna del museo, inteso in maniera riduttiva come
grande contenitore di mostre temporanee. Così i musei che stanno sorgendo in Cina sono
soprattutto luoghi espositivi: nel 2005 è nato a Shanghai il MOCA che organizza un
numero impressionante di rassegne all’anno e che possiede una collezione di giovani
artisti cinesi. La caratteristica di ogni spazio espositivo cinese è la quantità delle
manifestazioni: come accade in

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ogni società che rapidamente si apre alla novità, l’ansia di “mettersi al passo” spinge a
moltiplicare le occasioni, a scapito della qualità. Sono infatti pochi gli spazi che
mantengono una linea coerente, perché la priorità è quantitativa e i luoghi espositivi sono
pensati per ospitare più mostre in contemporanea. Le mostre inoltre durano pochissimo,
proprio per l’urgenza di mostrare l’ultimissima novità e al contempo per la necessità di
manifestare la propria vitalità.

6.3 LE NUOVE REGOLE CINESI

Per quanto riguarda l’arte, e anche altri beni, il comportamento sociale ed economico
cinese non differisce molto da quello statunitense: è sufficiente il mercato interno per
poter sostenere una domanda e un’offerta globali, nate dalla propria economia. Questo è
evidente per il sistema dell’arte: non solo il mercato interno degli Stati Uniti è sufficiente a
decretare il successo di un artista, ma al successo di un artista sul mercato statunitense
solitamente segue il suo successo internazionale, perché a quel sistema viene
riconosciuto un ruolo-guida per il mercato globale  questo perché il mercato statunitense
è il più importante per movimento di denaro. Il sistema cinese dell’arte non ha certo quella
portata economica né una struttura così efficace, ma sicuramente ne ha potenzialità; la
sola “forza del numero” è già di per sé un indicazione di come l’arte contemporanea cinese
possa sopravvivere facendo affidamento solo sul proprio mercato interno. La Cina si
configura come un paese che si è affacciato al mondo senza negare i caratteri identitari
della propria cultura, ma accettando la sfida della globalizzazione  in questo modo è
diventato più ricco e affronta il confronto da posizioni non più subordinate. È dunque
automatico che il paese non si accontenti di un mercato interno, ma che anche per l’arte
voglia misurarsi ad armi pari sul terreno internazionale, sia per una questione di strategia
culturale sia per un interesse economico. Il binomio arte/business, mitigato in Occidente
da una sovrastruttura idealistica che ha sempre considerato l’arte un prodotto speciale, in
Cina è stata invece assunta come legge cardine. Il binomio è certamente vero, come
dimostra il cambiamento avvenuto nel sistema dell’arte a partire dagli anni ‘80, ma la
cultura cinese ci ha aggiunto qualcosa di suo, due componenti che caratterizzano la sua
società: lo spirito pragmatico e il concetto per cui l’arte non è mai stata qualcosa di
speciale. Il rispetto manifestato l’artista non si spiega infatti come il rispetto per una voce
discorde ma forse profetica, quanto perché egli è considerato l’interprete più alto della
società e il suo valore viene calcolato attraverso il premio della fama, dell’onore e delle
ricchezza. In questo scenario si inseriscono i metodi di diffusione e commercio dell’arte di
cui il sistema cinese intende servirsi, imparandone i modi e proponendone di propri. È
presumibile che ben presto nascerà un gruppo di gallerie e musei cinesi d’elite, che il
sistema delle fiere verrà potenziato (per ora sono due, a Shanghai e a Hong Kong, mentre
le biennali si stanno già moltiplicando. Sono però i comportamenti e i metodi nuovi che
gruppi di collezionisti stanno sperimentando in Cina a costituire la novità assoluta per il
mercato globale: per esempio, la “borsa degli artisti” si sta affermando sempre di più > si
tratta di una vera e propria borsa dove però si punta su un artista: un gruppo di investitori
compra quote di un ciclo di lavori che si ritiene in ascesa, poi affida queste opere a un
gallerista affinché le venda e distribuisca i dividendi. L’operazione viene pubblicizzata
come il metodo per entrare nel mondo dell’arte pur non avendo grandi mezzi a
disposizione, anche se in realtà nessuno di questi investitori gode delle opere acquistate,
ma ricava semplicemente denaro da opere che non ha mai visto  l’arte è ridotta a una
merce qualsiasi. Se si diffondesse questo modo di agire si potrebbe assistere all’ingresso
di grandi capitali mossi solo da un interesse speculativo. È presumibile che l’azione futura
dei collezionisti cinesi, pur seguendo parzialmente le regole del sistema dell’arte
occidentale, di fatto se ne discosterà sempre più, cercando di imporre il proprio punto di
vista per quanto riguarda il modo di diffondere, valorizzare e consumare l’arte.

CAP. 7 – CONTRADDIZIONI INDIANE

L’altra grande potenza culturale asiatica è l’India, la cui cultura e arte sono profondamente
diverse siano dai modelli occidentali sia da quelli cinesi, mentre il sistema dell’arte – oggi
allo stato iniziale -sembra ricalcare il sistema occidentale. L’influenza inglese è stata
fondamentale per quanto riguarda le istituzioni indiane e l’atteggiamento degli artisti:
essere artista in India ha ancora un’aura vocazionale, forse anche perché il mercato e il
business artistici non sono così sviluppati. I centri della cultura e del mercato artistico sono
due: Nuova Delhi e Mumbai. Mentre è chiaro che la Cina aspira ad affiancarsi
culturalmente agli Stati Uniti, le attenzioni artistiche dell’India sono più sfumate,
comprendendo ancora un rapporto più che privilegiato con l’Europa e il suo collezionismo.
Il suo sviluppo artistico è stato più diluito nel tempo di quello cinese, la produzione artistica
indiana è più variegata di quella cinese, ma al tempo stesso meno

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riconoscibile. Il mercato dell’arte è meno efficace di quello cinese dal punto di vista della
sua influenza globale e nel futuro tale concorrenzialità probabilmente porrà in secondo
piano l’identità culturale e nazionale indiana, in favore di singoli artisti e delle singole
opere.

