Sei sulla pagina 1di 53

Greta G.

Relazioni Internazionali
Le scienze umane e sociali prendono avvio tra fine 1800 ed inizio 1900, le relazioni internazionali sono una
disciplina quindi molto recente.

Ogni scienza si distingue per l’applicazione del metodo scientifico però ad un oggetto diverso, qui è l’insieme
delle relazioni sociali in cui la violenza (specie la guerra) è ammessa come fisiologica (normale).

Tale specifica è connessa al particolare contesto che la connota: assenza di un governo e di istituzioni terze
che garantiscano ordine e sicurezza, in altre parole il sistema internazionale è anarchico.

Nel linguaggio comune anarchia sta per assenza di ordine, ma è possibile ci sia un ordine senza un’autorità
centralizzata.

L’ordine della guerra fredda ad esempio aveva delle regole ben specifiche, vi erano procedure di reciproca
comunicazione (es. il telefono rosso), delle convenzioni, anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Spesso la guerra non ha lo scopo di distruggere, ma di capire quanto si può ottenere dall’altro in base ai
rapporti di forza; ad esempio durante la seconda guerra mondiale Hitler bombardando Londra non voleva
distruggere tutto il Paese ma piegarne la resistenza in modo da ottenere di più, anche prima di arrivare al
conflitto armato c’erano state proposte di soluzioni diplomatiche.

Anche Putin attualmente vuole capire se sia possibile avere una fascia di sicurezza per evitare l’influenza degli
Stati Uniti e della Nato nell’Europa centrale.

Anche i sistemi interni possono sfociare in violenza, sia dove i governi ci sono, ma soprattutto dove non sono
presenti, in politica interna è più difficile la violenza dato che esiste l’autorità dello Stato, non è così dal punto
di vista internazionale.

Le relazioni internazionali nascono con lo scopo di ridurre la guerra sul piano internazionale.

In origine si sono confrontate due tradizioni teoriche:

- scuola realista;

- scuola idealista.

Cosa è una teoria? È un insieme di ipotesi e regolarità empiriche, ma non si limitano ad associare dei
fenomeni tra loro, oltre a stabilire una correlazione è necessario spiegarla. Le teorie sono insiemi di spiegazioni
delle leggi ricorrenti (delle uniformità) di un sistema sociale.

Le teorie scientifiche sono ipotesi esplicative provvisorie, destinate ad essere superate da teorie più complete
e mature. Esiste una probabilità per ogni cosa e aumentarla o diminuirla è un progresso.

La politica è molto pericolosa e smussarne gli aspetti più pericolosi è già un grande risultato, il compito della
teoria è isolare un campo di azione per poterlo affrontare razionalmente.

Le teorie sono sempre modelli semplificati della realtà, sono astrazioni, la realtà è sempre più complessa ed
intricata, ogni modello teorico isola alcuni aspetti della realtà e li collega tra di loro.

Il compito della teoria, pertanto, è: isolare un campo d’azione per affrontarlo razionalmente.

Anche i modelli economici, ad esempio, sono strumenti che aiutano a comprendere la realtà.

La prima cattedra di relazioni internazionali nasce nel 1919 in Gran Bretagna e come tutte le scienze sociali
moderne si emancipa rispetto alle discipline che la inglobavano, ad esempio la storia diplomatica, il diritto
internazionale, la filosofia politica, quest’ultima ha un orientamento normativo e non descrittivo/esplicativo, è
finalizzata a indicare come dovrebbe essere la realtà.

La nascita delle relazioni internazionali come disciplina accademica è legata da un lato alla nascita del
positivismo (l’idea di applicare il metodo delle scienze naturali alle scienze dell’uomo), dall’altro all’esperienza
traumatica della prima Guerra Mondiale (studiare le cause della guerra per ottenere la pace).

La differenza tra la prima e la seconda guerra è quella dei civili, nella seconda furono coinvolti molto di più i
civili, in quanto vi era anche il fattore ideologico (tra fascismo, comunismo, liberal-democrazie).

L’evento traumatico della guerra ha segnato una svolta anche culturale, dettata dalla necessità di indagare le
cause profonde della guerra, e con questo cercare di prevenire l’avvento della guerra.

1
Greta G.

Realismo
Già dall’inizio la disciplina si è caratterizzata da un aspro conflitto teorico: il paradigma dominante è quello del
realismo, è l’approccio teorico che fa da riferimento.

Il realismo rappresenta l’intelaiatura teorica fondamentale delle relazioni internazionali, con cui bisogna fare
necessariamente i conti.

Cosa è il realismo? È una visione del mondo, una teoria scientifica e programma di azione, contiene anche
una prassi, non è solo studio.

Solitamente contiene quattro aspetti:

- antropologia: c’è un’idea di natura umana (pessimista, si tiene conto che l’uomo è un essere complesso, né
un angelo, né un demone), tiene conto dei limiti della condizione umana;

- ontologia (cosa è la realtà): come funziona il mondo;

- epistemologia (come debba essere compresa): quel ramo della scienza che studia i fondamenti della
conoscenza ed indica le modalità attraverso cui si deve perseguire la conoscenza scientifica;

- prasseologia (l’idea di come bisogna agire): il realismo aiuta anche ad intraprendere dei corsi di azione che
sono congruenti alla logica della politica internazionale, che va rispettata, altrimenti si subiranno le
conseguenze di tale logica. Il realismo quindi indica anche una prassi, come bisogna comportarsi, come
agire.

Il realismo non nasce con le Relazioni Internazionali, viene codificato in termini accademici con esse ma in
realtà ha una tradizione lunghissima, in Occidente era presente già con Tucidide, Macchiavelli (anche idealista
ma riconosceva che la politica ha dei codici comportamentali diversi rispetto ad altri ambiti d’azione e che la
morale politica è diversa dalla morale privata, è stato il primo ad esplicitare in modo chiaro l’autonomia della
politica e della sua logica), Hobbes, Spinoza, Rousseau (era molto più lucido nell’analisi dei fatti internazionali
rispetto a quelli interni, circa la democrazia egli ha fatto anche dei danni in quanto aveva una nozione di
democrazia non così praticabile e realista, mentre dal punto di vista internazionale aveva compreso dei punti
cruciali che ancora oggi sono validi), Hegel, i teorici della “Ragion di Stato”, gli elitisti italiani, Weber.

Dopo questi autori “classici” il realismo ha un rilancio con un autore che opera in particolare a cavallo tra le
due guerre mondiali, Edward Carr, ha scritto “The Twenty Years’ Crisis”, un po’ il manifesto del moderno
realismo, questo libro in qualche modo da origine ad una contrapposizione classica nell’ambito della
disciplina: quella tra realisti e idealisti.

Idealismo
Risale a studiosi anglosassoni (di matrice liberale e socialista) e ad esso si deve la nascita della tradizione
accademica (la prima cattedra era di un idealista).

Il presupposto dei liberali era che confidavano nella naturale armonia tra interessi delle nazioni e l’eventuale
esistenza di conflitti armati non è legata alla natura umana corrotta ma è dovuta a governi non responsabili
(autoritari, non democratici) quindi ad una natura imperfetta dei sistemi politici. La presenza di regimi non
democratici è un fattore facilitante per lo scoppio delle guerre.

Carr arriva dopo queste affermazioni e le contesta: dice che i liberali non tengono conto della distinzione tra
fatti e valori, egli sostiene invece che l’arena internazionale sia anarchica, senza governo, dove governa
l’oggetto, la lotta per il potere ha un ruolo centrale ed è ineliminabile.

In questo contesto gli Stati sono gli attori principali, sono loro che dettano le regole, essi hanno come obiettivo
principale la loro sopravvivenza, garantirsi la sicurezza.

Dopo la seconda guerra mondiale il realismo, più presente nell’Europa Continentale, si afferma anche nella
patria dell’idealismo, ossia negli Stati Uniti.

La ragione per cui si afferma il realismo anche qui è che gli Usa dopo la guerra assunsero il ruolo di grande
potenza, non erano più isolazionisti, sapevano di dover assumere un carico di responsabilità inedito, dovevano
esercitare il loro ruolo su tutto il pianeta. È un ruolo a cui non erano preparati, nemmeno dal punto di vista
teorico e metodologico, per cui si dovevano dotare di una dottrina che giustificasse e guidasse la loro politica
all’interno del nuovo contesto della Guerra Fredda.

Il mondo dopo la seconda guerra mondiale era eterogeneo, non solo diviso tra potenze rivali per questioni
territoriali ma anche ideologicamente, quindi il rischio che ci sia la tentazione di esportare il proprio modello
verso altri è alto, il ché crea ulteriori instabilità.

2
Greta G.
Un tempo le dinastie erano legate tra loro da parentele e condividevano valori anche se combattevano tra loro,
ma è anche successo che fossero divise da contrapposizioni ideologiche (es: cattolici e altre religioni) il che
rende la competizione ancora più accesa.

Questo nuovo ruolo sviluppa quindi l’esigenza di nuova visione delle cose. Molto importante il ruolo di
Morghentau, il quale importa negli Stati Uniti la dottrina realista, classica dello stato potenza, convertendola
alle esigenze e sensibilità degli Stati Uniti.

Prende quindi il testimone del realismo e lo porta nella capitale dell’idealismo.

Il manuale di Morghentau, “Politics Among Nations” è stato il più adottato dal 1948 al 1985. Si trovano delle
affinità con Tucidide e Macchiavelli: il presupposto è un pessimismo di fondo, di tipo antropologico, si ritiene
che la natura umana sia guidata dalla paura e dalla ricerca di potere, c’è un’idea della politica che non riguarda
solo la politica internazionale, ma una più generale teoria della politica, il contesto è però diverso, la lotta di
potere all’interno di un Paese non è anarchica, in quanto c’è un governo, la logica è la stessa (gli attori politici
ricercano potere).

Punti salienti di Morghentau:

• la politica è sempre power politics (lotta per il potere), non solo in campo internazionale;

• nell’arena internazionale c’è una peculiarità, essendo anarchica, il potere viene definito in termini di
interesse nazionale, gli Stati perseguono l’interesse nazionale.

Come viene definito l’interesse nazionale di uno Stato? Morghentau sostiene che l’interesse nazionale sia
frutto di una combinazione di fattori permanenti e contingenti.

l’Inghilterra ad esempio ha sempre avuto un ruolo di bussola rispetto all’Europa: ha sempre cercato di evitare
che qualsiasi Paese europeo assumesse l’egemonia, infatti si è sempre alleata con i più deboli contro il più
forte (es. contro Hitler), l’Inghilterra avrebbe anche potuto accettare un compromesso (abbastanza
conveniente) ma farlo vincere sarebbe stata una minaccia vitale, non poteva diventare così potente la
Germania. La Gran Bretagna è entrata nell’Ue proprio per evitare un’egemonia tedesca

Gli elementi contingenti invece (che possono cambiare l’interesse nazionale) sono le coalizioni, o un
cambiamento di regime politico, caso eclatante è quello dell’Iran, Paese filo-occidentale fino a quando c’è
stato lo Scià Reza Palavi, con l’arrivo di Khomeini è invece divenuto uno dei principali avversari dell’Occidente.

Stessa cosa per Italia, Germania e Giappone, dopo la seconda guerra mondiale hanno cambiato politica.

Esistono anche cambiamenti meno radicali, ad esempio se cambia la coalizione di governo, o anche se si
diventa isolazionisti.

La ricchezza della Russia si basa sull’esportazione di materia prima e sull’ossessione di sicurezza, mentre
l’elemento contingente è ad esempio la leadership.

• Altro elemento di Morghentau è che il gioco del potere è un qualcosa a cui gli Stati non possono sottrarsi,
pena la loro estinzione;

• gli Stati scelgono tendenzialmente tra 3 tipi di politiche e strategie:

- la politica dello Status Quo;

- la politica dell’imperialismo (es. Russia con Putin e Cina);

- politica del prestigio.

Questo sistema, in cui gli Stati, secondo Morghentau, perseguono queste tre politiche, è un potenziale stato di
guerra, ma contiene anche elementi di ordine e meccanismi di limitazione della power politics.

Gli strumenti con cui un sistema internazionale può raggiungere un suo ordine/stabilità senza guerra sono: la
politica dell’equilibrio (balance of power), il potere assoluto si evita mettendo i poteri gli uni contro gli altri, in
modo che si equilibrino tra di loro (questo a livello interno), a livello internazionale l’equilibrio di potenza
garantisce la sicurezza (se uno Stato si sente sicuro è meno incline a fare la guerra) e la diplomazia.

Morghentau riconosce l’esistenza di altri attori internazionali (ad es. le istituzioni internazionali o l’opinione
pubblica) ma non hanno un ruolo così rilevante.

Al contrario per i liberali le istituzioni internazionali e l’opinione pubblica possono avere un peso determinante
nell’orientare il sistema internazionale e le sue dinamiche.

Le tre immagini (K. Waltz)


È una metafora per indicare i tre livelli di analisi con i quali si può studiare ogni fenomeno internazionale
secondo Waltz, in particolare il problema delle cause della guerra e della pace.

3
Greta G.
Il primo livello fa affidamento come unità di analisi alla natura umana, ossia raggruppa tutti quegli autori che
attribuiscono le cause della guerra a delle caratteristiche tipiche della nostra natura/psicologia (Spinoza,
Sant’Agostino), ciascuno indica caratteristiche diverse, tra cui avidità, paura, aggressività.

Il secondo livello prende in considerazione la natura degli Stati in cui gli esseri umani agiscono, il contesto
sociale e politico in cui si trovano ad operare (teoria di Rousseau). Si attribuisce alle caratteristiche del sistema
sociale le cause, si può dire che ci siano sitemi politici/sociali buoni e cattivi, i primi fanno si che gli uomini
siano più pacifici (tesi di Kant), quelli cattivi sono invece più inclini a fare la guerra.

Il terzo livello ritiene che sulla base dei difetti, delle lacune, legate al soffermarsi solo sul primo o sul secondo
livello di analisi, occorra rivolgersi ad un’unità di analisi ancora più ampia, ossia come gli uomini siano
condizionati dal contesto sociale politico degli Stati e delle società in cui agiscono, anche gli Stati sono
condizionati dal contesto in cui essi agiscono, ossia il sistema internazionale. La terza immagine privilegia la
fisionomia del sistema in cui gli Stati agiscono.

Waltz nello specifico distingue tra sistemi multipolari e sistemi internazionali bipolari, secondo lui tali differenze
sono molto importanti per capire la maggiore o minore probabilità di guerra.

La società degli Stati secondo Waltz è l’unità di analisi da privilegiare per comprendere le principali dinamiche
della politica internazionale.

Lo stesso Waltz sottolinea però che le tre immagini non si escludono a vicenda ma sono complementari,
ciascuno di tali livelli spiega le cose con un livello di generalità diverso, le caratteristiche e le uniformità più
generali si possono ricavare soffermandosi sul terzo livello, gli altri due consentono di spiegare le cause non
profonde della guerra ma quelle più prossime, più accidentali. Secondo lui è necessaria un’integrazione dei
livelli, tenendo conto che il terzo è quello più importante, che spiega le cause profonde della guerra.

Waltz affronta ogni tema rilevante (guerra, diplomazia, problemi dell’ambiente) adottando tali livelli di analisi.

Quando una potenza egemone declina e sta per essere sostituita nel suo ruolo da un’altra potenza è il
momento più pericoloso per lo scoppio di una guerra. Lo sfidante in ascesa cerca di approfittare del vantaggio
incipiente, lo sfidato cerca ovviamente di frenare l’ascesa prima che si verifichi un rovesciamento dei rapporti
di forza definitivo; per cui da entrambi i lati c’è un incentivo a fare ricorso alla violenza.

Questa dinamica prescinde relativamente, sostiene Waltz, dalla natura dei leader e degli Stati, è un problema
che c’è comunque, può cambiare come viene affrontato ma è un problema ricorrente, è un qualcosa che
equivale quasi ad una legge naturale.

Prima immagine (livello di analisi individuale)


Molti autori individuano diverse caratteristiche (il ruolo delle passioni umane, l’irrazionalità), ma il punto è su
come l’umano è, gli uomini condividono una serie di caratteristiche.

Coloro che puntualizzano la natura umana, si dividono a loro volta tra ottimisti e pessimisti, ci sono quelli che
ritengono che pur essendo la natura umana incline a certi difetti, questi possono essere corretti (ad es. con
l’educazione), altri ritengono che bisogna rassegnarsi ad una ciclicità degli eventi politici.

Il difetto di tale impostazione, sottolineato da Durkheim, è che: se la causa è sempre quella, come si spiegano
comportamenti e fenomeni sociali così diversi? Ad esempio ci sono società patriarcali e matriarcali, sistemi
politici autoritari o democratici, ci sono popoli che per moltissimo tempo non hanno fatto guerre (Svizzera e
Svezia), addirittura i vichinghi un tempo erano un popolo guerriero, ora si può dire tutto il contrario.

Waltz sostiene che è ovvio che nel repertorio di azioni e propensioni degli uomini ci sia anche la violenza, ma
questa è una causa primaria, non sempre tali caratteristiche sfociano nella guerra. È infatti necessario non solo
conoscere le cause primarie, ma anche quelle secondarie, capire ad esempio in quali occasioni si manifestano
tali inclinazioni. Ad esempio si può guardare al tipo di società, guardando di nuovo alla Svezia, quell’economia
di rapina dei vichinghi era legata ad un modello economico (era tipica del mondo antico), cambiando contesto
non è più stata necessaria l’economia di rapina e nemmeno di quella cultura (esaltazione delle doti guerriere,
del coraggio).

La natura umana è quindi una condizione necessaria ma non sufficiente per comprendere la guerra.

Implicazioni prima immagine


Esistono delle implicazioni che dimostrano come anche dal punto di vista applicativo non si può considerare
solo la natura umana; ad esempio l’intervento sulla conoscenza reciproca tra i popoli, alcuni sostengono che il
fatto di non conoscersi a vicenda, il pregiudizio, dispone in modo ostile verso gli altri, tale asserzione può in
realtà essere ribaltata in quanto spesso è proprio la conoscenza che aumenta l’ostilità.

Un altro strumento potrebbe essere l’educazione, alcuni antropologi hanno studiato popolazioni che non
conoscono la guerra, essi hanno proposto di educare i giovani sulla base di quei codici normativi, dei valori di
quelle popolazioni che non conoscono la guerra. Ammettendo che l’educazione sia una via per modificare la
natura umana, si pongono comunque dei problemi, anzitutto tale educazione dovrebbe riguardare tutta
4
Greta G.
l’umanità, bisognerebbe quindi sviluppare un processo educativo globale, ma i veri problemi sono: un
processo di questo tipo richiede molto tempo, e deve avvenire simultaneamente per tutti, quindi tutti i leader
mondiali dovrebbero mettersi d’accordo. Ammettendo che tutto ciò sia possibile, di fatto avviare questo
vorrebbe dire spostarsi ad un livello che non è quello della prima immagine, occorrerebbe un governo
mondiale. Non ci si può quindi limitare alla prima immagine.

Seconda immagine (livello di analisi statale)


Questa concerne la natura degli Stati e delle società, in particolare qui si ha la divisione tra visione liberale e
socialista.

Visione liberale
Per quanto concerne la politica interna, i liberali, tendono a trasporre alcune caratteristiche della politica
interna nell’ambito della politica internazionale, la visione che hanno i liberali è ottimistica circa il modo di
funzionare della società e dell’economia, essi confidano che ci sia un’armonia naturale degli interessi, che si
realizza attraverso i meccanismi del mercato. In virtù di ciò ritengono che lo Stato si debba limitare ad un ruolo
minimo, di regolatore, l’importante è far funzionare le transazioni economiche e gli scambi, questo
automaticamente porta ad una composizione armoniosa dei diversi interessi.

I liberali trasportano tale visione anche sul piano internazionale, in primo luogo ritengono che il commercio
internazionale svolga le stesse funzioni pacificatrici che svolge il mercato a livello interno.

Altro aspetto che menzionano è il ruolo delle democrazie, e dell’influenza dell’opinione pubblica mondiale.

Ma c’è una contraddizione: i liberali, per quanto minimo, riconoscono il ruolo dello Stato nella società,
riconoscono una sorta di indispensabilità, ma sono anarchici nell’ambito della politica internazionale, non
auspicano un governo mondiale.

Allora come si arriva ad un sistema internazionale in cui di fatto i sistemi interni si armonizzano tra di loro?

Il sottinteso è che se sono tutte democrazie probabilmente avviene, ammesso che sia così, come si arriva ad
un sistema internazionale dove sono tutte democrazie? Bisogna confidare nell’evoluzione spontanea della
storia? O tramite un interventismo democratico? I liberali si dividono tra interventisti e non interventisti, ad
esempio l’Ue in passato ha esercitato la “condizionalità democratica” con mezzi pacifici, se un Paese voleva
entrare nell’Ue, doveva sottoporsi ad una sorta di selezione in cui si dava in cambio degli aiuti e dell’ingresso,
un’evoluzione in senso democratico di tali Paesi.

C’è invece chi immagina l’interventismo democratico non solo attraverso il soft power ma anche con l’hard
power, l’esempio più clamoroso è l’invasione americana e degli alleati dell’Iraq.

Per quanto concerne gli interventisti vi è però il paradosso di prevedere un intervento militare per evitare le
guerre.

È però vero che non si ha memoria di una guerra tra regimi autenticamente democratici (è una delle poche
regolarità empiriche).

L’unico esempio di una guerra tra Paesi all’interno della Nato è stato durante gli anni Settanta tra Grecia e
Turchia che però al tempo non erano democrazie.

Visione socialista
I socialisti non guardano al modello politico, ma soprattutto alla struttura socioeconomica; il livello della
seconda immagine concerne non tanto la forma politica quanto quella sociale: le cause delle guerre sono
legate al sistema capitalistico, alla sua natura.

Per i socialisti, il rimedio è l’instaurazione di un sistema socialista diffuso a livello mondiale.

Anche in questo caso, però, c’è una divisione tra interventisti e non interventisti, i primi (tra cui Trockij)
volevano l’esportazione della rivoluzione; i non interventisti confidano invece in un’evoluzione spontanea.

Una visione comune tra i socialisti è che in un mondo fatto di sistemi socialisti prevarrebbe la solidarietà di
classe, per cui non ci sarebbero più guerre.

C’è stato però un episodio storico che smentì e deluse questa idea che la solidarietà di classe tra proletari
avesse la meglio sull’identità nazionale: il partito socialista più importante al mondo (alla vigilia della prima
guerra mondiale) era quello tedesco, subito prima della guerra tale partito votò a favore dei crediti di guerra
per armare la Germania, la logica nazionalista in qualche modo coinvolse anche il principale Paese socialista
del mondo, aveva prevalso la logica dell’interesse nazionale tedesco, rispetto alla logica di fratellanza tra
proletari di altri Paesi, questa smentita fu uno shock, pare che convinse Lenin a dire che le tesi
evoluzionistiche non funzionassero, ma che fosse necessario che i partiti assumessero un ruolo guida in capo
ad una avanguardia rivoluzionaria, che spiegassero al proletariato quali sono i suoi reali interessi (perché da
solo il proletariato non ci arriva).

Ma il problema per i socialisti permane: quale è il grado di perfezione per giungere alla pace tra Paesi
socialisti? (critica simile a quella rivolta ai liberali) Si è così sicuri che i Paesi che hanno abolito il capitalismo

5
Greta G.
automaticamente tra di loro svilupperanno un livello di solidarietà e di fratellanza tale da scongiurare le guerre?
In realtà ci sono stati dei conflitti tra Paesi di questo tipo (es. Cina e Russia).

Perché se socialisti si sono fatti la guerra?

La differenza è che Stati in cui non c’era più la proprietà privata e dei mezzi di produzione si sono fatti la
guerra, ad oggi invece stati liberali democratici non si sono fatti la guerra, quindi sembrerebbe valere di più la
tesi che le democrazie siano pacifiche tra loro, rispetto ai Paesi socialisti.

Ad ogni modo rimane il problema che tra democrazie, che hanno interessi diversi, non è escluso a priori un
ricorso alla violenza, perché quando c’è un contenzioso tra interessi diversi, se non c’è un regolatore
superiore, è anche possibile che si possa ricorrere alla violenza (per definire un rapporto contrattuale
favorevole agli uni o agli altri).

Terza immagine (livello di analisi internazionale)


In un ambiente in cui gli Stati coesistono ed interagiscono (il sistema internazionale) si trovano le radici più
profonde del ricorrente uso della forza nei loro rapporti.

Rousseau sostiene: la volontà generale perfetta per ciascuno dei cittadini di uno Stato, è solo una volontà
particolare” in relazione con il resto del mondo.

Solo un’autorità superiore può prevenire e risolvere i conflitti generati dalle volontà particolari degli Stati.

In un sistema anarchico, ciascuna volontà, anche degli Stati più benevolenti, è una volontà particolare, in
quanto ciascuno definisce il bene in modo proprio, da un punto di vista che è comunque particolare, e questo
può provocare il rischio di conflitti tra volontà particolari, di conseguenza, l’unica soluzione possibile, è che
esista un’autorità superiore che regoli in modo pacifico i conflitti, dotata anche dell’uso della forza, capace di
sanzionare i comportamenti non corretti degli Stati.

Se il contesto è anarchico la struttura degli incentivi è tale per cui uno Stato, pur incline alla pace, è impegnato
in una guerra preventiva, perché se non colpisce per primo (quando la situazione è favorevole), può essere
colpito in seguito, quando il vantaggio è passato all’avversario.

Questo è il dilemma delle relazioni internazionali: se uno Stato è completamente pacifista, e anche un altro
Stato, chi assicura che in un secondo momento il secondo Stato non si evolva in un senso più aggressivo? E
che diventi così forte da minacciare l’esistenza dell’altro Stato?

Vi è il problema dell’orizzonte temporale, in un sistema anarchico non si è mai sicuri che l’attore che si ha di
fronte abbia la stessa inclinazione nel corso del tempo, può cambiare (cambi di regime, di leader), c’è quindi la
tentazione di approfittare della propria forza in un determinato momento per evitare che l’altro possa fare
altrettanto in futuro. Questa è una condizione strutturale, non dipende da come è uno Stato, prescinde dal
fatto che lo Stato sia buono ecc. è una condizione del sistema.

Per Waltz la differenza fondamentale è tra sistemi multipolari e sistemi bipolari (con sole due grandi potenze),
per lui questi ultimi sono più stabili.

La globalizzazione
È un fenomeno antichissimo, si può ritrovare già all’epoca dei romani, c’è però una novità, ossia la
globalizzazione della produzione, nel passato la globalizzazione riguardava commercio e finanza, ci si
scambiava beni e servizi, negli ultimi decenni anche la produzione si è globalizzata, uno stesso oggetto viene
prodotto in diverse parti del mondo e viene poi assemblato.

Questo ha portato, non solo ad un’innovazione economica, ma anche ad un problema politico, in quanto i
destini di un’attività manifatturiera coincidevano con l’interesse del Paese che ospitava l’attività manifatturiera,
al giorno d’oggi, invece, la globalizzazione della produzione ha separato i destini.

Da consumatore si ha un vantaggio da tale dislocazione, ad esempio un telefono costa poco rispetto a quanto
potrebbe essere. Da lavoratore, invece, in termini sia di occupazione, sia di salario, si ha uno svantaggio,
perché i lavoratori a basso costo (Asia, Sud America) fanno concorrenza ai lavoratori delle città più sviluppate,
c’è una concorrenza al ribasso dei salari.

Ovviamente questo porta a conseguenze anche politiche, con la ribellione della classe medio bassa rispetto
ad aspettative di vita e salari che sono diminuiti rispetto al passato.

Quindi, da un lato, si è contenti di comprare molte cose (tv, telefoni, ecc.) a prezzi ragionevoli, d’altra parte c’è
la concorrenza, la paura di perdere il lavoro, o capacità d’acquisto in termini di reddito, è alla base del
fenomeno del populismo.

Altro elemento che induce ansia ed insicurezza nel mondo occidentale è l’ascesa delle potenze emergenti che
mettono in discussione la centralità dell’Occidente che esiste da almeno due secoli.

6
Greta G.

Altro fenomeno importante è il terrorismo, quasi mai ha una matrice solo nazionale, è solitamente
transnazionale.

Altro tema che gli autori sottolineano è l’influenza dell’Ue sulle politiche dei singoli Stati nazionali (ad esempio
sull’economia).

Altro aspetto è quello della liberalizzazione delle frontiere, che facilitano viaggi, comunicazioni (anche dei
terroristi però).

Infine vi è il fenomeno delle immigrazioni, che hanno origine interna ma si sviluppano a livello internazionale,
ponendo problemi internazionali. Anch’esso influisce sulla vita comune delle persone, infatti ci sono partiti che
si dividono tra favore e contro l’immigrazione.

Bisogna guardare la realtà internazionale come un quadro concettuale adeguato, il primo elemento da tenere
in considerazione sono gli attori principali che agiscono sulla scena, in primo luogo i leader, vi sono poi gli
Stati (per i realisti sono anzitutto gli Stati, a prescindere da chi li guida, gli Stati seguono una logica che
prescinde da chi governa), ci sono poi le nazioni (spesso Stati e nazioni non coincidono), a volte esistono Stati
con più nazioni dentro (com’era la Russia Sovietica), ci sono anche nazioni senza Stato (es. i curdi).

Uno dei problemi del mondo contemporaneo è proprio questo: spesso gli Stati non sono omogenei, ma entità
artificiali che hanno raggruppato nei loro confini popolazioni eterogenee, mentre in Europa, attraverso i secoli,
l’eterogeneità si è ridotta (anche grazie ad un processo di socializzazione dall’alto, che ha imposto
un’omogeneità); processo che in molti Stati (ad es. africani) non è nemmeno iniziato, per cui ci sono lotte
religiose, etniche, ecc.

Vi sono poi gli attori non statali, tra cui le multinazionali, le quali svolgono un ruolo molto importante, ad
esempio l’ENI faceva una parte della politica estera italiana negli anni 60/70, ai tempi E. Mattei era anche più
potente del ministro degli esteri, interagiva con i capi di Stato arabi e medio-orientali per avere le forniture
petrolifere, spesso addirittura agiva in proprio, senza passare attraverso i canali ufficiali della diplomazia, il
governo lo lasciava fare perché aveva interesse a sviluppare una politica energetica autonoma dalle 7 sorelle.

Ruolo molto importante come attori internazionali lo hanno le chiese, basti pensare al ruolo della chiesa
cattolica nel crollo del comunismo, il primo tassello che cadde fu la Polonia, proprio quando vi era un papa
polacco.

Anche nel processo di democratizzazione dell’America Latina la conversione del clero latino-americano alla
democrazia è stata un fattore che ha sicuramente spinto alla caduta delle dittature militari in quei paesi (in
passato sostenuti dalla chiesa cattolica).

