Sei sulla pagina 1di 63

PSICOLOGIA SOCIALE

TEORIE E APPLICAZIONI
Michael A. Hogg, Graham M. Vaughan

CAP.1 – CHE COS’È LA PSICOLOGIA SOCIALE?

1. COS’È LA PSICOLOGIA SOCIALE?


La psicologia sociale è il ramo della psicologia che studia l’interazione tra le persone.
Allport la definisce come “l’indagine scientifica di come pensieri, sentimenti e comportamenti degli
individui siano influenzati dalla presenza oggettiva, immaginaria o implicita degli altri.

Per presenza implicita ci riferiamo a come l’interazione umana attribuisca significato alle cose. Di solito,
questo “significato sociale” è costruito e trasferito attraverso il linguaggio. Un esempio di presenza
implicita sono le norme.

1.1 LIVELLI DI SPIEGAZIONE


Il riduzionismo consiste nella spiegazione di un fenomeno attraverso linguaggio e concetti propri di un
livello di analisi inferiore, solitamente con una conseguente riduzione della capacità esplicativa.

Dolse suggerisce che esistano differenti livelli di spiegazione in psicologia sociale:


• Intrapersonale: analisi del modo in cui le persone organizzano le proprie esperienze dell’ambiente
sociale
• Interpersonale e situazionale: analisi dell’interazione interpersonale, oggetto di studio sono le
dinamiche di relazione in un dato momento tra dati individui in una data situazione
• Posizionale: analisi dell’interazione interpersonale in situazioni specifiche, in cui viene preso in
considerazione il ruolo della posizione sociale
• Ideologico: analisi dell’interazione interpersonale che considera il ruolo delle credenze sociali generali
e delle relazioni sociali tra gruppi

1.2 LA PSICOLOGIA SOCIALE E I SUOI PARENTI


Gli studi sulla cognizione sociale rimandano alla psicologia cognitiva.
La psicologia dell’individuo contribuisce invece ai test della personalità e ad altri test diagnostici.
L’antropologia sociale e la sociologia sono in stretto contatto con la psicologia sociale in quanto coinvolte
nella ricerca che si occupa di norme sociali e gruppi.
Infine, nella psicologia sociale si sono sviluppate linee di ricerca che interagiscono con i rami della
sociolinguistica.

2. FARE PSICOLOGIA SOCIALE

2.1 SCIENZA
La psicologia sociale è una scienza: come tale, utilizza un metodo che include la raccolta dei dati per
verificare le ipotesi.
Per ipotesi intendiamo previsioni verificabili empiricamente sui rapporti di relazione e di causa-effetto.
Gli psicologi sociali prima sviluppano ipotesi basate su teorie, poi raccolgono dati per verificare se queste
ipotesi sono corrette.
Per teoria intendiamo un insieme di concetti e principi correlati che spiegano un fenomeno. La sua validità
si basa sulla sua corrispondenza con fatti pubblicamente verificabili.
2.2 VERIFICA DELLE IPOTESI
In psicologia sociale si dispone di una vasta gamma di metodi per verificare le ipotesi in via empirica.
Esistono due ampie tipologie di metodi: quello sperimentale e quello non sperimentale.
La scelta di un metodo appropriato è influenzata da fattori che hanno a che fare con:
• La natura dell’ipotesi indagata
• Le risorse disponibili per effettuare la ricerca
• Le basi etiche su cui il metodo si fonda

2.3 ESPERIMENTI
Un esperimento è la messa alla prova di un’ipotesi in cui si fa qualcosa per osservarne l’effetto su
qualcos’altro.
Il metodo sperimentale richiede la manipolazione di una o più variabili indipendenti e la misurazione
dell’effetto di tale manipolazione su una o più variabili dipendenti
• Variabili indipendenti: aspetti della situazione che cambiano in modo spontaneo o che possono
essere manipolati dallo sperimentatore per avere effetti su una variabile dipendente.
• Variabili dipendenti: cambiano in seguito a modifiche nella variabile indipendente.

Durante la sperimentazione è importante:


1. Assicurarsi che quando si manipola una variabile non si manipoli inavvertitamente qualcos’altro che
potrebbe essere causa dell’effetto prodotto
2. Assicurarsi che la richiesta non sia troppo impegnativa da rendere improbabile che qualcuno
acconsenta (effetto pavimento); il caso opposto è l’effetto soffitto.
3. Evitare che i partecipanti individuino l’ipotesi, in quanto potrebbero comportarsi intenzionalmente in
modo da confermarla o negarla.

2.4 ALTRI METODI DI RICERCA


Quando la sperimentazione è impossibile o inappropriata, gli psicologi sociali possono scegliere tra una
serie di metodi non sperimentali.
Questi metodi non prevedono la manipolazione di variabili indipendenti a fronte dell’assegnazione casuale
dei partecipanti a una condizione. Per tale motivo è quasi impossibile giungere a conclusioni attendibili
circa i rapporti causa-effetto.

La ricerca d’archivio è un metodo basato sulla collezione di dati raccolti da altri. È utile per indagare
fenomeni riconducibili a tempi passati. Viene spesso utilizzata per fare confronti tra culture o nazioni
differenti in merito a fenomeni come il suicidio, la salute mentale, l’educazione dei figli.
Può rivelarsi inattendibile poiché il ricercatore non ha controllo sulla raccolta dei dati iniziali.

Gli studi di un caso sono un altro metodo non sperimentale. Richiedono analisi approfondite di un caso
singolo e sono particolarmente adatti allo studio di fenomeni rari o inusuali, che non potrebbero essere
ricreati in laboratorio.
Una variante è l’analisi del discorso. L’attenzione è concentrata su quello che le persone dicono
esplicitamente in una naturale conversazione e su quello che si cela dietro le parole.

Un altro metodo è l’inchiesta. Può richiedere la presenza di un ricercatore oppure assumere la forma di un
questionario.

L’equivalente non sperimentale degli esperimenti sul campo è la ricerca sul campo. In essa un ricercatore
non intrusivo e “invisibile” osserva, registra e codifica il comportamento per come si manifesta.
3. FARE RICERCA IN MODO ETICO
Per orientare i ricercatori, l’Associazione degli Psicologi Americani ha stabilito nel 1972 una serie di principi
di condotta etica, riguardanti la ricerca sugli esseri umani. Cinque principi etici hanno ricevuto più
attenzione e sono: protezione dal danno, diritto alla privacy, inganno, consenso informato e trasparenza.

Negli esperimenti è necessario che i partecipanti non siano a conoscenza della manipolazione e delle
ipotesi che vengono verificate, altrimenti i dati rifletterebbero risposte deliberate.
I partecipanti dovrebbero anche ricevere un debriefing, cioè un rapporto dettagliato relativo
all’esperimento cui hanno preso parte.

CAP. 2 – PENSIERO SOCIALE


Le persone pensano al proprio mondo sociale e, sulla base del loro pensiero, agiscono in determinati modi.
Il pensiero coincide con il linguaggio interiore e con i simboli che usiamo; è spesso conscio, o almeno è
qualcosa di cui siamo o potremmo essere consapevoli.
La cognizione invece si riferisce anche a processi mentali che possono essere inconsci: non ne siamo
consapevoli e non possiamo rappresentarla con un linguaggio o un insieme condiviso di simboli. È
un’attività mentale attraverso cui si elaborano, comprendono e memorizzano informazioni percettive e
attraverso cui si pianifica e programma ciò che si dice e si fa.

1. COME SI FORMANO LE NOSTRE IMPRESSIONI SUGLI ALTRI


La cognizione sociale è un approccio della psicologia sociale che si occupa di come processi e strutture
cognitive influenzano il comportamento sociale e ne sono influenzate. La cognizione sociale ha assunto
negli anni forme differenti.

Durante gli anni ’40 e ’50, il nuovo approccio di ricerca degli psicologi sociali produsse numerose teorie che
condividevano l’assunto secondo il quale le persone perseguono la coerenza cognitiva. Presumevano che
le persone provassero disagio quando i loro pensieri erano contraddittori e che si impegnassero in ogni
modo per risolvere tale incoerenza, anche modificando i propri atteggiamenti.

Durante gli anni ’60, divenne chiaro che le persone possiedono una notevole tolleranza nei confronti
dell’incoerenza cognitiva. I ricercatori adottarono allora il modello dello scienziato ingenuo secondo cui le
persone hanno necessità di attribuire specifiche cause ai comportamenti e agli eventi. Questo modello sta
alla base delle teorie attribuzionali del comportamento sociale.

Alla fine degli anni ’70, la ricerca lasciava intendere che le persone fossero scienziati molto imprecisi, che
compiono errori e tendenze sistematiche e prendono scorciatoie cognitive. Per descrivere il fatto che
spesso giungiamo ad una conclusione in modo rapido piuttosto che accurato, venne utilizzata l’espressione
di economizzatore cognitivo.

Oggi nella psicologia sociale, la cognizione sociale si focalizza su come la cognizione sia influenzata da
contesti sociali ampi che più immediati e su come, a sua volta, influenzi il nostro comportamento sociale.
La formazione delle impressioni e la percezione della persona sono aspetti importanti della cognizione
sociale.

1.1 CONTROLLO DELLE IMPRESSIONI


Secondo Solomon Asch alcuni attributi sono fortemente correlati nelle nostre menti ad un gran numero di
altri attributi: sapere che una persona ne possiede uno, ci permette di infierire molto su di lei e di formare
facilmente un’impressione integrata. Chiamò questi attributi tratti centrali, per distinguerli da quelli meno
distintivi, chiamati tratti periferici.
Per approfondire tale concetto, Asch fece leggere a ciascuno dei propri studenti una di due liste di 7 tratti
che descrivevano un’ipotetica persona. Le liste differivano solo nel fatto che una contenesse il tratto
“caldo” e l’altra il tratto “freddo”.
Coloro che avevano letto la lista con il tratto “caldo” si formarono un’impressione molto più positiva di chi
aveva l’altra lista.
Quando i termini “caldo/freddo” furono sostituiti con “diplomatico/diretto”, la differenza nell’impressione
era molto meno netta. Asch sostenne che la dimensione caldo/freddo riguarda un tratto centrale, mentre
quella diplomatico/diretto riguarda un tratto periferico.

C’è chi ha però suggerito che le persone abbiano convinzioni idiosincratiche e durature, definite da George
Kelly costrutti personali; tra questi, gli attributi sono i più importanti per formulare un giudizio sulle
persone.
David Schneider suggerì che le persone possono anche formulare più teorie implicite della personalità:
principi generali riguardanti quali tipi di caratteristiche si combinano insieme a formare determinati tipi di
personalità.

Le impressioni che si hanno su qualcuno sono anche influenzate dall’ordine in cui si ricevono informazioni
al suo riguardo.
L’effetto primacy consiste nell’incidenza sproporzionata delle prime informazioni ricevute
sull’impressione generale del destinatario.
È stata dimostrata anche l’esistenza di un effetto recency, che si verifica quando le ultime informazioni
hanno un impatto più decisivo delle prime: è più probabile che ciò capiti quando il destinatario è distratto o
poco motivato a prestare attenzione a chi parla.

L’ASPETTO FISICO CONTA


È probabile che l’apparenza abbia un effetto primacy.
Non sempre questo è qualcosa di negativo, poiché alcune impressioni basate sull’apparenza possono
dimostrarsi corrette. Tuttavia può anche avere effetti indesiderabili.
Un problema legato alle prime impressioni fondate sull’apparenza è che, siccome i connotati razziali, etnici
e di genere sono molto evidenti, le persone possono facilmente categorizzare gli altri e formare le proprie
impressioni in base a ciò.

2. SCHEMI E CATEGORIE
Uno schema è un insieme circoscritto e coerente di cognizioni interconnesse (come pensieri, convinzioni,
atteggiamenti), che ci premette di comprendere rapidamente una persona, una situazione, un evento o un
luogo sulla base di informazioni limitate.
Una volta attivati, gli schemi agevolano il cosiddetto processo top-down: generano rapidamente
un’impressione generale basata su conoscenze preacquisite.
Ci sono molti tipi di schema, ognuno dei quali influenza la codifica di informazioni nuove, il ricordo di
informazioni vecchie e le inferenze capaci di completare le informazioni mancanti:
• Schemi di persona: schemi idiosincratici che formiamo su persone specifiche.
• Schemi di ruolo: strutture conoscitive che riguardano chi ricopre un ruolo. Talvolta possono essere
compresi meglio come schemi relativi a gruppi sociali: se condivisi, diventano stereotipi sociali.
• Script: schemi che riguardano eventi.
• Schemi di sé: schemi del proprio sé: spesso sono più complessi e diversificati degli schemi che
riguardano gli altri.
• Schemi senza contenuto: sono “regole” per elaborare informazioni.

2.1 CATEGORIE E PROTOTIPI


Le persone considerano le categorie come insiemi di esemplari, non identici ma con in comune la stessa
aria di famiglia. Sono insiemi di attributi correlati, definiti prototipo.
Sebbene i prototipi spesso rappresentino il membro più tipico di una categoria, non è detto che sia sempre
così.
Oltre che come prototipi, le persone possono anche rappresentarle come esemplari, ossia specifiche e
concrete istanze da loro incontrate.
Quando le persone acquistano familiarità con una categoria, passano dall’uso dei prototipi all’uso degli
esemplari. Il passaggio è più netto nel caso delle rappresentazioni degli outgroup.

2.2 CATEGORIE E STEREOTIPI


Gli stereotipi sono fondamentalmente schemi di gruppi sociali; quelli che vengono applicati agli outgroup
sono etnocentrici e spesso associati a pregiudizi, discriminazione e conflitto tra gruppi.
La stereotipizzazione è una scorciatoia cognitiva che ha funzione adattiva, in quanto permette di formarsi
rapide impressioni sulla gente. Avendo una funzione adattiva, difficilmente cambiano, e quando capita è
generalmente in risposta a più ampi cambiamenti sociali, politici o economici.
Alcuni stereotipi sono acquisiti precocemente, mentre altri si cristallizzano dopo i 10 anni.

STEREOTIPI E ACCENTUAZIONE
Henri Tajfel sostenne che quando giudichiamo uno stimolo ci basiamo su qualunque informazione
riteniamo possa aiutarci a formulare il nostro giudizio.
Introdusse il termine principio di accentuazione per descrivere come diamo risalto:
• Alle analogie tra istanze appartenenti alla stessa categoria;
• Alle differenze tra istante appartenenti a categorie diverse;
• Alle differenze tra categorie diverse considerate nel loro complesso.
Questo effetto aumenta quando le persone sono incerte su come giudicare qualcosa e quando esse
pensano che ciò che stanno categorizzando sia molto importante, pertinente o dotato di valore.
In sintesi, le categorie che usiamo fungono da base per gli stereotipi.

2.3 COME USIAMO E ACQUISIAMO GLI SCHEMI


Il nostro mondo sociale trabocca di informazioni che possiamo usare come basi della categorizzazione.
Che cosa determina gli indizi che fungono da base per la categorizzazione e l’uso di uno schema?

USO DEGLI SCHEMI


Secondo Eleanor Rosch le persone tendono a fare ricorso a categorie che si collocano ad un livello di
base, né troppo ampie né troppo piccole.
Secondo la teoria della distinzione ottimale, categorie che si collocano ad un livello di base rispondono
alla necessità degli uomini di considerare un individuo simile ad altri, ma anche diverso da altri.

Gli schemi che utilizziamo in modo automatico possiedono un’accuratezza circoscritta che ottimizza il
compromesso tra la rapida cognizione deduttiva top-down e la scrupolosa cognizione induttiva bottom-
up. Un fattore chiave che governa questo compromesso è la percezione dei costi dell’errore o
dell’indecisione. Se le conseguenze dell’errore hanno costi elevati, stiamo più attenti ai dati e adoperiamo
schemi più accurati. I costi dell’errore sono rilevanti quando le ricompense e le punizioni a cui andiamo
incontro dipendono fortemente dalle azioni degli altri e quando avvertiamo che dovremmo essere
responsabili dei loro atti.

ACQUISIZIONE DEGLI SCHEMI


Le persone possono semplicemente comunicarceli, oppure possiamo esserne informati leggendo, ma è più
probabile che acquisiamo o modifichiamo i nostri schemi attraverso gli incontri con istanze che si
inseriscono nella categoria. Mentre incontriamo più istanze di una categoria, il nostro schema si fa più
generale e astratto.
Uno schema può inoltre arricchirsi, diventare più complesso e organizzarsi più saldamente attorno ad una
singola struttura mentale, attivabile solamente nel suo insieme. Tali schemi sono accurati nella misura in
cui riproducono nel dettaglio la realtà sociale.

CAMBIO DEGLI SCHEMI


Dato che sembrano precisi, gli schemi paiono conferire un senso di ordine, struttura e coerenza a un
mondo sociale che sarebbe altrimenti altamente complesso e imprevedibile. Per questa ragione non
cambiano facilmente.
Le persone pensano molto ai loro schemi e presentano ogni sorta di prova a loro supporto.
Tuttavia, come a volte capita, se sono davvero inesatti gli schemi possono cambiare.
Mick Rothbart ha proposto tre possibili modalità di cambiamento degli schemi:
1. Per registrazione: cambiano di fronte all’accumulo di prove;
2. Per conversione: cambiano all’improvviso dopo che si è accumulata una massa critica di prove
discordanti;
3. Per formazione di sottotipi: per rimediare alla presenza di prove discordanti, gli schemi possono
formare una nuova sottocategoria.

3. COME PERCEPIAMO E RICORDIAMO GLI ALTRI

3.1 CODIFICA SOCIALE


La codifica sociale è il processo di rappresentazione degli stimoli esterni nelle nostre menti. È composta da
almeno quattro fasi principali:
1. Analisi preattentiva: scansione automatica, inconscia, dell’ambiente.
2. Attenzione focalizzata: identificazione e categorizzazione consapevole degli stimoli una volta che
sono stati identificati.
3. Comprensione: attribuzione di significato agli stimoli.
4. Elaborazione inferenziale: collegamento dello stimolo ad altre conoscenze per rendere possibili
inferenze complesse.

La codifica sociale dipende in larga misura da ciò che cattura la nostra attenzione.
A sua volta, l’attenzione è influenzata dalla salienza e dall’accessibilità.

SALIENZA
La salienza è la proprietà che distingue uno stimolo dagli altri in un contesto specifico.
Le persone possono essere salienti perché sono inusuali e si distinguono dall’ambiente circostante, oppure
perché sono importanti in un determinato contesto. Le persone salienti attraggono l’attenzione e in un
gruppo sono spesso considerate più influenti.

L’attenzione è spesso guidata non tanto dalle proprietà dello stimolo ma dall’accessibilità delle categorie
o degli schemi che abbiamo già in testa.
Le categorie accessibili sono quelle che usiamo di più e sono coerenti con i nostri obiettivi, pertanto
vengono attivate molto facilmente da ciò che vediamo e sentiamo: ha così luogo il priming.

3.2 CAPACITÀ DI RICORDARE LE PERSONE


Ciò che ricordiamo costituisce la nostra memoria delle persone; il modo in cui essa è organizzata influenza
il nostro comportamento.
La nostra memoria di una persona dipende da ciò che attrae la nostra attenzione nell’interagire con lui:
quanto più la nostra attenzione è focalizzata, tanto più profondamente elaboriamo e immagazziniamo
informazioni sulla persona.
La memoria opera come una rete di associazioni. I legami associativi possono essere più o meno forti: più
sono attivati dalla ripetizione cognitiva, più diventano forti. L’informazione incoerente con l’impressione
che abbiamo di qualcuno attrae l’attenzione e genera cognizione, ed è perciò ricordata meglio.

CONTENUTI DELLA MEMORIA DELLE PERSONE


Ciò che ricordiamo di una persona varia in concretezza e in valore.
La memoria per l’aspetto di una persona di solito si basa su informazioni concrete direttamente osservabili
ed è conservata nella mente come un’immagine. Siamo incredibilmente accurati nel ricordarci dei volti,
meno accurati nel ricordare volti di persone che non appartengono al nostro gruppo, probabilmente
perché prestiamo loro meno attenzione.

A differenza dell’aspetto fisico, conserviamo ricordi dei tratti delle persone sotto forma di preposizioni che
possono essere alquanto astratte. Esse si basano su inferenza causali derivate dal comportamento e dalle
situazioni e tendono a codificare i tratti in termini di desiderabilità sociale e competenza.

COME SI ORGANIZZA LA MEMORIA DELLE PERSONE


Ci sono due modi distinti attraverso i quali possiamo organizzare le informazioni riguardanti le persone:
per individuo o per gruppo.
Nella maggior parte dei casi ricordiamo le persone considerandole come un insieme di informazioni che
combinano tratti di personalità, comportamenti e caratteristiche fisiche. Organizzare la memoria delle
persone per individuo produce ricordi ricchi e accurati, che vengono facilmente richiamati alla memoria:
ciò è più frequente quando le persone sono importanti per noi.
Nei primi incontri con gli estranei è più probabile che la memoria delle persone sia organizzata per gruppo:
l’individuo è etichettato, descritto e memorizzato in termini di attributi stereotipati relativi a una categoria
ancora saliente.

4. INFERENZA SOCIALE
Il termine inferenza sociale si riferisce al modo in cui elaboriamo informazioni sociali per formarci
impressioni sulle persone ed esprimere giudizi al loro riguardo.
Una distinzione chiave è tra il processo bottom-up, nel quale costruiamo impressioni gradualmente a
partire da singoli specifici dati e il processo top-down, nel quale traiamo inferenze specifiche da schemi o
stereotipi generali.
Qualunque processo usiamo, le nostre inferenze di solito sono meno accurate di quanto potrebbero essere
e non molto scientifiche. Siamo preda di una gamma piuttosto ampia di tendenze sistematiche ed errori.

4.1 CORRELAZIONE ILLUSORIA


Quando facciamo un’inferenza, sostanzialmente giudichiamo che esista una correlazione.
La correlazione illusoria è un’esagerazione cognitiva della frequenza con cui si manifestano
contemporaneamente due stimoli o eventi, o percezione di una co-occorrenza inesistente.

4.2 SCORCIATOIE INFERENZIALI


L’inferenza sociale è quindi un processo largamente guidato dallo schema: significa che traiamo
conclusioni a sostegno di schemi di cui già disponiamo.
La maggior parte delle volte i nostri quotidiani processi inferenziali sembrano adeguati, anche se
occasionalmente si dimostrano sbagliati o persino ingiusti nei riguardi di altri.
EURISTICHE COGNITIVE
Questi processi “adeguati” si basano su strategie cognitive definite euristiche.
Tre euristiche sono state analizzate:
• Euristica della rappresentatività: quando stimiamo di quanto un esemplare sia simile al tipico
membro di una data categoria. Se consideriamo sufficiente il livello di somiglianza, inferiamo che la
persona possiede tutti gli attributi della categoria.
• Euristica della disponibilità: gli eventi o le associazioni che vengono in mente con facilità sono
considerati più comuni e diffusi di quanto non siano realmente.
• Ancoraggio e accomodamento: le impressioni sono legate alle sensazioni iniziali, in modo molto
simile all’effetto primacy. Le inferenze riguardo agli altri sono spesso ancorate alle convinzioni che
abbiamo su noi stessi.

Sebbene l’inferenza sociale non sia affidabile come potrebbe, di solito è sufficiente e adatta alla vita
quotidiana.
Mancare di accuratezza può avere alcuni effetti indesiderabili, tra questi la formazione di impressioni
imprecise sugli altri, o lo sviluppo di stereotipi sulle minoranze.

5. ALLA RICERCA DELLE CAUSE DEL COMPORTAMENTO


Ognuno di noi è impegnato nel costruire una rappresentazione del proprio mondo sociale tale da renderlo
prevedibile e controllabile. Il modo più efficace per fare ciò è capire cosa provoca cosa, grazie alla capacità
di attribuire cause al comportamento e agli eventi.

5.1 COME ATTRIBUIAMO CAUSALITÀ E PERCHÉ È IMPORTANTE?

PERSONE COME PSICOLOGI INGENUI


Fritz Heider reputava che le persone fossero psicologi intuitivi, capaci di costruire teorie causali del
comportamento umano. Propose una distinzione, destinata a durare a lungo, tra:
• Fattori individuali: esempi di attribuzione interna (o disposizionale).
• Fattori ambientali: esempi di attribuzione esterna (o situazionale).
Heider credeva che poiché le cause interne, o intenzioni, ci sono nascoste, possiamo inferirne la presenza
solo se non esistono chiare cause esterne.
Tuttavia, le persone tendono a preferire sistematicamente le attribuzioni interne a quelle esterne.

PERSONE COME COMUNI SCIENZIATI


Modello della covariazione, Harold Kelley: una domanda fondamentale che le persone si pongono è se il
comportamento di un individuo sia causato dalla disposizione interna delle persone a comportarsi in quel
modo o da fattori situazionali esterni.
Secondo Kelley, le persone, per scoprire una causa del comportamento, agiscono in modo simile agli
scienziati: identificano quale fattore covaria con il comportamento, quindi assegnano a quel fattore un
ruolo causale. Per decidere se attribuire un atto specifico alle disposizioni interne o esterne, le persone
considerano tre tipi di informazione:
1. Coerenza
2. Valore distintivo
3. Consenso
ATTI STABILI E CONTROLLATI
Bernard Weiner si è interessato alle cause e alle conseguenze dei tipi di attribuzione compiuti dalle
persone quando eseguono un compito con successo oppure no.
Analizzò come gli studenti interpretano gli esiti dei loro esami. Riteneva che nell’attribuzione del risultato
si considerassero tre dimensioni della prestazione:
1. Luogo: la prestazione è dovuta a cause interne o esterne?
2. Stabilità: la causa interna è stabile o instabile?
3. Controllabilità: in quale misura la prestazione nel futuro compito è sotto il controllo dell’attore?
Il modello di Weiner è di tipo dinamico: prima le persone valutano se hanno avuto successo o hanno fallito
e di conseguenza avvertono un’esperienza emotiva positiva o negativa; quindi compiono un’attribuzione
causale a proposito della prestazione.

5.2 ATTRIBUZIONE CAUSALE IN AZIONE

AUTOPERCEZIONE
Teoria dell’autopercezione, Daryl Bem: nella sua teoria sostenne quanto segue:
1. Facciamo attribuzioni del nostro comportamento allo stesso modo in cui facciamo attribuzioni del
comportamento altrui;
2. Per mezzo dell’attribuzione interna del nostro comportamento aumentiamo la conoscenza di noi
stessi, del nostro sé e della nostra identità.