7.1 UN SISTEMA A METÀ

Spesso si enfatizza l’enorme progresso materiale in paesi come la Cina e l’India > questo
processo però è già difficile nei campi della produzione materiale, nonostante alcuni settori
d’eccellenza, e lo è ancor di più per quanto riguarda la creazione di un sistema dell’arte. In
questo caso l’India ha ancora un sistema a metà tra un’arte folcloristica e un’arte
contemporanea globalizzata. In realtà, in Europa a partire dal 2000 non sono mancate le
mostre sull’arte contemporanea indiana > l’interesse per l’India è emerso immediatamente
dopo l’analogo interesse per l’arte contemporanea cinese, ma gli artisti indiani non
possiedono quell’immagine di compattezza dei cinesi e inoltre il sistema e i mercati
internazionali non sembrano così sollecitati nel promuoverli -> questo è causato non tanto
dallo scarso valore degli artisti, ma dalla difficoltà di trovare in India un’interfaccia
istituzionale e privata all’altezza. Il sistema dell’arte indiana è molto diverso da quello
cinese anche nelle premesse storiche: la dominazione inglese finita nel ‘47 aveva già
introdotto un sistema dell’arte, basato sulle esigenze di una borghesia inglese emigrata e
una borghesia indiana nascente. Si era creato un sistema di musei e un’istruzione artistica
basata su accademie e scuole, che aveva favorito la nascita di gruppi artistici e di un
iniziale mercato privato. L’India, al contrario della Cina, è sempre stata aperta all’iniziativa
privata, concretizzatasi in qualche galleria d’arte a Nuova Delhi e Mumbai, sorte agli inizi
degli anni 60. Tuttavia, nei decenni successivi non si è verificata una crescita costante
della loro presenza o della loro importanza. È stata invece la crescita del Pil indiano
all’inizio del 2000 insieme alla produzione di semilavorati e di programmi d’alta tecnologia,
sostenuti da un mercato finanziario anglofono, a creare quelle che sono delle premesse
per il sistema dell’arte indiano. Un discreto gruppo di gallerie private è sorto tra Mumbai e
nuova Delhi, le quali si contendono il ruolo di principale città per l’arte contemporanea in
India. I collezionisti indiani però sono pochi, mentre la critica e il giornalismo d’arte sono
ancora agli inizi; inoltre ad essere molto carenti in India sono anche le istituzioni pubbliche
e private. Gli artisti indiani che hanno raggiunto una notorietà internazionale hanno al
massimo cinquant’anni e la prima spinta per entrare nell’arena mondiale è venuta loro
dalle gallerie indiane, che però sono state subito soppiantate da gallerie europee e
americane affermate. È quindi molto difficile che una galleria indiana riesca a imporre uno
o più artisti per questioni di forza contrattuale ed economica. Il collezionismo è ancora in
embrione: piccoli e medi collezionisti dell’epoca preglobale non si possono più permettere i
prezzi attuali, mentre i nuovi collezionisti indiani (appartenenti quasi tutti alla categoria dei
finanzieri) hanno assunto atteggiamenti da investitori; costoro non riescono però ancora
ad influire sul mercato internazionale, perché ci sono entrati da poco e senza possedere
fette significative di mercato (cioè opere molto richieste, o quote di gallerie). La
composizione del sistema indiano dell’arte appare dunque ancora debole perché ancora
due o tre componenti del sistema (artista, gallerista, istituzione, collezionista, critica) non
hanno ancora raggiunto gli standard minimi per poter competere nel mercato
internazionale.

7.2 TRA OCCIDENTE E CINA

La domanda fondamentale è se l’India sarà in grado di affrontare la sfida globale per


quanto riguarda il mondo dell’arte o se rimarrà più semplicemente un mercato
potenzialmente interessante per chi governerà l’arte globalizzata. L’analisi svolta non offre
previsioni ottimistiche sulle capacità dell’India come “potenza artistica”, ma ciò non toglie
che la sua potenzialità economica e la sua presenza in Asia possano costituire un modello
nel lungo periodo. La presenza indiana sulla scena dell’arte, e ancora di più quella cinese,
ha coinciso con il diffondersi del concetto stesso di globalizzazione: questi paesi
rappresentano la novità, l’elemento mai considerato prima che agisce perché esiste la
globalizzazione e quindi si presume sia più adatto a muoversi nel sistema globale, perché
è nato con esso e non deve adeguare le proprie strutture. L’apparente inesistenza di un
sistema precedente si potrebbe quindi rivelare un vantaggio, tuttavia l’India non si trova
nella stessa situazione cinese, perché le strutture di un sistema esistevano da tempo e
ricalcavano il modello anglosassone, per cui esso deve comunque adeguare quello
modello alla nuova situazione globalizzata. D’altra parte non si intravede nessuna volontà
indirizzata a questo scopo e risulta molto difficile pensare che le componenti del sistema si
possono emancipare e sviluppare in maniera completamente diversa da quanto fatto
finora. In India sembra non esistere né un gioco di squadra né una reale competizione: al
contrario, tutti gli artisti indiani che non ancora legati a qualche galleria fuori dall’India
continuano a esporre in tutte le gallerie > questo è un atteggiamento meno conflittuale, ma
che non risponde ai requisiti di

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esclusività che una galleria oggi deve instaurare con un artista che vuole sostenere. La
curiosità che si è accesa nei confronti dell’arte indiana rischia così di spegnersi per
mancanza di investimenti di tutti i tipi e di tutti i livelli. Al momento attuale nessuno sembra
puntare davvero su questo paese, neppure gli stessi indiani, i quali non hanno ancora un
mercato artistico interno che li renda autosufficienti e comunque globali, mentre la Cina è
in grado di sostenere i propri artisti anche soltanto rivolgendosi al proprio interno. È vero
che il sistema dell’arte indiano vorrebbe giocare un ruolo maggiore sullo scacchiere
mondiale e che per questo alcune delle sue strutture si stanno adeguando, ma è il
rinnovamento avviene troppo lentamente rispetto alle necessità del sistema.

CAP. 8 - IL LUOGO DEI LUOGHI: INTERNET

L’aspetto più visibile della globalizzazione è la circolazione istantanea e simultanea delle


informazioni e delle idee instaurata dalla diffusione di Internet. Il mercato dell’arte ha
beneficiato della rivoluzione della rete, fornendo a chiunque la disponibilità e il costo di
ogni singola opera disponibile > questo servizio ha però accentuato il peso del fattore
economico nella fruizione dell’arte e ha contribuito alla crisi del sistema tradizionale,
quello della galleria, in favore di quelle strutture, come le case d’asta, che hanno fatto del
prezzo di un’opera la loro base.

