L’esperienza dell’estetica classica, fra la critica del giudizio di Kant, alla critica idealistica fino a
Schopenhauer, viene rovesciata in quanto sorgono nuovi problemi, non più trascurabili.
Walter Benjamin
Le riflessioni di Benjamin, filosofo del primo ‘900, si collocano in questo contesto storico. È un filosofo della
“crisi”, che si interroga sul destino dell’arte e dell’estetica ma allo stesso tempo si interroga sulla crisi
dell’esperienza a cui un certo tipo di arte corrispondeva.
L’idea fondamentale che emerge è: l’esperienza estetica descritta (ad esempio) da Schopenhauer è ancora
possibile nel ‘900? È ancora possibile nell’esperienza della modernità (entrata in scena del capitalismo)? È
ancora possibile con la partecipazione delle masse alla scena politica?
1. Il bello;
2. L’esperienza.
Benjamin sarà interessato ai fenomeni culturali nella modernità e il loro impatto sulla possibilità
nell’esperire il bello.
Studia nella scuola di Francoforte, spesso non giudicato come filosofo ma come critico letterario e d’arte.
Ha un’idea di filosofia che non è sistematica. Per Benjamin l’estetica ha il fine di chiarire quali sono le
strutture dell’esperienza che contraddistingue il moderno.
Anche lui come Schopenhauer non riesce ad entrare all’università, non passa l’esame per la abilitazione: la
tesi con cui lui viene bocciato viene studiata attualmente in tutte le università tedesche per comprendere la
tragedia barocca in Germania.
La sua vita si conclude con il suicidio, perché in fuga dalla persecuzione nazista.
Scuola di Francoforte: stringe amicizie con Adorno e altri. Si sviluppa il “pensiero dialettico”, si esercita un
tipo di filosofia come critica del presente (rivoluzione industriale, repressione), idea recuperata dal
marxismo ortodosso. Tentativo di recuperare la psicoanalisi, per leggere i sintomi del sociale: prima volta
che le idee di marxismo sono a contatto con Freud. Ciò che accomuna Benjamin e Adorno è una grande
attenzione ai fenomeni culturali: come la struttura del mondo contemporaneo si ripercuote sulla
sovrastruttura, ovvero le esperienze culturali nella metropoli.
A Parigi viene a contatto con le poesie di Baudelaire, che sono sintomo del vissuto sociale nella metropoli.
a. Livello economico;
b. Livello politico;
c. Livello ideologico.
Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari,
indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono ad un determinato grado di
sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la
struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e
politica e alla quale corrispondono determinate forme sociali della coscienza. Il modo di produzione della
vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza
degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro
coscienza (cit. dalla prefazione a “Per la critica dell’economia politica”, 1859).
Impatto delle forze produttive per capire l’evoluzione dell’arte. È nella sovrastruttura che possiamo
comprendere questa nuova relazione.
13/04/2021
L’accusa di Benjamin a Kant è di aver ridotto l’esperienza alle sue fattezze naturali, mentre Benjamin
intende un’esperienza più ampia all’interno della modernità. L’incontro con il marxismo determina la
definizione del problema dell’esperienza, nel dialogo fra struttura e sovrastruttura.
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica 1935
La tecnica e il suo impatto nell’opera d’arte. L’origine dell’arte sta al di fuori dell’arte stessa, nasce dai
rivolgimenti sociali. Si concentra in quello che succede nel terzo decennio del ‘900, di cui prende dei
momenti come punti di riferimento che segnano il secolo:
a) Esposizioni universali: sintomo di un nuovo modo di stare nel mondo, la prima esposizione
universale fu a Londra nel 1851, nel Crystal Palace di Hyde Park. Poi anche a Parigi nel 1855, in cui
viene inclusa per la prima volta una sezione dedicata alle “belle arti”;
Idea di progresso: si costituisce fra il ‘700 e l’800, trova uno dei propri motori nella Rivoluzione industriale.
