Nelle scienze sociali esistono alcuni metodi e molti strumenti di indagine. Un metodo si può definire come
una strategia di ricerca globale o un approccio generale per studiare un fenomeno che collega teorie e
tecniche di ricerca. Si può comporre di almeno quattro elementi:
2.4 L’etnometodologia
Nel corso degli anni ‘50, accanto all’interazionismo simbolico e ai lavori di Goffman, si è sviluppato nell’opera
di Harold Garfinkel un nuovo approccio che verrà chiamato etnometodologia, cioè lo studio dei modi
(metodi) che quotidianamente gli attori (etno) utilizzano per riconoscere, attribuire significato e classificare
le azioni altrui e le proprie. Il nucleo teorico dell’etnometodologia affonda le sue radici nei lavori di diversi
autori, prosegue lo studio delle condizioni che sostengono l'ordine sociale, approfondisce le proprietà
dell’atteggiamento naturale rappresentato dei ragionamenti di senso comune adottato dai membri nella
sfera della quotidianità, critica il concetto di regola come risorsa cognitiva capace di determinare le azioni
umane. L'etnometodologia miscela in una sintesi originale, varie teorie applicate all'analisi di concrete attività
quotidiane. Garfinkel è uno dei primi ad aprire il dialogo con l'oggetto di indagine sociologica. In due articoli
pubblicati nel 1962 nel 1964 egli documenta i ragionamenti e le pratiche degli attori sociali attraverso l'analisi
del parlato. Nel primo saggio l'autore analizza una decina di protocolli relativi agli scambi verbali tra uno
sperimentatore e alcuni studenti. Nello studio successivo analizza 25 scambi verbali raccolti da 23 studenti
del suo corso attraverso determinati studi. Nella seconda metà degli anni ‘60 le teorie di Garfinkel incontrano
il favore di un sempre maggior numero di addetti tant'è che nelle università statali della California
meridionale si sviluppa un vero e proprio movimento etnometodologico.
2.5 Esercitazione
I tre testi che vengono presentati in questo paragrafo esemplificano tre modi diversi di fare etnografia. Il
metodo etnografico non è uno strumento neutro che automaticamente produce dei risultati. Essi sono il
frutto degli obiettivi cognitivi di una ricerca i quali vengono in parte guidati dalle teorie di senso comune e
dalle teorie sociologiche cui il ricercatore fa riferimento. Vengono presentate tre ricerche di tre studiosi
diversi in modo da notare gli approccio metodologici differenti utilizzati:
- Becker ci fa una fotografia dell’universo dei musicisti e di come loro si sentono migliori di coloro che
sono esterni al loro mondo, i cosiddetti square. Il ricercatore esprime il dissenso che questi musicisti
hanno per coloro che non se ne intendono e di come da un lato li disprezzano e li trattano con
indifferenza allo stesso tempo li temono anche perché il loro lavoro dipende da loro, da come
muovono il mercato musicale e delle loro pessime scelte musicali.
- Goffman ci offre un’analisi di alcuni tipi di slealtà contro l’impegno in generale. Quando si applicano
determinati giochi sociali, per esempio quando si fa credere a qualcuno qualcosa mentre
apertamente ad altri si fa capire che la si sta prendendo in giro o quando in una struttura ospedaliera
ci si burla dei pazienti per spezzare la monotonia etc.
- Sudnow ci presenta invece un quadro generale raccontato molto dettagliatamente di una pratica
ospedaliera chiamata “fasciatura”: ovvero un metodo di fasciare i defunti che ha un non so che di
ritualistico e di accurato. Si tratta di un ruolo specifico che ha bisogno di un team specializzato che
comporta la completa rimozione delle vesti del morto e nel completo avvolgimento del corpo con un
pesante lenzuolo ripiegato fissato con grosse spille di sicurezza.
Notiamo che tutti e tre gli studiosi adottano degli approcci differenti ma allo stesso tempo efficaci, allo studio
del fenomeno scelto. Il primo descrive due atteggiamenti principali presenti nei musicisti: il disprezzo
profondo contro gli squares e il considerarsi persone con un dono particolare. Il secondo presenta quattro
attività molto astratte nei confronti della slealtà nei confrotni di un impegno. L’ultimo invece oresenta una
pratica sociale di base, con procedure di ragionamento di senso-comune.
