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2.4.4 I tipi di esperimento: esperimento di laboratorio, quasi – esperimento sul campo e quasi – esperimento
naturale
Esperimento di laboratorio = inapplicabile in molti ambiti della ricerca sociale per ragioni etiche e
metodologiche. Per questo, nella ricerca sociale, si abbandona il laboratorio e si conduce l’esperimento su
campo, denominato quasi – esperimento.
Quasi – esperimento sul campo = il ricercatore manipola la variabile indipendente (il trattamento), ma non
esercita pieno controllo sulle variabili terze.
Quasi – esperimento naturale = viene meno controllo delle variabili terze e la manipolazione della variabile
indipendente. A questa fattispecie possiamo ricondurre l’osservazione. La misurazione dell’effetto richiede
informazioni disponibili sul prima e poi. Si tratta dunque di una procedura osservativa in registro causale.
Ci sono almeno 4 motivi per ricorrere all’analisi secondaria: -ridurre i costi della ricerca; -ridurre costi
soprattutto in caso di ricerca di ampia portata, -accresce la qualità della ricerca, poiché le procedure di
operativizzazione sono considerate più affidabili; -più ricercatori conducono la ricerca impiegando le stesse
definizioni operative, dunque i risultati sono considerati comparabili.
4.3.1 Indici additivi e indici tipologici
Gli indicatori possono essere combinati per costruire un indice mediante due procedure: procedure
matematiche e procedure logiche. L’esempio che rappresentiamo deriva dal lavoro di Goldthorpe presentati
precedentemente. I ricercatori dividono il concetto di stress lavorativo in due dimensioni: la prima legata alla
componente fisica (S1) e la seconda alla componente psichica (S2). Le due sono state operativizzate
mediante domande (Il lavoro che svolge è fisicamente stressante? Il lavoro che svolge è snervante?), a cui
sono state individuate 5 modalità di risposta a cui sono stati assegnati valori numerici da 1 a 5 (da “molto” a
“per nulla”). Così facendo, ogni indicatore è stato trasformato in una variabile a 5 valori. Le due misure di
stress possono essere combinate in modo da ottenere un indice che misuri il concetto complesso di stress
lavorativo (SL) semplicemente sommandole. SL = a1·S1 + a2·S2. L’indice ottenuto prende il nome di indice
additivo. I valori a1 e a2 indicano il rispettivo “peso” delle due componenti. Se il valore è 1 per entrambe le
componenti, si parla di un indice additivo non pesato. Se, invece, le due componenti assumono valori diversi
(es. stabiliamo che lo stress emotivo valga il doppio di quello fisico), parliamo di un indice additivo pesato.
Il limite è che l’indice additivo identifica in modo accurato solo le posizioni estreme. Quando la somma che
si ottiene è, per esempio, uguale a 6, non è possibile stabilire in che modo si sia giunti a tale valore (alto
livello di stress fisico ma basso di stress emotivo? Viceversa? Livelli medi di entrambi?). Limiti del genere si
risolvono passando da un indice additivo ad uno tipologico. Ad esso, si giunge riclassificando i livelli di
stress in 2 soli livelli invece che 5. In questo modo, diventa più agevole costruire una tipologia, che distingue
tra quattro tipi di stress di lavoro (+S1, - S2; +S1 +S2; -S1 –S2; -S1; +S2)1.
4.4.1 Questioni critiche: l’invarianza dello stimolo e l’affidabilità del comportamento verbale
1
Con il segno “+” sto indicando ALTI livelli di stress, con il segno “-“ indico invece BASSI livelli di stress. Ciò è possibile
dal momento che abbiamo ridotto i livelli di stress da 5 a 2, riducendo le modalità di “molto”, “abbastanza”, etc. a 2
modalità: “alto” e “basso”.
I problemi fondamentali che emergono nell’inchiesta campionaria sono essenzialmente due: la questione
dell’invarianza dello stimolo e quella dell’affidabilità del comportamento verbale.
