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Fondamenti di Sociologia.

Metodi e applicazioni di ricerca


quantitativa
Corso di Laurea in Comunicazione digitale e Social Media
1
Facoltà di Scienze della Comunicazione
Prof.ssa Eleonora Sparano

Indice del modulo

Metodi e applicazioni di ricerca quantitativa – 1° parte

1. Interrogazione: quali tipi? 2. Il questionario. 2.1. L’inchiesta campionaria. 2.2.


Problemi di fondo della rilevazione per interrogazione: standardizzazione e invarianza
degli stimoli. 2.3. L’attendibilità del comportamento verbale. 2.4. Forma e sostanza
delle domande del questionario. 2.5. Domande a risposta aperta e chiusa. 3. Come
rilevare i dati con il questionario. 3.1. La somministrazione face to face. 3.2. La
rilevazione telefonica. 3.3. L’autocompilazione. 3.4. La rilevazione computerassistita.

1. Interrogazione: quali tipi?

Dopo aver analizzato quali possono essere gli approcci teorici alla metodologia della
ricerca sociale, entriamo nel vivo della trattazione concernente le dimensioni
applicative, che riguardano in special modo il momento della “rilevazione empirica dei
dati”. Vale la pena di sottolineare che, anche per ciò che riguarda le scelte operative,
bisogna tenere sempre presenti le premesse teorico-epistemologiche che fanno da
sfondo alle decisioni di carattere metodologico, perché il ricercatore sociale, nello
scegliere gli strumenti di rilevazione che di volta in volta applicherà al suo oggetto di

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studio, terrà conto delle matrici filosofiche che stanno a monte dei modelli di
riferimento.

I modi per conoscere la realtà sociale fanno capo essenzialmente a strategie che
possono muoversi tramite l’“interrogazione”, l’“osservazione” e la “visualizzazione”.
Di queste ultime due fattispecie non ne parleremo in questa sede poiché fanno capo al 2

versante della metodologia della ricerca qualitativa; mentre, nel capitolo presente, si
intende focalizzare l’attenzione esclusivamente sull’interrogazione “chiusa”.

In genere, quando si parla di “interrogazione” si utilizza una terminologia che rischia


di divenire ambigua, se non si provvede a dissipare gli eventuali dubbi che potrebbero
essere associati all’atto dell’interrogare. In effetti, le scienze sociali hanno a
disposizione due modalità differenti di porgere le domande agli intervistati. Due prassi,
dietro cui si celano le due visioni filosofiche di fondo che sottostanno ai differenti
approcci sociologici: il neopositivismo e l’interpretativismo. Per cui, dalla propensione
per l’uno o l’altro approccio, discendono di conseguenza i modelli utilizzati per
interrogare: due modi di procedere che richiamano, in un caso, l’approccio quantitativo
e, in un altro, quello qualitativo. Pertanto, quando parliamo di interrogazione chiusa, lo
facciamo rivolgendo l’attenzione al tipo di “intervista quantitativa” più diffuso: il
questionario; mentre, il riferimento all’interrogazione aperta, concernente l’“intervista
qualitativa”, resta di fatto escluso da questa trattazione.

Le principali differenze si riferiscono ai dilemmi con i quali la sociologia si


confronta sin dalle origini. Tali questioni, attinenti ad un problema ontologico,
epistemologico e metodologico, possono essere così sintetizzate: la realtà sociale esiste?
È conoscibile? In che modo può essere conosciuta? La prima questione che ci si deve
porre riguarda il “che cosa” ed è dunque la “questione ontologica” (óntos=essere, ente;
lógos=discorso, riflessione); la seconda questione, concernente il rapporto del “chi” con
il “che cosa”, rimanda all’epistème, ovvero alla conoscenza scientifica; la terza riguarda
il “come” conoscere la realtà sociale, tant’è che si parla di méthodos, ossia della strada
con cui affrontare la conoscenza del reale. A seconda della maniera di rispondere a tali
quesiti, sono venute a formarsi differenti scuole di pensiero, facenti capo alla tradizione
positivista, poi rivalutata sotto l’impronta del neo e del post-positivismo, e alla
tradizione interpretativista. Da questi due blocchi di pensiero contrapposti sono discesi i
modelli ai quali si è appena fatto cenno, i cui stili sono talvolta inconciliabili.

Il primo aspetto distintivo richiama un problema di “standardizzazione e di


invarianza degli stimoli”, che porta a differenziare gli stili di cui si è detto in base a se il
ricercatore considera la realtà come un’entità esterna e conoscibile oggettivamente, o se
considera l’atto del conoscere una forma di possibile alterazione della realtà, al punto
tale da ritenere che la conoscenza si renda praticabile solo nel rapporto di interazione
reciproca tra soggetto studioso e studiato. Per cui, da una parte si pongono quanti

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seguono un “approccio oggettivista”, che guarda alla realtà fenomenica utilizzando la
lente dei modelli atti nelle scienze naturali; dall’altra, quanti seguono un “approccio
costruttivista”, secondo il quale i dati non possono essere osservati, raccolti e registrati,
bensì costruiti e generati empiricamente dalla situazione di interazione tra i partners
coinvolti. In proposito Lutynski (1988) afferma: «i dati raccolti con interviste e
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questionari sono generati da un processo di comunicazione tra il ricercatore e i soggetti,
processo che è ben diverso dall’osservazione» (p. 175)

L’ambiguità terminologica è messa in risalto dalle parole di Jürgen Kriz (1992), il


quale, su questo punto specifico, scrive: «raccogliere dati è un’espressione diffusa ma
poco adatta per descrivere quello che effettivamente succede. Il termine “raccolta”
induce a errore concettuale e andrebbe sostituito con termini che rendono l’idea che una
particolare realtà viene costituita in base a delle teorie, quesiti e strumenti di ricerca» (p.
11).

Il secondo problema che differenzia le due tipologie dell’interrogazione contrappone


quanti ritengono che la realtà possa essere conosciuta ricercando le uniformità e
regolarità dei comportamenti – ritenuti, secondo tale istanza, classificabili e
generalizzabili –, a coloro che, sottolineando l’irriducibilità del soggetto a forme di
generalizzazione e standardizzazione, ritengono che la conoscenza sia legata alla
possibilità di sviluppare un rapporto empatico con l’intervistato, quale premessa per la
“comprensione” della realtà studiata dal suo punto di vista. Sulla base di tali assunti, si è
soliti distinguere tra un “approccio uniformista”, nel primo caso, (l’agire individuale
può essere ricondotto a uniformità comportamentali), e un “approccio individualista”,
nel secondo (l’agire individuale risponde a criteri di unicità).

Come si può notare, dietro i modelli dell’interrogazione si celano due visioni teorico-
epistemologiche da cui discendono le specifiche tecniche che rappresentano le ragioni
per le quali i ricercatori optano per l’uno o per l’altro modello. Per questo, è bene
analizzare i limiti intrinseci dell’interrogazione per questionamento, prima di
addentrarci nella trattazione degli aspetti tecnici che la contraddistinguono. Pertanto, ciò
che faremo con i prossimi paragrafi – prima di passare agli altri campi applicativi – sarà
analizzare le differenze enucleate nelle pagine precedenti, trasponendo le riflessioni
teoriche sul piano operativo e ragionando concretamente su ciò che accade quando si
utilizza il modello dell’interrogazione chiusa nel momento della rilevazione.

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2. Il questionario

Per conoscere gli atteggiamenti, le percezioni, le aspettative e le motivazioni


personali, l’interrogazione è la strada giusta. In genere si ricorre a questa prassi
conoscitiva quando le ricerche sono indirizzate a un numero esteso di soggetti coinvolti,
tale da giustificare l’adozione di una “procedura campionaria” attraverso la quale 4

selezionare una porzione estratta dall’universo di riferimento. Data l’esigenza di


standardizzare al massimo le procedure di somministrazione e di interrogazione,
l’“inchiesta campionaria” (social survey) si serve dello strumento utilizzato nella
“modellistica per interrogazione chiusa”: il questionario. Ripercorriamo, seppure
brevemente, con il paragrafo che segue, le tappe principali che hanno condotto alla
sistematizzazione di tale disegno della ricerca.