Della ricerca, l'etnografo collega tra loro concetti diversi, osserva e interagisce con alcuni attori sociali fra i
molti disponibili, sceglie delle strategie per raccogliere le informazioni, ragiona su quali aspetti approfondire
e quali tralasciare. La ricerca si occupa proprio di queste decisioni, concerne la definizione dell'unità di analisi,
del campione di indagine, delle proprietà relative all'argomento di ricerca. Il disegno della ricerca è una delle
fasi cruciali dell'intero processo di indagine da cui dipende la rigorosità concettuale non sempre presente
nelle ricerche etnografiche.
3.4 La concettualizzazione
Uno degli obiettivi principali di una ricerca è rilevare gli stati su una proprietà relativa a un concetto. Per
orientare l'attività di osservazione conviene pensare quindi in modo approfondito alle proprietà che
compongono l'argomento di indagine: attraverso la concettualizzazione l'oggetto di interesse viene suddiviso
in elementi più semplici che insieme concorrono a formare la struttura elaborata per ridurre la complessità
di una data situazione problematica. Tale processo suggerisce quali aspetti osservare con cura e quali
tralasciare perché marginali o perché potrebbero rendere troppo estesa l'indagine. Trascurare questo
passaggio porta a raccogliere informazioni su casi così difformi da rendere poi difficile un'analisi comparativa.
La parte centrale della concettualizzazione può essere sviluppata in un periodo successivo, ad esempio
durante le fasi iniziali dell'analisi dei dati. Ovviamente bisogna dire che la concettualizzazione è un
presupposto irrinunciabile di un'indagine accurata perché gli eventi non sono auto evidenti, ma si colgono
all'interno di una rete concettuale.
3.6 Le ipotesi
Esistono due strategie principali nel processo di interpretazione. Da una parte si può seguire una strategia
“bottom up” che procede dagli indicatori al modello sottostante; dall'altra si può scegliere una strategia “top
down” che parte dal modello sottostante alla ricerca di indicatori che possono documentare tale modello.
Nel caso l'etnografo decida di seguire la seconda strategia, egli si prepara a documentare una o più ipotesi.
Anche le ipotesi sono una forma di ragionamento di senso comune che utilizziamo quotidianamente e spesso
in modo inconsapevole. Molti studiosi affermano inoltre che le ipotesi sono una necessità della ricerca, ma
devono essere formulate e controllate soltanto dopo la raccolta delle note etnografiche affinché il ricercatore
giunga sul campo senza posizioni precostruite; altri invece affermano che gli etnografi possono benissimo
intraprendere un’etnografia orientata sulle ipotesi una volta raggiunto un buon livello di conoscenza della
cultura che sta studiando. Possono quindi svilupparsi delle ipotesi di lavoro basate molto sulla generalità
dell'argomento o delle ipotesi guida, come per esempio quelle che sono state usate dallo psicologo David
Rosenhan nella nota ricerca sulla costruzione della malattia mentale da parte dell'istituzione psichiatrica. Egli
formula l'ipotesi che l'insanità mentale sia una costruzione dell’istituzione manicomiale e degli psichiatri.
Attraverso un esperimento fece ricoverare persone normali in ospedali psichiatrici per verificare se
l’istituzione fosse in grado di scoprire la loro sanità. Nonostante essi assumano sin dal primo giorno un
comportamento normale, essi sono comunque trattenuti per alcuni mesi in ospedale per poi essere dimessi
con un inequivocabile diagnosi: quella della schizofrenia in remissione. La sua ipotesi viene confermata, ma
egli intraprende subito un altro esperimento come contro prova. omunica all'equipe medica di un ospedale
che si sarebbero presentati in quel periodo alcuni pseudo pazienti per provare l'esperimento dello studioso.