La prima riguarda il fatto che nell’inchiesta campionaria le risposte vengono ritenute comparabili per il
motivo che gli intervistati sono stati sottoposti tutti alle stesse domande ed in situazioni di intervista
uniformi. In realtà, però, la stessa domanda può avere significati diversi a seconda dell’intervistato, a causa
del diverso bagaglio culturale ed esperienza personale. Per uscire dall’impasse, si può utilizzare l’intervista
discorsiva, che si focalizza sull’individualità del soggetto, invece di osservare l’uniformità tra individui.
L’inchiesta campionaria è però pur sempre l’unica tecnica che consente di rispondere a determinate domande
conoscitive. Il secondo problema riguarda l’affidabilità del comportamento verbale, inteso come mezzo per
indagare la realtà sociale. Gli intervistati sono influenzati, per esempio, dalla “desiderabilità sociale” = la
valutazione, socialmente condivisa, che in una certa cultura viene data ad un certo atteggiamento o
comportamento individuale. Si ha a che fare con ciò che le persone reputano giusto o sbagliato e
sull’immagine che si vuole dare di sé. Un elemento che si rimanda all’affidabilità è quello della non-attitude,
ossia l’assenza di opinioni riguardo alla domanda amministrata. Gli intervistati, percependo il questionario
come una sorta di test, non accettano/ammettono di non saper rispondere e, piuttosto, forniscono una risposta
casuale.
2
Il disegno caso-controllo trova solitamente applicazione negli studi epidemiologici, in cui l’ipotesi riguarda la
relazione tra l’esposizione ad uno specifico fattore di rischio (es. fumo di sigaretta) e l’incidenza di una patologia (es.
carcinoma polmonare). I casi sono reclutati tra soggetti affetti dalla patologia.
individuo una “rottura biografica”, un “naufragio”. La narrazione diventa lo strumento principe per risalire
alla ricostruzione del sé. Ciò è in linea con la definizione di identità come pratica discorsiva. La rilevanza
delle narrazioni del male mentale è difesa dai risultati di due studi: inchiesta campionaria dell’European
Study of the Epidemiology of Mental Disorders e uno studio di comunità condotto a Sesto Fiorentino.
Entrambi riportano che tra il 20 e 25% della popolazione abbia sofferto almeno una volta nella vita di un
disturbo psichico più o meno severo.
5.3.3 L’analisi
L’analisi della documentazione empirica è fatta da un insieme di operazioni intellettuali, per articolare le
risposte alle domande cognitive. L’analisi si basa su una lettura metodica delle interviste. I testi vengono
inscritti dall’analisi all’interno di una cornice teorica, che si produce in contemporanea con la lettura. Spesso
l’analisi coincide con la creazione di tipologie o tassonomie, con esigenze descrittive o esplicative. Si può
procedere in vari modi, ma noi vedremo gli elementi comuni alle procedure. Consideriamo principi generali:
-le interviste richiedono di essere interpretate, non parlano da sé
-l’analisi deve prestare attenzione ad almeno tre aspetti: che cosa viene detto (analisi tematica); come viene
detto (analisi strutturale) ed interazione tra intervistatore ed intervistato
-i risultati dell’analisi devono avere resa narrativa, assumere la forma di un discorso
La prima questione riguarda la strategia di lettura dei testi delle interviste. Ciascuna intervista definisce
alcuni attributi formali (determinato modello argomentativo) ed altri sostantivi (determinato contenuto). Le
proprietà attribuite al testo non sono autonome da esso: ciascuna intervista equivale ad un insieme di
proprietà che può variare da un testo all’altro. L’analisi prevede quindi inizialmente la qualificazione di
ciascuna intervista presa da sé.
I testi si prestano a due tipi di lettura complementari: contenuti e forma. Forma = struttura argomentativa,
modalità impiegate per persuadere l’intervistatore. La connotazione dei colloqui in base alla forma si può
avvalere di categorie sviluppate nell’ambito della teoria dell’argomentazione, di modelli analitici sociologici
modelli narratologici. Su tale piano si può inoltre osservare le modalità d’impiego delle parole.
