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LA PSICOLOGIA SOCIALE

La psicologia sociale cerca di predire come si sentiranno, come si comporteranno, e cosa penseranno degli esseri umani
in un dato contesto sociale. L’interesse è dunque posto sull’intersezione tra la dimensione individuale e quella sociale;
per definizione la psicologia sociale è “l’indagine scientifica del modo in cui emozioni, pensieri e comportamenti degli
individui sono influenzati dalla presenza, o assenza, fisica, immaginaria, implicita o virtuale di altri essere umani”.
Infatti la differenza tra la realtà “oggettiva” e la percezione “soggettiva” delle persone è determinata dall’influenza degli
altri.
Effetto Dunning-Kruger: meno sappiamo di una data materia e più saremo convinti delle nostre opinioni.
La psicologia sociale al pari delle altre discipline utilizza un metodo scientifico, anche detto metodo sperimentale. La
psicologia sociale fonda la sua analisi a livello dell’individuo: indaga come i pensieri, le emozioni, e i comportamenti
della persona influenzino e siano influenzati dai gruppi sociali e dalla società di appartenenza. La sociologia invece si
pone ad un livello di analisi più generale: parte cioè dallo studio della società umana e dei gruppi che la compongono,
andando a indagare la loro formazione, struttura e possibili cambiamenti. È importante tener conto come la psicologia
sociale assegni al contesto e ai fattori sociali un ruolo predominante rispetto alle caratteristiche della personalit à degli
attori coinvolti.
Gli psicologi sociali nella maggior parte dei casi considerano le caratteristiche di personalit à e le differenze individuali
come variabili moderatrici: dei fattori che possono amplificare o diminuire gli effetti dei processi psicologici generali
indagati.
N.B Il mediatore è una variabile che viene introdotta nella ricerca sociologica per ottenere un aiuto nello spiegare la
relazione tra una variabile indipendente e una variabile dipendente. Pertanto, il mediatore funziona come una variabile
esplicativa che cerca di identificare e spiegare la relazione tra la variabile indipendente e quella dipendente.
Un moderatore è una variabile che ha la capacità di cambiare la relazione tra due altre variabili. Il motivo per cui questa
variabile è chiamata moderatore è dovuto al fatto che decide la forza della relazione tra due variabili. Una variabile
moderatore può aumentare o diminuire la forza della relazione tra due variabili, ma può anche cambiare la direzione
della relazione.
Effetto di coazione: quando le persone competono nello svolgimento di uno stesso compito, la loro prestazioni e
individuale migliora, in quanto si attiverebbe una sorta di “istinto competitivo” nell’individuo.
La psicologia sociale negli anni Venta e Trenta si affermò come vera e propria disciplina, almeno nel contesto
statunitense.
Kurt Lewin: uno dei suoi padri fondatori, secondo la “teoria del campo” evidenziò come ogni individuo sia
costantemente immerso in un campo di forze, detto fenomenico, che agiscono contemporaneamente e in direzioni
talvolta opposte, come una sorta di campo elettromagnetico; per comprendere qualsiasi comportamento umano è
necessario analizzare lo “spazio di vita” della persona e le sue forze endogene in stretta connessione con quelle esogene,
intese come tutte le influenze che provengono dall’ambiente sociale entro cui la persona interagisce.
La cognizione sociale analizza l’individuo immerso nel contesto sociale, alla presa con la raccolta, l’elaborazione e
l’interpretazione di informazioni. I processi analizzati indagano la percezione e l’elaborazione del giudizio in merito ad
altri agenti sociali; sono profondamente influenzati dal contesto sociale in cui avvengono e forgiano il nostro
comportamento nei confronti di altri esseri umani.
Storia della cognizione sociale:
1. Modello del ricercatore di coerenza (fine anni 50’): il pensatore sociale è visto come un individuo alle prese
con la risoluzione delle discrepanze percepite tra le proprie cognizioni, le proprie emozioni e i comportamenti
2. Scienziato ingenuo (anni 70’): gli individui sono concepiti come essere razionali, scienziati appunto, alla
ricerca di una spiegazione plausibile dei comportamenti delle persone e delle cause dei fenomeni sociali
3. Economizzatore di risorse cognitive (anni 80’): evidenzia come gli esseri umani siano dotati di risorse
cognitive limitate e sotto pressione temporale siano propensi all’utilizzo di processi rapidi e poco controllati
4. Stratega motivato (anni 90’): gli individui utilizzerebbero in modo strategico i processi a loro disposizione per
raggiungere i loro obiettivi, che sono di natura diversa, in base a se si desidera giungere ad una conclusione il
più possibile accurata o ad una specifica conclusione indipendentemente dalla sua correttezza
Un primo principio che regola i nostri processi cognitivi è quello dell’accessibilità: ovvero, più le informazioni sono
accessibili e più influenzano la nostra vita mentale, il nostro modo di percepire gli altri e di interpretare la realtà sociale.
Un’informazione è accessibile perché è in grado di attirare la mostra attenzione in virtù della sua salienza o della sua
rarità oppure perché è particolarmente presente nella nostra memoria.
Il secondo principio riguarda la profondità di elaborazione delle informazioni: gli individui, quando possono,
tendono a risparmiare energie cognitive ed affidarsi a un’elaborazione superficiale il più possibile rapida delle
informazioni, a utilizzare processi automatici e non controllati, come ad esempio le euristiche. Le persone
intraprendono dei percorsi di elaborazione più profondi, controllati e dispendiosi cognitivamente quando le loro
aspettative e i loro schemi pregressi vengono contraddetti oppure quando hanno particolari motivazioni a farlo (es.
voglio conoscere meglio una persona, frequentarla ecc..).
Infine gli individui tendono al conservatorismo: cioè sono propensi a conservare le proprie idee, le proprie ipotesi
sociali, le prime impressioni sugli altri e gli schemi pregressi.
In aggiunta ai principi di elaborazione cognitiva abbiamo anche i principi motivazionali che sono suddivisi in
direzionali e non direzionali.
I principi motivazioni direzionali: sono quelli che interagiscono con i processi cognitivi per portare l’esito del
percorso verso una conclusione desiderata (la spinta e la propensione degli esseri umani a valorizzare sé stessi, cose e
persone connesse al proprio Sé)
I principi motivazioni non direzionali: di tipo “epistemico” determinato cioè dall’inarrestabile propensione degli
esseri umani verso il raggiungimento di un senso di padronanza del proprio mondo. Non è direzionale poiché non è
rivolta ad una conclusione specifica per difendere un’immagine positiva del proprio sé, ma più in generale, al tentativo
di comprendere gli eventi, dare spiegazioni e fare previsioni il più possibile attendibili.
Inoltre dobbiamo fare riferimento a diverse tipologie di processi:
⁃ Processi controllati: sono attivati e terminati consapevolmente, richiedono una quantità considerevole di risorse
cognitive e svolgono le loro funzioni sotto il controllo volontario dell’individuo
⁃ Processi automatici: al contrario, tipicamente si attivano in modo non intenzionale e non sono consapevoli,
richiedono una quantità ridotta di risorse cognitive, non possono essere interrotti volontariamente e generano
impressioni per così dire “intuitive” (es. effetto priming: un processo per cui l’esposizione a uno stimolo -anche
per un tempo brevissimo in modo subliminale- influenza la risposta dell’individuo in momenti successivi)
Sempre parlando di processi in cognizione sociale, vengono distinti:
Processi bottom-up: processi dal basso verso l’alto, sono molto utili quando la persona si trova in un contesto nuovo o
di fronte ad altri che non conosce e non può basarsi quindi su ipotesi prestabilite. Si basa su informazioni presenti
nell’hic et nunc. Tuttavia le informazioni spesso sono talmente elevate che lo si fa applicando un filtro, operando una
selezione, tramite gli schemi, ossia delle strutture cognitive interne formate sulla base di evidenze, conoscenze ed
esperienze passate che permettono all’individuo di processare i dati in ingresso con maggiore efficienza. Gli schemi
generalmente operano in modo rapido, al di fuori della consapevolezza e influenzano la direzione dell ’attenzione, la
memoria, l’interpretazione di eventi ambigui, le inferenze su nessi causali o su elementi non direttamente osservabili.
Quando la percezione sociale è guidata dagli schemi siamo di fronte a un processo dall’alto verso il basso o top-down. I
processi bottom-up e top-down possono portare a esiti completamente diversi (es. stereotipi).
Le euristiche: indicano delle scorciatoie di pensiero, delle strategie nella risoluzione di problemi che si affidano
all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze più che a processi controllati.
L’euristica della rappresentatività: il processo automatico per cui associamo velocemente una persona ad un'immagine
preesistente nel nostro cervello. È grazie a questa scorciatoia mentale che intuiamo che due persone sono una coppia; gli
individui utilizzano scorciatoie di pensiero quando devono fare interferenze sulla probabilità che un certo evento o
esemplare appartenga a una categoria data.
L’euristica della disponibilità: le persone tendono a giudicare più frequente o più probabile un certo evento o un dato
esemplare sulla base della facilità con cui vengono alla mente esemplari o eventi simili; nella vita quotidiana le persone
non tengono conto della legge dei grandi numeri, sono insensibili alla grandezza del campione, mentre sappiamo bene
che spesso le informazioni recuperate dalla memoria non sono sempre quelle con il potere informativo maggiore.
Gli schemi di sé e la percezione sociale
Gli schemi di sé sono appunto strutture di conoscenza, generalizzazioni cognitive derivate dalle esperienze passate, che
organizzano in memoria e ordinano tutte le rappresentazioni che la persona ha dei propri attributi, ruoli ed episodi
sociali. Possono anche essere concepiti come una serie di invarianze che le persone hanno concepito nel loro stesso
comportamento sociale. Lo schema di sé che guiderà la nostra autopercezione in un contesto lavorativo è ovviamente
differente da quello attivato in famiglia o con gli amici, durante il tempo libero. Queste strutture non sono solo
magazzini di informazioni su di noi presenti in memoria ma svolgono anche altre importanti funzioni:
⁃ facilitano l’elaborazione delle informazioni riguardo al S é in domini specifici e regolano le funzioni esecutive
(working self-concept)
⁃ Guidano il nostro comportamento futuro e ci permettono di mantenere una visione di noi stessi coerente e di
resistere al processo di falsificazione
Le informazioni che sono associate a parti centrali dello schema di sé vengono processate più rapidamente. Inoltre gli
individui sono meno propensi a mettere in discussione e modificare queste dimensioni che ritengono centrali nelle
definizioni di loro stesse. Lo schema di sé non condiziona solo l’elaborazione di informazioni su di sé ma funge da
priming cronico, influenzando così la percezione sociale. Il nostro schema si sé sarà la lente con cui osserveremo il
nostro mondo sociale. Non solo tendiamo a sovrapporre la rappresentazione di noi stessi e delle persone vicine, ma
siamo anche portati ad utilizzate lo schema di sé come punto di riferimento egocentrico per definire gli altri. Tendiamo
quindi in modo inappropriato a pensare che gli altri la pensino come noi, decidano come noi, abbiano i nostri stessi
valori e le nostre aspirazioni. Questo fenomeno è noto come effetto del falso consenso ed è dato proprio dal fatto che
tendiamo a un bias egocentrico nella cognizione sociale, ragione per cui studiare lo schema di sé ci fornisce molte
informazioni circa il come percepiamo gli altri attori sociali. Le persone tendono a proiettare le caratteristiche del sé in
modo specifico sul proprio gruppo di appartenenza (ingroup) più che su un gruppo diverso dal proprio (outgroup).
Inoltre siccome le persone tendono a rappresentarsi in un modo favorevole, questo si traduce in un favoritismo nei
confronti dei membri del proprio gruppo. La relazione tra la percezione di sé stessi, degli altri e dei propri gruppi è
bidirezionale: cioè non solo lo schema di sé influenza il modo in cui rappresentiamo gli altri agenti sociali, ma anche
l’immagine e persone per noi significative e dei gruppi a cui apparteniamo influenza la percezione che abbiamo di noi
stessi.
Tajfel: teoria dell’identità sociale: secondo la quale una parte dell’identità individuale viene definita sulla base
dell’appartenenza a un gruppo sociale; dunque gli individui cercano di favorire il proprio gruppo al fine ultimo di
mantenere un’immagine positiva del sé e un’elevata autostima.
Quando gli individui si definiscono con una categoria sociale e quando diventa saliente il fatto che appartengono a un
certo gruppo, iniziano ad attribuire le caratteristiche di quel gruppo a sé secondo un fenomeno di
autostereotipizzazione. Infatti gli stereotipi esercitano un’importante influenza anche nella percezione di sé stessi.
Lo studio della formazione delle impressioni si occupa di comprendere come le persone sviluppano un giudizio sociale
sugli altri partendo dai primissimi millisecondi della percezione, come lo perfezionano e come riescono in alcuni casi ad
aggiornarlo e modificarlo. La formazione di un’impressione deriva sia da un’esperienza diretta che da una serie di
inferenze derivate da processi di tipo top-down. È sicuramente uno dei processi centrali nello studio della cognizione
sociale e ha un altissimo valore adattivo. Ha anche una grande influenza sulla nostra risposta comportamentale.
Effetto alone: si attribuiscono caratteristiche positive a partire dalla bellezza e dall’avvenenza delle persone, in assenza
di altre informazioni rilevanti. Anche l’altezza viene associata a tratti postivi come alto potere e alto status.
Nonostante la varietà e la numerosità delle informazioni che abbiamo sugli altri, questi dati devono essere integrati e
unificati affinché alla fine del processo noi abbiamo a livello fenomenico l’impressione di una persona unitaria e
coerente.
Asch: ha proposto il modello configurazionale e condotto una serie di esperimenti per supportarlo. I risultati hanno
evidenziato un effetto chiamato effetto primacy: sebbene le informazioni fossero esattamente le stesse, l’impressione sul
target dei partecipanti messi di fronte alla configurazione A era più positiva di quella dei partecipanti a cui era stata
messa di fronte la configurazione B. Questo perché le informazioni iniziali positive o negative avrebbero portato a una
reinterpretazione del valore dei tratti proposti successivamente. L’impressione sull’altro sarebbe frutto di un processo di
integrazione, guidato dall’interpretazione e non riconducibile alla somma dei singoli tratti.
