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Modulo 3: Scienze della Criminologia

Metodi e Fonti
Kaplan (1964) sosteneva che la ricerca scientifica può essere definita come un processo di osservazione
deliberata e controllata.
I criminologi adoperano un vasto ventaglio di metodi e tecniche per valutare quantitativamente specie e
dimensione della criminalità. I dati relativi possono essere raccolti, sia svolgendo ricerche empiriche con
strumenti di osservazione, o con lo studio dei casi, sia studiando le statistiche ufficiali già costruite da altre fonti.
In primis, occorre precisare che non vi è un metodo scientifico, bensì vi sono diversi metodi scientifici, il cui scopo
consiste nell’ottenere conoscenze attraverso osservazioni obiettive. L’esigenza che le osservazioni siano
oggettive chiarisce l’importanza che gli scienziati attribuiscono alla validità dei metodi di ricerca. Essi tentano di
esprimere, accuratamente, le condizioni esatte in cui sono state effettuate le osservazioni, in modo tale che altri
scienziati le possano ripetere.
Quindi, il criterio di produzione di conoscenza scientifica è caratterizzato da una serie di scelte ragionate che il
ricercatore deve, di volta in volta, compiere. Non può certamente essere negato il fattore di soggettività, che non
può essere cancellato, ma, che può e deve essere reso esplicito. L’oggettività è, quindi, la caratteristica che
contraddistingue ciò che è scienza, da ciò che non lo è, ed è ciò che fa della scienza l’unico mezzo universale per
acquisire conoscenze, perché, sin dall’inizio, rifiuta di considerare ogni fenomeno che non sia accessibile a tutti.
La diversità dei metodi scientifici costituisce, pertanto, il percorso più idoneo per il raggiungimento di verità
probabilistiche e disponibili a possibili modifiche.
La formulazione dell’ipotesi rappresenta l’attività primordiale che va a definire il campo di indagine, senza
chiaramente assicurarne in anticipo i risultati, ed è basata su problemi empiricamente verificabili. L’ipotesi,
inoltre, non dovrebbe essere condizionata da credenze, pregiudizi e ideologie del ricercatore, mentre lo è, in ogni
caso, dal suo background culturale e formativo; ha sempre carattere di provvisorietà.
Una volta formulata l’ipotesi da dimostrare, le fasi successive si possono semplificare nei seguenti punti:
a) analisi della letteratura sull’argomento di ricerca e commento critico dei risultati conseguiti dalle altre indagini;
b) scelta del metodo da utilizzare, tuttavia influenzata, quasi sempre, dalla
formazione del ricercatore (psicologo, sociologo, medico, giurista, ecc.), e dagli strumenti (questionari, interviste,
statistiche già rilevate, ecc.);
c) in relazione al metodo, l’approccio si identifica in due tipologie: quantitativo e/o qualitativo. Il primo
(quantitativo) tende a quantificare il fenomeno indagato e a porlo in rapporto ad altri indicatori sociali; può essere
esplicativo, mirando cioè a spiegare perché si verifica il fenomeno studiato e perché si correla con gli altri fattori
presi in esame, oppure descrittivo, cioè descrivere come esso si manifesta in u determinato periodo storico
distinguendone i molteplici collegamenti;
d) il secondo (qualitativo) si pone l’obiettivo di studiare le caratteristiche, le similarità e le connessioni logiche e
funzionali fra i fenomeni osservati. Si applica sia a fatti complicati considerati nella loro unicità, sia a pochi casi,
come in campo clinico (per es.: studio dei casi) o sociologico (per es.: storie di vita);
e) è comunque, sempre, preferibile svolgere preliminarmente uno studio pilota, utilizzando lo strumento di
rilevazione prescelto su di un numero limitato di casi per controllarne la funzionalità e graduarlo sul campo, ciò
al fine di evitare, nel futuro, un eccessivo dispendio economico e di energie; è il caso di una ricerca quantitativa
con lo strumento del questionario: la distribuzione di esso a un numero limitato di soggetti consentirà di
accertarne la chiarezza e di modificarne le domande, se incomprensibili o inadeguate, prima di stamparne
un’elevata quantità di copie (con i relativi costi) e ottenere risultati di scarsissimo interesse o inutilizzabili;
f) la raccolta dei dati, attraverso lo strumento adottato: questionari, interviste, colloqui clinici, se fonte
informativa sono le persone; schede di rilevazione, se si opera su materiale cartaceo (per es. fascicoli giudiziari o
penitenziari, materiale peritale); statistiche già rilevate, se si studiano dati ufficiali. Comunque, va sottolineato
che, soprattutto nella ricerca criminologica, l’accesso ai dati presenta non poche difficoltà legate, ad esempio,
alla diffidenza dei soggetti, alla riservatezza delle informazioni, nonché alla non omogeneità del materiale;
g) l’elaborazione dei dati segue dopo la codifica e la computerizzazione degli stessi.
Nel caso l’indagine si svolga su una casistica limitata, l’elaborazione può avvenire manualmente. Questa fase
comporta l’utilizzo di tecniche statistiche per misurare il fenomeno in esame e quelli correlati: rapporti di
coesistenza, composizione e derivazione, numeri indici, valori medi, variabilità e analisi della varianza,
interpolazioni e così via;
h) i dati elaborati, vengono poi condensati attraverso rappresentazioni di natura cartografica con tabelle,
ortogrammi, istogrammi, grafici secondo il metodo cartesiano, diagrammi in scala logaritmica, cartogrammi,
torte, ecc... La rappresentazione grafica dei fenomeni ha lo scopo di rendere il contenuto dei dati più visibile;
i) la fase finale della ricerca, è rappresentata dall’interpretazione dei dati, che deve essere eseguita in maniera
obiettiva e senza forzare le risultanze ottenute.

