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CAPITOLO 1, LE TEORIE NEL SERVIZIO SOCIALE

TIPI DI CONOSCENZA NELLA PRATICA PROFESSIONALE


DURY-HUDSON (1999) definisce la conoscenza de conoscenza dell’assistente sociale come il
risultato dell’accumulo e dell’interazione di informazioni e concetti teorici e operativi che
derivano dalla sintesi di teoria , ricerca ed esperienza.
un consistente bagaglio teorico e metodologico e un codice etico , si traducono i praticoni azioni
che derivano da un mix di sapere: SAPER FARE e SAPER ESSERE. sapere—> conoscenze
teoriche e metodologiche, codificate nella disciplina del servizio sociale.

SAPER FARE —> il know-how, la competenza pratica , sorta di sapere agito.

SAPER ESSERE—> il si concretizza negli atteggiamenti che orientato il comportamento di ruolo di


professionista in uno specifico contesto lavorativo e in relazione ai valori e al codice deontologico.

DURY HUDSON ci aiuta a distinguere più precisamente i diversi tipi di conoscenza che
interagiscono nell’esercizio della pratica dell’assistente:

• CONOSCENZA PERSONALE : ciascun a.s nella pratica attiva una forma di conoscenza
personale , mix di intuizione e interpretazione soggettiva dei valori culturali e del senso comune
del contesto. (regole di buona educazione e comportamento quando incontriamo una persona
ecc)

• CONOSCENZA TEORICA: percorso universitario e corsi d’aggiornamento —> teorica. lo studio


di teorie aiuta a descrivere, comprendere o predire determinati fenomeni , oppure a spiegare le
conseguenze di azioni interventi. (teoria dell’attaccamento , dell’apprendimento o anche teorie
sociologiche per comprendere fenomeni sociali come bullismo, violenza, dipendenze).
utili anche all’analisi, influenza pratiche professionali e ai processi decisionali che determinano
gli interventi. 

diverse conoscenze teoriche vengono sistematizzate e organizzate in modelli teorici.
• LA CONOSCENZA EMPIRICA: fondamentale all’evoluzione della teoria e alla verifica degli esiti
della pratica è la conoscenza empirica , risultato di processi di ricerca che prevedono la raccolta
e l’interpretazione di dati sull’attività del servizio sociale. 

necessaria a spiegare la natura. e le dinamiche dei problemi che si osservano sul campo , e a
valutare decisioni e risultati degli interventi sociali. in assenza di questa non si evolve la teoria ,
né siamo in grado di rendere conto della qualità del nostro lavoro.

• LA CONOSCENZA PRATICA : attraverso la pratica si sperimenta la capacita di integrare gli


apprendimenti teorici e metodologici e tradurli in decisioni e azioni. 

questo processo costruisce quello che nel contesto anglosassone è definita practice wisdom ,
una sorta di saggezza che deriva dall’esperienza . ciò che apprendiamo nel lavoro ci guida
anche negli interventi successivi, vedendo i risultati se postivi o negativi . IMPORTANZA
INTERAZIONE PRATICA E TEORIA .

• LA CONOSCENZA PROCEDURALE: quella che si appende nell’organizzazione , che costituisce


le prassi organizzative e di lavoro e ci rende chiaro come muoverci nell’istituzione e al di fuori di
essa. ( come aiutare un cittadino ad inoltrare la domanda di contributo economico, procedure
per scrivere all’autorità giudiziaria per segnalare un bambino rischio)

LOGICA E INTUITO
(POLANY 1966 )

due modi di conoscere , generati da diversi approcci alla conoscenza e alla interpretazione della
realtà: conoscenza tacita ed conoscenza esplicita dei professionisti.

CONOSCENZA TACITA: fa riferimento a una serie di processi a livello intuitivo e implicito

CONOSCENZA ESPLICITA : attivata su base logica e agisce a livello di consapevolezza .

logica e intuito —> entrambi attivi nei processi di interpretazione della realtà finalizzati
all’assunzione di decisioni.

EVANS a spiegarci che nelle nostre valutazione siano continuamente attivi due differenti sistemi
cognitivi :

- I PROCESSI INTUITIVI E AUTOMATICI (sistema 1) : in grado di predisporre risposte veloci e


automatiche guidate dall’intuizione. non richiede riflessioni e presto.
- I PROCESSI ANALITICI E RAZIONALI (sistema 2) : è il regno della razionalità , che ci consente
di fare analisi a livello cosciente, prima di intervenire . operazioni quindi più lente.

intuizione e analisi —> entrambi potenzialità e limiti. entrambi i sitemi possono dare origine ad un
errore cognitivo.

TEORIE FORMALI E TEORIE. INFORMALI

in letteratura sono state proposte varie classificazioni , utili a identificare diversi tipi di teorie
applicate nel servizio sociale. SIBEON (1990) distingue tra:

- TEOREI FORMALI: insieme di enunciati scritti, organizzati e discussi in ambito accademico e


professionale . (teorie del cambiamento , sulla crisi, o la teoria dei sistemi)

- TEORIE INFORMALI : insiemi di idee, influenzate da particolari credenze , che si costruiscono


in diversi contesti socioculturali . idee che si costruisce l’a.s nel corso della sua esperienza ,
( cosa intende per ‘buon genitore ‘ ‘cattivo genitore’ )

A COSA SERVONO LE TEORIE?

la letteratura evidenza come contare su buone pratiche , senza spiegare le ragioni per cui sono
considerate buone, è rischioso per diverse ragioni.

un professionista in campo non può limitarsi all’esperienza personale e professionale per fondare
le sue decisioni.

una solida base teorica aiuta a comprendere il fenomeno .

si apprende dalla pratica e dal campo, ma questo NON BASTA. le teorie esplicite e formali aiutano
per diverse ragioni.

TEORIE FORMALI —> servono a guidare l’osservazione e ridurre i tempi di apprendimento .


sappiamo come riconoscere mentre li osserviamo .

TEORIE ESPLICITE—> aiutano inoltre a raggiungere una lettura complessa dei fenomeni : se ci
limitiamo alla nostra conoscenza personale o a quella dei colleghi, escluderemmo preziose fonti di
informazione . ulteriore vantaggio che deriva dalle teorie esplicite viene definita accountability ,
ovvero la capacità di rendere conto della propria azione , un mix di trasparenza, chiarezza e
assunzione di responsabilità . avere consapevolezza del modello teorico e metodo scelto per
intervenire per aver chiaro l’obiettivo , e per essere anche più chiari dall’esterno .

TIPI DI TEORIE UTILI


SIBEON (1990) distingue TRE diversi tipi di teorie utilizzate nel servizio sociale :

1. LE TEORIE SU CHE COSA È IL SERVIZIO SOCIALE ( what social work is)

2. LE TEORIE SUL MONDO DEL CLIENTE (theory of the client world)

3. LE TEORIE SU COME FARE IN PRATICA. ( how to do social work)

1. LE TEORIE SU CHE COSA È IL SERVIZIO SOCIALE ( what social work is)


descrizioni di quali sono i significati e gli obiettivi che orientano l’intervento sociale .

ALCUNI insistono sull’obiettivo di lavorare sulla motivazione al cambiamento e sulle capacita per
ottenerlo, piuttosto che intervenire in modo materiale.

ALTRI sono convinti che in assenza di investimenti sulle risorse, rende scarsamente rilevanti gli
interventi a livello individuale .

secondo la prospettiva della giustizia sociale , lo scopo principale del servizio sociale è quello
di intervenire non sulle singole situazioni, ma sui meccanismi che generano oppressione,
disuguaglianze ecc.

secondo la prospettiva del problem solving , l’intervento degli assistenti sociali è focalizzato sul
tentativo di aiutare gli individui ad indentiate e risolvere i problemi che derivano dalla loro
interazione con il contesto sociale.

a prospettiva dell’empowerment insiste sulla necessita di lavorare insieme al cliente per


rafforzare il ‘potere’ , aiutandolo a prendere consapevolezza delle proprie risorse e capacità.

2.LE TEORIE SUL MONDO DEL CLIENTE (theory of the client world)
è utile a comprendere la natura e le dinamiche di comportamenti individuali o di gruppi e
comunità e a dare singificato ai problemi che si cerca di contrastare . esistono TEORIE IMPLICITE
INFORMALI , no sviluppate in ambito accademico ma dall’esperienza del professionista e, mentre
le TEORIE FORMALI vanno oltre il senso comune , offrendoci strumenti per interpretare i
comportamenti e le situazioni osservate.

il modello di KUBLER-ROSS (1969) ci aiuta a interpretare, in fasi differenti, , diverse reazioni e


comportamenti di una persona a cui è stata comunicata una prognosi infausta .

NEL SERVIZIO SOCIALE È SPESSO FONDAMENTALE COMBINARE DIVERSE TEORIE POICHE


OGNUNA DI ESSE HA LIMITI IMPORTANTI NELL’INTERPRETARE LA COMPLESSITÀ DEI
FENOMENI SOCIALI .

3. LE TEORIE SU COME FARE IN PRATICA. ( how to do social work)


nel contesto anglosassone si parla di practice theories per riferirsi ai modelli teorico-operativi, .
partono da un determinato assunto su cosa è e quali sono gli obiettivi del servizio sociale e
spiegano come raggiungere in pratica tali obiettivi, in riferimento a determinate teorie sul mondo
del cliente.

tutte le practice theories , partono da una prospettiva e da principi generali, fornendo un


framework, per orientare la pratica. solo alcune di esse prevedono un how to do , ovvero una
descrizione delle azioni che in pratica sono necessarie. queste teorie ci dicono cosa funziona e
perché funziona.

I MODELLI TEORICO-OPERATIVI PER LA PRATICA DEL SERVIZIO SOCIALE


i modelli teorico-operativi forniscono uno schema di riferimento concettuale che indirizza la
conoscenza e l’interpretazione delle situazioni e orientano l’azione sul campo . i modelli possono
derivare da:

- processi induttivi : il processo parte dal campo, i professionisti partendo dalla descrizione e
dall’analisi della pratica , generano nuove idee sui fenomeni o sugli interventi , che possono
essere testate in pratica e generalizzate all’interno di nuovi modelli .

- processi deduttivi: il processo di costruzione parte dal confronto con teorie già formulate ,
alcuni concetti teorici vengono mutati da teorie generali , confrontati con i principi e i valori del
servizio sociale e utilizzata per uno studio che ne valuta l’applicabilità in pratica ,

continua interazione tra pratica, teoria e ricerca , costituisce la garanzia della qualità del servizio
offerto alle persone .

COME SCEGLIERE QUAL È IL MODELLO PIÙ ADEGUATO


possiamo operare questa scelta tendendo conto di almeno quattro variabili:

1. il tipo di problema che cerchiamo di affrontare insieme al cliente

2. le caratteristiche e lo stile relazionale del cliente

3. il contesto organizzativo del servizio in cui lavoriamo

4. la fase dell’intervento in cui ci colloquiamo

è fondamentale conoscere quali tecniche funzionano e quali hanno disastrato di non funzionare.

la scelta di come porsi nella relazione d’aiuto , se in modo più supporto o direttivo, dipende dallo
stile del cliente .

anche il tipo di servizio e la sua organizzazione influenzano la scelta dell’approccio.

apprendere diverse teorie e i modelli per la pratica è tuttavia complesso , richiede corsi di
specializzazione avanzata e un training dedicato ; alcun a.s preferiscono specializzarsi in un solo
modello , raggiungendo conoscenze avanzate. la letteratura raccomanda una formazione avanzata
almeno su due o tre modelli .

CAPITOLO 2; IL METODO.
IL PROCEDIMENTO METODOLOGICO
è uno schema concettuale che serve a guidare l’agire professionale.

individua un modo logico e coerente di procedere , in direzione di un determinato scopo ,


basandosi su un metodo che si articola in una serie di tappe , logicamente collegate tra loro.

il procedimento metodologico si traduce in una forma mentis , che l’assistente sociale adotta ,
indipendentemente dal tipo di cliente, dall’organizzazione in cui lavora o dal tipo di lavoro .

In ogni intervento il procedimento metodologico si articola nelle seguenti fasi:

- ACCOGLIENZA ( engagement)

- ANALISI E VALUTAZIONE ( assesment)

- PIANIFICAZIONE (planning)

- ATTUAZIONE (implementing) E VERIFICA IN ITINERE

- CONCLUSIONE (termination) E VALUTAZIONE DEGLI ESITI ( evaluation)

ognuna delle fasi ha un particolare obiettivo, ma nella pratica son invece interdipendenti e
interconnesse e non necessariamente seguono un preciso ordine sequenziale. ad esempio
l’obiettivo conoscitiva e informativo prevale nella prima fase, ma si ritrova in tutti gli altri stadi del
processo d’aiuto.

l’intero processo è influenzato dalla capacità di costruire una relazione che consenta all’utente di
affidarsi , di sentirsi sicuro, di trovare riferimento per percorre insieme la direzione verso il
cambiamento.

ACCOGLIENZA (engagement)
1. l’intervento ha inizio con l’analisi dell’invio dell’aiuto , una domanda diretta dal cliente o una
segnalazione.

2. all’invio segue il primo incontro tra il professionista e la persona-utente , in cui l’obiettivo è


comprendere o chiarire le ragioni del contratto iniziale , il ruolo del servizio , le aspettative
della persona: si condividono inoltre i primi elementi che definiscono la natura e le caratteristiche
della situazione vissuta come disagio.