Su 193 pazienti ammessi in ospedale in quel periodo, 41 vennero dall'equipe dichiarati pseudo pazienti, ma
Rosenhan affermò che nessun paziente del suo gruppo si era presentato in quel periodo. Sono noti i rischi a
cui va incontro chi lavora con ipotesi: compiere un errore di tipo 1, ovvero respingere un'ipotesi vera oppure
di tipo 2, accettare un'ipotesi sbagliata. I medici sono molto più preoccupati di incappare in un errore di tipo
1, quindi preferiscono rischiare di compiere errori di tipo 2, nel senso che sono più propensi a definire malata
una persona sana. Per l’etnografo è decisamente meglio accettare un'ipotesi sbagliata che respingere
un'ipotesi vera, in quanto l'etnografia non si pone come obiettivo primario evitare errori all'interno di una
singola ricerca. Possono programmarsi molti tentativi in modo da permettere molte verifiche diverse delle
stesse scoperte.
3.7 I modelli
Le ipotesi sono i corrispondenti verbali dei modelli, i quali sono le rappresentazioni grafiche delle nostre
ipotesi sulle relazioni tra due o più variabili. Quindi i modelli grafici sono la sintesi delle ipotesi scritte in
maniera testuale e quindi più allungate. Presentare i modelli risulta di grande utilità e forza comunicativa
nell'esposizione dei risultati dal momento che è una forma di testualizzazione, estremamente intuitiva anche
se un po’ banalizzante. (es. ipotesi di tre righe di un soggetto A legato a B. Con il modello si schematizza con
A B).
3.8 Il campionamento
Attraverso la concettualizzazione, il ricercatore giunge a definire le unità, ovvero l'estensione di un concetto
e l'insieme dei casi, gli elementi dell'universo su cui viene effettuata l'indagine, il campione. Definire le unità
di analisi è di estrema necessità se non si vogliono condurre ricerche approssimative e inconsistenti. In
sociologia prevale ancora la tendenza a scegliere comunità referenti individuali, dai contorni precisi e
facilmente identificabili. Anche nel caso delle famiglie, associazioni, gruppi ecc… dal punto di vista operativo
si finisce sempre per intervistare individualmente i membri. In questo modo vengono trascurate unità
dinamiche come credenze, stereotipi, opinioni, emozioni, rapporti sociali, interazioni, cerimonie, prodotti
culturali come fotografie o dipinti, regole sociali... All’etnografo converrebbe orientare l'indagine verso
questo tipo di unità non solo perché è più facile coglierne i processi sociali e osservarne le pratiche, ma anche
perché queste unità permettono di studiare più direttamente le proprietà osservate.
Scelta l'unità di raccolta delle informazioni si passa alla scelta dei casi su cui condurre la ricerca. Questo
passaggio viene denominato campionamento. Campionare è un'attività pratica che gli attori sociali compiono
quotidianamente. Definita una popolazione, il ricercatore deve decidere se raccogliere informazioni su tutti
gli oggetti che le appartengono oppure soltanto su un sottoinsieme di essi. Il campione è un sottoinsieme di
casi o può anche essere un solo caso. L'etnografo lavora comunque e in qualsiasi indagine su un campione
ma prima bisogna stabilire la differenza tra un campione rappresentativo e un campione. Il campione
rappresentativo è un sottoinsieme che pretende di essere una miniatura dell'universo che sta presentando
e un campione invece è un sottoinsieme di casi su cui ogni ricercatore si concentra. A rigore la pratica di
ricorrere a campioni rappresentativi è plausibile solo se siamo certi che si rispettino effettivamente le
caratteristiche dell'universo. Per capire se si sta ponendo l'attenzione su un campione rappresentativo o su
un campione ci sono due strade che si possono intraprendere quella induttiva e quella deduttiva. La prima
consiste nel conoscere l'universo e confrontarlo con il suo campione, ovviamente bisogna quindi conoscere
sia il campione che l'universo. Purtroppo, una conoscenza non può essere su qualsiasi aspetto, anzi può
essere soltanto sul numero limitato di proprietà. Il criterio deduttivo presuppone che nello studio di fenomeni
o forme sociali considerate pervasive, sia ragionevole non aspettarsi differenze rilevanti tra l'universo e il
campione. Assunto di similarità tra universo e campione ha guidato senza grandi problemi moltissime
ricerche, i ricercatori di queste discipline non si chiedono se quegli elementi in particolare siano o meno
rappresentativi dei rispettivi universi. Bisogna dire però che è molto importante e di estrema utilità ricorrere
ai campioni rappresentativi, poiché è necessario per il ricercatore dimostrare la rappresentatività di quelle
unità rispetto alla totalità dei fenomeni dello stesso tipo.