La spiegazione dei nessi causali tra il fenomeno osservato (devianza o criminalità) e gli altri fattori sociali o
individuali deve realizzarsi attraverso la generalizzazione empirica, cioè secondo proposizioni che mostrano come
in un certo tempo e in un certo luogo alcuni fenomeni si verifichino. Attraverso la serendipity si vuole indicare
l’utilizzazione del dato nuovo, non previsto nell’ipotesi di ricerca, che introduce un rapporto non direttamente
osservabile e supera l’aspetto constatativo della generalizzazione, per raggiungere un livello più alto di tipo
teorico, riferibile a entità ipotetiche, a costruzioni logico-deduttive. L’indagine criminologica permette, pertanto,
di passare dal momento constatativo al momento teorico-scientifico, che stabilisce leggi generali e teorie valide
in ogni tempo e in ogni luogo.

L’indagine successiva risulta assolutamente necessaria per verificare i risultati di


Una ricerca che dovrebbero tradursi in ipotesi di partenza di un nuovo studio. Va sottolineato che i risultati della
ricerca devono restare integri e non devono subire manipolazioni decretate da preconcetti e ideologie del
ricercatore, o dovute a difformità rispetto all’ipotesi e all’impostazione teorica preliminare. In altre parole, la
validità di una ricerca empirica è strettamente legata all’onestà intellettuale del ricercatore.

3.2 La ricerca di tipo quantitativo


Gli anni Settanta ed ottanta si sono contraddistinti per quel generale potenziamento nel campo metodologico
della ricerca, specie per ciò che riguarda l’applicazione del metodo statistico.
L’applicazione quantitativa richiede che, una volta formulate le ipotesi da sottoporre a verifica, venga effettuata
una serie di operazioni allo scopo di rendere quantificabili le osservazioni stesse, anche in previsione
dell’elaborazione statistica. Il primo step utile riguarda il c.d. campionamento, che consiste nell’operare una
selezione di persone o situazioni oggetto d’indagine. Le indagini campionarie permettono, pertanto, di
rintracciare alcune caratteristiche su un gruppo ristretto; quest’ultimo deve, però, rappresentare la totalità di
una popolazione e deve essere rappresentativo.

La rappresentatività è offerta dal metodo probabilistico di campionamento in cui tutte le unità che compongono
la popolazione hanno uguale probabilità di essere selezionate. Questa metodologia è, comunque, applicabile solo
in presenza di un universo, per il quale sia possibile valutare l’ammontare, e per il quale possa essere predisposto
un elenco numerabile. La statistica insegna che in presenza di universi ampi è opportuno ricorrere ad un
campionamento a grappolo o a un campionamento stratificato, metodi, che si basano su tecniche di suddivisione
della popolazione in sottopopolazioni, da cui vengono estratti diversi sub-campioni rilevati in base ad alcune
variabili, ritenute rilevanti per la specifica indagine.

Nel caso in cui, per svariati motivi, i metodi sopra descritti non fossero applicabili, il ricercatore potrà avvalersi
del campionamento definito non probabilistico, che prevede la selezione di un campione sulla base della
conoscenza diretta della popolazione, ovvero potranno essere inseriti coloro che si dichiarano disponibili o
segnalati da esperti del settore.

3.3 La ricerca di tipo qualitativo

Le metodologie di tipo qualitativo sono state ampiamente utilizzate nell’ambito della ricerca criminologica, si
pensi all’applicazione nel campo clinico o in quello sociologico.

La stragrande maggioranza di coloro che si dedicano alle ricerche è orientata nell’utilizzo del metodo qualitativo,
considerato più adatto a rappresentare il crimine e la relativa complessità, basandosi sulla ricerca di connessioni
logico-funzionali e di similitudini, in ordine ai fenomeni oggetto di studio.
Una prima distinzione con le metodiche di ricerca già evidenziate consiste nel fatto che l’applicazione del metodo
qualitativo implica la produzione di dati, non sotto forma di numeri, bensì di parole; ciò equivale a dire, che i dati
qualitativi sono ridotti a categorie o temi valutati in modo soggettivo. La dimensione della soggettività
nell’ambito della ricerca e le problematiche connesse non rappresentano, di certo, una novità, poiché è
altamente probabile che l’influenza soggettiva del ricercatore possa alterare l’osservazione.