è fondamentale possedere una conoscenza avanzata delle competenze comunicative e relazionali


per la costruzione di una relazione accogliente, basta su un atteggiamento ematico e non
giudicante.

engagement —> sintetizza il complesso lavoro di costruzione di una relazione collaborativa con la
persona

VALUTAZIONE (assessment)
obiettivo—> raccogliere, organizzare e interpretare una serie di informazioni e dati , come base
per la successiva elaborazione di un progetto di intervento.
strettamente interconnessa e alla fasa precedente—> la raccolta di informazioni parte già dal
primo incontro, ed è importante la relazione che si stabilisce con la persona.

obiettivo dell’assessment—> acquisizione di elementi informativi sufficienti a condividere un


interpretazione della situazione di difficoltà , al fine di comprendere in quale direzione può
essere promosso e facilitato il cambiamento .
in generale si tratta di comprendere insieme alle persone coinvolte: qual è la percezione che il
cliente ha del problema, quali sono i punti di forza e le risorse già attive o attivabili ecc.

la conoscenza che l’assistente sociale ha del servizio in cui lavora e quelle a livello individuale
pongono le basi per la formulazione dell’ipotesi progettuale che guida l’intervento , costruito
costruito insieme alle persone e alle reti di riferimento

alle finalità dell’assessment possono essere utilizzati strumenti diversi , anche le strategie di
conduzione dei colloqui finalizzati all’analisi e alla valutazione della situazione cambiano in
relazione agli obiettivi e al modello teorico di riferimento.

buona conoscenza di quali modelli operativi sono più adatti in determinate situazioni.

PIANIFICAZIONE (planning)

nel lavoro con le persone la fase di pianificazione e la formulazione del progetto è l’esito di un
processo di interazione tra il professionista e il cliente, all’interno di un particolare contesto
istituzionale che definisce la cornice organizzativa e il ruolo del servizio.

—> frutto di una negoziazione continua , in cui si confrontano diverse aspettative e possibilità .

il piano di lavoro prevede la formulazione di obiettivi chiari ed espliciti. il progetto e gli obiettivi
possono essere formalizzati in quello che la letteratura chiama ‘CONTRATTO ’ di servizio sociale ,
ovvero il risultato della negoziazione e degli impegni assunti , che può essere espresso in forma
orale o scritta.

ATTUAZIONE (implementing)

è la fase di realizzazione del progetto negoziato , in cui i soggetti coinvolti intraprendono le


azioni concordate. l’attuazione del piano implica interventi volti a promuovere il cambiamento a
livello degli individui, delle relazioni tra essi, dell’ambiente e dei servizi coinvolti.

oltre a portare a termini le azioni concordate, l’ assistente sociale può utilizzare interventi diretti
quali l’erogazione di prestazioni, sempre strettamente connessa al raggiungimento degli obiettivi e
al progetto più generale.

CONCLUSIONE E VALUTAZIONE DEGLI ESITI (termination and evaluation)

la conclusione dell’intervento può 1. essere programmata e negoziatA quando c’è accordo tra
assistente sociale e cliente; 2. altre volte è determinata dalle condizioni organizzative stesse.

3. può trattarsi anche di interruzione della relazione con il servizio da decisa dal cliente o dovuta a
cause esterne : in tali casi è necessaria una analisi delle precedenti fasi del processo
metodologico .

CAPITOLO 3. IL MODELLO CENTRATO SULLA PERSONA


il modello incentrato sulla persona , PCM, si fonda sulle teorie di CARL ROGERS , un psicologo
statunitense che si colloca all’interno del filone umanistico-esistenziale .

R. propose un approccio alternativo sia al modello psicoanalitico che al comportamentismo , che


rischiavano di operare una semplificazione sulla natura dell’essere umano , offendo un modello di
spiegazione che non lasciava spazio alla soggettività degli individui .

Rogers, con l’approccio centrato sulla persona, propose un modello non direttivo, basato su
un ascolto profondo e non giudicante dell’altro, abbandonando l’idea di un esperto di grado
di consigliare, giudicare o dirigere chi ha di fronte.

rischi intervento tradizionale —> perdere di vista la persona per concentrarsi sul sintomo,
passivizzarla e trascurare la sua esperienza.

obiettivo —> non è risolvere un particolare problema, ma aiutare l’individuo a migliorare le


proprie intrinseche capacità di affrontare situazioni stressanti.
NO paziente —> cliente , attivo e responsabile del processo di aiuto.

I CONCETTI CHIAVE

2 assunti su cui si basa il pensiero i ROGERS:

- la persona è assunta come una totalità psicofisica : l’essere umano è un tutto, irriducibile alla
somma dei suoi elementi costitutivi. la persona non è mente e corpo, o idee e emozioni, ma la
funzione di ognuna di queste parti è determinata dall’organizzazione dell’interno.

- attenzione posta al suo particolare modo di essere-nel-mondo e di vivere le relazioni con gli altri

sulla base di questi presupposti ROGERS 1959 formula la sua teoria sulla personalità , intesa non
come qualcosa di fisso, ma come un sistema dinamico e in continua evoluzione. l’uomo è un
essere attivo , più che reattivo, tende alla creatività e all’instabilità , più che alla ricerca di un
equilibrio fisso e statico .

TRE sono i concetti chiave che individuano i pilastri della sua teoria:

1. la tendenza attualizzante;

2. l’incongruenza ;

3. il funzionamento psicologico e il disadattamento ;

TENDENZA ATTUALIZZANTE
il comportamento è orientato naturalmente a progredire verso unamaggiore autonomia e maturità.

comportamento della persona—> tentativo dell’organismo di soddisfare i suoi bisogni fisici e


psicologici , in relazione alla percezione che l’individuo ha della realtà.

L’INCONGRUENZA
la fonte del vissuto disagio e delle difficoltà del cliente vengono individuate nell’incongruenza tra il
concetto di sé e l’esperienza.

secondo rogers l’incongruenza è una delle variabili più condizionanti per la crescita personale:
l’individuo può trovarsi in uno stato di ansia e vulnerabilità, dovute a un contesto tra ciò che
ritiene di dover essere, in relazione alle richieste del contesto sociale, e quel che di fatto
sono invece le sue tendenze reali e i bisogni più profondi.
l’incongruenza parte da bambini , quando la percezione di se stessi, il Sé organismico, si scontra
con i giudizi esterni (tipo genitori ), scoprendo che ciò che valutano bene è invece valutato
negativamente dagli altri.

per non essere rifiutato dalle persone significative per lui e non rischiare di perdere la loro
considerazione, tende dunque a rinunciare e respingere il suo spontaneo criterio di valutazione e
dunque alla soddifazione dei suoi bisogni più profondi.

incongruenza —> divario tra propri valori autentici e i nuovi valori introiettati .

IL FUNZIONAMENTO PSICOLOGICO E IL DISADATTAMENTO


benessere e funzionamento dell’individuo—> quando la tendenza attualizzante non incontra
ostacoli , persona in contatto con i suoi bisogni autentici , aperta all’esperienza, libera di
meccanismi difensivi , e capacità di adattamento e fiducia in sé stesa.

i problemi si verificano nel momento in cui una esperienza non è coerente con ciò che la persona
ritiene di essere, in relazione alle richieste esterne —> esperienza come minacciosa , e la persona
costruisce difesa; esperienze vengono negate o distorte.
se esiste una forte incongruenza tra i propri bisogni e l’immagine che l’individuo ha di se stesso ,
la soddisfazione dei bisogni può diventare molto problematica.

per spiegare i meccanismi di negazione fa esempio di mamma che si ammala e vuole il figlio
adulto, ma non vuole distrarlo perché è mamma ecc.

LA TEORIA SUL PROCESSO DI CAMBIAMENTO


rogers spiega anche le condizioni che rendono possibile il cambiamento .

—> costruire un clima sicuro , in cui la persona può abbassare le difese e esplorare quelle
esperienze vissute come minacce. in cui non si sente giudicato , per esplorare i sentimenti è la
condizione per modificare la percezione del proprio Sé e renderlo più coerente con i propri bisogni
interiore.

processo del cambiamento —> continuum ( agli estremi persone rigide che non sono
consapevoli dei propri vissuti e stati d’animo; e persone che si accettano pienamente e sono in
grado di vivere le proprie emozioni. rogers individue sette stadi che porta al cambiamento e alla
maturazione della persona:

- FASE 1 : la personalità è rigida, il comportamento è determinato da meccanismi di difesa che


impediscono di riconoscere sentimenti e significati personali; i problemi vengono negati,
attribuiti all’esterno e le relazioni interpersonali profonde sono evitate perché considerate
pericolose;

- FASE 2: i sentimenti continuano ad essere espressi come estranei al Sé e i problemi come dati
oggettivi esterni, tuttavia il cliente inizia a considerare alcune emozioni, anche se non come
proprie;

- FASE 3: il modo di vedere il Sé e il mondo rimane rigido, ma inizia a esserne compreso come
visione soggettiva e non più come dato di fatto; il cliente inizia a riconoscere le proprie
contraddizioni e a parlare dei propri sentimenti passati;

- FASE 4: il cliente abbassa le difese, prende gradualmente consapevolezza dei modi in cui
costruisce la sua identità e quella degli altri e li mette in discussione, è in grado di verbalizzare
alcune emozioni e inizia ad assumersi le responsabilità del suo problema;

- FASE 5 : il cliente è maggiormente in grado di verbalizzare le emozioni, così come emergono


nel presente, oltre che riconoscere sentimenti di vergogna nel parlare di vissuti in precedenza
negati. è la fase in cui si è ristabilito il contatto con il proprio Sé e la persona è in grado di
riconoscere i diversi sentimenti che caratterizzano la sua esperienza, nonostante la paura nei
confronti di essi permanga. esiste un dialogo sempre più libero con sé stessi e con gli altri.

- FASE 6: la persona esperisce vissuti difficili e complessi, senza cercare di negarli, accettando
emozioni diverse anche in contrasto, senza attaccare gli altri e sé stessa. è la fase in cui
vengono abbandonati i rigidi costrutti che fornivano una chiave di lettura distorta della realtà.

Il cliente non ha più bisogno di pensare ai propri problemi dall’esterno, ma li vive
completamente, con accettazione e consapevolezza, grazie al coraggio e alla fiducia che ha
ritrovato nell’essere sé stesso;

- FASE 7: il cliente può fare a meno del professionista, poiché è in grado di essere la guida si sé
stesso; ha fiducia nel proprio organismo e nel suo funzionamento, non perché lo creda
infallibile, ma perché, essendo completamente aperto alle conseguenze di ogni decisone, può
correggere quelle che si dimostrano inadeguate.

L’OBIETTIVO DELLA RELAZIONE D’AIUTO


obiettivo del professionista —> sostenere la persona nel superare l’incongruenza , passando da
una fase in cui non si è consapevoli delle proprie tendenze e i sentimenti sono negati, a una in cui
è capace di riconoscere e accettare i propri vissuti e reazioni e di togliere i messaggi del
suo organismo. non è il professionista che indica la giusta direzione, ma la relazione giusta.
‘’una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la
crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed
integrato, favorendo una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una
maggiore possibilità di espressione.’’


visione professionista —> non più esperto , ma facilitatore nel creare le condizioni che
consentono la ibera espressione delle potenzialità degli individui.

OBIETTIVO—> non dire alla persona che deve fare, bensì aiutarla a comprendere la sua
situazione e individuare le sue capacità e risorse per risolvere il problema , assumendo le
responsabilità delle proprie scelte

—> creare le condizioni per un clima relazionale in cui il cliente si senta al sicuro . persona non si
senta minacciata , ma compresa . parti del sé iniziano a ritrovare spazio.

- modello NON prevede stadi strutturati o step. —> fattori fondamentali dell’intervento sono
atteggiamento e lo stile relazionale del professionista
- no schema predefinito da compilare , ma persona che parecipa all’incontro per poterlo
conoscere, comprendere e aiutare .

GLI ATTEGGIAMENTI DEL PROFESSIONISTA: AUTENTICITÀ, ACCETTAZIONE, EMPATIA


condizioni per relazione professionale che faciliti crescita della persona:

- due persone sono in una relazione

- cliente stato di incongruenza

- professionista stato di congruenza


obiettivo —> sviluppare capacità di stare nella relazione , comunicando la propria comprensione
empatica .

tre fondamentali caratteristiche del professionista :

1. AUTENTICITÀ O CONGRUENZA , consapevole delle sue emozioni , in condizione di essere


profondamene sé stesso e costruire una relazione con l’altro vera e spontanea . mostra il
proprio coinvolgimento e mettendo in gioco sé stesso .

2. L’ACCETTAZIONE NON GIUDICANTE, anche detta considerazione positiva incondizionata.


clima di accettazione e assenza di giudizio in cui il cliente può sentirsi al sicuro a parlare di sé.

3. PROFONDA COMPRENSIONE EMPATICA , ovvero la capacità di vedere il mondo con gli


occhi del cliente. immergersi nel mondo dell’altro come fosse il proprio : sentirei sentimenti
dell’altro, la paura , la tristezza , insicurezza senza aggiungere la nostra.