Altro attore sono le organizzazioni criminali, le quali regolano traffici molto importanti, dal riciclaggio di
denaro, traffico di droga, armi, sono attori molto rilevanti, spesso si connettono ai gruppi terroristici.

Vi sono anche le ONG, attori non statali con un ruolo importante nelle vicende diplomatiche e politiche.

Altro aspetto tenuto in considerazione sono i livelli di analisi (prima, seconda, terza immagine, ossia livello
individuale, statale e internazionale).

Molto importanti sono le domande fondamentali, rilevanti in quanto consentono di definire ciò che è più
importante rispetto a ciò che lo è meno, consentono una distinzione tra ciò che è veramente fondamentale da
osservare, da ciò che è meno rilevante, più di contorno. Sono quindi un punto di partenza ineludibile quando si
affronta lo studio della politica internazionale.

Gli autori del manuale si sono posti varie domande:

1. È di tipo accademico: in che modo le diverse tradizioni teoriche si differenziano rispetto al modo di
considerare gli attori ed i loro comportamenti? Quali sono gli assunti delle diverse teorie? Quali sono le
diverse teorie? Gli strumenti teorici con i quali si può cominciare a comprendere e spiegare?

2. Quali fattori influenzano la politica estera degli stati?

3. Perché la guerra è una caratteristica costante delle relazioni internazionali?

4. Quali fattori accrescono la possibilità di ridurre i conflitti e di evitare le guerre?

5. In che modo le armi nucleari hanno cambiato le pratiche della politica internazionale?

6. Verificare se lo Stato può continuare a prevalere sulle forze che sfidano la sua autorità. È obsoleto lo Stato
nazionale rispetto a fenomeni transnazionali come la globalizzazione, il terrorismo, i flussi migratori? Ci si
chiede se sia vero per tutti gli Stati o solo per alcuni, se alcuni siano meno soggetti alla fragilità legata a
fenomeni non controllabili o se sono soggetti allo stesso modo, anche gli Stati più potenti.

7. Come l’ambiente pone delle sfide alla comunità internazionale; Kyoto, Parigi, anch’essi pongono dei
problemi nei rapporti tra gli stati.

7
Greta G.
8. Date certe tendenze, quali saranno i prevedibili sbocchi del sistema internazionale nei prossimi decenni? Ci
sono sei scenari possibili, sono dei “tipi ideali”, probabilmente nessuno si presenterà in modo preciso.

Una volta fatte queste domanda bisogna stabilire dei collegamenti, per esercitare un pensiero critico non è
sufficiente avere dei concetti di attori e dei livelli di analisi, occorre anche avere una disposizione a stabilire dei
collegamenti tra i diversi attori e fare delle connessioni.

Ci sono tre connessioni principali che vengono evidenziate: la prima cosa è il collegare teoria e pratica; altro
collegamento è quello tra presente, passato e futuro, ossia avere un’idea delle connessioni temporali (è
importante conoscere la storia di una realtà); l’ultima è quella di collegare aspettative alla realtà.

Altri collegamenti sono tra politica ed economia internazionale, occorre sempre considerare l’impatto dei
fenomeni economici internazionali (finanziari, commerciali, industriali) sulla politica internazionale (questi due
aspetti si influenzano a vicenda). Infine il collegamento tra politica interna e politica estera degli Stati, non si
può capire ciò che avviene in un Paese senza considerare come è al suo interno (es. come la natura
democratica degli Stati Uniti influenza la sua politica estera).

È importante inoltre considerare come ciascun attore vada preso nella sua prospettiva peculiare, è importante
mettersi nei panni degli altri attori internazionali, perché ciascuno Stato presenta punti di vista peculiari, per
cui, se si vuole capire la politica internazionale bisogna tenerne conto.

Teoria Realista
La tradizione realista accentua il ruolo della power politic (politica di potenza), gli elementi di rivalità, di
instabilità legati al sistema internazionale, il fatto che la cooperazione è difficile e non naturale.

Prima di osservare le implicazioni occorre vedere gli assunti di partenza che sono condivisi da tutti i realisti:

1. L’assunto classico è quello dell’anarchia, cioè si parte da una premessa che è quella di constatare come il
sistema internazionale non preveda nessuna autorità centralizzata e sovraordinata rispetto agli Stati, anche
per i realisti anarchia non significa disordine, riconoscono che il sistema internazionale, pur senza un
governo, può avere degli elementi di ordine al suo interno, basati ad esempio sulle curve di potenza. Il
contesto anarchico induce a delle logiche di azione imprescindibili, a prescindere dalle differenze, dalle
sensibilità, dai punti di vista e dagli interessi. Secondo i realisti la moneta corrente è la potenza, tale
moneta serve per salvaguardare gli interessi e la sicurezza, si ottiene il soddisfacimento dei propri interessi
in base alla potenza che si ha, e alla disponibilità di usare tale potenza. L’Ue, ad esempio, potrebbe essere
una potenza militare simile agli Stati Uniti, in base al PIL potrebbe avere un esercito simile al loro, o forse
potrebbe anche superarlo. La differenza tra l’Ue e la Russia è che quest’ultima è disposta ad usare la forza,
quando uno è disposto ad usarla gli altri sono restii. La politica del “fatto compiuto” di Putin fino ad ora la
premiato, perché non ha trovato dall’altra parte altrettanta forza.

2. Gli Stati sono gli attori principali delle relazioni internazionali (gli altri attori sono secondari).

3. Gli Stati tendono a comportarsi in modo razionale, calcola costi e benefici, commisura i mezzi ai fini
desiderati, un attore razionale cerca di stabilire un nesso di congruenza tra gli scopi (goals) e gli strumenti
necessari. Ciò non significa che gli Stati siano sempre razionali, nella storia ci sono stati molti errori di
valutazione, il primo nella storia occidentale è l’attacco degli ateniesi a Siracusa.

4. La sicurezza è il problema principale, dato che non c’è qualcuno che la garantisce ognuno deve
provvedere da solo, e lo fa attraverso un’autodifesa.

5. La ricerca della sicurezza è un’impresa competitiva, che vede gli uni contro gli altri, la rivalità e il conflitto
sono quindi intrinseci alla politica internazionale. Questo spiega anche la corsa al riarmo, più armi si hanno
più si ha sicurezza, ma non solo uno stato lo fa, anche gli altri stati ricercano la sicurezza.

Asserzioni:

Sono le implicazioni che derivano dagli assunti.

1. Il primo meccanismo che ricorre nel sistema internazionale è quello dell’equilibrio di potenza, in base al
quale gli Stati tendono a contro bilanciare gli Stati che acquisiscono un vantaggio in termini di potenza, la
tendenza è quella di equilibrare, con una politica di bilanciamento; ad esempio se uno Stato emerge come
il più forte si tenderà, se possibile, a riequilibrare questa forza, singolarmente o tramite alleanze. Il rischio
da evitare è che qualcuno diventi così forte da poter minacciare in modo definitivo la propria integrità e
sicurezza. Una funzione da equilibratore storicamente l’hanno svolta gli inglesi per circa cinque secoli,
cercando di creare coalizioni controbilancianti ogni qualvolta emergeva una potenza possibilmente
egemone nell’Europa continentale, hanno sempre cercato di evitare che uno Stato forte conquistasse
l’egemonia sul continente europeo, il che sarebbe stata una grande minaccia per la sua sopravvivenza.
Questa ricerca di potenza crea però un paradosso: il dilemma della sicurezza: se uno Stato acquisisce
potenza per fini di sicurezza, non per essere aggressivo, agli occhi degli altri viene percepito comunque
8
Greta G.
come una minaccia, per cui gli altri reagiscono diventando allora una minaccia, è un circolo vizioso. È uno
dei paradossi dell’azione umana.

2. Concerne il sistema delle alleanze, esse sono uno dei modi tipici per garantirsi la sicurezza quando da
soli non si riesce, ad esempio la NATO, nata in contrapposizione all’espansionismo e alla percepita
minaccia dell’Unione Sovietica.

3. La sicurezza dipende dalla potenza, la potenza è però relativa, quello che conta quando si intraprende uno
scambio non è tanto il livello dei guadagni assoluti che ciascun attore consegue, quanto i guadagni
relativi (es. Stato A guadagna 100, Stato B 60; in un normale rapporto sociale dovrebbero essere entrambi
soddisfatti, nel sistema internazionale però a B non va bene in quanto si ha uno sbilanciamento nelle
potenzialità, è un rischio, in quanto A diventa più forte), nel sistema internazionale è più conveniente non
ricevere guadagni assoluti piuttosto che far guadagnare un altro di più, è più importante la relazione tra i
guadagni.

4. Problema delle transizioni di potere (tema della crescita diseguale), gli Stati non crescono allo stesso
tempo. La Germania dell’Ottocento crebbe molto più velocemente della Francia e della Gran Bretagna, a
fine secolo era una tra le potenze più forti, diversamente da inizio 1800. In virtù del meccanismo della
crescita diseguale talvolta una potenza egemone si vede in via di essere sorpassata da una potenza in
ascesa, è il tipico esempio di una transizione di potere (es. quella tra Germania e Inghilterra a fine ‘800,
altro esempio quello di Sparta con Atene, Sparta aveva paura che tale ascesa potesse continuare fino a far
diventare Atene più forte di Sparta, questo ha fatto si che si creasse una coalizione contro Atene, portando
poi alla guerra del Peloponneso). Contrariamente al pensiero realista, a volte le transizioni avvengono
pacificamente, come quella tra Gran Bretagna e Stati Uniti, l’ipotesi liberale è che sia stata pacifica in
quanto è stata una transizione tra due democrazie.

5. Il nazionalismo è la forza dinamica motivante degli Stati, spesso questi attori, implicati e coinvolti in
questa competizione per il potere e la sicurezza, fanno leva sul senso di appartenenza delle popolazioni
che compongono gli Stati, questi approfittano di questo sentimento, basti vedere i russi o gli americani;
sentirsi parte di una comunità di destino (sentirsi appartenenti ad una stessa storia nel passato, presente e
futuro, che accomuna in quanto appartenenti ad una stessa comunità) da un lato è una fonte di
legittimazione delle politiche e delle autorità che le conducono (leader e governi) ma è anche una fonte di
conflittualità, in quanto un senso di appartenenza spiccato legittima anche una forte conflittualità, quindi
spinge gli stati anche ad azioni bellicose.

Ritornando al dilemma della sicurezza il caso della Russia con i Paesi occidentali è emblematico, gli studiosi
hanno evidenziato come quasi sempre in ogni guerra tutti gli attori coinvolti giustificassero il ricorso alla lotta
armata per ragioni difensive; anche oggi Putin sostiene la sua azione militare sulla base di necessità difensive,
in particolare ritiene che sia colpa della NATO che si è espansa troppo ad est ed è quindi necessario
difendersi.

La contro-argomentazione è che la Nato sia difensiva, per cui potrebbe agire solo in caso di attacco subito,
ma questo appare comunque ai loro occhi come una potenziale minaccia.

Ad esempio anche lo scudo spaziale è sempre stato visto dai russi come una minaccia, esso dovrebbe essere
installato in territorio europeo in prossimità della Russia, perché una tale tecnologia appare come minacciosa
ai Russi? Perché si creerebbe un’asimmetria, non ci sarebbe più l’equilibrio del potere.

Perché quella di Putin è stata una mossa azzardata? La Russia ha un’economia molto piccola, se i prezzi
dovessero avere un calo molto brusco non riuscirebbe più a finanziare l’apparato militare. Non si sa per quanto
sarà sostenibile questo tipo di sforzo.

Scuola Inglese
Questa ritiene che l’anarchia internazionale possa anche essere ammorbidita, non tutte le anarchie sono uguali
per gli esponenti della scuola inglese, riconoscono che sia rilevante ma le sue asperità possono essere
attenuate e talvolta gli stati organizzano quello che gli esponenti della scuola inglese chiamano una “Società
Internazionale”, una società degli stati, essa si basa su un sistema di regole, norme ed istituzioni che servono
sopratutto per gestire conflitti e cooperazione all’interno di questa società. Ci sono ordini internazionali che,
anche se anarchici hanno una loro stabilità e che riconoscono incolume alcune regole ed istituzioni, ad
esempio l’ONU, il FMI, il WTO, questi ultimi sono utili ad esempio per regolare i commerci, la transazioni
internazionali; esistono anche trattati anche per l’uso dei mari.

La ragione per cui emergono questi esempi di cooperazione che regolano il contesto internazionale è che
esiste un interesse comune ad avere un ambiente stabile basato su regole comuni.

Ambiti in cui si sviluppano queste regole ed istituzioni comuni:

9
Greta G.
- limitazione dell’uso della forza, ad esempio nelle guerre non possono essere utilizzati i gas chimici, tutti gli
Stati sono d’accordo nel non usarle, altro esempio sono gli accordi di non proliferazione nucleare;

- inviolabilità degli accordi internazionali, trattati che riguardano sicurezza, commercio ecc;

- sicurezza dei diritti di proprietà.

In generale la scuola inglese enfatizza l’importanza della diplomazia e del dialogo nelle relazioni internazionali,
vedono anche conflitto e guerra, ma riconoscono che anche se le guerre sono ricorrenti, è altrettanto
ricorrente nel sistema internazionale un tipo di società regolata in cui vi è la cooperazione e il riconoscimento
di regole ed istituzioni comuni.

Molti studiosi si sono soffermati sull’importanza del diritto internazionale e delle norme che regolano aspetti
quali la sovranità, il principio di autodeterminazione, quello di non discriminazione e l’uso della forza. Sovranità
ed autodeterminazione talvolta entrano in conflitto, il caso dell’Ucraina ne è una dimostrazione, perché da un
alto c’è il diritto delle popolazioni russe (come in Crimea) a determinare se stessi come popolo che ha diritto
ad indipendenza e sovranità, questo però entra in conflitto con la sovranità del’Ucraina; questo dilemma
attraversa anche altri Paesi democratici ad esempio i Catalani in Spagna o gli scozzesi in Gran Bretagna.

Anche all’interno della scuola inglese ci sono delle differenze: alcuni riconoscono più di altri il persistere di
dinamiche di potenza e rivalità, pur ammettendo che sono esistite società internazionali con regole condivise;
altri invece affermano il crescente carattere solidaristico del sistema internazionale.

Ci sono delle fasi in cui gli elementi cooperativi sono prevalenti, ma non sono stabili e duraturi, è anche utile
riconoscere che anche essendo anarchico, il sistema internazionale, non è in uno stato di guerra permanente.

Waltz dice che i sistemi sono tutti anarchici ma l’anarchia funziona in modo diverso sulla base di diverse
configurazioni del sistema, il cui elemento distintivo è la distribuzione della potenza. La sua distinzione
principale è quella tra sistemi bipolari e sistemi multipolari.

Neorealismo (K. Waltz)


Una delle asserzioni che discendono dal modello teorico di Waltz è che, contrariamente alla visione dei liberali,
l’interdipendenza economica produce spesso, più che vantaggi comuni ed incentivi alla cooperazione, una
vulnerabilità, sopratutto vulnerabilità all’interruzione degli scambi. L’idea dei liberali è che l’integrazione
economica produca incentivi alla cooperazione e quindi stabilità e pace. Waltz al contrario, sostiene che
maggiore è l’interdipendenza, maggiori sono i rischi per la pace e la stabilità, la vulnerabilità infatti suscita negli
attori insicurezza e li predispone ad essere aggressivi.

Waltz sostiene che i sistemi internazionali siano distinti in bipolari e multipolari, questi ultimi sono più soggetti
all’interdipendenza, in quanto la frammentazione del sistema internazionale porta ogni singola grande potenza
a dover dipendere dall’altra per diversi aspetti (materie prime, tecnologia ecc); ogni rischio di interruzione degli
scambi può provocare una crisi internazionale; ovviamente più si moltiplicano queste minacce potenziali, più ci
sarà il rischio di conflitto.

I sistemi internazionali meno interdipendenti per Waltz, e che quindi riducono la probabilità di crisi, sono i
sistemi internazionali bipolari, in cui due grandi potenze sono di fatto (essendo molto grandi e potenti)
autosufficienti.

Secondo Waltz il multi-polarismo porta più rischi anche quando si parla di interdipendenza militare.

(Per caratterizzare un sistema internazionale non bisogna contare tutti gli Stati, ma valutare quante grandi
potenze ci sono nel sistema).

L’approccio neorealista è importante perché si distacca in parte dal realismo classico, soprattuto perché
quest’ultimo non si preoccupava di definire i diversi modi in cui si presenta l’anarchia nel sistema
internazionale, non faceva delle distinzioni significative tra sistemi e le loro strutture; al contrario Waltz cerca di
definire le differenze, anche interne, dei diversi sistemi internazionali. La premessa è la stessa, l’anarchia, ma
secondo Waltz non sono tutti uguali i sistemi, vi sono dei sistemi che secondo lui sono più stabili, prevedibili,
meno soggetti a crisi.

Nel cercare di caratterizzare i sistemi internazionali, Waltz parte da alcune premesse generali, che distinguono
in primo luogo le differenze tra un sistema politico interno e uno internazionale, lo fa non limitandosi
semplicemente a sostenere che da una parte ci sia il governo e dall’altra no, cerca invece di analizzare più
analiticamente le differenze, apportando anche delle innovazioni in termini di chiarezza, di distinzione tra ciò
che è interno e ciò che è la politica internazionale.

10
Greta G.
Le strutture politiche
Il concetto di struttura politica vale sia per i sistemi interni che internazionali; la struttura definisce l’ordine o la
disposizione delle parti di un sistema. Le strutture politiche modellano i processi politici.

Esistono differenze tra strutture politiche interne ed internazionali, le strutture politiche interne si definiscono in
base a:

- Principi organizzativi generali, sono quelli della centralizzazione e della gerarchia, le strutture interne
prevedono organismi centrali che in ordine gerarchico sono superiori agli altri (il governo italiano ha una
posizione di supremazia rispetto a regioni e comuni), tutto lo Stato è impregnato di un principio gerarchico,
ci sono i diversi livelli fino ad arrivare ai terminali. Nessun sistema interno esula da questi principi
organizzativi.

- Principio di differenziazione delle singole parti, ossia unità differenziate svolgono funzioni specifiche, ciascun
organo/parte di una struttura svolge delle funzioni distinte e specializzate.

I sistemi politici internazionali:

- anarchia e decentramento: queste sono due differenze fondamentali, qui non esiste un sistema gerarchico,
le parti del sistema internazionale sono in relazione non gerarchica ma di coordinamento, ogni parte (Stato)
è uguale all’altra e nessuno ha il diritto di comandare o il dovere di obbedire (soprattutto tra le grandi
potenze);

- il sistema seleziona i comportamenti tramite conseguenze (analogia con il mercato, qui le relazioni tra
produttori e consumatori non sono legate ad un principio gerarchico, il sistema dei prezzi non è stabilito da
un centro, l’ordine nel mercato è stabilito dalle scelte che vengono premiate o punite, un venditore che alza
eccessivamente i prezzi viene punito, i consumatori non compreranno più), anche nel sistema internazionale
quindi le scelte premiano o puniscono. Il sistema corrisponde a questo principio, l’equilibrio di potenza è
uno di questi meccanismi regolatori, in modo automatico gli Stati che si vedono sopravanzati da qualcuno
cercano di riequilibrare il rapporto di potere (con mezzi propri o alleandosi), chi non lo fa viene punito, se
non si fa si rischia di perdere autonomia o addirittura l’esistenza;

- carattere dell’unità: questo è un altro elemento che distingue il sistema internazionale da quelli interni, gli
Stati sono gli attori più importanti del sistema internazionale, specialmente le grandi potenze, il
funzionamento del sistema per Waltz dipende sopratutto dal numero e dai comportamenti delle grandi
potenze. Altro aspetto importante è che gli Stati variano per dimensione, ricchezza, potenza, cultura ecc.
ma sono variazioni tra unità uguali, queste unità non sono differenziate, tendenzialmente gli Stati svolgono
tutti le stesse funzioni, hanno tutti un esercito, vari ministeri ecc. anche lo Stato più piccolo ha gli stessi
organismi degli Usa, la differenza sta nelle capacità non nelle funzioni;

- distribuzione delle potenzialità (o del potere): questa è una caratteristica fondamentale dei sistemi
internazionali, essi si distinguono sulla base del numero delle grandi potenze; la distribuzione delle
potenzialità è un concetto sistemico, non ci si rivolge alle caratteristiche interne di ciascun attore. Dal tipo di
distribuzione del potere dipendono le principali dinamiche del sistema internazionale, c’è un rapporto tra
struttura e processo, le dinamiche processuali dipendono da come sono le strutture del sistema
internazionale.

Dopo aver visto le differenze tra sistemi interni ed internazionali è necessario guardare le differenze tra questi
ultimi, i sistemi internazionali si possono distinguere in vari tipi:

Tutti i sistemi internazionali sono sistemi di piccolo numero, perché le grandi potenze sono sempre poche
(massimo 7/8).

La differenza tra sistemi di grandi numeri e di piccoli numeri è che nei primi le decisioni individuali non
influenzano i risultati (nel mercato è così, esso è una forza impersonale e tirannica); nei sistemi di piccoli
numeri i comportamenti e le scelte individuali influenzano le scelte degli altri (interazioni strategiche).

Mettendo a frutto le teorie dell’oligopolio Waltz sostiene che quello che è dannoso in ambito economico può
essere invece vantaggioso in ambito politico internazionale, ad esempio la facilità di fare collusione è più facile
nell’ambito di piccolissimi numeri, facile in assoluto sarà quindi nei sistemi bipolari. Waltz avvalora questa sua
tesi iniziale facendo riferimento agli effetti dell’interdipendenza economica e di quella militare, verificando
come funzionano, nel caso del bipolarismo e nel caso del multi-polarismo.

Interdipendenza economica
Spesso questa non induce a stabilità e pacificazione, anzi spesso produce una vulnerabilità, più si è
dipendenti dagli altri, più aumentano i rischi, perché l’interdipendenza ha come altra faccia quella della
vulnerabilità all’interruzione degli scambi, classica evidenza è nella dipendenza energetica, la paura
dell’interruzione degli scambi può indurre ad essere aggressivi.

Più grandi e poche sono le potenze, più sono autosufficienti, il massimo grado di autosufficienza si raggiunge
quando sono solo due.

11
Greta G.
Interdipendenza militare
Aumenta con il multipolarismo.

Ogni Stato deve adattarsi al meccanismo dell’equilibrio di potenza, tale equilibrio, però, non funziona allo
stesso modo nei sistemi multipolari e in quelli bipolari.

L’equilibrio di potenza nei sistemi multipolari non può che essere raggiunto tramite alleanze, non bastano i
propri mezzi ma serve la collaborazione con altri attori. Nei sistemi bipolari il balancing (equilibrio) avviene
prevalentemente tramite capacità proprie, viene definito “internal balancing”, contrapposto all’external
balancing dei sistemi multipolari.

È importante capire cosa può succedere con l’external balancing, secondo Waltz produce incertezza e
instabilità, legate a due fenomeni: il buck passing e il chainganging, di cui ci sono esempi concreti alla vigilia
delle due guerre mondiali.

Nei sistemi multipolari il ricorso agli alleati mette nelle condizioni di essere opportunista oppure troppo
altruista. Nei sistemi bipolari le due grandi potenze devono misurarsi tra di loro e possono percepire sia i rischi,
da chi proviene la minaccia, ma ci si deve anche assumere la responsabilità, non c’è ambiguità; dimostrazione
emblematica di questo, la minaccia proveniva dall’Unione Sovietica ed avevano chiaramente la responsabilità
di rispondere gli Usa.

Nei sistemi multipolari, da un lato bisogna valutare da chi proviene la minaccia, bisogna anche tenere a bada i
propri alleati (non si ha la sicurezza che saranno fedeli), in un’alleanza di 3/4 potenze in caso di minaccia ci si
chiede chi debba assumersi la responsabilità di rispondere, c’è un’incertezza rispetto a chi deve assumere
questa responsabilità, questo rende la risposta debole, incerta e tardiva, buck passing significa “scarica
barile”, ed è quello che è successo alla vigilia della seconda guerra mondiale: di fronte alla minaccia di Hitler, la
reazione degli altri Paesi è stata tardiva, non si capiva nemmeno l’entità della minaccia.

Il chainganging: nei sistemi multipolari la perdita dell’alleato è un rischio fondamentale, mentre nei sistemi
bipolari la perdita di un alleato per una grande potenza non determina uno squilibrio pericoloso.

Pur di non perdere un alleato lo si segue anche quando questo intraprende un conflitto rischioso, ci si fa
coinvolgere in conflitti che da locali diventano poi più estesi.

In ultima analisi il balancing interno è meglio di quello esterno per favorire la stabilità del sistema
internazionale. Il bipolarismo riduce l’incertezza (ci si riconosce reciprocamente ed i comportamenti sono più
prevedibili).

Una critica che viene fatta a Waltz è se la stabilità del sistema bipolare dopo la seconda guerra mondiale sia
legata al bipolarismo o alla deterrenza nucleare.

L’Europa avrebbe dovuto mettere in comune molte produzioni per avere una difesa ed una politica estera
comune, anche civili; il problema è che c’è un vecchio riflesso di secoli per cui la differenziazione funzionale
non è ancora così sviluppata, ciascuno vuole avere i propri campioni funzionali, strategici, tuttavia in questo
modo non ci sono economie di scala, quindi a parità di spesa globale l’industria civile e militare europea è
molto meno efficace e competitiva di quello che potrebbe essere. Il problema è che ciascun Paese era geloso
della propria autosufficienza relativa in certi ambiti; la messa in comune effettiva, il fatto che non tutti gli Stati
debbano produrre le stesse cose richiede una maggiore unificazione politica.

Il vero salto di qualità per avere una forte difesa ed una politica estera comune è quindi quello di mettere in
comune, a livello europeo, le principali risorse, cosa che richiede un salto anche dal punto di vista politico.

Paradossalmente la guerra ucraina sta aiutando da questo punto di vista.

La visione di Waltz si ferma prevalentemente sulla terza immagine, il neorealismo che lui fonda si focalizza
sulle strutture e sui vincoli, o opportunità, determinati dal sistema internazionale, sono le cosiddette pressioni
sistemiche, dato un certo sistema internazionale come reagiscono gli Stati prescinde da come sono fatti, gli
Stati seguono una certa logica, questa cosa è, in parte, vera. Nella prospettiva ortodossa del neorealismo le
caratteristiche interne degli Stati non sono le principali variabili esplicative, infatti viene usata la metafora delle
palle da biliardo che interagiscono a prescindere da come sono fatte all’interno.

Oltre a quella ortodossa ci sono altre varianti, le quali sostengono che le pressioni sistemiche contano, ma
occorre considerare anche alcune differenze che possono determinare comportamenti anche diversi, ad
esempio secondo la teoria neorealista l’equilibrio di potenza dovrebbe condurre sempre gli Stati più deboli ad
allearsi tra di loro contro quelli più forti (secondo una logica di balancing), la teoria neorealista non prevede un
meccanismo che invece a volte si verifica, il cosiddetto band wagony (salire sul carro del vincitore), può
capitare che il debole si allei con il più forte.

Waltz ha una teoria in cui sostiene che il balancing non intervenga sempre, ed il sistema delle alleanze, la
scelta degli Stati con cui associarsi, dipende da una logica che è quella dell’equilibrio delle minacce, che
12
Greta G.
contravviene in parte i canoni del realismo e del neorealismo; pertanto non conta solo la potenza degli altri per
capire come gli Stati agiscono e reagiscono, ma quanto uno Stato è minaccioso prescindendo dalla potenza. Il
quadro cambia, non si controbilancia solo in relazione a quante armi o forza economica ha un altro attore, ma
sulla base di come viene percepita la minaccia di tale attore: un attore più debole, paradossalmente, potrebbe
apparire più minaccioso di uno militarmente più forte.

Gli elementi, quindi, in base ai quali si percepisce una minaccia (secondo questa teoria) sono:

- la potenza: a parità di altre condizioni la potenza fa la differenza, questa però non è sufficiente, ci sono altri
fattori oltre a questa che si tengono in considerazione per considerare minaccioso un altro Stato;

- la tecnologia militare: gli studiosi di strategia distinguono tra armi e tecnologie prevalentemente difensive e
quelle offensive, se uno Stato si dota di arsenali prevalentemente orientati all’attacco è chiaro che apparirà
come minaccioso, viceversa uno Stato con armi più difensive lo apparirà di meno;

- la geografia: a parità di potenza ed armi è più minaccioso un Paese più vicino geograficamente, molto
importante è anche la differenza tra potenze continentali e marittime, le prime sono dotate di eserciti
prevalentemente terrestri, i quali hanno una predisposizione per invadere territorialmente altri territori, quelle
marittime sono invece prevalentemente commerciali;

- intenzioni: a parità di vicinanza e di tecnologia militare una differenza nella minaccia percepita riguarda le
intenzioni manifeste di un regime/di un leader, qui subentra ancora di più la natura interna di un regime.

Una classica distinzione è quella tra potenze conservatrici e revisioniste, la politica internazionale non può
prescindere da alcune attitudini degli Stati, alcuni studiosi sostengono che ci siano delle potenze conservatrici
(vogliono salvaguardare lo status quo) e potenze revisioniste, questo cambia sicuramente la natura del sistema
internazionale, se prevalgono le potenze revisioniste si avrà più instabilità e più guerre, al contrario se
prevalgono quelle conservatrici si avrà un assetto più stabile e pacifico basato prevalentemente sulle relazioni
diplomatiche.

Altra differenza è quella di R. Aron, il quale distingueva tra sistemi internazionali omogenei ed eterogenei (i
primi più stabili), secondo Aron ci sono sistemi internazionali in cui tutte le potenze condividono gli stessi
principi (ad esempio le dinastie reali europee nell’700/800’, ciascun regime faceva i suoi interessi senza
pretendere di cambiare l’ordine dei suoi vicini).

Ci sono invece dei sistemi internazionali in cui gli antagonisti sono di natura diversa, ad esempio comunisti e
liberali, o prima, la Francia rivoluzionaria contro l’ancien régime, Stati protestanti contro cattolici, il problema di
questi sistemi è che i conflitti diventano ideologici, si vuole imporre la propria identità sull’altro, diventa un
conflitto a somma zero, si vince o si perde, un’ideologia non si può dividere come un territorio.

Per Aron i sistemi dove il conflitto è tra modelli con valori e principi diversi sono più pericolosi.

Ancora oggi Putin con la Russia sembra vagheggiare un modello alternativo ed antagonistico rispetto a quello
occidentale, sta provando a presentarlo come uno scontro di civiltà, ha sostituito il comunismo con una
vagheggiata civiltà russa, autonoma rispetto a quella occidentale.

Se dovesse prevalere tale chiave di lettura il conflitto sarebbe di nuovo tra civiltà, tipo guerra fredda.

Anche la Cina con il suo modello vuole presentarsi come alternativo, più che comunismo, ormai anche Xi Jin
Ping si riferisce ad altri sistemi, si configura anche un’alleanza tra autocrazie ed occidentali.