La metodologia qualitativa parte da tre assunti fondamentali:


una visione olistica, attraverso la quale si cerca di comprendere, nella loro interezza e complessità, i fenomeni; b)
un approccio induttivo, che fa sì che la ricerca parta da osservazioni specifiche per poi spostarsi verso schemi
generali, derivanti dai casi studiati; c) l’indagine naturalistica, che consiste nel comprendere, naturalmente, la
fenomenologia generale.

Si annoverano i seguenti approcci: fenomenologico, ermeneutico, etnografico.


Le ricerche fenomenologiche hanno l’obiettivo di chiarire e descrivere i significati dell’esperienza umana; gli
strumenti utilizzati nell’ambito di tali ricerche è supportata, solitamente, da interviste o conversazioni, durante
le quali, andando oltre le descrizioni offerte dagli individui circa il vissuto, si punta a giungere alle strutture che
sottendono la coscienza. Particolarmente importante risulta essere il rapporto con il soggetto da un punto di vista
empatico.

L’approccio ermeneutico, proprio per la sua complessità, risulta scarsamente Applicato nel campo della ricerca
sociale. Si basa sul presupposto che una specifica attività può essere compresa solo se si comprende il contesto
nel quale si sviluppa; metodologicamente, i dati vengono forniti, prima, al ricercatore, il quale, in uno studio di
natura fenomenologica, provvederà a creare il racconto trascritto che, solitamente, è stato ottenuto
intervistando i partecipanti soggetti.

L’approccio etnografico comprende descrizioni di natura antropologica e ricerche naturalistiche. L’attività di


ricerca si sostanzia nella comprensione, ad esempio, di particolari aspetti di un gruppo, al fine di ottenerne,
successivamente, informazioni più dettagliate. Il ricercatore, penetrando sempre più nella dimensione
dell’oggetto di studio, dovrà, però, mantenere un adeguato distacco. I dati ottenuti vengono annotati su un diario
di ricerca.

Occorre innanzitutto precisare che, in campo criminologico, si ricorre a svariati metodi d’indagine; la scelta di una
specifica metodologia è influenzata innanzitutto dagli scopi che il ricercatore si prefigge. Il processo della ricerca
non è lineare, bensì si configura come un ciclo di passi ripetuti nel tempo. Il punto di entrata più comune è
rappresentato da una qualche forma di osservazione empirica. Il ricercatore sceglie un argomento da un infinito
insieme di argomenti, in seguito, attraverso un procedimento induttivo, formula una proposta di ricerca. Il passo
successivo consisterà nello
sviluppare in modo compiuto la proposta, enunciandola sotto forma di affermazione che stabilisce una relazione
tra due fenomeni. Dato che l’asserzione è valida solo nell’ambito di una specifica struttura teorica, spetterà al
ricercatore il compito di spiegare tale proposizione, alla luce di un più vasto sistema teorico.

3.4 Altri strumenti applicati alla ricerca

a) le statistiche di massa
Le statistiche di massa esprimono, in numeri, l’osservazione di fatti; privilegiano lo studio di fattori macro-sociali
di generale influenzamento, e non consentono l’identificazione di fattori causali e l’evidenziazione di condizioni
micro-sociali o personali significative. Tale metodo risulta essere indispensabile per la conoscenza dell’estensione
del fenomeno criminale e per l’espressione delle sue caratteristiche più generali, quali diffusione, frequenza,
modificazioni quantitative e qualitative, distribuzione qualitativa in ordine al tipo di reati, qualità e gravità delle
sanzioni, e così via.

La statistica di massa si limita, in genere, a una descrizione fenomenologica della condotta criminale. Può
usufruire di dati, pervenuti dagli organi della magistratura o da quelli della polizia, che possono essere considerati
in funzione di numerose variabili (sesso, età, tipo di reato, occupazione, stato civile, razza, religione, ecc.). La
statistica criminale può contenere numerose cause di errore, sia riguardo la validità dei dati, dovute
all’imprecisione o non attendibilità delle fonti, sia per ciò che concerne l’interpretazione dei dati in genere, se la
tecnica statistica non viene correttamente applicata.
La principale causa di errore insita nella statistica di massa è legata al fatto che i dati ufficiali (reati denunciati alla
magistratura, denunce formulate dagli organi di polizia, provvedimenti penali istruiti contro gli autori, statistiche
sulle popolazioni nelle carceri, ecc.) non possono, ovviamente, tener conto della statistica occulta, rappresentata
dai reati effettivamente commessi, ma non scoperti. Il numero oscuro (dark number) indica, quindi, la differenza
tra la criminalità effettivamente presente in un certo contesto sociale, e quella che invece risulta dichiarata e
perseguita dagli strumenti costituzionali.
Esso invalida, in modo più o meno rilevante, le statistiche sulla criminalità. L’indice di occultamento (rapporto fra
reati noti e quelli commessi) è influenzato da innumerevoli fattori, tra i quali:
- caratteristiche del reato: alcuni crimini è più difficile che passino inosservati (omicidi), rispetto ad altri di cui
spesso non se ne ha neppure notizia (truffe);
- atteggiamento della vittima: una delle fonti dalla quale emerge la conoscenza dei delitti commessi è la denuncia
della parte offesa, ma non tutte le vittime (o testimoni) rendono di dominio pubblico il danno subito;
- atteggiamento degli organi istituzionali: le iniziative di questi ultimi rappresentano un’ulteriore fonte per
l’evidenziazione dei fatti delittuosi. Spesso, però, queste indagini finiscono, per motivi contingenti o di scelta, col
privilegiare un settore o un gruppo sociale piuttosto che un altro. Significativo, a tal proposito, è il riferimento
alla delittuosità dei colletti bianchi, caratterizzata da un alto indice di occultamento, incrementato, in parte, dal
mancato controllo da parte delle forze istituzionali;
- qualità dell’autore del reato: fattori quali ceto sociale, razza, stato civile, nonché livello di professionalità del
criminale, influenzerebbero la scoperta o la denuncia del crimine. In ogni caso, queste considerazioni dovrebbero
far desistere dall’attribuire significato di causalità alle indagini statistiche, nonché dall’arbitraria generalizzazione
dei risultati.

