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Descrivere il mondo (Teoria e pratica del metodo etnografico in sociologia) – Giampietro Gobo

Parte prima – Il metodo

1. Etnografia: metodo o tecnica?

Nelle scienze sociali esistono alcuni metodi e molti strumenti di indagine. Un metodo si può definire come
una strategia di ricerca globale o un approccio generale per studiare un fenomeno che collega teorie e
tecniche di ricerca. Si può comporre di almeno quattro elementi:

• una modalità cognitiva prevalente


• una teoria della conoscenza scientifica con un insieme di precomprensioni e assunti relativi alla
natura della realtà, ai compiti della scienza, a ruolo del ricercatore, ai concerti di azione e di attore
sociale
• una gamma di soluzioni, rimedi e astuzie utili ad affrontare un qualsiasi problema di ricerca
• una sequenza sistematica di passi procedurali da applicare dopo aver scelto la modalità cognitiva
Il metodo si può quindi definire un percorso che è diverso a seconda della modalità cognitiva scelta. A volte
le soluzioni e rimedi non sono adeguati a rispondere a certi problemi specifici quindi di volta in volta bisogna
inventarsi un rimedio. Il rimedio trovato va ad arricchire il patrimonio concettuale e materiale del metodo in
questione.

1.1 I principali metodi delle scienze sociali


Le principali modalità cognitive per lo studio di un fenomeno sono sei:
• ascolto
• interrogazione
• osservazione
• lettura
• introspezione/riflessione
• operazione
Queste modalità cognitive compongono la famiglia dei metodi che compongono un insieme ampio di
tecniche di ricerca. La tecnica può essere definita come uno strumento, una procedura operativa, codificata
e diffusa che contiene le varie soluzioni che nel tempo sono state inventate. Esistono tecniche per raccogliere
le informazioni e tecniche per analizzarle.
Il metodo dell’intervista discorsiva si propone principalmente di ascoltare le dichiarazioni degli attori sociali.
La sua particolarità consiste nel dare ampio spazio all'intervistato che viene invitato ad esprimersi con parole
proprie ed articolare il discorso secondo i suoi schemi, metafore e metonimie. Agli intervistatori viene
assegnato il compito di adattare i temi di indagine e tracciarli al contesto della situazione e del soggetto.
Il metodo dell'inchiesta campionaria consiste nell’interrogare un soggetto avvalendosi di un questionario.
L’intervistatore legge al soggetto una serie di domande in un ordine non modificabile e contesti
standardizzati. Il soggetto sceglie una risposta cercandola all'interno di una gamma di alternative prestabilite
e l'intervistatore registra tutto senza commentare.
Il metodo documentario si basa sulla rilevazione di informazioni raccolte dal ricercatore che sono state create
nell'ambito delle normali attività di individui o enti sia privati che pubblici, anziché nel corso di rilevazioni
aventi scopi scientifici. Un esempio sono le notizie pubblicate sui quotidiani, i programmi televisivi, statistiche
e raccolte da organizzazioni economiche per orientare l'attività di mercato, le fotografie negli album di
famiglia ecc…
Il metodo trasformativo si colloca nel campo della ricerca applicata e si pone l'obiettivo di studiare soggetti
controllando e manipolandone alcuni stati oppure inducendo in loro dei cambiamenti. Nel primo caso si
manipola la situazione oggetto di studio e si producono informazioni appositamente per poterle rilevare. Nel
secondo caso si parte dall'assunto che conoscenza e intervento siano parte dello stesso processo di
strutturazione cognitiva del ricercatore.
Il metodo speculativo si basa sull'introspezione oppure sulla riflessione in relazione all'analisi di casi le cui
caratteristiche principali vengono inserite in tavole di verità e analizzate secondo una logica causale formale.
Infine, la modalità cognitiva dell’osservazione guida il metodo dell’etnografia.
1.2 L’osservazione partecipante
Il metodo etnografico si compone di due strategie di ricerca: l'osservazione non partecipante e l'osservazione
partecipante. Nella prima il ricercatore osserva a distanza i soggetti senza interagire con loro: chi adotta
questa linea non sembra interessato ad interagire con il loro mondo ed è preoccupato di non interferire per
non influenzare. L'osservazione partecipante, invece, si basa sulle seguenti caratteristiche:
• il ricercatore instaura un rapporto diretto con gli attori sociali
• soggiornano per un periodo prolungato
• nel loro ambiente naturale
• con lo scopo di osservarne e descriverne i comportamenti
• interagendo come parte partecipante ai loro cerimoniali e rituali quotidiani
• imparandone il codice al fine di comprendere il significato delle loro azioni
Il metodo etnografico assegna un ruolo privilegiato all'osservazione come fonte primaria di raccolta delle
informazioni, al quale si può anche aggiungere parallelamente i metodi delle interviste individuali o di gruppo,
materiali documentari come diari, lettere, giornali eccetera. Prioritario, però, rimane lo scopo di osservare le
azioni nel loro concreto svolgersi, anche perché le dichiarazioni che gli attori sociali ti lasciano nelle interviste
non possono essere considerate un sostituto appropriato dell'osservazione del comportamento concreto. Il
metodo etnografico richiede che il ricercatore partecipi alla vita sociale degli attori osservati e mantenga una
sufficiente distanza cognitiva che gli permetta di svolgere adeguatamente il lavoro scientifico. Egli si trova
nell'eventualità di ricercare un improbabile equilibrio tra due opposte situazioni che possiamo chiamare “del
coinvolgimento e del distacco”. Il professionista deve essere sia dentro che fuori l'azione, deve essere dentro
e quindi partecipare attivamente alla visione e alla quotidianità del soggetto, ma deve anche essere fuori in
modo da porre questionari, fare domande, registrare e trascrivere ciò che avviene.

1.3 La nascita del metodo etnografico


Si fa comunemente risalire la nascita del metodo etnografico tra l’ottocento e il novecento. Esso si sviluppa
all'interno dell’etnologia, una disciplina che nella prima metà dell'800 si separa dall'antropologia tradizionale,
dominata dal paradigma fisico e biologico. L'etnologia si afferma come maggiormente orientata allo studio
sia dei popoli sia delle loro culture. Prima dell'introduzione del metodo etnografico, gli etnologi non
raccoglievano le informazioni attraverso l'osservazione diretta bensì compilando statistiche, archivi di uffici,
centri di documentazione, resoconti di villaggi… Questi antropologi consideravano i membri delle popolazioni
locali come dei primitivi, dei selvaggi da educare. L'antropologia sociale britannica di impianto etnografico si
coniuga con il clima intellettuale e positivista dell'epoca proponendosi, nelle intenzioni di Radcliffe-Brown
(1948) come una scienza naturale della società capace di descrivere oggettivamente una cultura. Questa si
poneva in contrasto con l'antropologia dominante che si affidava alle fonti secondarie piuttosto che
intraprendere L'osservazione diretta dei fatti sociali. Malinowski è comunemente riconosciuto come il primo
sistematizzatore del metodo etnografico. Nella famosa introduzione ad “Argonauti del Pacifico occidentale”
egli descrive i principi metodologici che guidano l'obiettivo principale dell’etnografo, quello di afferrare il
punto di vista del nativo, il suo rapporto con la vita, per rendersi conto della sua visione e del suo mondo. Nel
ritrovato clima metodologico profuso dalla svolta etnografica prima britannica poi americana, proprio in
quest'ultima si sviluppano le menti di Margaret Mead e Ruth Benedict che diversamente dalla visione dei
loro colleghi inglesi intenti alla funzione che svolgesse un singolo specifico elemento culturale all'interno di
una società, le due studiose adottarono una prospettiva olista concependo la cultura come un modello
complesso integrato costruito attorno a un tema dominante che caratterizza e distingue una società
dall'altra. In Italia il metodo etnografico si sviluppò dagli anni ‘40 ad opera di due etnologi, Ernesto De Martino
e Vittorio Lanternari. Il primo si occupa dei fenomeni religiosi e delle credenze magiche negli ambienti
popolari meridionali e il secondo ha studiato i fenomeni di ritualità religiosa propri delle società industriali
contemporanee.

1.4 Antropologia e sociologia: differenze metodologiche


A partire dagli anni ‘20 il metodo etnografico entra in sociologia, adottato dagli studiosi del dipartimento
dell'università di Chicago e successivamente anche in psicologia. L'adozione di questo metodo in sociologia
ha comportato una serie di problemi di adattamento che hanno successivamente condotto una revisione del
metodo stesso non solo nella sua versione sociologica ma anche antropologica. Infatti, a partire dalla fine
degli anni ‘40 diversi antropologi si indirizzano verso lo studio delle comunità lavorative nelle industrie
americane-inglesi partecipando alla nascita del movimento delle “Human relations” e inaugurando la nascita
dell'antropologia applicata, dell'antropologia industriale e organizzativa. Applicare il metodo etnografico per
studiare una cultura estranea a quella dello studioso risulta ben diverso da condurre in etnografia in
un'organizzazione che opera all'interno della cultura a cui lo stesso ricercatore appartiene. L'antropologo che
studia una società di estranei non deve fare molti sforzi per coglierne le principali caratteristiche e specificità.
Appena giunta la destinazione che si impongono cognitivamente, il suo compito sta soltanto nel registrarli e
nell'attribuire un significato appropriato. Un altro aspetto che differenzia metodologicamente il compito
dello studioso dall'etnografo rivolto verso società estranee è la lingua. Mentre quest'ultimo deve apprendere
una lingua diversa, il primo si trova a dover apprenderne tuttalpiù un codice comunicativo. Condividere la
lingua dei soggetti rende molto più complicata l'osservazione. Il ricercatore condivide le medesime
conoscenze con gli attori sociali, ma l'etnografo finirà per utilizzare le medesime risorse impiegate da questi.
Questo processo cognitivo circolare se non viene sorretto da una pratica di ricerca riflessiva sul piano delle
risorse utilizzate per conoscere, rischia di riprodurre una conoscenza intrisa di luoghi comuni. Invece nello
studio di società linguisticamente estranee all’etnografo, il problema della lingua comporta problemi
metodologici opposti che riguardano una relazione tra l'informatore/interprete e il ricercatore. Inoltre, è
importante designare la distinzione tra nativi ed etnografo. Essendo egli un membro della comunità che
studia, appare fuori luogo continuare a usare il termine nativo per indicare i soggetti del suo studio. Il termine
nativo significa abitante del luogo di nascita. Quindi i soggetti che saranno “oggetto” di studio dell’etnografo
saranno chiamati “attori sociali”, ovvero coloro che interpretano il loro ruolo nella comunità.

2. Il metodo etnografico in sociologia


A differenza dell’antropologia, in sociologia l'uso del metodo etnografico ha assunto una particolare
connotazione che a partire dagli anni sessanta lo ha contrapposto a metodi quantitativi, basati su tecniche
non partecipative. Questa contrapposizione ha radici lontane che risalgono all'inizio degli anni venti, ad opera
delle severe critiche di Edward Lindermann contro i metodi di ricerca sociale in uso all'epoca. L'autore
polemizzava soprattutto riguardo alla preferenza delle risposte verbali dei soggetti intervistati trascurando
ogni forma di indagine parallela. Egli preferiva di gran lunga il metodo dell’osservazione e la distingueva in
osservazione obiettiva (dall'esterno) di un fenomeno dall'osservazione partecipante (dall'interno), quando il
ricercatore viene coinvolto attivamente nell'attività dei soggetti che osserva. Questa distinzione non
assegnava alcuna priorità ai due tipi di osservazione e li considerava complementari. Da queste sue idee
vengono a diffondersi all'interno della sociologia quattro tradizioni etnografiche:
• la scuola Chicago
• l'interazionismo simbolico
• lo strutturalismo durkheimiano di Goffman
• l'etnometodologia

2.1 La scuola di Chicago


In sociologia il metodo etnografico venne introdotto alla fine degli anni ‘10 per opera di alcuni docenti del
dipartimento di sociologia dell'università di Chicago: in particolare, dovuto alla guida dei sociologi William
Isaac Thomas e Robert Ezra Park. Essendo studiosi con un forte orientamento pratico essi erano molto attenti
ai mutamenti delle loro città. Infatti, a Chicago quelli erano i tempi del proibizionismo, di una criminalità
diffusa e della grande depressione. Iniziano così a commissionare sondaggi e osservazioni sulle varie culture
e gruppi di immigrati che si erano venuti a formare nella loro città. Sotto l'impulso di Park nacque così un
vasto programma di ricerche con l'intento di studiare in diretta i fenomeni urbani osservandoli nei luoghi
dove nascevano e si svolgevano. Si sviluppano così delle mappe sociologiche della città, andando a scovare
nei quartieri e a raccogliere informazioni di prima mano sulla composizione sociale, sui gruppi e le classi
sociali che li abitavano. Inizialmente questo metodo fu chiamato “ecologico” nel senso che cercava
connessione tra i vincoli ambientali e la struttura sociale. L'approccio ecologico prevedeva la creazione di
carte topografiche dei luoghi studiati: la città veniva rappresentata con un diagramma, i cui cerchi concentrici
riflettevano le varie zone. Attraverso le analisi delle carte topografiche i ricercatori cercavano di mettere in
luce come i fenomeni sociali fossero solo all'apparenza caotici ma che invece presentavano regolarità
piuttosto evidenti. Secondo Park le tecniche di indagine più adatte per questi fenomeni erano quelle di tipo
antropologico. I ricercatori impiegarono metodi e tecniche diverse:
• l'uso di informatori (assistenti sociali, poliziotti, portieri d’albergo)
• l'osservazione diretta, l'osservazione partecipante e le visite casa per casa
• l’intervista discorsiva e i resoconti autobiografici dei soggetti
• l'analisi di documenti primari, come lettere, messaggi e temi scolastici
• l'acquisizione di documenti secondari come articoli di giornale, archivi ufficiali, rapporti di assistenti
sociali ecc…
Purtroppo però il pluralismo metodologico che caratterizzava la scuola di Chicago non era la conseguenza di
una scelta consapevole, ma di un utilizzo di vari metodi utili che non portava quindi a delle analisi molto
scrupolose.