Secondo un’altra prospettiva invece, con il nome di approccio algebrico (Anderson) l’integrazione di nuove
informazioni nel nostro sistema di conoscenze avverrebbe attraverso un processo sequenziale e continuo. A ogni tratto
l’individuo associa una valenza e un da certo peso cognitivo. Questo modello include la possibilit à che il peso cognitivo
di ciascun tratto sia “aggiustato” dalla valenza dei coefficienti derivanti da altri fattori.
Esistono tuttavia numerosi casi in cui i dati a nostra disposizione sono limitati e la nostra rappresentazione relativa al
target risulta profondamente lacunosa e colmiamo queste lacune attraverso delle inferenze, cioè ci basiamo sulle
caratteristiche che conosciamo di chi ci sta di fronte e le arricchiamo, talvolta indebitamente.
Nella nostra mente sono presenti degli schemi, le teorie implicite di personalità in cui alcuni tratti sono associati ad altri
con minore o maggiore forza. Queste associazioni possono fondarsi su base semantica o valutativa. Tuttavia è da
prendere in considerazione anche la desiderabilità sociale e la desiderabilità intellettuale. Inoltre i tratti tendono ad
organizzarsi in gruppi, per cui caratteristiche vicine tra di loro saranno quelle più associate psicologicamente dagli
individui.
L’antropomorfizzazione: è un processo inferenziale (che può considerarsi inverso alla deumanizzazione) che implica
l’attribuzione di caratteristiche tipicamente umane, stati mentali, esperienze coscienti, intenzionalità ad agenti non
umani.
È importante sottolineare che gli schemi relativi alla personalit à sono teorie ingenue ossia delle credenze condivise
socialmente circa quali caratteristiche si accordano tra di loro e quali invece si combinano male.
Essi sono utili perché ci permettono di arricchire le nostre impressioni con un minimo sforzo, di completare
rapidamente il giudizio sugli altri in modo da pianificare la nostra risposta comportamentale. Le teorie implicite di
personalità sono culturalmente determinate, ma possono anche essere influenzate dalle nostre esperienze.
Ciò che facciamo continuamente è cercare di capire le caratteristiche di chi ci sta attorno partendo dall’osservazione
delle azioni compiute, ovvero mettiamo in atto un’inferenza corrispondente: un'azione che si allontana dalle norme
della società può essere attribuita a intenzioni personali e interne del soggetto. Per spiegare un comportamento si può far
riferimento a due fattori:
 il fattore esterno: ambientale e situazionale (causazione impersonale)
 Il fattore interno: legato all’individuo (causazione personale)
Nel mondo occidentale, agli occhi del percipiente, è la persona che si impone come elemento causale saliente, mentre il
ruolo dei fattori situazionali viene sottostimato. Quando osservano un’azione le persone commettono un errore
fondamentale di attribuzione o di corrispondenza che consiste nell’attribuire le cause del comportamento a
caratteristiche interiori e stabili dell’attore anche quando esistono atre possibili cause nel contesto in grado di fornire
una valida spiegazione.
L’osservazione di un comportamento genera un’inferenza corrispondente quando l’azione ha alcune caratteristiche
particolari:
⁃ quando è percepita come libera e intenzionale
⁃ è inaspettata, atipica, scarsamente desiderabile a livello sociale o non corrispondente al ruolo dell’attore
⁃ ha effetti distintivi che non possono essere spiegati da altri fattori
Un atro aspetto rilevante che spiega l’errore fondamentale e la propensione all’inferenza corrispondente è l’accesso
cognitivo alle informazioni: l’attore mette in atto dei comportamenti perché esso è spinto da molteplici variabili
situazionali che l’osservatore non sempre percepisce e dunque c’è una sostanziale asimmetria nell’errore fondamentale
di attribuzione tra l’attore e l’osservatore.
Quando assistiamo al comportamento degli altri tendiamo a fare inferenza corrispondente e attribuire l ’azione a
disposizione interne (tratti), mentre quando siamo noi gli attori siamo pi ù propensi a spiegare i nostri atti riferendoci a
fattori esterni, anche perché disponiamo di info circa la situazione e il contesto che li ha determinato i nostri atti.
Le persone tendono a fare attribuzione interna in caso di successo e di esiti postivi del comportamento e attribuzione
situazionale nel caso di esiti negativi. Ovviamente si tratta di strategie difensive che ci permettono di non attribuire a
noi stessi le cause dell’insuccesso. Queste attribuzioni a favore del sé prendono il nome di self-serving bias. In
Occidente lo stile cognitivo più diffuso è quello analitico, mentre in Oriente è quello olistico: gli individui sono
percepiti come interdipendenti rispetto ai gruppi e all’ambiente intorno a loro. Una visione del sé per persone di culture
orientali è quindi di tipo interdipendente.
Il bias di conferma nella formazione di impressioni opera attraverso:
1. la quantità e il tipo di informazioni che la persona ricerca per giudicare il target (andremo a caccia di prove che
suffraghino la nostra conclusione)
2. l’interpretazione, il ricordo, il giudizio sulle nuove informazioni ricevute (saremo ciechi di fronte alle info
falsificanti)
3. la risposta comportamentale (le ipotesi iniziali guideranno il nostro comportamento)
Le nostre prime impressioni tuttavia non si basano sempre su elementi solidi e rilevanti ma anche su processi
estremamente superficiali. Nella vita quotidiana, riceviamo informazioni sui target sociali in ordine spesso casuale e
non certo in ordine di importanza e di diagnosticità. Dopo una serie di esperimenti è stata confermata la presenza della
cosiddetta conferma sperimentale: quando partiamo dall’ipotesi che il nostro interlocutore sia ad es. più o meno aperto,
scegliamo delle domande e ci poniamo nei suoi confronti in modo coerente con le nostre ipotesi di partenza. Altro
processo affine è quello della profezia che si autoavvera: una profezia che si autoadempie/autodetermina/autorealizza è
una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa.
Correlazioni illusorie: emergono quando ci illudiamo che esista un’associazione tra due eventi che in realtà è
inesistente, oppure al contrario non notiamo un’associazione esistente.
Tra le altre strategie a nostra disposizione per mantenere inalterata la nostra prima impressione sugli altri vi è anche
quella del discredito: le informazioni che non sono in linea con le nostre ipotesi iniziali vengono considerate meno
rilevanti e attendibili. Negli esperimenti di Lord, Ross e Lepper ad esempio i partecipanti non modificarono le proprie
teorie sulla base dei dati ma giudicarono i dati sulla base della congruenza con le proprie ipotesi a priori. È molto più
facile inoltre falsificare una prima impressione positiva che una negativa; i fattori motivazionali oltretutto possono
giocare un ruolo importante per decidere di elaborare in modo più accurato le informazioni raccolte e rivedere i primi
sommari giudizi oppure no.
I processi di categorizzazione e di stereotipizzazione in interazione con i fattori motivazionali e affettivi sono la base
cognitiva su cui si erge il pregiudizio e la discriminazione verso gruppi diversi dal proprio.
La categorizzazione sociale si basa su un processo analogo di riduzione del molteplice all’unità, attraverso
l’assimilazione in una stessa classe di componenti originariamente distinti tra loro. Essa in sintesi:
⁃ si basa su un processo di astrazione e di generalizzazione
⁃ risponde al principio di economia cognitiva
⁃ funge da base per i processi inferenziali
⁃ ci permette una risposta comportamentale rapida ed efficace basata su dei modelli di risposta
La categorizzazione sociale porta tuttavia a delle distorsioni percettive che si traducono in un’accentuazione delle
differenze tra gli esemplari che appartengono a categorie diverse (principio di accentuazione intercategoriale) e a una
riduzione delle differenze tra gli esemplari che appartengono alla stessa categoria (principio di assimilazione
intracategoriale). Quando oltre al confine tra una categoria e l’altra, aggiungiamo anche un’etichetta otteniamo degli
effetti additivi che enfatizzano ulteriormente la percezione di somiglianza tra i membri di una stessa categoria e di
differenze tra membri di categorie diverse.
Gli individui sono soggetti ad un effetto di omogeneità dell’outgroup: cioè tendono a percepire i membri di esso come
più omogenei sia in termini di caratteristiche fisiche che di personalità rispetto ai membri dell’ingroup che sono più
differenti tra loro. Ovviamente perché le persone dello stesso gruppo hanno molte più info e una rappresentazione più
differenziata dei componenti del loro stesso gruppo.
L’individuo definisce sé stesso anche in base all’appartenenza a categorie sociali e quando ne attiva una, inizierà a
vedere nell’altro non più una singola persona ma un membro del suo stesso gruppo o di uno distinto.
Turner: teoria dell’autocategorizzazione: nel momento in cui ci definiamo come “psicologi” per esempio tracciamo un
sottile ma invalicabile confine tra il “noi” e il “loro” e iniziamo ad accentuare le somiglianze entro il nostro gruppo e i
contrasti tra gruppi distinti. Esistono in questo processo vari livelli di astrazione: il livello interpersonale, quello
intergruppale e quello interspecie. L’autocategorizzazione inoltre non è costante.
L’accesso normativo inoltre prevede che utilizzare una categoria piuttosto che un’altra allo scopo di autodefinirsi non
dipenda solo dal contesto ma sia anche influenzato da preferenze specifiche e stabili del soggetto percepiente. L ’accesso
a una categoria è favorito quando essa rientra nel sistema di credenze dell’individuo. Questi processi sono automatici, si
attivano in modo rapido al di fuori della consapevolezza e del nostro controllo e guidano i processi di elaborazione
successivi di tipo top-down. In alcuni casi siamo anche disposti a scomodare delle risorse cognitive per capire meglio
chi ci sta di fronte. I modelli di categorizzazione multipla prevedono l’attivazione di diversi criteri simultaneamente e
una successiva competizione, il cui vincitore guiderà la percezione sociale. Gli esseri umani riescono a gestire un
numero limitato di criteri di categorizzazione contemporaneamente.
Gli stereotipi sociali: lo stereotipo è uno schema cognitivo che associa a un determinato gruppo o categoria una serie di
caratteristiche distintive e comportamenti tipici. Svolgono diverse funzioni:
 una funzione descrittiva
 una funzione prescrittiva
 una funzione di protezione dello status quo
Gli stereotipi sono definiti in base a tre caratteristiche:
1. la valenza (positivi o negativi)
2. la polarizzazione dei tratti presenti nello schema (freddi o schivi)
3. un indice di dispersione (es. gli italiani sono disorganizzati, ma c’è molta eterogeneità tra i nostri connazionali)
Gli stereotipi legati ai diversi gruppi sociali vengono poi mantenuti, diffusi, rinforzati all’interno del contesto culturale
attraverso social media, tv, film, letteratura e linguaggio quotidiano. Lo stereotipo costituisce si la base cognitiva del
pregiudizio ma il pregiudizio non è lo stereotipo. Gli stereotipi si attivano e agiscono automaticamente, in modo rapido
e non controllato in tutti, sia nelle persone con alto pregiudizio che in quelle con basso, però queste ultime quando
hanno risorse cognitive sufficienti, possono monitorare gli schemi e sopprimere almeno parzialmente l’effetto. Gli
stereotipi sociali si possono formare e quindi anche trasformare sulla base di esperienze personali dirette con i membri
di una certa categoria sociale. I membri del gruppo maggioritario agiscono nei confronti del gruppo minoritario guidati
da credenze che influenzano profondamente il comportamento.
Minaccia dello stereotipo: è la consapevolezza del pericolo di essere giudicati in base a uno stereotipo.
L’influenza sociale
Deutsch e Gerard hanno distinto due tipo di influenza: l’influenza normativa e l’influenza informativa.
L’influenza informativa: entra in gioco quando ci troviamo in una condizione di incertezza e siamo per questo propensi
a fare affidamento sugli altri, a considerare un’informazione proveniente da un’altra persona o gruppo di individui come
una prova di verità. Entra in azione quando un individuo prova il desiderio di essere nel giusto e pensa che gli altri
possano aiutarlo a soddisfare questo desiderio.
L’influenza normativa: le persone conformano le proprie idee e/o il proprio comportamento alle aspettative altrui. Tale
influenza agisce soprattutto tramite la pressione sociale e si fonda sul desiderio di evitare l ’esclusione sociale e ottenere
il massimo vantaggio dal rapporto con gli altri.
Altra distinzione è tra: fonte passiva e fonte attiva, nel grado di intenzionalità delle stesse nell’esercitare un’influenza su
qualcuno. Una forma attiva per indurre il bersaglio ad agire o pensare in un certo modo deve esercitare una forma
diretta o indiretta di pressione.
La semplice presenza degli altri può facilitare comportamenti e ragionamenti, un fenomeno noto come facilitazione
sociale. È stato definito indolenza o inerzia sociale il calo di motivazione che si verifica quando le persone sono
coinvolte in un’attività collettiva rispetto a quando le stesse persone agiscono individualmente. Un caso tipico di inerzia
sociale riguarda i cosiddetti comportamenti di aiuto. Il fenomeno dell’apatia degli astanti è un meccanismo di
influenza sociale che spiega come paradossalmente all’aumentare del numero di persone presenti o spettatori,
diminuisce la probabilità di intervento. Infatti nelle situazioni poco chiare e in cui si è incerti sul comportamento da
tenere, quello degli altri condiziona la nostra interpretazione della situazione e il nostro comportamento, si tratta
dell’ignoranza pluralistica: ciascuno pensa che gli altri abbiano più informazioni sulla situazione di quante ne hanno
loro e quindi di fronte a un evento ambiguo le persone osservano il comportamento altrui per cercare di interpretarlo
correttamente senza considerare che anche gli altri fanno lo stesso. Ciò porta ad un'elevata probabilità di inazione.
Oltretutto alcuni studi hanno dimostrato che nei compiti semplici l’eccitazione fisiologica sembrerebbe migliorare le
prestazioni mentre in quelli complessi sembrerebbe peggiorarle.
