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Processi automatici e controllati

I processi automatici sono diversi da quelli consci; consistono in PROCESSI NON INTENZIONALI, che partono in
automatico senza uno sforzo o un ragionamento dietro, al di fuori della consapevolezza. Possono essere di tipo
MECCANICO, MOTORIO o COGNITIVO. Inoltre, viene dato il nome di processo automatico anche ad un’attività che
non è controllabile, che non si può fermare con un atto di volontà. Viene chiamato, infine processo automatico anche
ciò che avviene in contemporanea con qualche altra attività, come per esempio parlare o pensare a qualcosa
mentre camminiamo. Nella vita quotidiana il tipo di processo cognitivo utilizzato dipende da 2 fattori:
- PERSONALI =stabili (stile cognitivo, capacità), temporanei (motivazione)
- SITUAZIONALI =limiti di tempo, disturbi ambientali, stanchezza

WEGNER (1994) ha studiato l’interazione tra i processi intenzionali e automatici esplorando l’attività di soppressione
di pensieri indesiderati. Paradossalmente a volte lo sforzo di evitare i pensieri negativi (che provocano emozioni
negative) finisce per aumentarli (IPERACCESSIBILITA’ DEI PENSIERI NEGATIVI). Si innescano due tipi di processi:

- ACCESSIBILITA’ PENSIERI NEGATIVI (che vogliamo evitare): processo automatico, che richiede poco sforzo,
e non viene disattivato in caso di esaurimento delle risorse cognitive
- RICERCA DI PENSIERI SOSTITUTIVI (elementi di distrazione): processo intenzionale (controllato), che
richiede impegno, e può essere disturbato e disattivato se le risorse cognitive sono scarse, in condizioni di
stanchezza o carico cognitivo

Lo psicologo sociale Gilbert ha sviluppato un MODELLO DI ACCETTAZIONE AUTOMATICA e RIFIUTO


CONTROLLATO, secondo cui le persone tendono inizialmente a ritenere vero tutto ciò che vedono o sentono e solo
successivamente ne verificano la effettiva veridicità; in caso di disconferme lo rifiutano. Si ha, dunque, una prima fase
di accettazione automatica e le successive fasi sono di tipo controllato che richiedono sforzo e tempo. La correzione o
l’eventuale rifiuto possono essere insufficienti o del tutto assenti dal momento che molto spesso le persone operano in
condizioni di ridotte risorse cognitive. Si ipotizza che i processi automatici si attivano in modo più immediato, fornendo
una prima risposta, che viene successivamente controllata e corretta da PROCESSI CONTROLLATI. Questi ultimi
sono stimolati da: presenza di una nuova informazione troppo incongruente rispetto agli schemi che guidano i
processi automatici, l’interesse della persona per i risultati del giudizio espresso e la percezione di dover rendere
conto del giudizio espresso (accountability). Sono, invece, ostacolati da pressione temporale e affaticamento
cognitivo.

Un altro processo è quello di categorizzazione in schemi, strutture cognitive in cui sono organizzate le informazioni
su determinate categorie. Sono un insieme di informazioni interconnesse che abbiamo immagazzinato nella nostra
memoria in categorie. Sono principi organizzativi che ci permettono di interpretare la realtà. Ognuno di noi possiede
schemi mentali che influenzano il nostro comportamento, pensiero e giudizio. Sono indispensabili per dare un senso
all’enorme quantità di informazioni della vita quotidiana e ci permettono di interpretare e capire queste informazioni.
Esistono diversi tipi di schemi:

- di PERSONA = contengono le informazioni per descrivere le persone in base a tratti di personalità, inducono
aspettative che influenzano il ricordo di azioni e la comprensione di nuove informazioni.

- di SE’ = contengono le informazioni relative a sé stessi, il modo in cui ci consideriamo; le nostre caratteristiche
possono influenzare i comportamenti, pensieri e aspettative che influenzano il ricordo, e possono creare conflitti
e frustrazioni.

- di RUOLO = organizzano le conoscenze relative ai comportamenti attesi da una persona che occupa una
determinata posizione nella società. Esistono ruoli acquisiti e ruoli ascritti.

- di EVENTI = conoscenze relative alle sequenze di azioni appropriate in un determinato contesto


Sono COSTRUZIONI SOGGETTIVE: persone diverse possono utilizzare concetti diversi per rappresentare la
medesima realtà esterna. Sono ACQUISITI/MODIFICATI attraverso le esperienze, attraverso gli incontri con istanze
che si inseriscono nella categoria. Lo sviluppo dello schema mentale è stato elaborato da Piaget: per lui noi nasciamo

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con un processore di base che rende possibile l’adattamento al mondo e quando ci sono novità deve cambiare lo
schema attraverso le fasi di assimilazione e accomodamento.

Gli schemi possono influenzare vari processi mentali:

• CLASSIFICAZIONE = fondamentali per garantire la percezione

• GUIDARE ATTENZIONE e INTERPRETAZIONE = tendono a dirigere l’attenzione sulle informazioni coerenti


oppure incoerenti

• COMUNICAZIONE e INTERPRETAZIONE = avere schemi simili aiuta a condividere informazioni senza dover
descrivere tutti i dettagli

• MEMORIZZAZIONE e RICHIAMO ALLA MEMORIA = ricorderemo meglio gli elementi coerenti con le proprie
aspettative

• INFLUENZA SUL RECUPERO MNESTICO = lista di comportamenti positivi e negativi di persona, auto
descrizione di persona, scrivere cosa ricordano della lista dei comportamenti. I comportamenti congruenti con
lo schema evocato dall’auto descrizione vengono ricordati con maggiore frequenza.

Gli STEREOTIPI sono fondamentalmente schemi di gruppi sociali e immagini valutative semplificate di un gruppo e
dei suoi membri ampiamente condivise dalla società maggioritaria, a differenza del PROTOTIPO che invece è
prevalentemente un'immagine personale e risente della esperienza individuale più che dell'opinione della società.
Usiamo gli schemi della categoria per valutare qualcuno; questo ci mette a disposizione una serie di informazioni che
non abbiamo avuto modo di ottenere dal contatto diretto con quella persona.

L’attivazione degli schemi dipende dallo stimolo, contesto, che cambia salienza (proprietà che distingue uno stimolo
dagli altri) delle caratteristiche di uno stimolo, e caratteristiche dell’osservatore, che possono influenzare sia
un’accessibilità cronica di certi schemi, sia un’accessibilità situazionale. L’ACCESSIBILITA’ può essere
• CRONICA quando per una persona certi schemi possono essere più accessibili rispetto ad altri xk attivati spesso.
• SITUAZIONALE: schemi resi temporaneamente accessibili da fattori situazionali (scopi).

Esperimento accessibilità cronica Markus (1977): chiese a un gruppo di partecipanti di valutarsi su alcune
dimensioni – sulla base delle risposte li divise in 3 gruppi: dipendenti (coloro che si percepiscono fortemente
dipendenti dagli altri), indipendenti, aschematici (per loro la dimensione dipendenza/indipendenza non era centrale
nella definizione del se). Vennero mostrate per pochi secondi delle slide con gli aggettivi (alcuni connessi alla
dimensione dipendenza-indipendenza, altri non associati). I partecipanti dovevano premere nel più breve tempo
possibile il tasto corrispondente a ‘Me’ se l’aggettivo era riferibile a sé oppure un altro tasto ‘Non me’ se l’aggettivo non
era riferibile a sé. Le persone dipendenti erano molto più rapide a rispondere “me” di fronte agli aggettivi relativi alla
dipendenza (cooperativo, conformista, altruista…) e viceversa, le persone indipendenti erano più rapide a rispondere
agli aggettivi relativi all’indipendenza (individualista, assertivo, ambizioso…). Quindi, le informazioni che sono
associate a parti centrali dello schema di sé vengono processate più rapidamente. Inoltre, l’autrice dimostra che
gli individui sono meno propensi a mettere in discussione e modificare le dimensioni che ritengono centrali nella
definizione di loro stesse. Lo schema di sé non condiziona solo l’elaborazione di informazioni che riguarda la propria
persona ma funge da priming cronico, influenzando anche la percezione sociale. Se siete cresciuti in una famiglia in
cui la moralità è la dimensione dominante, probabilmente tratti come “sincerità” e “onesta” saranno centrali nel vostro
schema. Così li utilizzerete anche per giudicare gli altri – sarete innanzitutto interessati a capire se una persona è
morale più che se è intelligente. In altre parole, il vostro schema di sé sarà la lente con cui osserverete il vostro mondo
sociale.

PROCESSO D’INTEGRAZIONE DELL’ALTRO =quando pensiamo a persone a noi care tendiamo a sovrapporre la
loro rappresentazione alla rappresentazione del nostro sé in un processo di integrazione

PRIMING SEMANTICO =uno stimolo precedente influenza la nostra interpretazione, il nostro comportamento e le
decisioni in un momento successivo. Questo paradigma consiste in due stimoli: prime, che ha la funzione di attivare il
concetto, e target. Vengono presentati stimoli riferiti all’ingroup o all’out-group rispetto al quale si vuole misurare
l’atteggiamento. Subito dopo vengono presentati degli stimoli da classificare come positivi o negativi più velocemente
possibile. I tempi di risposta sono più brevi per le risposte congrue. Presentando subliminalmente parole collegate allo
stereotipo verso un gruppo, i soggetti sperimentali mostrano in seguito atteggiamenti e comportamenti più negativi
verso questo gruppo.
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Il PROBLEMA DEGLI SCHEMI consiste nel fatto che guidano l’assimilazione di nuove informazioni, privilegiando
quelle congruenti con lo schema. In caso di informazioni ambigue, le aspettative determinate dagli schemi scartano
informazioni difficilmente compatibili con gli schemi. Creano delle aspettative riguardo il comportamento altrui.
In un esperimento in cui venivano create aspettative su alunni promettenti, queste aspettative influenzavano il
comportamento degli insegnanti, e a fine anno gli alunni promettenti erano risultati effettivamente i migliori. Questo è
chiamato EFFETTO DI PIGMALIONE, o
EFFETTO ROSENTHAL, una forma di suggestione psicologica per cui le persone tendono a conformarsi all’immagine
che altri individui hanno di loro. La profezia auto verificantesi, è una profezia che si auto adempie, o che si
autoavvera, o che si autodetermina, o che si autorealizza. Si ha quando un individuo, convinto o timoroso del
verificarsi di eventi futuri, altera il suo comportamento in un modo tale da finire per causare tali eventi. Gli individui
agiscono sulla base dei loro schemi in modo da far sì che lo schema diventi vero.

Euristiche
Daniel KEHNEMAN e Amos TVERSKY (1973) hanno introdotto il termine euristica, proponendo la TEORIA DEL
PROSPETTO, la quale suggerisce che i giudizi degli individui sono il prodotto di particolari meccanismi cognitivi,
appunto euristiche. Le euristiche sono SCORCIATORIE COGNITIVE E MENTALI, strategie, stratagemmi, regole
semplici, approssimative, automatiche che le persone seguono per formulare giudizi, per prendere le decisioni in
maniera rapida e per rispondere alle domande con il minimo sforzo cognitivo; ci aiutano a valutare le opzioni in modo
agile, indipendentemente dal fatto che l’informazione sia valida. Esistono diversi tipi di euristiche:

- della DISPONIBILITA’ basiamo i nostri giudizi sulla facilità con la quale possiamo richiamare qualcosa alla
mente; ‘più un evento è accessibile, maggiori saranno le probabilità che venga richiamato alla mente. Quanto più
vivida è l’informazione, tanto più convincente e facile sarà da ricordare’. Un evento saliente e più recente che attira
la nostra attenzione viene recuperato facilmente dalla memoria (per es. l'attenzione dei mass-media). Gli eventi
negativi ci colpiscono di più perché indicano delle deviazioni dal normale, di conseguenza tendiamo a sovrastimare
la loro frequenza. La ricerca di Steven Pinker mostra la tendenza delle persone a considerare la società attuale
come più violenta se ascoltano frequentemente telegiornali oppure guadano molti film sulla violenza. I fattori che
rendono facile trovare esempi sono: la RILEVANZA PERSONALE DEGLI EVENTI, diamo maggiore valore alle
informazioni più recenti e dal maggiore impatto emotivo. Un evento drammatico incrementa temporaneamente la
disponibilità della sua categoria (un disastro aereo di cui parlano i mass media altera per qualche tempo i nostri
giudizi/sentimenti riguardo alla sicurezza dei viaggi in aereo); le esperienze personali, sono più disponibili in
memoria delle mere parole o dei dati statistici. Tutti questi fattori facilitano l’attivazione dell’euristica, ma sono
anche un limite del nostro ragionamento. Questo perché gli eventi che si sono verificati più spesso nella vita di un
individuo o che l’hanno impressionato maggiormente sono giudicati come più frequenti/probabili di quanto siano in
realtà. Nelle STIME DI FREQUENZA dovute all’euristica della disponibilità si verificano varie tendenze: sovrastima
di eventi salienti o strani o estremi; sovrastima di eventi che ricevono molta attenzione nei mass-media; sovrastima
delle opinioni in accordo con la propria (bias del falso consenso); sovrastima dei propri contributi (bias di tipo
egocentrico). Associata all’euristica della disponibilità vi è la CORRELAZIONE ILLUSORIA, un’esagerazione
cognitiva della frequenza con cui si manifestano contemporaneamente due stimoli o eventi (esempio: qualcuno
potrebbe svegliarsi con le articolazioni doloranti e osservare che poi inizia a piovere, concludendo che il suo dolore
sia predittore di maltempo/ cade un pino, quindi tutti i pini sono pericolosi). Chapman dimostrò come questa
tendenza possa influenzare il nostro modo di fare associazioni tra gli schemi.

- della RAPPRESENTATIVITA’ =consiste nel fare inferenze sulla probabilità che uno stimolo appartenga a una
determinata categoria. Formuliamo giudizi confrontando qualcuno con un prototipo o stereotipo che abbiamo su
una categoria. Questo porta ad ignorare altri tipi di informazioni che sarebbero necessarie per formulare giudizi
probabilistici corretti. Le persone alle quali viene presentata un’informazione, circa una persona specifica, che
contraddice l’informazione circa i tassi base di frequenza, tendono a ignorare l’informazione sul TASSO BASE di
FREQUENZA, giudicando solo quanto l’informazione circa la persona è rappresentativa di una categoria generale.

- della SIMULAZIONE/ del PENSIERO CONTROFATTUALE =è la tendenza a stimare la probabilità di un evento in


base alla facilità con cui possiamo immaginarlo; più è facile creare un’immagine mentale di esso, più è probabile
che si creda
che un tale evento sia possibile. Rispetto ad un evento negativo, tanto più è facile immaginare un corso positivo
degli eventi, tanto maggiori saranno gli stati di sofferenza (PEGGIORAMENTO dello STATO EMOTIVO). Rispetto
ad un evento positivo, tanto più è facile immaginare un corso negativo degli eventi, tanto maggiori saranno gli stati
d’animo positivi (MIGLIORAMENTO dello stato emotivo). Ad esempio, nel caso degli atleti sul podio a volte il
secondo sul podio è meno felice del terzo. Questo perché per il secondo è molto facile simulare la situazione di
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essere stato il primo. D’altra parte, per il terzo è facile immaginare la situazione peggiore. Il risultato, dunque, è una
maggiore soddisfazione del terzo rispetto al secondo.

- dell’ANCORAGGIO e AGGIUSTAMENTO =scorciatoia cognitiva in cui le inferenze/deduzioni sono collegate a


informazioni iniziali o a schemi. L'informazione iniziale esercita una notevole influenza e i giudizi successivi non si
spostano mai più di tanto da essa. Gli interlocutori utilizzano l’informazione espressa per prima come punto di
ancoraggio e introducono eventualmente dei piccoli aggiustamenti rispetto ad essa. Solitamente la stima finale si
discosta in modo non sufficiente dalla cifra usata come ancora. Un errore che deriva da questa euristica è
l’EFFETTO DEL FALSO CONSENSO: un giudizio con il quale sovrastimiamo il grado di accordo che gli altri hanno
con noi. Deduciamo le loro convinzioni, opinioni e pensieri secondo i nostri e creiamo questo falso consenso. In
questo caso, la nostra opinione funge da ancoraggio per dedurre il pensiero altrui.

- dell’AFFETTO (UMORE) =giudizi e decisioni sono prese a partire dalle emozioni suscitate.

- del CONFORMISMO SOCIALE =quando si entra in un contesto di relazioni all’interno di un gruppo si tende a
pensare, decidere, agire secondo una certa opinione condivisa dalla maggioranza.

Le euristiche possono essere utili quando si ha una disponibilità di tempo limitata, una disponibilità di risorse limitata,
costi elevati per la ricerca di informazioni. Sono irrazionali se si ha una buona disponibilità di tempo e risorse, e se si
deve prendere una decisione importante.

Processi e strategie con i quali diamo senso al mondo sociale


Nella prima fase il cognitivismo si concentrava sulla cognizione come processo razionale e sulle relative distorsioni. A
partire dagli anni ’90 si diede un’ampia evidenza a sostegno del fatto che i processi cognitivi possono essere
influenzati e resi caldi da:
FATTORI MOTIVAZIONALI e CONDIZIONI AFFETTIVE. È possibile distinguere:

- MOTIVAZIONI DIREZIONALI =processi cognitivi indirizzati verso scopi specifici della persona

- MOTIVAZIONI NON DIREZIONALI =non dirette ad uno scopo, ma sono motivazioni che ‘ determinano qualità e
quantità dell’attività cognitiva in generale. Tra queste troviamo:

IL BISOGNO DI COERENZA COGNITIVA


-TEORIA DELL’EQUILIBRIO (HEIDER) = le persone cercano di conservare un senso di equilibrio nei loro pensieri,
sensazioni e relazioni sociali

-TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA (FESTINGER) = le persone sono motivate al mantenimento e alla
ricerca
della coerenza fra le proprie conoscenze, opinioni, credenze e i propri comportamenti. L’eventuale incoerenza fra ciò
che si pensa che sia giusto e ciò che si fa crea uno stato di disagio, chiamato dissonanza cognitiva. Si attiva un
processo di natura motivazionale, volto a cercare la coerenza tra i comportamenti, gli atteggiamenti e le emozioni. Le
situazioni che possono indurre la dissonanza sono:

dissonanza POST DECISIONALE, dove le persone rifiutano di accettare di aver sbagliato per non percepire il
senso di fallimento, giustificando la scelta. Le persone con un’elevata autostima sono più capaci a risolvere la
dissonanza accettandola senza sentirsi in colpa o svalutati, mentre le persone più fragili, ansiose e insicure avranno
più difficoltà.

dissonanza che DERIVA DALLA DISCONFERMA DI UNA CREDENZA IMPORTANTE, dove le persone o i
gruppi tendono a razionalizzare o a rafforzare le loro credenze quando ricevono le disconferme. Questo però si
verifica solo a certe condizioni, e cioè se la credenza è molto forte e se esiste un sostegno sociale da parte di
qualcuno a favore di questa credenza.

INCOERENZA TRA UN COMPORTAMENTO ED ATTEGGIAMENTI (fumare anche se sappiamo che il fumo fa


male)

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dissonanza dei SOGGETTI FORZATI A COMPIERE AZIONI INCOMPATIBILI COI LORO ATTEGGIAMENTI CON
L’USO DI RICOMPENSE (obbedienza o compiacenza indotta). L’accordo forzato è una situazione in cui una persona
è indotta con incentivi di vario ordine a sostenere una tesi o a giocare un ruolo, in contrasto con le sue idee.

Esperimento di Festinger e Carlsmith: i partecipanti dovevano portare a termine due compiti noiosi. veniva
chiesto a ciascuno di loro di dire al partecipante del turno successivo che si trattava di una prova divertente e piacevole.
Festinger, all’insaputa dei partecipanti, ideò tre gruppi:

- 1° gruppo: ai candidati non si chiedeva di mentire e non veniva offerto denaro.

- 2° gruppo: i candidati dovevano mentire ai partecipanti successivi e ottenevano la ricompensa di 1$

- 3° gruppo: i candidati dovevano mentire ai partecipanti successivi e ottenevano la ricompensa di 20$

Una volta conclusa questa fase, veniva infine chiesto ai partecipanti dei tre gruppi di rivelare il loro reale
atteggiamento verso il compito. Dovevano quindi dare la loro valutazione della prova che avevano svolto durante l’ora
di esperimento. I risultati:

- 1° gruppo: valutarono il compito molto noioso, in maniera più negativa degli altri due gruppi.

- 2° gruppo (1$): valutarono il compito relativamente divertente, dunque più piacevole rispetto al primo gruppo.

- 3° gruppo (20$): valutarono il compito abbastanza noioso, ma non al livello dei giudizi espressi dal primo gruppo.

Quindi, nella fase di valutazione finale, solo il gruppo di partecipanti che ricevette un dollaro per mentire valutò
positivamente il compito. Queste persone, verosimilmente, non trovarono in questo scarso guadagno una
giustificazione adeguata all’aver detto una bugia. Perciò misero in atto una risorsa spontanea: cambiarono a posteriori
il proprio atteggiamento reale e si dichiararono divertiti dall’esperimento, proprio per risolvere la dissonanza. Al
contrario coloro che ricevettero 20$ ebbero una giustificazione adeguata ad accettare la propria menzogna: per tale
cifra poteva valere la pena dire una bugia; dunque, la discrepanza venne risolta da questa consapevolezza e la
valutazione finale risultò inalterata

Soggetti ai quali è impedito di compiere un’attività desiderata (giustificazione insufficiente). Esperimento del
giocattolo proibito: i soggetti sottoposti a una minaccia tendono a ridurre la valutazione di quanto essi desiderano in
misura minore rispetto a coloro che ricevono solo un leggero rimprovero. Il gruppo 1 è sottoposto a una condizione di
forte minaccia, il gruppo 2 ha una debole minaccia e il gruppo di controllo nessuna proibizione. Dai risultati emerge
che tutti i bambini ubbidiscono allo sperimentatore; la situazione di debole minaccia comporta una decisiva
svalutazione del giocattolo proibito; la situazione di forte minaccia produce una decisa preferenza per il giocattolo
proibito. Dunque, una forte minaccia fa aumentare la preferenza.

La giustificazione dello sforzo: ‘ho sofferto per questa cosa; quindi, vuol dire che mi piace’. Ad esempio, riti di
iniziazione, dove il comportamento di sofferenza innesca dissonanza, che viene risolta mediante una valutazione
positiva dello scopo per cui si è sofferto. La grandezza della dissonanza dipende dall’importanza dell’oggetto in
questione (aumenta se l’argomento è rilevante).

Festinger indica 3 strategie per la riduzione della dissonanza e consistono nel cambiare:
• il COMPORTAMENTO
• il PROPRIO CONTESTO
• le PROPRIE CONVINZIONI/OPINIONI/ATTEGGIAMENTI, attraverso giustificazioni e razionalizzazioni. Cambiare
l’atteggiamento è più semplice che modificare il comportamento, soprattutto, quando l’azione è già stata messa in
atto o quando abbiamo già preso una decisione. Nella realtà però non tutti riescono a metabolizzare un’incoerenza.
Ci sono persone che non sono in grado di dare a sé stesse una spiegazione esauriente o di razionalizzare le proprie
incoerenze.

MOTIVAZIONI ALLA BASE DELLA DISSONANZA =ZANNA e COOPER sostengono che il comportamento contro
attitudinale induce una modifica dell’atteggiamento se le persone sperimentano uno stato di attivazione fisiologica e la
attribuiscono al conflitto cognitivo. L'esperimento di FESTINGER, aggiunge la variante di somministrare una pillola
placebo in cui a metà gruppo ne veniva detta la verità, mentre all'altro veniva detto che poteva produrre uno stato di

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attivazione e questo portava a far percepire la pillola come la responsabile della tensione del proprio comportamento
contro attitudinale. Di conseguenza, si aspettava che gli ultimi non avrebbero modificato il proprio comportamento. Il
risultato confermò questa ipotesi.
Steele sostiene che la dissonanza si crea quando i COMPORTAMENTI CONTRO ATTITUDINALI MINACCIANO
L’IMMAGINE DI SE’. In una ricerca con studenti di scienze politiche e di economia è stato presentato il compito di
scrivere un testo a favore di un forte aumento delle tasse. Prima di scrivere il testo dovevano rispondere ad un
questionario che riguardava in un caso l’economia e nell’altro la politica. I risultati hanno mostrato che quando veniva
data la possibilità di riaffermare la propria identità e dunque soddisfare la motivazione all’affermazione di sé, i soggetti
non modificavano il loro atteggiamento. EGAN e colleghi in un articolo hanno trovato che sia i bambini che le scimmie
mostrano una diminuzione della preferenza per una delle due alternative ugualmente valutate all’inizio (A o B) dopo
averla personalmente scartata. Quindi potrebbero esserci alcuni aspetti della cognizione in sé a dare origine alla
dissonanza cognitiva, indipendentemente dalle esperienze personali.

1. La motivazione all’accuratezza (percezione di dover rendere conto),

2. Accountability (necessità di dover rendere conto agli altri delle proprie scelte e valutazioni) -> in alta
accountability le persone tendono a essere più accurate e avere maggiore paura dell’invalidità,

3. Bisogno di cognizione (riflette la misura in cui gli individui sono inclini ad attività cognitive impegnative),

4. Bisogno di chiusura cognitiva: viene definito come il desiderio degli individui di avere una risposta sicura a
una domanda per evitare incertezza e ambiguità. Possiede 2 componenti:
• URGENZA = afferrare la prima informazione disponibile per chiudere il processo cognitivo
• PERMANENZA = congelare e preservare la soluzione raggiunta. Se elevato porta a sviluppare impulsività o
impazienza, rigidità di pensiero e riluttanza ad accettare punti diversi dal proprio;
se basso le persone sentono l’incertezza e riluttanza ad assumere una posizione definitiva, sospendono il
giudizio e le opinioni alternative. La motivazione alla chiusura cognitiva è una CARATTERISTICA
DISPOSIZIONALE e relativamente stabile ma può essere anche indotta da caratteristiche del contesto. Le
persone che hanno alto bisogno di chiusura cognitiva è più probabile che conducano una ridotta ricerca di
informazioni, prendendo in considerazione un numero limitato di opzioni, temendo meno il giudizio da parte
degli altri e sentendosi più sicuri di sé. Inoltre, influenza negativamente l’adattamento degli immigrati e
aumenta identificazione e favoritismo verso l’ingroup, è più probabile l’uso di euristiche, schemi, prototipi,
stereotipi, dunque processi automatici; vi è una maggior accettazione di decisioni consensuali, maggiori
pressioni verso l’uniformità, maggiore tendenza a rifiutare opinioni devianti, minore creatività del gruppo e
maggiore stabilità delle norme intergenerazionali. Questo bisogno è il risultato di un’interazione tra
personalità e contesto in cui si vive. Viene misurato attraverso una scala Likert.

NEUROSCIENZA SOCIALE
Studia le basi neurologiche dei processi tradizionalmente esaminati dalla psicologia sociale. Antonio DAMASIO nel
suo
“Descartes Error” (1994) fornisce un’evidenza basata sullo studio di pazienti nei quali, a seguito di lesioni ai lobi
frontali dovute ad incidenti, le funzioni cognitive non sono intaccate mentre le funzioni affettive sono completamente
assenti. Questi pazienti si rivelano totalmente incapaci di prendere decisioni non perché non riescano ad analizzare le
alternative di scelta, ma perché sono insensibili alle conseguenze future delle opzioni disponibili, non essendo in
grado di associare a tali conseguenze un valore emotivo.

MODELLO DELL’INFUSIONE DELL’AFFETTO =gli stati affettivi e le emozioni influenzano il nostro pensiero e il
nostro giudizio. FORGAS definì il termine infusione di affetto come "il processo attraverso il quale le informazioni
caricate emotivamente esercitano un'influenza e sono incorporate nel processo di prova, entrando nelle delibere del
giudice e alla fine colorando l'esito del processo". In altre parole, l'infusione di affetto è un processo che determina il
grado in cui l'umore può influenzare il nostro giudizio. Ci sono quattro strategie di elaborazione proposte da Forgas:

1. dell’ACCESSO DIRETTO = quando siamo ben consapevoli di qualcosa o ricordiamo una risposta già data. In
questo caso l’influenza dell’umore sulla cognizione sarà meno intensa.

2. MOTIVATA = quando abbiamo in mente un obiettivo specifico. Ne consegue una scarsa influenza dell’umore,
poiché l’individuo avrà un’idea piuttosto chiara delle informazioni di cui ha bisogno.

3. EURISTICA = l’elaborazione affettiva, o elaborazione emotiva, automatica.

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4. SOSTANZIALE/SISTEMATICA = rappresenta l’elaborazione cognitiva più elaborata dove le emozioni possono
influenzare ogni fase

L’influenza degli stati affettivi sui processi cognitivi è NULLA o MINIMA se si esprime una valutazione già formulata in
passato e, inoltre, quando siamo guidati dagli obiettivi chiari/forti, che si presuppone riescano a sovrastare i fattori
affettivi. Gli
stati affettivi possono essere utilizzati come fonte di informazione e la loro positività o negatività viene attribuita
all’oggetto della valutazione (EURISTICA AFFETTIVA/EMOTIVA). In caso di processi cognitivi più accurati e
impegnativi (elaborazione sostanziale o sistematica) lo stato d’animo influenza i processi cognitivi (attenzione,
interpretazione e recupero dalla memoria mediante PRIMING), facilitando il ricordo di eventi simili allo stato d’animo.
Euristica affettiva e priming emotivo non sono facilmente distinguibili, ma il loro funzionamento può avvenire in
contemporaneo.

- MOOD CONGRUITY EFFECT=la ricerca di BOWER, del Stanford University, su come le emozioni delle persone
influenzano la loro memoria, percezione e giudizio hanno portato a diversi risultati:

1. RECUPERO DIPENDENTE DALLO STATO DELL’UMORE = le persone possono recuperare al meglio eventi
originariamente appresi in un particolare stato emotivo o stato d'animo ripristinando in qualche modo o
ritornando a quello stesso stato d'animo.

2. PERSONE IMPARANO DI PIU’ SUL MATERIALE CHE CONCORDA COL LORO STATO EMOTIVO,
pertanto, gli stimoli che supportano o giustificano i sentimenti di una persona sembrano in tal modo diventare
più salienti, suscitare più interesse, causare un'elaborazione più profonda o più elaborata, e quindi si impara
meglio.

3. FORTE INFLUENZA DELLE EMOZIONI SU PENSIERO E GIUDIZI = grazie a questo recupero selettivo le
percezioni sociali delle persone e le loro fantasie sono facilmente influenzabili dal loro umore del momento.
Queste influenze si verificano ogni volta che le persone valutano i loro amici, se stessi, la loro situazione di vita
e il loro futuro.

In genere, la letteratura indica che uno stato d’animo POSITIVO induce l’uso di strategie cognitive poco impegnative
(euristiche). Questo avviene perché l’umore positivo ci informa che non ci sono problemi, e non vogliamo impegnarci
in altre attività che potrebbero rovinare il nostro buon umore. Uno stato d’animo NEGATIVO, invece, induce l’uso di
strategie più impegnative ed accurate, perché un umore negativo ci informa che ci sono problemi e bisogna essere
attenti per trovare eventuali minacce, e il cattivo umore non è piacevole e siamo ben disposti ad impegnarci in altre
attività che possono distrarci.

Fattori culturali
La cultura è un insieme di credenze e pratiche che identificano uno specifico gruppo sociale e lo distinguono dagli altri.
La cultura pervade ogni aspetto della nostra esistenza; influenza pensieri, sentimenti, scelta degli abiti, abitudini
alimentari, linguaggio, modo di interagire con gli altri e di interpretare il mondo che ci circonda. Le dimensioni culturali
proposte da Hofstede sono:

- INDIVIDUALISMO = struttura sociale e visione del mondo in cui le persone attribuiscono maggiore importanza a
emergere come individui che a essere membri di un gruppo. Le culture individualiste tendono ad enfatizzare
elementi di identità e concetto del Sé che riflettono le capacità personali (cosa faccio, che esperienze ho avuto,
cosa ho creato). La forza deriva dalle decisioni e dai risultati personali. Il conformismo è visto in termini negativi.
Viene data molta importanza alla comunicazione chiara e aperta; le persone sono dirette e dicono ciò che
pensano. Nelle culture individualiste i giovani preferiscono la loro indipendenza. I rapporti umani sono sempre più
rari e si vive sempre più isolati e soli. È radicato maggiormente nelle culture occidentali, nelle società più ricche e
urbanizzate

- COLLETTIVISMO = struttura sociale e visione del mondo in cui le persone attribuiscono maggiore importanza alla
fedeltà, all’impegno, al conformismo, all’appartenenza e all’adattamento al gruppo piuttosto che all’emergere come
singoli individui. L'identità e il concetto del Sé in culture collettiviste sono definiti maggiormente in termini di
relazioni sociali. Per un individuo, il modo in cui egli viene visto dagli altri determina come vede sé stesso. La
forza deriva dall'appartenenza ad un gruppo. Il gruppo interferisce nella vita privata. Il conformismo è considerato

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un fattore di armonia; si cerca di evitare di offendere i sentimenti dell'altro. L'individuo è influenzato dalle
convinzioni del gruppo. Le persone sono indirette nella comunicazione e stanno attente a non offendere l'altro di
fronte alle altre persone. Nelle culture collettiviste i giovani accettano di dividere la casa con gli anziani. Le persone
non sono mai sole, sono sempre parte di un contesto, familiare o della comunità. È radicato nelle culture orientali,
nelle società agricole e nelle classi socioeconomiche più modeste.