2.3 L’interazionismo simbolico


Il metodo dell'osservazione partecipante assunse un ruolo privilegiato e una specifica rilevanza teorica
soltanto successivamente tra gli anni ‘30 e ‘50, per mezzo dell'opera di Herbert Blumer. Egli riteneva che la
ricerca sociale dovesse svilupparsi all'interno di una prospettiva naturalistica e basarsi sull'esplorazione del
campo. Blumer fornì quindi per la prima volta le basi teorico-metodologiche a una pratica di ricerca che la
scuola di Chicago aveva meritoriamente inaugurato ma utilizzato in modo confuso. L'unione di questi due
metodi di sviluppo pone le basi per una nuova generazione di ricercatori, chiamati “Neo Chicagoans”: erano
maggiormente attenti alle questioni metodologiche, interessati più a costruire teorie sociologiche su basi
empiriche per sviluppare un metodo di indagine rigoroso. Solo in seguito si vennero a sviluppare nuovi
sociologi che si cercarono di dedicare all'introduzione delle regole metodologiche e a una rigorosa logica
procedurale all'interno dell'interazionismo simbolico.

2.3 Lo strutturalismo durkheimiano di Goffman


Il canadese Erving Goffman consegue nel 1953 il dottorato nel dipartimento di sociologia dell'università di
Chicago. Lo studioso fu influenzato da 4 tradizioni teoriche: la scuola di Chicago, l'opera di Simmel (che lo
induce ad avvicinarsi alle banalità degli oggetti di studio e all’analisi sociologica di primaria importanza. Questi
oggetti cessano così di essere banali e diventano significativi), fu influenzato anche dal lavoro di Everest
Hughes (il quale sceglieva un argomento di indagine e lo sviluppava trasversalmente in un gran numero di
professioni), inoltre egli fu influenzato dalle analisi di Durkheim, anzi si afferma che il nucleo teorico di goffa
sia la continuazione della tradizione durkheimiana. Il metodo di ricerca empirica di goffman tratta
esclusivamente l'osservazione etnografica. La sua strategia di ricerca ricalca l'approccio di Hughes, fatto di
accostamenti e comparazioni inconsueti tra categorie, comportamenti e professioni apparentemente agli
antipodi. Il tutto mescolato all'interno di un procedere non sistematico e di uno stile impressionistico che
emula lo stile di Simmel.

2.4 L’etnometodologia
Nel corso degli anni ‘50, accanto all’interazionismo simbolico e ai lavori di Goffman, si è sviluppato nell’opera
di Harold Garfinkel un nuovo approccio che verrà chiamato etnometodologia, cioè lo studio dei modi
(metodi) che quotidianamente gli attori (etno) utilizzano per riconoscere, attribuire significato e classificare
le azioni altrui e le proprie. Il nucleo teorico dell’etnometodologia affonda le sue radici nei lavori di diversi
autori, prosegue lo studio delle condizioni che sostengono l'ordine sociale, approfondisce le proprietà
dell’atteggiamento naturale rappresentato dei ragionamenti di senso comune adottato dai membri nella
sfera della quotidianità, critica il concetto di regola come risorsa cognitiva capace di determinare le azioni
umane. L'etnometodologia miscela in una sintesi originale, varie teorie applicate all'analisi di concrete attività
quotidiane. Garfinkel è uno dei primi ad aprire il dialogo con l'oggetto di indagine sociologica. In due articoli
pubblicati nel 1962 nel 1964 egli documenta i ragionamenti e le pratiche degli attori sociali attraverso l'analisi
del parlato. Nel primo saggio l'autore analizza una decina di protocolli relativi agli scambi verbali tra uno
sperimentatore e alcuni studenti. Nello studio successivo analizza 25 scambi verbali raccolti da 23 studenti
del suo corso attraverso determinati studi. Nella seconda metà degli anni ‘60 le teorie di Garfinkel incontrano
il favore di un sempre maggior numero di addetti tant'è che nelle università statali della California
meridionale si sviluppa un vero e proprio movimento etnometodologico.
2.5 Esercitazione
I tre testi che vengono presentati in questo paragrafo esemplificano tre modi diversi di fare etnografia. Il
metodo etnografico non è uno strumento neutro che automaticamente produce dei risultati. Essi sono il
frutto degli obiettivi cognitivi di una ricerca i quali vengono in parte guidati dalle teorie di senso comune e
dalle teorie sociologiche cui il ricercatore fa riferimento. Vengono presentate tre ricerche di tre studiosi
diversi in modo da notare gli approccio metodologici differenti utilizzati:
- Becker ci fa una fotografia dell’universo dei musicisti e di come loro si sentono migliori di coloro che
sono esterni al loro mondo, i cosiddetti square. Il ricercatore esprime il dissenso che questi musicisti
hanno per coloro che non se ne intendono e di come da un lato li disprezzano e li trattano con
indifferenza allo stesso tempo li temono anche perché il loro lavoro dipende da loro, da come
muovono il mercato musicale e delle loro pessime scelte musicali.
- Goffman ci offre un’analisi di alcuni tipi di slealtà contro l’impegno in generale. Quando si applicano
determinati giochi sociali, per esempio quando si fa credere a qualcuno qualcosa mentre
apertamente ad altri si fa capire che la si sta prendendo in giro o quando in una struttura ospedaliera
ci si burla dei pazienti per spezzare la monotonia etc.
- Sudnow ci presenta invece un quadro generale raccontato molto dettagliatamente di una pratica
ospedaliera chiamata “fasciatura”: ovvero un metodo di fasciare i defunti che ha un non so che di
ritualistico e di accurato. Si tratta di un ruolo specifico che ha bisogno di un team specializzato che
comporta la completa rimozione delle vesti del morto e nel completo avvolgimento del corpo con un
pesante lenzuolo ripiegato fissato con grosse spille di sicurezza.
Notiamo che tutti e tre gli studiosi adottano degli approcci differenti ma allo stesso tempo efficaci, allo studio
del fenomeno scelto. Il primo descrive due atteggiamenti principali presenti nei musicisti: il disprezzo
profondo contro gli squares e il considerarsi persone con un dono particolare. Il secondo presenta quattro
attività molto astratte nei confronti della slealtà nei confrotni di un impegno. L’ultimo invece oresenta una
pratica sociale di base, con procedure di ragionamento di senso-comune.

3. Il disegno della ricerca

Della ricerca, l'etnografo collega tra loro concetti diversi, osserva e interagisce con alcuni attori sociali fra i
molti disponibili, sceglie delle strategie per raccogliere le informazioni, ragiona su quali aspetti approfondire
e quali tralasciare. La ricerca si occupa proprio di queste decisioni, concerne la definizione dell'unità di analisi,
del campione di indagine, delle proprietà relative all'argomento di ricerca. Il disegno della ricerca è una delle
fasi cruciali dell'intero processo di indagine da cui dipende la rigorosità concettuale non sempre presente
nelle ricerche etnografiche.

3.1 L'interpretazione delle azioni


Il lavoro dell’etnografo consiste nell'usare e inventare concetti. Un concetto può essere definito come un
ritaglio compiuto da un’osservazione su un insieme di sue esperienze. Il raggruppamento di esperienze in un
concetto è un’operazione pratica e non è dettato dalle nostre sensazioni ma dipende in larga misura dalle
necessità pratiche di un certo individuo, gruppo e società. Le classificazioni che l'etnografo realizza
osservando le azioni degli attori sono quindi fondamentalmente un'attività di costruzione ed è dovuta in larga
parte agli schemi mentali che egli utilizza e alle sue necessità pratiche. I concetti l’etnografo usa, riproduce e
qualche volta inventa, sono quindi ritagli della sua esperienza e non di realtà. Il processo di comprensione
del ricordo di un'informazione viene considerato dai cognitivisti un processo misto di riconoscimento e
costruzione: noi codifichiamo e immagazziniamo una nostra interpretazione di un evento, non l'evento in sé;
in questo modo aggiungiamo qualcosa di soggettivo all'evento stesso e non riusciamo più a distinguere ciò
che abbiamo visto o sentito da ciò che abbiamo inserito. Il disegno della ricerca si presenta quindi come
un'opportunità nel senso che con esso il ricercatore decide cosa guardare, cioè quali concetti far rientrare
nel suo orizzonte osservativo.
3.2 L'argomento di ricerca
Inizialmente l'argomento di ricerca è ancora generico e dai contorni sfocati. A volte il committente ha un'idea
vaga e l’interesse cognitivo si delinea durante le interazioni con il ricercatore. Nonostante il carattere ancora
indefinito dell'argomento di ricerca, in questa fase si delineamento i fattori che condizioneranno l'intero
processo di ricerca. Solitamente l'argomento della ricerca si definisce con più precisione nel corso della
stessa, il focus si restringe, emergono nuovi aspetti del problema e si fanno i conti con le risorse e le scadenze.
La decisione di restringere il campo cognitivo solitamente giunge dopo aver problematizzato tre livelli che si
ripropongono più volte e si intersecano: la concettualizzazione del fenomeno da indagare, la definizione
operativa e la scelta del tipo di campione. Il disegno della ricerca deve essere quindi flessibile e adattarsi al
flusso irregolare di decisioni, sollecitate della mutevole configurazione degli eventi che si succedono sul
campo.

3.3 Precomprensioni e pregiudizi


Nelle prime ricerche degli anni ‘60 si cominciarono ad affermare alcune teorie sulla base di pregiudizi e non
sull'osservazione etnografica del fenomeno in sé. Infatti, il rischio è quello di attribuire alla cultura studiata
caratteristiche che non le sono proprie ma frutto dei pregiudizi del ricercatore. Gli scienziati rischiano di
costruire ingenuamente un oggetto sociologico e poi trasferire in esso le proprietà del loro apparato
concettuale usato per la ricerca. Esistono quindi diverse strategie che possono aiutare il ricercatore, o almeno
ad evitare errori grossolani. Una di queste è la concettualizzazione.

3.4 La concettualizzazione
Uno degli obiettivi principali di una ricerca è rilevare gli stati su una proprietà relativa a un concetto. Per
orientare l'attività di osservazione conviene pensare quindi in modo approfondito alle proprietà che
compongono l'argomento di indagine: attraverso la concettualizzazione l'oggetto di interesse viene suddiviso
in elementi più semplici che insieme concorrono a formare la struttura elaborata per ridurre la complessità
di una data situazione problematica. Tale processo suggerisce quali aspetti osservare con cura e quali
tralasciare perché marginali o perché potrebbero rendere troppo estesa l'indagine. Trascurare questo
passaggio porta a raccogliere informazioni su casi così difformi da rendere poi difficile un'analisi comparativa.
La parte centrale della concettualizzazione può essere sviluppata in un periodo successivo, ad esempio
durante le fasi iniziali dell'analisi dei dati. Ovviamente bisogna dire che la concettualizzazione è un
presupposto irrinunciabile di un'indagine accurata perché gli eventi non sono auto evidenti, ma si colgono
all'interno di una rete concettuale.

3.5 Interpretazione, argomento di ricerca e definizione operativa


il lavoro di ricerca dell’etnografo consiste principalmente nel dare un significato agli eventi classificandoli.
Ovvero si parte da un evento e si cerca di dare delle spiegazioni classificando le in modo da delineare i concetti
principali. questo è una prerogativa del ragionamento scientifico ma è anche una proprietà formale dei
ragionamenti di senso comune. In altri termini gli attori sociali, ricercatore compreso, nel processo di
interpretazione dei comportamenti, connettono costantemente concetti e proprietà, indicatori e variabili.
L'interpretazione non è altro che una rapida e ricorrente attivazione di rapporti di indicazione. L'argomento
di indagine dunque richiede una definizione lessicale e una definizione operativa. La definizione lessicale
descrive il raccordo tra il concetto variabile e il termine relativo (in un ipotetico dialogo fra ricercatori e se si
risponde alla domanda “Cosa intendi per?”) La definizione operativa invece aiuta l’etnografo a disciplinare
l'osservazione, la rilevazione e l'analisi delle proprietà che egli ritiene collegate all'argomento studiato in un
rapporto di indicazione. La definizione operativa è quindi quel complesso delle regole che guidano le
operazioni con cui lo stato di ciascun caso su una proprietà viene rilevato, assegnato a una delle categorie
stabilite e registrato nel modo necessario a permettere le analisi con le tecniche che si intendono fare. La
definizione operativa trasforma gli indicatori invariabili. La variabile quindi è l'esito della definizione
operativa, il suo terminale, la protesi con cui il ricercatore raccoglie le informazioni oppure analizza le note
etnografiche. L’indicatore e la variabile sono due facce della stessa medaglia, l'indicatore appartiene al piano
concettuale, la variabile appartiene al piano tecnico. Nella ricerca etnografica la registrazione non
rappresenta l'atto finale della raccolta di dati, ma costituisce solo una tappa intermedia nella costruzione
delle variabili. Dato il carattere a spirale della ricerca etnografica la definizione operativa viene riprogettata
anche in fasi successive della ricerca come l'analisi dei dati e il controllo delle ipotesi, per cui la
concettualizzazione si intreccia in un continuo processo di reciproci aggiornamenti. La definizione operativa
rappresenta un passo decisivo per dare coerenza alle interpretazioni del ricercatore e per ridurre l’opinabilità
delle sue affermazioni.