APPLICAZIONE DEGLI ASSUNTI TEORICI


nell’ambito del servizio sociale la prospettiva che orienta il modello centrato sulla persona è quella
dell’empowerment : l’ assistente sociale col cliente mira a rafforzarne le competenze e il ‘potere’
di scegliere , definire le proprie soluzioni alle difficolta , realizzando pienamente sé stesso.
principi —> RISPETTO - ACCETTAZIONE - SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO

formazione dell’assistente sociale su tre fonti:


1. la piena consapevolezza di sé , della persona che si è e che si porta nella relazione con
l’altro

2. le abilità comunicative e relazionali , che aiutano

3. la capacità di facilitare e accompagnare attraverso la reazione di aiuto il processo di


crescita del cliente, in direzione della congruenza.

DALL’ASCOLTO SPONTANEO ALL’ASCOLTO EMPATICO


ASCOLTO —> primo passo per per stabilire un incontro profondo e di qualità

2 tipi—> 1 . impossessarsi dei discorsi per metterli al sevizio dei propri interessi ; 2. sentire l’altro,
andare verso di lui

siamo naturalmente focalizzati su noi stessi . l’assolto spontaneo tende a focalizzassi più
sull’aspetto verbale della comunicazione , trascurando aspetti non verbali, sia del corpo fisico che
dell’espressione delle emozioni. intenzione di intervenire per dare consigli, pareri dimenticando di
prenderci il tempo necessario per capire profondamente chi ci sta parlando.

in una relazione professionale—> ascolto spontaneo NO. richiede TEMPO , FORMAZIONE per
passare da ascolto spontaneo a uno attivo e poi empatico.

attraverso questa competenza di base che nel PCM si costruisce una relazione di fiducia e
accogliente , persona si sente più sicura.

LE ABILITÀ COMUNICATIVE E LA TECNICA SPECLARE


attivazione di un ascolto attivo ed empatico attraversa alcune fasi.

ASCOLTO SILENZIOSO —>FASE DI RISPECCHIAMENTO , che aiuta a dare evidenza a ciò che il
cliente sta comunicando o a riformulare i suoi contenuti in maniera chiara.

la tecnica speculare aiuta a:


• riflettere con fedeltà ciò che il cliente sta portando , dando prova di un ascolto attento e
interessato al suo punto di vista ;

• trasmettere alla persona che l’ assistente sociale sta effettivamente comprendendo il suo
messaggio , verificando poi se i propri interventi riflettono il suo pensiero;

• consentire al cliente di concentrarsi sulla propria esperienza e cogliere nella sua narrazione
aspetti anche mai percepiti prima;

esistono diverse modalità della tecnica speculare:

1. la riflessione del contenuto : ascoltare le parole e ripeterle fedelmente , trasmette


sensazione di essere ascoltati.

2. la riformulazione del contenuto o parafrasi: ripetendo lo stesso concetto espresso dal


cliente , ma con parole diverse, tentativo di comunicare che stiamo ascoltando , ma anche
trasmettere all’altroché abbiamo capito o di verificarlo.

3. la riflessione del sentimento: trasmette al cliente che siamo sinceramente interessati e non
solo ai contenti , ma anche a quello che sente, cogliere la componente emotiva , comunicare
che l’ assistente sociale è davvero con la persona, è in grado di sentire , capire quello che sta
provando . presuppone già costruito un. clima sicuro in cui affidarsi.

4. la chiarificazione: con la richiesta di chiarimenti ha l’obiettivo di cogliere e riflettere al cliente


elementi non esplicitamente formulati ma che è riuscito a dedurre dal racconto. ‘se
comprendo bene, lei vuole dire..’

IL LINGUAGGIO VERBALE E NON VERBALE NEL COLLOQUIO NON DIRETTIVO


per ascoltare in modo attivo —> comunicazione verbale (ciò che si dice) + paraverbale (come lo si
dice) + non verbale (cosa si fa) .

importante mantenere contatto visivo—> attenzione a ciò che si dice

WICKMAN e CAMPBELL hanno analizzato il modo in cui ROGERS ha fatto uso del linguaggio
nella sua pratica professionale , offrendo una serie di informazioni utili a costruire l’atteggiamento
del colloquio centrato sul cliente.
—> linguaggio non esperto , privo di tecnicismi , che comunica alla persona che è lei stessa
l’esperta della situazione + fa spesso uso del pronome ‘io’ che mette in evidenza il suo stare nella
relazione in modo non distaccato + evita di dare consigli diretti , evidenza le capacità della
persona a prendere una decisione ecc.

modello del PCM —> non direttivo : lo spazio è lasciato a ciò che il cliente vuole esprimere,
mentre il ruolo dell’assistente sociale è quello di facilitare tale espressione.

messaggio da trasmettere —> stare vicino alla persona , che la si comprende e che la si lascia
trovare il modo migliore per risolvere la sua situazione poiché è la migliore esperta di sé stessa.

SOSTENERE LA PERSONA VERSO LA CONGRUENZA


l’ assistente sociale accompagnerà la persona lavorando sui seguenti aspetti:

• riconoscere i sentimenti del passato e del presente e riuscire a parlarne in modo congruente;

• riconoscere ed esprimere le emozioni del presente;

• riconoscere e vivere l’esperienza del presente e accettarla, imparando a coglierne la


complessità

• affrontare gradualmente anche le esperienze che spaventano;

• riconoscere i propri costruiti relativi al sé e agli altri, i modi in cui creare sofferenza , le possibilità
di cambiarli;

• sviluppare la percezione congrua dei problemi e delle responsabilità superando la convizione


che la fonte dei problemi sia sempre esterna

la competenza del professionista —> aiuta a focalizzare e riconoscere le difese che ostacolano il
cambiamento

DISTINGUERE DELLE FASI (IL CASO DI ANGELA)


pur essendo un approccio non direttivo, centrato sul cliente e non strutturato , anche nel PCM si
possono distinguere delle fasi di sviluppo del processo verso il cambiamento , definite in
letteratura come:

- fase iniziale

- fase intermedia

- fase finale

FASE INIZIALE
inizia attraverso il primo incontro con il cliente, è fondamentale la cura della comunicazione
verbale e non verbale. percezione di un sentimento di sincero interesse e di un ascolto profondo è
la base per instaurare un clima di fiducia.

utile trasmettere al cliente metodo di lavoro senza spiegazione tecnica . si spiega che si sono
incontri che non offrono soluzioni, bensì un processo di ascolto e accompagnamento.

FASE INTERMEDIA

negli incontri successivi si fa sempre più forte della relazione di fiducia e questo consente al
cliente di parlare più liberamente delle sue difficoltà . —> centrare ulteriormente il focus di ciò che
viene vissuto come disagio e sofferenza.

FASE FINALE
la conclusione dell’intervento si definisce quando il cliente pensa che il problema che aveva è per
lui risolto oppure lo affronta diversamente.

secondo il PCM il cliente ha dunque ha dunque la libertà di scegliere la fine del percorso di
aiuto.
emotivamente più forte ed è più autonoma della sua difficoltà e disagio.
CAPITOLO 4. IL MODELLO CENTRATO SUL COMPITO
INTRODUZIONE
il TCM venne elaborato negli usa alla fine degli anni 60 ,

obiettivo—> costruire un modello a partire dalle tecniche proprie del lavoro psicosociale
individuale a breve termine .

gli autori del TCM introdussero l’idea secondo cui i clienti devono essere attivamente coinvolti
in un processo di definizione di obiettivi e compiti, all’interno di un lasso di tempo stabilito.
Nell’ambito del servizio sociale fu il lavoro esplorativo di REID ad aprire la strada allo sviluppo del
modello: egli indagò quali elementi dell’intervento professionale influenzano le persone nel
processo di soluzione dei problemi e quali sono in relativi effetti. si rifecero alla concezione del
lavoro sociale come processo di problem solving da PERLMAN, ma definirono una guida
dell’intervento più strutturata , con un focus più specifico sulla definizione e l’uso dei compiti
TASKS nell’intervento, parte mutuata dal lavoro di STUDT.

PERLMAN sottolineò in particolare come la capacità di formulare in modo chiaro gli obiettivi e i
compiti restituisca chiarezza alle intenzioni dei professionisti , spesso assunte come buone, senza
esplicitate tuttavia in relazione a cosa sono valutate tali.

La sperimentazione e la ricerca hanno permesso negli anni di sviluppare strumenti per il task
planning (pianificazione dei compiti) e del task implementation (implementazione dei compiti),
introducendo una serie di tecniche che sostengono il cliente nell’identificazione dei problemi
target e dei relativi compiti.
Questi strumenti hanno consentito di rendere il modello più adatto all’utilizzo in pratica e alla
valutazione dei suoi risultati.

Il TCM è uno dei pochi modelli sviluppati in relazione ai risultati della pratica e testati in pratica;
nonostante sia nato come modello che si applica al lavoro individuale è stato successivamente
adattato anche al lavoro con le famiglie e con i gruppi.

I CONCETTI CHIAVE
il TCM è un modello formulato a partire dalla sistematizzazione del risultati della pratica , anziché
in relazione a teorie formulate in altre disciplina.

I CONCETTI DO BISOGNO E PROBLEMA


il modello assume che problemi siano il prodotto stesso dell’esperienza umana, NON PATOLOGIA
delle persone.

i problemi —> qualcosa di normale e inevitabile, che può accadere a chiunque in diverse fasi
dell’esistenza. ognuno di noi ha determinate idee e credenze rispetto a come dovrebbero essere
le cose WANTS -cosa vorremmo- e rispetto a ciò che è necessario per la nostra esperienza di vita
NEEDS -bisogni- .

raggiungere ciò che desideriamo comporta quotidianamente delle sfide e a volte l’impasse nel
superarle e secondo gli autori del TCM le situazioni di difficoltà riflettono dei fallimenti temporanei
nel far fronte a queste sfide.

LE PERSONE COME PROBLEM SOLVERS ATTIVI


quando l’individuo ha la percezione di bisogni non soddisfatti , la situazione di disagio che ne
emerge è la fonte di motivazione al cambiamento . —> mettere in atto che prevede come risolvere
specifici bisogni e la situazione.

i problemi—> attivano negli individui forze volte al cambiamento che operano rapidamente per
riportare il problema a un livello di tollerabilità. nel TCM le persone sono dunque considerate
come PROBLEM SOLVERS ATTIVI, esperti nell’individuare qual è la situazione che genera per
loro disagio e dotati di risorse per mettere in atto il cambiamento a cui aspirano.

INTERVENTO DI AIUTO
quando il processo di problem solving non è efficace Il ruolo dell’assistente sociale nel TCM —>
sostenere la persona nella lettura più ampia del problema al fine di individuare obiettivi e compiti
su cui lavorare per ridurre lo stress per la situazione.

il modello non ricerca le origini ma tenta di affrontare i fattori che lo stanno attualmente causando
e la priorità viene assegnata agli aspetti su cui il cliente e l’ assistente sociale possono agire. per
modificarli.

la strategia —> volta a definire , realizzare e valutare i compiti funzionali a contrastare la


situazione di difficoltà .

successo —> conduce soluzione del problema , ripristino delle capacità di problem solving
dell’individuo e del sistema . il cliente partecipa infatti in modo attivo alla pianificazione dei
compiti e alla loro realizzazione .

il percorso costruito può portare a un cambiamento a livello comportamentale , emotivo o nel


affrontare problemi co soluzioni ecc.

l’intervento del TCM presuppone la costruzione di una relazione collaborativa con il cliente,
in assenza , il modello non è applicabile .
fondamentale è la definizione di precisi limiti temporali in relazione a determinati obiettivi ,
procedere senza un focus e precisi limiti di tempo si riduce la fiducia che il cliente ha nelle proprie
capacità.

LE FASI DEL PROCESSO DI AIUTO


il modello centrato sul compito prevede una serie di incontri, strutturati rispetto alle modalità di
definizione dei contenuti e dei limiti temporali, anche se costruiti in modo personalizzato in
relazione a ciascun cliente.

l’intervento distingue tre fasi: iniziale, intermedia e finale, ognuna dedicata a precisi obiettivi.
fasi strettamente interconnesse tra loro.

FASE INIZIALE: L’ACCORDO SUGLI OBIETTIVI DURATA DELL’INTERVENTO


in uno o due incontri,

obiettivo—> di porre le basi per un elemento determinato del processo di aiuto: la costruzione di
una relazione collaborativa e del consenso rispetto al lavoro successivo.

lavoro si concentra in 5 aspetti:

1. l’engagement , ovvero costruzione delle basi per una relazione di collaborazione e fiducia;

2. l’esplorazione della situazione della situazione considerata problematica;

3. l’identificazione del problema target;

4. la definizione degli obiettivi;

5. l’accordo sul limite temporale;

ENGAGEMENT
fondamentale costruzione di una relazione di fiducia collaborativa e partecipata .

ESPLORAZIONE DEL PROBLEMA


il lavoro di aiuto ha inizio con un’esplorazione SCAN per comprendere il punto di vista del
cliente e la sua esperienza del problema. come una fotografia aerea con una visone dall’alto e
più generale dell’area problematica e del contesto.

finalizzata a cogliere la complessità della situazione evitando di scegliere immediatamente un


focus che potrebbe rilevarsi non corretti o non desiderati dal cliente .

focalizzare troppo presto su un’area specifica potrebbe trascurare le difficoltà e circostanze che i
clienti sentono come più urgenti.

