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La PSICOLOGIA SOCIALE come disciplina nasce negli Stati Uniti all’inizio del XX° secolo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i ricercatori furono interessati in una varietà di problematiche sociali, incluse le
problematiche di genere e di pregiudizio razziale, e solo negli anni ottanta, tale disciplina raggiunse la propria maturità
di teoria e di metodo.
Un primo contributo importante alla definizione della disciplina fu merito di ALLPORT che, nel 1968, descrisse la
Psicologia sociale “l’indagine scientifica di come pensieri, sentimenti e comportamenti degli individui siano influenzati
dalla presenza oggettiva, immaginata o implicita degli altri”.
Presenza oggettiva: quando si è fisicamente in presenza di altre persone.
Presenza immaginata: quando si immagina di essere in presenza di altre persone.
Presenza implicita: si riferisce a come l’interazione umana attribuisca significato alle cose, un esempio sono le norme
che determinano il comportamento anche in assenza di altre persone.
La psicologia sociale è una scienza che ha al centro pensieri, sentimenti e azioni delle persone; si focalizza
sull’interazione sociale e sui processi psicologici che avvengono nella mente di un individuo.
E DIFFERISCE DA:
Psicologia generale: si concentra sull’interazione sociale tra individui e gruppi e come questa influenzi il pensiero
dei membri ed il loro comportamento.
Sociologia e Antropologia: si focalizza sul ruolo dei processi psicologici che si attivano nella mente di un individuo.
(Sociologia: si concentra sull’organizzazione, il funzionamento e i cambiamenti di gruppi, organizzazioni, categorie
sociale e società. Antropologia: si concentra sulla cultura e le società non industrializzate).
La psicologia sociale utilizza il METODO SCIENTIFICO per studiare il comportamento umano. Sebbene ciò includa una
serie di metodi empirici per raccogliere dati, provare ipotesi e costruire teorie, viene privilegiata la SPERIMENTAZIONE,
poiché è il metodo migliore per scoprire i rapporti causa-effetto: il metodo sperimentale consiste nella manipolazione
intenzionale di variabili indipendenti (aspetti della situazione che cambiano in modo spontaneo o che possono essere
manipolati dallo sperimentatore per avere effetti su una variabile dipendente) per indagare gli effetti su una o più
variabili dipendenti (variabili che cambiano in seguito a modifiche nella variabile indipendente).
È importante assicurarsi che quando si manipola una variabile non si manipoli inavvertitamente qualcos’altro che
potrebbe essere causa dell’effetto prodotto: confusione: situazione in cui due o più variabili indipendenti covariano in
modo tale che è impossibile sapere qual è la causa dell’effetto.
O che la richiesta non sia troppo impegnativa (effetto pavimento) o troppo poco impegnativa (effetto soffitto) da
ridurre o esagerare la risposta.
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L’Associazione degli Psicologi Americani ha stabilito nel 1972 una serie di principi di condotta etica, aggiornati nel 2002,
riguardanti la ricerca sugli esseri umani e ha stilato 5 PRINCIPI ETICI:
1. PROTEZIONE DAL DANNO: Evitare esperimenti che potrebbero provocare danni fisici o psicologici partecipante.
2. PRIVACY: Garantire la confidenzialità in modo che dai dati non si possa risalire al singolo individuo coinvolto.
3. INGANNO: è necessario che i partecipanti non siano a conoscenza della manipolazione e delle ipotesi che vengono
verificate, altrimenti i dati rifletterebbero risposte deliberate anziché reazioni automatiche. Una certa quantità di
inganno è spesso indispensabile.
4. CONSENSO INFORMATO e 5. TRASPARENZA: dire la verità al partecipante e far presente la possibilità di ritirarsi in
ogni momento, ottenere inoltre per iscritto il loro consenso informato a partecipare. Dovrebbero inoltre ricevere un
debriefing, rapporto dettagliato relativo all’esperimento a cui si prende parte.
Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70 la psicologia sociale vive una CRISI DI AFFIDABILITÀ. Le preoccupazioni
erano che fosse: - eccessivamente RIDUZIONISTICA: poiché spiegando il comportamento sociale principalmente in
termini di psicologia individuale, non riusciva a rendere conto della natura essenzialmente sociale
dell’esperienza umana, con una conseguente riduzione della capacità esplicativa.