La connotazione dei contenuti costituisce il cuore del lavoro. Le procedure con questo scopo vengono
raggruppate in informali e formalizzate. Le prime sono quelle che valorizzano la competenza teorica del
ricercatore. Si tratta di procedure basate su una forma sofisticata di bricolage e possono consegnare
interpretazioni rilevanti. Il limite è la difficoltà di dar conto in modo puntuale ed analitico dei principi e
procedure che sorreggono l’analisi, poiché si avvalgono della conoscenza tacita del ricercatore. Comunque,
tutte le operazioni rilevanti vengono accompagnate da un resoconto riflessivo. Tra le procedure formalizzate,
invece, distinzione rilevante va attuata tra procedure basate su uno specifico modello semiotico del discorso e
quelle basate su un insieme di principi metodologici alla guida delle analisi. La prima categoria è
rappresentata dall’analisi strutturale delle narrazioni, sul modello semiotico di Greimas. La seconda categoria
è illustrata nella proposta metodologica di Glaser e Straus, la grounded theory = procedura che disciplina con
principi il processo di costruzione della cornice teorica in cui si inscrive la documentazione empirica. La
procedura si basa su “comparazione costante”. A ciò si lega un percorso di lettura e qualificazione dei
materiali empirici: la codifica. Essa si compone di tre passi: codifica “aperta”, “assiale” e “selettiva”, nella
quale i materiali empirici vengono inscritti in un quadro teorico di livello crescente di generalità. La codifica
aperta assegna ai diversi brani dell’intervista dei codici = proprietà che li connotano in un registro simile a
quello usato dagli intervistati. La codifica assiale classifica i codici attribuiti attraverso un processo di
aggregazione e dissezione delle categorie assegnate. La codifica selettiva estrae dai materiali codificati
assialmente una o alcune categorie teoriche cui i tratti salienti dei discorsi possono essere ricondotti.
A prescindere dal fatto che la procedura sia informale o formalizzata, le operazioni sono tre:
caratterizzazione di ogni intervista; comparazione tra interviste; classificazione in tipologia o tassonomia. La
comparazione vuole individuare affinità e differenze tra i testi, delineando la cornice teorica. Con la
comparazione, vengono individuate le proprietà, i tratti costitutivi dei “generi” cui i “testi” possono essere
ricondotti. Attraverso la comparazione tra testi è possibile delineare i contorni dello spazio semantico che
racchiude i testi. La segmentazione di questo spazio è l’ultima operazione da svolgere.
La forma di classificazione più appropriata ai materiali di intervista mette a capo tipi ideali, definiti secondo
la lezione weberiana. Tipo ideale per Weber = il concetto tipico-ideale non è un’ipotesi, ma indica la
direzione all’elaborazione dell’ipotesi. È ottenuto attraverso l’accentuazione di uno o più punti di vista e
mediante la connessione di una quantità di fenomeni particolari esistenti qui in maggiore e qui in minore
misura. Nella purezza concettuale questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente nella realtà.
Queste considerazioni portano ad un importante nodo teorico: si tratta di definire la natura della funzione di
appartenenza che lega ciascuna intervista al tipo ideale cui fa capo. La soluzione più diffusa è l’impiego di
una funzione di appartenenza dicotomica a due valori: appartenenza versus non-appartenenza. Non sempre
questa soluzione è adeguata, poiché alcuni testi presentano tratti di più di un genere, più di un tipo ideale. Di
tutte queste particolarità empiriche si può dar conto con l’appartenenza fuzzy, con la quale l’appartenenza dei
testi a uno o più tipi è espressa da una funzione continua i cui valori sono compresi tra 0 e 1. Questa funzione
non esprime solo appartenenza, ma anche intensità di appartenenza del testo rispetto al tipo ideale.
Rimane sempre e comunque la necessità di dar conto delle scelte di metodo adottate nel resoconto redatto per
comunicare i risultati, legando all’analisi la giustificazione.
Sul piano operativo, la conduzione dell’analisi può giovarsi di una preliminare “miniaturizzazione” del
corpus testuale, processo che consente di governare l’insieme dei materiali empirici. Lo si fa mediante un
riassunto tematico o un record biografico. Il riassunto tematico passa attraverso tre fasi: lettura critica del
corpus testuale, individuazione di categorie analitiche pertinenti e stesura di un riassunto tematico. Altro
modo utile è la riorganizzazione dei discorsi raccolti in una tabella.