IDENTIFICAZIONE DEL PROBLEMA TARGET


obiettivo —> identificare e focalizzarsi sull’approfondimento sel problema considerato più
significativo o urgente PROBLEMA TARGET , quello su cui si sceglie di lavorare per iniziare a
risolvere la situazione di difficoltà .

obiettivo fotocamera—> passare da una visione generale dall’alto a uno zoom sulla sezione
dell’area che si è identificata come prioritaria, per analizzarne insieme i dettagli

cliente a definire quali sono dal suo punto di vista i problemi da affrontare, cosa è più importante
per lui. assistente sociale guida in questo processo.

obiettivo fase—> individuare un numero limitato di problemi su cui concentrarsi , 2o 3.

problemi target diventano oggetto di analisi più approfondita , che consente di rilevarne la
gravità, frequenza, durata, i modi in cui si manifestano e quali persone contesti
coinvolgono.
LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI
nel TCM :

problema—> ciò che si percepisce come situazione di disagio e stress

obiettivo—> ciò che occorre raggiungibile per modificare tale situazione.

compito del professionista sostenere il cliente nell’identificazione di cosa vuole


raggiungere, esplicitando obiettivi specifici, che rendono più facile osservare i progressi o
le difficoltà nel raggiungerli.
autoefficacia e l’autostima migliorano quando è chiaro ed evidente il raggiungimento di un
risultato —> ne deriva la necessità di definire obiettivi osservabili, rilevanti e raggiungibili. ciò
che si vuole raggiungere deve essere rilevante per il cliente.

obiettivi devono essere raggiungibili.

funzione dell’assistente sociale è lavorare sull’EMPOWERMENT e la fiducia nelle capacita della


persona a fronteggiare la situazione . evitare compiti non raggiungibili .

in alcuni casi l’obiettivo può limitarsi. a una riduzione del problema.

L’ACCORDO SUL LIMITE TEMPORALE


in questa fase vengono presi accordi anche per il raggiungimento degli obiettivi, che è in genere
breve, fissato in circa tre mesi, in cui possono svolgersi dai 6 ai 12 incontri, in relazione alla
complessità del problema.

il lavoro entro breve termine non deve essere considerato come una porzione di un progetto più
lungo: è un processo strutturato in modo differente, costruito su una pianificazione precisa di
obiettivi e compiti, non un semplice elenco di azioni da compiere e prestazioni da erogare.

FASE INTERMEDIA: PIANIFICAZIONE E IMPLEMENTAZIONE DEI COMPITI


in relazione all’analisi del problema target e degli obiettivi identificati viene costruita la fase della
identificazione e implementazione dei compiti. è la fase dell’intervento in cui il cliente pianifica e
realizza le attività di problem solving che servono al raggiungimento dell’obiettivo.

i compiti TASKS sono attività messe il campo per ridurre gli effetti del problema target. una
sequenza pianificata di passi che porta dal problema WHAT IS WRONG al raggiungimento
dell’obiettivo WHAT IS NEEDED . —> coinvolti clienti e il professionista.

processo di pianificazione e implementazione si articola in quattro fasi:


1. lo sviluppo di una strategia generale, che porta dal problema all’obiettivo ;

2. la selezione di ocmpiti operativi TASK SELECTION e un accordo sui compiti TASK


AGREEMENT che saranno implementati tra una sessione e quella successiva . è utile
sostenere il cliente nella suddivisione del compito in varie sequenze di operazioni,
identificando le attività possibili. se richiesto, il professionista può introdurre suggerimenti su
attività possibili , non come compiti assegnati , ma come possibilità in più. al termine
dell’esplorazione delle possibili alternative è importante che il cliente e l’assistente sociale
definiscono un accordo esplicito su quali azioni si decidessi portare avanti .

3. nella fase du implementazione dei compiti il TCM individua nel TASK IMPLEMENTAION
MODELI un efficace strumento per sintetizzare i compiti e le azioni necessarie alla loro
implementazione , includendoli in modo chiaro all’interno di una strategia più generale.

in questa fase saranno altrettanto essenziali: 

a) considerazione di potenziali benefici legati al conseguimento del comico; 

b) l’identificazione di potenziali ostacoli che il cliente potrà incontrare o incontrato, e la
discussione su come potrebbe superarli . se l’ostacolo si verifica no superabile il un
determinato momento, è più efficace introdurre un compito alternativo. altre difficolta possono
derivare da sistemi esterni . uno dei compiti dell’assistente sociale in questa fase è
l’attivazione di risorse che la persona può facilmente reperire in autonomia e che lo
facilitano nel percorso del problem solving. 

NON confondere TCM con l’attivazione e l’erogazione di prestazioni o servizi, 

TCM—> modello complesso con metodo preciso, che implica la definizione chaira di obiettivi
e compiti , all’interno del quale l’attivazione di risorse è solo uno degli strumenti adottati.

4. la valutazione in itinere si realizza a ogni incontro successivo, facendo il punto sul piano
implementato e le eventuali difficoltà. se compito non è stato portato a termine può essere
necessario un piano differente per eseguirlo o individuare attività alternative .

FASE FINALE
nella fase finale gli incontri sono dedicati a discutere insieme al cliente:

• lo stato dell’arte del problema

• le strategie che hanno avuto successo , ponendo enfasi sulle capacità messe in campo dal
cliente;

• la modalità per mantenere i risultati raggiunti

• ciò che può essere fatto rispetto ai suoi problemi non risolti.

nella fase di conclusione possono emergere nello stesso tempo vissuti positivi e negativi ,
entrambi da riconoscere come un passaggio normale , ma non devono essere utilizzati come una
ragione per prolungare il lavoro guidato da una cornice temporale ben definita.

- IL CASO DI ANNA

CAPITOLO 5 : L’APPROCCIO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE


INTRODUZIONE

l’approccio cognitivo-comportamentale deriva dall’integrazione di assunti teorici e metodi del


comportamentismo e del cognitivismo.

- negli anni Cinquanta del secolo scorso i comportamentisti offrirono un modello alternativo di
psicanalisi, focalizzato non più sui processi inconsci, ma sulle manifestazioni esterne del
comportamento.

- negli anni Sessanta le teorie cognitiviste spostarono il focus sulle esperienze interne alla
persona, come i pensieri e i sentimenti, mettendo in evidenza come schemi disfunzionali di
interpretazione della realtà potessero essere fonte di situazioni di disagio e difficoltà.

- nel periodo successivo si è realizzata l’integrazione tra i due paradigmi, APPROCCIO


COGNITIVO-COMPORTAMENTALE, che ha generato una teoria per la pratica in continua
evoluzione, sufficientemente strutturata da consentire una valutazione della sua applicazione
sul campo.

La CBT include diversi contributi sviluppati prevalentemente nell’ambito della psicologia e in
seguito adattati al social work.

I PRINCIPALI TRIBUTI TEORICI :


IL COMPORTAMENTISMO
secondo i comportamentisti, la mente è una “scatola nera”, il cui funzionamento interno non è
conoscibile: il focus diventa pertanto l’analisi e la comprensione dei comportamenti appresi e
osservabili.

a PAVLOV è attribuita la scoperta del condizionamento classico, uno dei concetti fondamentali del
comportamentismo; egli studiando il fenomeno della secrezione psichica dei cani, notò che la
salivazione degli animali aumentava non appena lui entrava nella stanza, poiché associavano la
sua presenza al cibo. lo studioso verificò l’esperimento, facendo precedere alla somministrazione
del cibo il suono di un campanello e dimostrando come i cani fossero in grado di apprendere
l’associazione tra il suono e la fornitura del cibo. a seguito del condizionamento, il suono era
infatti in grado di generare la salivazione del cane, un comportamento non naturale, ma appreso e
definito come risposta condizionata. questo tipo di apprendimento avviene in modo automatico
anche nel quotidiano degli esseri umani, e in genere a livello conscio: ad esempio, possiamo
sviluppare resistenza gustare determinati cibi, se questi sono stati associati più o meno
consapevolmente a esperienze negative (una brutta indigestione).

la validazione empirica del concetto di condizionamento classico sugli esseri umani fu condotta
da WATSON su un bambino che fu indotto ad associare stimoli neutri, come la vista di un
topolino, a un forte rumore atto ad indurre spavento, apprendendo così ad associare sensazioni
negative alla vista dell’animale.
si deve invece a SKINNER il concetto di condizionamento operante, che invertì le fasi di quello
classico: la probabilità di frequenza di un comportamento aumenta a seguito di uno stimolo-
rinforzo gratificante, ad esempio quando un genitore riconosce il successo scolastico del
bambino attraverso un premio.

questi concetti furono introdotti nel tentativo di ampliare la conoscenza del comportamento
umano e declinati in tecniche terapeutiche i di aiuto.

anche il servizio sociale ha introdotto alcuni strumenti utili ad affrontare problemi che richiedono la
consolidazione, l’estinzione o la modifica di determinati comportamenti. THOMAS porta l’esempio
dell’utilizzo di ricompense (ad esempio l’uso del telefono e del denaro) nella definizione di un
progetto a sostegno di un adolescente, al fine di stimolare comportamenti positivi (riprendere a
frequentare la scuola). l’estinzione consiste invece nell’omissione di rinforzi che precedentemente
sostenevano un comportamento; può accadere inconsapevolmente che alcuni atteggiamenti dei
genitori rinforzino risposte disfunzionali dei bambini.

Il professionista può aiutare ad identificare ed eliminare tali rinforzi: evitare di concedere caramelle
nel tentativo di risolvere una crisi di pianto riduce la frequenza di tale comportamento.

LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE


i costrutti del comportamentismo furono integrati dalla teoria dalla teoria dell’apprendimento
sociale di BANDURA , psicologo canadese che nella spiegazione del comportamento appreso
considerava di prima importanza le relazioni sociali e le influenze.

teoria —> l’apprendimento ha luogo attraverso l’osservazione e l’insegnamento .

BANDURA coniare il concetto di modellamento , secondo cui l’apprendimento dei


comportamenti deriva dall’osservazione di azioni messe in atto da altre persone che fungono da
modello . (bambino da genitore o significativi, studente di servizi sociali da proprio supervisore

teoria—> una condizione essenziale per l’acquisizione del comportamento , anche di quello
aggressivo, è la valutazione dei suoi esiti in termini di conseguenze positive o negative, sia
per esperienza diretta o per osservazione di altre persone che mettono in atto la condotta.
se una persona ritiene di esser in grado di portare a termine una determinata performance e
riceverà riconoscimenti per questo comportamento è più probabile che la ripeta. la percezione di
autoefficacia SELF-EFFICACY corrisponde al grado in cui una persona ritiene di essere capace
di risolvere con successo certi problemi, di far fronte alle difficoltà. la convinzione di essere
efficaci influenza alla capacità di trarre vantaggio dalle potenzialità individuali e dalle opportunità
ambientali . —>percezione non corrisponde a una disposizione individuale o un atteggiamento
verso sé stessi , come l’autostima . riguarda aspettative di obiettivi raggiungibili riferiti a particolari
ambitisi attività e determinati standard .

IL COGNITIVISMO
Il contesto in cui nacque il cognitivismo era caratterizzato dalla dominanza della psicanalisi e del
comportamentismo, entrambi scarsamente interessati alla dimensione conscia e consapevole
dell’attività mentale. I processi alla base dell’intenzionalità e della motivazione erano poco
indagati, con il rischio di considerare l’individuo come passivamente determinato da stimoli
esterni o da pulsioni interne.
a partire dagli anni Sessanta, teorici e professionisti del cognitivismo iniziarono a focalizzare
l’attenzione sui processi cognitivi, sul modo in cui consapevolmente gli individui pensano a
sé stessi e sé stessi in relazione con gli altri, anche in termini di autovalutazione di efficacia.
la nascita di un tipo di intervento orientato dal cognitivismo è attribuita ad ELLIS, il cui lavoro
parte dall’assunto secondo cui, alla base di situazioni di disagio o disturbo psicologico, vi sono
credenze disfunzionali, che hanno implicazioni sul funzionamento quotidiano.

ELLIS—> ritiene che alcuni tipi di credenze portano a generare emozioni e comportamenti
positivi, ovvero funzionali agli obiettivi dell’individuo, altri invece producono emozioni e
comportamenti negativi, peggiorando la qualità di vita della persona. come idee disfunzionali che
riguardano se stessi (come figlio sono un disastro) , il mondo (sono tutti…) o eventi futuri (non
supero mai gli esami).

secondo Ellis è possibile identificare e modificare questi pensieri, aiutando la persona ad


essere meno vulnerabile. l’autore propone un modello interpretativo, l’ABC Model, secondo
cui la persona di fronte a una determinata situazione o “Evento Attivante (A), attiva
determinate “Credenze” (o beliefes-B), cioè pensieri o interpretazioni che riguardano
l’evento, che hanno “Conseguenze” (C) di natura emotiva o comportamentale. non c’è
dunque un evento attivante e una sua conseguenza diretta, come sostiene il comportamentismo
classico, poiché le conseguenze sono mediate dalle convinzioni della persona, più o meno
funzionali; la situazione di disagio può emergere in relazione alla comparsa e alla frequenza
di credenze disfunzionali.

METODO DI ELLIS PE INTERVENTO DI AIUTO—> consiste nel mettere in discussione queste


credenze, attraverso argomentazioni logiche con cui il soggetto è sollecitato a cogliere
l’aspetto disfunzionale delle conseguenze del suo pensiero e dunque accompagnato verso il
cambiamento di ciò che produce sofferenza.