L’esposizione universale è una “autorappresentazione” di ciò che siamo, del progresso e di unire tutte le
nazioni (cosmopolitismo).
b) I “passages”: invenzione del lusso industriale, sono dei corridoi ricoperti di vetro e dalle pareti
rivestite di marmo, che attraversano interi caseggiati, i cui proprietari si sono uniti per queste
speculazioni. Sui due lati di questi corridoi, che ricevono luce dall’alto, si succedono i più eleganti
negozi, sicché un passage del genere è una città, un mondo in miniatura…cit. guida illustrata di
Parigi del 1852 citata da Benjamin. Una sorta di microcosmo in cui si può leggere il moderno. È
contradditorio perché fra l’essere un’abitazione e un luogo di affari: un ibrido che manifesta
l’inglobare degli affari dello spazio abitativo. Inoltre unisce tecniche costruttive antiche (uso del
marmo) con tecniche costruttive nuove (uso del vetro e del ferro).
Ciò che il capitalismo produce si maschera nella “fantasmagoria delle merci”, il cosiddetto “feticismo della
merce” ovvero un fenomeno recuperato da Marx (e anche da Freud): la merce è qualcosa che è prodotto
per essere venduto per il profitto. La merce è:
1. Un valore d’uso;
2. Un valore di scambio: quanto posso vendere una merce?
La merce sembra avere un carattere “magico” indipendentemente dalle parole d’uso, ovvero il feticismo: la
merce come feticcio, in cui ci abbaglia il valore di scambio che nasconde il processo produttivo, e non ci fa
vedere il valore d’uso. Esso determina il modo in cui gli individui si relazionano fra di loro. I passages sono
luoghi in cui il feticismo della merce raggiunge il suo massimo, ed è un’immagine dialettica fra il vecchio e il
nuovo, antenato del grande magazzino.
c) Fenomeno della moda: uno dei tratti più pervasivi e caratteristici della modernità. Un eterno
ritorno dell’uguale, sotto l’apparenza del nuovo: la moda è l’affermarsi della novità contro
l’antichità. Fenomeno della transitorietà eternizzata, una novità che continua a ripresentarsi, un
tentativo del nuovo di esserlo per sempre. Fornisce un modello di lettura dell’esperienza del tempo
nel moderno, non come opposizione all’antico (riflessione sulla moda di Baudelaire), ma di leggere
nella moda un rinnovarsi costante. La modernità, come la moda, è un ripetersi transitorio di
qualcosa che è sempre uguale. È il tempo specifico della forma merce.
La crisi dell’esperienza
La crisi dell’esperienza coinvolge in primis l’arte e l’esperienza estetica, che sono un campo privilegiato di
indagine secondo Benjamin, perché in esse si deposita una certa verità dell’essere umano. L’analisi verte su
due filoni:
1) Poesia di Baudelaire: le contraddizioni nel tempo del capitalismo avanzato, nella poesia. Baudelaire
esprime le contraddizioni in modo consapevole, in un momento in cui la lettura della poesia lirica
stava venendo meno dovuto all’esperienza della modernità: egli però riesce a catturare questa
esperienza in una forma trapassata.
2) Riflessione sulle forme narrative, in cui fa riferimento soprattutto a Proust: ad ogni epoca
corrispondono delle forme narrative, che non sono necessariamente sempre le stesse. Nell’opera
“Alla ricerca del tempo perduto” vi è una ricerca di un tempo perduto, ripristinare la ricchezza
dell’esperienza andando aldilà della povertà della modernità. Proust offre una divaricazione fra
concetto di memoria volontaria e involontaria: è in questo binomio che sta il sintomo del
disgregarsi dell’esperienza.
14/04/2021
L’espressione “memoria involontaria” appartiene al repertorio della persona privata isolata in tutti i sensi.
Dove c’è esperienza nel senso proprio del termine, determinati contenuti del passato individuale entrano in
congiunzione, nella memoria, con quelli del passato collettivo. I culti con i loro cerimoniali, con le loro feste
(di cui forse non si parla mai in Proust) realizzavano di continuo la fusione tra questi due materiali della
memoria. Essi provocavano il ricordo in epoche determinate e restavano occasioni ed appigli di esso
durante tutta la vita. Ricordo involontario e volontario perdono così la loro esclusività reciproca (Benjamin,
Di alcuni motivi in Baudelaire).