2.1. L’inchiesta campionaria

Le origini dell’inchiesta campionaria rimandano a Marx e a Weber. Il primo dei due


studiosi ha fatto ricorso a questa procedura nel 1880, quando ha spedito 25 mila copie di
un questionario ai lettori di Revue socialiste (Bottomore, Rubel 1956). Anche Weber ha
fatto ricorso a questo modo di procedere, tra il 1880 e il 1910, per studiare le condizioni
di lavoro nelle campagne della Prussia orientale (con questionari postali spediti ai
proprietari agricoli e ai pastori protestanti), e gli effetti del lavoro industriale sulla
personalità e sulla vita degli operai (con questionari rivolti ai “testimoni privilegiati” e
agli stessi operai) (Lazarsfeld, Oberschall 1965).

Tale prassi ha ricevuto un notevole impulso con lo sviluppo del concetto della
“rappresentatività statistica” e con l’introduzione delle tecniche del campionamento,
basate sull’idea che, per conoscere la distribuzione delle variabili all’interno della
popolazione, non sia necessario studiare la popolazione nella sua interezza, ma che,
attraverso uno studio condotto su un campione opportunamente scelto, si possano
produrre risultati analoghi con altrettanta accuratezza. Anzi, si può ritenere che le
risorse risparmiate grazie alla riduzione drastica dei soggetti da coinvolgere induca a
riporre una maggiore attenzione sulla qualità dei processi attuati.

Il “campionamento”, sistematizzato teoricamente da Jerzy Neyman (1934), negli


anni Trenta, può essere inteso come «un procedimento attraverso il quale si estrae, da un
insieme di unità (popolazione) costituenti l’oggetto dello studio, un numero ridotto di
casi (campione) scelti con criteri tali da consentire la generalizzazione all’intera
popolazione dei risultati ottenuti studiando il campione» (Corbetta, 1999, p. 313).

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La diffusione di questo stile conoscitivo è stata particolarmente incisiva negli Stati
Uniti, sia per la diffidenza nei confronti di qualsiasi ingerenza governativa nel vissuto
dei cittadini tramite inchiesta censuaria, sia per il fiorire delle tecniche del marketing
che, negli anni dello sviluppo fordista-taylorista, hanno dato la spinta a ingenti ricerche
aventi lo scopo di sondare i pareri dei consumatori. Le cornici teoriche che fanno da
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sfondo a tale impulso sono il neopositivismo, importato dai membri del circolo di
Vienna, trasferitisi negli U.S.A. a causa delle persecuzioni naziste, e la tradizione
filosofica del pragmatismo, con la quale la prima ha saputo fondersi creando una
commistione dai risvolti resi ancor più evidenti dall’introduzione delle innovazioni
tecnologiche. Grazie al loro impiego, infatti, è stato possibile incrementare
ulteriormente le possibilità di raggiungere, in breve tempo, il maggior numero di
soggetti da interrogare. Basti pensare all’accelerata prodotta dalla web survey, dalla mail
survey e dalla ricerca etnografica on-line.

2.2. Problemi di fondo della rilevazione per interrogazione: standardizzazione e


invarianza degli stimoli

Il primo aspetto al quale si è fatto precedentemente cenno concerne il rapporto tra


intervistatore e intervistato che, nella modalità “oggettivista” tipica dell’approccio
quantitativo, deve essere spersonalizzato, onde evitare di alterare lo stato dell’oggetto di
studio. Ogni possibile interazione tra i partners della comunicazione è vista come una
possibile deriva da arginare seguendo istruzioni ben precise, come quelle estrapolate dal
manuale dell’intervistatore dell’istituto di survey più conosciuto degli Stati Uniti.

«Fate attenzione che nulla delle vostre parole o nel vostro comportamento implichi critica, sorpresa,
approvazione o disapprovazione […] usate un tono di voce normale, un modo di ascoltare attento, un
atteggiamento dal quale non traspaia alcun giudizio […]. Se l’intervistato chiede spiegazioni su una
parola o su una frase, evitate di aiutarlo e rimandate la responsabilità della definizione all’intervistato
stesso […] se per esempio chiede […] che cosa intendete per “discriminazione” rispondete “proprio
quello che significa per lei” […] e se insiste “non capisco” passate alla domanda successiva» (ISR 1976,
pp. 11-13).

Secondo i sostenitori di tale approccio, questo non significa che l’intervistatore


debba essere freddo e distaccato, ma che «attraverso una molteplicità di segnali, deve
indicare all’intervistato che sta facendo un buon lavoro con le sue risposte» (Ivi, p. 13).
L’atteggiamento deve essere amichevole, senza eccedere nella familiarità:
l’intervistatore «deve mostrare un interesse acuto e pieno di simpatia per i problemi
della persona con cui parla […] deve avvicinare l’intervistato con molta fiducia»
(Goode, Hatt 1952).

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Sulla necessità di sapere dosare prossimità e distacco, Hyman (1954) scrive:

«un certo grado di formalità burocratica, di distacco sociale è preferibile. Quando il rapporto supera un
certo livello la relazione diventa troppo intima e l’intervistato può essere tentato di compiacere i
sentimenti dell’intervistatore […] soprattutto nel caso in cui egli sia poco coinvolto nella materia in
oggetto […] e non abbia una propria posizione personale» (p. 48).
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Su questo aspetto, le posizioni critiche fanno notare che la pretesa di un rapporto


asettico sia un mito privo di fondamento. Il rapporto conoscitivo che si instaura tra
studioso e studiato è un rapporto “situato nel mondo”; per tale ragione non può essere
immaginato come pura relazione osservativa, in cui il rilevatore – in osservanza del
modello delle scienze naturali – ha il mero compito di registrare la realtà. Dal momento
che si tratta di individui posizionati storicamente, tra loro verrà giocoforza a instaurarsi
un rapporto comunicativo, fondato in maniera inequivocabile sulle personalità dei
partecipanti.

Il secondo tratto distintivo cui si è accennato poco sopra riguarda il problema della
“standardizzazione della rilevazione” che si concretizza nell’uniformità dello strumento
di interrogazione. Nel modello quantitativo, il questionario è utilizzato come strumento
vincolante che richiede al ricercatore di porgere le stesse domande, nello stesso ordine,
a tutti gli intervistati; come pure è previsto un elevato livello di standardizzazione per le
risposte che gli intervistati possono fornire, dal momento che sono chiamati a scegliere
entro un ventaglio di possibilità pre-confezionate.

«Non modificate la formulazione delle domande. Evitate non solo i cambiamenti deliberati, ma anche
quelli inavvertiti […] potrebbe capitare che nello sforzo di rendere più fluida la conversazione
aggiungiate qualche parola. […] Vari esperimenti hanno mostrato che anche la più leggera modifica nelle
parole può distorcere la risposta» (ISR 1976, p. 11).

Rispetto a tali enunciazioni, si fa notare che il questionario presenta un limite


evidente quando si rivolge agli intervistati trattandoli tutti alla stessa maniera perché,
nel tentativo di uniformare la realtà, sottopone ai partecipanti le stesse domande, «come
se tutti i destinatari fossero dotati di eguale sensibilità, prontezza, maturità» (Gilli 1971,
p. 127), ignorando grossolanamente le disuguaglianze profonde sulle quali è imperniata
la società. In effetti, il questionario può lasciare fuori i soggetti marginali come «gli
analfabeti, i vecchi, i non-partecipanti, gli indigenti, i vagabondi, coloro che si trovano
ai margini della geografia del paese» (Galtung 1967, p. 154), che, per motivi legati ad
una vita condotta nella “periferia sociale”, restano di fatto esclusi dalla rilevazione. Di
fronte alla necessità di strutturare il questionario rigidamente, per individuare le
regolarità e le uniformità del reale, può accadere – come fa notare Capecchi (1985, p.
152) – che le domande formulate in maniera identica e sottoposte secondo uno schema
non modificabile, non solo non rilevano le differenze individuali, ma rischiano di non

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prevedere ambiti e tematiche che, invece, potrebbero rivelarsi importanti ai fini
dell’analisi.