- MASCOLINITA’ fa riferimento al grado in cui le culture sostengono le differenze di genere ed è definita dai valori
del potere, della sicurezza di sé, dell’ambizione, mentre la femminilità è caratterizzata dai valori dell’armonia,
bellezza e nutrimento. Nelle culture maschili la cura delle faccende domestiche e dei figli sono le funzioni
principali della donna; in caso di decisioni l’uomo ha sempre l’ultima parola; la donna si prende cura dei figli, li
istruisce e accudisce; a livello di istruzione un’alta qualifica professionale è importante solo per l’uomo; il posto di
lavoro non è l’area principale delle donne. Nelle culture femminili, invece, tutte le faccende domestiche sono
svolte da entrambe le parti; le decisioni sono prese senza prevaricare; l’uomo e la donna condividono le funzioni di
educazione dei figli in parti uguali; l’istruzione è importante allo stesso livello per uomini e donne; per le donne la
carriera è tanto importante quanto per gli uomini.

- INTOLLERANZA e TOLLERANZA dell’incertezza descrive il grado in cui le diverse culture sviluppano dispositivi
per gestire l’ansia e lo stress generati dall’incertezza. La tolleranza riguarda l’accettazione della diversità,
l’orientamento verso il modernismo e apertura al cambiamento, e le norme sono prescritte in minor numero
possibile. L’intolleranza riguarda la scarsa tolleranza per la diversità, un grande attaccamento ai valori culturali e
alla tradizione, e le norme sono scritte dettagliatamente.

- DISTANZA DAL POTERE fa riferimento al grado in cui differenti culture mantengono o incoraggiano il potere e le
differenze di status tra le persone. Nel caso di bassa distanza dal potere credono nell’importanza di diminuire le
disuguaglianze sociali; i figli sono liberi di contraddire i genitori; i lavoratori considerano i loro superiori come simili.
Nel caso di alta distanza dal potere si cerca di preservare la gerarchia sociale, le diseguaglianze e privilegi; ai figli
viene richiesta l'obbedienza ai genitori; i superiori mantengono la distanza dai lavoratori e non discutono le
decisioni in modo democratico.

La DIMENSIONE TEMPORALE/CRONEMICA è il modo in cui gli individui percepiscono ed usano il tempo per
organizzare le proprie attività.

Nel linguaggio comune i VALORI sono i criteri e i principi guida per i nostri comportamenti, aspirazioni, motivazioni,
progetti e scelte. Essi, in modo consapevole o inconsapevole orientano gli atteggiamenti, le opinioni, le decisioni e le
azioni. I valori determinano la definizione di buono e cattivo, stanno a cuore e hanno anche una qualità di
obbligatorietà per le persone. I valori svolgono una funzione fondamentale nel definire l'identità di ciascuna persona,
ma anche di gruppi, società e culture.

La TEORIA DI ROKEACH (1973) suggerisce una distinzione tra 2 tipi di valori:


• FINALI che si riferiscono ai fini da raggiungere (ad esempio, amicizia, pace nel mondo ecc.)
• STRUMENTALI o modalità per raggiungere tali valori (ad esempio, essere solidali, gentili, rispettosi, onesti, aperti
mentalmente, ecc..).

La Rokeach Value Survey (RVS), è costituita da due gruppi di 18 valori ciascuno.

La TEORIA DEI VALORI di SCHWARTZ (1992) sostiene che le caratteristiche comuni riguardanti il concetto di valore
nella maggior parte delle definizioni sono: i valori
• sono - CONCETTI o CREDENZE, connessi alle emozioni, cioè affettivamente carichi;
- OBIETTIVI o MOTIVAZIONI, i quali servono come principi guida nella vita;
- ORDINATI PER IMPORTANZA, sulla base di una propria gerarchia di valori

• trascendono da SPECIFICHE AZIONI e SITUAZIONI, la loro natura astratta li distingue da concetti quali norme e
atteggiamenti, i quali generalmente si richiamano in relazione a specifiche azioni, situazioni o oggetti;

• guidano la SELEZIONE/VALUTAZIONE di azioni, politiche, persone, ed eventi;


Questa teoria postula l’esistenza di un sistema circolare integrato di 10 VALORI FONDAMENTALI di base, che rende
conto delle relazioni dinamiche di compatibilità o conflitto tra i diversi valori (value circomplex). I 10 valori assumono
lo stesso significato in tutte le culture studiate indipendentemente dal grado di importanza attribuita ad ogni valore e
8
per questo il modello di Schwartz è definito UNIVERSALE. Tali valori si distinguono da un punto di vista motivazionale
a seconda dei 3 tipi di bisogni di cui sono espressione:
• BIOLOGICI, richieste dal contesto sociale
• OBBLIGHI SOCIO-ISTITUZIONALI che garantiscono sopravvivenza
• BENESSERE dei GRUPPI.
Schwartz ha elaborato due strumenti per la rilevazione empirica dei valori: lo Schwartz Values Survey, e il PVQ, il
Portrait
Values Questionnaire. Il primo è costituito da due liste di item di valori: un elenco di 56 valori, di cui 21 sono stati tratti
dal Value Survey di Rokeach, mentre il secondo ha due versioni, una da 40 item e l'altra ridotta da 21 item. La
versione italiana del PVQ è stata curata da Schwartz, Capanna e Vecchione. In Italia, i valori più importanti risultano
essere l'auto direzione, l'universalismo e la benevolenza, mentre quelli ritenuti meno importanti sono il potere, la
tradizione e il conformismo.

Bias cognitivi
BIAS è un termine anglosassone, che trae origine dal francese biais, e significa obliquo, inclinato. Questo termine, a
sua volta trae origine dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Inizialmente, tale termine era usato nel
gioco delle bocce, soprattutto per indicare i tiri storti. Bias cognitivo o distorsione cognitiva, deviazione, inclinazione,
predisposizione, consiste in un ERRORE SISTEMATICO DI PENSIERO. I bias sono influenzati dai seguenti fattori:
esperienza personale, contesto culturale e credenze, contesto sociale (giudizio altrui) e schemi mentali.

La correttezza può dipendere da ulteriori fattori, tra cui, ad esempio, il tempo disponibile per acquisire informazioni o
per prendere una decisione. I possibili bias sono davvero tanti e non è facile categorizzarli tutti. Alcuni di questi sono:

- bias di CONFERMA = è processo cognitivo che consiste nel selezionare le informazioni in modo da porre
maggiore attenzione, e quindi maggiore credibilità, su quelle che confermano le proprie convinzioni e, viceversa,
ignorare o sminuire quelle che le contraddicono.

- bias per SOMIGLIANZA = apprezziamo negli altri aspetti simili a quelli che riconosciamo in noi stessi; mentre nel
bias per contrasto, al contrario, apprezziamo i tratti di personalità̀ diametralmente opposti ai nostri.

- bias EGOCENTRICO = processo cognitivo che ci porta a pensare che i risultati positivi che otteniamo siano solo
merito nostro (grazie al nostro impegno, alle nostre capacità, al nostro lavoro) e che i risultati meno buoni siano
causati da fattori esterni (altre persone, circostanze). Le ricerche hanno confermato che tendiamo ad attribuirci
successi e comportamenti positivi e a proiettare sugli altri fallimenti e comportamenti negativi.

- bias del PAVONE = siamo indotti a ricordare e condividere di più i nostri successi, rispetto ai nostri fallimenti.

- OVERCONFIDENCE bias = tendenza ad avere un'eccessiva stima delle proprie capacità e un'eccessiva fiducia in
noi stessi.

- bias della COERENZA = la tendenza a ricordare in modo errato i nostri comportamenti, atteggiamenti o opinioni
passati, in modo da farli assomigliare a quelli presenti.

- bias dell’OTTIMISMO = le cose sono considerate in maniera più ottimistica rispetto a quanto lo siano realmente.

- bias della NEGATIVITA’ = consiste nel dare maggior peso agli aspetti negativi rispetto a quelli positivi. “Preferisco
essere ottimista e avere torto, che pessimista e avere ragione.”

- bias dello STATUS QUO = è una distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento; il cambiamento
spaventa e perciò si tende mantenere le cose così come stanno
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- bias dell’AVVERSIONE ALLE PERDITE (loss-aversion bias) = a parità di cifre (ma anche in caso di guadagni
sostanzialmente più elevati), preferiamo di gran lunga evitare le perdite, piuttosto che ottenere dei guadagni.

- bias del PUNTO CIECO (bias blind spot) = convinzione di essere più obiettivi rispetto alla > parte della gente.

- bias del PRESENTE (hyperbolic discounting) = le decisioni vengono prese per ottenere una immediata
gratificazione, ignorando le possibilità di conseguire risultati migliori in futuro

- l’EFFETTO CARROZZONE (la tendenza al conformismo; BANDWAGON EFFECT) = descrive il comportamento


delle persone che, spinte dalla indecisione o dalla pigrizia, finiscono per fare qualcosa semplicemente perché ‘tutti
fanno così’.

- bias di PROIEZIONE (falso consenso) = grazie al quale si è soliti pensare che la maggior parte delle persone la
pensi come noi.

- bias INFORMATIVO (information bias) = è la convinzione che più informazioni recupereremo, più la nostra
decisione sarà oculata.

- bias dell’ANCORAGGIO (anchoring bias) = troppo affidamento sulle prime informazioni che ci vengono fornite.

- HALO EFFECT = bias cognitivo per il quale la percezione di un tratto è influenzata dalla percezione di uno o più
altri tratti dell'individuo o dell'oggetto. Un esempio è giudicare gentile, a prima vista, un individuo di bell’aspetto.

- bias del SENNO DI POI (Hindsight bias) = la tendenza delle persone a credere, erroneamente, di aver saputo
prevedere un evento correttamente, una volta che l'evento è ormai noto. Il processo si può sintetizzare
nell'espressione: "Ve l'avevo detto io!"

- bias di SOPRAVVIVENZA (Survival bias; Survivorship bias) = è un errore logico che consiste nel concentrarsi
su persone o cose che in passato hanno superato dei processi di selezione ed ignorare completamente coloro che
non li hanno superati solo perché poco conosciuti.

- bias di FAVORITISMO PER IL PROPRIO GRUPPO (in-group bias) = la tendenza a favorire il proprio gruppo
d’appartenenza agli altri gruppi. Ci induce a sopravvalutare le capacità ed il valore del nostro gruppo, a considerare
i successi del nostro gruppo come risultato delle qualità dello stesso, mentre si tende ad attribuire i successi di un
gruppo estraneo a fattori esterni non insiti nelle qualità delle persone che lo compongono.

- bias dell’OMOGENEITA’ DELL’ALTRO GRUPPO (OUTGROUP HOMOGENEITY EFFECT) = la tendenza a


vedere i membri dell’altro gruppo come più simili tra di loro di come sono in realtà.

Metodi di ricerca
La psicologia sociale studia temi trattati anche da filosofi, letterati, politici utilizzando un metodo scientifico, ovvero
sottoponendo a verifica empirica le proprie ipotesi di ricerca. Gli aspetti caratterizzanti del metodo scientifico:

- la raccolta ed elaborazione di informazione scientifica è sistematica e intenzionale

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- lo scienziato controlla il grado di accuratezza dell’informazione raccolta e la validità delle conclusioni raggiunte
Le fasi della ricerca comprendono:

1. Individuare l’oggetto d’interesse e formulare un quesito =scegliere il tema, cercando sui libri o sui siti di
psicologia sociale, ispirandosi a teoria o ricerche precedenti, o a osservazioni personali

2. Formulare un’ipotesi che può essere sottoposta a verifica empirica

3. Pianificare delle procedure

4. Sottoporre la proposta a un comitato etico

5. Raccogliere i dati

6. Analizzare i dati – risultati

7. Descrivere e presentare i risultati

Innanzitutto, occorre cercare la letteratura, quindi individuare le parole chiave, partire da articoli più recenti, fare
subito una bibliografia provvisoria, annotare molto sinteticamente i punti principali. La teoria è una possibile
spiegazione di una serie di fenomeni che si ritengono interconnessi. La teoria scientifica è un insieme interrelato di
concetti/costrutti, definizioni, e proposizioni (ipotesi) che forniscono una visione sistematica specificando le relazioni
fra le variabili per spiegare e prevedere i fenomeni. I costrutti sono concetti astratti che indicano un aspetto della vita
psichica del soggetto, non osservabili direttamente ma inferiti a partire da una serie di indicatori empirici osservabili.
Esistono dei costrutti più complessi che implicano un’organizzazione gerarchica in dimensioni. Per poter essere
misurati, i costrutti devono essere definiti in modo operativo, attraverso l’operazionalizzazione delle variabili.
Questo processo prevede l’operativizzazione dei concetti in variabili (ad esempio operativizzo il concetto di
“socievolezza” nella variabile “numero di relazioni sociali che un individuo afferma di avere”), e la scelta dello
strumento attraverso cui rilevare il concetto operativizzato. Nell’ambito della stessa teoria sono possibili diverse
definizioni operative della stessa variabile. La VARIABILE è una rappresentazione misurabile di un costrutto; può
essere CONTINUA (tratti di personalità, intelligenza, peso corporeo) o DISCONTINUA (età, numero dei figli). Inoltre,
possiamo fare la distinzione tra:

- VARIABILI INDIPENDENTI (VI) = aspetti che cambiano in modo spontaneo o che possono essere manipolati dallo
sperimentatore per avere effetti su una variabile dipendente.

- VARIABILI DIPENDENTI (VD) = variabili che cambiano in seguito a modifiche nella variabile indipendente. La
variazione della variabile dipendente dipende dalla variazione della variabile indipendente.

- COVARIANTE (intervenienti) = moderatori oppure mediatori (una caratteristica di un individuo o di un gruppo come
ad es. l’età, genere, il livello di studio, l’altezza, intelligenza, timidezza...). Il MEDIATORE è una variabile che è
influenzata dalla variabile indipendente, e poi influenza a sua volta la variabile dipendente. Per es. Autostima
=Ansia =Performance. Il MODERATORE è una variabile che interagisce con la variabile indipendente. Per es.
autostima ha una relazione positiva con la performance ma solo per le donne, o solo per coloro che hanno alto
livello di istruzione.

Le IPOTESI sono affermazioni espresse nel modo indicativo, tipo ‘se accade X, allora si osserverà Y’. Si tratta quindi
di affermazioni che mettono in relazione due costrutti/variabili. Di solito, una buona ipotesi non utilizza direttamente i
costrutti, ma le loro definizioni operative.

La Psicologia Sociale utilizza tre tipi di metodi di ricerca che permettono di rispondere empiricamente alle ipotesi
formulate:

- OSSERVATIVO (o DESCRITTIVO) = “qual è la natura del fenomeno?” Per es. osservare la produttività nei gruppi

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- CORRELAZIONALE (per es. sondaggio) = sapendo X, possiamo prevedere Y? Sono interessato a vedere come le
opinioni riguardanti gli immigrati correlano con l’età dei rispondenti.

- SPERIMENTALE/QUASI = “la variabile X causa la variabile Y”


È possibile fare una distinzione tra studi QUALITATIVI (informazioni raccolte attraverso osservazioni, interviste, focus
group) e QUANTITATIVI (dati raccolti attraverso tecniche di misurazione che permettono una codifica numerica della
risposta -> questionari, tecniche sociometriche). In generale la ricerca qualitativa è meno strutturata di quella
quantitativa, per questo permette di individuare una serie di sfumature di un determinato comportamento o evento che
non potrebbero essere colte diversamente; limiti di questa metodologia possono essere l’estrema individualità e
soggettività con cui si raccoglie un dato. Per questo motivo, spesso, risulta difficile replicare il processo inferenziale
che induce alla generalizzazione del dato alla popolazione generale. I vantaggi derivanti dalla ricerca quantitativa
riguardano la riproducibilità del dato e della procedura utilizzata nell’elaborazione dello studio; i limiti riguardano il fatto
che i dati quantitativi non contengono le sfumature della variabilità umana, di conseguenza accomunano i soggetti in
macrocategorie. Tutto questo facilita e semplifica il processo di conoscenza, ma depaupera di molto la natura umana
riducendola ai minimi termini.

Il metodo osservativo utilizza l’osservazione per rilevare le variabili oggetto d’indagine. Abbiamo tre tipi di
osservazione:

- PARTECIPANTE, è una forma di osservazione sistematica nella quale l’osservatore è fisicamente presente nel
contesto, ma cerca, per quanto possibile, di non influenzare la situazione (interviste). Originariamente usata dagli
antropologi e per molto tempo utilizzata esclusivamente per studiare culture esotiche o primitive; il ricercatore si
limita ad osservare la vita quotidiana dei soggetti cercando di minimizzare le interferenze dovute alla sua stessa
presenza; si protrae per un periodo di tempo relativamente esteso; richiede che l'osservatore sviluppi un 'intima
familiarità con il mondo, la realtà, la cultura di coloro che intende studiare

- SISTEMATICA impiega degli osservatori esperti che osservano e codificano il comportamento secondo dei criteri
prestabiliti. In questo caso l'osservatore: non partecipa - o partecipa in misura minima - agli eventi che osserva, si
limita ad osservare solo gli specifici comportamenti ritenuti rilevanti per fornire una risposta ai quesiti di ricerca. Ciò
che caratterizza l’osservazione sistematica è il fatto che il ricercatore utilizza uno schema di osservazione che
definisce cosa osservare e come registrare le osservazioni stesse. Esempio: lo SCHEMA DI BALES (IPA)
prevede, almeno in ipotesi, che tutti i tipi di atti comunicativi, che si verificano nel corso di una interazione di
gruppo, possano essere classificati in una delle 12 categorie analitiche che lo compongono -> interventi
emozionalmente positivi (dimostra solidarietà, dimostra rilassamento, concorda); interventi emozionalmente
negativi (esprime disaccordo, mostra tensione, mostra antagonismo); interventi di soluzione di problemi in forma di
risposta (dà suggerimenti, esprime opinioni, fornisce orientamenti); interventi di soluzione di problemi in forma di
domande (chiede orientamento, chiede opinioni, chiede suggerimenti)

- STUDI DI ARCHIVIO sono un metodo nel quale il ricercatore esamina dei documenti.
La scelta dell'unità d'analisi consiste nel decidere quale frammento di comportamento dovrà essere
registrato/codificato come una frequenza in una delle categorie dello schema. Esistono 2 approcci che differiscono fra
di loro per l'ampiezza del comportamento da osservare e codificare:

- MOLECOLARE: prende in considerazione il più piccolo segmento del comportamento

- MOLARE: prevede che l’unità di osservazione sia un più ampio segmento di comportamento, corrispondente ad
un’unità di interazione completa.

Il livello di codifica può essere:

- CLASSIFICATORIO (in cui ogni evento osservato viene codificato, in termini dicotomici - presenza/assenza-, come
"un atto di un certo genere o classe")
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- DIMENSIONALE (in cui ogni atto viene codificato, in termini graduali, con riferimento a "caratteristiche o
dimensioni ad esso sottostanti)

ESAUSTIVITA’ DELLE CATEGORIE = uno schema è altamente esaustivo quando prevede la classificazione di tutti i
comportamenti che si possono verificare in un dato setting.

MUTUA ESCLUSIVITA’ (o no) = ogni comportamento può e deve essere classificato in una sola delle categorie.

Per le analisi di archivio possono essere usati diversi tipi di documenti: archivi statistici, giudiziari, diari, riviste,
quotidiani, spot pubblicitari. Possono però sorgere problemi di stabilità dei criteri usati dai compilatori in tempi diversi,
o problemi dell’accordo fra diversi valutatori dello stesso materiale di archivio.

Il METODO OSSERVATIVO presenta vantaggi e limiti. Tra i primi il fatto di consentire di rilevare variabili
comportamentali senza estrapolare il soggetto dal suo contesto naturale; tra i secondi il fatto che alcuni tipi di
comportamento sono difficili da osservare perché avvengono raramente o solo in privato, inoltre, dipende dalla
capacità dell’osservatore di codificare correttamente il comportamento. Le inferenze possono essere influenzate dal
tipo di setting, tipo di obiettivo, e le caratteristiche dei soggetti e l’ampiezza del gruppo da osservare.

Il METODO CORRELAZIONALE (quantitativo) rileva la misura in cui due o più variabili sono in relazione tra loro.
Spesso viene utilizzato il questionario, ma anche i dati provenienti da osservazioni. Il questionario viene utilizzato
quando le variabili che si intendono misurare non sono facilmente osservabili, oppure per la scelta di particolari ipotesi
teoriche. Il COEFFICIENTE DI
CORRELAZIONE è una misura del grado in cui due variabili sono in relazione tra loro (varia tra -1 e +1). Una
correlazione POSITIVA indica che all’incremento del valore di una variabile corrisponde un incremento di un’altra
variabile, una correlazione NEGATIVA indica che all’incremento di valori di una variabile corrisponde una
diminuzione dei valori dell’altra. Il metodo correlazionale verifica solo il grado in cui due variabili sono associate e non
perché lo sono: vi può essere una terza variabile correlata ad entrambi (v. mediatrice o moderatrice). Solo il metodo
sperimentale, che controlla e manipola sistematicamente le variabili indipendenti, consente di determinare la direzione
causale della relazione tra due variabili. Esempio di ricerca: come varia la valutazione degli immigrati al variare
dell’età dei partecipanti.

Le SCALE DI MISURE sono lo strumento attraverso cui avviene la misurazione di una variabile. Esistono 4 tipologie
di scale di misura:
• NOMINALE =ci si limita a registrare l'evento/comportamento in categorie nominali che differiscono
qualitativamente. Variabili nominali sono, ad esempio, il sesso, lo stato civile, l'occupazione, nazionalità, vero –
falso. Queste variabili non possono essere impiegate per operazioni matematiche complesse, mentre
possono essere usate come criterio di raggruppamento dei soggetti di un campione.
• ORDINALE =l'evento/comportamento è registrato in categorie tra le quali esiste una relazione ordinale, di
rango (ranking); i livelli sono logicamente sequenziali ma non sappiamo nulla circa gli intervalli tra i diversi
ordini di rango.
• a INTERVALLI =la distanza tra i livelli adiacenti della variabile è costante, ossia si può stabilire non solo un
ordine, ma anche l’esatta distanza tra le stesse variabili; l'uso delle operazioni matematiche è appropriato. Le
scale intervallari, tuttavia, non hanno lo zero assoluto in quanto, o non si verifica mai la totale assenza della
variabile, o lo strumento non è in grado di valutarla (esempio scala di temperatura Celsius).
• LIVELLO RAZIONALE/RAPPORTI EQUIVALENTI =quello al quale l'evento-comportamento viene collocato su
una scala con uno zero assoluto (scala a rapporto), come nel caso dell’altezza, delle risposte corrette ad un
test di accertamento, o dei tempi di reazione. La distanza (il rapporto) tra gli intervalli è costante, ossia si
può stabilire che un punteggio è il doppio dell’altro.

Le tecniche di misura degli atteggiamenti = le misure esplicite caratterizzate da un alto grado di possibilità di
controllo delle risposte (misure esplicite o dirette; per es., il questionario, scale di misura); le misure caratterizzate da
un medio livello di controllo intenzionato delle risposte (sono le misure non-verbali e comportamentali); le misure
con un basso o nullo livello di controllo delle risposte (per es. il priming semantico, le reazioni fisiologiche (misure
indirette che aggirano la consapevolezza del rispondente). Gli strumenti utilizzati consistono in test, questionari,
differenziale semantico, liste di aggettivi, interviste, focus group.

Il TEST è una misurazione obiettiva e standardizzata utilizzata per valutare le dimensioni di intelligenza, i processi
cognitivi, la conoscenza, oppure i tratti di personalità. Il QUESTIONARIO rappresenta lo strumento tipico di rilevazione
dell’informazione nell’ambito delle indagini con campioni rappresentativi di popolazione. Uno strumento standardizzato
deve essere somministrato in modo uniforme a tutti gli intervistati, in modo che tutti possano rispondere secondo la
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stessa formulazione del quesito. Un questionario è composto di solito di diverse misure e scale (una serie di
affermazioni). Può includere le domande riguardanti le caratteristiche sociodemografiche, scale di tratti di personalità,
scale degli atteggiamenti. Spesso si utilizzano questionari preesistenti, sia per evitare fatica, sia soprattutto per
poter confrontare i risultati con quelli di ricerche precedenti effettuate con lo stesso strumento. Le scale esistenti
devono essere tradotte e validate/standardizzate nel nostro contesto; si possono trovare scale standardizzate per
costrutti psicologici come l’autostima, depressione, ansia, automonitoraggio, e non è sempre facile trovare scale
standardizzate per misurare le opinioni e gli atteggiamenti. Occorre determinare lo scopo del questionario: avere
chiari gli obiettivi dell’indagine; avere chiari i contenuti; avere chiaro chi possono essere i rispondenti: si possono
usare domande diverse per i gruppi aventi caratteristiche diverse. Le domande possono essere:

- APERTE • vantaggi = - libertà di espressione


- vi è una maggiore probabilità di scoprire qualcosa che non è stato previsto
- la loro flessibilità le rende più utili per indagini preliminari e su piccola scala;
• svantaggi = - difficili da codificare
- richiedono più fatica da parte di chi risponde
- risultano più difficili per chi ha scarse abilità linguistiche

- CHIUSE (dicotomiche, multiple, scale di tipo Likert)


• vantaggi = - sono facili da codificare ed analizzare e sono spesso utilizzate nei questionari
- non richiedono grandi competenze linguistiche
- le rende più utili per ricerche su larga scala
- facile confrontare i soggetti
- è possibile fare molte domande;
• svantaggi = - alcuni argomenti possono essere molto complessi per essere esaminati con domande chiuse
- richiedono una verifica della coerenza a causa di possibili errori nelle risposte
- qualche volta i soggetti non comprendono le domande

Le domande devono essere chiare e ben focalizzate: riflettere accuratamente l’universo delle possibili affermazioni
che riguardano l’oggetto dell’atteggiamento; avere la capacità di discriminare con la massima precisione persone con
atteggiamento differente; rendere chiare le alternative. All’inizio è utile inserire un preambolo introduttivo dove
vengono brevemente illustrati obiettivi e finalità dell’indagine, indicati i promotori della ricerca e garantita la
riservatezza dell’intervistato, e viene chiesto il consenso informato a utilizzare i dati raccolti.

• Vantaggi del questionario = strumento facile da somministrare, può essere somministrato


contemporaneamente a un alto numero di soggetti, le informazioni possono essere elaborate
statisticamente.
• Svantaggi del questionario = non permette analisi profonde delle risposte, può essere frustrante il fatto
di non poter esprimere liberamente le proprie convinzioni e argomentazioni (rispondente può voler dare
una risposta che, non essendo compresa tra quelle proposte, viene persa o distorta), il questionario non è
adatto per alcune categorie dei soggetti. Non si può prevedere una lunghezza e un numero di domande
standard: lunghezza e congruità dipendono essenzialmente dal tema che si vuole esplorare e devono
consentire di farlo in modo esaustivo.

In sintesi, le modalità di raccolta dell’informazione tramite questionario sono riconducibili alle 4 seguenti:

- INTERVISTA FACE TO FACE (PAPI e CAPI) =offre la possibilità di esplorare e approfondire tematiche di natura
sensibile. I principali svantaggi di questa modalità sono legati alla necessità di impiantare una macchina
organizzativa per la rilevazione, onerosa da un punto di vista economico e di tempo. Un altro aspetto fa riferimento
alla influenzabilità e condizionamento dell’intervistato da parte dell’intervistatore.

- INTERVISTA TELEFONICA (CATI e CAMI) =offre il vantaggio di poter raccogliere velocemente dati. Presenta due
svantaggi: la mancanza di un contatto personale non consente di approfondire più di tanto le tematiche in studio, e
la sottorappresentazione di alcune categorie sociali che a priori vengono escluse dalle liste di campionamento.

- INTERVISTE POSTALI
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- CAWI – UTILIZZO DEL WEB =il principale svantaggio riguarda l’autoselezione dei rispondenti. Il problema è quindi
di rappresentatività statistica del campione selezionato, visto che gli intervistati non vengono reclutati secondo
criteri di tipo probabilistico, ma in base a una loro scelta di partecipare o meno all’indagine. Gli anziani, le persone
con basso livello di istruzione e lavoratori manuali hanno un accesso più limitato al web e quindi una maggior
probabilità di non essere rappresentati. La somministrazione avviene tramite piattaforme gratuite, come Google
forms, qualtrics, limesurvey, o a pagamento come prolific, unipark. Il link viene creato su siti ad elevato traffico di
utenti o inviato via e-mail o attraverso post sui social networks.

Le diverse forme di scale comprendono:

- La scala ad INTERVALLI EQUIVALENTI di THURSTONE = primo metodo per la misura degli atteggiamenti, che
comprende la formulazione di un numero sufficientemente ampio (almeno cento) di affermazioni rilevanti, che
rappresentino tutte le posizioni dalle più sfavorevoli alle più favorevoli; almeno 300 valutatori suddividono le
affermazioni in 11 sottogruppi numerati da 1= affermazioni più favorevoli a 11= affermazioni meno favorevoli, 6 = le
affermazioni neutre; per ciascuna voce si calcola poi la media dei giudizi espressi dai 300 valutatori: questa diventa
il valore scalare attribuito all’item; selezione degli item (vengono eliminati tutti gli item per i quali si osserva basso
accordo fra valutatori, viene mantenuto uno stesso numero di item per ogni valore scalare; vengono eliminati gli
item che, somministrati ad un nuovo campione che deve esprimere accordo o disaccordo con le singole voci, si
rivelano dotati di scarsa coerenza interna); somministrazione alla popolazione della scala definitiva di 20-30
affermazioni, disposte in ordine casuale ( ai soggetti viene chiesto di indicare le affermazioni con le quali si trovano
in accordo).

- La scala di tipo LIKERT = consiste principalmente nel mettere a punto un certo numero di item che esprimono un
atteggiamento positivo e negativo rispetto ad uno specifico oggetto. Per ogni item si presenta una scala di
accordo/disaccordo, di solito a 5 o 7 modalità, ma possono essere usati anche modalità pari (4 o 6). Per ogni
affermazione/dimensione si calcola la media delle risposte dei soggetti. Comprende scale UNIDIMENSIONALI,
dove si assume che gli item che compongono la scala misurino una stessa caratteristica (struttura mono-fattoriale),
e scale MULTIDIMENSIONALI, dove gli item che compongono la scala misurano due o più dimensioni (fattori). In
genere, 5-10 item (o di più) per ogni dimensione. Il numero degli item dovrebbe essere grande abbastanza da dare
stabilità alla scala, ma non troppo da stancare i soggetti che rispondono.

- La scala di tipo GUTMANN = gli item vengono posti lungo un continuum che rispecchia i diversi gradi
dell’atteggiamento. Esempio: consiglieresti il tuo medico di base a: 1) un conoscente (Si/No) 2) un collega di lavoro
3) un amico 4) un parente 5) a tuo figlio. In questo modo, la risposta positiva ad un item implica risposta positiva
agli item precedenti.

- La scala di DISTANZA SOCIALE di BOGARDUS = misura quanto le persone sono portate ad accettare relazioni
sociali in differenti situazioni di interazione

- il DIFFERENZIALE SEMANTICO = una tecnica per la misura dei significati del concetto esplorato (significato
connotativo). Ogni scala/dimensione è composta da una coppia di aggettivi bipolari, tra i quali è collocata una scala
con 5 o 7 valori (rating). Il significato implicito di un costrutto può essere ricondotto a tre dimensioni: valutazione,
che ha come aggettivi tipici buono-cattivo, bello-brutto, dolce-agro, pulito-sporco, gustoso-disgustoso, gentile-
sgarbato, piacevole-spiacevole, POTENZA, che ha come aggettivi tipici forte-debole, grande-piccolo, pesante-
leggero, attività, che ha come aggettivi tipici attivo-passivo, rapido-lento.

- la LISTA degli AGGETTIVI = descrivono le caratteristiche di un gruppo e chiedere di indicare il grado in cui sono
presenti (1 = per niente; 6 = moltissimo).

- la scala di LADDER = scala a 9 o 11 gradini usata per misurare il livello di soddisfazione della propria vita.

- MATRICE SOCIOMETRICA = permette di misurare il grado di accettazione o di rifiuto di ogni individuo all'interno
del gruppo.
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- SOCIOGRAMMA = consiste nel chiedere a tutti i membri di indicare in ordine decrescente di preferenza i
compagni con i quali vorrebbero svolgere un'attività specifica (prima domanda) e al contrario con chi non
vorrebbero assolutamente associarsi (seconda domanda). Nel questionario sono contenute anche due domande di
carattere percettivo, in cui ai soggetti viene chiesto di esprimere da quali degli altri soggetti pensano di essere stati
selezionati e da quali no (terza e quarta domanda). Gli indici sociometrici sono popolarità e coesione.

INTERVISTA NELLE RICERCHE PSICO SOCIALI


L’intervista è una forma di conversazione professionale caratterizzata da: regole e tecniche specifiche, e setting
relazionale. È una conversazione provocata e guidata dall’intervistatore, avente finalità di tipo conoscitivo. Può
verificarsi un’asimmetria nella relazione: i ruoli non sono equilibrati, l’intervistatore guida e controlla la conversazione
rispettando sempre la libertà dell’intervistato di esprimere le proprie opinioni. Può essere:

- NON STRUTTURATA = l’intervistatore conduce il colloquio avendo in mano solamente un promemoria che gli
serve per ricordarsi gli aspetti da trattare. Tale promemoria è solitamente chiamato traccia, perché sta appunto a
indicare che l’intervistatore ha solamente una serie di punti da proporre all’intervistato. L’intervistatore ha il compito
di proporre, incoraggiare ad approfondimenti arginando divagazioni. Caratteristiche: centrata sull’intervistato, stile
non direttivo (si segue il suo modo di comunicare nel costruire info riguardanti l’ogg. di indagine), il rapporto con
l’intervistato varia da caso a caso.

- SEMI STRUTTURATA = l’intervistatore dispone di una traccia con una serie di argomenti o domande, per lo più
aperte alla quale fa riferimento per controllare o riproporre tematiche da approfondire. L’intervistato può rispondere
liberamente, la lista di domande può essere posta in un ordine diverso da quello stabilito, perché l’intervista seguirà
il corso indicato dall’intervistato, ed esiste la possibilità di sviluppare temi non inclusi nella traccia qualora
l’intervistatore ritenga che siano rilevanti.