Nel moderno questo tipo di esperienza si sta disgregando: la vita può scorrere senza che abbiamo accesso a
queste esperienze intime.
La narrazione
Secondo Benjamin narrare significa in primis agganciarsi alle tradizioni, a qualcosa che viene da lontano: fa
parte di un mondo in cui il ritmo della vita è lento. Le forme d’arte che si stanno affermando nella
modernità sono ostili a queste narrazioni: nessuno oggi sa raccontare una storia, il che è sintomo della
decadenza dell’esperienza. È come se fossimo privati di una capacità che sembrava inalienabile, ovvero lo
scambiarci le esperienze, perché non ne abbiamo più così tante. L’uomo moderno è povero di esperienze.
La narrazione non è solo il romanzo, ma è una delle forme tipiche della letteratura nell’epoca
dell’individualismo borghese. La narrazione è un modo di dare senso alle proprie esperienze, una struttura
teleologica che ha questo determinato scopo.
L’esperienza dell’informazione
L’informazione è la tipica modalità di esperienza del moderno; vi è una contrapposizione fra raccontare e
informazione (il giornale). Il giornale è uno dei tanti segni della diminuzione: l’intento è quello di escludere
gli eventi dall’ambito in cui potrebbero colpire l’esperienza del lettore. La mancanza di connessione fra le
notizie contribuisce a questo effetto di distacco: nel sostituirsi dell’informazione alla narrazione si rispecchia
l’atrofia progressiva dell’esperienza. L’informazione ha queste caratteristiche:
1. Novità;
2. Brevità;
3. Mancanza di connessione fra le notizie;
4. Dispersione: la notizia non entra nella tradizione, la competizione è alta e non c’è niente di nuovo
da raccontare > processo di privatizzazione delle notizie del mondo.
Questi aspetti fanno si che gli eventi descritti non penetrino nell’esperienza, ma scivolino via in superficie,
ciò descrive l’esperienza moderna come susseguirsi continuo di shock. Benjamin parla di “esperienza
profonda” ed “esperienza superficiale”, e lo shock fa parte di quest’ultima e trova il suo emblema nella
comunicazione giornalistica.
La stimolazione proveniente dall’ambiente secondo Freud si attenua nella presa di coscienza senza
diventare memoria: ciò implica che il materiale della memoria volontaria è quello che è stato vissuto
consapevolmente, mentre il materiale della memoria involontaria non è mai diventato coscienza. Dunque è
l’esperienza inconscia, secondo Freud, che si deposita nella nostra vita psichica e che fa esperienza nel
senso di “esperienza profonda/vera”.
1- La coscienza serve da protezione dagli shock esterni e se fallisce essi diventano dei traumi, che la
coscienza non riesce a dominare;
2- Perché ci sia un’esperienza profonda il mondo non dev’essere costantemente minacciato
dall’esperienza dello shock.
Benjamin e Baudelaire
L’esperienza dell’shock facendo riferimento a Baudelaire: secondo Benjamin, Baudelaire è il primo poeta
che parla dello shock metropolitano. Baudelaire parla dell’uomo che passa fra la folla e il traffico, della vita
frenetica e della forma di vivere l’esperienza come alienazione; è difficile pensare l’arte in termini
contemplativi. C’è una poesia in particolare che descrive questa trasformazione dell’esperienza ed è: “A
una passante” > impoverimento dell’esperienza dell’amore (il poeta si innamora di una passante), l’estasi
del cittadino è un amore all’ultimo sguardo, un’esperienza fuggevole e scioccante.
19/04/2021
Ciò che accade nella letteratura è ciò che accade nella sovrastruttura, che risente delle trasformazioni della
società e all’interno della produzione economica, rifacendosi dunque a Marx. Ciò che Baudelaire registra
come fulcro della sua poesia è l’esperienza dello shock, ovvero una modificazione dell’esperienza che
differisce dall’esperienza amorosa del ‘300 (Stilnovo) e che è un sintomo di un cambiamento globale.