COME SPIEGHIAMO LE NOSTRE EMOZIONI


Fare attribuzioni svolge un ruolo anche nel definire le emozioni.
Le nostre emozioni sono costituite da due componenti distinte:
1. L’attivazione fisiologica
2. Le cognizioni che usiamo per etichettare tale stato di attivazione come emozione
Sebbene attivazione ed etichetta di solito procedano insieme, in alcuni casi uno stato di attivazione di per
sé potrebbe essere considerato come un’emozione oppure un’altra, a seconda del tipo di attribuzione che
compiamo sull’esperienza che stiamo vivendo.

STILI DI ATTRIBUZIONE
Tutti compiamo attribuzioni, ma sembriamo differire nello stile attribuzionale.
Secondo Julian Rotter gli interni compiono attribuzioni interne, ritenendo che il nostro destino dipenda in
gran parte da noi; gli esterni tendono a fare attribuzioni esterne, ritenendo che abbiamo poco controllo su
ciò che ci accade.
Possiamo anche differire nel peso che attribuiamo, in comportamenti o eventi, a cause assai generali
oppure a cause definite in maniera più precisa.

RELAZIONI DI COPPIA E ATTRIBUZIONE


Le attribuzioni ricoprono un ruolo importante anche nelle relazioni di coppia, dove vengono comunicate
per soddisfare diverse funzioni: ad esempio spiegare, giustificare o scusare un comportamento, oppure per
attribuire responsabilità e generare senso di colpa.
Una scoperta fondamentale è stata quella capace di dimostrare che il conflitto attribuzionale, in cui i
partner si trovano in disaccordo sulle attribuzioni, ha un forte legame e svolge un ruolo causale
nell’insoddisfazione e nelle difficoltà della relazione.
Le donne tendono a impegnarsi nel pensiero attribuzionale in maniera abbastanza continuativa durante la
relazione, mentre gli uomini lo fanno solo quando la relazione smette di funzionare: sotto questo aspetto,
il comportamento attribuzionale degli uomini è l’indicatore migliore della crisi di un rapporto.
6. TENDENZE SISTEMATICHE NELL’ATTRIBUZIONE DELLE MOTIVAZIONI
Un tema centrale della cognizione sociale è che le persone elaborano pensiero sociale solo nella quantità
necessaria ad ottenere un risultato sufficiente: lo stesso vale per il nostro modo di compiere attribuzioni,
che comporta una serie di tendenze sistematiche ed errori.

6.1 DAGLI ATTI ALLE DISPOSIZIONI: L’ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE

INFERENZA CORRISPONDENTE
Per spiegare come le persone infieriscono che il comportamento di un individuo corrisponde a una sua
disposizione di fondo o tratto della personalità, è stata sviluppata la teoria dell’inferenza corrispondente.
Una causa disposizionale è una causa stabile che rende il comportamento delle persone prevedibile e
aumenta la nostra sensazione di controllo sul mondo. Un’inferenza corrispondente è in grado di suggerirci
se un atto è frutto di una scelta libera e se è socialmente desiderabile: l’azione socialmente indesiderabile
è lo strumento diagnostico dell’inferenza corrispondente più affidabile, perché è frutto dell’infrazione di
una norma sociale.

ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE


L’errore fondamentale di attribuzione consiste nella tendenza delle persone ad attribuire il
comportamento a stabili disposizioni di fondo della personalità, persino di fronte a forti prove della
presenza di cause esterne. Può anche essere definito bias di corrispondenza.
È stato ampiamente dimostrato che l’errore fondamentale di attribuzione è un errore inferenziale comune
che compiamo tutti. Si manifesta soprattutto perché le persone tendono automaticamente a concentrarsi
sulla persona a sfavore del contesto. L’altra persona è l’obiettivo della loro attenzione, quindi risulta più
saliente nell’elaborazione dell’informazione. Ovviamente questa tendenza si indebolirà se ci si focalizzerà
più sul contesto, come avviene nelle culture orientali.

In alcune situazioni, l’errore fondamentale di attribuzione può assumere una forma estrema definita
essenzialismo: le persone non solo attribuiscono il comportamento a disposizioni di fondo, ma
considerano tali disposizioni caratteristiche immutabili e spesso innate dell’individuo o del gruppo a cui egli
appartiene.

6.2 EFFETTO ATTORE-OSSERVATORE


L’errore fondamentale di attribuzione avviene solitamente quando compiamo un’attribuzione del
comportamento altrui; è invece più probabile che attribuiamo il nostro comportamento a fattori esterni.
Questa asimmetria è definita effetto attore-osservatore. Le cause più frequenti sono:
• Centro dell’attenzione: quando gli altri sono al centro dell’attenzione li giudichiamo
indipendentemente dal contesto. Al contrario, quando consideriamo le nostre azioni, ci focalizziamo
sulla situazione esterna piuttosto che su quella interna del nostro sé.
• Asimmetria dell’informazione: abbiamo una conoscenza maggiore del nostro comportamento e
quindi sappiamo che è influenzato da fattori situazionali, dato che ci comportiamo in modi differenti a
seconda del contesto.

6.3 FALSO CONSENSO


È una tendenza sistematica attribuzionale per cui le persone tendono a sopravvalutare la diffusione del
proprio comportamento, ritendendo che gli altri si comportino come loro. È una tendenza sistematica di
tipo egocentrico, che nasce ed è molto comune perché:
• Di solito cerchiamo persone che siano simili a noi e perciò non dovremmo sorprenderci di scoprire che
le altre persone ci sono simili
• Le nostre opinioni per noi sono così salienti da farci trascurare la possibilità di opinioni alternative
• Siamo motivati a basare le nostre opinioni e azioni sul consenso percepito per avvalorarle e costruire
per noi stessi un mondo dotato di stabilità
Il falso consenso è più forte per le convinzioni importanti e di cui ci occupiamo; per le credenze di cui siamo
certi; nei casi in cui avvertiamo una minaccia esterna.

6.4 TENDENZE SISTEMATICHE A VANTAGGIO DEL SÉ


L’attribuzione è influenzata dal nostro desiderio di mantenere un’immagine favorevole di noi stessi.
Siamo molto abili nel produrre tendenze sistematiche a vantaggio del sé. Ne compiamo di diversi tipi:
• Tendenza sistematica all’autoaccrescimento: accreditiamo i nostri comportamenti positivi come
espressioni di ciò che siamo e delle nostre intenzioni e sforzi a fare cose positive.
• Tendenza sistematica all’autoprotezione: giustifichiamo i nostri comportamenti negativi sulla base
di coercizione, vincoli normativi o altri fattori situazionali esterni, che non riflettono chi siamo davvero.
• Strategia autolesiva: è una tendenza sistematica che agisce in anticipo e che le persone usano quando
prevedono di fallire: consiste nell’esprimere pubblicamente attribuzioni a fattori esterni in maniera
anticipata a proposito di un proprio fallimento o di una scarsa prestazione in un evento imminente.

Le tendenze sistematiche a vantaggio del sé sono anche regolate dal nostro bisogno di credere che il
mondo sia un posto giusto nel quale controlliamo in parte il nostro destino.
Con la credenza in un mondo giusto ci aggrappiamo ad un’illusione di controllo: una conseguenza di ciò
è che spesso incolpiamo gli altri delle proprie sfortune. Possiamo persino accusare noi stessi dei crimini che
subiamo: le vittime di stupro possono per esempio avvertire in maniera così drammatica che il mondo non
è più un luogo stabile da ripristinare un’illusione di controllo assumendosi parte della responsabilità di
quanto avvenuto.

7. COME SPIEGHIAMO IL NOSTRO MONDO SOCIALE


Spesso sono i gruppi o persino la nostra società a costruire spiegazioni per giustificare eventi e azioni. Le
persone non si svegliano ogni mattina e ricostruiscono il proprio mondo sociale: in generale si affidano a
script causali, stereotipi di gruppo, sistemi di credenze culturali e ideologie più ampie.
Compiamo attribuzioni causali solo quando gli eventi sono inattesi o non coerenti con le aspettative,
quando siamo di cattivo umore, quando percepiamo una mancanza di controllo o quando ci viene
esplicitamente chiesto di farlo.

7.1 ATTRIBUZIONE INTERGRUPPO


Le persone fanno spesso attribuzioni disposizionali per il comportamento negativo degli outgroup, mentre
compiono attribuzioni esterne per il comportamento positivo: Thomas Pettigrew definì questo fenomeno
un errore ultimo di attribuzione.

Le attribuzioni intergruppo sono etnocentriche: riflettono differenze etnocentriche tra gli schemi e gli
stereotipi dell’ingroup e dell’outgroup che possediamo; i nostri giudizi sono sbilanciati in favore del gruppo
a cui apparteniamo. Le persone spesso accentuano queste differenze percepite per proporre un’immagine
positiva di sé come membri di un gruppo.
A livello sociale le attribuzioni nei confronti dei gruppi ci forniscono spiegazioni per la povertà, la ricchezza
e la disoccupazione.
È piuttosto chiaro che queste attribuzioni si inseriscono nella cornice di un’ideologia, così come le
attribuzioni destinate a spiegare il malcontento sociale, le contestazioni e persino il malessere diffuso.

7.2 RAPPRESENTAZIONI SOCIALI


Le rappresentazioni sociali sono spiegazioni basate sul senso comune a proposito del mondo in cui
viviamo, condivise dai membri di un gruppo; si sviluppano attraverso la comunicazione informale tra le
persone per trasformare ciò che è ignoto e complesso in qualcosa di facile e familiare.
Le rappresentazioni sociali sono “distorsioni” semplificate e spesso ritualizzate della reale natura del
mondo.

7.3 VOCI
La trasmissione delle voci è caratterizzata da livellamento, affinatura e assimilazione: la voce diventa più
breve e meno dettagliata e complessa, mentre alcune caratteristiche selezionate vengono ingigantite per
conformarsi agli schemi preesistenti elaborati dalle persone.
È più probabile che le voci si sviluppino durante una situazione di crisi, quando le persone sono incerte,
ansiose o sotto stress. Quando facciamo circolare una voce, in effetti, contribuiamo a ridurre l’incertezza e
lo stress che viviamo e a costruire integrazione sociale.

7.4 TEORIE DELLA COSPIRAZIONE


Sono teorie causali astruse, che attribuiscono disastri naturali e sociali ad attività intenzionali e organizzate
da parte di specifici gruppi sociali, dipinti come organizzazioni di cospiratori che hanno l’obiettivo di
rovinare e quindi dominare il resto dell’umanità.
Michael Billig riteneva che fosse proprio questo che può rendere le teorie della cospirazione così
affascinanti: sono incredibilmente efficaci nel ridurre l’incertezza. Forniscono una spiegazione causale che
ricorre a disposizioni durature capaci di spiegare un’ampia gamma di eventi.
Inoltre, “scoprire” una cospirazione rende gli eventi preoccupanti più controllabili e più facilmente
rimediabili.
Non sorprende che le teoria della cospirazione siano praticamente inattaccabili sulla base di prove
presentante a disconferma.

CAP. 3 – SÉ, IDENTITÀ E SOCIETÀ


Sé e identità sono costrutti cognitivi che condizionano l’interazione sociale e la percezione, e che a loro
volta subiscono l’influenza della società.

1. IL SÉ NELLA STORIA
Nella società medievale vite e identità delle persone erano rigorosamente tracciate secondo la loro
posizione nell’ordine sociale. L’idea di un complesso sé individuale era estremamente difficile da prendere
in considerazione.
Tutto ciò iniziò a cambiare nel sedicesimo secolo, grazie a fenomeni quali l’industrializzazione e l’avanzare
dell’illuminismo, attraverso cui le persone capirono di poter organizzare per se stesse vite differenti
sovvertendo i regimi oppressivi.
Anche l’avanzare della teoria psicoanalitica Freudiana cristallizzò la nozione secondo cui il sé si nascondeva
nelle profondità dell’inconscio.

1.1 IL SÉ PSICODINAMICO
La psicoanalisi fece emergere un problema: il sé e l’identità erano connessi a dinamiche complesse,
nascoste in profondità nella nostra idea di chi siamo. Freud riteneva che gli impulsi libidici asociali ed
egoistici (l’Es) fossero repressi e tenuti sotto controllo da norme interiorizzate provenienti dalla nostra
società (il Super-Io) ma anche che, occasionalmente, in modalità insolite, gli impulsi repressi emergessero
in superficie.

1.2 IL SÉ: “IO” O “NOI”?


Per molto tempo la tendenza prevalente è stata quella dei sostenitori del sé individuale, perché gli
psicologi ritenevano che i gruppi fossero costituiti da singoli individui che interagivano tra loro, piuttosto
che da individui con un senso collettivo dell’identità condivisa.
Questo punto di vista sui gruppi, ha reso difficile per il sé collettivo svilupparsi come argomento di ricerca.
La visione secondo cui il sé trae le sue proprietà dai gruppi è sostenuta da molti altri psicologi sociali degli
inizi: ad esempio, William McDougall sostenne che al di là dell’interazione degli individui si sviluppava una
“mente di gruppo”, con una realtà qualitativamente distinta da quella dei singoli individui che costituivano
il gruppo stesso.

1.3 SÉ E INTERAZIONE SOCIALE


Un altro punto di svolta nell’idea del sé collettivo è stato segnato dal riconoscere che il sé nasce e si forma
grazie all’interazione sociale.
I primi psicologi come William James distinguevano:
• Io: sé come flusso di coscienza;
• Me: sé come oggetto di percezione.
L’Io può essere consapevole del me e le persone possono quindi conoscere se stesse.

Secondo l’interazionismo simbolico legato al lavoro del sociologo G. H. Mead il sé deriva dall’interazione
umana: quando interagiamo con le persone lo facciamo mediante parole e segni non verbali ricchi di
significato, poiché simboleggiano molto di più di quanto non facciano solo le nostre azioni. Se vogliamo
comunicare con efficacia utilizziamo simboli che devono avere un significato condiviso.
L’interazione efficace si basa anche sulla capacità di assumere il ruolo dell’altro: ciò comporta il vedere noi
stessi come ci vedono gli altri. Poiché gli altri ci vedono spesso come rappresentanti di una categoria, il
“me” è considerato più spesso un “me collettivo”.
L’interazionismo simbolico offre un modello alquanto elaborato e complesso del modo in cui è formato il
sé. Poiché la formazione del nostro concetto di sé deriva dal vedere noi stessi come ci vedono gli altri (sé
riflesso), il modo in cui giudichiamo noi stessi dovrebbe essere intimamente connesso al modo in cui ci
giudicano gli altri.
Schrauger e Schoeneman rilevarono che le persone non tendevano a vedersi con gli stessi occhi degli altri,
ma che si vedevano nel modo in cui immaginavano che gli altri le vedessero.

Il nostro concetto di sé è associato al modo in cui tentiamo di accrescere la nostra immagine.


Le persone di solito:
1. Sovrastimano le proprie caratteristiche positive
2. Sovrastimano il controllo che hanno sugli eventi
3. Sono ottimiste in modo non realistico
Questo viene definito triade dell’autoaccrescimento.

2. AUTOCONSAPEVOLEZZA
Possiamo definire la consapevolezza di sé come uno stato in cui si è coscienti di sé come di un oggetto,
pertanto si parla di autoconsapevolezza oggettiva.
In tale stato effettuiamo un confronto tra come siamo in realtà e come ci piacerebbe essere. Il risultato è
spesso la scoperta dei propri limiti, accompagnata da emozioni negative. Cerchiamo allora di correggere i
nostri difetti nel tentativo di avvicinare il nostro sé ai canoni ideali.
L’autoconsapevolezza oggettiva è generata da qualcosa che focalizza la nostra attenzione su noi stessi
come oggetto: ciò capita, per esempio, quanto si è di fronte ad un pubblico oppure quando ci si guarda allo
specchio.

Carver e Scheier elaborarono una teoria dell’autoconsapevolezza. Distinsero tra due tipi di sé di cui
possiamo essere consapevoli:
• Sé privato: i nostri pensieri, sentimenti e atteggiamenti privati;
• Se pubblico: il modo in cui le persone ci vedono, la nostra immagine pubblica.
L’autoconsapevolezza privata ci porta ad adattare il nostro comportamento ai nostri modelli interiori,
mentre quella pubblica è orientata verso l’autopresentazione di noi stessi agli altri sotto una luce positiva.
L’autoconsapevolezza può giovarci quando i modelli a cui ci paragoniamo non sono troppo impegnativi,
può anche migliorare l’introspezione, intensificare le emozioni e perfezionare l’esecuzione di compiti.
L’elevata autoconsapevolezza può anche essere stressante o sgradita, alcuni possono cercare di evitare
questa condizione attraverso l’alcol o modalità più estreme come il suicidio.

La riduzione dell’autoconsapevolezza è stata identificata come una componente chiave della


deindividuazione, uno stato in cui le persone hanno forti limiti alla consapevolezza di sé come individui
distinti, falliscono a monitorare le proprie azioni e possono agire in maniera impulsiva.

3. CONOSCENZA DI SÉ
La conoscenza di sé è costruita in modo molto simile e attraverso molti degli stessi processi con cui
costruiamo rappresentazioni delle altre persone.

3.1 SCHEMI DI SÉ
Le persone tendono ad avere idee chiare su se stesse in merito ad alcune dimensioni, ma non su altre.
Hanno schemi di sé relativi a dimensioni che ritengono importanti, rispetto alle quali si collocano in
maniera polarizzata e di cui sono certe che il contrario non abbia valore.
Noi cerchiamo di usare i nostri schemi di sé in modo strategico. Se alcuni schemi di sé sono molto negativi
e altri molto positivi, gli eventi possono procurare cambiamenti estremi di stato d’animo a seconda che
venga attivato uno schema di sé positivo o negativo.

3.2 COME CONOSCERE IL PROPRIO SÉ


Teoria dell’autopercezione, Daryl Bem: compiamo attribuzioni non soltanto circa il comportamento degli
altri ma anche riguardo al nostro, e non esiste una differenza sostanziale tra le autoattribuzioni e le
attribuzioni nei confronti degli altri. Inoltre, proprio come ci formiamo impressioni sulla personalità di
qualcun altro a partire dalle attribuzioni disposizionali interne che associamo al comportamento, allo
stesso modo ci formiamo un’idea di chi siamo grazie alla capacità di produrre attribuzioni interne riguardo
al nostro comportamento.
Le autoattribuzioni hanno importanti implicazioni sulla motivazione. La teoria afferma che, se qualcuno è
indotto a eseguire un compito sotto la spinta di grandi ricompense o pesanti punizioni, la prestazione è
attribuita a fattori esterni e perciò la motivazione è ridotta. In assenza di fattori esterni rintracceremo le
cause nella passione o nell’impegno: in questo modo il ruolo della motivazione aumenta. Questo
fenomeno prende il nome di effetto di sovragiustificazione: in assenza di cause esterne per il nostro
comportamento supponiamo di aver scelto spontaneamente quel comportamento perché ci piaceva.

3.3 CONFRONTO SOCIALE E CONOSCENZA DI SÉ


Teoria del confronto sociale, Festinger: sviluppa questa teoria per descrivere come le persone acquistano
conoscenza di sé attraverso il confronto con gli altri. Gli esseri umani hanno bisogno di avere fiducia nella
validità delle proprie percezioni, atteggiamenti, comportamento, e poiché raramente esiste una misura
obiettiva di validità, basano le proprie cognizioni, emozioni e comportamenti su quelli degli altri.
In particolare, cercano persone simili a sé.

Nel caso delle prestazioni cerchiamo di confrontarci con persone che sono leggermente peggiori di noi:
facciamo confronti che tendono verso il basso, i quali portano ad avere un concetto di sé positivo.
Alcuni confronti sociali indirizzati verso l’alto possono avere effetti dannosi sull’autostima. Secondo il
modello di mantenimento dell’autostima di Abraham Tesser, per evitare ciò, cerchiamo di minimizzare
la nostra somiglianza con l’altra persona o di interrompere i rapporti con lei.

I confronti verso il basso si instaurano anche tra i gruppi. In effetti, le relazioni intergruppo sono in larga
parte una lotta per la superiorità del proprio gruppo nei confronti di outgroup rilevanti. Ciò a sua volta
influenza il concetto che si ha di sé come membro di un gruppo, ossia l’identità sociale.
Secondo la teoria della categorizzazione del sé il processo fondamentale vede le persone che si
considerano parte di un gruppo categorizzarsi come membri del gruppo stesso e interiorizzare in modo
automatico nel giudizio su di sé gli attributi che descrivono il gruppo. Se il gruppo è positivo, gli attributi
sono positivi, quindi anche il sé è positivo.
Lo sport fornisce una cornice ideale ove osservare il risultato di tale processo. Questo fenomeno viene
definito BIRGing (godere di gloria riflessa): consiste nel menzionare nomi importanti per collegarsi a
persone o gruppi ammirati e migliorare di conseguenza l’impressione che le persone hanno nei nostri
riguardi.

3.4 REGOLAZIONE DEL SÉ


Teoria della discrepanza del sé, Higgins: secondo lo studioso possediamo tre tipi di schema di sé:
1. Sé reale: come siamo realmente
2. Sé ideale: come vorremmo essere
3. Sé normativo: come pensiamo che dovremmo essere
Il sé ideale e quello normativo sono considerate “guide del sé” in quanto mobilitano tipi differenti di
comportamenti legati al sé.
Le discrepanze tra realtà, ideale e norma possono motivare cambiamenti finalizzati a ridurre la
discrepanza: se è così, ci impegniamo nella regolazione del sé: una serie di strategie utilizzate per far
corrispondere il nostro comportamento a un modello ideale o normativo.

La teoria della discrepanza del sé e il concetto generale di regolazione del sé hanno avuto recente sviluppo
nella teoria basata sull’autoregolazione: secondo tale teoria, le persone usano strategie di regolazione
del sé per portarsi al livello dei propri modelli e obiettivi per mezzo di due sistemi:
• Sistema di promozione: se usiamo questo sistema siamo motivati a concretizzare le nostre speranze e
aspirazioni, cioè a perseguire il nostro ideale. Ci concentreremo sugli eventi positivi e adotteremo una
strategia di avvicinamento per realizzare i nostri obiettivi. Una focalizzazione basata sulla promozione
può emergere quando i bambini vengono abbracciati e baciati perché si comportano nel modo
desiderato.
• Sistema di prevenzione: se usiamo questo sistema siamo motivati ad adempiere ai nostri doveri e
obblighi, cioè alle norme. Ci concentreremo sugli eventi negativi e adotteremo una strategia di
allontanamento per realizzare i nostri obiettivi, ad esempio concentrandoci di più su come evitare il
fallimento piuttosto che su come avere successo. Una focalizzazione basata sulla prevenzione emerge
se da bambini si è stati incoraggiati a stare attenti ai potenziali pericoli, oppure si è stati puniti e
sgridati per comportamenti sbagliati.

4. MOLTI SÉ, MOLTEPLICI IDENTITÀ


I nostri sé differiscono in complessità: alcuni di noi hanno un insieme di sé più diversificato ed estensivo
rispetto ad altri che possiedono solo alcuni aspetti del sé, relativamente simili.
I teorici dell’identità sociale hanno sostenuto che esistono due ampie classi di identità capaci di definire
differenti tipi di sé:
• Identità sociale: definisce il sé in termini di appartenenza a un gruppo
• Identità personale: definisce il sé in termini di relazioni e tratti personali idiosincratici.

Marylinn Brewer e Wendi Gardner distinguono tre forme di sé:


1. Sé individuale: basato su tratti personali che differenziano il sé dagli altri
2. Sé relazionale: basato su collegamenti e relazioni di ruolo con altre, significative persone
3. Sé collettivo: basato sull’appartenenza a gruppi che differenziano “noi” da “loro”

4.1 COME DISTINGUERE SÉ E IDENTITÀ


Grazie alla manipolazione di fattori legati al contesto si dimostra che, in contesti diversi, le persone
descrivono se stesse in maniera differente e si comportano in maniera differente.
4.2 LA RICERCA DELLA COERENZA DI SÉ
Se è vero che possiamo avere una molteplicità di sé relativamente distinti, è anche vero che un nostro
obiettivo è quello di trovare e conservare un’immagine ragionevolmente integrata di chi siamo.
Per ottenere un senso coerente del sé si utilizzano molte strategie:
• Circoscrivere la propria vita a un insieme limitato di contesti
• Liberarsi, lungo il proprio percorso, di ogni incoerenza che desti preoccupazione
• Attribuire cambiamenti del proprio sé a fattori esterni rappresentati dalle variazioni delle circostanze,
piuttosto che a sostanziali cambiamenti interni della propria persona, applicando l’effetto attore-
osservatore

5. MOTIVAZIONI DEL SÉ
Le persone sono assai motivate ad assicurarsi la conoscenza di sé. Tuttavia, le persone hanno in mente ciò
che vogliono sapere e possono rimanere delusi se essa porta alla luce aspetti imprevisti o che non si
desiderava conoscere.
Gli psicologi sociali identificano tre classi motivazionali che possono interagire per influenzare la
costruzione del sé e la ricerca della conoscenza di sé. Noi perseguiamo:
• L’autovalutazione per confermare noi stessi
• L’autoverifica per essere coerenti
• L’autoaccrescimento per dare una buona impressione

5.1 AUTOVALUTAZIONE E AUTOVERIFICA


Possediamo un naturale desiderio di disporre di informazioni precise e valide sul nostro conto: è il motivo
dell’autovalutazione. Le persone si sforzano di scoprire la verità al proprio riguardo, non importa quando
sfavorevole o deludente questa possa essere.
Ma le persone si impegnano anche nella ricerca di conferme: per ribadire ciò che già conoscono di sé
cercano informazioni coerenti con il proprio sé attraverso un processo di autoverifica.

5.2 AUTOACCRESCIMENTO
Le persone desiderano conoscere informazioni di sé che ne diano un’immagine positiva. Ci piace scoprire
nuovi aspetti favorevoli su noi stessi così come trovare modi di rivedere punti di vista negativi: siamo
guidati dal motivo dell’autoaccrescimento. Le persone si impegnano ad affermare pubblicamente aspetti
positivi su di sé: possono farlo in maniera palese, o in modo più sottile. Tale necessità è particolarmente
forte quando è stato messo in crisi un aspetto della propria personalità.

6. AUTOSTIMA
La ricerca indica che di solito le persone hanno un’opinione favorevole di sé. Le persone minacciate o
ansiose esibiscono quello che viene definito egotismo automatico: un’immagine ampiamente positiva di
sé.
Una tendenza sistematica positiva, basata su illusioni positive, è psicologicamente adattiva. Senza questi
sostegni psicologici sono predisposte alla depressione e ad altre forme di disturbo mentale.
L’eccessiva ostentazione di sé, tuttavia, può non solo infastidire, ma anche essere scarsamente adattiva.