BECK—> è considerato uno dei pionieri della terapia cognitiva, in particolare applicata alla
depressione; egli utilizza il termine “schema cognitivo” per riferisti a strutture mentali attivate
dall’interazione con gli eventi, che portano alla costruzione di contenuti mentali, ovvero credenze
su noi stessi, gli altri e il mondo esterno. l’attivazione degli schemi per interpretare la realtà piò
dare luogo a pensieri consapevoli, oppure automatici: questi ultimi emergono in modo non
consapevole, senza alcun tipo di controllo metacognitivo. —> quelli negativi , spesso collegati ad
assunti più profondi che la persona ha su sé stessa e sugli altri (ad esempio, “Qualsiasi sforzo
possa fare, non riesco mai in niente”). questo tipo di pensieri può attivarsi in situazioni avverse o
di forte stress e se la loro attivazione è ripetuta frequentemente, può portare a situazioni in cui la
persona è demotivata e in uno stato di rassegnazione, fino a casi in cui piò sviluppare forme di
depressione.

BECK —> chiave della comprensione del disagio si colloca entro il campo della coscienza: il
focus dell’intervento diventa l’indagine su cosa il cliente pensa nel momento in cui vive
un’esperienza emotiva negativa, incoraggiandolo a riflettere e prendere consapevolezza dei
propri pensieri.
negli approcci del cognitivismo classico, forte enfatizzazione della dimensione razionale
dell’individuo , restano in secondo piano sia la reciproca influenza di strutture cognitive, emozioni
e comportamenti, sia le motivazioni che guidano i comportamenti, nonché le ipotesi sullo sviluppo
delle credenze disfunzionali.

negli anni Ottanta l’influenza dell’opera di BOWLY sulla teoria dell’attaccamento consentì di dare
alcune risposte a queste situazioni non risolte nel modello tradizionale . attaccamento—> quel
comportamento che motiva il bambino a cercare la vicinanza fisica del caregiver quando
vive emozioni di paura , sofferenze fisica, dolore emotivo. la ricerca in questo ambito ha
portato a dati fondamentali per la comprensione dell’influenza delle relazioni di attaccamento sullo
sviluppo della nostra mente, sulla regolazione delle emozioni, le capacità sociali e lo sviluppo
della funzione metacognitiva. queste teorie sono state integrate negli studi cognitivisti, mostrando
come certi schemi possono essersi costruiti nel corso dell’infanzia, rimanere latenti e influenzare il
comportamento in età adulta, oppure riemergere in determinate situazioni stressanti, che mettono
alla proba le capacità dell’individuo.

negli approcci contemporanei entra in crisi l’idea di una logica razionale a cui aderire e della
mente come ricettore passivo di informazioni. Il focus è su come gli individui usano le
informazioni in interazione con l’ambiente per creare significati. pensieri disfunzionali ed errori
cognitivi sono caratteristici del normale funzionamento delle perone e non necessariamente
associati a un disturbo psicologico o patologico. la situazione di disagio emerge quando si
agisce in base a essi in maniera inconsapevole e acritica .

nel servizio sociale i modelli contemporanei, cercano di integrare diversi aspetti, restituendo
importanza all’influenza di fattori sociali nel processo di costruzione die significati che attribuiamo
al mondo esterno e che con esso interagiscono.

I CONCETTI CHIAVE:
SCHEMI COGNITIVI
sono strutture cognitive che permettono di organizzare e interpretare le informazioni che
vengon dall’esterno. dalla nascita in poi, schemi innati si sviluppano in interazione con
l’ambiente fisico e sociale, articolandosi in configurazioni sempre più complesse. una volta
formatosi, uno schema si attiva in relazioni a situazioni corrispondenti alla struttura di significato
che esso media . (incontro sconosciuti—> schemi cosa gli altri si aspettano ). si strutturano così i
concetti che abbiamo su di noi, sugli altri, e sul mondo.

schemi più attivati—> centrali nell’organizzazione cognitiva e rappresentano la modalità


prevalente con cui diamo senso all’esperienza. —> schemi come lenti con cui guardare il
mondo, delle regole di conoscenza che si sono costruite in relazione alle esperienze fatte,
sulle quali si fondano le nostre aspettative rispetto a come funzionano gli altri e la realtà
esterna. 

ADATTABILITÀ ALL’AMBIENTE
gli schemi sono funzionali al nostro adattamento all’ambiente sociale e fisco. sono l’esito di
un’attività mentale che fin dalla nascita cerca di trovare una regolarità tra le cose che accadono ,
per avere una capacità di previsione e agire su di loro.

schemi —> sintetizzano delle regole su come funziona il mondo e sul modo migliore per noi
di starvi , —> servono a guidare la nostra azione. si costruiscono durante l’infanzia , si
consolidano nel periodo dell’adolescenza, assumendo un carattere più duraturo e stabile in età
adulta.

più il sistema conoscitivo flessibile e adattabile —> + numero di schemi attivati al fine di
individuare diverse alternative per interpretare e fronteggiare le situazioni , aumentando al
possibilità di adattamento e la capacità di affrontare gli imprevisti .

problema—> schemi si costruiscono come rigidi e compromettono il funzionamento sociale e


relazionale .

CONTENUTI DEGLI SCHEMI



gli schemi generano determinate rappresentazioni cognitivo-emotive , con diversi contenuti che
possono essere rappresentati secondo un ordine dal generale al particolare :

• le credenze di base sono idee e giudizi più generali su noi stessi , gli altri, o il mondo;

• le credenze intermedie individuano opinioni e regole che guidano le strategie attivate in


riferimento alle nostre credenze di base;

• i pensieri automatici sono legati alle credenze di base e intermedie e costituiscono il nostro
dialogo interiore , fatto di opinioni, valutazioni, e giudizi che attraversano rapidamente la nostra
mente, in modo involontario e automatico, di cui spesso non abbiamo consapevolezza
immediata . essi accompagnano, precedono o seguono uno stato emotivo. ( interpretare
espressione persona mentre parli che cambia nostro umore)

gli schemi non hanno solo una componente logico-razionale , finalizzata a una funzione
valutativa , ma implicano anche una componente emotivo-affettiva e orientano una specifica
disposizione all’azione.

DISTORSIONI COGNITIVE
nel processo di elaborazione delle informazioni possono determinarsi distorsioni , dette ‘bias
cognitivi’ che derivano da processi mentali presenti in ognuno di noi.

capita che ci affidiamo a strategie di pensiero chiamate ‘euristiche’ , ovvero processi mentali
intuitivi e rapidi che ci consentono di fare presto nel decidere spesso . in alcuni casi ci portano in
direzioni sbagliate.

quando l’utilizzo di bis diventa rigido e persistente e la distorsioni di informazioni


dall’esterno è costante, si produce disagio nella persona e difficoltà di interazione con
l’ambiente.
esempi di bis cognitivi:

- il pensiero dicotomico , del tutto o niente che porta a vedere la situazione in termini di
categorie mutualmente eslcudenti ( pensavo di essere intelligente invece non ho risposto a tutte
le domande) ;

- la personalizzazione che induce ad attribuire a se stessi la causa di eventi o comportamenti di


altri;

- il pensiero catastrofico, che porta a focalizzarsi sulle peggiori conseguenze ,


sovrastimandone la probabilità.

- meccanismi che portano ad attribuire ad altri sentimenti negativi verso noi stessi;
- minimizzazione , che porta a sminuire gli aspetti positivi , le situazioni

SOGGETTIVITÀ DELLE INTERPRETAZIONI


il senso comune ci porta a pensare che siano gli eventi a farci stare bene o male, al il modello
cognitivo-comportamentale assume invece che ciò dipende dal modo in cui diamo significato e ci
relazioniamo a questi eventi. reazioni di due persone con stessa situazioni possono essere molto
diversi.

SIGNIFICATI SOCIALEMENTE COSTRUITI


interazioni con familiari , amici e persone dall’infanzia fino all’eta adulta contribuiscono a costruire
i significati che attribuiamo all’esperienza.

METACOGNIZIONE
il concetto di metacognizione riguarda la nostra capacità di identificare e riflettere sui nostri
stati mentali , su quelli degli altri e di utilizzare tali riflessioni per prendere decisioni o
risolvere problemi o conflitti.
strategie di scarso impegno riflessivo—> alcol , farmaci

alle strategie richiedono elevato impegno per lo sviluppo e l’utilizzo di una conoscenza
approfondita del proprio stato mentale ed emotivo del proprio funzionamento nella gestione degli
stati di sofferenza o nella situazione di problemi.

obiettivi nel CBT—> lavorare con il cliente per migliorare le sue competenze verso percorsi
di cambiamento e autonomia.

LA PROSPETTIVA COGNITIVO- COMPORTAMENTALE NEL SOCIAL WORK


GOLDSTEIN 1984 —> fornì uno dei contributi che vede l’integrazione della CBT e del filone
umanistico-costruzionista , con attenzione di processi di pensiero ma anche all’importanza delle
emozioni

SHARON BERLIN 2002—> proposto un modello cognitivo-integrato che oltre a far riferimento ad
assunti e tecniche del cognitivismo, si focalizza sui fattori sociali che contribuiscono ala
costruzione dei significati

quando i SOCIAL WORKERS adottano la prospettiva dell’approccio cognitivo-comportamentale


prendono in considerazione una delle possibili chiavi di lettura della situazione del cliente , che
pone l’attenzione su alcune specifiche variabili: l’utilizzo di mappe cognitive o comportamenti
poco funzionali agli obiettivi che la persona si pone, la percezione di difficoltà p competenza
rispetto alla possibilità di cambiamento, l’assenza di attenzione consapevole rispetto a modalità di
lettura disfunzionali , i relativi vissuti e reazioni emotive, le conseguenze in termini di relazioni con
gli altri e di capacità progettuale.

situazioni di difficoltà—> interazione tra circostanze difficili e la presenza di schemi rigidi o


poco funzionali interpretare la realtà , che rendono problematica la ricerca di soluzioni.
professionista può aiutare a cambiare i significati attribuiti a queste situazioni in diversi modi:
aumentando le informazioni disponibili, intervenendo sulle condizioni ambientali, aiutando il
cliente ad apprendere gli strumenti necessari ad acquisire maggiore consapevolezza
(METACOGNIZIONE ) rispetto a comportamenti , reazioni, pensieri ed emozioni che considera
poco adatti ai suoi scopi e a fare proprie capacità di letture alternative della situazione.
OBIETTIVO FINALE—> che il cliente in ultima istanza diventi agente di cambiamento di sé
stesso. l’ascolto ematico e il supporto emotivo sono fondamentali, ma cuore dell’intervento —>
consiste nell’aiutare a identificare e modificare pensieri, credenze e reazioni che inducono
sofferenze nella persona.
In quanto ambito di intervento interdisciplinare, il servizio sociale privilegia modelli di CBT in grado
di spostare il focus dei suoi processi cognitivi e individuali, per includere le analisi e l'azione
sull'ambiente, considerato che gli schemi si formano attraverso l'esperienza in interazione con gli
altri è il più ampio contesto sociale.

è altrettanto fondamentale sviluppare competenze di sensibilità interculturale al fine di
comprendere come strutture cognitive, emotive e comportamentali si siano costruite e radicate
all’interno di particolari visioni del mondo, proprie di diverse appartenenze culturali, non solo in
relazione al paese di origine, ma anche al genere, alla classe, al credo religioso e politico.

molto spesso gli assistenti sociali sono sfidati da casi in cui le persone, nonostante i tentativi dei
servizi, sembrano preservare in modalità di pensiero e comportamento che si sono rivelate più
volte fallimentari e hanno portato a conseguenze estremamente negative per sé e per gli altri.

la CTB consente anche di fare ipotesi sulla resistenza delle persone al cambiamento, pur in
situazioni di estrema difficoltà; persone orientate da assunti negativi possono avere una visione
pessimistica rispetto alle possibilità e alle loro capacità di andare nella direzione del
cambiamento. questi schemi danno luogo a comportamenti apparentemente incomprensibili, in
realtà funzionale all’adattamento dell’esperienza negativa che li ha prodotti. l'intervento cognitivo
comportamentale offre modalità per agire su questi schemi, offrendo esperienze che li rendono
meno assoluti a rigidi.

IL PROCESSO DI AIUTO E LE SUE FASI


l’approccio cognitivo-comportamentale orienta interventi a breve termine, tempi devono essere
chiariti dall’inizio e il professionista è pronto a dichiarare inadatto il proprio metodo nel caso in cui
non si osservino risultati positivi almeno parziali entro un numero di incontri limitato.

focus intervento —> presente

la CBT propone un modello di intervento strutturato. la definizione di obiettivi espliciti e dei mezzi
per raggiungerli contribuisce ad avere chiara la direzione del cambiamento.

cliente—> non recettore passivo , ma collabora in modo attivo all’esplorazione di emozioni ,


pensieri , e comportamenti che sono la causa di sofferenza .

professionista—> facilitatore del cambiamento che mette a disposizione la propria conoscenza


dei problemi e accompagna nell’apprendimento di nuove competenze

obiettivo—> empowerment del cliente che sperimenta compiti, esercizi di ruolo e altre tecniche di
condivise con il professionista apprende nuove modalità di far fronte ai problemi.

FASI IN CUI SI STRUTTURA L’INTERVENTO

ENGAGEMENT
relazione di aiuto di qualità è la base che influenza e determina la possibilità di introdurre
specifiche tecniche , che distinguono la CBT.

la relazione è lo strumento con cui il cliente apprende e costruisce l’opportunità di vedere sé


stesso e il mondo esterno secondo una prospettiva differente.

obiettivo—> trasmettere al cliente il messaggio sulla sua capacità a crescere e a funzionare in


modo coerente con i suoi obiettivi e il suo valore come essere umano .

la relazione, se impostata innanzitutto sul rispetto dell’altro , dei suoi modi di conoscere e
affrontare la realtà diventa il presupposto per un’esperienza che consentirà , a partire da un
contesto sicuro e protetto, di acquisire maggiore consapevolezza e sperimentare nuovi modi
di interazione.