Sherif: lo studioso sfruttò in modo originale e creativo l’illusione ottica del cosiddetto effetto autocinetico per indagare
quale tra la norma individuale e quella di gruppo permanesse nella sessione successiva ad un confronto nel suo
esperimento. I partecipanti mostrarono un’accettazione privata e non solo pubblica della norma di gruppo. Tale
fenomeno, tipico delle situazioni in cui non vi è un accordo maggioritario, venne definito normalizzazione. La norma di
gruppo ha rappresentato uno schema di riferimento che si è costruito per progressivi aggiustamenti a partire dalle
valutazioni dei singoli componenti del gruppo e che è riuscito ad influenzare un dato relativo alla realtà fisica. Altro
esempio è il fatto che le persone in situazioni sociali consumino molto più cibo di quando sono sole; questo perché si
attiva un processo di influenza reciproca. Spesso l’influenza reciproca tra i membri conduce a valutazioni o decisioni
collettive che, anche se non esattamente intermedie, sono pur sempre un compromesso tra le posizioni iniziali dei
singoli individui. Ma c’è anche talvolta uno spostamento delle persone verso una posizione più estrema, nei casi di
influenza interattiva, che porta a una convergenza polarizzata. Questo fenomeno che porta ad assumere decisioni più
rischiose prende il nome di spostamento del rischio. Altro esperimento sul conformismo di Asch, che a differenza di
Sherif (situazione di incertezza) qui vede i partecipanti trovarsi a dover esprimere un giudizio che è senza dubbio
sbagliato, è quello delle dimensioni delle linee rette, tutte verticali. Anche laddove ai partecipanti fosse stata imperita
l’interazione faccia a faccia, il conformismo apparve chiaramente anche con e non solo rispetto a compiti percettivi, ma
anche quando gli item riguardavano opinioni e atteggiamenti. Per quanto riguarda la discrepanza, non si valutarono
grandi variazioni, mentre unanimità o sostegno sociale si rivelarono fattori significativi: essere solo o avere un minimo
di sostegno costituiva la differenza psicologica fondamentale. Le persone aderiscono a una maggioranza quando
pensano di essere meno esperti della maggioranza o quando il compito è ambiguo e allora è più probabile che avvenga
l’accettazione della posizione maggioritaria. Cioè è spiegato anche secondo l’euristica del consenso. Una seconda
motivazione è il bisogno di proteggere o rafforzare l’immagine e la stima di sé. Inoltre un bisogno fondamentale degli
esseri umani è il bisogno di appartenenza. Se da un lato quando parliamo di maggioranza facciamo riferimento al
conformismo, dall’altro è stato analizzato il potere dell’influenza minoritaria;
Serge Moscovici: sostiene che anche un gruppo minoritario senza potere possa generare un cambiamento sociale,
parlando di forza delle minoranze attive. Secondo lui questi gruppi possono diventate fonte di innovazione, in virtù
della coerenza sincronica e diacronica e dello stile di comportamento assunto. Mentre una maggioranza produce
conformità pubblica, il gruppo minoritario genererebbe una vera e propria conversione.
Effetto modellante: studio del movimento femminista che è diventata un esempio di dissidenza e che ha fatto nascere il
desiderio nelle donne di liberarsi dai ruoli tradizionali e di essere più autonome.
La differenza sarebbe dovuta al fatto che i due tipi di fonte attivano processi qualitativamente diverse: la minoranza
attiverebbe un processo di convalida che indurrebbe la persona a prestare attenzione al problema su cui la fonte ha preso
posizione e a riflettere sull’argomento. Induce dunque gli individui a pensare e agire in modo personale e originale.
Studi successivi hanno dimostrato che una posizione minoritaria in sintonia con il contesto normativo vigente ottiene
un’influenza maggiore di una che lo contraddice. Fattore importante è la presenza di un leader. Le minoranze tuttavia
possono non solo promuovere il cambiamento sociale ma anche ostacolarlo. Un dispositivo potente di conservazione
sono i miti di legittimazione.
La teoria della giustificazione del sistema: elaborata da John Jost, secondo cui le gerarchie presentano un vantaggio di
legittimità per il semplice fatto che producono differenziali di potere. Fra le tipologie di motivazioni che spingono le
persone a giustificare l’ordine sociale ci sarebbero le:
Motivazioni epistemiche: hanno a che fare con il bisogno umano di certezza, struttura, significato e controllo della
realtà circostante.
Motivazioni esistenziali: hanno a che fare con il bisogno di sicurezza, mettere in discussione il sistema pu ò generare
paura e una generale sensazione di vulnerabilità.
L’obbedienza all’autorità è un valore non trascurabile da un punto di vista sociale. Mentre nel conformismo la
pressione è in gran parte implicita, l’obbedienza costituisce una risposta a comandi espliciti e comporta una struttura
gerarchica, una disuguaglianza sociale tra fonte e bersaglio: abbiamo in questo caso una persona di status superiore che
intima a una di status inferiore di comportarsi secondo i propri dettami. Inoltre riguarda un’azione che non fanno tutti
ma che spesso viene richiesta al solo bersaglio, mentre la fonte di influenza può evitare di compiere tale azione. Mentre
chi obbedisce all’autorità è in genere pronto a riconoscerlo, le persone che cedono alla pressione del gruppo
difficilmente ammettono o si rendono conto di averne subito l’influenza.
Milgram: proverà a dimostrare in laboratorio che i comportamenti di obbedienza distruttiva non sono necessariamente
frutto di perversione e sadismo individuale ma possono essere diffusi e indotti dalla struttura di un particolare contesto
sociale. Era sicuro inoltre che alla base dell’obbedienza o della disobbedienza vi fossero differenze nella struttura della
personalità.
Esperimento dell’insegnante, dell’allievo e della scossa elettrica: l’87% delle persone arrivò a 300 volt, mentre ben il
65% arrivò al limite di 450 volt.
Fattori che facilitano oppure ostacolano l’obbedienza sono:
 vicinanza dell’autorità e grado di sorveglianza
 legittimità dell’autorità
 incongruenza nella struttura sociale (segnali incongruenti tendono a ridurre la pressione dell’autorità)
 presenza di dissidenti
 vicinanza della vittima del crimine (fenomeno della deumanizzazione)
 responsabilità personale (più essa è chiara, più la persona tenderà a evitare azioni criminose)
Gli atteggiamenti
Per atteggiamento si intende una valutazione relativamente durevole di un oggetto, una persona, un evento o una
situazione. Viene utilizzato per far riferimento a valutazioni soggettive, che non sono osservabili, a meno che non siamo
comunicate attraverso il linguaggio. Non intende una reazione momentanea o passeggera, ma gli atteggiamenti possono
comunque sia modificarsi.
È formato da tre componenti principali:
1- una reazione affettiva
2- una disposizione comportamentale
3- un insieme di credenze cognitive
Gli atteggiamenti possono essere precursori del comportamento. Talvolta le persone esprimono i propri atteggiamenti
attraverso il comportamento. Gli atteggiamenti espliciti sono valutazioni deliberate e consapevoli che si fondano su
processi di pensiero di tipo riflessivo o controllato.
Gli atteggiamenti impliciti: sono valutazioni automatiche e per lo più non consapevoli di un oggetto di valutazione e
sono radicate nelle associazioni mentali immagazzinate nella memoria a lungo termine. Si attivano senza alcun sforzo, è
sufficiente l’esposizione ad uno stimolo esterno o interno della persona.
IAT (Implicit Association Test): è una delle misure più utilizzate per rilevare gli atteggiamenti impliciti.
Esiste una formazione automatica ed una invece consapevole degli atteggiamenti. Nel caso di quella automatica
abbiamo ad esempio il condizionamento classico e il condizionamento operante. La mera esposizione ad uno stimolo
determina un atteggiamento più favorevole nei suoi confronti.
Bem: teoria dell’autopercezione: inferiamo i mostri atteggiamenti a partire dalle nostre azioni, ovvero attribuiamo un
nostro comportamento a una causa interna.
Le nostre espressioni facciali possono suggerirci quale è il nostro atteggiamento nei confronti di un determinato oggetto
o situazione, come indica l’ipotesi del feedback facciale.
Il principale approccio teorico che spiega invece la formazione di atteggiamenti consapevole è l’approccio funzionale:
indaga le ragioni per cui le persone sviluppano degli atteggiamenti.
Katz: ha proposto quatto funzioni degli atteggiamenti:
 La funzione utilitaristica o adattiva
 Funzione esecutiva
 Funzione ego-difensiva
 Funzione di espressione di valore
L’assunto secondo cui l’atteggiamento determinerebbe i nostri comportamenti è stato messo in discussione da studi
condotti da LaPiere sulla coerenza tra atteggiamenti e comportamenti. Tale relazione risultò non poi così tanto diretta o
lineare. I fattori che determinano il legame tra atteggiamento e comportamento sono: la specificità nella misurazione:
un atteggiamento può aiutarci a prevedere un comportamento quando entrambi sono rilevati con lo stesso grado di
specificità. Secondo il principio di compatibilità (Ajzen e Fishbein) atteggiamento e comportamento si compongono di
quattro elementi: azione, target, contesto e tempo. La corrispondenza tra atteggiamento e comportamento sarà massima
quando entrambi sono misurati allo stesso livello di specificità, in relazione a uno o più di questi quattro elementi.
Un secondo fattore è l’accessibilità: il grado in cui un atteggiamento è facilmente recuperabile dalla memoria e
disponibile, in modo simile a quanto si verifica nel caso dell’euristica della disponibilità.
La forza dell’atteggiamento è il terzo elemento che influenza tale relazione; secondo Fazio gli atteggiamenti sono
associazioni tra un oggetto e attributi valutativi, che possono variare da nulle a molto forti, passando per gradi
intermedi.
Un quarto fattore degno di nota è il tempo maggiore è il tempo tra la misurazione di un atteggiamento e un
comportamento e minore sarà l’associazione tra questi due elementi, proprio perché gli atteggiamenti possono
modificarsi.
Sempre secondo Ajzen e Fishbein: la teoria dell’azione ragionata: il principale antecedente del comportamento sono le
intenzioni comportamentali ovvero i propositi di attuare un determinato comportamento. Le intenzioni sono a loro volta
determinate dall’atteggiamento verso il comportamento e dalle norme soggettive. Tale teoria parte dall’assunzione
dell’uomo come essere razionale. Molti comportamenti però non sono realizzabili nonostante le intenzioni.
Ajzen: la teoria del comportamento pianificato: un’estensione della teoria dell’azione ragionata che include un ulteriore
predittore ovvero il controllo comportamentale percepito definito come la percezione di essere in grado di mettere in
atto il comportamento. Esso influenza la formazione delle intenzioni.
Nel caso di attivazione di processi controllati, l’individuo mette in atti un’analisi costi/benefici nell’intraprendere un
determinato comportamento, valutando le diverse alternative a disposizione. Le teorie dell’azione ragionata e del
comportamento pianificato sino esempi di teorie che indagano la relazione tra atteggiamenti controllati e
comportamento. Questi necessitano di sforzo cognitivo per essere messi in atto (gli individui devono avere sia la
motivazione che le risorse cognitive). Gli atteggiamenti controllati si basano su processi di pensiero consapevoli mentre
quelli automatici su processi di tipo associativo. I concetti, gli attributi e i legami associativi che li collegano formano
una rete di associazioni mentali. Quando siamo esposti ad uno stimolo viene attivata una determinata area associativa.
Uno dei modi per cambiare l’atteggiamento automatico è attraverso la modifica della struttura della rete associativa.
Anche agire sui pattern di attivazione della rete associativa può portare alla modifica dell’atteggiamento automatico. Il
cambiamento degli atteggiamenti controllati dipende sia dai cambiamenti nelle associazioni valutative sia dai
cambiamenti che avvengono a livello dei processi di tipo controllato e essi possono dipendere da: un’incongruenza tra
due cognizioni (dissonanza cognitiva), dall’acquisizione di nuove credenze fornite ad esempio da una comunicazione
persuasiva.
Il cambiamento delle associazioni automatiche si riflette sul cambiamento degli atteggiamenti controllati.
Festinger: la teoria della dissonanza cognitiva: la dissonanza cognitiva non è altro che una sensazione scaturita da un
conflitto fra idee, convinzioni, valori e atteggiamento dell’individuo. In poche parole, consiste nel sostenere due o più
pensieri o idee che risultano in contraddizione tra loro, generando disagio e tensione.
Nel caso di dissonanza tra comportamento e atteggiamento è più probabile che le persone cambino atteggiamento.
Il primo paradigma è la giustificazione insufficiente: una modifica dell’atteggiamento come mezzo per ridurre la
dissonanza è più probabile in caso di incentivi modesti rispetto a incentivi più elevati.
Axsom e Cooper: giustificazione dello sforzo: l’incoerenza è esperita quando una persona compie uno sforzo
considerevole per raggiungere un risultato modesto
Terzo paradigma: dissonanza postdecisionale: per ridurre la dissonanza legata ai benefici associati alle alternative
perse, nei momenti successivi alla decisione le persone aumentano la preferenza e la fiducia verso l'alternativa scelta, ad
esempio continuando a cercare informazioni sulle alternative, focalizzandosi però sulle dimensioni su cui l'alternativa
scelta risulta la migliore.
La dissonanza cognitiva può indurre un cambiamento di atteggiamento agendo sul bisogno di coerenza cognitiva che
guida i processi di pensiero controllati; tuttavia gli atteggiamenti controllati possono essere cambiati anche attraverso la
persuasione: nella persuasione una fonte intende modificare gli atteggiamenti di un destinatario (individuo o gruppo)
attraverso un messaggio o una comunicazione.