3.6 Le ipotesi
Esistono due strategie principali nel processo di interpretazione. Da una parte si può seguire una strategia
“bottom up” che procede dagli indicatori al modello sottostante; dall'altra si può scegliere una strategia “top
down” che parte dal modello sottostante alla ricerca di indicatori che possono documentare tale modello.
Nel caso l'etnografo decida di seguire la seconda strategia, egli si prepara a documentare una o più ipotesi.
Anche le ipotesi sono una forma di ragionamento di senso comune che utilizziamo quotidianamente e spesso
in modo inconsapevole. Molti studiosi affermano inoltre che le ipotesi sono una necessità della ricerca, ma
devono essere formulate e controllate soltanto dopo la raccolta delle note etnografiche affinché il ricercatore
giunga sul campo senza posizioni precostruite; altri invece affermano che gli etnografi possono benissimo
intraprendere un’etnografia orientata sulle ipotesi una volta raggiunto un buon livello di conoscenza della
cultura che sta studiando. Possono quindi svilupparsi delle ipotesi di lavoro basate molto sulla generalità
dell'argomento o delle ipotesi guida, come per esempio quelle che sono state usate dallo psicologo David
Rosenhan nella nota ricerca sulla costruzione della malattia mentale da parte dell'istituzione psichiatrica. Egli
formula l'ipotesi che l'insanità mentale sia una costruzione dell’istituzione manicomiale e degli psichiatri.
Attraverso un esperimento fece ricoverare persone normali in ospedali psichiatrici per verificare se
l’istituzione fosse in grado di scoprire la loro sanità. Nonostante essi assumano sin dal primo giorno un
comportamento normale, essi sono comunque trattenuti per alcuni mesi in ospedale per poi essere dimessi
con un inequivocabile diagnosi: quella della schizofrenia in remissione. La sua ipotesi viene confermata, ma
egli intraprende subito un altro esperimento come contro prova. omunica all'equipe medica di un ospedale
che si sarebbero presentati in quel periodo alcuni pseudo pazienti per provare l'esperimento dello studioso.
Su 193 pazienti ammessi in ospedale in quel periodo, 41 vennero dall'equipe dichiarati pseudo pazienti, ma
Rosenhan affermò che nessun paziente del suo gruppo si era presentato in quel periodo. Sono noti i rischi a
cui va incontro chi lavora con ipotesi: compiere un errore di tipo 1, ovvero respingere un'ipotesi vera oppure
di tipo 2, accettare un'ipotesi sbagliata. I medici sono molto più preoccupati di incappare in un errore di tipo
1, quindi preferiscono rischiare di compiere errori di tipo 2, nel senso che sono più propensi a definire malata
una persona sana. Per l’etnografo è decisamente meglio accettare un'ipotesi sbagliata che respingere
un'ipotesi vera, in quanto l'etnografia non si pone come obiettivo primario evitare errori all'interno di una
singola ricerca. Possono programmarsi molti tentativi in modo da permettere molte verifiche diverse delle
stesse scoperte.

3.7 I modelli
Le ipotesi sono i corrispondenti verbali dei modelli, i quali sono le rappresentazioni grafiche delle nostre
ipotesi sulle relazioni tra due o più variabili. Quindi i modelli grafici sono la sintesi delle ipotesi scritte in
maniera testuale e quindi più allungate. Presentare i modelli risulta di grande utilità e forza comunicativa
nell'esposizione dei risultati dal momento che è una forma di testualizzazione, estremamente intuitiva anche
se un po’ banalizzante. (es. ipotesi di tre righe di un soggetto A legato a B. Con il modello si schematizza con
A B).

3.8 Il campionamento
Attraverso la concettualizzazione, il ricercatore giunge a definire le unità, ovvero l'estensione di un concetto
e l'insieme dei casi, gli elementi dell'universo su cui viene effettuata l'indagine, il campione. Definire le unità
di analisi è di estrema necessità se non si vogliono condurre ricerche approssimative e inconsistenti. In
sociologia prevale ancora la tendenza a scegliere comunità referenti individuali, dai contorni precisi e
facilmente identificabili. Anche nel caso delle famiglie, associazioni, gruppi ecc… dal punto di vista operativo
si finisce sempre per intervistare individualmente i membri. In questo modo vengono trascurate unità
dinamiche come credenze, stereotipi, opinioni, emozioni, rapporti sociali, interazioni, cerimonie, prodotti
culturali come fotografie o dipinti, regole sociali... All’etnografo converrebbe orientare l'indagine verso
questo tipo di unità non solo perché è più facile coglierne i processi sociali e osservarne le pratiche, ma anche
perché queste unità permettono di studiare più direttamente le proprietà osservate.
Scelta l'unità di raccolta delle informazioni si passa alla scelta dei casi su cui condurre la ricerca. Questo
passaggio viene denominato campionamento. Campionare è un'attività pratica che gli attori sociali compiono
quotidianamente. Definita una popolazione, il ricercatore deve decidere se raccogliere informazioni su tutti
gli oggetti che le appartengono oppure soltanto su un sottoinsieme di essi. Il campione è un sottoinsieme di
casi o può anche essere un solo caso. L'etnografo lavora comunque e in qualsiasi indagine su un campione
ma prima bisogna stabilire la differenza tra un campione rappresentativo e un campione. Il campione
rappresentativo è un sottoinsieme che pretende di essere una miniatura dell'universo che sta presentando
e un campione invece è un sottoinsieme di casi su cui ogni ricercatore si concentra. A rigore la pratica di
ricorrere a campioni rappresentativi è plausibile solo se siamo certi che si rispettino effettivamente le
caratteristiche dell'universo. Per capire se si sta ponendo l'attenzione su un campione rappresentativo o su
un campione ci sono due strade che si possono intraprendere quella induttiva e quella deduttiva. La prima
consiste nel conoscere l'universo e confrontarlo con il suo campione, ovviamente bisogna quindi conoscere
sia il campione che l'universo. Purtroppo, una conoscenza non può essere su qualsiasi aspetto, anzi può
essere soltanto sul numero limitato di proprietà. Il criterio deduttivo presuppone che nello studio di fenomeni
o forme sociali considerate pervasive, sia ragionevole non aspettarsi differenze rilevanti tra l'universo e il
campione. Assunto di similarità tra universo e campione ha guidato senza grandi problemi moltissime
ricerche, i ricercatori di queste discipline non si chiedono se quegli elementi in particolare siano o meno
rappresentativi dei rispettivi universi. Bisogna dire però che è molto importante e di estrema utilità ricorrere
ai campioni rappresentativi, poiché è necessario per il ricercatore dimostrare la rappresentatività di quelle
unità rispetto alla totalità dei fenomeni dello stesso tipo.
Nella scelta del campione esistono almeno tre strategie: la scelta a casaccio, la scelta ragionata e la scelta
casuale. Con la prima il ricercatore non si preoccupa della generalizzabilità dei risultati conoscitivi. Si opta
invece per la scelta ragionata quando i casi vengono scelti in base al loro stato su una o più proprietà che
abbiamo individuato come argomento di ricerca. Questo tipo di campionamento ha tre caratteristiche: i casi
vengono scelti in base alla teoria da sviluppare o controllare, vengono scelti i casi devianti, le dimensioni del
campione possono mutare nel corso della ricerca. Quindi siamo consapevoli che a seconda dell'argomento
di ricerca i risultati saranno più o meno generalizzabili, perché il nostro campione è o non è rappresentativo.
La scelta casuale può essere attuata quando possediamo informazioni precise sulla distribuzione degli stati
sulle proprietà all'interno dell'universo. La casualità garantisce che tutti i membri di un universo abbiano la
stessa probabilità di entrare a far parte del campione e offre il vantaggio di poter usare i principi dell'inferenza
statistica per ottenere delle stime circa la corrispondenza tra campione diverso. Nella ricerca etnografica
tutte le tre strategie sono praticabili.
I campioni a scelta ragionata sono di diversi tipi e l'etnografo prima di procedere dovrebbe esplicitare le
proprietà e le caratteristiche che servono ad orientare la scelta:
• il campionamento a dimensioni consiste nell'individuare casi con stati estremi su determinate
proprietà oppure casi che presentino una gamma di stati in modo che tutti quelli possibili siano
presenti (Per esempio se si vuole analizzare il problema della difficoltà di integrazione dei bambini
nelle scuole elementari possiamo prendere due scuole a campione: una con forti problemi e l'altra
con difficoltà minime. Oppure individuarne 3: una con difficoltà forti, una con difficoltà medie e la
terza con casi sporadici. In modo da avere una gamma di possibili situazioni)
• il campionamento per quote è usato per oggetti che abbiano un'ampia varietà di stati. Si divide quindi
la popolazione in tanti sottogruppi quante sono le caratteristiche che vogliamo studiare e ciascun
sottogruppo è generalmente rappresentato nel campione con la rispettiva proporzione che ha
nell'universo.
• nel caso emblematico possono ricadere almeno tre classi di casi: il caso medio (ad esempio il tipico
ospedale di provincia), il caso di eccellenza (una nota fabbrica automobilistica) oppure il caso
emergente o d'avanguardia. Anche la scelta di famiglie tipiche piuttosto che statisticamente
rappresentative potrebbe essere un tipo di caso emblematico.
• il campionamento a valanga consiste nell’identificare alcuni soggetti, dotati delle caratteristiche
richieste e attraverso loro risalire ad altri soggetti possessori delle medesime caratteristiche. Un
esempio fu la ricerca di Whyte che attraverso un ragazzo in carico presso un servizio sociale, l'autore
entrò gradualmente in contatto con la sua rete di relazioni, gli abitanti e gruppi del quartiere.
Data la sua natura a spirale il processo di campionamento può avvenire più volte all'interno della ricerca: in
altre parole il campione cambia in funzione dei concetti e delle proprietà che il ricercatore vuole
documentare, delle ipotesi che decide di controllare e anche degli eventi inaspettati.

3.9 Tipi di partecipazione grado di coinvolgimento


L'etnografo si può inserire in un gruppo o in un'organizzazione in diversi modi: può partecipare
saltuariamente alla vita della comunità o diventare un assiduo frequentatore. Spradley ne ha individuati 5:
• partecipazione completa con coinvolgimento alto
• partecipazione attiva un coinvolgimento medio alto
• partecipazione moderata con coinvolgimento medio basso
• partecipazione passiva con coinvolgimento basso
• non partecipazione con nessun coinvolgimento
L'osservazione etnografica si divide in non partecipante e partecipante. L'osservazione non partecipante
prescrive il non coinvolgimento diretto del ricercatore, il quale osserverà le azioni degli attori lontano dal loro
orizzonte visivo. L'osservazione partecipante si declina in quattro diversi gradi di partecipazione e
coinvolgimento. Il livello minimo è rappresentato della partecipazione passiva, in cui l'etnografo partecipa
come spettatore alla scena che studia, rimanendo a una certa distanza e senza mai intervenire. La maggior
parte degli studi etnografici si caratterizza per una partecipazione moderata, dove il ricercatore assume una
posizione intermedia tra l’essere a tutti gli effetti un membro del gruppo e l'essere totalmente estraneo.
Nella partecipazione attiva l’etnografo non si accontenta di osservare e partecipare marginalmente, ma entra
attivamente nelle attività quotidiane degli attori sociali. Il più alto grado di coinvolgimento si ha nella
partecipazione completa, dove l’etnografo vive con i soggetti che studia e tende ad assumere il ruolo
prestabilito al quale difficilmente potrà sottrarsi nel corso della ricerca. La lettura metodologica richiede al
ricercatore la capacità di mantenere un equilibrio tra partecipazione e osservazione, tra coinvolgimento e
distacco.

3.10 Tipi di osservazione


Mentre la partecipazione e il coinvolgimento riguardano l'atteggiamento e la posizione del ricercatore,
l'osservazione si riferisce agli attori, ovvero alla percezione e alla conoscenza che essi hanno dei ricercatori.
• osservazione coperta, si tratta di quella situazione in cui gli attori sono all'oscuro dell'identità del
ricercatore e degli scopi della ricerca. Egli agisce in incognito. Nonostante nella pratica etnografica
questo tipo di osservazione sia largamente minoritaria, è stata contemplata in alcuni casi molto
illustri. Questa osservazione presenta alcuni vantaggi e svantaggi. Solitamente l'osservazione coperta
viene presa in considerazione quando si ritiene che la presenza del ricercatore possa modificare
pesantemente il comportamento degli attori. Un secondo vantaggio consiste nell'evitare la
negoziazione dell’accesso al campo: senza intermediari, garanti o guardiani. Gli svantaggi sono molti:
si corre il rischio di essere scoperti e assimilati a una spia con conseguenze imbarazzanti; secondo
risulta faticoso rimanere all'altezza delle esigenze organizzative per cui l’assentarsi richiede
l'esibizione di documenti giustificativi; egli è costretto nel ruolo assegnatogli dal gruppo e
dall’organizzazione, procurandogli scarse possibilità di mobilità cognitiva utile per osservare altri
luoghi e altre relazioni sociali. Inoltre, si alza un problema etico molto complicato; gli attori hanno il
diritto alla propria privacy e di sapere con chi stanno parlando, per decidere se fornire o meno il
proprio contributo alla ricerca. Il ricercatore non è un poliziotto o un investigatore, il suo codice
professionale non lo giustifica all'inganno o al tradimento della buona fede dei suoi interlocutori.
• nell'osservazione semicoperta alcuni membri sono a conoscenza dell'identità dell’etnografo.
• l'osservazione scoperta è la più diffusa. I vantaggi e gli svantaggi della modalità sono speculari a
quella coperta. Un primo problema che dell'osservazione scoperta che l’etnografo si trova ad
affrontare è quello di ottenere il permesso di compiere osservazioni nel luogo prescelto.
L'ottenimento del permesso richiede spesso un grande investimento di tempo ed energie al fine di
persuadere gli intermediari. Un vantaggio invece deriva dal fatto che il ricercatore non svolge una
mansione particolare per cui la sua attività osservativa gode di una maggiore libertà. Essendo la sua
identità nota, all'etnografo potrà capitare di incorrere nei tentativi di manipolazione strumentale da
parte dei diversi attori che lo potrebbero coinvolgere in alcune azioni di arbitrariato.

Parte seconda - La raccolta delle informazioni

4. Il campo

L'accesso al campo si presenta come la fase più difficile di una ricerca etnografica. A differenza di altri tipi di
indagine in cui il ricercatore visita per poche ore l'organizzazione, il gruppo e l'individuo, nella ricerca
etnografica si richiede una maggiore disponibilità al soggetto studiato. In primo luogo, bisogna avere quindi
l'accesso al numero delle organizzazioni e dei gruppi con cui è possibile iniziare la ricerca e in secondo luogo
il ricercatore dovrà dedicare tempo ed energie per poter ottenere il consenso e la fiducia degli interlocutori.
Cassell ha classificato le strategie di accesso al campo in due fasi: il “gettin in” ovvero l'accesso al luogo fisico
e il “getting on”, l'accesso sociale.