Lo scontro oltre che milite diventerà anche civile solo se Putin riuscirà a radicare questa visione nel popolo, in
particolare nelle élite.

Quindi i meccanismi del sistema dipendono anche dalle caratteristiche, ad esempio la strategia di balancing
viene adottata solo nei confronti delle potenze revisioniste, quindi questi realisti sostengono che il balancing
non ci sia sempre ma a certe condizioni, ad esempio quando si hanno di fronte potenze revisioniste.

Quindi le dinamiche del sistema internazionale dipendono dalla prevalenza di configurazione delle diverse
potenze. Al contrario per Waltz contava solo la distribuzione del potere, per questi filoni del realismo contano
anche le caratteristiche degli Stati (armi, geografia, ecc).

Alcuni considerano che gli Stati siano interessati soprattutto a massimizzare la sicurezza e che una volta
conseguito l’obiettivo siano soddisfatti; ma ci sono eccezioni, ossia quando invece di massimizzare la
sicurezza massimizzano il potere, sono sopratutto quelli di recente e rapida industrializzazione (ad esempio
Germania e Giappone nella seconda metà dell’800), per loro natura tendono ad essere più aggressivi ed
offensivi. In questo caso è anche più difficile la deterrenza.

Altra condizione e che i Paesi di recente democratizzazione sono più aggressivi ed instabili rispetto a quelli di
consolidata democratizzazione, questo perché sono Paesi dalle fragili basi di legittimazione democratica, che
sostituiscono con l’appello nazionalista, il che fa si che diventino più aggressivi verso l’esterno.

13
Greta G.

Uno dei più ascoltati studiosi è Mearsheimer, secondo cui gli Stati provano sempre a massimizzare il potere e
che la posizione apparentemente solo difensiva di alcuni Stati sia dovuta solo alla stazione sistemica, che non
consente loro, o non rende necessaria, la massimizzazione. Quindi se potessero tutti gli Stati
massimizzerebbero il proprio potere.

Nella storia si sono visti entrambi i casi: i romani non si accontentavano mai, stessa cosa per Alessandro
Magno.

Anche in questo caso bisogna rilevare a quali condizioni diventano difensivi e a quali massimizzatori.

Modello di R.L. Schweller


Concerne un contributo ulteriore che mette in evidenza, a differenza di Waltz, anche le caratteristiche interne
degli Stati, ad esempio come l’equilibrio di potenza vari in base a caratteristiche intere (es: tipo di regime).

Schweller definisce una tipologia di Stati usando una metafora zoologica, distingue 4 tipi di Stati in base alle
caratteristiche predominanti:

- Lupi: sono Stati forti e revisionisti, ossia non accettano lo status quo, ma vogliono modificarlo con mezzi sia
pacifici sia (talvolta) non pacifici, un esempio nella storia è la Germania;

- Sciacalli: sono anch’essi revisionisti ma deboli (sfruttano le spoglie che rimangono dopo l’intervento dei
lupi), ad esempio l’Italia durante la seconda guerra mondiale;

- Leoni: Stati forti, ma protesi alla tutela dello status quo;

- Agnelli: sono deboli e si pongono a difesa dello status quo, cercano di sfruttare un sistema che allo stesso
tempo protegge anche lo stesso Stato.

La stabilità del sistema internazionale dipende dalla presenza relativa di questi diversi tipi.

In conclusione i sistemi internazionali anche a parità di distribuzione della potenza sono diversi, un sistema è
più stabile quando prevalgono leoni e agnelli, viceversa se prevalgono lupi e sciacalli.

I liberali si basano sopratutto sulle caratteristiche interne distinguendo tra Stati buoni e cattivi, un po’ come fa
Schweller, ma egli non individua le caratteristiche più interne che possono favorire la scelta di uno Stato di
essere lupo piuttosto che leone ecc.

I liberali sostengono che ci siano alcuni regimi che fanno si che ci sia più una vicinanza con i lupi che non con i
leoni, i liberali si soffermano soprattutto sulla forma di governo, le democrazie si avvicinano di più a leoni ed
agnelli.

Teoria dell’egemonia
Questa teoria è uno dei contributi classici del realismo, essa costituisce un filone autonomo del realismo,
questa teoria infatti contraddice alcune delle idee fondamentali di alti filoni realisti, in particolare qui si ritiene
che l'ordine sia legato all’equilibrio di potenza.

Egemonia: definisce quelle potenze che stanno tra la leadership e l’impero, quest’ultimo rappresenta anche la
fine del sistema internazionale perché presuppone il controllo di tutto (politico, territoriale); la leadership è un
concetto più debole, un leader può anche non essere uno Stato più potente degli altri ma che esercita una
guida/influenza, sulla base ad esempio di una capacità politica; ad esempio Tito era il leader dei Paesi non
allineati, di cui faceva parte anche l’India che era più potente.

L’egemonia è una via di mezzo tra leadership ed impero, c’è un potere effettivo, anche materiale, e questa
posizione da egemone (secondo i teorici dell’egemonia) è ciò che garantisce la stabilità del sistema
internazionale.

Differenza con i teorici della potenza: per quelli dell’egemonia è la concentrazione del potere che è fonte di
stabilità, per i teorici dell’equilibrio di potenza è la dispersione del potere.

Infatti l’origine del disordine è opposta per le due visioni, per i teorici dell’egemonia il disordine prende avvio
quando comincia il declino dell’egemone, il che incentiva i nuovi attori a cercare dello spazio, emergono i
revisionisti perché l’egemone fa meno paura quindi emergono gli sfidanti.

Di fatto l’egemone surroga in parte l’esistenza di un governo mondiale, diventa l’attore dominante che svolge
azioni di governo, assicura una sorta di funzione di arbitrato, una funzione di ordine, ed impone delle soluzioni
di compromesso in quanto ne ha la forza.

Per i teorici della potenza è il contrario: i rischi emergono quando da una situazione di equilibrio comincia ad
emergere uno più forte, se emerge un qualcuno come più forte iniziano i problemi, in quanto chi è più debole

14
Greta G.
ricerca la sicurezza, anche con l’uso delle armi, al contrario chi è più forte potrebbe voler consolidare la sua
forza.

Perché l’egemonia non provoca sempre contro bilanciamento? I teorici dell’egemonia spiegano la mancanza di
contro bilanciamenti effettivi sulla base del principio di legittimità, ossia sulla base del fatto che lo Stato è
ritenuto un’autorità, un potere legittimo, non esiste egemonia senza una forte base di legittimazione (è questo il
suo elemento distintivo) non è un potere puramente coercitivo, ma la base è anche sulla legittimità.

Ad esempio l’URSS aveva una legittimazione non solo sulle forze armate, era l’ideologia che portava che la
legittimava, anche verso chi non erano soggetti alla sua coercizione, vi errano Stati che volontariamente
cercavano l’influenza dell’URSS in quanto era il Paese modello della rivoluzione comunista, quindi Cuba ed
altri Paesi ne erano attratti, anche molti partiti occidentali volontariamente prendevano l’Unione Sovietica
come riferimento. La stessa cosa vale per gli Stati Uniti, campioni del modello liberal-democratico
capitalistico.

Ogni sistema politico basa la sua stabilità in parte sulla coercizione, ma anche su di un consenso che si basa
sia sulla legittimità che sull’interesse, anche i regimi più autoritari devono avere una base di legittimazione per
durare nel tempo.

L’egemonia combina elementi coercitivi e persuasivi. Pace di equilibrio e di egemonia possono convivere nello
stesso sistema internazionale, è successo ad esempio durante la guerra fredda quando vi era un equilibrio di
potenza bipolare, ma all’interno di ciascun sistema di potenza vi era un egemonia, statunitense rispetto ai
Paesi alleati occidentali, e sovietica con i suoi Paesi satelliti.

Risorse dell’egemone
Anzitutto ci sono le risorse militari, solitamente nella storia le potenze egemoni sono state anche potenze
marittime, per essere potenze su larga scala è importante esercitare un forte potere sul mare per due motivi:
permette di sfruttare a proprio vantaggio il commercio internazionale, permette inoltre di costruire delle
“coalizioni oceaniche”, a differenza del potere continentale che ha un raggio più limitato.

Vi sono poi le risorse economiche, connesse alla potenza militare (meno vero nel mondo antico, in quanto
vari tipi di paesi potevano dotarsi di armi potenti, mentre l’industria militare moderna non è più praticabile dai
paesi poveri).

Elemento molto importante è l’efficienza e la produttività, l’Inghilterra è riuscita diventare un paese dominante
proprio grazie all’aumento di produttività ed efficienza, dovuti alla rivoluzione industriale. A esempio la Spagna
era molto più ricca ed estesa, più ampia, tuttavia non era efficiente, subì infatti un lungo declino. Quindi la vera
forza non è tanto il numero di materie prime o industrie, quanto il livello di innovazione e di efficienza.

Le teorie dell’economia mondo (di tendenza un po’ marxista) sostengono che grazie alla migliore efficienza le
aree più avanzate (più centrali) dominano e sfruttano aree “periferiche” del globo.

In ultimo ci sono le risorse intellettuali, un egemonia è tale anche perché esercita un’affascinazione, ha una
capacità di farsi emulare. Sulla base di tale prestigio si acquisisce legittimità, gli ordini vengono accettati
perché questo paese ha la legittimità per farlo.

Tipi di egemonia
Le egemonie hanno proprietà comuni ma possono anche avere caratteristiche diverse, non sono tutte uguali,
alcune sono prevalentemente basate sulla coercizione (su una cooperazione ottenuta con la forza), l’impero
romano ad esempio bilanciava bene le due cose, era un sistema inclusivo, dava la cittadinanza a tutti ma era
anche molto crudele.

L’egemonia dell’impero sovietico si basava sia su un principio di legittimazione ideologico ma anche molto
sulla coercizione, vi erano molti interventi militari.

Altre egemonie sono più benevolenti, hanno un livello di legittimità forte, tale da garantirgli continuità, che si
basa su valori oltre che su aspetti materiali, o anche su aspetti materiali non coercitivi, ossia quelli legati alla
produzione di beni pubblici; subentra in questo contesto la teoria della stabilità egemonica, sostenuta da
Kindleberger e da Giplin, le loro argomentazioni sono di natura prevalentemente economica. Una caratteristica
dei beni pubblici è la non escludibilità e la loro indivisibilità, una volta prodotto non può essere escluso dal suo
consumo anche chi non contribuisce al costo della produzione. Anzitutto tra i beni pubblici c’è la sicurezza, vi
è poi la creazione il funzionamento di regimi economici internazionali che favoriscono la cooperazione, ad
esempio la banca mondiale, il fondo monetario internazionale, sono tutte organizzazioni che forniscono beni
pubblici abbassando ad esempio i costi di transazione.

Talvolta l’egemonia deriva dal fatto di essere utili, di fornire cioè dei beni di cui beneficiano anche coloro che
sono sottoposti all’egemonia.

15
Greta G.
Vi sono ordini egemonici definiti (da Ikemberry) come ordini costituzionali, alcune egemonie sono talmente
lungimiranti che si auto-limitano, si limitano volontariamente in modo da realizzare una sorta di ordine
costituzionale (es: Usa dopo la seconda guerra mondiale). Per aumentare la propria credibilità e legittimazione
l’egemone accetta di sottoporsi a dei vincoli, non pretende solo dei sottoposti, ma accetta di sottoporre se
stesso a degli ordini, quindi di farsi governare da delle leggi, condivide con i sottoposti una serie di norme;
questo garantisce una legittimazione molto più forte. Ad esempio gli Usa accettarono le regole del commercio
internazionale (potendo anche essere sanzionati in caso di violazioni).

Quindi gli ordini costituzionali creano un’infrastruttura che facilita la cooperazione.

Declino delle egemonie


È necessario anzitutto distinguere tra fattori interni ed esterni:

Fattori interni:
- Un primo elemento è quello psicologico, vi è una tendenza innata delle egemonie che una volta raggiunto il
culmine tendono a considerare la loro egemonia come un dato di fatto, ma proprio questo aspetto potrebbe
portare ad un declino (sedersi sugli allori, dare per scontata la supremazia).

- Costi crescenti per la sicurezza: tra i sacrifici che non si è più disposti a fare quando si diventa egemoni c’è
quello di prestare quasi gratuitamente il servizio militare. Ad esempio l’impero romano dovette
progressivamente ricorrere alle popolazioni barbare per rifornire il proprio esercito di soldati, nella fase finale
erano in gran parte di origine germanica. Gli Stati egemoni hanno quindi costi maggiori rispetto agli Stati
giovani dove ci sono moltissimi volontari.

- Altro elemento interno è il mix di politiche che progressivamente si vanno a determinare, la grande scelta è
di come allocare le risorse di un Paese tra investimenti e consumi, gli elettori e i cittadini privilegiano
ovviamente i consumi, sia privati sia pubblici. Più si alloca più ci si assicura rendimenti crescenti. L’unico
modo per evitare il declino è investire in ricerca ed innovazione, ricerca che sul momento non paga, porta
risultati dopo anni.

Fattori esterni:
- Overstretching: sindrome della sovra estensione, ad un certo punto se non si trovano ostacoli, si proietta la
propria influenza territoriale (e non solo) ad un punto tale che produce più svantaggi che vantaggi. Da
questo punto di vista gli Stati Uniti hanno mostrato una certa lucidità, ad esempio dopo il 2008 hanno
deciso di orientare i loro obiettivi in zone più strategiche, rinunciando ad un controllo più diretto in altre
zone.

- Free riding degli alleati, ossia sfruttare i beni pubblici dello Stato egemone senza pagarlo adeguatamente,
ciò può indebolirlo profondamente.

- Perdita dei vantaggi competitivi: l’egemone spesso investe e trasferisce il “know how” (competenze
tecnologiche e competitive) verso Paesi stranieri, questo rafforza in percentuale la forza relativa degli altri
Paesi.

- Vantaggio dei late comers: ossia il vantaggio degli ultimi arrivati, questi possono acquisire le ultime versioni
di una tecnologia senza aver sopportato i costi di investimento per inventare tali tecnologie.

All’interno della teoria dell’egemonia c’è anche una teoria del ciclo delle egemonie: le egemonie tendono ad
avere dei cicli, ad un’egemonia solitamente se ne sostituisce prima o poi un’altra, prima o poi viene sottoposta
ad una sfida da parte di un altro pretendente dell’egemonia, a quel punto si sviluppa una guerra egemonica,
ossia tra un’egemonia consolidata ed uno sfidante, dal suo esito si ha un nuovo ordine mondiale, basato sul
consolidamento della vecchia egemonia o sull’avvento di una nuova. Sono anche guerre costituenti in quando
appunto costituiscono un nuovo ordine mondiale, la prima guerra di questo tipo è stata quella tra greci e
persiani.

Spesso i cicli delle egemonie si realizzano attraverso la transizione di potenza, l’egemonia calante viene sfidata
da una in ascesa, di solito questa sfida porta alla guerra.

Tradizione liberale
È l’antagonista classico dell’approccio realista, essa pone più l’accento sulla seconda immagine, sottolinea
l’importanza della natura degli Stati, in particolare di quelli democratici.

Il punto di partenza dei liberali è che è vero che nel sistema internazionale storicamente si sono verificati
conflitti, ma è anche vero che ci sono stati esempi di cooperazione e di sviluppo di rapporti pacifici, è quindi
possibile alimentare questa situazione rispetto ai conflitti.

16
Greta G.
Si chiedono quindi perché non spingere più su questo versante piuttosto che sulla logica della guerra, i liberali
appunto puntano su questo orientamento, ossia più sui rapporti pacifici.

L’esperienza europea dimostra che è possibile creare un sistema di pace e sicurezza collettiva, ci sono però
delle condizioni.

Assunti di base dei liberali:


Visione lineare della modernizzazione: c’è una grande fiducia nell’innovazione tecnologica, sul piano giuridico
ed istituzionale. C’è un’idea di uno sviluppo storico di tendenza nelle civiltà al miglioramento, per i realisti
invece l’assunto è una ciclicità degli eventi storici (alcuni episodi sembrano dargli ragione), i liberali sono
invece più ottimisti. Effettivamente, ad esempio l’età media rispetto a qualche secolo fa è raddoppiata.

- Gli attori principali, non sono gli Stati, ma sono gli individui e i gruppi: i loro interessi ed inclinazioni possono
formare comunità ed ordinamenti politici al di sopra e al di sotto degli Stati.

Ciò spiega le differenza tra il comportamento degli Stati e gli interessi dei gruppi e degli individui, ad esempio
in occasione delle sanzioni alla Russia è emersa la differenza tra gli interessi degli individui/gruppi ed il
comportamento degli stati, ad esempio le industrie non volevano aderire alle sanzioni, al contrario dei governi
europei, gli interessi e le preoccupazioni sono diversi, ciò che è pericoloso per un governo potrebbe non
esserlo per un gruppo di cittadini. Prevale chiaramente l’interesse dello Stato, perché i gruppi possono
rinunciare al loro interesse (ad es. diminuire le proprie rendite). Se prevalessero solo gli interessi dei cittadini la
guerra forse non ci sarebbe stata perché da entrambe parti ci sono state delle perdite.

Il problema e che spesso gli Stati non agiscono solo in base degli interessi di tali soggetti, ma anche pensando
alla ragion di stato, all’allargamento ecc.

- Gli individui hanno incentivi ed impulsi al commercio, alla contrattazione e alla ricerca di cooperazione in
vista di “guadagni congiunti” (contro la teoria dei guadagni relativi) tra imprese conta per ogni attore quanto si
incrementa il guadagno assoluto non quello relativo, si dice gioco a somma cooperativa.

Quindi gli attori privati privilegiano guadagni congiunti, più prevale lo scambio tra privati a livello transnazionale
più si ricercheranno guadagni congiunti (questo incentivo degli individui avrà conseguenze nelle asserzioni
seguenti: l’impulso a questo tipo di orientamento favorisce la pace e la cooperazione internazionale)

- Modernizzazione e progresso percorso comune di tutti gli Stati verso la democrazia e la società di mercato, i
liberali sostengono che il percorso di progresso e modernizzazione ha un’unica via (one best way), cioè che lo
sbocco finale è uniforme, in particolare quello di un regime politico democratico e di una società di mercato.

- Il progresso esiste davvero, c’è una fiducia nella capacità di apprendimento degli eventi storici, la storia ci
insegna ad evitare le tragedie più grandi; effettivamente ci sono stati alcuni grandi passi, ad esempio
l’abolizione della schiavitù, la condanna dei genocidi.

Asserzioni:
Dagli assunti si possono ricavare alcune proposizioni circa il modo in cui funziona il sistema internazionale:

- Gli effetti del liberalismo commerciale: anche in questo caso c’è un contrasto rispetto ad alcuni realisti, la
società di mercato e quindi un sistema di interdipendenza economia rendono più pacifiche le relazioni inter-
statali, appunto perché se gli attori sono gruppi sociali, individui ecc. sono più propensi alla pace in quanto
con la guerra si fermerebbero gli scambi.

Per tanto nella misura in cui si afferma una razionalità di tipo economico, questo tipo di orientamento si
contrapponete al nazionalismo aggressivo e alle passioni alimentate da questo, si contrappongono interessi e
passione.

Uno dei Paesi più tolleranti è sempre stata l’Olanda, se la società è organizzata attorno gli interessi dei
mercanti, quindi proiettata sull’interesse economico, le barriere linguistiche, religiose ecc. contano meno.

Il problema è che gli Stati non sempre aderiscono agli interessi mercantili (guardano anche ad altri aspetti) ma
e anche vero che se in una società prevalgono questi soggetti di certo avranno un peso.

Nota critica: occorre specificare quantità e qualità dell’interdipendenza, ad esempio la differenza tra settori
strategici e non, o la percentuale degli scambi economici con l’estero sul PIL; ci sono settori in cui
l’interdipendenza economica non produce vulnerabilità, ad esempio l’abbigliamento, al contrario dei settori
strategici, ad esempio l’energia, non si può quindi parlare genericamente di interdipendenza ma bisogna
specificare quali beni sono legati a questa interdipendenza e anche il volume, si può essere molto
interdipendenti su beni di consumo non fondamentali, il che da meno rischi.

17
Greta G.

- Le democrazie sono pacifiche tra di loro, è uno dei punti distintivi del liberalismo, uno degli esponenti
principali è Kant, il quale individua uno dei fattori che spiega un fenomeno che ancora oggi colpisce gli
studiosi ed è difficile dare una spiegazione: le democrazie non sono pacifiche in assoluto, ma lo sono tra di
loro, non si fanno la guerra tra di loro, negli ultimi due secoli non si trovano conflitti tra vere democrazie.

Kant (per spiegare il motivo della mancanza di guerre) sosteneva una delle tre cause istituzionali: nelle
democrazie desideri e paure della maggioranza condizionano le scelte di governi, è l’unico sistema, è il popolo
che decide chi governa. Per Kant questo significa che nelle guerre sicuramente c’è una parte che ci guadagna,
ma la maggioranza ci perde, anzitutto per la riduzione del tenore di vita ma anche per le perdite di vite umane,
la maggioranza è quindi frenata dal volere una guerra.

Questo avviene anche in guerre tra democratici e non democratici, ad esempio la volontà della pubblica
opinione americana di ritirare i soldati dal Vietnam.

Sempre per quanto riguarda i motivi del pacifismo tra democrazie alcuni accentuano l’aspetto normativo, le
democrazie sono abituate a regolare i conflitti interni attraverso procedure pacifiche, c’è un’abitudine ed
un’etica, per cui nelle democrazie i conflitti si compongono pacificamente, c’è una regola accettata di
comporre con dei compromessi i conflitti. Tale inclinazione si esporta nei rapporti con le altre democrazie
perché ci si riconosce come simili, si tende ad esportare le prassi che regolano i rapporti interni anche in quelli
con gli altri Stati.

Tra democrazie ci si può fidare di più, sono più prevedibili grazie alla loro trasparenza, sono più rispettose degli
accordi, anche per la guerra ci sarebbe la necessità di fare la dichiarazione, sono sempre previsti vari
passaggi.

Questo tipo di credibilità diminuisce il dilemma della sicurezza, i rapporti sono più rassicuranti, non si
aspettano delle sorprese, possono abbassare la guardia.

Queste tre cause non sono esclusive, tutte contribuiscono a far si che si sviluppi il fenomeno della pace tra le
democrazie.

Altra asserzione è che gli Stati democratici instaurano relazioni basate su diritto ed istituzioni internazionali:

- motivazione idealistica e normativa, in quanto tendono a rispettare certe norme e principi, perché è
tendenzialmente la loro natura;

- motivazione pragmatica, essa secondo i liberali spiega la nascita di istituzioni internazionali e del diritto
internazionale, è una spiegazione funzionalistica, cioè esiste un bisogno e tale bisogno fa nascere
un’istituzione, esse servono a colmare dei bisogni, rendono più prevedibili i comportamenti ed abbassano i
costi di transazione.

Le norme e le istituzioni internazionali servono proprio a ridurre questi costi, se qualcuno viola le norme
internazionali il WTO lo sanziona, in tal modo chi è stato danneggiato viene risarcito.

Altra conseguenza è il trans-nazionalismo, quel fenomeno in base al quale si formano associazioni di


cooperazione tra gruppi sociali di diversi paesi di diverso tipo, economico, ma anche legate a missioni ad
esempio politiche (medici senza frontiere, Green peace, Amnesty), ma anche gruppi di imprese.

L’ultima conseguenza è il cosmopolitismo: seguendo gli assunti si svilupperebbe anche un’inclinazione di


cosmopolitismo, il fatto di riconoscersi come cittadini globali, una sorta di emancipazione dalle esclusive
appartenenze nazionali. Per alcuni è un problema, ritengono che sia come rinunciare alle proprie radici
nazionali, c’è un ritorno al nazionalismo. Una contestazione al globalismo è proprio di aver spinto troppo verso
il cosmopolitismo avendo dimenticato che ci sono parti di popolazioni che hanno bisogno di un ancoraggio
locale, per sentirsi rassicurati.

In realtà non sono esclusive le appartenenze, ci si può sentire appartenente ad una città, allo Stato, al mondo.

Marxismo
Il marxismo come teoria non si è sviluppato come approccio legato allo studio della politica internazionale, ma
ha avuto dei riflessi in questo ambito in quanto aveva delle implicazioni che si legavano oltre che alla politica
interna anche a quella internazionale.

Il marxismo ha avuto una rivitalizzazione perché alcuni recenti fenomeni lo hanno fatto tornare “di moda”, in
quanto alcuni problemi si sono fatti più acuti nella fase più matura e critica della recente globalizzazione.

(Ci sono delle fasi cicliche che danno ragione a liberali, poi ai realisti, ai marxisti).

In riferimento ad un fenomeno ricorrente nella storia ci sono sia gli ottimisti, sia i pessimisti, i primi sono più
ascrivibili al liberalismo, mentre i pessimisti sono più critici, questi ritengono che lo sviluppo dell’economia

18
Greta G.
capitalistica e la sua espansione nel mondo riproduca a livello internazionale le disuguaglianze ed i conflitti che
sono tipici del capitalismo all’interno di ogni sistema.

I marxisti guardano le criticità dell’economia internazionale, della globalizzazione.

La globalizzazione implica anche vulnerabilità, i marxisti guardano anche a come l’economia internazionale
provochi vincitori e vinti, i guadagni non sono simmetrici, le disuguaglianze si provocano sia tra Stati, ma
anche all’interno di essi, ci sono degli studi in cui si sostiene che si è accentuata all’interno dei Paesi sviluppati
la forbice tra ricchi e poveri, è aumentato l’indice di disuguaglianza. Molti attribuiscono questo fenomeno alla
globalizzazione economica, la quale potrebbe portare anche a costi per alcuni soggetti (Stati o individui) ed a
conflitti.

Altro aspetto del marxismo è il suo accostamento materialista, è vicino alle prospettive mono-causali che
privilegiano una sola variabile rispetto ad altre, in particolare è la produzione di beni materiali ad influenzare
tutti gli altri aspetti della vita, il modo in cui gli uomini organizzano la produzione e la riproduzione dei mezzi
che servono per sostenere la loro vita influenzano tutto il resto (mondo spirituale, organizzazioni politiche, la
forme dello stato, la cultura).

Il marxismo non è propriamente una teoria delle relazioni internazionali ma una teoria generale della società nel
cui ambito si trovano anche alcuni spunti che concernono le relazioni internazionali, mentre il realismo è un
approccio prevalentemente focalizzato sullo studio della politica internazionale.

Assunti:

- La base economica plasma la società e sovrastruttura politica: società e politica sono il riflesso di una
struttura sottostante che è alla base sia della società che dei sistemi politici, sono espressione del modo in
cui gli uomini organizzano le loro attività economiche. C’è quindi una variabile esplicativa generale,
l’economia, questa spiega tutto, questo è il pregio ma anche il limite dei marxisti, ossia affidarsi ad un
approccio mono-causalistico (tutto è spiegato da un solo fattore causale).

In particolare Marx si concentra sul modo di produzione, ossia il modo attraverso cui si producono e
riproducono le principali risorse che servono per garantirsi la vita in un sistema sociale, ad esempio c’è il modo
di produzione feudale dove i servi e i contadini lavorano a servizio di aristocratici e nobili; altro modo di
produzione è quello capitalistico industriale.

Il modo di produzione determina le relazioni di produzione, cioè gli autori che si collocano rispettivamente
all’interno di questo modo di produzione, ad esempio in quello capitalistico si sviluppano tra capitale e lavoro,
ossia tra capitalisti ed operai, si basa sulle relazioni tra questi due principali autori. Secondo i marxisti le loro
sono relazioni prevalentemente conflittuali perché gli interessi degli uni si scontrano con quelli degli altri,
prescindendo dalla benevolenza o meno degli uni e degli altri, è proprio il modo di produzione che li colloca in
una certa posizione che li costringe ad un’interazione strategica che è indipendente dalla soggettività.

- Gli attori rilevanti sono le classi sociali, sono raggruppamenti specifici legati alla posizione che ciascuna
classe ha nei rapporti di produzione.

- Lo Stato moderno è organizzato per servire gli interessi della classe capitalista o delle classi dominanti. Lo
Stato è una sovrastruttura, ciò che è nella sua forma e ciò che fa è un riflesso degli interessi fondamentali
della classe dominante; Marx nega infatti in questo senso l’autonomia della politica, ciò che lo Stato fa è un
riflesso della classe sociale dominante.

- Il conflitto di classe definirà sempre di più le relazioni tra capitale e lavoro, il conflitto è un qualcosa di
incluso nei rapporti di produzione capitalistici. Una profezia che sosteneva Marx è che tale conflitto sarà
sempre più polarizzato ed i lavoratori di tutto il mondo saranno destinati a condividere sempre più i loro
interessi prescindendo dai confini, quindi configurando alleanze transnazionali (così come tra i capitalisti). 

Il conflitto si polarizza sempre di più a causa della caduta tendenziale del saggio di profitto, ciò avrebbe
portato i capitalisti a sfruttare sempre di più intensivamente la forza lavoro per mantenere un adeguato livello
di profitti, data la caduta tendenziale del saggio di profitto, legata a fattori economici intrinseci all’economia
capitalista, occorreva sfruttare più intensivamente la classe lavoratrice, da qui un’intensificazione del
conflitto; profezia che in realtà non si è realizzata.

- La rivoluzione è la grande fonte del cambiamento politico, ad esempio la rivoluzione francese, Marx sostiene
che ogni modo di produzione sviluppa al suo interno delle contraddizioni strutturali che alla fine sfociano in
un processo rivoluzionario che tende a risolvere queste contraddizioni e a sviluppare un nuovo modello di
sintesi.

La rivoluzione francese ha segnato il passaggio definitivo all’avvento della borghesia industriale e capitalistica,
allo stesso modo per Marx la rivoluzione proletaria avrebbe portato a compimento le contraddizioni del
sistema capitalistico, perché al suo interno questo sistema ha delle potenzialità che non si possono esprimere
19
Greta G.
a pieno in virtù del suo meccanismo di funzionamento, le sue contraddizioni interne avrebbero portato ad una
successiva evoluzione portata avanti dal proletariato internazionale, cioè il conseguimento di una società
senza classi in cui la produzione è industriale, a servizio di tutti (e non al profitto di pochi).

Questo non significa che Marx condannasse totalmente il capitalismo, anzi, nel manifesto del partito
comunista fece un elogio al capitalismo, in cui sottolineava la dinamicità, l’efficienza e la forza innovatrice del
capitalismo, gli Stati di questo tipo investivano, commerciavano, si espandevano, portando le aree arretrate
del mondo nell’ambito di questo sistema, era anche una sorta di progresso.

Anche il capitalismo stesso inoltre è stata una forza rivoluzionaria rispetto al modo precedente, ruppe infatti le
catene dello sfruttamento feudalistico e portò una novità anche in termini di progresso civile.

Marx riconosce tutto questo, ritiene il capitalismo una tappa importante nel processo umano ma non definitiva.