8.1 IL LUOGO GLOBALE: UTOPIE E SPERANZE NELLA RETE

Nessun luogo rappresenta la globalizzazione più di Internet, che ha la capacità di


raggiungere simultaneamente ogni parte del pianeta. Il fatto sorprendente è vero che il
linguaggio dell’arte (non il sistema) è stato molto toccato dall’introduzione massiccia di
Internet. Gli artisti ne sono stati influenzati nelle loro personali visioni e interpretazioni del
mondo, ma dire che lo strumento Internet sia stato sfruttato per i suoi lavori linguistici è
molto più difficile. L’autorialità di un’opera pare essere ancora uno dei parametri
fondamentali per la creazione del valore, soprattutto economico, dell’arte > questo aspetto
viene messo in pericolo dalla qualità di “no copyright” della rete, per non considerare che
la proiezione nel tempo di un’azione artistica per cui si richiede il contributo di altri “autori”
spesso anonimi, non consente di definire i confini dell’opera d’arte, cosa che proietta
quest’azione in un territorio difficilmente controllabile e quantificabile. Alcuni artisti hanno
fatto sperimentazioni con la rete, ma i risultati sono marginali rispetto alla loro attività
principale, mentre i net artisti non riescono a uscire dall’immaterialità della rete. Un ambito
dove invece appare incomprensibile la mancanza di uno sviluppo attraverso la rete è
quello del dibattito sui temi dell’arte e della sua gestione. I siti sull’arte e sul suo mondo
sono innumerevoli, mentre i forum, i blog e le chat dedicate all’arte non riescono a
produrre una massa critica di dibattito che le renda utili. Gli strumenti del dibattito per ora
rimangono quelli più tradizionali, manifestazioni più “fisiche”, analoghe alla fisicità ancora
irrinunciabile dell’opera d’arte. Dove invece la presenza di Internet ha cambiato davvero la
percezione e i modi del sistema dell’arte è nei suoi risvolti commerciali: il mercato
dell’arte è stato rivoluzionato dalle possibilità offerte da Internet ai collezionisti e ciò ha
accentuato quegli aspetti di crisi strutturale del mercato tradizionale. Il primo effetto è stato
la possibilità per ogni collezionista di tenere sotto controllo la situazione dei prezzi di ogni
singola opera d’arte: in rete sono infatti disponibili on-line tutti i cataloghi di tutte le case
d’asta ed esistono servizi che forniscono la storia delle aggiudicazioni d’asta di ogni artista
e la previsione sul suo incremento o decremento economico. Questo ha definitivamente
sancito che le aggiudicazioni d’asta sono l’unico parametro di giudizio da prendere in
considerazione e questo tipo di servizio provoca conseguenze concettuali molto rilevanti,
non solo riferite alla fase della collocazione dell’arte presso una collezione. Innanzitutto,
tutte le gallerie fisicamente collocate in un luogo vengono scavalcate dalla globalizzazione
del mercato: conterà sempre meno il rapporto tra gallerista e collezionista, perché si
deciderà di acquistare al miglior prezzo possibile. In un mercato fatto di nomi e brand,
anziché di opere vere e proprie, sono pochissimi collezionisti che sapranno distinguere tra
opera e opera. La diffusione mondiale, grazie alla rete, di un solo parametro di giudizio -
quello economico - contribuisce al fatto che ogni dibattito si appiattisca su un livello più
basso, quello del prezzo, portando così a compimento la rivoluzione iniziata negli anni ‘80
quando l’arte cominciava a trasformarsi in business. La rete, per quanto riguarda il sistema
dell’arte, ha assolto soltanto questo compito: la fornitura di dati oggettivi ma indiscriminati,
proponendo solo il livello più elementare della materia trattata.

CAP. 9 - ECHI DEGLI ANNI ‘80

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La globalizzazione non ha fatto che accelerare i cambiamenti già in atto negli anni ‘80 in
Occidente; tra i più significativi troviamo quello relativo al contesto dell’opera, che alla fine
del Novecento, ha conquistato il primato tra i fattori decisivi nella definizione dell’arte.
Inoltre la presenza sempre più importante di nuove culture artistiche ha aggiunto nuovi
significati al senso stesso dell’arte, introducendo valutazioni relative al contesto
geografico, esotico e perfino etnico che giustificano il proporre in quel contesto concetti e
forme già superati altrove.

9.1 IL MUTAMENTO DI VALORI IN CAMPO

Gli anni ‘80 sono stati il momento di passaggio a una diversa visione dell’arte e
soprattutto alla sua diffusione globale. Negli anni ‘80 la struttura del sistema dell’arte
occidentale stava evolvendo per motivi intrinseci e al tempo stesso per una necessità di
adeguamento a un modello di pensiero (quello capitalista) sorretto da prodotti prima
ritenuti superflui, come l’arte, e che improvvisamente ne diventano i simboli. Una strategia
politica ha eletto l’arte a uno dei protagonisti culturali per evidenziare le differenze del
modello capitalista rispetto a quello socialista. Lo sviluppo del linguaggio dell’arte e del suo
sistema è stato usato politicamente, ma non generato dalla politica, quanto invece da
necessità più profonde, sociali e linguistiche. Ciò che è più evidente nel mutamento è
l’aspetto collegato i fenomeni di moda, a loro volta derivati dai fenomeni economici,come
l’aumento non tanto di valori quanto dei prezzi delle opere d’arte. Questi fenomeni hanno
innescato a loro volta un cambiamento che si è riflettuto sul linguaggio stesso dell’arte,
modificandolo; quest’ultimo si è aggiornato, mettendosi al passo con il cambiamento della
società postmoderna. Da quando alla condizione postmoderna della società occidentale si
è affiancata anche la globalizzazione, i cambiamenti sono diventati più radicali: l’affacciarsi
di nuovi soggetti nel sistema dell’arte, cioè di nuove culture coinvolte in un avvicinamento
al modello occidentale, ha creato un movimento in cui i valori in campo stanno
evolvendo in modo imprevedibile. I mutamenti degli anni ‘80 sono stati i segnali della
piega che avrebbe preso il sistema e che ora sta esprimendo il suo potenziale di
trasformazione. Il mutamento più notevole riguarda il contesto dell’arte, perché esso è
diventato uno dei fattori essenziali dell’arte contemporanea: gran parte della discussione
teorica dell’arte si è svolta attorno a questa nozione, da quando Duchamp ha “de-locato”
un orinatoio trasferendo in una galleria d’arte e ha provocato uno spostamento semantico
della definizione dell’oggetto  il contesto è quell’elementi in mancanza del quale tutta
l’operazione concettuale non esisterebbe. Se prima si affermava che era anche il contesto
fare, ora si afferma tranquillamente che è solo il contesto a fare l’opera. Per compiere
questo percorso ci sono voluti circa ottant’anni e si è trattato di un cambiamento di
importanza attribuita al “luogo” nella definizione del valore di un’opera. All’interno di questa
situazione, in seguito è cambiato anche il concetto iniziale di contesto, che ha finito per
identificarsi con tutta quella serie di meccanismi di scambio che costituiscono la struttura
commerciale ed economica dell’arte -> il contesto è diventato l’insieme dei dispositivi
del mercato dell’arte. La sostituzione del contesto al concetto a partire dagli anni ‘80 è
stata dovuta allo strapotere del mercato che non solo ha affermato che è il contesto a fare
di un prodotto un’opera d’arte, ma che l’unico contesto deputato a farlo è l’ambito dello
scambio e del mercato. Con la globalizzazione si è aggiunto anche un altro tipo di
contestualizzazione dell’opera: il contesto geografico, esotico o etnico. Il successo degli
artisti risiede quindi anche nel contesto geografico di provenienza, per cui un artista cinese
viene considerato legittimato a proporre i medesimi concetti già proposti da tempo da
artisti occidentali  si abolisce così quel primato di invenzione che costituiva il primo
criterio di giudizio e di valore per un’opera o un artista. Le conseguenze sono numerose >
la prima è una riguarda il rapporto tra arte contemporanea occidentale e arte
contemporanea dei paesi emergenti: se si guarda con indulgenza alle espressioni
artistiche di queste nuove culture, lasciando che percorrano tendenze e esperienze già
consumate in Occidente, ciò significa che esiste ancora la certa coscienza di superiorità
occidentale e di ruolo- guida nell’arte contemporanea. Giustificare un’esperienza artistica
ampiamente conosciuta con la sola scusante che questa è stata realizzata da qualcuno
che appartiene a nuove culture equivale alla posizione di chi desidera che i nuovi allievi
ripercorrano esattamente la strada.