L’autostima è strettamente connessa all’identità sociale: grazie all’identificazione con un gruppo, il


prestigio e lo status sociale di quel medesimo gruppo si incardinano nel concetto di sé di un individuo

6.1 DIFFERENZE INDIVIDUALI


Un tratto essenziale della ricerca sull’autostima si interessa di stabilire le differenze individuali a cui dà
luogo e investigarne cause e conseguenze.
Un punto di vista piuttosto consolidato, soprattutto negli Stati Uniti, considera la bassa autostima
responsabile di una serie di problemi personali e sociali come il crimine, la delinquenza, la
tossicodipendenza, le gravidanze indesiderate e gli scarsi risultati a scuola. Tuttavia i critici hanno
sostenuto che la bassa autostima può essere il risultato delle condizioni stressanti e alienanti della
moderna società industriale.
Ci sono scarse prove che la bassa autostima causi i danni sociali di cui viene ritenuta all’origine: per
esempio, sono state cercate nella letteratura prove della credenza secondo cui la bassa autostima sia causa
di violenza, ed è stato scoperto che piuttosto è vero l’esatto contrario; la violenza viene associata all’alta
autostima e in particolare sembra esplodere quando individui di questo tipo vedono minacciata la loro
idealizzata immagine di sé.

6.2 ALLA RICERCA DELL’AUTOSTIMA


Essere di buon umore può provocare piacevoli sensazioni in grado di distorcere la stima che le persone
provano nei propri confronti. In questo modo, più che essere l’autostima a dare felicità, è la felicità che dà
autostima.

PAURA DELLA MORTE


Teoria della gestione del terrore, Jeff Greenberg e co.: sostengono che essere consapevoli
dell’ineluttabilità della morte è la vera minaccia fondamentale affrontata dalle persone e quindi il fattore
motivazionale più forte nell’esistenza umana. L’autostima è parte della difesa contro tale minaccia: l’alta
autostima permette alle persone di fuggire dall’ansia che altrimenti incomberebbe per la continua
contemplazione dell’inevitabilità della propria morte.

L’AUTOSTIMA È UN “SOCIOMETRO”?
L’autostima è anche un ottimo rilevatore interno dell’accettazione e dell’inclusione sociale, piuttosto che
del rifiuto o dell’esclusione. Mark Leary la definisce come un “sociometro”: insieme a dei colleghi
condusse degli esperimenti per mettere alla prova questa posizione, dai quali risultò che i partecipanti con
alta stima di sé registravano una maggiore inclusione sociale. Inoltre, l’esclusione sociale da un gruppo per
motivi personali abbassava l’autostima dei partecipanti.

7. AUTOPRESENTAZIONE
I sé si costruiscono, modificano e manifestano attraverso l’interazione con gli altri. Poiché il sé che
proiettiamo ha conseguenze per le reazioni degli altri, cerchiamo di controllarne la presentazione: questo
fenomeno è chiamato gestione dell’impressione.
Ci sono due classi generali di motivazioni alla base dell’autopresentazione:
• Strategica: persone modellano il proprio comportamento in modo da trasmettere l’impressione che
secondo loro il pubblico o la situazione richiede;
• Espressiva: il comportamento risponde meno alle richieste di un contesto che è mutevole.

7.1 AUTOPRESENTAZIONE STRATEGICA


Sono state identificate cinque motivazioni strategiche:
1. Autopromozione: cerchiamo di persuadere gli altri della nostra competenza;
2. Accattivamento: cerchiamo di piacere agli altri;
3. Intimidazione: cerchiamo di far credere agli altri che siamo pericolosi;
4. Esemplificazione: cerchiamo di farci considerare dagli altri individui moralmente rispettabili;
5. Supplica: cerchiamo di fare in modo che gli altri si impietosiscano di noi considerandoci indifesi e
bisognosi.

7.2 AUTOPRESENTAZIONE ESPRESSIVA


Le motivazioni espressive per l’autopresentazione coinvolgono la dimostrazione e la conferma del nostro
concetto di sé attraverso le nostre azioni: il centro focale è più su se stessi che sugli altri.
Tuttavia, cerchiamo persone che confermano chi siamo. Il motivo espressivo per l’autopresentazione è
forte, perché una particolare identità o un particolare concetto di sé non hanno valore a meno che non
vengano riconosciuti e confermati dagli altri.
L’identità richiede dunque la conferma sociale per poter continuare a esistere e ad avere una funzione
utile.

CAP. 4 – ATTEGGIAMENTI E PERSUASIONE

1. COSA SONO GLI ATTEGGIAMENTI?


L’atteggiamento è un costrutto che, anche se non osservabile direttamente, precede il comportamento e
guida le nostre scelte e le decisioni relative alle azioni che compiamo.
La ricerca in questo campo ha suscitato un enorme interesse e centinaia di studi hanno affrontato più o
meno ogni tema immaginabile attorno al quale si possano esprimere atteggiamenti.

1.1 GLI ATTEGGIAMENTI HANNO UNA STRUTTURA


Una posizione teorica ampiamente sostenuta nell0esame degli atteggiamenti è rappresentata dal modello
di atteggiamento a tre componenti, secondo cui un atteggiamento si articola in:
• Componente cognitiva (pensiero): credenze sull’oggetto di un atteggiamento
• Componente affettiva (sentimento): sentimenti positivi o negativi associati all’oggetto di un
atteggiamento
• Componente comportamentale (azione): stato di prontezza a intraprendere l’azione
Oltre alle tre componenti, tale approccio ha messo in rilievo che gli atteggiamenti si presentano
relativamente stabili, limitati a eventi o a soggetti socialmente significativi, e sono generalizzabili e almeno
parzialmente astratti. Ogni atteggiamento, quindi, è costituito da pensieri e idee.
Malgrado il fascino esercitato da questo modello, ha il problema di dare per scontata l’esistenza di un
collegamento tra atteggiamento e comportamento.

1.2 GLI ATTEGGIAMENTI HANNO UNO SCOPO


Un atteggiamento permette di risparmiare energia, poiché non dobbiamo comprendere come relazionarci
all’oggetto o alla situazione in questione “partendo da zero”. Un atteggiamento ci permette dunque di
massimizzare le nostre possibilità di avere esperienze positive e di minimizzare quelle negative.

Russel Fazio sostiene che la funzione principale di ogni tipo di atteggiamento sia quella di valutazione
dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che l’atteggiamento abbia valenza positiva o negativa. Il mero
possesso di un atteggiamento è utile per l’orientamento verso l’oggetto che fornisce ad una persona. Per
assolvere a questa funzione, un atteggiamento deve essere accessibile.

2. DA DOVE DERIVANO GLI ATTEGGIAMENTI?


Gli atteggiamenti possono svilupparsi per mezzo dell’esperienza oppure, in modo indiretto, attraverso le
interazioni con gli altri, o essere un prodotto dei processi cognitivi.

2.1 ESPERIENZA
Molti atteggiamenti derivano dalla nostra esperienza diretta con gli oggetti dell’atteggiamento e ci sono
diverse spiegazioni circa il suo effetto: la mera esposizione, il condizionamento classico o quello operante,
la teoria dell’apprendimento sociale e dell’autopercezione.
L’esperienza diretta ci informa in merito agli attributi di un oggetto e ci aiuta a formare credenze che
influenzano il nostro livello di gradimento o di avversione nei confronti di quest’ultimo.
L’effetto della mera esposizione è il fenomeno per cui l’esposizione ripetuta ad un oggetto dà come
risultato una maggiore attrazione nei suoi confronti. L’effetto dell’esposizione continuata tuttavia
diminuisce.
La mera esposizione ha impatto maggiore quando siamo sprovvisti di informazioni in merito a una
questione: ad esempio, durante le elezioni i membri in carica di un governo o di un partito di opposizione
godono di un vantaggio sugli altri candidati semplicemente perché i loro nomi sono più familiari.

CONDIZIONAMENTO
Nel caso del condizionamento classico l’associazione ripetuta può portate uno stimolo che in passato era
neutrale a provocare una reazione suscitata in precedenza solo da un altro stimolo. Può essere una forma
forte, persino insidiosa, di apprendimento degli atteggiamenti.

Nel caso del condizionamento operante o strumentale il comportamento con conseguenze positive
viene rafforzato, al contrario di quello negativo, e pertanto ha maggiori probabilità di essere ripetuti. Per
esempio, i genitori usano rinforzatori verbali per incoraggiare l’assunzione di un comportamento
accettabile da parte dei figli, mentre nel momento in cui questi si ribellano vengono privati di un premio o
si vedono puniti.

Gli atteggiamenti si possono formare anche attraverso l’apprendimento sociale e manifestarsi in assenza
di rafforzi diretti.
Albert Bandura concentra la sua ricerca sul modellamento, secondo cui le persone tendono a riprodurre
azioni, atteggiamenti e risposte emotive di un modello. Come tale, richiede l’osservazione: gli individui
non apprendono nuove reazioni direttamente dall’esperienza, ma osservando ciò che capita agli altri.

2.2 FONTI DI APPRENDIMENTO


Una fonte cruciale dei nostri atteggiamenti è rappresentata dalle azioni delle altre persone che ci
circondano. Per il bambino, i genitori sono un’influenza forte.
Anche i mass media, in particolare la televisione, hanno una significativa influenza sugli atteggiamenti
delle persone e su quelli dei loro figli, specialmente quando gli atteggiamenti non sono fortemente
radicati. Alcune ricerche ad esempio evidenziano come, prima dei sette anni, i bambini americani ricevano
la maggior parte dell’informazione politica dalla televisione.
Si è indagato anche sull’impatto dei messaggi pubblicitari sui bambini. Dalle ricerche è emerso come due
terzi dei bambini di un gruppo che aveva visto l’uomo forzuto di un circo mangiare cereali credeva che
mangiarli avrebbe reso forte anche loro.
Questi risultati destano particolare preoccupazione alla luce degli omicidi commessi talvolta dai minori,
perpetrati in maniera simile a quelli rappresentati in certi film.

2.3 TEORIA DELL’AUTOPERCEZIONE


Un modo meno immediato di formare un atteggiamento consiste nel dedurre ciò che pensiamo o
sentiamo a proposito dell’oggetto di un atteggiamento attraverso l’esame del nostro comportamento.
Su questa base Daryl Bem elabora la teoria dell’autopercezione:
sosteneva che le persone raggiungono la conoscenza di chi sono e dei loro atteggiamenti esaminando le
proprie azioni e chiedendosi “perché lo faccio?”. Una persona può agire per ragioni che non sono molto
chiare e perciò determinare il proprio atteggiamento attraverso cause più facilmente accessibili.
La teoria suggerisce che le persone agiscono e si formano atteggiamenti senza avvalersi molto di processi
di pensiero dal carattere sistematico.

3. COME SI RIVELANO GLI ATTEGGIAMENTI


Un modo per scoprire gli atteggiamenti delle persone è chiederglieli direttamente: questo è lo scopo di
alcuni questionari. Tuttavia le persone mentono, per cui di recente è maturata una tendenza ad aggirare le
difese messe in atto da una persona utilizzando metodi meno intrusivi.
3.1 INDIZI CORPOREI
Le misure fisiologiche possiedono un grande vantaggio rispetto a quelle basate sull’autodescrizione: le
persone possono non rendersi conto che loro atteggiamenti vengono valutati, e anche se lo capiscono
possono non essere in grado di alterare le proprie risposte.
Tuttavia, queste misure presentano qualche svantaggio: molte sono sensibili a fattori diversi dagli
atteggiamenti che intendono misurare, inoltre forniscono informazioni limitate, in quanto possono
indicare l’intensità di un sentimento ma non la sua direzione.

3.2 INDIZI DERIVATI DALLE AZIONI


Le misure non invasive sono approcci basati sull’osservazione che non interferiscono sui processi che
vengono studiati né portano le persone a comportarsi in modo non spontaneo.
Queste misure sono approssimative e veloci più che convincenti.
Un esempio di misura esplicita che funzioni è la tecnica del falso collegamento: si propone di convincere i
partecipanti dell’impossibilità di nascondere i propri atteggiamenti reali. Le persone vengono connesse ad
una macchina che somiglia alla macchina della verità; viene detto loro che essa misura sia la forza che la
direzione delle reazioni emotive, rivelando quindi i loro veri atteggiamenti.

3.3 ATTEGGIAMENTI IMPLICITI


Talvolta una misura non intrusiva può rivelarci un atteggiamento implicito, cioè uno di quelli di cui una
persona può obiettivamente non essere consapevole.
Tre misure su cui di recente si è concentrata la ricerca sono:
• Tendenza sistematica nell’uso del linguaggio: gli atteggiamenti possono essere legati al modo in cui
le persone utilizzano le parole. Ad esempio, quando qualcuno del nostro gruppo fa qualcosa di buono
adoperiamo un aggettivo astratto o un nome per descrivere la sua azione, basandoci su
un’attribuzione interna; al contrario, una buona azione compiuta da una persona appartenente ad un
outgroup viene descritta tramite un verbo concreto, a indicare che l’azione fosse determinata
dall’azione.
• Attivazione dell’atteggiamento: possiamo rispondere più velocemente quando un atteggiamento
fondamentale è corrispondente a una risposta “corretta”. In un esperimento, i partecipanti furono
posti davanti una serie di foto che raffiguravano uomini dalla pelle nera e bianca e premendo un
pulsante decidevano se un aggettivo che seguiva molto rapidamente fosse “buono” o “cattivo”. I
partecipanti bianchi erano più lenti a giudicare un aggettivo come “buono” quando seguiva la foto di
una persona nera, e viceversa.
• Test di associazione implicita: in maniera simile all’attivazione dell’atteggiamento, viene sviluppato il
test di associazione implicita (IAT) usando lo schermo di un computer. Prevede che i partecipanti
premino uno dei due tasti per far corrispondere una serie di concetti ad un target, per esempio un
gruppo etnico. Nel caso in cui l’atteggiamento esiste già, la reazione è molto più veloce quando il
concetto presenta in partenza una forte associazione nella mente: viene attivato automaticamente.

4. GLI ATTEGGIAMENTI PREANNUNCIANO LE AZIONI?


Le scale di atteggiamento furono sviluppate all’inizio degli anni Trenta e furono usate per misurare i punti
di vista delle persone su temi fondamentali come la politica, la religione, la razza. Consistevano in
questionari in cui si chiedeva alle persone che cosa pensassero e provassero in merito a quei temi e come
potessero agire in contesti differenti.

Uno studio condotto da LaPiere mise in discussione la validità di questi questionari: all’inizio degli anni
Trenta intraprese un viaggio turistico negli Stati Uniti in compagnia di due amici cinesi. Spostandosi di
luogo in luogo, questi furono rifiutati in una sola occasione. In seguito Lapiere inviò dei questionari ai
luoghi che aveva visitato, chiedendo loro “accettereste persone di razza cinese come ospiti della vostra
struttura?”. Di tutti i ristoranti e alberghi le risposero, il 92% disse di no.
Certamente questo studio non era progettato su basi scientifiche, ma fornì comunque una prima sfida alla
validità del concetto di atteggiamento: dimostrò che il comportamento delle persone cambiava a seconda
che la situazione fosse pubblica o privata.

4.1 ATTEGGIAMENTI ACCESSIBILI


Gli atteggiamenti accessibili sono quelli più facilmente recuperabili dalla memoria e che vengono
espressi rapidamente. Questi atteggiamenti esercitano una forte influenza sul comportamento, rafforzano
il collegamento tra atteggiamento e comportamento e sono dunque più stabili, più selettivi nel giudicare
informazioni rilevanti e più resistenti al cambiamento. Il livello a cui un atteggiamento è “comodo” o
funzionale e utile per l’individuo dipende dalla misura in cui esso sia automaticamente attivabile alla
memoria.

Gli atteggiamenti accessibili possono influenzare il modo in cui categorizziamo: quando scegliamo tra una
varietà di categorie possibili per descrivere un oggetto, è più probabile selezionare quella che risulta più
accessibile. Un atteggiamento diventa più accessibile nella misura in cui l’esperienza diretta con il suo
oggetto diventa più frequente.

4.2 ATTEGGIAMENTI FORTI


Gli atteggiamenti forti devono essere molto accessibili. Essi verranno in mente con più prontezza ed
eserciteranno una maggiore influenza sul comportamento di quanto potranno fare gli atteggiamenti
deboli. Fazio sostiene che gli atteggiamenti sono associazioni valutative con oggetti: tali associazioni
possono variare in intensità, dall’assenza di collegamento a un collegamento debole, fino ad un
collegamento forte. Solo un’associazione forte consente l’attivazione automatica di un atteggiamento.
L’esperienza diretta con un oggetto e l’avere un interesse personale nei suoi confronti rendono
l’atteggiamento più accessibile e incrementano il loro effetto sul comportamento.

4.3 ATTEGGIAMENTI E RAZIONALITÀ


Teoria dell’azione ragionata, Fishbein e Ajzen: è stata la prima teoria ad affrontare esplicitamente il
problema dello scarso collegamento tra atteggiamento e comportamento. Ha trattato in modo specifico le
modalità in cui credenze e intenzioni di una persona sono criticamente coinvolte nel modo in cui essa
agisce. Tale teoria include:
• Norma soggettiva: risultato di ciò che l’individuo pensa che gli altri credano. Altre persone
significative fungono da orientamento rispetto alla “cosa giusta da fare”.
• Atteggiamento verso il comportamento: basato sulle credenze individuali relative al comportamento
specifico e sulle modalità di valutazione di tali credenze. È un atteggiamento riguardante un’azione,
non un oggetto.
• Intenzione comportamentale: dichiarazione interiore di agire.
• Comportamento: azione eseguita.
Solitamente verrà eseguita un’azione se l’atteggiamento della persona è favorevole e se la norma sociale è
di sostegno. Un anello cruciale in questa catena è l’intenzione. La TRA enfatizza non solo la razionalità del
comportamento umano, ma anche la convinzione che esso sia controllabile.

Tuttavia alcune azioni sono meno di altre sotto il controllo delle persone.
Ajzen mise in evidenza il ruolo della volontà in un modello modificato, la teoria del comportamento
pianificato: la teoria suggerisce che la previsione di un comportamento a partire dalla misura di un
atteggiamento aumenti se le persone ritengono di aver controllo su quel comportamento.

5. GLI ATTEGGIAMENTI POSSONO CAMBIARE: LA DISSONANZA


Il fatto che gli atteggiamenti comportamenti possano spesso essere incoerenti ha una conseguenza di
ampia portata e può rivelarsi una delle forze più potenti che inducono le persone a cambiare i propri
atteggiamenti.
Tale presupposto è stato indagato nella teoria della dissonanza cognitiva, Leon Festinger:
la dissonanza cognitiva è quello sgradevole stato di tensione mentale che si verifica quando una persona
possiede due o più cognizioni incoerenti tra loro.
Festinger propose l’idea secondo cui cerchiamo armonia nei nostri atteggiamenti, credenze e
comportamenti e tentiamo di ridurre la tensione generata da ogni incoerenza. Le persone proveranno a far
ciò cambiando una o più cognizioni incoerenti, cercando ulteriori prove per rafforzare l’uno o l’altro aspetto
o sminuendo il valore della fonte di una delle cognizioni.
La ricerca ha individuato tre modi di produrre dissonanza:
• Giustificazione dello sforzo: l’incoerenza è esperita quando una persona compie uno sforzo
considerevole per raggiungere un risultato modesto
• Obbedienza indotta: l’incoerenza è esperita quando un individuo è persuaso a comportarsi in modo
contrario a un atteggiamento. La dissonanza si manifesta quando si è acconsentito ad affermare cose
circa le quali si è esperita la verità del contrario. Siete stati indotti a comportarvi in modo contrario al
vostro attegiamento.
• Libera scelta: è probabile che la riduzione del conflitto sia un fenomeno che caratterizza le scommesse
su eventi sportivi, corse di cavalli, giochi d’azzardo e così via. Quando una persona ha compiuto una
scelta tra alternative decisionali, la teoria prevede che la persona che ha fatto una puntata abbia più
fiducia nella vittoria.

6. LA SCIENZA DELLA PERSUASIONE


La ricerca nel campo della psicologia sociale sulla relazione tra comunicazione persuasiva e cambiamento
degli atteggiamenti si concentra su aspetti più precisi. Due aree di applicazione molto indagate sono la
pubblicità e la promozione di comportamenti che salvaguardino la salute.

6.1 COMUNICARE IN MANIERA PERSUASIVA


Dopo la seconda guerra mondiale l’Università di Yale organizzò il primo programma di ricerca coordinato
sulla psicologia sociale della persuasione.
Gli autori suggerivano che la chiave per interpretare il modo in cui le persone prestano attenzione,
comprendono, ricordano e accettano un messaggio consisteva nel risponde alla domanda “chi dice cosa a
chi e con quale effetto?”.
Le tre variabili coinvolte sono:
1. Fonte (CHI):
• Gli esperti sono più persuasivi dei non esperti
• I comunicatori attraenti e popolari sono più efficaci
• Le persone che parlano velocemente sono più convincenti
2. Messaggio (CHE COSA):
• Veniamo persuasi più facilmente se pensiamo che il messaggio non sia deliberatamente inteso a
manipolarci
• Uno stile linguistico debole è meno persuasivo di uno stile linguistico efficace
• I messaggi che attivano la paura possono essere molto persuasivi
3. Pubblico (A CHI):
• Le persone con bassa autostima vengono persuase più facilmente
• Persone sono più predisposte a essere persuase quando sono distratte, almeno nei casi in cui il
messaggio è semplice
• Le persone in età adolescenziale sono più suggestionabili
Osserveremo più da vicino un fattore del messaggio che è stato studiato intensivamente per la sua
efficacia: la paura.
In un primo studio, James e Feshbach usarono tre variazioni di un messaggio per incoraggiare le persone a
praticare una buona igiene orale:
• Poco minaccioso: venivano comunicate le spiacevoli conseguenze dell’avere denti e gengive malate
• Moderatamente minaccioso: avvertimento più esplicito
• Molto minaccioso: veniva comunicato che la malattia poteva diffondersi ad altre parti del corpo e
venivano mostrate diapositive con sgradevoli immagini
Si verificò una relazione inversamente proporzionale tra i livelli di presunta attivazione della paura e il
cambiamento nelle pratiche di igiene orale.
L’uso di messaggi molto minacciosi è stato messo in discussione, poiché può generare tanta ansia da
distrarci e farci perdere parte del messaggio.

La teoria della motivazione della protezione ha offerto chiarimenti sul modo in cui il ricorso alla paura
può avere successo o fallire nell’eliminare abitudini pericolose per la salute: la teoria evidenzia come le
intenzioni di produrre un cambiamento siano agevolate da:
• Un incremento nella percezione della gravità di una minaccia per la salute
• La vulnerabilità dell’individuo nei confronti di quella specifica minaccia
• La percezione dell’efficacia dell’azione protettiva
• L’autoefficacia
Ad esempio, nel considerare perché una persona possa continuare a fumare o smettere di farlo, la teoria
considera due processi cognitivi di mediazione:
1. Valutazione della minaccia: fumare dà gratificazioni intrinseche ed estrinseche. Questi vantaggi sono
controbilanciati dai pensieri relativi ai rischi per la propria salute e sulla percezione della propria
vulnerabilità.
2. Valutazione dell’impegno: le persone valutano l’efficacia della risposta (se ad esempio la terapia di
sostituzione della nicotina funziona) e l’autoefficacia.
Il compromesso derivato dal confronto tra queste due variabili determina il livello di motivazione alla
protezione.

7. PERCORSI A DUE PROCESSI VERSO LA PERSUASIONE


Negli ultimi due decenni nella psicologia sociale è stata fatta chiarezza sui processi cognitivi alla base del
nostro modo di rispondere al contenuto dei messaggi persuasivi.
Sono emersi approcci piuttosto diversi: il modello della probabilità dell’elaborazione, e il modello euristico-
sistematico.

7.1 MODELLO DELLA PROB ABILITÀ DELL’ELABORAZIONE


Secondo il modello della probabilità dell’elaborazione, quando le persone ricevono un messaggio
persuasivo pensano alle argomentazioni implicite. Se le argomentazioni del messaggio vengono prese in
carico in maniera approfondita allora viene utilizzato un percorso centrale. Se deve essere usato il
percorso centrale, gli elementi concettuali del messaggio devono essere esposti in modo convincente,
poiché ci verrà richiesto un notevole sforzo cognitivo.
Se invece le argomentazioni non sono ascoltate con attenzione, si segue un percorso periferico.

7.2 MODELLO EURISTICO-SISTEMATICO


Il modello euristico-sistematico di Shelley Chaiken tratta gli stessi fenomeni utilizzando concetti
differenti, distinguendo tra elaborazione euristica ed elaborazione sistematica.
L’elaborazione sistematica si verifica quando le persone esaminano e considerano gli argomenti
disponibili. Nel caso dell’elaborazione euristica non indulgiamo in ragionamenti meticolosi, ma usiamo
invece le euristiche cognitive.
Secondo Petty, le persone possiedono una soglia di sufficienza: le euristiche saranno usate finchè
soddisferanno il nostro bisogno di avere fiducia nell’atteggiamento che adottiamo. Quando non
disponiamo di sufficiente fiducia, ricorriamo alla modalità di elaborazione sistematica.

8. RESISTERE ALLA PERSUASIONE


La stragrande maggioranza dei tentativi di persuasione si conclude con un fallimento piuttosto che con un
successo. I ricercatori hanno identificato tre principali ragioni: reattività, preavvertimento e
immunizzazione.

8.1 REATTIVITÀ
Veniamo più facilmente persuasi se pensiamo che il messaggio non sia deliberatamente inteso a
persuaderci.
Le persone cercano di proteggere la propria libertà di azione. Quando ne percepiscono la riduzione,
agiscono al fine di recuperarne il possesso.

8.2 PREAVVERTIMENTO
Il preavvertimento è la conoscenza a priori di un’intenzione persuasiva: anticipare a qualcuno che si
cercherà di influenzarlo. Quando le persone vengono avvisate, hanno il tempo di recuperare le
controargomentazioni utilizzabili come difesa. Può essere considerato un caso speciale di
immunizzazione.

8.3 EFFETTO DI IMMUNIZZAZIONE


Modalità con cui si rendono le persone resistenti alla persuasione. Fornendo controargomentazioni deboli
si permette agli individui di essere in grado di formulare confutazioni efficaci di una successiva, più forte
argomentazione.
Sono stati individuati due tipi di difesa:
• Difesa basata sul sostegno: è fondata sul rafforzamento dell’atteggiamento. La resistenza potrebbe
essere rafforzata fornendo argomentazioni aggiuntive che sostengano le credenze originali.
• Difesa basata sull’immunizzazione: impiega controargomentazioni e può avere maggiore efficacia.
Una persona apprende gli argomenti dell’opposizione, poi ascolta come vengono smontati.