ASSESSMENT
relazione basata su rispetto e sull’ascolto ematico è essenziale ma non sufficiente.

obiettivo del processo di aiuto —> NON è di fornire nuove mappe preconfezionate, ma
accompagnare le persone a riconoscere i propri schemi, come punto di partenza per
l’apprendimento di modalità alternative di interpretazione e comportamento .

assistente sociale che si limita ad erogare prestazioni a contributi economici, senza di fatto
lavorare sulle capacità e competenze della persona, può contribuire a costruire un ruolo passivo
del cliente e la sua credenza che di fatto non è in grado di farcela da solo. anche la semplice
indicazione alla persona di attivarsi, senza accompagnare il percorso di cambiamento, può allo
stesso modo essere percepita come una richiesta che contiene un giudizio di incapacità o di
impiego, a rischio di tradursi nella cosiddetta “profezia che si autoavvera’’ .

DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E DELLE TECNICHE DI INTERVENTO

l’assessment porta a individuare una serie di target su cui agire nella fase dell’intervento. a
seconda del focus scelto, in relazione alla persona e al tipo di disagio che ha portato al servizio,
alcuni interventi saranno più focalizzati su aspetti cognitivi, sulle capacità metacognitive, oppure
sull’area comportamentale.

rispetto all’area cognitiva l’obiettivo è rendere più chiari i pensieri e il dialogo interiore,
portare a livello di consapevolezza idee e credenze su di sé sugli altri. una volta esplorato
sotteso a situazioni e comportamenti occorre lavorare sul reframing, ovvero trovare insieme
interpretazioni alternative, diverse possibilità di dare un senso alle situazioni, cercando di
comprendere come pensieri alternativi possono condurre a una situazione vissuta con
meno sofferenza.
alcune tecniche nell’area cognitiva sono:

• la compilazione di diari di automonitoraggio , utili a rilevare la frequenza di determinati


comportamenti e pensieri negativi, le situazioni in cui si attivano, quali emozioni sono presenti in
quel momento, quali le conseguenze nella relazione con le persone coinvolte —> aumentare
consapevolezza del cliente;

• la registrazione dei colloqui , il cui contenuto può diventare materiale su cui il cliente può
continuare a lavorare tra un incontro e l’altro;

• la proposta di letture, video o workshop possono supportare il lavoro in cui si cerca


parallelamente di sviluppare nuovi modi di vedere approcciare le situazioni;

• la sperimentazione di roleplay , in cui il professionista e il cliente si scambiano i ruoli: il primo


presenta al secondo i pensieri e le credenze di cui il cliente stesso ha parlato, osservandone le
reazioni del ruolo del professionista;

• una lista dei vantaggi e degli svantaggi fatta dal cliente rispetto al mantenimento delle sue
credenze o allo sforzo per cambiarle. l'obiettivo è mantenere il cliente pienamente
consapevole delle ragioni per cui ha scelto di provare a cambiare, facendo riferimento a queste
nel caso di ricadute o momenti di difficoltà;

• l'accompagnamento ad apprendere stili di pensieri più adattivi, una volta individuato un


penserò o una reazione poco funzionale è più probabile che a persona vi rinunci non solo se
riesce a capire che non l’aiuta, ma anche se ha in mente un’alternativa.

una volta raggiunto un certo grado di consapevolezza di sé , un passaggio fondamentale è


accompagnare nella definizione di obiettivi raggiungibili: individuare una direzione chiara su ciò
che si vuole ottenere aiuta a spostare il focus su possibili cambiamenti positivi. è importante
aiutare le persone a individuare obiettivi che possono essere realizzati che consentono di
aumentare il senso di autoefficacia.

l’apprendimento avviene attraverso l’attuazione In pratica di compiti, individuati in maniera


collaborativa, che consentono di sperimentare nuovi modi di elaborare le informazioni di ritorno,
rispetto agli effetti del proprio comportamento.

portare a termine un compito con successo comporta l'apprendimento di strategie che possono
essere applicate in altre situazioni e apre la possibilità di sperimentare schemi cognitivi e
comportamentali che progressivamente portano a un processo di ristrutturazione del proprio
modo di muoversi nella realtà.

altre tecniche nell'aria comportamentale riguardano l'utilizzo di rinforzi positivi come l'introduzione
di gratificazione dopo aver completato con successo un compito oppure l'esposizione graduale,
con l'obiettivo di eliminare l'associazione tra determinate esperienze vissuti di ansia.

VERICA E CONCLUSINE DELL’INTERVENTO



il modello cognitivo comportamentale assume che la maggior parte dei cambiamenti non si
realizzi durante, ma in seguito ai colloqui tra il social worker e il cliente.

e dunque fondamentale è parte costante dell'intervento la valutazione in itinere insieme al
cliente rispetto allo stato di raggiungimento degli obiettivi, dei compiti realizzati, delle
difficoltà incontrate, di successi. la conclusione del processo di aiuto è prevista in relazione agli
accordi presi rispetto agli obiettivi, anche temporali, dell'intervento che si caratterizza come a
breve termine.

IL CASO DI ENRICO

CAPITOLO 6: L’APPROCCIO MOTIVAZIONALE


INTRODUZIONE
Il modello transteorico venne sviluppato negli anni 80 da PROCHASKA e DI CLEMENTE due
psicologi statunitensi, il cui obiettivo era quello di rispondere al problema della
frammentazione dei servizi che si occupavano di accompagnare le persone verso il
cambiamento di azioni o comportamenti, come dipendente, disturbi alimentari, ecc.,
considerati problematici.

a partire da un'analisi comparativa dei sistemi di psicoterapia esistenti, i due psicologi proposero
un modello integrato, in grado di includere i processi di cambiamento presi in considerazione
diversi filoni. l'obiettivo era quello di integrare i contributi all'interno di una teoria più generale,
utile a spiegare come e quando le persone cambiano, quando lo fanno in modo spontaneo e
i casi in cui è necessario intervento professionale.

il modello di Di Clemente e Prochaska fuori preso da MILLER e ROLLNICK, gli autori del
colloquio motivazionale. le origini del colloquio motivazionale sono nell’ambito delle dipendenze
patologiche in cui da tempo la pratica dimostrava gli esiti negativi di programmi terapeutici troppo
direttivi , molti erano gli abbandoni o i fallimenti . colloquio motivazionale —> elaborato come
metodologia alternativa , che mostrava con evidenze della pratica come si attiva o blocca la
motivazione a intraprendere percorsi di cambiamento.

IL MODELLO TRANSTEORICO
non si focalizza sulle cause che hanno portato a una determinato problema, bensì sul
cambiamento del comportamento , in relazione alla motivazione della persona.

nel modello transteorico—> l’assenza di motivazione non è considerata come un elemento


patologico , ma una condizione variabile nel tempo, che può essere modificata attraverso la
relazione professionale.

il cambiamento è interpretato come un processo graduale, carico di sfide, sopratutto quando si


richiede di modificare comportamenti che si sono costruiti e consolidati come parte del nostro
quotidiano .

il modello transteorico assume che il cambiamento sia un processo continuo , che si articola nel
tempo attraverso una sequenza di fasi, , in corrispondenza delle quali le persone si trovano a
specifici stadi di determinazione e azione ed è diversa la loro motivazione a cambiare. a ogni
stadio corrispondono particolari caratteristiche, oltre all’adempimento di determinati compiti
indispensabili per il passaggio a quello successivo, all’interno di un processo ciclico e graduale.

il modello t. individua due dimensioni fondamentali :

1. gli stadi del cambiamento

2. i processi che vengono messi in atto e i livelli coinvolti nel problema

GLI STADI DEL CAMBIAMENTO

• stadio della precontemplazione—> si trovano le persone spesso etichettate come ‘non


motivate’ o ‘resistenti’ al cambiamento, non consapevoli del problema, non preoccupate dei
danni che ne conseguono; non intenzionate a impegnarsi in obiettivi di cambiamento. spesso si
tratta di persone rassegnate e poco fiduciose delle proprie capacità di motivare la situazione. 

una persona in questo stadio tende a evitare di affrontare il problema, di informarsi, si sottrae a
consigli e raccomandazioni, può mettere in atto meccanismo di difesa quali la negazione, la
minimizzazione o la giustificazione del problema. probabile che entrino in contatto con il
professionista dell’aiuto per invio di familiari o di servizi per emergenza.

• stadio contemplazione —> la persona prende consapevolezza del problema e inizia a


considerare l’ipotesi di cambiare, ma è incerta su cosa fare. in questa fase è in grado di
riconoscere i pro e i contro di un eventuale cambiamento, ma questa analisi, ma questa analisi
si traduce in una situazione di forte ambivalenza , che può durare anche a lungo. DA UN LATO
la persona desidera modificare la propria situazione, DALL’ALTRO il fatto di rinunciare alle
abitudini, o il timore di uno scenario non conosciuto, rischiano di tenerla bloccata sulla strada
del cambiamento.

• stadio della determinazione—> il cliente ha deciso di medicare il comportamento, e inizia a


pianificare la modalità per realizzare il cambiamento. in questa fase prevale la consapevolezza
delle conseguenze negative, nonostante resti presente la considerazione di alcuni aspetti del
comportamento , in qualche modo vissuti come fonte di piacere. secondo gli autori questa fase
avrebbe durata breve, circa un mese, in quale si passa all’azione per il cambiamento o si torna
indietro.

• stadio dell’azione—> descrive la fase in cui la persona ha iniziato a mettere in atto le azione
necessarie al cambiamento e ha speso i comportamenti considerati problematici. il cliente ha
iniziato a organizzare il proprio tempo e le proprie attività e modificare le abitudini in relazione
alla nuova situazione.

• fase di mantenimento—> il cliente consolida il cambiamento ottenuto. in questo stadio è utile


lavorare sul rinforzo della fiducia, in relazione ai risultati raggiunti, e sostenere il cliente per
prevenire eventuali ricadute.

• l’ultima fase della risoluzione del problema —> quando la persona si sente sicura di sé e del
fatto che manterrà il nuovo stile di vita. questo stadio può essere raggiunto anche
spontaneamente e senza alcun particolare intervento professionale.

le caratteristiche e i processi attivi nelle diverse fasi suggeriscono ai professionisti dell’aiuto di


adottare modalità relazionali e di intervento differenti, proprio a partire dalla valutazione di dove il
cliente si trova.

- [fase precontemplazione] quando non c’è motivazione al cambiamento è controproducente


intervenire con suggerimenti o forzare nella direzione di ipotesi progettuali. in questa fase
l’obiettivi è la costruzione di una relazione empatica e di un clima basato sulla fiducia e
l’accettazione , che facilitano l’espressione del cliente e permettono all’operatore di
comprendere la sua dimensione. 

il professionista —> si limita all’ascolto empatico e riflessivo, accogliendo senza giudicare.

- [stadio contemplazione ] anche per la persona in ambivalenza è fondamentale sentirsi accettata


ed essere sostenuto nell’esplorazione dei vantaggi e dei svantaggi che derivano dal problema,
che dall’ipotesi di cambiamento. insistere su proposte di intervento può far emergere con più
forza questi vissuti, non ancora sufficientemente elaborati.

- [fase di determinazione] il cliente ha individuato la sua direzione e l’aiuto dell’operatore può


essere necessario per stimolare la capacità di formulare le sue ipotesi progettuali, oppure
presentando una serie di alternative su cui confrontarsi. ( l’ assistente sociale potrebbe attivare
risorse utili ecc)

- [fase dell’azione] il cliente sta sperimentando e la strategia del professionista è quella di


valorizzare i succesi, così come riconoscere e sostenere la persona in caso di difficoltà e
ostacoli

- [stadio di mantenimento] obiettivo—> mantenere e consolidare i risultati raggiunti, oltre al


costante sostegno all’autoefficacia, è utile cercare insieme insieme al cliente di costruire nuove
risposte ai bisogni che in qualche modo la situazione precedente al cambiamento appagava.
(come rilassarsi senza fare uso di sostanze)in quesa fase è fondamentale continuare a lavorare
sull’autoriflessività e la consapevolezza, al fine di prevenire ricadute

- [fase risoluzione del problema] quando si considera risolto il problema, è utile chiudere,
accompagnando alla fine della relazione professionale e riconoscendo i risultati raggiunti

I PROCESSI DEL CAMBIAMENTO E LE STRATEGIE


un processo di cambiamento è un tipo di attività intrapresa o vissuta da una persona che può
incidere sul modo di sentirsi e comportarsi riguardo a un problema. PROCHSKA , NOCROSS e DI
CLEMENTE hanno identificato dieci processi fondamentali, a cui corrispondono altrettante
strategie di intervento.

strategie di tipo cognitivo o esponenziale:

• aumento della consapevolezza: l’operatore può sostenere nell’esplorazione del problema,


anche interagendo con informazioni e stimoli , ma soprattutto assicurando uno spazio in cui il
cliente si sene protetto e può parlare liberamente.