6.1 La ricerca
La prima ricerca che presentiamo è quella che riguarda un capitolo redatto da Antonella Meo, condotta a
Torino nelle zone segnate da processi di erosione sociale e dismissione industriale. Il campo di indagine è
quello della vulnerabilità e strategie per farvi fronte. L’Unità di analisi è la famiglia. La tecnica del focus
group viene adottata per ricostruire la vulnerabilità sociale. Lo studio di Meo si focalizza sulle donne poiché
la loro posizione nel nucleo famigliare è cruciale: amministrano le risorse, tengono i conti, si prendono cura
dei componenti della famiglia, si confrontano con le istituzioni sociali nel caso serva aiuto.
6.1.1 La scelta della tecnica di osservazione, il piano di campionamento e il reclutamento delle partecipanti
Uno degli obiettivi della ricerca è comprendere come le donne in situazioni di vulnerabilità rappresentano sé
stesse, le condizioni e scelte della propria famiglia. Altro obiettivo è quello di indagare l’esistenza di una
rappresentazione sociale di sé in quanto donne. Il focus group è la tecnica più indicata, poiché consente di 1.)
rilevare atteggiamenti, credenze e valori; 2.)le ragioni a sostegno di questi.
Il focus group sollecita I partecipanti a produrre argomentazioni a sostegno delle proprie posizioni,
esplicitando perché e come si giunge a tali opinioni. Dall’interazione tra partecipanti emergono poi anche
influenze reciproche, giudizi di valore , posizioni maggioritarie o minoritarie, processi di identificazione e
differenziazione.
Per individuare i soggetti da coinvolgere, non si individuano i weberiani tipi ideali, ma le caratteristiche
minime che tali soggetti dovranno avere. Occorre individuare qualità che siano coerenti con le domande di
ricerca. Tali attributi non devono essere troppo stringenti, per estendere il numero di soggetti reclutabili. Meo
decide di cercare donne sposate, con figli, disoccupate, dipendenti dal reddito del marito e residenti in una
determinata area di Torino. I ricercatori individuano poi tre enti (una scuola di quartiere, una parrocchia e un
centro diurno) per farsi aiutare nel reclutamento. E Gino individuate dieci donne la cui scolarizzazione
complessiva è bassa, con mariti che svolgono lavori manuali a bassa qualificazione e a basso reddito, con età
che varia da 20 a 40 anni.
6.3.4 L’analisi
L’analisi della documentazione empirica prevede due livelli: analisi di ciò che discute ciascun gruppo e
l’analisi di quanto ciascun individuo nel gruppo sostiene. Le relazioni tra i due piani andranno poi delineati
in base alla domanda di ricerca. La ricostruzione delle discussioni riguarda anche tono emotivo, modelli
argomentativi adottati, aree di consenso o dissenso create, ed opinioni, per poi procedere al confronto tra
gruppi. Occorre associare opinioni con caratteristiche sociali e culturali delle persone che le hanno espresse e
che dipenderanno dal tipo di domanda di ricerca (da qui l’importanza del breve questionario). L’analisi di
questi materiali ricalca quella delle interviste discorsive, poiché si tratta di inscrivere materiali all’interno di
una cornice teorica. L’articolazione di tale cornice procede in parallelo alla lettura metodica delle trascrizioni.
L’applicazione al materiale empirico delle categorie teoriche consente di saggiarne l’adeguatezza ed il valore
euristico. Nell’analisi di questo materiale sembrano valere soprattutto le procedure informali. Importante
contributo è dato dal tipo ideale, che può essere utilmente impiegato per la caratterizzazione delle discussioni
e per tratteggiare il profilo dei partecipanti. L’impiego del tipo ideale in questa occasione non si discosta da
quello nelle interviste discorsive. Le procedure impiegate per le interviste discorsive possono essere
utilizzate in questo caso anche per il materiale narrativo. Sono utili per l’analisi anche quelli che fanno
contorno alle discussioni, come commenti e spunti. È utile tenere un diario.
Capitolo VII – Natura Sacra: un’etnografia comparata sulla sacralizzazione della natura
Lo studio di ricerca di questo capitolo confronta due piccole comunità con l’intento di delineare il come di
una particolare esperienza del sacro, avente per oggetto il mondo della natura. Le comunità sono quelle degli
elfi del Gran Burrone e del Damanhur. La prima è una comunità anarchica ai piedi degli Appennini, in cui lo
stile di vita è assimilato a quello dei contadini del secolo scorso. Damanhur è invece una delle maggiori
comunità esoteriche d’Europa, in Valchiusella. La natura sacralizzata di quest’ultima è una natura astratta. Lo
studio condotto nei primi anni Novanta si basa sull’osservazione partecipante.