- STRUTTURATA = presenta una serie di domande uguali per tutti gli intervistati con la stessa formulazione e nella
stessa sequenza, alle quali l’intervistato è lasciato libero di rispondere come crede. La traccia viene seguita in
modo rigoroso; quindi, perde in flessibilità ma guadagna in capacità di codifica delle risposte. Le domande sono
inizialmente chiuse e poi chiedono descrizioni.

Il tipo di intervista si sceglie in base agli obiettivi della ricerca, alle caratteristiche del fenomeno e alle motivazioni
organizzative.
Prima di condurre l’intervista:
• contattare soggetti: modalità appropriata
• ottenere consenso: spiegazione di obiettivi, chiarire domande
• negoziare un contratto: garantire l’anonimato

RELAZIONE INTERVISTATORE-INTERVISTATO:
• costruire una relazione, mettere a proprio agio
• ridurre l’asimmetria dettata di ruoli
• costruire una comunicazione positiva
• incoraggiare l’intervistato a esprimere liberamente il proprio pensiero
• assicurarsi che l’intervistato abbia ben compreso la domanda

ATTEGGIAMENTI DELL’INTERVISTATORE NELLA CONDUZIONE


• ascolto
• empatia
• pazienza
• memoria

DISTORSIONI DA PARTE DELL’INTERVISTATORE:


• caratteristiche socio demo
• errori di codifica dettati dalla poca attenzione oppure dalla trascrizione estemporanea all’intervista
• giudizio
• aspettative nei confronti dell’intervistato

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DISTORSIONI INTERVISTATO:
• non comprende la domanda
• scarsa collaborazione-evasione
• poca accuratezza nel ricordo
• risposta non attendibile

CHIUSURA:
• seguire il rituale della chiusura (esperienza soddisfacente, avvisare che si sta concludendo, ringraziare, chiedere se
si vuole aggiungere qualcosa, finire con un argomento meno stressante se il tema di indagine fosse stressante)
• cercare di non trasmettere la sensazione di fretta per completare l’intervista
• “Non ho altre domande. Ha qualcos’altro da aggiungere, o domande da fare prima di concludere l’intervista?”

Per una migliore conduzione dell’intervista e per un migliore rapporto con l’intervistato, è preferibile che l’intervistatore
non sia occupato a scrivere le risposte, con il rischio, oltre che di disturbare il rapporto, di non riuscire a riportare
esattamente ciò che l’intervistato ha dichiarato. Per questi motivi è consigliabile che l’intervista sia registrata, con il
consenso dell’intervistato. Non si deve iniziare l’intervista registrando senza chiedere l’autorizzazione al soggetto. Si
deve, invece, spiegare il perché della registrazione, assicurando la cancellazione del nastro una volta completata la
trascrizione del testo. La registrazione è audio, perché quella video serve solamente in casi particolari. La
registrazione audio di solito è accettata e dimenticata dall’intervistato dopo i primi momenti – a meno che lo stesso
intervistatore non si preoccupi continuamente del registratore. Per questa ragione è opportuno accertarsi,
possibilmente prima dell’inizio dell’intervista e dell’arrivo dell’intervistato, che l’apparecchio funzioni regolarmente. La
registrazione video può essere eventualmente utile quando l’intervista è collettiva e siamo interessati all’interazione tra
gli intervistati. In base al tipo di conduzione è possibile distinguere: intervista diretta o telefonica.

Misure con una media possibilità di controllo delle risposte: misure non verbali. Misure con basso o nullo controllo
delle risposte: misure fisiologiche, paradigmi sperimentali, stroop test, shoot test, strumenti di neuroscienze.

TEST delle ASSOCIAZIONI IMPLICITE (IAT) = strumento per studiare gli atteggiamenti e le opinioni implicite delle
persone. Molto utilizzato in psicologia, poi si è esteso in molti ambiti. Consiste in una serie di prove di
categorizzazione: in ognuna di essa sul monitor compare uno stimolo e al partecipante viene chiesto di classificarlo il
più velocemente possibile. Gli stimoli sono generalmente parole o immagini e appartengono a quattro diverse
categorie: due di queste rappresentano dei concetti, mentre le altre due rappresentano due attributi opposti bipolari.
Ogni volta che uno stimolo appare sul monitor, il rispondente lo deve ricondurre alla categoria di riferimento premendo
un tasto. Lo IAT registra i tempi con cui i partecipanti categorizzano gli stimoli positivi o negativi in
combinazione a stimoli dell’ingroup e dell’out-group. Generalmente si riscontra che le persone trovano più
semplice associare il loro gruppo (rispetto all’outgroup) con gli stimoli positivi e l’outgroup con gli stimoli negativi. La
logica sottostante allo IAT è questa: se nella rappresentazione cognitiva di una persona esiste una forte associazione
tra due categorie, allora il compito critico in cui queste sono associate nella risposta sarà più facile, rispetto al compito
in cui essi richiedono risposte diverse. Questa maggiore o minore facilità si manifesterà nella velocità e
nell’accuratezza della prestazione. Tanto maggiore è la facilità con cui le persone bianche associano le foto di persone
nere a concetti negativi, tanto maggiore è il grado di pregiudizio che esse hanno verso di loro. Le prove dello IAT sono
suddivise in 5 blocchi. Tre di questi permettono al rispondente di apprendere le modalità di risposta, mentre i restanti
due sono critici (sperimentali). Nei blocchi di apprendimento ai partecipanti vengono proposti stimoli che appartengono
a due delle quattro possibili categorie (nel secondo blocco di prove, per esempio, vengono presentate solo parole
positive e negative). Nei blocchi critici, invece, sul monitor vengono proposti stimoli di tutti e quattro i tipi.

STROOP TEST = consente di misurare il livello di interferenza generato dagli automatismi nella realizzazione di un
compito. Durante il test Stroop vengono eseguite in totale tre diverse attività, per mezzo di tre fogli in cui compaiono
cinque colonne di 20 elementi. Ciascuno dei compiti viene eseguito durante un certo tempo.

1. LETTURA DELLE PAROLE = innanzitutto, al soggetto viene assegnata una lista con i nomi di tre colori
(rosso, blu e verde) scritti in nero e gli viene chiesto di leggerli.

2. ATTIVITA’ DI IDENTIFICAZIONE DEL COLORE = il secondo compito è l'identificazione dei colori, in cui
all'osservato viene data una lista in cui i simboli appaiono senza significato colorato. Si chiede al soggetto di
identificare e nominare il colore di ciascuno degli elementi.

3. ATTIVITA’ DI INTERFERENZA = un elenco di parole con il nome dei colori precedentemente citati, ma questa
volta scritto con un colore diverso da quello a cui si riferisce la parola. Ad esempio, appare la parola blu scritta
in rosso. L'oggetto deve nominare il colore in cui ogni elemento è scritto

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È possibile calcolare il punteggio approssimativo stimato che un soggetto dovrebbe ottenere nel terzo test, dal
quoziente del prodotto delle parole lette nel primo test dal colore del secondo diviso per la sua somma. Se sottraiamo
dal punteggio effettivo ottenuto nel compito di interferenza il punteggio stimato, possiamo vedere se la persona
inibisce correttamente la risposta (valori maggiori di 0, positivi) o se ci sono problemi di interferenza significativi (se è
un valore negativo).

IL CAMPIONAMENTO
La validità di dati dipende dalla rappresentatività del campione rispetto alla popolazione che si intende studiare. Il
campione dovrebbe rappresentare bene la popolazione di riferimento. La selezione è casuale se:

1. Uguale probabilità di scelta: ogni membro della popolazione ha la stessa probabilità di essere scelto

2. Indipendenza della selezione: la selezione di ogni individuo è indipendente dalla selezione di ogni altro

CAMPIONAMENTO PROBABILISTICO:
• CASUALE SEMPLICE
• SISTEMATICO = fornisce un campione probabilistico ma non è un campione casuale, perché vìola le regole della
selezione casuale perché consiste nell’estrarre da una lista ogni ennesimo individuo. In tal modo, certi individui
hanno il 100% della probabilità di essere estratti e altri il 0%. Ha lo stesso valore del campionamento casuale se la
lista non ha nessuna struttura.
• STRATIFICATO = adatto per popolazioni non omogenee, cioè quando vi sono sottogruppi di una popolazione che
possono dare risposte considerevolmente diverse. Tratta la popolazione come due o più sottopopolazioni separate,
e crea un campione casuale separato per ciascuna.
• A GRUPPI = adatto quando la popolazione è molto grande; si suddivide la popolazione in un certo numero di
sottopopolazioni (gruppi), si sceglie poi casualmente un certo numero di gruppi, da cui infine si estrae casualmente
il campione.

CAMPIONAMENTO NON PROBABILISTICO: non abbiamo informazioni sul campione


• di CONVENIENZA = si includono le persone più facilmente reperibili
• a VALANGA = si parte dai più facilmente reperibili per allargare ai loro conoscenti
• a QUOTE = campione riflette la proporzione della categoria all’interno della popolazione (per es. 70% lavoratori
dipendenti e 30% autonomi)

Per determinare il numero dei soggetti (sample size) da utilizzare in un sondaggio può essere usato cosiddetta power
analysis.

Per ATTENDIBILITA’ di un test si intende la coerenza fra i punteggi rilevati con esso in due momenti successivi.
L’attendibilità può essere definita come una caratteristica psicometrica costituita di tre aspetti fondamentali:

- REPLICABILITA’/STABILITA’ = il grado in cui il test, in misurazioni ripetute nel tempo, è in grado di fornire lo
stesso risultato. Si misura tramite il coefficiente test-re test, un indice di correlazione lineare di Bravais-Pearson. Il
simbolo che rappresenta questo coefficiente è rtt, e può variare da -1 a +1. La stabilità di un test è soddisfacente
se supera il valore di 0,80. Nelle misurazioni psicologiche il semplice fatto di somministrare due volte lo stesso test
può portare ai cosiddetti EFFETTI D’ORDINE (soggetto apprende come si risponde, oppure avrà memorizzato gli
item). Altro problema delle misurazioni di stabilità di un test è determinato dalle misurazioni di variabili
particolarmente modificabili; se ad esempio misurassi la stabilità dell’umore in tempi diversi potrei ottenere
punteggi sensibilmente diversi non per l’instabilità dello strumento ma per l’instabilità della variabile.

- COERENZA INTERNA/OMOGENEITA’ = fa riferimento al grado in cui tutte le parti (tutti gli item) del test misurano
allo stesso modo la variabile misurata. Per poter misurare il grado di coerenza interna si utilizzano solitamente: il
metodo delle FORME PARALLELE (è spesso molto difficile costruire forme veramente parallele), il metodo della
DIVISIONE A META’ (split-half), dove la suddivisione è di solito fatta separando items pari e items dispari, oppure
dividendo la prima metà del test con la seconda metà del test; l’ALPHA di CRONBACH – basato sul calcolo delle
correlazioni tra tutti gli item di uno strumento, varia da 0 a 1 (elevati valori indicano che i soggetti esaminati
esprimono un atteggiamento coerente riguardo a ciascun item appartenente a ciascuna dimensione), valori alti di
attendibilità sono da considerarsi quelli maggiori di 0.70-. Quando si hanno item dicotomici, ovvero che hanno
solamente due alternative di risposta si utilizza la FORMULA DI KUDER-RICHARDSON.
- Oggettività = misura la proporzione di accordo tra valutatori rispetto allo stesso test; le formule utilizzate sono il k
di Cohen, il Q di Cochran e la correlazione lineare di Bravais-Pearson.
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Per VALIDITA’ di un test si intende la precisione con cui esso misura una determinata caratteristica psicologica. Il
nostro strumento (questionario, scala, osservazione) misura veramente la variabile che intende misurare e non
costrutti simili? Esistono quattro tipi di validità:

1. di CONTENUTO = fa riferimento al grado in cui gli item rappresentano adeguatamente la definizione del
costrutto

2. CONCORRENTE = permette di correlare il risultato al test da validare con un altro test precedente già valido
che misura la stessa caratteristica

3. PREDITTIVA = grado in cui il punteggio del test può essere utilizzato per formulare previsioni su
comportamenti futuri

4. del COSTRUTTO (CONCETTUALE/DISCRIMINANTE) = riguarda la precisione della definizione del


costrutto.
Ci permette di anticipare possibili relazioni con concetti diversi. Si calcola la correlazione tra il test che si vuole
validare ed altre misure che misurano costrutti diversi.

La VALIDITA’ DELLA RICERCA può essere:


• INTERNA = riguarda quanto ci possiamo fidare delle conclusioni tratte con la nostra ricerca (riguarda
l’esistenza o meno di una relazione causale tra variabile indipendente e quella dipendente). Permette di
essere sicuri che nient’altro che la variabile indipendente può influenzare la variabile dipendente. Per avere
una buona validità interna è necessario progettare la ricerca in modo da controllare tutte le altre variabili che
possono produrre un effetto sulla variabile dipendente = assegnare casualmente i soggetti alle diverse
condizioni sperimentali consente di controllare in parte questi effetti. Anche con l’assegnazione casuale, c’è
una remota possibilità che certe caratteristiche delle persone siano distribuite in modo ineguale tra le
condizioni sperimentali. Questa validità dipende dalla maturazione dei soggetti tra la prima e la seconda
osservazione (pre-test e post, effetto delle prove (il pre-test che stimola attenzione verso l’argomento),
deterioramento dello strumento di misura e mortalità (abbandono o perdita dei soggetti).
• ESTERNA = riguarda quanto queste conclusioni possono essere generalizzate ad altri luoghi e soggetti
(verifica se la relazione riscontrata in una particolare ricerca vale anche per persone diverse da quelle
esaminate). Dipende dal modo in cui viene scelto il campione. Questa viene aumentata quando si può
dimostrare che una determinata relazione (causale o non) può evidenziarsi in popolazioni diverse, con
strumenti diversi e in contesti diversi. Tale risultato può essere ottenuto: sia all’interno della stessa ricerca
con disegni complessi, sia con ricerche indipendenti, ciascuna delle quali introduce, rispetto alla prima,
variazioni o nei soggetti, o negli strumenti o nel contesto.

Le FONTI DI INVALIDITA’ sono di 2 tipi:


• LEGATE AL PARTECIPANTE = consapevolezza del partecipante di essere “osservato” – può cercare di
dare una buona impressione; EFFETTO DELLA MISURA = quando la stessa misurazione può provocare
una modificazione di ciò che viene misurato; tendenza a rispondere con uno stile sistematico, ad es.
scegliere le alternative più estreme ovvero quelle più neutre, tendenza a concordare.
• LEGATE AL RUOLO DEL RICERCATORE = ricercatore può influenzare, senza rendersene conto, le
risposte dei partecipanti: dipende dalle caratteristiche dell'intervistatore; i risultati rilevati possono dipendere
anche dalla capacità di osservazione del ricercatore e sono soggetti ad alcune sue caratteristiche.

METODO SPERIMENTALE
Si tratta dell’unico modo per rispondere a domande di ricerca sull’origine (o la causa) degli effetti. Il concetto cruciale
del disegno sperimentale è quello del controllo. Lo sperimentatore può controllare: la presentazione delle
condizioni ai soggetti (la manipolazione della variabile indipendente); la randomizzazione, ovvero l’assegnazione
dei soggetti alle condizioni in modo casuale; le condizioni del contesto.

Fasi:

1. la CREAZIONE di un CONTESTO nel quale introdurre la manipolazione della variabile indipendente =


scenario credibile nel quale collocare il trattamento è essenziale per ottenere la giusta collaborazione da parte
dei soggetti. Molto spesso ciò richiede l’inganno dei soggetti nel senso che ad essi viene presentata una vera
e propria “storia di copertura”. Il consenso deve essere informato.

2. la messa in opera della MANIPOLAZIONE della VARIABILE INDIPENDENTE = variabile indipendente è la v.


manipolata dal ricercatore, ed è quella che si presume essere la causa del cambiamento di un’altra variabile
(sinonimi: fattori, livelli, condizioni). La variabile dipendente è la v. misurata dal ricercatore per vedere se il

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cambiamento dipende dal livello (o dai valori) della variabile indipendente. Le modalità di manipolazione della
v. indipendente consistono nel creare una situazione nella quale soggetti vengono inseriti, utilizzare istruzioni
volte a produrre percezione di una situazione, emozioni, motivazione, presentare casi.

3. la misurazione della VARIABILE DIPENDENTE = deve essere coerentemente integrata nella storia di
copertura. Si deve evitare che i soggetti intuiscano quale è la vera variabile dipendente. La misura di variabile
dipendente è spesso inserita (nascosta) in una serie di altre misure giustificate.

4. la fase in cui ai soggetti vengono spiegate le vere finalità dell'esperimento (DEBRIEFING) = finalizzato ad una
funzione etica – l’eliminazione di tutti i possibili danni prodotti dall’esperimento (assicurarsi che i soggetti si
trovino in uno stato mentale positivo e sano), e una funzione educativa – spiegare gli obiettivi.

Esistono 2 tipi di esperimenti:

- di LABORATORIO = il ricercatore controlla la manipolazione della variabile indipendente, il contesto e può


assegnare casualmente i soggetti ai trattamenti (randomizzazione). Quando non sono soddisfatti i requisiti che
definiscono il vero esperimento, si parla di quasi-esperimento (pre-esperimento).

- sul CAMPO = il soggetto si trova nel contesto studiato per ragioni indipendenti dalla ricerca stessa, e il ricercatore
non può assegnare casualmente i soggetti ai trattamenti. Possiamo avere: esperimenti ad ALTO IMPATTO - i
soggetti partecipano direttamente ad un evento – ed esperimenti VALUTATIVI - i soggetti della ricerca osservano
e valutano eventi, che non accadono a loro.

In un vero esperimento lo sperimentatore ha un controllo completo sulla presentazione delle condizioni, sul contesto
e sull’assegnazione casuale dei soggetti alle condizioni (dal momento che la sua progettazione ha tenuto conto di tutti
i possibili fattori agenti sulla/e variabile/i analizzata/e). A differenza dei veri esperimenti, un quasi esperimento (pre-
esperimento) è un esperimento in cui lo sperimentatore non ha controllo completo sulle condizioni. Non c’è una
misura di come era la situazione precedente, non c’è prova che non sia intervenuto qualche altro fattore, per cui non
si può attribuire il cambiamento al trattamento.

I DISEGNI SPERIMENTALI FATTORIALI sono disegni in cui si vuole valutare nello stesso esperimento l’effetto di due
o più variabili indipendenti (o fattori). In un disegno fattoriale due o più variabili sono impiegate in modo che tutte le
possibili combinazioni dei valori selezionati di ciascuna variabile sono utilizzate. Per effetto principale si intende
l’effetto medio di una variabile in tutti i valori di un’altra variabile. Le conclusioni basate sugli effetti principali delle
variabili indipendenti possono essere fuorvianti e scorrette se non si tiene conto di eventuali effetti di interazione.
Inoltre, si dice che due variabili interagiscono se l’effetto di una variabile dipende dal livello dell’altra. Il
MODERATORE è una variabile che influenza la forma e l’intensità della relazione tra due variabili (per es. l’autostima
è importante solo per gli uomini nel determinare il risultato; quindi, il genere è un moderatore). È possibile avere
l’effetto di interazione anche in assenza di effetti principali in una o nessuna delle variabili indipendenti. I limiti di questi
disegni riguardano il fatto che a causa del moltiplicarsi delle condizioni sperimentali, sono estremamente dispendiosi
perché richiedono un alto numero di soggetti. Inoltre, i risultati delle interazioni tra i diversi fattori possono essere
difficili da interpretare.

Nei DISEGNI ENTRO I SOGGETTI tutti i soggetti sono sottoposti a tutte le condizioni sperimentali (la variabile
dipendente è misurata più volte). Il comportamento del soggetto in una condizione viene confrontato con il
comportamento dello stesso soggetto in un’altra condizione. Se i soggetti sono inizialmente uguali, qualsiasi
differenza trovata può essere attribuita alle differenze tra condizioni. È necessario controllare gli:

- EFFETTI dell’ORDINE = derivano dalla posizione ordinale delle condizioni nell’esperimento, ad esempio,
l’affaticamento, l’allenamento. Qualsiasi condizione venga applicata per prima si associa a una prestazione diversa
(superiore o inferiore, rispettivamente) rispetto alle condizioni successive (in quanto i soggetti o sono più freschi o
non hanno ancora sufficiente pratica del compito).

- EFFETTI della SEQUENZA = dipendono da interazioni tra le condizioni (per es., effetto di contrasto nella
valutazione successiva di pesi, oppure valutazione del cibo dolce vs. salato). Il CONTRO BILANCIAMENTO
INVERSO: per controllare l’ordine quando vi sono pochi soggetti e parecchie condizioni da applicare poche volte.

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Quando si decide se condurre un esperimento in laboratorio o sul campo, lo psicologo sociale deve valutare il
rapporto tra costi e benefici di un aumento della validità interna o esterna, ovvero se controllare la situazione
oppure essere sicuro che i propri risultati siano validi anche nella vita di tutti i giorni. Una soluzione consiste nel
separare i due momenti e, se i mezzi lo consentono, di effettuare prima una ricerca in laboratorio per verificare poi la
validità esterna sul campo.

Nel 1995 l’AIP ha formulato un CODICE ETICO relativo all’attività di ricerca e insegnamento della psicologia. Cinque
temi principali:

1. Benessere dei partecipanti: evitare di danneggiare i partecipanti

2. Inganno

3. Riservatezza o privacy delle informazioni

4. Consenso informato: libertà di abbandonare l’indagine

5. Debriefing

Deve essere richiesta un’approvazione alla commissione etica. Fasi di Ricerca =1. Scegliere l’argomento (esame della
letteratura) 2. Formulare delle ipotesi generali (formulazione delle teorie e sviluppo di un modello teorico) 3. Pianificare
il disegno 4. Raccolta dati 5. Analisi dei dati 6. Descrizione risultati 7. Comunicazione dei risultati. La stesura del
progetto di ricerca prevede un titolo, premesse e analisi della letteratura, obiettivo generale e specifici, partecipanti,
strumenti di misura e controllo di manipolazione.

Impressioni
In genere le prime informazioni hanno un ruolo centrale nella definizione dell'impressione fornendo uno sfondo
interpretativo e vengono memorizzate con più semplicità. La prima impressione è un PROCESSO IMMEDIATO e
INCOSCIO, quindi velocissimo e modificabile solo con uno sforzo volontario. È un meccanismo indispensabile
alla sopravvivenza dell’uomo, perché permette di agire più efficientemente. Noi basiamo le nostre impressioni
sull’aspetto fisico, familiarità, ambiente, comportamento verbale e non verbale, comportamento manifesto. Le
considerazioni sull’aspetto fisico si basano su stereotipi: ad esempio, gli individui con tratti più infantili (occhi tondi,
mento piccolo) vengono considerati più onesti ingenui e gentili. La simpatia nei confronti del partner di una serata è
predetta da attrattiva fisica più che da abilità sociali, intelligenza e personalità. Gli imputati più attraenti ricevono pene
lievi. I vantaggi derivati sul lavoro dall'avere un aspetto fisico attraente non sono così evidenti per le donne come lo
sono per gli uomini. La bellezza poteva essere uno svantaggio per le donne che aspiravano a un lavoro “maschile”. Le
persone tendono a sviluppare una risposta positiva verso altri che risultano familiari. La SIMILARITA’ di
atteggiamenti tra due individui è correlata positivamente al grado di attrazione reciproca: più aumentano gli
atteggiamenti in comune più aumenta l’attrazione tra gli interagenti. Ci possiamo formare l’impressione su qualcuno in
base all’ambiente, al contesto in cui vive, lavora, osservando gli spazi che le persone occupano, ma anche attraverso
i social networks. Basandosi sul comportamento può verificarsi un’inferenza corrispondente, ovvero i
comportamenti vengono associati a particolari tratti di personalità. Questi indizi frammentari e informazioni superficiali
permettono di fare inferenza attraverso:

- principio di SALIENZA = la salienza è la capacità di un indizio di attrarre l’attenzione all’interno del suo contesto;
quanto più degli eventi sono rari o inaspettati (inusuali) tanto più focalizzano la nostra attenzione e vengono
ricordati. Tante volte diamo più peso alle informazioni negative.

- principio di ACCESSIBILITA’ = fa riferimento alla facilità e alla rapidità con cui una rappresentazione viene
recuperata in memoria. Più un’informazione è accessibile più è probabile che tale informazione caratterizzi le
nostre impressioni, le nostre percezioni e i nostri comportamenti. Le associazioni possono essere fatte su base
semantica o valutativa.

- TEORIE IMPLICITE DI PERSONALITA’ = basate sull’esperienza personale e usate per comprendere il proprio
mondo. Sono delle credenze secondo le quali tratti di personalità si associano tra di loro e formano determinati tipi
di personalità, altri invece si combinano male. Ci permettono di andare al di là delle informazioni ricevute inferendo
l’esistenza di altre caratteristiche. In questo senso agiscono come schemi aiutando a sintetizzare l’informazione e

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ad andare oltre l’informazione data. Queste teorie sono largamente condivise nell’ambito di uno stesso contesto
storico-culturale e variano in funzione del contesto culturale.

HALO EFFECT = consiste nel generalizzare una sola caratteristica o qualità di un oggetto o di una persona,
ovvero, estendere il giudizio positivo relativo ad una caratteristica a tutto ciò che riguarda l’oggetto o la persona in
questione. Una tendenza a considerare che tratti positivi si accompagnino ad altri tratti positivi e che tratti negativi
sono associati ad altri tratti negativi.

PRIMING (INNESCO) = processo di attivazione di una rappresentazione mentale in modo da aumentare


l'accessibilità. Qualsiasi cosa che richiama un'idea alla mente – anche eventi irrilevanti, mere coincidenze – può
rendere accessibile e influenzare le nostre impressioni. Gli effetti di priming influenzano le interpretazioni successive
per almeno 24 ore. Essendo processi automatici sfuggono dal nostro controllo consapevole; solo in un secondo
momento è possibile rendersi conto di essere stati influenzati nell’esprimere le proprie interpretazioni.

Siamo particolarmente motivati a formarci impressioni accurate delle persone importanti per noi. Spesso la nostra
fonte di informazioni su qualcuno è una terza persona. Alcune ricerche hanno evidenziato la tendenza a commettere
alcuni errori:

- ERRORE DI PERSISTENZA = le prime impressioni plasmano l'interpretazione delle informazioni successive – i


loro effetti possono resistere anche quando si scopre che l'impressione iniziale era falsa.

- FALSO CONSENSO = sovrastima della diffusione di scelte o opinioni analoghe alle proprie; sottostima della
diffusione di scelte o opinioni diversi dai propri. Le possibili cause riguardano il bisogno di convalidare le nostre
scelte e le nostre azioni. Conosciamo opinioni di persone simili e, per l’euristica della disponibilità, le consideriamo
più frequenti. Formuliamo stime sulla base delle nostre opinioni se non conosciamo quelle degli altri.

- IGNORANZA PLURALISTICA = riteniamo di essere gli unici che hanno pensato, fatto o desiderato una
determinata cosa e che gli altri la pensano diversamente. Ognuno pensa che gli altri abbiano più informazioni sulla
situazione e quindi di fronte a un evento ambiguo le persone osservano il comportamento altrui per cercare di
interpretarlo correttamente senza considerare che anche gli altri fanno lo stesso. Ciò porta ad un’elevata probabilità
di inazione. L'ignoranza pluralistica può parzialmente spiegare l’EFFETTO SPETTATORE, ossia il fatto che le
persone sono più propense a intervenire in una situazione di emergenza quando sono sole. Siccome i soggetti
osservano le reazioni degli altri, anche in situazioni di emergenza possono concludere, dall'altrui inazione, che non
sia necessario intervenire.

- OMOGENEITA’ PERCEPITA DEL GRUPPO ESTERNO = persone all’interno di un gruppo si percepiscono diverse,
mentre percepiscono le persone fuori dal gruppo come tutte uguali.

Secondo ASCH, le IMPRESSIONI che si hanno su qualcuno sono INFLUENZATE dall’ORDINE in cui si RICEVONO
INFORMAZIONI. Sostiene l’esistenza dell’EFFETTO PRIMACY: le informazioni comunicate per prime hanno
un’influenza maggiore sulla cognizione sociale. Non solo restiamo ancorati alle prime impressioni ma queste
sollecitano una ricerca attiva delle conferme. Aveva utilizzato una procedura sperimentale che prevedeva la lettura di
una lista di aggettivi e in seguito formulare la propria impressione su una persona. È stato visto come l’informazione
che precede influenza il significato di quella che segue, come l’informazione centrale modifica il significato. Inoltre,
notò l’esistenza di un EFFETTO RECENCY: qualche volta le informazioni comunicate per ultime hanno un’influenza
maggiore sulla cognizione sociale. La situazione in cui si addotta questa strategia è quando non vi è interesse a
formarsi un'impressione; quindi, il giudizio è creato in base a ciò che si riesce a ricordare meglio. Altre volte quando vi
è una distanza di tempo tra le prime e le ultime informazioni ricevute, le ultime informazioni vengono ricordate meglio.

Secondo il MODELLO CONFIGURAZIONALE di Asch ogni tratto assume un significato diverso a seconda del
contesto in cui è inserito. Ogni tratto contribuisce a ridefinire il contesto, e si tende a completare le informazioni
mancanti. Ispirato alla psicologia della Gestalt: i dati in ingresso si influenzano l'uno con l'altro e vengono privilegiati i
processi cognitivi coinvolti che definiscono un’IMPRESSIONE OLISTICA, in cui il totale è maggiore della somma delle
parti. Secondo il MODELLO ALGEBRICO di ANDERSON la PERCEZIONE di un individuo è data dalla somma del
valore associato ai tratti che attribuiamo ad esso. Prevede che non vi sia un’unica modalità di analisi delle
informazioni disponibili per formulare un’impressione sulle persone. La valutazione viene costruita a seconda della
motivazione all’accuratezza e della quantità di risorse di elaborazione disponibili. Secondo il MODELLO DEL
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CONTINUUM di FISKE e NEUBERG il processo di formazione di impressione di personalità è descritto come
una sequenza di fasi. La persona che incontriamo viene categorizzata in modo automatico sulla base di tratti
percettivi evidenti. Se si tratta di un contatto occasionale il processo si arresta e ciò che otteniamo è un'impressione
superficiale basata sui nostri schemi/stereotipi. Se invece questa persona ha in qualche modo suscitato il nostro
interesse si attiva il processo di elaborazione cognitiva. L’ELABORAZIONE SISTEMATICA si ha quando possiamo
riflettere a fondo e tenere conto di più informazioni. Dipende da 2 dimensioni:
1) la MOTIVAZIONE = solo quando le persone hanno una qualche ragione per formarsi un'impressione più
accurata o più complessa si sforzeranno di andare oltre l'elaborazione superficiale
2) la CAPACITA’ DI UN’ELABORAZIONE APPROFONDITA = avere tempo necessario per riflettere, essere liberi
da distrazioni.

METODO CONFIGURAZIONALE =SFORZO RIDOTTO METODO ALGEBRICO =SFORZO ELEVATO

La ricerca di Amy CUDDY e co. mostra che in realtà sono i livelli di FIDUCIA a determinare il nostro giudizio su una
persona, piuttosto che la COMPETENZA percepita.

Attribuzioni causali
Si tende ad attribuire le CAUSE di un comportamento alle caratteristiche di una persona, senza pensare di poter
trovare un fattore esterno.

TEORIA DI ATTRIBUZIONE (HEIDER) Propone

una DISTINZIONE tra:

- cause INTERNE (attribuzione interna): permanenti (disposizioni, tratti di personalità, abilità, intelligenza...) o
temporanee (stato di salute, umore, motivazione, stress...)

- cause ESTERNE (attribuzione esterna o situazionale): permanenti (norme sociali, caratteristiche del contesto) o
temporanee (pressione del tempo, meteo)

Le persone privilegiano le spiegazioni del comportamento altrui in termini di caratteristiche interne/disposizionali


(capacità, motivazione, tratti di personalità). Tali spiegazioni sono economiche, semplici.

- EGOCENTRISMO: l’attribuzione è coerente con i desideri, i valori, e l'immagine di chi la formula

- PLAUSIBILITA’: l’attribuzione deve essere accettabile per gli altri


◼ MODELLO DELL’INTERFERENZA CORRISPONDENTE (JONES e DAVIS)
Propongono un’analisi teorica delle attribuzioni, il cui scopo è quello di compiere inferenze corrispondenti tra i
comportamenti delle persone e le disposizioni interne/tratti stabili. Innanzitutto, occorre capire l’intenzionalità,
tenendo conto:

• Libertà di scelta =comportamento messo in atto deliberatamente o a causa di pressioni esterne

• Aspettative di ruolo =azioni prescritte in funzione del ruolo ricoperto

• Desiderabilità sociale =comportamento valutato positivamente dagli altri

• Effetti non in comune =quali sono gli aspetti che differenziano le situazioni

◼ MODELLO DELLA COVARIAZIONE (KELLEY)


Le persone si interrogano se il comportamento di un individuo è causato da una DISPOSIZIONE INTERNA o da
FATTORI SITUAZIONALI ESTERNI. Le persone assegnano la causa del comportamento al fattore che covaria più
sistematicamente con il comportamento, a seconda della situazione, della persona e del target/stimolo/bersaglio. Ogni
comportamento viene valutato su 3 dimensioni:

23
- CONSENSO: tendenza di altre persone a dare luogo alla stessa azione nei confronti della particolare entità-stimolo
(altre persone mostrano lo stesso comportamento)

- CONSISTENZA/COERENZA TEMPORALE: tendenza della persona osservata a dare luogo alla stessa azione nei
confronti della particolare entità-stimolo anche in occasioni temporali diverse (l’attore si comporta così spesso con
lo specifico target)

- SPECIFICITA’/DISTINTIVITA’: l'effetto si produce solo nei confronti della particolare entità-stimolo


In presenza di alta specificità, alta coerenza ed alto consenso, l’attribuzione causale risulta a carico del docente
(attribuzione. esterna). Invece, in condizioni di bassa specificità, alta coerenza e basso consenso, l’attribuzione risulta
a carico dello studente (attribuzione interna). Esempio: perché non capisco la lezione del docente X? = COERENZA
TEMPORALE e nelle
MODALITA’ = il fatto di non capire la lezione del docente X è limitato a questa mattina? O è sempre così?
SPECIFICITA’ = il fatto di non capire la lezione è legato al docente X oppure si verifica anche con altri docenti?
CONSENSO = anche gli altri studenti non capiscono la lezione del docente X?