Il modello della probabilità di elaborazione dell’informazione: modello di Petty e Cacioppo e il modello
euristicosistematico di Chaiken sono i principali modelli che hanno indagato la comunicazione persuasiva, entrambi
stabiliscono che in condizioni di bassa elaborazione cognitiva gli atteggiamenti verranno influenzati non tanto dal
contenuto e dalla qualità delle argomentazioni quanto da indici periferici (percorso periferico o euristico di
elaborazione); al contrario, in condizioni di alta elaborazione cognitiva, essi saranno influenzati maggiormente dalla
qualità delle argomentazioni (percorso centrale o sistematico) dunque le argomentazioni forti in questo casi produrranno
persuasione e quelle deboli non modificheranno gli atteggiamenti.
Il destinatario del messaggio decide di usare l’uno o l’altro percorso di elaborazione in base alla rilevanza personale del
messaggio, alla disponibilità di risorse cognitive e anche in base al tempo a disposizione. Anche il nostro bagaglio di
conoscenze e informazioni disponibili sull’argomento può influenzare il tipo di elaborazione. Un ultimo fattore da
considerare sono alcune variabili di differenza individuale, come ad esempio il bisogno di cognizione (la misura in cui
gli individui sono inclini ad attività cognitive impegnative) il bisogno di chiusura cognitiva (si tratta di un'avversione
nei confronti della confusione, dell'incertezza e dell'ambiguità) le persone con alto bisogno di cognizione tendono a
prediligere il percorso centrale mentre quelle con elevato bisogno di chiusura cognitiva, dal momento che hanno la
preoccupazione di ottenere una risposta definitiva a un problema molto velocemente ed evitare lo stato di incertezza,
preferiscono procedere per un livello di elaborazione periferico. Tuttavia, non sempre i messaggi minacciosi ottengono i
risultati sperati, di fatti la minaccia viene ritenuta meno credibile proprio dai destinatari per i quali è più rilevante. Il
messaggio viene elaborato da quest’ultimi in modo distorto, al fine di proteggersi.
Il sé: autoregolazione, motivazione ed emozioni
I primi studi sul concetto di Sé si devono a William James, George Herbert Mead (fondatore dell’interazionismo
simbolico). Secondo questi due autori il Sé riveste un duplice aspetto: il Sé come soggetto (che agisce e produce
conoscenza) e il Sé come oggetto (che può essere conosciuto e controllato). James affermava che è l’esperienza che
facciamo di noi stessi come “attori sociali” a permetterci di costruire la nostra identità. Questo processo di acquisizione
di consapevolezza del Sé, che si sviluppa attraverso le relazioni con gli altri, è continuamente soggetto a variazioni. Tali
variazioni scaturiscono dai feedback ricevuti durante le interazioni sociali. In particolare, feedback positivi tendono a
corroborare le nostre risorse, permettendoci di costruire nuove competenze su di esse; mentre feedback negativi,
tendenzialmente dovrebbero incrementare la nostra consapevolezza su degli aspetti poco funzionali e permetterci di
autoregolare la condotta in un processo di adattamento all'ambiente in cui viviamo.
Mead: ha sviluppato una teoria in grado di legare il Sé all’interazione sociale, oltre che all’acquisizione delle capacità di
usare simboli e quindi allo sviluppo del linguaggio. Il gioco assume un ruolo fondamentale nello sviluppo del Sé,
poiché attraverso di esso il bambino inizia ad assumere la prospettiva dell’altro e questo gli permette di vedere sé stesso
dal punto di vista altrui, avendo quindi la possibilità di sviluppare una prospettiva da lui definita dell’“altro
generalizzato” che gli permette di vedere sé stesso come individuo calato in un tessuto sociale.
La moderna concettualizzazione del cervello come organo altamente integrato e dinamico ha influenzato i ricercatori a
considerare il sé come il risultato dell’integrazione dell’attività dinamica di grandi network neurali piuttosto che il
risultato dell’attivazione di singole strutture cerebrali.
Le funzioni principali del Sé sono:
 Autoconoscenza
 Sé interpersonale
 Agenticità
L’area definita dell’autoconoscenza racchiude le informazioni su noi stessi (autoconsapevolezza) e identifica la
funzione che ci permette di arricchire la conoscenza di noi stessi per poi collocarla al meglio nel tessuto sociale in cui
siamo immersi. Il Sé interpersonale potremmo chiamarlo Sé pubblico, contribuiscono in quest’area delle funzioni del Sé
tutti gli attributi che noi usiamo per definire la nostra identità da presentare al pubblico. Infine l’ultima area è implicata
nelle funzioni esecutive come la capacità decisionale, l’autocontrollo e la risposta attiva a situazioni quotidiane.
Il concetto di agenticità del Sé trova piena espressione nella teoria motivazionale che Alber Bandura postulò sotto
l’etichetta di autoefficacia percepita delineando anche una prima concettualizzazione di mente proattiva (ossia un
apparato capace di produrre cambiamento), partendo dall’assunto che la mente umana sia capace di esercitare ed
estendere il proprio controllo oltre che su sé stessa anche sull’ambiente circostante.
Il comportamento è frutto dell’interazione tra fattori di personalità e ambientali. La consapevolezza del Sé rappresenta il
mezzo attraverso cui poter esprimere le proprie potenzialità, soddisfare i propri bisogni e tendere verso
l’autorealizzazione. L’autoefficacia può essere rafforzata con l’esperienza e migliora attraverso dei feedback volti a
incrementare quel senso di efficacia che l’individuo può sperimentare nel padroneggiare le situazioni in cui si trova. Per
chi ha buon senso di autoefficacia, non riuscire dove altri riescono diventa occasione per stimolare la propria
motivazione al successo; al contrario per chi ha bassa autoefficacia potrebbe essere mortificante vedere qualcuno che
riesce dove egli fallisce. Per questo scaturisce la necessità di instillare il sentimento di efficacia percepita sin
dall’infanzia attraverso interventi psicologici ad hoc. Un ulteriore esempio applicativo dell'autoefficacia percepita trova
terreno fertile nelle pratiche di prevenzione delle malattie. Tra gli adolescenti, ad esempio, ci si trova ad assumere alcol,
poiché questo viene considerato il mezzo attraverso cui mitigare emozioni negative derivanti da situazioni difficili, In
questi casi il sentimento di autoefficacia rappresenta una risorsa. Infatti, un ragazzo con alta autoefficacia riesce ad
acquisire consapevolezza delle strategie da poter utilizzare per risolvere tale problematica più facilmente rispetto a un
ragazzo con bassi livelli di autoefficacia, che al contrario, potrebbe sentirsi completamente sovrastato dalla complessità
della situazione difficile in cui si trova. Dinanzi all'interruzione di condotte nocive per la salute, come ad esempio il
tabagismo o l'abuso di sostanze, che richiedono un elevato livello di motivazione per la loro interruzione, l'autoefficacia
percepita potrebbe essere quel fattore che ne permette l'abbandono, in quanto la persona acquisisce consapevolezza
delle proprie capacità volte a interrompere il comportamento nocivo favorendo un cambiamento della propria condotta.
Higgins: secondo la sua teoria sulle discrepanze del Sé, ognuno di noi possiede tre tipi di schema di sé:
1- Sé reale: riferito a come realmente siamo
2- Sé ideale: riferito a come vorremmo essere
3- Sé normativo: relativo a come pensiamo che dovremmo essere
Delinea poi due sistemi motivazionali:
 Uno di approccio: volto a motivare comportamenti fu approccio al fine di ottenere esperienze piacevoli
 L’altro di evitamento: volto a inibire determinati comportamenti al fine di evitare potenziali esperienze
spiacevoli
La teoria dei foci regolatori: secondo la quale, il Sé può dar luogo alle proprie funzioni attraverso due modi differenti di
approccio agli stati finali desiderati: un sistema di promozione (volto a realizzare desideri, speranze e aspirazioni) che fa
esplicito riferimento agli stati finali desiderati e un sistema di prevenzione che fa riferimento al Sé normativo (volto ad
adempiere alle norme, quindi al compimento di doveri e obblighi). Situazione dove il grado di incertezza è piuttosto
alto in una prospettiva dettata maggiormente dalla paura del fallimento che dal perseguimento del successo.
Gli studi sul focus regolatorio gettarono luce sulla comprensione di un altro sistema di regolazione del S é, denominato
da Higgins fit regolatorio, secondo l'autore americano, il fit regolatorio rappresenta quel principio secondo cui le
situazioni nelle quali l'orientamento abituale della persona (promozione vs prevenzione) dà luogo a delle performance
migliori se il compito viene prospettato in termini di promozione oppure prevenzione coerenti con il proprio
orientamento abituale.
Da qui l’idea che il Sé esplichi al meglio le proprie funzioni quando l’orientamento cronico abituale è in linea con le
caratteristiche del compito. Stessa cosa vale ad esempio nel dominio della salute dove messaggi di prevenzione o
promozione sono più efficaci in situazioni di fit che di misfit. Stessa cosa per i messaggi di propaganda politica.
Mindfulness: una strategia di regolazione emotiva, intesa come un costrutto psicologico volto a favorire la
comprensione del funzionamento intra e interpersonale. Si riferisce anzitutto a un’esperienza diretta. Secondo Jon
Kabat-Zinn essa significa prestare attenzione ma in un modo particolare:
⁃ al momento presente
⁃ con intenzione
⁃ in modo non giudicante
Un modo dunque di coltivare una consapevolezza dell’esperienza del qui e ora piuttosto che nel là e allora. Lo stesso
James sosteneva che la mente non rappresenta un mero “oggetto” ma piuttosto un “processo” con degli attributi quali:
l’essere personale, l’essere mutevole, la continuità e la selettività rispetto agli oggetti su cui la mente è principalmente
focalizzata. L’attenzione volontaria infatti rappresenta uno strumento rilevante in grado di mantenere alcuni contenuti
mentali all’interno della sfera della coscienza. Questo processo attentivo volto a trattenere ma soprattutto a osservare
alcuni
stati mentali come se fossero guardati da un osservatore esterno, permette di incrementare la consapevolezza dei nostri
processi mentali. Le pratiche meditative, come la mindfulness, rappresentano il fondamentale nutrimento attraverso il
quale il Sé può osservare e incrementare la consapevolezza del proprio funzionamento, ottimizzandone efficacia ed
efficienza.
L'autosservazione, in quanto proprietà della consapevolezza, porta alla capacità di vedere contenuti e processi mentali
da una determinata distanza. Tale distanza serve ad assumere un atteggiamento equanime nei confronti di tali contenuti
mentali permettendo all'individuo di «non reagire» a ciò che vede, ma piuttosto di esserne semplicemente consapevole,
di assumere la cosiddetta prospettiva non-giudicante: la capacità di non attribuire una valenza al contenuto mentale
osservato tale da portare a un giudizio positivo oppure negativo. Tuttavia, lo scopo non è liberarci del giudizio morale
ma poter osservare i processi mentali senza avere la necessità di sopprimerli. Quindi, in definitiva, tale proprietà ci
permette di accettare ciò che non può essere cambiato, tollerare le emozioni dolorose e conseguentemente, attingere a
esse come fonte di informazione piuttosto che come un «distrattore» da essere soppresso.
A tale proposito, alcuni autori hanno evidenziato come la pratica meditativa basata sulla mindfulness possa apportare un
aumento significativo nella maturità del Sé e nello specifico una maggiore autonomia, cooperatività e autotrascendenza
e può anche aiutare a prevenire la messa in atto di comportamenti aggressivi individuali.
Le emozioni coscienti del Sé sono quelle che, permettendoci di essere consapevoli di noi stessi e del modo in cui ci
confrontiamo e relazioniamo con gli altri, guidano il nostro sistema di regolazione del Sé. Questo avviene attraverso un
sistema di feedback che queste emozioni veicolano quando ci relazioniamo con le altre persone. Due macrocategorie di
emozioni: La prima categoria è riferita alle emozioni di autovalutazione come colpa, rammarico, vergogna, imbarazzo,
arroganza e orgoglio, mentre la seconda categoria è riferita a quelle emozioni tipiche del confronto sociale, come
l'invidia e la gelosia. Le emozioni coscienti del Sé sono anche definite cognition dependent poiché si basano sulle abilità
cognitive e l'espressione di emozioni coscienti del Sé richiede necessariamente che un bambino sia capace di
distinguere sé stesso come qualcosa di fisicamente distinto dagli altri. L'autovalutazione si sviluppa dopo i due anni di
età e in tale fase gli individui hanno la possibilità di giudicare sé stessi attraverso il confronto con le norme e standard
insegnati dai genitori e apprese dalla società. I sentimenti di colpa e vergogna evidenziano stati di punizione per aver
violato delle norme sociali e danno luogo a differenti tendenze comportamentali. I sentimenti di colpa emergono
quando ci si sente responsabili per aver danneggiato oppure urtato i sentimenti di qualcuno e allo stesso tempo ci si
sente in grado di poter controllare tale comportamento in futuro. Differentemente, la vergogna dà luogo a un
comportamento di fuga oppure evitamento rispetto alla situazione in cui si è violato il sistema morale. Possiamo dire
che tutte queste hanno una funzione sociale regolatrice del comportamento morale.
L'orgoglio è, invece, un'emozione derivante da una positiva valutazione di Sé. Esso può essere distinto tra «orgoglio
autentico» e «orgoglio arrogante». La funzione sociale dell'orgoglio autentico è rintracciabile in un meccanismo
comunicativo del Sé come quello di far conoscere il proprio successo. L'arroganza faciliterebbe, invece, il
raggiungimento di uno status attraverso l'uso della dominanza. L’invidia viene definita un'emozione di comparazione
sociale perché inevitabilmente implica un confronto tra le caratteristiche del proprio Sé e quelle degli atri. L’invidia
benigna sembrerebbe motivare l'azione verso un miglioramento del Sé e l'acquisizione di nuove competenze attraverso
dei meccanismi di comparazione sociale con persone che hanno attributi valutati come migliori. La gelosia scaturisce
dalla credenza che la propria relazione con un'altra persona sia minacciata da una terza. Quindi, a differenza dell'invidia,
la gelosia coinvolge tre «attori»; una gelosia eccessiva può dar luogo a comportamenti devianti e distruttivi. Un minimo
livello di gelosia può avere degli esiti positivi nelle relazioni interpersonali. In conclusione, possiamo affermare che
sebbene alcune emozioni di confronto sociale possano essere dolorose, esse, a moderati livelli e in particolari sfumature,
motivano dei comportamenti volti a migliorare noi stessi e le nostre relazioni. Gli esseri umani riescono ad autovalutarsi
e trarre fonte di ispirazione per nuovi obiettivi proprio attraverso il confronto con i loro simili.