9.2 IL SISTEMA DELL’ARTE CRESCE

È indubbio che il sistema dell’arte sia cresciuto negli ultimi 25 anni e che sia ancora nella
sua fase propulsiva. I nuovi fattori di sviluppo vengono dalla presenza di un pubblico
molto più ampio di quello selezionato degli anni ’70. All’aumento di interesse e di pubblico
per l’arte contemporanea degli anni ‘80, dovuto a elementi di moda, gusto e nuove
economie, è seguito un aumento oggettivo di pubblico dall’inizio del nuovo millennio grazie
alla diffusione mondiale dell’arte che ha

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determinato il coinvolgimento di un pubblico nuovo, composto da milioni di appassionati


provenienti dai paesi emergenti. L’irruzione sulla scena di nuovi paesi ha fatto compiere
un’evoluzione nella promozione dell’arte contemporanea e un indizio di ciò è l’aumento del
numero di biennali nel mondo. La protagonista per quanto riguarda la concentrazione
delle biennali è ancora l’Europa, poi a grandissima distanza seguono gli Stati Uniti e il
Canada, quindi Giappone, Cina e infine Sud America e Australia, mentre Africa, India e
Medio Oriente ne hanno pochissime. Un altro segnale sono le fiere d’arte, distribuite e
concentrate più o meno negli stessi luoghi delle biennali. Il moltiplicarsi di biennali e fiere è
un fenomeno recente, il cui inizio risale a non più di 10- 15 anni fa e sembra collegato da
una stessa logica, nonostante le biennali stiano manifestazioni prettamente culturali e le
fiere prettamente mercantili: si riscontra una necessità di concentrazione di arte che è una
conseguenza della diffusione mondiale dell’arte. Le gallerie costituiscono oggi una
tipologia molto diffusa, ma la diffusione capillare è anche dispersiva e ciò rende sempre
più difficile attirare una massa di appassionati e collezionisti sufficiente a proporre qualche
artista, una tendenza o una moda. Accanto a questa impossibilità, si consideri la tendenza
sempre più accentuata del pubblico a voler vedere e valutare l’arte contemporanea il più
rapidamente possibile, in modo da venire a contatto in poco tempo con le novità artistiche.
Le fiere, al contrario delle biennali che hanno curatori, sono manifestazioni “anarchiche”
dove ciascuno espone sostanzialmente chi vuole: è questa anarchia che consente di fare
il punto della situazione dell’arte; d’altra parte, però, la novità ha durata sempre più breve
a causa dell’accelerazione nel meccanismo di fruizione dell’arte contemporanea che esige
un continuo rinnovo della ricerca di novità  questi aspetti rivelano come sistema dell’arte
stia assomigliando sempre più a quello puramente economico e finanziario. Un elemento
in questo senso è quello delle aste d’arte contemporanea > anche in questa categoria si
assiste e a un forte incremento sia nel numero delle aste dedicate al contemporaneo sia
nel movimento di capitali. Le aste hanno catalizzato la maggior parte dei capitali
(penalizzando altre componenti del sistema), ma soprattutto hanno determinato il reale
valore commerciale degli artisti: da una decina d’anni il prezzo standard delle opere di
qualunque artista è determinato dai risultati d’asta. Il grande potere conquistato dalle aste
ha suggerito operazioni che andavano ben oltre la neutralità di un’asta, facendo diventare
le case d’asta protagoniste del mercato speculativo. Per quanto riguarda i musei, essi
sono apparentemente la manifestazione più evidente dell’importanza assunta dall’arte
contemporanea > il museo è diventato la tipologia architettonica simbolo
dell’emancipazione della società civile. Tuttavia, nonostante la crescita esponenziale negli
ultimi trent’anni di musei privati e pubblici è la forma un museo a mostrare segni di crisi,
soprattutto per quanto riguarda l’aspetto tradizionale della conservazione. Oggi, ogni
nuovo museo viene pensato più per proporre che per conservare, più per mostrare che
per ricordare, tant’è vero che nessuno si scandalizza più per la mancanza di una
collezione permanente. Tale mancanza è dovuta anche a fattori oggettivi, come
l’impossibilità per qualsiasi istituzione museale di creare da zero una collezione
significativa a causa dei problemi di budget; ma nella percezione attuale del museo ciò
non è assolutamente un problema, perché vige un modello nuovo che vede nel museo
non lo strumento della riflessione storica, ma la macchina espositiva che consacra le
scelte del mercato nel tempo più breve possibile.

CAP. 10 – IL CONCETTO DI ARTE ALLA PROVA DELLA GLOBALIZZAZIONE

Nell’evoluzione del sistema dell’arte i cambiamenti più evidenti negli ultimi trent’anni


coinvolgono tutte le sue componenti. L’importanza data al fattore economico esalta la
funzione di quelle componenti che vi hanno a che fare direttamente (gallerie e collezionisti)
ma allo stesso tempo stabilisce gerarchie all’interno di queste: solo le gallerie
economicamente forti e i collezionisti dotati di mezzi ingenti possono determinare il gusto
del mercato. Ma sono le altre componenti del mondo dell’arte a subire le ripercussioni
maggiori: la figura del critico si trasforma in curatore, tralasciando parzialmente i criteri di
scelta in favore di quelli dell’informazione e della presentazione dell’esistente; lo stesso
avviene per il museo. Anche l’artista, la figura base del sistema, subisce i contraccolpi di
questi mutamenti. I nuovi soggetti, molti provenienti dalle nuove culture emergenti, che
determinano il successo nel mondo dell’arte costringono alla spettacolarizzazione e
monumentalizzazione mediatica dell’opera d’arte, ponendo il rinnovamento del linguaggio
in posizione secondaria rispetto al soddisfacimento del trend corrente.