L’approccio “oggettivista-uniformista” risponde ai due dilemmi indicati, il primo


relativo al rapporto studioso-studiato, il secondo alla standardizzazione delle domande,
puntando in entrambi i casi all’“invarianza dello stimolo”, ovvero ad una neutralità 7

comportamentale il cui obiettivo è la “comparazione”: solo se si sottopongono gli stessi


stimoli a tutti gli intervistati si può procedere con la comparabilità dei dati raccolti. Su
questa pretesa uniformità c’è da chiedersi, però, se coincida effettivamente con una
condizione paritetica dei soggetti da interrogare, e come si possa garantire che a stimoli
uniformi corrispondano “significati uniformi”. «La natura impersonale del questionario
può farci concludere che si ha una uniformità nella misurazione passando da un caso ad
un altro? Dal punto di vista psicologico questa uniformità può essere più apparente che
reale; la stessa domanda standard può avere diversi significati per le diverse persone,
agli uni può essere familiare, agli altri del tutto incomprensibile» (Selltiz, Wrightsman,
Cook 1976, p. 295).

Il problema del significato delle domande è stato studiato ampiamente nella


psicologia cognitiva. In effetti, si può ritenere che la domanda posta non interviene in
un campo asettico neutrale e comune a tutti gli intervistati, perché il terreno varia di
soggetto in soggetto, sposandosi ogni volta con una biografia, una cultura ed esperienze
diverse. Inoltre, il significato può variare in base al contesto e alle circostanze in cui si
svolge l’intervista. Il linguaggio è sempre ambiguo e «la ragione fondamentale di questa
ambiguità è che ogni individuo interpreta le comunicazioni scritte o parlate in base alla
propria esperienza e al proprio punto di vista. Conseguentemente, il significato che un
individuo attribuisce a una comunicazione, almeno in parte, è necessariamente ed
esclusivamente suo e non condiviso da altri» (Kahn, Cannel 1967; trad. it. 1968, p.
152). Questo significa che ogni individuo ha un sistema di riferimento personale, in
base al quale interpreta gli stimoli ricevuti. Il fatto che le domande siano standardizzate
non garantisce che queste siano recepite allo stesso modo da tutti gli interlocutori, come
non assicura che i significati siano interpretati esattamente come andrebbero interpretati
secondo le intenzioni del ricercatore. Su questo punto così si esprime Cicourel (1964):
«le domande standardizzate a risposta chiusa forniscono una soluzione al problema del
significato semplicemente ignorandolo» (p. 108).

Come si nota, i problemi di fondo della rilevazione tramite interrogazione


riproducono i dilemmi teorici intorno ai quali si consolidavano le due matrici del
pensiero sociologico, il neopositivismo e l’interpretativismo, che cercano,
rispettivamente, un bilanciamento tra la standardizzazione e l’uniformità delle
informazioni da rilevare, e tra l’individualità del soggetto studiato e la relazione

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empatica con lo studioso. Sulla base di queste divergenze, si strutturano i modelli
dell’interrogazione di cui si è detto: il questionario e l’intervista.

Per quanto riguarda il primo, va precisato che coloro che lo scelgono lo adoperano
sapendo di andare incontro all’impossibilità di comprendere i fenomeni appieno.
Nonostante questo, si opta per tale soluzione, perché consente di raggiungere un numero 8

maggiore di soggetti da intervistare, anche se questo può comportare un lavoro in


superficie anziché in profondità.

2.3. L’attendibilità del comportamento verbale

Molti studiosi dubitano che si possa raggiungere una comprensione piena dei
fenomeni attraverso le risposte ottenute interrogando. «In molte società esistono delle
norme istituzionalizzate che permettono di dire una cosa e di fare l’opposto. […] Da
tempo gli antropologi hanno abbandonato l’idea che le risposte alle domande siano un
dato stabile e definitivo nello studio del comportamento umano, avendo imparato che
ciò che la gente dice di aver fatto o che farà non corrisponde all’effettivo
comportamento» (Williams 1959, p. 57).

Il problema dell’attendibilità del comportamento verbale sarà presentato sotto una


duplice prospettiva: la prima si riferisce alla desiderabilità sociale, la seconda alla
mancanza di opinioni.

La “desiderabilità sociale” è la valutazione socialmente condivisa che in una


determinata cultura è data ad un certo comportamento o atteggiamento individuale. In
ogni cultura esistono pratiche considerate moralmente riprovevoli (per esempio, il vizio
del gioco, l’abuso dell’alcol, l’uso di sostanze stupefacenti) e pratiche che al contrario
godono di una considerazione positiva (come la filantropia, la produttività, l’assiduità a
messa). Le domande su argomenti riguardanti gli aspetti fortemente connotati, in senso
positivo o negativo, possono condurre a effetti fuorvianti, perché le persone potrebbero
essere portate a dissimulare i comportamenti reali dando una visione migliore
dell’operato e del pensiero, oppure evitando di soffermarsi con le risposte sugli aspetti
disapprovati. Questa strategia è motivata dal fatto che, in presenza di un interlocutore
estraneo come il ricercatore, ognuno potrebbe tendere a offrire una visione alterata della
realtà, sia mitigando gli aspetti negativi, sia edulcorando il vissuto. A tale proposito c’è
chi differenzia tra “risposte private” e “risposte pubbliche” (Lutynski 1988, p. 179), chi
distingue tra “opinioni private” e “pubbliche” (Cicourel 1964, p. 56) e chi parla di
“comportamento reale” e “comportamento ideale” (1959, p. 58).

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In psicologia la discordanza tra l’immagine che una persona ha di sé stessa e la realtà
va sotto il nome di “processo di razionalizzazione” con il quale si designa il
meccanismo inconscio che porta a dissociare i propri pareri e le azioni dai modelli
culturali e dalle credenze di fondo. Si tratta di un aspetto che, se opportunamente
individuato, è in grado di mettere in luce l’immagine reale che l’intervistato ha di sé
9
stesso.

Il secondo problema indicato, concernente la “mancanza di opinioni” (non-attitudes),


potrebbe derivare dalla presenza, nel questionario, di domande su alcuni argomenti
complessi dei quali la persona interrogata non è sufficientemente informata. La presenza
di domande in rapida successione, le “batterie”, potrebbe mettere il soggetto sotto
pressione inducendolo a dare una risposta, sebbene non sia particolarmente
documentato, vista la facilitazione delle domande a “risposta chiusa”, quelle in cui
l’intervistato sceglie la risposta più vicina alle sue opinioni, selezionandola in un
ventaglio di risposte limitate già previste dal ricercatore. Il rischio è di porre la persona
sotto pressione, spingendola a dare risposte volatili, che, nascendo nel momento in cui è
letta la domanda, potrebbero dissolversi subito dopo.

Il primo studioso ad accorgersi di questa possibilità è stato Converse, nel 1970,


quando, riprendendo gli esiti di uno studio longitudinale, si è accorto di questa tendenza
che lo ha portato a distinguere idealmente la popolazione di riferimento in due
componenti: una perfettamente stabile nel dare le sue risposte nel tempo, l’altra che, pur
essendo priva di opinioni sulla materia in questione, si sente nel dovere di fornire
necessariamente una risposta qualunque onde evitare di lasciare il campo vuoto. «Quali
che siano le nostre intenzioni il questionario è percepito come se si trattasse di un test di
intelligenza, nel quale le risposte “non so” oppure “non sono in grado di scegliere”
vengono considerate come delle confessioni di incapacità mentale» (Converse 1970, p.
177). Da questa tendenza a dare risposte casuali scelte nel ventaglio proposto, è derivata
l’idea di Converse di usare l’espressione non-attitude per indicare l’assenza di opinioni.