Lessico dell’alienazione
Operaio che ogni giorno fa sempre la stessa cosa impoverimento dell’esperienza. Vi è un contrasto fra il
tipo di esperienza lavorativa come:
- Artigiano: struttura temporale completa, controllo della sua esperienza lavorativa, ritmi del lavoro
analoghi ai ritmi della narrazione;
- Operaio addetto alle macchine: non ci sono più scambi di esperienza, sintomo dello shock
dell’ambiente metropolitano; il suo lavoro è impermeabile all’esperienza, è frammentato, non ha
un controllo dell’esperienza lavorativa.
Uno dei contrassegni della perdita dell’esperienza è l’impossibilità di raccontare delle storie. Questo
impoverimento viene registrato dalle forme d’arte.
Trova questa dinamica anche in un fenomeno che si diffondeva sempre di più nelle classi non aristocratiche
del tempo: il gioco d’azzardo. È una tipica forma di impoverimento dell’esperienza, vi è il principio della
ripetizione e dello shock che si individua anche negli operai.
L’aspetto più importante della lettura di Benjamin su Baudelaire ci restituisce quest’esperienza di shock: il
poeta cerca di mettersi al riparo da questa situazione, il “tentativo estremo di salvare l’esperienza” di fronte
alla catastrofe del moderno. Solo grazie a questo anelito di cercare un’esperienza significativa Baudelaire
riesce a misurare la povertà dell’esperienza del moderno: il poeta vive nella contraddizione fra il culto della
bellezza e la volontà di salvarla contro la modificazione della percezione a causa del moderno.
Concetto di corrispondenza
Si nascondono dietro la superficie delle cose; Benjamin lo legge come analogo del tempo ritrovato di
Proust. Si può qualificare come “vita anteriore” a quella del presente, quando l’esperienza era significativa.
Baudelaire cerca nella realtà delle corrispondenze nascoste che si celano dietro la realtà impoverita
un’esperienza oltre lo shock della modernità. Questo tentativo cerca di sottrarsi all’esperienza del moderno
ma trattiene in sé degli elementi culturali: le immagini che affiorano dalle corrispondenze o dalla nostra
memoria involontaria possiedono un’aura.
L’aura
Avvertire l’aura di una cosa significa dotarla della capacità di guardare. È l’apparizione irripetibile di una
lontananza, es: osservare una catena di monti infiniti. Questo tipo di esperienza può essere definita
“culturale” perché ci mette a contatto con qualcosa che è inaccessibile: il rapporto fra noi e l’oggetto
auratico è la fonte della poesia. Cercare di trovare il significato nascosto delle cose: la lontananza degli
oggetti anche se ci sono vicini.
L’esperienza di tipo auratico è data da un oggetto che non ci colpisce in maniera scioccante ma è qualcosa
che anche se è vicino, ci parla da lontano. Nella modernità l’esperienza dominante è quella dello shock e
non quella auratica. Il moderno è il progressivo scacco dell’esperienza piena e significativa che si associa
all’aura. Benjamin giudica inutile il tentativo di salvare l’esperienza di Proust.
Il passage di Parigi
Tentativo di Benjamin di fare un’archeologia del moderno nel trapasso, dove si collocano gli studi su
Baudelaire.
Un saggio contemporaneo al lavoro sul “Passage”: Benjamin si interroga sul valore delle sue tesi sul
moderno nella sua contemporaneità. Egli proietta il problema dell’arte sulla modernità all’interno del suo
presente.
Nuove tecniche:
1. La fotografia;
2. Il cinema.
Si impongono nell’arte. Problema estetico: sono arti o sono tecniche? Per Benjamin queste domande sono
sbagliate: ci si deve interrogare sull’effetto che queste tecniche hanno sull’arte. È possibile che la nostra
idea di arte cambi radicalmente perché avviene il fenomeno della riproduzione dell’arte tradizionale in
queste due forme.
Quali sono le conseguenze della riproducibilità tecnica sull’arte tradizionale? Per quanto qualsiasi copia
possa essere perfetta, mancheranno sempre delle caratteristiche: il “qui ed ora”, l’esperienza irripetibile,
l’”autenticità dell’opera d’arte” ovvero il fatto di essere iscritto all’interno di una tradizione, di un contesto,
di un luogo e di un tempo. È ciò che si sottrae alla riproducibilità tecnica.