10.1 REGGERÀ LA STRUTTURA CONCETTUALE TRADIZIONALE?

Una volta individuata la struttura tradizionale del sistema dell’arte, o meglio quella


percepita come tale, si può analizzare se esistono rispetto ad essa variazioni tali da
mettere in pericolo la struttura

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stessa e infine determinare se si può ancora parlare di qualcosa che assomiglia a quella
struttura consueta. Il punto di equilibrio che tutti in qualche misura rimpiangono può
essere collocato tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80: il sistema era evoluto,
ciascun elemento manteneva il suo ruolo e ciascun ruolo possedeva confini riconosciuti e
rispettati. Oggi, i termini del sistema rimangono gli stessi: artista, critico, gallerista, museo,
collezionista e pubblico; certi nuovi soggetti, come le aste e le fiere, possono rientrare
nelle categorie che includono la galleria e il collezionista. Quanto è accaduto negli ultimi
trent’anni è che i soggetti che hanno più a che fare con il fattore economico sono diventati
molto più importanti mentre gli altri hanno perso influenza. Gallerie e collezionisti
sembrano aver conquistato il potere di decretare il successo di un artista, a scapito dei
soggetti tradizionalmente deputati a questo, cioè critici e musei, cui è rimasto il compito di
creare consenso attorno a certe scelte. Persino l’artista è più un ingranaggio che non è il
motore del sistema. Successivamente però quegli elementi usciti vincenti dalla
trasformazione postmoderna e globalizzata del sistema sono stati a loro volta quasi
soppiantati da altri fattori: fiere e aste hanno contribuito infatti alla crisi che sta investendo
oggi il ruolo della galleria. Oggi le transazioni d’arte si fanno soprattutto nel corso delle
fiere e nelle aste; è vero che le fiere sono fatte da gallerie, ma l’investimento necessario
per parteciparvi e il moltiplicarsi delle fiere ne escludono necessariamente alcune, ma
soprattutto riducono le gallerie partecipanti al ruolo di espositori, senza tenere conto della
loro funzione originaria di scoperta di nuovi talenti e promozione di artisti. Questa
funzione che è la più difficile viene sempre più ridimensionata: se infatti è indubbio che la
scoperta di un artista gradito al collezionismo fornisce guadagno e gloria alla galleria, è
anche vero che tutto questo svanisce non appena una galleria o un’organizzazione più
forti decidono di lavorare con quell’artista  è la forza denaro che regola i meccanismi del
sistema. Le aste contendono alle fiere gran parte dei capitali destinati all’arte e in questo
caso il denaro è l’unico valore riconosciuto. La prima conseguenza della presenza
costante delle aste sul mercato è l’obbligo delle gallerie di rispettare quei prezzi; l’asta
diventa quindi un mezzo di pressione non solo sulle gallerie, ma sull’intero mercato
soprattutto se questo elemento smettesse il suo ruolo subordinato e decidesse di
diventare “protagonista”. Anche il collezionista, tradizionalmente considerato come punto
d’arrivo del sistema commerciale dell’arte, oggi non si accontenta più del suo ruolo, ma
tende a occupare tutti gli altri ruoli: critico, talent scout e guida del mercato. Questo accade
non solo vendendo o rivendendo opere della propria collezione per comprarne altre, ma
suggerendo alle galleria degli artisti graditi, utilizzando le proprie fondazioni per
promuovere le proprie scelte; infine ci sono quei pochissimi collezionisti, come Pinault o
Saatchi, in grado di spostare il gusto di intere società.

10.2 ANCORA SULLA FINE DELL’ARTE


Verso la fine degli anni ‘50 si pose agli intellettuali e agli artisti la questione di un possibile
“fine dell’arte” e le motivazioni proposte erano soprattutto due:

1) motivazione reazionaria > l’arte come linguaggio ben codificato stava cedendo il


campo a codici linguistici evanescenti, che vanificavano ogni sforzo per ricondurre le
discipline artistiche a un’idea di unità: allargando a dismisura le possibilità delle arti, cioè
facendo sì che ogni oggetto potesse diventare un’opera d’arte, non sarebbe più esistito il
territorio dell’arte e questa non sarebbe più stata riconoscibile.

2) motivazione filosofica > prendendo a modello l’idea di progressione verso la


perfezione dell’individuo proposta da Hegel, per cui all’arte (e alla religione) si sarebbe
sostituita una forma più alta di interpretazione del mondo, vale a dire la filosofia, alcuni
critici profetizzavano l’avvento di un’arte “filosofica” sempre più smaterializzata e privata di
quegli aspetti tecnico-oggettuali e sempre più interessata agli aspetti processuali e
concettuali.

Nessuna di queste previsioni si è realizzata anche se ciclicamente ritorna la


preoccupazione della “fine”. Se si è arrivati a parlare di fine della storia (tesi di Francis
Fukuyama) grazie alla vittoria del modello occidentale, si può pensare di poter arrivare a
parlare di fine dell’arte. È vero che oggi l’arte contemporanea gode di un prestigio mai
conosciuto prima ed è diventata strumento per l’affermazione di intere culture, ma ha
bisogno dell’intero sistema per poter dispiegare tutte le sue potenzialità -> il discorso
sul contesto dell’arte è importante per mostrare come un elemento estraneo al linguaggio
dell’arte (il contesto appunto) di fatto oggi faccia parte di esso e come ogni mutamento
all’interno del sistema si rifletta sulla produzione dell’arte  questo comunque non spiega il
senso di fine dell’arte nel momento della sua massima auge, eppure i segnali di
insofferenza sono molteplici:

1. La prima cosa che emerge è lo strapotere attribuito al denaro all’interno del mondo


dell’arte > lo spostamento degli equilibri in favore dei membri più coinvolti con l’aspetto
economico costringe a ripensare tutti gli altri ruoli, compreso quello dell’artista.

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2. Si è affievolito il ruolo di tutte quelle componenti del sistema la cui funzione è quella
della riflessione critica, storica, linguistica sull’idea di arte: il critico, il museo e persino il
pubblico.

A partire degli anni ‘80 è iniziato il declino della cosiddetta critica militante, in favore di