Il modello di Kelly suppone che le persone abbiano a disposizione tutte le informazioni necessarie per valutare
l’evento sulle tre dimensioni. Non sempre però le persone dispongono di tali informazioni. Il modello è eccessivamente
complesso per le energie cognitive del soggetto; richiede troppe informazioni.

MODELLO DI WEINER
Fornisce una modalità di analisi su come vengono valutate le spiegazioni che le persone forniscono nei casi di
successo e fallimento, basandosi su tre specifiche dimensioni:

- LOCUS DELL’ATTRIBUZIONE (interno vs. esterno)

- STABILITA’ (stabile vs. instabile)

- CONTROLLABILITA’ (controllabile vs. incontrollabile)


L’autore distingue tra persone con locus INTERNO, le quali tendono a fare attribuzioni interne, e locus ESTERNO, le
quali tendono a fare attribuzioni esterne per spiegare le cause dei comportamenti. L’attribuzione causale lungo queste
tre dimensioni può produrre effetti sia emotivi che cognitivi, associati all’autostima:

- ORGOGLIO quando l’attribuzione del successo è di tipo interno stabile (controllabile o non), intelligenza o impegno
stabile

- SENSO DI COLPA quando i risultati dell’insuccesso sono considerati facilmente evitabili (impegno insufficiente)

- SENSO DI INCAPACITA’ o rassegnazione se un insuccesso è attribuito a fattori interni stabili e non controllabili
(scarse capacità, intelligenza)

- BASSA AUTOSTIMA, sistematica spiegazione dei propri insuccessi in termini di cause interne, stabili e non
controllabili
TEORIA DELL’AUTOPERCEZIONE (BEM)
Secondo la teoria di Bem, aumentiamo la conoscenza di noi stessi facendo auto-attribuzioni; capiamo chi siamo
osservando il nostro comportamento. Le nostre emozioni sono costituite da 2 componenti distinte:
• ATTIVAZIONE FISIOLOGICA
• COGNIZIONI che usiamo per etichettare tale stato di attivazione come emozione, come paura o agitazione

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STIMOLO IMMEDIATO =RISPOSTA CORPOREA =VALUTAZIONE CONTESTO =EMOZIONE SOGGETTIVA

TENDENZE SISTEMATICHE NEL PROCESSO DI ATTRIBUZIONE


Le persone, di solito, fanno attribuzioni in modo rapido, utilizzando poche informazioni e mostrando delle evidenti
tendenze a servirsi di certi tipi di spiegazioni piuttosto che di altri. Le persone, quindi, spesso commettono degli
ERRORI/BIAS DI
ATTRIBUZIONI.

1. ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE =tendenza a SOPRAVVALUTARE le CAUSE


PERSONALI RISPETTO a quelle AMBIENTALI. Le persone tendono ad attribuire le cause del
comportamento a caratteristiche interiori dell’attore piuttosto che a variabili situazionali. Quando si ha una
motivazione specifica a raccogliere informazioni su una situazione, l’errore di corrispondenza si riduce.
L'errore fondamentale non è universale e non è determinato dalla natura umana. Esistono delle
DIFFERENZE CULTURALI nell’errore fondamentale: nelle culture occidentali l’individuo è ritenuto
responsabile delle proprie azioni; nelle culture orientali l’individuo è visto come interdipendente dal contesto e
dal gruppo. Nick Haslam ha evidenziato che, in alcune situazioni, l’errore fondamentale di
attribuzione può assumere una forma estrema definita ESSENZIALISMO: tendenza pervasiva a ritenere che il
comportamento rifletta caratteristiche di fondo e immutabili, spesso innate, delle persone o dei gruppi a cui
appartengono. L’essenzialismo è problematico soprattutto quando porta le persone ad attribuire gli stereotipi
negativi riguardanti un outgroup a qualità essenziali e immutabili della personalità dei suoi membri.

2. EFFETTO ATTORE-OSSERVATORE =le persone tendono a spiegare i propri comportamenti (negativi) facendo
riferimento a cause o a fattori situazionali, mentre i comportamenti degli altri vengono attribuiti a cause
interne. Le cause di questo effetto sono diverse:
- CENTRO DELL’ATTENZIONE = quando osserviamo gli altri, la nostra attenzione è maggiormente attirata
dagli attori in campo, ma quando osserviamo noi stessi il contesto è percettivamente più saliente, ovvero
l’attenzione non è rivolta a noi stessi ma all’ambiente (tendiamo a non guardarci)
- ASIMMETRIA DELL’INFORMAZIONE = abbiamo una conoscenza maggiore del nostro comportamento e
quindi sappiamo che è influenzato da fattori situazionali, dato che ci comportiamo in modi differenti a
seconda del contesto.

3. BIAS DI AUTOCOMPIACIMENTO =tendenza ad attribuire i propri successi a cause interne e gli


insuccessi a cause esterne. Esiste una SPIEGAZIONE MOTIVAZIONALE: le persone sono motivate a
difendere la propria autostima e a considerare sé stesse positivamente. Quando le persone prevedono di
fallire mettono in atto STRATEGIE AUTOLESIVE, ovvero fanno attribuzioni a fattori esterni esprimendole in
anticipo rispetto al fallimento imminente. Un’altra caratteristica di questo bias è la CREDENZA IN UN MONDO
GIUSTO e prevedibile dove le cose positive capitano alle persone buone e le cose negative alle persone
cattive. Siamo stimolati a vedere un mondo giusto perché questo riduce la nostra percezione delle minacce,
conferendo un senso di sicurezza, aiutandoci a trovare il significato in circostanze difficili. Sfortunatamente,
l'ipotesi del mondo giusto si associa anche alla tendenza delle persone ad accusare le vittime degli abusi e
delle violenze sessuali. Inoltre, esiste anche un’illusione di controllo, ovvero una credenza secondo cui
abbiamo più controllo sul nostro mondo di quanto sia vero. Questo modello di attribuzione fa apparire il
mondo un luogo controllabile e sicuro nel quale ci creiamo in modo autonomo il nostro destino.

4. ERRORE ULTIMO DI ATTRIBUZIONE =tendenza ad attribuire a fattori interni i comportamenti negativi di un


outgroup e quelli positivi di un ingroup e ad attribuire a fattori esterni i comportamenti positivi di un outgroup e
quelli negativi di un ingroup. I nostri giudizi sono sbilanciati in favore del gruppo a cui apparteniamo. Tendenza
ad attribuire il successo di un membro del proprio gruppo a fattori interni e stabili, mentre il successo di un
membro dell’outgroup tende ad essere attribuito a fattori di tipo esterno e instabile. Parimenti, l’insuccesso di
un membro dell’ingroup viene di preferenza attribuito a fattori esterni e instabili, mentre quello di un membro
dell’outgroup a fattori interni stabili.

Le RAPPRESENTAZIONI SOCIALI sono frutto di credenze socialmente condivise, idee e valori ampiamente diffusi
nel nostro sistema culturale. Aiutano a dare un senso al mondo, all’ambiente che ci circonda. Il primo autore che
utilizza questo concetto è Serge Moscovici (1989) definendo le rappresentazioni sociali come una serie di concetti,
asserti e spiegazioni che nascono nella vita di tutti i giorni, attraverso le comunicazioni interpersonali. I diversi
membri di un gruppo condividono delle conoscenze comuni sull'oggetto a cui si riferiscono nel corso delle
conversazioni. Quindi, siamo consapevoli come la pensa la maggioranza delle persone del nostro gruppo a riguardo
qualcosa e utilizziamo questo come una rappresentazione valida.

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Le TEORIE DELLA COSPIRAZIONE sono teorie causali astruse, che attribuiscono disastri naturali e sociali ad attività
intenzionali e organizzate da parte di specifici gruppi sociali, dipinti come organizzazioni di cospiratori che hanno
l’obiettivo di rovinare e quindi dominare il resto dell’umanità.

Self- concept
Il concetto di Sé include tutto ciò che possiamo considerare come proprio. Ciò che pensiamo di noi stessi e come ci
sentiamo rispetto noi stessi influenza tutti gli aspetti della nostra vita. Conoscere noi stessi ci aiuta a scegliere gli
obiettivi ragionevoli e a evitare situazioni che potrebbero renderci infelici. Nella descrizione di noi stessi possiamo
usare varie caratteristiche: descrizioni fisiche, sociali, in termini di stati o caratteristiche psicologiche o fisiologiche e
descrizioni globali e vaghe che non consentono una differenziazione da altre persone. Autori diversi hanno utilizzato
termini diversi per indicare l’insieme delle conoscenze che le persone hanno circa loro stesse:

- CONCETTO di Sé (self-concept)

- SCHEMA di Sé (self-schema)

- IMMAGINE di Sé (self-image)

- IDENTITA’ PERSONALE E SOCIALE (personal and social identity) =TAJFEL e TURNER sostengono l’identità
personale come il sé definito in base ad attributi personali peculiari o a peculiari relazioni interpersonali; identità
sociale come quella parte del concetto di sé che deriva dalla nostra appartenenza ai gruppi sociali

Il sé presenta due componenti il concetto di sé, cioè quello che sappiamo su noi stessi, e l’autostima, ovvero come
ci sentiamo rispetto a noi stessi, e comprende diverse forme:

• il sé INDIVIDUALE, basato su tratti personali che differenziano il sé dagli altri;

• il sé RELAZIONALE, basato su collegamenti e relazioni di ruolo con altre persone significative;

• il sé COLLETTIVO, basato sull’appartenenza a gruppi che differenziano “noi” da “loro”.

La CONSAPEVOLEZZA DI SE’ indica uno stato in cui si è coscienti di sé come di un oggetto, proprio come si
potrebbe essere consapevoli di un albero o di un’altra persona. 2 tipi di AUTOCONSAPEVOLEZZA:

- PRIVATA (sé privato) =intorno ai 18 mesi di vita si verifica una crescita rapida delle cellule fusiformi (corteccia
cingolata anteriore) che regola il comportamento intenzionale. Può indurre l’intensificazione degli stati affettivi, ad
una maggiore chiarezza della conoscenza di sé (vedere in sé stessi determinate caratteristiche importanti può
migliorare la fiducia in sé, la perseveranza, l'impegno e anche la performance effettiva nello svolgere il compito), e
ad una maggiore aderenza a standard personali e sociali di comportamento.

- PUBBLICA (sé pubblico) =può indurre preoccupazione per la valutazione (accountability), ansia e perdita
temporanea dell’autostima, maggiore aderenza agli standard sociali di comportamento.

Il contrario dell’autoconsapevolezza privata è lo stato di ridotta autoconsapevolezza. Questo può succedere attraverso
l’assunzione di sostanze o nei gruppi. La riduzione dell’autoconsapevolezza è stata identificata anche come una
componente chiave della deindividuazione: processo attraverso cui le persone perdono il senso della propria identità
individuale in un gruppo e assumono comportamenti asociali oppure antisociali.

La GESTIONE DELL’IMPRESSIONE consiste nell’importanza per le persone di trasmettere agli altri una buona
impressione di sé. Questo processo rappresenta una componente normale del comportamento sociale che ha luogo
sia consapevolmente sia in maniera automatica. Nell’automonitoraggio esistono differenze individuali e legate al
contesto (alto vs. basso self-monitoring):

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- ALTO self-monitoring = le persone modificano il proprio comportamento in modo da dare agli altri l'impressione
che essi ritengono sia quella richiesta dal pubblico.

- BASSO self-monitoring = le persone si comportano in maniera coerente nelle diverse situazioni.


Il concetto di Sé è frutto di un processo di costruzione (interazione – integrazione) di esperienze passate e presenti,
vissute in diversi ruoli e contesti che si realizza nel corso di tutta l’esistenza. Il concetto di sé è, inoltre, influenzato
dalla cultura.
L’AUTORIFLESSIONE consiste nel guardarsi dentro, focalizzare attenzione su sé stessi. Questo processo non è
sempre facile ed è soggetto a varie distorsioni: bias di attribuzione, dove i comportamenti negativi vengono attribuiti
alle circostanze e quelli positivi ai propri tratti.

Secondo la TEORIA DELL’AUTOCONSAPEVOLEZZA OGGETTIVA le persone sono a volte riluttanti


all’introspezione; soprattutto quando questa percezione di noi stessi non è soddisfacente sperimentiamo un disagio
dovuto alla sensazione di inadeguatezza. L’obiettivo principale diventa quello di ridurre lo stato di disagio. Una
strategia semplice è quella di evitare gli stimoli che portano all’autoconsapevolezza. Alcuni indizi per il concetto di sé
provengono dagli altri: famiglia, lavoro, comunità. Nel 1902 Charles H. Cooley ha introdotto il concetto di looking-
glass self o sé rispecchiato o riflesso: le persone vedono sé stesse nel modo in cui pensano che gli altri le vedono.

Secondo la TEORIA DELL’AUTOPERCEZIONE le persone ricavano molte informazioni su di sé sulla base


dell’osservazione del proprio comportamento, soprattutto quando non hanno una percezione precisa di chi sono in un
particolare aspetto. Quando abbiamo già una autoconsapevolezza diventa meno probabile fare delle inferenze a
partire dai propri comportamenti per decidere chi siamo. Questa teoria può spiegare il modo in cui le persone arrivano
a conoscere le proprie motivazioni, le quali possono essere: intrinseche (per il piacere che una persona prova nello
svolgere un’attività) ed estrinseche (calore strumentale che una data attività svolge rispetto ad altri compiti per le
persone ritenute importanti).

EFFETTO IPERGIUSTIFICAZIONE = l’introduzione di ricompense può avere un effetto contrario a quello sperato,
riducendo la motivazione intrinseca

Il senso del sé (self-concept) si forma secondo molti autori da un processo di confronto. Possiamo fare due tipi di
confronto:

- Confronto con sé (per es., come siamo e come vorremmo essere) =teoria dell’autoregolazione e teoria della
discrepanza di sé

- Confronto con gli altri individui e gruppi =teoria del confronto sociale e teoria del mantenimento dell’autovalutazione
del sé / teoria dell’identità sociale e teoria della categorizzazione del sé 7

TEORIA DEL CONFRONTO SOCIALE


Le persone confrontano le proprie abilità ed opinioni con quelle degli altri. Il confronto sociale con altre persone può
essere: confronto sociale verso l’ALTO (quando si vuole raggiungere le mete più elevate), o confronto sociale verso
il BASSO (quando si vuole innalzare l’autostima). Mussweiler sostiene che se ci confrontiamo con i casi estremi
(verso l'alto o verso il basso) otteniamo una visione distorta di noi (effetto di contrasto) (per es. se giochiamo a
scacchi, confrontarsi con uno dei migliori giocatori degli scacchi o con un principiante).

GLORIA RIFLESSA = se un nostro parente, amico, o gruppo di riferimento hanno successo, il semplice fatto di
conoscerlo ci fa sentire orgogliosi, facendoci brillare di luce riflessa. Questa strategia non viene impegnata sempre,
ma solo se la dimensione in oggetto conta poco per noi.

TEORIA DEL MANTENIMENTO DELL’AUTOSTIMA


Quando qualcuno importante per noi ha avuto un risultato migliore può minacciare la nostra autostima: se l’attività
/settore è importante anche per noi, o se siamo incerti delle nostre capacità. Le persone usano varie strategie per
preservare l’autostima, come esagerare l'abilità della persona che ha ottenuto un risultato superiore al nostro,
modificare il grado di importanza dell’area, cambiare la dimensione di confronto (teoria dell’autoaffermazione –
enfatizzare la competenza in un altro ambito) e prendere le distanze dalla persona.

27
SCHEMI DI SE’
Essi sono generalizzazioni circa le caratteristiche del sé. Riguardano il modo di percepire sé stessi attraverso le
valutazioni di carattere generale. I diversi schemi di Sé non sono sempre tutti contemporaneamente attivi: in ogni
situazione la persona è consapevole solo di una ridotta porzione di tali conoscenze che viene definita:

- Sé FENOMENICO (Jones e Gerard, 1967): il sé di cui uno è consapevole; il se sentito.

- Sé OPERATIVO (Markus e Kunda, 1986): la parte del sé attivata in un dato momento.

- SELF COMPLEXITY (Patricia Linville, 1985, 1987) =è la conoscenza di sé stessi da parte di una persona, basata
su vari aspetti del sé che uno crede di possedere. Questi aspetti del sé possono includere i nostri ruoli, relazioni,
attività, tratti di personalità, e obiettivi vari. La teoria suggerisce che gli individui con un self-complesso (che
possiedono il maggior numero di distinti aspetti del sé) saranno meno vulnerabili nelle situazioni in cui viene
minacciato un aspetto.

- Sé DINAMICO (Dynamic self; Markus & Wurf, 1987)


Questo tipo di organizzazione spiega il fatto che in situazioni diverse le persone possano descriversi in modi diversi.

TEORIA DELLA DISCREPANZA DEL SE’ (HIGGINS)


Importanti schemi di sé includono:
• Sé REALE (come sono)
• Sé DOVUTO-NORMATIVO (come dovrei essere)
• Sé IDEALE (come vorrei essere)

Gli ultimi 2 sono le guide del sé reale. Se si verifica una discrepanza tra questi si genera un DISAGIO:

- DISCREPANZA sé REALE-IDEALE = emozioni di tipo negativo associate a bassi livelli di attivazione come
tristezza e depressione

- DISCREPANZA sé REALE-DOVUTO = emozioni negative caratterizzate da elevata attivazione quali ansia,


preoccupazione e senso di colpa

TEORIA DEL FOCUS REGOLATORE Le persone usano strategie di regolazione del sé per mezzo di un
sistema/focus di promozione o un sistema di prevenzione.

FOCUS di PROMOZIONE (promotion focus): la regolazione del sé è guidata soprattutto dal sé ideale
(aspirazioni). Le persone sono interessate a migliorare la propria situazione e quindi cercano le opportunità
per realizzare i propri obiettivi (mete desiderate). Quando riescono a realizzarli si sentono felici, mentre si
sentono tristi quando falliscono (per es. studio per avere successo e voti alti.)

FOCUS di PREVENZIONE (prevention focus): la regolazione del sé è guidata principalmente dai doveri e
obblighi. Le persone vogliono prevenire che la loro situazione peggiori e perciò cercano ad evitare esiti
negativi (danni). Quando riescono ad evitare tali esiti negativi, queste persone si sentono sollevate, mentre
sono ansiose quando falliscono (studio per non essere bocciato).

3 sono i motivi principali alla base del nostro concetto di sé:

• Il bisogno di AUTO ACCRESCIMENTO (per dare una buona impressione; self-enhancement motive)
=motivazione a sviluppare e a promuovere e mantenere un’immagine positiva di sé

• Il bisogno di STABILITA’/COERENZA (consistency motive o self-verification motive)

• Il bisogno di ACCURATEZZA e AUTOVALUTAZIONE- ci valutiamo per scoprire che tipo di persone siamo
(appraisal motive)

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AUTOSTIMA
Secondo BATTISTELLI l’autostima riguarda l’insieme di GIUDIZI VALUTATIVI che l’individuo dà di sé stesso; per
Rosenberg riguarda il modo in cui ci si sente riguardo se stessi. Il bisogno di una visione positiva di sé o di autostima
sembra essere radicato in ognuno di noi. L’autostima non è una qualità innata, né ereditaria. Dipende dal contesto
educativo, dal modo in cui gli insegnanti sanno promuovere le capacità del bambino e lo aiutano ad accettare le sue
differenze dagli altri. Ci accompagna in ogni fase della vita, una responsabilità che si rinnova ad ogni sfida
professionale e personale, e può evolversi positivamente o negativamente, a seconda di quanto apprendiamo a
respingere i pensieri negativi, ad affrontare crisi transitorie e a cambiare ogni volta che è necessario, anziché
persistere su ruoli, relazioni, situazioni frustranti. L’autostima è strettamente connessa anche all’IDENTITA’
SOCIALE: grazie all’identificazione con un gruppo, il prestigio e lo status sociale di quel medesimo gruppo si
incardinano nel concetto di sé di un individuo. Lo sviluppo dell’autostima sembra dipendere, almeno in parte, dallo
STILE GENITORIALE:
- genitore esigente/autoritario (dominante, impone regole);
- genitore permissivo (responsivo, affettuoso e solidale, ma non impone regole),
- genitore autorevole (responsivo, affettuoso e solidale e impone regole).

Nella formazione di un primo nucleo dell’autostima può essere fondamentale il modo in cui i genitori hanno
valorizzato, protetto, rassicurato il bambino convalidando i suoi successi e confortandolo nei fallimenti. I bambini
cresciuti in un clima incoraggiante, in cui la quantità e la qualità dell’amore ricevuto non sia funzione esclusiva della
sottomissione alle regole e aspettative familiari, partono avvantaggiati nella costruzione di un sé positivo e resiliente
AUTOSTIMA • BASSA = può portare al crimine, delinquenza, tossicodipendenza, gravidanze indesiderate e
scardi risultati a scuola;
• ALTA = può portare ad episodi di violenza quando viene minacciata l’immagine idealizzata di sé.
Le minacce al sé suscitano varie emozioni negative. Inoltre, possono influenzare anche le condizioni di salute fisica.
Le persone con alta autostima possiedono una “Teoria di Sé” stabile e positiva; pertanto, riescono a proteggersi
meglio dalle implicazioni negative degli eventi quotidiani interpretandoli in modo positivo. Un’autostima estremamente
elevata ha come conseguenza lo sviluppo di narcisismo: un disturbo di personalità che porta le persone a ritenersi
superiori agli altri, e allo stesso tempo avere un’autostima molto instabile (reazioni esagerate alle critiche).

TEORIA DI AUTOAFFERMAZIONE
Quando l’autostima è minacciata in un dominio, le persone possono:
- affermare la propria competenza o il valore in un altro dominio o con un’altra caratteristica (per es., Io sono molto più
socievole, popolare, felice…).
- scegliere le attività e situazioni in cui c’è una certa probabilità di avere successo (importante anche abbandonare
quelle che ci rendono infelici)
- soffermarsi sui feedback positivi, dedicando poca attenzione a quelli negativi (le persone con alta auto-stima
ricordano meglio i loro successi che insuccessi).
- concentrarsi/riflettere sugli aspetti positivi di sé stessi, affermandoli pubblicamente
- prendere la consapevolezza dei propri valori

Esistono diverse STRATEGIE DI AUTO ACCRESCIMENTO dell’autostima. Le persone con ALTA autostima
utilizzano una strategia che aiuta a massimizzare i guadagni, ovvero si prefissano obiettivi elevati (realistici) e si
aspettano di raggiungerli (focus di promozione). Le persone con autostima BASSA cercano di evitare gli insuccessi
(il rischio di fallire ed essere umiliati) e scelgono obiettivi più facili (hanno paura di non riuscire a raggiungere gli
obiettivi; focus di prevenzione). Un’altra strategia consiste nel confrontarsi con soggetti aventi abilità inferiori alle
proprie. Tuttavia, il confronto verso il basso sembra essere una strategia utile solo per le persone con autostima
bassa ma non per quelle con autostima elevata. Nell'interpretare gli esiti delle proprie azioni, le persone tendono ad
ATTRIBUIRE I SUCCESSI ALLE ABILITA’ PERSONALI (bias egocentrico) e i FALLIMENTI A FATTORI ESTERNI
quali la sfortuna (bias autoprotettivo/self-protecting bias). Inoltre, le persone possono attribuire a tratti ambigui un
significato che permetterebbe loro di mettere in risalto alcune caratteristiche positive. Le STRATEGIE
AUTOLESIVE (di auto sabotaggio) permettono di avere una giustificazione per un eventuale fallimento (scuse
preconfezionate), di presentare ragioni per il fallimento prima ancora che si verifichi (per es. come quando prima di un
esame ci si lamenta di una stanchezza o stato di salute), e di fare attribuzioni a fattori esterni in maniera anticipata
circa un possibile proprio fallimento in un evento imminente. Altre strategie consistono nell’elaborare la minaccia
all’autostima usando forme di espressione, come per esempio scrivere o parlare di sentimenti provocati, o nel fare
amicizia e prendersi cura degli altri. Sandra Murrey e i suoi colleghi hanno studiato le strategie che persone con
diversi livelli di autostima adottano in ambito dei
RAPPORTI AFFETTIVI. Le persone con alta autostima, quando si sentono vulnerabili per vari motivi (es. risultato
negativo sul lavoro) si rifugiano nel privato cercando sicurezza nella vita di coppia, ritenendo che il partner li consideri

29
positivamente. Invece le persone con bassa autostima assumono un atteggiamento di autodifesa per proteggersi da
ulteriori esperienze negative, iniziando a vedere il partner in modo negativo perché convinte che lui abbia perso
interesse nei loro confronti. Così rischiano di produrre il risultato temuto: prendono le distanze dal partner e rischiano
di farlo allontanare (profezia che si autoavvera).

Per AUTOEFFICACIA si intende il giudizio relativo alla propria capacità di organizzare ed eseguire un corso di azioni
adeguato a raggiungere livelli di prestazione prefissati in un contesto specifico.

TEORIA DELL’IMPOTENZA APPRESA


L’impotenza appresa si riferisce alla situazione in cui apprendiamo che non può essere fatto nulla per controllare o
migliorare una data situazione, per cui tendiamo a non provarci nemmeno. Alcune persone possono sembrare
bloccate nei loro problemi e nelle loro situazioni negative, e non cercano una soluzione.

TEORIA DELL’AUTOCONTROLLO
L'autocontrollo è la capacità di regolare le emozioni, i pensieri e comportamenti di fronte alle tentazioni e impulsi, ed
anche un processo cognitivo che è necessario per regolamentare il proprio comportamento al fine di raggiungere
specifici obiettivi. Il TEST DEL MARSHMALLOW (MISCHEL) è un curioso esperimento, realizzato per la prima volta
negli anni Sessanta all’Università di Stanford. Un bambino viene lasciato da solo in una stanza davanti a un
marshmallow: può scegliere se mangiarlo subito oppure attendere 15 minuti e averne in premio ben due. I risultati
dimostrano che chi ha saputo aspettare ha raggiunto molti più traguardi. Le basi cerebrali dell’autocontrollo riguardano
la corteccia prefrontale ventromediale, il correlato fisiologico riguarda la concentrazione di glucosio nel cervello.
L’EGO DEPLETION si riferisce all’esaurimento della capacità di autocontrollo. È possibile potenziare l’autocontrollo
attraverso strategie di regolazione dello stress, tra cui la MEDITAZIONE, che consiste nel porre attenzione a quello
che accade nel proprio corpo e intorno a sé, momento per momento, ascoltando accuratamente la propria esperienza,
e osservandola per quello che è, senza valutarla o criticarla, e la MINDFULNESS, che può essere definita come la
capacità di portare l’attenzione, intenzionalmente, al momento presente e in modo non giudicante.

TEORIA DELLA VERIFICA DEL SE’


La gente cerca conferma alle proprie credenze anche nel caso in cui queste siano negative. Quando soggetti con una
visione di sé negativa ricevono un feedback positivo, possono sentire due bisogni opposti: sentirsi a posto con sé
stessi credendo nel feedback positivo, oppure preservare una visione stabile e coerente di sé stessi (in genere,
scelgono quest’ultima tendenza, soprattutto quando il soggetto è del tutto convinto di valere poco in un determinato
ambito). L’EFFETTO FORER, o di convalida soggettiva, è un fenomeno per il quale ogni individuo, posto di fronte a un
qualsiasi profilo che crede a lui riferito, tende a immedesimarsi in esso ritenendolo preciso e accurato, senza
accorgersi che quel profilo è abbastanza vago e generico da adattarsi a un numero molto ampio di persone. L'effetto
Forer fornisce una parziale spiegazione della grande diffusione di alcune teorie, tipo i profili di astrologia, ed è
fortemente influenzato dal bias di conferma.

Bisogno di stabilità e mantenimento del sé =una volta formatesi le credenze in merito alla propria persona, queste
sono molto resistenti al cambiamento. Le persone si impegnano nella ricerca di conferme. Ci sono varie minacce al sé
coerente: per esempio eventi e riscontri negativi, o anche i cambiamenti e gli eventi positivi (sposarsi, diventare
genitore) possono richiedere aggiustamenti del concetto di sé. Le strategie per mantenere un sé stabile sono diverse:
preferire feedback coerenti con la propria conoscenza di sé, evitando quelli incoerenti, agire in modo da confermare
tale conoscenza, oppure preferire relazioni sociali che confermano la propria immagine di sé.

FINE 1° PARTE

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Atteggiamenti e impressioni
Le opinioni e credenze sono semplici convinzioni su particolari questioni (senza un coinvolgimento emotivo forte). A
differenza delle opinioni, gli atteggiamenti non son mai neutri; sono carichi di implicazioni emotive e motivazionali.
Quindi, un atteggiamento è fortemente ancorato alla dimensione affettiva (emotiva). Un atteggiamento è una
tendenza che viene espressa valutando una particolare entità (persone, oggetti, idee) con un qualche grado di
favore o sfavore (un giudizio positivo o negativo). Gli atteggiamenti riflettono ciò che una persona gradisce o no,
possono essere positivi o negativi e sono relativamente stabili. Può produrre tre risposte emotive e comportamentali:
• COGNITIVA →comprende le informazioni, convinzioni, pensieri che un soggetto ha rispetto ad un oggetto (ciò che
le persone pensano o credono di qualcosa) e tali credenze possono esprimere una valutazione
• AFFETTIVA →sentimenti, emozioni, umore in risposta ad un oggetto attitudinale
• COMPORTAMENTALE → azioni (o le tendenze all’azione) che un individuo presenta dinnanzi a un oggetto
attitudinale. Possono essere azioni manifeste o non manifeste (intenzioni)
La struttura di un atteggiamento può essere:
• INTRA-ATTITUDINALE → relazioni fra le varie componenti di un atteggiamento. Conseguenze: maggiore stabilità
nel tempo, maggiore resistenza alla contro-persuasione e maggiore capacità predittiva
• INTER-ATTITUDINALE → relazioni di un atteggiamento con altri atteggiamenti ed elementi all’interno della mente di
una persona.

L'importanza di un atteggiamento determina la capacità di coinvolgimento e dipende da quanto è funzionale alla


struttura di personalità, e di essere parte dell'immagine di sé. Nel modello aspettativa-valore, l’atteggiamento
dipende da due tipi di dati: la probabilità soggettiva che un oggetto abbia certi attributi e la valutazione, positiva o
negativa, che la persona fa di ciascuno di essi. Quando esiste bassa coerenza o all’interno di una componente o fra le
diverse componenti si ha un atteggiamento ambivalente (quando un sistema di credenze riferito ad un oggetto è
composto sia da caratteristiche positive che negative). La forza degli atteggiamenti dipende dall’accessibilità e dalla
stabilità. Gli atteggiamenti accessibili sono quelli che vengono recuperati più facilmente e che vengono espressi con
maggiore rapidità → euristica della disponibilità, atteggiamenti accessibili esercitano una forte influenza sul
comportamento rafforzandone il legame. Gli atteggiamenti forti sono più accessibili. Vengono in mente con maggiore
prontezza (attivazione automatica), ed eserciteranno maggiore influenza sui comportamenti rispetto agli atteggiamenti
deboli. La stabilità riguarda la forte tendenza a mantenere inalterati gli atteggiamenti. Questo accade perché: ciò che
è noto e familiare suscita automaticamente relazioni positive, i vecchi atteggiamenti forniscono motivazioni affettive e
cognitive che giustificano la conservazione delle proprie valutazioni, le valutazioni preesistenti influenzano
l'interpretazione e la valutazione di nuovi eventi.

Le FUNZIONI degli atteggiamenti sono diverse:


• STRUMENTALE → quando esprimere un atteggiamento porta vantaggio ad una persona; contraddistingue quegli
atteggiamenti che consentono alle persone di raggiungere particolari obiettivi ed evitare risultati
spiacevoli.
• ESPRESSIVA → attraverso gli atteggiamenti le persone esprimono i propri valori fondamentali e mettono in luce il
loro vero Sé, le loro opinioni, convinzioni e sentimenti.
• EGO DIFENSIVO → permettono di proteggere l'individuo da fattori interiori come l'ansia, e da minacce esterne
• ADATTAMENTO SOCIALE → possono avere utilità nel regolare i rapporti sociali

Le FONTI PRINCIPALI nella formazione degli atteggiamenti sono:


• ESPERIENZA DIRETTA (per es. comportamento) e l’osservazione della esperienza altrui; gli atteggiamenti sono
chiari e fortemente radicati, si ha molta fiducia nei propri atteggiamenti, e vengono difesi da eventuali contro-
argomentazioni
• GRUPPI DI RIFERIMENTO (le convinzioni e le opinioni degli altri hanno un ruolo essenziale nella formazione dei
nostri atteggiamenti); possono esercitare un’influenza normativa o informativa. Al fine di una interiorizzazione dei
valori e degli atteggiamenti dell’agente influenzante, occorre che la persona sia pienamente convinta della loro
validità e della loro congruenza con le sue personali convinzioni.
• mezzi di COMUNICAZIONE DI MASSA: mass media sono un’altra fonte di influenza nella formazione degli
atteggiamenti
• ESIGENZE COGNITIVE E COMPORTAMENTALI provenienti dall’interno;

TEORIA DELL’EQUILIBRIO COGNITIVO → la coerenza cognitiva è considerata come l’elemento che permette di
raggiungere l’equilibrio psicologico; è quella forza che garantisce il mantenimento dei propri valori e delle proprie
credenze nel corso del tempo; teoria della dissonanza cognitiva → esiste un’incoerenza tra atteggiamenti e
comportamento, risolvibile attraverso un cambiamento dell’atteggiamento o del comportamento. Le persone possono
giungere a formare i propri atteggiamenti per il solo fatto di avere interpretato un ruolo e di essersi comportati come il
ruolo richiedeva. Le persone tendono ad auto persuadersi visto che, per sostenere il ruolo sono impegnati a

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focalizzare l’attenzione verso i pensieri che supportano gli argomenti relativi al ruolo e sono impegnati a richiamare
alla memoria tutti quegli elementi cognitivi a favore del ruolo da sostenere.