4.1 Le politiche dell'accesso


Un manuale di metodologia non è in grado di descrivere la fenomenologia delle strategie di accesso al campo,
queste sono frutto anche della situazione in cui si trova l'indagine e della creatività del ricercatore.
La prima considerazione riguarda il tipo di osservazione, cioè se condurre una ricerca dissimulata oppure
palese. Qualora si scegliesse il primo tipo, le strategie per accedere al campo sono diverse a seconda del tipo
di soggetto studiato e del grado di accessibilità. Nel caso di organizzazioni lavorative la tendenza è quella di
farsi assumere come dipendente o consulente anche se il principale svantaggio richiede nella scarsa capacità
contrattuale del ricercatore, cioè è l'organizzatore a scegliere il ricercatore e non il contrario. Se l'obiettivo è
entrare in un gruppo, le modalità cambiano in base ai gradi di chiusura o di apertura, il ricercatore seguirà i
tradizionali canali di reclutamento. Con l'osservazione palese invece bisogna utilizzare strategie diverse.
Innanzitutto, bisogna richiedere dall'inizio una fase di negoziazione con coloro che verranno studiati. Inoltre,
in questo corso di negoziazione si costruiscono l'identità del ricercatore e quella del gruppo o organizzazione:
il primo esibisce le proprie credenziali scientifiche e la promessa di una condotta eticamente corretta; la
seconda richiede diverse garanzie per limitare l’intrusività del ricercatore, designare i suoi spazi al fine di
ridurre al minimo il peso che l'organizzazione del gruppo deve sopportare a causa della sua presenza. Quindi
vengono posti dei patti in modo da stabilire una cornice iniziale all'interno della quale collocare i reciproci
obblighi e aspettative, anche se questi possono essere modificati nel corso della ricerca quando le difese
psicologiche e le diffidenze si alleneranno. All'interno della varietà dei soggetti che l'etnografo incontra nel
corso della ricerca, si possono individuare quattro figure tipiche: l'intermediario, il garante, il custode e
l'informatore. Le prime due svolgono un ruolo importante soprattutto nell’accesso fisico nell'organizzazione,
la terza e la quarta acquistano un maggiore rilievo nella fase di accesso sociale. L'intermediario può essere
definito come colui che crea il contatto e quindi che mette in comunicazione il ricercatore con alcuni membri
dell'organizzazione o del gruppo. Gli intermediari sono figure centrali per l'inizio di una ricerca che a volte,
senza il loro apporto, non potrebbe mai aver luogo. Il garante è colui che mette in relazione l’etnografo con
il gruppo o l'organizzazione. A differenza del primo, egli è una persona che appartiene al gruppo e gode della
fiducia dei suoi membri. Nelle comunità locali e nei gruppi informali il garante è solitamente un leader, una
persona autorevole o un professionista stimato.
Per ottenere la collaborazione degli attori sociali l'etnografo deve riuscire a creare un consenso sul suo
progetto conoscitivo e creare con loro un rapporto di fiducia. Può quindi capitare di dover superare il severo
esame dei custodi, coloro che controllano territorialmente un'organizzazione o un gruppo. I custodi sono
soggetti che fanno parte della cultura osservata dall’etnografo e che rivestono un ruolo di primaria
importanza. Nonostante le rassicurazioni del garante, essi sono strutturalmente preoccupati che la ricerca
possa danneggiare l'immagine dell'organizzazione e che la presenza del ricercatore possa modificare i
rapporti interni. L'etnografo deve quindi dedicare particolare attenzione a questa figura.

4.2 I ruoli e l’identità del ricercatore


Qualunque cosa faccia all'interno del gruppo dell'organizzazione, l'etnografo è costretto ad assumere un
ruolo con cui verrà identificato dagli attori sociali e la sua presenza avrà un senso all'interno della comunità.
Nell'attribuzione dei ruoli e dell'identità il ricercatore può intervenire soltanto parzialmente poiché gli attori
sociali modificano creativamente le informazioni che ricevono. I ruoli e le identità del ricercatore sono quindi
costruiti continuamente durante il processo di ricerca, al di là delle intenzioni e degli sforzi dell’etnografo
stesso. La presenza delle etnografe in una ricerca con osservazione palese è quasi sempre intrusiva nel senso
che produce imbarazzo, disagio e allarmi nella comunità degli attori sociali. L'intimità e le conseguenti attività
dei soggetti osservati variano però da gruppo a gruppo, da organizzazione a organizzazione, a seconda del
grado di apertura della comunità ospitante. La presenza costante del ricercatore non deve essere considerata
come un limite dell'osservazione ma una sua caratteristica costitutiva, con naturata all'osservazione
stessa. L'etnografo non scambia soltanto informazioni con gli attori sociali, non raccoglie soltanto
informazioni ma anche istruzioni per coordinare la sua interazione nei loro confronti. Infatti, nel mondo
sociale non c'è spazio per descrivere semplicemente qualcosa, ma le descrizioni influenzano
simultaneamente le relazioni sociali, dando luogo a valutazioni morali, producendo conseguenze politiche,
etiche e sociali. Accettando questa prospettiva l'obiettivo dei ricercatori non è quello di modificare il meno
possibile Il campo di osservazione, ma di attivare buone strategie per comprendere il meglio possibile.

4.3 La permanenza sul campo


Passare dalla situazione iniziale di accesso a quella di permanenza non rappresenta una semplice sequenza
temporale lineare. La comprensione non procede linearmente, ma per basi, per salti cognitivi che
ristrutturano in modo nuovo le conoscenze finora acquisite. Per questo motivo l'etnografo dovrebbe
ottimizzare le prime settimane di presenza sul campo in cui egli è ancora trattato come l'estraneo, al fine di
dedicare questo tempo totalmente alla ricerca, principalmente all'osservazione e alla raccolta di note
etnografiche. Passate le prime settimane i suoi schemi cognitivi cominceranno ad adeguarsi a quegli degli
attori sociali.
Oltre all’intermediario, al garante e al custode, l'etnografo durante la sua ricerca incontra un'altra figura:
l'informatore, colui che incontra sul campo, poiché sono soggetti che l'etnografo scopre durante la sua
ricerca. Gli informatori sono figure vitali per il ricercatore in quanto gli permettono di accelerare la
comprensione della cultura del gruppo e dell'organizzazione. Per il ricercatore costruire una rete di rapporti
con persone fidate è fondamentale, poiché lo aiutino a cogliere il significato di azioni, parole e simboli. Tutti
i membri di una comunità possono divenire informatori: i leader, i dirigenti o coloro che hanno un ruolo che
prevede una visione di insieme; ma allo stesso tempo i migliori informatori possono essere le persone
marginali che vedono nell'interazione con i ricercatori un'occasione di ascolto e sostegno. Bisogna comunque
però sempre mantenere l'occhio vigile e non stabilire rapporti privilegiati solo con alcuni informatori poiché
si rischia di scavalcare alcune determinate posizioni e schemi cognitivi, o d'entrare in contrasto con altri
membri della comunità. Un'insidia presente nel lavoro dell’etnografo è considerare la memoria
dell'informatore come se fosse un magazzino, una sorta di schedario a cui attingere a piacimento. Questo è
il modello di memoria che ha finora prevalso all'interno della psicologia cognitiva. Bisogna però ricordarsi che
il ricordo si sviluppa nella testa di ognuno, quindi può rappresentare punti di vista differenti e non sempre
veritieri.
Di tutte le relazioni trattate in precedenza quella con gli attori sociali è forse la più importante: non solo per
la frequenza con cui si svolge ma anche perché da essa dipendono la qualità e la quantità delle informazioni
che l’etnografo riesce a raccogliere. Nel corso della ricerca il ricercatore deve affrontare diverse situazioni
problematiche, alcune specifiche dell'ambiente studiato che richiedono soluzioni ben preparate, altre invece
che si ripetono periodicamente in diverse ricerche. Le emozioni sono risorse fondamentali per comprendere
e apprendere. L'empatia è una di queste, che può allo stesso tempo rappresentare un ostacolo alla
comprensione di alcuni aspetti della cultura di un gruppo di un'organizzazione. L'eccessiva empatia può
comportare il rischio di identificarsi troppo con gli attori studiati. Molto spesso invece ci si trova nella
situazione di doversi destreggiare tra gruppi rivali o in conflitto e ricevere esplicite richieste di arbitrariato.
L'etnografo si trova quindi ad assumere diverse identità tra cui il consulente, il terapeuta e l'esperto.
Solitamente la strategia migliore è non fare quello che gli attori solitamente fanno come dire la propria
opinione, intervenire e reagire alle offese; l’etnografo dovrebbe quindi fare da specchio alle domande degli
attori, portandoli a risolvere i problemi da soli. Ovviamente possono esserci successi ma anche insuccessi: la
relazione tra etnografo attore può inclinarsi per effetto anche di fattori esterni, che esulano dalla
responsabilità dell’etnografo stesso, oppure per colpa di alcune problematiche sviluppatesi durante la
ricerca.

5. Osservare

Quando rivolgiamo la nostra attenzione a una scena siamo tentati di registrare tutto quello che vediamo.
L'entusiasmo è forte quindi per evitare questo normale stato di disagio, sin dall'inizio conviene restringere il
campo osservativo. Prima di iniziare le indagini è opportuno, dunque, che l'etnografo decida non soltanto
cosa osservare ma anche come farlo.

5.1 Come osservare: tecniche di estraneazione


Ci sono due modi di porsi di fronte all’argomento di studio: un modo è quello di scoprire le cose cercandole
per il mondo in posti diversi, un altro è quello di modificare il nostro modo di guardare il mondo per scoprirle.
Modificare il nostro modo di guardare significa passare dall'atteggiamento dell'attore che osserva la scena a
quello del ricercatore che si pone il compito di denaturalizzare il mondo sociale che indaga. L'atteggiamento
cognitivo più appropriato è quello che Schutz ha definito dell'estraneo. L'estraneo ignorando molti aspetti
della cultura del gruppo a cui tenta di accedere, cerca di capirne le convenzioni per agire come membro
competente. Inizialmente dà poche cose per scontate e ha le capacità di accorgersi di particolari che agli
occhi dei membri appaiono banali e rilevanti. Sorge quindi l'esigenza di inventare uno stile che sorregga il
ricercatore nel mantenere il più a lungo possibile questo atteggiamento de-naturalizzante che chiamiamo il
“metodo dello straniero”. Esso costituisce uno strumento particolarmente appropriato per esplorare le
competenze di una cultura che tutti apprendono senza che si sia mai stata insegnata. Comportarsi da
estraneo durante la ricerca significa sospendere continuamente l'atteggiamento naturale. Per fare ciò si
ricorre a tecniche di estraniazione che altro non sono che modi pratici per sospendere l'atteggiamento
naturale e forzare l’etnografo a vedere nei fatti sociali degli insiemi di attività. Ovviamente questi sono atti
che l'etnografo può impiegare solo raramente nel corso della ricerca, altrimenti rischia di deteriorare il
rapporto con i membri della comunità. Si possono adottare quindi due strategie complementari per
decostruire la scena e rendere estranee le cose familiari: una mentale e una pratica. La prima prevede il
rovesciamento mentale delle situazioni con diversi strumenti cognitivi, tra cui l'uso dell’impostazione delle
frasi come il “se” o il “perché” domandandoci spesso il perché di una determinata azione. La seconda
strategia consiste nell'osservare soggetti culturalmente e organizzativamente marginali, cioè coloro che
cercano di farsi accettare dal gruppo della comunità. Le loro pratiche di accesso assomigliano alle azioni di
disvelamento dell’etnografo, con l'importante differenza che le loro sono azioni spontanee. Esistono almeno
quattro tipi di soggetti marginali: gli stranieri, i novizi, i pesci fuor d'acqua culturali, i disturbatori culturali.
• Gli stranieri, appunto sono i personaggi immigrati che si sono integrati in organizzazioni, istituzioni e
gruppi sociali sparsi sul territorio nazionale.
• I novizi sono un altro tipo di attore particolarmente interessante, sono coloro che stanno imparando
una professione, cioè gli apprendisti o i tirocinanti che hanno da poco acquisito un nuovo status.
Etrambe le categorie necessitano di un addestramento per acquisire l'atteggiamento naturale, cioè
gli schemi cognitivi e le competenze comunicative per interagire con l'ambiente. Le loro difficoltà di
inserimento rappresentano un campionamento di estrema importanza per il ricercatore
• I pesci fuor d'acqua colturali sono coloro che cercano con o senza successo di farsi accettare.
• Per disturbatori culturali intendiamo persone che sono state riconosciute difettose in una certa area
della vita sociale e che sono considerati incapaci di svolgere alcuni tra i compiti richiesti al membro
adulto, normale e naturale della società (i bambini, i malati o ritardati di mente e alcuni tipi di
criminali).
Quando entra in un'organizzazione o in un gruppo, l'etnografo dovrebbe cercare di individuare subito questi
attori marginali, in quanto essi rappresentano una fonte inesauribile di informazioni. Inoltre, la comprensione
di una cultura non si basa solamente sull'osservazione distaccata, bisogna entrare nella posizione di dover
fare delle cose. Ci sono ovviamente molti modi per fare delle cose senza per questo diventare un partecipante
non osservatore e perdere quindi la necessaria distanza.
5.2 Cosa osservare
L’etnografo dovrebbe rivolgere la sua attenzione a tre aspetti simultaneamente presenti nelle scienze sociali:
le strutture sociali, le interpretazioni/spiegazioni dei partecipanti e il contesto sociale.
Per strutture sociali intendiamo principalmente le convenzioni che non sono osservabili direttamente ma si
materializzano nei rituali e nei cerimoniali degli attori, nelle loro pratiche sociali (la routine) che non fanno
altro che produrre e riprodurre la cultura del gruppo dell'organizzazione. Le pratiche sociali sono costituite
da piccole azioni, da cerimoniali banali e superflui che giorno dopo giorno sostengono e a volte modificano
l'organizzazione. Proprio per questo l'etnografo non dovrebbe trascurare i dettagli che a volte si rivelano la
chiave di volta della comprensione. I rituali e i cerimoniali rappresentano l'angolatura privilegiata per scoprire
le convenzioni e le strutture sociali. I rituali costituiscono l'essenza della società, forniscono agli attori il senso
del loro agire e ne scandiscono la vita sociale interiore.
Per comprendere, l'etnografo deve ascoltare i discorsi pronunciati dagli attori mentre interagiscono. Non è
un caso che la maggior parte delle azioni sociali sia preceduta, accompagnata oppure seguita da commenti.
Anzi i commenti sono parte dell'azione stessa. Se il linguaggio è una forma di azione allora i discorsi
producono e riproducono la struttura sociale oltre ad aiutarci a comprendere l'azione. I commenti degli attori
spiegano e descrivono il senso dell'azione; non sono indipendenti o separati dalle pratiche sociali in cui
vengono pronunciati. Le conversazioni hanno inoltre un'altra particolarità, quella di riprodurre
l'organizzazione. I discorsi permettono di risalire alle interpretazioni dei partecipanti, cioè alla cornice sociale
formata dai significati che essi reciprocamente attribuiscono alle loro azioni. In altri termini alle loro strutture
di senso. Il linguaggio rappresenta l'osservatorio privilegiato per penetrare sia l'interpretazione sia l'azione
degli attori sociali.
Per essere pienamente comprese le azioni e il discorso necessitano di una terza dimensione, il contesto. Le
pratiche sociali sono sempre pratiche situate, si muovono all'interno di una situazione organizzata, in cui
sono presenti diverse risorse e vincoli per l'azione. Trascurare queste restrizioni può portare il ricercatore a
fraintendere il senso delle pratiche osservate. Considerare il contesto significa soprattutto osservare lo spazio
fisico, rappresentato principalmente dagli arredi e dagli artefatti disponibili, all'interno del quale le azioni
sono inserite. Quindi la locazione dello spazio a seconda delle categorie professionali predetermina la qualità
e la quantità delle interazioni in quella struttura psichiatrica. L'osservazione del contesto spaziale aiuta a
trovare spiegazioni più squisitamente sociologiche dei comportamenti umani riducendo il ruolo
tradizionalmente assegnato all’intenzionalità dell'agire. Gli artefatti contribuiscono a fornire le risorse e i
vincoli per l'azione, in una società ad alta tecnologia le interazioni sono sempre più intermediate da artefatti.
In un ambiente disponiamo solitamente di tre tipi di artefatti: artefatti tecnologici ovvero quegli strumenti
che eseguono, potenziano o integrano diverse azioni fisiche; gli artefatti cognitivi che sono sistemi artificiali
che conservano ed elaborano informazioni utili per i ragionamenti e le decisioni degli attori; gli artefatti
organizzativi che potenziano la capacità umana di previsione e pianificazione, che consente di distribuire nel
tempo e nello spazio azioni diverse così da produrre attività complesse che mostrano coordinamento e
coerenza interni. A tal fine è utile che l'etnografo scatti delle foto, si procuri delle piantine oppure tracci degli
schizzi e disegni del luogo studiato per riflettere sulla natura situata delle interazioni e trasmettere al lettore
un assaggio del luogo osservato.
I rituali, i discorsi e lo spazio sono i referenti elementari della pratica osservativa, ma l’etnografo può anche
focalizzarsi sulla prossemica, sulle relazioni, sui documenti dell'istituzione eccetera. Esistono anche altri
contesti, come per esempio il contesto sociale, rintracciabile nell'organigramma del personale con le relative
funzioni e compiti che limita il raggio d'azione dei partecipanti; oppure il contesto normativo dei regolamenti,
delle leggi, dei contratti di lavoro etc..