Il fenomeno dell’immunizzazione è stato usato in alcuni tipi di pubblicità: per esempio in quelle basate sulla
controversia/protezione. Un’industria chimica potrebbe ad esempio pubblicare un comunicato
sull’inquinamento ambientale per immunizzare i suoi clienti contro le accuse di cattiva condotta ecologica
mosse dai concorrenti.

CAP. 5 – CONFORMISMO E CAMBIAMENTO SOCIALE

1. NORME
Le norme sono credenze condivise circa la condotta del membro di un gruppo considerata appropriata.
Descrivono le uniformità di comportamento che caratterizzano i gruppi.
Possono prendere la forma di ruoli espliciti, imposti da leggi e sanzioni, oppure possono fungere da sfondo
implicito, inosservato dell’esistenza quotidiana.
Garfinkel riteneva che queste ultime fossero nascoste perché presenti nella vita di tutti i giorni e che
fossero in parte responsabili di quei comportamenti che definiamo spesso innati. Ideò alcune modalità per
mettere in luce queste norme di fondo: tali modalità costituiscono l’etnometodologia, un metodo che
implica la violazione di norme nascoste per rivelarne l’effettiva presenza.
1.1 COME NASCONO LE NORME
Muzafer Sherif mostrò che quando le persone erano da sole nell’esprimere giudizi di tipo percettivo
utilizzavano come schema di riferimento le proprie valutazioni; tuttavia, quando facevano parte di un
gruppo, essi utilizzavano la gamma di giudizi espressi dagli altri membri per convergere velocemente verso
una media del gruppo.
Le persone si basano quindi sul comportamento altrui per stabilire la gamma di comportamenti possibili:
utilizzano perciò lo schema di riferimento, di cui si servono per instaurare confronti sociali in un
determinato contesto.
Sherif dimostrò con le sue ricerche che una norma era una proprietà che nasceva dall’interazione tra i
membri di un gruppo ma che, una volta creata, acquistava vita propria: chi faceva parte del gruppo
continuava a conformarsi alla norma anche quando era da solo.

2. CONFORMISMO

2.1 ARRENDERSI ALLA MAGGIORANZA


Solomon Asch riteneva che il conformismo riflettesse un processo relativamente razionale in cui le
persone costruiscono una norma a partire dal comportamento degli altri, per determinare il corretto e
appropriato comportamento da adottare loro stesse. Ovviamente se si è già sicuri e fiduciosi in merito a ciò
che è appropriato e corretto, il comportamento altrui sarà in larga misura ininfluente.

Secondo Asch, se l’oggetto del giudizio fosse chiaro, le opinioni degli altri non avrebbero effetto sul
comportamento.
Per sottoporre a verifica questa idea creò un paradigma sperimentale ad oggi diventato classico.
Studenti di sesso maschile partecipavano a quello che pensavano essere un compito sulla capacità di
discriminazione visiva, si siedevano attorno ad un tavolo in gruppi composti da 7 a 9 individui. A turno, in
ordine fisso, ciascuno dichiarava quale di tre segmenti messi a confronto fosse della stessa lunghezza di un
segmento standard di riferimento. Venivano realizzate 18 prove. In realtà, solo una persona era un
partecipante ingenuo (reale) e si trovava al penultimo posto nell’ordine di risposta. Gli altri erano
collaboratori di ricerca, istruiti per dare risposte erronee su 12 prove.
I risultati furono interessanti: il 25% rimaneva indipendente sulle proprie posizioni; il 50% su sei o più prove
si conformava alla maggioranza nonostante questa sbagliasse; il 5% si conformava su tutte e 12 le prove.
Dopo l’esperimento Asch chiese ai partecipanti perché si fossero conformati alla maggioranza: risposero di
sentirsi insicuri, a disagio, incerti e avevano temuto la disapprovazione da parte del gruppo.
Questi resoconti soggettivi ci dicono che una ragione per cui le persone si conformano alle posizioni della
maggioranza, anche quando la scelta corretta è evidente, può essere quella di evitare la censura, il ridicolo
e la disapprovazione sociale.

2.2 CHI SI CONFORMA?


Coloro che si conformano tendono ad avere bassa autostima, forte bisogno di sostegno o di approvazione
sociale, necessità di autocontrollo, basso QI, molta ansia, senso di colpa e insicurezza nel gruppo,
sentimenti di inferiorità e di scarsa importanza al suo interno e una personalità in generale autoritaria.
Tuttavia risultati contraddittori suggeriscono che le persone che si conformano in una situazione non lo
fanno necessariamente in un’altra, cosicché nel conformismo i fattori situazionali contano più della
personalità.

2.3 CULTURA E CONFORMISMO


In una rassegna di studi sul conformismo basati sul paradigma di Asch, Peter Smith e co. rilevarono
significative differenze interculturali. Il conformismo risultava essere minore tra i partecipanti provenienti
da culture individualistiche del Nord America o dell’Europa nordoccidentale che tra i partecipanti
provenienti da culture collettivistiche o interdipendenti di Africa, Asia, Oceania e Sud America.
Questo tipo di variabilità culturale indica che i popoli legati a valori collettivistici si conformano alle norme
del proprio gruppo più di quanto facciano persone appartenenti a popolazioni legate a valori
individualistici.

2.4 CONTESTO E CONFORMISMO


Le persone sono più inclini al conformismo in determinati contesti, mentre rimangono indipendenti in altri.
Due fattori indagati in profondità sono stati:
• Dimensione del gruppo: in una rassegna di studi che usavano il paradigma di Asch, Alley concluse
che, se una maggioranza rimaneva anonima, il conformismo iniziava a stabilizzarsi quando la
dimensione di quest’ultima raggiungeva la quota di circa tre o quattro individui. Tuttavia Asch scoprì
che un sostenitore corretto (cioè un membro della maggioranza che dava sempre la risposta corretta
e perciò concordava col partecipante ingenuo) abbassava il livello di conformismo dal 33% al 5,5%.
• Unanimità: qualunque mancanza di unanimità entro il gruppo di maggioranza sembra essere efficace:
i sostenitori, gli individui dissenzienti e coloro che formulano opinioni devianti possono avere efficacia
nel ridurre il conformismo, poiché infrangono l’unanimità della maggioranza e di conseguenza
sollevano o rendono legittima la possibilità di risposte o comportamenti alternativi.

2.5 PROCESSI DI INFLUENZA


Gli psicologi sociali reputano responsabili del conformismo due processi di influenza sociale:
• Influenza informativa: tendenza ad accettare le opinioni degli altri come prove della realtà. Entra in
gioco quando siamo incerti. Quando capita ciò, facciamo inizialmente verifiche oggettive a proposito
della realtà; altrimenti mettiamo in atto dei confronti sociali. L’influenza informativa produce un
autentico cambiamento cognitivo.
• Influenza normativa: tendenza ad adeguarci alle aspettative positive degli altri. Entra in gioco quando
riteniamo che il gruppo abbia la forza e la capacità di ricompensarci o di punirci a seconda di ciò che
facciamo. Perché sia efficace, dobbiamo sentirci sotto la sorveglianza del gruppo. L’influenza
normativa crea acquiescenza esteriore piuttosto che vero e proprio cambiamento cognitivo.

La distinzione tra influenza informativa e normativa pone scarsa enfasi sul ruolo dell’appartenenza al
gruppo. A occuparsene è stata la teoria dell’identità sociale, che propone un processo di influenza sociale
separato, responsabile dell’adeguamento alle norme di gruppo, definito influenza informativa del
referente: quando essere parte di un gruppo diventa saliente avvertiamo un senso di appartenenza e
definiamo noi stessi nei termini del gruppo. Recuperiamo informazioni dalla memoria e usiamo
informazioni del contesto sociale per definire norme e attributi rilevanti del gruppo.

3. ACQUIESCENZA
La letteratura sull’influenza sociale usa talvolta il termine acquiescenza come sinonimo di conformismo.
Per acquiescenza ci si riferisce a una risposta comportamentale alla richiesta di un altro individuo, mentre
con conformismo ci si riferisce all’influenza di un gruppo su un individuo.

3.1 TECNICHE PER ACCRESCERE L’ACQUIESCENZA


Molte tecniche sono state escogitate negli anni per accrescere l’acquiescenza. Gli esperti di vendita in
particolare hanno ideato e messo a punto molte procedure indirette.
1. Accattivamento: possiamo usarlo se manifestiamo accordo con le persone per apparire simili a loro o
per farle sentire a proprio agio, se ci presentiamo in modo seducente, se facciamo loro complimenti, se
citiamo nomi di persone tenute in alta considerazione o se entriamo in contatto fisico con loro.
L’accattivamento palese però può essere controproducente e portare al cosiddetto “dilemma
dell’adulatore”.
2. Norma di reciprocità: basata sul principio secondo cui “dovremmo trattare gli altri nel modo in cui loro
trattano noi”: se facciamo un favore agli altri, questi si sentiranno obbligati a ricambiarlo.
Analogamente l’attivazione del senso di colpa produce una maggiore acquiescenza.
3.2 TECNICHE DI RICHIESTA MULTIPLA
Esistono diverse tecniche basate sull’uso di richieste multiple. Viene utilizzato un processo a due fasi, in cui
la prima richiesta funge come attenuante per la seconda richiesta, quella autentica.
Ne esistono tre tipi classici:
1. Tecnica del piede nella porta: se qualcuno acconsente a una piccola richiesta, sarà più predisposto a
soddisfarne una seconda, più grande. Tale tecnica non sempre funziona, soprattutto se la prima
richiesta appare troppo esigua o la seconda troppo grande.
Una versione perfezionata della tecnica prevedeva che le persone acconsentissero a una serie di
richieste graduali anziché saltare da una richiesta esigua ad una grande. Questa soluzione, definita
tecnica dei due piedi nella porta si è mostrata più efficace. Acconsentendo a una piccola richiesta, le
persone si sentono coinvolte e sviluppano un’immagine di sé come individui generosi: la successiva
richiesta le obbliga ad essere coerenti.
2. Tecnica della porta in faccia: è la strategia opposta alla tecnica del piede nella porta. Viene prima
chiesto a qualcuno un grosso favore e poi avanzata una piccola richiesta. Può essere sfruttata al meglio
utilizzando un effetto di contrasto, ad esempio facendo sembrare la seconda richiesta più ragionevole
e accettabile se paragonata alla prima.
3. Tecnica del colpo basso: strategia che dipende dalla capacità di indurre un cliente ad accettare una
richiesta prima di rivelarne determinati costi nascosti. Si basa sul principio secondo cui è più probabile
che le persone, una volta coinvolte in un’azione, accettino un piccolo incremento del costo all’azione
stessa.

4. OBBEDIENZA ALL’AUTORITÀ
I risultati dello studio di Asch sono stati criticati da molti psicologi sociali che ritennero che il compito fosse
troppo banale e non comportava alcuna conseguenza né su di sé né sugli altri.
Stanley Milgram cercò di ripetere lo studio, ma ricorrendo ad un compito che presentava conseguenze
importanti a seconda che venisse presa la decisione di conformarsi o di rimanere indipendente.
Successivamente non procedette mai con il suo studio iniziale sul conformismo e il gruppo di controllo
divenne la base di uno dei programmi di ricerca più drammatici della psicologia sociale.

4.1 STUDI DI MILGRAM SULL’OBBEDIENZA


Milgram condusse una serie di esperimenti che intendevano mostrare che le persone subiscono un
processo di socializzazione che li porta a rispettare l’autorità dello stato. Entriamo in un cosiddetto stato di
agente: uno stato d’animo di obbedienza incondizionata, in cui le persone, in qualità di agenti,
trasferiscono le proprie responsabilità a chi impartisce gli ordini.

Insieme allo sperimentatore c’era un insegnante (partecipante reale) e un allievo (un collaboratore). Il ruolo
dell’allievo consisteva nell’apprendere una serie di parole. Quello dell’insegnante nell’infliggere una scossa
elettrica ogni volta che questi realizzava un’associazione errata.
L’insegnante era condotto in una stanza separata in cui era collocato un generatore di corrente, gli veniva
richiesto di infliggere scosse elettriche di intensità crescente ogni volta che l’allievo sbagliava.
Per tutta la durata dell’esperimento, l’insegnante si manifestava agitato e teso e chiedeva spesso di
interrompere l’esperimento. A tali richieste, lo sperimentatore rispondeva con una serie di risposte
ordinate, da un gentile “per piacere, continui”, a “l’esperimento richiede che lei continui”, a “è
assolutamente necessario che lei continui”, fino al definitivo “non ha altra scelta: deve continuare”.
A partecipare all’esperimento erano persone del tutto normali: 40 uomini dai 20 ai 50 anni che svolgevano
attività diverse. L’intero esperimento si basava su un complesso inganno, poiché nessuna scarica elettrica
veniva in realtà inflitta.
4.2 FATTORI CHE INFLUENZANO L’OBBEDIENZA
Migram condusse 18 esperimenti sull’obbedienza per isolare i vari fattori che contribuivano al fenomeno.
Tranne che in un caso, i partecipanti erano tutti individui di sesso maschile tra i 20 e i 50 anni, non studenti,
che svolgevano differenti attività lavorative e appartenevano a differenti livelli socioeconomici.
Una ragione del perché le persone continuino a infliggere scariche elettriche può essere data dal fatto che
l’esperimento inizia in modo del tutto innocuo, con scosse assolutamente trascurabili. Una volta che gli
individui si sono fatti coinvolgere in una linea di azione, possono trovare difficile in seguito cambiare idea.

Un fattore importante dell’obbedienza è la contiguità della vittima: la vicinanza o l’esplicita presenza


della vittima rispetto al partecipante. Con l’aumentare dell’immediatezza diminuiva l’obbedienza.
Un altro fattore è la contiguità della figura autorevole: l’obbedienza era ridotta quando lo sperimentatore
era assente dalla stanza e trasmetteva le istruzioni al telefono.
Il fattore che incide maggiormente è la pressione del gruppo: la presenza di partecipanti disobbedienti
riduceva l’obbedienza totale. La disobbedienza di gruppo probabilmente produce il suo effetto perché le
azioni degli altri aiutano a confermare la legittimità o l’illegittimità di continuare a somministrare scosse.
La legittimità della figura autorevole permette alle persone di rinunciare alla responsabilità diretta delle
proprie azioni.

La ricerca di Milgram affronta lo studio di una delle grande debolezze dell’umanità: la tendenza a obbedire
agli ordini senza prima riflettere.

4.3 ALCUNE CONSIDERAZIONI ETICHE


Milgram fu meticoloso nell’intervistare e, con l’assistenza di uno psichiatra, nel seguire più di un migliaio di
partecipanti: non c’erano prove di patologie psichiche e l’83,7% di loro si dichiarò soddisfatto o molto
soddisfatto di aver partecipato all’esperimento.
Le questioni etiche ruotano attorno a tre domande:
1. La ricerca è importante?
2. Il partecipante è libero di lasciare l’esperimento in qualsiasi momento?
I partecipanti di Milgram erano liberi di farlo, ma questo non fu mai detto loro in modo esplicito.
3. I partecipanti acconsentono liberamente alla propria partecipazione all’esperimento?
I partecipanti di Milgram non fornivano un consenso pienamente informato, in quanto non
conoscevano la vera natura dell’esperimento.

Quest’ultimo punto solleva il tema dell’inganno nella ricerca sociale. Esistono due ragioni per ingannare
coloro che partecipano ad un esperimento: la prima è indurli a partecipare ad un esperimento altrimenti
sgradevole; la seconda è che, per studiare il funzionamento dei processi psicologici, i partecipanti devono
essere all’oscuro rispetto alle ipotesi della ricerca.

5. INFLUENZA DELLA MINORANZA E CAMBIAMENTO SOCIALE


In un contesto gruppo, un individuo o una piccola minoranza possono cambiare le opinioni della
maggioranza. Una minoranza con poco o nessun potere legittimato può quindi avere influenza e spostare
la maggioranza verso il proprio punto di vista: questo fenomeno è definito influenza della minoranza.

5.1 OLTRE IL CONFORMISMO


Moscovici sostenne che i ricercatori, in maniera inconsapevole, fossero vittime della tendenza
sistematica al conformismo: la tendenza a trattare l’influenza del gruppo come un processo
unidirezionale in cui gli individui o le minoranze si conformano sempre alle maggioranze.
Contrariamente alla ricerca tradizionale Moscovici credeva che i gruppo presentassero spesso conflitto al
loro interno, al quale le persone possono reagire in tre modi diversi:
1. Conformandosi: la maggioranza persuade la minoranza
2. Mediando: si raggiunge un compromesso che porta alla convergenza
3. Innovando: una minoranza crea e accentua il conflitto, cercando di persuadere la maggioranza ad
adottare il proprio punto di vista

5.2 COERENZA
L’efficacia dell’innovazione dipende dal modo in cui la minoranza affronta il proprio compito: dallo stile
comportamentale che adotta.
Lo stile comportamentale più importante è la coerenza: una minoranza coerente, in cui tutti i membri
diffondano ripetutamente lo stesso messaggio, ottiene i seguenti effetti:
• Mette in crisi la norma della maggioranza e produce incertezza e dubbio
• Attira l’attenzione su di sé come entità
• Trasmette l’idea secondo cui un punto di vista alternativo coerente esiste
• Dimostra sicurezza e deciso coinvolgimento nel proprio punto di vista
• Mostra che l’unica soluzione al conflitto è l’accettazione del punto di vista della minoranza

5.3 INCLUSIONE
Nella società i gruppi che diffondono punti di vista minoritari sono spesso stigmatizzati dalla maggioranza,
oppure etichettati come individui devianti. Tale livello di resistenza da parte della maggioranza rende per
le minoranze più difficile essere efficaci.
Le minoranze possono essere più efficaci se non si limitano a promuovere solo un’opinione che differisce
dalla posizione della maggioranza, ma se sono anche considerate suoi membri: esercitano infatti
un’influenza maggiore se la maggioranza le percepisce come ingroup.
Ciò produce quello che viene definito contratto di tolleranza.

5.4 L’INFLUENZA DELLA MINORANZA È DAVVERO DIVERSA?


Moscovici ha sostenuto che le maggioranze e le minoranze esercitano influenza sociale attraverso processi
differenti. L’influenza della maggioranza produce acquiescenza pubblica diretta per ragioni di dipendenza
normativa o informativa. Al contrario, l’influenza della minoranza produce nell’opinione un cambiamento
privato dovuto al conflitto cognitivo e alla riorganizzazione derivati dalle idee devianti.

6. PERSONE NEI GRUPPI

1. CHE COSA SONO I GRUPPI?


I gruppi sono categorie di persone: gli psicologi sociali ritengono che i gruppi umani siano caratterizzati da
insiemi sfuocati di attributi collegati e sovrapponibili, i quali, complessivamente, distinguono chi è dentro
il gruppo da chi ne è fuori.
Sebbene i gruppi abbiano questa caratteristica comune, essi possono variare in molti modi.
In generale, alcuni gruppi lo sono più di altri: alcuni psicologi usano il termine entitatività per descrivere
questa proprietà che fa apparire un gruppo come un’entità coerente, distinta e unitaria.

2. LA PRESENZA DEGLI ALTRI


Un modo in cui i gruppi ci influenzano è attraverso le norme. Tuttavia, esiste un altro modo ancora più
elementare attraverso cui i gruppi esercitano influenza su di noi: tramite la loro mera presenza.
2.1 PRESTAZIONI IN PUBBLICO
Triplett condusse un esperimento per scoprire se le prestazioni migliorano o peggiorano in presenza di un
pubblico.
Chiese ad alcuni bambini di avvolgere un nastro intorno a due bobine il più velocemente possibile, da soli o
in una specie di gara con un altro bambino. Rilevò che i ragazzini che cercavano di vincere erano più veloci
di quelli che lavoravano da soli.

Successivamente Floyd Allport dimostrò l’effetto di facilitazione sociale, grazie a cui la sola presenza di
altre persone che non partecipano migliora l’esecuzione di un compito. Tuttavia la ricerca ha anche messo
in luce che la presenza sociale può produrre anche un effetto del tutto opposto: l’inibizione sociale o il
peggioramento dell’esecuzione del compito.
Una delle dimostrazioni più tradizionali di questa contraddizione fa capo alla teoria della pulsione:
l’attivazione o incremento di motivazione è una reazione istintiva alla presenza sociale. Questa attivazione
infonde energia o “stimola” la nostra risposta dominante. Se la risposta dominante è corretta, la presenza
migliora la prestazione; ma se è scorretta, la presenza degli altri porta a un peggioramento.

Esiste un dibattito su cosa provochi questa attivazione.


Secondo Cottrell è il timore di essere giudicati dagli altri: secondo il modello della paura del giudizio, le
persone apprendono che le ricompense e le punizioni sociali ricevute si basano su come gli altri ci
giudicano.

Una caratteristica evidente della presenza sociale riguarda il fatto che consideriamo le altre persone fonte
di distrazione, e che ciò influenza la nostra esecuzione di un compito. Le persone possiedono una capacità
di attenzione limitata, che può essere messa in crisi dalla presenza di un pubblico.
La presenza sociale ha un impatto più forte quando le persone interagiscono tra loro.

2.2 INERZIA NEI GRUPPI


È capitato a tutti di trovarsi in gruppi dove abbiamo avvertito che uno o più membri non davano il proprio
contributo: per alcuni individui può essere difficile coordinare il proprio comportamento con efficacia, così
alcuni si distraggono e il proprio contributo viene sommerso dal contributo di altri che godono di maggiore
influenza. Questo fenomeno è stato definito perdita di coordinazione.
Tuttavia in altre occasioni si verifica semplicemente una perdita di motivazione: alcuni membri del gruppo
si impegnano semplicemente di meno.

La perdita di motivazione venne definita inerzia sociale.


L’inerzia sociale è la tendenza delle persone a lavorare meno duramente in un compito a cui credono
stiano lavorando anche altri.
In una rassegna di ricerca, Russell Geen concluse che ci sono tre ragioni per cui rimaniamo inerti quando ci
troviamo in un gruppo:
1. Equità del risultato: pensiamo che gli altri rimangano inerti, per mantenere l’equità rimaniamo inerti
anche noi;
2. Paura del giudizio: ci preoccupiamo di venire giudicati dagli altri; ma quando manteniamo
l’anonimato ce la prendiamo comoda e rimaniamo inerti;
3. Conformità allo standard: spesso non abbiamo un’idea chiara degli standard o delle norme del
gruppo.

Stare in un gruppo talvolta può motivarci a lavorare persino con più intensità di quando siamo soli. Si
verifica quando il compito e il gruppo sono così importanti che l’individuo sente il bisogno di compensare
l’inerzia prevista da parte degli altri membri del gruppo: si chiama effetto di compensazione sociale.
3. COME FUNZIONANO I GRUPPI

3.1 COESIONE DI GRUPPO


La coesione è una proprietà basilare di un gruppo, che lo porta a rimanere unito come una salsa entità
autonoma caratterizzata da uniformità di condotta, reciproco sostegno tra i membri, solidarietà e spirito di
squadra.
A livello psicologico, la coesione è stata attribuita primariamente allo sviluppo di legami di apprezzamento
reciproco tra le persone. Tuttavia altri studiosi hanno sostenuto che nella coesione possa essere coinvolto
qualcosa di più del semplice apprezzamento interpersonale.
L’apprezzamento reciproco, infatti, può essere un indice affidabile di coesione in piccoli gruppi dove le
persone si conoscono l’un l’altra, ma è indice meno affidabile in gruppi allargati dove le persone non
possono conoscersi tutti.
Per risolvere questo problema Hogg ha distinto tra attrazione personale e attrazione sociale.
L’attrazione sociale è l’aspetto dell’apprezzamento che distingue i gruppi di tutte le forme e le dimensioni
e deriva dall’identificazione con un gruppo: categorizzandoci come membri di un gruppo, valutiamo noi
stessi e gli altri in termini di attributi tipici del gruppo.

3.2 SOCIALIZZAZIONE DI GRUPPO


La socializzazione di gruppo muove le persone attraverso differenti ruoli, transizioni che costituiscono un
aspetto centrale della vita di gruppo. Esistono tre tipi generali di ruolo:
1. Non membro: membri potenziali che non sono entrati nel gruppo o ex membri che ne sono usciti;
2. Quasi membro: nuovi membri che non hanno raggiunto lo status di membro a pieno titolo e membri
marginali che l’hanno perso;
3. Membro a pieno titolo: membri pienamente identificati con il gruppo e che hanno privilegi e
responsabilità associate alla condizione di membro del gruppo.

Le transizioni di ruolo sono semplici e prive di complicazioni quando l’individuo e il gruppo sono coinvolti in
ugual misura e condividono le stesse idee sul significato di transizione, altrimenti può verificarsi un
conflitto. Per questa ragione i criteri di transizione sono spesso formalizzati e pubblici, e i riti di iniziazione
diventano parte centrale del gruppo, svolgendo 3 importanti funzioni:
• Funzione simbolica: consentono il riconoscimento pubblico di un cambiamento nell’identità;
• Funzione di apprendistato: aiutano ad abituarsi a nuovi ruoli e standard normativi;
• Funzione di fidelizzazione: iniziative piacevoli possono suscitare gratitudine, la quale a sua volta
accresce il coinvolgimento nel gruppo.

I riti di iniziazione possono anche essere eventi spiacevoli, implicare dolore, sofferenza e umiliazione.
Sicuramente le persone eviterebbero di entrare in gruppi che contemplano prove di iniziazione dure.
Possiamo spiegare questa anomalia nei termini della dissonanza cognitiva: posso ridurre la dissonanza
riconsiderando le mie opinioni sul gruppo, concentrandomi più sugli aspetti positivi che su quelli negativi. Il
risultato sarà un giudizio migliore nei confronti del gruppo e quindi un maggior coinvolgimento. Più dura è
l’iniziazione, più è probabile che porti a una maggiore dissonanza e a un più favorevole giudizio del gruppo.

3.3 STRUTTURA DEL GRUPPO


Per struttura del gruppo intendiamo l’articolazione di un gruppo entro ruoli differenti che si differenziano
in merito al prestigio.