- eccessivamente POSITIVISTA: aderente, cioè, ad un modello di scienza distorto, basato
sull’accettazione del metodo scientifico come unico modo per arrivare alla vera conoscenza.
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NASCITA DELLA PSICOLOGIA SOCIALE:
I primi esordi della disciplina risalgono probabilmente ad un gruppo di studiosi tedeschi influenzati dal filosofo
Hegel, che si diedero il nome di demopsicologi.
Nel 1860 STEINTHAL e LAZARUS fondarono una rivista dedicata, che pubblicava articoli sia teorici che empirici sul
concetto di mente collettiva (Steinthal la interpretò come una modalità di pensiero sociale interna all’individuo,
Lazarus come una forma di pensiero transindividuale, in grado di includere un intero gruppo di persone).
Con il nome mente di gruppo quest’idea guadagnò popolarità tra fine ‘800 e inizio ‘900 e autori come
MCDOUGALL e LEBON affermarono che le persone adottano un modo di pensare qualitativamente differente
quando sono in gruppo.
Tra le prime problematiche ci fu quella di adottare un approccio ‘top-down’ (focalizzata sul modo in cui i processi
sociali influenzano la psicologia dell’individuo - DURKHEIM) o ‘bottom-up’ (focalizzata su come la psicologia
individuale influenzi i fenomeni a livello sociale - TARDE).
Tarde, affermando che una scienza del comportamento sociale dovesse derivare da leggi che affrontassero la
situazione individuale, anticipò quello che fu l’andamento dello sviluppo della disciplina.
I primi autori di manuali di psicologia sociale furono MCDOUGALL in GB e ROSS in USA.
Negli anni ’20 in USA ALLPORT pubblicò l’agenda per la disciplina, all’interno della quale sosteneva che la
psicologia sociale si sarebbe diffusa solo diventando una scienza sperimentale.
Il primo esperimento di psicologia sociale che suscitò interesse fu quello di TRIPLETT sul maggiore impegno della
gente nello svolgimento di un compito se in svolto in presenza di altre persone presenti come spettatori o rivali.
Sebbene la psicologia sociale fosse nata in Europa, a causa del fascismo negli anni ’30 e della distruzione causata
dalla 2GM, di fatto non esisteva più e gli USA assunsero rapidamente la leadership in termini di idee, riviste, libri e
organizzazioni.
Dal 1945 agli anni ’50 gli USA fornirono risorse all’Europa per riprendersi e gradualmente gli psicologi sociali
europei iniziarono ad interagire organizzando incontri e fondando, nel 1966, L’Associazione europea di psicologia
sperimentale sociale.
Oggi lo scambio di idee tra Europa e USA avviene in entrambe le direzioni e i temi di maggior interesse sono:
religione, estremismo, terrorismo, emozioni, neuroscienza sociale, comunicazione elettronica e immigrazione di
massa.
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PENSIERO SOCIALE (Cap.2)
La psicologia sociale studia le modalità attraverso cui pensieri, sentimenti e comportamenti umani sono influenzati dagli
altri e a loro volta li influenzano. In quest’ampia definizione, il pensiero ha svolto un ruolo fondamentale: le persone
pensano al proprio mondo sociale e, sulla base del loro pensiero, agiscono in determinati modi.
In ambito psicologico il PENSIERO coincide con il linguaggio interiore ed i simboli che usiamo (spesso conscio); la
COGNIZIONE si riferisce ai processi mentali attraverso cui si elaborano, comprendono e memorizzano informazioni
percettive, e attraverso i quali si pianifica ciò che si dice e si fa (possono essere in larga misura inconsci).
Le persone manifestano dei limiti nel modo in cui elaborano le informazioni, condizionati da capacità cognitive limitate o
dall’essere individui irrazionali, mossi da interessi personali, o entrambe le cose. Talvolta sono ECONOMIZZATORI
COGNITIVI (NISBETT e ROSS) che imboccano ogni sorta di scorciatoie cognitive: utilizzano le cognizioni meno complesse
e faticose in grado di produrre comportamenti generalmente adattivi; talaltra sono TATTICI MOTIVATI (SHOWERS e
CANTON), che scelgono, sulla base dei propri obiettivi, motivi e necessità, tra una gamma di strategie cognitive.