In conclusione, il campo della delittuosità reale è molto più ampio di quello che convenzionalmente si ritiene,
coinvolgendo larga parte della popolazione, e interessando gran parte dei gruppi sociali.

Per crimine si intende qualunque fatto previsto dalla legge come reato che si manifesta, peraltro, con modalità
differenti in funzione della posizione sociale e dei vari status. Mentre i delitti che costituiscono la delittuosità
convenzionale sono, statisticamente parlando, appannaggio dei gruppi sociali più squalificati, gli altri gruppi
sociali commettono reati di diversa natura, che sono in genere quelli meno perseguiti. Così, ad esempio, un
giovane immigrato manifesterà la sua indifferenza verso le norme, rubando o rapinando in modo convenzionale,
mentre il borghese disonesto, esplicherà la propria anti-normatività in settori suoi propri, nelle frodi del
commercio, nella corruzione, e così via. Questi delitti non convenzionali avranno, però, la caratteristica di
comparire nelle statistiche redatte, sulla scorta dei soli delitti perseguiti e giudicati, in modo poco rilevante
rispetto alla loro entità, ingenerandosi, perciò, la erronea convinzione che i veri delitti sono quelli convenzionali,
e che questi ultimi siano molto più diffusi degli altri.

b) il metodo sperimentale
Come nel campo delle scienze cosiddette esatte, anche in criminologia, si usa il metodo rigoroso della
sperimentazione controllata. Esso consiste nel mantenere costanti o controllati tutti i fattori e le condizioni che
si ritiene influenzino i risultati dell’esperimento, a eccezione della variabile o fattore ipotizzato come responsabile
di determinati comportamenti del soggetto sotto osservazione. Per esempio, alcune ricerche criminologiche
hanno focalizzato l’attenzione sullo sviluppo di diverse forme di terapia farmacologica per ridurre l’aggressività
e il comportamento delinquenziale dei minori.
L’applicazione del metodo sperimentale in tale campo implica l’uso di due gruppi di soggetti.

L’uno, sperimentale o campione, l’altro di controllo. Entrambi, devono essere simili per età, quoziente intellettivo,
sesso, classe sociale e ogni altra caratteristica associabile all’aggressività e al comportamento deviante. Al gruppo
testato viene somministrato il farmaco, mentre, al gruppo di controllo viene somministrata, senza che lo sappia,
una sostanza innocua, cioè un placebo.
Successivamente, vengono confrontati i differenti comportamenti aggressivi tra i due gruppi. Vengono, infatti,
svolte determinate misurazioni del comportamento aggressivo dopo l’assunzione del farmaco e confrontate con
quelle fatte prima del trattamento per entrambi i gruppi. La riduzione delle spinte aggressive e delinquenziali nel
gruppo sperimentale o in una sua parte, confrontate con quelle del gruppo di controllo, potrà considerarsi perciò
come l’effetto della terapia farmacologica studiata. Nelle ricerche sperimentali, inoltre, la criminologia, prova
varie ipotesi su come due o più variabili siano correlate ad altre. Anche in questo caso, si mantengono costanti o
controllati tutti i fattori considerati significativi per il risultato dell’esperimento (variabili dipendenti), tranne la
variabile indipendente, ipotizzata come determinante il cambiamento del soggetto o il comportamento allo
studio. Quindi, la ricerca sperimentale, deve utilizzare metodi molto più complessi di altre, poiché i risultati
ottenuti potrebbero essere dovuti anche a fattori completamente ignorati nella sperimentazione che potrebbero
influenzare, contemporaneamente, i cambiamenti rilevati. Sebbene tale modello metodologico sia considerato
come ideale ed estremamente rigoroso, il suo utilizzo in criminologia è abbastanza limitato, in quanto, può
risultare particolarmente costoso in termini di tempo e di economia, soprattutto se il campione e il gruppo di
controllo sono molto numerosi.

c) le metodologie d’inchiesta
Nel metodo dell’inchiesta rientrano le tecniche dell’intervista o del questionario. Esso permette di rilevare
opinioni, atteggiamenti, valori, ecc., dei soggetti che fanno parte del gruppo campione della ricerca.

d) la tecnica dell’intervista
I dati di ricerca si possono ottenere anche con il metodo dell’intervista.