RUOLI
I ruoli sono modelli di comportamento che distinguono le differenti attività all’interno del gruppo.
Governano le relazioni e le interazioni tra sottogruppi appartenenti al gruppo, spesso al fine di ottenere un
risultato migliore per l’intero gruppo.
I ruoli talvolta possono essere associati ad appartenenze a categorie più ampie, fuori dall’immediato
contesto.
Emergono nei gruppi per delineare una divisione del lavoro. Generalmente, agevolano il funzionamento
del gruppo; tuttavia un ruolo interpretato in maniera inflessibile può rivelarsi dannoso.
Sebbene le persone possano spostarsi tra differenti ruoli, spesso le vediamo rivestirne uno solo, e
inferiamo che questo è il modo in cui sono realmente. Cadiamo cioè vittime dell’errore fondamentale di
attribuzione.

Nell’ambito della psicologia sociale, la più nota illustrazione della capacità che hanno i ruoli di cambiare il
comportamento è l’esperimento con cui Zimbardo simulava le relazioni di ruolo in un carcere.
24 volontari psicologicamente stabili vennero assegnati ai ruoli di prigioniero o di guardia. I prigionieri
venivano arrestati e consegnati alle guardie in una prigione simulata. Zimbardo voleva osservarli per due
settimane, ma dovette interrompere lo studio dopo sei giorni. Nonostante gli studenti fossero
psicologicamente stabili, la situazione sfuggì completamente di mano: le guardie tormentavano e
intimidivano continuamente i prigionieri, talvolta usando tecniche psicologiche per minarne la solidarietà. I
prigionieri inizialmente si ribellarono, ma divennero gradualmente passivi, mostrando sintomi di
disintegrazione individuale e perdita di contatto con la realtà.

STATUS
Alcuni ruoli hanno uno status più elevato di altri.
I ruoli con status elevato sono valutati e considerati prestigiosi dal gruppo e permettono a chi li occupa di
essere innovativo e influente.
Le gerarchie di status nei gruppi possono variare nel tempo e attraverso le situazioni.
Secondo la teoria dell’aspettativa di status lo status all’interno di un gruppo deriva da due insiemi di
caratteristiche:
1. Caratteristiche dello status specifico: attributi riguardanti l’abilità della persona nel compito del
gruppo;
2. Caratteristiche dello status generale: attributi generalmente valutati in modo positivo o negativo
dalla società.

RETI DI COMUNICAZIONE
Indipendentemente dal proprio ruolo, le persone che fanno parte di un gruppo di solito coordinano le
proprie azioni. Lo fanno comunicando tra loro, attraverso una molteplicità di reti di comunicazione.
Le reti differiscono tra loro nel grado di centralizzazione:
• Tipo centralizzato: tutte le comunicazioni circolano passando per un centro di comunicazione o punto
centrale. Nei compiti semplici sembra migliorare la prestazione di gruppo
• Tipo decentralizzato: ogni ruolo può comunicare direttamente con ogni altro. Nei compiti complessi
funziona meglio.

La centralizzazione presenta un problema di fondo: dato che tutta la comunicazione passa per il centro, i
membri periferici possono sentire di avere meno autonomia e potere. Ciò spesso riduce la soddisfazione
generale e può produrre conflitto all’interno del gruppo.

GRUPPI INTERNI AI GRUPPI


I sottogruppi possono essere inglobati all0interno del gruppo più esteso oppure possono rappresentare
categorie sociali che hanno membri esterni al gruppo più esteso.
A differenza dei ruoli, che solitamente cooperano a maggior vantaggio del gruppo, i sottogruppi spesso
competono ed entrano in conflitto tra loro, arrecando danno al gruppo più esteso.
3.4 PERCHÉ LE PERSONE ENTRANO NEI GRUPPI?

RAGIONI E MOTIVI
La prossimità fisica è un motivo molto comune. Iniziamo ad apprezzare le persone a cui siamo più
prossimi, inoltre la prossimità può rivelare interessi, atteggiamenti e credenze simili.
Un’altra ragione per entrare a far parte di un gruppo è la realizzazione di obiettivi che da soli non si
potrebbero conseguire.
Le persone lo fanno anche per il piacere della compagnia umana e per evitare la solitudine, per ricevere
sostegno emotivo in periodi di forte stress.

Secondo Baumeister e Leary le persone hanno semplicemente un fondamentale bisogno di appartenenza


e questo le porta ad affiliarsi, entrare nei gruppi e diventarne membri.
Secondo la teoria dell’incertezza-identità le persone non amano provare incertezza su chi siano o su
atteggiamenti e comportamenti che si riflettano sul proprio essere. Entrare in un gruppo è un modo
efficace per ridurre l’incertezza sul nostro sé. Quando ci identifichiamo con un gruppo infatti
interiorizziamo le caratteristiche prototipiche del gruppo stesso, che definiscono chi siamo e come
dovremmo comportarci.

ESCLUSIONE, RIFIUTO E DEVIANZA


Il non essere membro di un gruppo può portare a condurre un’esistenza solitaria. Non sorprende che
essere esclusi da un gruppo possa essere un’esperienza dolorosa, in particolare quando i suoi membri
attivano un meccanismo di ostracismo sociale per escludere intenzionalmente una persona.

4. LEADERSHIP
La leadership è un processo di influenza sociale attraverso il quale un individuo ottiene e mobilita l’aiuto
degli altri nel raggiungimento di uno scopo collettivo. Essa richiede che un individuo o un’associazione
influenzi il comportamento di un altro individuo o di un gruppo di individui.
La leadership esiste quando le persone sono persuase a interiorizzare le norme di gruppo che esse mettono
in atto come espressione delle proprie convinzioni.

È necessario distinguere tra:


• Leadership efficace: riesce con successo a fissare nuovi obiettivi e a persuadere gli altri a realizzarli. È
una valutazione oggettiva.
• Leadership buona: possiedono attributi che lodiamo, utilizzano mezzi che approviamo, fissano e
realizzano obiettivi che consideriamo importanti. È una valutazione soggettiva, in termini caratteriali.

4.1 GRANDI LEADER


Una linea di ricerca molto fruttuosa ha esplorato la leadership in relazione a quelle che sono state definite
le dimensioni Big Five . attraverso una meta-analisi basata sui dati provenienti da 73 campioni, è risultato
che i predittori migliori della leadership efficace sono rappresentati dall’estroversione, dall’apertura
mentale e dalla coscienziosità.

4.2 TEORIE SUI TIPI DI LEADER

TEORIE DELLA CONTINGENZA


Le teorie della contingenza si propongono di rilevare se un determinato stile di leadership sia efficace in
relazione alle caratteristiche della situazione. Prenderemo in esame due teorie della contingenza.
La prima è ad opera di Fred Fiedler. Distinse tra:
• Leader orientati al compito
• Leader orientati alla relazione
Lo studioso classificò anche le situazioni di leadership in termini di controllo della situazione (quanto
controllo richiede l’esecuzione efficace di un compito), variabile da alto a basso.
Fiedler misurò lo stile di leadership attraverso la scala del collega meno apprezzato: gli intervistati
davano un voto al collega meno apprezzato impiegando dimensioni differenti come gradevole-sgradevole,
interessante-noioso, ecc. In una prima fase, i risultati furono usati per dividere gli intervistati in gruppi con
potenziale di leadership differente:
• Un punteggio basso indica uno stile orientato al compito
• Un punteggio alto indica uno stile orientato alla relazione
In una seconda fase entra in scena il controllo della situazione:
• I leader orientati al compito sono più efficaci quando il controllo della situazione è scarso o quando è
molto forte
• I leader orientati alle relazioni sono più efficaci quando il controllo della situazione si trova tra questi
due estremi

La seconda teoria è la teoria del percorso-obiettivo (Path-Goal Theory), che presuppone che una delle
funzioni principali del leader sia motivare i gregari chiarendo i percorsi per aiutarli a raggiungere i propri
obiettivi. Ci sono due classi di comportamento del leader:
• Strutturazione: dirige le attività connesse al compito
• Cura: si dedica ai bisogni personali ed emotivi

LEADERSHIP TRANSAZIONALE
Le teorie della leadership transazionale considerano la leadership come un processo di scambio in cui i
gregari forniscono al leader approvazione sociale, prestigio, status e potere e questi, in cambio, guida il
gruppo verso obiettivi importanti, apprezzando e gratificando i gregari per la realizzazione del compito.

Hollander avanza una proposta interessante secondo cui i leader hanno bisogno di ottenere dal gruppo
credito personale, cioè la libertà di essere innovativi ed autonomi. Un leader può accumularlo:
• Conformandosi inizialmente alle norme di gruppo
• Assicurandosi che il gruppo percepisca come democratica la sua elezione a leader
• Assicurandosi di essere ritenuto adeguato al raggiungimento degli obiettivi di gruppo
• Mostrano la propria identificazione con il gruppo

La teoria dello scambio leader-gregario si basa sulla capacità del leader di sviluppare relazioni di scambio
di buona qualità con i singoli gregari.
Un leader efficace sviluppa relazioni di qualità elevata, basate su fiducia, rispetto e impegno reciproco: tali
relazioni aumentano il benessere e la prestazione lavorativa dei collaboratori, legandoli al gruppo con più
forza.

TRASFORMAZIONE E CARISMA
La leadership trasformazionale è un approccio che si focalizza sul modo in cui i leader trasformano gli
obiettivi e le azioni di gruppo, principalmente attraverso l’esercizio del carisma.
I leader trasformazionali stimolano i gregari ad adottare una visione che vada al di là dell’interesse
personale e si prefiggono lo scopo di aumentare le ispirazioni, migliorarne le abilità, sfigare il loro modo di
pensare. Motivano i gregari a identificarsi con loro e la loro visione.
Il carisma gioca un ruolo chiave: i leader devono avere fascino e forza seduttiva, essere estroversi, piacevoli
e dotati di apertura mentale.
4.3 I LEADER GUIDANO I GRUPPI
Teoria della categorizzazione del leader: le nostre percezioni della leadership giocano un ruolo centrale
nelle decisioni che prendiamo in merito alla selezione e al sostegno dei leader.
Esistono differenti categorie di leadership che le persone rappresentano come schemi o prototipi.
In ogni data situazione di leadership, le persone registrano quanto le caratteristiche e le azioni del leader si
armonizzano con il prototipo di leadership rilevante.

Teoria dell’identità sociale della leadership: i gruppi forniscono alle persone identità sociale. Il tipo di
persona che incarna il prototipo si trova al centro dell’attenzione del gruppo, gode del suo massimo
rispetto ed è molto influente: è o può essere un leader. Le persone fanno affidamento sui propri leader
affinché essi esprimano e rappresentino la loro identità, la chiariscano e mettano a fuoco, rendendola
stabile e fissa.

4.4 FIDUCIA, GIUSTIZIA E LEADERSHIP


Un pilastro importante su cui poggia la fiducia è la cura da parte del leader della giustizia procedurale,
cioè di un risultato basato su un processo equo. Ciò incoraggia i gregari ad avere sentimenti positivi verso il
gruppo, identificarsi con esso ed essere cooperativi e obbedienti.

4.5 UOMINI, DONNE E LEADERSHIP


Nel campo del lavoro, della politica e dell’ideologia, generalmente è l’uomo a occupare le posizioni di
massima leadership.
Alice Eagly ha individuato un fenomeno definito soffitto di vetro o gap di genere. Gli stereotipi sociali, in
genere, caratterizzano gli uomini come individui attivi e le donne come individui devoti. Nel contesto della
leadership, gli schemi delle persone caratterizzano i leader come individui attivi, in corrispondenza con uno
stereotipo maschile.

Un’altra ragione alla base è che le donne rivendicano la leadership in modo meno efficace degli uomini.
Esistono quattro barriere principali per le donne che rivendicano autorità:
• Incoerenza con il ruolo
• Mancanza di esperienza nel dirigere
• Responsabilità della famiglia
• Mancanza di motivazione
Un motivo alla base di questo atteggiamento può essere la minaccia dello stereotipo.

5. PROCESSI DECISIONALI NEI GRUPPI

5.1 REGOLE PER PRENDERE DECISIONI


Uno dei modelli più conosciuti fa riferimento a un insieme di regole descritte da Davis: gli schemi delle
decisioni sociali, cioè regole esplicite o implicite alla base del processo decisionale, che collegano le
opinioni individuali alla decisione conclusiva del gruppo.
1. Unanimità: fare pressione sui membri devianti affinché si conformino
2. La maggioranza vince: discussione conferma la posizione della maggioranza
3. La verità vince: discussione rivela la posizione che può dimostrarsi corretta
4. Maggioranza dei due terzi: senza la maggioranza dei due terzi il gruppo non riesce a decidere
5. Primo spostamento: il gruppo alla fine adotta una decisione in linea con quella espressa nel primo
spostamento di opinione da parte di un suo qualsiasi membro.

5.2 MEMORIA DI GRUPPO


Quando un gruppo prende una decisione ha bisogno di una memoria per poter recuperare e organizzare le
informazioni.
Naturalmente, persone differenti recuperano informazioni differenti. Quando le persone si riuniscono in
gruppo per condividere le informazioni, la memoria di ognuno viene espansa, cosicchè il gruppo ricorda di
più.
Il ricordo di gruppo generalmente è un processo costruttivo molto complesso, in cui persone che all’interno
del gruppo differiscono per potere e influenza, mettono sul tavolo differenti ricordi. Attraverso il discorso,
sia il gruppo che i suoi nuovi membri formano una versione soggettiva della verità.

Membri differenti ricordano cose differenti, ma ognuno ha bisogno di ricorda “chi ricorda cosa”. Ciò prende
il nome di memoria transattiva. Nei gruppi di nuova formazione si basa spesso su aspettative stereotipate
riguardo a chi è più probabile che ricordi cosa.
C’è tuttavia un pericolo nascosto nella memoria transattiva: dato che la memoria è distribuita in maniera
disuguale, quando un membro se ne va, parte della memoria di gruppo è temporaneamente perduta o
ridotta.

5.3 BRAINSTORMING
Alcuni compiti decisionali richiedono ai gruppi di inventare soluzioni creative e originali.
Una tecnica comunemente usata è il brainstorming: produzione libera del maggior numero di idee
possibili in un gruppo. Bisogna semplicemente dire qualunque cosa venga in mente e sfruttare le idee altrui
quando è possibile. Si suppone che questa tecnica agevoli il pensiero creativo.
Tuttavia la ricerca afferma diversamente: sebbene i gruppi di brainstorming generino più idee, gli individui
interni al gruppo non sono più creativi di quelli che lavorano da soli; i gruppi nominali possiedono il doppio
della creatività dei gruppo dove c’è interazione.

Il problema più significativo è il blocco produttivo: una riduzione nella creatività e nella produttività
individuale dei gruppi di brainstorming dovuta alle interruzioni e alle attese del proprio turno.

5.4 PENSIERO DI GRUPPO


È una modalità di pensiero in cui il desiderio di raggiungere l’unanimità prevale sulla motivazione ad
adottare procedure decisionali logiche e razionali. La causa principale è l’eccessiva coesione di gruppo, ma
ci sono altri motivi che si collegano a mancanze strutturali nel gruppo e al contesto immediato del
processo decisionale. Insieme, questi fattori generano una gamma di sintomi che richiamano l’attenzione
su procedure decisionali difettose.

5.5 POLARIZZAZIONE DI GRUPPO


I gruppi talvolta possono prendere decisioni rischiose o adottare posizioni assolutamente estreme. Tale
fenomeno è definito polarizzazione di gruppo e sono state avanzate diverse spiegazioni in merito:
• Teoria delle argomentazioni persuasive: quando sentiamo argomentazioni originali che sostengono
la nostra posizione su un tema, il nostro punto di vista si fa più radicale.
• Confronto sociale/valori culturali: la discussione di gruppo rivela quali idee sono socialmente
desiderabili o culturalmente apprezzate; così, nei gruppi che possiedono già un orientamento, ci
muoviamo con lo scopo di ottenere approvazione e di evitare disapprovazione dagli altri.
Il confronto sociale può anche agire attraverso l’ignoranza pluralistica: una situazione in cui degli
individui interni a un gruppo rifiutano a livello privato una norma che presumono invece essere
accettata dagli altri.
• Teoria dell’identità sociale: in quanto membri di un gruppo, ci identifichiamo, costruiamo e ci
conformiamo a una norma dell’ingroup. Questa norma non solo coglie le somiglianze all’interno del
gruppo, ma accentua le differenza tra il nostro e gli altri gruppi.

5.6 ANCHE LE GIURIE SONO GRUPPI


Una giuria è un tipo speciale di gruppo. È composto da persone non specialiste e nei processi penali è
incaricata di prendere una decisione cruciale sull’innocenza o la colpevolezza di qualcuno.
In quanto gruppi, le giurie possono cadere preda delle inadeguatezze dei meccanismi decisionali che
abbiamo delineato.
Le persone citate in giudizio che sono fisicamente attraenti hanno maggiori probabilità di essere assolte o
di ricevere una condanna più lieve. Tuttavia le tendenze sistematiche possono essere ridotte fornendo
sufficienti prove oggettive o presentando alla giuria testimonianze scritte anziché di persona.
L’introduzione di leggi rigide con condanne severe, come la pena di morte, può avere l’effetto opposto di
quello immaginato e scoraggiare le sentenze di condanna da parte dei giurati.

Le giurie spesso devono ricordare ed elaborare enormi quantità di informazioni. La mera quantità
promuove un effetto recency: alla prova presentata per ultima viene attribuito un peso maggiore.
Inoltre, la prova considerata da un giudice inammissibile probabilmente influenzerà lo stesso la decisione
della giuria.
In accordo con gli schemi decisionali, se due terzi o più dei giurati appoggiano inizialmente un’alternativa,
questa rappresenterà probabilmente il verdetto finale della giuria.

CAP. 7 – PREGIUDIZIO E RELAZIONI INTERGRUPPO

1. LA NATURA DEL PREGIUDIZIO E LA DISCRIMINAZIONE


Il pregiudizio e il suo manifestarsi attraverso la discriminazione sono tra i principali ostacoli che si
contrappongono alla conoscenza, e la comprensione delle loro cause e conseguenze è una delle nostre
grandi sfide.

1.1 COS’È IL PREGIUDIZIO?


Un aspetto terribile del pregiudizio è la disumanizzazione di un gruppo di persone, cioè privare le persone
della propria dignità e umanità.
Il pregiudizio è associato a molto del dolore e della sofferenza umana: dalle limitate opportunità di
occupazione dei nuovi immigrati fino addirittura al genocidio.
Il pregiudizio si basa sugli stereotipi negativi affibbiati ai gruppi; tra il pregiudizio e la discriminazione c’è un
legame affine a quello esistente tra gli atteggiamenti e il comportamento nei confronti di un outgroup;
inoltre, il pregiudizio spesso si traduce nell’aggressione verso un outgroup.

1.2 CHE COS’È LA DISCRIMINAZIONE?


Tre tipi di comportamento possono celare pregiudizi di fondo:
• Riluttanza ad aiutare: incapacità di aiutare gli altri gruppi a migliorare la propria posizione nella
società. Ad esempio proprietari riluttanti ad affittare alloggi a minoranze etniche, aziende che non
concedono orari flessibili alle neomamme, ecc.
• Tokenism: pratica consistente nel fare piccole pubbliche concessioni a un gruppo di minoranza per
sviare le accuse di pregiudizio e discriminazione. Può avere conseguenze dannose per l’autostima. In
uno studio si è scoperto che le donne manager che percepivano di aver ottenuto il proprio incarico solo
per concessione erano meno coinvolte con l’azienda e meno soddisfatte del proprio lavoro.
• Discriminazione inversa: è una forma estrema di tokenism. Le persone con atteggiamenti residuali di
pregiudizio possono talvolta fare uno strappo alla regola e favorire i membri di un gruppo verso di cui
nutrono dei pregiudizi in misura maggiore dei membri di altri gruppi. Questo fenomeno può avere
effetti positivi a breve termine, ma sul lungo periodo può avere conseguenze dannose per i suoi
destinatari.
2. DUE “ISMI”: RAZZA E GENERE

2.1 RAZZISMO
La discriminazione basata sulla razza o l’etnia è storicamente responsabile di alcuni dei più terrificanti atti
di inumanità di massa.
La maggior parte della ricerca sul razzismo si è focalizzata su atteggiamenti e comportamenti sfavorevoli
nei riguardi delle persone di colore negli Stati Uniti dove, storicamente, gli afroamericani sono stati
considerati in modo negativo.

NUOVO RAZZISMO
Nel corso di 60 anni è diminuito il numero di coloro che considerano gli afroamericani superstiziosi, pigri e
ignoranti. Lavorando in un contesto teorico basato sulla cognizione sociale, Devine e Elliot rilevarono che
più del 25% degli intervistati considerava gli afroamericani atletici e dotati di senso del ritmo, ma anche
meno intelligenti, predisposti al crimine e ostili. Gli stereotipi specifici sono dunque cambiati, ma la
negatività rimane.

Poiché il razzismo palese è di solito illegale e socialmente condannato, oggi è più difficile da smascherare.
Il nuovo razzismo riflette il conflitto che le persone sperimentano tra l’antipatia emotiva profondamente
radicata verso outgroup razziali e i valori dell’uguaglianza. Le persone con questo pregiudizio risolvono il
problema conducendo vite separate ed evitando il problema della razza. Negano lo svantaggio razziale e vi
oppongono un’azione costruttiva o altre misure indirizzate ad affrontare lo svantaggio razziale.

COME RILEVARE IL RAZZISMO


La sfida della psicologia sociale è riuscire a rilevare il nuovo razzismo: per rilevarlo nella sua forma meno
percepibile si ha in generale necessità di misure non invasive. Il razzismo infatti può involontariamente
allignare anche nelle parole che usiamo, nel modo in cui ci esprimiamo e in cui comunichiamo con e sugli
outgroup razziali nei nostri discorsi quotidiani.

2.2 SESSISMO
Sono stati condotti molti studi sulla psicologia del genere e si è osservato che quasi sempre la ricerca sul
sessismo si concentra su pregiudizio e discriminazione verso le donne. Questo perché soprattutto le
donne, nella storia, hanno sofferto come vittime di sessismo.

STEREOTIPI E RUOLI SESSUALI


La ricerca sugli stereotipi sessuali ha rilevato che sia gli uomini sia le donne tradizionalmente sono concordi
a giudicare gli uomini competenti e indipendenti e le donne gentili e comunicative. Sono stereotipi sociali
del tutto condivisi. Il solo fatto di conoscere tali stereotipi non significa però che personalmente ci
crediamo.

Nella rassegna di Fiske sugli stereotipi sessuali vengono individuati nella cultura occidentale quattro
sottotipi principali di donna:
1. Casalinga
2. Donna sexy
3. Donna in carriera
4. Femminista/atleta/lesbica
I primi due rappresentano una dimensione interpersonale, mentre gli altri una dimensione relativa alla
competenza.
I sottotipi maschili sono meno definiti, ma i due principali sono l’uomo d’affari e il macho: entrambi
rappresentano la dimensione della competenza.
Teoria del ruolo sociale: le differenze sessuali nelle occupazioni sono determinate dalla società piuttosto
che da fattori biologici individuali.

GENERE E POTERE
Una ragione per cui gli stereotipi sessuali persistono è data dal fatto che persiste l’assegnazione di ruolo in
relazione al genere. Certe occupazioni sono state etichettate come “lavoro da donne” e vengono di
conseguenza valutate di meno.
Ciò indica che alcuni ruoli possono essere sessualmente tipizzati e che con l’incrementare dell’assunzione
di ruoli maschili da parte delle donne potrebbe esserci un cambiamento sostanziale degli stereotipi
sessuali. Tuttavia potrebbe anche verificarsi il contrario: poiché le donne ricoprono un ruolo
tradizionalmente maschile, il ruolo stesso può essere meno stimato.
Le donne nel corso della loro ascesa, e proprio a ridosso della vetta, vanno a sbattere contro una barriera
invisibile, definita soffitto di vetro: barriera invisibile che impedisce alle donne e ad altre minoranze di
ottenere posizioni di comando al vertice. Il pregiudizio maschile contro le donne in cerca di potere genera
un contraccolpo che sta alla base di questo fenomeno.

2.3 PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA E MINACCIA DELLO STEREOTIPO


Gli atteggiamento di pregiudizio sfociano in un comportamento discriminatorio manifesto o nascosto e col
tempo ciò crea degli svantaggi. In questo modo, una credenza stereotipica può creare una realtà che
conferma la credenza: è un caso di profezia che si autoavvera.
I membri di un gruppo stigmatizzato conoscono esattamente gli stereotipi negativi che gli altri hanno nei
loro riguardi e sperimentano quella che viene definita minaccia dello stereotipo. Gli individui stigmatizzati
sono consapevoli che gli altri possono giudicarli e trattarli in maniera stereotipata; nei compiti di vero
interesse per loro, temono di poter confermare attraverso il proprio comportamento gli stereotipi.
Queste preoccupazioni non solo incrementano l’ansia, ma possono anche pregiudicare la qualità
dell’esecuzione di un compito.

2.4 DISCRIMINAZIONE ESTREMA: VIOLENZA E GENOCIDIO


Gli atteggiamenti basati sul pregiudizio tendono ad avere aspetti comuni: coloro che ne sono bersaglio
sono per esempio considerati sporchi, stupidi, insensibili, ripugnanti e psicologicamente instabili. Ci
troviamo di fronte a un gruppo che valuta gli altri come esseri umani relativamente privi di importanza, che
non meritano di essere trattati con rispetto.
Queste sono caratteristiche della disumanizzazione, che insieme alla paura e all’odio formano un potente
mix che può favorire la violenza individuale oppure incoraggiare l'aggressione di massa.
In assenza di esplicito sostegno istituzionale legislativo, la disumanizzazione solitamente promuove gli atti
individuali di violenza. Quando il pregiudizio e moralmente accettato e legalmente approvato dalla società
possono essere perpetrati atti sistematici di discriminazione di massa .

La forma più estrema di pregiudizio legittimato è il genocidio. Il genocidio può anche essere praticato in
modo più indiretto, creando le condizioni per un enorme svantaggio materiale, che porta un gruppo, di
fatto, ad annientarsi attraverso malattie, suicidi e delitti causati dall' alcolismo, dall' abuso di droga e dalla
profonda disperazione.

3. PREGIUDIZIO E DIFFERENZE INDIVIDUALI

3.1 LA PERSONALITÀ AUTORITARIA


Theodor Adorno e co. Descrissero quella che ritenevano essere una sindrome della personalità in grado di
predisporre alcune persone all’autoritarismo. Elaborarono la teoria della personalità autoritaria, secondo
cui le pratiche autoritarie e punitive nell'educazione dei figli sono responsabili della manifestazione in età
adulta di varie combinazioni di credenze. Tra queste etnocentrismo e intolleranza verso minoranze
etniche e religiose.
Con la pubblicazione di questo importante lavoro Adorno riferì che lui e il suo gruppo avevano messo a
punto un questionario conosciuto come California F-scale, inizialmente destinato a valutare le inclinazioni
verso il fascismo, ma rivelatosi essere una misura di autoritarismo in generale.