• attivazione emozionale: il professionista può costruire situazioni in cui il cliente sperimenta in


un luogo protetto le proprie reazioni di fronte a eventi emotivamente carichi. role plays o attivare
esperienze di ascolto di ‘testimoni’

• rivalutazione di sé: il professionista aiuta a comprendere come e quanto lo stato attuale e


l’eventuale cambiamento siano in accordo o in contrasto con i valori della persona e l’immagine
che ha di sé . aiuta a riflettere sulle discrepanze esistenti tra i valori del cliente e i modi in cui
gestire di fatto la propria esistenza.

• rivalutazione ambientale: l’operatore sostiene il cliente nel processo di analisi degli effetti che
sia la situazione problematica, sia un eventuale cambiamento possono avere sul contesto di vita
e le altre persone coinvolte.

• liberazione sociale: consiste nel la varare sulle reti sociali che coinvolgono la persona, al fine di
attivare opportunità e risorse in grado di supportare il processo di cambiamento, come favorire
la partecipazione a gruppi di mutuo- aiuto, fornire risorse materiali o abitative se necessario
aiutare nella ricerca del lavoro e così via.

altre strategie si riferiscono invece ad aspetti comportamentali

• liberazione personale: si realizza nel momento in cui il cliente sceglie di attuare strategie di
cambiamento, è pronto all'impegno e acquista fiducia nelle proprie capacità. possono essere
utili strumenti che rendono evidente ed esplicito questo passaggio, come ad esempio la
condivisione della scelta con persone significative della propria rete socio familiare, o
dichiarazioni pubbliche relative al proprio impegno in gruppi di auto-aiuto;

• controllo dello stimolo : consiste nell'evitare esperienze che attivino incoraggino il


comportamento da modificare; un obiettivo può ad esempio essere la riduzione degli incontri
nei bar dove la persona era abituato a fare uso di sostanze, oppure la partecipazione a gruppi di
mutuo aiuto, cercando di capire quali strategie sono state di aiuto per altre persone;
• controcondizionamento: consiste nell'apprendimento di comportamenti alternativi e attività
che sostituiscono i precedenti comportamenti disfunzionali, assicurando un modo diverso di
appagare i bisogni a cui erano associati. ad esempio, può essere utile partecipare ad attività
sportive o ricreative e in setting terapeutici, utilizzare specifiche tecniche per il rilassamento, la
gestione delle emozioni e l’apprendimento della assertività.
• gestione del rinforzo: aiuta la persona a capire come rinforzare i comportamenti positivi, ad
esempio gratificandosi con situazioni o attività piacevoli, dopo aver attuato nuovi
comportamenti salutari.

• relazione d’aiuto: in tutti gli approcci, l’empatia, l’apertura, l’attenzione alla persona
costituiscono i presupposti per stabilire una relazione in grado di restituire fiducia nella
possibilità di cambiare.

secondo il modello transteorico è importante che le equipe di professionisti che rifletta la


complessità che la persona porta e si è in grado di gestire ognuno di questi processi con
specifiche competenze, a seconda del livello su cui è necessario agire: cognitivo,
comportamentale, interpersonale, familiare- sistemico, ambientale.

IL COLLOQUIO SECONDO L’OTTICA MOTIVAZIONALE


il colloquio motivazionale è un approccio basato su evidenze empiriche che si è dimostrato
efficace per accompagnare le persone verso il cambiamento desiderato. MILLER E ROLLNICK a
mettere a punto a partire dagli anni 80 un insieme di metodi, strategie di intervento e abilità
comunicative e relazionali, con l’obiettivo di sostenere la motivazione al cambiamento delle
persone. il c. m non fa riferimento a una propria teoria organica , ma si fonda su una serie di
concetti derivanti da diverse fonti, tra le quali:

- il modello transteorico di PROCHASKA e DI CLEMENTE , in particolare il riferimento agli stadi


del cambiamento

- il modello centrato sulla persona di ROGERS rispetto al suo contribuito nel costruire gli
atteggiamenti e le abilità che fondano una relazione empatica

- concetto di auto efficacia di BANDURA

- la toeriep della reattanza d BREHM secondo cui quando le persone sentono minacciata la loro
libertà di dire e fare ciò che desiderano, sperimentano uno stato di attivazione motivazionale
che le spinge a tentare di ristabilire la libertà

- la teoria della dissonanza cognitiva di FESTINGER e la sua evoluzione , aveva osservato come,
quando le persone vivono una discrepanza tra i propri comportamenti e i valori di riferimento, la
situazione di incoerenza provoca in loro un vissuto spiacevole che motiva un cambiamento
cognitivo , mirante a ridurre tale incompatibilità. consente di comprendere cosa accade quando
si propone un cambiamento a persone non motivate.

pur non avendo definito una precisa identità teorica, gli autori del colloquio motivazionale sono
stati in grado di suggerire strategie tra loro coerenti con un’evidente valenza pratica, tenute
insieme da principi espliciti e chiari che orientano lo spirito del colloquio motivazionale.
un altro punto di forza riguarda la possibilità di testare In pratica l’efficacia di queste strategie,
consentendo un continuo aggiornamento dei metodi e dei riferimenti teorici.

la definizione di Miller e Rollnick riassume le caratteristiche essenziali del colloquio motivazionale,
definendolo come:

uno stile di comunicazione collaborativo e orientato, che presta particolare attenzione al linguaggio
del cambiamento, progettato per rafforzare la motivazione personale e l’impegno verso l’obiettivo
specifico, attraverso la facilitazione dell’esplorazione delle ragioni proprio della persona per
cambiare, il tutto in un’atmosfera di accettazione e di aiuto.

colloquio motivazionale—> si fonda su principi da cui derivano precisi obiettivi.

lavoro—> focalizzato sulla motivazione del cliente a cambiare la situazione vissuta come
problematica e sull’esplorazione delle sue ragioni per il cambiamento , all’interno di una relazione
basata sulla conversazione. Il colloquio motivazionale rimette al centro la persona, non come
individuo da rieducare, ma come portatrice di valori propri.

sono dunque considerati essenziali le tecniche per la costruzione di una relazione sono dunque
considerati essenziali le tecniche per la costruzione di una relazione empatica, punto di partenza
che consente al cliente uno spazio per esplorare sé stesso, le proprie ragioni e motivazioni.

nelle prime fasi del colloquio il riferimento è alle abilità individuate dall’approccio rogersiano: il
professionista si pone in posizione di ascolto e cerca di capire, evitando accuratamente di portare
la propria opinione. nelle fasi successive, il colloquio motivazionale asse uno stile più direttivo: la
definizione dei contenuti del cambiamento è attribuita al cliente, mentre il professionista ha un
ruolo di orientamento e di guida nel lavoro per risolvere l’ambivalenza e incrementare la
motivazione intrinseca al cambiamento.

l'approccio motivazionale esclude invece lo stile del “dirigere”, quando è l’operatore a decidere
che cosa e come si deve procedere all’intervento: nello stile direttivo, il professionista è
considerato l'esperto competente nel descrivere il problema, sottolineandone gli aspetti negativi e
le conseguenze problematiche, offrendo insieme alla diagnosi la soluzione alle difficoltà.

spesso il colloquio viene impostato secondo uno stile investigativo, con una serie di domande che
servono al professionista per comprendere qual è il problema: l'operatore segue uno schema
preordinato, che gli permette di decidere quali informazioni ottenere. reazione —> persona segue
passivamente linea impostata. altre volte la conversazione si imposta invece su uno schema
oppositivo, minando così le basi per una relazione di fiducia di empirica. serie di domande—>
impressione di fornire soluzione , ruolo da passivo da cliente senza acquisire autonomia.

un altro errore frequente è quello di porre prematuramente il compito di focalizzarsi su determinati


aspetti, senza considerare che la persona potrebbe avere preoccupazioni più impellenti.

è stato Inoltre osservato come lo stesso fatto che il professionista si schieri ed espongo
argomenti in favore di una direzione del cambiamento è prevedibile che muova la persona
ambivalente nella direzione opposta. nella persona ambivalente ci sono sia i motivi per cambiare,
che quelli per non cambiare: un passo in una direzione porta subito a vedere i suoi svantaggi e la
direzione opposta come preferibile. l'ambivalenza non è considerata come qualcosa di
patologico, ma una fase normale del processo di cambiamento, che il professionista può aiutare a
superare con le tecniche corrette.

gli autori del colloquio motivazionale si rifanno a GORDON per evidenziare quali sono le numerose
trappole della comunicazione, ovvero una serie di modalità comunicative le quali, a dispetto delle
buone intenzioni, si rivelano controproducenti.

lo stile del colloquio motivazionale non è quello di dirigere, ma di guidare: il professionista per
essere una buona guida e Innanzitutto un buon ascoltatore che, se necessario e al momento
opportuno, offre la sua esperienza.

I PROCESSI DEL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE

MILLER e ROLLNICK descrivono quattro processi che si attivano nel colloquio motivazionale:

1. stabilire una relazione empatica. presuppone un atteggiamento non giudicante, anche


quando non si approva il comportamento dell’altro. La resistenza del cliente non viene
contrastata, ma utilizzata come fonte di informazione per comprendere il suo punto di vista.
2. focalizzare. è il processo in cui si chiariscono gli obiettivi di cambiamento è il percorso,
ponendo le basi per i successivi interventi. a volte il focus primario non è evidente dato che in
alcuni casi possono evidenziarsi obiettivi divergenti; l'operatore può aiutare nella definizione di
una mappatura dei diversi problemi da risolvere, indicando su quali potrebbe essere utile
focalizzare, senza per questo inibire il processo decisionale della persona, consentendo un
accordo condiviso sul cammino da intraprendere.
3) evocare. quando è chiara la direzione del cambiamento, il passo successivo è esplorare idee e
vissuti sul perché e il come si potrebbe realizzare.

l’utilizzo di domande aperte consente di evocare:

a. il bisogno di cambiamento, b. le ragioni del cambiamento, c. il desiderio di cambiamento, d. le


capacità.
nel processo di evocare, il colloquio diventa più chiaramente motivazionale: le abilità per lavorare
sulla motivazione consistono nel riconoscere le affermazioni orientate al cambiamento, nel farle
emergere e rispondere quando si presentano.

4) pianificare. questa fase ha inizio quando una persona è pronta al cambiamento ed è possibile
la formulazione di uno specifico piano di azione, valorizzando l'autonomia del cliente nel prendere
le decisioni. pianificare è un processo progressivo, che può richiedere revisione lungo il percorso.
come le altre approcci l’operatore viene definito come agente di cambiamento: il professionista
non è colui che fornisce la soluzione, ma si fa guida nel sostenere il cliente a individuare le sue
ragioni per il cambiamento.


LE ABILITÀ COMUNICATIVE

nel colloquio motivazionale le abilità comunicative sono utilizzare in direzione di diversi obiettivi:

• comunicare ascolto attento e comprensione, operatore davvero interessato a comprendere il


suo pov perché il cliente è ‘al centro’ nel percorso per individuare le regioni e la direzione del
cambiamento

• consentire alla persona di esplorare le sue idee , propensioni e riflettere sulle sue
ambivalenze;

• rinforzare e sostenere la motivazione del cambiamento.

nel c. m si privilegiano domande aperte, che invitano a parlare di un argomento e danno


possibilità alla persona di rispondere in modo più libero.

si utilizza la riformulazione provando a comunicare ciò che si pensa di aver capito, cercando di
facilitare un ulteriore esplorazione del cliente; ciò presuppone equilibrio e sintonia nella relazione e
un'attenta valutazione dei feedback: se la persona si blocca vuol dire che si sta procedendo
troppo in fretta.

le frasi di sostegno sono funzionali a commentare le capacità, gli sforzi fatti, i risultati raggiunti.

sostenere è diverso da lodare, azione che colloca il professionista nel ruolo dominante
dell'esperto, che sa cosa è giusto; occorre inoltre fare attenzione al fatto che le frasi di sostegno
sono influenzate da fattori culturali e ciò che in un determinato contesto viene interpretato come
apprezzamento, in un altro potrebbe essere vissuto come un’iperbole esagerata.

i riassunti, oltre a comunicare che si è ascoltato e cercato di capire, possono essere utilizzati per
riordinare diversi elementi di cui si è parlato, permettendo di fermarsi a riflettere su quanto detto.
un buon riassunto aiuta a costruire una cornice di senso ed è utile per terminare un argomento,
mettendo in luce gli aspetti più rilevanti e facilitare il passaggio a quello successivo.
domande aperte sia per basi per una buona relazione, ma anche utilizzate in funzione
dell’obiettivo di lavorare sulla motivazione.

il professionista deve essere in grado di riconoscere e saper interagire con due tipi di affermazioni:

- affermazioni orientate al mantenimento dello stautus quo AOM , quelle espressioni che la
persona porta per non cambiare;

- le affermazioni di cambiamento AOC , quelle espressioni del cliente che riflettono desideri,
bisogni, motivazioni intenzioni o possibilità concrete di cambiare.

nelle persone in ambivalenza sono presenti sia AOC che AOM e il professionista deve essere in
grado di utilizzare tecniche comunicative per saper rispondere a entrambi i tipi di affermazioni.