L’intervista si basa sull’incontro di un soggetto, come un deviante, un detenuto o una vittima di reato, con
l’intervistatore, e può essere condotta faccia a faccia o per telefono.

È una tecnica completamente diversa da quella del questionario, in quanto, quest’ultimo, è compilato in maniera
autonoma dalle persone partecipanti, mentre l’intervista è svolta direttamente da un intervistatore addestrato
che pone le domande preparate appositamente su una scheda dal ricercatore.

È chiaro che, in tal modo, aumentano considerevolmente i costi e i tempi della ricerca, ma ciò è compensato dai
seguenti vantaggi:
1) si elimina quasi completamente il problema della non restituzione o del rifiuto;
2) si possono porre domande più personali;
3) l’intervistatore, può riformulare o spiegare in modo più chiaro alcune domande evitando il rischio di
fraintendimenti.

Entrambi gli strumenti, comunque, sono utilizzati sia per le ricerche sulla vittimizzazione, che traggono
informazioni dalle vittime del reato, sia per le indagini di autodenuncia o inchieste confidenziali, in cui si chiede
ai partecipanti di descrivere le loro attività criminali attuali e trascorse.

In ogni caso, e qualsivoglia strumento si utilizzi, per ottenere informazioni su una larga fascia di persone definita
come popolazione, è necessario selezionare un campione, essendo impossibile indagare su ogni singolo soggetto.

Il campione è, pertanto, un sottogruppo del contesto più ampio e deve essere rappresentativo di esso, il che
significa che deve averne le stesse caratteristiche sociodemografiche (per es., in una ricerca sulle opinioni della
popolazione di Palermo nei confronti della tossicodipendenza, se il 25% di essa è costituita da soggetti di età
superiore ai 49 anni anche il campione dovrà contenere la stessa percentuale di soggetti ultra-quarantanovenni).

Va, infine, sottolineato che esistono due tipi di intervista: strutturata e semistrutturata.

La prima (strutturata) si basa, in effetti, sull’uso di un questionario che consente di raccogliere sistematicamente
un certo numero di informazioni di prima mano dalle persone scelte per l’indagine. Il documento di base deve
essere predisposto in modo tale da soddisfare due esigenze fondamentali: trasformare in domande precise e
specifiche gli obiettivi della ricerca e prevedere l’elaborazione dei dati in rapporto a essi; coadiuvare
l’intervistatore nel preparare l’intervistato a collaborare.

L’intervista semistrutturata, invece, prende le mosse da uno schema di massima con l’indicazione di aree
tematiche obbligatorie. È informale in quanto all’interno di tali aree, il colloquio si sviluppa in base anche alle
risposte dell’intervistato, ed è utile, soprattutto, per individuare fatti, credenze, sentimenti, criteri di azione,
atteggiamenti e comportamenti passati e attuali.

È, in effetti, dal punto di vista metodologico, molto simile al colloquio in profondità, dove prevale la tecnica della
non-direttività, definita anche del colpo di sonda (probing). Con essa, si provoca una reazione con una domanda-
stimolo, posta con grande apertura e calore comunicativo da parte dell’intervistatore, che consente al soggetto
di esprimere sentimenti e opinioni per i quali assume un atteggiamento difensivo.

e) la somministrazione del questionario


Il questionario è un piano strutturato di domande che consente di verificare le ipotesi di ricerca; esso viene
compilato direttamente dall’intervistato e, di frequente, viene spedito a un campione specifico di persone
considerate rappresentative (cioè aventi determinate qualità o caratteristiche in proporzioni simili) rispetto a una
popolazione più ampia.

In criminologia si preferisce, spesso, utilizzare questionari, poiché meno costosi, in confronto ad altre forme di
raccolta di dati, e si possono ottenere informazioni da un numero più elevato di soggetti (per es. cittadini,
criminali condannati, vittime, ecc.), in un tempo relativamente breve, con un minimo sforzo da parte sia del
ricercatore sia dell’intervistato.

Comunque, l’uso dei questionari presenta alcuni problemi; prima di tutto, il rifiuto di rispondere di una parte dei
soggetti; chi ha commesso un reato o è stato vittima di esso può non voler fornire informazioni personali, per
diverse ragioni. È ovvio che tale situazione produce serie conseguenze sui risultati della ricerca, che possono
portare a interpretazioni incomplete o distorte del fenomeno osservato. Un secondo problema è costituito dal
fatto che, a volte, un numero significativo di persone potrebbe fraintendere o non capire alcune domande che
presentino difficoltà, sia per la loro formulazione, sia per la loro interpretazione. Molte altre questioni si pongono
all’attenzione del ricercatore nell’utilizzo dei questionari. Per esempio, molti soggetti preferiscono dare risposte
compiacenti, oppure, rispondono in modo differente alla stessa domanda posta in momenti diversi (domanda di
controllo sull’attendibilità); o, ancora, i pregiudizi inconsci dello studioso potrebbero colorare le domande, in
modo tale da giungere a conclusioni predeterminate, senza valore scientifico.