3.2 TEORIE BASATE SULLA POLITICA

TEORIA DELLA DOMINANZA SOCIALE


La teoria della dominanza sociale, sviluppata da Sidanius, è un approccio in cui pregiudizio, sfruttamento
e oppressione sono attribuiti a un ideologia che legittima una differenziazione gerarchica tra i gruppi
sociali. Una determinata società svilupperà un insieme di atteggiamenti e valori che creano un' ideologia
che consolida la dominanza sociale. Ciò rinforza le relazioni sociali di tipo gerarchico e mantiene il
pregiudizio. Anche alle istituzioni di una società possono rafforzare la gerarchia esistente: ad esempio il
sistema giudiziario penale.
La teoria della dominanza sociale tiene conto delle differenze sociali. Alcune persone vogliono una società
basata sulla gerarchia, che sostenga la discriminazione; altre ne vogliono una basata sull’uguaglianza
virgola che persegua la giustizia.

TEORIA DELLA GIUSTIFICAZIONE DEL SISTEMA


La teoria della giustificazione del sistema è strettamente collegata alla teoria della dominanza sociale,
ma e più specificatamente connessa ai punti di vista delle persone sulla politica. La sua tesi fondamentale è
quella secondo cui le persone si differenziano a seconda del grado in cui giustificano lo status quo politico
virgola e le politiche sociali ed economiche che l' accompagnano.
La maggior parte delle ideologie e si colloca lungo una dimensione sinistra-destra. Un polo viene spesso
chiamato liberale: le persone chiedono il cambiamento e rifiutano la disuguaglianza sociale; l'altro polo è
conservatore: le persone si oppongono al cambiamento e approvano la disuguaglianza sociale.
La giustificazione del sistema è più marcata tra i conservatori che tra i liberali. I conservatori giustificano e
proteggono il sistema sociale esistente - lo status quo - anche se ciò significa sostenere una posizione
sfavorevole per il proprio gruppo.

4. RELAZIONI INTERGRUPPO E MALCONTENTO SOCIALE


Esistono diverse teorie e linee di ricerca secondo cui gli atteggiamenti derivano dai gruppi ai quali
apparteniamo. Poiché il pregiudizio trova i suoi bersagli degli outgroup, le sue origini sono negli ingroup. In
questo senso, la discriminazione è un tipo di comportamento intergruppo.
una vecchia teoria sull’aggressività, l'ipotesi della frustrazione-aggressività, è una teoria secondo cui ogni
frustrazione conduce all'aggressività e tutta l'aggressività deriva dalla frustrazione, utilizzata per spiegare il
pregiudizio e l'aggressività intergruppo.
Leonard Berkowitz estese il campo di azione della teoria per spiegare l' aggressività intergruppo in un
contesto collettivo come una rivolta. Prese in considerazione anche l'esperienza della deprivazione
relativa.

4.1 DEPRIVAZIONE RELATIVA


Per deprivazione relativa intendiamo il divario percepito tra le aspettative e i risultati.
La deprivazione relativa è una condizione che frustra le persone e che secondo alcuni psicologi sociali
anticipa l'aggressività intergruppo.
Nella sua trattazione delle rivoluzioni politiche il sociologo James Davies propose un modello di curva J
per rappresentare il modo in cui le persone creano le proprie aspettative future a partire dai risultati passati
e attuali e come, in determinate circostanze, i successi possano improvvisamente risultate al di sotto delle
proprie aspettative di crescita. Quando ciò accade, la deprivazione relativa è particolarmente acuta e ha
come conseguenza l'insoddisfazione collettiva.
4.2 PROTESTA COLLETTIVA E CAMBIAMENTO SOCIALE
Il malcontento sociale unito alla deprivazione relativa costituisce spesso una prolungata protesta
finalizzata al raggiungimento di un cambiamento sociale.
Bert Klandermans ha identificato tre concetti fondamentali della protesta collettiva:
1. Ingiustizia: indignazione per il modo in cui le autorità trattano un problema sociale.
2. Efficacia: convinzione che la situazione sia modificabile tramite un’azione collettiva a un prezzo
ragionevole.
3. Identità: è definita dai componenti del gruppo.
Quando le persone si identificano in modo molto intenso con un gruppo hanno una percezione
potentemente condivisa dell’ingiustizia, dei bisogni e degli obiettivi collettivi.

5. TEORIA DEL CONFLITTO REALISTICO


Laddove i gruppi competono per risorse limitate, le relazioni intergruppo sono segnate da conflitti e sorge
il etnocentrismo. Sherif Verifico questa idea in numerosi famosi esperimenti condotti in campi estivi
americani per ragazzi.
La procedura generale comprendeva tre fasi:
1. I giovani arrivavano al campeggio, gestito a loro insaputa dagli sperimentatori, e si impegnavano in
varie attività che si svolgevano in tutto il campo, grazie alle quali nascevano amicizie.
2. Il campo veniva diviso in due gruppi, che portava le amicizie a frazionarsi. I gruppi erano isolati, con
alloggi separati e attività giornaliere diverse.
3. In seguito, i gruppi si incontrarono per competizioni intergruppo. Letto uno centrismo incrementava
insieme all'aggressività intergruppo e alla solidarietà ingroup. gli incontri erano spesso segnati da
atteggiamenti ostili: la situazione degenerò al punto che due dei tre esperimenti furono interrotti in
fretta.
Tuttavia in un terzo esperimento fu possibile procedere a una quarta fase.
4. Ai due gruppi vennero dati obiettivi sovraordinati: obiettivi che entrambi desideravano raggiungere
ma che soli non potevano realizzare. Sherif e co. rilevarono un graduale miglioramento nelle relazioni
intergruppo, poiché c’erano più esempi di coooperazione finalizzata a raggiungere gli obiettivi.

La spiegazione di Sherif era rappresentata dalla teoria del conflitto realistico, Secondo cui la natura delle
relazioni basate sull’obiettivo determina la natura delle relazioni intergruppo. Gli individui che condividono
obiettivi che richiedono interdipendenza tendono a cooperare e a formare un gruppo. Tuttavia gli individui
che hanno obiettivi reciprocamente esclusivi si impegnano in una competizione.
Quando gli obiettivi condivisi richiedono interdipendenza ai fini del loro raggiungimento - cioè quando gli
obiettivi sono sovraordinati - si riduce il conflitto e si promuove l'armonia.

6. TEORIA DELL’IDENTITÀ SOCIALE


L'appartenenza di una persona o un gruppo definisce aspetti cruciali del suo sé e gioca un importante ruolo
nel modo in cui questa si percepisce.
Quali sono le condizioni minime e necessarie perché un insieme di individui sia etnocentrico e ingaggia una
competizione intergruppo?

6.1 GRUPPI MINIMALI


Tajfel e co. Idearono un affascinante paradigma per rispondere a questa domanda: il paradigma del
gruppo minimale.
Studenti di 14 e 15 anni parteciparono a quello che credevano essere uno studio sul processo decisionale;
furono assegnati a uno dei due gruppi costituiti in realtà in maniera casuale, ma apparentemente sulla base
delle preferenze espresse nei confronti dei dipendenti astratti di Klee o di Kandiskyij. Ogni ragazzo che
aveva soltanto di appartenere a un gruppo o all'altro; venivano usati i codici numerici per nascondere
l'identità di tutti gli altri studenti in entrambi i gruppi.
Ogni ragazzo in maniera individuale distribuiva dei punti all'interno di coppie di studenti identificate solo
dal codice numerico e dall' appartenenza al gruppo. Il compito fu ripetuto in diverse prove, ogni volta con
una coppia differente, composta da un membro ingroup e da uno outgroup.
I risultati emersi da un esperimento iniziale furono stupefacenti: i ragazzi mostravano una forte tendenza
sistematica a favore del proprio gruppo. Cioè era sorprendente perché i gruppi erano minimali: cioè non
erano stati creati sulla base di alcun criterio definito; i ragazzi non conoscevano l'identità dei membri
dell’uno e dell’altro gruppo e non entrava in gioco alcun interesse personale.

Per qualche tempo la ricerca suggerì che il mero atto di essere categorizzati in un gruppo fosse sufficiente
per generare etnocentrismo e comportamento competitivo intergruppo. Sembra che ho un motivo per cui
le persone si identificano con i gruppi, anche minimali, sia dato dal desiderio di ridurre l'incertezza
soggettiva.
La conclusione è che la categorizzazione sociale ha un ruolo fondamentale nel comportamento
intergruppo. Su questa base, Tajfel sviluppò il concetto di identità sociale.

IDENTITÀ SOCIALE E APPARTENENZA AL GRUPPO


La società è strutturata in distinti gruppi sociali che si trovano in rapporto reciproco di potere e di status. Le
categorie sociali di tutti i tipi forniscono ai membri un' identità sociale. Questo significa che le persone si
conformeranno a norme ingroup e dimostreranno sia solidarietà che favoritismo ingroup.
L'identità sociale e distinta dall’identità personale. Quest'ultima è la parte del concetto di sé che deriva dai
tratti individuali e dai rapporti peculiari che intratteniamo con gli altri. L'identità personale è associata al
comportamento individuale e interpersonale piuttosto che ai comportamenti di gruppo e intergruppo.

TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE DEL SÉ


Secondo la teoria della categorizzazione del sé le persone rappresentano mentalmente le categorie
sociali e i gruppi come prototipi. Un prototipo è un insieme sfuocato di attributi che descrive un gruppo e lo
distingue da altri gruppi rilevanti. I prototipi obbediscono al principio del meta-contrasto: formiamo
categorie in modo che le differenze tra queste superino le differenze al loro interno.
Quando categorizziamo le persone le vediamo attraverso le lenti del prototipo rilevante, ingroup
outgroup. Le vediamo come membri di un gruppo piuttosto che come individui unici, e ciò conduce alla
depersonalizzazione: la percezione e il trattamento di sé e degli altri non come individui unici, ma come
incarnazioni prototipiche di un gruppo sociale.

COME FUNZIONA L’IDENTITÀ SOCIALE


Le categorie sociali vengono attivate in maniera selettiva, perché la loro accessibilità nella nostra memoria
è alta oppure perché si adattano bene agli indizi presentati dal contesto.
L'identità sociale di un individuo presenta le due importanti funzioni i seguenti:
1. Autoaccrescimento: I gruppi intrattengono un reciproco rapporto di status e prestigio e noi ne siamo
consapevoli. Competono per differenziarsi in maniera a loro favorevole.
2. Riduzione dell’incertezza soggettiva: nella vita vogliamo sapere chi siamo, come relazionarci con gli
altri e cosa aspettarci da loro, come rendere la vita a prevedibile e a programmare un’azione efficace.

6.2 IDENTITÀ SOCIALE E RELAZIONI INTERGRUPPO


Nella sua forma originale, l'approccio dell'identità sociale offriva una spiegazione del conflitto intergruppo
e del cambiamento sociale.
Le credenze sulle relazioni intergruppo sono costrutti ideologici che possono rispecchiare o meno la realtà.
Un sistema di credenza basato sulla mobilità sociale inibisce l'azione di gruppo da parte di un gruppo
subordinato; incoraggia invece gli individui a staccarsi dal proprio gruppo e a cercare di essere accettati nel
gruppo dominante.
Le persone convinte che un confine intergruppo sia impermeabile al passaggio, trovano un'altra soluzione:
adottano un sistema di credenza basato sul cambiamento sociale. Tuttavia ciò è possibile a condizione
che lo status quo sia percepito come incerto; se è certo le persone possono non essere capaci di
immaginare una struttura sociale alternativa.

7. COME MIGLIORARE LE RELAZIONI INTERGRUPPO

7.1 EDUCARE ALLA TOLLERANZA


Il pregiudizio si basa in parte sul l'ignoranza: un'educazione che promuova la tolleranza per il diverso potrà
ridurre la chiusura mentale, in particolare nei bambini. Nonostante ciò, l'educazione formale avrà un
impatto solo marginale se i bambini rimarranno esposti al pregiudizio nel mondo al di fuori delle aule
scolastiche.
Una strategia efficace con i bambini e far loro provare l'esperienza di essere prima stigmatizzati e poi resi
oggetto di angherie.
I bambini educati a essere attenti agli altri - a pensare agli altri non per stereotipi ma come individui
complessi e completi - possono certamente cambiare.

7.2 CONTATTO TRA I GRUPPI

IL CONTATTO PORTERÀ A PERCEPIRE SOMIGLIANZA?


Il contatto porta le persone a riconoscere che in realtà esse sono molto più simili di quanto pensassero.
Possono tuttavia sorgere dei problemi che minano questa prospettiva. alcuni gruppi, come quelli
provenienti da culture differenti, possono essere molto diversi, e il contatto potrà evidenziare differenze
più profonde e più ampie di quanto immaginato; dalle differenze possono ridurre ulteriormente le simpatie
e peggiorare gli atteggiamenti intergruppo.

L'ESPERIENZA PERSONALE SI POTRÀ ESTENDERE AL GRUPPO?


La ricerca suggerisce che quando il contatto migliora gli atteggiamenti nei confronti di altri individui, ciò
non si può generalizzare al gruppo nella sua interezza. Questo può accadere perché quello che noi amiamo
chiamare contatto intergruppo è in realtà un contatto interpersonale.
Qualche prova sperimentale testimonia che il contatto può funzionare. Se due individui cooperano in
modo soddisfacente per un lavoro, e uno considera l'altro come membro tipico di un outgroup, gli
atteggiamenti verso quell’outgroup possono migliorare.
Il modello dell’identità dell' ingroup comune suggerisce che se i membri di gruppi contrapposti vengono
incoraggiati a essere più inclusivi, ricategorizzando se stessi come membri dello stesso gruppo, gli
atteggiamenti intergruppo non solo miglioreranno ma di fatto spariranno.

POLITICA BASATA SUL CONTATTO IN CONTESTI MULTICULTURALI


Politica melting pot: tutti i gruppi sono apparentemente trattati alla stessa maniera.
Può sfociare nell’assimilazione.
Questo approccio presenta alcuni problemi:
• La discriminazione ha agito in modo da emarginare determinati gruppi. A meno che non vi si
intervenga, lo svantaggio non potrà che persistere.
• l' approccio ignora la realtà delle differenze etniche e culturali.
• Il melting pot non è affatto un calderone che contiene tutto: è un calderone che dissolve tutto. le
minoranze etniche, assimilate, cessano di esistere.

L'alternativa all'assimilazionismo è il multiculturalismo: un approccio che mira a una società


multiculturale in cui i rapporti tra i gruppi siano armoniosi. Può essere necessario vorrei particolare
attenzione nel processo di attuazione del multiculturalismo, affinché non si sostengano conflitti nascosti e
non si alimenti il separatismo.
CAP. 8 – DANNEGGIARE GLI ALTRI

1. COS’È L’AGGRESSIVITÀ?
L'aggressività si esprime a diversi livelli, alcuni di scarso rilievo, altri di rilievo enorme.

1.1 DEFINIZIONE DI AGGRESSIVITÀ


All'aggressività sono state attribuite diverse definizioni.
Una virgola riportata nei testi moderni, è la seguente: “infliggere in maniera intenzionale qualche tipo di
danno agli altri”.

1.2 COME MISURARE L’AGGRESSIVITÀ


La definizione di aggressività può variare da uno studioso all'altro e a seconda delle differenti culture.
Anche nella tradizione sperimentale ricercatori diversi hanno usato misurazioni differenti per
l'aggressività: prendere a pugni un pupazzo; premere un pulsante che si suppone infligga una scossa
elettrica a qualcuno; esprimere verbalmente la propensione all'uso della violenza.
Ognuna di queste misure è stata usata come analogo, o sostituto, della cosa reale. La ragione principale è
ovviamente di tipo etico.

1.3 COSA AFFERMANO LE PRINCIPALI TEORIE?


Secondo un approccio biologico, l'aggressività è un istinto basilare dell'uomo, un modello di azione innato
e definitivo che condividiamo con le altre specie. Ciò significa che l'aggressività deve avere un fondamento
genetico.
Altri teorici privilegiano il ruolo cruciale che giocano i fattori ambientali e rimangono ottimisti sul fatto che
possiamo prevenire e controllare la violenza.
Le sfide attuali per gli psicologi sono quelle di identificare le ragioni per le quali le persone sono aggressive
nei confronti degli altri e trovare i modi di ridurre gli effetti dannosi per le vittime, l'aggressore e la società.
Sebbene questa distinzione non sia rigida, le spiegazioni dell’aggressività cadono all'interno di due grandi
classi: biologica e sociale.

2. TEORIE BIOLOGICHE DELL’AGGRESSIVITÀ


Con il termine istinto si fa riferimento a una tendenza innata degli esseri viventi a comportarsi in un certo
modo. Il comportamento a queste caratteristiche: e spontaneo, rivolto a un obiettivo, vantaggioso per
l'individuo, idoneo a un ambiente normale, condiviso dai membri della specie.
Tre punti di vista importanti che trattano dell'aggressività umana affermano in modo convincente che il
comportamento aggressivo e una parte innata della natura umana.
La teoria più vecchia è basata sulla teoria psicodinamica.

2.1 TEORIA PSICODINAMICA


In Al di là del principio di piacere Freud affermava Che l' aggressività umana nasce da un innato istinto di
morte, contrapposto all'istinto di vita.
Inizialmente, l'istinto di morte è diretto all'autodistruzione ma, come il bambino cresce, questo istinto si
dirige verso gli altri. Come il desiderio sessuale, derivante dall’istinto di vita, così lo stimolo aggressivo,
derivante dall’istinto di morte, si sviluppa da tensioni fisiche e ha necessità di essere espresso.

Le teorie di Freud furono riviste più tardi da teorici che si richiamavano alla sua posizione, che considera
l'aggressività come un processo più razionale, ma tuttavia innato, mediante il quale le persone cercano di
trovare uno sfogo salutare degli istinti primordiali alla base di tutte le specie animali.
2.2 ETOLOGIA
L'etologia è un ramo della biologia dedicato allo studio degli istinti o a modelli costanti di azione, rilevati
fra tutti i membri di una specie nel loro ambiente naturale.
Gli etologi sottolinearono gli aspetti positivi e funzionali dell'aggressività, ma individuarono anche che il
comportamento aggressivo reale è suscitato da stimoli specifici dell'ambiente, conosciuti come
catalizzatori.
Per sostenere che l'aggressività ha valore di sopravvivenza, Lorenz citava i principi evolutivi. un animale è
molto più aggressivo verso gli altri membri della propria specie. Estese le sue argomentazioni agli umani,
che sono in possesso anche di un ereditario istinto al combattimento: un impulso innato all' aggressività
che gli etologi considerano condiviso dagli umani insieme ad altri animali.

L' etologia suggerisce che:


1. Una volta che iniziamo a essere violenti, non sembriamo capire quando fermarci.
2. Riguardo all' uccisione in genere, possiamo fare ricorso alle armi.
In breve, gli umani hanno la capacità di danneggiare gli altri facilmente e con pochissimo sforzo.

2.3 TEORIA DELL’EVOLUZIONE


La teoria dell’evoluzione è un approccio ambizioso che non solo presuppone per l'aggressività una base
innata, ma ipotizza anche un fondamento biologico per tutto il comportamento sociale.
La tesi evolutiva è provocatoria: il comportamento specifico si è sviluppato perché favorisce la
sopravvivenza di geni che permettono all' individuo di vivere abbastanza a lungo da trasmettere gli stessi
geni alla generazione successiva. L'aggressività è adattiva, in quanto deve essere collegata a una vita
abbastanza lunga da permettere la riproduzione: per questo è utile all'individuo e alla specie.

2.4 LIMITI DELLE ARGOMENTAZIONI BIOLOGICHE


Spiegare l'aggressività puramente in termini biologici è affascinante, anche perché ciò è coerente con la
popolare ipotesi secondo cui la violenza fa parte della natura umana.
D'altra parte, la nostra componente ereditaria può interagire con dei fattori legati al contesto sociale.

3. TEORIE SOCIALI DELL'AGGRESSIVITÀ

3.1 FRUSTRAZIONE E AGGRESSIVITÀ


Il legame tra frustrazione e aggressività fu per la prima volta chiarito con l'ipotesi della frustrazione-
aggressività, secondo cui l'aggressività è la risposta a una precedente condizione di frustrazione.
L'assunzione alla base è di natura psicodinamica: puntare al raggiungimento dei nostri obiettivi implica
l'attivazione dell'energia psichica e, in caso positivo, il nostro successo è catartico: cioè dissipa un'energia
attivata e restituisce il sistema all'equilibrio psicologico. Se invece rimaniamo bloccati cadiamo in preda
alla frustrazione: l'energia psichica rimane tuttavia attivata e il nostro sistema psicologico si trova in uno
stato di squilibrio che può essere corretto solo dall’aggressività.
Il nostro bersaglio, solitamente, è l'agente frustrante; In molti casi, però, questo non ha una forma, è
indefinito, irreperibile oppure è qualcuno che si ama. Di conseguenza il nostro tentativo di aggredire è
inibito. Esiste però una soluzione: possiamo spostare la nostra aggressività su un bersaglio alternativo.

Questa ipotesi ha ricevuto notevoli critiche nel corso degli anni. Una delle principali è rappresentata dal
fatto che la frustrazione non è necessaria né sufficiente per scatenare l'aggressività. La collera è un
predittore di aggressività più affidabile rispetto alla frustrazione.
3.2 ATTIVAZIONE E AGGRESSIVITÀ
Secondo il modello del trasferimento dell'eccitazione, l’aggressività ha luogo quando sono presenti i
seguenti elementi:
• Comportamento aggressivo appreso
• Attivazione che può provenire da qualunque fonte
• Interpretazione da parte della persona di questa attivazione in modo che la risposta aggressiva sembri
appropriata
Questa attivazione può persistere per qualche tempo e condurre dalla situazione originaria a un'altra
potenzialmente irritante, rendendo possibile una risposta aggressiva. Uno stato di attivazione crescente
può spesso portarci a essere più aggressivi di quanto lo siamo di solito.

3.3 COME SI IMPARA A ESSERE AGGRESSIVI


La teoria dell'apprendimento sociale è un approccio psicologico di tipo comportamentale adottato da
Bandura per rendere conto delle origini del comportamento antisociale. Sebbene Bandura grazie al
processo di socializzazione, i bambini imparano ad aggredire, o perché sono direttamente ricompensati o
perché qualcun altro sembra esserlo grazie alle loro azioni.
L'esperienza può essere diretta o vicaria.
L'idea dell'apprendimento per esperienza vicaria è una variante particolare della teoria
dell'apprendimento: l'apprendimento si verifica attraverso il modellamento e l'imitazione di altre persone.
La sequenza di apprendimento dell'aggressività può essere stesa al di là delle interazioni dirette tra le
persone, per includere le immagini dei mezzi di comunicazione, come la televisione.

MODELLAMENTO NEI BAMBINI


I bambini imitano in fretta le azioni aggressive degli altri. Un adulto è un modello forte, perché i bambini
percepiscono le persone più anziane della propria famiglia come figure responsabili e autorevoli.
I bambini quando servono un adulto comportarsi in modo aggressivo in qualunque condizione, si
comportano in seguito con maggiore aggressività.
Più di recente la teoria dell'apprendimento sociale sia integrata con il lavoro condotto nella cognizione
sociale grazie a un tipo particolare di schema cognitivo: lo script. I bambini apprendono le norme di
condotta da coloro che stanno loro attorno, per esempio il modo e le circostanze in cui è lecito comportarsi
aggressivamente. Queste regole vengono interiorizzate.

Come può essere appresa, l'aggressività può anche essere modificata e corretta. Questa è la base del
programma di modificazione del comportamento, come il controllo della collera, usato da psicologi clinici
e che lavorano in comunità per aiutare le persone a trovare modi più pacifici di trattare con gli altri.

4. RUOLO DEI MASS MEDIA

4.1 MASS MEDIA


Bandura Ha mostrato come la violenza cinematografica e televisiva falsi la percezione dei suoi effetti,
attenuando sia gli atti aggressivi, sia i danni inferti alle vittime. Un aggressore può essere rappresentato
con un tizio simpatico e rimanere impunito per i suoi atti di violenza: I bambini saranno pronti a imitare il
comportamento di un modello che è rinforzato per l' aggressività, o che almeno sfugge alla punizione.

4.2 LA MEMORIA SI METTE ALL'OPERA


Secondo l'analisi neoassociazionista di Berkowitz, l'esposizione a immagini violente - reali o di fantasia -
può portare in seguito ad azioni antisociali; al contrario, l'esposizione a immagini di persone che aiutano gli
altri può portare ad azioni prosociali.
L'autore trasse dalla psicologia cognitiva l'idea della memoria come insieme di reti, ciascuna formata da
nodi. Un nodo può comprendere componenti di pensieri e sentimenti, connessi tramite legami neuronali di
tipo associativo. Quando un pensiero entra in gioco, la sua attivazione si diffonde verso l'esterno a partire
da quel particolare nodo, passando per le vie nervose associative agli altri nodi, che a loro volta possono
suscitare un effetto priming.

4.3 REAZIONI A IMMAGINI EROTICHE


Le prove raccolte in una rassegna di studi indicano che l'esposizione alla pornografia è connessa alla
devianza sessuale, ai crimini sessuali e ad atteggiamenti predisposti a relazioni intime e a false credenze
sullo stupro.
Tuttavia ogni effetto sull’aggressività dipende dal tipo di materiale guardato. Per esempio le immagini di
nudi attraenti hanno un effetto di svago e sembrano ridurre l' aggressività rispetto a immagini neutre;
d'altra parte, la visione di immagini di rapporti sessuali espliciti può aumentare l' aggressività.

In un esperimento i partecipanti furono esposti a una massiccia dose di pornografia violenta, quindi
vennero infastiditi da un collaboratore. Diventarono più insensibili a ciò che avevano visto: considerarono
lo stupro in modo più tollerante e si dimostrarono più indulgenti nelle condanne carcerarie che avrebbero
comminato. Tuttavia il progetto sperimentale implica un successivo evento irritante virgola di
conseguenza tale risultato potrebbe rappresentare un caso di trasferimento dell'eccitazione.