Il lavoro sul campo → la ricerca etnografica si compone di operazioni dall’andamento circolare. La domanda
cognitiva orienta, ma viene anche modellata dall’esperienza. Il lavoro rende disponibili materiali, la cui
analisi orienta nuovamente il lavoro su campo. La scrittura è strumento di scoperta. Analisi e scrittura
devono avvenire durante l’osservazione, cuore del lavoro, a cui si possono affiancare altre tecniche. La
metodica redazione degli appunti di campo è parte integrante dell’osservazione. Le forme di osservazione e
partecipazione evolvono nel corso del lavoro. Spradley distingue tre passi legati da relazione circolare:
osservazione descrittiva, osservazione focalizzata ed osservazione selettiva. Il lavoro su campo inizia con
l’osservazione descrittiva, cui segue quella focalizzata, che guarda ad una forma particolare di interazione
sociale, aspetto specifico della cultura. Si succedono osservazione descrittiva e focalizzata. Dall’osservazione
focalizzata si passa a quella selettiva, quando cresce il grado di dettaglio richiesto e si rende necessario
strutturare l’attività osservativa. Osservazione focalizzata e selettiva si succedono in modo ciclico, legandosi
anche a quella descrittiva. Dell’osservazione è parte il backtalk, insieme delle osservazioni e commenti
‘nativi’, sia spontanei che sollecitati, che permettono al ricercatore di sottoporre a scrutinio critico le
interpretazioni. Ciò offre inoltre nuovo materiale empirico. Va detto che però i backtalk possono decretare
l’appropriatezza solo quando si tratta di asserti descrittivi. Nel caso venga criticata l’interpretazione, magari
non abbastanza celebrativa della cultura, bisogna fare attenzione.
Osservazione descrittiva. Descrizione comprensiva e di superficie del contesto in studio. La descrizione non
è soltanto osservazione e riporto, ma esercizio di una scelta, selezione tra insieme infinito di asserti
descrittivi possibili, di un sottoinsieme di asserti rilevanti. Deve quindi essere preceduta da riflessione
teorica, per esplicitare i criteri che orientano la scelta degli asserti. Tali criteri sono definiti in funzione della
domanda cognitiva. Tuttavia, alcuni elementi non possono mancare in ogni descrizione: i.) lo spazio: le
caratteristiche geografiche ed ambientali del luogo, ma anche geografia dello spazio sociale; ii.) il tempo: la
storia o avvenimenti della cronaca più recente della comunità; iii.) gli attori: il loro numero, profilo socio
demografico, numero, profilo e ruolo; iv.) le attività principali: identificate sulla base delle dimensioni
precedenti.
Osservazione focalizzata. Analisi più dettagliata. L’osservazione descrittiva ridisegna la domanda cognitiva e
quest’ultima indirizza l’individuazione del luogo del contesto sociale in studio su cui concentrare
l’attenzione.
Osservazione selettiva. Strumento al quale si ricorre solo quando le domande dell’osservatore possono
trovare risposta solo attraverso formalizzazione o quantificazione delle procedure osservative (es. si
considera un’ipotesi relativa ad aspetti circoscritti dell’interazione sociale). Il ricercatore diventa un
‘osservatore completo’, escluso dalla partecipazione alle relazioni sociali osservate. Questa forma
d’osservazione mostra ampi margini di sovrapposizione con l’osservazione naturalistica strutturata, richiede
all’osservatore di prender nota in semplici conteggi o sofisticate matrici. Questi dati possono essere
analizzati ricorrendo a procedure statistiche quali la network analysis.