Il limite del questionario individuato da Converse pone una questione nuova: la


domanda standardizzata rileva l’opinione, senza coglierne l’intensità e il radicamento. Il
fatto che il questionario non sia capace di distinguere le opinioni intense da quelle
instabili comporta considerazioni di non poco conto sulla natura dei risultati presentati,
perché non si sa quanto gli orientamenti espressi siano solidi o viceversa deboli.

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2.4. Forma e sostanza delle domande del questionario

Dopo aver trattato i problemi di carattere generale che possono derivare dall’uso
dell’interrogazione chiusa, vediamo come concretamente si mette a punto lo strumento
presentando le principali tipologie delle domande inserite nella struttura. A differenza di
quanto si possa credere ad una prima lettura, l’operazione di costruzione della struttura 10

di un questionario è tutt’altro che banale e richiede sforzi enormi per stabilire in quale
esatto ordine debbano essere poste le domande, al fine di ridurre al massimo gli errori
dovuti ai problemi precedentemente analizzati.

Le domande possono essere ripartite in base alle informazioni che intendono rilevare;
sono perciò finalizzate a registrare le proprietà sociografiche di base, gli atteggiamenti e
i comportamenti.

Le “domande relative a proprietà sociografiche di base” si riferiscono alle


caratteristiche permanenti dell’intervistato, come quelle demografiche (il genere, l’età, il
luogo di nascita); vi rientrano anche i connotati sociali ereditati dalla famiglia di origine
(come la classe sociale e il titolo di studio) e le caratteristiche che, pur non essendo
permanenti, chiariscono la posizione dell’intervistato al momento della rilevazione
(come la professione, lo stato civile, il luogo di residenza, il numero eventuale dei figli).
Normalmente, queste domande, dette anche “variabili strutturali”, sono poste all’inizio
di ogni inchiesta e non riguardano l’oggetto della ricerca, ma servono a inquadrare
sociograficamente la persona intervistata, tracciandone il profilo con le caratteristiche
salienti della sua condizione esistenziale.

Le “domande relative agli atteggiamenti” rientrano nell’area delle opinioni, delle


motivazioni, degli orientamenti, dei sentimenti, dei giudizi e dei valori, ovverosia il
campo in cui è più difficile penetrare attraverso l’inchiesta, che però più si presta ad
essere esplorato con l’interrogazione diretta. Gli atteggiamenti sono complessi e
multidimensionali, e i pareri delle persone possono mutare a seconda delle circostanze,
oppure rispondere a motivazioni inconsce. Per queste ragioni le domande sugli
atteggiamenti sono difficili da formulare e le risposte possono essere facilmente
influenzate dalla maniera di formulare la domanda, dal suo posizionamento nella
struttura del questionario e dal modo di porgersi dell’intervistatore.

Con le “domande relative ai comportamenti” si passa dal piano dei pensieri a quello
delle azioni, perché queste, a differenza della tipologia precedentemente esposta,
rilevano ciò che l’intervistato dice di fare e di aver fatto nella vita. Il campo, quindi, si
presenta particolarmente solido, sia perché non si presta ad equivoci, sia perché attiene
all’esperienza concreta, direttamente osservabile. Questo significa che, se le opinioni
possono essere volubili, in questo secondo caso le risposte riguardano gli aspetti
materiali dell’esistenza che, in maniera inequivocabile, sono avvenuti oppure no. La

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risposta che si può fornire alle domande che riguardano i comportamenti può essere una
sola; mentre, nel caso delle risposte sugli atteggiamenti, queste possono essere
molteplici, soprattutto se il parere dell’intervistato non è univoco. Inoltre, il fatto che i
comportamenti siano osservabili, anche da terze persone, fa riferimento alla possibilità
di lasciare una traccia di quanto fatto, e la consapevolezza di questo aspetto rende le
11
persone più propense a offrire risposte veritiere, anche se in fin dei conti un controllo
incrociato con le fonti terze non è effettuato.

2.5. Domande a risposta aperta e chiusa

Una decisione importante con la quale il ricercatore deve confrontarsi riguarda la


presentazione delle domande, con risposte in forma “aperta” o “chiusa”: una scelta che
chiama in causa quanto detto a proposito del dilemma della standardizzazione delle
informazioni ai fini della comparabilità dei dati rilevati, perché, se le domande del
primo tipo dànno luogo a risposte “libere” con le quali il soggetto intervistato può
esprimere apertamente il proprio punto di vista, con le domande del secondo tipo le
risposte possono essere indicate solo all’interno di una rosa di opportunità
preselezionate dal ricercatore. È chiaro che questa duplice possibilità apre a due maniere
di trattare i dati in fase di elaborazione completamente diverse, perché in un primo caso
le informazioni raccolte non sono uniformi e dunque comparabili, in un secondo caso
tendono all’uniformità, rendendo possibile il confronto analitico. Quindi, la scelta di
operare attraverso un modo oppure un altro tocca, al contempo, l’apertura e la chiusura
tanto delle domande, quanto delle risposte.

Per quanto riguarda le “domande a risposta aperta” (o più brevemente “domande


aperte”) va sicuramente riconosciuto il maggior grado di flessibilità con cui il
ricercatore si accosta alla realtà del soggetto studiato, al quale lascia ampio margine di
libertà per formulare compiutamente una risposta che esprima in toto il suo punto di
vista; d’altra parte resta la necessità di arrivare allo scopo della comparazione delle
informazioni rilevate. Per cui, se nel caso delle domande a risposta chiusa si è già in
presenza di dati pronti per essere inseriti nella matrice casi per variabili, nel caso delle
domande aperte, invece, questa operazione di “codifica” deve essere compiuta a
posteriori, con il rischio di un eccesso di manipolazione da parte dell’analista che si
occupa di questi passaggi. La forzatura che si desiderava evitare, quando è stata avviata
la costruzione del questionario, in realtà non può essere eliminata, e la necessità di
operare ugualmente in tale direzione, al fine di rendere possibile i dovuti raffronti
all’interno di un materiale empirico che si presenta particolarmente eterogeneo, spinge a

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forzare le parole dell’intervistato, costringendole entro categorie fissate durante la post-
codifica.

Quando si parla di materiale eterogeneo si fa riferimento alle differenze linguistiche,


nonché gergali, che possono sorgere dalle risposte. Dal momento che gli obiettivi delle
ricerche quantitative in cui si fa uso del questionario sono la regolarità e l’uniformità dei 12

comportamenti, si renderà necessario tradurre le risposte aperte in ciò che è stato


definito il “linguaggio delle variabili” (Lazarsfeld, Rosenberg 1955), trasformando il
testo in un numero unico da inserire nella matrice-dati. Si tratta di un’operazione
dispendiosa sotto il profilo delle risorse da utilizzare, che si rende poco agevole
soprattutto quando si lavora con campioni particolarmente estesi. È soprattutto per
motivazioni pratiche che, nelle inchieste campionarie, si decide di ricorrere alle
domande presentate di seguito.

Come si può facilmente intuire, i vantaggi delle “domande a risposta chiusa” (o più
brevemente “domande chiuse”) costituiscono il rovescio della medaglia di quanto
appena visto a proposito delle domande aperte. Innanzitutto, offrono a tutti i soggetti
interrogati lo stesso ventaglio di possibilità, e questo riduce di molto il rischio di andare
“fuori pista”, perché si chiarisce quale sia il quadro di riferimento entro cui collocarsi.