una concezione meccanicistica dell’intero mondo dell’arte che collega il prezzo al valore >
il ruolo della critica viene quindi meno, anzi la teorizzazione di un pensiero debole derivato
dal crollo delle ideologie (Postmodernità), capace solo di assecondare la realtà, anziché
prevederla e modificarla ha portato sospetto nei confronti della figura dell’intellettuale. La
figura del critico cambia e si afferma quella del curatore, di colui che è informato, che sa
organizzare, ma soprattutto che è testimone dell’esistente e del presente. Così la critica,
composta oggi quasi solo da curatori (suddivisi tra curatori indipendenti e curatori inseriti in
istituzioni museali) non è più funzionale all’intero sistema, ma solo a una parte di esso: a
quella parte che può permettersi di imporre le proprie scelte attraverso il denaro. Gli
scenari aperti dalla globalizzazione sembrano confermare questo nuovo equilibrio: ad
esempio, non solo il curatore delle nuove aree culturali solitamente non possiede quelle
radici dialettiche della critica passata, ma si ritrova il compito di proporre
indiscriminatamente il proprio “prodotto artistico”, che vede nell’appartenenza geografica
gli unici termini selettivi. Il problema della critica si riflette sulle altre componenti
indipendenti del sistema, come il museo > un museo è fatto di direttori e curatori, cui si
aggiunge il prestigio dell’istituzione che è ancora forte, nonostante la sua funzione di
riflessione storico-critica sia stata ridotta: esporre in un museo, soprattutto se importante,
contribuisce alla fama e al successo anche economico di un artista. Tuttavia,
è l’autonomia critica del museo che in questi decenni è stata messa in discussione, la
quale dovrebbe essere garantita dall’autonomia dell’istituzione. Su questo sistema di
“garanzie” nessuno ha mai tentato di intervenire direttamente, ma sono stati i cambiamenti
nel mondo dell’arte ad aver cambiato i rapporti di forza, indebolendo ogni tipo di istituzione
museale. La dimostrazione è semplice: dato che le mostre d’arte contemporanea sono
sempre più costose e i budget dei musei sempre più ridotti, l’unico modo di continuare a
fare mostre è accogliere negli spazi museali i “suggerimenti” di chi all’interno del sistema
riesce a muovere capitali veri. Le mostre presentate nei musei sono sempre più spesso la
conseguenza di un intervento economico da parte di chi desidera proporre una
tendenza/artista piuttosto che un altro > ciò non significa necessariamente che quanto si
vede è privo di valore, ma semplicemente che la gran parte dei musei ha perduto la sua
funzione di elemento indipendente del mercato. Il museo mantiene ancora molte funzioni,
come celebrare, ricordare, proporre opere che solo in un museo si potrebbero vedere, ma
la vera indipendenza di giudizio oggi si può attribuire solo a cinque o sei musei al mondo,
tutti in Occidente perché nei nuovi paesi emergenti il problema non si pone neppure. In
molti paesi infatti, come la Cina, la fase dell’indipendenza del museo non è neppure
esistita e si è passati direttamente alla rete dei musei “personali”, cioè costruiti da grandi
magnati a dimostrazione del proprio potere. Infine, il pubblico inteso come quella massa
sempre più imponente di appassionati che affolla i musei e le gallerie. Le masse generiche
di spettatori sono preda di un sistema dei mass media che privilegia l’evento e la
spettacolarizzazione. In un sistema squilibrato in favore di chi riesce a costruire icone
mediatiche grazie alla sua forza economica e di prestigio, gli eventi saranno
necessariamente quelli più pubblicizzati e su quelli si indirizzerà il favore del pubblico. In
passato invece la circolazione dei concetti e delle opere partiva, almeno all’inizio, su un
piano di parità e l’affermazione di questa o quella tendenza aveva cause molto più
complesse, a volte persino derivanti dalla pura forza delle idee. Oggi pubblico si configura
più come massa di spettatori numerosa, che come massa critica.

10.3 NUOVE DEFINIZIONI

In ogni epoca, l’artista è cosciente del contesto in cui opera e vi si adegua: ai tempi delle
committenze rinascimentali dei papi i canoni espressivi e stilistici entro cui muoversi erano
ben noti e più rigidi di quelli attuali, eppure ciò non ha impedito ai grandi geni di arrivare a
mettere in dubbio proprio quei canoni. La modernità ha allargato a dismisura il territorio di
possibilità dell’arte, facendo intendere che i confini non esistevano più e che la libertà era
piena. La postmodernità e la globalizzazione hanno costruito per l’arte un nuovo territorio
entro cui agire, senza confini linguistici, ma con precisi confini contestuali. Nel mondo
dell’arte ci sono alcune norme non scritte che influenzano molto non solo il modo di porsi
dell’artista nei confronti del contesto, ma addirittura il modo di proporre; per esempio, la
necessità per un artista di affermarsi da giovane, di approdare a una galleria nota in
campo internazionale, di produrre a sufficienza per accontentare il mercato e di avere una
cifra stilistica immediatamente riconoscibile. A ben vedere, non si tratta di regole così
inique o pesanti, né troppo nuove, ma il

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problema è l’esasperazione di queste regole dovuta all’accelerazione imposta dal sistema
e accentuata dalle caratteristiche della globalizzazione. Come una star, l’artista deve
essere sempre più giovane e sempre più nuovo e ciò significa non solo che le generazioni
si susseguono rapidamente, ma soprattutto che all’artista non è consentito prendersi
pause e militare troppo ambiguo; inoltre all’artista non è più concesso radicarsi nella
propria patria culturale, se non riesce contemporaneamente a imporsi in campo
internazionale. Nel sistema attuale globalizzato l’artista deve misurarsi immediatamente
con il resto del mondo e se gode di certi vantaggi datigli dal sistema ha molte più
possibilità, a parità di ricerca linguistica, di chi semplicemente non è nato nei centri del
potere artistico. È infatti in questi centri, sempre più ridotti, che si concentrano quelle
gallerie e istituzioni che possono garantire la visibilità internazionale > oggi tutto si
concentra tra Londra e New York, in attesa che si facciano avanti centri cinesi,
probabilmente gli unici che hanno caratteristiche tali da competere in futuro con questi; chi
non è vicino a quelle gallerie e istituzioni ha scarse possibilità di arrivare velocemente al
successo. Il successo e il denaro sono diventati pensieri talmente radicati che l’artista
globalizzato non è più in grado (e forse non interessa neanche più) di imporre il proprio
punto di vista ai poteri forti del sistema; il suo compito è relegato a quello di un creativo
capace di interpretare lo spirito del tempo, il qui e ora. Del resto, l’allargamento del
pubblico ha cambiato il modo di guardare all’arte e di conseguenza ha cambiato anche il
modo di fare arte. L’ingresso massiccio di nuovi collezionisti e nuovo pubblico privi di
conoscenza di ciò che l’arte è stata anche in tempi molto recenti ha davvero cambiato il
gusto, anche quello degli artisti. Gli artisti si devono adeguare a una risposta immediata
che soddisfi la maggior quantità di pubblico possibile, perché ormai è il numero a dettare
legge. La complessità linguistica moderna comunque appartiene ancora all’arte
occidentale, ma non fa parte dell’arte globalizzata che deve essere infinitamente più
semplice per essere apprezzata dal maggior pubblico possibile. Da questo deriva un
mutamento radicale del linguaggio artistico, che si traduce per esempio
nella spettacolarizzazione dell’arte, cioè la necessità di rendere stupefacente l’opera o
l’azione artistica attraverso il gigantismo dei mezzi, che in fondo non è altro che
l’estremizzazione della volontà di creare una “cifra” personale con l’aggiunta della
dimostrazione di possedere quei mezzi (vale a dire di appartenere a quell’oligarchia
economicamente e culturalmente egemone) > il gigantesco barboncino di fiori di Jeff
Koons, i film realizzati da Francesco Vezzoli come cover di altri film, il teschio di diamanti
di Damien Hirst, l’irriverente dito medio in marmo di Maurizio Cattelan e le strutture-
sculture sempre più grandi e percorribili di Anish Kapoor sono solo alcuni esempi di
spettacolarizzazione. Tutte queste operazioni identificano l’artista, né costruiscono la
“cifra” personale, ma ciò che li accomuna è il concetto di evento che porta con sé
qualcosa di spettacolare e che ne sancisce la monumentalizzazione mediatica. Ciò che è
scomparso dai linguaggi dell’arte globalizzata è quanto aveva fatto grande l’arte nella
Modernità: il rinnovamento linguistico > oggi l’innovazione linguistica è stata sostituita da
versioni gigantesche di concetti già sperimentati in discipline come l’arte, la comunicazione
e la pubblicità.