TEORIE DELL’APPRENDIMENTO:
• CONDIZIONAMENTO CLASSICO → uno stimolo neutro diventa capace di evocare risposta positiva o
negativa essendo stato ripetutamente associato a qualcosa che suscita risposta positiva o negativa. La teoria
del condizionamento semplice di Staats prevede un condizionamento di primo ordine (processo
mediante il quale le parole diventano stimoli condizionati), e un condizionamento di secondo ordine
(processo mediante il quale le parole, già divenuti stimoli, vengono associate a oggetti potenziali di
atteggiamento). È un processo che prevede due stadi: nel primo una ricompensa positiva associata ad una
risposta provoca una reazione affettiva, nel secondo un oggetto nuovo associato ad una risposta provoca una
reazione affettiva.

• CONDIZIONAMENTO OPERANTE → se un comportamento ottiene una ricompensa aumentano le


probabilità che venga ripetuto; se viene punito la probabilità diminuisce. Se una persona viene ricompensata
per sostenere posizioni contrarie al proprio atteggiamento tende a prodursi uno spostamento verso la
posizione non condivisa. Secondo la teoria dell'autopercezione (Bem), gli atteggiamenti si formano
attraverso l'osservazione del nostro comportamento, quando si hanno poche o nessuna conoscenza sul tema
in oggetto o non si possiede un atteggiamento preesistente convinto. Perciò, solo quando non abbiamo un
atteggiamento (o è molto debole) su un tema particolare, possiamo inferire i nostri atteggiamenti
dall'osservazione del comportamento.

• MODELLAMENTO

• ESPERIENZA DIRETTA/MERA ESPOSIZIONE → l'esposizione ripetuta agli stimoli (visivi, sonori, il cibo)
determina un accentuarsi dei sentimenti positivi nei loro confronti. Non si tratta di una esposizione ad
un’informazione relativa all’oggetto attitudinale ma l’esposizione reiterata dell’oggetto. Oggetti ai quali siamo
esposti ripetutamente vengono valutati più positivamente – effetto familiarità. Il grado di piacevolezza
percepita dello stimolo aumenta con l’aumentare della frequenza dell’esposizione. Questo fenomeno però non
sussiste se la frequenza di esposizione è elevata: la mera esposizione aumenta la piacevolezza dell’oggetto
fino a quando la mera esposizione non aumenta la familiarità con l’oggetto. Quando l’oggetto diventa
familiare, allora non si ottiene più un incremento dell’atteggiamento positivo. L’effetto aumenta con esposizioni
di breve durata, se gli stimoli vengono presentati in sequenze eterogenee e ha effetto positivo solo se
l’atteggiamento iniziale era neutro o positivo. L’effetto diminuisce se viene ripetuto fino a causare noia.

PRIMING SEMANTICO → uno stimolo precedente influenza la nostra interpretazione, il nostro comportamento, i
nostri atteggiamenti. In inglese to prime significa innescare una serie di processi che portano all’attivazione di
informazioni presenti in memoria. Con effetto priming si intende l’attivazione di determinate rappresentazioni mentali,
euristiche dopo la presentazione di uno stimolo. Il priming semantico consiste in due stimoli: il primo è il prime che ha
funzione di attivare il concetto, ad esempio colori, parole, immagini eccetera; il secondo è il target.

PRIMING SUBLIMINALE → uno stimolo non avvertibile in maniera cosciente perché troppo debole, troppo confuso, o
troppo rapido, viene comunque percepito in maniera inconsapevole. Presentando subliminalmente parole collegate
allo stereotipo verso un gruppo, i soggetti sperimentali mostrano in seguito atteggiamenti e comportamenti più negativi
verso questo gruppo.

APPELLO/RICORSO ALLA PAURA


FEAR APPEAL è un messaggio elaborato con l’intenzione, da parte dell'emittente, di suscitare timore o paura nel
destinatario. Sono messaggi quindi che mostrano le conseguenze negative di aver seguito i comportamenti a rischio.
L'appello alla paura è un espediente comunicativo persuasivo, è una strategia psico- attiva che si fonda sulla
convinzione che essa sia necessaria per influenzare e modificare i comportamenti; si pensa quindi che, attraverso un
impatto forte, si sia in grado di generare paura e di conseguenza di muovere gli individui. È composta da 3 fasi:

1. La creazione di una situazione minacciosa e paurosa atta a stimare la sensazione di rischio e vulnerabilità
2. Il pericolo viene descritto in modo serio
3. Viene fornita la soluzione come mezzo indispensabile per la riduzione della paura, seguita da
rassicurazioni per sottolineare che seguendo le raccomandazioni non si corre alcun rischio

Con l'esperimento di Janies e Feshbach del 1953 si scoprì che più il messaggio è moderato ed equilibrato maggiore
sarà la sua efficacia, con una minaccia forte viene subito alleviata la tensione minimizzando la minaccia e la
raccomandazione viene ignorata, con una minaccia debole invece vi è la considerazione del problema e quindi il
soggetto presta attenzione alla raccomandazione. Alcuni autori suggeriscono che è necessario che la paura suscitata
non sia troppo elevata, bisogna che la rassicurazione su come evitare le minacce si presenta immediatamente dopo
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l'induzione della paura; se la paura è esagerata causa un effetto boomerang quindi una ridotta attenzione, una
svalutazione della fonte e una difesa ritardata. Dopo varie ricerche si è arrivati alla conclusione che non esiste una
campagna comunicativa efficace in senso assoluto, il messaggio dovrebbe essere attentamente progettato tenendo
conto di specifiche caratteristiche del target di riferimento, della situazione e del contesto culturale. Secondo gli
studiosi, è fondamentale prestare attenzione alle peculiarità del target: si tratta, ovvero, di individuare sottogruppi di
persone che condividono caratteristiche piuttosto simili, che con grande probabilità sono all’origine di una maggiore
vulnerabilità, o meglio, suscettibilità del campione al messaggio. Questo tipo di osservazione suggerisce che non
esiste una campagna comunicativa che abbia pari efficacia per tutta la popolazione: il messaggio dovrebbe essere
attentamente progettato tenendo conto di specifiche caratteristiche del target di riferimento.

Carl Hovland e la scuola di Yale intrapresero lo studio sistematico degli elementi che rendono la comunicazione
persuasiva efficace, mettendo in luce 3 fattori:
• FONTE → fattori studiati: credibilità (competenza e affidabilità), attrazione e potere
• MESSAGGIO → natura del messaggio (forte/debole), ordine di presentazione, lunghezza, vividezza, canale di
comunicazione
• TARGET

La PERSUASIONE è il processo mediante il quale si cerca di modificare gli atteggiamenti alle persone: ci lasciamo
più facilmente persuadere da persone che percepiamo vicine a noi in qualche modo. Lo SLEEPER EFFECT si
produce quando una persona ignora all’inizio un messaggio, perché non sembra credibile, e poi poco a poco comincia
a credervi. Il cambiamento si deve a una prova esterna a favore del messaggio o a un ciclo di pensieri interiori che
spingono a rivalutare l’informazione. Questo meccanismo sembra essere un po’ contraddittorio se consideriamo che
in genere mettiamo in discussione le informazioni che ci lasciano dubbiosi; ciò non toglie che un contenuto conservato
nella nostra memoria, inizialmente non tenuto in considerazione, finisca per diventare importante. Di fatto, acquisisce
rilevanza perché riscontriamo un dato o altro che ci fa cambiare opinione e accettare il contenuto. Tuttavia, affinché
l'effetto dormiente si manifesti, devono essere soddisfatte almeno 2 CONDIZIONI FONDAMENTALI:

- un IMPATTO INIZIALE FORTE: l’effetto dormiente emerge solo se il messaggio persuasivo ha un impatto iniziale
molto forte. Questa forza è la garanzia affinché il messaggio venga conservato nella memoria e rielaborato
mentalmente.

- un MESSAGGIO SCONTATO: quando la fonte dell’informazione non è affidabile, tendiamo a screditarne il


contenuto. Tuttavia, se scopriamo che la fonte non è affidabile solo dopo aver visto il film o ricevuto il messaggio,
saremo più recettivi al messaggio e quindi suggestionabili.

Il MESSAGGIO deve essere persuasivo/accettabile e nel tempo la fonte screditata deve diventare dissociata dal
messaggio. La spiegazione di questo fenomeno è molto semplice: la nostra mente, dopo un po’ di tempo, dimentica
che la fonte del messaggio non era del tutto affidabile e memorizza l’informazione iniziale. Ecco perché con il passare
del tempo siamo più suggestionabili al messaggio rispetto alla nostra reazione iniziale. Per superare gli effetti dello
sleeper effect bisogna mettere in discussione e indagare sulla credibilità della fonte dell’informazione.

Alcune persone sono più facilmente persuadibili rispetto le altre, ma questo dipende da alcune caratteristiche
individuali. AUTOSTIMA ed INTELLIGENZA hanno un RAPPORTO CURVILINEARE con la PERSUASIONE:
- ALTI e BASSI livelli di autostima e/o intelligenza sono meno persuadibili dei livelli medi
- un’ALTA autostima facilita la ricezione ma frena la conformità
- una BASSA autostima stimola la conformità ma riduce la ricezione

Le persone più intelligenti hanno una maggiore comprensione ma anche una maggiore capacità di
controargomentare. L’ascoltatore intelligente può infatti essere più abile nel capire il messaggio ma spesso è anche
più critico e più sicuro nelle sue idee, quindi meno disposto ad accettare influenze esterne. Alcune ricerche hanno
confermato l’opinione che le donne sono più facili da persuadere. Il processo di socializzazione aiuterebbe le donne
più che gli uomini ad essere cooperative e a cercare di andare d’accordo con gli altri e quindi cambiare opinione. Gli
argomenti dei MESSAGGI PERSUASIVI mostrati nei messaggi sono tali da interessare maggiormente gli uomini. È
opinione diffusa che sia più facile persuadere una persona di buon umore piuttosto una di malumore. Il buonumore
rende meno sistematica l’elaborazione del messaggio e favorisce la tendenza ad elaborazioni di tipo euristico o per
via periferica. Gli effetti dell’umore:
• IPOTESI MOTIVAZIONALE → l’umore influenza la motivazione all’elaborazione
• TEORIA DEL MANTENIMENTO DELL’UMORE → la motivazione principale è di preservare il buon umore perché
ciò è piacevole; eviterebbero così di impegnarsi in compiti che richiedono fatica, e potrebbero rovinare l’umore
positivo
• IPOTESI DELLA DIMINUITA CAPACITA’ COGNITIVA → buon umore occupa la mente delle persone con idee,
ricordi, pensieri allegri e piacevoli e questo riduce la capacità di impegnarsi in compiti cognitivi

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TEORIA DEL GIUDIZIO SOCIALE: il messaggio viene percepito in riferimento all’atteggiamento preesistente. Le
informazioni che ricadono nell’area di accettazione vengono percepite come più congeniali al proprio atteggiamento di
quanto non siano (ASSIMILAZIONE). Le informazioni che ricadono nell’area opposta vengono percepite come più
incoerenti con il proprio atteggiamento di quanto non siano (CONTRASTO). La teoria tiene conto della misura in cui i
diversi atteggiamenti di una persona sono considerati parte integrante del concetto di Sé (prima teoria che sottolinea
ruolo del Sé nei processi persuasivi).
• Se coinvolgimento dell’Io è basso => elaborazione “oggettiva”
• Se coinvolgimento dell’Io è alto e messaggio contraddice atteggiamento pre-esistente si ha la percezione di
minaccia => elaborazione autoprotettiva

TEORIA ASPETTATIVA-VALORE: l’atteggiamento della persona verso un determinato oggetto, si può misurare in
modo indiretto chiedendole di elencare le caratteristiche e le aspettative circa gli attributi dell’oggetto. L'atteggiamento
verso un oggetto è uguale alla somma delle aspettative che l'oggetto possieda un certo attributo (probabilità) x valore
che la persona attribuisce a questo attributo.

PARADIGMA DELL’ELABORAZIONE DELL’INFORMAZIONE: la persuasione viene descritta come processo


cognitivo costituito da sei fasi ordinate in modo sequenziale:

Esposizione al messaggio
Attenzione al messaggio
Comprensione dei contenuti del messaggio
Accettazione dei contenuti
Ritenzione del nuovo atteggiamento
Traduzione del nuovo atteggiamento in comportamento

L’impatto persuasivo di un messaggio dipende dal prodotto di sei fasi di elaborazione delle informazioni. La probabilità
che si realizzi ognuno dei sei passi è pari alla probabilità combinata che si verifichino tutti i passi precedenti. Il
fallimento di una fase interrompe la sequenza e impedisce i passi successivi. Poiché è raro che tale probabilità sia
forte, è molto difficile che le persone cambino idee e comportamenti solo in base a messaggi persuasivi. La versione
ridotta prevede un modello a due fasi che si propone di prevedere solo i cambiamenti immediati d’atteggiamento →
persuasione = ricezione x accettazione. McGuire ha dedicato particolare attenzione all’influenza delle caratteristiche
del ricevente sulla persuasione affrontando il problema delle differenze individuali in termini di persuadibilità.

MODELLO DELLA RISPOSTA COGNITIVA


GREENWALD (1968) ha elaborato il modello della risposta cognitiva secondo cui il processo cognitivo rilevante per
la persuasione non è il processo di ricezione che si realizza nel comprendere il messaggio, ma piuttosto
nell’elaborazione attiva dei pensieri in risposta al messaggio al quale si è esposti. Secondo tale modello le
persone esposte ad un messaggio persuasivo si impegnano a metterlo in relazione con le proprie convinzioni ed
informazioni preesistenti, elaborando pensieri.
I fattori studiati da questo modello sono la distrazione, la ripetizione e il coinvolgimento.

• I pensieri elaborati (la quantità e la qualità dell’attività cognitiva) mediano il processo persuasivo.
• Maggiore il numero di pensieri positivi (e minore quello di pensieri negativi) suscitati da un messaggio,
maggiore sarà il suo impatto

MODELLO DELLA PROBABILITA’ DELL’ ELABORAZIONE (ELM)


Distingue la via CENTRALE, che comprende l’elaborazione cognitiva accurata del messaggio, e la via PERIFERICA
che presta attenzione ai segnali periferici quando sono presenti bassi livelli di motivazione o di abilità cognitiva.
Percorso:
• CENTRALE: elaborazione attenta delle argomentazioni e delle informazioni, richiede risorse cognitive:
- focalizzazione dell’attenzione
- comprensione delle argomentazioni
- confronto e integrazione fra informazioni e credenze possedute
- elaborare una nuova valutazione
• PERCORSO PERIFERICO: basato su come vengono presentate le argomentazioni e su elementi del contesto:
- attrattività della fonte, musica, colori vivaci

Quando la motivazione (MESSAGGIO RILEVANTE) e le capacità cognitive sono elevate esiste un’alta probabilità che
venga seguita la via centrale (ELABORAZIONE COGNITIVA). Quando l’audience non è motivata o non ha le abilità
necessarie per comprendere messaggi, l’elaborazione delle informazioni può seguire la via periferica. Questa teoria

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suggerisce a chi progetta una campagna pubblicitaria di tenere presente il livello di coinvolgimento della popolazione
bersaglio e usare la qualità delle argomentazioni se ci si rivolge alle persone coinvolte, e/o la scelta del testimonial se
ci si rivolge alle persone meno coinvolte. La quantità di pensieri evocati relativi al messaggio è un indicatore della via
persuasiva seguita. Se le persone riportano molti pensieri si conclude che hanno seguito la via centrale. Se questi
pensieri sono positivi, vuol dire che accettano il messaggio. In aggiunta alla rilevanza personale di una questione, le
persone sono motivate a prestare attenzione a un discorso a seconda della loro personalità (bisogno di cognizione).
Un’elaborazione centrale produce atteggiamenti che sono stabili nel tempo, predittivi del comportamento e resistenti
alla contro-propaganda; un’elaborazione periferica, invece, produce atteggiamenti non stabili nel tempo, scarsamente
predittivi del comportamento e facilmente sostituibili da altri messaggi persuasivi.
I LIMITI di questo modello sono diversi:
- non spiega perché certi argomenti risultano più o meno convincenti o perché alcune informazioni funzionano da
segnali periferici;
- non prende in considerazione le situazioni in cui elaboriamo cognitivamente anche le informazioni sui
segnali periferici;
- non sempre le persone sono in grado di elaborare le informazioni in maniera sistematica, per quanto lo
desiderino, anche quando la motivazione è alta, l’elaborazione sistematica può avere ostacoli;
- a volte le persone non possiedono le risorse cognitive per acquisire e valutare tutte le informazioni.

ELABORAZIONE EURISTICO-SISTEMATICA (HSM): questo modello postula l’esistenza di due percorsi per il
cambiamento di atteggiamento percorso sistematico (simile al percorso centrale) ed euristico (circoscritto all’uso di
euristiche). Più accessibile è l’euristica, maggiore è la probabilità che la persona scelga il percorso euristico. Il modello
della Chaiken prevede la possibilità che i due processi si verifichino insieme. Quindi, i due processi non si escludono a
vicenda. Anche quando le persone hanno un’alta motivazione e alte capacità/risorse, le euristiche possono essere
utilizzate. I due processi (euristico e sistematico) possono esercitare effetti interdipendenti (giudizio finale
influenzato in modo interattivo dalle due modalità di elaborazione) o indipendenti (elaborazione del messaggio
contraddice la conclusione a cui porterebbe l’euristica) sul giudizio finale. Si possono avere due possibili esiti:
• ATTENUAZIONE dell’euristica da parte del processo sistematico
• BIAS provocato dalla distorsione compiuta dall’euristica sul processo sistematico

Quest’ultima situazione si verifica con maggiore probabilità quando le argomentazioni del messaggio sono
relativamente ambigue. L’utilizzo dell’euristica o dell’elaborazione sistematica non porta necessariamente a giudizi
maggiormente oggettivi. Si può arrivare ad una conclusione distorta attraverso l’elaborazione sistematica, ma anche
ad una conclusione corretta attraverso un’euristica. La motivazione e le capacità cognitive giocano un ruolo
fondamentale nel determinare la modalità di elaborazione dell’informazione. La via euristica può essere intrapresa se
le euristiche sono:
• DISPONIBILI → il soggetto deve aver appreso quella regola euristica nel corso delle esperienze passate;
• ACCESSIBILI → l’euristica può essere facilmente richiamata alla memoria nella situazione appropriata;
• AFFIDABILI → l’euristica deve essere percepita come valida ed affidabile (“mi posso fidare degli esperti”). Queste 3
condizioni possono variare in relazione ai fattori:
• SITUAZIONALI (per es. il contesto rende particolarmente saliente una data euristica),
• INDIVIDUALI (maggiore tendenza ad usare un’euristica perché confermata come valida dall’esperienza), •
MOTIVAZIONALI → principio del minimo sforzo: si vogliono elaborare le informazioni con il minimo sforzo
cognitivo; il PRINCIPIO DI SUFFICIENZA: si attua uno sforzo cognitivo fino a quando si è
sicuri della conclusione

CONFRONTO TRA I 2 MODELLI

Entrambi modelli (ELM e HSM) prevedono due percorsi, uno dei quali (elaborazione sistematica – percorso centrale)
è identico nei due modelli, mentre la via periferica ed euristica a due processi leggermente diversi. La via periferica
può essere pensata come un insieme di processi caratterizzati da elaborazione minima, fra i quali si può comprendere
anche l’uso delle euristiche. Mentre nell’ELM i due percorsi sono distinti e separati, e si escludono a vicenda, nel HSM
possono coesistere e interagire.

Fattori importanti → ELM: coinvolgimento, accuratezza, abilità e risorse, bisogno di cognizione / HSM: coinvolgimento,
accuratezza, rilevanza personale del tema, abilità e risorse, difesa, gestione dell’impressione, accountability
(consapevolezza di dover rendere conto della propria decisione; e quindi possibilità di essere smentiti o criticati)

MODELLO AD UNA VIA (UNIMODEL)


KRUGLANSKI sostiene che non ci sono ragioni per fare la differenziazione tra segnali centrali (argomenti) e segnali
periferici - l’Unimodel considera entrambe le categorie come informazioni, che hanno la stessa funzione. Un soggetto
può analizzare in maniera più o meno approfondita sia gli elementi centrali che quelli periferici. Il processo cognitivo è

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unico e la persuasione dipende esclusivamente dalla motivazione dei soggetti che determina la profondità e
l'estensione dell'elaborazione sia di fattori periferici che centrali. Secondo Kruglanski, ogni informazione (sia periferica
che centrale) può essere una prova che può essere incluso in un sillogismo come premessa minore che viene poi
combinata ad una premessa maggiore (conoscenze pregresse). Secondo Kruglanski, l’intensità del ragionamento
sillogistico può variare in funzione della motivazione e delle risorse/capacità del ricevente. Le motivazioni sono
molteplici: motivazione all’accuratezza, alla difesa del sé, alla gestione dell’impressione ecc. Indipendentemente dalla
natura specifica dell’informazione, quando questa è complessa risulta più persuasiva fra i riceventi fortemente
motivati, quando è semplice risulta più persuasiva fra i riceventi scarsamente motivati.

Le persone proteggono i loro atteggiamenti consolidati ignorando, reinterpretando o respingendo le informazioni non
coerenti. Gli atteggiamenti possono:
- guidare in modo selettivo l’attenzione ad una nuova informazione
- distorcere la percezione e i giudizi
- influenzare i processi di memorizzazione e ricordo

TEORIA DELL’IMMUNIZZAZIONE → sottoporre gli individui ad una minaccia moderata contro le proprie credenze
per renderli capaci di resistere a più forti attacchi nel futuro. Inoltre, permette agli individui di formulare
controargomentazioni che possono essere usate in una successiva occasione. Se l’individuo viene esposto a versioni
più soft del messaggio negativo, la sua mente riesce a gestirle, elaborando argomentazioni adeguate da impiegare
per fronteggiarle. Più attivo diventa il ricevitore nella sua difesa, più rafforzerà i propri atteggiamenti, credenze o
opinioni. Questo tipo di trattamento può incrementare le risorse cognitive a disposizione del soggetto per resistere
alla contro-informazione, e può incrementare la motivazione ad utilizzare le risorse cognitive.

TEORIA DELLA REATTANZA → riguarda le resistenze a pressioni o costrizioni, situazioni in cui la nostra libertà
viene minacciata. La reattanza può spiegare l’effetto boomerang, che si verifica nel momento in cui le proprie
opinioni vengono rafforzate dopo un confronto, la minore efficacia di comunicazioni dirette di quelle indirette (ci
lasciamo influenzare più da cose che sentiamo dire ad altri che da ciò che viene detto direttamente a noi), scarsa
efficacia di interventi di censura delle informazioni (può accrescere l’interesse verso il proibito), e l’effetto romeo
e giulietta (effetto boomerang delle pressioni dei genitori sui figli adolescenti).

Relazione tra atteggiamento e comportamento


Il rapporto tra atteggiamenti e comportamento è abbastanza controverso. Nell’analizzare questo rapporto esistono 2
linee di ricerca, ossia atteggiamento verso - specifico comportamento
- l’oggetto
TEORIA DELL’AZIONE RAGIONATA → componenti: atteggiamento verso il comportamento, norma soggettiva
(credenze su come gli altri giudicano quel comportamento), intenzione comportamentale e comportamento. Questa
teoria collega l’atteggiamento al comportamento tramite processi intenzionali, è basata su un calcolo razionale dei
costi e benefici delle diverse alternative di azione ma non si adatta a condotte complesse e per spiegare i
comportamenti abituali.

TEORIA DEL COMPORTAMENTO PIANIFICATO→ introduce la percezione di controllo personale come antecedente
delle intenzioni, ovvero la fiducia che un individuo ha di un essere in grado di portare a termine con successo un
compito specifico.

Atteggiamento verso l’azione specifica

Norme soggettive → intenzioni comportamentali → comportamento

Controllo comportamentale percepito

La percezione di controllo è influenzata da una serie di fattori personali, situazionali e dalla dipendenza da altri. Il
comportamento sembra sotto il completo controllo dell’individuo ma non è così per i comportamenti che:
- derivano dall’abitudine
- sono frutto di dipendenza
- derivano da stati emotivi

Inoltre, dovrebbero essere presi in considerazione molti altri fattori situazionali e personali come: identità personale,
comportamento passato, norme morali e credenze affettive.

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MODELLO MODE
Propone la distinzione tra 2 differenti percorsi/modalità che collegano atteggiamento – comportamento, si tratta di
elaborazione:

a) VOLONTARIA (è caratterizzata da sforzo cognitivo) → gli atteggiamenti possono guidare il comportamento in


modo volontario ed elaborato. L’individuo deve essere motivato ad impegnarsi nell’analisi e deve avere opportunità
per farlo.

b) SPONTANEA/AUTOMATICA (l'accessibilità è una variabile cruciale) → gli atteggiamenti possono guidare i


comportamenti senza l’ausilio di riflessioni coscienti. Il comportamento emerge come una conseguenza successiva
all’atteggiamento attivato automaticamente. La relazione tra atteggiamento e comportamento dipende dalla forza e
accessibilità dell’atteggiamento verso l’oggetto. Più l’atteggiamento verso un oggetto è velocemente accessibile dalla
memoria tanto più guiderà i processi cognitivi e influenzerà il comportamento. Gli atteggiamenti più importanti per la
persona sono più accessibili. Gli atteggiamenti forti, di cui siamo sicuri, sono più accessibili e influenzano di più il
comportamento rispetto agli atteggiamenti ambivalenti.

L’influenza degli atteggiamenti sui comportamenti potrebbe includere processi “misti”, composti da una combinazione
di componenti automatiche e controllate. Dunque, un individuo deve esser motivato a misurare l’idoneità, oppure
contrastare l’influenza di un atteggiamento attivato automaticamente. Se l’opportunità esiste, un individuo può
correggere o contrastare l’influenza degli atteggiamenti automatici. Questa motivazione può derivare dal timore
dell’errore/la motivazione all’accuratezza.

PERSUASIONE
Si tratta di un atto comunicativo che ha lo scopo di indurre intenzionalmente cambiamenti nelle credenze, nelle
opinioni, negli atteggiamenti e nei comportamenti. Cialdini organizza il suo libro attorno alle 8 armi della persuasione,
ovvero i principi che influenzano tutte le relazioni umane:

1. RECIPROCITA’ → radicata in tutte le culture; chi non rispetta la regola del contra cambio viene visto come
ingrato e approfittatore
2. IMPEGNO e COERENZA → presa una decisione siamo portati a difenderla, non perché si crede che valga la
pena, ma per tutelare l’immagine di persona coerente. Un impegno preso pubblicamente tende ad essere un
impegno duraturo. La tattica di impegno pubblico funziona bene soprattutto con persone molto orgogliose e
altamente consapevoli di sé. Esempi: tecnica del piede nella porta che consiste nel chiedere alla persona
da cui vogliamo ottenere qualcosa un primo piccolo impegno, non troppo oneroso da rischiare di essere
rifiutato. Quando accetta il primo impegno, si passa al successivo di maggiore entità, quello che è in genere il
vero obiettivo. Se l’individuo rifiuta la seconda richiesta, avvertirà in sé una forma di incoerenza. Un’altra
tecnica è quella del colpo basso; prende questo nome perché una volta che si è raggiunto un accordo su
una serie di condizioni, se ne ritirano le basi sostituendole con condizioni peggiori.
3. RIPROVA SOCIALE o CONSENSO → in situazioni ambigue guardiamo come si comportano gli altri
(conformismo informativo); ne consegue una diffusione della responsabilità personale e un’ignoranza
pluralistica (io sono l’unico a non sapere qualcosa che tutti gli altri sanno). Cerchiamo l’approvazione degli
altri in ogni decisione, o meglio, cerchiamo di valutare quanto quella stessa cosa venga accettata dagli altri.
Cialdini afferma che la massima efficacia di questo principio si manifesta quando osserviamo il
comportamento di persone simili a noi.
4. SIMPATIA → presentarsi come simpatici e piacevoli esercita una maggiore influenza sulle persone (bellezza,
somiglianza, familiarità). Preferiamo dire di sì a persone che ci piacciono e accettare richieste da persona
attraenti, simpatiche e che conosciamo. Questo principio viene usato spesso dalle aziende che per
promuovere un loro prodotto utilizzano come testimonial un volto noto; il cosiddetto fenomeno di
condizionamento e associazione (piace un personaggio x, se x ama il prodotto significa che anche il
prodotto è molto buono). Anche l’empatia è fondamentale; secondo Cialdini, se si fa intendere ai propri
interlocutori di aver vissuto la loro stessa esperienza, questi, saranno più propensi a seguire i tuoi consigli.
5. AUTORITA’ → siamo educati fin dalla nascita a pensare che obbedire all’autorità sia doveroso; tendiamo ad
ascoltare di più l’esperto o le figure che percepiamo più autorevoli in determinati contesti o materie, in base ai
titoli, abiti e ornamenti. Entrano in gioco due elementi: la gerarchia, si basa sulla convinzione che le persone
che hanno raggiunto i livelli superiori della gerarchia abbiano più esperienze e conoscenze degli altri, e i
simboli, che conferiscono credibilità. A differenza dell’autorità, l’autorevolezza è una qualità riconosciuta a
chi ha la capacità di coinvolgere gli altri e di influenzarne i comportamenti. Per dire di no ad un’autorità
occorre verificare le sue credenziali, la sua rilevanza e la sua affidabilità.
6. SCARSITA’ → le opportunità appaiono più desiderabili quando la loro disponibilità è limitata. Il timore di
perdere qualcosa gioca un ruolo molto importante nel processo decisionale di una persona; il desiderio
aumenta nel momento in cui la risorsa è limitata (in termini di scadenza) e diventa necessario competere con
gli altri. Quanto più è difficile ottenere qualcosa, più valore le attribuiamo. La reazione normale alla scarsità
ostacola la lucidità di pensiero.
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7. UNITA’ → l’idea di condividere la nostra identità o il nostro modo di essere con qualcun altro aumenta la
nostra propensione a dire sì a quest’ultimi.
8. CONTRASTO PERCETTIVO → agisce sul modo in cui percepiamo la differenza tra due elementi, presentati
l’uno dopo l’altro; se il secondo oggetto è leggermente diverso dal primo, tenderemo a vederlo più diverso da
quello che è realmente. Esempio: tecnica della porta in faccia, che consiste nel fare dapprima una richiesta
impegnativa che quasi sicuramente sarà rifiutata, per poi fare una richiesta più modesta, quella che ci
interessa realmente. Se la prima richiesta è talmente estrema da risultare irragionevole la tattica non
funziona.

Comportamento non verbale


Esso può essere utile per ricavare informazioni sui sentimenti e sulle intenzioni degli altri, per regolare le interazioni,
esprimere le emozioni, comunicare i propri tratti di personalità, i propri atteggiamenti e agevolare il raggiungimento di
un obiettivo. I canali non verbali sono classificati in 5 sistemi:
• VOCALE (intonazione della voce)
• CINESICO (movimenti)
• APTICO (contatto fisico)
• PROSSEMICO (distanza)
• CRONEMICO (tempo della comunicazione)
La comunicazione non verbale è più spontanea di quella verbale, ed è quindi, più difficile da controllare, così che
in presenza di due messaggi differenti, verbale e no, il soggetto è portato a credere al secondo. Rappresenta un
mezzo multidimensionale per esprimere le emozioni ed è determinata culturalmente.

ARGYLE distingue dieci aspetti della comunicazione non verbale: gesti, distanza/vicinanza sociale, orientamento
nello spazio relazionale, contatto fisico, postura, espressioni facciali, sguardo, cenni del capo, aspetti paralinguistici,
aspetto esteriore. EKMAN e FRIESEN distinguono 5 tipologie di gesti:

- EMBLEMATICI/SIMBOLICI→ emessi intenzionalmente aventi un significato che può essere tradotto a parole

- ILLUSTRATORI → usati per rappresentare oggetti, forme e movimenti

- REGOLATORI → usati per regolare il flusso della conversazione e i turni e per indicare interesse o approvazione

- di ADATTAMENTO → rivelano lo stato d’animo delle persone e sono difficili da controllare, in quanto
inconsapevoli. Si distinguono in: gesti auto adattivi, riguardano il contatto con il proprio corpo, gesti etero adattivi,
indirizzati verso un’altra persona, gesti che riguardano l’uso di vari oggetti durante la comunicazione.

- INDICATORI dello STATO EMOTIVO → riflettono e mostrano emozioni e stati d’animo

Per leggere e comprendere il linguaggio del corpo Borg e Pease hanno ideato la REGOLA DELLE 3 C:
• COMPLESSO, prestare attenzione alla molteplicità dei segnali;
• COERENZA vs. incoerenza
• CONTESTO, osservare le variazioni di un segnale tra varie situazioni.
Altri parametri importanti sono:
• PRESENZA vs. assenza (chi mente gesticola meno)
• SIMMETRIA vs. asimmetria (alzare una spalla significa incertezza)
• SINCRONIA vs. asincronia (tempo fra parole e gesti).