Lo stesso capitalismo ha delle contraddizioni, ossia non riuscire a garantire per tutti lo stesso livello di
benessere, il capitalismo al suo interno ha delle forze produttive che potrebbero essere messe a servizio del
benessere di tutta la comunità, ma per il modo in cui funziona non riesce ad ottenere tale risultato, per farlo
occorre dare ai lavoratori la proprietà dei mezzi di produzione, eliminando il meccanismo del profitto
capitalistico che induce i capitalisti sfruttare i lavoratori per mantenere alto il livello di profitto.

Il primo a sviluppare la scia di Marx, in particolare in che modo il capitalismo influenzi la scia internazionale, è
Lenin, con la sua tesi sull’imperialismo connesso al capitalismo moderno, secondo Lenin il colonialismo e
l’imperialismo sono inerenti alla logica di sviluppo del capitalismo, questo perché per mantenere un adeguato
saggio di profitto i capitalisti cercano nuove terre, che possono anche essere nuovi mercati di sbocco del
commercio, da un lato con la conquista di nuovi territori i capitalisti usano nuove materie prime e lavoro a
basso costo, dall’altro trovano nuovi mercati di sbocco, quindi il capitalismo necessita di espandersi oltre il
territorio in cui è sorto per sfruttare lavoro a basso costo, materie e nuovi mercati.

Quindi da un lato si sviluppa una guerra coloniale per la conquista di territori in Paesi meno sviluppati, dall’altro
una guerra tra sistemi capitalistici per guadagnare posizioni di vantaggio nelle aree potenzialmente appetibili
del mondo.

Per i realisti la spinta alla potenza viene da ragioni politiche, sono gli Stati che vogliono acquisire potenza
economica, il ragionamento di Lenin e dei marxisti è invece il contrario, sono i capitalisti che per sfuggire alla
logica dei rendimenti decrescenti necessitano di trovare aree del mondo per ottenere profitti maggiori. Quindi
per i marxisti la molla principale è economica, per i realisti è politica.

Sulla scia di Lenin si sono sviluppate teorie neomarxiste, in particolare la teoria della dipendenza e quella
dell’economia mondo, queste teorie sostengono che il modello capitalista riproduce a livello generale/
mondiale le dinamiche che sono state proprie del capitalismo alla sua origine all’interno di ciascun Paese, cioè
la divisione tra sfruttatori e sfruttati, ma a livello più internazionale, cioè lo sviluppo delle aree centrali del
mondo (Usa, Europa, Giappone) sarebbe legato al sottosviluppo delle aree periferiche del mondo, quindi le
economie centrali approfitterebbero della loro forza per stoppare quelle periferiche.

Asserzioni:
- Gli Stati agiscono in modo da proteggere gli interessi del capitalismo e della classe capitalista. La politica
estera degli Stati è orientata alla protezione degli interessi commerciali e finanziari del capitalismo, da
questo punto di vista c’è una distinzione fatta dai marxisti che riprende la distinzione che Stoppino fece nel
manuale (di scienza politica) tra struttura e successo, c’è un’influenza (secondo i marxisti) strutturale ed una
strumentale, la prima è tale per cui anche senza una manifesta intenzione dei capitalisti di farsi tutelare nei
loro interessi fondamentali gli Stati sarebbero inclini a difendere gli interessi fondamentali finanziari,
commerciali, industriali delle classi dominanti perché è nel loro stesso interesse, gli Stati tutelano gli
interessi di lungo termine delle classi dominanti del sistema capitalistico perché ne ottengono dei benefici,
ad esempio attraverso lo sviluppo del capitalismo gli Stati aumentano la loro potenza e sono in grado di
mantenere adeguatamente il loro apparato istituzionale ed amministrativo, grazie alle risorse prodotte gli
Stati possono beneficiare di surplus ecc. per mantenere lo Stato, quindi a prescindere da una manifesta
intenzione dei capitalisti i governanti si orientano a consolidare le basi del loro sistema di potere e del loro
modo di produzione, lo fanno anche perché temono che non facendolo potrebbero perdere i benefici legati
allo sfruttamento. 

L’influenza delle classi dominanti riguarda anche aspetti più processuali, i capitalisti, oltre che beneficiare
strutturalmente della benevolenza degli Stati agiscono talvolta in modo intenzionale ed esplicito per
difendere i loro interessi, lo fanno in modo efficace perché la loro attività di lobby, di pressione, è molto più
efficace della pressione esercitata dalle altre classi, questo perché hanno la maggioranza delle risorse
(materiali e non), controllano anche le produzioni dei singoli (delle televisioni, giornali), detengono queste
risorse in modo organizzato, sono un’élite per cui è più facile agire (mentre organizzare le masse è molto più
complicato).

20
Greta G.
Quindi, sia dal punto di vista dell’influenza strutturale sia strumentale, si ha un’incidenza straordinariamente
superiore delle classi capitaliste rispetto a quelle proletarie nell’indirizzare le scelte degli Stati, anche quelle
di politica estera.

- Imprese transnazionali: secondo i marxisti esse rappresentano un aspetto sempre più importante della
politica mondiale. Negli ultimi decenni è aumentata l’internazionalizzazione delle attività di impresa. Le
imprese si sono espanse in tutto il mondo per sfruttare opportunità sia fiscali che salariali, oggi è possibile
portare diverse attività di un’impresa d’ovunque ci siano migliori opportunità, sia per le tasse che per i salari
medi. Questo elemento di transnazionalità si è accentuato in particolare a cavallo tra Novecento e anni
Duemila. Questo elemento di transnazionalismo ha, secondo i marxisti, accentuato il divario di forza
contrattuale tra capitale e lavoro, questo perché la mobilità dei capitali è molto più elevata rispetto a quella
del lavoro, è più difficile per un lavoratore spostarsi, per il capitale è invece facilissimo farlo, questo divario
determina il fatto che è più facile tassare e non considerare gli interessi del lavoro rispetto a quelli del
capitale, anzi quest’ultimo è tutelato (non si vuole che il capitale “scappi”). Questo spiega il crescente
divario tra i più ricchi e i più poveri, ossia l’indice di disuguaglianza che è cresciuto negli ultimi decenni.

Quindi le relazioni all’interno dei Paesi e tra Paesi sarebbero basate sullo sfruttamento e sarebbero
intrinsecamente inique, perché creano "winner and loser”, ossia secondo i marxisti la globalizzazione e il
transnazionalismo producono vincenti e perdenti.

Tutto ciò non ha prodotto un orientamento favorevole alle sinistre e ad un’ideale socialista, gli effetti politici
sono stati quelli del protezionismo, del neo-nazionalismo e del populismo.

Concludendo, per i marxisti le relazioni internazionali sono parte di un più profondo processo storico di
sviluppo del capitalismo (è il capitalismo che spiega sia le relazioni internazionali sia le vicende interne); la
globalizzazione e le sue conseguenze in effetti hanno fatto tornare in auge il marxismo.

Per i realisti gli Stati lottano per la potenza, per i liberali l’interdipendenza economica è vantaggiosa per tutti ed
incentiva la cooperazione, per i marxisti genera conflitto.

Costruttivismo
Il costruttivismo si distanzia molto rispetto agli altri approcci: marxisti, liberali e realisti sottolineano il ruolo del
potere degli interessi, i costruttivisti sottolineano invece il ruolo delle idee, le quali modellano le azioni degli
individui, dei gruppi e degli Stati, secondo loro sono le idee che influenzano il modo in cui gli attori definiscono
i propri interessi. La definizione dell’interesse dipende dalle idee.

Sulla base delle idee dei marxisti i lavoratori dovrebbero sempre votare in contrasto con i capitalisti, ma nella
realtà non è raro che i lavoratori votino per le destre, attualmente molte classi lavoratrici sposano le idee
sovraniste, quindi individui che appartengono alla stessa classe spesso definiscono i loro interessi in modo
diverso sillabare delle idee che hanno.

(bisogna fare attenzione a non esagerare verso l’idealismo, il problema di questi approcci è che tendono ad
essere unilaterali, in realtà ciascuno di questi prende un aspetto della realtà, bisognerebbe prendere un pezzo
di ogni approccio).

Assunti:
- Gli interessi non sono “dati”, in politica uno dei problemi è capire come si formano gli interessi e l’impatto
delle idee, queste non sono fisse. La propria percezione di sé da forma al modo in cui si percepiscono gli
interessi e si definiscono gli obiettivi politici. 

Ad esempio il modo in cui definisce i propri interessi Putin dipende dalla sua visione della missione storica
della Russia nel mondo.

- Le identità che definiscono le visioni/idee predominanti di un individuo/collettività sarebbero forgiate da


diversi fattori ideazioni: cultura, religione, scienza, valori e norme.

I costruttivisti non negano l’importanza dei fattori materiali ma ritengono che questi interagiscano comunque
con le idee e le credenza nel configurare le identità.

Es: per la Russia un fattore materiale è la sua grande estensione territoriale, questi contribuiscono a definire le
idee, ma non solo, conta anche la visione religiosa della chiesa ortodossa, le vicende storiche legate allo
zarismo ecc. tutto questo contribuisce a definire l’identità di un popolo e dei suoi leaders.

- Le élite sono gli attori più importanti, questo perché sono i portatori, ed i produttori, delle idee, le loro
identità ed idee modellano i modi in cui i gruppi e gli Stati agiscono nel sistema internazionale.

21
Greta G.
Ciascun politico ha una cultura, degli intellettuali di riferimento, filosofi, economisti, giuristi, generano idee che
a loro volta entrano nel circuito delle élite politiche che determinano le scelte fondamentali dei gruppi sociali
ma anche degli Stati.

- La comunicazione ha un ruolo significativo nella formazione e nel mutamento delle identità, le idee circolano
attraverso la comunicazione, attraverso questa si formano visioni del mondo collettive e condivise, i social
media hanno però un difetto ci si immerge in un mondo dove tutti hanno le stesse nostre idee, la
democrazia invece obbliga al confronto con chi ha idee diverse dalle nostre.

La differenza tra sistemi autocratici e pluralisti é che nei primi la comunicazione è unidirezionale (in Russia si
sente solo la voce del governo), in un sistema pluralistico le identità si modellano anche sulla base delle
interazioni tra visioni anche diverse, si contagiano vicendevolmente.

In ogni caso le idee si formano nell’ambito di processi comunicativi, come quelli che avvengono in famiglia, a
scuola, ma anche con i giornali, i congressi, sono tutti sistemi di comunicazione attraverso i quali si formano.

Asserzioni:
Nella prima asserzione si coglie la vicinanza del costruttivismo all’idealismo, ossia l’idea che sia il mondo delle
idee a costruire la realtà, in particolare quella sociale.

- Il mondo è ciò che si pensa esso sia: è guidato da criteri morali universali e anche l’anarchia è modellata dal
modo in cui le persone la pensano e la definiscono. 

Le élite possono modificare le proprie aspettative e giungere a percepirsi come amici (o come semplici rivali)
invece che come nemici. Il rapportarsi diversamente dipende anche dalla visione delle cose.

- Il ruolo della forza è limitato da norme e spesso i guadagni assoluti sono preferiti, rendendo la cooperazione
possibile. Le norme (sono il riflesso di alcune idee) possono quindi cambiare le cose.

- I diversi tipi di anarchia dipendono anche da processi di apprendimento e socializzazione (possibilità di


cooperazione e di sviluppare forme di sicurezza collettiva), ossia si può migliorare il modo in cui si convive
tra Stati, si può attraverso l’apprendimento e i processi di socializzazione, ossia con la trasmissione di
conoscenza e valori si può rendere l’anarchia un contesto in cui è possibile sviluppare cooperazione e forme
di sicurezza collettiva.

- Gli Stati operano all’interno di una società civile e globale, anarchia non significa che ci sia un’assenza di un
sub-strato sociale, esiste una società globale, fatta di attori trans nazionali che superano i confini delle
diverse nazioni e operano tra di loro (es: ONG), questo tessuto di soggetti crea quella che possiamo definire
una società globale, esiste su vari temi tra cui l’ambiente e la salvaguardia dei diritti umani.

Connesso ha questo c’è la valorizzazione del cosmopolitismo, in questo senso si associano i costruttivisti ai
liberali, se esiste una società civile globale si genera il valore del cosmopolitismo (si è, almeno in parte,
cittadini del mondo, si condividono interessi e valori). Alcuni interpretano il cosmopolitismo come negazione
delle altre identità, ma in realtà sentirsi cittadini del mondo non esclude l’appartenenza a realtà più specifiche,
le identità possono convivere e sommarsi tra di loro.

Per la creazione di una società civile globale è inoltre evidente l’importanza delle reti degli scambi
internazionali per la diffusione di idee ,norme e per la creazione di fiducia e consenso tra i Paesi; in questo
contesto la stampa è stato il primo grande strumento di globalizzazione e di connessione tra diverse aree del
mondo, in seguito radio, televisione e cinema hanno ampliato questa rete di scambi culturali.

Nel mondo contemporaneo si ha la massima espressione delle reti di scambio di idee e merci, ossia internet,
questo è anche un problema per molti sistemi, in quanto si è sviluppato con internet un grande effetto di
comparazione, ciascun popolo si confronta con gli altri; ovviamente molti sistemi autoritari ne hanno paura,
ricorrono infatti alla censura, chiudono internet in quanto strumenti pericolosi di idee diverse. Anche le
primavere arabe si dice siano state favorite dal confronto che i giovani del mondo arabo hanno potuto
effettuare tra la loro realtà ed altre aree del mondo. Anche i flussi migratori sono legati al fatto che le persone
sanno che in altre parti del mondo si vive meglio, nell’Ottocento la popolazione africana non conosceva la vita
in Europa, stessa cosa per la Cina (ma dal punto di vista politico e non economico).

- Il mutamento normativo è una modalità fondamentale tramite la quale la politica mondiale si è evoluta
attraverso le epoche storiche (anche se non sempre in meglio), negli ultimi secoli si è assistito ad
un’evoluzione normativa che ha determinato un progresso, ad esempio l’abolizione della schiavitù, la
cessazione dell’apartheid, l’ingerenza umana (rispetto al principio di inviolabilità della sovranità degli Stati, si
è introdotta una deroga speciale di diritto di intervento negli affari interni di uno Stato quando si verificano

22
Greta G.
gravi crisi umanitarie e soprattutto quando si verificano gravi violazioni della tutela dei diritti umani), questa è
una novità normativa che sicuramente tende ad inibire questo tipo di tentazioni.

- le élite e gli Stati sono influenzati da “culture strategiche” che modellano le scelte di politica estera, ossia i
Paesi possiedono una loro personalità peculiare, la quale è legata alle esperienze del passato che si
depositano e definiscono come sono i vari Paesi. Facendo ad esempio il confronto Francia-Italia, il modo in
cui percepisce l’interesse nazionale (intensità e modalità) la Francia è molto diverso da come lo intende e
persegue l’Italia, per la Francia la difesa dell’identità ed interesse nazionale è molto più trasversale.

Esempio di Gorbacev: contrariamente ai suoi predecessori considerava la guerra con l’Occidente non
inevitabile e riteneva possibile ci fosse spazio per una collaborazione. Gorbacev è però stata una parentesi,
aveva una mentalità estranea rispetto alla tradizione russa.

Per quanto riguarda la Cina il modo in cui si pone corrisponde ad una tradizione millenaria, ci sono degli
elementi ricorrenti, un approccio prudente rispetto alle crisi internazionali, la tendenza ad essere introversi.
Dato problematico della Cina è quello della mancata coesione interna.

A differenza dei realisti, bisogna si considerare certe dinamiche che sono universali (tipiche di ogni stato) ma il
modo in cui gli Stati percepiscono e declinano il loro interesse dipende anche dalla loro identità, culture
strategiche.

Femminismo
È un approccio che focalizza la sua attenzione sul ruolo del genere, in particolare della donna, nella società e
negli affari internazionali, l’intento di questo approccio è quello di smascherare i pregiudizi e di impiegare una
prospettiva di analisi solitamente inconsueta e trascurata.

Assunti:
- Si ritiene che ci sia una forte sotto-valutazione della donna nell’ambito del sistema internazionale, in altre
parole gli Stati avrebbero imposto la prevalenza del genere maschile e una struttura di dominio ed
interazioni collegata a questa prevalenza.

- Si da importanza alle ingiustizie strutturali che pervadono i sistemi politici, economici e sociali, cioè la
collocazione della donna è legata alla struttura politica, economica e sociale di gran parte dei Paesi nel
mondo, in analogia con il marxismo, per il quale il proletariato è strutturalmente sottoposto ad una funzione
di sfruttamento rispetto ai capitalisti, allo stesso modo la donna strutturalmente vive una condizione di
emarginazione rispetto ai principali processi politici, economici e sociali del sistema sia interno che
internazionale; è quindi un approccio fortemente polemico, anche deontologico, non solo interpretativo,
indica una nuova strada.

- Alcune visioni del femminismo collegano la condizione della donna al capitalismo ed al sistema
internazionale degli Stati che costruirebbero sistemi di dominio in cui le donne tendono ad occupare ruoli
inferiori.

- Le teorie tradizionali trascurano questo aspetto, persino il marxismo che batteva molto su ingiustizie e
disuguaglianze.

- La conseguenza è che i valori maschili hanno influito sui concetti sviluppato nelle società internazionali, cioè
il modo di vedere la realtà politico-internazionale dipende da una visione prevalentemente maschile, con
delle conseguenze anche importanti nel modo in cui gli stati si rapportano.

- Il femminismo prova ad offrire una visione alternativa.

Asserzioni:
- È implicato dagli assunti che la versione realista sia deformata, secondo gli approcci femministi il realismo
ha un pregiudizio per il quale la sfera pubblica sarebbe attribuibile solo agli uomini, mentre la sfera privata
sarebbe un tipico spazio femminile, questo sarebbe lo stereotipo che caratterizza la visione realista.

- Concetti quale Stato, potere, guerra e anarchia sono prevalentemente maschili, mentre se le donne fossero
al potere svilupperebbero una visione diversa, ponendo più l’accento sulla cooperazione, guadagni
reciproci, interdipendenza.

- Il discorso delle relazioni internazionali è impernato, secondo il femminismo, su un sistema intellettuale


chiuso, basato su assunti radicati sulla mascolinità del potere e della politica mondiale. In effetti le civiltà in
cui la donna è più relegata hanno una cultura più marziale (prevalentemente).

- Se le donne avessero un ruolo effettivo le decisioni relative alla pace e alla guerra sarebbero guidate da
specifiche priorità e sensibilità, con predisposizioni diverse a violenza, aggressività ed ostilità.

23
Greta G.
- Alcune femministe sono meno radicali, sottolineano semplicemente la sotto-rappresentazione delle donne
nei principali ambiti decisionali, senza presupporre una sorta di superiorità morale (le donne non
necessariamente esprimerebbero valori ed aspirazioni più nobili).

- Si sottolinea, in questo caso, una questione di giustizia ed una mancata opportunità di sfruttare
adeguatamente talenti inespressi.

Comparazione tra le tradizioni


Le cinque tradizioni possono essere comparate sulla base di diversi aspetti, anzitutto sulla base degli attori:

Realisti: per loro gli attori principali sono gli Stati i quali esprimono gli interessi nazionali.

Liberali: la politica estera riflette diversità di individui e gruppi entro la società, c’è una similitudine con il
marxismo, ossia un elemento di socio-centrismo, gli Stati rifletterebbero in realtà le forze sociali sottostanti
(analogia con Marx).

Marxisti: le dinamiche della politica mondiale sono ricondotte alla lotta di classe, qui gli attori sono quindi le
classi, con particolare rilievo delle classi dominanti. La differenza tra il socio-centrismo dei liberali e quello dei
marxisti è che per i primi gli interessi sono tendenzialmente armonici tra di loro, per i marxisti l’elemento
sociale è legato ad un conflitto dove ci sono vincitori e vinti, lo Stato è espressione dei dominanti.

Costruttivisti: gli attori principali sono le élite di governo e sociali portatori di idee che influenzano le azioni
degli Stati.

Femminismo: si concentrano sulle identità di genere (la composizione delle classi dirigenti politiche e sociali,
quante esponenti donne sono presenti) e sui pregiudizi maschili che orientano il modo di pensare alle relazioni
internazionali.

Comportamento degli attori:


Realisti: l’obiettivo degli Stati per i realisti è quello di perseguire con la potenza i propri interessi, siccome gli
interessi non sono sempre componibili perseguire questi obiettivi significa entrare in conflitto con gli altri Stati,
il conflitto è una situazione endemica nelle relazioni tra Stati.

Liberali: per loro c’è una naturale inclinazione alla cooperazione, perché gli Stati sono guidati dai gruppi sociali
e questi ultimi hanno interesse ad instaurare relazioni di commercio e di scambio con gli altri cittadini e gruppi
degli altri Stati. Questo tipo di spinta verso la cooperazione porterebbe anche gli Stati di conseguenza a
cooperare tra di loro.

Marxisti: le dinamiche principali sono legate alle disuguaglianze economiche e al conflitto di classe, dinamiche
conflittuali dentro gli Stati e conseguentemente tra gli Stati, le disuguaglianze e le loro conseguenze sono
presenti all’interno degli Stati e si riverberano anche nel rapporto tra Stati perché oltre ad uno sfruttamento
interno alle classi c’è anche uno sfruttamento tra Stati forti (centrali) e Stati deboli (periferici).

Costruttivismo: questo intravede interazioni comunicative ed una condivisione tra le élite, cioè secondo loro
(non è scontato) è possibile che le interazioni comunicative possano migliorare lo stato delle relazioni
internazionali, possano ridurre le asperità dell’anarchia e promuovere consenso su delle questioni importanti.
C’è una fiducia nella possibilità che le idee e l’apprendimento nel corso della storia possano migliorare
sensibilmente l relazioni tra gli Stati.

Femminismo: sostiene che la prevalenza relativa della componente femminile porti ad un approccio più
costruttivo e pacifico, sono i valori maschili a portare al conflitto ed a una sorta di atteggiamento marziale/
militarista.

Fonti del cambiamento:


Realisti: per loro è la guerra l’elemento costituente (in particolare le guerre per l’egemonia), la guerra genera
anche modifiche interne agli Stati, trasforma anche la politica interna degli Stati, ad esempio a seguito della
prima guerra mondiale in molti Paesi è stato introdotto il suffragio universale.

Liberali: sono gli scambi commerciali, il cambiamento dell’economia internazionale è una forza del
cambiamento (per loro in senso positivo).

Marxisti: la forza del cambiamento è la rivoluzione, la quale crea un nuovo ordine sia all’interno di ciascuno
Stato sia tra gli Stati. L’avvento di un sistema di Stati socialisti dovrebbe cambiare la natura del sistema
internazionale.

Costruttivismo: il fattore di cambiamento è l’evoluzione normativa e delle visioni del mondo, ad esempio al
giorno d’oggi una visione nuova è quella della tutela dei diritti umani. Una delle principali norme del sistema
internazionale è l’introduzione del principio di sovranità, in precedenza il sistema dei rapporti tra le entità
politiche era governato da valori universalistici legati all’impero o alla chiesa cattolica, il principio di
legittimazione non era la sovranità degli Stati ma l’essere sottoposti ad un potere universale di tipo laico o alla
chiesa di Roma, con la pace di Westfalia si affermò invece un principio nuovo, quello della sovranità e del suo
24
Greta G.
rispetto, sancito ancora oggi dalle Nazioni Unite, è anche una delle ragioni per cui ci si sente legittimati a
fornire aiuti militari all’Ucraina in quanto è stato violato tale principio del diritto internazionale.

Femminismo: la fonte di cambiamento è l’espansione della presenza delle donne nei centri direzionali.

Considerazioni finali:
Secondo gli autori del manuale nessuna tradizione teorica è esaustiva, ossia non può rispondere da sola a tutti
i quesiti posti dalle relazioni internazionali, sono tutte potenzialmente utili come strumenti esplicativi. Le
argomentazioni e le tesi di una tradizione teorica possono essere più convincenti in relazione a specifiche
circostanze o episodi della storia.

Le tradizioni sono come delle lenti, le quali dicono come e dove guardare alla politica internazionale,
influenzano il nostro sguardo filtrando in modo diverso le cose, ciascuna evidenzia diversi aspetti e tematiche,
alcune sono più adatte ad analizzare certi fenomeni piuttosto che altri.

La politica estera
Quali fattori influenzando la politica estera? (Quali sono le variabili indipendenti che spiegano la politica estera
di un Paese considerata come una variabile dipendente)

Quali fattori determinano il cambiamento della politica estera? (I fattori che possono re-indirizzarla, ad esempio
un cambiamento di alleanze)

Per rispondere occorre:

1. Definire cosa è la politica estera di un Paese;

2. Utilizzare i tre livelli di analisi (o immagini di Waltz) per chiarire le sue fonti.

Per analizzare la politica estera è possibile utilizzare due approcci:

1. Approccio endogeno: si ricorre alle fonti domestiche della politica estera per interpretarla e spiegarla, in
questo cambio si privilegiano le dinamiche interne, quindi il ruolo dei gruppi d’interesse, l’opinione
pubblica, le strutture politiche, ecc.

2. Approccio centrato sui fattori esogeni: ossia su fattori esterni, ad esempio i apporti di forza internazionali,
relazioni pacifiche o conflittuali con i paesi confinanti ecc.

È difficile che uno dei due punti di vista prevalga sugli altri, la situazione cambia a seconda del Paese
considerato, in base alle questioni e alle diverse fasi storiche.

L’analisi della politica estera è complementare allo studio delle relazioni internazionali, è un’analisi che mira ad
identificare i motivi per cui un governo di uno specifico Stato decide di agire in un determinato modo nei
confronti dei un altro governo o di attori non governativi. Questo implica la comprensione dell’ “agenda
politica” di ciascuno Stato, ossia capire quali sono le priorità, i punti principali del suo programma di politica
estera; ad esempio uno dei punti principali per la Germania era quello economico, mentre con la situazione
attuale in primo piano c’è la questione della sicurezza.

Ad esempio per alcuni Stati l’immigrazione è più un problema rispetto che per altri Paesi.

Uno dei problemi dei regimi autocratici è il rischio di un “regime change”, è uno degli aspetti che orienta la loro
politica internazionale.

Un esempio che mostra le diverse prospettive è quello del protocollo di Kyoto:

- La prospettiva delle relazioni internazionali: si concentra sulle dinamiche complessive del sistema che
portano alla sua nascita.

- La prospettiva della politica estera: si focalizza sulle decisioni di aderirvi o meno da parte di specifici paesi
(ad esempio perché gli Stati Uniti non vi aderiscono).

Per capire la dinamica degli affari internazionali (collaborazione, competizione, scontro) è necessario avere un
quadro generale che comprenda entrambi i punti di vista.

Legame tra interessi e politica estera:


Interesse: è una situazione auspicata dai governi e per cui sono disposti ad affrontare dei costi; spesso la
concretizzazione di tali interessi è parziale, è quindi necessario accettare dei compromessi tra questi interessi
ed altre esigenze.

25
Greta G.
Strategie di politica estera
Una strategia è una combinazione di obiettivi e strumenti, gli strumenti tipici attraverso cui si possono
perseguire gli obiettivi di politica estera sono vari: alcuni riguardano le capacità persuasive, altri concernono
strumenti maggiormente coercitivi.

Gli strumenti tipici della persuasione sono la diplomazia e le sue procedure.

Strumenti coercitivi: sanzioni economiche (dazi, boicottaggio, confisca asset finanziari); operazioni e
propaganda a carattere segreto (ad esempio gli hacker); operazioni implicanti l’uso di forze militari (diplomazia
coercitiva; uso diretto delle forze armate).

Fonti politica estera: prima immagine


Quali sono le variabili che influenzano gli obiettivi e gli strumenti?
Gli elementi che possono influenzare il leader sono anzitutto un qualcosa legato al carattere, il corredo
genetico, le esperienze di socializzazione (es: in che tipo di famiglia si è cresciuti), esperienze vissute ed
osservate.

Contributo della psicologia cognitiva:


Un altro aspetto legato alla dimensione individuale è l’utilizzo di scorciatoie mentali in condizioni di incertezza,
si dice che i leaders sono degli avari cognitivi ossia utilizzano scorciatoie mentali (repertori di idee) che spesso
però non sono giuste. Il ricorso alle scorciatoie è un fenomeno che va tenuto in considerazione. Se le
personalità, le loro esperienze, caratteristiche di personalità, le loro scorciatoie, sono in una certa misura
importanti, per spezzare i cicli di conflitti sono necessari nuovi leader con esperienze diverse o leader
preesistenti che adoperino differenti supposizioni cognitive.

Alcuni ritengono che per cambiare il corso di certe vicende occorra sostituire alcuni leader, ad esempio con il
passaggio da Trump a Biden è cambiato qualcosa, ad esempio il rapporto con l’Unione Europea.

Altro esempio nella storia è quello della rimozione di Mussolini (25 luglio).

Politica estera: seconda immagine


Seguendo le indicazioni di Waltz ci si sofferma sulla natura interna degli stati, quindi la politica estera di uno
stato è influenzata anche dalle istituzioni di uno stato, dai suoi processi politici interni, ma anche sociali ed
economici. Tra i processi sociali si può citare l’emergere di nuovi costumi, nuove ideologie.

Per capire tali dinamiche occorre distinguere i processi interni dello Stato ed i processi interni alla società,
occorre poi verificare le interazioni tra le dinamiche statali e quelle interne alla società, ossia la relazione tra
dinamiche sociali e politiche.

Considerando le dinamiche dentro lo Stato (intra statali) è necessario analizzare il tipo di istituzioni ed i
processi decisionali all’interno dei governi nazionali. La prima differenza istituzionale concerne le differenze tra
stati autoritari e democratici, all’interno dei primi i processi decisionali sono maggiormente centralizzati,
mentre nei sistemi democratici i sistemi decisionali sono meno centralizzati e più permeabili alle domande
della società. Un ulteriore elemento di differenziazione interno ai sistemi sia autoritari che democratici, ad
esempio quelli autoritari non sono tutti uguali, ci sono quelli incentrati su istituzioni collegiali (es: il partito
unico, giunte militari) i quali hanno un minimo di interazione al loro interno, vi sono poi quelli in cui l’elemento
della personalizzazione è molto più forte, questi sono più rigidi e cambiare linea politica è molto più difficile,
tale personalizzazione rende inoltre più difficile il feedback con opinioni e valutazioni differenti rispetto a quelle
del leader. È quindi necessario distinguere anche all’interno di queste due categorie.

In entrambi i tipi di regime vi sono diverse ramificazioni che danno luogo alla cosiddetta politica burocratica,
ad esempio negli Usa: dialettica interna al Consiglio di Sicurezza Nazionale (composto da Dipartimento di
Stato e Difesa, Difesa e Stati Maggiori, Presidente, Dipartimento Commercio e Tesoro, CIA).

Ma anche in un regime autocratico i militari e le diverse forze si consultano tra di loro.