Nella riproduzione manuale vi è una distinzione fra originale e falso; nella riproducibilità tecnica la
distinzione fra vero o falso non vale necessariamente, perché:
1. La riproducibilità tecnica è molto più autosufficiente: si possono catturare dei dettagli non visibili ad
occhio nudo (fotografia), viene in primo piano qualche aspetto della realtà che non viene da noi
elaborato (il nostro inconscio ottico);
2. L’opera d’arte può entrare in contesti diversi (casa nostra) da quelli dove solitamente veniva
riprodotta, es: fotografia digitale.
Ciò che viene sottratto è la sua autenticità, ovvero l’aura che definisce l’opera d’arte. Ciò che vacilla è
l’autorità della cosa. Viene perduto l’originario integrarsi dell’opera in una tradizione.
20/04/2021
- Ciò che viene perduto è l’”ic et nunc” (ciò che fornisce all’opera il suo significato), ovvero ciò che
l’opera d’arte originava dalla tradizione, la funzione, il contesto etc.
Tramite il processo della riproducibilità tecnica viene modificata l’autenticità dell’opera d’arte nella sua
autorità materiale e nella sua testimonianza storica. La perdita dell’aura si inscrive nella “crisi della
tradizione”, dovuta al capitalismo.
Benjamin, essendo marxista, mette insieme i fenomeni dell’economia con i fenomeni dell’arte: la perdita
dell’aura nell’arte si radica nello sviluppo della riproduzione tecnica dovuta alla modernità, che si basa
anche da condizioni sociali. Le condizioni tecniche per la perdita dell’aura sono la riproducibilità tecnica, le
condizioni sociali riguardano i processi di razionalizzazione progressiva della società e il fenomeno del
disincanto del mondo (Max Weber).
Il disincanto del mondo è il passaggio sempre più marcato da parte delle società europee ad una visione
sempre più scientifica e determinata dai ritmi della scienza, a cavallo fra ‘800 e ‘900: tutto può essere letto
in termini matematici, anche la natura. È un processo che inizia dal ‘600 con Galileo Galilei. Questo
fenomeno porta alla perdita di quell’incanto magico dei popoli antichi nei confronti del mondo.
Concetto di secolarizzazione: il diritto di governare dei monarchi ad esempio esiste grazie ad un incanto
magico. Il movimento di sottrazione della teologia alla sovranità politica è anch’esso un processo di
scientifizzazione del punto di vista.
Benjamin si rifà alle riflessioni di Lukàcs in “Storia e coscienza di classe” definisce la “reificazione
progressiva dei rapporti umani sotto il dominio della forma merce”: prende da Marx l’idea che il modo di
produzione capitalistico è basato sulla forma merce che sottopone gli esseri umani alla quantificazione di
essa. Il mondo è tutto equivalente: tutto acquista un valore rispetto al denaro, per Marx “l’equivalente
generale”. Noi ci rapportiamo gli uni agli altri sulla base di un valore in denaro esterno: tutto è
quantificabile.
Progressiva dissoluzione delle sfere di separazioni sociali di cui è portatrice l’istanza democratica che porta
in primo piano il valore dell’uguaglianza. La modernità propone un livellamento delle classi sociali anche dal
punto di vista sociale, ma anche nell’arte: anche ciò che dovrebbe essere ritenuto unico, non lo è più
perché riproducibile. Il mondo è colto nella dinamica del livellamento, che porta alla dissoluzione della
tradizione che era basata su distinzioni rigide: l’aura scompare perché non c’è più differenza. Questo viene
letto da Benjamin come una assimilazione progressiva della realtà alla vita di massa, un processo che ha un
suo effetto preciso nell’arte.
Il fatto che l’opera d’arte sia unica è un fenomeno religioso perché l’arte, nella lettura che ci dà della storia
dell’arte all’interno della società, ha una funzione radicata nell’ambito del rituale, dove ha avuto il suo
originario valore d’uso. Il valore originario dell’arte era connesso alla religione e al rituale, qualsiasi
religione essa sia. L’arte ha una funzione magica in cui l’immagine è una parte del rituale.