Leon Festinger: la teoria del confronto sociale: sostiene che quando siamo incerti circa le nostre abilit à o opinioni, ci
valutiamo attraverso il confronto con gli altri. Sono quindi le persone che ci circondano a definire gli standard in base ai
quali ci definiamo intelligenti o stupidi, simpatici o antipatici.
Distinguiamo quindi meccanismi di comparazione:
a) verso l’alto
b) verso il basso
c) orizzontali
I confronti verso l'alto possono dar luogo a sentimenti negativi, poiché portano alla consapevolezza del Sé i nostri limiti
ma, allo stesso tempo, potrebbero avere una funzione motivazionale, se il nostro senso di autoefficacia e l'autonomia
che noi sentiamo di avere nel raggiungere quello standard di riferimento sono abbastanza sviluppati al punto da rendere
uno specifico traguardo effettivamente raggiungibile.
In tal caso, affinché la persona possa mantenere una buona autostima e proteggere il proprio Sé, allora potrebbe mettere
in atto dei confronti verso il basso oppure orizzontali.
I confronti verso il basso, infatti, generalmente danno luogo a sentimenti positivi, sostenendo l'umore, ed hanno la
funzione di proteggere il Sé, qualora la possibilità di migliorarsi fosse piuttosto remota. Possiamo dunque individuare
nel confronto sociale tre funzioni:
a) autovalutazione volta ad approfondire la conoscenza di Sé
b) autopotenziamento volto a motivare le azioni di miglioramento del proprio Sé
c) autoprotezione, volta ad accettare i limiti e supportare la nostra autostima
L’aggressività
L'aggressività è una forma di interazione sociale, condotta con l'intenzione di infliggere un danno o altre spiacevoli
conseguenze a un altro individuo. L'aggressività è un fenomeno complesso, che rientra nelle problematiche legate al
manifestarsi della violenza negli esseri umani o negli altri esseri viventi. È definita come qualunque comportamento
intenzionalmente rivolto verso un altro individuo con l’obiettivo di provocare dolore fisico o psicologico. Oltre
all'intenzionalità secondo gli studiosi, affinché si possa parlare di comportamento aggressivo, è necessario che il
perpetratore sia consapevole che la propria condotta nuocerà alla vittima e che questa sia motivata a non subire il
comportamento aggressivo. L'aggressività ostile si riferisce a un comportamento impulsivo, non pianificato, guidato
dalla collera e che si verifica in risposta a una provocazione. L'aggressività strumentale, invece, è razionale, basata su
un calcolo, e viene esercitata per massimizzare i profitti andando oltre il mero nuocere alla vittima. La violenza viene
invece considerata come una forma di aggressività che ha come obiettivo quello di provocare dolore estremo. Quindi
tutte le forme di violenza sono aggressive, ma non tutte le forme di aggressività sono necessariamente violente.
Secondo un orientamento evoluzionistico, le persone sono geneticamente predisposte a essere aggressive. Le condotte
aggressive consentirebbero la sopravvivenza genetica.
I principali fattori di influenza che favoriscono le condotte aggressive: specifici tratti di personalità o il genere, e quelli
che dipendono dall’ambiente fisico e quelli che dipendono dal contesto sociale. La ricerca suggerisce che numerosi
tratti di personalità influenzano in modo stabile i comportamenti aggressivi.
Tratti di personalità: quelle caratteristiche che definiscono la nostra persona e che difficilmente variano nel tempo. Il
predittore più efficace del comportamento aggressivo è l'amicalità, dimensione che è associata negativamente al
comportamento aggressivo e violento. Vi sono poi prove di come l'autostima possa influenzare l'aggressività. Le
persone con alta autostima tendono con maggior probabilità a non sentirsi in colpa quando si comportano in modo
aggressivo verso un'altra persona; un’altra dimensione riconducibile all’aggressività è il narcisismo. Questo particolare
tratto di personalità viene generalmente definito come la tendenza a considerare sé stessi, le proprie qualità fisiche e
intellettuali come oggetti degni di un atteggiamento di compiaciuta ammirazione, e può portare a manie di grandezza e a
una scarsa capacità di provare empatia verso gli altri (Bushman e Baumeister). Le ricerche condotte negli ultimi
vent'anni mostrano che il narcisismo è associato all'aggressività e alla violenza. L’aggressività dei narcisisti è una
risposta specifica, mirata e socialmente significativa. È possibile affermare che gli aspetti pericolosi del narcisismo non
sono tanto la semplice vanità o l'autoammirazione, quanto il senso di essere superiori agli altri e di credere di avere
diritto a determinati privilegi. Tre diversi stili di comportamento aggressivo: l'aggressività fisica, quella verbale e
l'aggressività indiretta. L'aggressività indiretta è stata concettualizzata come l'intenzione di danneggiare
psicologicamente e/o socialmente la vittima, spesso attaccandola in modo sottile, attraverso pettegolezzi maligni o
escludendola dalle relazioni sociali all'interno del gruppo di appartenenza.
Molti studi hanno dimostrato che esiste un'associazione fra l'assunzione di alcolici e droghe e il tasso di crimini violenti,
suggerendo che oltre il 50% di questi crimini è perpetrato da individui sotto l'effetto di sostanze.
Il consumo di alcol aumenta la probabilità di una reazione aggressiva poiché riduce la capacità degli individui di
interpretare in modo appropriato gli stimoli provenienti dall'ambiente, i quali possono fornire informazioni rilevanti
sulle intenzioni delle altre persone.
I fattori sociali che possono favorire la risposta aggressiva sono:
1. L’ambiente fisico: Il modello, chiamato climate aggression and self-control in humans (CLASH), suggerisce
che non sono solamente le alte temperature a incidere sui comportamenti violenti, quanto la variabilità stagionale delle
temperature e le forme di adattamento che da essa derivano. Un secondo fattore legato all'ambiente fisico preso in
considerazione dagli studiosi è stato l’affollamento. Un'elevata concentrazione di persone in uno spazio ristretto può
infatti innescare comportamenti aggressivi. Inoltre l'inquinamento acustico può influenzare negativamente il
comportamento provocando un forte stress fisiologico
2. Disinibizione e deindividuazione: disattivazione delle abituali norme sociali del venir meno delle forme di
controllo apprese che solitamente regolano la vita sociale di una comunità. la teoria del comportamento sociale di
Gustave Le Bon, che coniò il concetto di deindividuazione. Secondo Le Bon, gli individui di un gruppo coeso,
costituente una folla, tendono a perdere l'identità personale, la consapevolezza, il senso di responsabilità, alimentando in
questo modo la comparsa di comportamenti antisociali. In sostanza, quando un individuo si trova in mezzo a una folla,
tende a non sentirsi più come un individuo, quanto un membro del gruppo, ritenendosi «uno dei tanti» e sentendosi
relativamente protetto dal senso dell'anonimato. Il SIDE model enfatizza il contesto sociale in cui avviene l'interazione:
in un contesto di gruppo, quando gli individui pensano di agire in maniera anonima, è l'identità sociale saliente in quel
preciso contesto che guiderà il comportamento del singolo, che agirà seguendo le norme del gruppo.
3. Influenze culturali: le influenze provenienti da fonti quali i valori appresi, la socializzazione, l'organizzazione
sociale, l'economia e l'ecologia. Esempio: tassi di crimini violenti erano molto più elevati negli stati del sud-ovest
rispetto agli stati del nord. Rispetto al contesto italiano, è stata dimostrato lo sviluppo di una cultura dell'onore legato a
comportamenti aggressivi all'interno delle organizzazioni mafiose siciliane.
Dollard: l’ipotesi della frustrazione-aggressività: secondo cui inizialmente gli autori suggerirono che un
comportamento aggressivo presupponesse sempre uno stato di precedente frustrazione ed episodi di frustrazione
conducessero sempre a comportamenti aggressivi. Successivamente, l'ipotesi originale è stata riformulata suggerendo
che la frustrazione prepari la risposta aggressiva ma non la implichi.
Quando l'aggressività non può essere rivolta direttamente verso la causa della frustrazione può venire dirottata altrove,
ad esempio verso oggetti o persone (i cosiddetti capri espiatori), ma può anche cambiare forma ed espressione.
Berkowitz: il modello neoassociazionista: la frustrazione determina uno stato interno di attivazione emotiva che crea le
condizioni per agire aggressivamente, ma che non inevitabilmente si traduce in comportamento aggressivo.
“Effetto arma”: La Weapon effect (effetto armi) è una teoria molto dibattuta nel campo scientifico della psicologia
sociale. Fa riferimento alla presenza di un'arma o di un'immagine di un'arma che induce l'uomo ad avere un
comportamento aggressivo, una specie di eccitazione prodotta dall'impulso visivo dell'oggetto.
Zillman: Teoria del trasferimento dell’eccitazione: suggerisce che l'eccitazione psicologica abbia un ruolo
nell'interpretazione cognitiva delle condotte aggressive. Infatti, secondo Zillman, l'eccitazione psicologica derivante da
un'esperienza viene dissipata dalle persone molto lentamente e un evento che ha attivato psicologicamente una persona
può influenzarne il comportamento in una situazione successiva, anche non collegata al primo evento (dislocazione
dell’emozione).
Albert Bandura: teoria dell’apprendimento sociale: il comportamento viene appreso osservando il comportamento
altrui. Ha una forte matrice cognitiva e parte da una visione olistica delle abilità cognitive delle persone in relazione alle
influenze sociali. La teoria di Bandura suggerisce quindi che se i comportamenti venissero appresi soltanto attraverso
l'esperienza diretta, il loro apprendimento sarebbe un processo molto lungo e soprattutto limitato ai soli contesti entro i
quali l'individuo ha avuto esperienze. Secondo Bandura, proprio per queste ragioni, la maggior parte dei comportamenti
umani vengono appresi «indirettamente», osservando il comportamento di altri in contesti differenti. Vedi esperimento
del pupazzo Bobo.
Huesman: teoria degli script: propose che i bambini che osservano scene violente attraverso i mass media apprendono
script comportamentali aggressivi.
La teoria dell'apprendimento sociale e la successiva teoria degli script sono attualmente considerate fra le teorie più
rilevanti nel panorama della psicologia sociale, capace di offrire una spiegazione di come abbia origine il
comportamento aggressivo, soprattutto quando si parla di mass media.
GAM: general aggression model: tre differenti fasi: La prima fase riguarda i fattori prossimali (fattori individuali e
fattori situazionali); La seconda fase riguarda i processi che definiscono lo stato interno dell'individuo, cioè le emozioni,
le valutazioni cognitive e l'attivazione psicologica che vengono tirate fuori dalle variabili di input descritte
precedentemente. La terza e ultima fase riguarda le conseguenze e il comportamento aggressivo vero e proprio.
Quest'ultima fase si concentra cioè sugli esiti dei processi di valutazione della fase precedente e suggerisce che le
risposte comportamentali possono essere riflessive o impulsive.
GAM è un modello circolare: le valutazioni derivanti dallo stato interno di un individuo influenzano l'interazione
sociale, che, a sua volta, influenza nuovamente i fattori individuali e situazionali e lo stato interno degli attori.
Grazie alla sua capacità di integrare teorie e modelli precedenti, il GAM è stato adottato come quadro teorico di
riferimento in molti filoni di ricerca sul comportamento aggressivo.
Albert Bandura (1973) suggerisce che la violenza veicolata attraverso la televisione (ma lo stesso meccanismo avviene
per qualunque canale mediatico) tenda a falsare la percezione che le persone hanno del comportamento aggressivo
attraverso il meccanismo della desensibilizzazione alle scene violente: gli individui tendono cioè ad avere una ridotta
percezione delle conseguenze di un gesto aggressivo, ma anche una minore propensione ad agire in favore di una
vittima quando si verifica un'aggressione.
Complessivamente, questi effetti sono facilmente interpretabili seconda la cornice teorica del GAM: la visione di una
serie televisiva dai contenuti violenti o l'ascolto di una canzone dai testi violenti rappresentano dei fattori prossimali di
tipo situazionale, che elicitano strutture di conoscenza e script cognitivi legati all'aggressività.
Ipotesi della catarsi dei videogiochi: Infatti, secondo l'impostazione catartica, il videogame violento avrebbe dovuto
offrire ai partecipanti uno spazio virtuale in cui «scaricare» la rabbia indotta dall’esperienza di esclusione. Le emozioni
legate invece all’aggressività causate dall’esclusione risultavano amplificate dall’esposizione ai contenuti aggressivi del
gioco.
Flame wars: un'ondata di commenti online aggressivi sui social media. Quando le persone lasciano commenti su un sito
web non sono fisicamente presenti e molte piattaforme online consentono agli utenti di commentare senza rivelare
informazioni personali e questo secondo la teoria della deindividuazione spiegherebbe il fenomeno dei “leoni da
tastiera”.
Tra le strategie di riduzione dell’aggressività:
⁃ Processo di rivalutazione cognitiva
⁃ Mindfulness
⁃ La limitazione dell’esposizione ai mass media e videogiochi e il consumo critico
La prosocialità
Batson: ha definito il comportamento prosociale come una gamma di attività (comportamenti di aiuto, donazioni,
volontariato ecc…) che hanno l’obiettivo di portare beneficio a un’altra persona o a un gruppo. L’approccio
evoluzionistico si divide in due filoni: evoluzionismo genetico e comportamentale. Il primo ha come motivazione la
conservazione della specie e la trasmissione del proprio patrimonio genetico. Dall’altra parte invece il mantenimento di
una rete di relazioni sociali.
Emerson: teoria dello scambio sociale: secondo la quale una persona, quando si trova nella situazione di dover
scegliere se aiutare qualcuno, effettua un calcolo costi-benefici.