Altra dinamica importante, sopratutto nelle democrazie, è quella tra esecutivo e legislativo, è un’ulteriore
elemento di interazione in quanto il governo deve trovare il consenso da parte del legislativo (in politica estera
spesso serve una grande maggioranza).

I leader autocratici non devono affrontare tale limitazione, tuttavia non manca una certa dialettica anche tra tali
contesti (es: il comitato permanente dell’ufficio politico del partito comunista cinese e delle lotte tra fazioni al
suo interno).

Sempre all’interno di uno Stato bisogna considerare le dialettiche interne alla società, il primo elemento
(specialmente nelle democrazie) è l’opinione pubblica, è un elemento molto importante nelle democrazie e
l’appoggio dell’opinione pubblica spesso è condizionato da determinati elementi della politica estera (in
particolare in una situazione di guerra); ad esempio (studio fatto per gli Usa) il sostegno ad un conflitto armato
dipende dalla sua durata, dal numero di vittime e dai costi economici.

26
Greta G.
Anche nelle autocrazie ci sono segnali di scontentezza da parte dell’opinione pubblica, che vengono più o
meno colti.

Altro aspetto importante è l’effetto “rally ‘round the flag”, soprattutto all’inizio di un conflitto il popolo si stringe
intorno alla nazione, è clamoroso quello degli ucraini.

Altro elemento intra societario è il ruolo dei media, i media hanno un ruolo nell’agenda settico, in particolare
attraverso il “framing” ossia la selezione e la presentazione delle notizie il che influenza chiaramente l’opinione
pubblica, soprattutto nelle democrazie dove i media sono tendenzialmente autonomi.

Sicuramente i nuovi media hanno avuto un impatto anche sui sitemi autoritari, perché è più difficile esercitare
un controllo su tali media, quindi varie notizie sfuggono sl controllo dello stato.

Ci sono infine i gruppi d’interessi (quelli pro apertura o contro influenzano l’economia).

Politica estera: la terza immagine:


I fattori, legati al sistema internazionale che influenzano sono:

1. la geografia;

2. lo sviluppo economico (incidono su capacità e modi di affrontare e concepire determinate problematiche);

3. potenza relativa (condiziona interessi, obiettivi e politiche perseguibili).

Altro aspetto sono traumi esterni (es: Pearl Harbour e la rivoluzione in Iran).

Altro argomento legato all’analisi della politica estera riguarda i cambiamenti, perché una politica estera può
seguire un certo indirizzo sino ad un certo punto e poi cambiare, tali cambiamenti sono dovuti a diversi fattori,
anche in questo caso bisogna adottare le tre prospettive analisi (immagini):

Livello individuale:
- Learning (processo di apprendimento) dei leader in seguito ad esperienze vissute in prima persona o con
esperienza indiretta, ad esempio un punto di svolta nella politica americana è legato alla negativa esperienza
della Grande Depressione del 1929; e del bilancio negativo dell’isolazionismo, una parte della leadership
statunitense si orientò (contrariamente alla tradizione) ad una politica più internazionalista, tra cui Roosevelt,
questo anche a seguito delle guerre mondiali, Roosevelt e le successive amministrazioni orientarono le loro
scelte strategiche alla luce di un nuovo internazionalismo e multilateralismo, ossia l’impegno degli Stati Uniti
a creare un ordine internazionale il più possibile capace di garantire stabilità e sicurezza, un esempio è il
Piano Marshall. In realtà periodicamente tornano le correnti isolazioniste americane, ad esempio con Trump,
con Bush (prima dell’attentato del 2001 il quale fece cambiare completamente politica).

- Turnover dei leader, che sia indotto o spontaneo, ad esempio il passaggio da Brezhnev a Gorbacev
determino un cambiamento totale per la politica estera dell’Unione Sovietica; altro esempio è il passaggio
da Mao a Deng Xiao Ping, la Cina da paese ideologicamente orientato, dettato, proprio legato ad un
modello di sviluppo arcaico, passò ad una strategia di modernizzazione dall’alto e di relazioni specifiche nel
mondo, centrato sulla visione e capacità di Xiao Ping che trasformò la Cina da Paese agricolo
sottosviluppato a grande potenza industriale, con una strategia che non guardava solo gli obiettivi ma anche
i mezzi, utilizzò un gradualismo: creando delle isole di mercato dove sperimentare un sistema di tipo
capitalistico (non pretendendo di allargarlo a tutto il Paese, ma attuandolo nelle zone più avanzate della
Cina).

Livello statale:
- Cambiamento del regime, da questo punto di vista ci sono due esempi significativi: la Repubblica tedesca da
Weimar al regime nazista la politica estera cambia radicalmente; lo stesso avviene dopo la seconda guerra
mondiale, con il passaggio da uno stato militarista alla Repubblica federale tedesca è il paese più disarmato e
pacifista del mondo Occidentale.

Lo stesso è avvenuto in Iran con il passaggio dal regime dello Scià Reza Palavi alla Repubblica Islamica, era
prima allineato con l’Occidente ma dopo la rivoluzione Komeinista del 1979 diventa uno degli antagonisti
dell’Occidente.

Molti esponenti della geopolitica aderiscono ad una visione determinista dei fattori geografici rispetto alla
politica internazionale, questo è in realtà un errore in quanto ci sono altri fattori che contano: le leadership.

Se contasse solo l’elemento geografico non ci sarebbe stato questo grande cambiamento in Iran.

Sicuramente è un elemento anche questo non trascurabile, ad esempio la rivalità con l’Arabia Saudita è
determinata da tale elemento.

27
Greta G.
- Organizzazioni non governative, giocano, a livello statale, un ruolo importante; ad esempio Amnesty
International; Medici Senza Frontiere, WWF; il loro impatto si è concretizzato in diverse iniziative anche
normative, ad esempio contro le mine antiuomo, sulle politiche ambientali, sui diritti umani; su quest’ultimo
si è affermato il diritto delle Nazioni Unite di intervenire in caso di gravi violazioni presso Stati che se ne
rendono responsabili, si tratta di un prima eccezione al principio di sovranità degli Stati (alla base del diritto
internazionale).

Livello internazionale:
- Traumi esterni, ad esempio Pearl Harbour, la rivoluzione in Iran che cambiò gli equilibri in Medio Oriente, vari
paesi hanno dovuto riadattare le loro politiche internazionali. Un altro tipo di shock esogeno è stata la
pandemia, la quale ha avuto un effetto in particolare nei rapporti tra gli Stati dell’Ue, per la prima volta ci si è
resi disponibili ad avere un debito comune per finanziare politiche sociali. Altro trauma esterno è attuale
guerra la quale ha influito nei rapporti ta Europa e Stati Uniti; addirittura la Svezia (Paese neutrale da
decenni) ha accettato l’invio di armi, o anche la Svizzera (Paese che non si espone mai) ha accettato le
sanzioni.

- Cambiamenti del potere relativo, in questo contesto esiste una legge secondo cui esiste una tendenza
ineluttabile nei rapporti tra gli Stati, quella di crescere in modo disuguale, la quale determina gerarchie
differenti di potere. Il cambiamento del potere relativo determina un cambiamento di posizionamenti e di
indirizzo politico a livello internazionale, ad esempio la Cina ha avuto un mutamento del potere relativo, il
che determina reazioni da parte Americana.

Guerra: Definizione e Cause


Anzitutto occorre definire cosa sia la guerra e distinguere i diversi tipi, uno degli errori comuni è pensare che
siano tutte uguali, sono invece molto diverse tra di loro, per portata e caratteristiche.

Sun Tzu diceva che la guerra somiglia ad un corso d’acqua, ossia la guerra assimila dal contesto, come
l’acqua dal terreno, le sue forme, le sue caratteristiche, dipende quindi dal contesto economico, sociale,
politico, istituzionale; la guerra nel medioevo era chiaramente diversa da quella del Rinascimento o negli Stati
Moderni.

Definizione:

In base al progetto di ricerca “Correlates of War” (COW) la soglia convenzionale di morti per identificare una
guerra distinguendola dalle semplici dispute militarizzate a bassa intensità è di 1000 morti all’anno.

Guerre tra Stati: tipi


Guerre generalizzate: queste vedono coinvolte molte o tutte le grandi potenze (quella attuale non lo è),
alcune tra queste anno una portata ancora più grande, sono le cosiddette guerre egemoniche, quelle guerre
che oltre ad essere generalizzate hanno anche l’effetto di modificare nel lungo periodo l’ordine internazionale,
anche dette guerre costituenti. Hanno avuto tale effetto le guerre napoleoniche, dopo la sconfitta di Napoleone
si è realizzato un ordine che è durato diversi decenni. Altra guerra egemonica è la seconda guerra mondiale.
L’esempio nel mondo antico è la sconfitta di Cartagine, che ha sancito Roma come l’unica potenza.

In alcuni casi le guerre, oltre che generalizzate o egemoniche, possono essere definite come totali, in passato
quelle generali ed egemoniche non prevedevano la mobilitazione di tutte le risorse e della popolazione. Alcune
guerre, sopratutto la seconda guerra mondiale, hanno invece visto la partecipazione totale della popolazione
(sia attivamente che passivamente), tutta la società era mobilitata nello sforzo bellico, anche la popolazione
era diventata un obiettivo, in modo da fiaccare il morale.

A partire dal 1945 non si è più verificata nessuna guerra totale, il confronto tra USA e URSS si è verificato solo
tramite “guerre per procura”.

Da ’45 ci sono state guerre limitate di una o più grandi potenze contro potenze minori (es: USA-Iraq), o anche
guerre tra piccole potenze (es: India-Pakistan; Israele-Egitto e Siria).

DIM (Dispute Interstatali Militarizzate): sono modi per risolvere controversie tra Stati tramite coercizione con
mezzi militari, si esplicano attraverso la minaccia della forza, dimostrazioni di potenza per mezzo di
spiegamento di truppe lungo i confini, uso reale della forza.

Anche la reazione eventuale presenta una gamma di opzioni: uso della forza, conquiste territoriali, dichiarazioni
di guerra, scontri militari al di sotto della soglia di una guerra di larga scala.

28
Greta G.
Guerre extrastatali: si tratta di scontri violenti, con più di 1000 morti, tra uno Stato riconosciuto dalla
comunità internazionale ed un ente all’interno di un territorio straniero che non costituisce uno Stato
riconosciuto oppure è un “attore non statale” con sede in un altro Stato (es: Al Qaeda).

Proxy war: si tratta di guerre combattute tra due Stati (non grandi potenze) con il supporto, almeno a uno di
loro di grandi potenze, ad esempio la guerra attuale, o anche la guerra del Vietnam.

Questo dimostra la valenza della deterrenza, quando la guerra tra due grandi potenze è molto rischiosa, può
provocare più danni rispetto ai benefici, non ci si confronta direttamente ma al massimo indirettamente con
una proxy war. Effettivamente le bombe nucleari sono un grandissimo deterrente.

Frequenza dei conflitti internazionali


In epoca contemporanea si è assistito ad una crescita della frequenza delle guerre interstatali: la media di 0,2
guerre all’anno tra il 1816 e il 1849; fino a quasi lo 0,7 tra il 1950 ed il 1999. Questo dato tuttavia, è calato negli
anni recenti (tra il 2000 e il 2007 ci sono state solo 2 guerre Afghanistan e Iraq).

Le dispute internazionali militarizzate mostrano un pattern (modello di andamento) non così lineare da leggere,
non sembrano indicare un trend chiaro, sembra che si sia assistito ad una minor frequenza di DIM dopo la
guerra fredda e anche un minor tasso di letalità. Queste (le DIM) sembrano essere però la caratteristica più
costante (che varia meno).

Anche le guerre extra statali sembrano aver mostrato una relativa diminuzione dopo la guerra fredda mentre
erano più frequenti durante il periodo imperialista dell’Ottocento.

Letalità delle guerre internazionali


La letalità è cresciuta drasticamente dalla prima alla seconda metà del XIX, per poi esplodere nella prima metà
del XX secolo, l’elemento decisivo è stato l’avvento delle nuove tecnologie militari. La tecnologia ha un effetto
duale: può aumentare le capacità di beneficiare di aspetti positivi (velocità delle comunicazioni, trasporti,
informazioni, comodità); d’altra parte però può rivelarsi letale se convertita in capacità distruttiva, è come
l’energia nucleare (può servire a riscaldare ed illuminare le case ma anche come arma letale).

Le guerre del XX secolo hanno causato 50 milioni di vittime civili (la seconda guerra mondiale ha causato 30
milioni).

In seguito (anche per la deterrenza nucleare) la letalità è andata diminuendo durante la guerra fredda.

All’interno delle guerre, quelle extrastatali si caratterizzano per il gran numero di vittime tra i non combattenti,
durante il periodo di decolonizzazione ci fu il più alto numero di vittime civili rispetto al periodo successivo.

Cause della guerra

Ci si può rifare anzitutto a Tucidide, il quale distinse per primo tra cause immediate della guerra e cause più
profonde.

La causa immediata è la scintilla che fa propagare l’incendio, quando però le condizioni dell’ambiente
favoriscono la propagazione; l’attentato all’arciduca Ferdinando non fu la causa profonda della prima guerra
mondiale, ma la scintilla, è necessario distinguere quindi tra la causa immediata ed i fattori strutturali che fanno
si che un episodio possa scatenare un conflitto armato.

Cause immediate della guerra


I fattori più frequentemente chiamati cause di un conflitto sono:

- Risorse economiche: (ad es: dispute su risorse energetiche, ossia petrolio e gas, o idriche come nel Medio
Oriente). Ad esempio l’attacco giapponese a Pearl Harbour può essere collegato in modo indiretto al
problema dell’approvvigionamento energetico giapponese perché gli USA potevano potenzialmente
controllare attraverso la loro flotta l’approvvigionamento di petrolio del Giappone.

- Policy: ossia i programmi politici, una delle tensioni sottostanti ad Israele ed Iran è la tensione nucleare, cioè
la volontà dell’Iran di dotarsi autonomamente di una capacità di arricchimento dell’uranio ed eventualmente
anche di costruire una bomba atomica, questa politica crea problemi ad Israele, all’Arabia Saudita e agli
Stati Uniti, i quali hanno paura che questa politica di riarmo iraniana possa minacciarli. Aerei israeliani per
questo motivo hanno attaccato più volte siti nucleari iraniani. 

Caso emblematico è quello della Nord Corea, c’è sempre il rischio di una disputa contro gli USA perché il
programma di riarmo nucleare coreano mette a repentaglio la sicurezza della Corea del Sud del Giappone e
degli Stati Uniti.

- Regimi: in alcuni casi la natura di un regime diventa un pretesto per aggredire o essere aggrediti; nella storia
moderna un esempio clamoroso di un regime attaccato (e a sua volta attaccò) a causa della sua natura è
stato la Francia rivoluzionaria, vista come un pericolo per le dinastie europee del tempo (era un cattivo
29
Greta G.
esempio), metteva a rischio il principio di legittimazione dinastico che per secoli era stato incontrastato.
Altro esempio il regime di Saddam Hussein, il pretesto in base al quale Bush Jr attaccò l’Iraq nel 2003 è
stato proprio il regime-change. Anche attualmente, il pretesto dell’attacco all’Ucraina è il regime-change,
cambiare l’asseto politico del governo ucraino (Putin dice de-nazificare). Un cambio di regime può anche
incentivare il regime rivoluzionario a voler esportare il suo modello, l’hanno fatto tutti i regimi rivoluzionari, la
Francia cercò di espandere il suo modello verso altri Paesi d’Europa con Napoleone, stessa cosa con la
Russia, anche l’Iran con Khomeini, il quale voleva esportare i regimi teocratici.

- Identità etnica: sicuramente l’Africa Sub Sahariana è l’incubatrice dei conflitti etnici, questo perché il
colonialismo ha creato unità in cui sono contenuti popoli molto diversi tra di loro, e spesso questa
convivenza è difficile da stabilizzare. Altro esempio è quello dei Balcani, con la lotta tra albanesi, musulmani,
cattolici, ortodossi.

- Conflitti territoriali.
La maggior parte dei conflitti vengono risolti tramite diplomazia, quando non basta ci sono le dispute militari.

Cause profonde della guerra


1. Livello individuale: occorre premettere che gli assunti sulla unitarietà e razionalità degli Stati non sono
condivisi da tutti gli approcci, cioè gli attori del sistema internazionale individualmente non si
muoverebbero secondo molti studiosi ed approcci sulla base di standard uguali per tutti. In realtà gli
individui che reggono le sorti di uno Stato sono ben lontani dal corrispondere ai dettami della perfetta
razionalità. Ci sono degli aspetti che allontanano gli individui dalla razionalità e li dispongono a comportarsi
in determinate maniere.

- Percezioni errate: possono essere causate da stress e bias cognitivi, la sindrome della post-verità è la
tendenza degli individui a negare l’evidenza e a vedere solo ciò che è conforme alle nostre preferenze e
pregiudizi, ad esempio i Russi vedono gli aiuti che vengono dati ai civili ucraini. Le persone accettano una
lettura delle cose coerente con la nostra ideologia, valori, preferenze. In questo senso i social sono molto
pericolosi perché ci si circonda di persone che la pensano come noi. Lo stesso accade ai leader, uno
particolarmente autocratico può essere indotto ancora di più a distorcere la sua visione e vedere solo ciò
che conferma la sua visione trascurando i dati di fatto che invece la smentiscono.

- Psicologia sociale e dei piccoli gruppi (pressione al conformismo): a volte è difficile esprimere
un’opinione in contrasto a quella del gruppo, questo può portare però a scelte non corrette, perché la voce
non conforme è quella che a volte individua più lucidamente costi e benefici di ogni scelta (ad esempio di
una guerra), è quindi un altro elemento che può portare un leader a scegliere un opzione senza tenere conto
della voce dissonante che potrebbe avere ragione.

- Personalità dei leader: uno degli aspetti tipici in questo senso è l’eccesso di ottimismo spinge alla
sopravvalutazione delle capacità. Alla psicologia dei leader spesso interviene questo meccanismo, la
sequenza di successi può indurre a pensare che il successo sia il proprio destino, è successo anche ad
Hitler. Pensiero delle femministe: sono i maschi ad avere questa propensione ad una eccessiva autostima.

2. Livello statale (istituzioni e processi interni agli Stati che influenzano l’orientamento dei leader):

- Sistema economico: ad esempio secondo la tesi di Lenin esiste una propensione strutturale nel modello di
sviluppo capitalistico che porta l’imperialismo alle guerre d’oltre mare. Viceversa i liberali sostengono che
società mercantili orientate al libero scambio produrrebbero in modo più pacifico (tesi del dolce commercio).

- Aspetti istituzionali: le democrazie contro gli Stati autocratici/militaristi, secondo tale visione i sistemi
democratici selezionerebbero i leader più propensi al compromesso/moderazione ed alla soluzione pacifica,
al contrario i sistemi autocratici o militaristi. Ad esempio Trump, Obama, e Biden sono stati tutti eletti su un
base (almeno iniziale) di politica estera moderata, avevano tutti e tre il programma di ritirarsi
progressivamente dagli impegni d’oltre mare. Le autocrazie tendono invece a selezionare leader più
avventurieri nella politica internazionale, questo perché la legittimazione di un’autocrazia è il nazionalismo.

Alcune cautele su “pace democratica”, i più frequenti sono i conflitti con i non democratici, altro aspetto da
valutare criticamente è che non è ancora chiaro quale sia il fattore dominante. Infine c’è il rischio che anche
nelle democrazie lo stato profondo (deep state), ossia servizi segreti, apparati militari, ecc. possano influenzare
anche attraverso informazioni non attendibili le scelte dei governi, attraverso iniziative proprie o attraverso
diffusione di fake news, quindi anche le democrazie possono essere soggette a meccanismi opachi da parte
dello stato profondo.

3. Livello di analisi internazionale: l’anarchia internazionale non è una causa attiva della guerra, poiché
empiricamente se così fosse dovremmo assistere ad una guerra dietro l’altra e invece molti contrasti vengono
risolti pacificamente. L’anarchia internazionale può liberare fattori che spingono gli Stati a dichiararsi guerra:

30
Greta G.
- Problema delle informazioni private: tendenza degli Stati a ingigantire la propria determinazione e
capacità durante una crisi diplomatica poiché manca un’autorità internazionale capace di costringerli a
rilevare le loro vere intenzioni e capacità. Questa politica del bluff può rendere più difficile il raggiungimento
di un compromesso e può facilmente spingere verso la guerra. E’ una situazione tipica dei contesti
anarchici. (es. Kim e Trump era veramente una politica del bluff? Oppure erano veramente intenzionati a
darsi battaglia?). Uno dei rischi della politica del bluff è quello di sottovalutare l’avversario e il suo bluff.

- Problema del commitment (impegno): paura di uno Stato che qualsiasi accordo raggiunto con un
avversario per evitare una guerra possa essere violato in futuro quando l’avversario sarà più letale. Tale
problema è dovuto all’assenza di un’autorità capace di far rispettare i trattati.

Dilemma del prigioniero: per ovviare al problema sopra citato posso attaccare per primo per difendermi
perché non mi fido, anche l’altro Stato farà così. Risultato? Entrambi ci attacchiamo per sfiducia nell’altro e
otteniamo un risultato peggiore di quello che avremmo ottenuto se entrambi non avessimo attaccato.
Tuttavia se uno non avesse attaccato e l’altro si, avrebbe ottenuto un risultato peggiore, questo induce
entrambi gli Stati ad attaccare e a garantire una situazione peggiore per entrambi rispetto a quella iniziale.

Guerre Interne
Definizione: sono quelle guerre in cui i gruppi politici organizzati (tra cui nella maggior parte dei casi il governo
nazionale), sono coinvolti in operazioni militari prolungate l’uno contro l’altro. Alcuni esempi di guerre interne
sono: Ruanda, Guerra Civile Spagnola, Libano.

Un primo tipo di guerra interna è quella civile (è la forma prevalente), si tratta di uno scontro prolungato tra
forze del governo nazionale e quelle di un’opposizione organizzata all’interno del Paese.

Ad esempio in Colombia le farcas rappresentavano un gruppo di opposizione armato al governo centrale.

Rappresentano il 92% delle guerre civili.

Obiettivi di un gruppo di opposizione:


a) Cercare di rovesciare il regime o prenderne il controllo, ad esempio la rivoluzione iraniana era sostenuta da
diversi gruppi con diverso orientamento ideologico che si opponevano allo scià e lo rovesciarono (non si è
prolungata quindi non è stata una guerra civile).

b) Portare alla secessione una parte del Paese (es. Sudan meridionale).

c) Potrebbero pretendere una maggiore inclusione, ossia di vedersi riconosciuti come membri a pieno titolo, a
volte ci sono dei settori della società esclusi dalla membership di un regime.

Guerre intracomunitarie: combattute tra coloro che appartengono a diverse comunità, su base religiosa,
linguistica, etnica, ecc. in questo caso non c’è un governo e un gruppo di ribelli ma è una frammentazione
della società tra diversi gruppi che si combattono tra loro (es. Ruanda e Libano).

Si possono distinguere questi conflitti generali in gruppi eterogenei od omogenei, ad esempio la guerra civile
americana e quella spagnola erano caratterizzate da gruppi omogenei, era un conflitto ideologico; altre volte
può essere di tipo identitario (etnico, religioso, ecc.), ad esempio in Libia.

Anche il conflitto tra periferia e centro può essere diverso: esistono periferie deboli e periferie forti
(economicamente), o periferie omogenee dal punto di vista etnico o eterogenee, ad esempio i Paesi Baschi
rappresentano una periferia forte economicamente e dal punto di vista etnico sono eterogenee rispetto al
centro.

A seconda delle varie caratteristiche il conflitto può assumere dinamiche diverse, ad esempio una periferia
debole economicamente più che alla secessione potrà mirare all’inclusione, non ha la capacità di sostenersi
come autonoma; possono farlo quelle forti ed eterogenee ad esempio la Catalogna, prevalgono quindi
incentivi e strategie diverse.

Un altro tipo di guerra è quello tra forze militari di un ente governativo al di sotto del livello nazionale ed entità
non governative (es: scontro tra guardie rosse e forze militari regionali in Cina).

Guerre interne pace e sicurezza

Spesso le guerre interne hanno importanti ripercussioni a livello internazionale, anzitutto possono causare un
contagio, ad esempio favorendo l’insediamento di gruppi ribelli in Paesi confinanti, come è successo in
Pakistan con i talebani.

31
Greta G.
I Paesi coinvolti in guerre civili possono diventare più aggressivi, dopo la fine di una guerra civile, le forze
vincitrici hanno spesso una percezione di insicurezza e precarietà, cercano allora di risolvere i loro problemi di
legittimazione anche attraverso un’aggressività verso l’esterno (quindi esportando l’instabilità verso l’esterno).

C’è anche un’aggressività da parte esterna verso il Paese che ha avuto la guerra civile, perché diventa un
boccone facile.

La minaccia alla sicurezza e alla pace infine può avvenire anche dal fatto che le guerre civili provocano crisi
umanitarie che possono portare ad un intervento interno come è successo nei Balcani o attualmente in
Ucraina, spesso le guerre civili alimentano il flusso dei migranti (Siria).

Andamenti:
• nell’800 e nella prima metà del ‘900 la frequenza di queste guerre è stata costante;

• un incremento si è verificato a partire dal processo di decolonizzazione (1950-1999);

• una diminuzione tra il 2000 e il 2007;

• in ogni caso vi è stato un aumento dal ’46, dopo la guerra, al 2007;

• ad oggi la gran parte delle guerre vigenti (eccezione Ucraina) sono guerre civili o intra-statali.

Letalità:
In tempi recenti sembra essere diminuita, le guerre interne comunque fanno più vittime tra i non combattenti.
La causa principale è l’uccisione intenzionale da una o più fazioni per ragioni strategiche (es: Cambogia,
Ruanda).

Quale ragione spinge all’uccisione dei civili?


- un dato caratteristico delle guerre civili è l’insicurezza circa i confini del proprio gruppo, è difficile distinguere
un nemico da un amico;

- è la sindrome del sospetto, siamo sicuri che non cambieranno campo? Uno dei modi per assicurarsi la
fedeltà è quello di scavare un solco tra noi e gli altri, si fa esercitando violenza anche brutale, commettendo
crimini efferati, una volta che sei compartecipe è difficile uscirne, sei un complice. Il problema del creare un
solco è che potrà essere assolto solo in caso di vittoria, se si perde si potrebbe essere incriminato;

- paura del tradimento, fare terra bruciata nei confronti dei possibili traditori, bisogna capire quali sono gli
schieramenti;

- eliminare i neutrali, costringerli a schierarsi, c’è un odio per gli indifferenti o i non schierati apertamente, man
mano che il conflitto va avanti si ampliano le file di chi combatte, spesso la violenza diventa un attrattore, si
è costretti a scegliere un campo.

Considerando queste dinamiche la violenza non appare più come casuale ma corrisponde ad un disegno,
spesso è quello di evitare il problema dell’insicurezza nei confini del proprio gruppo, occorre chiarire bene chi
sta con chi. Attualmente gli ucraini avranno molto paura dei filo russi.

Internazionalizzazione delle guerre civili


Molto frequentemente le guerre civili provocano un intervento da parte di forze esterne che appoggiano una o
più fazioni, clamoroso il caso della Libia con Turchia e Russia, altro esempio la Siria sempre con l’intervento
della Russia, o ancora la guerra civile spagnola.

La frequenza dell’internazionalizzazione è stata più alta nella seconda metà del ‘900, in particolare durante la
guerra fredda, le due superpotenze non si fronteggiavano direttamente ma in questo modo.

Si confrontarono indirettamente vari scenari, in Africa, in Asia, sostenevano le diverse fazioni in lotta. Non
avviene in tutte le guerre, non è un fenomeno nuovo.

Le cause
Quali sono i fattori da cui può prendere avvio una guerra civile?
Si guardano i tre livelli di analisi:

A livello individuale si è individuata anzitutto l’avidità, è un elemento che spesso scatena le guerre
destrutturate, dei signori della guerra che sono spesso mossi dal desiderio di accaparrarsi diamanti, risorse
naturali ecc.

Ruolo importante lo hanno le risorse saccheggiabili, le quali sono facilmente acquisibili, trasportabili e
vendibili, esempio i diamanti. Se un Paese ne è pieno si sviluppa spesso la corsa all’accaparramento (petrolio,
diamanti, droghe) è un fattore che può innescare le guerre civili.

Altro fattore è il risentimento, basato sulla convinzione di essere esclusi, quando tale meccanismo si basa su
diseguaglianze orizzontali l’elemento scatenante è ancora più forte, bisogna distinguere tra disuguaglianze
orizzontali e verticali. Quelle verticali sono quelle che non si basano su un criterio ascrittivo, ad esempio le
disuguaglianze che possono riguardare gli italiani, c’è chi è ricco, chi è povero ecc. ma la categoria dei poveri
non è basata su un criterio religioso o razziale, sono legati ad aspetti non ascrittivi, ma su opportunità sfortuna
32
Greta G.
ecc. le disuguaglianze orizzontali sono invece causate dal fatto di appartenere ad un gruppo (nero o bianco,
musulmano o cristiano, turco o curdo), sono disuguaglianze legate all’identità, discriminano su base di
appartenenza ad un gruppo e possono portare ad una guerra civile. Per arrivare alla guerra serve però
l’elemento ideologico che giustifichi il ricorso alla violenza, un’ideologia che non solo constati la violenza e la
denunci ma che giustifichi moralmente l’abolizione dell’ingiustizia anche grazie alla violenza.

A livello statale ci sono due fattori per capire quali sono gli Stati più inclini a favorire una guerra civile:

- la prima caratteristica è il suo grado di inclusione in che misura garantisce l’inclusione a tutti o meno, se il
grado è basso ci sono più possibilità che il gruppo discriminato si attivi e possa portare ad una lotta armata.
I sistemi inclusivi sono quelli che meno favoriscono queste guerre.

- Capacità statali: le capacità del governo di resistere un’insorgenza armata influisce sulle possibilità che un
Paese faccia esperienza in una guerra civile (es: teoria Skocpol delle rivoluzioni e contributo di Fearon Latin).

Sistema internazionale (terzo livello):

- guerre interstatali il caos che possono indurre nei sistemi politici interni sono un fattore, uno dei lasciti delle
guerre interstatali, dei conflitti mondiali, sono le guerre civili, ad esempio in Grecia dopo la guerra mondiale.

Altro elemento è il colonialismo, spesso traccia dei confini non sulla base di un’omogeneità etnica, hanno
creato dei confini con all’interno gruppi fortemente eterogenei.

Altro elemento negativo del colonialismo è che le potenze coloniali non sono molto propense a creare
istituzioni forti ma a sfruttare le risorse, lasciando quindi in eredità istituzioni deboli e corrotte.