Esempi di gesti: braccia incrociate al petto, segno di chiusura; braccia dietro la schiena se a riposo si è rilassati,
oppure indicano frustrazione, noia (più la mano afferra in alto il braccio dietro la schiena più la persona è arrabbiata);
gomiti conferiscono alla figura una dimensione maggiore (gesto indisponente che suscita reazioni negative); mani
intrecciate possono nascondere forte nervosismo, o senso di impotenza e rassegnazione, o ricerca di difesa; braccia
aperte indicano rilassamento e disponibilità; mano aperta rivolta verso l’altro indica mancanza di armi e quindi fiducia;
mani giunte a guglia, gesto usato da chi si sente sicuro di sé e che riflette; barriere parziali, gesti che tendono a
proteggerci ma che, per convenzione sociale o per dimostrare finta disinvoltura, sono mascherati; stretta di mano
dominante, quando si vede il dorso e si mette una mano sopra quella dell’interlocutore o sulla spalla. Altri segnali di
dominanza, muoversi utilizzando ampi spazi, tronco eretto, volume alto; sottomissione, movimento frammentato,
incerto in spazi ristretti, collassamento del tronco, chiusura del busto, volume basso.

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I gesti presentano rilevanti variazioni culturali, soprattutto in riferimento agli emblemi; perciò, bisogna porre
attenzione a non usare i gesti di cui non si è certi del significato. Edward HALL elaborò una disciplina che si occupa
del modo in cui l’uomo usa lo spazio intorno a sé (dimensione prossemica) ed individuò 4 tipi di distanza sociale:

1. INTIMA (0-50 cm) → sconfina nel contatto fisico con cui è possibile sentire odore, calore ed emozioni dell’altro
2. PERSONALE (50-120 cm) → adottata da amici e persone che provano attrazione per l’altro, il quale si può
toccare e guardare più frequentemente
3. SOCIALE (fino a 360 cm) → adottata nei rapporti più formali, in relazioni meno personali
4. PUBBLICA (da 360 cm in poi) → adottata in incontri formali, e non implica il coinvolgimento tra i presenti

Ogni violazione dello spazio vitale porta ad un aumento dello stato di tensione, fastidio. Nel caso in cui il nostro spazio
personale venga invaso e non abbiamo possibilità di spostarci, possiamo mettere in atto dei comportamenti di
isolamento, tecnicamente chiamati di cut off. Questi comportamenti tendono a sottolineare la nostra esigenza di
privacy e ad escludere gli altri. Una tecnica di esclusione è quella di evitare lo sguardo di coloro che si trovano molto
vicini a noi. In generale le distanze si accorciano fra le persone che presentano delle somiglianze per aspetti molto
diversi (persone della stessa età, o stesso status sociale, economico). Le ricerche hanno dimostrato che anche i
fattori di personalità giocano un ruolo importante. Individui ansiosi o introversi, ad esempio, mantengono distanze
personali maggiori rispetto ad individui non ansiosi od estroversi. Coloro che hanno un'alta autostima, tendono a
rapportarsi con gli altri a minore distanza rispetto a persone che hanno una bassa autostima. Anche lo status di un
individuo influenza la dimensione della zona personale: tanto più è elevata la posizione sociale o lavorativa, tanto più
ampia sarà la sua sfera prossemica.

I gruppi culturali si differenziano riguardo al modo di usare e delimitare lo spazio interpersonale. È possibile
distinguere: CULTURE ad ALTO/BASSO CONTATTO. Nelle culture mediterranee, arabe e ispaniche lo spazio
prossemico personale è molto ridotto (si arriva al contatto fisico, si interagisce più vicini) mentre nei paesi del Nord
Europa o statunitensi è molto più ampio. Da queste diversità nascono dei problemi nei rapporti interetnici: l’uno può
trovare l’altro invadente e il secondo ritenere il primo freddo. In queste culture le regole religiose a volte enfatizzano la
separazione dei sessi, per cui risulta inappropriato per un uomo o una donna girare a stretto contatto. È diffuso un
contatto laterale oltre che frontale (prendersi a braccetto o mettere la mano sulla spalla).

Secondo EKMAN e FRIESEN, il volto trasmette più informazioni su determinate emozioni, mentre la postura rivela
l’intensità dell’emozione stessa. Segnala spesso il coinvolgimento nella conversazione, ma questo dipende molto
anche dal contesto in cui ci si trova. Anche il modo di sedersi assume un significato legato a sensazioni di sicurezza o
insicurezza che si possono provare all’interno di un determinato contesto. Esempi: gambe accavallate indicano
chiusura e difesa, o gesto di imitazione della persona con cui siamo d’accordo, e se accompagnato da braccia
conserte la persona ha delle grosse riserve o si sente attaccata; caviglie incrociate indicano un atteggiamento
negativo e difensivo, manifestano forte nervosismo e paura; gambe a quattro indica disapprovazione e prontezza
all’attacco; gambe larghe indicano virilità e desiderio di dominio sugli altri; a cavalcioni indicano rilassamento e
amicalità; dondolarsi indica leggerezza e superficialità; gamba appoggiata indica rilassamento, sgradevole se si parla
di argomenti importanti. L’ORIENTAMENTO nello SPAZIO RELAZIONALE ci fornisce l’indicazione di come una
persona si pone nei confronti del suo interlocutore. Movimenti della testa:
• verso l’ALTO → superiorità, fierezza, dominanza
• INCLINATA → sottomissione, posizione di ascolto
• in AVANTI → aggressività verso il contenuto o verso l’interlocutore
• verso il BASSO → ambiguo con molti significati (tristezza, ragionamento)

Il VOLTO è la zona che maggiormente si tiene in considerazione quando parliamo con qualcuno e comprende una
moltitudine di segnali molto comunicativi come movimenti degli occhi, della bocca, delle sopracciglia. Il volto emette il
maggior numero di segnali, in quanto composto da ben 22 muscoli attivi per ciascun lato. È possibile produrre circa
20.000 espressioni del volto. Nel 1872, Charles Darwin scrive il saggio “L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli
altri animali” nel quale ipotizza che le emozioni siano innate perché sono un prodotto dell’evoluzione. Le espressioni
facciali sono le stesse sia in uomini di diversa etnia, cultura o civiltà, sia in primati o altri animali. Ekman, Friesen,
Ellsworth, Izard, Birdwhistell sviluppano un insieme di teorie, metodi e prove che, nella loro totalità, costituiscono il
cosiddetto PROGRAMMA ESPRESSIONE FACCIALE. Questi studiosi ritengono che all’origine dell’espressione
delle emozioni vi sia un preciso numero di programmi neurofisiologici innati. Esiste, quindi, un percorso specifico
per ogni emozione che assicura l’invariabilità delle espressioni facciali, associate a ciascuna emozione. Gli studi
compiuti da Ekman confermano che l’espressione e il riconoscimento delle emozioni primarie sono universali. Ipotizza
l’esistenza di display rules, regole di esibizione o ostentazione apprese da ciascun individuo, che regolano
l’espressione delle emozioni in ogni particolare situazione e cultura. Ekman e Friesen hanno creato un sistema di
codifica delle espressioni facciali, individuando i muscoli interessati. L’ultima versione del Manuale

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FACS prende in considerazione 41 unità fondamentali denominate Unità d’Azione, le quali sommandosi fra loro
possono dare luogo a più di 10.000 combinazioni possibili. Il compito di codifica delle emozioni è piuttosto complesso,
anche perché le persone spesso manifestano le emozioni miste. Lo SGUARDO è una significativa fonte di
espressione che ci permette di cogliere lo stato d’animo e le opinioni del nostro interlocutore. Il CONTATTO
OCULARE è uno dei segnali non verbali attraverso cui possiamo:
- esprimere simpatia o intimità e confermare l'andamento della relazione;
- esercitare controllo, nel tentativo di convincere il nostro interlocutore di un determinato comportamento;
- regolare l'interazione, possiamo orientare la conversazione dopo averla avviata;
- creare atmosfera e fornire informazioni su noi stessi, possiamo dimostrare attenzione, simpatia, ma anche
disinteresse.
La sua assenza può ostacolare la comunicazione, oltre a privarsi di uno strumento per accertare la sincerità
dell’interlocutore. Inoltre, può comunicare una relazione di status tra noi e qualcun altro (individui di status inferiore
guardano negli occhi il loro interlocutore maggiormente rispetto ad individui con uno status più alto). In molte culture,
come in quelle asiatiche, si evita il contatto oculare; in altre, come quelle arabe o sudamericano si attribuisce grande
importanza al contatto oculare. L’interesse scientifico verso il sorriso è legato alla sua capacità di suscitare un
atteggiamento benevolo negli altri e di favorire le interazioni positive. Esistono 2 tipi di sorriso, VERO e FALSO,
controllati da 2 gruppi di muscoli: il 1° è rappresentato dai MUSCOLI ZIGOMATICI MAGGIORI che decorrono ai lati
del viso collegando gli zigomi agli angoli della bocca; questi sono muscoli volontari; il 2° è rappresentato dai
MUSCOLI ORBICOLARI che circondano gli occhi e la cui trazione provoca le rughe introno gli occhi; questi sono
muscoli involontari. Il sorriso vero, chiamato anche sorriso di Duchenne, presenta una simmetria bilaterale, mentre il
sorriso falso si presenta asimmetrico. Tra la classe dei sorrisi falsi troviamo il sorriso sociale, messo in atto per
convenienza sociale, e il sorriso di circostanza, utilizzato per mascherare le emozioni.

La MENZOGNA si verifica per vari motivi: proteggere, evitare punizioni, ingannare. Ekman fornisce alcuni indizi per
riconoscere se una persona mente o meno:
• ASIMMETRIA → alcune espressioni sono più intense su un lato del corpo rispetto all’altro
• TEMPO → espressioni di lunga durata sono probabilmente false
• COLLOCAZIONE → occorre osservare la comunicazione non verbale

Tra i GESTI MANIPOLATORI troviamo: coprirsi la bocca, bloccare l’uscita delle parole; sfiorarsi il naso, compiuto sia
da chi parla per nascondere qualcosa sia da chi ascolta e non crede a ciò che sente; strofinarsi gli occhi, per distogliere
lo sguardo.

Esistono delle differenze individuali nella capacità di riconoscere e interpretare segnali NV, misurate con il PONS
(profile of NV sensivity). Le donne sembrano più accurate nel riconoscere espressioni del volto quando il soggetto
dice la verità, ma meno capaci di riconoscere espressioni del volto ingannevoli. Queste differenze possono anche
dipendere dalle caratteristiche personali; le persone più espressive vengono percepite in modo più positivo e
catturano più facilmente l’attenzione.

Gli aspetti non linguistici e paralinguistici si riferiscono alle inflessioni di voce che possono variare il significato di
una parola o una frase in base a convenzioni culturali (intonazione, intensità, ritmo e tono). Gli italiani e in generale le
culture mediterranee accettano sia le interruzioni sia le sovrapposizioni; mentre in altre culture questo provoca
fastidio. Il silenzio non è solo assenza di comunicazione, ma assume un significato. Esistono variazioni sistematiche
fra le varie culture: vi sono culture loquaci e culture taciturne.

La comunicazione a BASSO CONTESTO indica una prevalenza di comunicazione verbale e uso di altri codici
espliciti; mentre quella ad ALTO indica una prevalenza di comunicazione non verbale e di codici impliciti. Lo STILE
COMUNICATIVO può essere DIRETTO/INDIRETTO ed inoltre, possono essere usati OGGETTI per scopi
comunicativi: vestiario, regali, denaro, biglietti da visita, status symbols.

Stereotipi e pregiudizi
Lo stereotipo è un’immagine semplificata di una categoria sociale, una credenza sulle loro caratteristiche che
vengono attribuite a tutti i membri (generalizzazione). Secondo Allport si tratta di una credenza esagerata associata
con una categoria; secondo Hamilton e Trolier e Kunda uno stereotipo comprende le credenze e le aspettative a
proposito di un certo gruppo sociale. Tra le caratteristiche attribuite agli stereotipi troviamo:
• immagini che riducono la complessità dell’ambiente, ma annullano al contempo la differenza individuale
all’interno dei singoli gruppi
• ci permettono di categorizzare, semplificare la realtà e orientarci in essa, rapidamente e senza dover riflettere.

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• molti degli stereotipi sono poco accurati ma alcuni possono avere un nocciolo di verità
• sono resistenti al cambiamento
• le persone in genere danno preferenza a informazioni che confermano i loro stereotipi rispetto a quelle che le
disconfermano
• sono largamente condivisi nel contesto sociale • portano a generalizzazioni.

Gli stereotipi possono essere positivi, neutri o negativi. Una volta attivati, gli stereotipi possono costituire il fondamento
per formulare giudizio (pregiudizio) e per guidare le nostre azioni nei confronti di un certo gruppo. Solitamente gli
stereotipi sono: legati al genere, verso gli immigrati, giovani e anziani, verso disabili, alcune categorie di malati, verso
diversi orientamenti sessuali, tossicodipendenti e ruoli professionali.

Gli STEREOTIPI DI GENERE riguardano aspettative consolidate riguardo i ruoli e le caratteristiche che uomini e
donne dovrebbero assumere. La donna, mamma e moglie, è considerata emotiva, sensibile, affettuosa, non in grado
di fare carriera; l’uomo è visto come forte, ambizioso, autonomo e aggressivo. Esiste un soffitto di vetro, una barriera
invisibile che impedisce alle donne e ad altre minoranze di ottenere posizioni di comando al vertice. In Italia il numero
di donne laureate è maggiore di quello degli uomini. Ciò nonostante, l’Italia è ultima in Europa per tasso di
occupazione femminile, e presenza di donne nelle posizioni di vertice delle aziende. Il SESSISMO riguarda il
pregiudizio e la discriminazione verso le persone sulla base del loro genere. Gli spot pubblicitari tendono a rafforzare
gli stereotipi di genere, così come cartoni animati e favole.
Secondo il MODELLO del CONTENUTO DEGLI STEREOTIPI la percezione sociale si basa su due principali
dimensioni: la percezione della competenza e del calore. La combinazione della presenza o meno di COMPETENZA
e CALORE elicita diverse EMOZIONI VERSO l’OUTGROUP: ammirazione (alto calore e alta competenza), disprezzo
(basso calore e bassa competenza), invidia (alta competenza basso calore), pietà (bassa competenza alto calore).

Gli stereotipi provengono da esperienze personali o da varie forme di apprendimento sociale. Nel corso del
processo di socializzazione tutti arrivano a conoscere i contenuti di molti stereotipi. Gli stereotipi si attivano
automaticamente influenzando i processi cognitivi delle persone e l’interpretazione dei comportamenti di un altro
individuo. Non esistono differenze individuali nel grado di attivazione automatica degli stereotipi, ma alcune persone
(con basso pregiudizio) sono in grado di controllare e correggere gli stereotipi attivati. Bargh, Chen e Burrows hanno
dimostrato che lo stereotipo può essere attivato anche dalla semplice presentazione subliminale di una fotografia del
volto di una persona e che tale attivazione può indurre le persone a comportarsi in modo più ostile. Per riuscire ad
INIBIRE L’ATTIVAZIONE DEGLI STEREOTIPI la persona deve:
• essere consapevole che si è verificata l’attivazione
• avere a disposizione sufficienti risorse cognitive per dare inizio al processo controllato necessario per sostituire la
risposta coerente con lo stereotipo
• essere sufficientemente motivata ad evitare la risposta con lo stereotipo
• avere valori egalitari

Esistono 2 FONTI di MOTIVAZIONE per controllare le manifestazioni di pregiudizio e stereotipi: una interna,
personale e interiorizzata, ed un'altra esterna, basata sul desiderio di adeguarsi alle norme esterne per evitare
disapprovazione e guadagnare apprezzamento. Il controllo si applica
• prevenendo prima dell’attivazione,
• interrompendo durante l’attivazione dando inizio ad un processo controllato
• sostituendo la risposta stereotipata dopo l’attivazione.
È meno probabile che gli stereotipi attivati influenzino le nostre percezioni e reazioni quando: abbiamo informazioni
personali relative all’individuo membro del gruppo stereotipato, abbiamo la capacità cognitiva di focalizzarci
sull’individuo membro del gruppo stereotipato, e siamo molto motivati a formarci un’impressione accurata di esso. La
motivazione ad evitare risposte stereotipate può essere indotta da FATTORI SITUAZIONALI:
• la salienza di norme sociali che considerano non appropriata la manifestazione di stereotipi e pregiudizi; • INVITI
ESPLICITI a non usare gli stereotipi;
• CONDIZIONI di - INTERDIOENDENZA con la persona del gruppo stereotipato;
- EMPATIA e PERSPECTIVE TAKING: assumendo la prospettiva del membro del gruppo
stereotipato;
• condizioni che aumentano la consapevolezza di poter essere chiamati a giustificare le proprie valutazioni (rendere
conto a qualcuno – ACCOUNTABILITY) e quindi accrescono il desiderio di accuratezza.

MACRAE e colleghi hanno ipotizzato che l’intenzione di sopprimere i pensieri stereotipici possa produrre effetti
paradossali. Ad esempio, l’intenzione di bloccare le credenze stereotipiche può prosciugarsi con il trascorrere del
tempo e pensieri stereotipici possono ritornare con maggior forza. Questo EFFETTO viene chiamato di RIMBALZO.
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Tra i processi cognitivi che impediscono il controllo degli stereotipi troviamo:
• ATTENZIONE (le persone in genere danno preferenza a informazioni che confermano le loro aspettative
stereotipiche rispetto a quelle che le disconfermano)
• SELEZIONE delle nuove info
• INTERPRETAZIONE - influenzano il significato dato alle informazioni (le informazioni ambigue tendono ad essere
assimilate allo schema preesistente)
• MEMORIZZAZIONE DIFFERENZIALE delle informazioni

Quando si presentano informazioni incoerenti con lo stereotipo si:


• cerca una SPIEGAZIONE ALTERNATIVA,
• DISSOCIA il MEMBRO ATIPICO dalla sua categoria inducendoci a considerarlo un caso eccezionale (refencing),
• si creano SPECIFICI SOTTOTIPI all’interno di un gruppo sociale più ampio.
I meccanismi attraverso cui gli stereotipi sopravvivono sono:

- la CORRELAZIONE ILLUSORIA, tendenza a sovrastimare un’associazione tra due variabili che in realtà non
sono connesse secondo l’euristica della disponibilità;

- le ATTRIBUZIONI CAUSALI, tendenza a SBILANCIARE I NOSTRI GIUDIZI in favore del gruppo a cui
apparteniamo (errore ultimo di attribuzione). Le persone usano i livelli di astrazione maggiore per descrivere
comportamenti positivi dell’ingroup piuttosto che dell’outgroup, e comportamenti negativi dell’outgroup piuttosto che
dell’ingroup. Si verifica una BIAS LINGUISTICO dell’INTERGROUP: nel parlare di azioni positive del proprio
gruppo o di azioni negative di altri gruppi si tende a usare termini più astratti, che portano ad una maggiore
generalizzazione e riflettono caratteristiche stabili degli attori coinvolti (il proprio gruppo agisce sempre bene, gli
altri gruppi sempre male); nel parlare di azioni negative del proprio gruppo o di azioni positive di altri gruppi si
usano termini più concreti, che spingono a relativizzare il fatto e suggeriscono che l’azione sia dotata di poca
stabilità (si tratta di eventi eccezionali).

- la PROFEZIA AUTO VERIFICANTESI, tendenza ad agire in modo da produrre comportamenti in grado di


confermare le aspettative. Riguarda inoltre le aspettative e supposizioni su una persona che influenzano la nostra
interazione con lei e che infine ne cambiano il comportamento allineandolo alle nostre aspettative. Si innesca la
MINACCIA dello STEREOTIPO, ovvero quel sentimento che ci fa pensare che saremo giudicati e trattati sulla
base di stereotipi negativi attribuiti al nostro gruppo e che inavvertitamente confermeremo questi stereotipi
attraverso il comportamento. Possiamo temere che qualsiasi errore che commettiamo si riletta negativamente non
solo su di noi ma anche sulla percezione dell'intero gruppo. Quando si verifica l’attivazione dello stereotipo nella
mente della persona che ne è vittima, assistiamo ad una sorta di preoccupazione di confermare le aspettative,
seguita da un calo di prestazione. Eventuali fallimenti personali, anziché essere imputati a carenze personali
possono essere attribuiti ad un pregiudizio nei propri confronti.

- l’OUTGROUP GOMOGENEITY EFFECT

Altri fattori che possono amplificare e preservare gli stereotipi sono: mancanza di tempo, presenza di forti emozioni,
presenza di norme che incoraggiano il pregiudizio e religiosità.

• PREGIUDIZIO = - giudizio a priori, in genere dotato di una connotazione negativa, verso persone e gruppi sociali;
- può essere - MANIFESTO (carico di percezioni ostili, raramente espresso) = prevede la
percezione di minaccia e rifiuto dell’out-group e il rifiuto dell’intimità
- LATENTE (preconcetto, espresso in modi socialmente accettabili) = prevede la
difesa dei valori tradizionali, l’esagerazione delle differenze culturali e la negazione
di emozioni positive.
- quello verso IMMIGRATI e MINORANZA ETNICHE si basa sull'orientamento negativo degli
individui nei confronti delle altre persone a causa della loro appartenenza al gruppo o del loro
status di immigrato; tale orientamento, inoltre, implica un aspetto cognitivo (vale a dire, attribuire
tratti negativi, come essere aggressivo o scortese, agli immigrati e alle minoranze etniche),
affettivo (vale a dire, antipatia per gli immigrati e le minoranze etniche) e comportamentale (vale
a dire, esibire comportamenti negativi come linguaggio offensivo, discriminazione, evitamento…)
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• ETNOCENTRISMO = atteggiamento volto a - considerare il proprio gruppo al centro
- valutare gli altri in base ad esso
• DISCRIMINAZIONE = riguarda comportamenti negativi diretti verso un gruppo sociale
• RAZZISMO = riguarda un pregiudizio e discriminazione verso le persone sulla base della loro etnia/razza •
GENOCIDIO = manifestazione estrema di pregiudizio consistente nello sterminio di un intero gruppo sociale.

Nel corso degli anni l’espressione del pregiudizio nelle culture occidentali è diventata sempre meno diffusa. Esprimere
apertamente un pregiudizio non è considerato socialmente desiderabile. Tuttavia, il pregiudizio è andato assumendo
forme più sottili e nascoste. Tutte le persone sono contemporaneamente soggette a processi che inducono pregiudizio
e a norme sociali che ne inibiscono l’espressione.
Esistono teorie individuali e sociali per spiegare l’origine degli stereotipi e dei pregiudizi, e vi troviamo:

- TEORIA FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITA’ → ogni frustrazione conduce all’aggressività e tutta l’aggressività


deriva dalla frustrazione, utilizzata per spiegare il pregiudizio e l’aggressività intergruppo. Si cerca di trovare un
capro espiatorio, cioè un individuo o gruppo che diviene bersaglio di collera e frustrazione, causate da differenti
individui o gruppi o da qualche altro complesso di circostanze (solitamente le minoranze). Si verifica una
dislocazione dell’aggressività, concetto psicodinamico che si riferisce allo spostamento di sentimenti negativi su
un individuo o un gruppo diverso da quello che è all’origine dei sentimenti negativi stessi (l’individuo scarica un
eccesso di tensione psichica accumulatasi in lui in seguito alle frustrazioni, verso soggetti deboli).

- TEORIA DELLA PERSONALITA’ AUTORITARIA → un clima familiare rigido e repressivo durante l’infanzia
determina questo particolare tipo di personalità, caratterizzato da: stile di pensiero rigido e dogmatico, tendenza a
eseguire acriticamente gli ordini superiori, superstizione e fatalismo, propensione alle credenze etnocentriche,
antisemitiche e conservatrici, alta sensibilità alla propaganda antidemocratica. Adorno elabora un questionario noto
come Scala F per misurare la tendenza all’autoritarismo. Si basa su tre dimensioni: alto grado di sottomissione
all’autorità, generale aggressività rivolta contro persone percepite come devianti e sanzionabili dall’autorità
costituita, alto grado di aderenza alle convenzioni sociali. Le critiche rivolte a questa personalità sostengono che
il pregiudizio può derivare da un certo tipo di educazione e di contesto sociale.

- TEORIA DELLA DOMINANZA SOCIALE → alcune persone vedono il proprio gruppo come dominante e superiore
all’outgroup e sono convinti che così deve essere. Consiste nel desiderio che la società sia strutturata in gerarchie
ben definite, dove il gruppo maggioritario possa avere più diritti di qualsiasi minoranza.

- TEORIA DELLA GIUSTIFICAZIONE DEL SISTEMA → attribuisce la stasi sociale all’aderenza delle persone a
un’ideologia che giustifica e protegge lo status quo. Le persone si differenziano a seconda del grado in cui
giustificano lo status quo politico, e le politiche sociali ed economiche che l’accompagnano. I conservatori (vs.
liberali) hanno più tendenza a giustificare il sistema che protegge i loro interessi e riduce le loro incertezze.

- TEORIA DELLA RIDUZIONE DELL’INCERTEZZA SOGGETTIVA → le persone sono motivate a trovare un


gruppo con cui poter identificarsi. Nelle condizioni di incertezza le persone manifestano un maggiore favoritismo
verso l’ingroup e discriminazione verso l’outgroup.

- TEORIA DELLA RICERCA DI SIGNIFICATO PERSONALE → questa ricerca può essere considerata come una
delle fondamentali motivazioni dell’essere umano, presente in tutte le culture. Il significato personale può essere
acquisito attraverso le varie azioni e risultati raggiunti anche nei gruppi a cui apparteniamo, ma può anche essere
minacciato e perso. La perdita del significato personale è associata a vari sentimenti e stati psicologici negativi
come vulnerabilità, insoddisfazione, infelicità, delusione, umiliazione, vergogna, imbarazzo, senso di colpa o
depressione. Le persone possono cercare di ristabilire il significato della propria esistenza attraverso l'adesione a
un gruppo nel quale possono sentirsi accettati e nel quale riescono a conseguire il prestigio, il riconoscimento e il
potere. Il gruppo può offrire una via chiara per ristabilire tale significato attraverso i ruoli e obiettivi definiti e chiari
da seguire. Questo bisogno, se viene diretto correttamente può portare a legare gli individui ai gruppi positivi e
prosociali, ma purtroppo anche ai gruppi estremisti. I gruppi estremisti hanno legami chiusi e rigidi, attitudini
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uniformi, sono gerarchicamente strutturati e intolleranti verso coloro che dissentono. In tali gruppi, c’è una forte
aspettativa di omogeneità e consenso, e le critiche sono soppresse. L’impotenza individuale può essere superata
abbracciando un’ideologia collettivista in grado di restituire potere e in nome della quale compiere qualcosa per il
gruppo/collettivo.

- TEORIE COGNITIVE → ALLPORT sottolinea l’importanza della categorizzazione sociale, un processo che
permette di costruire una rappresentazione semplificata del mondo sociale che comporta un’accentuazione delle
differenze fra categorie e una riduzione delle differenze all’interno di ciascuna categoria.

- TEORIA DEL CONFLITTO REALISTICO → alla base del pregiudizio vi sono competizioni; la soluzione consiste
nell’eliminare competizioni sostituendole con scopi cooperativi. Conclusioni esperimento della caverna dei ladri o
del campo estivo: il conflitto di interessi è all’origine del conflitto intergruppi; scopi competitivi conducono dunque a
conflitto intergruppi, scopi sovra-ordinati conducono a cooperazione fra gruppi. Le relazioni intergruppo possono
peggiorare quando i gruppi non riescono a raggiungere un obiettivo comune: il fallimento può essere attribuito, a
torto o a ragione, all’altro gruppo.

- TEORIA DELLA DEPRIVAZIONE RELATIVA → prodotta da una discrepanza fra aspettative e realtà/percezione
della realtà. Esiste una deprivazione relativa fraterna, ovvero una sensazione che il gruppo possieda di meno di
quanto gli spetti, in relazione alle proprie aspirazioni o ad altri gruppi. I sentimenti di scontentezza sorgono dalla
convinzione che altri individui e altri gruppi si trovino in condizioni migliori rispetto alle proprie o a quelle del proprio
gruppo.

- TEORIA DELLA MINACCIA INTERGRUPPI → minaccia realistica (lavoro, sicurezza, servizi), minaccia simbolica
(cultura, valori, religione)

- TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE → anche in assenza di interessi contrapposti, la gente tende a prediligere il
proprio gruppo di appartenenza, mostrandosi ostile o comunque non proprio ben disposta nei riguardi
dell’outgroup. La semplice categorizzazione in gruppi distinti è in grado di generare pregiudizio. Si possono
immaginare due punti estremi di un continuum lungo il quale l’individuo sente la propria identità. Ad un estremo la
consapevolezza che l’individuo ha di appartenere ad un determinato gruppo (identità sociale); all’altro estremo la
riflessione su di sé, sulle proprie caratteristiche, speranze e progetti (identità personale). La definizione di ciò che è
un gruppo include tre componenti: COGNITIVA (consapevolezza di farne parte), VALUTATIVA (il gruppo di per sé,
così come l'appartenenza possono essere connotati da valenza positiva o negativa) ed EMOTIVA (aspetti emotivi
legati alle interazioni/relazioni fra membri). Tajfel sostiene che l’identità sociale è legata alla conoscenza della sua
appartenenza a certi gruppi sociali ed al significato emozionale e valutativo di tale appartenenza. Secondo SIT, ci
sono 3 i processi fondamentali: la CATEGORIZZAZIONE dà luogo a un’accentuazione delle somiglianze entro la
categoria e un’accentuazione delle differenze fra le due categorie messe a confronto; l’IDENTIFICAZIONE
SOCIALE che si riferisce al fatto che in molte circostanze gli individui si definiscono come membri di una certa
categoria sociale, e se questa identificazione è molto forte gli individui possono sentirsi obbligati ad agire in quanto
membri del gruppo, mettendo in atto comportamenti discriminatori intergruppi; il confronto sociale con altri gruppi
serve per determinare il valore di certe caratteristiche del gruppo. Tajfel ipotizza che la semplice categorizzazione
degli individui a categorie sociali diverse possa di per sé dare origine al conflitto tra gruppi anche in assenza di
competizione o interessi contrapposti. Introduce il concetto di DIFFERENZIAZIONE CATEGORIALE per riferirsi
alla tendenza degli individui ad utilizzare categorie o concetti per costruire una rappresentazione del mondo fisico e
sociale. Il confronto sociale a livello individuale consiste nell’avvicinarsi a chi ci assomiglia, i confronti sociali tra
gruppi sono invece volti a stabilire distinzioni tra il gruppo di appartenenza e gli altri. Le assunzioni centrali su cui la
teoria dell'identità sociale si basa sono:

a) Una parte del concetto di noi stessi e dell’autostima deriva dall’appartenenza ai gruppi sociali (e non solo dai
successi personali). Le persone hanno tante identità sociali quanti sono i gruppi con cui si identificano.

b) Le persone sono motivate a mantenere un'identità sociale positiva. Di conseguenza, hanno un forte bisogno di
valorizzare i gruppi a cui appartengono e a vederli primeggiare sugli altri, anche a costo di sviluppare
sentimenti negativi e comportamenti discriminatori nei riguardi dei membri dell’outgroup

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- TEORIA DELL’AUTO CATEGORIZZAZIONE → processo di auto-categorizzazione dà luogo a tre differenti livelli di
astrazione: human identity, personal e social identity. Il processo di categorizzazione dipende dal contesto: gli
individui possono definire loro stessi in un momento come appartenenti ad una categoria e, il momento successivo,
come appartenenti ad una categoria differente.
- PARADIGMI DEI GRUPPI MINIMALI/MINIMI → situazione sperimentale in cui i soggetti vengono classificati in
base ai criteri arbitrari in gruppi che non hanno alle spalle né storia, né conflitti di interesse; non esiste l’interazione
e l’interdipendenza fra gli individui che lo compongono. In un esperimento è stato dimostrato che la
categorizzazione in ingroup e outgroup è una condizione sufficiente per il manifestarsi di un favoritismo per il
proprio gruppo (INGROUP BIAS). Veniva messa in atto una strategia di massima differenziazione, ovvero piuttosto
che massimizzare il profitto per i membri dell’ingroup, i partecipanti facevano attenzione che i membri dell’ingroup
ricevessero più punti di quelli dell’outgroup. Conseguenze dell’ingroup bias sono: più ricompense all’in-group, più
caratteristiche positive attribuite all’in-group, più probabilità di fornire aiuto all’in-group, più probabilità di essere
persuasi da altri dell’ingroup. La discriminazione dell’out-group si attiva in modo particolare quando le persone
percepiscono questo gruppo come una MINACCIA per l’esistenza del proprio gruppo. Inoltre, quando le persone
percepiscono una minaccia alla loro autostima (situazioni di fallimento) mostrano una preferenza per il proprio
gruppo e la discriminazione nei confronti dei gruppi esterni. Le persone di solito rispondono in due modi, fra loro
correlati: in primo luogo esaltano i simboli e i valori del gruppo interno; in secondo luogo, si inizia a odiare il gruppo
esterno. Questo gruppo viene visto come inferiore, come subumano e immorale.

La difesa dell’autostima dalle implicazioni delle appartenenze di gruppo valutato negativamente può essere
messa in atto con una mobilità individuale o strategie sociali. Nel 1° caso è possibile avere un confronto con altri
gruppi di status subordinato o all’interno dell’ingroup, spostare la dimensione del confronto esaltando caratteristiche
alternative rispetto a quelle per le quali ci si sente inferiori, ed è possibile considerarsi come un’eccezione, mentre nel
2° caso è possibile mettere in atto strategia basate sul gruppo che migliorano l’identità sociale, ma non attaccano
direttamente la posizione del gruppo dominante, oppure strategie che cercano di migliorare lo status sociale del
gruppo attaccando direttamente la posizione del gruppo dominante (competizione sociale). I fattori che determinano
l’emergere di una particolare strategia sono: la relativa impermeabilità vs. permeabilità dei confini fra i gruppi, la
relativa stabilita vs. instabilità delle differenze di status, e la percezione della legittimità vs. illegittimità di tali
differenze.