f) la ricerca longitudinale o catamnestica


Il metodo dello studio del caso consiste nell’analisi intensiva e approfondita di un singolo individuo, di un gruppo,
comunità o istituzione. Lo studio può essere sviluppato in un preciso momento storico o per un periodo di tempo
(studio longitudinale). Quest’ultima ipotesi permette di cogliere l’evoluzione di un fenomeno. Se è svolto in
retrospettiva (studio anamnestico), è molto utile per spiegare lo svolgimento delle carriere criminali; se è svolto
in prospettiva (studio catamnestico), risulta particolarmente significativo nell’analisi dell’efficacia delle misure di
trattamento e recupero sociale dei condannati.

I fattori considerati e gli strumenti utilizzati con questo metodo sono molteplici:
anamnesi familiare per conoscere i precedenti morbosi e le caratteristiche personologiche e comportamentali
dei componenti familiari (ascendenti e collaterali); anamnesi personale di tipo medico; analisi costituzionale per
confrontare soma e psiche; indagine biografica per conoscere le modificazioni comportamentali e degli
atteggiamenti; esame psicologico, anche con l’uso di reattivi mentali; esame psicopatologico per individuare
eventuali patologie mentali; indagine sociale e familiare; osservazione comportamentale nella fase di ricerca. Per
esempio, la perizia psichiatrica, ordinata durante un procedimento penale ai fini dell’accertamento
dell’imputabilità e della pericolosità sociale del soggetto, potrebbe essere considerata, a tutti gli effetti, uno
studio del caso; tant’è che, anche se lo scopo ultimo non è quello di ricerca, una o più perizie psichiatriche
possono costituire un materiale fondamentale per lo studio di casi criminali (per es. serial killer, pedofilo: Ponti,
Fornari, 1997).
Tra le opere più famose in questo campo, si possono citare le numerose ricerche svolte dai coniugi Glueck (1950,
1968) per individuare i fattori familiari-situazionali e individuali più frequenti nei giovani delinquenti. L’analisi
inizia con la comparazione – a tappeto - di coorti di minori delinquenti (campione) e non delinquenti (gruppo di
controllo), nati nella stessa città e nello stesso anno, e frequentanti la stessa scuola, per poi passare al raffronto
di multicoorti dello stesso genere, ma nate in anni diversi, per distinguere i fattori dovuti agli effetti della crescita
da quelli derivanti dal periodo storico.

Un altro esempio classico di ricerca, fatta secondo lo studio del caso, è quello descritto da Sutherland (1937) in
The Professional Thief. L’autore intervistò un ladro professionale e ottenne informazioni in profondità che
sarebbe stato difficile avere con altri metodi; studiò che cosa significasse essere un ladro professionale piuttosto
che occasionale, come esso si era organizzato, e come i soggetti di questo tipo comunicavano e si collegavano fra
loro. Certo le conclusioni cui era pervenuto Sutherland non possono essere generalizzate.

Infatti, una delle critiche mosse al metodo dello studio casistico è che le Informazioni ottenute possono essere
non corrette o errate, contenere opinioni personali o molto limitate. Nonostante ciò, diversi criminologi hanno
continuato a utilizzare tale tecnica anche per esaminare lo stile di vita di un singolo delinquente (Geis, 1968;
Klockars, 1976; Steffensmeier, 1986).

Nel settore più strettamente sociologico, lo studio del caso si definisce anche storia di vita, in quanto, descrive
un tipo particolare ed emblematico di criminale o di carriera criminale, senza pervenire a interpretazioni o
spiegazioni specifiche. In Italia, per esempio, analisi di questo tipo sono state fatte su mafiosi, banditi, terroristi
(Ghirotti,1968; Vergani, 1968; Licausi, 1971; Marrazzo,1984).

g) la ricerca trasversale o cross-sezionale


L’inchiesta cross-sezionale è quella più diffusamente usata. Fornisce dati circa l’epidemiologia del delitto, ed entro
certi limiti, sull’eziologia di un comportamento criminale. Essa comprende un campionamento di un insieme di
individui o di gruppi, in modo da poter generalizzare i risultati ad una più ampia popolazione (detenuti dimessi
dal carcere, studenti di scuola superiore, ecc.). Il campione è preso in un dato momento, i soggetti vengono
intervistati o sottoposti a questionario e i dati vengono analizzati. Numerose critiche sono state rivolte a questa
tecnica: in particolare, risulta difficoltoso isolare gli effetti del trattamento o dei programmi di prevenzione del
comportamento criminale. I gruppi selezionati potrebbero differire tra loro già in precedenza, minando, in tal
modo, la validità interna della ricerca.