Avere una traccia di opzioni presentate sotto forma di elenco costituisce un buon
espediente per la memoria, che sprona alla riflessione, inducendo la persona a uscire
dalla vaghezza e dall’ambiguità. L’elenco di risposte possibili, soprattutto se fornito
attraverso una traccia scritta, permette all’individuo di percorrerlo numerose volte per
chiarirsi le idee, fino a che non arriva a focalizzare aspetti che, fino ad un momento
prima, potevano apparire confusi.

Come è ovvio che sia, tali punti di forza possono rappresentare al contempo anche
limiti di fondo delle domande chiuse, che possono essere così sintetizzati. Come prima
cosa va detto che le domande chiuse lasciano fuori le alternative che il ricercatore non
ha previsto, e questo richiama uno dei limiti intrinseci dell’approccio quantitativo,
relativo al fatto che, imponendo alla realtà studiata le categorie concettuali del
ricercatore, si determina una chiusura prematura dell’orizzonte conoscitivo. «Il
questionario con domande a risposta prestabilita preclude la possibilità di ottenere
definizioni non previste della situazione in grado di rivelare i pensieri privati ed i
sentimenti dei soggetti» (Cicourel 1964, p. 105).

A questo primo aspetto di rilievo deve essere aggiunto che la presenza di alternative
tra cui scegliere può influenzare le risposte, perché vi è il rischio di suggerire possibilità
anche a coloro che non possiedono un’opinione in merito all’oggetto. Le domande
chiuse favoriscono le pseudo-opinioni, le risposte date a caso: un problema che non si

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pone quando le domande sono aperte, perché l’intervistato ha la facoltà di rispondere
liberamente.

Inoltre va considerato che la pre-codifica, cui si ricorre ai fini della comparabilità,


non elimina il problema dei significati diversi attribuiti dagli individui alle loro risposte,
perché effettivamente gli intervistati devono usare un procedimento di discernimento 13

doppio, applicandolo alle domande e alle risposte previste dal ricercatore. Su questo c’è
da dire che, mentre una domanda chiusa maschera molto il problema del discernimento,
perché l’intervistato può nascondersi dietro il ventaglio di proposte offerte dal
ricercatore, con la domanda aperta questo limite può essere arginato, perché
l’intervistatore ha la possibilità di chiarire meglio il senso delle formulazioni.

Per ovviare a tali inconvenienti sarebbe opportuno fare precedere la


somministrazione del questionario da uno “studio esplorativo” con cui si sottopongono
le stesse domande, però in forma aperta, ad un campione ridotto di soggetti estratti dalla
popolazione di riferimento, in modo da avere chiaro il quadro terminologico in cui si
inseriscono le possibili alternative. Di norma, si procede prevedendo sempre un ultimo
campo indicante il valore “altro”, che rappresenta un’alternativa alla quale non si è
pensato, o che non è emersa dallo studio esplorativo, anche se pone nuovamente il
problema della codifica ex post delle informazioni rilevate.

In alcuni casi è sconsigliabile procedere con domande chiuse, in particolar modo


quando il livello culturale degli intervistati è troppo basso per recepire adeguatamente
gli stimoli del ricercatore, per lo più basati sul metodo dell’astrazione; quando le
opzioni di risposta non sono chiare al ricercatore; quando sono troppo numerose; oppure
quando toccano argomenti particolarmente complessi o delicati (rapporto genitori-figli,
orientamenti sessuali, uso di sostanze stupefacenti, comportamenti devianti), per i quali
si presta maggiormente il modello dell’interrogazione aperta, del quale non si parlerà in
questa sede poiché facente capo al versante della ricerca qualitativa.

Quindi, per concludere, come si presentano indiscutibili limiti per quanto concerne le
domande aperte (vaghezza espositiva, eterogeneità del materiale raccolto, assenza di
standardizzazione e disomogeneità, difficoltà nella codifica), così vi sono limiti evidenti
per ciò che concerne le domande chiuse (difficoltà di discernimento nell’assegnazione
dei significati alle domande e alle risposte, forzatura all’interno di opzioni prestabilite,
libertà espressiva limitata, impossibilità di prevedere tutte le sfaccettature del reale).
Ciononostante, nelle ricerche sui grandi numeri, ogni alternativa alle domande chiuse
rischia di minare alle basi l’obiettivo delle indagini che, essendo svolte su campioni
estesi, mirano ad ottenere, attraverso la standardizzazione delle domande e delle
risposte, dati uniformi da confrontare senza rimanere schiacciati sotto il peso di una
massa sconfinata di informazioni lacunose, incongruenti, non codificabili e
difficilmente interpretabili.

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3. Come rilevare i dati con il questionario
14
I modi per somministrare il questionario sono quattro: con un’intervista faccia a
faccia, con un’intervista telefonica, tramite l’autocompilazione, rivolta in taluni casi al
questionario postale, oppure attraverso una modalità computerassistita. Nel momento in
cui il ricercatore predispone il disegno della ricerca deve avere le idee chiare sulle
opzioni con cui vuole procedere per la somministrazione, perché a ciascun tipo di
interrogazione menzionata si associano vari limiti e potenzialità. Questi saranno
entrambi oggetto dei paragrafi che seguono.

3.1. La somministrazione face to face

C’è stato un tempo in cui la somministrazione face to face era la modalità prevalente
con cui si sottoponeva la scheda di rilevazione agli individui da interrogare: ci si recava
a casa delle persone e si dava corso alla rilevazione seduti gli uni di fronte agli altri. Con
l’aumentare della criminalità e della pericolosità dovuta alla presenza di estranei nelle
proprie abitazioni, è cresciuta la diffidenza da parte della gente nei confronti dei
rilevatori. A questi cambiamenti si deve associare pure la diffusione dei telefoni nelle
case, che hanno reso di fatto meno costosa la rilevazione, spingendo i centri di ricerca a
preferire sempre più la somministrazione per via telefonica a quella in cui è richiesta la
presenza personale dei rilevatori.

Pur trovandoci nel versante quantitativo, dove non è prevista una stretta interazione
tra i soggetti inseriti nella relazione comunicativa, resta il fatto che l’esito di questa
prassi conoscitiva è fortemente legato alle modalità con cui l’intervistatore interviene.
Ciò significa che, dovendo limitare al massimo le sue iniziative, si renderà molto utile
procedere attraverso una preventiva fase di addestramento.

Nella prima parte della spiegazione delle finalità della ricerca, il rilevatore deve fare
intendere alla persona che ha davanti che al mondo esiste una varietà enorme di opinioni
e punti di vista in merito ai fatti, per cui non esistono risposte esatte e risposte errate, e
che anzi egli è interessato a ricevere il parere personale sull’oggetto della rilevazione
per come si presenta, nella sua specificità. Nel porgere le domande, dovrà quindi evitare
di assumere un atteggiamento che inclini verso l’una o l’altra risposta, perché così
facendo potrebbe correre il rischio di influenzare il soggetto. La posizione del rilevatore
deve, dunque, essere neutrale e impersonale, onde evitare di condizionare gli esiti della

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ricerca. In sostanza deve «guardarsi dall’esprimere approvazione o disapprovazione per
le affermazioni rilasciate dal soggetto […] e abituarsi a rispondere con frasi o gesti
ambigui e non impegnativi quando il soggetto rispondente manifesta il desiderio di una
qualche reazione» (Phillips 1971; trad. it. 1972, p. 195). Allo stesso tempo il rilevatore
deve accertarsi che il significato delle domande sia compreso appieno, che l’attenzione
15
del soggetto sia sempre vigile e che questi cooperi costruttivamente.