Il valore rituale è la “preistoria dell’estetica”: secondo Benjamin la bellezza non era originariamente legata
alla funzione dell’arte. Il culto della bellezza arriva più tardi (nel Rinascimento) e sostituisce una funzione
solamente religiosa: è una forma secolarizzata del culto.
Movimento dell’arte per l’arte del primo ‘900 è una reazione al contrastare della libertà dell’arte: si afferma
con il nascere della fotografia, che minaccia la funzione tradizionale dell’arte.
Con la fotografia viene in primo piano il valore espositivo dell’arte, che si sostituisce a quello culturale. Si
attua il passo definitivo per la secolarizzazione dell’arte: per la prima volta la riproducibilità tecnica
emancipa l’arte della sua posizione parassitaria nel rituale. Questo passaggio fa venire meno i valori
dell’estetica tradizionale, ovvero la bellezza, il genio etc. centrali per l’estetica moderna.
Nel momento in cui l’aura viene compromessa, vanno ripensati i concetti con cui si parla di arte. Benjamin
considera che gli inizi del ‘900 sia un’epoca di trapasso e non di completa secolarizzazione dell’arte. Cosa
sostituisce il rituale come ambito di fondazione dell’arte? La politica.
La politica
I primi decenni del ‘900 sarà l’esperienza dei totalitarismi: il comunismo (Lenin e Stalin), il fascismo e il
nazismo. Benjamin si confronta con queste esperienze e come problematizzano il rapporto con l’arte, nel
quale si inscrive anche l’esperienza delle avanguardie.
Dopo la rivoluzione comunista del 1917 si pensa ad una rinnovazione dell’esperienza sociale, con
l’abbandono della tradizione basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che si riflette sull’arte e che è
influenzato dalle avanguardie.
Nei totalitarismi del fascismo e nazismo la tradizione giocava un ruolo diverso: con il fascismo vi è un’azione
sia artistica che cinematografica di recupero della classicità, più specificatamente l’impero romano. Un
modo opposto rispetto all’Unione Sovietica.
L’emancipazione della società dai vincoli religiosi, lascia spazio alla politica e rende possibile, attraverso la
secolarizzazione dell’arte, una rifondazione di essa.
Benjamin riprende Hegel, che afferma la morte dell’arte in quanto la sua funzione è quella di rappresentare
l’assoluto, e si perde. Secondo Hegel adesso è la filosofia che ha questa funzione, il ché secondo Hegel è
positivo, perché determina la libertà dell’artista di poter rappresentare quello che vuole.
Con l’avvento della riproducibilità tecnica avviene la secolarizzazione si libera l’arte dai vincoli del rituale
per affermarsi nella politica.
Questo avviene per necessità perché aumenta il valore espositivo, ovvero la circolazione sociale dell’arte
(es: esposizioni universali). Bisogna cercare di comprendere l’arte in modo diverso. La bellezza non sarà più
centrale ma lo sarà il rapporto fra arte e politica.
Passaggio dal valore culturale al valore espositivo, che sono due poli che in realtà possono convivere. Le
prime fotografie riguardano il trapasso alla riproducibilità tecnica e si vede il conflitto fra essa e la pittura
(es: vedute del Canaletto, uso della camera oscura). La ridotta sensibilità delle lastre alla luce richiedeva
un’esposizione all’aperto, quindi vivevano nell’attimo stesso: nel lungo attimo della posa si è dentro
l’immagine. Si può dire che le prime fotografie hanno un’po’ dell’esperienza auratica.
Nel momento in cui si inventa l’istantaneo la fotografia si emancipa dal valore culturale a quello espositivo.
Fotografia come:
alla base della funzione politica che acquisisce nel tempo. Benjamin si rifà al fotografo E. Atget che usa la
fotografia come mezzo di critica sociale: è inoltre il primo che sviluppa un approccio di tipo
documentaristico. Mostra angoli di Parigi che stanno scomparendo a causa dei danni della modernità. Non
c’è più il valore della contemplazione, centrale per Schopenhauer, che secondo Benjamin riporta al valore
culturale.