6. L’intervista etnografica
Oltre all'osservazione, si può anche ricorrere ad altri metodi con l'obiettivo di chiarire aspetti non sempre
completamente comprensibili. Si possono quindi condurre delle interviste, raccogliere, analizzare dei
documenti prodotti dall’organizzazione oppure trascrivere le conversazioni quotidiane e gli scambi verbali
che intercorrono fra gli attori. L'intervista discorsiva e la documentazione sono due metodi che
frequentemente vengono usati dagli etnografi.
6.1 L'intervista discorsiva in un contesto etnografico
Con il termine intervista etnografica si intende un tipo particolare di intervista discorsiva che l'etnografo
realizza sul campo, nel corso della sua indagine. Attraverso essa egli si propone di scoprire i significati culturali
che gli attori usano e di approfondire aspetti della cultura osservata che non gli sono del tutto chiari. Le
interviste etnografiche si differenziano per diversi aspetti dalle interviste discorsive classiche. Innanzitutto,
l'intervistatore e l'intervistato si conoscono già e hanno avuto modo di conversare in precedenza. Questo
contribuisce a creare un clima e una situazione emotiva diversi. Secondo luogo le interviste non sono
necessariamente programmate per tempo, ma possono svolgersi all'improvviso, nel corso dell'osservazione
partecipante. L'intervistatore può inoltrare poche e brevi domande, a seguito di una scena osservata, per
capire i motivi di una certa reazione o i significati di un determinato atto o gesto; oppure l'intervista può
essere svolta all'inizio di una ricerca, utilizzata come strategia per essere accettati o può servire per rompere
il ghiaccio e instaurare un rapporto di fiducia e collaborazione.

6.2 Possibilità e limiti dell’intervista


L’intervista etnografica può essere di grande aiuto al ricercatore, soprattutto nella fase intermedia
dell'indagine, quando l'etnografo gradualmente inizia ad acquisire gli schemi mentali degli attori e a
riconoscere il significato dei rituali e dei loro comportamenti, oppure nella fase della convalida da parte degli
attori. Nella prima fase della ricerca invece è preferibile che egli si concentri esclusivamente sull'osservazione
per non sembrare aggressivo agli occhi degli attori sociali e non essere fermato dai limiti intrinsechi
dell'intervista. il primo limite riguarda il divario tra lo stato dichiarato nell'intervista e lo stato effettivo. Esso
richiama il problema della fedeltà dei dati. La distanza tra questi stati risulta ragguardevole quando gli
intervistati non sono consapevoli dei motivi delle origini, degli aspetti più banali della routine, degli aspetti
delle loro azioni. Il secondo limite dell'intervista nasce dal divario tra gli interessi cognitivi e pratici dei
ricercatori e quelli dei soggetti intervistati. A volte le domande dello scienziato hanno obiettivi poco
comprensibili per gli attori sociali, per cui le loro risposte manifestano una certa sorpresa e/o imbarazzo
oppure tradiscono una sorta di canzonatura nei confronti dell’etnografo, visto come un personaggio strano.

6.3 La conduzione dell’intervista


La ricerca delle persone da intervistare può venire in due diversi modi, contattando i soggetti in quanto
partecipanti di una precisa scena osservata dell’etnografo oppure in quanto membri della comunità oggetto
di studio. Nel secondo caso si può procedere a campionamenti più o meno sofisticati a seconda delle esigenze
della ricerca. Al fine di ridurre l'impulsività del ricercatore, nella ricerca etnografica i luoghi dove vengono
realizzate le interviste sono i più disparati, dal momento che è importante adattarsi ai ritmi quotidiani degli
attori sociali. Quindi si possono anche avere luoghi come momenti del pranzo, momenti del lavaggio dei
panni, al lavoro nei campi ecc.. Un'altra accortezza consiste nel rendere ciascun compito cognitivo veicolato
dalla domanda il meno estranea possibile all'intervistato. Eccezione che per alcune categorie professionali,
le interviste devono essere un'interazione poco diversa dalle normali attività quotidiane. Quando è possibile
si cerca di registrare l'intervista con il magnetofono, non solo per l'indubbio vantaggio di poter ottenere un
documento fedele ma anche per l'eliminazione della trascrizione degli appunti e quindi una maggiore
attenzione al discorso. La richiesta della registrazione deve essere fatta repentinamente, con disinvoltura,
come se fosse la cosa più naturale del mondo al fine di poter avere sempre una risposta positiva. Attorno a
una domanda principale, si possono infatti sviluppare diverse domande aggiuntive che possono essere rivolte
senza temere di interrompere l'interlocutore e che hanno diverse funzioni, come incoraggiare l'intervistato,
allentare le sue difese, aiutarlo ad essere più chiaro, controllare la corretta interpretazione ecc... Le domande
suppletive possono essere verbali, paraverbali (come ah,mmh) oppure non verbali, cioè espressioni corporee
come cenni del capo o sorrisi. Ci sono anche altri tipi di suppletive, come una riformulazione della domanda,
un commento che manifesta partecipazione e interesse al racconto, una ripetizione delle risposte per
incoraggiare a proseguire la descrizione, dei sommari con la funzione di interpretazione dell’etnografo, delle
richieste di chiarimenti con l'obiettivo di approfondire un argomento… Le domande devono essere
presentate in modo equilibrato, senza che la domanda contenga già un'opinione oppure più opinioni che
inducano una particolare risposta. Mentre si pongono le domande è opportuno evitare l'uso di termini propri
del gergo scientifico cercando di appropriarsi al più presto del linguaggio dell'intervistato, riutilizzarlo con i
suoi termini nel corso dell'intervista.
7. I protocolli etnografici
Nella letteratura metodologica l'etnografia è spesso stata considerata un metodo poco rigoroso, non
sistematico e troppo sensibile alle inclinazioni dei ricercatori. Da tempo però sono disponibili tecniche
rigorose e sistematiche per la raccolta e l'analisi dei dati anagrafici, che consentono di superare alcuni dei
limiti storici di questo metodo.

7.1 Tre principi metodologici per preservare la variazione linguistica


Quando un antropologo conduce una ricerca etnografica in una società non occidentale, egli viene
immediatamente a contatto con differenze linguistiche sorprendenti e il suo primo obiettivo è quello di
imparare il linguaggio dei nativi. Invece quando si conduce una ricerca nella propria società è facile trascurare
le differenze di linguaggio e quindi perdere indizi importanti dei significati culturali. Spradley, un importante
antropologo, invita a seguire tre criteri o principi che lo guidino nella raccolta delle note etnografiche.
Le conversazioni, avute o ascoltate, non devono essere riepilogate nello scritto del linguaggio dell’etnografo,
poiché egli riduce la variabilità linguistica tra le diverse categorie di attori, riproducendo il linguaggio misto.
Oltre ad essere imprecise, le note etnografiche spese in un linguaggio misto diventano inservibili a distanza
di tempo. Quando il ricercatore leggerà dopo qualche mese, non sarà più in grado di stabilire relazioni tra le
categorie dei parlanti contenuto dei discorsi, rischiando così di introdurre gravi distorsioni durante l'analisi
dei dati come ad esempio attribuire il pensiero da una categoria sociale a un'altra. Conviene quindi scrivere
su fogli diversi vari colloqui e poi successivamente raggrupparli per categoria professionale.
Oltre a identificare i parlanti è opportuno registrare con precisione quello che si dicono. Trascrivere
fedelmente le parole usate dagli attori per descrivere, classificare, commentare e giustificare un evento può
essere utile per ricostruire significati attribuiti alle azioni. I termini sono come dei ganci che ancorano un
significato (un concetto) e attraverso loro possiamo indagare gli schemi mentali e i modi di ragionare degli
attori sociali. Molto spesso il ricercatore si trova ad ascoltare termini a lui familiari, che tenderà a trascurare
poiché difficilmente li riconoscerà come termini del codice comunicativo degli attori studiati, egli sicuramente
starà più attento alle espressioni strane o dialettali. Nel primo periodo di permanenza sul campo, quando
ancora le situazioni appaiono nuove, l'etnografo dovrebbe quindi appuntarsi anche termini, frasi e modi di
dire che all'apparenza non sembrano degni di attenzione. Infatti, a distanza di tempo i termini inizialmente
non particolarmente significativi possono diventarlo nel corso della ricerca. Oppure possono riparare
significati diversi da quelli che egli presupponeva. Il ricercatore dovrebbe prestare attenzione alle definizioni
che gli attori proferiscono, cioè i casi in cui nelle frasi notiamo la presenza del verbo essere. Solitamente il
verbo essere compare per classificare un evento, cioè stabilire un rapporto tra un termine e un concetto. La
pratica di riformulare con parole proprie le conversazioni ascoltate rischia di allontanare l’etnografo
dall'obiettivo di descrivere e dare risalto alla prospettiva dell'osservatore. Se non si possiede un magnetofono
oppure una videoregistrazione della scena, trascrivere esattamente quello che viene detto non è facile, non
solo perché dopo pochi minuti abbiamo già dimenticato alcuni termini, ma anche perché in certe situazioni
può non essere possibile trascrivere subito. Si può scegliere un'altra strada, invece di appuntare le
conversazioni di oggetti a caso, si può esplicitare direttamente agli attori il desiderio di prendere qualche
appunto in loro presenza, magari rinforzando la richiesta con un commento positivo.
La cultura di un gruppo di un'organizzazione si manifesta attraverso pratiche sociali quotidiane: percepire e
riconoscere queste pratiche richiede all’etnografo-membro-della-società-che-studia uno sforzo cognitivo
maggiore di quello solitamente richiesto all’antropologo. Per descrivere accuratamente le attività degli attori
il ricercatore dovrebbe trascrivere i micro-eventi e le micro-azioni che compongono ciascuna pratica sociale
osservata.