La fine della guerra fredda ha alimentato begli anni successivi la crescita delle guerre civili, perché la guerra
fredda era un elemento di stabilità, la sua fine ha scongelato conflitti latenti tenuti a bada dall’egemonia degli
Stati Uniti ma sopratutto dell’URSS.

Anche nel sistema anarchico internazionale è possibile evitare la guerra con accorgimenti ti di diverso tipo.

Distribuzione del potere


La prima soluzione, quasi non voluta che si verifica anche in modo non intenzionale riguarda la distribuzione
del potere, possono anche essere equilibri spontanei. Talvolta si verifica l’eventualità che l’equilibrio di
potenza, una sostanziale uguaglianza nella distribuzione del potere tra i principali stati, porti ad un assetto
sostanzialmente stabile e pacifico, in molti casi fare la guerra se c’è un equilibrio non è conveniente perché ci
si consumerebbe a vicenda.

Waltz aveva spiegato la differenza tra equilibrio multipolare e bipolare, il secondo è più stabile.

Altro tipo di distribuzione della potenza che può per alcuni indurre a stabilità e pacificazione è l’egemonia, il
dominio di uno stato sugli altri sarebbe per alcuni studiosi la condizione per la pace (es: l’egemonia romana), si
chiama teoria della stabilità egemonica.

Strategie degli Stati per la pace


Diplomazia: è uno degli strumenti più antichi e radicati, prevede quelle azioni intraprese dai governi quanto i
rappresentanti negoziano con i rappresentanti di altri governi per risolvere le dispute sancire accordi bilaterali
per ottenere vantaggi e guadagni individuali.

La diplomazia è associata a scopi molteplici (per es: ottenere informazioni, funzioni di rappresentanza), ma il
principale è la ricerca della pace ed accordi.

La diplomazia risale alla nascita degli stati moderni (inizio XVI sec.) con lo sviluppo dei rappresentanti
permanenti tra le città stato dell’Italia del Nord: vennero create ambasciate e personale diplomatico e
gradualmente emersero regole, protocolli, tradizioni diplomatiche utili agli stati per comunicare le loro
intenzioni e scambiare informazioni.

Il sistema diplomatico moderno è basato su norme relative alla sovranità statale, secondo le quali gli stati si
riconoscono e rispettano reciprocamente come entità politiche indipendenti ed autonomamente governate
(scuola inglese sottolinea questo aspetto).

In effetti il principio della sovranità è importante perché ci si riconosce come autonomi ed indipendenti, non è
scontato, è sorto in Europa, è stato sancito nel sistema di Westfalia (metà del 1600), un ordine creato dagli
stati per gli stati, al posto dei principi legati all’universalismo della chiesa cattolica con il Papa e
all’universalismo del Sacro Romano Impero.

Westfalia riconosce la titolarità degli stati di essere: autonomi, indipendenti e sovrani, sganciandosi da autorità
sovraordinate come la chiesa.

33
Greta G.
Il sistema della diplomazia si è evoluto con il tempo, ci sono volute delle norme diplomatiche: le delegazioni
sono sempre state più ampie e formalizzate; un tempo i rappresentanti degli stati si chiamavano “ministri”, ora
“ambasciatori”; ci sono staff sempre più ampi in modo da stabilire contatti in campi quali il business, gli affari
militari, energia, ambiente, diritti umani.

Il ruolo della diplomazia non istituzionalizzata (informale): ci sono amori che non sono formalmente diplomatici
ma che esercitano attività diplomatiche, ad esempio consulenti, privati cittadini, squadre sportive (es:
diplomazia del Ping Pong), orchestre, associazioni religione (Sant’Egidio).

Spesso si contrappone diplomazia e guerra, spesso irrealtà la diplomazia può essere uno strumento
complementare alla guerra: ad esempio dopo la guerra essa è necessaria per ratificarne i risultati e ricostruire
la pace, l’andamento del negoziato diplomatico spesso è il riflesso dell’andamento del conflitto, nei negoziati
le posizioni di ciascuno dipendono anche dal tipo di situazione che sia verifica nel campo, e spesso la guerra
si prolunga in relazione al fatto di avere una posizione già o meno vantaggiosa nei negoziati.

Altro elemento è quello dell’essere armati, avere deterrenza spesso aiuta la diplomazia, a non far scoppiare la
guerra (senza questo elemento la diplomazia avrebbe peso?), paradossalmente una delle condizioni della
diplomazia è di essere in grado di realizzare ritorsioni militari o economiche.

Un esempio di cattiva diplomazia è la Pace di Versailles, alla fine di questa guerra bisogna considerare la
dignità della Russia, non si può umiliarla come successe alla Germania dopo la prima guerra mondiale.

Bilanciamento: una differenza è quella tra bilanciamento esterno (tramite alleanze) e bilanciamento interno
(tramite mezzi propri). Molti ritengono che il bilanciamento sia utile perché in un sistema internazionale in cui il
potere è bilanciato gli Stati avrebbero gli incentivi ad agire con cautela e moderazione, in questo caso il
bilanciamento è una strategia voluta, è la volontà di costruire un ordine disegnato a tavolino capace di
garantire stabilità.

Il bilanciamento si contrappone al “bandwagoning” ossia quando i piccoli si aggregano ad un grande per


ricevere protezione.

A volte gli stati seguono contemporaneamente le due strategie, ad esempio gli alleati degli Stati Uniti dopo la
seconda guerra mondiale hanno esercitato un bandwagoning verso gli Usa e poi hanno contribuito ad un
equilibrio di potenza, basato sul balancing, verso l’URSS.

Diritto internazionale ed istituzioni


Le origini del diritto internazionale risalgono al XVII secolo con Ugo Grozio, consiste in un corpo di regole
norme e strumenti che gli Stati hanno forgiato nel tempo e che conferisce a questi stati, e ad altri attori, diritti
ed obblighi in merito alle loro reciproche interazioni. Il diritto internazionale è molto spesso meno formalizzato
e vincolante di quello interno, anche perché spesso manca un attore che garantisca l’enforcement, a livello
interno c’è la polizia e i tribunali, a livello interno esistono altri espedienti.

Il diritto internazionale è articolato in un ampia schiera di trattati formali e pratiche consuetudinarie, sono prassi
che vengono rispettate per consuetudine.

Esso cerca di creare una struttura all’interno della quale si aspettano reciprocamente di agire, cioè il diritto
internazionale cerca di rendere prevedibili e stabili i comportamenti reciproci.

Nel mondo attuale il diritto internazionale copre un’area vasta di azioni statali: regole riguardanti le guerre, i
diritti umani, il commercio e la finanza internazionali. Questo diritto rende stabile l’ambiente entro cui operare
(non realizza questa stabilità quanto quello interno).

Il diritto internazionale è più limitato rispetto a quello interno, il meccanismo di governo e regolazione è più
limitato.

Dopo la guerra fredda i governi hanno riconosciuto anche gli individui (oltre agli stati) quali soggetti del diritto
internazionale (es: contro i crimini di guerra): istituzione della Corte Penale Internazionale, fondata nel 2002.

Sebbene manchi un’autorità internazionale al di sopra degli stati non mancano strumenti applicativi: ad
esempio gruppi di stati possono imporre sanzioni a chi viola il diritto internazionale (come gli Stati che
aderiscono alla CPI e ne riconoscono l’autorità). In ogni caso sono gli Stati ad avere l’ultima parola.

Fonti del diritto internazionale


Diritto internazionale consuetudinario: accumulazione per prassi di norme e principi quali sovranità,
riconoscimento, libertà dei mari, responsabilità internazionali.

Trattati (più specifici): accordi scritti stipulati dagli stati che esplicitano impegni ed aspettative in specifiche
aree di condotta (immunità territoriale e diplomatica, protezione dei cittadini all’estero, libertà di navigazione e
commercio, estradizione ed asilo).

Il diritto internazionale nonostante l’anarchia viene rispettato in particolare per tre ragioni:

34
Greta G.
1. Rafforza l’autorità e la sovranità degli stati, il diritto li riconosce come soggetti titolari di certi diritti.

2. Garanzia di un ambiente minimamente regolato entro cui poter seguire gli interessi nazionali (si rinuncia ad
una parte di libertà in cambio di prevedibilità). La rinuncia a questa libertà assicura un guadagno maggiore
in termini di prevedibilità, quello che si perde in autonomia lo si prende in prevedibilità.

3. Conferisce al potere delle grandi potenze legittimità (l’auto-limitazione rende più accettabile l’esercizio del
potere).

Un altro strumento è la creazione di istituzioni internazionali, molte di queste riguardano il tema della pace
solo tangenzialmente perché si occupano di economia, questioni ambientali. Con la cooperazione economica
indirettamente si favorisce anche la pace. Esistono poi anche le istituzioni preposte più specificatamente a
cercare di garantire un assetto di sicurezza, i regimi di sicurezza collettiva sono quei sistemi in cui gli stati
concordano di venire in aiuti due ogni membro che venga attaccato da un qualsiasi aggressore, che questo
faccia o meno parte dell’accordo (principio del tutti per uno o dell’unione fa la forza). L’Onu nell’attuale guerra
non ha potuto agire in quanto serve l’unanimità ma la Russia è proprio uno dei membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza. Nella NATO la difesa è invece solo per i membri.

Il tentativo più generale di istituire un sistema di sicurezza fu la società delle nazioni, fondata e ispirata da
Wilson, presidente degli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale, democratico.

Assunti della Società delle Nazioni:


- organizzazione globale;

- Stati più forti senza diritto di veto;

- Stati dovevano essere sufficientemente interdipendenti;

- convinzione che gli stati avrebbero garantito soccorso.

Cause del fallimento della Società delle Nazioni:


- gli Stati Uniti non ne fecero parte;

- scarsa efficacia delle sanzioni (es. Giappone e Italia);

- troppa uguaglianza.

Le Nazioni Unite hanno fatto tesoro di questi errori, sono sei organi generali ma i più importanti sono due:
l’Assemblea Generale il Consiglio di Sicurezza. A differenza della società delle nazioni queste riconoscono la
realtà della politica di potenza, c’è infatti il poterei veto delle grandi potenze all’interno del Consiglio.

C’è un ruolo crescente dell’ONU sul “peace keeping” (sempre meno sul “peace making”), sono sempre di più i
paesi in via di sviluppo ad intervenire, non più solo prevalentemente gli europei. Molte missioni di peace
keeping hanno avuto successo. Si è constatato che più è presente la componente più femminile più hanno
successo.

C’è una sorta di divisione dei ruoli tra Assemblea e Consiglio, si dice che la prima sia la voce dei Paesi in via di
sviluppo, è la tribuna dove si esprimono le doleanze, è importante perché il Consiglio di Sicurezza può avere
una voce dei Paesi più svantaggiati.

L’ONU, a differenza della Società delle Nazioni ha agito come polizia internazionale, non tanto per arrivare alla
pace perché molto difficile, ma per mantenerla (peace keeping) che è più semplice.

Nel passato si pensava fosse più facile fare peace making.

Pace negativa significa semplicemente interruzione della guerra, pace positiva significa, oltre che cessare la
guerra, costruire un ordine con istituzioni società civile ecc.

Altro meccanismo per un mondo pacifico sono i meccanismi trans-nazionali attivati da individui o attori non
governativi anche imprese. Un primo tipo di interdipendenza spontanea che può favorire la pace è quella
economica, l’idea che il libero scambio produca pace attraverso la cooperazione economica. I riscontri
empirici in questo senso non sono univoci, bisogna capire quindi a quali condizioni, quali variabili fanno si che
l’interdipendenza economica produce la pace.

L’Unione Europea si basa su questo principio, ossia che l’integrazione politiche dell’Ue sia un effetto della
crescente interdipendenza economica, l’ideologia di base all’Ue è questa. (il prof contesta questa visione, dice
che l’interdipendenza p un aiuto ma non può sostituire la politica).

Comunità internazionale di stati democratici, dopo la 2’ guerra mondiale gli Usa erano determinati ad ancorare
l’ordine internazionale ad una alleanza tra democrazie (es: NATO).

C’è un quesito sulla Cina, se rimarrà autocratica o si avvicinerà ad una potenza democratica.

35
Greta G.
Infine ci sono i movimenti per la pace, animati da soggetti collettivi che hanno questo scopo primario, sono
iniziative dal basso da parte dei cittadini che spingono il governo alla pace dopo esperienze distruttive di
guerra. In questo caso esercitano una pressione anche a seguito di ingiustizia sociale e sofferenza umana,
esempio nel 1908 (National Peace Council), 1945 (contro le armi nucleari), anni ’60 (Vietnam), anni ’80
(escalation Usa/URSS), 2003 (guerra in Iraq).

Armi di distruzione di massa


Le armi nucleari
L’inizio dell’era nucleare si ha con il Test Trinity del luglio 1945, si trattava di un’arma che rilasciava energia
tramite fissione, primo ed unico utilizzo durante una guerra è stato quello di Hiroshima e Nagasaki,

Nel 1952 fu poi inventata una bomba ancora più forte, termonucleare, la quale rilascia energia tramite fusione.
Gli Stati Uniti detennero il monopolio del nucleare fino alla fine degli anni ’40, quando l’Unione Sovietica fece il
suo primo esperimento atomico.

Oggi l’arsenale più avanzato è nelle mani degli Stati Uniti, essi detengono una serie di armi nucleari compatte
e miniaturizzate che possono essere lanciate da vettori terrestri, marini e aerei (bombardieri, missili balistici
intercontinentali, missili lanciati da sottomarini, missili da crociera che viaggiano a bassa altitudine), gli esperti
dicono che dal punto di vista della precisione ecc. sono i migliori.

Effetti delle armi nucleari: l’onda d’urto oggi sarebbe maggiore rispetto al ’45, ci sarebbe poi l’irradiamento
termico, un’onda di calore che brucia tutto. L’effetto di lungo termine sarebbero le radiazioni, con le molte
malattie che inducono.

Dal 1945 non sono state più usate, ma il club nucleare è aumentato e comprende 9 membri: Usa, Russia, Gran
Bretagna, Russia, Francia, Cina, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord.

Non è facile individuare e monitorare quanti sono davvero i vettori nucleari in un Paese, è facile nascondere
questo tipi di ami.

Implicazioni delle armi nucleari


Esse rappresentano uno spartiacque, prima lo scopo dell’innovazione multare era quello di creare armi più
efficaci per sconfiggere il nemico, dopo le armi nucleari lo scopo non è più vincere, ma evitare la guerra (una
guerra nucleare non la vince nessuno).

Paradosso: è una potenza così devastante che non possono essere usate per alcun motivo (tabù nucleare
che smentisce regole di V. Clausewitz: difficile ipotizzare un obiettivo politico che giustifichi tale potenza
distruttiva).

L’uso delle armi nucleari è quindi la deterrenza (scoraggiare la guerra o altri comportamenti inaccettabili).

Uno dei paradossi è che il programma nucleare può essere visto come difensivo da chi lo promuove ad
esempio l’Iran, ma aggressivo e minaccioso per i leader degli altri Paesi (particolare versione del “dilemma
della sicurezza”).

Requisiti della guerra nucleare

Cosa è necessario affinché agisca a pieno titolo? MAD (Mutual Assured Destruction= distruzione assicurata e
sua logica), ci sono in patibolare tre condizioni, tutte necessarie, nessuna è sufficiente da sola:

1. Capacità di rappresaglia: è la prima condizione per sviluppare un meccanismo di deterrenza efficace,


ossia ad un attacco occorre una capacità di risposta, l’attacco non deve inibire la capacità di risposta. Chi lo
subisce deve essere in grado di rispondere a sua volta, questo richiede delle caratteristiche, ad esempio ci
deve essere una dislocazione diversificata degli arsenali.

2. Credibilità: si deve mostrare la volontà di risposta, non basta avere la capacità teorica di sferrare un
secondo colpo, è importante farlo credere al nemico almeno, altrimenti la deterrenza non funziona.

3. Costo di rappresaglia: occorre che la rappresaglia sia tale da scoraggiare un eventuale attacco, la replica
deve avere una portata distruttiva alta

A certe condizioni la MAD non è un meccanismo legittimo praticabile, questa alternativa è quella che si basa
sulla first strike capability, è una dottrina strategica (esiste sia in Usa sia in Russia) basata sul colpire per
primi inibendo le capacità di risposta degli altri, è un presupposto molto difficile, i requisiti sono:

- Colpire con precisione tutte le testate avversarie, difficile dato che ne hanno migliaia.

- Sviluppare una capacità di difendersi completamente, ad esempio lo scudo spaziale, capace di intercettare
ed annullare tutti gli attacchi nucleari, non si sa se fosse realmente efficace.

36
Greta G.

Critiche alla First Strike Capability: crea instabilità, specie se gli avversari credono di aver raggiunto tale
capacità, potrebbero essere tentati di usarla.

C’è una ratio che giustifica la First Strike Capability: la MAD invece di proteggere i cittadini mira in realtà a
proteggere le armi ed i cittadini diventano solo degli ostaggi, per questo motivo alcuni sostengono la teoria del
NUT (Nuclear Utilization Theorist), essi giustificano normalmente la first strike capability, dicendo che occorre
sviluppare la first strike in quanto difende i cittadini perché se attacco eliminando le capacità di risposta ho
difeso i cittadini.

Questa divisione di visioni strategiche è presente sia nel governo Usa sia in quello russo.

Tentativi di controllo e limitazione


Anche sulla spinta di movimenti di opinione pubblica, movimenti pacifisti ma anche di politici si è pensato,
anche nel passato di limitare il rischio attraverso accordi in particolare tra le due grandi potenze durante la
guerra fredda, in una prima fase si sono verificati gli accordi SALT, ossia negoziati volti a limitare l’escalation
nella proliferazione nucleare, nell’arco di 50 anni ci sono stati diversi passaggi, alcuni con successo ad
esempio dal 1963 sono stati messi a bando i test nell’atmosfera, nello spazio e sott’acqua, da quell’anno si
fanno sotto terra. Nel 1969: limiti alle capacità militari; nel 1972 c’è stato il congelamento del numero di missili
balistici intercontinentali. Si è cercato di porre un limite all’accrescimento, che si è comunque verificato.

Dopo la fine della guerra fredda si è passati ad una fase successiva, ossia cercare di ridurre effettivamente gli
arsenali nucleari, l’iniziativa è stata di Reagan (anche su pressione dei movimenti pacifisti).

Un’effettiva politica di disarmo richiede che i governi abbiano un approccio meno militarista, questo richiede
una democrazia, ma ciò non può avvenire in un solo Paese, deve essere generalizzato (almeno tra le principali
potenze).

Oggi le due potenze non sono così equivalenti, gli Usa sono più potenti in termini di qualità e velocità (non
tanto di quantità), il vantaggio tecnologico degli Stati Uniti ha fatto pensare ad alcuni che fossero vicini alla first
strike capability, questa però è una questione puramente teorica.

Altro tema, non riguarda i rapporti tra le due superpotenze, ma il tema della proliferazione, la quale può creare
problemi, più sono i Paesi con un arsenale nucleare più c’è il rischio di una guerra nucleare, si pone quindi il
tema dei limiti alla proliferazione nucleare.

Oggi sono ripresi i negoziati per l’Iran, questo si pone tra i Paesi potenzialmente capace di sviluppare un’arma
nucleare, questo rischia di innescare una proliferazione in tutto il medio oriente, se si dotasse del nucleare
potrebbero farlo anche gli altri Paesi della regione.

Proliferazione
C’è in ballo lo scopo politico di avere armi nucleari, in primo luogo la proliferazione è facilitata da fattori
tecnologici.

Quali sono le motivazioni politiche?


Ce ne sono tre principali: il conflitto con Stati confinanti, in situazioni di instabilità regionale (es: India e
Pakistan) se uno dei due Paesi ha l’arma nucleare anche l’altro vorrà dotarsene, lo stesso può riguardare
Israele, Paese piccolo che si espone a rischi notevoli, molto vulnerabile, ma con il nucleare lo è molto meno.
Altro motivo è quello del prestigio, ad esempio la Francia, essa è comunque garantita dalla NATO, non ne
avrebbe bisogno, ma lo ha per ragioni di prestigio, così come l’Inghilterra.

Se l’Unione europea dovesse dotarsi di un sistema difensivo comune la Francia dovrebbe condividerlo.

Infine, altra ragione che spiega è quella di un sistema di assicurazione, è il caso della Corea del nord, ossia
per non subire ingerenze da parte di Paesi terzi, chi oserebbe un regime change in Iran se fosse dotato di un
arma nucleare? Protegge anche dai tentativi di ingerenza quindi.

Per esempio la Corea del Nord, potrebbe essere soggetta ad una politica di assimilazione da parte della Corea
del Sud, prima cercando di spingere verso un’evoluzione democratica per poi spingere verso un’unione
politica magari. Ma il possesso dell’arma nucleare da alla dinastia un’assicurazione da ingerenze esterne.

Cosa può limitare la proliferazione? Un primo meccanismo è quello della deterrenza estesa, vale per la Costa
Rica ad esempio, essa la limita perché una delle potenze in possesso di arma nucleare si impegna di usarlo
verso Paesi terzi, l’Europa ad esempio non ha proliferato perché era garantita dall’ombrello atomico
statunitense, se gli Usa non volessero più garantire dovremmo preoccuparci di avere una nostra deterrenza.

Altro meccanismo è quello di garantire compensazioni economiche a quei Paesi che non intendono
costruire armi nucleari

37
Greta G.
A patto che non produci armi nucleari ti garantisco aiuti economici;

Altra possibilità è di garantire solo per usi civili il nucleare inibendo l’uso militare.

Secondo Waltz la proliferazione non sarebbe pericolosa ma anzi indurrebbe a responsabilità, secondo Sagan
invece, la proliferazione aumenta rischi e probabilità di conflitto, primo perché non tutti gli Stati hanno
governato stabili o civili, aumenta anche la probabilità di errore di incidenti.

Esempi di sforzi per fermare la proliferazione: il contratto nucleare, nel 1968 si è firmato il primo trattato di non
proliferazione, sottoscritto da 98 Paesi, i quali sono diventati 189 nel 2012.

Tuttavia il limite è che non è obbligatorio sottoscriverlo infatti alcuni non l’hanno fatto, inoltre anche chi l’ha
sottoscritto può essere indotto a fare programmi di sviluppo nucleare per scopo militare, c’è il dubbio che
alcuni Paesi possano farlo di nascosto.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha il compito di controllare l’eventuale proliferazione ed inibirla,
coinvolta anche nel monitoraggio delle attività di ricerca dell’Iran.

I trattati di non proliferazione, implicitamente, accettano un principio gerarchico in quanto accettano che alcuni
Stati li abbiano ed altri no, di fatto si realizza un sistema di discriminazione legittimato.

Nel caso di violazioni del trattato l’enforcement non è così garantito e anche altri meccanismi di
sanzionamento come le sanzioni economiche potrebbero non essere molto efficaci anche perché richiedono
un coinvolgimento totale per essere efficaci.

Anche Kissinger (realista a tutto tondo) è a favore di un’eliminazione totale degli arsenali nucleari.

Armi chimiche e battereologiche

Le armi chimiche sono composti artificiali, le armi batteriologiche uccidono tramite la diffusione di batteri e
virus, queste ultime hanno un’antica tradizione ad esempio si lanciavano cadaveri appestati nelle mura
nemiche.

C’è un diverso trattamento tra armi chimiche e battereologiche, quelle chimiche erano legittime e furono usate
durante la prima guerra mondiale, furono usate anche nel secondo dopo guerra nel conflitto tra Iraq e Iran e
nella guerra civile siriana, tali esperienze hanno aumentato il consenso internazionale al divieto delle armi
chimiche, il trattato più importante le vieta: Convenzioni sulle armi chimiche (1997), questo include 192 Paesi e
vieta sia la produzione sia il possesso di armi chimiche, prevede anche il dovere di distruggerle e il permesso
di fare ispezioni.

Per quanto riguarda le armi battereologiche la Convenzione sulle armi battereologiche è stata sottoscritta da
176 Paesi e non prevede monitoraggio, perché è difficile stabilire i confini tra una ricerca di tipo medico e una
militare.

Un confronto tra tipi di arma


Ovviamente quelle nucleari sono le più pericolose, quelle chimiche e battereologiche sono letali solo a certe
condizioni. Sono diverse anche le possibilità di difesa, è quasi impossibile difendersi da un attacco nucleare è
invece possibile a certe condizioni difendersi da armi chimiche e battereologiche (maschere anti gas, vaccini).

A differenza delle armi chimiche e batteriologiche quelle nucleari sono più difficili da creare e reperire.

Anche gli inquadramenti legali sono diversi: le prime due sono completamente vietate, quelle atomiche invece
possono essere detenute solo da alcuni.

Capitolo a parte riguarda la connessione tra armi a distruzione di massa e terrorismo, le organizzazioni
terroristiche sono difficilmente scoraggiatili da tali armi, un’arma nucleare non ha nessun effetto su di esse
perché non hanno un territorio. Al contrario i gruppi terroristici possono usarle.

I gruppi terroristici possono usare anche la cosiddetta bomba nucleare sporca.

Cyber War: è possibile creare un sistema di controllo e limitazione della cyber war come si è fatto per le arme
nucleare, chimiche e battereologiche?

Attraverso un sistema informatico si potrebbe anche paralizzare il sistema logistico di un Paese.

Attori non statali e sfide alla sovranità

Esistono attori non statali che pongono minacce alla sicurezza e all’ordine internazionale, la debolezza degli
Stati favorisce l’emergere di tali attori, sono due fenomeni interdipendenti. Non sempre gli Stati sono stati al
centro della politica mondiale, vi erano gli imperi, le città-stato i Regni feudali, dopo Westfalia si è affermato lo

38
Greta G.
Stato Nazione, nonostante l’avvento di questo soggetto e la sua legittimazione anche a livello di diritto
internazionale, si sono poste negli ultimi anni delle sfide alla capacità di questi Stati di essere autonomi e
predominanti nelle dinamiche del sistema internazionale, un esempio di sfida è quello dato dalle multi-
nazionali.

Gli Stati nazione hanno subito sfide sia dall’alto sia dal basso, dall’alto perché i fenomeni del trans-
nazionalismo hanno eroso la capacità dei singoli Stati di controllare determinati meccanismi e fenomeni, la
stessa Unione Europea è un esempio, gli Stati europei hanno ceduto sovranità ad attori ed istituzioni
sovranazionali, le sfide dal basso sono le spinte centrifughe di cui sono state vittime determinate regioni o
Stati, ad esempio l’indipendentismo catalano.

Una particolare sfida è legata all’avvento di attori non statali, che proliferano/prosperano in concomitanza di un
altro fenomeno, quello degli Stati deboli o falliti.

Queste sfide e queste crisi non riguardano in modo uniforme tutti gli Stati nazione ci sono Stati più soggetti a
queste vulnerabilità e altri meno, ad esempio la Cina come Stato nazione, anche l’Italia e la Germania dipende
dalla dimensione e dalla forza degli Stati.

Ci sono Stati continentali non soggetti particolarmente a questo tipo di potenziali vulnerabilità ed è la ragione
per cui noi europei dobbiamo pensarci bene ad avere nostalgia dello Stato Nazione, non perché sia obsoleto,
ma perché ad oggi gli Stati medi e piccoli subiscono più che essere protagonisti attivi dei processi
internazionali, si assiste infatti a tentativi di unificazione regionale, come in Africa o in Sud America, perché gli
Stati Nazione difficilmente reggono alle sfide.

Spesso questa capacità di governo non è possibile imputarla a Stati deboli o piccoli, il problema è anche
come ottenere una dimensione ideale, in modo che la politica assuma il controllo di fenomeni che altrimenti
diventano minacciosi.

Attori non statali che perseguono i loro obiettivi nel sistema internazionale: buona parte agisce pacificamente
(es: Amnesty International), ci sono però attori che si comportano come gruppi criminali portano a delle sfide
alla sicurezza internazionale, in particolare i pirati, i signori della guerra e i terroristi, questi attori operano in
parti del mondo in cui gli Stati sono deboli, talvolta usandoli come basi operative peri loro affari, ad esempio Al
Qaida operò in Afghanistan.

In teoria il sistema westfaliano produsse Stati con grandi capacità, nei termini di tassare, regolare,
amministrare la giustizia, produrre istituzioni e agenzie volte a far rispettare le norme, apparati militari. Gli Stati
hanno tutte queste capacità, quando gli Stati le hanno diventano delle entità politiche preminenti a livello
globale, nella sfera interna sono entità sovrane, a livello internazionale viene riconosciuta e rispettata la
suprema entità degli Stati in quanto sovrani.

Ci sono per entità che non corrispondono a ciò, ci sono Stati come Cina, Usa, Italia, che raggiungono tutte
queste capacità, ma altri le raggiungono solo parzialmente o Stati che addirittura non hanno nessuna capacità,
in quesi casi i gruppi sub-statali li hanno spesso sfidati, ad esempio in Colombia, per cui gli Stati sono
formalmente tutti uguali ma in realtà differiscono per capacità, alcuni sono più in grado di altri di far valere le
proprie ragioni. Quando le capacità sono deboli, molti gruppi svolgono le loro attività a cavallo dei confini
nazionali, senza che i governi riescano a garantirei rispetto delle leggi delle frontiere, queste sfide sono
presenti sia oggi ma anche nel passato, ad esempio la Spagna non ha avuto la capacità ancora oggi con
periferie, le quali resistono al centralismo dello Stato spagnolo, in Francia invece i bretoni ecc. sono stati
assimilati, ma non è così per tutti.

La combinazione di attori non statali e attori deboli costringono gli Stati a trovare modi per adattarsi e
rafforzare l’efficacia della loro autorità, altrimenti il mondo rischia di addentrarsi in una nuova epoca di violenza
e disordine transnazionale; l’Isis è stato favorito dalla debolezza di Siria e Iraq, il che porta a conseguenze per
tutti non solo per loro, il terrorismo fa paura anche all’Europa perché favorisce piccoli gruppi che fanno
attentati anche qui.

Pirateria: è una minaccia persistente all’autorità degli Stati, si è assistito ad un aumento del fenomeno nel
mondo contemporaneo (soprattutto in Somalia), nel passato la pirateria ebbe un grande sviluppo dopo il crollo
dell’impero romano, l’impero l’aveva di fatto estinto ma dopo il suo crollo riaffiorò tale fenomeno.

Altra fase di estensione ci fu dopo la scoperta dell’America, in quanto zona ricca di risorse dove si sviluppò il
traffico navale, ricca di isole ed acque al di fuori del controllo spagnolo.

Con l’avvento del potere navale moderno fine XIX secolo la pirateria diminuì e ha ripreso negli ultimi anni tra il
Mar Rosso e l’Oceano Indiano, i casi più importanti sono a largo della Costa Somala caso di Stato fallito in cui
i signori della guerra offrono protezione sulla terraferma ad alcuni di questi gruppi di pirati. Ciò è facilitato dal

39
Greta G.
fatto che gli Usa e l’India non proiettano la protezione di tali acque in modo costante, solo in casi eccezionali in
difesa di interessi commerciali rilevanti.