Moscovici: ha distinto tre forme di altruismo: altruismo partecipativo, altruismo fiduciario, altruismo normativo.
Alcune norme che prescrivono se e come aiutare il prossimo sono definite norme prosociali. Ma le relazioni sociali non
possono essere ridotte a un semplice calcolo individuale costi-benefici.
Walster e Berscheid: la norma dell’equità: spiega come questo calcolo possa essere invece definito a livello collettivo
dell'intero gruppo del quale le persone fanno parte che stabilisce, tramite sistemi di equit à ai quali le persone devono
aderire (in quanto membri di un gruppo), come «bilanciare i costi e i benefici.
Gouldner: la norma della reciprocità: che può essere declinata in due modi: uno è in chiave utilitaristica e corrisponde
al principio del do ut des. In questo caso si aiuta il prossimo perché ci si aspetta che in futuro questo aiuto possa essere
contraccambiato; inoltre, se veniamo aiutati, saremo meno propensi a danneggiare la persona che ci ha aiutato; ma c’è
anche una visione gratuita della reciprocità, per ribadire il valore del legame sociale e rafforzarlo.
Berkowitz: la norma della responsabilità sociale: questa norma crea un’aspettativa rispetto al fatto che le persone
debbano aiutare chi dipende da loro o conta su di loro, senza aspettarsi qualcosa in cambio.
Lerner: afferma che le persone necessitano di vivere in un “mondo giusto”. Questo mondo viene definito come un
mondo nel quale le persone meritevoli vengono ricompensate mentre quelle non meritevoli vengono punite o deprivate
di qualcosa.
È necessario considerare inoltre il binomio egoismo-altruismo per capire perché le persone decidano di aiutare o meno.
Le motivazioni egoistiche sino riconducibili a tre grandi famiglie:
1. La ricerca di vantaggi, di tipo materiale, sociale, o personale
2. L’evitamento di sanzioni, anche in questo caso materiali, sociali o personali
3. La riduzione dello stato di tensione interno, vale a dire il bisogno di non sentirsi a disagio, in colpa o non
adeguati alla situazione quando si è esposti alla sofferenza e allo stato in questo caso di bisogno altrui —> è al
centro del modello attivazione: costi-benefici. Modello a due fattori: arousal e il processo cognitivo di
valutazione costi e benefici associati al prestare o non prestare aiuto.
Questo paradigma esplicativo del comportamento prosociale è conosciuto
come il modello del sollievo dagli stati d'animo negativi (negative state relief model). Esso afferma che le persone si
comportano altruisticamente per ridurre uno stato d'animo negativo indotto dall'esposizione a una condizione di
difficoltà o di danno altrui, e che se hanno a disposizione altri mezzi per migliorare il proprio umore, non metteranno in
atto una risposta di tipo prosociale. Perché un'azione possa essere definita altruistica, ciò che conta è che la motivazione
dell’attore non sia ottenere dei compensi per sé. La principale fonte della motivazione altruistica risiede nell'empatia.
L'empatia è stata definita in psicologia in due modi: come una forma di consapevolezza cognitiva degli stati interni di
un'altra persona (pensieri, sentimenti) - ci si riferisce a questa forma come empatia cognitiva - o come una risposta
affettiva orientata all'altro che si sintonizza sullo stato di benessere o malessere dell'altro: in questo caso, si parla di
empatia affettiva o di risposta empatica. I comportamenti prosociali a base empatica vengono definiti di altruismo puro,
per differenziarli da quelle condotte prosociali che hanno una base egoistica. L’idea che la risposta empatica sia
associata al comportamento d'aiuto è alla radice dell'ipotesi empatia-altruismo (empathy-altruism hypothesis) (Batson)
testata attraverso una gran quantità di studi sperimentali. Questa ipotesi sostiene che l'empatia sollecita una motivazione
diretta ad alleviare la sofferenza di chi si trova in difficoltà; maggiore sarà la risposta empatica, più è altruistica la
motivazione ad aiutare.
Provare empatia per qualcuno che versa in stato di bisogno evoca una motivazione altruistica all’aiuto. Alcuni autori,
tuttavia, dedicando uno sguardo più attento al fenomeno, hanno messo in evidenza come esista un lato oscuro
dell'empatia ovvero come il sentimento empatico possa indurci ad avere una visione individualistica e di breve termine
di un problema o a empatizzare per una delle due parti mostrando aggressività verso l’altra in un conflitto.
L’effetto spettatore: In un esperimento denominato la smoke situation,i soggetti, seduti in una sala d'attesa, venivano
posti in una situazione ambigua ma potenzialmente pericolosa, in cui - mentre rispondevano ad alcuni questionari - del
fumo veniva fatto filtrare nella stanza da una presa d'aria a parete. La risposta dei soggetti veniva osservata attraverso
uno specchio unidirezionale, e veniva misurato l'intervallo di tempo che intercorreva tra il momento in cui si
accorgevano del fumo e quello in cui lasciavano la stanza per segnalare quanto stesse accadendo. La smoke situation ha
permesso a Latané e Darley di riflettere su come le persone interpretano la situazione e risolvono l'incertezza che deriva
dal non essere sicure di comprendere cosa stia accadendo. Alla base del mancato intervento, dunque c'è anche una
ridotta capacità individuale di tenere sotto osservazione l'ambiente circostante per effetto paradossale dell’essere
insieme alle altre persone in una situazione ambigua.
In situazioni di emergenza, quanti più testimoni sono presenti tanto meno è probabile che qualcuno dia l'allarme e metta
in moto la macchina dei soccorsi.
Nelle situazioni di emergenza può ingenerarsi un effetto spettatore (bystander effect), ossia un effetto in virtù del quale
una persona non fornisce aiuto perché la situazione in cui si trova presenta delle caratteristiche che inibiscono la
risposta d'aiuto.
Esiste un albero decisionale dell’intervento di aiuto composto da vari passaggi:
1. notare che qualcosa sta accadendo
2. lo spettatore deve interpretarlo come un’emergenza
3. esso deve assumere su di sé la responsabilità di agire
4. decidere come aiutare
5. prestare aiuto
Un processo importante è quello di diffusione di responsabilità: ci si sente più responsabili e ci si sente in obbligo a
fornire aiuto se si pensa di essere soli, piuttosto che insieme ad altri spettatori. Se Francesca ha preso tutte le decisioni
precedenti arrivando a decidere di aiutare, dovrà agire. L'azione potrà essere però resa difficile da un ultimo processo
messo in luce da Latané e Darley, ossia da una forma di influenza sociale nota come inibizione da pubblico.
Come favorire il comportamento sociale?
⁃ Una prima indicazione per porre le basi del comportamento di aiuto è quindi quella di promuovere nelle
persone l'osservazione di ciò che sta accadendo attorno a loro, sensibilizzandole all'evitare o riconoscere le
situazioni nelle quali la presenza di altri spettatori inattivi possa ingenerare uno stato di ignoranza pluralistica
⁃ Nel socializzare e sostenere le norme prosociali, come quelle della responsabilità, dell'equità e della
reciprocità, i gruppi e le comunità di riferimento svolgono un ruolo fondamentale
⁃ Infine, sul piano delle motivazioni personali, appare chiaro come l'empatia sia un fattore di grande importanza.
Quando le persone comprendono meglio gli altri, la loro sofferenza e le loro esperienze, è più probabile che si
sforzino di aiutare.
Il bisogno fondamentale di appartenenza
Il lavoro di Baumeister e Leary (1995) ruota intorno all'ipotesi di appartenenza, secondo cui gli esseri umani
possiedono una spinta fondamentale a formare e mantenere almeno una quantità minima di relazioni interpersonali che
siano durature, positive (o perlomeno non negative) e significative.
Lo studio di Stanley Schachter: I risultati mostrano che nel corso della discussione i partecipanti tentavano di
raggiungere l'unanimità, aumentando la quantità di atti comunicativi nei confronti del deviate. Quando diventava chiaro
che il deviate non avrebbe cambiato opinione, il gruppo smetteva di comunicare con lui.
L'ipotesi è basata su due criteri fondamentali che devono essere raggiunte perché il bisogno di appartenenza possa
essere soddisfatto. Il primo criterio è di tipo quantitativo e riguarda la frequenza delle interazioni sociali. Il secondo
criterio è di tipo qualitativo: le interazioni devono non solo coinvolgere più di una persona ed essere frequenti, ma
essere anche durevoli e «non negative».
Secondo gli autori, il bisogno di appartenenza è fondamentale, nella misura in cui non è secondario ad alcun altro
bisogno umano. Esso non deriva dal bisogno di successo o potere, né da quello di intimità o approvazione. La mancata
soddisfazione di un bisogno quale quello di appartenenza produce conseguenze immediate che coinvolgono tutte le
dimensioni di una persona, inclusa la salute e la speranza di vita.
La sostituzione fa riferimento al fatto che un’assenza di un determinato stimolo uno stimolo diverso ma con proprietà
simili può fungere da sostituto. La sazietà fa invece riferimento al fatto che l'appagamento di un bisogno a un certo
punto raggiunge un livello di soddisfazione tale per cui l'individuo ne ha a sufficienza. La facilità e rapidità con cui gli
umani formano gruppi psicologicamente salienti è ben testimoniata dal paradigma-dei gruppi minimi. Persone che
non si conoscono se assegnate alla medesima categoria secondo criteri definibili appunto «minimi» (come una
preferenza estetica o l'esito di una lotteria) sono propense a discriminare per favorire i membri del proprio gruppo e
contemporaneamente sfavorire individui assegnati a un altro gruppo.
Per la prospettiva evoluzionistica, in un contesto di vita come quello di centomila anni ta, esisteva uno svantaggio
chiave nelle possibilità di sopravvivenza e riproduzione dell'essere umano isolato nei confronti di coloro che vivevano
all'interno di gruppi sociali.
Abbiamo quattro modi per soddisfare il bisogno di appartenenza (quattro percorsi):
1. Relazioni reciproche
2. La ricerca di approvazione generale
3. Sentirsi parte di un gruppo
4. Socialità minore (es. Small talk)
L'esclusione sociale è stata definita come l'esperienza di essere tenuti separati dagli altri dal punto di vista fisico (ad
esempio, isolamento sociale) o emotivo (ad esempio, essere ignorati).
La prima, chiamata rifiuto sociale, riguarda gli atti comunicativi volti a esplicitare in modo diretto a una persona (o un
gruppo) che questa non è desiderata. La seconda famiglia, chiamata ostracismo, comprende l'esperienza di essere
ignorati.
Modelli teorici dell’esclusione sociale:
Social monitoring system: sistema di monitoraggio sociale, che può attivarsi in modo automatico e una volta attivato
l’individuo continua a monitorare e seguire i segnali sociali —> ipersensibilità verso gli stimoli di natura sociale (volti e
sguardi). Un sorriso «Duchenne» comporta l'attivazione automatica di muscoli facciali associati sia alla flessione dei
lati della bocca (muscolo zigomatico maggiore) che alla contrazione dei muscoli agli angoli degli occhi. le persone
socialmente escluse hanno una memoria più accurata per le informazioni sociali, suggerendo che l'esclusione sociale
inneschi una codifica e un'elaborazione più profonda di tali informazioni.
Temporal need-threat model: Il percorso inizia con l'individuazione (detection) dell'ostracismo. Gli esseri umani
nascono con una capacità innata di percepire anche forme minime e ambigue di ostracismo. Questa situazione, se
prolungata, per i nostri antenati avrebbe significato impossibilità di riproduzione e di tramandare i propri geni e, ancora
una volta, diversi autori hanno ipotizzato per questo la selezione di meccanismi psicologici adattivi finalizzati a
segnalare all'individuo la possibilità di ogni minaccia all'inclusione sociale. Il primo stadio che segue è il reflective
stage in cui l’individuo esperisce l’impatto psicologico dell’esclusione. Il dolore sociale è stato definito come
I’esperienza emotiva di spiacevolezza derivante dalla percezione della distanza psicologica effettiva o potenziale da
altri vicini o un gruppo sociale. Infine, questo stadio è caratterizzato dalla percezione di minaccia alla soddisfazione di
quattro bisogni psicologici fondamentali, che comprendono a) il bisogno di appartenenza, b) l'autostima, c) il bisogno di
controllo e d) il percepire la propria esistenza come significativa. Il secondo stadio è chiamato reflective stage. In questo
stadio, l'individuo valuta l'episodio di ostracismo attraverso attribuzioni causali, attuando strategie cognitive e
comportamentali riparative volte a fortificare e ripristinare i bisogni minacciati, Dopo le reazioni emotive automatiche,
in questo stadio entrano in gioco processi mentali consapevoli. l'esclusione tende a indurre il rimuginio, una forma di
pensiero ciclico fissata sull'episodio di esclusione e sulle possibili motivazioni alla base. Se l'ostracismo permane e si
prolunga nel tempo (per settimane, mesi o perfino anni) la vittima non ha modo di recuperare dei livelli adeguati che
soddisfino il suo bisogno di appartenenza. Questa condizione rappresenta il terzo e ultimo stadio del modello, chiamato
il resignation stage. In questa condizione, secondo Williams, sopraggiunge una condizione cronica di rassegnazione
psicologica.
Multimotive model: il tentativo di concettualizzare come diverse interpretazioni dell'esclusione sociale possono predire
diverse risposte comportamentali. Le risposte comportamentali che vengono prese in considerazione da questo modello
sono la prosocialità, l'antisocialità e l'evitamento.
Quando il rifiuto ha un costo elevato, le aspettative di riparazione della relazione sono alte, la relazione è percepita
come importante e le persone saranno probabilmente motivate a comportarsi in modo prosociale al fine di favorire
l'accettazione e la reinclusione sociale. Al contrario, le motivazioni verso l'evitamento e il ritiro sociale sono
generalmente favorite dalla percezione che il rifiuto sia cronico e pervasivo o che esistano possibili relazioni alternative.
Le conseguenze dell’esclusione sociale:
Rifiuto sociale e ostracismo inducono rimuginio, e questo probabilmente riduce le capacità di una persona di pensare e
ragionare lucidamente su altro.