7.2 Quattro tipi di note etnografiche


Dopo pochi giorni di permanenza sul campo, l'etnografo scrupoloso avrà già riempito diverse pagine di
appunti e note dopo aver seguito i tre principi indicati. In poco tempo egli vedrà crescere il suo materiale e
dopo qualche settimana comincerà ad assalirlo un senso di smarrimento. Alcuni importanti etnografi
consigliano di riporre tutto ciò in quattro differenti sezioni, ciascuna delle quali contiene una particolare tipo
di nota etnografica: le note osservative, le note metodologiche, le note teoriche e le note personali. Questa
classificazione permette al ricercatore di ordinare per tempo le sue osservazioni e riduce la complessità del
lavoro.
• Le note osservative sono descrizioni dettagliate di eventi e azioni viste e ascoltate direttamente dal
ricercatore. La stesura delle note osservative segue rigorosamente i tre principi elencati nel paragrafo
precedente. Esse dovrebbero quindi contenere il minor numero possibile di interpretazioni dei
ricercatori, nel senso che gli dovrebbe limitarsi a descrivere gli eventi nella loro essenzialità fattuale,
tralasciando l'uso di aggettivi qualificativi, cioè quelle parti del discorso che determinano la qualità
dei sostantivi. Inoltre, è opportuno che l’etnografo stenda questo tipo di note durante l'osservazione
o appena terminata la sessione osservativa;
• Le note metodologiche sono essenzialmente degli interrogativi e delle riflessioni su come porre
rimedio alle difficoltà che sorgono sul campo. Questo tipo di note può quindi includere domande a
cui non sappiamo ancora dare una risposta così come specifiche valutazioni, consigli e strategie per
migliorare il metodo di ricerca impiegato. Le note metodologiche rappresentano quindi un costante
feedback tra l’attività osservativa, il metodo impiegato e la relazione degli attori studiati;
• Le note teoriche rappresentano dei tentativi di sviluppare il significato teorico più generale di una o
più note osservative. Esse segnalano elementi che meritano un approfondimento ulteriore oppure
invitano il ricercatore a riconoscere nell'azione osservata un esempio empirico di un concetto,
un'ipotesi o una teoria sociologica. Questo tipo di note possono anche ricostruire come siano
cambiate nel corso del tempo le ipotesi dell’etnografo, le sue interpretazioni e gli schemi cognitivi;
• Le note personali o emotive sono una risorsa essenziale per la comprensione di alcune interpretazioni
poiché esse vengono interpretate in base alle emozioni. Le note emotive si propongono di catturare
i sentimenti, le sensazioni e le reazioni del ricercatore alle caratteristiche specifiche dell'evento
osservato, dovrebbero riporre gli esiti di una specie di autoanalisi. Le note emotive, che rimangono
materiali privati del ricercatore, aiutano ad essere consapevoli degli stereotipi e dei pregiudizi, delle
paure e delle credenze che l'etnografo può nutrire nei confronti degli attori studiati. Se lette di
seguito anche queste note offrono al ricercatore le dimensioni del cambiamento emotivo avvenuto
durante il processo di ricerca.
Riassumiamo così la procedura di annotazione:
❖ per le prime due o tre settimane dall'inizio della ricerca bisogna immergersi a tempo pieno nell'ambiente
osservato, beneficiando “dell'atteggiamento dell'estraneo” poiché dalla terza settimana questa
sensibilità comincerà a declinare rapidamente e l'ambiente incomincerà a diventare familiare;
❖ scrivere di getto appunti e note su quello che viene osservato, le principali emozioni provate e le idee
affiorate alla mente;
❖ successivamente rileggere le note, ordinandole sintetizzandole in frasi brevi da collocare in quattro
scatole virtuali: note osservative, metodologiche, emotive e teoriche;
❖ attrezzarsi a riservare uno spazio preciso alla stesura e all’organizzazione delle note, la quale può
occupare un tempo pari a quello dedicato all'osservazione. Se l'osservazione è molto coinvolgente, è
preferibile alternare periodi di osservazioni e periodi di stesura;
❖ dopo qualche tempo, ispezionare nuovamente le note, cercando di arricchirle con riflessioni o nuovi
particolari.

7.3 Statistiche etnografiche


La ricerca etnografica costruisce la sua base dati prevalentemente attraverso l'osservazione e la stesura di
note osservative. Tuttavia, nella raccolta delle informazioni si può fruire anche dell'ausilio dell'intervista, della
lettura di documenti e della statistica. Diversamente dal metodo dell'inchiesta che persegue l'obiettivo della
misurazione, l'etnografia si propone di “contare”. Nei casi in cui si ricorre alla quantificazione di un fenomeno,
il conteggio concerne solitamente la rilevazione di stati su proprietà discrete e numerabili. Il ricorso al
conteggio permette quindi di documentare con più precisione un'intuizione, una sensazione o una prima
impressione. Inoltre, offre la possibilità di controllare quanto sia rappresentativo all'interno
dell'organizzazione studiata, il fenomeno osservato.
Parte terza – L’analisi dei dati

8. L’analisi delle note etnografiche

8.1 Le tre fasi dell'analisi


Nella ricerca etnografica l'analisi dei dati non è semplicemente successiva alla raccolta delle informazioni. Le
due fasi non sono rigidamente separate ma rappresentano processi strettamente intrecciati. Strauss e Corbin
propongono una procedura per l'analisi chiamata “coding dei dati” distinta in tre fasi
progressive: decostruzione (open coding), costruzione (axial coding), conferma (selective coding). È una
procedura sofisticata che permette di procedere in modo sistematico ed efficace. inoltre, innesca un
processo a spirale in cui il campionamento, la raccolta e l’analisi si ripetono progressivamente e in modo
sempre più mirato. La decostruzione è una fase esplorativa in cui si cercano sul campo dei concetti rilevati
per spiegare un fenomeno osservato. In questa fase l’etnografo procede in modo non sistematico e si pone
in un atteggiamento di ascolto, disposto a cambiare focus ogni volta che si presenta un'azione o interazione
degna di nota. Dopo aver soggiornato per un periodo nel luogo di osservazione ed aver preso note
etnografiche, egli inizia ad analizzarle. Esistono due strategie per iniziare l'analisi: la stesura di una griglia
concettuale per “interrogare” le note etnografiche oppure la loro classificazione. La prima strategia consiste
nel l'uso di una griglia con un numero relativamente limitato di items a cui rispondere con informazioni
reperite nelle note etnografiche. Il suo vantaggio è quello di semplificare l'analisi riducendo la complessità
delle informazioni; il suo limite invece è quello di perdere informazioni non direttamente collocabili nella
griglia. La seconda strategia prevede di ordinare le note etnografiche procedendo con una classificazione in
base al criterio di somiglianza e dissomiglianza, a ciascuna nota viene assegnata un’etichetta che rimanda un
concetto. La stessa nota può ricevere anche altre etichette ed essere classificata più volte sotto diversi
concetti. L'obiettivo è quello di costruire gli eventi e le azioni osservate, segmentarli in una serie di concetti. Il
ricercatore può utilizzare nomi inventati, usare termini già presenti in letteratura o adoperare termini già
usati dagli attori. La prima alternativa è la preferibile perché stimola la creatività dei ricercatori. Decostruire
un insieme di note osservative significa denaturalizzarle, cioè dissolvere la loro integrità spaziale e temporale.
Attraverso la classificazione il ricercatore spezza il fluire naturale delle azioni e degli eventi per attribuire loro
un nuovo senso. Nella seconda fase, quella costruttiva, si comincia a riagganciare in modo originale i concetti
sviluppati nella fase precedente con l'obiettivo di comporre un primo quadro coerente secondo il modello di
Strauss, Corbin e altri studiosi. Questo metodo è composto da 5 aspetti: condizioni causali, condizioni
intervenienti, contesto, micro-azioni e conseguenze. In base ai risultati provvisori emersi dall'analisi
decostruttiva si procede a un secondo campionamento, mirato soltanto verso i concetti che l'etnografo ha
deciso di approfondire. La terza fase, la conferma, si propone di documentare e controllare le ipotesi emerse
dalla fase costruttiva e ancorarle a una teoria. Quest'ultima fase si compone di due momenti di analisi dei
dati e rappresenta un processo di integrazione dei dati a un livello di generalità più alto rispetto alle due fasi
precedenti. Esso avviene seguendo una storia, incentrata sul concetto principale e fatta da una decina di
precisi asserti sulle relazioni tra il concetto principale e i suoi indicatori. Tracciata la storia, l'etnografo ritorna
sul campo e procede all'ultimo campionamento dove raccoglie ulteriori informazioni utili a controllare questi
esperti. La distinzione tra queste tre fasi, la decostruttiva, la costruttiva e la confermativa ha soltanto una
valenza analitica, perché nel processo e nelle varie fasi queste si possono intrecciare più volte e riproporsi
anche al termine della ricerca.

8.2 Il controllo delle ipotesi


A differenza dell’etnografia descrittiva classica, l'osservazione partecipante di impostazione sociologica si
nutre della necessità di costruire e documentare ipotesi. Molti anni fa Becker e Geer hanno indicato un
percorso per controllare le ipotesi:
• Comparare l'ipotesi all'interno di gruppi diversi di soggetti;
• Assicurarsi che essa copra tutti gli eventi osservati che riteniamo rientrino nell'ipotesi;
• Prestare massima attenzione ai casi devianti o eccezioni che non vengono adeguatamente spiegati
dalle ipotesi;
• Fare un controllo statistico per calcolare la dimensione dell’eccezionalità
Ad integrazione di questi suggerimenti, altri studiosi propongono di tastare la solidità di un’ipotesi dapprima
su un corpo ristretto di casi. Se essa non dovesse funzionare la si ri-formula con l'obiettivo di recuperare i
casi devianti e quindi aumentare l'estensione dell’asserto. Il controllo delle ipotesi è un lavoro molto
importante è molto spesso complicato anche perché ci può essere il rischio che il ricercatore può compiere
nel riprodurre i propri pregiudizi e precomprensioni. Per scongiurare questa eventualità gli può essere utile
disseminare intenzionalmente il suo ragionamento di trappole cognitive come ad esempio invertire
cronologicamente i dati, applicare un codice alternativo alle note etnografiche ecc...

9. Le politiche della validazione

Il ricercatore che voglia dialogare con la comunità scientifica di riferimento si pone il problema del grado di
corrispondenza tra le sue inferenze e il fenomeno sociale osservato durante il periodo di permanenza sul
campo. In questo quadro troviamo il problema della correttezza e della vero-somiglianza delle osservazioni
dell’etnografo che si inseriscono in un orizzonte più ampio in cui il ruolo del ricercatore non è giocato tanto
dalla verità quanto dalla capacità di persuadere la sua audience. Il lavoro di validazione si muove secondo
due percorsi paralleli: da un lato l'etnografo articola il suo discorso dialogando con i canoni metodologici
all'interno della sua comunità scientifica, dall'altra raccoglie e pubblica un insieme di riscontri ai suoi asserti.
Talmente relativo a questa tematica c'erano solo i concetti di attendibilità dello strumento e validità del dato;
con il tempo, essendo mutato il clima, questi concetti appaiono ormai riduttivi, poiché non è sempre possibile
accertare la validità del dato. Invece dal momento che la validità è accertabile solo in alcuni casi, l'attività di
validazione dell’etnografo consiste in un minuzioso lavoro di collezione di riscontri simile alla composizione
di un puzzle, dove ciascun pezzo significa poco ma acquista significato all'interno di un quadro più generale.
Ovviamente non sarà possibile completare l'intero quadro, ma ogni riscontro conferisce all’etnografo e alla
comunità dei lettori il grado di somiglianza dell'impresa conoscitiva.

9.1 L’affidabilità della definizione operativa e dell’operativizzazione


Un primo aspetto su cui meditare riguarda il grado di affidabilità della definizione operativa, cioè il grado di
fiducia che riponiamo nel buon funzionamento dell'insieme delle procedure di rilevazione delle informazioni
e di analisi dei dati. Nel predisporre il disegno della ricerca, l'etnografo stabilisce una serie di attività da
condurre sul campo che hanno l'obiettivo di reperire le informazioni necessarie. L'affidabilità della
definizione operativa viene rilevata attraverso un confronto tra questo proposito iniziale e l'esito delle
procedure di raccolta delle informazioni e di analisi dei dati. A tal proposito Marradi distingue due tipi di
affidabilità: a priori, cioè quel tipo di affidabilità che il ricercatore aveva creato basandosi su informazioni
ricavate da precedenti esperienze o da altre ricerche, in ogni caso informazioni note prima di quella specifica
raccolta di dati e l'affidabilità a posteriori, ovvero quella attribuita dall’operativizzazione basata su
informazioni di ogni tipo relative all'andamento di quella raccolta e i suoi esiti. L’aver progettato una
definizione operativa permette di valutare con più precisione il processo di operativizzazione e l'inevitabile
scarto tra i due tipi di affidabilità. In conclusione il prezzo dell’osservazione etnografica è che le affidabilità
della definizione operativa e dell’operativizzazione possono essere valutate durante la ricerca e non soltanto
alla sua conclusione, in questo modo i ricercatori può migliorare il grado di affidabilità introducendo correttivi
mentre la sta conducendo.

9.2 L’attendibilità dello strumento di rilevazione


Oltre alle procedure occorre prestare attenzione anche all’attendibilità o precisione dello strumento.
L'attendibilità concerne il grado di fiducia che riponiamo nella stabilità di uno strumento di rilevazione, e la
sua capacità di riprodurre dei risultati. L'assunto sottostante a questo concetto di attendibilità è che l'oggetto
rimanga lo stesso tra le due rilevazioni. Nelle scienze sociali valutare l'attendibilità dello strumento è
un'operazione abbastanza difficile e dà risultati controversi, poiché lo stesso oggetto della rilevazione può
cambiare tra le due osservazioni o anche a distanze molto brevi. Nell'osservazione partecipante questi rischi
esistono, ma vanno ridimensionati. Innanzitutto, la rilevazione è un processo lungo, composto da molteplici
osservazioni. Questo comporta che le informazioni inesatte raccolte durante le prime osservazioni possono
essere corrette nelle successive. In secondo luogo, le pratiche quotidiane sono processi stabili nel tempo che
difficilmente possono cambiare nello spazio di una ricerca a meno che questa si prolunghi per anni oppure
l'etnografo venga percepito come una spia o un delatore. In terzo luogo, la prolungata permanenza sul campo
permette di eliminare le incomprensioni che determinate richieste possono aver creato e che possono aver
causato l'inesattezza delle informazioni. Infine, la permanenza facilita anche il processo di familiarizzazione
degli attori con lo strumento etnografico, riducendone l'impulsività che comunque rimane l'aspetto che può
ammirare più di tutti gli altri l'attendibilità di questo strumento. Le informazioni relative alla attendibilità
dell'osservazione etnografica possono essere raccolte attraverso procedure di “triangolazione”, un termine
che nelle scienze sociali indica la combinazione di differenti metodi nello studio di un fenomeno. I dati
provenienti da interviste individuali, gruppi di discussione, questionari, fonti statistiche secondarie possono
essere confrontati con i dati etnografici. La presenza di risultati convergenti testimonia l’attendibilità
dell’etnografia; in caso contrario potremmo concludere che l'etnografia non è attendibile, che non lo siano
gli strumenti o che il ricercatore non sia stato accurato.