Secondo l’IPOTESI DEL CONTATTO un contatto favorevole porta ad una migliore conoscenza degli altri e, quindi, a
riduzione dell’ignoranza e degli stereotipi. Il contatto con membri dell’out-group può ridurre il pregiudizio solo se: le
persone hanno caratteristiche ed abilità che disconfermano lo stereotipo; interdipendenza positiva; uguaglianza di
status; cooperazione intergruppi e uno scopo comune; contatto di tipo amichevole e informale; il sostegno sociale e
istituzionale - norme sociali che promuovono e sostengono tolleranza; linguaggio comune, contatto volontario,
pregiudizio iniziale non eccessivamente alto, assumere la posizione dell’altro e empatia. Il contatto porta le persone a
riconoscere che in realtà sono molto più simili di quanto pensassero, e così iniziano a piacersi. Ma alcuni gruppi
possono essere molto diversi e il contatto potrà evidenziare differenze più profonde e più ampie di quanto immaginato.
Una nuova conoscenza resa possibile dal contatto non garantisce un cambiamento negli atteggiamenti. Esistono altre
tipologie di contatto:

- ESTESO → conoscere un membro dell’ingroup che ha un amico appartenente all’outgroup può portare alla
riduzione del pregiudizio. Riduce l’ansia che potrebbe sorgere dal contatto diretto.

- VICARIO → nel caso in cui si osservi un video nel quale persone dell’ingroup interagiscono con membri
dell’outgroup.

- IMMAGINATO → la semplice immaginazione può aiutarci a valutare positivamente membri dell’altro gruppo

Il legame tra contatto e riduzione del pregiudizio coinvolge i processi di natura emotivo-affettiva e sono coinvolte 2
emozioni chiave:
• ansia sociale = relazione positiva con il pregiudizio che, oltre a fare stare male le persone, può portare ad essere
aggressivi e a rinforzare gli stereotipi negativi,
• empatia cognitiva ed affettiva = relazione negativa con il pregiudizio.
Dunque, il contatto riduce il pregiudizio perché influenza le emozioni intergruppi.

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Il BIAS del PUNTO CIECO si riferisce alla nostra incapacità di prendere atto dei nostri pregiudizi cognitivi e la
tendenza a pensare di essere meno prevenuti degli altri.

La JIGSAW CLASSROOM (classe puzzle) riduce l’antagonismo esistente tra compagni di classe appartenenti ad
etnie e razze differenti. Prevede: suddivisione degli alunni in gruppi composti da sei, di diversi gruppi etnici e di
rendimento scolastico; la lezione viene suddivisa in sei parti in modo che ad ogni alunno ne aspetti una, la impari e la
insegna agli altri; ciascuno studente dipende dagli altri compagni. Il successo è garantito dal fatto che tutti si
impegnano per il raggiungimento di uno scopo comune in un contesto che incoraggia le interazioni profonde e
ripetute, al cui interno il clima è all’insegna della tolleranza e lo status di ogni studente uguale a quello degli altri.

Esistono 3 teorie che spiegano il cambiamento nella categorizzazione sociale:

- DECATEGORIZZAZIONE → le interazioni a livello interpersonale dovrebbero aiutare soggetti a prestare meno


attenzione agli stereotipi. Per ridurre il pregiudizio bisogna ridurre la salienza delle appartenenze di gruppo,
sfumando l’importanza delle categorie, si possono rendere salienti le differenze individuali nei membri
dell’outgroup, facendo sì che vengano considerati come persone e conosciute come tali, ed è difficile che porti alla
generalizzazione.

- TEORIA DELL’IDENTITA’ COMUNE → se l’origine del pregiudizio è da ricercarsi nel processo di categorizzazione,
anche la sua riduzione deve passare per tale processo. Percepire i membri di due categorie distinte come
appartenenti ad una medesima categoria sovraordinata può portare alla riduzione degli stereotipi e dei pregiudizi
associati a queste categorie.

- MODELLO DELLA MUTUA DIFFERENZIAZIONE → si può ridurre il pregiudizio nei confronti dell’outgroup
preservando la salienza della distinzione fra gruppi, ottimizzando in alternativa le diverse condizioni che secondo
Allport determinano il buon esito di un contatto. Mantenendo salienti le appartenenze di gruppo di assicura la
generalizzazione. La salienza delle appartenenze di gruppo reintroduce nella situazione di contatto gli stereotipi e i
fenomeni di ingroup bias. Inoltre, può sorgere l’ansia intergruppi.

- MODELLO INTEGRATIVO DEL CONTATTO → modelli della personalizzazione e della mutua differenziazione
devono essere integrati, non considerati antagonisti. La soluzione al pregiudizio potrebbe essere una successione
temporale di diverse forme di contatto: la prima riguarda un contatto interindividuale, la seconda rendere salienti le
appartenenze di gruppo favorendo il processo di generalizzazione. Provare a stabilire delle relazioni di segno
positivo tra i singoli individui di due gruppi rivali; far cooperare i membri di due gruppi per il raggiungimento di una
meta comune, allo scopo di accrescere le interazioni e la reciproca fiducia; rendere saliente, in maniera sia pur
minima, l’appartenenza di gruppo dei soggetti, così da far apparire la condotta di ciascun individuo come tipica
espressione del gruppo di appartenenza piuttosto che l’esito di un personale modo di essere.

Altri presupposti per ridurre il pregiudizio riguardano: lavorare su sé stessi, sulle relazioni con gli altri, promuovere il
multiculturalismo.

Influenza sociale
Processo tramite il quale atteggiamenti e comportamento sono influenzati dalla presenza, reale o implicita, di altre
persone. Paragonabile al conformismo, ovvero al cambiamento nel comportamento o nelle credenze, risultato di una
pressione sociale reale o immaginata; adesione ad un’opinione o a un comportamento prevalente anche quando
questi sono in contrasto con il proprio modo di pensare. È la tendenza ad approvare l’opinione di un’altra persona o di
un gruppo di persone e, di conseguenza, ad agire in modo diverso da quanto avremmo fatto da soli. È la tendenza a
seguire regole e comportamenti del gruppo a cui si appartiene. Tra i suoi effetti troviamo:
- ACQUIESCENZA/COMPIACENZA: conformarsi pubblicamente ma non privatamente; superficiale, pubblico e
transitorio cambiamento nel comportamento e negli atteggiamenti espressi verbalmente in seguito a richieste,
costrizioni o pressioni da parte di qualcuno

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- CONVERSIONE: conformarsi pubblicamente e privatamente

- INDIPENDENZA/ANTICONFORMISMO

- ANTI-ACQUIESCENZA: conformarsi privatamente ma non pubblicamente

LA FORMAZIONE DELLE NORME (SHERIFF)


Indaga i meccanismi che in situazioni ambigue portano alla formazione delle norme che orientano il comportamento
dei membri di un gruppo e alle quali le persone si attengono anche dopo la fine dell’influenza del gruppo. In un
esperimento sull’effetto autocinetico si è visto che dopo un’esposizione in gruppo ripetuta si forma una norma di
gruppo. La convergenza verso una stima comune nella fase di gruppo non dipendeva da una tendenza a compiacere
pubblicamente agli altri; ma piuttosto dal fatto che il giudizio degli altri veniva usato come fonte di ulteriore
informazione in una situazione di stimoli sensoriali ambigui. In tali circostanze le persone sarebbero portate a pensare
che “il gruppo deve aver ragione”.

IL POTERE DELLA MAGGIORANZA (ASCH)


Egli voleva studiare la capacità degli individui di resistere all’Influenza del gruppo. A questo scopo creò una situazione
percettiva non ambigua nella quali i partecipanti non potevano avere alcun ragionevole dubbio circa la risposta giusta
da dare (confronto tra linee). Sommando tutte le prove, il tasso medio di conformismo è stato il 37% (0.7% per coloro
che hanno dato le risposte individuali). Da un’intervista in seguito all’esperimento è emerso che: tutti provarono ansia,
ebbero senso di timore per la disapprovazione da parte degli altri; la maggior parte di partecipanti spiegò di aver visto
le linee in modo diverso dal gruppo, ma poi pensò di essere in torto rispetto al gruppo; alcuni dissero che avevano
assecondato il gruppo per evitare di rimanere fuori.

È possibile descrivere due diverse tipologie di influenza sociale:


• INFORMAZIONALE/INFORMATIVA → quando un individuo, si trova in situazioni ambigue, confuse, incerte, assume
il comportamento degli altri come fonte di informazioni e si adegua a tale comportamento per uscire dall’impasse.
• NORMATIVA → porta a conformarsi alle aspettative degli altri, per ottenere approvazione sociale o per evitare
disapprovazione sociale (bisogno di accettazione). Gli individui si adeguano per evitare il ridicolo e di essere
considerati estranei. Le persone si possono conformare: per sentirsi sicure della validità oggettiva delle proprie
percezioni e opinioni; per ottenere approvazione sociale ed evitare disapprovazione sociale; per esprimere o
confermare la propria identità sociale come membri del gruppo; per il timore delle conseguenze.
A differenza dell’influenza sociale informativa, la pressione normativa porta a un’accettazione pubblica, ma non
sempre a un’accettazione privata.

Esiste una PREDISPOSIZIONE al CONFORMISMO basata su:


• CARATTERISTICHE INDIVIDUALI: bassa autostima, forte bisogno di sostegno o approvazione, paura del giudizio
negativo, ansia, insicurezza, senso di colpa

• FATTORI SITUAZIONALI: numerosità del gruppo (fino a 8-15 membri), unanimità del gruppo (la ridotta unanimità
della maggioranza e il sostegno offerto al soggetto ingenuo riducono l’influenza normativa: il soggetto ingenuo non è
più solo a dissentire ed è meno preoccupato delle possibili reazioni negative della maggioranza), coesione del
gruppo (in gruppi di elevata coesione si verifica un conformismo maggiore e viceversa), prestigio del gruppo
(maggioranze caratterizzate da maggior prestigio sono più influenti) , rilevanza del gruppo (+ rilevanza, + pressione,
+conformismo), rilevanza dell’argomento, risposta pubblica vs. privata, cultura (persone legate a valori collettivistici si
conformano alle norme del proprio gruppo più di quanto facciano le persone appartenenti a popolazioni legate a
valori individualistici)
Tuttavia, nel conformismo i fattori situazionali contano più della personalità. Il picco si verifica nella prima adolescenza,
tra gli 11 e i 13 anni. L'atteggiamento opposto al conformismo è l’ANTICONFORMISMO, e consiste in un rifiuto delle
idee e dei comportamenti della maggioranza se ritenuti sbagliati. Solitamente si hanno personalità non conformiste
negli artisti, scienziati, filosofi, nei santi, in tutti coloro che si danno la possibilità di libera espressione di sé stessi fuori
dalla forma proposta dall'ambito sociale e storico in cui vivono. Per essere anticonformisti non è necessario compiere
grandi atti rivoluzionari, vivere ai margini, fare scelte estreme. Anche le piccole scelte quotidiane e le piccole grandi
rivoluzioni sono importanti e ci rendono esseri umani capaci di ragionare sulle cose e di decidere per noi stessi al di là
dei condizionamenti sociali o di ciò che ci si aspetta da noi, di percorrere strade più o meno lontane dalla “normalità”,
dal modello largamente diffuso e condiviso.

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EFFETTI DELL’ANTICONFORMISMO: i membri di un gruppo svalutano i membri devianti del proprio gruppo. Un
membro del gruppo che devia dalle norme, si comporta in modo sleale o ottiene prestazioni scadenti rischia di
minacciare il valore del gruppo soprattutto in condizioni di confronto sociale con altri gruppi. La derogazione di questo
membro risulta quindi una strategia ufficiale per prendere le distanze da questo e difendere così l’immagine di tutto il
gruppo e dei membri che vi appartengono. La derogazione del membro deviante ha alcuni vantaggi:
• aiuta a riaffermare le norme all’interno di un gruppo;
• serve da monito per gli altri membri del gruppo;
• rafforza i legami tra i membri e lo spirito di coesione del gruppo.
Resta da capire quali sono i valori e le norme sulle quali i gruppi operano discriminazioni interne. Se il gruppo difende i
valori utili e positivi, denigrare chi devia è una strategia utile. Se invece il gruppo difende i valori negativi, il deviante
(anticonformista) rappresenta una valida alternativa al pensiero di gruppo. In tal senso il cambiamento che può
pervenire da una posizione deviante all’interno di un gruppo è necessario per lo sviluppo dei gruppi e può portare
anche miglioramenti e innovazioni.

INFLUENZA DELLA MINORANZA → anche i gruppi minoritari, i quali non si conformano alle norme della
maggioranza, possono apportare cambiamenti e innescare processi di innovazione. Di solito definisce una posizione
antagonista e alternativa alla maggioranza. Secondo Moscovici: la minoranza non è intesa solo a livello quantitativo,
ma come gruppo che si batte contro le norme dominanti; la maggioranza non è intesa solo a livello quantitativo, ma
come gruppo che assume e diffonde le norme dominanti. Inoltre la capacità del deviante di far cambiare opinione al
gruppo dipende dalla coerenza nel sostenere le proprie idee.
Stili di comportamento e negoziazione che rendono efficace l’influenza della minoranza:
• CONSISTENZA/COERENZA: mantenere un accordo unanime sulle proprie situazioni diverse e momenti diversi.
• AUTONOMIA e INDIPENDENZA nelle proprie posizioni
• FLESSIBILITA’: disponibilità a negoziare compromessi ragionevoli con la maggioranza.
• INNOVAZIONE

Una minoranza coerente mette in crisi la norma della maggioranza e produce incertezza e dubbio; attira l’attenzione
su di sé come entità; dimostra sicurezza e deciso coinvolgimento nel proprio punto di vista. Una minoranza che
propone le proprie posizioni in modo intransigente, rifiutando ogni compromesso non ha molta capacità di influire sulla
popolazione, poiché viene percepita come rigida e dogmatica. Viceversa, una minoranza che propone le proprie
posizioni mostrando apertura e disponibilità al dialogo e al confronto con la maggioranza ha maggiore probabilità di
esercitare la sua influenza, poiché viene percepita come flessibile e non categorica. Una minoranza coerente che
riesce a farsi percepire come impegnata anziché dogmatica induce a un tipo di influenza che determina nelle persone
un cambiamento di atteggiamento soprattutto a livello privato (conversione).
Questa influenza prodotta da un processo di accertamento della validità (processo di convalida) delle tesi della
minoranza. Il membro della maggioranza si impegna a cercare attivamente informazione che gli consentono di
arrivare a capire le posizioni della minoranza. Il pensiero della minoranza è divergente

INFLUENZA DELLA MAGGIORANZA → prodotta da un processo di comparazione: l’individuo confronta la propria


risposta con quella maggioritaria. Focalizza la propria attenzione sulle conseguenze che tale conflitto potrebbe
produrre provando sensazione di disagio e tensione. Il pensiero della maggioranza è convergente.

TEORIA DELL’IMPATTO SOCIALE (LATANE’)


L’impatto sociale è influenzato dal numero di persone, dalla loro forza derivante da status, esperienza, potere, e dalla
loro vicinanza sia fisica che psicologica. L’influenza è multidirezionale, sostenuta da combinazione di motivazioni
diverse (accuratezza, appartenenza, difesa di sé), e mediata da processi cognitivi su diversi punti del continuum.

COMPIACENZA NELLE RELAZIONI DIADICHE (AGENTE-BERSAGLIO): John FRENCH (1956) e Bertram RAVEN
(1959-1965) propongono di distinguere sei diversi tipi di “risorse” che l’agente influenzante può utilizzare per
influenzare il bersaglio. Questi sei diversi tipi di potere prendono comunemente il nome dalla risorsa sulla quale essi si
basano. Il potere di ricompensa si basa sulla capacità dell’agente influenzante, di fornire alla persona bersaglio
premi, vantaggi o comunque di aiutarla a raggiungere obiettivi desiderati. A volte una ricompensa può essere offerta
esplicitamente instaurando una negoziazione: l’agente dell’influenza può promettere, alla persona che vuole
influenzare, qualcosa a patto che essa accetti la proposta. Il potere di coercizione indica la possibilità dell’agente di
costringere la persona bersaglio ad accettare le proprie richieste. Si riferisce all’uso di minaccia di punizione in caso di
non adeguamento alla richiesta. Inteso anche come potere di punizione. Le minacce sono efficaci solo se l’agente
influenzante può essere effettivamente in grado di punire il bersaglio. Il potere di esperienza è quello che hanno gli
esperti dei cui consigli siamo abituati a fidarci: consiglio del medico, dell’avvocato, dell’amico esperto di cuore. Il
potere di riferimento è quello che hanno le persone che noi ammiriamo o alle quali noi vogliamo assomigliare:
facciamo ciò che loro fanno o ciò che ci chiedono di fare perché ci piacciono. Il potere legittimo riguarda la
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consapevolezza della persona bersaglio del fatto che l’agente dell’influenza è legittimato a dare ordini o prescrizioni.
Questo potere deriva o da un gruppo più ampio o da norme sociali. Il potere informativo dipende esclusivamente
dalle informazioni che l’agente dell’influenza trasmette (influenza informativa) e non dal modo in cui la persona
bersaglio percepisce l’agente.

Influenza normativa → ricompensa, coercizione e legittimo

Influenza informativa → riferimento, esperienza e informativo

CIALDINI sostiene che molto spesso ci facciamo influenzare da persone che non hanno alcun potere su di noi. Tra i
principi di influenza si trovano: reciprocità, scarsità, contrasto, impegno, coerenza, autorità, simpatia, riprova sociale,
unità.

MILGRAN focalizza l’attenzione sul potere che deriva dall’autorità legittima. Si chiede ‘Quali sono le condizioni che
possono indurre individui comuni a essere obbedienti e mettere in atto comportamenti distruttivi?’. Una condizione
può essere collegata alla norma dell’obbedienza all’autorità - La convinzione secondo cui le persone sono tenute a
obbedire a chi è dotato di autorità legittima. Le credenziali dell’autorità riguardano lo status, il ruolo e gli abiti, e i
simboli. Ha dimostrato che persone normali accettavano di torturare un innocente sconosciuto inviandogli delle
fortissime scosse elettriche, se l’ordine proveniva da una persona dotata di autorità (lo sperimentatore). Quando tutta
la responsabilità viene ricondotta all’autorità, gli individui entrano in quello che Milgram chiama stato d’agente, ossia
avvertono sé stessi come semplici agenti della figura dotata di autorità. Nella realtà sociale, comunque, esiste quasi
sempre la possibilità di delegittimare chi si trova in posizione di responsabilità. Tra i fattori situazionali che possono
influenzare l’obbedienza troviamo: gli obiettivi rispettabili e lo status/prestigio dell’autorità, il principio di
coerenza, ovvero la percezione di aver preso un impegno che va mantenuto, la prossimità della vittima - maggiore
è il contatto vittima-carnefice minore è l’influenza esercitata dal carnefice sulla vittima - la prossimità dell’autorità -
se lo sperimentatore non è presente nella stanza e si limita ad impartire le istruzioni tramite telefono, la percentuale di
obbedienza si riduce del 20%- libertà di scegliere l’intensità dello shock, e la presenza di un sostegno sociale
che consente di resistere alla pressione della maggioranza. Tra le caratteristiche individuali predisponenti troviamo:
elevato autoritarismo (atteggiamento di sottomissione acritica nei confronti della autorità morale del proprio gruppo
di appartenenza e, in particolare, da un più elevato autoritarismo di destra), dogmatismo (riconoscimento dell’autorità
in modo acritico e chiuso), maggiore fiducia interpersonale, locus of control esterno, tipo di cultura. Nelle
condizioni di tipo gerarchico esiste una forte potenzialità di obbedienza perché la persona di status inferiore
percepisce un annullamento delle responsabilità personali (Stato di Agente). Nella realtà sociale, comunque, esiste
quasi sempre la possibilità di delegittimare chi si trova in posizione di responsabilità. Nella società, infatti, accanto a
norme di obbedienza, essenziali per il suo funzionamento, sono presenti anche strumenti di supervisione e controllo
nei confronti di chi detiene il potere.

Mattias DESMET sostiene che in una dittatura la gente obbedisce per paura fondamentale del dittatore al vertice,
mentre nel totalitarismo le persone sono convinte di obbedire per il bene della collettività.
La TEORIA DEL DIVERTIMENTO, ispirata agli studi sugli stimoli sociali raccontati nel libro “Nudge“dagli economisti
Thaler e Sunstein, intende dimostrare che le persone cambiano più facilmente i comportamenti dannosi per la salute e
l’ambiente, se le si stimola al cambiamento attraverso il divertimento.

Gruppi sociali
Definizioni:

1. Il gruppo è un insieme di due o più persone che interagiscono reciprocamente e sono interdipendenti, hanno
legami affettivi tra loro, condividono uno schema comune di riferimento – Levine e Moreland

2. Struttura in cui i membri sono legati da rapporti di ruolo e di status e in cui si delineano norme e valori comuni
– Sherif

3. Un gruppo esiste quando due o più individui definiscono se stessi come membri e quando la sua esistenza è
riconosciuta da almeno un’altra persona – Brown

La definizione di ciò che è un gruppo include 3 componenti (TAIJFEL):


• una COGNITIVA, cioè la coscienza di fare parte di un gruppo;
• una VALUTATIVA, nel senso che la nozione di gruppo e della propria appartenenza ad esso può avere una
connotazione di valore positiva o negativa;

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• una EMOTIVA, nel senso che gli aspetti cognitivi e valutativi dell’appartenenza di gruppo possono essere
accompagnati da emozioni nei confronti del gruppo stesso e di chi intrattiene relazioni con esso.

Secondo David CAMPBELL esistono tre fattori che permettono agli altri individui di riconoscere un gruppo: •
uno di natura FISICA, ovvero la prossimità (essere fisicamente vicini);
• uno di natura SOCIOCULTURALE, ovvero la somiglianza (condividere lo stile di vita, i costumi, il linguaggio,...);
• uno di natura PSICOLOGICA, che viene definito come destino comune (condividere delle esperienze).

Con il termine ENTITATIVITA’ si fa riferimento alla consapevolezza cognitiva di essere davanti ad un insieme di
persone che può essere definito come gruppo. Esistono diversi tipi di gruppi:
• PRIMARI: soddisfano bisogni primari; persone legate da vincoli di tipo affettivo, forte senso di appartenenza e di
lealtà nei confronti del gruppo
• SECONDARI: si formano per raggiungere finalità, scopi; squadre sportive, gruppi di lavoro, ecc.)
• FORMALI: si formano sotto ordine istituzionale, che ne detta gli obiettivi principali in riferimento ad attività specifiche,
ad es. associazioni sportive, politiche, culturali
• INFORMALI: aggregazioni naturali, spontanee, il cui scopo consiste nell'intensità delle relazioni fra i membri; amici)

CARTWRIGHT & ZANDER (1968) hanno evidenziato caratteristiche distintive dei gruppi: •
interagiscono frequentemente fra loro
• si definiscono come membri dello stesso gruppo
• sono definite dagli altri come un gruppo
• condividono norme su argomenti di interesse comune
• sono unite da sistema di ruoli interconnessi
• si identificano reciprocamente avendo assunto ideali e modelli simili
• trovano il contesto interattivo gratificante
• perseguono scopi comuni
• hanno comune percezione dell’identità
• tendono ad agire in modo unitario nei confronti dell’ambiente

Le FUNZIONI PSICOLOGICHE dei gruppi sono 5 tipologie di BISOGNI:

1. SOCIALI → di sicurezza, dipendenza, sottomissione, dominanza, difesa dell’autostima, riduzione


dell’incertezza

2. che possono essere SODDISFATTI se i membri hanno PARTICOLARI CARATTERISTICHEE/INTERESSI


3. che il gruppo soddisfa in quanto SVOLGE DETERMINATE ATTIVITA’

4. LEGATI A SCOPI SPECIFICI

5. PERSONALI per i quali il GRUPPO è uno STRUMENTO

STRUTTURA DEL GRUPPO:


RUOLO = Ninsieme di comportamenti tipici della posizione occupata all’interno del gruppo. I ruoli sociali riguardano le
aspettative condivise circa i modi in cui una persona in un gruppo si dovrebbe comportare. Alcuni ruoli sono più
desiderabili e incrementano lo status. È possibile distinguere tra ruoli formali (professionali) e ruoli informali. I ruoli:
• portano ordine e prevedibilità in un gruppo;
• emergono nei gruppi per delineare una divisione del lavoro;
• governano le relazioni e le interazioni tra individui e tra i sottogruppi appartenenti al gruppo;
• forniscono aspettative su come i membri si dovrebbero comportare gli uni con gli altri; • la differenziazione tra essi
serve ad agevolare il raggiungimento di uno scopo;
• contribuiscono alla definizione dell’identità di un individuo.
BALES divide i ruoli in compito strumentale e socio-emozionale, e inoltre, propone un sistema di osservazione
dell’interazione di gruppo (IPA) per codificare l’osservazione e l’analisi delle interazioni di gruppo. Il SYMLOG
permette di osservare il ruolo dei membri di un gruppo su tre dimensioni: amichevole/non amichevole;
dominante/sottomesso; strumentale/espressivo. Altri tipi di ruolo sono: i ruoli autocentrati, l’isolato, il clown del gruppo,
il cinico, il blocker, l’avvocato del diavolo. I ruoli hanno effetti potenti, dal momento che, ciò che inizia come
rappresentazione di un ruolo nel teatro, della vita, viene progressivamente assimilato all’interno della percezione

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del proprio sé. Alcune volte attribuiamo alle disposizioni e alla personalità di un individuo un comportamento
derivante dal suo ruolo – l'ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE. Dall’esperimento della prigione di
Stanford sono emersi due meccanismi: la deindividuazione, ossia la sensazione di anonimato che porta ad
impulsività, irrazionalità e regressione, e la riduzione del senso di responsabilità provata in seguito all’identificazione
con il ruolo. Zimbardo parla di cosiddetto EFFETTO LUCIFERO, quel processo per cui l'aggressività è fortemente
influenzata dal contesto in cui l'individuo si trova.

CONCETTO DI FOLLA
Per • DIENER, nella folla le persone perdono autoconsapevolezza dirigendo l’attenzione sull’esterno, invece che su
sé stessi. Come conseguenza le persone sono meno influenzate dai valori personali e più influenzate da stimoli
e norme presenti nell’ambiente.
• LE BON, anonimato, contagio e suggestionabilità, caratteristiche tipiche della folla, causano negli individui
perdita di razionalità e di identità, creando la mente di gruppo. Sotto l’influsso della mente di gruppo, si
scatenano gli istinti distruttivi degli individui generando violenza e comportamenti irrazionali.
• REICHER la folla non comporta una perdita di identità, ma uno spostamento dall’identità personale all’identità
sociale. Questo implica che gli individui adotteranno comportamenti ad atteggiamenti che ritengono tipici del
gruppo di cui fanno parte.
La DEUMANIZZAZIONE è la negazione dell’umanità dell’altro – individuo o gruppo – che introduce un’asimmetria tra
chi gode le qualità prototipiche dell’umano e chi ne è privato, o considerato carente. È una forma radicale di
svalutazione dell’altro, che nel corso della storia ha accompagnato conflitti e stermini. L’altro viene completamente
escluso dall’umanità, ridotto ad animale o oggetto. Questo fenomeno spiega i crimini di guerra e le atrocità.

STATUS = valutazione condivisa del prestigio di un ruolo o di chi occupa un ruolo in un gruppo o del prestigio di un
gruppo e dei suoi membri nel complesso. Nei gruppi formali le differenze di status sono imposte dall’esterno, nei
gruppi informali esistono 2 ipotesi:

1. TEORIA DELLE ASPETTATIVE DI STATUS (BERGER) → considera il formarsi dei ruoli come una
conseguenza delle aspettative basate sulle caratteristiche che le persone hanno, le quali possono predisporre le
persone a dare un contributo maggiore.
2. TEORIA ETOLOGICA (MAZUR) → lo status assegnato si basa sulla valutazione di alcune caratteristiche
fisiche o su altri indicatori che possono determinare la forza (il portamento, il tono della voce)

I LEADER sono i membri di status più elevato all’interno del gruppo. Essi influenzano gli altri membri del gruppo più di
quanto siano essi stessi influenzati. Esistono vari modi tramite cui i leader raggiungono la loro posizione: a seguito di
elezione, nomina, usurpazione, emergenza spontanea in modo informale. La leadership efficace è collegata ad alcune
caratteristiche della personalità (come l’estroversione, l’apertura mentale e la coscienziosità) ma, da sola, la
personalità non è sufficiente. Esistono diverse teorie che spiegano la leadership:

1. TEORIA DELLA PERSONALITA’ → certi individui avrebbero delle caratteristiche o qualità innate che li
renderebbero dei leader e che, dunque, li differenzierebbero dai non leader. Almeno 75 caratteristiche della
personalità correlabili con capacità di leadership Secondo Bass le più importanti: intelligenza, determinazione,
sicurezza, dominanza, socievolezza/estroversione, orientati al risultato, adattabilità, spirito di iniziativa, fiducia in sé
stessi, controllo emotivo, capacità di tollerare lo stress. Tratti di personalità maggiormente in relazione con la
leadership: capacità (abilità verbali, intelligenza), tratti sociali (aggressività, estroversione, umorismo), altri tratti
di personalità (affidabilità, apertura mentale, competitività, determinazione, etc.). Critiche: la leadership è un
fenomeno complesso di interazione che coinvolge il leader, i membri del gruppo e la situazione.
2. TEORIA DEGLI STILI DI LEADERSHIP (LEWIN e LIPPIT) → l’efficacia del leader dipende dal modo in cui il
leader svolge questo ruolo. Nella loro ricerca introducono tre stili di leadership: autoritario (fornisce direttive,
impone regole, stabilisce passi, attribuisce compiti, esprime critiche non costruttive), democratico (coinvolge il
gruppo nelle decisioni, fornisce pareri lasciando libera scelta, aiuta e suggerisce, stimola l’iniziativa, è cordiale e
fiducioso), permissivo (lascia il gruppo libero di agire, limita il suo intervento).

• Risultati: leadership AUTORITARIA/AUTOCRATICA


- Totale incapacità d’iniziativa all’attività di gruppo
- Prestazioni alte ma solo con controllo diretto
- Produttività crolla dopo allontanamento del leader
- Rapporto di sottomissione al leader

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- Frustrazione e aggressività rivolta verso il leader meno soddisfazione dei membri, più aggressività ed egocentrismo
- I leader autocratici generano aggressività e dipendenza nei confronti del leader, i membri lavorano più duramente,
ma solo se è presente il leader.

• Risultati leadership PERMISSIVA


- Atmosfera piacevole
- Orientamento al compito scarsissimo
- Prestazione scarsa, aumenta in assenza del leader
- I leader permissivi sono valutati abbastanza positivamente, ma il gruppo produce poco. Paradossalmente, la
produttività del gruppo aumenta quando il leader non c’è.

• Risultati leadership DEMOCRATICA:


- Relazione amichevole leader-membri/più spontanei
- Alta soddisfazione, collaborazione ed atmosfera amichevole, autostima, efficienza.
- Coesione elevata
- Prestazioni buone anche senza controllo diretto/Limitata diminuzione dell’attività in assenza del leader - Più libertà
nel dare suggerimenti
- In relazione al tipo di linguaggio utilizzato (“io” vs. “noi”) emerge un differente sentimento di appartenenza: più
intenso nel gruppo democratico.
- Motivazione al lavoro: la presenza o l’assenza del leader non ha rilevanza
- I leader democratici sono i preferiti, e l’atmosfera all’interno del gruppo è amichevole, i membri lavorano sia quando
è presente, sia quando è assente il leader

Secondo gli autori questa leadership mostra una superiorità rispetto le altre.

TEORIA DELL’INTERAZIONE TRA SITUAZIONE E LEADERSHIP TEORIA


DELLA CONTINGENZA (FIEDLER) → distinzione tra:
• CARATTERISTICHE LEADER = orientato alle relazioni (rilassati, non autoritari) o orientato al compito (autoritari,
puntano sul successo del gruppo e traggono autostima dal risultato piuttosto che dall’apprezzamento del gruppo);
• CONTROLLO SITUAZIONE = classificazione delle caratteristiche del compito basata su quanto controllo richieda
l’esecuzione efficace di un compito (alto, medio, basso).

Esistono delle VARIABILI che determinano il CONTROLLO DELLA SITUAZIONE: qualità relazioni leader – membri,
struttura/chiarezza del compito, e potere della posizione del leader. Non esistono leader più o meno efficaci; chiunque
può essere un buon leader se viene data la situazione adatta; l’efficacia di un leader può essere migliorata creando le
condizioni migliori, ad esempio, aumentando o diminuendo la posizione di potere, cambiando la struttura del compito
o influenzando le relazioni tra i membri.

L. orientato al compito L. orientato alle relazioni


Controllo basso + efficace - efficace
Controllo medio - efficace + efficace
Controllo alto + efficace - efficace

KERR e JERMIER (1978) hanno identificato diverse caratteristiche che potrebbero determinare la leadership:

- dei SUBORDINATI (abilità, esperienza, formazione e conoscenza; bisogno di indipendenza; orientamento


professionale; indifferenza verso i premi),

- del COMPITO (non ambigui; intrinsecamente soddisfacenti; compiti che forniscono un feedback)

- dell’ORGANIZZAZIOE (grado di formalizzazione organizzativa; rigidità di ruoli; coesione del gruppo di lavoro;
grado di supporto da parte dei superiori; presenza di premi organizzativi non controllati dal leader; distanza fisica
fra leaders e subordinati)

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Le NORME costituiscono credenze/aspettative condivise rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi i membri del
gruppo. Le norme fanno parte della nostra vita sociale e sono accettate, nella maggior parte dei casi, come qualcosa
di lecito ed essenziale. Hanno un’influenza sulla nostra condotta, molto spesso in modo implicito o inconsapevole.
Esistono diverse tipologie di NORME SOCIALI:

- ISTITUZIONALI: norme imposte dal leader o da autorità esterne al gruppo

- VOLONTARIE: norme che derivano dalla contrattazione tra i membri del gruppo

- DESCRITTIVE: corrispondono a quello che i membri del gruppo fanno in una situazione. Hanno lo scopo di
fungere da punto di riferimento quando la realtà è ambigua.