Secondo uno studio i partecipanti ostracizzati avevano maggiori probabilità di acconsentire a una richiesta di donazione
di denaro attraverso diverse tattiche di persuasione.
Infine, l'esclusione sociale incrementa la tendenza di una vittima a obbedire a un comando esplicito di compiere un
compito in condizioni di disagio fisico. Incide poi sull’aspettativa di vita e di salute.
Le persone con adeguate relazioni sociali hanno una probabilità di sopravvivenza maggiore del 50% rispetto a quelli
con relazioni sociali povere o insufficienti.
L’accettazione: la ricerca di nuove connessioni sociali. Accettazione significa in primo luogo riconoscere l'esperienza di
rifiuto, ostracismo o discriminazione come reale: Significa anche riconoscere in modo non giudicante la legittimità dei
propri vissuti ed emozioni negative. Creare nuove connessioni sociali o coltivare vecchi legami rappresenta una tipica
risposta all'esclusione sociale.
Il pregiudizio
Allport (1954) nel suo celebre libro The nature of prejudice, osservava come questo sia un fenomeno che accompagna
da sempre la storia dell'essere umano e che è presente tuttora, anche nelle società più tolleranti e attente alle
problematiche delle minoranze.
I pregiudizi negativi che le persone nutrono verso altri gruppi sociali influenzano invece profondamente le relazioni tra
gli individui e richiedono dunque un'attenta analisi da parte degli studiosi. Terzo, la definizione riportata sopra denota
come il pregiudizio, seppur si indirizzi spesso verso un singolo individuo, sia un fenomeno di gruppo: si attiva cio è
quando in noi è saliente l'appartenenza dell'individuo a un gruppo diverso (outgroup) rispetto al proprio (ingroup). Il
pregiudizio etnico è il più saliente. Il sessismo è un altro tipo di pregiudizio ampiamente indagato dalla psicologia
sociale; esso è inteso come l'atteggiamento negativo che si nutre verso l'altro in base al genere sessuale; Il pregiudizio
sessuale (o eterosessismo) è invece l'insieme di preconcetti e atteggiamenti negativi che le persone eterosessuali
provano verso le persone con un orientamento sessuale diverso dal proprio.
Il pregiudizio, così come lo stereotipo, nasce da un processo cognitivo di categorizzazione sociale. Pregiudizio e
stereotipo sono delle risposte categoriali, risposte cioè rivolte a un individuo in quanto categorizzato entro un
determinato gruppo sociale. Inoltre, sono entrambi degli atti di generalizzazione; Tuttavia, lo stereotipo ha un'origine e
un contenuto strettamente cognitivo che si attiva in modo automatico nelle persone. Esso pu ò intendersi come la
rappresentazione cognitiva che un individuo ha delle persone che appartengono a un gruppo sociale. Il pregiudizio,
invece, in quanto atteggiamento, ha un contenuto pi ù generale articolato, in cui coesistono le tre componenti
dell'atteggiamento. Lo stereotipo rappresenta la componente cognitiva del pregiudizio, a cui si aggiungono la
componente affettiva e la componente di intenzione al comportamento.
La discriminazione è la traduzione in comportamento del pregiudizio, la messa in atto dunque di un trattamento iniquo
basato sull'appartenenza degli individui a un gruppo sociale.
Secondo Adorno e colleghi, le persone autoritarie possiedono una serie di tratti peculiari, quali ad esempio l'aderenza ai
valori tradizionali e conservatori, un'intolleranza verso le ambiguità e un atteggiamento servile verso le autorità. Adorno
e colleghi trovarono una correlazione positiva tra i punteggi rilevati nella scala F e il pregiudizio delle persone verso
queste minoranze.
Un approccio individuale al pregiudizio non può tuttavia fornire una spiegazione esaustiva circa le sue origini.
L’autoritarismo di destra e l'orientamento alla dominanza sociale sono particolari predisposizioni individuali che
predicono in modo cruciale la variabilità ossia la propensione delle persone a esprimere bassi o alti livelli di
pregiudizio.
Inoltre l'apertura alle esperienze e la cordialità, due delle cinque dimensioni del Big Five personality model, sono
associate a minori livelli di pregiudizio verso diversi outgroup.
Sherif: teoria del conflitto realistico: questo approccio teorico identifica la nascita del pregiudizio, così come di
stereotipi negativi e discriminazione, in situazioni di interdipendenza negativa tra gruppi, quando cio è i membri di un
gruppo percepiscono che l'outgroup compete con l'ingroup per l'acquisizione di risorse limitate.
Lo studio di Sherif e colleghi dimostrò dunque in modo efficace come il pregiudizio sia strettamente dipendente dalla
natura della relazione che si instaura tra i gruppi. Inoltre, attraverso l'introduzione di obiettivi sovraordinati, forn ì una
prima indicazione circa possibili strategie di riduzione del pregiudizio, che verrà rielaborata poi da modelli teorici
successivi.
Tajfel: le ricerche di questo studioso hanno mostrato come la semplice categorizzazione porti a delle distorsioni
percettive consistenti in un'accentuazione delle differenze tra gli esemplari che appartengono a categorie diverse
(principio di accentuazione intercategoriale) e in un'accentuazione delle somiglianze tra gli esemplari che appartengono
alla stessa categoria (principio di assimilazione intracategoriale.
Paradigma dei gruppi minimi: esso consente di creare dei gruppi in cui l'unico aspetto saliente nei partecipanti è
essere assegnati a un gruppo (ingroup), mentre altre persone sono assegnate a un altro gruppo (outgroup).
Alcuni studi hanno dimostrato come tale tendenza a voler favorire il proprio gruppo e a sfavorire l'altro non dipenda da
una eventuale percezione di maggior similarità con i membri del proprio gruppo. L'immagine del nostro Sé deriva
dall'interazione tra ciò che noi pensiamo di noi stessi come individui (identità personale) e come membri di gruppi
sociali (identità sociale). Valorizzare la distintività positiva dei membri del nostro gruppo rispetto a quelli dell'outgroup
permette di mettere in una luce positiva il nostro gruppo quindi, per estensione, anche noi stessi in quanto membri di
quel gruppo sociale. La teoria dell’identità sociale traccia infatti le origini di questo fenomeno in processi psicologici
cognitivi (la categorizzazione sociale) e
motivazionali (difesa dell'immagine del proprio Sé) assolutamente normali e ordinari, che si attivano indipendentemente
da particolari caratteristiche personali, dall'outgroup in questione o da relazioni negative tra ingroup e outgroup, come
invece sostenuto da Sherif.
Come si esprime il giudizio?
⁃ Pregiudizio manifesto
⁃ Pregiudizio sottile (si esprime in maniera più socialmente accettabile)
⁃ Pregiudizio moderno (credenza secondo cui il pregiudizio al giorno d'oggi non esiste più o comunque ha un
impatto trascurabile per la società)
Glick e Fiske: teoria degli stereotipi ambivalenti: prevede che ai gruppi siano attribuiti stereotipi che vertono su due
principali dimensioni:
a) la competenza,
b) il calore
Altre forme di pregiudizio sono il pregiudizio riluttante: questa forma di pregiudizio porta infatti le persone a vedersi
come aperte e senza tendenze pregiudizievoli. Ciononostante, a livello più inconsapevole queste stesse persone
sembrano possedere sentimenti e credenze negative nei confronti degli altri gruppi, che causano loro disagio
allorquando si trovino a interagire con i membri di questi gruppi. L'essenza del pregiudizio riluttante sta proprio nel
razionalizzare un atto discriminatorio. C’è poi la distinzione tra pregiudizio esplicito e pregiudizio implicito. Mentre il
pregiudizio esplicito si riferisce alla valutazione consapevole di un outgroup (ad esempio, quella che potremmo fornire
su una misura self-report contenuta in un questionario), il pregiudizio implicito è in buona parte al di fuori della
consapevolezza, si attiva automaticamente ed è dunque relativamente impervio a bias di autopresentazione.
Conseguenze per le vittime:
1. le conseguenze individuali: abbassamento dell’autostima, interiorizzazione del’ inferiorità, minaccia dello
stereotipo
2. Conseguenze sociali: effetto soffitto di vetro: come se le donne nel corso della loro carriera e ascesa
professionale andassero a un certo punto a scontrarsi contro una sorta di barriera invisibile. Disparità nelle cure
sanitarie.
Per ridurre il pregiudizio:
⁃ ipotesi del contatto intergruppi (deve essere cooperativo, obiettivi comuni e ci deve essere sostegno
istituzionale secondo Allport)
⁃ Contatto indiretto, Contatto immaginato, Contatto esteso, Contatto vicario
Secondo Brewer e Miller proponenti del modello della decategorizzazione, dal momento che
la categorizzazione sociale è alla base del pregiudizio, il contatto deve essere decategorizzato. In altre parole, è
importante che durante l'incontro tra ingroup e outgroup siano salienti le caratteristiche dei singoli individui piuttosto
che quelle dei loro gruppi. In questo modo, infatti, sarà più facile smentire gli stereotipi e agire al di là delle barriere che
separano i gruppi. Hewstone e Brown, al contrario, nel loro modello della categorizzazione (o del contatto
interruppi), notano come il processo di categorizzazione sociale sia ineliminabile. I due autori sostengono che la
salienza dei gruppi vada mantenuta e rinforzata durante il contatto.
La psicologia politica
È un campo fiorente relativo all’ambito della ricerca scientifica in psicologia sociale, che si propone di comprendere le
basi psicologiche, le radici e le conseguenze del comportamento politico. Una prima distinzione fondamentale è quella
tra “conservatori” e “progressisti/liberali”. I primi sono più vicini al centro-destra, i secondi al centro-sinistra.
Il termine “ideologia” fece la sua comparsa in Francia con Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy che lo utilizzò per
denominare una nuova scienza volta a studiare l’origine delle idee. Nella seconda metà del secolo scorso si è iniziato a
parlare di “fine delle ideologie” a causa di una mancanza di sostanziali differenze in termini di proposte politiche e di
contenuto filosofico fra partiti di destra e di sinistra; John Jost è stato uno dei primi a parlare della suddetta fine delle
ideologie; questa paventata fine in realtà ad uno sguardo più accurato, sembrerebbe essere l’inizio di un nuovo
approccio nello studio di quest’argomento: un approccio più scientifico allo scopo di capite i correlati e l’origine
ideologica.
I primi studiosi hanno indagato le differenze nei profili di personalità, prendendo in considerazione ad esempio il Big
Five personality model sembrano esserci due tratti che emergono correlati all’ideologia politica: l’apertura mentale e la
coscienziosità. A tale proposito, è emerso che le stanze dei progressisti liberali appaiono più colorate e meno
tradizionali, poco ordinate e con una maggiore presenza di elementi legati al viaggio, alla musica e alla lettura. Al
contrario, i conservatori hanno solitamente degli ambienti di vita più ordinati, con oggetti decorativi tradizionali e una
maggiore presenza di elementi che aiutano nell'organizzazione, come calendari, raccoglitori e cestini. Secondo alcuni
studi emergerebbe inoltre un negativity bias da parte dei conservatori, ossia una tendenza sistematica che li porta a
prestare un’attenzione selettiva focalizzata sugli stimoli negativi (Es. Esperimento del dot probe sull’attenzione a destra
o sinistra del partecipante in base alla presentazione di immagini negative o positive).
Un tipo particolare di stimolo negativo e minaccioso è rappresentato dagli stimoli che possono suscitare disgusto. In
generale, la ricerca ha mostrato che i conservatori hanno una maggiore sensibilità al disgusto. Persone che hanno
questo sistema particolarmente attivo sono quindi caratterizzate da una maggiore sensibilità rispetto ai potenziali rischi
e sembrano adottare in misura maggiore visioni del mondo più conservatrici come una strategia evolutiva per evitare dei
possibili rischi. Dall'altro lato, si fa riferimento alla moralità e nello specifico alla teoria dei fondamenti morali (moral
foundations theory, MFI), secondo la quale i conservatori valorizzerebbero maggiormente rispetto ai
progressisti/liberali il fondamento chiamato purity, legato alla purezza del corpo e quindi al pericolo delle possibili
contaminazioni. I conservatori valorizzano maggiormente anche i fondamenti ingroup e authority.
Queste differenze delle singole persone convergono su due nuclei principali, ma si riflettono solo in parte nel
bipolarismo strettamente politico, andando ben oltre:
1- sostegno vs rifiuto del cambiamento
2-accettazione vs rifiuto della disuguaglianza
I conservatori appaiano caratterizzati da atteggiamenti di maggiore accettazione delle disuguaglianze ( teoria della
giustificazione del sistema) da un maggiore attaccamento alla tradizione con conseguente rifiuto del cambiamento.
Duckitt e Sibley: Modello duale dell’ideologia del pregiudizio: Il DPM considera l'ideologia politica come costituita da
due dimensioni indipendenti tra loro: l'autoritarismo di destra (right-wing authoritarianism, RWA) e l'orientamento alla
dominanza sociale (SDO); questi due orientamenti individuali sembrano predire in modo sostanziale i diversi livelli di
pregiudizio espresso dalle persone verso un ampio numero di outgroup (ad esempio, le minoranze etniche).
Secondo questo modello, determinati tratti di personalità, insieme a determinate pratiche di
socializzazione, così come di esposizione a certi contesti ambientali, possono essere all'origine di una certa «visione del
mondo» da parte di una persona. Questa visione del mondo può essere di due tipi:
1. visione del mondo come pericoloso, considerata un antecedente dell'RWA;
2. visione del mondo come una giungla competitiva, considerata un antecedente dell'SDO.