9.3 L’accuratezza del ricercatore


L'osservazione partecipante assegniamo autonomia al ricercatore. Egli gode di un'ampia discrezionalità nella
scelta dei modi e dei momenti in cui procedere. Contemporaneamente ci si può chiedere se le osservazioni
riportare dall’etnografo però siano una registrazione fedele degli eventi osservati. Il problema
dell'accuratezza del ricercatore presenta due aspetti distinti: uno interno che riguarda il ricercatore stesso,
l'altro esterno che coinvolge il lettore e la comunità scientifica di riferimento. Nella prospettiva del ricercatore
la sua accuratezza può essere migliorata attraverso l'introduzione di procedure rigorose che lo sostengano
nelle varie fasi dell'indagine: il disegno della ricerca, la definizione operativa, le strategie di accesso al campo,
le procedure di osservazione, e tutti gli altri processi individuati nei capitoli precedenti. Il lettore invece si
pone in una prospettiva diversa, si chiede come l'accuratezza del ricercatore possa essere adeguatamente
controllata. Egli dovrebbe quindi esibire i propri materiali su cui poggiano le sue conclusioni, in questo modo
offre al lettore l'opportunità di valutare se gli aspetti fondamentali hanno:
• la completezza, le descrizioni devono essere accompagnate da una dettagliata presentazione del
contesto;
• la saturazione delle categorie, testimonia che tutti gli eventi hanno trovato collocazione nei concetti
proposti;
• l'autenticità, intesa come la certificazione dell’effettiva presenza sul campo;
• la coerenza, con cui gli eventi vengono assegnati alla stessa categoria in diverse occasioni;
• la credibilità del grado di congruenza tra gli aspetti descrittivi e quelli interpretativi, cioè che i risultati
siano interamente coerenti rispetto alle teorie che sosteniamo, che i concetti siano stati messi in
relazione sistematica e sviluppati in modo corretto;
• la plausibilità, cioè la coerenza tra le conclusioni e le conoscenze consolidate nella comunità di
riferimento.
Se la ricerca coinvolge più ricercatori, il tema dell’accuratezza assume contorni diversi perché la presenza di
più etnografi rappresenta non un problema ma un'importante risorsa. Infatti, la presenza di più ricercatori
indica che le distorsioni possono essere corrette e ridimensionate proprio attraverso il confronto tra più
etnografi.

9.4 L’appropriatezza della concettualizzazione


Attraverso la concettualizzazione, l'etnografo stabilisce un rapporto di indicazione tra il concetto generale e
gli indicatori. Questo processo viene attivato attraverso il metodo di interpretazione documentario. Forse il
problema dell'appropriatezza della concettualizzazione significa chiedersi se gli indicatori presi in
considerazione possano essere ragionevolmente considerati una valida espressione del concetto in
questione. Valutare l'appropriatezza dell'indicatore è un'operazione problematica. Nel caso ci fosse una
distorsione sistematica nella concettualizzazione, causata da un pregiudizio e/o una precomprensione, si
trasmette a catena e in modo costante nella rilevazione. Uscire da questa circolarità è difficile anche se
l’etnografo riflessivo ha modo durante la ricerca di modificare la sua concettualizzazione. Un'alternativa a
questa posizione consiste nel fornire al lettore la documentazione che gli consenta di valutare
l'appropriatezza della concettualizzazione operata dall’etnografo. Questa alternativa passa attraverso
l'esplicita argomentazione delle proprie decisioni e scelte. Bisogna esporre i propri concetti e indicatori in
maniera trasparente senza ricorrere a metafore ardite o a evocazioni di atmosfere, in modo da essere aperto
a critiche argomentative.

9.5 La fedeltà del dato e delle interpretazioni


Poniamo che la concettualizzazione, cioè il rapporto con l’indicazione sia stata appropriata, che
l’operativizzazione, cioè il passaggio dagli indicatori alle relative variabili sia stata corretta, che l'osservazione
partecipante si sia rivelata una tecnica attendibile e che infine l'etnografo sia stato preciso e accurato, non
siamo però comunque certi di aver ottenuto un quadro adeguato delle situazioni osservate, poiché ci
potremmo trovare di fronte a due possibili inesattezze:
• a livello del dato, in presenza di uno scarto tra lo stato registrato e lo stato effettivo;
• a livello delle interpretazioni, notando un divario tra le interpretazioni dei ricercatori e il fenomeno
sociale a cui si riferiscono.
Queste considerazioni introducono il tema della “teoria della verità” basata sulla corrispondenza. Questa
assume che esiste da una parte il mondo reale delle persone, degli eventi e delle circostanze, mentre dall'altra
esistono le proprie osservazioni e descrizioni di questo mondo. Le osservazioni e descrizioni competenti
dipendono principalmente dall'ottenimento di certe relazioni formali tra le due sfere, dalla capacità di
produrre buone raffigurazioni della realtà. Descrivere e fornire istruzioni comporta due diversi livelli di
fedeltà.
Un criterio per valutare la fedeltà di un asserto può essere rappresentato dal grado di successo che sostiene
nel predire situazioni successive. Il fatto di immedesimarsi e riprodurre con successo le pratiche degli attori
studiati, al punto da essere riconosciuti a tutti gli effetti come membri competenti può essere un indizio della
fedeltà degli asserti del ricercatore. Ovviamente ci sono dei limiti: il primo è che non si potrà mai fornire un
set completo di istruzioni e che proprio la vaghezza e l'indeterminatezza costituiscono le proprietà essenziali
delle istruzioni; secondo è che non sempre le situazioni di ricerca permettono questi tentativi. Rimane però
di estrema utilità quando è possibile provare a fare piccole predizioni e osservarne il risultato.
Un altro criterio per tentare di valutare la fedeltà di un dato e la fedeltà di un'interpretazione consiste
nell'ottenere su di esso delle conferme o delle smentite da parte degli attori. A tal scopo il ricercatore realizza
delle interviste individuali oppure organizza dei gruppi di discussione con gli attori. La procedura esige che la
descrizione oppure la teoria dell’etnografo vengono esposte in modo semplice e chiaro in modo che i modelli
scientifici di spiegazione dell'azione sociale possono essere comprensibili anche agli attori. La convalida degli
attori può essere richiesta sia per gli aspetti descrittivi che per gli aspetti interpretativi, quindi o per i dati
registrati o per teorie e ipotesi. Ovviamente nel secondo caso il processo può innescare un lungo e tortuoso
processo di negoziazione con l'etnografo sulla fedeltà degli asserti interpretativi. Dal momento che il
processo di convalida si realizza sempre in un contesto è quindi naturale che nella valutazione si mescolano
interessi di varia natura. Come già ricordato, a proposito del ruolo del ricercatore, a causa della proprietà
riflessiva dell'azione i resoconti degli etnografi non descrivono semplicemente qualcosa ma danno luogo a
valutazioni morali producendo conseguenze politiche, etiche e sociali. Le descrizioni fanno quasi sempre
molte più cose in una situazione sociale che il mero riportare dei fatti. Questa incomprensione tra etnografo
e attore può anche essere la distanza inconciliabile delle prospettive dell'osservatore, poiché l'etnografo si
deve preoccupare soltanto di cogliere correttamente il significato di senso comune che l'azione ha per gli
attori, invece questi ultimi cercano sempre un qualcosa di più dal ricercatore.

9.6 La relazione osservativa


La fedeltà del dato non dipende esclusivamente dalla concettualizzazione, da una definizione operativa, dalla
accuratezza del ricercatore e dalla reattività dello strumento di indagine ma anche dagli attori, che in gran
parte sfuggono al controllo del ricercatore. Essi riguardano l'immagine che gli attori vogliono dare di sé, i
vincoli burocratici a cui ricercatore deve sottostare, il grado di accettazione degli attori a farsi osservare. In
questo caso all'etnografo non resta altro che fornire al lettore informazioni sulla relazione osservativa
intercorsa come ulteriori elementi di valutazione di riflessione sulla validità dei propri dati. La pubblicazione
di queste informazioni si inquadra in una sorta di storia “naturale” della ricerca, questi non garantiscono
l'autenticità delle rappresentazioni etnografiche che a essi si adeguino, ma offrono al lettore e alla comunità
scientifica buone ragioni per deciderne l'adozione o il rifiuto. Infatti, si parla delle condizioni in cui si è svolta
la ricerca, dei vincoli a cui ha dovuto attenersi e che hanno delimitato il campo osservativo, le difficoltà e le
facilitazioni incontrate e da parte di quali attori sono avvenute.

9.7 Etiche nella ricerca


Durante le varie fasi del processo di ricerca l’etnografo si trova a dover prendere diverse decisioni inerenti
alla sfera dell'etica professionale. Un esempio l'abbiamo trovato nell'osservazione coperta dove la
problematica principale era il dover mentire agli attori sociali e nascondere il proprio scopo reale. Può
capitare che l'etnografo sia costretto a impegnarsi moralmente con soggetti che rivestono ruoli diversi e
possono essere portatori di interessi contrapposti, quindi anche celare la verità o nascondere informazioni ai
nostri interlocutori. Durante la permanenza sul campo a l’etnografo può capitare di venire a conoscenza di
particolari personali relativi a singoli attori o di raccogliere le confidenze di altri interlocutori; per lui gestire
queste informazioni in modo da non contaminare le sue relazioni è una cosa più facile a dirsi che a farsi. Così
come è importante non tradire la fiducia degli informatori, allo stesso modo è importante non tradire la
fiducia dei guardiani, dei garanti e degli intermediari, che hanno permesso la buona riuscita della ricerca.
Questi problemi risultano evidenti al momento della stesura del rapporto di ricerca, luogo in cui il difficile
equilibrio tra ciò che si vorrebbe dire, ciò che si può dire e ciò che si deve dire, deve essere realizzato. Un'altra
fonte di decisioni etiche sono i documenti, le foto, i materiali audio e video registrati in cui sono ripresi gli
attori: si è sempre indecisi se pubblicare questi materiali o di rispettare la privacy.

9.8 La generalizzabilità dei risultati


Nella lettura metodologica si è soliti presentare la generalizzabilità come la conseguenza diretta e automatica
della rappresentatività. Ci si dimentica che tra la rappresentatività di un campione e la generalizzabilità dei
risultati interviene un insieme articolato di attività che devono seguire i sette domini trattati nei paragrafi
precedenti: affidabilità della definizione operativa, affidabilità delle operativizzazione, attendibilità dello
strumento di rilevazione, appropriatezza della concettualizzazione, accuratezza del ricercatore, fedeltà del
dato e fedeltà dell’interpretazione. Queste attività possono intaccare l'equivalenza tra rappresentatività e
generalizzabilità. La generalizzabilità di un aspetto diviene una questione molto problematica poiché è
oggettivamente difficile controllare l'aderenza di un assetto all'intera popolazione, quando non si è più certi
che il campione effettivo rappresenti ancora una miniatura della popolazione. In poche parole, se abbiamo
iniziato la nostra ricerca con un campione rappresentativo, per essere certi della generalizzabilità delle nostre
ricerche dovremmo operare un nuovo controllo sulla popolazione. La nostra esperienza ci dice che la
generalizzabilità è una questione in gran parte legata al tema di ricerca. L’etnografo non generalizza il singolo
caso-evento, ma i principali aspetti strutturali che lo costituiscono e che si ritrovano in altri casi-eventi della
stessa specie o classe. Il processo di generalizzazione si compie attraverso inferenze che tendono a
scarnificare le descrizioni etnografiche in favore di asserti di un livello superiore di generalità.

10. La scrittura. L’etnografia come pratica testuale


Nessuna etnografia può prescindere dal suo carattere testuale o, in altri termini, non ci è dato di conoscere
o di accedere ai risultati di nessuna ricerca etnografica senza la mediazione di un testo scritto oppure orale.
L'intento di un ricercatore non consiste soltanto nel raccogliere informazioni o acquisire conoscenze
specifiche, ma anche nello scrivere un testo, un ennesimo articolo di libro, possibilmente pubblicarlo e
ottenere consenso per il proprio lavoro. Anche se estremizzato, questo aspetto ci permette di focalizzare
l'attenzione sul carattere tutt'altro che neutrale delle strategie espositive retoriche di cui un testo etnografico
si compone. La scrittura rappresenta lo spazio e il luogo in cui si costruisce e si legittima discorsivamente
l'autorità dell’etnografia come metodo conoscitivo. Quindi ci impegneremo a studiare la scrittura non solo
come luogo simbolico istituzionale in cui l'etnografo rende pubblico il suo lavoro, ma anche come spazio in
cui riflessivamente mostrare le condizioni di produzione del sapere etnografico. La scrittura rappresenta lo
stadio più compiuto di riflessione ed elaborazione dei risultati, mentre scriviamo siamo ancora pensando ed
è proprio scrivendo che si completa l'attività del pensare.

10.1 Le condizioni di produzione del sapere etnografico


La maggior parte degli studiosi che fanno ricerca etnografica dicono poco o nulla sulle condizioni di
produzione delle loro analisi. Dal presente punto di vista è significativo che, nel momento in cui la conoscenza
scientifica è chiamata a interrogarsi riflessivamente sul suo stesso statuto costitutivo, cioè la sua capacità di
produrre i saperi validi e coerenti, lo spazio e luogo su cui si propone di intervenire sono proprio le formule
stilistiche, retoriche e narrative a cui la scienza fa tradizionalmente riferimento nelle pratiche di scrittura. La
conclusione della ricerca prevede da una parte la redazione di un testo che segue determinati criteri e
dall'altra la comunicazione dei risultati. Quest'ultima può assumere forme diverse da un testo redatto
sistematicamente, per esempio un'audizione, una conferenza, un convegno, una trasmissione ecc… La
comunicazione dei risultati di una ricerca non rappresenta soltanto l'evento finale del lavoro etnografico, ma
costruisce l'identità dello stesso. Per il lettore il rapporto di ricerca non è soltanto una rappresentazione fra
le tante possibili di una cultura ma diventa la cultura stessa. La scrittura presenta: in primo luogo uno dei
criteri per valutare la scientificità di una ricerca, ovvero attraverso l'analisi del testo e delle modalità
specifiche con cui è redatto; inoltre scrivere è una forma parallela di interpretazione delle note etnografiche,
in quanto scrivendo si continua ad analizzarne i dati; l'attività di scrittura mette in relazione il ricercatore con
il suo lettore modello, in questo rapporto virtuale il ricercatore chiarisce a sé e agli altri suoi asserti, sviluppa
nuove idee, inventa nuova ipotesi, costruisce pezzi delle varie teorie ecc…. La scrittura rivela anche le
rappresentazioni dei ricercatori, i suoi stereotipi, che difficilmente sono eliminabili e che forniscono le basi
per un eventuale attività riflessiva.