Lo scopo della pirateria è ricattare, si segue una nave con l’equipaggio e si chiede il riscatto, la pirateria
moderna è una forma di criminalità che non minaccia direttamente gli Stati ma approfitta dei loro limiti e
minaccia la sicurezza dei loro traffici marittimi.

La pirateria è favorita dalla presenza di Stati deboli o falliti, perché trovano ospitalità più facilmente dove non
c’è un controllo totale del governo sul suo territorio. Addirittura negli Stati falliti alcuni gruppi di signori della
guerra si alleano con i pirati, i primi proteggono i pirati i quali gli danno parte del bottino.

Stati deboli o falliti: caratteristiche di uno Stato sovrano governo centralizzato funzionante in grado di
controllare i propri confini e di reclamare efficacemente il monopolio legittimo della forza sul proprio territorio,
non tutti corrispondono a questo tipo ideale, molti Paesi in via di sviluppo sono solo riflesso di questo ideale.
Gli Stati deboli non sono in grado di tassare la loro popolazione, di istituire servizi militari e di polizia efficienti e
di fornire altri servizi pubblici, e se lo fanno lo fanno solo su una parte del territorio; alcune parti di popolazione
sono escluse dai benefici giuridici e sociali garantiti dal governo.

Stati Falliti: nemmeno il governo centrale è in grado di funzionare, non riesce ad imporre nemmeno un minimo
di ordine, si sviluppa un’anarchia.

Nel mondo contemporaneo Paesi come Pakistan, Iraq, Afghanistan, Messico e Perù ospitano violenti avversari
interni. Come i pirati anche i gruppi di opposizione interna hanno caratterizzato per lungo tempo il sistema
westfaliano (i primi Stati europei erano composti da comunità subordinate connesse ad autorità centrali
tramite contratti che ne specificavano diritti e doveri. Spesso tali comunità erano dotate di distinte
organizzazioni sociali, identità, lingue e istituzioni).

In alcuni casi governi centrali hanno incontrato la resistenza di province e regioni periferiche che aspiravano
all’indipendenza (tracce ancora oggi in Europa con gli scozzesi e i catalani ma anche in Cina, ad esempio la
minoranza del Tibet).

In alcuni casi i governi centrali hanno trovato la resistenza di regioni periferiche che aspiravano
all’indipendenza (tracce ancora oggi in Europa e in Cina).

In altri casi le sfide alla sovranità provengono da bande criminali e signori della guerra che agiscono come
“mini Stati” nelle zone periferiche (es: Afghanistan che ora governa il Paese, o anche l’Italia del Sud ha vissuto
momento in cui il ribellismo dei banditi ha creato delle enclave separate rispetto al governo centrale).

Tali sfide allo Stato centralizzato sono spesso associate a crimini violenze dal momento che esistono in uno
spazio che è oltre la portata della polizia e delle leggi, in questi spazi senza controllo prosperano armi, spaccio
di droga, contrabbando di diamanti altre forme di violenza transnazionale.

In alcuni Stati ci sono relazioni tra narcotrafficanti e gruppi paramilitari talvolta i narcotrafficanti hanno
sostenuto gruppi paramilitari associati a proprietari terrieri. I narcotrafficanti usano armi e denaro per creare
regimi di protezione privata della sicurezza destinati a piccole città e popolazioni locali indebolendo ulteriore
mente lo Stato. La criminalità organizzata quindi si allea spesso con milizie che proteggono e garantiscono i
grandi proprietari terrieri, ma a loro volta questi gruppi criminali realizzano dei mini regimi di protezione privata
della sicurezza, ossia dei mini Stati che svolgono funzioni politiche (protezione, amministrazione della
giustizia), lo fece Pablo Escobar.

Si verifica così un circolo vizioso, i gruppi prendono piede perché lo Stato è debole, dando luogo ad una
situazione che indebolisce lo Stato, perché a loro volta l’affermazione di questi regimi privati di sicurezza mina
la legittimità e la forza degli Stati.

Hassner parla a questo proposito di ritorno al medioevo, ossia della proliferazione di blocchi antagonisti sub-
statali.

Tali Stati (deboli o anche falliti) diventano inoltre la base per una proiezione verso l’esterno della minaccia,
anche nei confronti dei Paesi sviluppati, certi fenomeni trascendono il livello locale e si esportano.

Terrorismo: i terroristi utilizzano la violenza contro i civili per raggiungere obiettivi politici, tale violenza può
essere mera espressione di disprezzo e rancore ma può essere anche un mezzo calcolato finalizzato a
modificare il comportamento di un nemico (obiettivo finale può essere la politica estera di uno Stato), ad
esempio dopo l’attentato a Madrid la Spagna si ritirò dalla missione in Iraq.

40
Greta G.
Tra XIX e XX secolo il terrorismo fu legato a movimenti nazionalisti. Negli ultimi anni ha avuto una matrice
prevalentemente religiosa, uno degli obiettivi generali è di porre termine all’influenza straniera sui Paesi
musulmani, quindi non la sconfitta di un nemico, ma la modifica delle percezioni e delle opinioni pubbliche per
costringere i governi a cambiare politiche, questo sia in Europa che nei Paesi musulmani: da un lato si
contestano i regimi laici o alleati all’Occidente, dall’altro canto si voleva condizionare i governi occidentali nel
senso di non ingerirsi troppo negli affari dei Paesi musulmani.

A differenza del passato vi è una portata globale e una letalità crescente della violenza da parte degli attori che
sfidano l’autorità statale. Tecnologie della comunicazione hanno permesso a questi gruppi di diventare
transnazionali: possono operare da molto lontano inviando messaggi, denaro, agenti ovunque. Allo stesso
modo sono in grado di accedere a strumenti di violenza sempre più mortali e pericolosi (è aumentata la
letalità).

Questo costituisce una minaccia non solo verso singole città o Stati ma verso l’intera civiltà globale, l’intero
sistema westfaliano. Tali sviluppi possono essere etichettati come privatizzazione della guerra (ossia, la guerra
può essere portata avanti da gruppi non statali), frutto dell’incontro tra radicalismo e tecnologia. Gli Stati
canaglia potrebbero dotare tali attori di armi letali, ad esempio la Corea del Nord potrebbe ricattare gli Stati
Occidentali o la Cina e Giappone fornendo armi letali ai gruppi terroristici.

Come difendersi da questi gruppi: dopo l’11 settembre sono stati adottati tre tipi di reazione, di breve, medio
e lungo termine, il più brutale, immediato e forse meno efficace è attaccare gli obiettivi terroristici dal punto di
vista militare, come hanno fatto gli Stati Uniti attaccando le basi di Al Qaida in Afghanistan.

La seconda strategia è quella di dotarsi di risorse per esercitare deterrenza rispetto al terrorismo tramite la
stipula di convenzioni internazionali e protocolli che mirino all'istituzione di una cornice legale per la
cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo (atti ad esempio a dotare gli Stati dell'autorità necessaria a
rintracciare i gruppi impegnati al trasporto di armi distruttive di massa, a esercitare controlli più stringenti ai
confini e negli aeroporti, o a beneficiare di scambi di informazioni). Ossia prevenire più che fare iniziative
militari contro i terroristi. Per essere efficace richiede però lo scambio di informazioni e cooperazione tra le
agenzie di intelligence dei diversi Stati.

La strategia più lungimirante, ma più difficile, è di attuare uno sforzo di lungo termine per rafforzare gli Stati
deboli o in via di fallimento, ad esempio attraverso la promozione della rule of law e della stabilità politica. Ciò
implica la modifica dei regimi e delle caratteristiche degli Stati.

Nei decenni passati le potenze non consideravano gli Stati deboli o falliti come minacce importanti alla pace o
alla sicurezza, le cose ad oggi sono cambiate: in tempi più recenti il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è
mostrato disposto a definire in maniera più ampia i pericoli per la pace e la sicurezza internazionale. Ne è
derivato un nuovo principio: il dovere di intervenire per impedire o alleviare le crisi umanitarie, comprese
carestie e genocidi.

Dichiarazione del 1998 di K. Annan (ex segretario dell’ONU): la sovranità statale è in fase di ridefinizione in
vista di una nuova concezione secondo cui la sovranità implica responsabilità e diritti a tutele.

Ambiente e relazioni internazionali


Perché talvolta è così difficile risolvere problemi ambientali che in teoria sono comuni? Che dovrebbero
facilitare una risposta condivisa? Invece anche i problemi ambientali, che riguardano gran parte del pianeta,
molto spesso sono di difficile risposta concordata.

Per comprendere i problemi suscitati dalla questione ambientale e i nodi irrisolti occorre riferirsi a due
strumenti concettuali, spesso usati (sopratutto il primo) dagli studi economici, per capire perché a volte
questioni cosi generali siano difficili da risolvere.

Il primo concetto è quello di esternalità negative il secondo della tragedia dei beni comuni.

Esternalità: sono benefici e costi di un bene non rispecchiati nel prezzo dello stesso. Possono essere negative
o positive, i loro effetti possono essere percepiti dal consumatore, dal produttore o da terzi.

Un esempio di esternalità positiva è quello della neve: ognuno pulisce la parte vicino al suo portone ma
effettivamente il perseguimento di un interesse personale produce un effetto positivo per tutti perché pulisce
una parte del marciapiede di tutti.

41
Greta G.
Esternalità negative: classico esempio è l’inquinamento, una fabbrica che produce borse ma inquina, questa
attività produce dei profitti ma non tiene conto dei costi della comunità per disinquinare. Le implicazioni
derivanti da esternalità negative sono:

- è ingiusto che chi non guadagna da un prodotto riceva un danno senza alcun risarcimento;

- se non si includono i costi del risarcimento nel prezzo non vi sarà un incentivo a limitarle, occorrerebbe
inserire nel prezzo i costi dell’inquinamento, l’impresa avrebbe un incentivo a fornirsi di impianti di
depurazione di aria o acqua.

Le esternalità negative possono potenzialmente diventare questioni internazionali quando provocano danni a
individui o popolazioni che vivono in zone di confine. Ad esempio se le acque del Nilo vengono inquinate dal
Sudan, ciò avrà effetti negativi anche sull’Egitto, con conseguenze anche nei rapporti tra Egitto e Sudan.

Altro esempio è l’inquinamento atmosferico, una fabbrica francese che inquina con i venti può portare i fumi
fino al nord Italia.

Quando le esternalità negative hanno effetti importanti occorrono azioni internazionali tese a mitigare tali
esternalità negative, per ridurre le attività inquinanti di un’area occorre trovare un accordo, gli accordi
internazionali dovrebbero trovare degli equilibri tali per cui ogni Paese si conforma a delle discipline tali da
ridurre i danni esteri provocati dalle loro attività.

Altro tema che solleva questioni è quello della tragedia dei beni comuni, concerne quei processi per cui gli
agenti che perseguono anche razionalmente i propri interessi personali nello sfruttare una risorsa naturale
limitata in maniera organizzata finiranno, per colpa di nessuno in particolare, per abusarne ed esaurirla.

La distruzione dei beni comuni non avviene perché le persone sono cattive o stupide o perché vogliano tale
risultato, ma risulta come prodotto non intenzionale dell’interazione tra individui razionali che perseguono i
propri interessi nelle circostanze in cui si trovano, inconsapevolmente il perseguimento del bene singolo si
traduce in un danno collettivo.

Tali circostanze sono quelle in cui ad esempio cresce la popolazione, quando il trend demografico ha un certo
andamento suolo, risorse ittiche o altre risorse naturali vengono sfruttate in modo tale che non possono
ricostituirsi e quindi ponendo fine alla reperibilità di risorse che sono limitate e vanno preservate.

Altro tema è infatti quello delle risorse naturali limitate (acqua, risorse animali, risorse forestali). Un aspetto che
favorisce questo uso indiscriminato delle risorse è l’assenza di un’autorità centralizzata, a livello sia locale che
internazionale.

Cosa incentiva questa distruzione? Il fatto che ad esempio i pescatori utilizzano inconsapevolmente dei sistemi
di pesca che non tengono conto della riproduzione dei pesci, in questo modo esauriscono progressivamente
la loro stessa capacità di raccogliere un pescato adeguato.

O anche l’esigenza di coltivazioni può portare ad una deforestazione che può portare a problemi per tutta
l’umanità.

Le esternalità negative e la tragedia dei beni comuni sono meccanismi che stanno dietro a molte delle più
pressanti sfide internazionali sull’ambiente.

Sfide per l’ambiente mondiale e le risorse naturali


1. Problemi dell’atmosfera
• cambiamenti climatici:
- Riscaldamento della terra dovuto ad emissioni di anidride carbonica, azoto, metano e altri gas fluoranti
ecc. (gas serra) che intrappolano il calore del sole.

- Il riscaldamento globale è un’esternalità negativa internazionale dovuta alle attività economiche.

- In particolare colpisce i Paesi in via di sviluppo, perché sono i Paesi che climaticamente soffrono di più di
un eventuale aumento della temperatura terrestre, ad esempio i Paesi dell’Africa Sub Sahariana che
soffrono di siccità, questo porta a migrazioni, dispute sulle risorse, disordini civili con implicazioni
internazionali.

Non sono gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo a causare l’aumento delle temperature, ma i Paesi più
sviluppati, di conseguenza sono i Paesi più industrializzati a causare il problema, ma il prezzo lo pagano
principalmente gli altri.

I leader di governo sono tuttavia in disaccordo su quali Paesi siano stati e siano ad oggi i maggiori responsabili
delle emissioni. Ridurre le emissioni costa e la distribuzione dei costi è un problema controverso, non si sa su
quali Paesi caricare i maggiori costi del disinquinamento, ad esempio gli Stati Uniti vorrebbero partire dal livello
emissioni di anidride carbonica attuale prevenire aumenti futuri.

42
Greta G.
Basandosi su tali proiezioni i governi dei Paesi sviluppati sono convinti che siano i Paesi in via di sviluppo i
primi a dover ridurre le emissioni di co2.

I governi dei Paesi in via di sviluppo invece preferiscono concentrarsi su chi siano i maggiori produttori attuali
e futuri pro capite; secondo tale parametro i maggiori responsabili sarebbero i Paesi sviluppati (anche
l’accumulo attuale è responsabilità di questi ultimi).

Questo è un primo esempio di come i Paesi si dividono sulla base dei parametri su cui valutare la divisione
degli oneri della riduzione delle emissioni nocive.

Queste politiche hanno anche dei costi politici, ad esempio i Gilet Gialli, la loro rivolta riguarda questo, Macron
decise di aumentare le accise sulla benzina per favorire le auto ecologiche, ma ciò colpiva le fasce territoriali e
sociali periferiche del Paese, da qui la rivolta. Quindi una politica a favore dell’ambiente ha provocato una
rivolta dei ceti che più ne subivano i costi.

• Assottigliamento dello strato di ozono


Cause: inquinamento atmosferico prodotto da sostanze chimiche (cloro-fluoro-carburi) che costituiscono il
propellente per le bombolette spray e l’ingrediente dei refrigeranti per i condizionatori.

Il buco nell’ozono provoca danni alla salute, deterioramento delle colture, danni alla flora marina e alle risorse
ittiche (ad esempio la tragedia dei beni comuni).

A differenza che per il clima, la comunità internazionale ha raggiunto e poi implementato un accordo
internazionale per ridurre il problema, e ci è riuscita. I Paesi ricchi hanno compensato la riconversione
necessaria a ridurre le emissioni di questo gas pericoloso.

2. Danni alle risorse idriche mondiali


• Contaminazione delle riserve di acqua dolce, esaurire le falde acquifere tramite un prelievo eccessivo ad
esempio, altro danno alle riserve d’acqua dolce concerne l’uso di sostanze inquinanti (es: pesticidi) oppure
gli effetti legati al commercio internazionale, lo smaltimento di rifiuti tossici nei Paesi meno ricchi da parte di
quelli più ricchi.

• Altro elemento che minaccia le risorse idriche è l’inquinamento da idrocarburi negli oceani, legato alle
piattaforme petrolifere e agli incidenti delle petroliere.

• Minacce alla vita marina: date dalla pesca eccessiva e iper-sfruttamento delle risorse ittiche (fenomeno della
sovrapesca). Fenomeno radicato e diffuso che mette a rischio numerose specie marine (nel 2009 il 30%
della varietà è stato vittima della sovrapesca), esiste oggi infatti un regime che regola tale disciplina, non si
può pescare sempre, bisogna assicurare la riproduzione e non si possono usare sistemi di pesca troppo
radicali.

3. Danni al suolo
• Sono legati in particolare alla deforestazione, il rischio è legato a diversi tipi di incentivi come la necessità di
allargare la terra di pascolo o agricola o anche la necessità di ricorrere a risorse carburanti alternative al
petrolio (es: biodiesel). Le conseguenze della deforestazione sono tragiche, vi è innanzitutto l’inquinamento
legato alla deforestazione e la riduzione della biodiversità.

Gestione internazionale delle questioni ambientali


Ci sono tre livelli possibili di gestione:

• Le questioni ambientali possono essere risolte ad un livello individuale (cambiando i nostri modelli di
consumo, ad esempio mangiando meno carne, comprando vestiti più etici, guidare meno auto).

• A livello statale le soluzioni concernono la regolazione statale, si possono adottare norme tese ad indurre
comportamenti virtuosi, sia delle imprese sia dei cittadini, ad esempio incentivando il trasporto pubblico
rendendo più costoso l’accesso ai veicoli privati.

• A livello internazionale la gestione si ha tramite accordi internazionali, c’è però la difficoltà di realizzarli.

Strategie a livello internazionale:

- Politiche unilaterali.

- Accordi bilaterali.

- Trattati multilaterali.

La buona riuscita dipende dall’interazione di 5 fattori:

- Il ruolo delle ONG e dell’opinione pubblica (linea con il costruttivismo).

- C’è chi sostiene invece che ci deve essere il consenso tra i leader (costruttivismo, scienziati, esperti ecc.
convincono gli statisti che sia giusto orientare le scelte di governo e gli accordi in un certo senso).

- C’è chi sostiene che questo non basti ma occorrano le strutture istituzionali internazionali che incentivino, in
particolare i Paesi in via di sviluppo, a seguire una linea (liberali).

43
Greta G.
- I costi rendono difficili le intese, c’è chi guadagna e chi perde, dentro gli Stati e tra gli Stati (realisti).

- Se si trova una soluzione è perché i Paesi più ricchi hanno sostenuto questa soluzione (realisti).

Risposte unilaterali: ad esempio la pesca del tonno nell’Oceano Pacifico fu disciplinata nel 1972 dagli Usa per
disciplinarla e per impedire l’importazione da Paesi che non la rispettavano. È stata quindi una decisione
unilaterale (degli Usa) che però condiziona anche altri Paesi.

Risposte bilaterali: ad esempio l’accordo tra Usa e Canada (1991) per limitare le emissioni di zolfo di ossido di
azoto al fine di eliminare le piogge acide.

Risposte multilaterali: un esempio di successo (protocollo di Montreal del 1987 per vietare l’uso dei cloro-
fluoro-carburi) legato a largo consenso e al sostegno ai Paesi in via di sviluppo.

Un esempio di insuccesso è il protocollo di Kyoto che ha reso difficile trovare una soluzione a causa dei dissidi
tra Paesi in via di sviluppo e Paesi ricchi sulla suddivisione degli oneri.

Prospettive Ordine Mondiale


Nel manuale ci sono sei modelli che potrebbero caratterizzare in futuro il sistema internazionale.

Modello 1: Competizione geo-economica


Questo modello si basa sul presupposto che ci sia nel mondo contemporaneo un declino dell’utilità della forza
militare, questa tesi è sostenuta anche dalla caduta dell’Urss dopo la guerra fredda. Si considerano le guerre
totali che hanno caratterizzato il XX secolo come un vecchio ricordo, come obsolete.

L’equivoco sul ruolo dell’economia è ancora molto forte, questo modello si basa sull’idea che il ruolo
dell’economia abbia la meglio su altri fattori, alcuni attori giustificano anche la guerra attuale sulla base di
motivazioni economiche.

Caratteristiche di tale modello:


La competizione non non sarà quella militare, ma verrà sostituita da quella economica. Si svilupperebbe una
lotta per il prodotto mondiale (per accaparrarsi i mercati). La sicurezza economica scalzerebbe la sicurezza
militare (si andrebbe verso un «realismo economico»). Tale competizione favorirebbe la formazione di «blocchi
economici» in competizione tra loro: uno nord-americano (imperniato sugli USA, che comprenderebbe anche
Messico e Canada), uno europeo, uno o due asiatici (con solo la Cina egemonica, oppure con due regioni
economiche, una basata sul Giappone e l’altra con la Cina). Questo modello implica la difesa dei «campioni
nazionali», ossia le grandi imprese di tecnologia, alimentare ecc, ossia creare delle imprese capaci di rendere
autosufficienti quelle produzioni strategiche che non possono essere consegnate ad attori rivali.

Tendenze che confermano questa direzione:


Negli ultimi decenni si è assistito ad esempi di integrazione regionale ad esempio il NAFTA, ma anche l’Ue,
l’OPEC. Sono tentativi di aggregazione regionale sulla base di un mercato comune.

Le evidenze empiriche che contraddicono:


1. grandi imprese multinazionali non si limitano ad allinearsi ai propri Paesi di riferimento (identità e interessi
transnazionali);

2. relazioni economiche possono essere a «somma positiva» (guadagnano tutti) e non a «somma zero» (cala
l’incentivo alla competizione);

3. i blocchi regionali contemporanei sono più aperti che chiusi.

Modello 2: Ritorno al multipolarismo


È la tesi sostenuta dai realisti. È un assetto in cui le potenze sono più di due, in questo caso si avrebbe un
sistema policentrico dove le grandi potenze, come successo nel passato, potrebbero essere propense a
scontrarsi in conflitti di portata più limitata per difendere i loro interessi e mantenere un equilibrio multipolare, si
tornerebbe all’equilibrio di potenza (come era in Europa alla vigilia della prima guerra mondiale, ma anche
prima).

Caratteristiche del modello:


Ritorno alle alleanze flessibili (rispetto a quelle rigide della guerra fredda), nel passato erano appunto flessibili,
esempio classico quello dell’Italia che dalla sua unità ha cambiato varie volte alleanze.

44
Greta G.
Tendenze che confermano:
1. L’insofferenza di molti Stati per il modello unipolare degli anni Novanta (iniziative di Soft Balancing per
ostacolare e limitare gli USA).

2. Stallo Usa in Iraq e Afghanistan (segnale dell’indebolimento degli Usa).

3. Crisi del 2008 ed ascesa della Cina.

Evidenze empiriche contrarie:


1. sul piano militare il mondo è ancora fortemente sbilanciato (Giappone, Russia, Cina e India) non sono
ancora all’altezza di sfidare gli Stati Uniti;

2. anche assumendo tra qualche anno l'emergere di più grandi potenze come funzionerebbe? Quanto
sarebbero flessibili le alleanze, e quanto le armi nucleari renderebbero più complesso il funzionamento del
multipolarismo? Nel passato erano possibili guerre dirette tra grandi potenze, ad oggi ci sarebbe il rischio
del nucleare.

Modello 3: Nuovo bipolarismo


È ipotizzato dai sostenitori dell’ascesa della Cina che potrebbe preconizzare uno scontro simile a quello nella
guerra fredda, sostituendo all’Unione Sovietica la Cina.

Caratteristiche:
La Cina può fornire un'alternativa ideologica a un sistema internazionale dominato dagli USA. Tale
competizione probabilmente inizierà in Asia Orientale, dove gli USA cercheranno di mantenere il proprio status
di «ago della bilancia» sul continente.

Tendenze:
Nella prima decade del nuovo secolo le relazioni USA-Cina erano improntate alla cooperazione. La Cina si è
posta come «sfidante paziente», connotato da un'ascesa pacifica. Sotto la cooperazione apparente. Tuttavia,
vi sono segnali di preparazione alla futura competizione:

1. Gli Usa pongono le basi di una «strategia di contenimento» (ravvivando e ampliando alleanze di sicurezza
sviluppate durante la guerra fredda in Asia Orientale: Giappone, Australia, Paesi del Sud-Est asiatico);

2. Segnali di ambizioni cinesi: approccio più «muscolare» (sfida a Giappone, influenza verso l’Africa, sfida al
dollaro tramite Banca Centrale cinese, «Beijing Consensus).

3. La Cina aspira a creare un sistema finanziario e monetario internazionale incentrato sulla sua moneta,
questa guerra sembra accelerare questo sviluppo, cioè creare un circuito alternativo al dollaro.

Evidenze empiriche contrarie:


1. La Cina non seguirà necessariamente un percorso lineare e senza ostacoli allo status di super potenza.

2. Anche se crescesse come status, non ne deriverebbe necessariamente un confronto bipolare tra Usa e
Cina, poiché i due Paesi sono molto più interdipendenti economicamente di quanto fossero in passato
Usa e Urss.

Modello 4: Pace democratica


Prevede che si diffonda la democrazia, e dato che le democrazie non si fanno la guerra tra di loro ci sarebbe
un mondo più pacifico, più stabile.

Tendenze:
Una crescente diffusione delle democrazie, ad esempio il Sud America era una regione di sole autocrazie
mentre ora si ha una prevalenza di sistemi (più o meno) democratici.

Evidenze empiriche contrarie:


1. Possibilità che le democrazie non continuino a diffondersi (Cina e Russia si oppongono al trend e possono
rappresentare un nuovo e attraente modello autoritario; fallimento delle primavere arabe).
2. I regimi di transizione democratica sono più insidiosi, le democrazie stabili sono più pacifiche, ma i regimi di
transizione democratica spesso non sono orientati alla pace.

3. Alcuni contestano l’idea della pace democratica, ad oggi non si sono ancora fatte la guerra ma questo
potrebbe essere legato al fatto che fino a qualche decennio fa erano relativamente e poche le democrazie,
quindi dal punto di vista statistico il dato potrebbe non essere significativo. Non si sa se con l’aumento delle
democrazie questa ipotesi verrà contrastata.

45
Greta G.
Modello 5: Scontro di civiltà
Huntington contestò Fukuyama che asseriva la fine della storia o dei conflitti ideologici e l’affermazione dei
valori liberali, egli sosteneva che la storia sarebbe continuata, sebbene non nella stessa forma, basata sullo
scontro di civiltà.

Caratteristiche:
Il concetto di civiltà è molto flessibile e sembra incorporare somiglianze di diverso tipo: religiose, culturali,
etniche e linguistiche. Spesso tali somiglianze si estendono a più Stati, ad esempio la civiltà occidentale
comprende diversi Stati. Esse rappresentano linee di contrasto che potrebbero rappresentare le linee sulle
quali si consumeranno le battaglie del futuro (queste civiltà, in modo sommario, sono: civiltà occidentale,
sinica, ossia cinese, cristiano-occidentale/ortodossa, islamica, indù e Africa sub-sahariana). L’eventuale
credenza nella loro universalità implica una radicalizzazione del conflitto, se si pretende che queste siano
universali allora c’è una propensione ad esportare il proprio modello, questo è molto pericoloso perché se si
lotta sul piano dei valori trovare un compromesso è molto più difficile e lo scontro si radicalizza.

Tendenze:
In alcuni casi sembra sia andato cosi, ad esempio la guerra nei Balcani tra musulmani, cattolici, ortodossi
sembrava un primo segnale, era un conflitto di civiltà, stessa cosa per il conflitto in Cecenia o quello tra India e
Pakistan con induismo e islamismo.

Evidenze contrarie:
- Ci sono dei dubbi circa il fatto che le culture e le civiltà costituiscano unità politiche coerenti e funzionali,
non sono Stati le civiltà, sono gli Stati a fare le guerre, ad esempio i conflitti intra-civiltà: Iraq e Iran,
Giappone e Cina (per la civiltà sinica) o anche quella tra Vietnam e Cina, anche nel mondo ortodosso/slavo
non vi è omogeneità, molti Paesi dell’Est Europa sono contrapposti alla Russia.

- Anche ammessa l’esistenza della civiltà come soggetto politico il conflitto non sarebbe inevitabile, ad
esempio Giappone e Usa sono strettamente alleati anche se non appartengono alla stessa civiltà.

- Altra cosa è utilizzare da parte degli Stati le identità e le appartenenze in chiave di mobilitazione ideologica

Modello 6: Frammentazione globale


Viene contestata l’idea che un sistema globale sia un tutto omogeneo caratterizzato da aspetti uniformi, dove
lo Stato nazione è il perno del sistema internazionale. Secondo questa previsione viviamo e vivremo sempre in
un mondo frammentato, non più descrivibile come un singolo sistema integrato di Stati.

Caratteristiche:
Coesistenza tra diverse forme politiche: un mondo pre-moderno, uno moderno e uno post moderno. Il primo è
quello degli Stati deboli o falliti dove prevalgono attori non statali; vi è poi quello moderno, proprio degli Stati
nazione, legato alla politica classica di potenza, la guerra attuale è un segno della presenza di questa realtà,
infine esisterebbe una realtà post-moderna, ideale, basata sulla cooperazione e l’integrazione sovranazionale,
emblematico di questo mondo è l’Unione europea in cui prevalgono cooperazione, scambi economici e pace.

Il mondo frammentato sarebbe caratterizzato dalla convivenza di questi tre mondi.

Tendenze:
Numerose prove dell’esistenza di politiche pre-moderne, moderne e post moderne.

Evidenze contrarie:
Il modello sarebbe valido se i tre mondi formassero sotto sistemi autonomi con scarse interazioni tra di loro. In
realtà sembrano essere connessi in vari modi, il caos e l’instabilità del mondo pre-moderno tracima nei mondi
moderni o post moderni, ad esempio il terrorismo e le immigrazioni, l’Isis produce esportazione del terrorismo.

Inoltre anche il mondo post-moderno contribuisce all’instabilità di quello pre moderno, ad esempio con il
colonialismo.

Siamo sicuri che il mondo post-moderno sia scollegato da quello moderno? Quanto la nostra stabilità e
sicurezza è legata all’ombrello di sicurezza americano? Forse non si fa la guerra tra Paesi europei perché c’è
un attore egemone che lo impedisce. Come si possono collocare gli Stati Uniti? Da un lato fanno parte del
mondo moderno con la politica di potenza classica ma sono anche artefici di una parte del mondo post-
moderno con la creazione di istituzioni internazionali orientate alla cooperazione internazionale.

Quindi questa separazione non tiene, i tre “mondi” si intrecciano e si influenzano reciprocamente.

Conclusioni
I sei modelli mettono in luce due domande fondamentali:

46
Greta G.
1. Gli Stati Nazione rimarranno attori centrali della politica internazionale? Nei primi tre modelli si ritiene di si,
per gli altri no.

2. Continuerà a contare il potere militare? Il modello bipolare, multipolare e dello scontro di civiltà prevedono
di sì, il modello geo-economico e della pace democratica ridimensionano il ruolo della forza militare.