Gli informatori → esistono due tipi di informatori (= nativi con cui si instaura un rapporto privilegiato):
informatori istituzionali e non-istituzionali. I primi sono informatori che la società ospite incarica del
rapporto con i non-membri. L’investitura può precedere o coincidere con l’inizio della ricerca. Spesso essi
coincidono con i guardiani. Questi presentano elevata identificazione con il gruppo, ma non sempre sanno
dar prova di senso critico. Il pericolo è quello di manipolazione strumentale. Gli informatori non istituzionali
sono privi di investitura formale ed offrono la propria collaborazione volontariamente. Non sempre le
persone più disponibili sono però le più informate, magari hanno una posizione marginale. Due
considerazioni valgono in generale: a.) il rapporto privilegiato apre alcune porte all’osservatore, ma può
chiuderne altre (es. il mio informatore sta antipatico ad una parte della società, che di conseguenza non si
aprirà al ricercatore), per questo è meglio consolidare il rapporto con l’informatore dopo qualche tempo; b.)
l’informatore ed il rapporto che si instaura con esso sono parte dell’osservazione e devono essere sottoposti a
severo scrutinio. È necessario capire cosa spinge l’informatore a collaborare.
Le note etnografiche → la documentazione empirica è costruita giorno per giorno con le note etnografiche, la
registrazione, in un linguaggio naturale. Le note dovrebbero contenere due informazioni: una relativa
all’oggetto, l’altra alla relazione osservativa. Alle note è necessario dedicare almeno lo stesso tempo dedicato
all’osservazione. È suggerito che tale attività abbia cadenza giornaliera, con sera e mattino come momenti
più propizi, ma l’osservatore deve sempre avere con sé un taccuino, con appunti che non infastidiscano gli
ospiti. Nelle note si devono trascrivere gli aspetti rilevanti della vita quotidiana, in ordine cronologico,
specificando identità e ruolo delle persone. Si deve poi aggiungere il resoconto dettagliato delle proprie
attività, conversazioni, colloqui con informatori ed interviste informali. Tre principi operativi sono una guida
per la stesura delle note: distinzione, concretezza e ridondanza. Principio di distinzione = separare oggetti,
fonti, tipi di discorso, tipi di asserti (descrizioni, interpretazioni, etc.), sfumature linguistiche, contesti
osservativi. La prima distinzione riguarda l’oggetto: le note devono essere divise in almeno due capitoli
distinti, ossia la descrizione della società in studio e della relazione osservativa.
La descrizione della società in studio. I principali strumenti per sintetizzare le complesse situazioni sociali
sono: la descrizione interpretativa (per ciò che si vede), il discorso diretto e indiretto, citazioni e riassunti
(per ciò che si ascolta). Il principio di distinzione chiede al ricercatore di fare ordine tra i materiali, il
principio di concretezza di usare un linguaggio vicino all’esperienza quotidiana, quello della ridondanza di
non fare troppo affidamento sulla propria memoria.
-Principio della distinzione: indispensabile prender nota del contesto che ha reso possibile l’acquisizione di
materiali, distinguere discorso diretto da indiretto. Le note etnografiche devono riflettere le stesse differenze
di usi linguistici della società in studio. È bene che i personaggi siano sempre identificati, soprattutto quelli
nuovi, con nome e breve descrizione. Tutte le dimensioni implicite devono essere esplicitate, separando con
segno grafico (es. una parentesi). Il resoconto di eventi visti in prima persona deve essere distinto da quello
riportato da altri; anche per le conversazioni. Tale precisazione permette di fornire informazioni sull’impatto
della propria presenza sul setting. I backtalk devono essere riconoscibili e corredati dalla descrizione del
contesto di produzione (colloquio, intervista, etc.). Anche le interpretazioni teoriche della cultura in studio
devono essere separate.
-Principio della concretezza: opportuno utilizzare un linguaggio estremamente concreto, meno tendente
possibile all’astrazione.
-Principio della ridondanza: necessità di descrizioni in cui nulla sia dato per scontato, poiché a distanza di
tempo particolari possono essere dimenticati. Anche a costo di ripetersi.