10.2 L'etnografia come genere di scrittura scientifica


A partire dagli anni ‘80 la riflessione sulle politiche e sulle poetiche del testo ha acquisito nel dibattito
internazionale una nuova rilevanza. Gli esiti di tale dibattito hanno rivelato come la scrittura sia
essenzialmente un atto politico di costruzione del senso. Seguendo tale prospettiva una nozione utile diviene
quella dell’ideologia della scrittura, in quanto da una parte permette di focalizzare l'attenzione su quale sia il
legame che connette poetiche e politiche del testo e dall'altra documenta come un testo prefiguri al suo
interno non soltanto l'identità del suo lettore, ma anche quella del suo autore. In tale prospettiva, il testo
etnografico è il luogo della produzione del senso, ma è soprattutto il luogo in cui si producono e si legittimano
le identità scientifiche. Un testo deve rappresentare una sorta di carriera che produca come esito finale un
discorso, i cui frame retorici predominanti corrispondano alla struttura convenzionale del discorso scientifico.
Riflettere sui modi in cui un testo etnografico è strutturato significa implicitamente riconoscere e
presupporre delle uniformità, delle costanti a cui legare la possibilità che un testo di questo tipo esista e sia
riconosciuto in quanto tale. Parlare delle poetiche e delle politiche del testo comporta una riflessione sugli
statuti di una conoscenza disciplinare che sembra riflettere tutti i limiti e le contraddizioni di un sistema
culturale altamente istituzionalizzato

10.3 Il contributo dell'antropologia postcoloniale


È proprio grazie al contributo dei postcoloniali che la scrittura diviene oggetto specifico di riflessione teorica
non soltanto nei contributi più specifici dei sociologi della scienza, ma anche in quelli degli antropologi, dei
sociologi e degli economisti. egli Nultimi due decenni il post-colonialismo si è consolidato grazie alla
confluenza di contributi come il neo marxismo di Althusser, l'ermeneutica di Ricoeur, le differenti versioni
del post strutturalismo di Derrida e di Barthes, i postmodernismi di Jameson, Lyotard e Foucault. Questi studi
hanno affrontato il problema dei limiti della rappresentazione, contribuendo a situare l'antropologia
tradizionale all'interno delle pratiche discorsive della prospettiva scientifica occidentale. Le culture si
scrivono, sono rappresentate mediante processi di scrittura che, in quanto tali, non sono neutrali, ma
istituzionalizzati all'interno di pratiche discorsive specifiche. Questo processo di scrittura tratterà pur sempre
di una tradizione parziale, di una lettura situata. Volendo tracciare un quadro degli interrogativi che il
dibattito post-coloniale ha contribuito a delineare emergono almeno 5 dimensioni distinte e complementari
che divengono costitutive del sapere etnografico in quanto tale:
• In primo luogo, si sottolinea la storicità dell’etnografia come pratica conoscitiva che inventa cultura
e, piuttosto che descriverle. Si mettono in discussione la retorica dell'antropologia tradizionale e si
svelano i processi di mistificazione e imbalsamazione delle culture; infatti i post-coloniali si
definiscono distanti dal paradigma etnografico che è prevalso fino ad allora e di cui si denuncia
l’asservimento intellettuale alla logica coloniale e colonialista;
• In secondo luogo, si mette a fuoco la natura testuale del sapere etnografico. Gli antropologi quando
fanno ricerca stanno sul campo, ma quando trascrivono i loro appunti sono a casa, ciò significa che i
protocolli etnografici sono oggetto di veri e propri processi di traduzione culturale, attraverso la
scrittura si passa dai dati ai risultati. L'antropologo quando scrive rielabora e soprattutto ricorda.
Diventa molto importante il ruolo dei processi di memoria nella comunicazione del sapere
etnografico. Vi sono quindi almeno tre passaggi da considerare: la prima fase è quella in cui
l'etnografo costruisce l'oggetto di ricerca attraverso la mediazione con le sue forme di esperienza
precedenti, con le sue conoscenze acquisite durante il processo di formazione; la seconda concerne
la costruzione dell'oggetto di ricerca attraverso le note etnografiche che sono ambivalenti, non un
materiale determinato, poiché le note etnografiche sono sempre soggetto reinterpretabile,
rinegoziabile e ridefinibile; la terza fase comprende un ulteriore ricostruzione in cui l'assemblaggio
delle note dà vita ad un vero e proprio testo per il lettore.
• In terzo luogo, si mette a tema il problema dello scollamento tra rappresentazione e realtà indagata.
In particolare, si sottolinea come il regime di verità non sia altro che una pratica sociale specifica e
sia in relazione circolare con il sistema dominante che lo definisce. Il regime di verità perde gran parte
del suo fascino autoritario per ridursi a regola procedurale della pratica scientifica. I post-coloniali
iniziano a credere che una volta decostruita la disciplina e il suo metodo di indagine, agli antropologi
non rimane altro da fare, poiché tolta l'interazione tra ricercatore e soggetti, mediata attraverso le
convenzioni e le regole disciplinari che regolano quell’ambito del sapere, la descrizione e la
rappresentazione dell'antropologo è uguale a tutti gli altri studiosi.
• Si riconosce il nesso tra poetiche e politiche del testo, l'insieme delle convenzioni stilistiche e
retoriche cui l'autore affida il proprio stile espositivo e rimanda a precisi criteri di autorità. A partire
da questo assunto iniziano a svilupparsi i tentativi di sperimentare differenti modalità stilistiche, cui
corrispondono ovviamente differenti criteri di legittimazione della pratica etnografica. Le tattiche di
scrittura sono oggetto di riflessione specifica, al punto che nel genere dell'autobiografia etnica si
assiste a una svolta di tipo linguistico-narrativo: i testi contemporanei si aprono alla partecipazione
consapevole del lettore che è chiamato alla cooperazione interpretativa. Le nuove forme di autorità
ricorrono all’ammiccamento, alla subordinazione complice del lettore che deve essere conquistato,
prima ancora che soggiogato.
• La riflessione e sugli stili espositivi è molto legata al problema di come si scrive, interno alla comunità
accademica. È molto importante per l’etnografo attenersi al modello narrativo dominante di un dato
periodo storico, ciò che è in gioco infatti è la stessa autorità etnografica del testo e della ricerca che
esso serve a divulgare. Gli stili che via via si sono succeduti nelle pratiche di scrittura etnografica
riflettono in parte gli stessi stili epistemologici a cui l'antropologia ha fatto riferimento, in parte le
modalità convenzionali della pratica scientifica riconosciuta all'interno della comunità accademica
nei diversi decenni. Quindi molte volte il problema della scrittura si lega sempre a quello più generale
della validità del sapere etnografico; a seconda dei criteri che si ritengono legittimi per fondare la
validità degli asserti etnografici, si tenderà a privilegiare l'una o l'altra modalità descrittiva, per
esempio se sono presenti esperienze documentate sul campo o documenti nel testo si troveranno
strategie retoriche volte a fornire al lettore più riscontri possibili di tale presenza.

10.4 I meccanismi sociali di esclusione della parola


Un ulteriore tipo di fattori che sono influenzati e continuano ad influenzare la struttura stessa dei processi di
scrittura sono rappresentati da quelli insieme di procedure che regolano il discorso come atto politico di
produzione di senso. In tale prospettiva si tratta di concepire un testo come il luogo antagonistico in cui si
contrappongono valori e idoneità, come luogo della costruzione della legittimazione di un ordine disciplinare.
Lo studio approfondito dei meccanismi sociali di controllo e di esclusione della parola si deve a
Foucault, secondo il quale in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata,
organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure. Egli individua tre grandi sistemi di esclusione
che limitano il discorso agendo dall'esterno (la parola interdetta, la partizione della follia e la volontà di verità)
e tre che lo delimitano dall’interno (il commento, il principio dell'autore e l'organizzazione del discorso).
Il principio del commento svolge una funzione centrale nella produzione dei testi scientifici: nel caso della
sociologia, i testi creatori sono in primo luogo quelli dei padri fondatori e, successivamente, tutti quelli di
coloro che vengono commentati a sufficienza perché non si possa escludere da un manuale, senza essere
tacciati di incompetenza. Il principio dell’autore costituisce un ulteriore meccanismo di rarefazione dei testi:
l'autore è considerato non come individuo parlante che ha pronunciato o scritto un testo, ma come principio
di raggruppamento dei discorsi, comunità ed origine dei loro significati. Nell'organizzazione della disciplina
ciò che conta è che la formulazione sia adeguata alle regole disciplinari, non si tratta tanto di non commettere
errori, ma di commetterli entro i confini semantici e pragmatici della disciplina. Il principio dell'organizzazione
del discorso, individuato da Faucault, regola anche la certificazione del valore dei testi, ma soprattutto
delimita i confini, cioè individua i criteri di cittadinanza in quella regione del discorso. L'identità di un testo,
prima ancora che il suo valore, è lo spazio in cui ha luogo quell'insieme di processi di negoziazione che
costruiscono e ricostruiscono i modi di produzione del sapere in una data società.

10.5 Ideologie della scrittura nel testo sociologico


La svolta pragmatica che ha investito, a partire dagli anni ‘80, la linguistica, la semiotica e la sociologia ha
comportato il passaggio ad una nuova concezione di testo in cui i modi dell'argomentazione acquisiscono un
ruolo di primo piano. Parlare di teologia della scrittura significa non tanto cercare di contribuire a distinguere
il vero dal falso, quanto piuttosto contribuire a documentare come i regimi del vero e del falso siano articolati
all'interno di specifiche pratiche sociali. Al movimento dei “literary methods” sedevano i tentativi più rilevanti
di analizzare ed elaborare nuove forme del parlare e dello scrivere antropologico e sociologico. Con il tempo
ovviamente si incominciano a sviluppare nuove riforme e nuove adozioni stilistiche: queste sperimentazioni,
sono state al centro di un acceso dibattito internazionale soprattutto nella seconda metà degli anni ‘80, dove
gli esiti di questi nuovi manifesti sono stati però meno recepiti di quanto ci si potrebbe aspettare.
Lettore e Autore Modello: le identità che si delineano nel testo sociologico sono quella dei soggetti o delle
istituzioni indagate, quella del lettore e quella dell'autore. A proposito del lettore modello, Eco afferma che
in ogni testo è inscritta una strategia testuale che vincola i potenziali processi di lettura successivi entro i
margini predefiniti. La precisazione di tali margini ha a che fare con il ritratto sempre incompiuto che l'autore
disegna mentre, scrivendo, si rivolge al pubblico dei suoi lettori futuri. Le varie scelte stilistiche sono
consapevoli o inconsapevoli dell'autore, guidato dalle caratteristiche del lettore immaginario a cui sta
pensando. Un testo quindi non contiene soltanto la rappresentazione che l'autore ha dei suoi potenziali
lettori, ma tratteggia anche l'immagine dell'autore stesso, con i suoi stereotipi e categorie. La nozione di
autore modello diviene così cruciale per comprendere l'intreccio tra processi di scrittura e processi di lettura
del testo sociologico. Nel caso del testo scientifico, spesso l'audience cui il testo si riferisce è la comunità
virtuale dei colleghi e in tal caso le due nozioni di autore e lettore modello tendono talvolta a convergere.
All'interno di una prospettiva che voglia indagare le politiche sottese al sistema scienza, la comunicazione dei
risultati, cioè la formulazione e l'elaborazione di testi sia orali sia scritti, diviene un momento cruciale nelle
pratiche e nelle carriere scientifiche, in quanto sono proprio i testi gli strumenti ai quali il ricercatore affida
la propria identità di scienziato e la rappresentazione della propria professionalità. Un testo è quindi
portatore di un’identità; è quindi più comprensibile come l'adozione di una differente poetica sia in primo
luogo una scelta politica, una scelta cioè che veste gli statuti stessi della disciplina: ecco perché l'introduzione
di nuove riforme di scrittura e di nuove adozioni stilistiche nella seconda metà degli anni ‘80 fu al centro di
un acceso dibattito internazionale. L'autore analizza il suo pensiero mediante il processo di scrittura,
pensando da una parte ai suoi lettori e dall'altra collocandosi all'interno di un complesso insieme di
convenzioni sintattiche e semantiche che regolano quel determinato genere di scrittura.

10.6 Come scrivere un’etnografia


La scrittura quindi è un atto politico di costruzione del senso. Se un testo etnografico non veicola soltanto
rappresentazioni dei soggetti indagati o dei lettori cui è destinato, ma prefigura anche al suo interno l'identità
stessa del suo autore, la scrittura non è più interpretabile come evento privato, le scelte retoriche e stilistiche
cessano di configurarsi come mero riflesso delle concezioni scientifiche o delle incompatibilità personali
dell'autore. I testi diventano le arene discorsive in cui l'individualità del ricercatore si interseca con i modelli
e le pratiche istituzionalmente codificate; quando si scrive ci si limita a scegliere tra opzioni espressive
legittime, cioè tra quelle retoriche espressive che l'istituzione ha preconfezionato per noi. La scrittura
etnografica quindi non è più soltanto un atto politico di produzione del senso, ma anche un atto istituzionale
di produzione di quel consenso su cui si fondano le carriere scientifiche. Lo stile espositivo è rappresentabile
con una funzione che incorpora tre ordini di fattori:
• preferenze e capacità personali dell'autore;
• tipo di epistemologia, interessi conoscitivi che guidano l’etnografo;
• grado di istituzionionalizzazione dei codici linguistico-espressivi a disposizione
Ma quali sono le opzioni attive con cui confrontarsi quando ci accingiamo a scrivere i nostri risultati? In uno
scritto di Golden-Bibble e Locke del 1993 si individuano tre differenti caratteristiche che il testo dovrebbe
possedere per essere convincente: criticità, plausibilità e autenticità. La criticità viene definita dalle strategie
adottate dal ricercatore per mettere in discussione gli assunti di partenza. La plausibilità riguarda invece sia
la possibilità che il testo venga accettato e diffuso dalla comunità accademica di riferimento, che le strategie
adottate per conseguire tale scopo. Infine, l'autenticità riguarda la certificazione dell’effettiva presenza sul
campo che si ottiene presentando resoconti dettagliati.
Il suggerimento conclusivo è di scrivere testi accurati, non importa all'interno di quale epistemologia vi
muovete, ciò che conta è che nel testo vi siano informazioni sufficienti a garantirne la trasparenza. Non si
tratta di pensare a etnografie replicabili rincorrendo i criteri di plausibilità che non pertengono all'ambito
qualitativo, si tratta di fornire al lettore riflessivamente informazioni sufficienti a chiarire le condizioni di
produzione della vostra ricerca etnografica.

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