Nella scelta del campione esistono almeno tre strategie: la scelta a casaccio, la scelta ragionata e la scelta
casuale. Con la prima il ricercatore non si preoccupa della generalizzabilità dei risultati conoscitivi. Si opta
invece per la scelta ragionata quando i casi vengono scelti in base al loro stato su una o più proprietà che
abbiamo individuato come argomento di ricerca. Questo tipo di campionamento ha tre caratteristiche: i casi
vengono scelti in base alla teoria da sviluppare o controllare, vengono scelti i casi devianti, le dimensioni del
campione possono mutare nel corso della ricerca. Quindi siamo consapevoli che a seconda dell'argomento
di ricerca i risultati saranno più o meno generalizzabili, perché il nostro campione è o non è rappresentativo.
La scelta casuale può essere attuata quando possediamo informazioni precise sulla distribuzione degli stati
sulle proprietà all'interno dell'universo. La casualità garantisce che tutti i membri di un universo abbiano la
stessa probabilità di entrare a far parte del campione e offre il vantaggio di poter usare i principi dell'inferenza
statistica per ottenere delle stime circa la corrispondenza tra campione diverso. Nella ricerca etnografica
tutte le tre strategie sono praticabili.
I campioni a scelta ragionata sono di diversi tipi e l'etnografo prima di procedere dovrebbe esplicitare le
proprietà e le caratteristiche che servono ad orientare la scelta:
• il campionamento a dimensioni consiste nell'individuare casi con stati estremi su determinate
proprietà oppure casi che presentino una gamma di stati in modo che tutti quelli possibili siano
presenti (Per esempio se si vuole analizzare il problema della difficoltà di integrazione dei bambini
nelle scuole elementari possiamo prendere due scuole a campione: una con forti problemi e l'altra
con difficoltà minime. Oppure individuarne 3: una con difficoltà forti, una con difficoltà medie e la
terza con casi sporadici. In modo da avere una gamma di possibili situazioni)
• il campionamento per quote è usato per oggetti che abbiano un'ampia varietà di stati. Si divide quindi
la popolazione in tanti sottogruppi quante sono le caratteristiche che vogliamo studiare e ciascun
sottogruppo è generalmente rappresentato nel campione con la rispettiva proporzione che ha
nell'universo.
• nel caso emblematico possono ricadere almeno tre classi di casi: il caso medio (ad esempio il tipico
ospedale di provincia), il caso di eccellenza (una nota fabbrica automobilistica) oppure il caso
emergente o d'avanguardia. Anche la scelta di famiglie tipiche piuttosto che statisticamente
rappresentative potrebbe essere un tipo di caso emblematico.
• il campionamento a valanga consiste nell’identificare alcuni soggetti, dotati delle caratteristiche
richieste e attraverso loro risalire ad altri soggetti possessori delle medesime caratteristiche. Un
esempio fu la ricerca di Whyte che attraverso un ragazzo in carico presso un servizio sociale, l'autore
entrò gradualmente in contatto con la sua rete di relazioni, gli abitanti e gruppi del quartiere.
Data la sua natura a spirale il processo di campionamento può avvenire più volte all'interno della ricerca: in
altre parole il campione cambia in funzione dei concetti e delle proprietà che il ricercatore vuole
documentare, delle ipotesi che decide di controllare e anche degli eventi inaspettati.