È importante che il rilevatore tenga a bada l’istinto di direzionare le risposte verso gli
esiti da lui attesi. Potrebbe capitare di farlo inavvertitamente, con gesti improvvisi, con
cenni involontari, con le espressioni del viso, con la mimica corporea, con la
prossemica, con il tono della voce, con l’enfasi posta sulle alternative possibili. Tali
meccanismi sfuggiti al controllo personale possono infatti esercitare un loro peso
soprattutto sulle persone incerte, su quelle che non hanno un’opinione particolarmente
vivida sugli accadimenti, come pure possono influenzare coloro che cercano, in specie
quando si parla di argomenti inerenti al prestigio, di compiacere con le loro risposte
l’intervistatore. Per queste ragioni quest’ultimo deve essere messo al corrente della
particolare “reattività” dei soggetti alle sue domande e alle sue aspettative, attraverso un
periodo di addestramento, trascorso il quale deve essere prevista altresì la presenza di un
supervisore che monitori costantemente lo svolgersi delle rilevazioni. Come sottolinea
Marradi (1980, p. 64), sarebbe indispensabile evitare di porgere la domanda nel modo
seguente: “lei è d’accordo con questa affermazione, non è vero?”, limitandosi a chiedere
in maniera neutrale: “lei è d’accordo o contrario?”.

3.2. La rilevazione telefonica

A partire dagli anni Ottanta, dato il numero elevato dei telefoni presenti nelle case, la
rilevazione telefonica assume una frequenza maggiore che la porta ben presto a
diventare la tecnica di rilevazione alla quale si ricorre più spesso, soprattutto nel caso
delle ricerche di mercato e nei sondaggi di opinione.

I vantaggi derivanti dall’uso di questa prassi sono facilmente intuibili. Riguardano


principalmente l’opportunità di raggiungere, a costi contenuti, un campione di persone
che può essere anche particolarmente esteso. È stato stimato che, rispetto alle interviste
face to face, il risparmio può andare dal 50% al 70% (Groves 1989, pp. 526-538).

In genere, alla richiesta di partecipare a una rilevazione telefonica corrisponde una


propensione maggiore da parte dell’intervistato a concedere l’intervista, poiché
rassicurato dalla condizione dell’anonimato. Con le linee telefoniche è possibile
raggiungere un numero considerevole di persone che non necessariamente sarebbero

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disposte a fare entrare estranei nelle loro abitazioni. Quindi, sebbene non si tratti di
un’intervista completamente anonima, poiché il numero di telefono è pur sempre
tracciabile, le interviste realizzate con questo tipo di tecnica sono percepite come meno
invasive della privacy.

Vi è un ulteriore requisito che rende questa modalità particolarmente vantaggiosa, 16

legato alla possibilità di raggiungere con una telefonata soggetti che vivono nelle
periferie difficilmente raggiungibili con i tradizionali metodi di trasporto e di
comunicazione. Dal punto di vista della campionatura ciò consente di conseguire una
copertura del campione che si estende oltre le zone centrali e più accessibili del paese.

Generalmente le interviste telefoniche si svolgono a partire dallo stesso luogo, in cui


vengono concentrati i rilevatori, cosa che favorisce il monitoraggio di cui si parlava e il
controllo dell’andamento dei colloqui tramite una centralina di ascolto. Nei centri
specializzati in questo tipo di rilevazione l’uso della rete telefonica è combinato con
l’utilizzo simultaneo del computer: si parla in questi casi di computer assisted telephone
interviewing per indicare la rilevazione in cui l’intervistatore legge dal monitor il testo
dell’intervista, mentre inserisce immediatamente la risposta ricevuta dall’intervistato
digitando l’alternativa indicata sulla tastiera. Durante lo svolgimento del colloquio
telefonico, il computer seleziona le domande seguendo la logica dei “filtri” inseriti dai
ricercatori, in modo da “saltare” le domande che non si addicono al caso in questione, sì
da passare con immediatezza a quelle successive. Questa funzione, unita alla capacità di
evidenziare subito le eventuali incongruenze registrate, permette di velocizzare il
momento della rilevazione rispetto a quanto avviene nella conduzione “faccia a faccia”.
Inoltre, l’immissione istantanea delle risposte dei soggetti raggiunti con la tecnica CATI
consente di operare sin dall’inizio le prime elaborazioni analitiche su quanto rilevato.

Come si diceva poc’anzi, ogni tecnica di rilevazione prevede limiti e opportunità.


Nel caso delle interviste telefoniche manca il rapporto personale basato sul contatto
diretto, dovuto alla co-presenza fisica degli interlocutori. Dal minore grado di
compartecipazione agli scopi della ricerca che ne consegue dipende la tendenza a dare
risposte superficiali, dettate dal caso e dalla fretta di concludere il prima possibile la
telefonata. Bisogna considerare che questa sopraggiunge in un momento non precisato
della giornata, quando il soggetto da intervistare, che nel frattempo potrebbe essere
intento a dare seguito ad altre faccende personali, non se lo aspetta, e questo potrebbe
generare in lui il desiderio di portare a termine rapidamente l’intervista, sì da tornare
alle sue attività. Per questa ragione il colloquio telefonico deve essere breve in modo da
evitare che la persona interrompa bruscamente la chiamata: cosa che tra l’altro farebbe
perdere il lavoro svolto fino a un certo punto dell’intervista. Il fatto di sapere che questa
evenienza potrebbe succedere induce lo stesso rilevatore a vivere il momento del
dialogo computerassistito con particolare apprensione, dove il timore che il rispondente

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chiuda la comunicazione è accresciuto dalla consapevolezza di essere posti sotto
controllo tramite l’ascolto. La fretta messa nel porgere le domande potrebbe essere
avvertita dal soggetto intervistato, rafforzando in lui la tendenza a rispondere
precipitosamente, e questo porta a ritenere che «le risposte date al telefono siano più
superficiali di quelle ottenute in un’intervista diretta» (Chiaro 1996, p. 3). Dal momento
17
che tali limiti sono noti, di norma si procede realizzando una scheda semplice, non
particolarmente lunga, in cui i quesiti sono presentati senza troppe complicazioni:
aspetto che porta con sé il rischio di un’eccessiva banalizzazione. Il fatto di dovere
rimanere sulla superficie, senza scendere in profondità, rende questo strumento poco
adatto alle indagini in cui si ha la necessità di approfondire le tematiche oggetto della
rilevazione; viceversa la sua rapidità di somministrazione, unita all’immissione
immediata dei dati e alla velocità con cui si può procedere ad una prima analisi lo
rendono particolarmente adeguato alle applicazioni su larga scala tipiche dei sondaggi.

Un altro svantaggio legato alla tecnica CATI riguarda il mancato rispetto di alcune
condizioni imposte dal campione, in cui, per esempio, si chiede di raggiungere un certo
numero di soggetti anziani. Ebbene, questi sono normalmente i meno rappresentati nelle
inchieste in cui si fa uso di questo metodo perché il più delle volte preferiscono cedere il
telefono ai familiari presenti, più giovani e istruiti. Sempre con riguardo alla
campionatura, va precisato che, pur vivendo in una realtà sociale altamente digitalizzata,
non è detto che tutti abbiano una linea telefonica per essere raggiunti. Ciò significa che
intere porzioni della popolazione possono rimanere escluse dalle computer assisted
telephone interviewing, che ad esempio non possono coinvolgere tutti coloro che non
sono presenti sugli elenchi telefonici. Ciò significa che vi è un difetto intrinseco nelle
rilevazioni di questo genere, per lo meno per quanto riguarda le esigenze di copertura
stabilite dal piano di campionamento.

A questi svantaggi si aggiunga l’impossibilità di cogliere gli aspetti correlati


all’intervista, appuntati dal ricercatore sotto forma di “note etnografiche di campo”, in
cui memorizzare gli elementi emersi nel corso dello scambio verbale: di solito questi si
riferiscono all’arredamento delle case, all’abbigliamento, ai gesti, alla mimica facciale,
a tutto quanto non è espresso dal partner sotto forma di interlocuzione finalizzata a
offrire informazioni attinenti agli scopi della ricerca.