CAP. 11 - ESTREMISMO, MALATTIA INFANTILE/SENILE DEL CONSUMISMO

La sensazione di incertezza che il sistema dell’arte sta vivendo deriva dall’indebolimento


delle norme che lo regolavano. L’immissione di grandi capitali nel mercato ha indebolito
la funzione di controllo e di equilibrio esercitata dalla componente intellettuale del sistema.
Anche all’interno del sistema economico è in atto una concorrenza che emargina chi non
riesce a stare al passo con i continui aumenti di capitale da investire nell’arte. Su questa
situazione si innestano i fenomeni della globalizzazione, che aggravano la disgregazione
delle regole proponendone di diverse e più aderenti ai metodi commerciali e finanziari. In
questo scenario si assiste alla concentrazione del potere artistico nelle mani di soggetti
sempre meno numerosi, mentre i sistemi dei nuovi paesi sono al riparo da ogni critica
interna ed esterna, in virtù della grande forza propulsiva dei loro sistemi economici. Nei
modelli maturi l’estremismo raggiunto dall’evoluzione del sistema dell’arte penalizza i
produttori (categoria trasversale che va dagli artisti ai galleristi) mentre favorisce i
mediatori, che sfruttano le possibilità di incremento economico del sistema.

11.1 L’APPRENDISTA STREGONE

Il mondo dell’arte ha pensato di poter “aprire” al più selvaggio dei sistemi economici senza
cedere le proprie prerogative e concedere nulla ai nuovi soggetti del mercato. Il sistema
appare oggi sregolato e drogato perché coloro che, forti di una posizione di privilegio
all’interno del sistema, hanno creduto di poter gestire nella stessa maniera di sempre un
mutamento così radicale come l’immissione di grandi capitali dove prima non ce n’erano.
Questi soggetti possono essere paragonati a “apprendisti stregoni” che credono di
possedere la conoscenza delle leggi e delle

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strategie da adottare per gestire il sistema, ma che in realtà non riescono assolutamente a
controllarlo, finendo per condurlo ad una situazione di sregolatezza come quella attuale. Di
fronte a soggetti solitamente poco informati di cosa sia stato il mondo dell’arte, ma
perfettamente consapevoli di come si gestisca un sistema finanziario, si trovano anche
attori colti per quanto riguarda l’arte, ma inermi di fronte al potere economico -> in un
sistema come questo bisogna capire chi ci guadagna e chi ci perde. Una condizione
generale da evidenziare è che il divario tra i molti e i pochi si sta allargando: ciò significa
che a tutti i livelli le leve decisionali si stanno concentrando nelle mani di gruppi sempre
più ristretti. Fenomeni come quello delle archistar (pochissimi architetti noti a tutti,
sempre in gara per i concorsi più prestigiosi, mentre la professione è sempre più
depressa) stanno diventando la regola anche nel mondo dell’arte: pochissimi artisti viventi
costituiscono infatti il nucleo sempre presente ad ogni manifestazione importante;
pochissimi musei possono influenzare i musei di tutto il mondo; pochissime gallerie sono
in grado di determinare l’andamento di tutte le altre; infine, pochissimi collezionisti guidano
il gusto e il tutto è strettamente incrociato, nel senso che le influenze sono tra loro
intrecciate a formare una rete. C’è anche un’altra condizione generale valida almeno per le
culture dei paesi che si sono appena affacciati al mondo dell’arte contemporanea: in
questo caso il guadagno è collettivo, cioè riguarda tutte le componenti di quei sistemi, per
la semplice ragione che prima della globalizzazione il sistema non esisteva proprio. È
dunque comprensibile il grande fermento che anima quelle società che vedono crearsi dal
nulla una fonte di arricchimento culturale, di prestigio e di guadagno. La domanda su chi
guadagna e chi perde esclude quei pochi “privilegiati” che detengono il potere di influenza
e i sistemi delle nuove realtà culturali, ma interessa invece le fasce intermedie di quei
sistemi dell’arte maturi che percepiscono sulla propria identità i cambiamenti in atto. Oggi,
a perdere solo i produttori e a guadagnarci sono i mediatori -> la categoria
dei produttori è un gruppo trasversale, in cui rientrano gli artisti, i galleristi, i critici e quei
direttori di museo cui l’irrigidimento del sistema e le nuove regole economico-finanziarie
impediscono lo sviluppo dei propri progetti. Il produttore è dunque un sostanziale
innovatore; si potrebbe obiettare che il sistema dell’arte si basa sull’innovazione, ma in
realtà non è così: con il sistema attuale non solo è molto difficile riconoscere l’innovazione
(dispersa com’è in tutto il mondo), ma non è neanche più utile al mantenimento di un
sistema che ancora non ha sfruttato fino in fondo le potenzialità solo economiche e che ha
bisogno di standard immediatamente riconoscibili. È in questo strano paradosso che
i mediatori proliferano e guadagnano > essi si basano sull’assoluta equivalenza delle
merci di fronte al denaro, per cui un artista vale l’altro e l’unico compito è assecondare lo
status quo dell’arte, senza impegnarsi su nessun progetto se non quello di individuare il
gusto corrente e possibilmente anticiparlo, per sfruttare la differenza tra il costo d’acquisto
e quello di vendita. Anche l’artista può rientrare in questa categoria quando decide di
“confezionare” opere che vadano subito incontro al gusto del pubblico. La situazione
ideale si verifica quando il mediatore non è identificabile con un luogo preciso: è il caso di
fiere e aste > la loro è l’azione mediatrice più pura: senza radici in un luogo preciso, sono
punto di incontro per lo scambio economico con pochissime implicazioni territoriali.