La fotografia per Benjamin è un’arte di transizione che anticipa il cinema, che è l’arte della
contemporaneità e che determina la distruzione dell’aura.
Il cinema
21/04/2021
Tesi
Distruzione dell’aura nel cinema: riprende Pirandello e il romanzo “I quaderni di Serafino Gubbio
operatore”, in cui si concentra sugli effetti negativi del cinema sulla vita contemporanea. Il cinema porta
all’alienazione dell’attore rispetto al teatro. Nel teatro c’è una continuità temporale ben definita, la
performance dell’attore teatrale è unica. Nel cinema non c’è identificazione dell’attore.
Nel cinema la performance dell’attore è frammentata, non c’è controllo sulla totalità del film: a teatro i
protagonisti hanno il controllo dell’azione, al contrario nel cinema il controllo ce l’ha il regista e la sala di
montaggio. Il tipo di recitazione richiesta a teatro è molto diversa rispetto a quella richiesta al cinema,
meno enfatica, oltre a diversi problemi tecnici. L’attore teatrale può adattare la performance al pubblico,
mentre l’attore di film no.
Questo tipo di frammentazione Benjamin lo considera non solo un fatto tecnico, ma è riflesso della società
in cui vive Benjamin: è determinata dal fatto che si ha un rapporto fra l’attore e la macchina in primo piano.
Ciò che è in gioco nel cinema è il rapporto dell’uomo con le macchine, attuale del suo e del nostro tempo.
Il processo lavorativo riguarda numerosi test meccanici, soprattutto dopo il Taylorismo e la catena di
montaggio: questi controlli avvengono di nascondono = recitare nel cinema fa esattamente la stessa cosa,
perché c’è un confronto con l’apparecchiatura tecnica, è una performance di primo ordine. Riuscire in esso
significa mantenere la propria umanità davanti all’apparecchiatura: gli operai fanno lo stesso, lottano
contro l’alienazione e la privazione dell’umanità che provoca il lavoro nella catena di montaggio. Il primo
grande effetto della rivoluzione tecnologica è quella di produrre un’esperienza alienata, mediata dagli
apparecchi tecnologici. Il cinema assume è un banco di prova per mostrare una rivincita sul mondo delle
macchine e far trasparire la propria umanità.
Negli anni ’30 in Germania, Brecht aveva introdotto un nuovo concetto di teatro che ispira Benjamin,
ovvero il teatro “epico”: un tipo di teatro non estetico come mero piacere ma esplorativo e conoscitivo. Si
rompeva con gli assunti aristotelici sul teatro. Nell’identificazione del pubblico con l’eroe si produce
l’incapacità di critica: il teatro epico rompe con l’identificazione per attivare questa facoltà critica,
attraverso l’estraniamento e le domande poste allo spettatore per far riflettere.
- Non passivo;
- Critico.
La tecnica peculiare del cinema per sviluppare il giudizio critico è il montaggio: mettendo assieme diverse
scene, quindi rompendo il continuum temporale, si mostra il carattere costruito della realtà. Noi essendo
immersi nella realtà non la vediamo come costruita o “montata” in qualche modo. Il cinema apre la
possibilità di una critica sociale ed espone l’artista ad un bivio permanente: da un lato l’artista può
assecondare il carattere illusionistico del cinema oppure può usare la nuova arte come veicolo di critica
della realtà.
26/04/2021
Concetto di “ricezione nella distrazione”: il cinema respinge il valore culturale, non solo nel fatto di
condurre il pubblico nell’atteggiamento valutativo, bensì anche per il fatto che esso non implica attenzione.
Il pubblico esamina, ma è un esaminatore distratto. L’esame critico della realtà si sposa con il piacere
estetico. Quindi:
L’architettura è una di quelle arti di massa la cui funzione non è venuta mai meno, ovvero la sua praticità.
Per Schopenhauer è una forma più bassa di arte, per Bach era una forma d’arte problematica perché aveva
uno scopo pratico: per Benjamin, al contrario, è la forma d’arte che più si avvicina a ciò che richiede la
nuova estetica, quindi a ciò che fa ad esempio il cinema.