5. VARIAZIONI CHE DIPENDONO DALLA PERSONA E DALLA SITUAZIONE

5.1 PERSONALITÀ ED EFFETTI DELL’ATTIVITÀ O RMONALE


Si sono raggiunti esiti incoraggianti studiando gli effetti connessi alla personalità di tipo A all'attività
ormonale.
La sindrome della personalità di tipo A è associata la predisposizione alla coronaropatia: le persone che
mostrano questo modello sono iperattive ed eccessivamente competitive nei confronti degli altri, e
possono essere più violente nei confronti dei bambini.
Le persone di tipo A:
• Possono essere più aggressive verso gli altri che ritengono competere con loro in un compito
importante.
• Preferiscono lavorare sole piuttosto che con altri quando sono sotto stress, probabilmente per evitare
di essere esposti all'incompetenza altrui e per sentire la situazione sotto controllo.

L’endocrinologo Gladue Rilevo livelli di aggressività manifesta più alti nei maschi rispetto alle femmine.
Questa differenza si applicava indipendentemente dal fatto che gli uomini fossero eterosessuali o
omosessuali.

5.2 ALCOLICI E CONTESTO SOCIALE


Sembra esserci un forte legame tra alcol e comportamento aggressivo.
In uno studio sperimentale vennero somministrati a studenti maschi alcolici o placebo , creando due
condizioni differenti. In un locale ognuno di loro competeva con un altro partecipante (un collaboratore
dello sperimentatore) in un compito che prevedeva la rilevazione del tempo di reazione. In ogni coppia la
persona che si fosse dimostrata più lenta in una data prova avrebbe ricevuto una scarica elettrica dalla
persona più veloce. Il livello della scarica era selezionato da ogni persona prima che avesse inizio la prova.
la regolazione della scossa era in realtà determinata dallo sperimentatore. vi erano quattro fasi successive
di pressione sociale in cui un secondo collaboratore, che stava osservando gli eventi, talvolta incitava il
partecipante a infliggere una scarica: i partecipanti che avevano bevuto di più erano più influenzabili e
continuavano a dare scosse più alte anche dopo che la pressione era scomparsa.

5.3 DISINIBIZIONE, DEINDIVIDUAZIONE E DISUMANIZZAZIONE


Disinibizione: il termine si riferisce a una riduzione delle abituali pressioni sociali che operano per
trattenerci dall'agire in modo antisociale, illegale o immorale.
Vi sono diversi modi in cui le persone perdono le proprie normali inibizioni nei riguardi dell’aggressività,
uno dei quali e la deindividuazione: un processo tramite cui le persone perdono il proprio senso di identità
individuale socializzata e assumono comportamenti non sociali , spesso antisociali.
Leon Mann applicò il concetto di deindividuazione a un contesto di aggressività collettiva, la “folla che
aizza”. La situazione tipica è rappresentata da una persona che minaccia di buttarsi da un alto palazzo, da
una folla che si raduna nello spazio sottostante e da qualcuno che inizia a ritmare: “salta, salta”.
Mann analizzò le cronache dei suicidi riportate sui giornali degli anni 60 e 70, scoprendo che in 10 dei 21
casi presi in considerazione, era presente una folla che guardava e incitava. Ciò capitava con più probabilità
di sera, in presenza di una folla numerosa e quando la folla era lontana dalla vittima, generalmente per
strada. Più a lungo la folla aspettava, più era probabile che aizzasse.

5.4 SITUAZIONI CHE INNESCANO L’AGGRESSIVITÀ

SENTIRE CALDO
L'aggressività è collegata la temperatura ambientale.
Gli studi dimostrano che virgola non appena la temperatura aumenta, la violenza incrementa.
Graficamente, la linea che mette in relazione calore e aggressività alla forma di una U rovesciata: alla
crescita della temperatura corrisponde la crescita dell’aggressività, fino al raggiungimento del picco.
Quando fa molto caldo, l'aggressività si stabilisce per poi diminuire: questa tendenza suggerisce che il
caldo rovente prosciuga la nostra energia.

SENSAZIONE DI AFFOLLAMENTO
per gli esseri umani l' affollamento è uno stato soggettivo, ed è generalmente caratterizzato dalla
sensazione di invasione del proprio spazio personale. L'urbanistica da una grande importanza allo spazio
vitale, ma l' urbanizzazione aumenta il livello di stress. Le variabili cruciali per la sensazione di affollamento
sono meno nette come la densità del nucleo familiare e quella del quartiere.

6. INFLUENZE SOCIALI

6.1 VARIAZIONE DI GENERE

RUOLI E GENERE
Esiste un'ampia messa di prove che conferma che gli uomini sono più aggressivi delle donne,
indipendentemente dalla cultura e dal gruppo socioeconomico di appartenenza. Tuttavia la dimensione di
questa differenza varia a seconda del tipo e del contesto di aggressività.
In uno studio che coinvolgeva studenti universitari, si riscontrò che la violenza fisica era più probabile in
giovani uomini che in giovani donne, mentre l'attacco verbale virgola in contesti simili, aveva pressoché la
stessa probabilità di verificarsi, sebbene le donne potessero aggredire con un' intensità minore. La
differenza sostanziale tra i generi sessuali e che i ragazzi aggrediscono direttamente mentre le ragazze
indirettamente, per esempio attraverso il pettegolezzo e l'esclusione sociale.
Tuttavia con il cambiamento dei ruoli sessuali nelle società occidentali le donne sono diventate meno
inibite rispetto alla violenza. Sebbene la violenza criminale sia ancora più diffusa tra gli uomini, il tasso di
aggressioni violente è aumentato più rapidamente tra le donne.

VIOLENZA DOMESTICA
Per quanto riguarda la violenza tra le mura domestiche possiamo sin da subito rilevare un’asimmetria di
genere: le vittime sono per lo più donne.
Un quarto degli omicidi in cui l'assassino conosce la vittima sono ai danni del coniuge: un dato che fa
riflettere.
L'abuso sul partner, e più in generale la violenza domestica, può manifestarsi in modi diversi a seconda del
genere e dell’etnia di una persona:
• La maggior parte delle violenze sessuali nelle relazioni eterosessuali è commessa da uomini
• il ricorso alla violenza da parte delle donne consiste virgola in larga misura, nell’autodifesa contro
l'aggressione del partner
• uomini e donne appartenenti a gruppi etnici diversi hanno concetti di genere diversi virgola e ciò
include variazioni nella percezione di quando è il caso di usare la violenza

6.2 VARIAZIONE CULTURALE


Nel corso della storia ci sono sempre state differenze nelle norme culturali e nei valori che hanno portato
alcune società ad essere più o meno aggressive di altre.
Di maggiore significato secondo una prospettiva culturale è la variazione delle norme che, in molte società,
giustificano certi tipi di violenza in determinati contesti o sottogruppi.

CULTURA DELL'ONORE
La cultura dell’onore E una cultura che approva la violenza maschile come modo di affrontare i pericoli che
derivano dalle minacce riguardanti la reputazione sociale o la posizione economica. Le regioni in cui si
assegna valore positivo all'uso della violenza per sanare l'orgoglio ferito includono alcune nazioni del
Mediterraneo , il Medio Oriente e i paesi arabi, L'America centrale e settentrionale e gli Stati Uniti del Sud.

Alcune culture approvano o persino incoraggiano speciali forme di violenza e stata constatata per esempio
l'esistenza di machismo tra le famiglie latino americane. Il machismo è un codice di comportamento
secondo cui sfide, offese e persino differenze di opinione possono essere affrontate con i pugni o con altre
armi.

7. GUERRA: AGGRESSIVITÀ SU LARGA SCALA


Tragicamente l'aggressività su larga scala fa parte della condizione umana. La sua forma peggiore è la
guerra. Vorremmo pensare di esserci civilmente voluti dal periodo rinascimentale, ma l'ultimo secolo è
stato di gran lunga il più sanguinario nel perseguire una sistematica carneficina umana.
Un modo di avvertire la tragedia permanente e considerare l'incidenza e la gravità delle guerre: la maggior
parte di noi penserà le due guerre mondiali come gli esempi più lampanti di violenza diffusa, ma ne
esistono molti altri.

La guerra è una forma di aggressività istituzionalizzata e virgola di solito, legittimata politicamente dalle
parti contrapposte. Il conflitto non è possibile senza una struttura psicologica di sostegno che includa le
credenze e i vissuti emotivi di un popolo. Se tale struttura risulta carente, i leader useranno la propaganda
per crearne uno.

8. RIDUZIONE DELL'AGGRESSIVITÀ

8.1 SCARICARE LA TENSIONE


L'ipotesi catartica è l'idea secondo cui agire aggressivamente o anche guardare materiale aggressivo
riduce i sentimenti di ira e aggressività. Forse liberando le sensazioni che nascono dalla frustrazione
possiamo ripristinare un livello stabile di funzionamento.
Un esempio comune sia quando un gruppo di lavoratori si riunisce per condividere lamentele e
pettegolezzi riguardo al proprio incompetente responsabile.
Sono stati sollevati seri dubbi riguardo l'efficacia delle ipotesi catartica. La ricerca sperimentale ha rilevato
nelle persone che tiravano pugni a un punching-ball, credendo di ridurre lo stress, una maggiore
probabilità di maltrattare qualcuno che li aveva offesi.
8.2 SOLUZIONI DI COMUNITÀ
Tecniche psicologiche di modificazione del comportamento, rinforzo delle capacità sociali, modellamento
in direzione non aggressiva, gestione dell'ira educazione all'assertività si sono dimostrate tecniche efficaci
nell’accrescere l'autocontrollo personale.
Vi sono anche opportunità educative, aperte a entrambi i sessi, che si prefiggono il miglioramento della
condizione della donna.

9. AIUTARE GLI ALTRI

1. COS’È IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE?


Le azioni compiute a vantaggio di un’altra persona sono indicate con i termini di comportamento
prosociale, comportamento di aiuto o altruismo. Talvolta queste espressioni vengono usate come
sinonimi, ma nel linguaggio specialistico presentano distinzioni e differenze.

1.1 IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE PUÒ VARIARE


Il comportamento prosociale comprende un'ampia gamma di categorie di azioni valutate positivamente
dalla società. Possiamo definirlo come un comportamento con conseguenze sociali positive, che
contribuisce all'altrui benessere fisico o psicologico.

Il comportamento di aiuto è una sottocategoria del comportamento prosociale. L'aiuto è intenzionale e


viene compiuto a favore di un altro essere vivente o di un altro gruppo. L'aiuto talvolta può essere anche
antisociale, come si verifica nel caso di aiuto sproporzionato, cioè quando si concede il proprio aiuto con lo
scopo di far apparire gli altri inferiori.

L’altruismo è un'altra sottocategoria del comportamento prosociale, che si riferisce a un azione finalizzata
al vantaggio altrui e propria al proprio. Il vero altruismo e disinteressato, nonostante questa idea presenti
alcuni punti di incertezza.
Molti considerano il comportamento umano egoistico e governato dall’interesse personale. Quindi,
definire un'azione come comportamento prosociale è insolito, perché suggerisce che essa non viene
prodotta grazie al meccanismo del rinforzo.

2. APPROCCI BIOLOGICI

2.1 UN FENOMENO NATURALE?


Secondo l'approccio di tipo biologico gli umani hanno tendenze innate a mangiare, bere, unirsi, lottare e
aiutare il prossimo.
Jeffrey Stevens e co. hanno proposto una distinzione tra due spiegazioni attendibili del comportamento
cooperativo negli animali e negli uomini:
• Mutualismo: comportamento cooperativo che avvantaggia il cooperatore come anche gli altri.
• Selezione familiare: un cooperatore dimostra tendenze sistematiche all' aiuto verso i propri parenti
perché ciò permette la diffusione dei propri geni; la mancanza di un vantaggio diretto per il
cooperatore ne indica l'altruismo.

L'idea della predisposizione biologica ad aiutare gli altri è affascinante. Tuttavia sono pochi gli psicologi
sociali che accettano una spiegazione esclusivamente evoluzionista del comportamento umano
prosociale.
2.2 CHI AIUTA PROVA EMPATIA ?
un'esperienza comune che precede l'azione prosociale consiste in uno stato di attivazione seguito da
empatia: la capacità di sperimentare le esperienze di un’altra persona; identificazione condivisione delle
emozioni, dei pensieri e degli atteggiamenti altrui.
L' empatia è una risposta emotiva alla sofferenza altrui. Adulti e bambini rispondono empaticamente ai
segnali di una persona in difficoltà e questo significa che guardare una persona sofferente è spiacevole. di
primo acchito, ciò suggerisce che quando aiutiamo, stiamo cercando di ridurre sentimenti spiacevoli che
stiamo provando.

FARE I CONTI
Modello dei costi-benefici calcolati dallo spettatore: quando pensiamo a qualcuno che è nei guai
passiamo attraverso tre fasi prima di rispondere:
1. Siamo fisiologicamente attivati dalla sofferenza di un altro
2. Etichettiamo questa attivazione come emozione
3. Valutiamo le conseguenze della nostra azione

ASSUNZIONE DEL PUNTO DI VISTA ALTRUI


Sperimentare coinvolgimento empatico richiede di dimostrarsi capaci di vedere la situazione di un’altra
persona dal suo punto di vista. Tale capacità ha un significato evoluzionista.
Differenti tipi di empatia conducono differenti tipi di motivazione all'aiuto. Immaginare attivamente come
si senta un altro produce empatia, il che porta alla motivazione altruistica. Tuttavia immaginare
attivamente come noi ci sentiremmo, produce anche sofferenza auto-orientata, implicando così un
insieme di altruismo ed egoismo. Forse le persone che hanno sperimentato qualcosa che fu per loro causa
di sofferenza solidarizzeranno di più con una persona che si trova in una situazione simile.

LE DONNE SONO PIÙ EMPATICHE?


Le donne danno importanza all’interdipendenza sono più orientate al prossimo, mentre gli uomini danno
importanza all'indipendenza e sono più orientati verso se stessi.

3. APPROCCI SOCIALI

3.1 IMPARARE A PRESTARE AIUTO


Una delle principali spiegazioni dell'aiuto considera il comportamento prosociale legato in maniera
complessa al processo di socializzazione: esso viene appreso, non è innato.
In anni recenti, all'interno dei campi di ricerca di psicologia dello sviluppo e dell'educazione, l'applicazione
al comportamento prosociale della teoria dell’apprendimento è stata fortemente approfondita.
Carolyn Zahn-Waxler ha studiato lo sviluppo delle emozioni nei bambini, concludendo che il modo in cui
rispondiamo alla sofferenza altrui è connesso con il modo in cui impariamo a condividere, ad aiutare e a
dare conforto, e che questi modelli emergono tra il secondo e il terzo anno di vita.
Ci sono diverse maniere in cui queste azioni possono essere apprese:
• Attraverso le istruzioni: dire a un bambino ciò che è appropriato determina un' aspettativa e una
successiva guida per l'azione.
• Attraverso il rinforzo: le azioni premiate hanno più probabilità di essere ripetute.
• Esposizione ai modelli

3.2 IMPATTO DELL’ATTRIBUZIONE


Continuare ad essere solidale in più di un'occasione richiede che una persona interiorizzi l'idea dell'essere
solidale. Un'autoattribuzione può avere persino più efficacia del rinforzo nell'apprendimento del
comportamento di aiuto. I bambini possono sperimentare autocritica e sentimenti negativi se non riescono
ad essere all'altezza degli standard delle proprie attribuzioni.
3.3 NORME DI AIUTO
Un importante elemento capace di influenzare lo sviluppo e il mantenimento del comportamento
prosociale è la norma culturale. Le norme forniscono un riferimento permanente di come dovremmo
comportarci ed essenzialmente, più che essere innate, vengono apprese.
6 1 norma di responsabilità sociale e universale, ciò significa che ha valore pratico e che facilita la vita
sociale. Un modo di spiegare il motivo per cui aiutiamo gli altri, quindi, è definirlo normativo: Esistono
ricompense sociali per il comportamento che si accorda alle norme e sanzioni per la loro violazione.

A fondamento dell’altruismo sono state poste le due norme seguenti:


1. Norma di reciprocità: dovremmo prestare aiuto a chi ci aiuta. Tuttavia la misura in cui dovremmo
contraccambiare varia: ci sentiamo profondamente in debito con qualcuno che, in modo gratuito, ha
compiuto un grosso sacrificio per noi; Molto di meno con chi ha fatto qualcosa di più leggero e atteso.
2. Norma di responsabilità sociale: dovremmo prestare aiuto gratuito a coloro che ne hanno bisogno, a
prescindere dalle ricompense future. Le persone solitamente applicano questa norma in modo
selettivo, per esempio verso i bisognosi senza colpe piuttosto che con i vicini in difficoltà.

4. APATIA DELLO SPETTATORE


L'iniziale frenesia di ricerca che fece seguito al caso di Kitty Genovese si concentrò sui fattori situazionali
che incidevano sull'intervento dello spettatore: intervento che si verifica quando un individuo esce dal
ruolo di spettatore aiuta una persona in una situazione di emergenza.
L'effetto spettatore è l'effetto secondo cui è meno probabile che le persone aiutino in un’emergenza
quando sono insieme ad altri rispetto a quando sono da sole. Maggiore è il numero degli spettatori, minore
è la probabilità di aiuto da parte di qualcuno di loro.

4.1 AIUTO IN UN’EMERGENZA


La mancanza di aiuto si verifica più spesso quando la dimensione del gruppo dei testimoni aumenta.
Secondo il modello cognitivo di Latanè e Darley L'aiuto di una persona dipende dai risultati di una serie di
decisioni:
1. Essere presente a ciò che accade
2. Definire un evento come un’emergenza
3. Assumere responsabilità
4. Decidere cosa può essere fatto
5. Prestare aiuto

Proposero diversi processi psicologici che possono innescare la riluttanza all'aiuto in presenza di altri.
• Diffusione della responsabilità: La presenza di altri astanti offre l'opportunità di trasferire a questi la
responsabilità connessa con l'agire, o il non agire.
• Inibizione del pubblico: La presenza di altri astanti può rendere le persone a disagio nell’attuare
l'azione desiderata. nel contesto del comportamento prosociale, questo processo qualche volta è
presentato come paura della brutta figura.
• Influenza sociale: gli altri astanti forniscono un modello di azione. Se sono passivi e senza
preoccupazioni la situazione può sembrare meno seria.

5. QUALI SONO LE PERSONE CHE AIUTANO ?


Il comportamento è il prodotto dell’individuo e dell'ambiente. Disponiamo di un vasto assortimento di
risultati della ricerca che hanno a che fare con lo stato d'animo e con alcune differenze individuali.
Tra questi:
• Stati d’animo: quando le persone stanno bene sono più sensibili ai bisogni degli altri e quindi più
pronte ad aiutare.
• Misure della personalità: hanno poca o nessuna influenza sul prestare aiuto. Non esiste alcuna
personalità altruistica di per sé.
• “Il buon samaritano”: le persone che prestano coerentemente aiuto tendono a essere più alte, più
prestanti e fisicamente più forti.
• Stile affettivo: le persone che sono sicure sono alquanto più compassionevoli e altruiste.

5.2 COMPETENZA: “SAPER FARE AIUTA”


Sentirsi in grado di affrontare un'emergenza rende più probabile il proprio aiuto. Certi pacchetti di abilità
sono percepiti come significativi il rapporto da alcune emergenze. Nel reagire di fronte uno sconosciuto
sanguinante, le persone addestrate a prestare il primo soccorso interverranno più spesso di quelle che non
lo sono.
Il chiaro possesso da parte di una persona delle abilità adatte a una situazione implica che queste abilità
dovrebbero essere sfruttate.

5.3 VITA NELLE GRANDI CITTÀ


Le persone provenienti da piccoli centri hanno maggiori probabilità di prestare aiuto rispetto a quelle
provenienti da città più grandi. I risultati di ricerca mostrano che all'aumentare della popolazione le azioni
di aiuto diminuiscono.
Forse la popolazione rurale è più attenta al prossimo perché si sente meno oppressa dalla folla, meno
frettolosa e meno disturbata dal rumore. In generale percepisce meno sovraccariche urbano e meno stress
ambientale di chi vive in una grande, frenetica città.

6. COSA MOTIVA LE PERSONE A ESSERE PROSOCIA LI?

6.1 LE CHIAVI PER ESSERE UTILI


Dan Batson propone quattro motivi per prestare aiuto agli altri:
1. Egoismo: le azioni prosociali favoriscono il proprio sé.
2. Altruismo: contribuiscono al benessere degli altri.
3. Collettivismo: contribuiscono al benessere di un gruppo sociale, per esempio del della propria
famiglia, del proprio gruppo etnico o del proprio paese.
4. Riferimento a un principio: seguono un principio morale.

6.2 PROMOZIONE DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE

PREVENZIONE DEL CRIMINE


La prevenzione del crimine può coinvolgere una classe del comportamento prosociale.
È più probabile che le persone si rendano colpevoli di un crimine non violento se i vantaggi sono alti e i
costi bassi. Crescendo, la valutazione di costi e benefici da parte degli individui cambia. È più probabile che
le persone più anziane ingannino un cliente o mentano su un prodotto o su un servizio piuttosto che rubino
qualcosa.
È molto più probabile che le persone aiutino gli altri se sentono di avere la responsabilità di dare assistenza
sentirsi responsabile di prestare aiuto aumenta le probabilità di un comportamento prosociale; ciò è
definito coinvolgimento a priori: il consenso anticipato di un individuo a essere responsabile nel caso si
verifichi un problema.

6.3 VOLONTARI: I PIÙ SOLIDALI


Molte persone hanno oggi maturata interesse per un'altra forma di aiuto spontaneo: il volontariato.
I volontari, comunemente, offrono agli altri un senso di comunità o di partecipazione civica.
Alcune ricerche hanno mostrato che le attività di volontariato possono comportare sofferenza, un esempio
di risposta empatica, pertanto richiedono programmi di formazione ben progettati per preparare il
volontario.
CAP. 10 – ATTRAZIONE E RELAZIONI INTIME

1. PERSONE ATTRAENTI
Un'analisi condotta su più di 100 studi rilevo che le persone attraenti vengono giudicate, sono trattate e si
comporterà in maniera diversa da quelle non attraenti.
In particolare si osserva quanto segue:
• I bambini belli ricevevano i voti più alti dai loro insegnanti, erano più popolari e meglio inseriti dei loro
compagni meno belli
• Gli adulti attraenti avevano più successo nel lavoro, erano fisicamente più sani e avevano una
maggiore esperienza sessuale
• Le donne di bell'aspetto vengono guardate più a lungo dai bambini

2. EVOLUZIONE E ATTRAZIONE
La teoria dell’evoluzione ha offerto approfondimenti che possono aiutarci in parte a capire perché siamo
attratti da certe persone e come potremmo scegliere un partner duraturo.

2.1 IL RUOLO DEI GENI


secondo il concetto evoluzionista della capacità riproduttiva, le persone cercano di capire se un potenziale
compagno ha buoni geni, attraverso indizi quali la salute, l'aspetto giovanile, la simmetria del corpo e del
viso.
Tuttavia esistono influenze culturali ed ecologiche. Nelle società rurali essere magri può significare essere
malati: per questo gli uomini preferiscono che le donne siano più robuste. Nelle società occidentali, dove la
pesantezza può significare cattiva salute, gli uomini preferiscono donne più snelle.

VISI ATTRAENTI
Gill Rhodes ha condotto numerose ricerche sull’informazione sociale trasmessa dai nostri visi,
considerando anche gli indizi che rendono un viso attraente. Un risultato interessante è il potere
accattivante dell’effetto normalità: l'evoluzione umana ha portato a preferire i visi regolari e simmetrici ai
visi con caratteristiche insolite o distintive.
Per esempio, la simmetria tra la parte destra e quella sinistra del corpo e del viso, sia per gli uomini che per
le donne, rientra nei modelli che la maggior parte delle persone possiede per giudicare la bellezza. Un viso
regolare è come un prototipo. Una spiegazione possibile del perché la regolarità del viso rende una
persona più attraente è che questi indizi rendano un viso più familiare e meno strano. Un'altra spiegazione
è che la normalità come la simmetria siano segni di buona salute e quindi di “buoni geni”.

LA RICERCA DEGLI IDEALI


Garth Fletcher studiò gli ideali che gli studenti universitari cercano nei loro partner. In una relazione
duratura, tre dimensioni del partner ideale sembrano guidare le preferenze sia degli uomini che delle
donne:
• Calore e affidabilità
• vitalità e attrattività
• status e risorse
Anche la fisicità di un essere umano è una dei principali motivi di attrazione iniziale esiste una base
evoluzioniste universale a fondamento di ciò.

3. COSA INCREMENTA L’APPREZZAMENTO?


I fattori che ci incoraggiano a fare un passo avanti sono prossimità, familiarità e somiglianza.
3.1 PROSSIMITÀ
Esiste una buona probabilità per cui iniziamo ad apprezzare le persone che si trovano a una ragionevole
prossimità al posto in cui viviamo o lavoriamo.
Le persone che vivono vicino sono accessibili, cosìcché l'interazione con loro richiede poco sforzo e i
benefici ottenuti nel farlo sono associati a bassi costi.

3.2 FAMILIARITÀ
La prossimità di solito conduce a una maggiore familiarità: nell’acquisire maggiore familiarità con uno
stimolo (rappresentato anche da un'altra persona), ci sentiamo più a nostro agio con esso e lo apprezziamo
di più.

3.3 SOMIGLIANZA
L'attrazione nei riguardi di una persona ha un rapporto diretto con la reale proporzione degli atteggiamenti
simili che si condividono. Più gli altri sono d'accordo con noi, più agiscono come rinforzi nei nostri
confronti, più le apprezziamo.
Al contrario, le differenze negli atteggiamenti possono portare a schivamento e antipatia.

3.4 COMPATIBILITÀ SOCIALE

UNIONE BASATA SULLA COMBINAZIONE DI CARATTERISTICHE


Le persone che cercano un compagno solitamente non lo scelgono casualmente, ma provano a essere
compatibili con lui in relazione a diversi aspetti. La compatibilità è una forma di unione assortiva: una
unione non casuale di individui basata sulla somiglianza di una o più caratteristiche.
Diversi studi rilevano che ad aumentare l'attrazione reciproca e la compatibilità delle persone nell’aspetto
fisico, nell'ambiente sociale, nella personalità e negli interessi.
Inoltre, studi sui dati di alcuni gruppi etnici o culturali rilevano che a influire sull’attrazione è una complessa
interazione di fattori, tra cui la somiglianza culturale.