- PRESCRITTIVE: specificano quello che “dovrebbero fare” e rappresentano la moralità del gruppo. Agiscono come
meccanismo di regolamento dei comportamenti.

Le norme prima si trasmettono tra i membri del gruppo, poi alcune di queste selezionate si stabilizzano e rimangono
cristallizzate nella cultura del gruppo. In gruppi informali le norme emergono da interazione e sono vissute come
schemi personali e come “naturali”. Svolgono diverse funzioni:

- sono un sistema di riferimento attraverso cui si interpreta il mondo

- guidano l‘individuo nelle situazioni nuove o ambigue (esperimento di Sherif sull’effetto autocinetico).

- coordinano le attività dei membri del gruppo

- contribuiscono a determinare chi fa parte e chi non fa parte del gruppo

Secondo CARTERIGHT e ZANDER le norme sociali permettono:

- AVANZAMENTO DEL GRUPPO: le pressioni verso l’uniformità possono servire al raggiungimento degli obiettivi

- MANTENIMENTO DEL GRUPPO: alcune norme, come ad esempio le richieste per incontri regolari, permettono al
gruppo di preservarsi

- COSTRUZIONE REALTA’ SOCIALE: formazione di una concezione comune della realtà sociale, utile per
fronteggiare situazioni non familiari e come riferimento per l’autovalutazione

- DEFINIZIONE RAPPORTI CON AMBIENTE SOCIALE: permettono di definire le relazioni con altri gruppi,
organizzazioni, istituzioni, e stabilire quali gruppi siano “alleati” o “nemici
I comportamenti nei gruppi possono essere diversi:

• FACILITAZIONE SOCIALE → in presenza di altri, le persone tendono a eseguire meglio i compiti facili e ben
appresi, peggio quelli difficili e poco appresi.
- TEORIA DELLA PULSIONE (ZAJONC) → la mera presenza di altri membri della stessa specie aumenta i
livelli di attivazione fisiologica o della pulsione per predisporre l’individuo all’azione (forze e pulsioni
sconosciute alla coscienza). Tale attivazione: aumenta la probabilità di comparsa delle risposte abituali e
apprese bene (compiti facili), limita la comparsa di risposte nuove e non apprese bene (compiti difficili). Se le
risposte dominanti che seguono l’attivazione sono corrette si avrà una migliore prestazione, se non lo sono
si avrà inibizione sociale. Non sempre si trovano gli stessi risultati di Zajonc, l’attivazione può essere dovuta
ad altri fattori (preoccupazione di essere valutati, controllo di una persona imprevedibile, bisogno di badare
contemporaneamente al compito e all’altra persona), i dati fisiologici non sono compatibili con l’aumento
dell’attivazione, le spiegazioni fisiologiche non tengono conto dei fattori cognitivi, percettivi e sociali.
- TEORIA DELLA DISTRAZIONE-CONFLITTO (BARON) → postula l’esistenza di un conflitto tra l’attenzione
ad altri e l’impegno nel compito: il peggioramento della performance in presenza di un pubblico è legato alla

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distrazione che questo provoca. Questo conflitto crea attivazione, con conseguenti risposte dominanti. La
ricerca sulla facilitazione sociale si concentra principalmente sul tipo più elementare di situazione di gruppo:
quella in cui le persone sono semplicemente in presenza di altri, senza lavorare o interagire con loro. La
presenza sociale ha un impatto più forte quando le persone interagiscono tra loro.
• PIGRIZIA/INERZIA SOCIALE → si verifica l’effetto di pigrizia sociale o social loafing/effetto Ringelmann:
ossia avviene una riduzione nell’impegno individuale quando si svolge un compito semplice in gruppo
rispetto a quando lo si svolge da soli. Ragioni per cui rimaniamo inerti quando ci troviamo in un gruppo: equità
del risultato, paura del giudizio, conformità allo standard. Tuttavia, stare in un gruppo talvolta può motivarci a
lavorare persino con più intensità di quando siamo soli: questo fenomeno prende il nome di compensazione
sociale, che indica un incremento di impegno in un compito collettivo per compensare la mancanza di
impegno o di capacità – reale, percepita o prevista – di altri membri del gruppo. Questa tendenza è meno
comune quando il compito è coinvolgente e interessante, quando il nostro contributo è chiaramente
individuabile o quando il gruppo è importante per la definizione del nostro sé. Per contrastarla, dunque,
occorre accrescere l’identificabilità e valutazione del contributo individuale, la percezione di responsabilità
personale, il coinvolgimento con scopi di gruppo, la fiducia reciproca e l’identificazione col gruppo.
• EFFETTO TESTIMONE → l’intervento di soccorso a qualcuno in difficoltà è molto più probabile se l’individuo
ritiene di essere l’unica persona presente nella situazione. La numerosità dei presenti influisce sulla decisione
di aiutare: più sono le persone che assistono alla richiesta di aiuto, minore è la probabilità che l’individuo
intervenga in soccorso della “vittima”. Le cause di questo effetto sono:
- DIFFUSIONE della RESPONSABILITA’ = quando le persone pensano che qualcun altro potrebbe intervenire e
si sentono meno responsabili di farlo. La responsabilità dell’aiuto è “condivisa”, quindi ognuno si sente un po’
“meno obbligato” a far qualcosa.
- IGNORANZA PLURALISTICA (collettiva) – (influenza sociale informativa) = nelle situazioni ambigue osserviamo
gli altri per capire cosa fare, ma anche loro osservano noi (e tutti rimangono passivi). - INIBIZIONE del PUBLICO
(Influenza sociale normativa) = la presenza degli altri attiva un’ansia da valutazione, che deriva dal timore di agire
in modo inappropriato o di compiere un errore di fronte agli altri. Il desiderio di evitare il ridicolo inibisce le persone
a reagire di fronte a un’emergenza. Altri fattori riguardano la fretta e la cultura.

POLARIZZAZIONE DELLE DECISIONI NEI GRUPPI


In molte situazioni i gruppi devono prendere delle decisioni per cui non esiste una risposta oggettivamente giusta. I
gruppi talvolta possono prendere decisioni rischiose o adottare posizioni estreme. La polarizzazione di gruppo
riguarda la tendenza della discussione di gruppo a produrre decisioni di gruppo più estreme delle iniziali
opinioni (coloro che inizialmente erano d'accordo dovrebbero essere più d'accordo dopo la discussione di gruppo, e
quelli che inizialmente non erano d'accordo dovrebbero discostarsi ancora più fortemente dopo la discussione di
gruppo). Esistono diverse spiegazioni:

- TEORIA DELLE ARGOMENTAZIONI PERSUASIVE (BURNSTEIN & VINOKUR): Visione secondo cui le persone
nei gruppi sono persuase da informazioni originali che avallano la loro posizione di partenza, la quale viene così
sostenuta in modo più estremo.
- CONFRONTO SOCIALE/VALORI CULTURALI (SANDERS & BARON): ampiamento della Teoria di Festinger -
Attraverso la discussione di gruppo, le persone modificano le proprie opinioni conformandosi a ciò che pensano gli
altri o a ciò che è culturalmente apprezzato.

- TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE: teoria dell’appartenenza al gruppo e delle relazioni intergruppo basata sulla
categorizzazione del sé, il confronto sociale e la costruzione di una definizione di sé condivisa fondata sulle
proprietà che definiscono l’ingroup

Le condizioni che possono condurre a POLARIZZAZIONE sono 3 livelli:


1) di CONFLITTUALITA’: i gruppi più conflittuali raggiungono il consenso su atteggiamenti più polarizzati. I gruppi
meno conflittuali raggiungono il consenso su atteggiamenti meno polarizzati.
2) di FORMALIZZAZIONE DEL GRUPPO: se la comunicazione è fredda in un gruppo gerarchico dove ci sono
procedure formalizzate non c’è polarizzazione. Al contrario se la comunicazione è calda può far emergere un giudizio
più polarizzato.
3) di IMPLICAZIONE DEI MEMBRI DEL GRUPPO: questa ha a che fare con il coinvolgimento, l’impegno, il grado di
importanza che una questione ha per me. Inoltre, dipende anche da:

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• livello di consapevolezza dei singoli membri del gruppo e di omogeneità degli stessi
• quanto i membri del gruppo si sentono parte di una comunità identitaria che non ammette il dissenso • la
distribuzione iniziale delle opinioni

SUNSTEIN parla di IMPRENDITORI della POLARIZZAZIONE, persone che riescono a spingere verso una maggiore
radicalizzazione e guidare i membri di tali gruppi verso le azioni più scellerate e violente (ad esempio terroristi).
Il PENSIERO DI GRUPPO riguarda il comportamento di gruppo funzionale esibito dai membri per minimizzare i
conflitti e raggiungere il consenso senza valutare con attenzione le possibili alternative, e la modalità di pensiero in cui
il desiderio di raggiungere l’unanimità prevale sulla motivazione a adottare procedure decisionali logiche e razionali.
JANIS ha analizzato alcune decisioni di politica estera prese dagli Stati Uniti tra il 1940 e il 1980, trovando che
quando la decisione era sbagliata erano presenti varie caratteristiche:
• FORTI PRESSIONI nei confronti dei membri devianti/coloro che dissentono per indurli a conformismo
• AUTO CENSURA = dubbi e perplessità non vengono espresse.
• ILLUSIONE DI UNAMINITA’ = apparente unanimità basata su falso consenso
• SOPRAVVALUTAZIONE DEL PROPRIO GRUPPO = illusione della correttezza e dell’efficacia di gruppo; Illusione di
invulnerabilità; eccessivo ottimismo (credenza indiscussa che il gruppo abbia ragione)
• PERCEZIONE DISTORTA DEL GRUPPO ESTERNO = formazione di stereotipi negativi dell’outgroup
• CREAZIONE DEL MINDGUARDS = i membri proteggono il gruppo e il leader da informazioni problematiche o
contraddittorie che possano indebolire la coesione e la decisione del gruppo.
• ELEVATA COESIONE DI GRUPPO
• ISOLAMENTO RISPETTO ALL’AMBIENTE ESTERNO (dalle informazioni esterne)
• TENDENZA AD IGNORARE/SCREDITARE L’INFORMAZIONE CONTRARIA alla posizione del gruppo
• STILE DEL LEADER (asimmetria di potere, formalità gerarchica; un leader direttivo)
• STRESS DOVUTO ALLA PRESSIONE E COMPLESSITA’ DEL COMPITO = bisogna prendere la decisione in fretta
• INSUFFICIENZA NELLE PROCEDURE DECISIONALI; non sono considerate idee alternative

Esistono diverse strategie per evitare il pensiero di gruppo:


• il leader dovrebbe assegnare qualcuno al ruolo di coscienza critica del gruppo, di “avvocato del diavolo”
• limitare ricerca prematura del consenso
• aumentare l’apporto di tutti i membri
• ciascun membro del gruppo dovrebbe regolarmente riguardare criticamente le decisioni prese dal gruppo.
• uno o più esperti esterni dovrebbero essere invitati a partecipare alle riunioni del gruppo.
• rendere il gruppo consapevole delle varie informazioni • Usare strategie decisionali efficaci

Comportamednto prosociale
Esso indica un’azione compiuta al fine di beneficiare un’altra persona o un gruppo. Il comportamento di aiuto
consiste in azioni compiute intenzionalmente a favore di qualcun altro che si rivela vantaggioso anche per l’attore.
L’ALTRUISMO è una qualità (morale) che consiste nell’interessarsi al benessere degli altri senza aspettative di
ricompensa, nel desiderio di aiutare qualcuno anche se ciò comporta un costo. Una precondizione necessaria all’aiuto
è credere che esso sia efficace. Esistono 3 approcci che spiegano le motivazioni che stanno alla base dei
comportamenti prosociali:

- TEORIA SOCIOBIOLOGICA → esiste una distinzione tra due spiegazioni del comportamento cooperativo negli
animali e negli uomini: MUTUALISMO, in quanto per sopravvivere si ha bisogno degli altri, e SELEZIONE
FAMILIARE, in quanto il comportamento prosociale si trova soprattutto verso i propri parenti perché ciò permette la
diffusione dei propri geni. Muovendo da un’analogia con l’evoluzionismo genetico, l’EVOLUZIONISMO
CULTURALE assegna all’altruismo un ruolo sociale: attraverso la collaborazione i membri di gruppi sociali
sviluppano e mantengono una rete di relazioni che costituisce il prerequisito perché si possa sviluppare un senso
di appartenenza al gruppo e lo sviluppo di identità sociale (di conseguenza si aiuta più volentieri i membri del
proprio gruppo che di un altro).

- TEORIA DI NORME SOCIALI → gli individui sono influenzati dai valori e dalle norme che condividono con gli altri
membri del loro gruppo. Le norme forniscono un riferimento permanente di come dovremmo comportaci. A
fondamento dell’altruismo sono state proposte due norme: NORMA DI RECIPROCITA’, risponde al principio: “Fai
agli altri quello che gli altri fanno a te” e può riferirsi alla restituzione di un favore, alla reciproca aggressione o al
reciproco aiuto, e la NORMA DI RESPONSABILITA’ SOCIALE, secondo cui dovremmo aiutare le persone che
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dipendono da noi e che hanno bisogno. All’interno di questa teoria troviamo l’ipotesi del mondo giusto, secondo cui
le persone hanno bisogno di credere che il mondo sia un luogo giusto dove si ottiene ciò che si merita.
Fortunatamente la maggior parte di noi è convinta del fatto che la sofferenza è immeritata.

- TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCALE → il comportamento prosociale viene appreso attraverso le istruzioni,


attraverso il rinforzo e attraverso l’esposizione ai modelli. Il MODELLAMENTO consiste nella tendenza di una
persona a riprodurre le azioni, gli atteggiamenti e le risposte emotive di un modello, tratto dalla vita reale oppure
simbolico. È definito anche apprendimento per osservazione.

Il comportamento prosociale si sviluppa nei bambini a partire dai primi due anni di vita, grazie a 3 fattori principali:
• OSSERVAZIONE RIPETUTA E COSTANTE DEL COMPORTAMENTO DELLE FIGURE GENITORIALI, o di chi ne
fa le veci: osservando come le figure di riferimento si relazionano con essi e con gli altri.
• SVILUPPO DELLA FACOLTA’ DI PERCEZIONE-AZIONE NEL SN, che stimola le capacità empatiche.
• CARATTERISTICHE DELL’AMBIENTE FAMILIARE E CULTURALE IN CUI SI CRESCE: un ambiente in cui si
sottolinea l’importanza della relazione con l’altro, del rispetto, dell’ascolto delle esigenze e dei suoi sentimenti,
dell’interdipendenza reciproca, della prossimità, della fiducia e dell’aiuto reciproco, sviluppa nei bambini un forte
senso di responsabilità sociale e di pro-socialità.

Ci sono 3 importanti comportamenti prosociali che un bambino dovrebbe imparare:

• dell’AIUTARE = insegnare a un bimbo a rimuovere la sofferenza di un’altra persona, permette di aumentare il


suo senso consapevolezza di essere una brava persona.
• del COOPERARE = i bambini che non sono in grado di cooperare fanno molta più fatica nel riuscire a
lavorare efficacemente con gli altri durante il percorso scolastico. Inoltre, dalla
cooperazione i bambini imparano a delegare le responsabilità.
• della CONDIVISIONE = un bambino che è in grado di condividere i suoi giocattoli con gli altri è destinato a
diventare un adulto generoso.

I fattori che determinano il comportamento prosociale sono situazionali e individuali.

- SITUAZIONALI → EFFETTO TESTIMONE (spettatore) /apatia spettatore: è meno probabile che le persone aiutino
in un’emergenza quando sono insieme ad altri rispetto a quando sono da sole. Maggiore è il numero degli
spettatori, minore è la probabilità di aiuto da parte di qualcuno di loro. Secondo il modello cognitivo di Latanè e
Darley le fasi principali prima di prendere la decisione di intervenire sono: prestare attenzione all’evento,
interpretarlo e definirlo come un’emergenza, assumere una responsabilità e adottare strategie di intervento.
Attraverso diversi esperimenti sono stati individuati tre processi fondamentali dell’effetto testimone:
1) diffusione della responsabilità -> si verifica quando più individui stanno osservando una situazione di
emergenza (in cui qualcuno ha bisogno di aiuto) ma non intervengono (o ritardano o esitano a intervenire)
perché pensano che qualcun altro potrebbe intervenire e si sentono meno responsabili di farlo; la responsabilità
dell'aiuto è diffusa tra il gruppo di presenti e ogni persona non sente tale responsabilità, quindi nessuno aiuta. La
responsabilità dell’aiuto è “condivisa”, quindi ognuno si sente un po’ “meno obbligato” a far qualcosa. Ciascuna
delle persone presenti finisce per pensare che qualcun altro abbia già provveduto a fare qualcosa.
2) influenza sociale informativa -> osserviamo gli altri per capire cosa fare, ma anche loro osservano noi (effetto
dell’ignoranza pluralistica)
3) inibizione del pubblico -> la presenza degli altri attiva un’ansia da valutazione, che deriva dal timore di agire in
modo inappropriato o di compiere un errore di fronte agli altri. Il desiderio di evitare il ridicolo inibisce le persone
a reagire di fronte a un’emergenza. Inibizione da pubblico si può presentare in qualsiasi situazione di
emergenza, non necessariamente legata alla necessità di prestare aiuto a qualcuno. Secondo il MODELLO DI
CALCOLO DI COSTI E BENEFICI di PILIAVIN le persone provano un disagio nel vedere qualcuno soffrire e
valutano i costi dell’azione e del non azione. Aiutare qualcuno può avere un costo ma anche non aiutare (senso
di colpa). Esistono tre fasi: fase di attivazione fisiologica, fase di etichettatura dell’attivazione e fase della stima
dei costi. Secondo la TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE di HOMANS tra i costi si collocano: il timore di
subire conseguenze negative, il timore che il nostro intervento sia disapprovato socialmente e fattori situazionali.
Tra i benefici troviamo: la probabilità di essere ricambiati, il sollievo e l’approvazione sociale. Se vi sono costi alti
la probabilità di aiuto diminuisce.

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- INDIVIDUALI → non esistono individui dotati di altruismo “in assoluto”; la psicologia sociale sottolinea come i
comportamenti d’aiuto dettati dall’altruismo siano piuttosto il risultato dell’interazione tra le caratteristiche personali
di ogni individuo e le specifiche situazioni di vita che egli si trova ad affrontare. Ciò vuol dire che le persone
possono essere guidate dall’altruismo e fornire aiuto in un determinato contesto ma non in un altro. I fattori
situazionali solitamente hanno maggior peso di quelli personali nel motivare il comportamento prosociale. Tuttavia,
ci sono attributi personali che accrescono la disponibilità delle persone ad aiutare gli altri. Questi includono lo stato
d’animo positivo e un alto livello di competenza da parte dell’individuo. Rushton ha scoperto che in genere i gemelli
omozigoti sono più simili nella tendenza all’altruismo rispetto ai gemelli eterozigoti. Secondo varie ricerche, la
personalità altruistica sarebbe associata ad alcuni TRATTI DI PERSONALITA’: alta autostima, forte senso di
responsabilità sociale, locus of control interno, alto senso morale, basso bisogno di approvazione esterna, alta
mindfulness, forte spiritualità, Big Five (amicalità), empatia. Diversi autori hanno confermato una RELAZIONE
EMPATIA ed ALTRUISMO. L’empatia si riferisce al “trasportarsi in modo immaginario nei pensieri, sentimenti e
azioni di un’altra persona”. Esistono diversi tipi di empatia:
1) preoccupazione empatica: vicinanza emotiva e calore umano, possono motivare un comportamento
altruistico; 2) rabbia empatica: è legata ad una valutazione di tipo morale;
3) tristezza: può mescolarsi con uno stato di attivazione spiacevole; se troppo forte può trasformarsi in angoscia;
4) assunzione di prospettiva: un processo cognitivo di immedesimazione
Secondo l’ipotesi empatia-altruismo, o EAH, l’altruismo è evocato da sentimenti di empatia. Quando una persona
assiste alla sofferenza di un’altra persona, può provare stress (disagio/ansia/angoscia) o empatia (sentimenti di
affetto, disponibilità, compassione nei confronti di una persona in difficoltà). Se prova lo stress, la persona può
fuggire dalla situazione, oppure se decide di aiutare sarà motivata dalla volontà di diminuire il proprio stress.
Questo non potrà essere considerato comportamento altruistico, bensì egoistico. Il comportamento altruistico
deriva solamente dall’empatia, perché lo scopo ultimo è quello di giovare al benessere dell’altro, e non al proprio.
Secondo il MODELLO DEL SOLLIEVO DALLO STATO NEGATIVO di CIALDINI osservare una persona in
difficoltà suscita un’emozione spiacevole nell’osservatore spingendolo ad agire; l’aiuto alla persona bisognosa
sarebbe motivato dalla volontà di alleviare il proprio disagio.
Nel comportamento prosociale influisce anche la COMPETENZA, in quanto sentirsi in grado di affrontare
un’emergenza rende più probabile il comportamento prosociale/altruistico, e l’UMORE, perché il buon umore aiuta a
prolungare lo stato positivo. Secondo il modello dell’infusione dell’affetto di Forgas quando siamo di buon umore,
le informazioni positive diventano più accessibili nella memoria (congruenti con l’umore) - compresa la tendenza al
comportamento prosociale. Il nostro umore viene utilizzato come informazione per capire il contesto. Se mi sento
bene, allora la situazione è sicura, quindi posso aiutare gli altri. Esistono delle differenze di genere: le donne,
solitamente, sono più sensibili alle situazioni di bisogno degli altri. In un contesto misto, è più probabile che gli uomini
aiutino una donna in difficoltà che viceversa. Inoltre, gli uomini aiutano più gli estranei e nelle situazioni pericolose,
mentre le donne gli amici. La dimensione della città di residenza può avere influenza sulla disposizione ad aiutare:
all’aumentare della popolazione (cioè nei paesi più grandi e nelle città), le azioni di aiuto diminuiscono. Questo perché
la popolazione rurale è più attenta al prossimo, meno stressata, meno frettolosa e meno disturbata dal rumore. Altri
fattori sono: la somiglianza, l’appartenenza al gruppo, l’attrattività. Il volontariato coinvolge un aiuto pianificato,
un impegno continuativo, anche con costi di tempo, energia, opportunità. Le funzioni sono diverse:
• VALORIALE valori umanitari, altruisti, compassionevoli
• CONOSCITIVA compiere nuove esperienze, avere nuove conoscenze, anche su di sé
• SOCIALE mantenere o incrementare le relazioni con gli altri
• CARRIERA utilità per carriera lavorativa
• PROTETTIVA proteggere il sé da stati d'animo negativi, da problemi personali
• ACCRESCIMENTO importanza personale, autostima

Comportamento aggressivo
Per comportamento aggressivo si intende il comportamento di un individuo diretto a provocare un danno fisico o
psicologico ad altri. L’AGGRESSIVITA’ consiste in un insieme di azioni dirette a colpire uno o più individui tale da
provocare loro sofferenze di natura fisica e/o morale, oppure la morte. Spesso il termine aggressione viene usato per
intendere comportamenti diversi: conflitto, competizione, coercizione, violenza e bullismo. Secondo FERGUSON e
RULE i criteri per stabilire l’aggressività di un’azione sono:

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- il danno effettivamente arrecato (anche se esistono comportamenti che, pur non recando danno, sono da
descriversi come aggressivi)

- l’intenzione di nuocere

- l’azione viola norme sociali


Esiste una controversia tra natura e cultura. Il fatto che lo stesso stimolo non provochi sempre la stessa risposta nello
stesso animale/uomo ci costringe a considerare il ruolo di fattori causali interni oltre che di quelli esterni nella genesi
del comportamento. Gli studiosi suggeriscono che il comportamento umano sia frutto dell’interazione di entrambi.
Secondo le TEORIE EVOLUZIONISTICHE la natura conta più della cultura. L’aggressività animale è un tema che ha
incuriosito l’uomo fin dai suoi albori. La violenza, generata dall’aggressività, la si ritrova in diverse situazioni del
mondo naturale, dai comportamenti sociali al rapporto preda – predatore, e persino nella cura della prole.
L’aggressività è un ISTINTO AL SERVIZIO DELLA CONSERVAZIONE DELLA SPECIE. Il comportamento
aggressivo ha una funzione adattiva al servizio della specie (la base innata). Gli esemplari più aggressivi di una
specie hanno maggiore probabilità di affrontare con successo la sfida della sopravvivenza riuscendo così a riprodursi
e trasmettendo le proprie caratteristiche – tendenze aggressive incluse - alla generazione successiva. Tra gli esseri
umani, il comportamento aggressivo può essere adottato per garantirsi un vantaggio economico e sociale. Il
comportamento aggressivo viene visto come un’azione guidata dalla presenza/assenza di risorse. Secondo Wilson la
flessibilità dell’aggressività dipende direttamente dalla conquista delle risorse naturali, che genera forti forme di
competizione. Secondo il MODELLO PSICO-IDRAULICO di LORENZ l’aggressività animale è guidata da un modello
motivazionale. Lorenz considerava un serbatoio ipotetico in cui il livello del liquido corrisponde al livello di motivazione.
Come il liquido posto in un contenitore trabocca se non viene fatto defluire, così l’energia istintiva se non viene
scaricata può trasformarsi in aggressività. Quindi, l'aggressività non si può eliminare ma si può incanalare e
dirigere verso forme di scarica non pericolose come attività sportive. Lorenz definisce l’aggressività come una
FORZA DISPERSIVA ed ASOCIALE, che si radica da un vero e proprio istinto innato verso l’aggressività. Secondo
lui, esisterebbero 2 tipi di comportamenti aggressivi, quelli INTRASPECIFICI ed INTERSPECIFICI. Solo i primi
dovrebbero essere considerati come aggressivi veri e propri, perché sarebbero legati al “far del male”, un’azione
slegata dalla semplice sopravvivenza. Lorenz estese le sue argomentazioni agli umani, i quali devono essere in
possesso di un istinto al combattimento.
Gli etologi sottolinearono gli aspetti positivi, funzionali dell’aggressività, ma individuarono anche che, mentre il
potenziale o l’istinto aggressivo può essere innato, il comportamento aggressivo reale è suscitato da stimoli specifici
dell’ambiente, conosciuti come CATALIZZATORI. L’etologia suggerisce che: una volta che iniziamo a essere violenti,
non sembriamo capire quando fermarci; facciamo ricorso alle armi. Gli umani hanno la capacità di danneggiare gli altri
facilmente e con pochissimo sforzo. Altri studiosi, come LOMBROSO, hanno cercato di individuare le BASI
BIOLOGICHE dell’aggressività. Negli anni ’60 gli studi si concentrarono sulle disfunzioni genetiche responsabili
delle tendenze aggressive. Nel 1965, Patricia JACOBS descrisse una sindrome dovuta ad anomalia cromosomica
XYY. Ipotizzò che gli individui affetti potessero avere maggiori tendenze aggressive, e avessero quindi, nell’età adulta,
maggiori probabilità di avere problemi con la legge. Però, a partire dai primi anni ’70, le ricerche mostrarono che il
96% degli individui affetti da sindrome di Jacobs non avevano alcun problema con la legge.

Secondo le TEORIE PSICOANALITICHE l’aggressività ha delle BASI PULSIONALI. Il comportamento aggressivo è il


risultato di un accumulo di tensione, che alla fine deve essere liberata per ristabilire l’equilibrio. Esistono 2 istinti:
EROS, istinto di vita, e THANATOS, istinto di morte o ritorno allo stato inorganico. Quest’ultimo istinto è diretto
inizialmente all’autodistruzione, ma con la crescita il bambino impara ad indirizzarlo verso gli altri sotto forma di
comportamento aggressivo. Secondo la TEORIA DELLA FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITA’ di DOLLARD,
l’aggressività è la risposta a una precedente condizione di frustrazione. Se il bersaglio della nostra aggressività è
indefinito, troppo potente, irreperibile, oppure è un genitore, possiamo spostare la nostra aggressività, indotta dalla
frustrazione, su un bersaglio alternativo (capro espiatorio). Il CAPRO ESPIATORIO è un individuo o gruppo che
diviene bersaglio di collera e frustrazione, causate da differenti individui o gruppi o da qualche circostanza. Tuttavia,
l’aggressività può verificarsi in assenza di frustrazione e quest’ultima non si traduce necessariamente in aggressività;
inoltre, la collera è un predittore dell’aggressività più affidabile rispetto alla frustrazione. Secondo la TEORIA
dell’APPRENDIMENTO SOCIALE di BANDURA le persone possono imparare per imitazione osservando i
comportamenti degli altri. L’apprendimento si verifica attraverso il modellamento e l’imitazione di altre persone. Il
MODELLAMENTO consiste nella tendenza di una persona a riprodurre azioni, atteggiamenti e risposte emotive di un
modello, tratto dalla vita reale oppure simbolico. È definito anche apprendimento per osservazione. L’apprendimento
può avvenire in 2 modi:

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- per ESPERIENZA DIRETTA = acquisizione di un comportamento motivato da una ricompensa. L’idea
dell’apprendimento per esperienza diretta è basata sui principi del rinforzo: un comportamento è stabilizzato grazie
alle ricompense o alle punizioni.

- per ESPERIENZA VICARIA = (il rinforzo vicario): osservare un comportamento rinforzato (altri che vengono
premiati per la propria condotta). Si può inferire che esso è desiderabile in quella situazione ed essere incoraggiati
a imitarlo; vedere altri che vengono puniti per la propria condotta può avere l’effetto opposto.

L’aggressività si acquisisce con l’esperienza, si impara e dipende dall’ambiente in cui l’individuo vive (scuola, famiglia,
luogo di lavoro, ecc.). Gli individui aggrediscono quando pensano che aggredire sia il comportamento adatto a quel
determinato contesto. L’influenza dei mass media sul comportamento aggressivo è stata confermata in vari studi,
come anche l’effetto dei videogiochi violenti. HUESMANN ha sostenuto che quando i bambini osservano la violenza in
contesti di vita reale o attraverso i mass-media, apprendono degli script di comportamenti aggressivi.
Secondo il MODELLO COGNITIVO NEOASSOCIAZIONISTA di BERKOWITZ gli antecedenti delle condotte
aggressive sono rintracciati in tutte quelle situazioni di frustrazione, dolore, di malessere e di dispiacere cui un
individuo può andare incontro. In linea con la l’ipotesi frustrazione – aggressività, Berkowitz affermò che la
frustrazione genera rabbia, e questa a sua volta aumenta la probabilità di un comportamento aggressivo. Ma
l’aggressività scatta solo se dall’ambiente proviene un segnale. La TEORIA DEL TRASFERIMENTO
DELL’ECCITAZIONE di ZILLMAN assume una prospettiva simile a quella di Berkowitz riconoscendo però un
contributo fondamentale all’interpretazione cognitiva dell’attivazione di uno stato emotivo nel determinare una
reazione aggressiva. Secondo questo modello l’aggressività ha luogo quando sono presenti:

- comportamento aggressivo appreso

- attivazione (eccitazione) che può provenire da qualunque fonte

- interpretazione di questa attivazione in modo che la risposta aggressiva sembri appropriata


Questa teoria sostiene che le persone possono trasferire l’attivazione causata da una situazione vissuta a una nuova
condizione attivante. L’eccitazione emotiva, presente in una particolare circostanza è capace di attivare una reazione
in una situazione completamente diversa; questo processo è chiamato DISLOCAZIONE D’EMOZIONE (trasferimento
dell’eccitazione), oppure attivazione residua. L’eccitazione residua dall’evento precedente può scatenare un
comportamento aggressivo in un’altra situazione. ANDERSON e BUSHMAN hanno proposto un modello integrativo
che riassume le proposte teoriche esposte: il GENERAL AGGRESSION MODEL (GMA). Il nodo chiave del GMA è la
possibilità di manifestare aggressività attraverso due percorsi parzialmente distinti:

- AUTOMATICO = dettato dalla risposta emotiva interna

- CONTROLLATO = da processi cognitivi di ordine superiore


La scelta di 1 dei 2 percorsi dipende sostanzialmente dalla disponibilità di risorse cognitive di elaborazione.

Nel determinare l’aggressività delle persone gioca un ruolo importante sia i fattori personali, come il genere, la
personalità e l’assunzione di sostanze di abuso, sia i fattori del contesto, come l’ambiente fisico, le influenze culturali e
i fattori socioeconomici. Una di queste forze è la DEINDIVIDUAZIONE, quella sensazione psicologica caratterizzata
da una riduzione del senso di individualità e di responsabilità personale provata da colui che si sente anonimo in una
situazione di folla (o di gruppo) e che avverte una ridotta capacità di considerare sé stesso come un individuo. Ciò
provoca nell’individuo l’allentarsi dei divieti abitualmente posti al comportamento e conduce spesso all’aumento di atti
impulsivi e socialmente proibiti, come la violenza. Bocchiaro parla anche del ruolo della DEUMANIZZAZIONE
nell’indurre gente ordinaria a compiere il male: questo comporta un cedimento degli standard morali della persona in
seguito al quale diviene possibile agire in maniera crudele sul bersaglio, senza più provare alcun senso di colpa. Un
ruolo chiave è svolto anche dal conformismo, che consiste nell’allineare il proprio comportamento in maniera più o
meno consapevole, ai criteri stabiliti da altri, anche in quei casi in cui tali criteri sono rappresentati da norme emergenti
violente. Infine, un ultimo fattore nella produzione del male è rappresentato dalla diffusione della responsabilità:
assistere a una scena drammatica, violenta, in presenza di altre persone fa diminuire in ciascuno degli astanti la
pressione ad agire. La responsabilità viene cioè divisa tra tutti i presenti e in simili casi nessuno interviene. Le diverse
forme di aggressività comprendono il bullismo, la violenza domestica, le molestie sessuali, la violenza sessuale, il
terrorismo e la guerra.

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