Visione ottimista e progressista del cinema, che ha suscitato numerose critiche, anche da coloro che fanno
parte, come Benjamin, della Scuola di Francoforte.
Critiche
Sia Adorno che Horkeimer emigrano entrambi negli Stati Uniti: sul saggio “L’opera d’arte nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica” nasce una disputa epistolare, Horkeimer infatti chiede a Benjamin di modificarlo
perché non era d’accordo su molti punti.
Adorno non vede di buon occhio la diffusione dell’arte nella società di massa; Horkeimer pure. Entrambi si
confrontano con un fenomeno diverso negli Stati Uniti: egli vedono nel cinema l’avanzare dell’”industria
culturale” nel saggio “La dialettica dell’illuminismo”.
La produzione culturale, in particolare quello della musica leggera e del cinema, nelle società tardo
capitalistiche si manifesta sottoforma di “industria culturale” e opera come apparato di soggiogamento e
standardizzazione dell’individuo, quindi di annichilimento del senso critico. L’arricchimento del valore
espositivo fa perdere la possibilità di qualsiasi custodia del “non identico”. L’arte tradizionale si è sempre
posta come l’eredità di qualcosa fortemente positivo, ovvero l’utopia di un qualcosa di diverso, di una
“promessa di liberazione”. Nel mondo della riproducibilità tecnica emerge “l’identico” e la
standardizzazione della vita.
Fine del soggetto kantiano ovvero il soggetto in grado di operare una critica e delle sintesi trascendentali: è
un soggetto autonomo che si rapporta con l’universo estetico in maniera critica. Però con l’avanzare
dell’industria culturale queste sintesi vengono operate al posto del soggetto dalla industria culturale stessa.
L’”amusement” è il prolungamento del lavoro nel capitalismo: dopo una giornata di lavoro, quella dose di
divertimento serale serve a dare energia per affrontare l’alienazione quotidiana.
L’industria culturale è l’apparato ideologico del nostro tempo, fortemente politicizzata, nel senso che opera
sul soggetto come anestetico della capacità critica.
Estetica modernista: l’opera d’arte può esercitare una funzione critica se e solo se rimane “non” accessibile
al grande pubblico, quando rimane impenetrabile. Nell’arte che rifiuta di rendersi comune è insisto un
elemento di resistenza. La resistenza alle costrizioni sociali ha sempre operato nell’ambito privato.
Ovviamente in questo regno della libertà fuori dall’attività lavorativa, una possibilità di trascendere la
funzione sociale dell’individuo. Visti da tale distanza gli elementi della realtà diventano delle immagini che
si contrappongono come estranee ai sistemi di concetti convenzionali. Sono insiti dei principi che fanno
apparire estraniato e falso il mondo nel quale sono sorti.
Benjamin vede delle potenzialità intrinseche in questa nuova forma d’arte (cinema, fotografia) vs. Adorno e
Horkeimer pensano debba rimanere un tipo di arte autonoma, privata. Secondo Benjamin favorire il valore
culturale dell’arte non solo non ha una corrispondenza storica ma è un’idea “aristocratica” di un’arte
difficile per pochi.
Capitale cinematografico
Il cinema per assolvere la sua funzione di critica sociale, deve liberarsi dal capitale cinematografico. Esso è
un movimento opposto al movimento intrinseco del cinema, ovvero la distruzione dell’aura. Il capitale
cinematografico compensa la distruzione dell’aura, ricreandola in modo artificiale, con l’idea dello “star
system”: l’attore, che è il più alienato di tutti, viene ripresentato al pubblico come eroe e come divo. Questo
corrisponde alla reintroduzione di alcuni elementi di culto del passato, al fine di bloccare il potenziale
critico del cinema. L’arte deve difendere e sviluppare questo potenziale.
Conclusione
Carattere anticipatorio delle idee di Benjamin: l’estetica non ha più a che fare con il bello, che era una fase
dell’arte, chiusa per poi aprire alla funzione critica sociale (valore espositivo dell’arte). Tesi sul
cambiamento dei modi di percezione e la natura dell’opera d’arte.