Le IMPRESSIONI COMPLESSIVE che ci formiamo sugli altri sono dominate da stereotipi, informazioni sfavorevoli, prime
impressioni e costrutti personali idiosincratici (modi con cui si rappresentano gli altri innanzitutto sulla base di attributi
ritenuti soggettivamente importanti – KELLY).
Le persone possono formulare più teorie implicite della personalità con cui si rappresentano gli altri e si spiega il loro
comportamento (SCHNEIDER), sono largamente condivise all’interno di una stessa cultura ma differiscono tra culture
diverse.
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Le impressioni che si hanno su qualcuno sono influenzate dall’ordine in cui si ricevono informazioni al suo riguardo:
l’effetto PRIMACY consiste nell’incidenza sproporzionata delle prime informazioni sull’impressione generale del
destinatario. Esiste inoltre l’effetto RECENCY che si verifica quando le ultime informazioni hanno un impatto più decisivo
delle prime, generalmente quando il destinatario è distratto o poco motivato a seguire chi parla.
Quando formiamo le nostre impressioni diamo più peso alle informazioni negative rispetto alle positive e, se basta un
piccolo fatto negativo a rovesciare una prima impressione negativa, le informazioni positive hanno un impatto più
debole sulle prime impressioni negative. Le informazioni negative sono percepite come inusuali e distintive, segnalano
un pericolo potenziale e per questo hanno un valore come strumento di sopravvivenza.
SCHEMI:
Uno SCHEMA è un insieme circoscritto e coerente di cognizioni interconnesse (pensieri, convinzioni, atteggiamenti…),
che ci permette di comprendere rapidamente una persona, un evento o un luogo sulla base di informazioni limitate.
Una volta attivati generano rapidamente un’impressione generale sulla base di pre-concezioni e aspettative.
CATEGORIE E PROTOTIPI:
Per applicare uno schema particolare è prima necessario categorizzare un’istanza in modo adeguato.
Ogni volta che facciamo ricorso ad uno schema, le nostre tendenze sistematiche si assicurano che esso non sia
minacciato dal modo in cui elaboriamo informazioni e facciamo inferenze.
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Rappresentiamo una categoria attraverso un PROTOTIPO (è la rappresentazione cognitiva delle caratteristiche tipiche
che definiscono una categoria, più indistinti rispetto agli schemi) o un ESEMPLARE (specifica e concreta istanza
incontrata dalla persona).
Quando le persone acquistano più familiarità con una categoria passano dall’uso dei prototipi all’uso degli esemplari e
una volta che una persona, un evento o una situazione vengono categorizzati si genera lo schema pertinente.
STEREOTIPI:
Gli STEREOTIPI sono schemi di gruppi sociali e dei membri ampiamente condivisi e semplificati.
Gli stereotipi applicati agli outgroup sono etnocentrici e spesso associati a pregiudizi, discriminazione e conflitto tra
gruppi. Di frequente si basano su differenze o creano differenze, chiaramente visibili tra i gruppi.
La stereotipizzazione è una scorciatoia cognitiva che ha funzione adattiva poiché permette di formarsi rapide
impressioni sulla gente. Per questa loro natura difficilmente cambiano e quando capita è generalmente in risposta a più
ampi cambiamenti sociali, politici o economici.
Alcuni stereotipi sono acquisiti precocemente, spesso prima che il bambino conosca il gruppo che viene stereotipato,
mentre altri si cristallizzano più in là nell’infanzia, oltre i 10 anni.
Secondo la teoria della DISTINZIONE OTTIMALE le persone creano categorie di base e sottotipi per rispondere alla loro
necessità di considerare un individuo simile ad altri, ma anche diverso da altri.
Le persone categorizzano senza difficoltà anche sulla base di indizi distintivi come il colore della pelle, l’abito o l’aspetto
fisico.
Nell’elaborare informazioni sugli altri ci affidiamo soprattutto a schemi che collegano sottotipi, stereotipi e umori
correnti, caratteristiche evidenti, categorie accessibili e informazioni rilevanti al nostro sé. Tuttavia dipendiamo in minor
misura dagli schemi quando il costo dell’indecisione è basso e quando crediamo che seguire uno schema possa portarci
a commettere errori.
Normalmente ACQUISIAMO e modifichiamo i nostri SCHEMI attraverso gli incontri (diretti o tramite media diversi) con
istanze che si inseriscono nella categoria, e diventano più astratti, complessi, organizzati, compatti, resistenti e precisi
con il tempo.