4. Il campo
L'accesso al campo si presenta come la fase più difficile di una ricerca etnografica. A differenza di altri tipi di
indagine in cui il ricercatore visita per poche ore l'organizzazione, il gruppo e l'individuo, nella ricerca
etnografica si richiede una maggiore disponibilità al soggetto studiato. In primo luogo, bisogna avere quindi
l'accesso al numero delle organizzazioni e dei gruppi con cui è possibile iniziare la ricerca e in secondo luogo
il ricercatore dovrà dedicare tempo ed energie per poter ottenere il consenso e la fiducia degli interlocutori.
Cassell ha classificato le strategie di accesso al campo in due fasi: il “gettin in” ovvero l'accesso al luogo fisico
e il “getting on”, l'accesso sociale.
5. Osservare
Quando rivolgiamo la nostra attenzione a una scena siamo tentati di registrare tutto quello che vediamo.
L'entusiasmo è forte quindi per evitare questo normale stato di disagio, sin dall'inizio conviene restringere il
campo osservativo. Prima di iniziare le indagini è opportuno, dunque, che l'etnografo decida non soltanto
cosa osservare ma anche come farlo.
6. L’intervista etnografica
Oltre all'osservazione, si può anche ricorrere ad altri metodi con l'obiettivo di chiarire aspetti non sempre
completamente comprensibili. Si possono quindi condurre delle interviste, raccogliere, analizzare dei
documenti prodotti dall’organizzazione oppure trascrivere le conversazioni quotidiane e gli scambi verbali
che intercorrono fra gli attori. L'intervista discorsiva e la documentazione sono due metodi che
frequentemente vengono usati dagli etnografi.
6.1 L'intervista discorsiva in un contesto etnografico
Con il termine intervista etnografica si intende un tipo particolare di intervista discorsiva che l'etnografo
realizza sul campo, nel corso della sua indagine. Attraverso essa egli si propone di scoprire i significati culturali
che gli attori usano e di approfondire aspetti della cultura osservata che non gli sono del tutto chiari. Le
interviste etnografiche si differenziano per diversi aspetti dalle interviste discorsive classiche. Innanzitutto,
l'intervistatore e l'intervistato si conoscono già e hanno avuto modo di conversare in precedenza. Questo
contribuisce a creare un clima e una situazione emotiva diversi. Secondo luogo le interviste non sono
necessariamente programmate per tempo, ma possono svolgersi all'improvviso, nel corso dell'osservazione
partecipante. L'intervistatore può inoltrare poche e brevi domande, a seguito di una scena osservata, per
capire i motivi di una certa reazione o i significati di un determinato atto o gesto; oppure l'intervista può
essere svolta all'inizio di una ricerca, utilizzata come strategia per essere accettati o può servire per rompere
il ghiaccio e instaurare un rapporto di fiducia e collaborazione.
Il ricercatore che voglia dialogare con la comunità scientifica di riferimento si pone il problema del grado di
corrispondenza tra le sue inferenze e il fenomeno sociale osservato durante il periodo di permanenza sul
campo. In questo quadro troviamo il problema della correttezza e della vero-somiglianza delle osservazioni
dell’etnografo che si inseriscono in un orizzonte più ampio in cui il ruolo del ricercatore non è giocato tanto
dalla verità quanto dalla capacità di persuadere la sua audience. Il lavoro di validazione si muove secondo
due percorsi paralleli: da un lato l'etnografo articola il suo discorso dialogando con i canoni metodologici
all'interno della sua comunità scientifica, dall'altra raccoglie e pubblica un insieme di riscontri ai suoi asserti.
Talmente relativo a questa tematica c'erano solo i concetti di attendibilità dello strumento e validità del dato;
con il tempo, essendo mutato il clima, questi concetti appaiono ormai riduttivi, poiché non è sempre possibile
accertare la validità del dato. Invece dal momento che la validità è accertabile solo in alcuni casi, l'attività di
validazione dell’etnografo consiste in un minuzioso lavoro di collezione di riscontri simile alla composizione
di un puzzle, dove ciascun pezzo significa poco ma acquista significato all'interno di un quadro più generale.
Ovviamente non sarà possibile completare l'intero quadro, ma ogni riscontro conferisce all’etnografo e alla
comunità dei lettori il grado di somiglianza dell'impresa conoscitiva.