3.3. L’autocompilazione

Il caso dei questionari autocompilati riguarda le situazioni in cui gruppi di persone


significative rispetto agli scopi della ricerca vengono raggruppate, in occasione di

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circostanze precise (ad esempio una prima a teatro, all’uscita di un film proiettato al
cinema, durante una mostra, un festival, una fiera, una manifestazione) per conoscere le
motivazioni che le legano all’evento in corso di svolgimento. Questa possibilità
permette ad un solo rilevatore, o comunque a gruppi particolarmente ridotti di rilevatori,
di consegnare le schede nelle mani degli intervistati per raccoglierle in un momento
18
successivo, a compilazione avvenuta. È chiaro che dal lato delle opportunità si presenta
un notevole risparmio dei costi di rilevazione e di formazione dei rilevatori che saranno
presenti sul campo in un numero certamente inferiore alle inchieste che prevedono la
relazione di co-presenza fisica. Con questa tecnica, infatti, è possibile che un solo
rilevatore consegni e ritiri in un unico giorno anche un centinaio di questionari: un
numero che, in un’interrogazione face to face, sarebbe raggiungibile unicamente
impiegando un discreto numero di rilevatori per diversi giorni.

Un limite importante consiste nell’assenza del rilevatore durante la compilazione.


Mentre quest’ultimo è preparato a compilare il questionario in ogni sua parte, il
soggetto, lasciato solo, potrebbe commettere errori molto grossolani. Non è detto che
tutti abbiano lo stesso grado di motivazione e di coinvolgimento nell’affrontare
l’autocompilazione, come non è detto che tutti siano sufficiente avvezzi, oltre che
istruiti, alla manipolazione dello strumento: al di là del diverso grado di istruzione
formale dei soggetti coinvolti nell’indagine, può darsi che vi sia qualcuno che non ha
mai aderito a un’inchiesta sociologica, che non abbia mai visto una scheda di
autocompilazione e che non sappia come comportarsi nel momento in cui gli viene
chiesto di redigerne una. Va da sé che i questionari rispondenti a questo tipo di
somministrazione devono essere particolarmente agili e semplici.

Quanto alla necessità di coprire il campione in maniera fedele, se non


rappresentativa, va precisato che di norma aderiscono a queste indagini, accettando di
sottoporsi all’autocompilazione, soprattutto i soggetti più disponibili, più istruiti e
qualificati e con più tempo a disposizione per prendersi una pausa e dedicarsi alla
elencazione delle risposte – che in taluni casi, se sono “aperte”, richiedono tempo per il
ragionamento1. Questo aspetto limita di fatto le possibilità di dare risalto al campione in
tutte le sue sfaccettature, perché viene prestato ascolto solo a un certo tipo di persone
particolarmente propense a partecipare, anche in virtù di una curiosità personale da
esaudire nei confronti degli scopi della ricerca; o peggio ancora potrebbe trattarsi di
persone che, non sapendo come impegnare il tempo, decidono di accettare l’invito a
collaborare solo per intrattenersi durante le attese, finendo però con il dare risposte a
caso o comunque non oggetto di un’attenta riflessione. Onde ridurre al massimo rischi

1
In genere si preferisce non utilizzare le domande a risposta aperta nei questionari autocompilati
perché, data l’assenza dell’intervistatore, verrebbe a mancare il requisito minimo capace di giustificare la
presenza di domande aperte, che prevedono un rapporto di interlocuzione, soggetto agli stimoli del
rilevatore.

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di tale genere, sarebbe bene che il rilevatore rimanesse a disposizione degli intervistati
per fornire spiegazioni in caso di necessità, praticando al contempo anche un minimo di
supervisione sullo svolgimento dell’autosomministrazione.

Esistono alcune situazioni in cui la restituzione è vincolata: è il caso dei censimenti,


quando il rilevatore si presenta alla famiglia per la consegna della scheda che ritirerà in 19

un momento successivo, a compilazione ultimata. Sapere che la persona incaricata della


consegna e del ritiro è destinata a passare nuovamente in casa rappresenta un deterrente
capace di ridurre il rischio di risposte mancanti o trascritte erroneamente, dato il
controllo attuato all’atto stesso del ritiro. Il problema dell’autoselezione dei soggetti più
propensi a partecipare di cui si diceva poco sopra è in questo caso superato, poiché la
rilevazione è condizionata dalla presenza di un rilevatore destinato a ritornare.

Vi è un’altra fattispecie particolare, cui si riferiscono le inchieste che, avvalendosi


della “somministrazione postale”, raggiungono una parte della popolazione studiata,
allegando alla scheda la busta per il ritorno con affrancatura a carico del destinatario,
normalmente rappresentato dall’istituto che conduce la ricerca.

In casi come questo il primo vantaggio immediato è costituito dalla riduzione dei
costi, riferiti unicamente alle spese di spedizione e alla stampa delle schede. C’è da dire
che il questionario ricevuto per posta può essere compilato in qualsiasi momento la
persona ritenga opportuno farlo, ad esempio durante le pause e in più riprese, cosa che
consente di riflettere oltremodo sulle risposte che si intendono dare. Vi sono garanzie
maggiori quanto all’anonimato, perché i questionari restituiti non presentano
necessariamente l’indicazione del soggetto compilatore. Data l’assenza del rilevatore
vengono meno anche le possibili distorsioni dovute ai suoi stimoli inavvertiti. Inoltre, si
possono raggiungere, grazie alle comunicazioni postali, zone isolate non facilmente
accessibili del paese.

Se questo è quanto si può dire a proposito dei vantaggi, per quanto concerne gli
svantaggi va certamente ricordata la scarsa tendenza a rispondere e a restituire il
questionario compilato: in genere la percentuale dei rispondenti si attesta attorno al 50%
dei casi selezionati. Si presenta anche in questo caso il limite dell’autoselezione: non c’è
alcuna garanzia che i rispondenti siano un campione casuale della popolazione, anzi,
normalmente chi risponde è mediamente diverso da chi decide di non rispondere: tanto
per cominciare è tendenzialmente più istruito. Riguardo all’istruzione c’è da dire che i
soggetti selezionati devono presentare necessariamente un certo grado di
alfabetizzazione, indispensabile a procedere con la stesura tramite scrittura, e questo di
fatto esclude una fetta enorme di persone che, non essendo avvezze allo strumento, non
potendo partecipare, non potrebbero offrire le loro opinioni. L’assenza del rilevatore
impedisce di sapere se il questionario è stato riempito dal destinatario al quale era
realmente indirizzata la scheda, o se viceversa abbiano contribuito i parenti o una

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segretaria. Normalmente questa procedura comporta uno svantaggio noto, di cui si è
detto, relativo alla scarsa propensione a rispondere e a rispedire le schede: per questo si
procede con formulari particolarmente semplici, concisi e brevi, in cui è impossibile
utilizzare le “domande filtro” come si farebbe con questionari compilati face to face,
dove il rilevatore, istruito a farlo, prosegue seguendo le istruzioni presenti nel caso di
20
domande che richiedano di saltare ai quesiti successivi. Un esempio di questo genere di
domande potrebbe essere: “se ha risposto sì, passi alla domanda seguente”; “se ha
risposto no, vada alla domanda n. 10”.