La descrizione della relazione osservativa. È necessario un meticoloso resoconto della relazione osservativa,
perché la comunità scientifica possa valutare la plausibilità degli asserti e risultati dell’osservatore. Per
questo è fondamentale un resoconto riflessivo. È necessario prender nota delle condizioni in cui si conduce la
ricerca e le pratiche che strutturano l’esperienza. La descrizione della relazione osservativa deve basarsi su
sei punti, relativi ad accesso e al lavoro su campo:
-modalità di negoziazione di accesso;
-atteggiamento dei partecipanti nei confronti del lavoro del ricercatore;
-le condizioni di arruolamento (con evoluzione nel tempo);
-intensità della reattività (percepita o rilevata con backtalk);
-natura delle relazioni personali di fiducia/sfiducia instaurate (percepite o rilevate);
-tipo di fonte da cui derivano le caratterizzazioni del contesto in studio raccolte;
Le condizioni di arruolamento del ricercatore definiscono il punto di vista dal quale all’etnografo è stato
possibile fare esperienza del contesto. La percezione del grado di reattività offre elementi utili a qualificare la
solidità dei risultati. La presenza di barriere all’accesso è riconoscibile tutte le volte che incontriamo ostacoli
fisici e sociali; più difficili sono da identificare le barriere invisibili, edificate attraverso menzogne. La
reattività indotta, invece, si può notare quando, all’avvicinarsi del ricercatore ad un gruppo che discute,
questi smettono immediatamente. È inoltre precisare le condizioni alle quali abbiamo acquisito informazioni.
Le note riportate derivano da esperienza diretta? Se no, l’abbiamo sentito? Ce l’hanno riportato? Etc. da una
descrizione in questi termini deriva una stratificazione dei domini della cultura in studio, distinti rispetto alla
loro accessibilità allo sguardo dell’osservatore. Ciò consente di verificare la solidità empirica degli asserti
etnografici e di fare una stima della loro incertezza. È bene che vada data più attenzione al contenuto delle
note che alla forma. È importante avviare da subito l’analisi della documentazione empirica e leggere tutte le
note almeno una volta a settimana, per rettificare e completare le informazioni raccolte, senza mai sostituire
quelle originarie, ma aggiungendo. È bene disporre di almeno due copie di questi testi grazie al world
processor. Concludiamo con informazioni sul profilo epistemico dei materiali. Le note etnografiche sono la
base empirica su cui poggiano i risultati, ma hanno significato solo per colui che li ha redatti. Per conferire
maggior solidità a materiali tanto soggettivi, è bene porre accanto alle note un resoconto riflessivo che
spieghi le procedure osservative adottate, le caratteristiche dello strumento osservativo, l’“equazione
personale” dell’osservatore. Quest’ultimo aspetto è il più problematico del resoconto riflessivo e conta anche
sulla capacità del lettore di cogliere il punto di vista dell’autore. L’autore deve aiutarlo, mostrandosi,
rendendo chiara nel testo la propria appartenenza ad una determinata tradizione di ricerca ed il proprio
orientamento di valore. Per comunicare la propria ‘equazione personale’, l’autore deve fornire: i.)
l’orientamento teorico e metodologico che lo ispira; ii.) l’orientamento di valore e la relazione tra valori che
lo abitano e che ispirano la cultura in studio; iii.) le principali coordinate emotive della propria esperienza su
campo, la propria “reazione” all’oggetto. Alla costruzione dell’equazione personale dell’osservatore può
contribuire il ricorso a ‘reperti’ ispezionabili dal pubblico, ossia tutti i documenti naturali, segnici e non,
prodotti dalla cultura ospite. Ciò dà al lettore l’opportunità di osservare un frammento del lavoro
interpretativo dell’etnografo.
Capitolo VIII – E adesso cosa me ne faccio di tutti questi dati? La logica dell’analisi
Le analisi differiscono a seconda che il materiale empirico sia costruito con tecniche qualitative o
quantitative. Ricorrendo ad un’inchiesta campionaria, il ricercatore avrà a che fare con numeri, valori, che
identificano gli stati che ciascun caso assume sulle proprietà indagate, ossia che restituiscono un dato
sintetico e puntuale sulle risposte. Questi numeri costituiscono una collezione di dati, un insieme di valori
che individuano le modalità di risposta per ciascuna delle domande previste. Con le interviste discorsive,
l’osservazione partecipante ed i focus group, invece, non si avranno numeri ma testi, costituiti da annotazioni
del ricercatore o narrazioni consegnate dalle persone.
È fondamentale ricordare che i dati non parlano da soli; serve un buon disegno della ricerca ed ipotesi ben
formulate.