APPLICAZIONE NEL SERVIZIO SOCIALE


gli assistenti sociali hanno cercato di tradurre concetti e metodi del modello transteorico e del
colloquio motivazionale per l’esercizio della pratica.

alcuni studiosi hanno mostrato l'utilità dell'approccio nell'intervento con genitori che hanno
problemi di dipendenza, in un programma di prevenzione per persone affette da HIV o con autori
di violenza che hanno problemi di abuso di sostanze.
in Italia è VALERIO QUECIA l’autore di diversi lavori sull’utilizzo del metodo nel servizio sociale.

il modello transteorico e l'approccio motivazionale forniscono una serie di assunti e metodi, da
cui derivano indicazioni per la pratica molto chiare;
- l'essere pronti o resistenti al cambiamento non è una caratteristica del cliente, ma il frutto di
una situazione che l'assistente sociale deve comprendere prima di intervenire;

- l'assistente sociale è responsabile e garante della qualità della relazione, non della direzione del
cambiamento, che è sempre scelta della persona;
- l’ascolto riflessivo ed empatico è lo strumento per una relazione collaborativa è un approccio
centrato sul cliente;

- il colloquio motivazionale è un mezzo per guidare e facilitare i processi e le strategie che


portano al cambiamento;

- le strategie devono tener conto dello stadio di cambiamento in cui si trova il cliente

- le prescrizioni, le raccomandazioni e i consigli non richiesti non sono un metodo efficace per
risolvere l'ambivalenza o la resistenza e vanno nella direzione contraria all'autodeterminazione;

- la relazione di aiuto è di tipo collaborativo.

lo spirito del colloquio motivazionale, fondato sull'empatia, il rispetto della persona, della
sua autonomia e autodeterminazione, è completamente in linea con i valori del servizio
sociale. la capacità di tradurre questi valori in modalità che contribuiscono a costruire
atteggiamenti coerenti, fornisce agli assistenti sociali strumenti particolarmente utili a una pratica
quotidiana guidata dalla teoria, dal metodo e dei valori.

(COLLOQUIO CON PATRICIA)

CAPITOLO 7: L’INTERVENTO IN SITUAZIONI DI CRISI


INTRODUZIONE
molte persone affrontano momenti o periodi di crisi nel corso della loro esistenza; talvolta essi
sono determinati da eventi esterni, anche tragici, oppure da cambiamenti che sono parte della
vita, ma che, in un particolare momento, non siamo pronti ad affrontare utilizzando nuove
strategie.

parliamo di strategie di coping quando ci riferiamo alla capacità di attivare nuove modalità
per adattarsi ai cambiamenti, anche in situazioni particolarmente sfidanti.

in alcune circostanze queste strategie non sono efficaci e si determina così una condizione
stressante, che può portare a disturbi della sfera fisica, psicologica e sociale.

gli assistenti sociali sono in grado di accompagnare individui, famiglie e comunità


nell'elaborazione di momenti di difficoltà, in cui non riescono a trovare, oppure a mettere in
campo in autonomia, le risorse adatte a far fronte anno ad un nuovo evento vissuto come critico.

LO SVILUPPO DELLA TEORIA SULLA CRISI


le origini dell’intervento sulla crisi sono in genere attribuite allo studio di LINDEMANN, uno
psichiatra statunitense che condusse un lavoro pioneristico con i sopravvissuti di un grave
incendio in un locale di Boston.

il lavoro del suo team giunse a conclusione in netto contrasto con le tradizionali teorie
psicoanalitiche, che concettualizza vano i disturbi psicologici e psichiatrici quali conseguenza di
problemi inconsci e irrisolti.

lindemann e i suoi collaboratori, osservando l’insorgenza di sintomi patologici nei sopravvissuti, in
assenza di una diagnosi specifica arrivarono a concludere che questi sintomi non
necessariamente dovevano essere interpretati come patologia, ma come normale risposta
a una situazione di grave perdita improvvisa

anche individui in stato di completo benessere potevano dunque andare incontro a uno stato di
disorganizzazione, quando colpiti da un evento traumatico.

il team di psichiatri noto Infine come le persone già in precedenza esposte a episodi traumatici
reagivano meglio alla crisi, evidenziando così la possibilità di apprendimento in situazione di
stress.

il lavoro prosegue con altri colleghi all’ospedale del Massachusetts, al fine di fornire sostegno ai
familiari delle vittime; fu in questa fase che Lindemann iniziò a comprendere e valorizzare il
contributo di altri professionisti nella definizione di interventi di aiuto in situazioni di crisi.

una conclusione rilevante del suo studio fu che il lavoro parallelo sul contesto ambientale e
relazionale, svolte da diversi professionisti, così come da altre figure della comunità
adeguatamente formati, configurava un prezioso strumento per prevenire l'insorgere di
psicopatologie.
più tardi LINDEMANN fu coinvolto insieme a CAPLAN nella definizione di un programma di
psichiatria di comunità, noto come Wellesley Project, il cui obiettivo era quello di garantire
supporto alle vittime di esperienze traumatiche.

a partire da questo progetto, fu CAPLAN ad elaborare il concetto di psichiatria preventiva,
introducendo un intervento di crisi tra i metodi di prevenzione secondaria nei servizi di salute
mentale.
l’obiettivo del Crisis Intervention era ridurre gli effetti dannosi di eventi traumatici, evitando
l'ospedalizzazione in caso di reazione a situazioni di crisi.

nelle teorizzazioni dell'autore si parla di uno stato di crisi quando la persona affronta un ostacolo
che si frappone al raggiungimento di obiettivi per le importanti, ostacolo non affrontabile
attraverso i metodi di problem solving utilizzati fino a quel momento. secondo Caplan, la crisi
non è data dall'evento precipitante, ma dalle sue possibili conseguenze.
la sua teoria—> assume che l'organismo sia costantemente impegnata a mantenere un equilibrio
omeostatico con l'ambiente esterno e quando questo equilibrio minacciato da forze fisiologiche,
psicologiche e sociali, l'individuo mette in atto strategie di problem solving volte a ripristinarlo.

la crisi —> dunque considerata come il turbamento di una condizione di equilibrio, quando le
strategie del individuo falliscono.

un altro importante contributo di questo studioso sta nell'aver evidenziato come le situazioni di
crisi non siano solo determinate da eventi improvvisi, ma possono essere esperite necessari
passaggi di ruolo, in diverse fasi del ciclo di vita. il suo riferimento—> è al modello di sviluppo
psicosociale di ERIKSON , secondo cui il fallimento nel far fronte alle sfide legate ai passaggi da
una fase all’altra del ciclo di vita può avere conseguenze negli stati successivi, determinando la
possibilità di situazioni di crisi.

modelli contemporanei tendono a integrare diversi contributi teorici, includendo nella spiegazione
della crisi fattori cognitivi coinvolti nella valutazione degli eventi esterni e il ruolo delle variabili
ambientali.

la tendenza attuale è quella di costruire modelli ibridi, in grado di incorporare concetti teorici da
differenti discipline che consentono la spiegazione di variabili a diversi livelli.

I CONCETTI CHIAVE:

LA DEFINIZIONE DI CRISI
il periodo di crisi è segnato da un evento che porta un temporaneo stato di
disorganizzazione sotto il profilo psicologico e sociale; in questo periodo i meccanismi di
adattamento di quella persona dispone abitualmente vengono meno, determinando la
temporanea incapacità di trovare strategie efficaci per risolvere le difficoltà.
emergenza—> quando necessaria una risposta immediata affinché ele persone vengano messe
in sicurezza , comportamenti suicidi, episodi violenti o catastrofi.

CAPLAN—> crisi quando una persona deve affrontare un problema per il quale non sembra
disponibile un’immediata soluzione con metodi di problem soling.

ROBERTS—> crisi come unareazione soggettiva a un’esperienza di vita stressante che


compromette la stabilita dell’individuo e la sua abilità di abilitarsi o di funzionare.

JAMES R GILILAND—> crisi quando si percepisce un evento o una situazione come intollerabile
difficolta, non affrontabile con le risorse e i meccanismi di adattamento della persona

in evidenza DUE comportamenti della crisi: A. componente oggettiva, evento che attiva la
situazione di crisi; B. un aspetto più soggettivo , dato dalla percezione che la persona ha
dell’evento critico e delle sue reazioni a esso.

QUATTRO ELEMENTI che interagiscono nel determinare una situazione di crisi:

- evento precipitante

- il significato e la percezione che l l’individuo e il più ampio contesto in cui è inserito hanno
dell’evento

- l’alterazione del funzionamento sociale e psicologico della persona, quando le strategia di


soluzione dei problemi e della situazione stressante non hanno successo

- le risorse che influenzano la granita, il tipo, la durata della crisi e la capacità di farvi fronte

evento stressante grave con adeguate capacita di coping e risorse —> non sempre crisi

l'automatica reazione a un sovraccarico di stress comporta la messa in campo di risorse


psicologiche, emotive, fisiche e sociali per far fronte alla situazione. se i tentativi non hanno
successo, il vissuto di frustrazione può a sua volta aumentare il livello di stress, la persona può
andare incontro a una situazione in cui si incrinano le sue capacità decisionali, può essere
esposta ai venti depressivi o reazioni aggressive, giungendo ad esperire uno stato di crisi.

TIPI DI CRISI
La letteratura distingue diversi tipi di crisi e di eventi che innescano:

- crisi ambientali , riguardano la reazione a catastrofi che coinvolgono interi gruppi e comunità,
quali i disastri naturali economici;

- crisi situazionali, si riferiscono ad eventi specifici in cui la persona è coinvolta, come ad
esempio la aver subito stupri o aggressioni. gli stessi professionisti che lavorano in contesti di
emergenza, o in situazioni di stress elevato, possono andare incontro a una situazione di crisi, se
non adeguatamente formati o supportati;

- crisi che possono manifestarsi nel corso del processo di sviluppo delle persone, come
temporanea incapacità di fronteggiare un evento critico. situazioni sfidanti nel ciclo di vita, quali
ad esempio la malattia o il decesso di un familiare, comportano l'elaborazione e la
riorganizzazione delle abitudini del quotidiano e non sempre gli individui hanno le risorse
psicologiche e sociali per farvi fronte;

- crisi legate a fattori che riguardano il quadro psicopatologico preesistente, il quale può
aver contribuito a innescare oppure a complicare uno stato di crisi. in queste situazioni è
necessaria l'attivazione di professionisti con competenze clinica.

FASI DELLA CRISI


diversi autori hanno osservato come le reazioni alla crisi seguono pattern in qualche modo
comparabile, che possono essere descritti distinguendo le seguenti fasi:

- fase 1 , è il momento dell'impatto, in cui l'evento precipitante espone la persona ha un elevato


livello di tensione che sfida il suo stato di equilibrio; la tensione iniziale può essere
accompagnata da uno stato di shock e a volte dalla negazione dell'intervento che ha provocato
la crisi.
- fase 2, dopo l'impatto, al fine di ridurre la tensione, la persona mette in gioco le strategie che
conosce per far fronte alle sfide e ai problemi in situazioni di emergenza e se questi tentativi
non hanno successo aumenta ulteriormente il livello di stress.

- fase 3, la persona si sente sempre più tesa, confusa, sotto stress, a volte arrabbiata e altre
volte depressa; questo stato ha una durata variabile a seconda del tipo di evento, delle reazioni
della persona e della sua rete di sostegno.

se il problema continua e lo stato di disorganizzazione aumenta senza trovare alcuna soluzione,
può portare a un punto di rottura, con una severa compromissione del quadro sociale o
psicologico.

EVENTI STRESSANTI O TRAUMATICI

lo stress è una risposta dell’organismo a un cambiamento che, in alcuni casi, può essere superato
in maniera positiva mentre in altri può diventare fonte di danni di natura fisica e psichica.

BOSS ci aiuta a distinguere il concetto di crisi da quello di stress, crisi—> come una variabile
dicotomica

stress—> come una variabile continua:

mentre la crisi c’è oppure no, lo stress è un processo che si sviluppa nel tempo, con diversi gradi
di intensità.
gli eventi traumatici sono inevitabilmente fonte di stress; alcuni possono essere esterni e non
controllabili come ad esempio incidenti ferroviari, terremoti e inondazioni che sono fatti non
prevedibili, le cui conseguenze irrompono nell’esistenza delle persone. altri eventi sono
determinati da atti di deliberata crudeltà, come gli attacchi terroristici.

gli eventi traumatici generano sentimenti di paura, orrore, senso di impotenza e alcune persone
possono sperimentare disturbi temporanei, definiti come reazione post traumatica da stress.
(disturbi postsumstici da stress PTSD)

altri eventi stressori riguardano il contesto familiare, quali ad esempio l’insorgere di un problema
di dipendenza da sostanze o episodi di violenza domestica, mentre altri sono parte del normale
ciclo di vita come la nascita di un figlio, l’adolescenza, il pensionamento. Molte persone riescono
a ritrovare uno stato di equilibrio, altre possono andare incontro a situazioni patologiche che
richiedono intervento terapeutico.

SIGNIFICATO E PERCEZIONE DELL’EVENTO

L'evento stressante può tradursi in una crisi, quando la persona la Vilnius la vive Ella percepisce
come tale cache. L’IMPATTO dell' evento sull' individuo è legato alla sua valutazione attiva.

RISORSE E CAPACITÀ DI COPING

Nell'intervento di crisi quando si parla di risorse ci si riferisce a caratteristiche, capacità o cose


materiali che aiutano a far fronte ai nuovi bisogni, determinati dall'evento stressante. Esse
possono essere attivate a livello individuale( come risorse economiche stato di salute fisica e
psicologica), familiare O della comunità. Può trattarsi di beni di prima necessità come cibi, vestiti,
alloggio o meno tangibili come l'attivazione di reti sociali di supporto o risorse psicologiche. Il
premier erano televisivi ieri pidiessini Dario media-

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