Come si vede, anche nell’autosomministrazione postale sono presenti diversi limiti


oggettivi, arginabili in base ad alcune precise caratteristiche. Innanzitutto, la
disponibilità a restituire le schede compilate dipende molto dal prestigio dell’istituzione
che presiede all’indagine, perché nel caso di enti pubblici, come le università, o i
ministeri, la propensione a rispondere sarà superiore rispetto alle indagini promosse da
sconosciuti istituti di marketing. A ciò si aggiunga l’importanza della lettera di
presentazione della ricerca e delle sue finalità firmata dal direttore scientifico delle
ricerche. Un altro punto a favore della possibile restituzione si lega alla lunghezza del
questionario, alla sua forma grafica, alla semplicità della sua struttura, perché raramente
le persone accetteranno di dedicare il tempo a questionari che, per la lunghezza e la
complessità con cui sono ideati, sono destinati a portare via molto tempo. A vantaggio
della riuscita della somministrazione vi è la possibilità di ricorrere a gruppi omogenei di
soggetti da interrogare, come i membri di un’associazione, di un club, di una categoria
professionale, perché questi tenderanno a partecipare più volentieri, soprattutto se
accomunati dalla conoscenza reciproca. Infine, affinché l’operazione possa andare in
porto, per garantirsi un riscontro positivo, si renderà necessario procedere con un
sollecito periodico in modo da ricordare ai soggetti selezionati l’importanza della
rilevazione. In ogni caso l’équipe potrà decidere se inviare il sollecito a tutti i destinatari
(la procedura più costosa), oppure se sollecitare unicamente coloro che ancora non
hanno risposto.

3.4. La rilevazione computerassistita

Abbiamo precedentemente parlato della tecnica CATI, in cui il rilevatore interroga le


persone, collegandosi con le loro abitazioni tramite la linea telefonica a partire da un
centro di rilevazione, in cui a ciascun operatore viene data una postazione per procedere
con l’intervista computerassistita. Nella modalità di rilevazione che adesso affrontiamo,
la computer assisted personal interviewing (Saris 1991), ogni rilevatore riceve in
dotazione un personal computer con il quale si reca presso i soggetti da intervistare per

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procedere con la compilazione, leggendo il testo delle domande direttamente dal
monitor del laptop. Si tratta, dunque, di una tipologia di interrogazione molto simile a
quella face to face, con la differenza che nel caso dell’intervista eseguita mediante la
tecnica di rilevazione CAPI il supporto non è più cartaceo, bensì elettronico: quindi,
anche in questa circostanza, come avviene con la tecnica CATI, l’intervistatore ha il
21
compito di inserire le risposte nel computer digitandole sulla tastiera. Ciò comporta,
come già accade con le interviste telefoniche, un risparmio notevole del tempo da
dedicare alle varie fasi della ricerca: soprattutto, la fase della rilevazione si avvicina
molto a quella successiva della codifica e dell’immissione dei dati in matrice, perché
tutto si verifica simultaneamente, ossia, l’intervistatore può trasmettere, al termine della
giornata di interviste, il suo file contenente i dati attraverso il modem collegato al centro
di rilevazione, dove l’analisi può partire immediatamente.

Il fatto di usufruire di un pc permette di utilizzare questionari che, grazie al controllo


da parte del software di gestione, possono essere anche molto articolati e complessi, e
dunque includere domande “filtro” in cui si applichi la logica dei salti, domande con
sequenze di risposte variate casualmente, domande sottoposte a sottoinsiemi casuali del
campione e controlli di congruenza delle risposte date. Certo, dotare ciascun rilevatore
di un pc portatile comporta dei costi, che però possono essere velocemente ammortizzati
data la riduzione delle spese relative alle fasi di codifica e di elaborazione dei dati.

Un altro modo attraverso cui si realizza la computer assisted personal interviewing


concerne la “teleintervista” o “intervista telematica”, in cui il pc non viene dato in
dotazione ai rilevatori, bensì alle famiglie cui appartengono i soggetti da intervistare.
Questi, direttamente da casa, possono compilare i test quando vogliono, inserendo le
risposte attraverso la digitazione dalla tastiera. Il pc, collegato tramite il modem
all’istituto di rilevazione, invia le risposte in presa diretta, rendendo possibili da subito
le fasi di elaborazione e di analisi dei dati. Come per le interviste autocompilate, anche
nel caso della tecnica CAPI permane il dubbio relativo al soggetto che, tra i membri
della famiglia, ha contribuito alla compilazione, perché, dal momento che il rilevatore è
assente (motivo per cui i costi della rilevazione si riducono notevolmente), potrebbe
anche darsi che a farlo sia stato un soggetto diverso dal vero destinatario.

Per la modalità con cui si svolge questo tipo di interrogazione la si potrebbe


assimilare alle interviste realizzate con il metodo dell’autocompilazione, solo che in
questo caso non è più presente il supporto cartaceo, ma quello elettronico, per cui è
chiaro che per poter aderire al progetto è necessario essere alfabetizzati all’uso dei
supporti digitali, quindi essere avvezzi all’impiego della comunicazione che si avvale
della posta elettronica e dei social network, perché è divenuta una prassi comune della
web-research fare ricorso all’e-mail per inviare, anche attraverso un link di
collegamento, i materiali che servono per la compilazione: in genere si utilizza un form

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precompilato, preceduto da una lettera di accompagnamento e dalle istruzioni per la
compilazione, in cui l’intervistato ha davanti a sé le caselle che rappresentano le varie
alternative di risposta.

Con questa fattispecie ci addentriamo in un’ulteriore tipologia definita computer


assisted web interviewing, in cui si fa uso di precisi software di gestione dei dati che 22

consentono, oltre all’immagazzinamento delle informazioni, anche una prima analisi


con conseguente elaborazione di grafici e statistiche che possono essere utilizzate per le
presentazioni al pubblico. I dati inseriti, infatti, sono processabili in modalità
compatibile con i formati Spss, Xls e Csv.

L’impiego dei software di gestione dei database permette, nei sistemi più sofisticati,
la realizzazione di web-survey in cui si rende possibile controllare le quote del
campionamento in base alle zone di appartenenza geografica, o in base al genere, al
grado di istruzione e alle fasce di età. Si può limitare il range dell’IP di provenienza
degli intervistati, fissare il numero massimo dei soggetti da intervistare, oppure
richiedere che la compilazione sia consentita solo agli utenti iscritti.

Il numero di domande che si possono inserire nel form di compilazione è


potenzialmente infinito, anche se non conviene estendere eccessivamente il testo del
questionario per non tediare le persone che hanno deciso di prendere parte all’iniziativa,
perché un possibile calo dell’attenzione può portare all’interruzione della compilazione,
facendo decadere la possibilità di portare a termine il completamento del lavoro: è vero
che i dati inseriti sono salvati nella memoria del software di gestione; sta di fatto, però,
che l’interruzione brusca rende indisponibile quanto raccolto poiché il questionario, non
essendo compilato in ogni sua parte, non può essere comparato per intero a tutti gli altri.

Con la tecnica di rilevazione CAWI si possono inserire domande obbligatorie,


oppure domande cui si applica la logica skip che consente di saltare a domande precise,
presentate successivamente nella struttura del questionario. Si può utilizzare la
randomizzazione delle domande, onde evitare il rischio di polarizzazione delle risposte;
come pure si può offrire all’intervistato la possibilità di tornare sui suoi passi e rivedere
la scheda fino all’ultimo momento, quando sarà possibile salvare le informazioni e
inviare il form compilato. Inoltre, si può inserire una “barra di avanzamento” che
consenta al soggetto di sapere esattamente a che punto della compilazione si trova.
Esiste la possibilità di inserire le scale di atteggiamento, oppure le domande a multiple
Choice, o con un “menu a tendina”, con risposta singola, chiusa o aperta. Il questionario
della web-research si presta, infatti, anche all’elaborazione analitica del contenuto del
testo inserito. È prevista infine la possibilità di rendere la web-survey multimediale,
integrando le domande con file di vario genere, come i video, i suoni e le immagini.

DISPENSE DIDATTICHE DEL CORSO DI FONDAMENTI DI


SOCIOLOGIA. METODI E APPLICAZIONI DI RICERCA ELEONORA SPARANO
QUANTITATIVA- A.A. 2020/2021
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