11.2 SENZA REGOLE

Anche il sistema dell’arte, ormai legato al sistema economico, si trova in un momento di


confusione dove tutto è possibile, dove le regole che sembravano imprescindibili sono
disattese o non conosciute, dove il vecchio sistema di relazioni si sta sgretolando e quelle
stesse relazioni stanno assumendo un ruolo più gerarchizzato e dove nuovi metodi di
comunicazioni e diffusione dell’arte si stanno affacciando. Il progressivo cambiamento
degli equilibri interni al sistema dell’arte ha ridotto di molto quella componente
di controllo e di riequilibrio dell’intero sistema. Quando si verificano mutamenti che
risultano vantaggiosi per il sistema stesso, si tende a escludere le componenti del sistema
che potrebbero frenare il processo  il cambiamento interno al sistema ha emarginato le
componenti intellettuali fino a relegarle nel ruolo di certificatori
dell’esistente. Contemporaneamente, ha eliminato anche quegli elementi che, pur legati
direttamente al fattore economico, non hanno potuto mantenere il passo con la continua
necessità di aumentare il capitale investito e allo stesso tempo ha promosso altri elementi
al ruolo guida: aste e fiere sono i veri piloti dell’intero sistema. Su tutto questo si sono
innestati i fenomeni della globalizzazione: in altre parole, a una rivoluzione dei ruoli interni
al sistema dell’arte se n’è sovrapposta un’altra, quella della globalizzazione, con esigenze
di radicalizzazione ancora maggiori. La supremazia del fattore economico ha reso molto
fragile ogni regola: il denaro immesso nel mondo dell’arte è stato la vera novità, il denaro
ha creato l’innovazione ed è stato considerato come elemento innovativo, comportando
così la distruzione di quella sovrastruttura concettuale che costituiva in passato un
contraltare al capitalismo.

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In alcuni paesi “nuovi”, soprattutto la Cina, la voglia di competere in ogni campo è tale che
le regole che disciplinano il mercato dell’arte sono del tutto differenti da quelle vigenti nel
resto del mondo. Questa mancanza di unità del sistema è un altro segno di sregolatezza.
Fino a quando il sistema di norme era accettato da tutte le sue componenti, il mutamento
era qualcosa di interno al sistema, ma se qualcuno abbastanza forte (Cina) utilizza regole
proprie, tutto il sistema rischia di dividersi in sistemi parziali. Inoltre, nei momenti di crisi ci
si appella a sistemi nuovi e più semplici e se a ciò si aggiunge la forza propulsiva di
energie nuove (come quelle cinesi) è ipotizzabile che anche il sistema dell’arte si
riformulerà su parametri più semplici e più chiari. In altre parole, non sarà più pensabile
non tenere conto dei nuovi fattori geografico-culturali immessi nel sistema dalla
globalizzazione. Come avviene in natura, è l’organismo più semplice ad avere maggiori
possibilità di sopravvivenza, forse poi questo sistema in futuro si evolverà fino a diventare
più complesso, ma oggi non siamo che all’inizio.
CAP. 12 – LA VARIABILE SOFFICE

Alla domanda “dove sta andando il mondo dell’arte?” si possono ipotizzare due scenari
diversi e opposti, che tuttavia si potrebbero intersecare in alcuni elementi: ipotesi soffice e
ipotesi apocalittica.

Ipotesi soffice > ci si può prefigurare uno scenario in cui l’agitazione che sconvolge il
sistema si placherà in un equilibrio che consentirà lo sviluppo armonico di tutti i
componenti. Innanzitutto, si deve escludere ogni possibilità di restaurazione del vecchio
sistema. Se la turbolenza che sconvolge il sistema fosse l’effetto di una fase iniziale piena
di energie non ancora canalizzate, si potrebbe pensare che la sua maturazione porterà da
un lato ad un regolamentazione e dall’altro ad una maggiore complessità e articolazione di
ruoli e funzioni (come è avvenuto con il vecchio sistema). L’armonia dovrebbe essere
ritrovata in una distribuzione di ruoli che sia soddisfacente per tutte le componenti del
sistema, tenendo conto delle esigenze dei nuovi mercati. Probabilmente un’uniformità di
comportamenti non sarà mai possibile e del resto esistono all’interno del sistema evidenti
differenze che risentono dei diversi atteggiamenti dei sistemi locali. Tuttavia qualche
difformità locale è perfettamente assorbibile dal più vasto sistema mondiale. L’aspetto che
crea più disequilibrio rimane comunque l’uso del sistema in senso puramente finanziario,
sia che ciò derivi dalla considerazione che l’arte è una merce come tutte le altre, oppure in
malafede dal fatto che il sistema dell’arte è un luogo perfetto per riciclare capitali di dubbia
provenienza. In ogni caso le chiavi del cambiamento sono nelle mani di chi manovra
questi capitali. Si è visto che la determinazione del gusto attraverso il controllo del mercato
dell’arte si è concentrata nelle mani di pochi, gruppi sempre più ristretti che dispongono di
capitali ma anche della conoscenza delle poche regole rimaste nel mondo dell’arte. È
probabile che il sistema possa attrarre molti altri soggetti in grado di agire in questo modo,
così come è probabile che soggetti per ora passivi, ad esempio grandi investitori russi,
cinesi, indiani etc, vogliano intervenire per proporre insieme al proprio denaro anche il
proprio punto di vista. Si avrebbe così la convergenza di altri soggetti con punti di vista
molto differenziati -> questa concorrenza è l’unica possibilità per creare un ambiente
artistico ricco e un dialogo tra le varie espressioni e linguaggi. Si arriverebbe quindi a un
sistema prettamente economico, ma dove l’aspetto intellettuale dovrebbe riacquistare
alcune prerogative, perché quando un sistema cresce diventa per forza più complesso >
oggi e per almeno un altro decennio stiamo vivendo la fase di decostruzione del vecchio
sistema e strutturazione del nuovo, basato sull’affermazione delle forze economiche, ma
domani questi soggetti non potranno più basare il confronto solo sulla forza economica,
ma dovranno proporre anche un progetto linguistico e di idee. In un futuro le generazioni
attuali di artisti, di linguaggi e di espressioni dovranno essere sostituite da altre, ed è a
questo punto che l’intellettuale potrebbe diventare indispensabile-> la presenza di una
forte concorrenzialità metterebbe al riparo sistema a un eccesso di potere economico.
Questa ipotesi soffice dovrebbe comunque essere accompagnata da alcune correzioni,
per esempio una condizione è l’educazione del pubblico, di coloro che godono dell’arte
senza possibilità di contribuire direttamente al suo business. È vero che questa condizione
di spettatore sembra passiva e in balia dei poteri mediatici, ma l’educazione ad avere
un’opinione crea le premesse per incidere sull’intero sistema e se questo esercizio diventa
opinione di massa, le capacità di condizionare il sistema diventano maggiori. Infine, gli
artisti, che sono paradossalmente l’anello debole del sistema, avrebbero maggiori
possibilità di emergere e di partecipare al confronto di idee. L’ipotesi soffice quindi prevede
più concorrenza, più soggetti, più artisti alla ribalta e in generale più arte.

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