Studi Strategici
È un ambito specialistico della disciplina delle relazioni internazionali, è un settore che è una mezza via tra le
scienze sociali e gli studi militari, il tema fondamentale è quello di studiare il rapporto tra politica e affari
militari. La strategia mette in relazione lo strumento militare con gli scopi politici, ci si chiede quale è lo scopo
della guerra di Putin, quale è lo scopo del rifornimento di armi, e l’appoggio alla resistenza ucraina, quale è lo
scopo degli americani e quello degli europei? Quale è lo scopo della violenza armata? È questo ciò che guida
il percorso della guerra. Il rapporto tra guerra e politica è molto complesso, comprenderlo è importante
sopratutto per i sistemi democratici, perché la dialettica tra guerra e politica è molto più ricca di sfumature
proprio nei regimi dove c’è la scuola aperta, il pluralismo di idee, il tema è delicato perché il rapporto tra
violenza e politica è molto più sensibile all’interno delle democrazie, nelle circostanze attuali ci sono movimenti
di pace molto forti, bisogna fare i conti con una sensibilità maggiore.

Nelle democrazie c’è infatti una discussione animata circa il fatto se sia giusto inviare armi, e se è giusto, in
che misura? La strategia è un’arte sia pratica sia teorica.

È difficile definire esattamente la strategia: indica infatti un ambito complesso più ampio della semplice tattica
militare. Convenzionalmente si possono distinguere tre livelli:

1. Macro: se si pensa alla grande strategia si valutano l’insieme di risorse che non sono soltanto militari, per
proteggersi sia in pace che in guerra, occorre l’empower militare, quello economico, il soft-power, quindi un
insieme di risorse per difendere sia la pace che la propria sicurezza. Nel caso della grande strategia, livello
macro, la componente politica pesa per ⅔ mentre quella militare per ⅓ circa.

2. Intermedio: coincide con il livello operativo (che collega tattica e strategia in relazione ad una specifica area
geografica) ove la componente militare pesa per ⅔ e quella politica per ⅓.

3. Micro: coincide con la tattica ed è esclusivamente di competenza dei militari.

Uno scontro in armi quando c’è la guerra, tocca tutti questi livelli, i quali sono disarmonici tra loro, in quanto
non tutti procedono nella stessa direzione, è uno dei problemi che uno studioso di strategia deve tenere in
considerazione (come collegare i tre livelli in modo che siano in armonia).

I fattori che influenzano una strategia a tutti e tre i livelli sono: la geografia, la storia, la religione, l’ideologia, la
cultura, l’economia, la natura e il sistema politico.

Tutto ciò contribuisce a definire come si elabora una strategia e si concepisce la politica e la guerra.

Questo non è solo materia per militari, anzi spesso molte innovazioni sono giunte da civili.

Gli studi strategici sono una disciplina pragmatica che prende in prestito diverse teorie (realismo, liberalismo,
costruttivismo) tra loro complementari. Ciascuna di queste teorie contribuisce a definire il quadro strategico di
un Paese.

Il pensiero strategico
Tra i primi precursori del pensiero strategico, coloro che hanno pensato cosa è la guerra, come va condotta,
con delle riflessioni generali (senza preoccuparsi troppo del contingente), essi sono: Sun Tzu e Tucidide.

Tucidide: si concentra sulle cause della guerra e sulle sue componenti tattiche e strategiche per capire lo
svolgimento degli eventi, ha osservato direttamente la guerra del Peloponneso.

Sun Tzu: era prevalentemente teorico, voleva fornire un manuale di tattica e strategia per i sovrani del suo
tempo (gli imperatori cinesi).

Entrambi sono i precursori del più classico Clausewitz, con cui ci sono molte affinità.

Sun Tzu (tra 400 e 220 A.C.)


Egli sottolinea l’abilità di vincere una battaglia “senza combatterla”, è un teorico delle guerre brevi, nessuno
trae benefici da una guerra lunga. La sua enfasi è sulla dinamicità della storia e sulla subordinazione della
guerra alla politica (somiglianza con V. Clausewitz), ossia le condotte in guerra sono legate ad una logica
politica e da attori politici, non ai militari. Sottolinea poi l’importanza della psicologia, in particolare
l’importanza di annientare la volontà del nemico (demoralizzare, scoraggiare).

47
Greta G.
La guerra secondo lui non ha una forma definita, utilizza per spiegare il concetto una metafora: come l’acqua
si conforma alla morfologia del terreno, ossia assorbe dal contesto in cui si sviluppa le sue forme anche la
guerra fa la stessa cosa (la tecnologia del tempo, la forma politica, la geografia, l’economia, l’ideologia). Ad
esempio l’esercito di massa, basato sulla leva obbligatoria, è un fenomeno recentissimo, legato alla rivoluzione
francese, è stato possibile grazie ad un fenomeno politico, la nascita dello Stato Nazione, prima gli eserciti
erano prevalentemente composti da mercenari. Vi è anche la motivazione ideologica, c’era un’identificazione
del popolo con le mire e le ambizioni dello Stato.

Altro tema di Sun Tzu è che per prevalere lo Stato deve far ricorso a tutte le sue forze, non basta solo la forza
militare perché senza ad esempio una buona economia non basterebbe, la forza deve essere usata con
discernimento, solo come soluzione finale.

Conclusioni essenziali:
- le capacità intellettuali e la forza morale sono fondamentali;

- l’unità della nazione è essenziale per la vittoria;

- l’obiettivo primario è la “mente del comandante nemico” (la volontà di combattere);

- la guerra è fondata sull’inganno e non c’è nessun vantaggio da una guerra prolungata;

- il comandante militare deve saper riconoscere quando attaccare o ritirarsi;

- la forza militare deve essere l’ultima ratio (solo uno dei possibili strumenti);

- l’indispensabilità di buone finanze;

- la vittoria è un concetto flessibile (di misura o trionfo) e da ciò dipende il “dopo”.

Tucidide
Altro grande precursore, generale e storico militare (ha esaminato la guerra del Peloponneso). Descrive la
guerra raccogliendo testimonianze da entrambe le parti (tra il 424 e il 396 A.C.).

A lui si deve la distinzione (ancora oggi usata) tra cause immediate (quelle annunciate dalle parti) e profonde,
ad esempio la causa profonda della guerra del Peloponneso è stata la paura di Sparta verso Atene, Sparta
prima che Atene prendesse il sopravvento definitivo creò una coalizione preventiva per difendere l’assetto
policentrico della penisola greca (dilemma della sicurezza che porta a formare una coalizione per scopi
preventivi).

L’analisi di Tucidide presenta sia fattori strutturali (sistema politico, innovazioni tecnologiche ecc.) sia elementi
processuali, cioè come la guerra modifica il suo andamento in base alle tecniche utilizzate sul momento, infatti
la guerra del Peloponneso si configura come una guerra che ha diversi percorsi, inizia in un modo per poi
arrivare ad una nuova forma di guerra (con più confronto diretto tra gli eserciti).

Per Tucidide la guerra del Peloponneso è molto interessante perché è un modello di conflitto: da un lato c’è
una potenza terrestre, dall’altro una navale, una fondata sull’oligarchia agraria, l’altra sulla democrazia
commerciale finanziaria, Sparta è ascetica e dedita all’arte militare, Atene è dotta e ricca.

Il conflitto cambia le regole della guerra e trasforma le società della Grecia classica, ci sono diverse fasi della
guerra: si passa dalla guerra indiretta alle battaglie campali, anche perché con quella indiretta non si arrivò ad
una conclusione, durò infatti 27 anni. La guerra termina con la sconfitta di Atene.

Perché Atene perde anche se aveva le “carte” migliori:

1. Il ruolo del caso, in particolare la morte del condottiero ateniese Pericle.

2. Errori strategici: il primo fu la spedizione contro Siracusa (che non era in guerra), l’errore è stato quindi di
aprire un altro fronte (errore che ripeterà Hitler con il fronte orientale) e affidare la spedizione a tre generali
(violazione del principio dell’unità di comando), questo perché non c’è stata più coordinazione.

Machiavelli
Egli segna il passaggio all’età moderna dopo il Medioevo, nel Medioevo la guerra era lo strumento delle
autorità divine, spesso condizionate dall’autorità religiosa (guerre sante, giuste) oppure era un mezzo di
conquista o arricchimento personale di principi e feudatari (non vi era lo Stato nazione).

Nel Rinascimento iniziano ad affiorare le prime forme statali moderne, prima in Italia, poi in Europa. Nel
Rinascimento, cambiando gli attori, riemerge il carattere politico delle guerre, come Sun Tzu anche Machiavelli
ribadisce il primato della politica rispetto alla guerra e getta le basi del pensiero strategico moderno.

Uno degli aspetti strategici è che gli eserciti di mercenari non sono più affidabili, perché manca la motivazione,
il legame con la leadership politica, questi combattono per soldi, hanno meno motivazioni, quindi un esercito
di mercenari non può essere così compatto come può invece esserlo un esercito di coscritti, ossia di milizie
cittadine, sente di appartenere ad una missione.

Machiavelli insiste sulla disciplina e sull’addestramento, quindi gli eserciti devono essere organizzati (su una
precisa base gerarchica), ma si può fare solo con un esercito di coscritti.

48
Greta G.
Nel Principe e nei Discorsi l’analisi della guerra prosegue, come Tucidide sottolinea il ruolo della fortuna,
combinata con la virtù (l’abilità), occorre ridurre l’impatto della fortuna/caso cercando di dotarsi di leader avidi,
capaci di affrontare gli imprevisti.

Altro elemento è l’importanza dello “scontro decisivo” per risolvere la guerra, ad esempio la Battaglia di
Stalingrado nella seconda guerra mondiale, che decise l’esito della guerra. In generale dopo Machiavelli si
afferma il metodo scientifico per analizzare la guerra, non solo in modo descrittivo ma anche analitico.

Napoleone
Ha teorizzato alcuni aspetti, mettendoli anche in pratica, ad esempio la flessibilità, era un maestro del piano
alternativo, sapeva adattare strategia e tattica alle circostanze. Inoltre sfruttava il nazionalismo (dopo la
rivoluzione) come strumento motivazionale per la leva di massa, gli eserciti assunsero dimensioni enormi.

Sul piano tattico inventò l’unità interforze (integrazione di fanteria, cavalleria, artiglieria) questo richiede una
capacità di comando e controllo più avanzate.

Spazio e tempo sono fattori cruciali: la guerra è questione di esecuzione, era un maestro in questo senso.

Altri insegnamenti di Napoleone sono l’importanza della concentrazione e dello scontro decisivo, cioè
concentrare una forza enorme in punti strategici e sopratutto nello scontro decisivo. Era un fautore della
preferenza dell’attacco rispetto alla difesa (differenza con Sun Tzu), considerava mantenere l’iniziativa e
cogliere il nemico impreparato come un fattore fondamentale per il successo militare; in effetti l’attacco se non
è rapido e subito vincente espone e logora di più rispetto ad una guerra difensiva.

Uno dei limiti di Napoleone (uno degli errori che Clausewitz, Machiavelli e Tucidide sottolineano) è che riunisce
in sé comandante supremo e capo dello Stato, manca la dialettica tra componente civile e militare, questo
elemento spesso porta ad errori di valutazione, la guerra non viene guidata da una sufficiente sapienza politica
perché prevale l’aspetto prettamente militare, se si privilegia l’elemento militare la guida politica è più carente e
meno lucida, le due figure devono essere distinte.

Il pensiero di Clausewitz seguaci e critici


Tutta l’elaborazione intellettuale di Von Clausewitz è una riflessione stimolata dalle vicende politiche e militari
susseguenti alla rivoluzione francese e quindi alle guerre napoleoniche. Era un conservatore ed era spaventato
dal fatto che il popolo diventasse protagonista della guerra, secondo lui l’esercito del popolo libera forze
incontrollabili, il ché implica ciò che poi è successo, ossia rischi di sovvertimento rivoluzionario.

Lo scopo di Clausewitz era capire come contenere queste nuove energie che potevano uscire e diventare
incontrollabili e come convogliare queste forze/energie all’interno dell’ordine costituito, Von Clausewitz si fa
autore del mito di riforme sociali che si accompagnano a quelle militari, ad esempio garantendo i diritti minimi
della cittadinanza, riforme tali da canalizzare il popolo, renderlo protagonista delle vicende politiche e militari
degli Stati.

Il Trattato della guerra è un’opera incompiuta con l’ambizione di elaborare una teoria universale della guerra
(non è solo un manuale), la premessa generale dell’opera è la famosa frase “la guerra non è nient’altro che la
continuazione della politica con altri mezzi”, la politica è intelligenza, la guerra lo strumento. Il principe-
condottiero deve essere capace di mantenere la proporzione tra scopo politico, obiettivo militare e risorse
disponibili.

Anche Von Clausewitz usa una metafora per descrivere cosa è la guerra: è un duello ingrandito, una coalizione
di forze vive, uno scambio monetario, un gioco. La guerra è un fenomeno sociale che assorbe dai contesti
ambientali la sua morfologia, è la stessa idea di Sun Tzu.

L’unità concettuale dell’opera di Clausewitz è assicurata da due relazioni dialettiche:

A) Riguarda la relazione tra forma assoluta e forma reale della guerra, ossia la guerra assoluta è un concetto
limite, il conflitto in sé è portato ad estreme conseguenze con un escalation non frenata, la guerra di per sé
porta ad un escalation infinita. Solo la politica e la sua leadership determinano gli obiettivi da raggiunge e
le risorse da investire, quantificando la misura dello sforzo bellico, questa è la guerra reale, che quasi mai
assume la forma della guerra assoluta, perché è pilotata, disciplinata da obiettivi politici; talvolta nel mondo
reale assume però una forma assoluta, ad esempio Napoleone fece una guerra assoluta, senza limiti.
Persino Hitler aveva degli obiettivi politici ben precisi, ossia ridefinire le sfere di influenza.


Quindi la guerra reale solitamente è subordinata alla politica, la guerra ha una sua grammatica (si sa come
combattere), ma non una propria logica (perché si fa una guerra, questo lo stabilisce la politica).

Secondo lui infatti non bisogna iniziare nessuna guerra senza sapere che cosa con essa e in essa si voglia
raggiungere: la sua efficacia dipende dalla rapidità e dalla giusta misura di violenza richiesta per portare
una situazione a proprio vantaggio.

49
Greta G.

B) La relazione dialettica che lega le relazioni tra violenza, chance e probabilità e ragione, sono tre elementi
costanti della guerra secondo lui. L’elemento che egli aggiunge è che li collega in un duplice modo, da un lato
li collega a dei fattori precisi, la violenza è legata all’impulso naturale, le chance si collegano alla libera attività
dello spirito (alla creatività), la ragione si collegherebbe allo strumento politico.

Clausewitz adibisce a ciascuno strumento specifico della società questi tre elementi, la violenza sarebbe in
carico al popolo, le chance/probabilità è una dote che si può attribuire ai comandanti militari, la ragione è
attribuibile al governo, ciascun elemento della società ha delle caratteristiche collegabili ai tre elementi della
guerra.

È compito del governo incanalare le energie psichiche nella politica razionale, che l’esercito realizza
materialmente.

Clausewitz sviluppa poi alcune categorie concettuali e descrizioni analitiche per interpretare i fenomeni e i loro
collegamenti:

- Frizione: affrontare gli imprevisti tramite pianificazione e organizzazione.

- Genio: originalità e creatività, sorrette anche da ancoraggio, energia, fermezza ecc.

- Forza di gravità: concentrazione su un punto nevralgico del nemico, ossia che se colpito può provocare un
collasso, ad esempio la conquista di una capitale.

- Popolarità: rapporto tra attacco e difesa, quest’ultima è preferibile.

Seguaci di Clausewitz
Moltke, generale artefice della vittoria su Austria e Francia.

Altri allievi inaspettati sono stati i Marxisti che hanno studiato lui e le sue idee per concepirle a loro vantaggio,
per i marxisti la guerra è intrinseca alla rivoluzione, è inevitabile; dopo il fallimento del 1848 Marx ed Engels
sostengono che la rivoluzione non può che essere internazionale e deve sviluppare capacità militari, studiano
anche la guerra civile americana come esempio di moderna guerra industriale.

Questa tradizione poi si rafforza ulteriormente con coloro che vengono dopo Marx ed Engels, ossia Lenin che
ha una concezione militare della politica; in seguito Mao, Che Guevara, Ho Chin Min (ruolo della guerriglia).

Critici
Il più importante, un classico, è de De Jomini, lui ha una teoria meccanica della guerra, non biologica o
sociologica, è come un meccanismo che segue regole invarianti a differenza ad esempio di Sun Tzu o
Clausewitz che avevano una visione mutevole della guerra, per loro la guerra assume le caratteristiche del
terreno in cui si forma, per lui sono dettagli che non contribuiscono a modificare l’essenza della guerra che
invece seguirebbe linee costanti di funzionamento, il suo obiettivo è predisporre un manuale basato su leggi e
prescrizioni universali e invarianti, la guerra è uguale dappertutto, non importa dove si verifica o quando, segue
leggi e logiche universali e costanti.

Elementi basilare della teoria:

- La strategia la chiave della guerra.

- È controllata da principi scientifici invarianti, che non cambiano nel tempo.

- Questi prescrivono l’azione offensiva che va concentrata sui punti decisivi dell’avversario (è un eco di
Napoleone, sono fautori dell’azione offensiva).

- Intende codificare i principi rendendo fruibili ed accessibili questi principi.

Anche la sua opera si intitola “Arte della guerra”, non solo individua dei principi immutabili della guerra, ma
intende anche codificarli per rendere il loro apprendimento accessibile.

Il suo approccio è geometrico: segreto per comprendere la guerra è lo studio delle linee di operazione. Queste
possono essere naturali (morfologia del terreno) e di scelta strategica (dove e quando combattere):

- Studiando la disposizione delle truppe, il terreno e le linee di comunicazione che collegano le forze in campo
alle loro basi di partenza è possibile stabilire esattamente quali mosse corrette da fare e quali non.

- La politica non è una variabile, ma una costante, una volta avviata una guerra non c’è spazio per
considerazioni politiche.

Altri critici sono quelli che, a differenza di De Jomini, criticano un’alto aspetto della teoria di Von Clausewitz: il
trilatero, secondo molti autori il trilatero di Clausewitz (i tre elementi violenza, caso e ragione) non sarebbero
sempre e costantemente presenti, ma una caratteristica solo delle guerra moderne, dalla pace di Westfalia alla
seconda guerra mondiale, cioè sono presenti ma non universali della guerra, sono caratterizzanti di un certo
periodo storico (quello dello Stato moderno).

Alcuni sostengono che le guerre contemporanee hanno visto declinare il ruolo della razionalità politica, dello
Stato, sopratutto nelle guerre civili, per cui l’elemento politico verrebbe meno, rimarrebbero gli altri due
(violenza e caso). Soprattutto le guerre tribali ed etniche di questa fase storica (Ruanda, Somalia, Iraq) queste

50
Greta G.
guerre secondo questi studiosi non potrebbero essere inquadrate nello schema trilaterale, perché manca
l’elemento dello Stato e del governo, sono guerre civili spesso fatte da milizie, gruppi terroristici (gruppi non
statali).

Guerre industriali e guerre tra la gente


Il punto di partenza delle guerre contemporanee è quello delle guerre napoleoniche (è il punto di partenza che
poi ha influenzato quelle successive) anche se durante queste la visione strategica di Napoleone non si è
completamente realizzata in quanto mancavano i presupposti tecnologici, anche se dal punto di vista della
dottrina aveva già cercato di anticipare evoluzioni che si sarebbero affermate nel corso delle guerre industriali
di fine ‘800 e della prima metà del ‘900. L’idea di Napoleone era quella di organizzare un esercito basato su un
decentramento, autonomia decisionale e organizzazione in base al compito. La sua idea era di affidare a
ufficiali e sotto-ufficiali (sulla base di una grande preparazione) una forte autonomia che rendeva flessibili le
azioni e quindi vincibili, se non si è flessibili si rischia di essere penalizzati.

Le guerre nell’età industriale sono state condizionate da importantissime innovazioni tecnologiche, le prime
sono state l’introduzione della mitragliatrice, della ferrovia e del telegrafo, che modificano la visione dello
spazio e del tempo. La mitragliatrice cambia completamente il rapporto tra offesa e difesa, nella prima guerra
mondiale lo stallo fu dovuto a questo, la mitragliatrice rendeva quasi inutili gli assalti alle armi bianche.

La seconda tappa, che coincide con l’espansione degli imperi coloniali europei è legata al motore a scoppio,
allo sviluppo della chimica moderna e dell’energia elettrica, che comportano un aumento esponenziale della
mobilità, rispetto già alle invenzioni precedenti e della potenza di fuoco, lo squilibrio tra eserciti europei e non
diventa drammatico.

Le guerre coloniali hanno di fatto consentito agli europei di sperimentare le tecniche e le tattiche di guerra che
poi sono state utilizzate nelle guerre interstatali europee, la prima guerra industriale dove emerse la
mitragliatrice con un largo uso è stata la guerra civile americana, oltre ad essa compare in modo massiccio
anche la ferrovia, si avvantaggiò il Nord perché aveva da questo punto di vista un vantaggio industriale, per la
prima volta la tecnologia in questa guerra mette a disposizione armi potenti e mezzi di trasporto e
comunicazione di ampio raggio, la guerra civile americana fece più morti, tra gli americani, delle due guerre
mondiali.

Le guerre tedesche apprendono la lezione della guerra civile americana e l’unificazione tedesca da parte della
Prussia fa tesoro di questa esperienza; Von Moltke (allievo di Clausewitz) riforma lo Stato Maggiore adottando
un nuovo sistema di formazione e selezione, basato sullo sviluppo cognitivo ossia delle capacità intellettuali e
disegna un modello organizzativo flessibile ed informale, contrariamente al luogo comune che vede i prussiani
legati ad una disciplina ferrea, questa premiava invece l’iniziativa e la ricerca di soluzioni più che l’esecuzione
acritica degli ordini, il modello prussiano si basava su una delega, autonomia.

Dopo l’unificazione tedesca questo tipo di modalità viene esteso a tutto l’esercito tedesco (non più solo alla
Prussia). Lo Stato tedesco aveva una pianificazione elaborata dallo Stato Maggiore, non si può non pianificare
un’operazione militare, ma all’interno di questo piano generale, il combattimento viene lasciato all’iniziativa dei
comandanti sul campo, quindi è necessario un addestramento alle capacità individuali ed instaurare una
fiducia nei propri mezzi (quindi bisogna anche responsabilizzare gli ufficiali sul campo).

La prima grande guerra industriale è la prima guerra mondiale (quelle tedesche erano regionali), è una guerra
totale perché ogni aspetto della società viene mobilitato per una guerra senza limiti e si avvicina al paradigma
della guerra assoluta di Clausewitz, durò oltre 4 anni nel corso dei quali cambia i suoi connotati, perché per
uscire da un vicolo cieco, ossia da una guerra d’attrito che non dava esiti definitivi, nelle ultime fasi della
guerra si anticipano sviluppi che saranno propri della seconda guerra mondiale, cioè emergono mezzi e
tattiche che troveranno piena attuazione nella seconda guerra mondiale, quindi inizia in un modo e finisce in un
altro.

Dopo tale guerra non sarà più ipotizzabile e realizzabile una manovra di avvolgimento per colpire i fianchi
come era tipico delle guerre precedenti, perché gli eserciti diventano talmente grandi da impedire tali manovre
di avvolgimento o di presa alle spalle, gli stalli che si verificano perché non si esce a compiere la manovra,
diventano circostanze in cui si verificano massacri indicibili (la cosiddetta guerra di trincea). Tutto ciò non era
previsto, gli Stati maggiori non avevano previsto tale esisto, la mitragliatrice rendeva ben difendibili tutti i
fianchi di un esercito. Si iniziarono ad intravedere nuove modalità per evitare questo tipo di situazione, questo
corrisponde ad una svolta dottrinale, ciò rese possibile la cosiddetta guerra tridimensionale, quella per cui
non si cerca più di battere il nemico in una battaglia di attrito lungo tutto il fronte, ma sfruttando un eventuale
successo locale, in un punto specifico, per penetrare in profondità.

La combinazione di fuoco e manovra (quindi velocità e potenza di fuoco) possono colpire la coesione del
nemico, la volontà di resistere.

Per sviluppare questo tipo di strategia tridimensionale è necessaria anche l’intelligence, per sapere dove il
nemico può essere più attaccabile in questa manovra rapida occorre avere un sistema di intelligence affidabile.

51
Greta G.
In questa guerra gli ucraini, grazie agli Stati Uniti e al sistema satellitare, sono riusciti, pur essendo inferiori, a
colpire in modo preciso tutti i punti nevralgici dell’esercito russo.

Il paradosso di questa strategia è che è stata elaborata da studiosi inglesi, come Fuller e Hart, ma è stata poi
realizzata dai tedeschi. Gli inglesi consegnano ai tedeschi una dottrina che utilizzeranno anche contro di loro
(prima contro i francesi che sbaragliarono).

I tedeschi anche in questa guerra lasciano grande autonomia sul campo agli ufficiali, cosa che invece non
fanno i francesi, essi sono contraddistinti da un certo immobilismo e una dottrina fortemente gerarchica.

Guerre tra la gente


Tutto questo ha una fine dopo la seconda guerra mondiale (a parte alcuni episodi forse nella Guerra del Golfo)
la gran parte dei conflitti dopo la seconda guerra mondiale erano guerre tra la gente, è un conflitto
caratterizzato da indeterminatezza e complessità, gli aspetti politici, militari e culturali, appaiono fortemente
interconnessi, la soluzione di questi conflitti è più difficile da trovare perché non si sa in quale dimensione tra
queste trovarla. La guerra si esplica non più in uno spazio fisico e mediatico confinato, ma ovunque.

I civili sono vittime non casuali, possono diventare un’arma vera e propria (ad es: per scopi logistici, per guerra
ideologica ecc).

Un altro aspetto è l’asimmetria che comporta differenze di comportamenti, di metodi, di mezzi, di valori e
strutture organizzative, spesso nelle guerre tra la gente il conflitto è tra uno Stato e attori non statali, movimenti
irregolari come Taliban o Hetzbollah o contro organizzazioni reticolari come Al Qaeda, quindi le guerre non
sono tra due o più Stati che hanno bandiere, divise, stemmi riconoscibili, ma spesso ci sono attori che si
camuffano, non hanno divise e spesso non hanno confini ben precisi. Questo determina una differenza anche
di tattiche mentre l’esercito regolare utilizza strategie e tattiche tipiche delle guerre convenzionali, gli attori non
statali utilizzano altre tattiche e strategie, ad esempio terrorismo e guerriglia, è anche un tipo di comunicazione
e di risorse simboliche diverse rispetto agli attori convenzionali.

Le guerre tra la gente sono anche quelle civili (solo tra attori non governativi) ad esempio quella in Ruanda,
quindi tra fazioni tribali/etniche/religiose, hanno un carattere di indeterminatezza e complessità, è anche
difficile trovare una soluzione, quelle convenzionali sono più facili da concludere, una volta che viene sconfitto
l’esercito si concludono, queste sono spesso endemiche, non si capisce bene quale è la loro fine, si può avere
una diminuzione della conflittualità ma spesso riemerge, non è chiaro come farle finire definitivamente.

L’altra faccia delle guerre tra la gente implica un’ulteriore uso delle forze in modo non tradizionale, questa volta
legato agli Stati, si tratta delle operazioni spesso indicate con “peace keeping” spesso promosse dall’ONU ma
non solo, anche dalla NATO o da organizzazioni regionali come l’Unione europea; quindi le guerre tra le genti
implicano un intervento istituzionale adeguato a fronteggiare queste nuove guerre. Perciò dopo la seconda
guerra mondiale oltre che alle guerre tra le genti nascono anche le operazioni di pace legate a queste nuove
guerre.

Le operazioni di pace non sono tutte uguali, c’è una sorta di gradazione a salire, quelle meno ambiziose e
problematiche sono quelle diplomatiche; ci sono poi operazioni di peace making, ossia il tentativo di
interrompere un conflitto per via esclusivamente diplomatica; ci sono poi operazioni di vero e proprio peace
keeping che si traducono nell’intervento di forze di interposizione militare (i caschi blu); ci sono poi tipi di
operazioni ancora più ambiziose, non si limitano ad intervenire dopo un accordo politico garantendo con le
forze di interposizione una tregua, le Nazioni Unite, o altre iniziative multilaterali, possono addirittura (come ha
fatto la NATO nei Balcani) intervenire con la forza, per imporre con la forza una tregua e la cessazione delle
ostilità, anche militarmente colpendo gli attori che agiscono attivamente nel conflitto. Salendo ancora nella
scala vi è il peace building, riguarda la costruzione dopo la fine delle ostilità di condizioni per rendere la pace
stabile, fare questo vuol dire ricostruire le istituzioni politiche, il tessuto economico, le infrastrutture fisiche
danneggiate, è molto difficile costruire queste condizioni. L’ultimo tassello riguarda le operazioni umanitarie
che sono circoscritte, in occasione di carestie, eventi come terremoti, alluvioni, o in caso di violazioni gravi dei
diritti umani.

In relazione a queste operazioni sono emerse delle criticità, un primo elemento è la lentezza nell’arrivo delle
forze militari, spesso non c’è tempestività; lentezza anche nello schieramento delle forze civili; un elemento
che affligge sistematicamente è la disomogeneità delle unità militari. C’è poi la dipendenza delle Nazioni Unite
da finanziamenti volontari, ma non sempre gli Stati sono disponibili; vi è poi il contrasto tra ambizioni e risorse;
ulteriore elemento è il ritiro dopo le prime elezioni democratiche (spesso i problemi sorgono proprio dopo le
elezioni).

Riguardo poi lo specifico compito del Peace Building emergono problemi rilevanti che vanno però affrontati,
spesso le missioni di peace keeping non sono strutturate adeguatamente per fermare lo scontro militare e
garantire il peace building: occorrono reparti logistici, servizi sanitari, polizia militare e non tutti i Paesi riescono
a fornire queste competenze. Una delle difficoltà dei marines sul campo è di non riuscire ad esercitare funzioni
di polizia (a differenza dei nostri carabinieri).

52
Greta G.
Nell'evoluzione del Peace Keeping moderno lo strumento militare è solo una delle componenti, talvolta
nemmeno la più rilevante, è quindi importante sviluppare questa capacità delle unità operative nell'interagire
da pari a pari con tutta una serie di attori istituzionali e non, che non sono militari ma: autorità locali (es:
sindaci), operatori internazionali, associazioni caritatevoli, popolazioni locali.

Per la prima volta gli eserciti si confrontano non con nemici, ma con una serie di problemi complessi:
operazioni militari ancillari di altre attività di natura politica e umanitaria.

Il Peace Keeping viene percepito spesso negativamente dai militari (enfasi sul «warfare»): convivenza e
coordinamento con i civili non è facile.

53

Potrebbero piacerti anche