John Jost: descrive l'ideologia politica come cognizione sociale motivata, ovvero come funzionale all'individuo per
rispondere a determinati bisogni e motivazioni. Nello specifico, gli autori parlano di bisogni
epistemici esistenziali e relazionali. Le motivazioni epistemiche si riferiscono a quelle tendenze volte a ridurre
l'incertezza, la complessità e l'ambiguità, che sono legate al bisogno di chiusura, ordine e struttura. L’ideologia politica
può contribuire a ridurre la percezione soggettiva d’incertezza. I bisogni esistenziali, invece, sono legati alla necessità di
ridurre la sensazione di minaccia offrendo sicurezza e protezione nei confronti di minacce e paure di diversa natura,
come ad esempio minacce di tipo culturale, sociale ed economico.Infine, le motivazioni relazionali/affettive fanno
riferimento al desiderio di affiliazione è di stabilire relazioni interpersonali, suggerendo anche un bisogno profondo di
identificazione, solidarietà con gli altri e di realtà condivisa. Per questo i conservatori valutano il conformismo, la
tradizione, la fedeltà al proprio gruppo di appartenenza più positivamente dei progressisti/liberali, in quanto nutrono un
bisogno maggiore di ottenere una visione condivisa della realtà. In conclusione, quindi, l'ideologia politica
conservatrice sembra rispondere a questi tre bisogni offrendo alle persone certezza, sicurezza e solidarietà.
Parlando dello sviluppo dell’ideologia, possiamo immaginare che ci siano tre fonti fondamentali d'influenza: fattori
genetici, fattori legati all'ambiente condiviso di socializzazione e fattori che dipenderanno da un ambiente non condiviso
di socializzazione.
Ad esempio, bambini che erano particolarmente paurosi e rigidi da piccoli hanno manifestato poi atteggiamenti pi ù
conservatori, al contrario bambini più attivi e resilienti hanno poi manifestato pensieri più liberali una volta divenuti
adulti. Studi longitudinali confermano forti correlazioni tra genitori e figli. Si può addirittura ipotizzare che anche prima
di una vera e propria condivisione verbale di certi contenuti, nell'ambito familiare ci possa essere una sorta di
socializzazione politica, che avviene attraverso il canale comunicativo non verbale. Per quanto riguarda la percezione
del leader politico, è interessante sapere che in base a molti studi recenti, gli elettori sembravano essere interessati
soprattutto a chi erano i candidati, al loro background personale e alle loro caratteristiche di personalità, piuttosto che
alla loro appartenenza politica. Questa tendenza era pressoché costante, con qualche fluttuazione, lungo tutto l'arco
temporale preso in analisi.
Tale interesse, inoltre, non era limitato agli elettori meno istruiti e informati, ma era presente in misura simile anche tra
quelli con più alto titolo di studio e maggiormente interessati alla politica. Questa ricerca e molte ricerche successive,
hanno quindi dimostrato che gli elettori fanno spesso ricorso all'euristica del candidato. Inoltre l’esperimento della
foto del candidato dimostra che il giudizio di maggiore o minore competenza attribuito ai candidati era strettamente
correlato con le scelte di voto dei partecipanti. Emerse che i politici valutati come più competenti (in base alla foto)
erano anche quelli che più spesso avevano vinto (in media nel 68,8% dei casi). Questi risultati non significano,
ovviamente, che l'aspetto fisico e la percezione di competenza siano l'unico elemento che conta nelle valutazioni di tutti
gli elettori. Nei contesti elettorali reali gli elettori hanno a disposizione molte più informazioni sui candidati. Un fattore
rilevante nel peso attribuito alle diverse dimensioni della valutazione dei candidati sembra essere inoltre l'orientamento
ideologico degli elettori.
Tra gli elettori di destra la dimensione della leadership è considerata più rilevante nel giudizio sui candidati, mentre tra
gli elettori di sinistra sono le dimensioni della socievolezza e della moralit à a essere ritenute più importanti.
Le campagne politiche ricorrono spesso alla comunicazione negativa, cioè il ricorso da parte di partiti e candidati a
messaggi volti a screditare e mettere in cattiva luce i propri avversari. Le ricerche su questo argomento, tuttavia, hanno
fornito risultati spesso contrastanti, mostrando che a volte i messaggi negativi riescono a cogliere nel segno e mettere in
seria difficoltà i politici attaccati, altre volte, invece, non ottengono tali risultati e altre volte ancora possono addirittura
rivelarsi controproducenti e danneggiare il giudizio degli elettori sulla fonte dell'attacco stesso (effetto boomerang). Dal
punto di vista strettamente cognitivo, i messaggi negativi attirano l'attenzione più facilmente rispetto ai messaggi
positivi e le informazioni che forniscono sono considerate più diagnostiche e rilevanti di quelle positive (un fenomeno
noto come bias di negatività). Ma esiste anche un bias di conferma: le persone tendono a cercare informazioni positive
riguardo il candidato per il quale nutrono già un iniziale (talvolta solo implicito e non consapevole) atteggiamento più
positivo e informazioni negative rispetto al candidato per il quale nutrono un iniziale atteggiamento negativo.
L’effetto flashback o boomerang: cioè un sostanziale danno all'immagine della fonte dell'attacco, in quanto il suo
contenuto si ritorce contro la fonte che lo ha pronunciato. Questo pericolo naturalmente non sfugge ai politici, che a
volte cercano di delegare ad altri questo compito, oppure di attaccare gli avversari in modo indiretto, dando
l'impressione di fare un ragionamento obiettivo e neutrale. È stato anche studiato l’effetto di persistenza nell’ambito
delle fake news.
Le strategie difensive usate dai politici in queste situazioni, individuando due funzioni principali delle difese: da un lato
ridimensionare la gravità di un evento e dall'altro gestire a proprio favore l'attribuzione di responsabilità per quello che è
successo. La prima e più semplice strategia difensiva è la negazione, attraverso la quale i politici rifiutano di ammettere
che un problema esista, lo minimizzano fino a farlo sembrare qualcosa di triviale, o se ne distanziano. Nel caso delle
scuse il fatto non viene negato e la sua gravità viene sostanzialmente riconosciuta, ma si cerca di allontanare da sé la
responsabilità, scaricandola su un'altra persona o su cause di forza maggiore. Nel caso delle giustificazioni invece i
politici si assumono la responsabilità di un evento, ma cercano di spiegare quello che è successo alla luce di ulteriori
elementi che possano mitigarne la negatività percepita dagli elettori. Vi sono infine casi nei quali i politici sono
costretti ad ammettere le proprie colpe e a prendersi la responsabilità di un risultato negativi (concessioni). Questi casi
sono, comprensibilmente, i più temuti dai politici.
Framing: si intende l'inserimento di una notizia, un fatto, o una proposta politica all'interno di una cornice di
riferimento (detta in inglese appunto frame) che ne delimita e allo stesso tempo definisce il significato. Alcune persone
possono essere più facilmente persuase da frames positivi altre da frames negativi.
L'efficacia di queste due tipologie di comunicazione dipende infatti dalla corrispondenza tra il frame usato nei messaggi
e alcune caratteristiche personali del pubblico, un effetto conosciuto come regulatory fit.
Una ricerca di Mannetti e colleghi ha analizzato l'effetto persuasivo della corrispondenza tra il framing di due messaggi
su temi politici di una certa rilevanza, come ad esempio l'energia nucleare e il focus regolatorio di promozione o
prevenzione dei partecipanti. Prima di leggere i messaggi. i partecipanti svolgevano un compito, apparentemente non
legato all'esperimento, in cui venivano esposti a una serie di parole che attivavano in maniera subliminale, cioè al di
fuori della loro consapevolezza, un focus di promozione (quando vedevano parole come desiderio, successo, guadagno)
o di prevenzione (quando vedevano parole come dovere, obbligo, responsabilità). Tra i partecipanti ai quali era stato
indotto un focus di promozione, gli atteggiamenti impliciti ed espliciti verso l'energia nucleare erano pi ù positivi dopo
aver letto il messaggio con un frame di approccio che quello con un frame di evitamento e viceversa per i partecipanti ai
quali era stato indotto un focus di prevenzione. Nel complesso quindi, la comunicazione sui temi politici può
influenzare gli atteggiamenti degli elettori, non solo direttamente «convertendoli» a una causa alla quale erano
precedentemente contrari, ma più spesso in modo indiretto, riconfigurando le modalità con le quali l'argomento viene
discusso.
Le neuroscienze sociali
Questo studio si focalizza sull'intersezione tra la psicologia sociale e le neuroscienze. Sono state inizialmente analizzate
le ricerche sperimentali che mostrano come il sistema cognitivo sia in grado di distinguere ed elaborare diversamente
stimoli raffiguranti esseri umani oppure oggetti. Nel primo caso adottano uno stile di elaborazione visiva, di tipo
configurazionale e olistico, che prende in considerazione le relazioni tra gli elementi costitutivi. Nel secondo caso
viene adottato uno stile di elaborazione visivo di tipo analitico, altrimenti detto locale, che si focalizza maggiormente
sulle parti costitutive dell'oggetto e meno sulle relazioni spaziali degli elementi costitutivi.
Effetto di inversione: difficoltà di riconoscere uno stimolo capovolto rispetto a quando viene rappresentato nella più
consueta posizione dritta. L'osservatore sociale ha difficoltà a riconoscere sia i volti sia il corpo umano nella sua
interezza quando sono presentati capovolti, mentre tale scadimento in termini di riconoscimento non si osserva quando
vengono presentati degli oggetti.
Dopo aver distinto ciò che è umano da ciò che non lo è, il sistema cognitivo può elaborare le informazioni legate alle
persone in modo individualizzante o superficiale, ossia facendo riferimento a conoscenze categoriali. Successivamente,
le ricerche in neuropsicologia hanno dimostrato come le conoscenze legate agli esseri umani, in generale, e alle
categorie sociali in particolare, siano rappresentate da funzioni cognitive dissociate dalle conoscenze legate agli oggetti.
Le conoscenze sociali, oltre ad avere una componente semantica, hanno anche una componente valutativa. I risultati
hanno dimostrato che la corteccia
prefrontale mediale (mPFC) era particolarmente attiva durante i processi di formazione di impressione di individui,
ossia quando i partecipanti dovevano inferire gli stati psicologici di un altro conspecifico. La mPFC sembra infatti
essere implicata in svariate forme di elaborazione delle informazioni sociali. La categorizzazione costituisce un default.
Il processo di individuazione implica processi consapevoli ed è fortemente influenzabile dal contesto, mentre
l'elaborazione superficiale avviene solitamente in maniera automatica. Nei giudizi superficiali, ossia quelli in cui i
partecipanti non avevano a disposizione informazioni sulla persona e dovevano dunque basare i propri giudizi sulla
categoria, si attivava l'amigdala. L'attivazione di questa struttura era però drasticamente ridotta quando i partecipanti
potevano formarsi un'impressione della persona sulla base delle informazioni ricevute, ossia potevano adottare
un'elaborazione individualizzante. Quando i partecipanti adottavano un'elaborazione individualizzante si è osservata
l'attivazione di una serie di aree cerebrali tipicamente coinvolte nella mentalizzazione o teoria della mente (ToM).
Sono stati poi compiuti studi sui processi di dissociazione e doppia dissociazione. Seguendo la logica delle
dissociazioni, Rumiati e colleghi hanno chiesto sia al gruppo di pazienti che al gruppo di partecipanti non-clinici di
eseguire tre compiti di categorizzazione semantica. I risultati hanno messo in luce che alcuni pazienti presentavano un
deficit specifico per la categoria degli oggetti, ossia compivano un numero di errori di categorizzazione di questi stimoli
superiore al numero di errori registrato nei partecipanti non-clinici, ma la loro performance era analoga a quella dei
partecipanti non-clinici per quanto riguarda la categoria degli esseri viventi e dei gruppi sociali. Questi risultati
mostrano pattern dissociativo fra le tre forme di conoscenza, suggerendo che il contenuto di queste categorie sia
rappresentato indipendentemente.
Il processo di categorizzazione sociale ci permette di trarre inferenze sugli altri individui attraverso il recupero in
memoria di conoscenze che sono associate a tali categorie. Infatti, le categorie funzionano come information provider
poiché mettono a disposizione conoscenze sull'altro che non sono presenti nell'interazione. Tali componenti sono
associate a strutture cerebrali distinte. Le categorie sociali erano associate alla corteccia mediale prefrontale, al
cingolato posteriore, alla giunzione temporoparietale e alla corteccia temporale anteriore, suggerendo quindi che tali
conoscenze abbiano correlati neurali propri.
Inoltre la rete cerebrale coinvolta nei processi di stereotipizzazione è distinta dalla rete cerebrale che correla con le
risposte di pregiudizio. l'amigdala, e in particolare il nucleo laterale, riceve afferenze dagli organi sensoriali e permette
risposte rapide a stimoli «minacciosi», prima che questi siano elaborati da processi di ordine superiore o più complessi.
Alcuni studi hanno messo in luce un altro correlato del pregiudizio implicito. L'insula è una regione corticale adiacente
alla corteccia frontale. L’insulina gioca una funzione importante nella rappresentazione degli stati somatosensoriali,
come per esempio le risposte viscerali, e gli stati emotivi associati a tali stati. In sintesi, il pregiudizio sembra reclutare
strutture cerebrali diverse, tra cui l'amigdala e l'insulina. Il loro coinvolgimento ci permette di cogliere due elementi
costitutivi del pregiudizio, Primo, la risposta di pregiudizio, e in particolare del pregiudizio etnico, ha una componente
appresa, come per esempio
la risposta di minaccia a volti di persone nere. L'amigdala, infatti, permette di fornire una risposta appresa e veloce a
stimoli che rendono contestualmente saliente l’appartenenza gruppale. Secondo, la risposta di pregiudizio, può portare
con sé una componente somatosensoriale, ossia una esperienza soggettiva dell'emozione negativa provata nei confronti
dell’outgroup. Infine, sono state analizzate l'empatia e il comportamento prosociale evidenziando le strutture cerebrali
attivate da questi processi. In base ad alcune ricerche è stato indagato come livelli di attivazione dell'insula anteriore
sinistra era correlato positivamente con il comportamento prosociale: in altre parole, pi ù l'attività dell'insula anteriore
sinistra aumentava alla visione dell'esperienza di dolore dell'altro, maggiore era la probabilità di rispondere con un
comportamento di aiuto nella seconda sessione.

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