h) le indagini individuali;
I metodi individuali di indagine criminologia consistono nello studio di singoli criminali o di piccoli gruppi; mutuati
dalla ricerca psicologica e medica, presuppongono che un ricercatore possa pervenire a una migliore conoscenza
di un fenomeno mediante un’intensa esplorazione. Essi si diffondono per reazione allo studio di cause singole e,
per contro, si avvalgono di un approccio olistico. Il metodo clinico, possibile approccio allo studio dei casi, viene
utilizzato nella diagnosi di un problema personale rilevante o anormale e nella messa a punto di un programma
di trattamento adeguato. Coniuga due aspetti importanti: ricerca e trattamento, e si sofferma sui fattori
costituzionali, psicologici e sociali che caratterizzano ciascun delinquente. Le correlazioni fra numerose indagini
individuali consentono di ricavare tendenze e caratteristiche comuni. Inoltre, tali investigazioni hanno permesso
di chiarire fattori assai rilevanti della condotta deviante: fattori disturbanti familiari, caratteristiche di personalità,
condizioni frustranti, tutti elementi interessanti se inseriti in un’ottica di causalità circolare.

Clinici provenienti da vari ambiti vengono spesso interpellati per formulare valutazioni circa il possibile futuro
comportamento o la eventuale pericolosità sociale di un individuo, valutazioni che possono essere usate per
incarcerare un reo o limitare in altro modo la libertà. Gli studi dei giudizi clinici predittivi di un comportamento
futuro hanno evidenziato che esiste un notevole numero di falsi positivi, cioè predizioni errate. Ciò solleva la
spinosa questione dell’equilibrio tra sicurezza pubblica e libertà individuale. La critica più aspra rivolta al metodo
clinico è che gli individui o i gruppi selezionati per lo studio potrebbero non essere rappresentativi della intera
popolazione di quegli individui o di quei gruppi. Oltre al suo impiego clinico in criminologia, l’approccio dello
studio dei casi è stato anche usato nella forma di storie di vita, osservazione e osservazione partecipante. Il
metodo della storia di vita comprende l’analisi di diari, biografie, autobiografie, come pure interviste, al fine di
ottenere una conoscenza profonda di singoli individui o gruppi rappresentativi. Particolare attenzione viene
riservata alla storia individuale come raccontata dal soggetto, all’interpretazione che egli ne fornisce, nonché alle
sue esperienze e al suo ambiente. L’osservazione e l’osservazione partecipante arricchiscono ulteriormente lo
studio della vita sociale e della condotta deviante, attraverso esperienze dirette con il reato e i criminali. Di solito,
ciò implica il compilare un diario dettagliato, magari comprendente anche un certo numero di interviste molto
approfondite. Altri ricercatori si avvalgono di registrazioni, fotografie, e così via.

Un inconveniente del metodo dell’osservazione e delle storie di vita è rappresentato dall’estremo coinvolgimento
personale richiesto al ricercatore, spesso causa di sgradevoli e dannose conseguenze. Contro tutte queste
obiezioni, si potrebbe ribattere con la considerazione che lo studio dei casi e l’osservazione partecipante
potrebbero essere utilizzati nella fase preliminare di ogni ricerca, al fine di arricchire una teoria e giungere alla
formulazione di ipotesi più efficaci e alla costruzione di strumenti più appropriati.

i) il metodo storico,
Il metodo storico, in criminologia, ha molti obiettivi: studiare il cambiamento nella
natura e nella diffusione del reato nel tempo o in condizioni sociali differenti; rintracciare le fonti sociali del
cambiamento delle leggi che definiscono la natura del reato; analizzare un evento o un periodo storico per il suo
interesse intrinseco; isolare una particolare forma di reato o devianza e studiare le reazioni ad essa durante uno
specifico periodo storico. Tale approccio, seppure molto utile, risulta spesso di non facile applicazione a causa di
limitazioni legate alla parziale o totale indisponibilità dei dati presenti negli archivi. Inoltre, un altro inconveniente
comune allo studio dei casi scaturisce dalla difficoltà della scelta di un caso rappresentativo.

3.5 Il numero oscuro


Le statistiche giudiziarie rappresentano il fondamentale strumento per Intraprendere uno studio sulle
dimensioni della criminalità; esse registrano le denunce, i giudizi e le condanne in un periodo considerato; la
criminalità registrata dagli organi di controllo sociale ritrae solo una parte della criminalità reale, che è
rappresentata dal numero effettivo dei reati commessi. È un dato di fatto ignoto, considerando che, per diversi
motivi, non è possibile conoscere il numero esatto di tutti i reati commessi. È comunque possibile avvicinarci alla
conoscenza della criminalità reale. Impiegando particolari tecniche di misurazione, quali le ricerche di
vittimizzazione e di autodenuncia.

Questi rilevamenti utilizzano metodologie che tutelano l’anonimato di chi risponde e raccolgono dati sui reati
subìti o commessi dalle persone del campione considerato.