4. ATTRAZIONE E BENEFICI

4.1 UN APPROCCIO BASATO SUL RINFORZO


Byrne e Clore proposero un modello di rinforzo dell’affetto: Gli uomini possono associare un'altra
persona ad aspetti negativi o positivi dell’ambiente immediato. Ogni stimolo ambientale o neutrale
potenzialmente associabile, anche in modo casuale, a un beneficio, viene valutato positivamente; se lo
stimolo è invece associato alla punizione viene valutato negativamente.
Un esempio di questo principio proviene da un primo esperimento ambientale che mostrava come
semplici variabili ambientali, quali il forte calore o l’affollamento percepiti, possono ridurre la nostra
attenzione per uno sconosciuto.

4.2 RELAZIONI COME SCAMBIO SOCIALE

COSTI E BENEFICI
Lo scambio sociale è un modello di comportamento: spiega le nostre relazioni interpersonali attraverso
concetti economici ed è legato al comportamentismo.
Il fatto che qualcuno ci piaccia o meno è determinato dal rapporto costi-benefici: Un fondamento della
teoria secondo cui l'apprezzamento nei confronti dell'altro è determinato dal calcolo di quanto costerà
ricevere il suo rinforzo.
Lo scambio sociale è una relazione tra le persone basata sul dare e sull’avere. In linea di massima, le risorse
scambiate comprendono beni, informazioni, denaro, servizi e status.
Ciascuna risorsa può essere particolare, cosicché il suo valore dipende da chi offre il beneficio. Poiché le
risorse sono scambiate con un partner, cerchiamo di usare una strategia minimax: minimizzare i costi e
massimizzare i benefici.
Secondo tale strategia, una relazione è insoddisfacente quando i costi superano i benefici.

LIVELLI DI CONFRONTO
Un ultimo concetto importante nella teoria dello scambio sociale è il ruolo giocato dal livello di confronto
di ciascuna persona: uno standard rispetto al quale è valutato tutto ciò che riguarda le relazioni di un
individuo. I livelli delle persone sono il prodotto delle loro esperienze passate in scambi simili con altre
parti.

LA TEORIA DELLO SCAMBIO HA FUTURO?


Un tratto fortemente distintivo della teoria dello scambio e la sua capacità di adeguarsi alle variazioni nelle
relazioni, comprese:
• le differenze tra le persone nel modo di percepire i benefici e i costi
• le differenze entro la persona basate su livelli di confronto mutevoli , sia nel tempo sia in contesti
differenti

4.3 SCAMBIO SOCIALE, EQUITÀ E GIUSTIZIA


Nelle relazioni le persone sono più contente quando credono che ciò che danno sia approssimativamente
uguale a ciò che ricevono. La teoria dell'equità comprende due principali situazioni:
1. uno scambio reciproco di risorse
2. uno scambio in cui devono essere distribuite risorse limitate
In entrambi i casi la teoria prevede che le persone si aspettino che le risorse siano distribuite in modo
corretto, cioè in proporzione al proprio contributo.
Il concetto alla base è quello della giustizia distributiva: un aspetto della giustizia sociale che si riferisce a
una norma di correttezza nella ripartizione dei beni tra ciascun membro.

5. ATTACCAMENTO
Inizialmente focalizzato sul legame che si realizza tra il bambino piccolo e chi lo accudisce, lo studio
dell’attaccamento si è ampliato a includere i differenti modi in cui gli adulti stringono relazioni con chi a
loro vicino.

5.1 AFFILIAZIONE
Il bisogno di affiliazione è l'impulso instaurare rapporti e a prendere contatto con altre persone. Tale
bisogno è forte e pervasivo e sta alla base del modo in cui formiamo relazioni interpersonali positive e
durature.

ANTESIGNANI NEL CAMPO


William McDougall suggerì che gli umani sono motivati in modo congenito a stare insieme e a essere
parte di un gruppo, come gli animali che vivono in branchi o colonie. Questa teoria, definita semplicistica,
fu apertamente criticata dal comportamentista John Watson.

RICERCA MODERNA
Schachter descrisse una relazione tra isolamento e ansia. La solitudine può invogliare le persone a stare
con gli altri, persino con sconosciuti, per un breve periodo.
Egli suppose che la compagnia servisse a ridurre l'ansia: che l'altra persona potesse quindi servire come gli
estrazione da una situazione preoccupante oppure come parametro per il processo di confronto sociale. Il
confronto sociale e il confronto dei nostri comportamenti e delle nostre opinioni con quelle degli altri, per
stabilire il modo corretto o socialmente approvato di pensare e comportarsi.
Il bisogno di affiliazione può essere influenzato da stati temporanei, come la paura. Non vogliamo stare
con chiunque, ma con una persona particolare.

EFFETTI DELLA DEPRIVAZIONE SOCIALE


Lo psicoanalista Spitz presentò uno studio sui bambini che vivevano da due anni in un istituto
sovraffollato, lasciati lì da madri incapaci di prendersene cura.
I piccoli venivano nutriti, ma raramente ci si occupava di loro. Paragonati con altri bambini messi in istituto
che avevano ricevuto un'attenzione adeguata, essi si dimostravano mentalmente e socialmente più
ritardati e il loro tasso di mortalità era estremamente alto. Spitz coniò il termine ospedalismo per
descrivere la condizione psicologica in cui trovò questi bambini.

Un altro lavoro di quegli anni a opera di Harry Harlow trattò gli effetti devastanti dell’isolamento sociale
sulle scimmie neonate della specie rhesus. Queste sperimentavano la deprivazione del contatto con le loro
madri. L'indagine fu poi estesa ai piccoli che rimanevano completamente isolati dal contatto con ogni
essere vivente sino all'età di 12 mesi. Le conseguenze furono vistose: i cuccioli di scimmia, talvolta, si
rannicchiavano in un angolo, si dondolavano ripetutamente avanti e indietro e si morsicavano. Quando
venivano fatti entrare in contatto con coetanei normali, non entravano nei giochi turbolenti degli altri e
non erano in grado di difendersi dagli attacchi. Da adulte erano sessualmente incompetenti.

IL LEGAME CON L'ATTACCAMENTO


Bowlby e co. si concentrarono sul comportamento di attaccamento dei bambini alle proprie madri,
osservando che i bambini piccoli stanno vicino alle loro genitrici. Essi mandano segnali alla loro caregiver
piangendo e sorridendo e le si mantengono vicini aggrappandosi o seguendola.
Il comportamento di attaccamento tuttavia non si limita all' esperienza madre-bambino, ma può essere
osservato attraverso l'intero ciclo della vita.

5.2 STILI DI ATTACCAMENTO


La ricerca moderna sulla genesi dell’attaccamento adulto nelle relazioni e ora chiaramente collegata con lo
studio dello sviluppo sociale umano nell’infanzia. In particolare, il lavoro di Bowlby con i bambini è passato
a comprendere lo studio degli stili di attaccamento dei loro genitori.
Gli stili di attaccamento sviluppati nell’infanzia proseguono nel tempo e influenzano il modo in cui si
formano le relazioni sentimentali.

Gli stili di attaccamento individuati sono tre:


1. Sicuro: fiducia negli altri; assenza della paura dell'abbandono; convinzione di essere importanti e
apprezzati; facilità nell’avvicinarsi agli altri.
2. Evitante: repressione dei bisogni di attaccamento; rifiuto ricevuto nei passati tentativi di intimità;
difficoltà ad avere fiducia negli altri e a dipendere da loro; nervosismo quando qualcuno si avvicina.
3. Ansioso: preoccupazione che gli altri non contraccambino il proprio desiderio di intimità; sensazione
che un partner non offra davvero amore o che possa abbandonarci; desiderio di fusione con l'altro, che
può spaventare e allontanare le persone.

6. RELAZIONI INTIME
Secondo il modello dell’emozione nelle relazioni, le relazioni si imperniano su aspettative forti, affermate
e ad ampio raggio riguardanti il comportamento del partner.
L'elevata tendenza a provare tutte le emozioni nelle relazioni intime rende importante la nostra capacità di
gestirne la manifestazione, in particolare per quanto concerne le emozioni negative.

6.1 COS'È L'AMORE?


La maggior parte della ricerca sull'amore ha usato i metodi dell’inchiesta e dell'intervista.
Rubin distinse tra apprezzamento e amore, e sviluppò scale per misurare separatamente ciascuno dei due.
L'apprezzamento si traduce nel desiderio di interagire con l'altra persona, mentre l'amore aggiunge a ciò
la componente della fiducia, e l'innamoramento implica desiderio sessuale ed eccitazione.

TIPI DI AMORE
L'amore appassionato è uno stato intensamente motivo e un insieme di sentimenti: tenerezza, sessualità,
euforia e dolore, ansia e sollievo, altruismo e gelosia.
L'amore amicale, invece, è meno intenso, combinando insieme sentimenti di affetto amichevole e di
attaccamento profondo.

6.2 AMORE E ROMANTICISMO


Nell’approfondire la natura dell’amore romantico dobbiamo notare che i concetti di amore e amicizia
condividono la radice comune del conoscersi e, in generale, sono innescati dagli stessi fattori: Prossimità,
somiglianza, apprezzamento reciproco e caratteristiche personali desiderabili. È molto probabile che il
nostro innamorato sia un amico, ma un amico speciale.

AMORE.COM ETICHETTA
Nella teoria a tre fattori dell’amore, l'amore romantico è un prodotto di tre variabili che interagiscono:
1. una causa determinante culturale che riconosce l'amore come stato
2. un oggetto dell'amore
3. un' attivazione emotiva, auto etichettatasi “amore”, percepita quando si interagisce con un
appropriato oggetto d'amore o quando si pensa a esso
La teoria dei tre fattori sottolinea che l'amore dipende dal passato apprendimento della nozione di amore,
dalla presenza di qualcuno da amare e dall’attivazione. Anche se queste componenti sono necessarie
virgola non sono sufficienti perché l'amore si verifichi.

AMORE E ILLUSIONI
Le persone portano in una relazione amorosa diversi ideali, che possono avere impatto sul modo in cui
questa si svilupperà. Ci si può disamorare rapidamente se il partner non è cosa (o chi) si pensava che fosse:
l'amore iniziale non era per il partner, ma per un'immagine ideale che ci si era formata di lui.
Sono le immagini che abbiamo del partner ideale che sembrano differenziare al meglio l'amore
dall’apprezzamento. Alcune possono essere basate su illusioni. Una di queste e la credenza nel destino
romantico: “siamo fatti l'uno per l'altra”. questa illusione può essere d'aiuto, sia nel sentirsi soddisfatti
inizialmente, sia nel mantenere più a lungo la relazione.

NON C'È AMORE PIÙ GRANDE


Sternberg propose che coinvolgimento e intimità siano fattori cruciali tanto quanto la passione per alcune
esperienze d'amore. La passione equivalente all' attrazione sessuale; l’intimità si riferisce a sentimenti di
calore, vicinanza e condivisione; il coinvolgimento e la determinazione a mantenere la relazione.
Nel modello di Sternberg l'amore romantico è superato da un’altra esperienza: l’amore completo.
Creando in modo sistematico combinazioni in cui ciascun fattore è presente o assente, possiamo
distinguere 8 casi che spaziano nei livelli di legame, dalla mancanza di amore all'amore completo:
1. Mancanza di amore
2. Infatuazione
3. Amore insignificante
4. Amicizia
5. Amore fatuo
6. Amore romantico
7. Amore amicale
8. Amore completo
7. RELAZIONI CHE FUNZIONANO (E CHE NON FUNZIONANO)

7.1 MANTENERE LE RELAZIONI


È stata utilizzata la teoria dell'equità per mettere in evidenza le azioni che aiutano o ostacolano una
relazione.
• I benefici aiutano. Possono essere intenzionali o non intenzionali.
• I costi ostacolano. Possono essere intenzionali o non intenzionali.
• Il comportamento altruistico aiuta. Talvolta un vantaggio per uno dei due partner può essere un costo
per l'altro.

NEL BENE E NEL MALE


Sono stati evidenziati tre fattori che contribuiscono a una relazione in corso:
• Dedizione personale: attrazione positiva per un partner e per una relazione particolare
• Coinvolgimento morale: senso di obbligo, dovere religioso o responsabilità sociale regolato dai valori
e dai principi morali di una persona
• Impegno nel porre limiti: fattori che rendono costoso rompere una relazione
Il coinvolgimento aumenta la possibilità che i partner stiano bene insieme e considerino importante anche
l'idea del coinvolgimento.

7.3 FALLIMENTO DI UNA RELAZIONE


Levinger indica quattro fattori che preannunciano la fine di una relazione:
1. una nuova vita sembra essere l'unica soluzione
2. sono disponibili partner alternativi
3. ci si aspetta che la relazione fallirà
4. manca il coinvolgimento nel continuare la relazione

Un partner o assumere un atteggiamento passivo e mostrare:


• fedeltà, aspettando che si verifica un miglioramento
• noncuranza, permettendo al peggioramento di continuare
In alternativa, un partner può assumere un atteggiamento attivo e:
• esprimere le proprie preoccupazioni, cercando di migliorare la situazione
• scegliere di troncare la relazione

CONSEGUENZA DEL FALLIMENTO


Modello della fine di una relazione: modello in quattro fasi, attraverso le quali passano i partner. Unni
fase culmina raggiungendo un valore di soglia a cui segue una forma di azione peculiare.
1. Fase intrapsichica: inizia con un periodo di riflessione, con scarsa manifestazione esteriore, forse nella
speranza che le cose migliorino. Questo può dare adito a momenti di irritazione nei confronti del
partner.
2. Fase diadica: porta a decidere che andrebbe tentata qualche azione, escluso lasciare il compagno. Le
discussioni si concentrano nel rilevare le differenze nell’attribuzione della responsabilità di ciò che è
andato male.
3. Fase sociale: nell’affermare che la relazione sta finendo, i partner possono negoziare con gli amici, sia
per avere un sostegno di fronte a un futuro incerto sia per essere rassicurati di avere ragione. La rete
sociale prenderà a questo punto posizione.
4. Fase dell’elaborazione del lutto: può andare oltre la separazione dal partner. Può comprendere la
divisione della proprietà, la gestione dei figli e lo sforzo di salvaguardare la propria reputazione.
Ciascun partner vuole emergere con un'immagine affidabile di se stesso in vista di una relazione futura.
CAP. 11 – CULTURA E COMUNICAZIONE

1. CULTURA
Il comportamento è il prodotto di una cultura: un insieme di credenze e pratiche che identificano uno
specifico gruppo sociale e lo distinguono dagli altri.
Quella che potremmo chiamare la nostra cultura ci fornisce un'identità e una serie di attributi che la
definiscono.
La cultura per bade quasi ogni aspetto della nostra esistenza.

1.1 DEFINIZIONE E STUDIO DELLA CULTURA


La ricerca transculturale ha mostrato una considerevole variazione dovuta alla cultura in una gamma di
processi che coinvolgevano i comportamenti umani di base e quelli psicosociali. Ha anche individuato una
differenza generale tra la cultura orientale e quella occidentale.

1.2 IMPATTO DELLA CULTURA SUL PENSIERO E SULL ’AZIONE


Nisbett ha fatto riferimento a una “geografia del pensiero” e suggerisce che orientali e occidentali
possiedono differenti sistemi di pensiero da migliaia di anni.
Ad esempio esiste una variazione culturale nel modo di compiere le attribuzioni, con riferimento in
particolare all’errore fondamentale di attribuzione.
Inoltre, la probabilità di conformismo in risposta alla pressione del gruppo è più alta nelle culture non
occidentali.

2. INDIVIDUALISMO, COLLETTIVISMO E SÉ
Secondo la psicologia sociale, i valori orientano un intero popolo, unendo atteggiamenti e comportamenti
specifici, e integrandoli in modo comprensibile. I valori sono legati a gruppi, categorie sociali e culture, e
sono costruiti e resi stabili socialmente.

Il contrasto tra individualismo e collettivismo risponde all'interrogativo se l'identità di un popolo è


determinata perlopiù da scelte personali o collettive. in un contesto organizzativo, se i lavoratori hanno la
possibilità di adattare alle mansioni in cui sono impegnati il proprio stile di lavoro, allora l’ethos
dell'azienda è di tipo individualistico; se non hanno questa possibilità, l’ethos è di tipo collettivistico.
le nazioni di origine europea tendono ad essere più individualistiche, mentre quelle del Medio ed Estremo
Oriente e dell'America latina sono più collettivistiche.

2.1 DUE PSICHE, DUE SÉ


Generalmente chi fa parte di culture individualistiche ha un sé indipendente, mentre chi fa parte di culture
collettivistiche ha un sé interdipendente.
Il sé indipendente è un'entità autonoma: i suoi attributi interni sono in gran parte non influenzabili dal
contesto sociale.
Il sé interdipendente ha confini flessibili: i suoi attributi interni sono molto sensibili al contesto sociale.
Il bisogno di avere un senso di sé distinto e integrato può essere universale; tuttavia la distintività del sé ha
un significato diverso nelle culture individualistiche e in quelle collettivistiche. In una, il sé isolato acquisisce
significato dalla separatezza; nell'altra il sé relazionale acquisisce significato dai suoi rapporti con gli altri.

2.2 ACCULTURAZIONE
Quando le persone emigrano è per loro quasi impossibile evitare lo stretto contatto con membri della
cultura del paese ospitante e con i gruppi di immigrati appartenenti ad altre culture. Un contatto
prolungato produce inevitabilmente cambiamenti nel comportamento e nel modo di pensare tra i nuovi
immigrati.
L’acculturazione è il processo di interiorizzazione delle regole di comportamento di un'altra cultura;
quando si applica a un intero gruppo si realizza un cambiamento culturale sul larga scala.
Nel confrontare alla cultura d'origine e la cultura dominante gli immigrati possono scegliere tra:
• Integrazione: mantenimento della propria cultura d'origine, ma anche relazione con la cultura
dominante.
• Assimilazione: rinuncia alla propria cultura d'origine e accettazione della cultura dominante.
• Separazione: mantenimento della propria cultura d'origine e isolamento dalla cultura dominante.
• Marginalizzazione: rinuncia alla propria cultura d'origine e fallimento nel relazionarsi in modo
appropriato con la cultura dominante.
La via più seguita dagli immigrati è l'integrazione. tuttavia questo è un processo che richiede una quantità
considerevole di tempo e in molti casi entra in conflitto con la frequente aspettativa dell'assimilazione
della cultura del paese ospitante.

2.3 SOCIETÀ MULTICULTURALI


L'assimilazione può essere di due tipi:
• Totale: implica l'annullamento di una cultura
• Melting pot: è meno estrema e concede a una nuova forma di cultura dominante di emergere

Il multiculturalismo è una visione più positiva, che abbraccia culture dominanti e di minoranza. Permette
alla diversità culturale di proporsi senza l'aiuto di una cultura ospitante.
Nella sua forma attiva prevede una politica nazionale che sostenga la diversità culturale. Il
multiculturalismo funziona quando ai gruppi di minoranza reputano che le proprie preziose identità e
usanze siano rispettate.

3. COMUNICAZIONE
La comunicazione è l'essenza dell'interazione sociale. Trasmettiamo costantemente informazioni sulle
nostre sensazioni, sui nostri pensieri e sui nostri sentimenti, E alcuni dei nostri messaggi non sono
intenzionali.
La comunicazione è sociale in diversi modi:
• comprende le nostre relazioni con altri
• è costruita sulla base di una comprensione condivisa di significati
• è il modo in cui le persone si influenzano reciprocamente

3.1 ORIGINI DEL LINGUAGGIO


Il linguaggio vero e proprio è la forma di comunicazione specifica dell'uomo, sebbene esso si sia evoluto nel
tempo.
I gesti delle mani hanno preceduto il linguaggio parlato, e la ricerca nel campo della neuroscienza indica
che solo un cervello complesso come il nostro può affrontare ciò da cui dipende un vero linguaggio: la
sintassi.

3.2 LINGUAGGIO, PENSIERO E SOCIETÀ


Vygotsky credeva che il linguaggio interiore fosse il medium del pensiero, e che fosse strettamente
connesso al linguaggio esteriore, il medium della comunicazione sociale. Una versione estrema di questa
idea fu la teoria del relativismo linguistico: sosteneva che il linguaggio determinasse completamente il
pensiero; in questo modo, le persone che parlano lingue diverse vedono il mondo in maniera
completamente diversa e, di fatto, vivono in universi cognitivi del tutto differenti.

Una versione più blanda di questa teoria sembra accordarsi meglio con i fatti. Il linguaggio non determina il
pensiero: ciò che fa è aiutarci a comunicare più facilmente relativamente agli aspetti del nostro ambiente
fisico e sociale che realmente contano.
Il linguaggio comunica non solo ciò che viene detto, ma anche come viene detto.
Il termine paralinguaggio Si riferisce a tutti gli elementi extra linguistici che accompagnano il discorso
appunto questi elementi possono cambiare il significato in modo evidente.

Il linguaggio contiene marcatori sociali. La classe sociale, l'etnia, l'età, il genere sessuale sono spesso
chiaramente identificabili e sono indizi dell' appartenenza a un gruppo. Se lo stile di linguaggio mette in
evidenza una categoria sociale, esso può indirizzare gli atteggiamenti di un ascoltatore nei confronti di
quel gruppo.

3.3 LINGUAGGIO E CULTURA


Teoria dell’identità etnolinguistica: I gruppi etnici possono differenziarsi l'uno dall'altro in aspetto,
abbigliamento, pratiche culturali, credenze religiose, ma anche nella lingua o nello stile del linguaggio.
La teoria è un'applicazione ed estensione della teoria dell'identità sociale per rendere conto del
comportamento linguistico di gruppi etnolinguistici.

Lo stile del linguaggio può essere una proprietà centrale dell'appartenenza a un gruppo. Si può scegliere di
enfatizzare il proprio linguaggio etnico quando esso è motivato di amor proprio e di orgoglio, o attenuarlo
quando non lo è.
È stato coniato il termine vitalità etnolinguistica per descrivere le caratteristiche di un contesto
interetnico che influenzano la quantità d'uso di una lingua.
Gruppi di status elevato, favoriti dai dati demografici e dalle istituzioni, godono di alta vitalità
etnolinguistica. Una bassa vitalità è segno di declino dell'idioma e un presagio della sua scomparsa.

L'apprendimento di una seconda lingua è una componente fondamentale per l'acculturazione di un


immigrato. Gli immigrati in tutta Europa devono imparare la lingua Franca per poter ricevere un'istruzione,
ottenere un'occupazione, partecipare alla cultura e alla vita di ogni giorno.
Una scarsa competenza della lingua locale può indebolire la sicurezza di sé e causare isolamento fisico e
sociale, portando ad avversità materiale e a sofferenza psicologica.

3.4 COMUNICARE SENZA PAROLE


Il comportamento non verbale può essere utile a una varietà di scopi. Per comunicazione non verbale
intendiamo il trasferimento di informazioni significative da una persona a un'altra attraverso mezzi
differenti dal linguaggio parlato o scritto.
Sin dall'infanzia le persone acquisiscono, senza ricevere alcun insegnamento formale, la padronanza
completa di un ricco repertorio di comportamenti non verbali. Saper ricorrere a questo repertorio è
importante per adattarsi alla società e formare relazioni soddisfacenti in età adulta.
Anche le norme sociali possono influenzare l'espressione. Esistono infine differenze individuali e di gruppo:
alcune persone sono più brave di altre a percepire i segnali non verbali e a usarli .

3.5 ESPRIMERE LE PROPRIE EMOZIONI


Lo studio scientifico delle espressioni facciali si è largamente concentrato sul modo in cui il volto trasmette
emozioni. La ricerca individua in generale sei emozioni fondamentali: felicità, paura, sorpresa, tristezza,
disgusto e ira. Vi sono stabili differenze transculturali basate sul genere sessuale nel modo in cui spesso
vengono sperimentate emozioni fondamentali e complesse. Le donne mostrano più spesso delle proprie
emozioni meno forti, mentre gli uomini quelle più forti.

Le espressioni facciali umane associate alle emozioni fondamentali sembrano essere relativamente
universali. Ekman e co. mostrarono a un gruppo di persone una serie di fotografie di volti che esprimevano
le sei emozioni fondamentali, chiedendo loro di denominarle. Persone di diverse culture furono
notevolmente precise nell’identificare le sei emozioni rappresentate da delle espressioni facciali da parte di
individui sia della stessa cultura sia di culture differenti.
Anche questa tesi è stata criticata. Senza lasciarsi scoraggiare, Ekman ha sviluppato un sistema di codifica
delle espressioni facciali chiamato FACS: un metodo standardizzato per misurare il movimento del viso,
che si basa su piccole unità muscolari, le quali riflettono una varietà di stati emotivi soggiacenti.

Vi sono regole culturali e situazionali marcate, definite regole di ostentazione, che governano
l'espressione delle emozioni. Queste esistono perché usiamo le nostre espressioni facciali per comunicare
con gli altri. Nelle regole di ostentazione ci sono variazioni culturali virgola di genere sessuale e
situazionali. L'espressione di un'emozione è incoraggiata tra le donne e nelle culture mediterranee, ma è
scoraggiata tra gli uomini e nelle culture del Nord Europa e asiatiche.

3.6 CONTATTO VISIVO


Negli ambienti circoscritti a due individui, le persone passano il 61% del tempo a guardarsi negli occhi e
uno sguardo dura circa tre secondi.
Lo sguardo è forse il principale canale di comunicazione non verbale più ricco di informazioni: ci permette
di compiere inferenze su sentimenti, credibilità, onestà, competenza e grado di attenzione prestata dalle
persone. anche se, in determinate circostanze, il contatto visivo e sgradevole e a volte imbarazzante,
l'assenza del contatto visivo può essere ugualmente snervante.
Un numero più elevato di sguardi è segnale di intimità, in particolare se gli sguardi sono reciproci.
Lo sguardo gioca un ruolo importante anche nel regolare il corso di una conversazione, una volta iniziata.
Lo sguardo può comunicare una relazione di status tra noi e qualcun altro: gli individui con uno status
inferiore guardano negli occhi il loro interlocutore maggiormente rispetto agli individui con uno status più
alto.

3.7 POSTURE E GESTUALITÀ


La cinesica è il modello linguistico della comunicazione del corpo.
Birdwhistell individuò fino a 70 unità fondamentali del movimento del corpo e descrisse le regole di
combinazione che producono unità di significato nella comunicazione con il corpo.
Esistono differenze tra i generi sessuali: tuttavia alcuni gessi sono universali, come il segnalare direzioni
indicando con il dito.
Gli emblemi sono gesti speciali con una controparte verbale: ad esempio, agitare la mano per salutare.

3.8 VICINO E PERSONALE


La prossemica è lo studio della distanza interpersonale.
Usiamo la distanza interpersonale per regolare la riservatezza e l'intimità.

Potrebbero piacerti anche