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È difficile CAMBIARE uno SCHEMA, ma può essere modificato quando non è coerente con le informazioni.
ROTHBART ha proposto 3 possibili MODALITÀ DI CAMBIAMENTO DEGLI SCHEMI:
Per REGISTRAZIONE: cambiano di fronte all’accumulo di prove.
Per CONVERSIONE: cambiano all’improvviso dopo che si è accumulata una massa critica di prove discordanti.
Per FORMAZIONE di SOTTOTIPI: per rimediare alla presenza di prove discordanti, gli schemi possono formare una
nuova sottocategoria.
La SALIENZA è la proprietà che distingue uno stimolo dagli altri e gli permette di attirare l’attenzione.
Le persone possono essere salienti perché sono inusuali e si distinguono dall’ambiente circostante, attraggono
l’attenzione e tendiamo a formarci impressioni coerenti su di loro.
L’ATTENZIONE spesso è guidata non tanto dalle proprietà dello stimolo, ma dall’ACCESSIBILITÀ, cioè dalla facilità nel
richiamare categorie o schemi che abbiamo già in mente.
Siccome le categorie accessibili sono quelle che usiamo di più e sono coerenti con i nostri obiettivi, necessità e
aspettative, vengono attivate molto più facilmente da ciò che vediamo e sentiamo, ha così luogo un PRIMING
(attivazione nella memoria di categorie o schemi accessibili, che influenzano il modo in cui elaboriamo nuove
informazioni).
Conserviamo RICORDI dei tratti delle PERSONE sotto forma di proposizioni che possono essere alquanto astratte (es.
Maria è scortese e cattiva’). Le proposizioni si basano su inferenze causali derivate dal comportamento e dalle situazioni
e tendono a codificare i tratti in termini di desiderabilità sociale e competenza.
Tendiamo organizzare le informazioni riguardanti le persone per individuo (insieme di informazioni rispetto a tratti di
personalità, comportamenti e caratteristiche fisiche – persone importanti) o per gruppo (l’individuo è etichettato,
descritto e memorizzato in termini di attributi stereotipati relativi a una categoria sociale saliente – estranei).
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INFERENZA SOCIALE:
Il termine INFERENZA SOCIALE si riferisce al modo in cui elaboriamo informazioni sociali per formarci impressioni sulle
persone ed esprimere giudizi al loro riguardo.
DISTINZIONE chiave tra: - processo BOTTOM-UP: costruiamo le impressioni gradualmente, partendo dai singoli dati.
- processo TOP-DOWN: traiamo inferenze da schemi e stereotipi generali.
SCORCIATOIE INFERENZIALI:
Le EURISTICHE COGNITIVE sono basate su strategie cognitive: traducono la soluzione di un problema dalle
caratteristiche complesse a più semplici operazioni di giudizio e, nella maggioranza dei casi, forniscono alle persone la
capacità di produrre inferenze sufficientemente accurate:
Euristica della RAPPRESENTATIVITÀ: scorciatoia cognitiva grazie alla quale gli esemplari vengono assegnati a
categorie sulla base del grado di somiglianza che essi presentano nei confronti della categoria.
Euristica della DISPONIBILITÀ: scorciatoia cognitiva in cui gli eventi o le associazioni che vengono in mente con
facilità sono considerati più comuni e diffusi di quanto non siano realmente.
ANCORAGGIO e ACCOMODAMENTO: scorciatoia cognitiva in cui le inferenze sono collegate a modelli iniziali o a
schemi.
KELLEY coniò modello della COVARIAZIONE: le persone assegnano la causa del comportamento al fattore
situazionale esterno che covaria più sistematicamente con il comportamento.
Le persone utilizzano questo ‘principio di covariazione’ per decidere se attribuire un atto specifico alle disposizioni
interne (es. personalità) o ambientali esterne (es. pressione sociale) e per prendere questa decisione attribuzionale,
considerano 3 tipi di informazione: la coerenza, il valore distintivo e il consenso.
WEINER riteneva che nell’attribuzione del risultato si considerassero 3 DIMENSIONI DELLA PRESTAZIONE: il luogo,
la stabilità e la controllabilità.
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Weiner Elaborò un modello di tipo dinamico per cui: prima le persone valutano se hanno avuto successo o hanno
fallito e di conseguenza avvertono un’esperienza emotiva positiva o negativa; quindi compiono un’attribuzione
causale a proposito della prestazione. Inoltre, le persone possono provare emozioni specifiche e maturano
aspettative capaci di influenzare le prestazioni future.