La criminalità percepita rappresenta, invece, un dato soggettivo, che varia per ciascuno di noi, e indica la quantità
di reati che ogni persona ritiene vengano commessi in una data realtà. Si tratta di un dato largamente influenzato
dalle sensibilità personali e dalle caratteristiche oggettive dell’ambiente di vita. La criminalità percepita è quella
che, maggiormente, interferisce sulla definizione individuale e collettiva dell’insicurezza e sull’intensità
dell’allarme sociale. Questo allarme determina, talora, una percezione deformata della gravità dei reati e delle
conseguenti azioni di polizia.
La criminalità ufficiale è quella che si riferisce ai dati ufficiali, ricavabili dalle denunce dei cittadini e dalle attività
autonome delle forze dell’ordine e della magistratura.
La criminalità ufficiale risente dei limiti del cosiddetto numero oscuro (dark number) dei reati, cioè dell’insieme
di delitti che, per diversi motivi, non arrivano a conoscenza degli uffici deputati alla raccolta delle segnalazioni. Il
numero oscuro può variare a seconda della gravità dei reati e, nel tempo, in base al diverso atteggiamento dei
cittadini e alla loro propensione a denunciare gli episodi delittuosi di cui sono stati vittime.

Il rapporto tra reati registrati e reati commessi è detto indice di occultamento e Varia da reato a reato, in relazione
alla gravità del crimine. Tale indice è sempre negativo.
Se si prendono in considerazione talune fattispecie di reato quali le rapine in banche, il furto di automobili,
l’omicidio, il numero oscuro è molto limitato, con rapporto di occultamento vicino all’unità, mentre per altri, ad
esempio, i delitti sessuali, la criminalità economica, il numero oscuro è elevatissimo.

La spiegazione di tali differenze è riscontrabile nella impossibilità oggettiva che, ad esempio, un omicidio non
giunga a conoscenza dell’autorità giudiziaria; lo stesso vale per una rapina in banca caratterizzata, soventemente,
da clamore, soprattutto per le modalità di esecuzione; analoghe considerazioni vanno fatte per ciò che attiene la
sottrazione di automobili, e ciò in virtù delle responsabilità a carico del proprietario che non ne dovesse
denunciare il furto.

Al contrario, il numero oscuro tende a salire, soventemente, per tre fattori fondamentali:
a) atteggiamento della vittima;
b) atteggiamento degli organi istituzionali;
c) qualità dell’autore del reato.

a) atteggiamento della vittima: deve rilevarsi che, in genere, non tutti i delitti vengono denunciati dalle vittime
o dai testimoni; ciò comporta, da parte dell’autorità giudiziaria un non venirne a conoscenza; si pensi alle
sottrazioni di oggetti di scarso valore, laddove la vittima non denuncia il fatto perché ritiene che trattasi di inutile
perdita di tempo e che molto difficilmente l’autore del furto verrà acciuffato; anche i furti nei grandi magazzini,
in numero elevatissimo, subiscono la stessa sorte: anche se l’autore viene colto in flagranza di reato, spessissimo
non si procede a denuncia per evitare lungaggini di vario di tipo e la merce viene fatta riconsegnare, seduta
stante, dagli addetti alla vigilanza. Ancora, per ciò che inerisce l’atteggiamento della vittima, si pensi ai delitti
sessuali, laddove la parte offesa, per evitare pubblicità e clamore giornalistico, preferisce desistere; e ancora, le
vittime di estorsioni da parte della malavita organizzata che, per paura di ritorsioni e danneggiamenti, non
denunciano gli aguzzini; altri esempi potrebbero riguardare i tossicomani che si guarderebbero bene dal
denunciare i pusher, senza i quali, non potrebbero placare la loro bramosia patologica;

b) atteggiamento degli organi istituzionali: sia la magistratura che gli organi di polizia hanno il precipuo compito
di identificare gli autori di reato, ma non solo, poiché, altra funzione demandata è quella di prendere l’iniziativa
di ricercare fatti delittuosi non ancora noti. Può accadere, comunque, che filoni di indagini urgenti e contingenti
per particolari tipologie di delitti (come quelli ad opera di immigrati, di organizzazioni criminali, e così via) in
periodi più o meno lunghi impegnino in tale direzione le forze dell’ordine, disimpegnandoli da altre dimensioni
criminose, quali ad esempio gli illeciti internazionali, o i delitti ad opera dei colletti bianchi, fattispecie di reati che,
per lungo tempo, non sono stati perseguiti poiché vi è stata assenza di iniziative di indagine, ma che nel contesto
attuale, considerata la pericolosità e l’insidia, sono al centro, oggi, di interesse giudiziario;

c) la qualità dell’autore di reato: particolare importanza viene data a tale condizione, poiché non è infrequente
che la posizione di un pubblico ufficiale, di un uomo ricco, influente, potente, o appartenente a classi direttive o
politiche, influisca o si traduca in una relativa minore esposizione al rischio di identificazione. Altra categoria
beneficiata è costituita dai minorenni, per i quali, si sa, la legge, soventemente, lascia correre, sempre tenendo
conto, comunque, della qualità del reato; a questi ultimi, si aggiungono i soggetti con particolari infermità
psichiche o gli anziani; così non sembra, invece, per altre categorie di soggetti, quali i tossicomani o gli sbandati,
per i quali le possibilità di immunità sarebbero, oggettivamente, minori; analoga situazione si riscontrerebbe nei
confronti di soggetti emarginati e che hanno minor peso sociale.

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