BEM elaborò una teoria sull’AUTOPERCEZIONE secondo cui facciamo attribuzioni del nostro comportamento allo stesso
modo in cui facciamo attribuzioni del comportamento altrui e facendolo aumentiamo la conoscenza di noi stessi, del
nostro sé e della nostra identità.
Tutti facciamo attribuzioni ma differiamo nello STILE ATTRIBUZIONALE che dipende dalla predisposizione dell’individuo
a fare attribuzioni interne o esterne.
L’errore fondamentale di attribuzione AVVIENE perché spesso avviene una asimmetria definita effetto ATTORE-
OSSERVATORE (2): tendenza ad attribuire i propri comportamenti a cause esterne e i comportamenti degli altri a cause
interne.
Un’altra tendenza sistematica dell’attribuzione di tipo egocentrico è l’effetto del FALSO CONTESTO (3): la tendenza a
considerare il proprio comportamento più diffuso di quanto non sia.
Vi sono poi le tendenze sistematiche a VANTAGGIO DI SÈ (4): sono distorsioni attribuzionali che proteggono o
migliorano l’autostima o il concetto di sé attribuendo i nostri fallimenti a cause esterne e i successi a cause interne.
Un esempio è la STRATEGIA AUTOLESIVA: si compiono attribuzioni esterne, intenzionalmente e in pubblico, per una
prestazione scadente, persino prima di farla.
Le tendenze sistematiche a vantaggio di sé sono regolate dalla CREDENZA IN UN MONDO GIUSTO (credenza secondo
cui il mondo è un luogo giusto dove le cose positive capitano alle persone buone e le cose negative alle persone cattive)
e dall’ILLUSIONE DEL CONTROLLO (credenza secondo cui abbiamo più controllo sul nostro mondo di quanto sia vero).
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PETTIGREW descrisse il fenomeno dell’ERRORE ULTIMO DI ATTRIBUZIONE: è la tendenza ad attribuire a fattori interni i
comportamenti positivi di un ingroup e quelli negativi di un outgroup, e ad attribuire a fattori esterni i comportamenti
negativi di un ingroup e quelli positivi di un outgroup: tipico esempio di un’ATTRIBUZIONE INTERGRUPPO etnocentrica.
L’ATTRIBUZIONE INTERGRUPPO è il processo di assegnazione della causa del comportamento altrui o proprio
all’appartenenza a un gruppo.
La teoria delle RAPPRESENTAZIONI SOCIALI di MOSCOVICI descrive uno dei modi attraverso cui è possibile costruire e
trasmettere la conoscenza culturalmente determinata a proposito delle cause di qualcosa: le rappresentazioni sociali
sono spiegazioni elaborate collettivamente, basate sul senso comune, a proposito di fenomeni poco familiari e
complessi, tali da renderli familiari e di facile comprensione.
Le rappresentazioni sociali, come le norme, tendono a trovare il proprio fondamento nei gruppi, differendo dall’uno
all’altro, cosicché il comportamento intergruppo può spesso tradursi in uno scontro tra rappresentazioni sociali.
Il modo in cui le rappresentazioni sociali si sviluppano attraverso la comunicazione informale ricorda come si sviluppano
e diffondono le VOCI: informazioni non verificate diffuse tra individui che cercano di capire eventi incerti e confusi.
La trasmissione delle voci è caratterizzata da livellamento, affinatura e assimilazione: la voce diventa più breve e meno
dettagliata e complessa, mentre alcune caratteristiche selezionate vengono ingigantite per conformarsi agli schemi
preesistenti elaborati dalle persone.
È probabile che le voci si sviluppino in situazioni di crisi, quando le persone sono ansiose, incerte o sotto stress, in
quanto facendo circolare una voce si cerca di ridurre l’incertezza.
Le voci hanno anche una fonte, che spesso le produce di proposito per una ragione specifica: screditare un individuo o
un gruppo.
Le teorie della COSPIRAZIONE sono teorie causali astruse, che attribuiscono disastri naturali o sociali ad attività
intenzionali e organizzate da parte di specifici gruppi sociali, dipinti come organizzazioni di cospiratori che hanno
l’obiettivo di rovinare e quindi dominare il resto dell’umanità.
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